SCONTRO TRA I MEDICI E LA GIUNTA UNIVERSITÀ, LA RIFORMA AL PALO - ATENEI SI CAMBIA, NASCE L'AGENZIA - ADDIO TES(T)I DI LAUREA - MEDICI NEOLAUREATI SI DIMEZZANO I POSTI PER LE 50 SPECIALITÀ - LA LOTTERIA DELLE AMMISSIONI - IL MERITO VA INSEGNATO A SCUOLA - CAMERINO «CRIPTA» I DATI SENSIBILI - UNICA & SARDEGNA RICERCHE - ============================================================ I MEDICI: PIANO DA RIFARE, È SUPERATO - COSTI, SPECIALISTICA BATTE FARMACEUTICA - SANITA’: STRUTTURE FATISCENTI E POLI D'ECCELLENZA. SERVE UNA SVOLTA - MILIA: SORU E’ UN DEMIURGO CHE DECIDE PER CAGLIARI» - GIRAU: IO, TROPPO SCOMODO - CASO GIRAU, LA CDL: LA DIRINDIN VADA VIA - DIRINDIN: «GIRAU, PAROLE GRAVISSIME - MELIS: LO STRANO CASO DEL POLICLINICO DI MONSERRATO - CURE ODONTOIATRICHE. È UNO DEI SETTORI PIÙ DIFFICILI DEL SISTEMA SANITARIO - CGIL IN CARCERE POCHI MEDICI E INFERMIERI - AL CAPEZZALE DEL SAN GIOVANNI DI DIO - DIRINDIN: BISOGNA RIVEDERE LE ESENZIONI DAL TICKET - LA PIAGA DEI FARMACI CONTRAFFATTI NEL MONDO - LE PATOLOGIE CONGENITE SI CURERANNO CON INIEZIONI NELL'UTERO - DESTINI SEPARATI PER FISIOTERAPIA E SCIENZE MOTORIE - TROPPI INTERESSI IN DIALISI - DNA, PROCESSO AI TEST: TROPPI ERRORI NON CI SONO CERTEZZE - TUMORI, PRONTI I TEST GENETICI - IL GENE DELL'OMOSESSUALITÀ AIUTA IL GENERE UMANO A SOPRAVVIVERE? - SCOPERTO IL GENE DELL’AUTISMO - LA REALTÀ VIRTUALE?, UNA MEDICINA - CARCINOMA EPATICO: DAGLI USA NUOVE CURE - VACCINATI» CONTRO LE ALLERGIE IN SOLI DUE MESI - REUMATOLOGIA E ONCOLOGIA, STESSI BERSAGLI - DENTI DALLE STAMINALI - ============================================================ _______________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 25 feb. ’07 SCONTRO TRA I MEDICI E LA GIUNTA DIRINDIN: PENSANO SOLO A SE STESSI L'assessore: «Posizioni di retroguardia» Soru : i pazienti al centro del nostro impegno Alessandro Zorco Continua lo scontro frontale tra i medici sardi e l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin sul Piano sanitario regionale. L'ultima battaglia (seppure a distanza) ieri mattina all'hotel Mediterraneo di Cagliari dove il neonato Coordinamento della sanità sarda ha tenuto la prima affollata assemblea regionale. Proprio sui temi del Piano sanitario. I camici bianchi hanno attaccato le politiche dell'esecutivo regionale chiedendo una maggiore concertazione. Richiesta, peraltro, accolta dallo stesso presidente Soru, intervenuto alla manifestazione. Ma il grande assente, come molti hanno potuto notare, era soprattutto Nerina Dirindin. Non invitata all'assemblea, l'assessore ha replicato definendo «di retroguardia» le posizioni dei medici. «Mi dispiace che una gran parte degli operatori dimostri di non avere acquisito la consapevolezza che la prima cosa è l'attenzione ai cittadini - ha commentato -: rivendicare la centralità del ruolo del medico è un passo indietro dal punto di vista culturale». TORNANDO ALLA CRONACA, il comitato («d’opposizione propositivo ») ha chiesto più dialogo con la Giunta sui temi della sanità. Pur accantonando le polemiche che negli ultimi giorni lo hanno visto protagonista con l'assessore Dirindin su alcune carenze nell’ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, il preside della Facoltà di Medicina del capoluogo, Gavino Faa, ha ribadito le sue critiche: «la tac dell’ospedale civile, diversamente da quanto sostiene l'assessore, è un apparecchio ormai obsoleto, addirittura il più vecchio d’Italia». «Considero il Piano sanitario più di una cornice, con regole di buona organizzazione, buone infrastrutture e strumenti», ha detto Soru cercando di lenire le preoccupazioni degli operatori sanitari: «più che riconsegnare la sanità ai medici il Piano la restituisce ai pazienti, mettendoli al centro dell’impegno del Governo regionale», ha aggiunto dicendosi possibilista su eventuali modifiche del piano e rinnovando l'impegno della Giunta a nuove occasioni di immediato confronto con i professionisti della sanità. Nettamente più dura la posizione dell'assessore Dirindin che, in serata, ha definito “di retroguardia” la posizione dei camici bianchi. In relazione alla mancanza di concertazione, l'assessore ha ricordato le tante consultazioni con gli operatori che hanno accompagnato il varo del documento da parte della Giunta e le tante riunioni della commissione Sanità. «Non si dimentichi che la conferenza permanente per la programmazione socio- sanitaria, di cui i rappresentanti dei medici fanno parte, ha espresso parere positivo sul piano». ? __________________________________________________________ ITALIA OGGI 24 feb. ’07 UNIVERSITÀ, LA RIFORMA AL PALO Il restyling del 3+2 voluto da Mussi non ha, fatto in tempo a concludere l'iter I due decreti arenati davanti al Consiglio di stato DI BENEDETTA P. PACELLI E IGNAZIO MARINO Decisamente una riforma sfortunata quella dell'Università. Due governi ci hanno provato a rivedere la Berlinguer-Zecchino. E tutti e due, seppur vicini al traguardo, non sono riusciti a portare a termine l'operazione di restyling del 3+2. Il ministro Fabio Mussi proprio ieri avrebbe dovuto riferire in consiglio dei ministri sull'iter dei due schemi di regolamento: passaggio al Consiglio di stato per il parere di rito e invio alla Corte dei conti per la registrazione. Sembrava fatta. Ma dal Consiglio di stato hanno fatto sapere di non aver mai ricevuto nessun provvedimento dal ministero dell'università. AL ministro del nuovo governo quindi toccherà andare a recuperare il tutto e far riprendere l’iter. Anche se, dallo staff di Mussi, fanno sapere che se le cose dovessero precipitare il tentativo estremo sarà quello di salvare le riforme forti, quelle su cui il ministro diessino ha puntato in questi nove mesi. Prima fra tutte appunto gli schemi di decreto sulla disciplina dei corsi di laurea triennale e magistrale. Non si può quindi prevedere né come né quando la vicenda legislativa iniziata parecchi mesi fa avrà un esito positivo. I decreti, infatti, erano stati varati dall'ex ministro dell'istruzione Letizia Moratti e dopo un botta e risposta con gli atenei, i testi erano arrivati sul tavolo della Corte dei conti, per essere poi richiamati, con il cambio del governo, da Mussi, perché giudicati in alcune parti insoddisfacenti, e anche perché a parere del ministro, era prematura la sperimentazione a partire dal 2007. Il nuovo testo, riveduto e corretto in alcune sue parti, presentava ora alcune modifiche, in particolare il tetto massimo di 20 esami mentre per le magistrali di 12. Mussi aveva inasprito il tetto previsto dai decreti di cui si era occupata l'ex sottosegretario all'istruzione Maria Grazia Siliquini, che aveva stabilito 8 o in alcuni casi 10 prove l'anno, per un totale, solo per la laurea triennale, di 30 esami. Il testo corretto si soffermava anche sul problema dei crediti vincolati che aveva suscitato non poche polemiche. Il riconoscimento obbligato dei crediti universitari, in caso di trasferimento da un ateneo all'altro, aveva visto la rivolta dei rettori che vedevano nella norma un serio limite all'autonomia e si vedevano negare il diritto e il dovere di intervenire sulla qualità dei crediti acquisiti all'interno di un'altra esperienza di studio. La Siliquini era stata costretta a fare un passo indietro, chiedendo invece agli atenei il riconoscimento del maggior numero possibile dei crediti vincolati e restituendo così la palla tra le mani degli accademici. Mussi va ancora oltre e stabilisce che agli studenti che cambiano sede o corso vada riconosciuto il maggior numero possibile di crediti secondo criteri e modalità previsti dal regolamento del corso di laurea di destinazione. Quando il trasferimento avviene nell'ambito di una stessa classe la quota di crediti deve essere pari al 50% di quelli maturati. Questo limite però non si applica nel caso di studenti provenienti dalle università telematiche. Un altro paletto è quello del riconoscimento da parte degli atenei di conoscenze e di abilità professionali certificate, le famose, convenzioni tra atenei e enti pubblici per laureare l'esperienza che ora non potrà valere più di 60 crediti per la laurea triennale e fino a 40 per quella magistrale. Le modifiche riguardano anche il corpo docente: _i corsi di laurea dovranno garantire che almeno la metà degli insegnamenti, 90 su 180 crediti complessivi, siano tenuti da professori di ruolo. Per adeguarsi a tutto questo però il tempo c'è. Per l'attuazione, era stato deciso infatti di garantire la gradualità nell'arco di un triennio, a partire dal 2008/2009 per essere definitiva nell'anno accademico 2010- 2011. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 feb. ’07 ATENEI SI CAMBIA, NASCE L'AGENZIA Il ministro Fabio Mussi presenta oggi l’Anvur, una struttura più snella di valutazione del sistema accademico, attività finora svolta da due enti distinti di Andrea Casalegno li atenei italiani sono alla vigilia di una svolta significativa: il rafforzamento dei primi tentativi, utili ma ancora marginali, di sottoporre a una valutazione qualitativa le loro attività scientifiche e didattiche. II ministro per l'Università e la ricerca Fabio Mussi presenta oggi al Governo le linee guida per il Regolamento della futura Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca (Anvur), istituita dalla legge finanziaria del 24 dicembre zoo6, la quale ha anche stanziato 5 milioni di curo all'anno per il suo funzionamento. L'Anvur prenderà il posto degli enti di valutazione attuali, il Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu) e il Comitato di valutazione della ricerca (Civr). In base al testo delle linee guida, comunicato da fonti ministeriali, l'Agenzia «porterà a compimento» i loro programmi e ne erediterà «i compiti e le risorse umane, materiali e informative». Civr e Cnvsu, infatti, hanno posto le basi per fattività di valutazione, e le informazioni da essi accumulate sono un patrimonio da non disperdere. Le linee guida prevedono, «allo scopo di favorire la continuità», che durante il primo anno i presidenti del Civr e del Cnvsu partecipino al consiglio direttivo del nuovo organismo. Secondo le linee guida la nuova Agenzia, che avrà sede a Roma, sarà un ente snello, con un consiglio direttivo di sette membri - anche non italiani - nominati dal ministro dell'Università. Il consiglio eleggerà nel proprio seno il presidente e nominerà un direttore operativo, con un mandato di:cinque anni rinnovabili, su proposta del presidente ma tramite bando pubblico. Tre saranno i compiti principali dell’Anvur: valutare la qualità delle attività universitarie, indirizzare e coordinare i nuclei di valutazioni già attivi da anni nei singoli atenei, giudicare l'efficacia dei programmi statali di finanziamento e incentivazione alla ricerca. Quali saranno, però, i poteri effettivi dell'Agenzia? L'Anvur non assegnerà direttamente i fondi ministeriali, ma «proporrà al ministro i parametri di ripartizione per l'allocazione dei finanziamenti statali» e fisserà «il costo standard degli studenti universitari», elemento base per l'assegnazione del Fondo di finanziamento ordinario di ogni ateneo. Infine, «una quota premiale annuale del finanziamento ordinario, determinata dal ministro, sarà assegnata direttamente sulla base di parametri di valità individuati dall'Agenzia». Componenti Tanti saranno i membri del Consiglio direttivo della futura Agenzia di valutazione dell'università e della ricerca (Anvur) Gruppi disciplinari È il numero dei raggruppamenti di materie in cui oggi sono suddivisi i docenti italiani Macro aree scientifiche Questa è la suddivisione in base alla quale opera attualmente il Comitato di valutazione della ricerca (Civr) __________________________________________________________ La Stampa 18 feb. ’07 ADDIO TES(T)I DI LAUREA Il futuro è arrivato. L'Università di Torino annuncia che le tesi di laurea su carta e rilegate saranno un ricordo del passato; così anche gli statini, i libretti su cui sono registrati gli esami. Tutto elettronico, a partire da una carta digitale che servirà a identificare, certificare, registrare e ad accedere a servizi come segreteria, banca dati, raccolte di testi e documenti. Ogni iscritto, discente, docente o membro del personale, non importa, avrà la propria firma elettronica. Dunque le legatorie, i centri di fotocopie, i servizi dattilografici saranno un pallido ricordo del passato, così come gli studenti che ancora pretendono di passare attraverso il supporto cartaceo assomigliano a quegli impiegati della pubblicità della Microsoft: ominidi con la testa da dinosauri. Tutto invecchia rapidamente e scompare. Così anche le vetuste tesi di laurea. E poiché il progresso non si arresta - c'è evidentemente un riscontro economico nel diminuire l'uso della carta per documenti, certificazioni, elaborati finali - chi non possiede un computer, un indirizzo elettronico, chi non naviga o navigherà entro breve nella rete wireless, sarà cancellato; la sua esistenza fisica sarà messa in discussione da quella virtuale, l'identità visuale - il dictus della firma, lo stile o stilo di ciascuno - riconfigurata a vantaggio di un chip e di una carta elettronica. I benefici saranno molti, stando alle dichiarazioni del rettore dell'ateneo piemontese, Enzo Pelizzetti. Questo nessuno lo mette in dubbio. Indietro non si torna anche qui, nell'università, un pachiderma che nel passato ha dimostrato una incapacità inveterata al cambiamento, figuriamoci poi all'adesione al futuro che avanza. Tutti viviamo oramai in simbiosi con telefoni cellulari, computer, e-mail, palmari e agende elettroniche, tuttavia vengono in mente una serie di modeste obiezioni, da Orfano sannita, avrebbe detto Giorgio Manganelli, ovvero quesiti che con il progresso non hanno nulla a che fare. a quei quesiti s'insinuano in modo specioso nelle menti italiche predisposte all'eccezione, al rilievo e alla recriminazione, o solo al buon senso, il vecchio buon senso di cui spesso manchiamo. E vediamo questi quesiti. II primo, ovvio, riguarda la leggibilità del mezzo elettronico. Come ricorda in un recente libro sulla lettura un grande disegnatore di caratteri, l'olandese Gerard Unger, oggi sussistono ancora differenze importanti tra la lettura su carta e su schermo. Innanzitutto per la distanza di lettura nel caso dello schermo, poi perché un schermo emette luce e le lettere sono costituite da ~ relativamente grandi. Questo comporta una grande fatica che ha conseguenze anche sulla vista di chi usa a lungo il supporto elettronico. Sono state previste dal rettore torinese delle particolari iniziative a favore della vista dei docenti costretti a leggere in codesto modo gli elaborati finali (la tesi si chiama adesso così, ed è più esigua per pagine e spessore culturale rispetto al passato, almeno nelle lauree brevi) dei loro allievi? La seconda obiezione riguarda il supporto stesso, le sue dimensioni e il peso. Occorrerà portarsi sempre dietro un computer, almeno imo a quando i personal non saranno di peso esiguo, come un foglio di carta appunto, da arrotolare e far sparire nella borse. La carta, sempre in balia di acqua e fuoco, ha però il vantaggio di essere altamente trasportabile, piegabile, spiegazzabile. Così i poveri professori dovranno, loro sì, ricorre alla carta: scaricare tesi e stamparsele per potersele leggere, trasformandosi in stampatori a domicilio. E se poi il computer si blocca? Se si impianta fagocitando le tesi degli allievi? Certo ci sarà sempre il server centrale, la banca dati in cui ripescarlo. Ma se anche quella va in tilt? Scripta manent, si diceva in quel proverbio, la cui prima parte è ormai inutile. Ma la vera obiezione è un'altra. Con tutta questa elettronica, con le smart card, le fdelity card, con la posta elettronica, con il computer, con i cellulari noi tutti lavoriamo sempre di più. Con la scusa di farci risparmiare tempo, dobbiamo fare sempre più cose nel poco tempo che abbiamo a disposizione. II decentramento delle funzioni comporta un aumento esponenziale dell'attività nei terminali periferici: cioè per noi tutti Siamo i segretari di noi stessi, i collaboratori della nostra identità principale: fotocopiatori, dattilografi, esecutori, calcolatori, ecc. Ma poiché il progresso non si ferma, poiché in dietro non si torna, allora buttiamoci davvero nel futuro e diciamo: basta scrivere! Ovvero, per prima cosa aboliamo tesi e prove finali. Questo sarebbe davvero innovativo. Non basta dire che facendo a meno della carta, passando all'elettronica, si risparmiano alberi. Bisogna dire: basta scrivere in generale, perché oramai c'è troppo da leggere. Con il web tutti scrivono di tutto, senza tregua e senza requie. L'Orfano sannita chiede più radicalità, poiché il progresso, volenti o nolenti, radicale lo è poi davvero. __________________________________________________________ Il Ssecolo XIX 23 feb. ’07 MEDICI NEOLAUREATI SI DIMEZZANO I POSTI PER LE 50 SPECIALITÀ Da quest'anno otterranno il contratto di formazione la selezione per gli aspiranti si preannuncia durissima I NEO LAUREATI in medicina in attesa di sapere quanti posti saranno disponibili nelle cinquanta specialità dell'Università di Genova, a giorni impatteranno con una brutta sorpresa: i posti sono complessivamente un centinaio, oltre 50 in meno rispetto allo scorso anno. Ciò significa che se da sempre ci sono oggettive difficoltà per assorbire tutta la richiesta, sempre il doppio della disponibilità, da quest'anno sarà selezione durissima. Il popolo degli aspiranti specializzandi è avvertito. Questo giro di vite avrebbe una giustificazione economica: da quest'anno infatti gli specializzandi ottengono dal Ministero non più una borsa di studio ma un vero e proprio contratto di formazione, molto meglio retribuito rispetto al passato. Del resto sono lavoratori a tempo pieno che le strutture pubbliche utilizzano da sempre e spesso anche a copertura dei vuoti in organico. Notizia positiva dunque il riconoscimento economico, ma per quanti di loro se l'accesso è cosi drasticamente tagliato? La conferma viene non solo dal preside della facoltà di Medicina Giacomo De Ferrari ma anche da Antonella Vigliero del Dipartimento Salute e Servizi Sociali della Regione. Che è l'ente istituzionale che di anno in anno stabilisce, consultandosi con l'Università, «di quanti specialisti hanno bisogno le strutture sanitarie pubbliche in Liguria,con una proiezione - precisa la Vigliero - a lunga gittata che copre almeno dieci anni». Calcolo comunque limitante considerando la libera professione dei medici: gli studi privati, in alcuni casi convenzionati, sono un numero oramai molto rilevante. Il Ministero avrà l'ultima parola sulle disponibilità nelle specialità, il numero dei posti potrebbe aumentare di qualche unità, ma ci si potrebbe anche esprimere verso una ulteriore diminuzione. I numeri si scontrano: il preside De Ferrari ricorda che «medicina è l'unica facoltà dell'Università di Genova ad essere in forte crescita negli ultimi anni. Di oltre mille studenti. Non devo essere io a dirlo che di una buona facoltà si tratta, ben organizzata, dove gli studenti sono ben seguiti. Certo è che nonostante il numero chiuso, la richiesta del mercato è sempre sostenuta. La famiglia che sceglie medicina per il proprio figlio sa di fare un investimento. I nostri specialisti hanno tutti una occupazione». Quasi 4.500 gli iscritti, oggi a medicina. Alla prova di ammissione si presentano in mille per i duecento posti disponibili. E dei duecento laureati nei prossimi mesi metà di loro resterà fuori dalla porta delle specialità. Che è vitale, spiega il preside per accedere all'attività ospedaliera, mentre chi intende diventare medico di base può seguire il corso specifico dell'Ordine. La scelta degli studenti va dove il lavoro è garantito, passione a parte. Le richieste di Regione e Università seguono come si è detto il fabbisogno pubblico. Con qualche mancanza di connessione fra i vari soggetti. Lo scorso anno un bando per due posti di nefrologi in ospedali liguri sono andati deserti, è l'esempio di De Ferrari, che, essendo un neurologo, sa ben cosa succede "in casa sua". E riflette che una ulteriore ritocco alla programmazione potrebbe risolvere questo problema. Ecco dunque al top della richiesta da parte delle istituzioni, anestesisti e radiologi, rispettivamente 15 e 12 i posti disponibili nel 2006, alti i numeri per pediatria (8) medicina interna (7) chirurgia generale (6) igiene e medicina preventiva e cardiologia (5) una larga fascia con 4 posti tra cui ginecologia, geriatria, nefrologia, neurologia, medicina riabilitativa, ortopedia e psichiatria, le restanti specialità avevano a disposizione 2 0 3 posti, fino alle ultime in classifica, fra cui medicina tropicale, microbiologia e virologia, genetica medica, audiologia e foniatria, reumatologia, scienza dell'alimentazione. DONATA BONOMETTI ERNESTO PALUMMERI: «In un epoca di medicina molto specialistica, la geriatria ha un approccio assai originale: affronta l'anziana, fragile, con più disabilità e patologie, da un punto di vista complessivo. Affronta la persona, anche con i suoi problemi sociali» PASQUALE DE BELLIS: «Siamo come i piloti dì un aereo, stiano seduti davanti a un cruscotto con tante strumentazioni. Ma è un lavoro che richiede estrema attenzione e molta tensione, perchè spesso un errore porta a morte certa il paziente» PIETRO BERRINO «La chirurgia plastica non è solo per palpebre cadenti e seni piccoli. Non è solo estetica ma anche e soprattutto ricostruttiva: dopo traumi, incidenti, ustioni e malattie oncologiche. E si ricostruisce anche la fiducia della persona» _____________________________________________ Io Donna 17 feb. ’07 LA LOTTERIA DELLE AMMISSIONI Non conoscete la figura retorica della litote? Odontoiatria non fa per voi. Volete iscrivervi a Lettere? Prendete il numeretto, come dal salumiere. Le università frenano le iscrizioni con paletti surreali. Ma gli studenti protestano e vanno dall'avvocato. Forti di un alleato: il ministro Mussi Provate a rispondere al quesito numero 4. Don Abbondio non era nato con un cuor di leone. Le parole sottolineate sono una: a) litote, b) metonimia, c) climax, d) ossimoro, e) anafora. Ritentate con il 26. II G7 divenne G8 per l'aggiunta di: a) Russia, b) Canada, c) Cina, d) India, e) Brasile. Nessuna idea? Vuol dire che non siete fatti per occuparvi di carie. Odontoiatria non vi vuole. Sarà meglio provare un altro corso di laurea. Già, ma quale? A Psicologia è meglio lasciar perdere, ci sono più aspiranti strizzacervelli che pazienti. Perfino Lettere riserva brutte sorprese: in alcune università, tra cui Parma, hanno messo il numero chiuso perfino li. In altri atenei vale il principio del chi prima arriva meglio alloggia: a Macerata, dove erano rimasti 34 posti disponibili per Scienze della formazione, hanno distribuito biglietti numerati. Risultato: una calca pazzesca, gomitate, svenimenti. E un ragazzo denunciato per il furto di un biglietto. Una volta il percorso era semplice: esame di maturità, lunga vacanza, iscrizione dove portava il cuore. Oggi dopo il diploma le vacanze sono brevi, perché bisogna preparare il test d'accesso. Superarlo è come vincere la lotteria: a settembre, 250mila candidati si sono battuti per ottenere uno dei 29mila posti disponibili nelle facoltà ad accesso programmato. Eppure il numero chiuso in Italia decolla, anzi vola: dal 2001 al 2006 i corsi di laurea con un test d'ingresso sono passati da 242 a 1.060, con un aumento del 330 per cento. Gli studenti non ci stanno: manifestazioni, sit in, raccolte di firme e ricorsi al Tar. Ora stanno arrivando le prime risposte. E per loro, sono tutte positive. La terza sezione del Tar del Lazio e la sezione unica del Tar dell'Emilia Romagna hanno infatti accolto tre ricorsi presentati da studenti che non avevano superato la prova nelle facoltà di Psicologia di Parma e di Roma La Sapienza. Tra chi ha ricacciato indietro le lacrime per correre dall'avvocato c'è Giulia Vetrano. A settembre, il suo sogno di seguire il corso di Analisi dei sistemi cognitivi si era infranto: «Studiavo da marzo, ma le domande di matematica erano troppo difficili per chi ha una preparazione liceale. Non c'era niente di simile nemmeno sui testi su cui ci prepariamo per l'esame». Ora è entrata, a marzo inizierà con un aumento del a frequentare. La decisione del Tar è limitata ai diretti interessati ma, come sostiene il loro legale Michele Bonetti, «costituisce uno spartiacque per la giurisprudenza». Non si potrà non tenerne conto, insomma. Passati i primi ragazzi potrebbero, forse, entrare tutti. Ma l'attesa ora è per la prossima sentenza del Tar su un ricorso collettivo: ci si sono messi in migliaia, aspiranti matricole di tutte le facoltà riunite nel Comitato "No al numero chiuse, per chiedere che venga garantito il diritto allo studio sancito dalla Costituzione. «Se il Tar ci dà ragione» spiega Bonetti, «dovrà intervenire la politica e cambiare la legge. Se ci dà torto, faremo ricorso alla Corte Costituzionale, che chiederà un parere al Parlamento». In ogni caso, insomma, si riaprirà la partita dell'ammissione all'università. Tutta da giocare. In prima linea c'è il ministro Fabio Mussi, che senza mezzi termini ha detto da che parte sta: «Ci sono stati troppi abusi, le norme che regolano il numero chiuso vanno modificate». Appunto. La querelle è nell'interpretazione di una legge, la 264 del 1999: prendeva atto di una direttiva europea che chiedeva di fissare un rapporto tra numero di studenti e strutture, per garantire la qualità dell'insegnamento. La legge italiana ha fissato il numero chiuso in sei facoltà (Medicina, Odontoiatria, Veterinaria, Architettura, Scienze della formazione primaria e Scienze Motorie) lasciando però libere le singole facoltà di mettere dei paletti dove ritenessero necessario. Risultato: ognuno l'ha intesa a modo suo, i paletti sono diventati recinti. E se le prove d'accesso per le sei facoltà ufficialmente a numero chiuso sono nazionali e decise dal ministero, per le altre vale l'assoluta discrezionalità degli atenei, in nome della tanto sbandierata autonomia. Da qui il caos, perché ognuno fa a modo suo, inventandosi i quiz e i criteri di selezione. I docenti però si difendono: «Nelle due facoltà di Psicologia di Roma La Sapienza abbiamo duemila posti a disposizione per le matricole. Quest'anno i candidati erano 3.500» racconta Francesco Avallone, preside di Psicologia 2. «La selezione è necessaria per mantenere un minimo di qualità, nell'interesse degli studenti. Da noi il tasso di frequenza è altissimo e nessuno si siede per terra». Quiz difficili? Avallone nega: «Non dovrebbero aver problemi né quelli che escono dal classico, né quelli che escono dal tecnico per geometri». Per gli aspiranti psicologi il paletto è necessario: «Prima della laurea devono seguire un tirocinio obbligatorio di sei mesi. Noi abbiamo mille convenzioni, ma non possiamo trovarne all'infinito». La linea difensiva delle università è comune e si basa sui "requisiti minimi". Spiega Guido Fabiani, rettore di Roma Tre: «Dal 2005 per avere l'accreditamento, e quindi i finanziamenti, gli atenei devono rispettare i requisiti minimi, cioè un rapporto tra numero di studenti, di docenti di ruolo e di aule fissato dal ministero per ogni corso di laurea». Da qui, il boom dei test d'ingresso. «Ma è una regola utile, perché impedisce il proliferare di nuovi corsi senza garanzie. II problema è un altro: abbiamo 1.800mila studenti universitari in Italia. Quante risorse bisogna mettere in campo per sostenere l'alta formazione di tutti questi ragazzi?». 11 nodo allora è questo. Perché il discorso sui requisiti minimi non convince gli studenti: «È una scusa, gli atenei hanno altri modi per ottenere i finanziamenti» sostiene Paolo D'Agostino, rappresentante degli studenti al Senato accademico di Parma e membro dell'Udu (unione nazionale universitari), il sindacato studentesco che ha promosso la campagna. «Noi chiediamo l'abolizione del numero chiuso ovunque, perché va garantita la libertà di studio. L'Italia ha accolto male la direttiva europea. In Francia l'accesso a Medicina è libero. L'importante è sostenere gli esami richiesti nei primi due anni. Se alla fine di questo periodo non ce l'hai fatta, sei fuori. Ma così almeno si può provare. Che senso ha giocarsi il futuro solo perché non si sa che "don Abbondio non era nato con un cuor di leone" è una litote?». __________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 feb. ’07 IL MERITO VA INSEGNATO A SCUOLA di Rossella Bocciarelli C’ è un modo semplice per agire m direzione delle pari opportunità per tutti, senza distinzione di sesso o di censo della famiglia d'origine: rendere onore al merito. A ricordarlo è il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che firma insieme a un altro esperto della Banca centrale, Piero Cipollone, un saggio di prossima pubblicazione sulla rivista del Mulino, in un numero interamente dedicato alle ricette per «Slegare l'Italia». In questi giorni in cui tutti si limitano a celebrare il ritrovato vigore congiunturale dell'economia, come se si potesse prescindere dalle questioni che rendono solido nel tempo un sistema economico, Visco e Cipollone battono a lungo su un tasto francamente imbarazzante per un Paese altamente sviluppato: la scarsa dotazione relativa di capitale umano del nostro Paese e l'ancor più scarsa remunerazione degli investimenti in istruzione. L'anomalia, infatti, sta proprio in questa doppia scarsità: di solito il merito è poco valorizzato quando il bagaglio culturale, il patrimonio di conoscenze e di specializzazioni di cui gli individui possono disporre è elevato. In altri termini, se tutti sono laureati, avere una laurea non ti offre particolari chance di guadagnare di più o di avere una protezione maggiore contro la disoccupazione. In Italia, invece, la quota dei laureati nella popolazione di età compresa fra i 25 e i 64 anni è bassa: essa infatti è pari al 11% contro il 25% della media dei Paesi Ocse. Se poi si fanno i confronti fra i laureati nella fascia di età più giovane (compresa fra i 25 e i 34 anni) il gap appare in aumento: la quota dei giovani laureati italiani è del 15% rispetto al 31 della media Ocse. Dunque; lo stock di capitale umano è scarso. Ma è scarso anche il rendimento per chi investe in istruzione: in Italia, infatti, ricordano i due economisti della Banca d'Italia, i differenziali retributivi sono inferiori a quelli degli altri Paesi nel confronto fra laureati e diplomati di scuola secondaria. Si tratta infatti di una differenza del 530/- contro una del 63 in Francia e Germania, del 74 nel Regno Unito e delf8i negli Stati Uniti. Non basta. Nel nostro Paese, si osserva nel saggio, il possesso di una laurea riduce meno che negli altri il rischio di disoccupazione rispetto a chi ha ottenuto solo il diploma di scuola superiore. Ma che cosa bisognerebbe fare per riuscire a valorizzare il merito? Gli autori si limitano a pochi suggerimenti: Il primo è quello di stabilire un collegamento diretto fra merito e finanziamenti degli studi. In pratica, si tratterebbe di allineare le tasse universitarie (che oggi sono le più basse dei Paesi Ocse) ai costi effettivi del servizio e utilizzare le risorse liberate per prestiti e borse di studio ai meritevoli. Ma, soprattutto, osservano, c'è un problema di qualità dell'offerta di istruzione. «Prima ancora che nel mondo del lavoro - sottolineano - il merito dovrebbe essere valorizzato nelle scuole. Questo non accade quando è bassa la qualità dell'istruzione impartita». E se non è la scuola a garantire la selezione dei migliori, non ci si deve poi stupire se in Italia sia ancora e sempre la famiglia d'origine il "meccanismo allocativo" più in voga per trovare un buon lavoro. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 feb. ’07 CAMERINO «CRIPTA» I DATI SENSIBILI Mario Savini CAMERINO Il primo sistema in Italia a prova di hacker per criptare le informazioni da trasmettere e in grado di garantire, sfruttando i principi della fisica quantistica, la sicurezza assoluta dei dati. Si chiama "Criptocam" ed è la recente scoperta del laboratorio di Ottica quantistica del dipartimento di Fisica dell'Università di Camerino che rivoluziona le tecnologie informatiche e telematiche. Il sistema - sperimentato per ora su 20 chilometri di fibra ottica, ma pronto a essere esteso ai 120 chilometri di cavo disponibile tra Olbia e Civitavecchia - annulla i tentativi di intercettazione, rendendo inattuabile la decifrazione di qualsiasi "codice segreto" come quello dei Bancomat o delle carte di credito, grazie all'invio su fibra ottica di un messaggio abbinato a una chiave di lettura random di segnali binari (o e 1). L'acronimo fa riferimento alle caratteristiche del progetto (criptaggio dei dati) e alla città da cui parte l'esperimento, Camerino, la cui Università nel zoo3,ha ottenuto dal competente Ministero - in seguito a una richiesta del 2001- un finanziamento di 6oomila curo per il progetto Firb "Schemi di crittografia quantistica efficienti in condizioni reali". «Tutto è partito da qui - precisa il direttore del laboratorio, Paolo Tombesi, che ha coordinato il lavoro di quattro ricercatori - arrivando a realizzare, in tempi brevissimi, più di ciò che era stato previsto. Tre anni fa, infatti, il laboratorio non esisteva. È stato eseguito, ad esempio, uno studio degli effetti dei ripetitori quantistici sull'efficienza e la sicurezza dei vari sistemi crittografici. In particolare, ai due studiosi camerti Stefano Mancini e Marco Lucamarini va il merito di aver inventato il protocollo di comunicazione quantistica deterministica a due - vie "LMoS" di Critpocam, che garantisce la comunicazione segreta tra due parti: A e B, ovvero Alice e Bob (in gergo i due personaggi che si danno informazioni) sono collegati da un canale di fibre ottiche. Con un processo fisico che utilizza fotoni polarizzati, A e B possono ricevere un messaggio in grado di generare una chiave segreta per "leggere" le informazioni, che restano però indecifrabili per terzi. Il lavoro si è basato sull'utilizzo di una fibra ottica lunga zo chilometri, concessa dalla Pirelli Labs di Milano. «Speriamo di estendere questo sistema a i4o chilometri- conclude Tombesi - ossia la distanza tra Olbia e Civitavecchia, dove mi è stato riferito che c'è un cavo in fibra ottica di Te1C2. Vogliamo chiedere l'autorizzazione in modo da sviluppare il progetto ed entro un anno e mezzo rendere di concreta applicazione questo metodo sperimentale». __________________________________________________________ UNICA & SARDEGNA RICERCHE Sardegna Ricerche è stato istituito dalla Regione Sardegna nel 1985, con il nome "Consorzio Ventuno" e ha assunto l'attuale denominazione nel gennaio 2007, delineando la nuova mission nella promozione della ricerca e del trasferimento tecnologico e nello sviluppo dell'economia della conoscenza. In particolare Sardegna Ricerche: 1. sostiene l'innovazione del sistema produttivo, favorendo il trasferimento di tecnologia dalle Università e dai centri di ricerca verso le imprese; 2. favorisce la nascita di imprese innovative e l'attrazione in Sardegna di imprese high-tech; 3. promuove, gestisce e sviluppa il Parco scientifico e tecnologico regionale; 4. valorizza il capitale umano con programmi di formazione specialistica e di tirocinio; 5. eroga servizi a favore delle piccole e medie imprese sarde, finalizzati all'introduzione di nuove tecnologie e nuovi prodotti e alla modernizzazione dell'organizzazione aziendale. Sardegna Ricerche si avvale di una struttura operativa che ha la sede principale nel Parco tecnologico, a Pula, in provincia di Cagliari. Sono inoltre presenti uffici a Nuoro, presso l'AILUN, Associazione per l'Istituzione della Libera Università Nuorese, e a Iglesias presso l'AUSI, Associazione per l'Università del Sulcis Iglesiente. Il Parco tecnologico ha anche una sede ad Alghero gestita dalla società Porto Conte Ricerche. _________________ At 10.44 22/02/2007, Dan D. Giusto wrote: Amplissimo Preside, Chiarissimi Colleghi: vi informo che stamattina mi sono dimesso dalla carica di Rappresentante dell'Area di Ingegneria Industriale e dell'Informazione, essendo in completo disaccordo con la politica dell'Ateneo in merito al nascente Distretto ICT. Nonostante le riconosciute competenze dell'Area nel settore della Information and Communication Technology, il Magnifico Rettore non ha ritenuto di dover reclamare per l'Universita' il fondamentale ruolo che le compete in questa iniziativa, lasciando a Sardegna Ricerche mano libera nella progettazione, realizzazione e gestione del Distretto ICT. Vi informo inoltre che, ritenendo non si possa portare avanti una proficua attivita' didattica senza il supporto di una attivita' di ricerca di qualita', visto che questa qualita' non e' riconosciuta da chi guida il nostro Ateneo, mi sono contemporaneamente dimesso anche dalla carica di Presidente del Comitato di Gestione per l'avvio della Laurea Specialistica in Ingegneria delle Telecomunicazioni. > >Vi saluto cordialmente e gia' fin d'ora auguro buon lavoro a chi mi >succedera'. > >Daniele Giusto __________________________ Cari Colleghi, condivido la preoccupazione del Prof. Giusto sulla marginalizzazione del ruolo del nostro Ateneo nell'ambito del nascente Distretto ICT. Marginalizzazione che, se davvero posta in atto, ritengo provocherebbe danni per molti anni a venire al comparto della ricerca Sarda del settore ICT, ed in ultima analisi al comparto industriale ICT della nostra Regione. Ho avuto modo di esprimere questa mia preoccupazione in una lettera inviata al nostro rappresentante per il settore ICT nella Commissione PON-POR dell'Università, Prof. M. Marchesi, lettera che non accludo per non tediare i colleghi data la lunghezza del testo. Resto tuttavia fiducioso che si vorranno utilizzare tutti gli strumenti a disposizione di codesto Ateneo per evitare questa marginalizzazione, ed utilizzarli in modo da far arrivare agli altri attori del nascente Distretto ICT una voce coesa, unica ed incisiva dal mondo Universitario. In tal senso rinnovo la mia completa fiducia a tutti coloro che hanno in questa vicenda compiti di gestione e governo, e mi auguro che anche il collega Giusto vorrà continuare a dare il suo prezioso contributo alla costruzione di un Distretto ICT che veda un ruolo protagonista della parte Universitaria, anche rivedendo, se, come spero, ne matureranno le condizioni, le Sue annunciate dimissioni. Scusandomi per la lunghezza di questa mail. Cordialmente Fabio Roli ============================================================ __________________________________________________ L’Unione Sarda 21 feb. ’07 I MEDICI: PIANO DA RIFARE, È SUPERATO Attacco alla Dirindin: ci ignora, la sanità sarda in grave difficoltà Il Piano sanitario non lo hanno digerito. Anzi, lo affondano senza giri di parole. Il Coordinamento della sanità scende in campo dopo due anni e mezzo di silenzio assoluto sulle scelte della Giunta: i medici sardi dicono no all'assessore alla Sanità, denunciano la mancata concertazione sull'elaborazione del Piano, si sentono sfrattati «da quella che è la nostra casa, la sanità in Sardegna», accusano la giunta di aver messo le mani su un sistema che, numeri alla mano, «funzionava molto bene». Non sono decollate le aziende miste Università- ospedali, la formazione professionale delle figure sanitarie è ferma e «il personale comincia a mancare». La guerra all'assessore, poco dopo le stilettate inferte dall'ex direttore dell'assessorato Mariano Girau, la fanno anche i big della categoria: Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina dell'università di Cagliari, e i sindacalisti Marcello Angius (Anaao, i medici dirigenti) e Giampiero Andrisani (Fimmg, i medici di base), che rappresentano una larghissima fetta della categoria. Chiaro, chiarissimo il segnale che i medici lanceranno sabato, hotel Mediterraneo, Cagliari: il tema della prima assemblea regionale è "Piano sanitario, una cornice da riempire". «Già, spetta a noi dare i contenuti: il disegno si percepisce appena, adesso dobbiamo finire il quadro», sottolinea il preside Faa. Sarà un processo pubblico alle strategie della Giunta sulla sanità. tutti controI medici sardi, anche quelli dei piani alti dell'Università, da nord a sud, sono rimasti in silenzio fino a oggi. Silenzio che assomiglia a una colpa? «No, abbiamo la coscienza pulita», dicono, «la nostra disponibilità a collaborare è stata scambiata per passività. Il nostro silenzio ha rappresentato una dimostrazione di forza». La formazione di tutte le professionalità «è un sistema che non è mai decollato», dice Andrisani, che aggiunge: «questo Piano, alla luce del lavoro del ministro Turco, è sorpassato, nel resto d'Italia sono già molto più avanti. E per giunta, è antieconomico ». Colpisce la considerazione del preside Faa: «L'Oms, quando vuole esprimere una valutazione su un sistema sanitario, considera un solo parametro: la mortalità neonatale. La Sardegna, in questo campo, vanta il nono posto su quella precoce e il quinto in quella tardiva, dati - sottolinea Faa - che dicono che il sistema sanitario regionale funzionava già prima che la Dirindin si insediasse». cosa non vaLa concertazione con la categoria? «Salvo casi rarissimi, siamo stati ignorati». Le aziende miste Università-ospedali? «Non sono mai nate, un sogno cominciato nell'ottobre 2004 e subito tramontato». Il ricambio delle categorie sanitarie? «Soru e la Dirindin ci chiedono più laureati, ma non abbiamo i fondi». La chirurgia pediatrica? «Nel 2006 sono andati a farsi curare altrove oltre 2 mila bambini, ma nel Piano non se ne parla». Gli infermieri? «Mancano e il livello minimo di assistenza spesso non lo possiamo garantire». Le borse di studio per i laureati? «Forse scompariranno, nell'ultimo anno in cento sono rimasti fuori». I manager: «Ignorano chi lavora a contatto con i pazienti, non sanno fare squadra». I posti letto: «Non vengano tagliati se prima non si creano strutture valide nel territorio». La commissione oncologica: «Non l'abbiamo mai vista, il Piemonte sì». Faa, Angius e Andrisani in coro: la sanità sarda è casa nostra, non ci piace che venga smantellata. Sabato la resa dei conti, nelle prime file non mancherà Mariano Girau. Enrico Pilia 21/02/2007 Attacco diretto all'assessore della Sanità dai medici sardi: il Piano è da rifare, non siamo stati consultati, ecco tutto quello che non ci piace. 21/02/2007 Sabato a Cagliari il primo Coordinamento regionale: duro attacco al lavoro della Giunta __________________________________________________ Italia Oggi 20 feb. ’07 COSTI, SPECIALISTICA BATTE FARMACEUTICA Spesa specialistica batte spesa farmaceutica. I dati a disposizione non sono aggiornatissimi, ma mostrano per esempio che i costi legati alle medicine nel 2005 sono addirittura in leggera flessione, anche se poi hanno recuperato nel 2006. La Relazione generale sulla situazione economica del paese 2005 quantifica la spesa in 11,990 miliardi, in diminuzione dello 0,9% rispetto al 2004. I primi sei mesi del 2006, invece, hanno fatto registrare un'inversione di tendenza: il rapporto Osmed parla di un +3,3%. Sul fonte delle prestazioni di assistenza specialistica (attività clinica, di laboratorio, di diagnostica per immagini e diagnostica strumentale delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate) gli incrementi sono più alti: dall'Annuario statistico del Ssn emerge che sono cresciute nel 2004 dell'8% rispetto all'anno precedente. Il ´Rapporto sanità 2005' mostra come i costi sostenuti dal Servizio sanitario nazionale per la specialistica convenzionata e accreditata hanno subito un incremento dell'8,2% tra il 2003 e il 2004. Lo stesso trend di crescita è stato riscontrato anche per l'anno 2005: come emerge dalla Relazione generale sulla situazione economica del paese 2005, sia la spesa di assistenza specialistica, sia la convenzionata rispetto all'anno precedente hanno fatto registrare un + 7,3% (con una spesa pari a 3,316 miliardi). Passando, invece, alla spesa per la medicina riabilitativa accreditata, l'incremento del 2005 rispetto al 2004 è pari a +5,9% (2,244 miliardi), quella per l'integrativa e protesica convenzionata fa segnare un +6,2% (1,374 miliardi), mentre le altre tipologie di assistenza convenzionata e accreditata che comprendono dalle cure termali, all'assistenza psichiatrica e agli anziani segnano +8,3% (4,313 miliardi). Se, invece, si passa ai costi per specialistica ambulatoriale, gli ultimi dati resi noti risalgono al 2001 e sono a cura dell'Assr (http://www.assr.it/lea/Tabella3.htm) e calcolano una spesa media pro-capite pari a 314.390 lire, non lontana da quella farmaceutica 401.256 lire. Da segnalare che le regioni del Sud non rilevano i dati. __________________________________________________ Il Manifesto 15 feb. ’07 SANITA’: STRUTTURE FATISCENTI E POLI D'ECCELLENZA. SERVE UNA SVOLTA Rivoluzione sanità Come governare un bene comune Gli ospedali sono spuntati come funghi sul territorio senza alcuna pianificazione. Perché? Sono centri di potere e di clientele, lo sono sempre stati Un incontro al manifesto tra medici e politici per discutere dei problemi di pazienti, ospedalieri e universitari in un sistema sanitario obsoleto. Con Ignazio Marino, Bonadonna, Sommella, Mastroianni e Suozzi Eleonora Martini Roma «Policlinico inferno». Basta un titolo di giornale per riaprire una vecchia ferita. Escrementi e incuria all'Umberto I di Roma, topi al Vecchio Policlinico di Napoli e tangenti per appalti in quello di Milano. Le cronache ci parlano di vittime quasi quotidiane della malasanità in Calabria come in Sicilia, ma anche di mafiosi nel nosocomio di Vibo Valentia e cartelle truccate nelle cliniche private milanesi. Eppure «il sistema sanitario pubblico italiano è spesso un modello per altri paesi», sostengono in molti. Ed è «ricco di esempi di buona sanità e di centri di eccellenza di fama internazionale», sottolinea la stessa ministra della salute Livia Turco, forte anche dei risultati non del tutto deludenti delle ispezioni dei Nas che hanno setacciato il territorio in cerca di carenze igienico- strutturali. Con questa convinzione il governo dell'Unione mette in campo le prime riforme: alcune benaccolte, come nel caso del ddl Mussi-Turco sulla proprietà degli immobili in uso ai Policlinici; altre più discusse, come l'esclusività obbligatoria del rapporto di lavoro di primari e dirigenti negli ospedali pubblici; altre ancora decisamente respinte dai cittadini, come l'introduzione dei ticket nei pronto soccorsi. Il manifesto ha allora deciso di avviare un ragionamento, insieme a «tecnici» e politici, su quali aspettative riporre in un nuovo modello di ospedale e di sanità pubblica, «intesa come bene comune». A questo primo forum, coordinato dal chirurgo, farmacologo e pubblicista Roberto Michele Suozzi, hanno partecipato: il presidente della commissione Igiene e Sanità del Senato, Ignazio Marino (Ulivo), esimio chirurgo specializzato in trapianti di organi; il vicepresidente della commissione Finanza e Tesoro del Senato, Salvatore Bonadonna (Prc); il direttore sanitario dell'ospedale San Filippo Neri di Roma, Lorenzo Sommella; e il professor Claudio Mastroianni, ordinario di Malattie Infettive all'università La Sapienza di Roma. SUOZZI - Vorrei che provassimo, con questo forum, a discutere di alcuni punti che rapidamente vi espongo. Innanzitutto si può immaginare una distribuzione sul territorio di piccoli presidi sanitari dove fioriscano anche reparti di eccellenza? Secondo: il problema della gestione economica. Secondo me dovrebbe essere centralizzata se pensiamo ad un modello di ospedale concepito non come un «governo di risparmio», ma come un'azienda finalizzata a ristabilire un buono stato di salute pubblica. Terzo: bisogna mettere mano, oltre che agli ospedali, anche alle strutture territoriali. Va affrontato il problema della diagnosi e ripensato il lavoro dei medici di base sui quali è sempre più diffuso un giudizio negativo. Anche perché la medicina non è solo tecnologia... BONADONNA - In questo periodo si è tornati a parlare del Policlinico Umberto I di Roma. Sulla questione policlinici va affrontato il nodo specifico della commistione di interessi non sempre trasparenti tra il potere baronale (segnatamente il preside della facoltà di Medicina), il potere politico e un ruolo non sempre limpido delle organizzazioni sindacali. Questo nodo va però collocato in un ragionamento sull'organizzazione della politica sanitaria. Mi chiedo allora - e chiedo a voi medici - se le strutture del Ssn e delle Asl che abbiamo oggi siano adeguate ad affrontare la domanda di salute di una cittadinanza e di una società più complessa di quella dell'epoca in cui erano state pensate. E se il mercato e gli interessi delle industrie farmaceutiche e delle attrezzature non condizionino __________________________________________________ L’Unione Sarda 20 feb. ’07 MILIA: SORU -UN DEMIURGO DECIDE PER CAGLIARI» Al dibattito sul futuro della città il presidente della Provincia critica il governatore - Milia attacca Soru: non approvo la chiusura degli ospedali Non c'è soltanto Tuvixeddu. Il futuro urbanistico di Cagliari passa attraverso il porto, le aree militari dismesse, il piano sanitario con le sorti degli ospedali cagliaritani, il lungomare che unisce via Roma con Sant'Elia. «Possibilità di sviluppo che devono essere condivise da tutti, principalmente da Comune e Regione. Non si può pensare a un demiurgo che decida da solo». Parole del presidente della Provincia, Graziano Milia, che, senza mai nominarlo, si riferivano a Renato Soru, demiurgo o capo supremo anche delle sorti di Cagliari. Una critica, quella sul decisionismo del governatore, che ieri è riecheggiata diverse volte nella sala convegni dell'hotel Panorama dove si è svolto l'incontro sul futuro della città, organizzato dal gruppo di Forza Italia in Consiglio comunale e moderato da Maria Sias del movimento "A Cagliari". Alle bordate politicamente prevedibili degli esponenti azzurri contro Soru si sono così aggiunte quelle a sorpresa di Milia e quelle, riproposte, di Gianni Biggio, presidente degli industriali alla sua prima uscita ufficiale come numero uno della Fiera internazionale. Al centro dell'incontro, il secondo organizzato da Forza Italia su temi di attualità che riguardano la città, le possibilità di espansione di Cagliari in vista delle novità urbanistiche, legate soprattutto alla cessione di aree demaniali. «La Regione sta chiedendo i beni ? ha detto Anselmo Piras, capogruppo degli azzurri in Consiglio ? e noi speriamo che vengano poi trasferiti ai Comuni. Sul loro futuro utilizzo auspichiamo un dialogo tra amministrazioni, aperto agli enti interessati, alle associazioni di categoria e ai sindacati dei lavoratori». Insieme ai beni ex militari ci sono altre importanti partite da giocare: «Mi riferisco all'area portuale e al suo ruolo decisivo per il rilancio economico ? ha evidenziato Milia ? ma anche alla ventilata chiusura dei tre ospedali e all'apertura di uno nuovo, come previsto dal piano sanitario, su cui personalmente non sono d'accordo. Tutti fronti su cui si deve riflettere insieme, senza avere un demiurgo che faccia e disfi senza instaurare rapporti sinceri e di collaborazione con le altre istituzioni». Un dialogo che per il presidente del Consiglio comunale, Ghigo Solinas, è possibile «solo con alcune persone di buon senso e non con i sordi. Il demiurgo in questo momento c'è: è il presidente della Regione, che decide da solo, anche su Cagliari, come se fosse un sindaco ombra. Basti pensare alle conseguenze del Ppr: quaranta cantieri bloccati, Tuvixeddu a parte, con persone senza lavoro e perdite economiche». Assente ma tirato continuamente in ballo tanto da sentirne la presenza nella sala, Soru è stato poi chiamato in causa anche da Biggio: «Stiamo vivendo sul piano pratico cosa significhi il presidenzialismo. In Sardegna è attuato in modo forte. Sulle potenzialità di Cagliari è necessario dialogare anche se in questo momento c'è un controllo su tutto in mano al presidente della Regione». Il confronto a volte può diventare sinonimo di immobilismo: «Siamo preoccupati ? ha detto il direttore dell'ente parco di Molentargius, Mariano Mariani ? perché abbiamo tanti problemi irrisolti e, nel nostro caso, avendo un governo sovracomunale corriamo il rischio che gli attori interessati si tirino indietro scaricando sugli altri le responsabilità. Così a oggi stiamo ancora aspettando il passaggio di proprietà dei beni che erano dei monopoli del sale». Tra gli interventi critici nei confronti dell'operato di Soru anche quelli dell'assessore all'Urbanistica, Gianni Campus, e del coordinatore regionale di Forza Italia, Piergiorgio Massidda, che ha rivendicato «una legge regionale speciale per Cagliari, visto il suo ruolo trainante per tutto il territorio». Matteo Verc __________________________________________________ L’Unione Sarda 18 feb. ’07 GIRAU: IO, TROPPO SCOMODO» Girau: vi racconto perché la Giunta mi ha licenziato Scomodo. Scomodissimo. Non allineato con la linea della Giunta. Più precisamente, con il presidente e l’assessore alla Sanità, decisi da subito a levarselo di torno dopo averlo richiamato dalla pensione. Tenaci fino al licenziamento, comunicato pochi giorni fa. «Nessuna amarezza, parlo perché sono ormai un privato cittadino e sono preoccupato, molto preoccupato». Mariano Girau, rimosso una settimana fa dalla sua poltrona di direttore generale della Sanità regionale, si sente «preso in giro» dopo un paio d’anni di «ingerenze, tentativi sistematici di estromissione ». Dopo avergli chiesto - insistentemente - di lasciare l’incarico, mamma Regione lo ha messo da parte. Sarà pagato fino al 10 agosto, a prezzo pieno, stipendio dopo stipendio, con un solo compito, restare a casa. Girau aveva appena messo in piedi la commissione che avrebbe dovuto valutare l’operato - cifre alla mano - dei nove direttori generali (sì, i manager) delle aziende sanitarie sarde. Una procedura che questa volta avrebbe potuto provocare un piccolo terremoto. E fra pochi giorni, un’altra di quelle che lui chiama «strane concidenze», saranno aperte le buste con le offerte delle società che hanno gareggiato per l’appalto dell’informatizzazione del Servizio sanitario regionale: Girau, che avrebbe potuto presiedere la commissione, non sarà presente alla chiusura della gara. Una settimana fa, i colleghi dell’assessorato di via Roma hanno scritto al direttore dell’ Unione Sarda manifestando il «proprio rincrescimento» per il provvedimento della Giunta ed esprimendo «profondo apprezzamento » all’ormai ex direttore, che ha lavorato «in condizioni difficili e in un clima non sempre sereno». L’ex dirigente dell’assessorato più pesante fra quelli della giunta Soru, 68 anni, tornerà a fare quello che faceva prima, l’amministratore di una società legata alla sanità e ai servizi sociali. «Avevo un obiettivo, contribuire a migliorare la sanità in Sardegna. Non è stato possibile». Girau parla e rompe quella tradizionale cortina di riservatezza che circonda da sempre i divorzi fra aziende e manager: «Attenti ai tagli sulla sanità, potrebbero provocare danni gravissimi all’assistenza minima garantita». Cacciato via. Avevo posto una condizione, quando mi chiamò Nerina Dirindin, quella che ognuno non dovesse oltrepassare i propri confini: lei quello politico, io quello amministrativo. Non è andata così. Eppure quella di direttore generale dell’assessorato era una posizione invidiabile, non soggetta a subordinazioni gerarchiche. Perché avevano pensato a lei? L’assessore aveva letto un mio articolo scritto per la rivista elettorale di Gian Mario Selis. Ero in pensione dal 2002, Mi chiamò, era l’agosto del 2004, e accettai quasi subito. Contratto di tre anni. Vi siete piaciuti subito. I primi colloqui sono stati positivi, non lo nego, anche se mi parve un po’ troppo autoritaria. Le chiesi perché fosse venuta in Sardegna, mi rispose: perché voglio vedere se quello che ho scritto nei miei libri si può realizzare. Dodici mesi dopo, le prime crepe. L’assessore, nel settembre del 2005, mi comunica che intende sostituirmi perché non soddisfatta del mio operato. E mi raccomanda di rassegnare le dimissioni. Due mesi dopo, chissà come, esce la notizia della prossima nomina di un «supermanager, il dottor Franco Rossi», emiliano. L’assessore Dirindin si affretta a scusarsi con me, dicendo di non essere la fonte di quella indiscrezione, ma continua a chiedermi di andare via. Non era l’unica. Già. Nell’aprile dell’anno scorso, mi convoca il presidente Renato Soru, che non conoscevo personalmente. Mi chiede di dimettermi, sottolineando che la mia presenza sta creando un caso politico. Prego. «Se resta lei», mi dice in quell’occasione, «se ne va la Dirindin». E lei resiste. Senza dubbio. Ma a fine aprile 2006, mentre sono in ferie, leggo sul giornale della nomina di Rossi e del mio spostamento alla nuova direzione delle Politiche sociali. Operazione fallita. Non era possibile nominare un altro dirigente esterno, perché era stata già raggiunta la quota stabilita dalla legge regionale. Con una lettera, ribadisco all’assessore e al presidente che non è mia intenzione dimettermi. “Risolvete voi il contratto”, suggerisco ai miei interlocutori. Non lo fanno. Riconfermato, con riserva. La Giunta mi riconferma alla direzione generale della Sanità due mesi dopo. Credevo, dopo questa delibera, che il mio rapporto di lavoro si sarebbe concluso alla scadenza naturale, ormai prossima. Invece mi sbagliavo. La sera del 7 febbraio, l’esonero. Mi sono sentito come un allenatore di una squadra di calcio. L’assessore, poco prima della seduta di Giunta, mi comunica che proporrà la revoca dell’incarico con decorrenza immediata. Per nominare al mio posto una persona con un profilo professionale più adeguato per questa fase. Graziella Pintus, manager a Lanusei. Nessun commento. Occorre guidare, si legge nella delibera, «questo difficile processo di attuazione del Piano sanitario». Già, ma sono passati dieci giorni e non è stato nominato ancora nessuno al mio posto. Perché è stato licenziato? Perché non condizionabile, perché non sono stato funzionale alla costante esigenza di tagliare dappertutto. Non ha fatto mancare, si dice, di manifestare spesso le sue perplessità all’assessore. In diverse occasioni le ho rappresentato problemi di legittimità su alcuni provvedimenti, cogliendo una certa insofferenza ai controlli di legittimità interni. La sanità sarda è messa così male? Il disavanzo è sostenuto, ma l’eccedenza delle uscite rispetto alle entrate è comune a quasi tutte le regioni. Poi, dipende dagli input politici che si vogliono dare. Negli ultimi tempi, dalle mie parti ho visto più economisti e ragionieri che medici. Governo clinico e governo economico: li metta sulla bilancia. In Sardegna, la Giunta insegue il pareggio di bilancio delle aziende sanitarie per il 2007, i tempi sono strettissimi. Questo significa che è preminente, a mio avviso, il governo economico della sanità rispetto a quello medico. Sia chiaro. Questo equilibrio nei conti potrebbe teoricamente essere raggiungibile entro questi termini solo attraverso misure di contenimento così radicali da avere effetti gravissimi sui livelli di assistenza garantiti. Girau, il nemico dei manager. No, assolutamente. Però anche lì ci sono figli e figliastri, non c’è parità di regole per tutti. Il mio esercizio di controllo sul loro operato ha dato molto fastidio, è stata una delle cause che ha favorito la mia rimozione. Che genere di controllo? Ho appena costituito la commissione per valutare i risultati conseguiti dai direttori generali delle aziende sanitarie. Risultati che, se positivi, generano un aumento fino al 20 per cento dei loro compensi, favorendo la riconferma. Dei primi quattro direttori sottoposti alla verifica di metà mandato, solo uno è risultato in possesso di tutti i titoli obbligatori per legge. L’appalto per l’informatizzazione della sanità. Io e i miei uffici siamo stati sistematicamente estromessi dalle questioni legate all’informatizzazione della sanità regionale, assai rilevanti sotto il profilo finanziario. Nonostante le commissioni, da me presiedute, avessero fatto le loro scelte all’unanimità, dopo un ricorso al Tar di una ditta esclusa, la Regione si è costituita in giudizio solo per la controversia meno rilevante, sconfessando in pratica il nostro operato. Fra un paio di giorni si chiude la gara per l’informatizzazione del Servizio sanitario regionale, il Sisar, e se non mi avessero rimosso avrei presieduto quasi certamente anche quella commissione. Perché il manager dell’Asl 8 continua a far discutere? Perché pensa che chi paga, debba comandare. Questo atteggiamento, comune anche a chi guida la Giunta e la sanità, alcune volte è un’arma a doppio taglio. Gumirato, per esempio, è caduto in un errore elementare varando il piano strategico aziendale prima di quello sanitario. E il Consiglio regionale lo ha fatto a pezzi. Perché il Piano sanitario non trova i favori di tutti? Nessun commento. Anzi, credo che si parli troppo di edilizia legata alla sanità e meno di questioni mediche. Deluso, preoccupato, determinato. Preoccupato. Non vorrei che dopo l’abolizione dei controlli sugli atti della Regione da parte della Corte dei conti, venisse a mancare ogni controllo e che l’unico sindacato di legalità resti solo la magistratura. ENRICO PILIA __________________________________________________ L’Unione Sarda 19 feb. ’07 CASO GIRAU, LA CDL: LA DIRINDIN VADA VIA Confronto fra maggioranza e opposizione dopo il clamoroso sfogo del dirigente della Sanità, Girau. Perplessità nel centrosinistra dopo le parole del dirigente Il centrodestra insorge. Dall’altra parte, c’è cautela nel valutare lo sfogo di Mariano Girau, ma non solo. Perché le rivelazioni e le accuse del direttore dell’assessorato alla Sanità appena rimosso, impongono anche al centrosinistra una riflessione. La fa l’Udeur, dentro la coalizione di governo ma sempre fuori dalla Giunta, con il suo coordinatore, Sergio Marracini: «Quanto letto sull’ Unione Sarda di ieri ci preoccupa moltissimo». La Margherita propone due letture della vicenda, mentre per Forza Italia, Riformatori e An «è solo la conferma di quanto stiamo sostenendo da mesi, l’assessore se ne deve andare». L’assessore Nerina Dirindin, dopo averci pensato qualche ora, sceglie di non dire la sua sulle parole del suo direttore generale. CENTROSINISTRA. «Operazione squallida», dice Eliseo Secci, vicepresidente del Consiglio regionale, consigliere della Margherita, «se Mariano Girau aveva qualcosa da denunciare o doveva fare le sue osservazioni sull’operato dell’assessore, poteva farlo prima e non aspettare fino a ieri. Non trovo giusto questo suo sfogo». Il coordinatore regionale del partito, Francesco Sitzia, non entra «nelle singole circostanze che il dirigente denuncia o ipotizza, perché è compito della giustizia amministrativa lavorare su questo. Però valuto positivamente l’operato di Girau, persona che ha sempre svolto il suo compito nel migliore dei modi ». Marracini non si schiera fra i buonisti: «Traspare, dalle dichiarazioni di Girau, una certa disinvoltura negli atti amministrativi con finalità che appaiono poco chiare. Se fossero confermati questi e altri sospetti che arrivano sempre e solo dalla sanità e soprattutto da ambienti vicini all’assessore, l’Udeur ne discuterà al suo interno e porrà la questione all’attenzione dei partiti della maggioranza. Non esistono nicchie protette, le regole - conclude Marracini - devono valere per tutti, non solo per colleghi come Pirastu o Cappellacci, per esempio: chiunque amministra i soldi pubblici, deve dare il buon esempio ». IL CENTRODESTRA. «La giubilazione del dottor Girau è l'ennesimo episodio che dimostra come sia in atto un commissariamento globale della sanità sarda, che verrà consegnata interamente, entro pochi mesi - sostiene Ignazio Artizzu, capogruppo di An - a un preciso gruppo di potere piemontese-emilano. Chi non si adegua viene fatto fuori: sembra di rivedere quanto successo con Brigaglia e gli assessori esonerati. Confido che affermazioni come quelle di Girau non sfuggano a chi di dovere, in altri palazzi». Per Giorgio La Spisa, capogruppo di Forza Italia, è «impressionante come si tocchino, nelle parole di Girau, gli stessi punti affrontati durante la discussione in Consiglio sul Piano sanitario. Si taglia solo su alcune spese, questa ossessione del bilancio è coperta da operazioni di propaganda legate ai grandi temi. Chi può dire di no alla lotta contro le grandi malattie? Intanto i tetti di spesa sono talmente calati che i sardi, per potersi curare, sono costretti sempre più spesso a pagare di tasca propria. L’assessore lasci l’incarico al più presto, per il bene dei sardi». «Mariano Girau sostiene la nostra tesi, lo ripetiamo da mesi: si mira solo al governo economico della sanità regionale, e lo si fa anche male», sostiene Pierpaolo Vargiu, capogruppo dei Riformatori in Consiglio. «Noi non possiamo diventare le cavie dei libri scritti dall’assessore, chiediamo ufficialmente al presidente Soru di liberarsi di lei», conclude Vargiu, «se resta, l’assessore Dirindin fa un grande regalo al centrodestra, non certo ai sardi». ENRICO PILIA __________________________________________________ L’Unione Sarda 21 feb. ’07 DIRINDIN: «GIRAU, PAROLE GRAVISSIME» Il duro confronto fra il licenziato Mariano Girau e la Giunta regionale si arricchisce di due importanti novità. La replica, durissima, dell'assessore regionale alla Sanità e la nomina della sostituta di Girau alla direzione generale dell'assessorato, ovvero Graziella Pintus, fino a ieri responsabile dell'Asl numero 4 di Lanusei. la regione«Giudico di inaudita gravità le dichiarazioni del dottor Mariano Girau, rilasciate al quotidiano L'Unione Sarda», afferma in una nota Nerina Dirindin, «stupisce l'immotivato risentimento che traspare dalle insinuazioni del dottor Girau, che ricopriva ? a suo giudizio ? una "posizione invidiabile". Forse anche per questo ha ritenuto di poter essere infallibile tanto da arrivare a disconoscere il valore dell'indirizzo politico». L'assessore prosegue: «Spiace la caduta di stile da parte di un funzionario che dovrebbe difendere il rispetto dei reciproci ambiti di competenza interni ad una amministrazione. Le pesanti insinuazioni e la dietrologia su alcuni fatti citati nell'intervista porta a domandarsi se il dottor Girau si sia accorto di quanto accadeva intorno a lui solo adesso e non durante l'esercizio del suo mandato biennale». Per questo, sottolinea Dirindin, «sarà chiamato a rispondere davanti ai magistrati». il dirigente«Con una lettera, datata 3 maggio 2006, avevo già segnalato all'assessore Dirindin e, per conoscenza, anche al presidente Soru, tutti i problemi e le situazioni critiche delle quali ho parlato nell'intervista. Quindi - dice Mariano Girau, il dirigente della Sanità regionale mandato a casa due settimane fa dalla Giunta - per me non c'è nulla di nuovo e mi meraviglio dello stupore dell'assessore». Nella lunga comunicazione interna del maggio scorso, quattro pagine fitte e chiarissime, dopo aver ripercorso anche nei dettagli il tormentato percorso del rapporto fra lui e l'assessore, Girau fra l'altro giudicò «grave l'aver violato la riservatezza», in relazione ad affermazioni dell'assessore lette sui giornali che lo riguardavano. Con una considerazione diretta: «Lei è entrata progressivamente in contrasto con i direttori del servizio, sottoposti da subito all'intervento diretto del livello politico particolarmente penetrante». Visto «l'aggravarsi della situazione», scrisse allora Girau, «ho dovuto prendere posizione a tutela delle persone coinvolte e della autonomia amministrativa». Girau oggi appare sereno: «Il mio rispetto per i reciproci ambiti è testimoniato dal silenzio che ho osservato all'esterno in questi ultimi mesi». la nominaNella seduta di ieri, la Giunta - su proposta dell'assessore Dirindin - ha nominato Graziella Pintus direttore generale dell'assessorato regionale alla Sanità, dopo la revoca dell'incarico a Girau. La Pintus, 51 anni, cagliaritana, firmerà - all'atto delle sue dimissioni dalla carica di manager dell'azienda di Lanusei - un contratto di tre anni. (e. p.) __________________________________________________ L’Unione Sarda 10 feb. ’07 MELIS: LO STRANO CASO DEL POLICLINICO DI MONSERRATO riforma sanitaria - di Gian Benedetto Melis* Nel recente dibattito politico per l'approvazione del Piano sanitario regionale, si deve registrare la preoccupante assenza di un riconoscimento del ruolo che l'Università ha, e deve avere, nel garantire un'assistenza di qualità. E più preoccupante ancora è l'assenza di una chiara volontà politica di valorizzare, nella razionalizzazione e nell'ammodernamento della sanità isolana, il policlinico universitario di Monserrato (Cagliari). Mentre si progettano nuovi ospedali, nulla sembra cambiare per il detto policlinico che, trascorsi otto anni dalla sua nascita, vive tuttora in un vuoto normativo, amministrativo e progettuale. La mancata creazione dell'Azienda mista, prevista per legge sin dal 1999, non solo impedisce che una fondamentale risorsa di tutta la società sia sfruttata appieno, ma sacrifica le sue potenzialità in termini di assistenza di qualità in nome di non sempre ben definiti interessi. La trascuratezza riservata dalle istituzioni all'Università e all'assistenza prestata - e ulteriormente sviluppabile - dal policlinico, genera una perdita incalcolabile per la società, per i pazienti e per la stessa organizzazione sanitaria. E nelle poche pagine che il Piano sanitario dedica alle aziende ospedaliero-universitarie si trova l'enumerazione di ciò che dovrebbe essere stato fatto ormai da tempo, ma nulla di concreto viene detto su come e quando tutto questo sarà realizzato. L'università di Medicina di Cagliari vive una contraddizione non più sostenibile. Smembrata in diverse strutture, che a volte risultano inadeguate a garantire i propri compiti istituzionali di formazione e ricerca, ha però sempre offerto un fondamentale servizio di assistenza, spesso con standard di alta qualità se non di vera e propria eccellenza, senza che fossero garantiti fondi e finanziamenti regionali adeguati. Ad oggi, il policlinico universitario può contare solo su fondi estranei alla voce Sanità del bilancio regionale e le sue prestazioni sono rimborsate alla stregua delle strutture private che operano in regime di convenzione. Come fossero sullo stesso gradino. La volontà di razionalizzare la sanità isolana ha nel definitivo decollo del policlinico universitario una potenzialità enorme, tutta da sviluppare e incentivare nel migliore dei modi. Si deve anche tener conto del fatto che la sanità sarda si appresta a vivere una fase molto delicata della sua storia. Da un lato si dovranno destinare ingenti risorse per la costruzione dei nuovi ospedali previsti dal Piano sanitario, dall'altro si deve continuare a garantire i servizi offerti da quelli esistenti. Risulta evidente il ruolo che lo sviluppo del policlinico universitario di Monserrato avrebbe se ricevesse finanziamenti adeguati forniti dalla regione Sardegna. Tali fondi dovrebbero essere destinati al suo ampliamento e alle sue attività assistenziali, nonché a supplire alle enormi difficoltà che dovranno essere affrontate con la chiusura e lo spostamento degli ospedali. In realtà, il policlinico è già di per sé una struttura moderna, razionale, che offre ogni giorn ai tanti pazienti ricoverati e/o curati, alti standard sanitari e ricettivi. Il suo definitivo sviluppo e rilancio può e deve rappresentare una scelta strategica nell'adeguamento complessivo del sistema sanitario di tutta la regione. Una potenzialità concreta che la politica isolana non sembra voler valorizzare, nel presente e nell'immediato futuro. Da queste premesse non può che nascere una sola proposta: l'Università di Cagliari e la regione Sardegna devono trovare una volta per tutte un'uniformità di intenti che tolga il policlinico dalla precarietà in cui ha sempre vissuto, avviando il suo sviluppo e la sua piena operatività sia in termini di assistenza per la popolazione che di formazione per medici e professionisti della Sanità. Per realizzare tutti questi obiettivi, le attività da compiere non sono numerose ma importanti e urgenti. Innanzitutto la creazione dell'Azienda mista, che garantisca la capacità di autosostentamento in termini amministrativi, organizzativi ed economici. Ma occorre agire subito, e con finanziamenti adeguati, per riconoscere all'Università un ruolo centrale, oltre che nella formazione e nella ricerca, anche per un'assistenza di alto livello e consentire ai malati di ricevere cure idonee alla singola patologia di cui soffrono. Ecco perché un mancato intervento politico in questa direzione sarebbe ingiustificabile, oltre che incomprensibile. *Università di Cagliari __________________________________________________ Il Sole24Ore 12 feb. ’07 CURE ODONTOIATRICHE. È UNO DEI SETTORI PIÙ DIFFICILI DEL SISTEMA SANITARIO a causa dei tempi di attesa e delle strutture Privato, scelta ancora obbligata Stanziate risorse per potenziare gli ambulatori e i macchinari PARCELLE Dopo la liberalizzazione che ha abolito le tariffe minime è in arrivo un listino collegato al costo della vita nelle diverse zone d'Italia CONTROLLI Dall'ottobre di quest'anno, nell'ambito del mese dedicato alla prevenzione, verrà promosso l'"oral cancer day" Barbara Gobbi Andare dal dentista. Già, ma quale? Incerta sulla scelta del professionista, la stragrande maggioranza degli italiani (oltre il 90%) non ha dubbi sull'opzione pubblico-privato: è il secondo a prevalere. Le cure dentarie sono il tallone d'Achille delle prestazioni offerte dal Servizio sanitario nazionale (Ssn): lunghe liste d'attesa e inadeguatezza di strutture e strumentazioni impongono una rinuncia obbligata all'offerta pubblicac. Il Ssn oggi eroga soprattutto prestazioni di Pronto soccorso odontoiatrico o si limita a un'assistenza di "ordinaria amministrazione". Se serve un intervento di implantologia, insomma, il cittadino sa di dover contare sul privato. Vero è che da qui ai prossimi anni il panorama dovrebbe cambiare: il potenziamento di ambulatori e macchinari del Ssn sarà possibile grazie ai 100 milioni stanziati ad hoc dall'ultima legge Finanziaria. Mentre a stretto giro di posta il ministero della Salute annuncerà, in collaborazione con l'Università, un maxi- piano di monitoraggio delle strutture pubbliche e dei professionisti che vi lavorano. Contestualmente, partirà un programma sperimentale di prevenzione tra i bambini. Intanto già oggi, come sottolinea Laura Strohmenger, ordinario di odontostomatologia all'Università di Milano, «esistono centri universitari che garantiscono ai cittadini un'assistenza eccellente». Ma troppo spesso il cittadino non ne è informato o non riesce ad accedervi. Tutti dal dentista privato, dunque, almeno per il momento. E qui si arriva alle "dolenti note" della scelta, sulla base di capacità professionali e tariffe. Chiunque abbia bisogno di un odontoiatra può contattare, oltre al Centro unico prenotazioni (Cup) dell'Asl, l'Ordine provinciale dei medici. Ancora, ci si può rivolgere all'Associazione nazionale dei dentisti italiani (Andi), il principale sindacato di categoria: sapranno indicare una lista dei nomi che "fa al caso". Una telefonata utile anche per evitare di incappare in un abusivo (15mila in tutta Italia secondo i Nas), che ovviamente non offre alcuna garanzia di efficacia e sicurezza. «Da quest'anno - spiega poi Roberto Callioni, presidente dell'Andi - i pazienti avranno dalla loro parte uno strumento di scelta in più: il progetto "Obiettivo sorriso", partito a gennaio, che nelle sale d'attesa dei 20mila studi associati informa i pazienti, con cartelli e Cd rom, su procedure e regole deontologiche a cui ci si attiene nello studio». Ma come comportarsi sul fronte più spinoso, quello delle parcelle? Lo scorso luglio il "decreto Bersani" sulle liberalizzazioni ha abolito le tariffe minime (di fatto non applicate perché ormai obsolete) e la categoria si sta riorganizzando: i dentisti pensano a un tariffario unico "equicorrente", che tenga conto del costo della vita nelle diverse zone d'Italia. A parità di prestazione, per esempio, sarà indicata una tariffa maggiore a Milano o a Venezia, minore a Reggio Calabria o a Palermo. In attesa di un tariffario unico, conviene chiedere almeno un paio di preventivi. Una volta effettuata la prestazione, il dentista non è tenuto a dettagliare la parcella, ma è molto difficile che, davanti a una richiesta esplicita, si rifiuti di farlo. Se ci si accorge di essere incappati in un abusivo, ovviamente non si deve pagare. Il costo di eventuali lastre è generalmente compreso in quello della prestazione. Per quanto sia oculata la scelta del paziente, le parcelle delle cure dentarie sono "salate", per ammissione degli stessi dentisti. Che però si difendono tirando in ballo le super-spese da sostenere: dai materiali ai macchinari sempre più sofisticati ai costi dello staff di studio. Qual è la via per spendere meno, allora? In definitiva - consigliano gli stessi odontoiatri - la soluzione più indolore per la bocca e per il portafoglio è fare prevenzione, con visite di controllo due volte l'anno. L'occasione per risparmiare almeno il costo di uno dei due check semestrali suggeriti dai medici è offerta ogni ottobre dal "mese della prevenzione dentale", organizzato dall'Andi: oltre la metà degli studi associati, nel corso dell'ultima edizione, ha offerto visite gratuite. Nell'edizione 2007, poi, sarà lanciato l'"oral cancer day", giornata dedicata a prevenzione e diagnosi del tumore del cavo orale. Online il prezzo è giusto Aiutare i pazienti a trovare un buon odontoiatria a basso prezzo, anzi al prezzo giusto»: Umberto Verderone, promotore di Dentitalia-Aipd (Associazione italiana per le protesi dentarie e la cura dei denti), spiega così lo spirito che anima la sua Onlus. Attiva da qualche anno a Torino e provincia, Milano, Genova e Asti, Dentitalia rappresenta un punto di riferimento per quanti hanno bisogno di cure dentistiche, ma non si fermano alla prima richiesta di preventivo. «L'associazione non è costituita da odontoiatri, nè ha voluto stipulare convenzioni per mantenere la propria autonomia», aggiunge. «Il nostro compito è individuare i professionisti che sul territorio applicano le tariffe più convenienti, senza rinunciare alla qualità del servizio». La formula applicata da Dentitalia è originale nella sua semplicità: Il ministero della Salute predispone periodicamente un tariffario ufficiale che rappresenta la base sulla quale le Regioni pagano gli ospedali. Dentitalia-Aipd converte le disposizioni ministeriali, in alcuni casi espresse in linguaggio tecnico, in applicazioni concrete, aiutando così i cittadini a trovare sul territorio i dentisti meno costosi. Sul sito dell'associazione (www.dentitalia.org) si scopre così che la cosiddetta capsula (corona in ceramica, secondo il gergo tecnico) viene quotata 295 euro, un prezzo che obiettivamente è difficile da reperire sul mercato. Lo stesso discorso vale per la protesi mobile per arcata ( la classica dentiera), che viene pagata 517 euro. Il paziente che ha bisogno di cure chiama il numero verde 800-984812 e può così ottenere tutte le informazioni che desidera in maniera rapida e gratuita. «In media abbiamo stimato un risparmio sui prezzi di mercato intorno al 50% - conclude Verderone - con punte del 60-70% nei centri più grandi». G.Di.P. __________________________________________________ L’Unione Sarda 22 feb. ’07 CGIL IN CARCERE POCHI MEDICI E INFERMIERI "Il passaggio delle competenze in materia di sanità dal ministero della Giustizia al Ssn è avvenuto in Sardegna nel peggiore dei modi: tagliando i servizi", lo afferma la Cgil-Funzione pubblica Medici che, in una nota, ha proposto una riorganizzazione che garantisca assistenza sanitaria negli istituti penitenziari (medico e infermiere) 24 ore su 24. "Si È assistito alla drastica riduzione del personale infermieristico e alla soppressione del servizio integrativo di assistenza sanitaria (guardie mediche notturne) così che in alcune case di reclusione durante la notte non vi È n‚ medico n‚ infermiere". La Fp-Cgil medici, pur condividendo lo spirito della norma, ne ha contestato nell'applicazione. "La poca attenzione per la peculiarità e la complessità delle problematiche presenti nella popolazione carceraria" e ha proposto, fra l'altro, che il servizio integrativo di assistenza sanitaria sia composto da medici specificamente formati e inseriti con gli strumenti contrattuali della medicina territoriale, suggerendo l'attivazione di contratti di convenzione nell'ambito della medicina dei servizi con medici non titolari di altri incarichi. __________________________________________________ L’Unione Sarda 22 feb. ’07 AL CAPEZZALE DEL SAN GIOVANNI DI DIO Malasanità. I primari dell'ospedale, riuniti in comitato, denunciano una gravissima situazione d'emergenza - Un record amaro per la Tac: è la più vecchia d'Italia Un record di cui si farebbe volentieri a meno. «Al San Giovanni di Dio c'è la Tac più vecchia d'Italia», parola di Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina. Ma, in questo caso, soprattutto primario di anatomia patologica nell'ospedale cittadino. «Una macchina per la quale non ci sono pezzi di ricambio e che dà immagini dalle quali non è facile fare diagnosi». Un esempio per spiegare il motivo per il quale è stato creato il "Comitato dei clinici" del San Giovanni di Dio, costituito da tutti i direttori delle strutture cliniche e dei servizi, sia ospedalieri che universitari. Un comitato creato, spiegano i promotori, per dare una scossa. Il bersaglio è facilmente individuabile anche se nessuno pronuncia apertamente il suo nome, l'assessore regionale alla sanità Nerina Dirindin. la situazioneQuesta volta l'assessore è accusata di immobilismo. «Il 10 ottobre 2004», spiega Faa, «è stato firmato un protocollo per la costituzione dell'azienda mista ospedaliero-universitaria. Un'azienda strutturata su due poli, il policlinico di Monserrato e, appunto, il San Giovanni di Dio». Ma, a distanza di oltre due anni, nulla si è ancora mosso, con danni evidenti per l'ospedale cittadino. «In pratica, ci troviamo in mezzo a un guado: sappiamo di essere destinati all'azienda mista ma continuiamo a far parte dell' Asl 8. Una situazione che provoca un clima di incertezza e di demotivazione in tutto il personale, nonostante i medici continuino a dare il massimo con grande professionalità». Ma, problemi psicologici a parte, le difficoltà sono ben altre. «In questa situazione, si assiste a un depauperamento tecnologico delle nostre attrezzature: con questa incertezza, evidentemente, non vengono fatti gli investimenti che sarebbero necessari». Ecco perché ci si ritrova a lavorare con una Tac che meriterebbe di finire in un museo. il ritardoUna situazione, evidentemente, non nuova. Perché allora il comitato è stato costituito soltanto adesso? «All'inizio abbiamo offerto la nostra collaborazione, grande buona volontà e dedizione al lavoro: al San Giovanni di Dio vengono effettuati oltre 25 mila ricoveri annui; ci sono medici di grande valore. Per fare un esempio, il reparto di ginecologia è il più apprezzato in tutta l'Isola. Ma forse siamo stati fraintesi: il nostro impegno è stato per scontato. Alla fine, tutti, ma propri tutti, i medici che operano nell'ospedale hanno deciso di far sentire la propria voce. Sia chiaro, non contro nessuno. Il comitato vuole avere solo una funzione propositiva». le richieste Non a caso, sono stati individuati alcuni obiettivi da raggiungere con la massima urgenza. Il primo è la "costituzione dell'azienda mista ospedaliero-universitari", si legge in una nota del comitato, "con la nomina diretta e immediata del direttore generale". Inoltre c'è la "richiesta alla Giunta regionale di un intervento economico per il completamento del polo di Monserrato, con l'obiettivo di trasferire in breve tempo tutte le attività assistenziali del San Giovanni di Dio". E, infine, il comitato richiede il "risanamento e la messa a norma dell'ospedale San Giovanni di Dio con decorrenza immediata". Marcello Cocco __________________________________________________ L’Unione Sarda 23 feb. ’07 DIRINDIN: BISOGNA RIVEDERE LE ESENZIONI DAL TICKET L'assessore Dirindin fa i conti della Sanità dopo l'eliminazione della tassa da dieci euro «Troppi oneri per visite specialistiche e analisi, forse nuove tariffe per le prestazioni sanitarie» - «Occorre comunque garantire gli introiti previsti dal governo per questo abbiamo aumentato i massimali» GABRIELLA GRIMALDI SASSARI. «Il vero problema dei ticket è il sistema delle esenzioni». E sarà questo ad essere ritoccato per consentire alla Regione di riallinearsi al gettito richiesto dal Governo attraverso la finanziaria. Gli introiti dell'assessorato infatti, erano diminuiti drasticamente dopo l'eliminazione della tassa di dieci euro sulle prescrizioni per visite specialistiche e analisi. A fare chiarezza sulla strada che la Regione ha intenzione di imboccare per garantire gli introiti richiesti dal Governo è lo stesso assessore alla Sanità Nerina Dirindin. «La Regione - spiega - ha ritenuto che l'applicazione della quota fissa di 10 euro per ricetta comportasse, soprattutto con riferimento ad alcune prestazioni specialistiche il cui costo unitario è molto basso, effetti distorisvi nel comportamento dei consumatori orientandone la scelta verso l'acquisto a tariffa piena della prestazione, più conveniente rispetto al ricorso al servizio pubblico gravato da quota fissa e limitando di fatto la copertura assistenziale assicurata dalla sanità pubblica». Sulla scorta di queste valutazioni la regione sarda ha deciso, dieci giorni fa, di eliminare provvisoriamente il ticket di 10 euro ma, con delibera n.22 del 7 febbraio, ha anche disposto l'aumento del massimale del ticket da 35,15 a 46,15. Una "manovra" non sufficiente però a coprire il gettito garantito con la tassa di 10 euro. Basti pensare che le prestazioni a cui è applicabile il massimale rappresentano appena il 14 per cento del totale. In sostanza se con il ticket sulla ricetta entravano nelle casse della Regione circa venti milioni di euro con l'aumento del massimale non si raggiunge il milione. Ecco perchè è necessario, e la Regione ha sessanta giorni di tempo per organizzarsi, adottare misure alternative per raggiungere il gettito stabilito. Fra le varie possibilità c'è di sicuro l'aggiustamento delle tariffe per le varie prestazioni sanitarie, ma anche l'idea di ritoccare le esenzioni dal ticket. «Mentre il sistema adottato per l'esenzione rispetto a una determinata patologia è accettabile - aggiunge l'assessore Dirindin - quello relativo al reddito ritengo sia da rivedere». In particolare viene considerata poco affidabile la determinazione del reddito sulla base dell'Irpef, cioè del reddito dichiarato dai cittadini. Secondo i funzionari regionali sarebbe sicuramente più appropriato il sistema Isee, il cosiddetto redditometro che prende in considerazione numerosi altri parametri. Le esenzioni previste dal sistema sanitario relative al reddito riguardano i pensionati, i disoccupati e i loro familiari a carico e coloro che hanno un reddito inferiore a 8mila e 263 euro. Parecchie anche le esenzioni per patologia, da quelle oncologiche al diabete alle malattie rare. __________________________________________________ La Repubblica 23 feb. ’07 LA PIAGA DEI FARMACI CONTRAFFATTI NEL MONDO 200MILA MORTI L´ANNO Un business in espansione. E ora si falsificano anche le medicine comuni. Così l´Occidente corre ai ripari Allarme Oms: prime vittime i paesi poveri. Epicentro in Cina - Parte dei laboratori che producono le sostanze sono ancora artigianali, ma molti hanno ormai raggiunto dimensioni industriali FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente PECHINO - Prima hanno invaso il mercato di finti Viagra, steroidi, terapie ormonali. Poi sono arrivati, ancora più micidiali, i farmaci salvavita contraffatti: cure per il cancro, l´Aids e la tubercolosi, medicine antimalaria, vaccini per le malattie infantili. Tutti prodotti da una crescente industria del falso. Ora l´Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lancia l´allarme contro quelle che definisce come delle vere e proprie epidemie da medicinali-pirata. Molti sono "made in China", tra cui una partita di artemisinina (il principio attivo usato contro la malaria) che gli inquirenti sono riusciti a far risalire a un´azienda di Guilin nella Cina meridionale. Ogni anno secondo le stime dell´Oms almeno 200mila malati muoiono di malaria per essere stati curati inavvertitamente con farmaci falsi, scadenti e inefficaci. Nel Niger 50.000 bambini sono morti dopo avere ricevuto una vaccinazione anti- meningite che poi è risultata contraffatta. Secondo il professor Howard A. Zucker, esperto dell´Oms, il 10% del mercato mondiale dei farmaci è fatto di medicine fasulle, con punte del 50% in alcuni paesi poveri. Il business mondiale di questa nuova forma di criminalità raggiunge un fatturato di 75 miliardi di dollari all´anno e l´Oms avverte: «È altamente redditizio per chi lo pratica, a causa dei bassi costi di produzione e dell´assenza di una normativa deterrente in molti paesi». È una piaga in crescita esponenziale, che fa strage in tanti modi. A volte i finti farmaci non contengono alcun principio attivo ma chi li somministra lo ignora, chi li prende crede di essere curato, e così si perde un tempo fatale nella lotta contro la malattia. Altre volte i pirati che confezionano questi prodotti vi introducono minime dosi del farmaco vero; l´effetto può essere ugualmente pernicioso, per esempio nel caso della malaria ha dato origine a parassiti resistenti alla medicina autentica, rendendo così ancora più difficili le successive cure. «Fino a un passato recente - sostiene l´esperto dell´Oms - il business delle contraffazioni riguardava soprattutto dei medicinali di lusso, i cosiddetti farmaci "da stile di vita", prodotti costosi fatti prevalentemente per i bisogni dei paesi ricchi». Della lista stilata dall´Oms delle prime medicinebersaglio della pirateria fanno parte gli steroidi, gli anti-istaminici. C´è naturalmente il Viagra. C´è anche il Tamiflu della Roche, che all´apice della psicosi per la febbre aviaria molti si precipitarono ad accaparrare nelle nostre farmacie, quando apparve come l´unica difesa contro il virus dei polli. Questi prodotti restano tuttora ben piazzati nella famigerata hit-parade dei falsi, e sul suo sito ufficiale l´Oms lancia un monito a tutti i pazienti e consumatori: diffidate dall´acquistare medicinali su Internet, è uno degli strumenti favoriti per la commercializzazione dei falsi nei paesi ricchi. Ora però è esploso un nuovo fenomeno. «La pirateria dilaga nei paesi in via di sviluppo - avverte l´Oms - approfittando di controlli ancora più deboli, nonché della scarsità di approvvigionamenti e quindi delle penurie di medicinali salvavita». Di recente una organizzazione umanitaria che aveva acquistato 100.000 confezioni di artemisinina da distribuire nel Myanmar (ex Birmania) per una campagna contro la malaria, ha scoperto che l´intera partita di farmaci era falsa. Una delle cause che alimentano questo nuovo traffico verso le nazioni più povere, paradossalmente, è proprio l´attivismo umanitario. Gli aiuti finanziari convogliati dai paesi ricchi per la lotta alle malattie nell´emisfero Sud (sia attraverso istituzioni governative, sia attraverso organismi filantropici privati come la Fondazione Bill e Melinda Gates, o le Ong del volontariato) rappresentano un "tesoro" attraente su cui la pirateria ha allungato gli occhi. Gli esperti considerano che il business della contraffazione farmaceutica è diventato un traffico analogo e parallelo a quello della droga - talvolta usa gli stessi canali che fanno capo alla criminalità organizzata - ma con rischi molto minori perché le legislazioni del mondo intero prevedono sanzioni meno pesanti per un venditore di farmaci falsi, rispetto a un narcotrafficante. In quanto alla produzione delle medicine false, secondo l´Oms a volte avviene su scala ridotta in botteghe artigianali, laboratori improvvisati, altre volte invece ha raggiunto una dimensione industriale. Un epicentro è in Cina, dove alcuni scandali sono stati rivelati anche dalle autorità locali. Zheng Xiaoyu, l´ex direttore dell´agenzia governativa cinese incaricata dei controlli sull´igiene alimentare e la salute pubblica, è stato dimissionato all´improvviso nel 2005, con l´accusa di avere accettato tangenti per approvare la commercializzazione di alcuni medicinali per bambini dagli effetti mortali (gli sono imputate decine di vittime). Nonostante il provvedimento contro Zheng, resta l´impressione che la lotta del governo cinese alla contraffazione delle medicine sia inefficace e blanda, soprattutto quando i prodotti falsificati sono destinati all´esportazione. L´Oms rivela anche alcune contromisure che i paesi più avanzati stanno mettendo in campo. A Berlino il German Pharma Health Fund produce un "minilab" a basso costo, un "kit" portatile con gli strumenti per effettuare test di autenticità di diversi farmaci. I tedeschi lo stanno diffondendo gratuitamente in diversi paesi del Terzo mondo. Negli Usa la Food and Drug Administration incoraggia la diffusione tra le aziende farmaceutiche della "radio frequency identification technology" (Rfit), per controllare via radio satellitare tutti i movimenti delle partite di farmaci dalla produzione alla distribuzione. Altri dispositivi che si stanno affermando nell´industria farmaceutica sono gli ologrammi e gli inchiostri speciali, per contraddistinguere i farmaci autentici e consentire una più rapida identificazione dei falsi. Purtroppo alcune partite di medicine-pirata provenienti dalla Cina rivelano che anche l´industria della contraffazione fa dei progressi: la riproduzione dei codici a barre è già una pratica diffusa, e anche inchiostri speciali e ologrammi a volte vengono copiati. __________________________________________________ Libero 22 feb. ’07 LE PATOLOGIE CONGENITE SI CURERANNO CON INIEZIONI NELL'UTERO In futuro le patologie congenite - cioè tutte le condizioni anomale che si originano durante lo sviluppo embrionale - potranno essere curate ancora prima della nascita, e ciò mediante un innovativo approccio sviluppato da un team di studiosi Usa: la chirurgia molecolare. A sostenerlo sono il professor Michael Longaker e i suoi colleghi della Stanford University, che recentemente sono riusciti - proprio mediante la procedura in questione - a curare in alcuni topi la palatoschisi (una malformazione del palato sovente accompagnata dal "labbro leporino"). Il metodo degli studiosi Usa consiste nell'intervenire sul feto mediante una procedura poco invasiva - in sostanza iniettando in esso attraverso il ventre materno specifiche molecole capaci di prevenire questo o quel difetto, evitando così successivi interventi chirurgici sul neonato. Longaker ha testato la sua tecnica - da lui battezzata anche "terapia fetale" - su alcuni feti di topo geneticamente manipolati (tramite l'alterazione di una proteina specifica chiamata Gsk-3 beta) in modo da sviluppare la palatoschisi; lo studioso ha iniettato in essi un piccolo quantitativo di rapamicina, una sostanza in grado di restaurare per l'appunto la funzionalità di Gsk-3 beta. Una volta definitivamente concluso il ciclo di prove intrapreso dall'équipe della Stanfort University si potrà passare alla sperimentazione sull'uomo, obiettivo numero uno della ricerca di Michael Longaker e dei suoi collaboratori. Sarà così possibile mettere la parola fine a milioni di malformazioni congenite che affliggono i nascituri e per conseguenza anche le loro famiglie. La terapia fetale infatti eviterà il doloroso impatto di tante nascite che coincidono con la necessità di procedere tempestivamente a interventi invasivi, molto spesso anche dolorosi, su creature che sono ai primi giorni di vita. Gli scienziati Usa hanno scoperto inoltre l'esistenza un preciso intervallo di tempo (situato nelle fasi iniziali della gravidanza) durante il quale si può intervenire sul feto evitando del tutto la comparsa di una determinata malformazione congenita. Il loro studio apre inoltre la strada allo sviluppo di forme di terapia fetale molecolare per altre patologie (fermo restando il fatto che per ogni tipo di patologia bisognerà individuare altrettante molecole in grado di correggerla). R.M. __________________________________________________________ Italia Oggi 20 feb. ’07 DESTINI SEPARATI PER FISIOTERAPIA E SCIENZE MOTORIE Sui titoli di studio equipollenza out Giorni contati per l'equipollenza fra le lauree in fisioterapia e scienze motorie. Sul testo bipartisan (C.28) la commissione cultura della camera sta, infatti, terminando le procedure per il trasferimento della proposta di legge sull'abrogazione dell l-septies (l'articolo contenuto nella legge 27/2006) dalla sede referente alla legislativa. Che permetterà la modifica legislativa entro poche settimane. Come previsto dal regolamento parlamentare, è stato chiesto e ottenuto l’ok dei componenti di maggioranza e opposizione della VII commissione presieduta da Pietro Folena. D'accordo anche Gianpaolo Patta e Nando dalla Chiesa, rispettivamente sottosegretari ai ministeri della salute e dell'università. Favorevoli anche la commissione affari costituzionali e quella degli affari sociali. Anche se quest'ultima ha posto alcune condizioni dì modifica al testo. Al secondo comma (dopo l'abrogazione dell'equipollenza), laddove si dà l'opportunità agli studenti e ai laureati in scienze motorie di integrare il proprio profilo con materie aggiuntive e con un periodo di tirocinio, la XII commissione ha chiesto di precisare che sia rispettato il numero programmato delle iscrizioni ai corsi di Fisioterapia. Come riferisce il relatore in commissione Vito Licausi (Udeur), serve solo il via libera dalla presidenza della Camera. Che dovrebbe arrivare entro 15 giorni. A quel punto, con l'approvazione della pdl da parte delle due commissioni di camera e senato, l'abrogazione diverrà legge. E il ministero dell'università e della ricerca avrà sei mesi di tempo per varare il decreto contenente le istruzioni con cui studenti e laureati in scienze motorie potranno esercitare anche la professione dì fisioterapista. Non ha sortito, quindi, nessun effetto fin ad oggi lo stato di agitazione proclamato qualche giorno fa da CgilFp, Cisl-Fp e Uil-Flp. Le tre sigle accusano il governo di non mantenere gli impegni e se la prendono in particolare contro il provvedimento fars che abroga l'equipollenza fra le due lauree. __________________________________________________________ Panorama 1 Mar. ’07 TROPPI INTERESSI IN DIALISI Nei pazienti con insufficienza renale l’eritropoietina combatte l'anemia ma comporta rischi cardiovascolari. Purtroppo a prevalere ; sono le pressioni dell'industria. • di GIANNA MILANO • E una storia emblematica di quanto conti nel gioco della salute il conflitto di interessi e delle ricadute nella pratica clinica. Da anni ai pazienti con insufficienza cronica renale, che vanno incontro ad anemia, si somministra eritropoietina, o Epo, l'ormone reso noto dalla cronaca sul doping sportivo, che mantiene alti i livelli dei globuli rossi. A queste cellule del sangue, gli eritrociti, spetta il compito di traghettare la proteina (emoglobina) che trasporta l'ossigeno. Se l'emoglobina è molto bassa, non solo ci si sente stanchi e si vive male, aumenta anche il rischio cardiovascolare. Con la correzione dell'anemia, ottenuta incrementando il valore dell'emoglobina, la qualità di vita migliora e si riduce il ricorso a trasfusioni. L'idea prevalsa negli ultimi anni, ricavata da studì di osservazione e mai suffragata da trial clinici randomizzati, è che elevare i livelli dell'emoglobina costituisca un vantaggio anche in termini di sopravvivenza, in dializzati e non. A quanto pare non è così. Dosaggi elevati di Epo per portare l'emoglobina a valori maggiori possono avere effetti non benefici. Su questo tipo di trattamento, e su quali debbano essere le concentrazioni ottimali di emoglobina, il dibattito in nefrologia è aperto da tempo. Sin da quando nel 19891a Food and drug administration, sulla base di scarsi dati validi, e con un'enfasi quasi esclusiva sulla qualità della vita, approvò la versione ricombinante dell'eritropoietina umana. L'analisi sistematica di nove studi, ora pubblicata su Lancet, come annota l'editoriale, giunge a conclusioni «non proprio inaspettate». Il confronto tra diverse concentrazioni di emoglobina in oltre 5 mila pazienti smentisce l'idea prevalente che correggere l'emoglobina con l’Epo, perché arrivi a livelli normali, costituisca di per sé un vantaggio. Là dove la sua concentrazione era maggiore, la mortalità per ogni tipo di causa, soprattutto eventi cardiovascolari, è stata superiore del 20 per cento. «Un risultato che non costituisce una sorpresa. Già nel '98 uno studio di Anatole Besarab aveva visto come non vi fosse ragione di trattare con Epo questi pazienti per portare il livello della loro emoglobina al valore normale di 14 grammi per decilitro, perché la loro mortalità aumentava» sottolinea Giovanni Strippoli, uno degli autori dell'editoriale su Lancet, il quale tre anni fa aveva presentato dati analoghi. Il ricercatore si divide tra l'Università dì Sydney, in Australia, e il Negri Sud, ed è coordinatore europeo del Cochrane renal group. «Le evidenze raccolte da Besarab furono tali da spingere a interrompere lo studio. Nonostante ciò, nella pratica quotidiana si continuò a raccomandare nei malati con insufficienza renale di raggiungere concentrazioni di emoglobina vicine a una norma adatta per persone adulte sane. Ma in eccesso in malati cronici» aggiunge Antonio Nicolucci, del NegriSud, tra gli autori dell'editoriale. La comunità scientifica temporeggiò, resistendo in qualche modo all'evidenza. «Si disse che occorrevano altri studi, ma per svolgerli ci vogliono molti soldi, da 3 a 10 milioni di euro per un trial che coinvolga un numero significativo di pazienti. Ed è anche per questo che tutti gli studi rivisti sono stati finanziati dalle aziende che producono I'Epo» avverte Strippoli. I risultati della meta analisi su Lancet, che confronta più indagini, dovrebbero porre fine a ogni dubbio. Anche perché rafforzati dal fatto di comprendere due importanti ricerche, note con gli acronimi Choir e Create, uscite sul New England Journal of Medicine lo scorso novembre. Nell'editoriale gli autori, un vicedirettore della rivista, Julie Ingelfinger, e un membro del comitato editoriale invitavano alla «cautela» nel ricorso all'Epo per correggere l'anemia. «Nel primo studio, Choir, aumentano rischio cardiovascolare e mortalità, e nel secondo, Create, l'insufficienza renale progredisce più rapidamente verso la dialisi, e la maggioranza dei dializzati muore per problemi cardiovascolari» dice Nicolucci. Che dietro la pressione a una prescrizione massimale con eritropoietina ci siano le industrie farmaceutiche che la producono è più che un'illazione. Il mercato mondiale dell'eritropoietìna, una delle molecole di maggiore successo dal punto di vista commerciale, ha raggiunto i 10 miliardi di dollari l'anno, solo negli Usa sono 1,8. «I valori dell'emoglobina nei pazienti in dialisi vengono mantenuti più alti rispetto a quelli indicati dalla stessa Fda: tra il 1991 e il 20051a dose media di Epo somministrata ai pazienti dializzati si è quadruplicata» ha scritto il dicembre scorso su Lancet Robert 5teinbrook. «Se negli anni 901e concentrazioni di emoglobina erano tenute sotto i 10 grammi per decilitro, oggi tendono a essere sopra i 12». In realtà il suo commento, si scopre sul Wall StreetJournal, avrebbe dovuto essere a corredo dei due studi Choir e Create sul New England Journal of medicine, ma fu bloccato. Era troppo severo e fu sostituito con l'altro più morbido, già citato, in cui si invitava genericamente alla cautela. Steinbrook chiama in causa le associazioni, svela lo stretto legame della National kidney foundatìon americana con l'industria che produce Epo (nel 2005 ha ricevuto 4,1 milioni dall'Amgen Inc e 3,6 milioni di dollari dalla Johnson & Jonhson Ortho biotech) e sottolinea il fatto che nell'editoriale non si faccia cenno al legame di Ingelfinger con la fondazione. Inoltre, rileva che due terzi dei 18 membri del gruppo, la Kidney disease outcome quality initiative, cui spetta la formulazione delle linee guida hanno stretti legami con l'industria. E chiama in causa il conflitto di interessi. Il problema di fondo per quesiti di assoluta priorità in termini di salute pubblica, dicono gli autori dell'editoriale su Lancet, è che la ricerca sia indipendente, senza sponsor che ne condizionino i risultati. «Oggi le stesse riviste scientifiche che dibattono sul conflitto di interessi si fanno influenzare dalle pressioni degli interessi economici» lamenta Nicolucci. Dal 2005 l’Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, stanzia annualmente circa 35 milioni di euro per bandi di ricerca pubblica indipendente, usando il 5 per cento di quello che le industrie spendono per le attività promozionali. E I'Aifa sta valutando l'opportunità di finanziare studi indipendenti proprio nell'ambito dell'anemia in dialisi. «Specie quando ci sono dubbi sul rapporto rischio/beneficio di interventi terapeutici, occorre aumentare la vigilanza e creare network collaborativi che consentano di arrivare a conclusioni e decisioni in tempi brevi. Per anni si è sbagliato, è tempo di cambiare strada» conclude Strippoli _________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 23 feb. ’07 DNA, PROCESSO AI TEST: TROPPI ERRORI NON CI SONO CERTEZZE» L'allarme degli esperti sulle tecniche. Migliaia di casi risolti, ma anche sbagli clamorosi. E in Italia è polemica sulla privacy Londra riapre duecento indagini Il Csm: non distruggete i reperti MILANO-L'ultimo caso arriva dalla Gran Bretagna. I dirigenti di polizia di 43 contee hanno ricevuto una relazione che avvisa: più o meno duecento inchieste rischiano di essere riaperte per «possibili errori» nell'esecuzione del test del Dna: Si scopre oggi, in sostanza, che l'esame di sangue, sperma, saliva, capelli, di tutti quei duecento casi, è stato messo a punto (negli anni compresi fra il 2000 e il 2005) con una tecnica che non garantisce certezza. Tecnica, appunto. Perché il test, in sé, è «praticamente infallibile», concordano tutti i genetisti. Bastano 13 frammenti di Dna compatibili con la stessa persona (i protocolli internazionali ne prevedono 16) per avere la sicurezza che il materiale biologico esaminato appartiene proprio a quella persona e che non può appartenere a nessun altro individuo al mondo. REPERTI - Ma per analizzare reperti biologici - poco importa che siano legati a casi giudiziari, a dispute private o a studi medico-scientifici - servono competenze, tecnologie avanzate, strumenti funzionanti in modo perfetto. E, va da sé, servono campioni non contaminati, conservati bene e che siano quantitativamente sufficienti. Ciascuno di questi punti da una parte è una garanzia, dall'altra un'insidia. E non è tutto. Se anche ogni passaggio tecnico dell'esame risulta impeccabile resta sempre il rischio dell'errore umano, in percentuale il più alto. Per intenderci: lo scambio di provette oppure la svista nella trascrizione o nel trasferimento dei dati (oltre il 20% degli «errori» del test dipendono da sbagli di questo genere). Aldo Spinelli è un biologo del comitato per la biosicurezza e la biotecnologia sulle banche dati del Dna. «Vent'anni fa - dice -le metodologie erano diverse. C'erano anche meno precauzioni. Si poteva sbagliare in laboratorio. Oggi il rischio di un errore è basso. È vero che il 5-10% degli esami biologigi non portano a niente ma è perché le tracce di Dna sono rotte, frammentarie, al punto da non consentire l'identificazione. A volte perché sono tenute in cattive condizioni. Non dimentichiamo che il Dna è una molecola termo e cronolabile, cioè sensibile alle temperature e al passare del tempo». CSM - Il test diventato «mitico» grazie a casi giudiziari molto famosi, a programmi o a serie televisive, può fallire, certo, «ma fra gli accertamenti individuali è il più sicuro» considera Leonardo Santi, presidente del Comitato nazionale per la biosicurezza e la biotecnologia. Che plaude alle parole spese ieri dal Csm sul disegno di legge relativo al prelievo coatto del Dna, firmato da Mastella e approvato dal Consiglio dei ministri. Tl Consiglio superiore si pronuncia in anticipo e dice no alla distruzione immediata del campione biologico alla fine di un -procedimento giudiziario: I consiglieri affrontano anzitempo anche le critiche prevedibili in materia di privacy: «I pericoli di schedatura di massa a fini diversi da quelli processuali - dicono - sarebbero facilmente fronteggiabili e si potrebbe garantire l'assoluta riservatezza dei dati». In Italia, a differenza di molti altri Paesi europei, non esiste una banca dati genetica e il nodo da sciogliere è proprio la questione della riservatezza dei dati sensibili. «Una legge che regoli questo settore è urgente, oltre che importante - spiega il garante della privacy Francesco Pizzetti -. Però noi siamo ostili, in linea pregiudiziale, allo stoccaggio dei campioni biologici veri e propri mentre ci sembra meno allarmante conservare le sequenze alfanumeriche identificative legate a ogni test di Dna». Ai 20 mila «disobbedienti biologici» islandesi non andrebbe bene neanche così. Dopo che il governo aveva «ceduto» il loro patrimonio genetico a un'azienda farmaceutica avevano chiesto che fossero distrutte anche le sequenze alfanumeriche. La Corte suprema ha chiuso il caso: ha dichiarato incostituzionale la creazione di quella banca dati, perché non protegge la privacy. Giusi Fasano __________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 feb. ’07 TUMORI, PRONTI I TEST GENETICI Ifom-Ieo e l'Istituto nazionale dei tumori (Int) lanceranno entro l'estate uno studio clinico nell'ambito dell'ereditarietà del tumore al colon e alla mammella. «Dopo due anni di lavoro abbiamo messo a punto una tecnologia che consente la diagnosi precoce in tempi rapidi e a costi contenuti» spiega Pier Paolo di Fiore, direttore scientifico dell'Ifom. Con un investimento di un paio di milioni di euro, hanno realizzato una piattaforma tecnologica per test genetici che costano 30o euro l'uno, circa un ventesimo in meno di quelli in commercio e che consentono una diagnosi in dieci giorni anziché in diversi mesi. «Mettiamo a disposizione del servizio sanitario nazionale questa tecnologia per intervenire con una diagnosi precoce e quindi con un'azione di monitoraggio continuo. Speriamo che lo Stato se ne faccia carico» spiega Pier Giuseppe Pelicci, direttore del dipartimento di Oncologia sperimentale dell'Istituto guidato dal professor Umberto Veronesi: Finora in Italia questo tipo di test è possibile in strutture private e a costi elevati. Ifom-Ieo e Istituto nazionale tumori lanceranno dunque uno studio clinico su persone a rischio di tumore alla mammella e al colon. Si tratta di persone che hanno avuto o hanno familiari malati di tumore. Dopo l'individuazione di positività al gene tumorale, partirà uno studio per testare i farmaci per la chemioprevenzione. __________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 17 feb. ’07 COME FA A DIFFONDERSI IL GENE DELL'OMOSESSUALITÀ? NON SARÀ CHE AIUTA IL GENERE UMANO A SOPRAVVIVERE? « Insomma sappi che tutti fur cherci e litterati grandi e di gran fama, d'un peccato medesmo al mondo lerci». Dante nell'Inferno fa di Brunetto Latini la figura dominante del girone dei sodomiti, peccato gravissimo per la morale religiosa di allora. E se i geni associati all'omosessualità servissero al benessere dell'uomo? L'omosessualità è abbastanza diffusa, nell'uomo e in altre specie animali. Ma le basi genetiche e le ricadute sull'evoluzione sono poco conosciute. Ricercatori del Tennessee e di Santa Barbara hanno messo a punto un modello matematico (il lavoro è pubblicato su Proceedings of Royal Society di Londra, ripreso da Nature di questi giorni) che aiuta a capire come il gene associato all'omosessualità, se c'è, abbia potuto diffondersi. Andiamo con ordine. Il gene (o i geni) dell'omosessualità non sono stati identificati, ma c'è evidenza che la tendenza ad essere omosessuali sia genetica. Di due gemelli identici se uno è omosessuale è possibile che lo sia anche l'altro, ma non vale per due fratelli che non siano gemelli. Ma com'è che il gene legato all'omosessualità si è diffuso nella popolazione se la loro non è un'attività sessuale che porta a riprodursi? C'è una spiegazione sola: che il gene "gay" sia utile all'evoluzione della specie. Ma facciamo un passo indietro. Di ciascun gene in ogni cellula dell'uomo c'è quello che viene dalla mamma e quello del padre: Delle volte sono uguali, e si dirà che l'individuo è omozigote. Più spesso l’allele del padre e quello della madre sono diversi (si è eterozigoti per quel gene) e lo saranno le corrispondenti proteine. È così che la specie varia ed evolve, è così che cambia il colore degli occhi o dei capelli dai genitori ai figli. Fra gli omosessuali ci sono gradi diversi di comportamenti e di capacità di riprodursi. Un comportamento solo omosessuale è di chi eredita il gene "gay" sia dalla madre che dal padre. Comportamenti intermedi sono di chi eredita un solo gene "gay". Ogni tipo di trasmissione prevista dal modello ha un suo costo e un suo beneficio. Costo è la perdita della capacità di riprodursi. Beneficio è per esempio l'aspetto fisico: chi ha un gene "gay" potrebbe essere più attraente fisicamente o più capace di fecondare. Questo darebbe un vantaggio riproduttivo e consentirebbe al gene di diffondersi. Proprio come si è diffusa la talassemia là dove c'è la malaria. Gli omozigoti per il gene della talassemia danno una malattia grave. Ma se si eredita una copia sola del gene, si è un po' anemici ma si diventa più resistenti alla malaria nelle zone dove è endemica. Così chi eredita un gene solo ha più probabilità di sopravvivere e di riprodursi. Intanto però la talassemia si diffonde. Fuori di metafora, a lungo andare la variante "gay" potrebbe persino prevalere. Se fosse così, molti potrebbero avere qualche tendenza omosessuale, ma essere più belli e più forti. E più fertili. È un'ipotesi, deriva da modelli matematici estremamente sofisticati, ma resta un'ipotesi che potrebbe tuttavia avere a che fare con la sopravvivenza della specie. Oggi il20% delle coppie non riesce ad avere un bambino (e nel 5001o dei casi potrebbe dipendere dall'uomo). I dati sulla qualità del seme maschile sono preoccupanti. Una ricerca fatta qualche anno fa ha dimostrato che la concentrazione degli spermatozoi nel liquido seminale si è ridotta del 50% dal 1938 al `90, ed è ancora meno oggi. Le cause vanno dall'inquinamento da pesticidi all'uso smodato di farmaci che finiscono nelle acque superficiali. Se fosse vero che chi ha almeno un gene "gay" ha più possibilità di fecondare di chi non ce l'ha, sarebbe il modo per la specie di difendersi. Che il gene "gay" sia associato a più fecondità è suggerito da un lavoro di ricercatori dell'Università di Amsterdam di qualche anno fa. Che da quel gene dipenda il futuro dell'umanità non è detto. Ma non è nemmeno detto il contrario. Giuseppe Remuzzi __________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 20 feb. ’07 LA REALTÀ VIRTUALE?, UNA MEDICINA Non solo disturbi psichici. Videogioco con pupazzi di neve per gli ustionati: «Dimezza il dolore» Così il computer aiuta a guarire Dai reduci dell'Iraq alle vittime dell'ictus.- a chi serve la cyberterapia SAN FRANCISCO - Il grosso fuoristrada militare Humvee sobbalza sulle sabbie del deserto con i motori al massimo; sopra la testa le pale impazzite di un elicottero Blackhawk. All'improvviso gli insorti aprono il fuoco e i proiettili frantumano il parabrezza del veicolo. Scene reali da combattimento in Iraq. Scene che si trasformano in film con «Virtual Iraq», un programma terapeutico per curare lo stress da guerra dei reduci americani: basta indossare un caschet to, un paio di occhiali e due auricolari per rivivere, grazie alla realtà virtuale e con la supervisione di uno psicologo, i traumi della guerra e sperare di guarire da quella che i medici chiamano «sindrome da stress post-traumatico». GUARIRE LO STRESS - Incubi, sudorazioni, flashback, torpore emotivo, nervosismo, tutto quello che i Rambo veterani del Vietnam non potevano esorcizzare con strumenti informatici, possono oggi essere affrontate grazie a sistemi high tech e con buone probabilità di successo. «II paziente è immerso in una realtà a tre dimensioni», spiega l’ideatore del programma, Albert Skip Rizzo, psicologo all'University of Southern California Institute of Creative Technologies (l'istituto crea anche «effetti speciali» peri produttori cinematografici di Hollywood) che ha presentato le sue ricerche all'Aaas, il congresso annuale della Società americana per l'avanzamento delle scienze in corso a San Francisco. «Lo psicologo supervisore - continua Rizzo - "dosa" la violenza delle scene e aiuta il paziente a tollerare e a superare lo stress. Questo sistema ha origine da un programma di addestramento alla guerra, chiamato Full Spectrum Command che è poi diventato un videogioco, il Full Spectrum Warrior. Ora è terapia». L'obiettiva è quello di curare, nei prossimi tempi, 150 reduci: la sindrome da stress colpisce almeno il15 per cento dei veterani dell'Iraq. Ma una condizione simile si è manifestata anche fra i testimoni diretti del crollo delle Torri Gemelle, l’ll settembre 2001, e un programma analogo di cura con la realtà virtuale è stato sperimentato, con buoni risultati, su alcuni di questi. SUPERARE LE PAURE-La cyberterapia (che sarà il tema di una conferenza internazionale a Washington il giugno prossimo) si sta sempre più affermando come metodo di cura per disturbi della sfera psichica. Il trattamento delle fobie è ormai acquisto. SpiderWorld è usato da tempo, soprattutto negli Stati Uniti, per combattere la paura dei ragni: chi non sopporta questi esseri viventi si trova catapultato in una cucina in 31) (tre dimensioni) alle prese con una gigantesca tarantola e impara a familiarizzare con il «mostro» dalle zampe pelose. Ma ci sono anche disturbi fisici che possono essere curati con la realtà virtuale. II dolore per esempio. DIMEZZARE IL DOLORE- SnowWorld, creato da Hunter Hoffinan direttore del Virtual Reality Analgesia Research Center della Washington Univexsity, è un gioco che proietta in un mondo tridimensionale dove si fabbricano pupazzi di neve e igloo e che è stato sperimentato con bambini gravemente ustionati. L'immagine del freddo, in questi casi. ha «controbilanciato» il fuoco delle ustioni dando un risultato sorprendente: il dolore (e la quantità di farmaci analgesici) si è ridotto della metà. L'ultima frontiera della cyberterapia è la riabilita zione. Da ictus per esempio. Con la Glove Therapy, sperimentata alla Rutgers University di Newark, il paziente con difficoltà a muovere la mano semiparalizzata indossa un guanto speciale che viene «proiettato» sullo schermo di un computer dove cercherà di prendere una farfalla o di suonare un pianoforte virtuale: di riflesso comincerà a muovere le sue vere dita. _________________________________________________ il Giornale 17-02-2007 CARCINOMA EPATICO: DAGLI USA NUOVE CURE I ricercatori californiani ne sono convinti: è possibile prolungare in modo significativo la sopravvivenza nei pazienti con carcinoma epatocellulare in stadio avanzato o carcinoma primario del fegato. Una, importante ricerca, ha indivîduato un nuovo farmaco (Nexa,var) di indiscussa efficacia che allunga la sopravvivenza. L'annuncio è stato dato da Bayer la pharmaceuticals Corporation e Onyx l’harmaceuticals. Sulla base della analisi ad interim piancata, il llMC ha concluso che lo studio ha raggiunto il suo endpoint, primario, ottenendo una sopravvivenza globale superiore nei pazienti trattati con Nexavar rispetto ai pazienti del primo gruppo che sono stati trattati solo con placebo. Lo studio è stato condotto su 602 pazienti arruolati in centri distribuiti nelle Americhe, Furopa, Australia e Nuova. Zelanda. Il carcinoma epaCocellulare, conosciuto anche come tumore prirnario`del fegato, è la, forma più diffusa di tumore epatico, è responsabile di circa il90 per cerìt,o di tumori primari maligni del fegato negli adulti e rappresenta il quinto tipo di tumore per diffusione nel mondo. Per l'Italia hanno partecipato a questa ricerca, tra gli altri: all'Humanitas di Milano il professor Armando Santoro e il dottor Vincenzo Ma,zzaferro dell'INT, a Forlì il dottor Dino Aznadori, a Boma il professor Francesco C:ognet,ti, a, Palermo il professor Antonio Craxì, a Padova, il professor Fabio Farinati, a Bologna, il professor Luigi Bolondi, a Pavia il dottor Camillo l’orta. Il professor 13olondi è il Princ;ipaLl Invc;Aigator dello studio. L'Italia è il secondo centro u,rruolal,ore a livello mondiale. Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. __________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 18 feb. ’07 VACCINATI» CONTRO LE ALLERGIE IN SOLI DUE MESI Allo studio in Svizzera un metodo desensibilizzante molto più rapido Per proteggersi dalle allergie d'ora in avanti si potrà provare una nuova tattica, che consiste nell'abituare il sistema immunitario alle sostanze che non tollera portandole direttamente all'interno delle cellule che governano la risposta allergica. Finora le procedure di desensibilizzazione, impropriamente assimilate alle vaccinazioni, richiedevano, come è noto, una lunga serie di iniezioni oppure di somministrazioni sotto la lingua, in dosi piccolissime, via via crescenti, delle sostanze che scatenano le reazioni allergiche, i cosiddetti allergeni. Invece; legando questi allergeni a vettori che li trasportano all'interno delle cellule immunitarie coinvolte, nel punto esatto dove possono svolgere al meglio la loro funzione, sarebbe possibile rendere il processo molto più rapido ed efficiente. «In questo modo -spiega Reto Crarneri, che ha coordinato la ricerca - il sistema immunitario è stimolato a dare una risposta protettiva, piuttosto che allergica». Le cellule immunitarie, infatti, attaccate dagli allergeni proliferano come sempre, ma si assiste a una normalizzazione del rapporto tra quelle che producono anticorpi di difesa e quelle che liberano sostanze causa dei sintomi allergici. Questo risultato, che è poi l'obiettivo di tutti i trattamenti di desensibilizzazione, si ottiene, con il nuovo metodo, con dosi di allergeni da dieci a cento volte inferiori a quelle utilizzate di solito. «Ciò consente non solo di ridurre notevolmente i tempi, ma anche i rischi di reazioni gravi, come l'anafilassi» commenta il ricercatore svizzero, secondo il quale, grazie alle molecole messe a punto dal suo staff, per liberarsi dai disturbi allergici, potrebbero bastare tre iniezioni nel gira di due mesi. «Con i vaccini attualmente in uso servono invece da sette a dodici iniezioni alle quali sottoporsi nell'arco di qualche anno - sottolinea il professor Severino Dal 130, decano degli specialisti allergologi italiani -. Lo studio dei colleghi elvetici, inoltre, è molto interessante, soprattutto perché rappresenta un approccio del tutto nuovo rispetto al lavoro svolto finora». «E anche se, per ora, i risultati della ricerca del centro dì Davos sono limitati a colture di cellule, oppure al massimo a esperimenti condotti sui topi, - aggiunge il professor Severino Dal Bo - tutto fa pensare che ci siano buone prospettive per il passaggio all’uomo». E, infatti, già nei prossimi mesi partirà il primo studio sul nuovo metodo di desensibilizzazione con il coinvolgimento di una trentina di volontari allergici al pelo di gatto. Ma a Davos, intanto, ci si prepara a sfidare altre allergie: nuovi «vaccini» per chi non tollera la polvere; i pollini e il veleno di ape sono già pronti per essere messi alla prova. Roberta Villa __________________________________________________ LA Nuova Sardegna 19 feb. ’07 SCOPERTO IL GENE DELL’AUTISMO Alle ricerche partecipano anche italiani. Raccolti dati dall’esame di 2000 famiglie Aperte nuove strade al trattamento della malattia ROMA. Una mappatura senza precedenti del Dna di circa 2.000 famiglie con soggetti colpiti da autismo, ha permesso di scoprire un nuovo gene coinvolto nella malattia e una regione cromosomica a sua volta con un ruolo nello sviluppo di questo disturbo neurologico. Una scoperta fondamentale, che apre la strada, a lungo termine, all’individuazione di nuovi trattamenti contro la malattia. Riportati sulla rivista Nature Genetics, si tratta degli importanti risultati del più ampio studio di genetica dell’autismo mai condotto finora, realizzato in seno al ‘Progetto Genoma Autismo’. Il Progetto, lanciato nel 2002 dal Consorzio di studio sull’Autismo, vede la partecipazione di scienziati di tutto il mondo, ed anche una presenza italiana con il gruppo di Elena Maestrini, del Dipartimento di biologia evoluzionistica Sperimentale dell’Università di Bologna, e anche il supporto di Telethon. Un enorme lavoro di gruppo che dal 2002 accomuna 120 scienziati di 19 Paesi provenienti da più di 50 Istituti di ricerca diversi, che hanno fatto nascere il consorzio AGP. L’intenso studio sul genoma di 1.168 famiglie con almeno due membri colpiti da disturbi autistici, ha permesso di individuare il coinvolgimento del gene per la proteina neurexina 1 e una regione del cromosoma 11, probabilmente sede di altri geni ancora da scoprire, a loro volta coinvolti nella genesi della malattia. Il mega progetto sull’autismo prevede varie fasi: la prima, appena conclusa, di analisi preliminare del DNA delle circa 1200 famiglie con almeno due casi di autismo; una seconda fase, che sta per partire, in cui si analizzerà il Dna ancora più nel dettaglio, con una risoluzione maggiore, e si cercherà di correlare i difetti genetici trovati con le manifestazioni cliniche dei pazienti. Lo studio ha utilizzato una tecnologia sofisticata, chiamata ‘gene-chip’, per ricercare le caratteristiche genetiche che accomunano gli individui affetti da autismo. L’analisi dei dati ottenuti ha quindi portato all’individuazione di un gene difettoso nei soggetti autistici, appunto quello per la neurexina 1, una proteina importante del sistema nervoso con un ruolo nella trasmissione del messaggio nervoso e nell’apprendimento. Passando al setaccio il Dna delle famiglie, gli esperti hanno anche individuato una nuova regione’sospetta’ sul cromosoma 11, in cui sperano di isolare altri geni complici. L’autismo è una complessa malattia neurologica che si manifesta in sei bimbi ogni 1000, i quali hanno difficoltà nelle relazioni sociali, anche nei rapporti con i propri cari. __________________________________________________ La Repubblica 22 feb. ’07 REUMATOLOGIA E ONCOLOGIA, STESSI BERSAGLI Workshop europeo da oggi a Firenze: punti di contatto in ricerca e cure nell'Artrite reumatoide di Adriana Albini * Da oggi al 24, a Firenze, si svolge il 27 workshop europeo di ricerca (hotel Sheraton), in collaborazione con la sezione di Reumatologia dell'ateneo toscano. Quasi sei milioni di persone in Italia soffrono di malattie reumatiche, un gruppo di circa trenta diverse patologiedall'artrosi, all'artrite reumatoide, al lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, connettiviti, polimiositi, sindrome di Raynaud... Alcune sono di tipo autoimmune, altre hanno decorso degenerativo e metabolico. Esistono una serie di paralleli tra le Malattie Reumatiche Infiammatorie Croniche (a cui appartiene l'artrite reumatoide) e l'artrosi con le neoplasie. Ovviamente si tratta di malattie ben diverse, con differenti corsi, ma alcuni tumori hanno degli aspetti in comune con i "reumatismi", tra questi la flogosi, o infiammazione, e le alterazioni a livello di capillari. Esistono già, di fatto, approcci terapeutici e preventivi comuni ai due disordini. Uno dei principi attivi di cui storicamente hanno beneficiato i pazienti reumatici e si può applicare a quelli oncologici è l'aspirina, un farmaco che ha 110 anni. CELLULE CHE PROLIFERANO La patogenesi dell'artrite reumatoide (AR) coinvolge la proliferazione delle cellule del "micorambiente" sinoviale (sinoviociti, cellule mesenchimali ed endoteliali, globuli bianchi), causa la fibrosi e la formazione di un tessuto anomalo, il cosiddetto "pannus" o panno sinoviale e infine porta all'erosione della cartilagine e dell'osso. Questo avviene a seguito dell'attivazione di fattori di crescita, citochine (le principali: intreleuchina 1 -IL-1; e il fattore alfa della necrosi tumorale, TNF-alpha), la cicloossigenasi 2, prostaglandine ed enzimi proteolitici, spesso gli stessi od analoghi mediatori d'infiammazione considerati fattori di rischio per alcuni tumori. Alcune molecole sono alterate nell'Artrite reumatoide e anche in alcuni tumori (colon, per esempio) e sono capaci di stimolare l'infiammazione e l'angiogenesi non solo sinoviale, ma anche tumorale, ovvero la crescita di nuovi vasi sanguigni che consentono al cancro di svilupparsi. L'AR determina un grave processo di distruzione dell'articolazione, cartilagine e osso che, a lungo termine, causa perdita della funzione articolare e invalidità. Questa capacità di intaccare l'osso e invaderlo, grazie alle proteasi ed altri enzimi, contraddistingue anche i tumori metastatici (seno, protstata...) capaci di colonizzare le ossa . Nell'AR il panno iperplastico sinoviale che aggredisce cartilagine e ossa riorganizza la propria struttura vascolare. Analogamente, nel cancro una formazione abnorme di vasi sanguigni ha luogo in risposta alla produzione di fattori angiogenici, sia direttamente da parte delle cellule tumorali, che in seguito allo stimolo infiammatorio presente in alcune aree tumorali, e favorisce l'alimentazione e la diffusione metastatica della massa tumorale. il trattamento Per la terapia dei "reumatismi" si sono usati in passato farmaci anti- infiammatori non steroidei, i FANS, di cui l'aspirina è il capostipite (seguito da ibuprofen, naproxene e altri), ma anche cortisonici, dotati di un effetto rapido ma limitato nel tempo, e principi alleviatori di dolore e febbre (acetaminofene, paracetamolo, etc). Nell'AR si impiegano anche dei farmaci biologicamente attivi che sono in grado di modificare il decorso della malattia. Alcuni di questi composti sono nati per altre indicazioni a testimoniare il nostro concetto che la patogenesi di AR è comune ad altre malattie acute e croniche: tra di essi la ciclosporina (un antirigetto di trapianto), l'idrossiclorochina (un antimalarico) e il metotrexate, proprio un antitumorale. Già da qualche anno si sono affacciate sul mercato nuove prospettive terapeutiche; forse le più promettenti si basano sugli inibitori biologici delle citochine ( TNFalfa, IL-1...), come l'infliximab, l'etanercept e l'adalimumab . Sono farmaci ad azione rapida (2 settimane) e hanno notevole potenza nel bloccare il processo erosivo- distruttivo. Purtroppo solo due terzi dei trattati rispondono agli anti-TNF- alfa. Inoltre queste sostanze hanno l'effetto di ridurre in parte le difese immunitarie e quindi aumentare il rischio di infezioni, problema che accompagna anche la somministrazione prolungata di ciclosporine, cortisone o derivati. Esiste infine la possibilità di attaccare l'altra principale citochina causa dell'AR, l'interleuchina 1. Kineret (Anakinra), un recente farmaco per la terapia biologica dell'AR, è costituito da una forma ricombinante del recettore di IL1 (IL-1Ra) che consente di bloccare l'attività di IL-1, e la cascata infiammatoria. Come in oncologia anche in reumatologia si ricorre sempre più spesso a combinazioni terapeutiche. le novità Il Rituximab, un farmaco utilizzato nella cura di alcune malattie neoplastiche (i linfomi di tipo B) ora trova applicazioni in reumatologia. Si tratta di un anticorpo monoclonale, ed è il primo trattamento per l'AR che sceglie come bersaglio i linfociti B, in modo da bloccara la sintesi di anticorpi, i quali, in caso di malattia autoimmune, quale la AR, attaccano i tessuti stessi dell'organismo e promuovono l'infiammazione. L'autorità Usa ha approvato in dicembre l'uso di celecoxib, un inibitore specifico dell'enzima COX-2, nell'artrite reumatoide giovanile. Parallelamente, Celecoxib (Celebrex) aveva dato promettenti risultati nella prevenzione degli adenomi del colon, campo in cui non è ancora certificato, a causa dei possibili effetti collaterali cardiovascolari. Altri "coxib" studiati nell'artrite sono il lumiracoxib (Prexige) e etoricoxib (Arcoxia). * Polo Scientifico/Tecnologico IRCCS Multimedica, Milano __________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’07 DENTI DALLE STAMINALI Ha successo l' esperimento sui topi dell' università di Tokio. Realizzato pure un follicolo che ha formato un baffo dell' animale Tra 10 anni anche per l' uomo MILANO - Tra dieci anni addio a dentiere e impianti in resina. Ognuno avrà, in caso di bisogno, denti nuovi creati con le proprie cellule staminali. Questo è lo scenario, non troppo lontano, che lascia intravedere il risultato raggiunto da scienziati dell' università di Tokio che per la prima volta hanno impiantato nella bocca di topolini denti creati in provetta a partire da due soli tipi di cellule staminali isolate da gemme dentali di embrioni di topi. Secondo quanto annunciato sulla rivista Nature Methods, i denti bio-ingegnerizzati sono ancora in fase di crescita. La ricerca è firmata da un gruppo di scienziati diretti da Takashi Tsuji, dell' Università di Tokio. Nel corso del lavoro è stato dimostrato che l' applicabilità di questa procedura di bioingegneria in provetta, basata su un metodo di crescita in tre dimensioni a partire da due tipi di cellule staminali (le epiteliali e le mesenchimali), è valida anche per la costruzione di altri organi. Infatti, partendo dalle stesse staminali, gli scienziati hanno anche bio-ingegnerizzato un follicolo che poi ha formato un baffo di topolino. Ovviamente la ricerca ha centrato solo il primo obiettivo. Ora deve andare avanti e la realizzazione di nuovi denti «autoprodotti» per l' uomo non è un traguardo immediato, ma, secondo il biotecnologo Ranieri Cancedda, in un arco di tempo «ragionevole, che possiamo indicare in circa 10 anni», denti bio-ingegnerizzati creati in provetta a partire da cellule staminali potrebbero essere applicabili anche all' uomo. Cancedda, docente di biologia cellulare e presidente del corso di studi in Biotecnologie all' Università di Genova, definisce «estremamente importante» l' esperimento che ha portato ad impiantare con successo in un topo un dente creato partendo da due sole cellule staminali. «È un risultato scientifico importante - spiega - con potenziali applicazioni nel settore della medicina rigenerativa e della bioingegneria dei tessuti nell' arco dei prossimi dieci, quindici anni. Il trasferimento nella pratica clinica dei risultati di questo primo esperimento sui topi non potrà cioè essere immediato, ma la possibilità di usare tale tecnica anche per la creazione di bio-denti applicabili all' uomo rappresenta una prospettiva molto concreta, cui si potrà arrivare in tempi relativamente brevi grazie ai grandi progressi scientifici in questo settore». Il punto, secondo Cancedda, è che «nel caso del topo, si sono utilizzate cellule staminali isolate da gemme dentali di embrioni di topi, dunque staminali che già avevano in qualche modo intrapreso un cammino di differenziazione che le avrebbe portate a formare dei denti». Questo tipo di staminali, spiega ancora il biotecnologo, «non sono presenti nell' uomo adulto, ma il dato positivo è che sappiamo che esistono cellule staminali adulte potenzialmente in grado di "evolvere in denti" anche nell' uomo». Ora la comunità scientifica attende di individuare il passo successivo. Secondo il professor Ranieri Cancedda questo passo «è quello di indirizzare queste cellule verso un processo di differenziazione che le porti a trasformarsi proprio in questo tipo di organo. Un obiettivo che ritengo sia raggiungibile nel medio termine». Lo scienziato dall' Oriente *** CHI È Takashi Tsuji è professore presso il dipartimento di Scienze biologiche e tecnologia dell' ateneo di Tokio