RADIOGRAFIA DELL’UNIVERSITÀ NEI SUOI PUNTI CRITICI - UNIVERSITÀ RIPRENDE L'ITER RIFORMA NEI FINANZIAMENTI - DONNE: IN ATENEO SI RADDOPPIA - MUSSI E IL TUNNEL DELLA RICERCA - DIVULGARE LA SCIENZA VIA INTERNET - LAUREATI, COLTI E DISPERATI È L'ESERCITO DEI SENZA LAVORO - ITALIA SOMMERSA DA E-MAIL SPAM - ARRIVA LA GENERAZIONE WEB: TROPPI STIMOLI, E IL CERVELLO CAMBIA - ========================================= CLINICA ARESU: FUORI LE CODE, NELLE CANTINE MACCHINARI IN ROVINA - SAN GIOVANNI DI DIO: SUBITO IL TRASFERIMENTO A MONSERRATO - POLICLINICO. ADESIONI DAGLI AUSILIARI DEGLI ALTRI OSPEDALI - INTRAMURARIA: LE CLINICHE CENTRALIZZANO LE PARCELLE DEI MEDICI - TROPPE DIFFICOLTÀ PER I GIOVANI MEDICI - LA SPESA SANITARIA È IN FRENATA - NON PIACE LA SANITÀ DECENTRATA - IBBA: IL CONFLITTO REGIONE - SANITÀ ALIMENTATO DAI CATTIVI RAPPORTI - RAFFICA DI CRITICHE AL PIANO SANITARIO - SANITÀ. AL NORD TUMORI IN CALO GRAZIE AGLI SCREENING - ASSISTENZA DOMICILIARE È ALTERNATIVA ALLA TELEMEDICINA - AGLI ITALIANI PIACE IL SERVIZIO SANITARIO - DOVE C0MINCIA LA VITA UMANA - UN CHIP AL GIORNO TOGLIE IL MEDICO DI TORNO. - L’EPATITE B SOTTO ASSEDIO - CONTRORDINE: GLI ANTIOSSIDANTI FANNO MALE - BISOGNA FERMARE L' EROTIZZAZIONE DEI TEENAGERS - ========================================= ___________________________________________________________ Il Manifesto 1 Mar. 07 RADIOGRAFIA DELL’UNIVERSITÀ NEI SUOI PUNTI CRITICI Anna Carola Freschi Dedicato a una lettura delle proteste studentesche che si sono svolte durante l'anno 2005, e articolata in almeno quattro passaggi cruciali, il libro titolato Studiare con lentezza (scritto da Aringoli Calella, Corradi, Giardullo, Gori, Montefusco, Montella) per le edizioni Alegre, porta nutrimento al dibattito sulle trasformazioni del rapporto fra precarietà e sapere nel capitalismo odierno. Il primo dei passaggi affrontati può essere sintetizzato in chiave simbolico-linguistica: una ricostruzione della vicenda dei movimenti studenteschi che privilegi gli elementi di continuità, evidenzia, infatti, come alle esigenze di un capitalismo in trasformazione abbia corrisposto, nel corso degli anni '90, l'autentico stravolgimento di alcune parole d'ordine: autonomia, anti-statalismo, flessibilità, a esemplificare quel rovesciamento di significato tipico della retorica neoliberista, che si È attuato a cominciare dall'uso della stessa parola libertà. Sono infatti la subordinazione della ricerca al mercato, la frantumazione dei saperi, la precarizzazione della vita e del lavoro di studenti e ricercatori, i frutti più avvelenati della traduzione aziendalistica di quegli imperativi applicati a una università impastata di residui feudali, nel governo delle carriere, dell'offerta didattica, dello sviluppo della ricerca. In questo scenario simbolico e pratico prende forma la figura dello studente come precario in formazione, preparato a inserirsi nel mercato flessibile non in base alle competenze acquisite, bensì in virtù del training cognitivo e comportamentale azionato dal potente dispositivo della didattica veloce. Si impara il ritmo, l'essere misurati e misurare, l'acquisire ciò che È appena sufficiente: la riduzione del sapere in quantità discrete agisce su studenti, docenti, ricercatori, limitando i loro percorsi, livellando i tempi, ponendo l'accento sul momento della verifica piuttosto che sul processo di apprendimento. Funzioni cruciali nel nuovo capitalismo, l'apprendere e L’insegnare sono pasti, attraverso il meccanismo dei crediti, sotto l'ombrello disciplinare della calcolabilità e della standardizzazione, pronti ad essere automatizzati. Così, forma e contenuto, processo e prodotto arrivano a coincidere. -Gli autori, inoltre, mostrano come la frantumazione del processo di apprendimento conduca anche alla frammentazione del soggetta studentesco: non c'È un generico intellettuale massa. Non c'È un'indistinta moltitudine. La precarietà si traduce in una pluralità di soggetti sociali sfruttati. In più, guardando alla diffusione e alla dispersione sociale dei precari, È evidente che questi fenomeni non possono essere letti come capaci di produrre spontaneamente conflitto e trasformazione sociale. Non ci sano avanguardie su questo fronte dei precari, non ci sono maestri, ma solo una capacità di riflessione concreta da coltivare collettivamente: vanno ricostruiti, perciò, tempi e spazi adeguati a un apprendimento critico, a un rapporto nuovo fra il dentro e il fuori dalle università, che oggi non trova nessuna soluzione di continuità semplicemente perchè il mercato è dappertutto e il resta sistematicamente cancellato, sebbene continuamente riemerga, in una pluralità di reazioni impreviste. Nonostante questa incombente presenza del mercato, infatti, la razionalità aziendale assume, nell'università, i connotati di una burocratizzazione senza precedenti, e paradossalmente anche priva di certezze. Non solo, ma il successo della domanda di lauree specialistiche sembra essere risuonato alle orecchie dei soliti riformatori come un allarme, piuttosto che come un segnale positivo, a fronte del problema relativo allo sfoltimento dell'offerta di lavoro qualificato. In questo quadro, i richiami alla meritocrazia diventano via via sempre più sinistri, e d'altronde - sottolineano gli autori - le riforme non hanno affatto messo in discussione il finanziamento pubblico dell'Università Ne hanno favorito, piuttosto, l'uso privato immediatamente funzionale a un orizzonte in cui È sempre più ridotta tanto L’autonomia dei saperi quanto l'obiettivo di estendere a tutti le opportunità di emancipazione sociale. ___________________________________________________________ Italia Oggi 3 Mar. 07 UNIVERSITÀ RIPRENDE L'ITER RIFORMA NEI FINANZIAMENTI Le rassicurazioni del ministro Mussi a rettori e industriali piemontesi DI eTAN PELLISSIER Dopo lo stop causato dalla crisi, riprende il cammino di riforma nel finanziamento della ricerca universitaria. Fabio Mussi, ministro per l'università e della ricerca, lo ha assicurato ieri a Torino ai rettori e al mondo industriale piemontese. Innanzitutto il First (Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica), dove sono confluiti i vecchi Prin, Firb, Far e Fas. I bandi entro marzo saranno approvati dal consiglio dei ministri. Assolutamente entro il 2007 vogliamo quindi erogare i fondi stanziati dalla Finanziaria, ha ribadito Mussi. Si tratta di 300 milioni di euro destinati al settore pubblico e universitario, ma a cui anche i privati possono accedere purchè i risultati delle ricerche restino di proprietà dei partner pubblici. L'erogazione in quest'anno lascia presagire che anche gli altri 300 milioni per il 2008 e i 360 milioni per il 2009 saranno erogati nell'anno solare di competenza. Novità anche per chi valuterà come saranno spesi questi e tutti i soldi destinati alla ricerca, ovvero l’Anvr (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca). Il regolamento sarà infatti approvato già nel consiglio dei ministri del 13 marzo prossimo. La novità È che la maggioranza dei sette membri dell’advisory board sarà straniera, ha anticipato,cui spetta il potere di nomina. Lo stesso ministro ha fissato entro l’estate l'entrata in funzione a pieno regime dell’Anvur. Tra i quattro membri stranieri, due saranno esterni ai nostri atenei e saranno scelti in rose indicate rispettivamente dall’European research council e dalla European university association. Gli altri cinque saranno scelti dal ministro in un'ampia rosa indicata da un comitato di selezione appositamente nominato dal ministro. La maggioranza straniera, oltre all'indipendenza, garantirà al meglio anche le funzioni di agenzia nazionale italiana nei confronti del network europeo sull'assicurazione della qualità in campo universitario. Ma a quanto ammontano le risorse per la ricerca in Italia oltre ai First? Sicuramente gli accordi regionali stanno crescendo in modo significativo, ha detto Mussi, indicando come modello da seguire la legge 4 dell'anno passato della regione Piemonte, che fino a12009 stanzierà 250 milioni di euro. Il vero pozzo di san Patrizia, secondo il ministro, È però il Cipe, a cui accederà d'ora in poi anche il ministro per la ricerca e l'università. Riusciremo a far capire che le infrastrutture non sono solo i viadotti e i tunnel, ha promesso ai rettori piemontesi Mussi, che punta a ottenere da un minimo di 5 a un massimo di 14 miliardi dai 100 miliardi di fondi strutturali. Poi ci sono i fondi del Programma quadro dell'Unione europea per il periodo 2007-2013, che per la ricerca stanzia 53 miliardi. Se saremo bravi, prevede Mussi, 7-8 miliardi saranno per l'Italia. Obiettivo per il 2011 portare a1f1,2 della media Ocse la percentuale del pil dedicata a ricerca e università, che comporterebbe investimenti per 12 miliardi di euro. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Feb.?07 DONNE: IN ATENEO SI RADDOPPIA La quota delle docenti È cresciuta del 40% in 10 anni: ora sono il 32% del totale Ma la maggior parte sono associate o libere ricercatrici In otto anni la presenza femminile negli atenei È quasi raddoppiata. Se nel 1998 gli uomini in cattedra erano 35.990 e le donne 13.957 (il 27,9% del totale), a giugno 2006 i primi hanno raggiunto quota 41.341 e le seconde 19.833 (il 32,44% del totale). Considerando che la crescita totale del personale docente nel periodo È stata pari al 22,5%, la presenza femminile È cresciuta di oltre il4o% mentre quella maschile di circa il 15%. Una lenta ma continua crescita quella della presenza femminile negli atenei, un po' in tutti i campi d'insegnamento. Anche se con qualche significativa differenza che smentisce la presunta avversione delle donne per le discipline scientifiche. Se È vero che l'incremento minimo (0,8%) si È registrato nell'area di Scienze matematiche ed informatiche, È anche vero che l'aumento più significativo di docenti donne È stato nelle Scienze chimiche (+7,6%). Sembra che le prof siano più interessate ad approfondire ed insegnare le materie economiche e statistiche (+4,5%) oppure quelle mediche (+5,6%) e quelle veterinarie ed agrarie (+6,8%). Ma si potrebbe dire non È tutto rosa ciò che luccica. Infatti di quel 32,4% del corpo docente al femminile quasi la metà È composto da associate (44,8%), che non sono una presenza fissa e stabile all'interno delle università. E le docenti associate hanno un peso rilevante: sono 6.216 ovvero un terzo del totale (32,7%). Dati un po' sconcertanti. Ma se vengono letti in maniera storica rivelano un progressivo, anche s‚ lento, cambiamento;. Il dato positivo infatti È che il numero delle docenti di ruolo (che sono il 34,1% del totale) È più che raddoppiato negli otto anni presi in considerazione, da 1500 a 3.423 cattedre. Ovvero il numero delle donne che in ateneo hanno una cattedra fissa È passato dall’11,25% del '98 a più del 30% nel 2006. Il problema però È che, come si legge nel Settimo Rapporto sul sistema universitario (preparato nell'ottobre del 2006 dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario e pubblicato dal ministero dell'Università e della ricerca, ndr), la presenza femminile È in tutte le aree disciplinari superiore tra i ricercatori, dove la dinamica recente ha già mostrato suoi effetti, e ancora più contenuta tra i professori ordinari. Analizzando nel dettaglio la presenza femminile per disciplina e per ruolo si scopre per esempio che il boom di presenze nelle scienze chimiche di cui abbiamo parlato prima È dovuto (dati 2006) in gran parte alla presenza di libere ricercatrici (circa il 55% del totale) mentre solo poco più del 20% ha una cattedra. Insomma qualche timido segnale c'È ma È ben lontano dall'essere un vero riscatto delle docenti, o quanto meno una progressiva parità rispetto ai colleghi. Un divario tanto più ampio quanto più si sale nelle posizioni di responsabilità. Basti pensare che sono solo due le donne rettore sui 77 membri della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), ovvero il 2,6%, contro il 25% in Francia per fornire un termine di paragone. E questo nonostante le ragazze siano ormai preponderanti sia nei corsi di laurea (triennale: 55% contro 45%) sia in quelli di dottorato. Il 56% delle matricole sono ragazze, che si iscrivono all'università subito dopo il diploma di scuola superiore con valori percentuali superiori a quelli degli uomini (81% rispetto al 67%). Ma in cattedra salgono ancora di più loro. Per approfondire il tema, Il Sole-24 ore ha intervistato le uniche due rettrici d'Italia (si vedano gli articoli in basso). Una di loro ricorda con soddisfazione che l'incauta posizione anti-femminista È costata a Lawrence Summers la guida della prestigiosa università di Harvard. In Italia, forse, non sarebbe successo. ___________________________________________________________ Il Manifesto 2 Mar. 07 MUSSI E IL TUNNEL DELLA RICERCA Guglielmo Ragozzino Torino Il convegno degli ambientalisti-socialisti si svolge a Torino nella sala Kyoto dell'Environment Park (Parco tecnologico per l'ambiente). La sala È dedicata al grande ecologo Nicholas Georgesku Raegen. L'area È dell'antica Fiat. Qualcuno ricorda L’esondazione della Dora che scorreva sotto le Ferriere (l'acqua serviva per il raffreddamento industriale). La città rischiò grosso. Fu nel 2000 e la struttura abbandonata delle Ferriere resistette ma si decise di demolire tutto. Così nacque il parco tecnologico, dovuto agli sforzi comuni di comune e regione e ai finanziamenti europei. I centri di ricerca sono di apparenza modesta e funzionano. Due ragazzi in camice bianco offrono un motorino come tanti altri; però È a idrogeno. II prima prototipo, assicurano: si tratta di un motorino spagnolo, Monty e 80, costruito interamente in Cina, cui hanno sostituito l'apparato motore con due bombole di idrogeno, un sistema di celle, una batteria. -Il vano previsto per il casco È tutto riempito da grosse schede elettroniche che rendono agibile il sistema. L'ingegnerizzazione È ancora carente, dicono. Velocità massima 25 km orari, autonomia di 5 ore. L'atteso clou del convegno È l'intervento di Fabio Mussi, ministro dell'Università e della Ricerca. Mussi È però strappato ai compagni ecologisti e socialisti da un'altra esondazione: quella dei magnifici rettori che vogliono confrontarsi con lui. Così avviene il fatale incontro. Mussi esordisce: In Italia ci sono 365 sedi universitarie contro 105. province. Non abbiamo esagerato?. E racconta del capo gabinetto che, tutte le sere, arriva con centinaia di fascicoli da firmare. Spesso si tratta solo di spostare un bidello Ma la firma È indispensabile. Poi parla delle cifre per la ricerca: non sono così terribili, spiega, sono solo ottuse: non tengono conto soprattutto della qualità, notevole, dei ricercatori italiani. Poi inserisce due temi interessanti: dottori di ricerca e valutazioni. Quello dei dottori di ricerca - afferma - È un titolo importante nel mondo> nelle società e nelle amministrazioni pubbliche. Anche qui da noi bisogna aprire le uscite per i dottori di ricerca.> ma non È un titolo da spendere dentro l'Università, come si È fatto qui sempre. Una legge in proposito esiste, ma manca, come al solito, il decreto attuativo. Sarà mia cura, conclude il ministro, affrontarlo subito e cambiare le cose. Poi vi È la delicata questione dell'Anvur, il comitato preposto alle valutazioni. Quando sono arrivato - aggiunge il ministro - L’Anvur, nominato da Moratti, ha presentato le dimissioni; ma si trattava di buoni elementi e così ho detto al prof. Provasoli, ¡l presidente, di continuare per me che sono uomo di partito, essere di un partito non È un titolo scientifico, mai. Per primo parla in replica Francesco Profumo del Politecnico, informa il ministro che il Poli ormai fa da s‚, in rete con Losanna, Ginevra, Grenoble, Barcellona_ Gli studenti sono 26mila; la ricerca È sostenuta dallo stato solo per i142%, mentre il resto lo troviamo noi. Poi parla Ezio Pelizzetti dell'Università di Torino. Informa che i suoi studenti sono 74rnila, quasi quanti operai aveva la Fiat un tempo a Torino. Chiede la defiscalizzazione dell'Irap almeno quella ripete. Terzo, tra cotanto senno, Paolo Garbarino, rettore dell'Università del Piemonte orientale. Possiamo - chiede - forzare un po' i limiti regionali e fare corpo con gli atenei lombardi e liguri?. Mussi replica ma il consenso È diffuso. Per buon peso il ministro racconta del Cipe, dove È entrato un po' di straforo. Lì i soldi ci sono, solo che loro credono che le infrastrutture siano solo ponti e strade ferrate; invece ho lanciato l'idea che anche i luoghi di eccellenza scientifica, i laboratori di alta fisica e di genetica, le grandi biblioteche sono infrastrutture decisive, non meno dei tunnel. Staremo a vedere. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Feb.?07 DIVULGARE LA SCIENZA VIA INTERNET Formare divulgatori della scienza e della tecnologia capaci di comunicare anche tramite allestimenti espositivi, via web, direttamente a fianco degli scienziati, nella comunicazione istituzionale o nelle imprese dedicate all'innovazione tecnologica. Introdurli nei diversi settori in cui può essere esercitata questa professione. Sono gli obiettivi del master di primo livello in Comunicazione della scienza, organizzato dall'Università di Tor Vergata di Roma con il patrocinio della Fondazione Cotec. Saranno ammessi al massimo 30 partecipanti, selezionati tra quanti avranno inviato la richiesta entro mercoledì prossimo, 28 febbraio, scaricando il bando dal sito http://comunicazione-scienza.uniroma2.it. Le lauree di elezione sono quelle in materie scientifiche, umanistiche con indirizzo filosofico o in comunicazione - dice Barbara Gallavotti, direttore supplente del master -. Gran parte del corso sarà dedicata a lezioni frontali, di laboratorio, a seminario su argomenti scientifici, perch‚ È impossibile divulgare scienza e tecnologia se non si conosce l'ambiente della ricerca e se non si È aggiornati sulle scoperte più importanti e sui temi considerati di frontiera nelle varie discipline. Le lezioni, da metà aprile a ottobre, saranno seguite da uno stage di circa tre mesi. Il costo È di 2mila euro, pagabili in tre rate (la prima di mille curo all'iscrizione). Ô ammessa anche la frequenza a singoli moduli a 100 euro a credito, fino a un massimo di 15 crediti. A. Ma. ______________________________________________ La Repubblica 2 mar. ’07 LAUREATI, COLTI E DISPERATI È L'ESERCITO DEI SENZA LAVORO Solo la metà trova impiego a un anno dalla laurea. E' il peggior risultato dal 1999 a oggi Nel 2006 hanno guadagnato, in termini reali, meno di 5 anni fa. L'indagine di AlmaLaurea di FEDERICO PACE Iperqualificati, con qualche sogno in testa e sempre meno pagati. Destinati a emigrare, pur di evitare la disfatta. I laureati mostrano sul loro volto i segni delle sempre più acute contraddizioni di un intero paese dove il merito e le qualifiche non vanno quasi mai di pari passo con le opportunità e i compensi. Sul loro volto sono sempre più evidenti i segni del disagio provato di fronte a quella porta, quasi sempre socchiusa, che dovrebbe portarli al lavoro e alla maturità. Quando una ragazza o un ragazzo con in tasca la laurea cerca un posto, pare di vedere un gigante che prova ad entrare attraverso la piccola porticina di una minuscola casa di lillipuziani. Loro sono tanti mentre sembrano sempre più inadeguati i posti di lavoro che il sistema economico e il mondo delle aziende italiane mette a disposizione. Addetti per i call center o cassieri di negozio che siano. Con il paradosso, che a questo punto pare quasi logico, che sono proprio i più preparati, quelli che prendono i voti più alti di tutti a ritrovarsi con il più basso tasso di occupazione. Tanto che a un anno dalla laurea, trovano lavoro solo quattro su dieci di quelli che hanno preso 110 e lode. Con la triste constatazione che nel 2006 un laureato guadagna al mese, in termini reali, meno di quanto percepiva cinque anni fa il fratello maggiore. Fenomeni conosciuti si dirà, ma il fatto è che quest'anno le cose sono andate ancora peggio. Tanto che per trovare un impiego non è neppure sufficiente aspettare un anno. I dati del triste record dicono che dopo la fatidica laurea, a un anno dal giorno della discussione della tesi, dai festeggiamenti e dai sorrisi e dalle congratulazioni, trova lavoro solo il 45 per cento dei laureati "triennali" (erano il 52 per cento l'anno scorso) e il 52,4 per cento dei laureati pre-riforma, ovvero il dato più basso dal 1999 (vedi tabella). I dati sono quelli della nona indagine sulla "Condizione Occupazionale dei laureati italiani" presentata (vedi la diretta) a Bologna da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui aderiscono 49 università italiane. Ed è forse utile sapere che il convegno prevede per la mattina di sabato (3 marzo) anche una tavola rotonda (la presentazione e la tavola rotonda possono essere seguite in diretta sul sito di Almalaurea) che dibatterà su questi temi e a cui parteciperanno anche Fabio Mussi, il ministro dell'Università, e Cesare Damiano, il ministro del Lavoro, insieme ad Andrea Cammelli, il direttore di Almalaurea, e il presidente Crui Guido Trombetti. Secondo l'indagine, l'instabilità che caratterizzava già molti degli impieghi degli anni scorsi si è fatta ancora più acuta. Sia per i laureati "triennali" che per quegli ultimi che stanno uscendo dal percorso previsto dal vecchio ordinamento. Solo un giovane su tre che ha conseguito una laurea breve - e ha trovato un impiego - è riuscito a siglare un contratto a tempo indeterminato. L'anno scorso l'impresa era riuscita al 40 per cento di loro. Stessa storia per i giovani che hanno ultimato il percorso di laurea del "vecchio ordinamento", la quota di chi è riuscito ad avere un contratto stabile è scesa al 38,4 per cento. Il lavoro atipico dal 2001 a oggi è cresciuto di ben dieci punti percentuali. C'è poi lo stipendio. Quel sostegno che dovrebbe permettere alle nuove generazioni di prendere iniziative e decisioni, di mettere su famiglia, di provare a superare la sindrome di Peter Pan. Quel sostegno, è sempre più esile. I giovani laureati del post-riforma si ritrovano in tasca a fine mese solo 969 euro. Meno di quanto non fosse l'anno scorso (vedi tabella). Prendono qualcosa in più i laureati pre-riforma che a fine mese arrivano fino a 1.042 euro. Poco più dell'anno scorso ma, al netto del costo della vita, ancora meno di quanto un neolaureato guadagnava cinque anni fa. Senza dire che l'Italia vanta il minor numero di laureati che lavora a cinque anni dalla laurea (l'86,4 per cento contro una media europea pari all'89 per cento). Scorrendo i dati dell'indagine di AlmaLaurea si ricava la triste conferma che nel cuore delle nuove generazioni, anche lì dove è opportuno che l'Italia sia più moderna e vicina all'Europa, covano e crescono le stesse antiche contraddizioni e disparità che gravano da tempo infinito sul corpo del malato Italia. Le donne sono meno favorite rispetto agli uomini, hanno un tasso di occupazione più basso, sono più precarie e guadagnano meno dei loro colleghi uomini A un anno dalla laurea lavora il 49,2 per cento delle laureate pre-riforma contro il 57,1 per cento degli uomini. E il gap salariale nel tempo non fa che crescere, tanto che a cinque anni dalla laurea le donne guadagnano un terzo meno di quanto non prendono gli uomini. Quanto alla precarietà a un anno dalla laurea il 52 per cento delle donne ha un contratto atipico contro il 41,5 per cento degli uomini. E la disparità è ancora più acuta per le laureate "triennali", visto che solo il 34 per cento delle donne ha un impiego stabile contro il 48 per cento dei loro colleghi uomini. Stesso discorso per le disparità territoriali. Nel 2006 sei laureati del Nord su dieci trova lavoro dopo un anno mentre per le regioni del Sud le cifre si fermano al 40 per cento. Ovvero le stesse quote nel lontano 1999. Senza dire che a cinque anni dalla laurea, i giovani del Mezzogiorno prendono 1.167 euro al mese mentre i ragazzi del Nord arrivano a 1.355 euro al mese. Non c'è da stupirsi se allora molti di loro non si sentono valorizzati per quello che valgono e, seppure a malincuore, decidono di muoversi oltre confine per trovare migliori occasioni. All'estero, lì dove sembrano trovare rifugio e compenso. I laureati italiani che lavorano fuori dai confini nazionali, a cinque anni dalla laurea, arrivano a guadagnare quasi 2 mila euro, ovvero il 50 per cento in più di quanto non accada alla media complessiva dei laureati. Se non si mette mano a questo problema, se non si trova un articolato piano per valorizzare i talenti che escono dalle nostre facoltà, poco si potrà fare per dare slancio al nostro paese. ______________________________________________ La Repubblica 2 mar. ’07 ITALIA SOMMERSA DA E-MAIL SPAM Secondo i dati diffusi dal Cnr, il fenomeno è in forte crescita Ogni giorno si perdono almeno 15 minuti per ripulire la casella indesiderati due messaggi su tre Ogni giorno 15 minuti persi per eliminare le mail indesiderate ROMA - Sessantuno miliardi di messaggi indesiderati. Sono i numeri di messaggi spam, le email immondizia che intasano la posta elettronica, che circolano ogni giorno in Europa, causando rallentamenti alla rete e danni alla produttività. E che adesso stanno sommergendo anche l'Italia. Secondo le statistiche diffuse dall'Istituto Informatica e Telematica del Cnr, due email su tre nel nostro paese sono spam. "Da un'analisi statistica sui server di posta elettronica - spiega Stefano Ruberti, responsabile del Registro del ccTld, l'organismo che assegna i domini internet ".it" - il tasso di spam medio in Italia nel 2006 è stato di circa il 66%. A fronte di 2.846.282 messaggi di posta ricevuti, poco meno di 970mila sono stati classificati come puliti. Lo spamming è l'invio di grandi quantità di messaggi indesiderati il cui principale scopo è la pubblicità di prodotti più o meno legali o la diffusione di virus. E' considerato un reato in vari paesi e anche in Italia l'invio di messaggi non sollecitati è soggetto a sanzioni. Che evidentemente non costituiscono un deterrente sufficiente. Del 1.876.551 di messaggi spazzatura, però, solo l'1,3% era infetto, cioè portatore di virus. La dimostrazione di come infezioni abbiano ceduto il passo ad attività truffaldine più remunerative. "Tra queste - spiega Ruberti - spicca il phishing: il tentativo di dirottare gli utenti su pagine web fasulle che ricordano quelle di banche e portali per l'acquisto di prodotti online al fine di carpire password e codici di autenticazione". Ma il traffico spam causa anche problemi, per così dire, indiretti, rallentando le normali attività di rete per tutti gli utenti. Per dare un'idea di quanto lo spam ostacoli l'efficienza del sistema si pensi che, per analizzare tutti i messaggi infetti, il server della posta Iit ha impiegato oltre 1.315 ore di lavoro. Un dato destinato a peggiorare. "L'avvento dell'image spam, messaggi che non contengono più testo ma immagini digitali, più difficili da analizzare, ha causato un ulteriore rallentamento del sistema", dice Ruberti: "adesso la dimensione media dei messaggi indesiderati è cresciuta e lo spam mangia più di 800 terabyte di banda internet al giorno". Le conseguenze più gravi, però, sono per le aziende, che sono costrette a fare i conti con cali di produttività (i dipendenti perdono almeno 15 minuti al giorno nel selezionare la posta) e la necessità di investire risorse in personale e sistemi antispam. Ma chi è il mittente? Per Ruberti, "non più di 600 professionisti". Che con lo spam guadagnano bene. "Il più famoso spammer, Jeremy James, classe 1974, ha accumulato un patrimonio personale di 24 milioni di dollari". Ma si è anche guadagnato 9 anni di carcere. ___________________________________________________________ La Repubblica 27 Feb.?07 ARRIVA LA GENERAZIONE WEB: TROPPI STIMOLI, E IL CERVELLO CAMBIA Sotto esame negli Usa i giovani che studiano e allo stesso tempo mandano sms, mail, guardano la tv e L’iPod ALESSANDRA RETICO ROMA- Cercano di nuotare con tutto il corpo nella vita che scorre. Una mano sull'e-mail, l'altra sul cellulare, lo sguardo su Mtve la colonna sonora dentro con L’iPod. IL cervello prima non c'era abituato a tutte le cose insieme, adesso come fa. A che costo, visto che lo fa. Ieri sul Washington Post si parlava di multitasking, di quell'abilità che specie gli adolescenti hanno di svolgere contemporaneamente più attività, di stare in una flagranza di mezzi e linguaggi con disinvoltura e quasi felicità. Hanno un cervello diverso dal nostro, ce lo avranno? Attenzione frammentata, difficoltà della memoria in un'era di flusso continuo di informazioni e stimoli: questo già lo sappiamo. Ma qualcosa di più fondamentale, genetico addirittura, che trasformerà i processi stessi dell'apprendere e ragionare È ipotizzabile? II quotidiano ha posto la domanda a esperti e ricercatori. Risposte certe no, non ce ne sono, ma indizi sì e molti dubbi: che nei medio-lungo termine questo sminuzzare e moltiplicare l'attenzione potrebbe avere conseguenze sull'abilità di focalizzare e sviluppare capacità critiche. In una ricerca dell'Ucla si È dimostrata che il procedimento sequenziale dell'apprendimento aiuta i teen-ager a raccogliere e memorizzare maggiori dettagli sulle cose rispetto a chi ci "multitaska" attraverso. L'ippocampo, la parte del cervello che immagazzina e raccoglie dati, È attivo quando la conoscenza procede passo dopo passo, entra in sciopero quando È in multi tasking. A1 suo posto lavora lo striato, che È invece addetto alle azioni ripetitive. Un po' come sbriciolare energie, spargere sul mondo semi di intelligenza e alla fine fecondare molto senza raccogliere granchi. Tutte le attività rimangono in superficie mentre la conoscenza sta in profondità, spiega Jordan Grafman, neuroscienziato cognitivo. Uno può saltare da un posto all'altro e di tutto avere sapore. Anzi essere molto abile nella ginnastica cognitiva, avere un bello slancio e gesto atletico nel saltare tra computer, tv, palmare, posta elettronica, lettore Mp3, blog e quant'altro, ma alla fine nel muscolo del cervello solo fatica e spettacolo sì, ma nessun sistema e vera capacità. La generazione. nei, "quelli che nel frattempo", sostengono di trovarsi a loro agio a fare tutto nello stesso istante, si sentono più produttivi e meno stressati. Loro nel "mentre" fanno il compito di matematica e la versione di latino, un numero si attorciglia a un verbo e alla fine si mescolano pensieri e movimenti, connessioni e interruzioni nella scia breve che È diventato il tempo. Uno stile, ma anche un non saper fare diversamente: rispondere a un e-mail e fare le tabelline e navigare sul web e mandare un sms È un intreccio che È la loro trama, che È la loro vita. Sono gli altri che lo definiscono caos, tutti quelli delle generazioni prima, quelli di una cosa per volta. Gli adolescenti con internet sentono invece il mondo sulle dita. Uno studio recente della KaiserFamily Foundation rivela che quando i ragazzi "studiano" per così dire seduti alle loro scrivanie, peril65% del tempo fanno altre cose. Nei 1999 il 16 per cento degli studenti confessava di multitaskare, nel 2005 la percentuale È salita al 26. Più le ragazze che i ragazzi, ma questa È un'altra storia, quella delle donne che sanno tenere tutto insieme come direbbe Almodovar. Forse saranno allenati per un mondo che pretende performance, ma non c'È prova che non si possa fare bene anche procedendo in sequenza sostiene David Meyer, esperto cognitivo all'Università del Michigan. Somiglia un po' alla diatriba ordine- disordine, nella confusione che cresce l'ansia di risistemare. Sul Newsweek di questa settimana si cita una ricerca della British Columbia: il rumore e i disturbi ambientali accrescono le capacità cognitive della mente degli studenti. Le distrazioni aumentano la concentrazione, i pensieri e i gesti che si incrociano fanno entropia, che È disordine, ma che È anche costruzione e alla fine vita. Forse superficiale e parziale, ma almeno È attenzione. ========================================= ______________________________________________ La Nuova Sardegna 2 mar. ’07 CLINICA ARESU: FUORI LE CODE, NELLE CANTINE MACCHINARI IN ROVINA Due apparecchi diagnostici pagati a suo tempo miliardi giacciono nella polvere dell’ex clinica medica «Aresu» di Alessandra Sallemi CAGLIARI. Sepolte nella ex clinica medica, sotto la polvere e una montagna di radiografie ci sono due apparecchiature comprate intorno al 1994 e f unzionanti fino a pochi anni fa, al punto che si pensava di trasferirle al Policlinico universitario oppure «commercializzarle», vale a dire venderle, affittarle insomma lasciarle usare per esempio al vicino San Giovanni. Invece sono rimaste lì, ad alimentare una polemica sotterranea tra facoltà e rettorato. La risonanza magnetica e la Tac hanno liste d’attesa che vanno da quindici giorni a sei mesi La risonanza magnetica era costata due miliardi e 145 milioni (di lire, era il 1993) e poi nel 1996 erano stati aggiunti due elementi in grado di aggiornarne le prestazioni, pagati rispettivamente 160 milioni e 125 (milioni di lire). Per la Tac c’erano voluti un miliardo 543 milioni e 480 mila lire, data di consegna: 30 giugno 1994. All’inizio degli anni Duemila erano perfettamente funzionanti: ma dal verbale del marzo 2005 sulla riunione del consiglio di dipartimento di scienze mediche internistiche si ricava che la Tac in quel periodo risultava «a posto», mentre la risonanza s’era guastata perché alla fine nessuno si preoccupava più di tenerla funzionante. Non solo, dalla carte salta fuori con chiarezza che quella parte della facoltà di Medicina era decisa a non sprecare la Tac (sopravvissuta) e un docente aveva ricordato quale fosse la prassi: il dipartimento che a suo tempo aveva ricevuto in carico l’apparecchio se non avesse continuato a usarlo avrebbe dovuto commercializzarlo, in altre parole poteva venderlo. Nella relazione fatta da un docente su incarico del direttore del dipartimento circa le condizioni di ciascun macchinario attivo nella clinica medica, a proposito della Tac si affermava senza ulteriori spiegazioni che sarebbe stata trasportata dalla ex clinica Aresu al Policlinico di Monserrato, ma il trasloco non è mai avvenuto. Poi comincia il resoconto di una vicenda che probabilmente spiega perché macchinari funzionanti siano stati abbandonati nel piano sotto terra dell’ex Aresu: dalle carte risulta infatti che l’abbandono della clinica medica in favore del Policlinico di Monserrato fu caotico e governato dalle necessità di altre facoltà universitarie. Così il verbale. «Il direttore del dipartimento (scienze mediche internistiche) ricorda ai componenti del consiglio che la dismissione della clinica Aresu è stata forzata dall’università di Cagliari, prescindendo dalla volontà del direttore e dei docenti». In quel periodo c’era un docente consegnatario dei beni (il direttore della clinica Aresu) ma «l’Università con un atto di pirateria è entrata in clinica, con dei camion per prendere tutto ciò che trovava senza informare il direttore di ciò che stava accadendo ». Ci fu anche una denuncia: «... ignoti si stavano impossessando dei beni giacenti in clinica Aresu, tali squadroni — è scritto nel verbale — sono entrati persino nelle grotte dove giacevano numerosi beni tra cui alcuni ancora imballati e solo l’intervento di un docente ha evitato che venissero portate via apparecchiature ancora nuove e imballate». Durante l’altolà imposto dal docente, reagenti e bombole del gas furono scaricati nel cortile della clinica e allora il trambusto si diffuse fra il personale preoccupato di quel parco di esplosivi davanti alla porta della clinica. Un altro docente, ancora nel verbale del 9 marzo, racconta di aver assistito «all’intrusione nelle cucine della clinica di un prete seguito da una squadra di ragazzi che hanno portato via tutto ciò che potevano prendere ». E’ ovvio che qualcuno li aveva autorizzati, e nel verbale si sostiene che questo trasloco «era stato gestito dall’alto ». Poi si entra nel merito di una questione delicata: la proprietà dei beni del Dipartimento che appartenevano alla clinica medica risulta dal registro di carico patrimoniale, il Policlinico «non può reclamare la proprietà di ciò che non è mai stato ufficialmente scaricato da tale registro », «lo scarico di un bene avviene normalmente per obsolescenza o perché non è economicamente vantaggiosa la sua riparazione, il resto deve essere commercializzato, il Dipartimento può vendere ciò che funziona. La confusione — si legge ancora — è nata dalla fretta che l’Università ha avuto di dare locali ad altri... Tutto ciò che è recuperabile deve essere riutilizzato o venduto o dato in uso con apposita convenzione...». Poi si riafferma che, siccome la clinica medica continuerà a funzionare nel Policlinico universitario, bisogna trasferire anche i macchinari necessari per lavorare. Ma ecco che in mezzo alla polemica e ai chiarimenti riemerge la risonanza magnetica: è stata danneggiata nello scaricabarile provocato dalla scadenza del comodato col quale il Policlinico poteva usare la macchina, e nel verbale si sottolinea che tale apparecchio avrebbe dovuto trovato il suo spazio d’uso nell’ambito dell’azienda mista «soprattutto per il San Giovanni che non possiede una risonanza magnetica nucleare ». La risonanza magnetica di solito non è un esame diagnostico che si richiede in via urgente, però nell’Asl 8 il primo giorno utile per sottoporsi a questa indagine è il 14 maggio 2007 mentre al Brotzu è il 27 agosto. Per la Tac: se non c’è un’indicazione d’urgenza la lista (dato di ieri) ha il primo posto libero il 14 marzo, il Brotzu invece il 17 giugno. Sull’urgenza (ad esempio un sospetto tumore), l’esame si può fare il giorno dopo. ______________________________________________ La Nuova Sardegna 28 Feb. ’07 SAN GIOVANNI DI DIO: SUBITO IL TRASFERIMENTO A MONSERRATO San Giovanni di Dio. Riunione del Comitato dei clinici: appello all’assessorato regionale alla Sanità Azienda Mista, chiesta la nomina immediata del direttore generale CAGLIARI. L’Azienda ospedaliera Università-Regione sulla carta c’è, adesso serve una nuova svolta: la nomina, al più presto, del direttore generale, e anche un intervento economico forte ‹per trasferire tutti reparti dell’ospedale San Giovanni di Dio al Polo universitario››. Sono questi due dei tre punti messi in chiaro dal neonato Comitato dei clinici del vecchio ospedale, più di cento tra medici, infermieri, personale tecnico e amministrativo, che ieri sera ha affollato un’aula della clinica di Anatomia patologica, per parlare dell’Azienda mista alla luce del Piano sanitario regionale. Nessuna guerra e nessuna voglia di strigliare qualcuno, avvertono dal Comitato, i cui aderenti per adesso preferiscono non uscire allo scoperto. Il vero obiettivo creatura è avere subito un interlocutore con il quale affrontare i cambiamenti- Un’ipotesi accarezzata per anni, che ora, pur avendo visto la luce sulla carta, stenta a diventare reale. Il via, è stato ricordato ieri, prima era previsto per l’estate del 2006, poi è slittato a gennaio di quest’anno, e ora, a un mese da quella scadenza, non c’è ancora nessun segnale. Per questo, si legge in una nota diffusa dal Comitato è necessario ‹‹perseguire con la massima urgenza› alcune priorità. Come la costituzione dell’Azienda mista e la nomina immediata del direttore generale. Questi primi pass permetterebbe al San Giovanni di uscire dall’attuale ‹‹provvisorietà›› che disorienta e indispettisce gli utenti, e mortifica il lavoro di medici, infermieri e impiegati. ‹‹Sono ormai diversi anni- è scritto nella nota del Comitato - che il San Giovanni vive un continuo depauperamento delle risorse e un progressivo disinvestimento in aggiornamento tecnologico››. Una situazione, continuano gli ospedalieri, attribuibile sono in minima parte alla congiuntura economica sfavorevole: la vera responsabilità, dicono, sta in ‹‹specifiche scelte politiche››. L’altro punto forte del Comitato è rivolto alla Giunta regionale: ‹‹Chiediamo un intervento economico consistente per il completamento del polo di Monserrato, in modo che il trasferimento delle diverse attività del San Giovanni avvenga nel minor tempo possibile››. Tempi brevi, sì, ma durante i quali non dovrà mai scadere la qualità dell’assistenza nel Vecchio Ospedale civile che durante il “passaggio di consegne” dovrà continuare a garantire uno standard di servizi “mai venuto meno nonostante le tante difficoltà di questi anni», sostiene il Comitato. Intendimento racchiuso tutto nell’ultimo punto del documento: ‹‹In attesa di vedere concretizzato il trasferimento nel polo di Monserrato, auspichiamo subito i lavori di ristrutturazione, la messa a norma e l’aggiornamento tecnologico dell’ospedale››. Significa, per esempio, ascensori decenti e impianti tecnologici efficienti. Sabrina Zedda ______________________________________________ L’Unione Sarda 3 mar. ’07 POLICLINICO. ADESIONI DAGLI AUSILIARI DEGLI ALTRI OSPEDALI Nasce il comitato dei precari: si estende la lotta per il lavoro È stato costituito il comitato degli ausiliari del Policlinico universitario di Monserrato. Centoventotto agenti socio-sanitari cercano le adesioni dei loro colleghi che si trovano nella stessa situazione di estenuante precariato. Con loro anche quelli degli altri dipartimenti universitari che con l'azienda mista potrebbero perdere per sempre il loro lavoro: Binaghi, San Giovanni di Dio, Macciotta, Is Mirrionis, Santissima Trinità. I precari del Policlinico, che dovrebbe convogliare il personale delle strutture in via chiusura, per settimane sono rimasti accampati a turno dentro le tende davanti al palazzo del Consiglio regionale. Ma non è servito a nulla. I 128 agenti socio-sanitari l'anno scorso hanno partecipato a un concorso pubblico per assunzioni temporanee che non avevano date di scadenza. Vinto il concorso, sono passati alla rotazione che per alcuni è durata tre mesi, per altri nove. Ora il nulla. Con loro ci sono anche giovani medici e infermieri pronti a far parte del nuovo comitato. Obiettivo: diventare un'unica voce per la tutela dei diritti di lavoratori. «Accompagniamo i pazienti in sala operatoria e alle visite specialistiche, riordiniamo le camere, passiamo il vitto, ritiriamo i farmaci», spiega Gianfranco Angioni della Cisal che ha fondato e presiede il comitato. «Non solo: puliamo le sale operatorie, portiamo le provette nel laboratori, ritiriamo i referti e facciamo anche molto altro. Senza di noi gli ospedali non funzionerebbero e i primi a pagarne lo scotto sarebbero i malati». Il compito del comitato è mantenere un continuo contatto con il Rettore, il Presidente della Regione, il preside della facoltà, con tutte le forze politiche e sindacali per sollecitare le procedure necessarie al percorso di stabilizzazione del personale ausiliare del policlinico universitario. «L' assessore alla Sanità», spiega Angioni, «ha dato parere negativo per lo svolgimento dei corsi di aggiornamento all'Università, riservandoli solo ai suoi uffici e a chi aveva l'assunzione a tempo indeterminato. È un'ulteriore conferma che noi siamo esclusi a priori dall'azienda mista alla quale abbiamo invece diritto di fare parte». Verrebbero così a mancare le già inserite figure degli agenti sanitari. «Alcuni ci sono ormai da lunghi anni», dice uno dei precari, Andrea Piras, «e sono fondamentali per la garanzia di un servizio efficiente. Ma perché questo sia continuo e garantito nel tempo è necessario che tutto il personale venga stabilizzato e non sia invece costretto a dormire in una tenda o a restare senza un euro dopo anni di lavoro e impegno costante verso i malati di qualunque età». Le adesioni al comitato sono gratuite. Informazioni: e-mail angioni.gianfranco@alice.it, telefono 349/7343086. Beatrice Saddi ______________________________________________ Il Sole24Ore 2 mar. ’07 INTRAMURARIA: LE CLINICHE CENTRALIZZANO LE PARCELLE DEI MEDICI Fisco e salute. Diventa operativa la disposizione della Finanziaria 2007 La struttura privata deve riscuotere l'«intramuraria» Pierpaolo Ceroli Gianluca Natalucci L'attività libero professionale, dei medici e del personale sanitario, svolta presso strutture sanitarie private, presuppone l'incasso delle prestazioni «in modo unitario dalle stesse strutture sanitarie». La previsione, operativa da ieri, è contenuta all'articolo 1, commi 38-42 della legge Finanziaria 2007. La legge stabilisce che le strutture provvedono a: «a) incassare il compenso in nome e per conto del prestatore di lavoro autonomo e a riversarlo contestualmente al medesimo; b) registrare nelle scritture contabili obbligatorie, ovvero in apposito registro, il compenso incassato per ciascuna prestazione di lavoro autonomo resa nell'ambito della struttura». La disposizione risulta però di difficile applicazione dal momento che il testo normativo non lascerebbe intravedere, salvo smentite, la possibilità di emettere, da parte della struttura sanitaria, un'unica fattura nei confronti del paziente comprensiva anche delle prestazioni rese dal professionista. Un'altra difficoltà è nella previsione sul riversamento contestuale dell'incasso.Ciò infatti presuppone che a fronte di ogni parcella riscossa per conto del professionista il responsabile, preposto a tale funzione, prima di provvedere al successivo incasso, che potrebbe anche essere relativo a un altro medico, provveda a girocontargli la somma percepita. Occorre perciò che vengano chiarite le modalità operative nel caso in cui, per esempio, il pagamento della somma non avvenga in contanti, ma con assegni. In che momento deve essere riversata la somma incassata con assegno: quando la clinica percepisce l'assegno o quando ne ha l'effettivo accredito? E se non andasse a buon fine? Inoltre dal momento che la Finanziaria all'articolo 1, comma 69 (modificando l'articolo 35 del Dl 223/06) prevede la tracciabilità dei compensi ai professionisti, non si comprende se tale disciplina trova applicazione solo nel momento in cui la struttura privata riversa l'incasso o anche rispetto al paziente. Tenuto conto che il comma 42 prevede: «restano fermi in capo ai singoli prestatori di lavoro autonomo tutti gli obblighi formali e sostanziali previsti per lo svolgimento dell'attività». Un ulteriore dubbio riguarda la modalità di fatturazione al paziente di una visita eseguita presso la clinica. In questo caso, la struttura sanitaria privata, avendo per esempio messo a disposizione solo lo studio medico, fatturerà in esenzione Iva? Rispetto a queste perplessità, insieme con i termini e le modalità di comunicazione telematica all'Agenzia dell'ammontare dei compensi complessivamente riscossi per ciascun percipiente, si attende ancora una presa di posizione da parte dell'agenzia delle Entrate. Senza chiarimenti, la norma - che "vorrebbe" contrastare pratiche di evasione fiscale - potrebbe avere, paradossalmente, un risultato speculare. ______________________________________________ La Nuova Sardegna 1 mar. ’07 TROPPE DIFFICOLTÀ PER I GIOVANI MEDICI Gli Ordini accendono i riflettori sui ritardi e le inadempienze delle istituzioni CAGLIARI. In Sardegna c'è una fascia di laureati che rischia di non fare il medico: sono i neodottori che non entrano nelle scuole di specializzazione, per il cui accesso la legge finanziaria regionale prevede regole nuove, valide ma costose. Se i fondi non saranno raddoppiati, si dimezzeranno gli ingressi. Altro fenomeno: l'emigrazione dei medici che non trovano posto e per i quali la collettività sarda ha speso, almeno, 300 mila euro ciascuno. Il rapporto tra formazione e programmazione sanitaria sarà il tema dominante all'inaugurazione dell'Anno sanitario, appuntamento degli ordini dei medici, quest'anno a Oristano. Ieri all'ordine dei medici di Cagliari si è svolta la conferenza stampa per presentare la giornata di Oristano, che si terrà al Teatro Garau in via Parpaglia, dalle 10 in poi. «Il 19 gennaio scorso - ha esordito Raimondo Ibba presidente di Cagliari e consigliere regionale - è stato approvato il piano sanitario regionale: una cornice dove inserire le professionalità e le modalità per mettere in funzione il sistema e dare corpo ai progetti del piano. E' importante riflettere su ciò che si sta affacciando nel mondo della sanità: il caso Welby, il caso Nuvoli pongono forti problemi nella funzione del medico». Agostino Sussarellu presidente della federazione degli ordini dei medici della Sardegna: «Dopo 21 anni c'è un piano, per anni la programmazione è stata fatta in modo settoriale, senza concertazione sui bisogni della medicina e sulle professionalità da mettere in campo, gli ordini si candidano, non da oggi, per catalizzare le sinergie necessarie a modulare la formazione, basilare per erogare prestazioni di qualità. La formazione del medico deve essere intesa in modo innovativo: nei casi Welby, Nuvoli, si esula dall'aspetto tecnico servono conoscenze etiche, morali, con responsabilità importanti sul piano deontologico intrinseche alle scelte di fine vita. Nel nuovo codice deontologico approvato il 16 dicembre scorso si impone una nuova attenzione all'ambiente e il medico viene indicato come un punto di riferimento. Un altro tema urgente è l'occupazione dei medici: in Italia ci sono 11 mila precari, nell'isola non abbiamo gli strumenti per dire quanti siano i professionisti sottoccupati anche a causa del sistema di accesso alle scuole di specializzazione. E c'è una fascia della popolazione medica che rischia di non venir mai integrata nel sistema sanitario regionale. Inoltre c'è un forte fenomeno di emigrazione di medici formati a spese della Regione che devono emigrare perché non c'è lavoro». Antonio Sulis presidente dell'ordine di Oristano: «Per avere il numero di medici che occorrono ci vuole programmazione». «I ragazzi iscritti nel 2006 - notava Sussarellu - entreranno nel mercato del lavoro nel 2018-2020: sappiamo quanti e quali medici servono con una proiezione di 12, 14 anni? No». «Non c'è dubbio - commentava Ibba - che la Regione potrebbe dare una spinta maggiore all'Università perché finalizzi la formazione agli obbiettivi del sistema sanitario regionale. Le due parti si incontrano, ma il risultato finale è che la Regione si lamenta della scarsa risposta universitaria alle necessità del sistema sanitario, mentre la Regione viene accusata di non legare le proprie necessità culturali all'università». (a. s.) ______________________________________________ Il Sole24Ore 1 mar. ’07 LA SPESA SANITARIA È IN FRENATA Conti pubblici. Le uscite del 2006 per i farmaci a carico dello Stato sono a quota 12,327 miliardi L'incremento rispetto al 2005 non ha superato il 5% I TAGLI Il trend di riduzione è stato condizionato dal calo dei listini per i medicinali rimborsati Roberto Turno ROMA Il Governo taglia i prezzi e automaticamente s'abbassa la febbre della spesa farmaceutica pubblica. Anzi, crolla. Aiutati solo dalla riduzione del 10% dei listini dei farmaci rimborsati dal Ssn, i conti della spesa farmaceutica sono tornati così quasi in equilibrio. Con una caduta verticale del 12,3% a dicembre, dopo l'8,9% in meno di novembre e la crescita "zero" di settembre e ottobre, il bilancio del 2006 per i farmaci a carico dello Stato s'è fermato a 12,327 miliardi: +4 per cento sul 2005. In netta controtendenza rispetto al primo semestre dell'anno, quando per tre volte (a gennaio, marzo e maggio) s'erano registrati picchi d'incremento prossimi al 15 per cento. Segnali d'allarme che avevano portato il Governo e l'Aifa al varo di più manovre taglia-spesa in corso d'anno, Finanziaria 2007 inclusa. Manovre contestate dalle imprese, che hanno bloccato investimenti e fondi per la formazione dei medici, cominciando anche a sfoltire il personale. A partire dagli informatori medico-scientifici. Arrivano da Federfarma, l'associazione che raggruppa i titolari privati di farmacia, i dati di consuntivo della spesa farmaceutica pubblica nel 2006. Un anno, quello che ci siamo lasciati alle spalle, che come al solito ha riservato diverse novità per la farmaceutica. Per le industrie, sicuramente. Ma anche per i farmacisti, ancora alle prese col "dopo decreto Bersani" che ha permesso la vendita anche extra farmacia dei farmaci da banco senza obbligo di ricetta. Per non dire della rinascita dei ticket in alcune Regioni per effetto della Finanziaria e delle manovre locali (come in Campania e Sicilia) di rientro dai deficit. Una situazione di grandissima tensione, che il Governo conta a questo punto di allentare anche col «tavolo» di rilancio della politica farmaceutica che tra i capitoli portanti tratterà di prezzi, coperture dei disavanzi, politica industriale e investimenti. Richiesto a più riprese dalle industrie, il «tavolo» di parte pubblica (Economia, Salute, Sviluppo economico, Regioni, Aifa) s'è già insediato una decina di giorni fa. Ma ora, crisi politica permettendo, si va oltre: per martedì 7 marzo sono infatti partite in sordina le prime convocazioni delle parti private, a cominciare dalla filiera delle industrie e di Farmindustria. Calabria al top L'andamento della spesa e dei consumi di farmaci a carico del Ssn ha registrato come sempre un andamento a macchia di leopardo. La spesa netta fa registrare il picco massimo di +9,3% in Calabria e quello minimo di -7,6% A Bolzano. Le ricette, che hanno raggiunto quota 503 milioni, sono aumentate dal 5,3%, con un'altalena che va dal -1% della Calabria (effetto di particolari politiche, poi abbandonate, del 2004- 2005)e il +8,8% dell'Abruzzo. Più ricette pro-capite (10,34) sono state consumate nel Lazio, meno (5,31) a Bolzano. Mentre la spesa netta media pro-capite vede in testa il Lazio con 288,7 euro e in fondo alla classifica ancora Bolzano con 135 euro. Tutti dati da leggere naturalmente in controluce, e che negli ultimi mesi, ma ancora di più nei prossimi mesi potrebbero riservare novità per l'effetto delle manovre 2007. Resta il fatto, sottolinea Federfarma, che tra i fattori che più di tutti hanno condizionato l'andamento della spesa, uno soprattutto ha prevalso: l'effetto ticket. O meglio: l'effetto no-ticket. Due casi tra tutti: il Lazio e la Calabria, che in periodi diversi hanno cancellato la compartecipazione. E il rimbalzo sulla spesa è stato immediato, proprio come il taglio dei prezzi. ______________________________________________ Sardegna 27 Feb. ’07 NON PIACE LA SANITÀ DECENTRATA La protesta. Cittadinanzattiva e Tribunale del malato si uniscono alla petizione dei Riformatori «Gli ospedali rimangano in città» L'appello al Consiglio regionale: «I disagi per pazienti e disabili sarebbero troppo grandi» Niente decentramento degli ospedali. È un no deciso alla realizzazione di una nuova rete ospedaliera lontana dal centro cittadino, quello pronunciato da Cittadinanzattiva e dal Tribunale per i diritti del malato. Una protesta che si unisce a quella avviata nei giorni scorsi dai Riformatori sardi, che avevano promosso una raccolta di firme “per salvare gli ospedali cagliaritani”. Ora ecco una nuova presa di posizione: «Non siamo d'accordo sulla dismissione indiscriminata degli ospedali cagliaritani- si legge nel comunicato diffuso ieri da Cittadinanzattiva- in favore di una nuova struttura ospedaliera che verrebbe sistemata fuori dalla città in un territorio ancora imprecisato, con le gravi situazioni di disagio soprattutto per gli anziani, i disabili e per fronteggiare tempestivamente situazioni di emergenza». Da qui parte un appello rivolto a tutte le forze politiche regionali, perché si inverta la rotta dei progetti sanitari in partenza: «Pertanto la nostra associazione- scrive il Tribunale del malato- che ha già espresso la propria posizione in un documento inviato ai capigruppo dei partiti politici presenti in Consiglio regionale nel corso della discussione sul piano sanitario, aderisce alla raccolta di firme promossa dai Riformatori Sardi ritenendo che tale iniziativa abbia una valenza che va al di là delle diverse appartenenze politiche, ma sia una iniziativa in favore dei cittadini i quali, da soli. non possono far sentire la loro voce». TROPPI SAREBBERO insomma i disagi per i pazienti, troppi soprattutto in rapporto ai possibili benefici. Al contrario la chiusura del Santissima Trinità, del Marino e del San Giovanni e il ridimensionamento del Binaghi sarebbero un pesante ostacolo. Se un nuovo ospedale deve nascere, che sia nel territorio del capoluogo. «Nessuno è contro la costruzione di un nuovo ospedale- aveva detto il consigliere regionale Pierpaolo Vargiu presentando la petizione- ma nella storia di Cagliari è una struttura aggiuntiva a quelli preesistenti, invece quello che si vuole fare ora è sostituire quelli vecchi, tagliando peraltro ben 860 posti letto su 3442. E conosciamo già tutti la tragedia delle brande per i pazienti sistemate nei corridoi per la mancanza di spazio». Inoltre, ha proseguito l’esponente dei Riformatori, «nella Finanziaria del 2007 non c’è traccia di questo nuovo presidio, non sono stati destinati fondi per la sua costruzione». In definitiva insomma la scelta di costruire un polo fuori dal centro urbano è bocciata: «È un problema che riguarda tutta l’area vasta- sostiene Vargiu- perché se un ricoverato è, ad esempio, di Villacidro, i parenti che vengono a visitarlo si trovano in grande difficoltà». J. N . ______________________________________________ L’Unione Sarda 26 Feb. ’07 IBBA: IL CONFLITTO REGIONE - SANITÀ ALIMENTATO DAI CATTIVI RAPPORTI Lui, alla resa dei conti, non c’era. Mondino Ibba, presidente dell’Ordine dei medici non c’era. Mondino Ibba, presidente dell’Ordine dei medici di Cagliari, consigliere regionale socialista, ha preferito star fuori dalla scena e quanto accaduto in quel caldissimo salone del Mediterraneo se lo è fatto raccontare, o lo ha letto sul giornale: «Un grosso errore di fondo alimenta questo dibattito», dice Ibba, «si confonde la gestione della sanità con i contenuti del Piano». E non solo: «Non mi pare ci sia scritto nel documento approvato in Consiglio regionale che chiuderemo gli ospedali a Cagliari». Ibba, vuol dire che lo scontro sul fronte cagliaritano non ha ragione d’essere? Vuol dire che stiamo decidendo di ridurre i posti letto, non che chiudiamo gli ospedali per costruirne un altro e basta. Che confusione. Già, è proprio quello che sostengo: si sta facendo confusione a destra e a sinistra, perché ridurre i posti letto di 670 unità non significa che la gente resterà fuori dagli ospedali, ma che grazie ai progressi della medicina ci si potrà curare in regime di day hospital per le stesse patologie per le quali, ancora adesso, si procede a un ricovero di alcuni giorni. Le critiche che arrivano anche dalla mia coalizione mi fanno capire che si è fatta poca chiarezza su questo tema. L’opposizione sta raccogliendo le firme per fermare la chiusura di alcuni ospedali a Cagliari. I Riformatori non hanno ragione, mi dicano dove sta scritto che chiuderanno le strutture in città. Saranno realizzati dei poliambulatori in grado di garantire le stesse prestazioni, ma fuori dagli ospedali. Con meno stress per il paziente, che nel pomeriggio sarà già a casa sua dopo una mattina di terapia. Il presidente Soru, anche sabato, ha puntato l’indice, per esempio, sul Santissima Trinità. L’ospedale di Is Mirrionis non chiuderà, rassicuro così anche il deputato Emanuele Sanna. Saranno ricavati ambulatori, consultori, realizzando strutture che ci permetteranno, lo ripeto, di evitare ricoveri inutili per il paziente e per il sistema sanitario. Allora la grandissima parte dei medici sardi, alcuni rappresentati da lei, non ha capito nulla. Non direi, perché alla base del grande conflitto che stiamo vivendo fra l’istituzione politica e la categoria dei medici ci sono pessimi rapporti umani. Sia più chiaro. Le relazioni fra l’assessore Dirindin e i vertici dei medici, sia ospedalieri che universitari, sono al minimo storico. E questa tensione penalizza il Piano sanitario, che invece è un buon lavoro per quanto riguarda i contenuti. Aggiungo che il modo di interpretare il ruolo dei direttori generali Gumirato e Zanaroli, a Cagliari e a Sassari, alimenta oltremodo questa tensione. Anch’io, se fossi stato sindacalista, sarei perennemente di pessimo umore. Allora hanno ragione i medici, quando si lamentano di essere stati ignorati. Faccio parte della commissione Sanità, dove il Piano è stato analizzato e modificato e posso testimoniare che i medici sono stati ascoltati e i loro documenti esaminati con attenzione. Però, se nei rapporti quotidiani fra assessorato e personale sanitario si procede con atti di imperio, conditi magari da manager arroganti e prepotenti, allora il malessere è giustificato. Dia un voto a questo Piano delle polemiche. Sottolineando che è impossibile che un lavoro come questo metta tutti d’accordo, perché sono in tanti a sperare in un “prodotto” su misura, dico che è un ottimo Piano sanitario. Insufficiente per quanto riguarda Psichiatria, Neuropsichiatria dell’adolescenza e magari per un eccessivo rigore nel numero dei posti letto. Chiuderete gli ospedali a Cagliari? Ci aiuterà l’ingegneria sanitaria, il servizio sarà più razionale. E NRICO PILIA ______________________________________________ La Nuova Sardegna 25 Feb. ’07 RAFFICA DI CRITICHE AL PIANO SANITARIO Renato Soru tranquillizza i medici: «Non è eterno, dura solo tre anni» di Stefania Siddi CAGLIARI. Ora che il Piano sanitario regionale è fatto bisogna fare una buona sanità sarda con il contributo di tutti. Questo l’obbiettivo della prima Assemblea regionale del Coss, il Coordinamento della sanità sarda, dal titolo: “Piano Sanitario Regionale — una cornice da riempire”, tenutasi ieri all’hotel Mediterraneo, a cui ha partecipato il presidente Renato Soru. Assente, perché non invitata, l’assessore Dirindin. Il comitato, secondo Gavino Faa, preside della facoltà di medicina a Cagliari, non è contro niente e contro nessuno e quella di ieri ha voluto essere una giornata di confronto e dialogo costruttivo fra i rappresentanti delle sigle sindacali, operatori sanitari e politici. Eppure, a fronte di tante proposte, sono state numerose e aspre le critiche. Un piano approvato troppo in fretta ma che nasce già vecchio e che potrebbe essere presto superato dalla attesa riforma Turco. Si tratta inoltre di un Piano antieconomico, con lacune, omissioni e imprecisioni, approvato senza il coinvolgimento degli operatori. Sebbene condivisibile nei principi, manca l’integrazione fra ospedale e territorio, ancora inadeguato. Occorre quindi lavorare per migliorare i tre pilastri della sanità: ospedali, territorio ed emergenze. Duri attacchi al governo sanitario sono giunti dal preside della facoltà di medicina di Sassari Giulio Rosati, che ha messo in dubbio le capacità gestionali di certi manager “conterranei”. Rosati ha parlato di rischi di perdita di qualità nella formazione e la scarsa quantità di infermieri rispetto alla popolazione, che vede la Sardegna all’ultimo posto in Italia, la riduzione di borse di studio e scuole di specializzazione. E poi ci sono la carenza di personale, l’assenza o obsolescenza di tecnologia, i locali inadeguati. A gran voce si è chiesto il coinvolgimento di medici e operatori sanitari, ma anche la diagnostica nel territorio, l’informatizzazione degli ambulatori e il collegamento in rete. Fra i nodi critici della sanità vi è il precariato che in Sardegna impiega 3028 professionisti sanitari, di cui 690 sono medici. Mancherebbero poi adeguate politiche del personale. Ma i danni maggiori il Psr li avrebbe creati alla psichiatria e alla salute mentale in genere, come ha rilevato Susanna Montaldo. Non si capisce chi curerà i disagi medio-lievi e si è arrivati a negare la malattia psichiatrica. Se nella pediatria si registrano luci e ombre nella continuità assistenziale o guardia medica sono più le ombre, primi fra tutti l’isolamento professionale, la mancanza di strutture adeguate e strumenti diagnostici, e la sicurezza. Si è parlato anche di sanità privata che da trent’anni contribuisce a ridurre le liste d’attesa degli ospedali. Il compito di ribattere alle numerose critiche e istanze è toccato al presidente Soru. ‹‹Anzitutto — ha detto — riconsegniamo la sanità ai pazienti e non ai medici, se no è come restituire le auto agli ingegneri. Il diritto alla salute prescinde dalla ragioneria, che però serve per poter contenere i costi e poter offrire una sanità migliore››. Secondo il presidente, ciò che causa tanta animosità è la percezione errata che il Psr debba durare vent’anni, mentre ne durerà solo tre. Nel 2009 se ne farà un altro e chi non è salito sul pullman potrà farlo. Soru respinge le accuse di mancanza di concertazione. ‹‹ Non mi pare che non si sia discusso né che non si discuterà in futuro››. E poi ancora la difesa della riorganizzazione ospedaliera, e il tentativo di riduzione della spesa farmaceutica dal 17 al 13% con un risparmio di 100 milioni. I tagli sulle scuole di specializzazione? Una scelta necessaria laddove vi sono uno o due specializzandi. Sul precariato la Regione si è impegnata al superamento con un provvedimento approvato all’unanimità e non manca la copertura nella finanziaria 2007. Critica l’assessore Dirindin, che raggiunta al telefono ha detto: ‹‹La sanità non appartiene ai medici ma ai cittadini. È una cultura che deve cambiare. L’avvenuta concertazione la possiamo documentare. Queste sono accuse pretestuose da parti di chi cerca di resistere al cambiamento››. ______________________________________________ L’Unione Sarda 24 Feb. mar. ’07 PSICHIATRIA: EMERGENZA ANNI SETTANTA Cagliari ferma ai tempi di Basaglia - di Maria Ferri* Dei servizi di assistenza psichiatrica si è parlato di recente in occasione di alcune vicende di cronaca, durante le discussioni sul Piano sanitario regionale e anche fra operatori. Mi riferisco alla Asl 8, dove in passato ho lavorato come psichiatra per circa 30 anni. Il Piano regionale per la Psichiatria, basato sul Progetto obiettivo nazionale, è stato approvato negli anni '90, ben prima degli altri. Da quella data è stato attuato a singhiozzo, spesso frenato da bisogni "più urgenti", sempre con scarsi finanziamenti. Ma è andato avanti. Attualmente pare che la Psichiatria abbia ottenuto una nuova attenzione e forse i finanziamenti necessari a completare quanto solo parzialmente realizzato. Ma dalle informazioni raccolte mi coglie il timore che ci si proponga non già di operare in questa direzione, bensì di produrre nuovi carteggi pieni di enunciazioni di principio e dichiarazioni di intenti. Come se questa Sardegna fosse apparsa ai nuovi amministratori priva di programmi e strutture, vuota di cervelli e professionalità. Bisognosa di ripartire da zero. Ho letto dell'intenzione, annunciata come straordinaria novità, di «curare il malato e non la malattia». Mi chiedo chi abbia mai sostenuto il contrario da 40 anni a questa parte. Dopo la legge 431 del 1968, che rese possibile il ricovero volontario negli ospedali psichiatrici, l'apertura dei cancelli e dei reparti e l'uscita di pazienti e operatori nel mondo esterno, il malato è sempre stato al centro di tanti discorsi e interventi. I progetti di cui si parla oggi somigliano molto a quelli di 30 anni fa. È vero che allora saremmo voluti andare in molti a Gorizia, dove stava Basaglia, per osservare e trovare conferme. Ma sono passati molti anni. Ora medici e infermieri vengono mandati a Trieste: in pellegrinaggio? A fare cosa? A tentare di sovrapporre la realtà sarda a quella di Trieste? Ma l'una e l'altra sono diverse per storia e tessuto sociale e i differenti percorsi non sono esportabili. Negli anni Novanta, il Piano regionale per la Psichiatria consentì l'apertura dei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, l'istituzione dei dipartimenti di Psichiatria, l'avviamento di strutture territoriali, la chiusura dei manicomi. Nonostante questo, il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura a Cagliari vive un'emergenza fuori legge, per molti versi simile a quella degli anni Settanta. Il Piano sanitario nazionale e quello regionale per la Psichiatria, il Progetto obiettivo, l'Organizzazione mondiale della Sanità hanno stabilito parametri precisi: un posto letto ospedaliero ogni 10 mila abitanti, reparti di 16 posti letto negli ospedali generali, ciascun reparto con personale proprio, sufficientemente numeroso e qualificato. Pertanto a Cagliari, cui fanno capo 540 mila abitanti, i posti letto dovevano essere 54, suddivisi in diversi Servizi psichiatrici di diagnosi e cura da 16 posti letto ciascuno negli ospedali generali. Invece al Santissima Trinità, dove pure la struttura è enormemente migliorata, rimangono 26 posti letto in un solo reparto. Con il personale, soprattutto infermieristico, contratto ai minimi termini. E qui mi torna in mente un'altra tappa storica, vissuta quando ancora ci trovavamo in ospedale psichiatrico. Durante le riunioni fra medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali, divenne chiaro come, per evitare le contenzioni fisiche, fosse necessario avere spazi attrezzati e un congruo numero di operatori adeguatamente preparati. Lo slogan era: più personale al posto delle fasce di contenzione. Più infermieri, meno pazienti legati. Erano gli anni '70 e la novità di questa rivoluzione si accompagnava a una libertà d'azione suggerita dalle idee e sostenuta da grandi speranze di cambiamento. Quando divenne chiaro che volontà e convinzione non erano sufficienti, il processo di cambiamento rallentò, si fece più difficile. Gli operatori da allora non hanno rinunciato alle loro convinzioni, ma hanno dovuto fare i conti con la realtà. Per questo mi risulta sempre meno comprensibile l'atteggiamento dei nuovi amministratori, che sembrano arrivare come colonizzatori fra abitanti senza storia, analfabeti e incompetenti. Intravedo, in diversi reparti, amministratori e medici mai consultati e costretti a subire direttive piovute d'autorità dall'esterno. Credo che il clima di contrapposizione e lotte intestine non abbia mai favorito un lavoro di qualità. Esprimo rammarico per questo stato di cose creato da un'amministrazione di cui ho condiviso e appoggiato molte prese di posizione. Certo, questi dirigenti venuti dal "continente" hanno meno interessi privati da difendere, rispetto ai politici locali, hanno meno parenti e meno amici, forse. Ma possibile che fosse l'unica soluzione? La Psichiatria è altra cosa dal litorale di Quartu e da Tuvixeddu e, siccome paga poco, ha sempre incontrato molti ostacoli. Ma ha fatto molta strada, nonostante tutto e grazie all'impegno e alla perseveranza di molti operatori. E nonostante alcune amministrazioni sorde e indifferenti, se non apertamente contrarie. *Psichiatra ______________________________________________ Il Sole24Ore 26 Feb. mar. ’07 SANITÀ. AL NORD TUMORI IN CALO GRAZIE AGLI SCREENING I rischi oncologici aumentano nel Sud ART002 Paolo Del Bufalo Manuela Perrone Il Sud si avvicina al Nord. Ma solo per i dati negativi sulla salute. Primo tra tutti, il numero di tumori, in diminuzione nelle Regioni settentrionali e in crescita in quelle meridionali, dove fumo e dieta aumentano il "rischio oncologico". Ad analizzare i dati è il «Rapporto Osservasalute 2006», messo a punto dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, organizzato all'Università Cattolica di Roma con la collaborazione di oltre 200 ricercatori di tutte le componenti istituzionali dell'assistenza. Dal Rapporto emerge un'Italia in sostanziale buona salute, anche se la devolution porta troppe differenze che secondo i ricercatori aumentano i fattori di rischio e gli stili di vita inadeguati. La progressiva sostituzione della dieta mediterranea con una dieta più nordica associata a un maggior rischio oncologico è uno dei motivi di queste tendenze negative, a cui si affiancano le diversità nei programmi di screening. Alcune Regioni del Sud sono in netto ritardo soprattutto per quelli che riguardano i tumori dell'utero, della mammella e del colon-retto. Mentre al Nord, dove questi hanno avuto grande diffusione, l'incidenza dei tumori frena. E se la Basilicata mantiene ancora il record positivo per la mortalità per tumore alla mammella e la Calabria per l'incidenza di quelli al polmone, in realtà in queste due Regioni l'aumento dell'incidenza di tutti i tumori nel periodo 2001-2006 rispetto a quello 1995- 2000 è cresciuta rispettivamente dell'8,6% (il maggior incremento registrato, seguito da quello della Campania: + 6,28%) e del 3,51 per cento. In generale al Nord si registra un calo di tumori del 2,95% negli stessi anni, al Centro aumentano solo dello 0,06% e nel Sud, invece, crescono in media del 3,47 per cento. Non c'è da stupirsi se al Nord l'incidenza dei tumori rallenta. Basta leggere il recentissimo rapporto dell'Osservatorio nazionale screening (Ons), per capire quanto il Sud sia in ritardo sul fronte dei programmi di prevenzione e di diagnosi precoce. Che invece galoppano al Settentrione e al Centro. E si traducono in migliaia di vite salvate. Nel 2005 i progetti di screening mammografico, i più diffusi sul territorio nazionale, hanno coperto tutte le donne delle Regioni settentrionali tra i 50 e i 69 anni, ma appena il 39,3% della popolazione femminile meridionale. E si parla di «estensione teorica» dei programmi, senza tenere conto del numero, sempre inferiore, di chi effettivamente aderisce: 1,03 milioni di italiane su 1,82 milioni che avevano ricevuto l'invito. Il gap geografico si ripropone sul fronte degli screening dei tumori del collo dell'utero: nel 2005 i programmi, che consistono in inviti a sottoporsi a un pap test ogni tre anni, sono stati 116, con un aumento del 3,1% rispetto al 2004. Merito quasi esclusivo del Centro. Il divario si accentua se si considera lo screening colonrettale, il più "acerbo" nel nostro Paese, che consiste in quasi tutti i 52 programmi attivati nella ricerca del sangue occulto nelle feci. Solo nove Regioni sono coinvolte. E al Sud ci sono progetti solo in Basilicata e in Campania. Quest'ultima registra la media di adesione più bassa: il 14,5% delle persone invitate (tutte tra i 50 e i 69 anni). Per ridurre lo squilibrio e spronare le Regioni a promuovere gli screening oncologici, il ministero della Salute ha varato nel 2006 raccomandazioni ad hoc, di cui i piani locali della prevenzione devono tenere conto. ______________________________________________ Repubblica 26 Feb. mar. ’07 UNA VERA ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA È ANCORA L´ALTERNATIVA ALLA TELEMEDICINA LAURA KISS Se funzionasse, si risolverebbero molti problemi per i pazienti e si diminuirebbero i costi della sanità pubblica. Parliamo dell´assistenza domiciliare integrata, quell´assistenza per cui recentemente dal governo sono stati stanziati fondi e stabilite procedure ma che ancora non riesce ad ottenere i risultati sperati. In molti casi, i pazienti vorrebbero esser curati a domicilio invece che in ospedale. E´ quello che emerge da una ricerca commissionata da Air Liquide, condotta da Nextplora, istituto di ricerca e analisi di mercato, su un campione di persone di diverse categorie socio- economiche con età superiore ai 35 anni. Il risultato è che il 77% degli intervistati esprime una preferenza verso forme di assistenza domiciliare, soprattutto a Torino (88%) e Palermo (78). Per coloro che dichiarano di preferire l´assistenza domiciliare, è la serenità che deriva dall´ambiente e dagli affetti familiari la motivazione (58% sul campione.) Nella ricerca emerge che il 91% degli intervistati conosce il servizio di assistenza domiciliare integrata per merito di passaparola e messaggi televisivi mentre poco determinante è il ruolo delle Asl nel diffondere le informazioni relative al servizio. Le donne e i più giovani (35-44 anni) apprezzano i minori disagi per lo spostamento e le conseguenti minori perdite di tempo. «I numeri confermano la volontà delle persone di potersi curare a casa propria anziché recarsi in ospedale, come avviene già in altri paesi, ad esempio Francia, dove la struttura ospedaliera facilita la deospedalizzazione e l´assistenza a domicilio», commenta Carlo Castiglioni, direttore sanitario di Air Liquide. «In Italia esiste una resistenza del settore ospedaliero a trasferire al territorio il trattamento delle patologie croniche stabilizzate. Se per alcune patologie il livello di trasferimento delle terapie a domicilio è soddisfacente in termini numerici e in termini di qualità ed efficacia delle cure, ne esistono altre per le quali i pazienti rimangono ricoverati in strutture di degenza anche se vi sono le condizioni per la gestione domiciliare». C´è da aggiungere che il problema resta legato alla valutazione. Spesso non si riesce a valutare lo stato della malattia di un paziente con gli stessi metodi, e tra Asl e ospedale nasce un conflitto. Nessuno procede in seguito alle verifiche per stabilire se chi viene curato a domicilio sia trattato nella giusta maniera. Il vantaggio in termini di costi avverrebbe solo se si diminuisse il numero di posti in ospedale, altrimenti sarebbe un ulteriore costo per la sanità pubblica. Sulla telemedicina riguardo all´assistenza domiciliare integrata, le aspettative sono ancora scarse: «E´ una tecnologia costosa e non può sostituire l´intervento di un infermiere che serve ad esempio in tutti quei casi dove è necessaria per il paziente una medicazione o la fisioterapia. Insomma noi auspichiamo che il governo stabilisca un fondo più specifico per l´assistenza integrativa a domicilio, riferita non solo all´assistenza sociale ma rivolta in misura maggiore a quella medica domiciliare» ______________________________________________ La Repubblica 2 mar. ’07 AGLI ITALIANI PIACE IL SERVIZIO SANITARIO Secondo l'indagine Istat sulla salute, scontenti solo il 17,2% Diminuiscono i ricoveri, aumentano le visite di controllo Ma il Nord è più soddisfatto del Sud Il ministero della Sanità. Il servizio sanitario piace agli italiani ROMA - Il Servizio Sanitario nazionale? Promosso a pieni voti dagli italiani. Secondo l'indagine Istat sulla salute, effettuata su un campione di 60mila famiglie e presentata al ministero della Salute, un terzo della popolazione è molto soddisfatto del Sevizio Sanitario, e gli dà un voto fra il 7 il 10. Il 43,4% dà una valutazione intermedia, mentre solo il 17,2% esprime insoddisfazione. La figura professionale verso la quale in Italia si ha maggiore fiducia è il medico di famiglia (64,3%), seguito dal medico specialista privato (32,1%) e dal medico ospedaliero (13,3%). Italiani nel complesso soddisfatti, dunque, ma con grosse differenze tra Mezzogiorno e Settentrione. Le regioni nelle quali i giudizi negativi (punteggio da 1 a 4) sono più numerosi si trovano tutte al Sud: Calabria (35,9%), Puglia (28%) e Sicilia (25,6%). Al Nord, invece quelle con un livello maggiore di soddisfazione (punteggio da 7 a 10). In particolare, sono molto contenti del servizio sanitario gli abitanti della provincia di Bolzano (68,8%), della Valle d Aosta (59,6%) e dell'Emilia-Romagna (46,8%). Notizie positive anche per quel che riguarda la salute: la maggior parte degli italiani si sente bene, anche se in bilico fra stili di vita pericolosi (troppo fumo e troppi chili di troppo). Il 61,3% delle persone dai 14 anni in su sostiene di stare bene o molto bene, a fronte del 6,7% che dice invece di stare male o molto male. Le donne si sentono peggio (8,3% contro 5,1%), soprattutto le anziane. Gli italiani hanno anche imparato il valore della prevenzione. Rispetto agli ultimi cinque anni, infatti, diminuiscono i ricoveri (-18,7%). Mentre aumenta del 16,7% il numero di visite effettuate. Un dato che riguarda soprattutto gli ultra settantacinquenni (+36,7%). Il numero di visite generiche è cresciuto del 20,5% e quello delle specialistiche del 10,5%. L'incremento complessivo delle visite si verifica in più della metà dei casi per ripetizione di ricette, in 917 mila casi per malattia e 895 mila per controllo dello stato di salute. Le persone di status sociale più elevato fanno più visite e accertamenti specialistici mentre le persone con livello di istruzione più basso fanno più visite generiche (41,2% contro il 18,1%), accertamenti di laboratorio (23,3% contro il 16,9%) e ricoveri (4,4% contro 2,3%). Tra le visite specialistiche sono più numerose le visite odontoiatriche (26,9%), seguite da quelle ortopediche (11,4%), oculistiche (10,8%) e cardiologiche (9,5%). Aumentano soprattutto le visite urologiche (+35,4%), le cardiologiche (+34,3%), le geriatriche (+33,0%) e le dietologiche (+32,8%). Il 57% delle visite specialistiche è pagato interamente dalle famiglie. Se non si considerano le visite odontoiatriche si arriva a circa il 48%. Marche e Umbria si distinguono per le quote più alte di visite a pagamento; le più basse percentuali si registrano invece in Sardegna e in Sicilia. E' purtroppo elevata la quota di persone di status sociale basso (46,8%) che si fanno interamente carico della spesa. Lazio, Puglia, Marche e Sicilia sono le regioni nelle quali più frequentemente i controlli specialistici sono totalmente a carico degli utenti. ___________________________________________________________ La Repubblica 3 Mar.07 DOVE C0MINCIA LA VITA UMANA MICHELEARAMINI L’intervento di Benedetto XVI ai membri della Pontificia Accademia Pro Vita, di qualche giorno, fa ha aperto un nuovo fronte di discussione bioetica. Il Papa ha detto che: nei Paesi più sviluppati cresce l'interesse per la ricerca biotecnologica più raffinata, per instaurare sottili ed estese metodiche di eugenismo fino alla ricerca ossessiva del "figlio perfetto", con la diffusione della procreazione artificiale e di varie forme di diagnosi tendenti ad assicurarne la selezione. Una nuova ondata di eugenetica discriminatoria trova consensi in nome del presunto benessere degli individui. L'eugenismo È una realtà sempre più diffusa e il Papa invita a sottoporlo a riflessione critica. La crescita di pratiche selettive nei confronti degli embrioni non È per nulla un fatto casuale. Da tempo ormai Agarnel suo saggio Liheraleugenetic ha proposto un "manifesto" che teorizza una nuova eugenetica: Se precettori specializzati, programmi di training, persino la somministrazione dell'ormone della crescita per aumentare di qualche pollice la statura, rientrano nell'ambito discrezionale con cui i genitori allevano i figli, perchè mai sarebbe meno legittimo un intervento genetico teso a migliorare i normali caratteri della prole?. Si parla di nuova eugenetica perchè si vorrebbe marcare una distanza rispetto alla vecchia eugenetica di stampo darwiniana e poi nazista. Si dovrebbe ricordare infatti il movimento culturale anglosassone derivato dalle teorie di Darwin, che perseguiva due obiettivi: l'eugenetica positiva, consistente nell'aumento dei soggetti particolarmente "validi" e L’eugenetica negativa, consistente nella limitazione della capacità riproduttiva dei soggetti non adatti attraverso la sterilizzazione. I1 nazismo poirealizzerà questo secondo obiettivo con il programma di eliminazione fisica di queste persone. La nuova eugenetica ha gli stessi obiettivi della precedente, ma si differenzia per il fatto che li persegue con tecniche più raffinate, ed È figlia della predominanza del modello economico di considerazione dell'uomo. Questo modello economicistico È così tanto diffuso da sembrare ai più del tutto ovvio. Con l'eccezione della Chiesa Cattolica, delle altre grandi voci religiose e di pochi anche se qualificati filosofi (Habermas, Spaemann, ecc.), sembra che non ci sia sufficiente spirito critico per respingerlo. Questo modello chiede che all'uomo si applichi lo stesso modello di valutazione che si usa per i prodotti industriali. noto che i prodotti difettosi si debbono scartare. Ma non basta scartare, occorre pure vincere la gara per la qualità totale (Toyota docet). Perciò trovano giustificazione le tecnicheper diagnosticare, eliminare embrioni e si propone ovviamente anche la rimodulazione del Dna. A dare manforte all'idea di uomo-prodotto si aggiungono i vari "figli" dell'economia: il pensiero debole, pronta a giustificare e supportare ogni desiderio di gratificazione degli adulti; il nichilismo neopagano che ha sempre nostalgia del potere arbitrario sull'uomo. Infine lo scivolamento verso l'eugenismo viene aiutato dalla diminuzione dei costi soggettivi delle pratiche eugenetiche. Essi sono in costante diminuzione, in particolare nel momento in cui all'eliminazione dei neonati handicappati ed allo stretto controllo forzoso sugli accoppiamenti subentra la sterilizzazione chimica o chirurgica dei ritardi gravi; l'anamnesi prematrimoniale in chiave mendeliana; la diagnosi prenatale e lo screening genetico; la fecondazione artificiale e la manipolazione diretta sul Dna dei gameti umani. Questi ultimi interventi suscitano la naturale empatia nei confronti dei soggetti coinvolti, al punto da renderne imbarazzante i1 rifiuto, anche se fosse motivato dai valori umanitari ed individualisti a cui si riferiscono gli stessi che li vogliono realizzare. In altre parole, come si fa a rinunciare a un uomo "migliore", anche se per averlo dobbiamo violare la sua autonomia? La "serena" realizzazione del progetto eugenetico richiede poi che si attui una modificazione del linguaggio, in modo da escludere dall'umanità coloro su cui si vuole sperimentare, fino alla eventuale distruzione. Così abbiamo la distinzione insostenibile tra essere umano e persona umana proposta da Singer. I diritti, compreso quello alla vita, vanno riservati alla persona umana capace di vita relazionale e vita mentale superiore. Ovviamente l'embrione umano È classificato solo come un essere umano privo di qualsiasi diritto, anche di quello elementare di vivere. La distinzione, pur insostenibile filosoficamente, È così comoda che pochi sono disposti a rinunciarvi. In tal modo diventa facile eliminare, secondo la logica dell'eugenetica negativa, i geni malati attraverso l'eliminazione degli embrioni, portatori della tara genetica. Dal punto di vista morale (solo cattolica o universale?), va ribadita la condanna di tutte le pratiche uccisive degli embrioni. Viene addotta la giustificazione che vengono distrutti in nome della qualità della vita. Ma non esiste alcuna qualità dove non c'È la vita. In realtà si tratta di una violazione della pari dignità di ogni vita umana, fatta in nome di quella riduzione di uomo a prodotto di cui parlavamo e perla quale un prodotto non perfetto si butta via. Anche per quanto riguarda l'eugenetica positiva e gli studi che intendono modificare il Dna dei gameti, in modo da avere soggetti con specifiche caratteristiche, siamo nel campo dell'illiceità morale. Infatti con l'alterazione del patrimonio genetico si viola il principio di uguaglianza tra gli uomini. Su questo aspetto la riflessione filosofica ha posto qualche domanda rilevante: abbiamo il diritto di interferire nella vita degli altri? Non si tratta di una indebita violazione dell'autonomia personale di chi deve nascere? Inoltre, in base a quale criterio si può costringere un essere umano a subire un modello impostogli da un altro? Non si tratta forse di arbitrio ingiustificabile? Domande superflue nell'ottica del mercato. Scegliere un prodotto di consumo non È un male. Per qualcuno, forse per molti, scegliere un figlio con determinate caratteristiche comincia a somigliare alla scelta di un prodotto. Si potrà ancora invertire la rotta? Si, se riusciamo a recuperare l'idea che generare un figlio È la cosa più profondamente umana che È data su questa terra. E che la tecnologia più sofisticata deve essere usata per curare e non per eliminare gli esseri umani. ___________________________________________________________ L’Espresso 8 Mar. 07 UN CHIP AL GIORNO TOGLIE IL MEDICO DI TORNO. Così almeno la pensano quelli della Kodak che hanno ottenuto l'autorizzazione dell'ufficio brevetti Usa per produrre una etichetta Rfid commestibile, cioÈ da inghiottire e dotata cioÈ di un chip in grado di trasferire - attraverso un'antenna - le informazioni dal corpo umano a un lettore. L'idea È quella di offrire ai medici uno strumento in più di diagnosi. Una volta ingerito, infatti, il processore esplora l'organismo del paziente e comunica con un ricevitore (per esempio un palmare) i dati fisiologici che È chiamato a monitorare. Poi, finito il suo compito, viene sciolto senza conseguenze per l'organismo dai succhi gastrici che entrano in contatto con la speciale gelatina di cui È ricoperto. Per ora il chip È stato pensato solo per studiare l'apparato digerente. Ma i ricercatori che lo hanno messo a punto pensano che in futuro possa essere usato anche per giunture già operate (per esempio nel ginocchio): in questo modo sarà possibile prevenire eventuali nuovi cedimenti. :Anche nei farmaci il chip troverà applicazione: insieme a un medicinale potrebbe infatti consentire agli infermieri di verificare l'assunzione della pillola da parte dei loro assistiti. ___________________________________________________________ La Repubblica 27 Feb.07 L’EPATITE B SOTTO ASSEDIO Uno studio su 65 pazienti ha dimostrato una riduzione marcata della carica virale. Ben tollerato, È arrivato in Italia Un farmaco in grado di inibire tutte le fasi di replicazione del virus dell'epatite B, infezione che in Italia colpisce circa 900 mila persone, di cui quasi un terzo sviluppa cronicizzazione della malattia. Si chiama entecavir il nuovo trattamento orale messo a punto dalla Bristol-Myers Squibb e ora disponibile anche in Italia indicato specificatamente per la cura dei pazienti adulti affetti da epatite B cronica con segni di sofferenza epatica. Si tratta di una molecola che inibisce selettivamente la Dna polimerasi di Hbv, cioÈ l'enzima che serve al virus per replicarsi, spiega Giampiero Carosi, direttore dell'Istituto di malattie infettive e tropicali dell'università di Brescia e presidente della società italiana di malattie infettive e tropicali. La presenza dell'Hbv Dna cioÈ del genoma del virus dell'epatite B all'interno dell'organismo segnala l'esistenza di una replicazione virale attiva e costituisce un fattore che incide notevolmente sulla progressione della malattia e sulla insorgenza di complicanze. I test dimostrano l'efficacia di entecavir nell'abbassare la carica virale fino a livelli non rilevabili nel sangue (ossia inferiori a 300copie di Hbv Dna/ml). Uno studio su 65 pazienti con epatite B cronica mai trattati con antivirali e positivi all'antigene e (la forma di epatite B più comune in Occidente) ha rivelato che i soggetti curati con entecavir hanno registrato riduzioni più marcate della carica virale sia dopo 12 sia dopo 24 settimane di terapia rispetto a quelli che avevano ricevuto atiefovir, un altro antivirale. Un ulteriore vantaggio È che entecavir possiede un'alta barriera genetica, cioÈ a differenza di un'altra molecola utilizzata, la lamivudina, ha un basso rischio di sviluppare resistenza dato che sono necessarie almeno tre mutazioni differenti per generare un ceppo virale resistente, continua Carosi. Considerati inoltre la buona tollerabilità e il profilo di sicurezza si ritiene entecavir adatto come farmaco di prima scelta per i pazienti con epatite B cronica mai trattati con altri analoghi nucleosidici (farmaci che inibiscono la replicazione virale) e una valida opzione nei soggetti resistenti alla lamivudina. L’epatite B È una malattia che rappresenta una seria forma di infezione epatica e si trasmette da madre in figlio in gravidanza o per contatto con sangue o fluidi infetti. II mantenimento di un'alta carica virale nei pazienti cronicizzati può favorire la progressione in cirrosi epatica e in cancro del fegato. ______________________________________________ Le Scienze28 Feb.’07 CONTRORDINE: GLI ANTIOSSIDANTI FANNO MALE Lo stress ossidativo, secondo i ricercatori, potrebbe essere l'effetto e non la causa di uno stato patologico PAROLE CHIAVE radicali liberi antiossidanti In contraddizione con quanto annunciato finora da più parti, un’estesa metanalisi pubblicata su JAMA indica che alcuni antiossidanti assunti con la dieta possono aumentare il rischio di morte. Molte persone assumono integratori a base di beta carotene, vitamina A e vitamina E, sulla base delle indicazioni terapeutiche che vogliono gli antiossidanti come sostanze in grado di rallentare l’invecchiamento tissutale e di favorire il benessere dell’organismo. È ancora materia di discussione, tuttavia, l’impatto complessivo di tali sostanze. Goran Bjelakovic, medico del Center for Clinical Intervention Research del Copenhagen University Hospital, in Danimarca, ha condotto insieme ai suoi colleghi un’approfondita analisi di precedenti studi per esaminare gli effetti di integratori a base di agenti antiossidanti (beta carotene, vitamine A ed E, vitamina C e selenio) sulle morti per ogni tipo di causa di adulti inclusi in trial di prevenzione primaria e secondaria. Utilizzando database e bibliografie, i ricercatori hanno identificato e considerato 68 trial randomizzati con 232.606 partecipanti. In 47 trial, che hanno coinvolto 180.938 partecipanti, i supplementi antiossidanti erano associati a un incremento del 5 per cento della mortalità. "La nostra revisione sistematica – ha commentato Bjelakovic – ha una serie di conclusioni significative. Innanzitutto il beta carotene, la vitamina A, e la vitamina E da soli o in combinazione con altri integratori hanno dimostrato di aumentare la mortalità. Per quanto riguarda invece la vitamina C, non esistono prove che possa incrementare la longevità. Solo il selenio, infine, potrebbe tendere a una riduzione della mortalità, anche se occorrono ulteriori ricerche per confermare questa ipotesi. Ma qual è l’origine plausibile di questi risultati? "Esistono diverse possibili spiegazioni degli effetti negativi degli antiossidanti”, risponde Bjelakovic. “Sebbene infatti lo stress ossidativo possa giocare un ruolo nella patogenesi di molte patologie croniche, potrebbe esserne anche una conseguenza. Eliminando i radicali liberi, probabilmente, si interferisce con alcuni meccanismi difensivi essenziali dell’organismo.” (fc) ______________________________________________ Corriere della Sera 25 Feb. ’07 BISOGNA FERMARE L' EROTIZZAZIONE DEI TEENAGERS Erotizzazione dell' infanzia e infantilizzazione della giovinezza. Due facce di una stessa medaglia deformata che fa dell' adolescente solo un oggetto sessuale. O, meglio, le attribuisce valore solo per come appare e per il sex-appeal che riesce a suscitare. L' associazione degli psicologi americani in un documento appena licenziato punta il dito sui messaggi pubblicitari, sui video, sui telefilm, sulle veline televisive, con quell' aria di bambine un po' troppo sveglie, sulle cantanti idolo come Christina Aguilera, vestita da scolaretta sensuale, perfino sui giornaletti destinati alle ragazzine, che raccontano il mondo solo sulla lunghezza d' onda della bellezza e della «tendenze». Il messaggio che ne deriva è per Eileen Zurbriggen, professore di psicologia all' università della California e presidente del comitato di esperti che ha redatto il documento, estremamente svilente dell' identità profonda dell' adolescente e l' anticamera del disagio giovanile di cui tanto si parla oggi. L' aumento dei disordini del comportamento alimentare, dell' ansia e della depressione fra le giovanissime sono, per gli esperti americani, le pesanti conseguenze di questa nuova versione della «donna oggetto» in chiave adolescenziale. Il documento chiama a raccolta i genitori, gli insegnanti e perfino gli operatori sanitari perché si adoperino in una sorte di controinformazione su questi messaggi alterati. E al mondo della pubblicità e a quello televisivo chiede una maggiore consapevolezza del loro ruolo sociale. F. P. Porciani Franca