CLASSI DI, LAUREA, SVOLTA DAL 2008 - UNIVERSITÀ, C'È IL NUOVO 3+2 - VERONESI: MAL DI POLICLINICO - TAGLIAMO LE CATTEDRE - CAGLIARI SOTTO ASSEDIO TRA BANCHE E MATTONI - CRITICA ALLA RIFORMA "BOCCONIANA" - UNIVERSITÀ, ARRIVA L’ANVUR PER CONTROLLARE LA QUALITÀ - QUANDO LA SCIENZA DEVIA DALLA FEDE NON DICE LA VERITÀ (nel 1991) - ECCO GLI ERRORI DI MOLTI MASTER - LA RICERCA ITALIANA? GLI SCIENZIATI SONO POCHI MA LAVORANO MOLTO - TAGLIAMO IL FISCO SULLA RICERCA - GLI SCIENZIATI A PRODI: PIÙ MERITO NELLA RICERCA - A RISCHIO 2MILA POSTI DI LAVORO PER I CERVELLI - AGENTI DEL MERITO - UNIVERSITÀ: PERCHÉ CALANO LE MATRICOLE? - LETTERA DEI RICERCATORI MUSSI E LA SCELTA MERITOCRATICA - INGEGNERIA TROPPI LAUREATI E LE ASSUNZIONI SOFFRONO - LAVORO PRECARIO PER DUE LAUREATI SU TRE: BENE GLI INGEGNERI - IL NUOVO ELDORADO DI LAUREATI NOSTRANI - INTERNET: 61 MLD DI MESSAGGI SPAM AL GIORNO IN EUROPA - CRITICA ALLA RIFORMA "BOCCONIANA" - MISTRETTA: UNA BUGIA PER ALLUNGARE LA VITA - UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: INNOVARE PER ESSERE ALL'AVANGUARDIA - LA SARDEGNA FARÀ DA CAPOFILA DELLE BIOLOGIE AVANZATE - PANI: CARO SORU, BISOGNA ANCHE SAPER ASCOLTARE - OCCUPAZIONE, LA SARDEGNA È IN ROSSO - UNIVERSITÀ GRECHE IN RIVOLTA CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE - CON MYSELF LA FORMAZIONE ESPERIENZIALE ENTRA ALL'UNIVERSITÀ - ================================================= SANITÀ, DECRETO DA 3 MILIARDI - UNIVERSITÀ. FORMAZIONE PER GLI OPERATORI SANITARI DEL MEDITERRANEO - PER I MEDICI SPECIALIZZANDI C'È IL TRATTAMENTO ECONOMICO - CUP: LA RICETTA TAGLIACODE DELL'ASSESSORE - BROTZU: POCHI INFERMIERI, IL FEGATO VA A ROMA - BROTZU: MANCATO TRAPIANTO, QUESTIONE DI SOLDI - L'AZIENDA CI RIDICOLIZZA - CAMICI VERDI IN FUGA: 34 CHIEDONO IL TRASFERIMENTO - LA RABBIA DEI TRAPIANTATI: «BRUTTO PASSO INDIETRO» - DIRINDIN: SONO TROPPI I POSTI LETTO IN CITTÀ - CARA DIRINDIN: LA SANITÀ SENZA I MEDICI NON SI PUÒ FARE - CLINICA ARESU: LA MACCHINA DA UN MILIARDO? IN CANTINA - IL VIRUS DELL'HERPES «ACCELERA» L'AIDS - BOCCIATA TECNICA "BOCCA A BOCCA" - AL BINAGHI LA PRIMA BANCA DEL CORDONE OMBELICALE - LA CHIRURGIA OCULARE ITALIANA È ALL'AVANGUARDIA - PUBBLICITÀ IN CAMICE BIANCO - ASSISTERE I PARENTI MALATI CI COSTA 142 EURO AL GIORNO - ================================================= _________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 mar. ’07 CLASSI DI, LAUREA, SVOLTA DAL 2008 Fissata un limite massimo per gli esami e per i crediti universitari Firmati i decreti che cambiano volto ai corsi di studio magistrali e triennali Alessia Tripodi ROMA. Dal ministero dell'Università via libera alle nuove classi di laurea. Dal zoo8 il numero de gli esami non potrà superare un tetto prestabilito e almeno la metà degli insegnamenti di un corso dovrà essere affidata a docenti di ruolo. Sono alcune delle novità contenute nei decreti sulle nuove classi di laurea triennale e magistrale - attuativi del Dm z7o/zoo4 - firmati ieri dal ministro dell'Università, Fabio Mussi. I provvedimenti sono giunti sul tavolo del ministro dopo l'acquisizione dei pareri del Consiglio universitario nazionale (Cun), della Conferenza dei rettori (Crui), del Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu) e delle Commissioni parlamentari competenti. Manca ora solo la registrazione alla Corte dei conti e poi i decreti saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. La firma di ieri conclude un iter complicato, già iniziato nel precedente Governo e bloccato poi da Mussi, che nel maggio del zoo6 ritirò i decreti per modificare alcune parti da lui ritenute «insoddisfacenti o sbagliate». Le novità introdotte da Mussi fissano un limite massimo di 20 esami per la laurea triennale e di 12 per quella magistrale> con un ammontare di crediti che non può superare, rispettivamente, quota 180 e 120 Nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, invece, il numero massimo di esami è di 30 per i corsi di durata quinquennale e di 36 per quelli che sì concludono dopo 6 anni. Il numero della classi di laurea triennali resta a quota 43, mentre le magistrali passano da 104 a 94. Ma i decreti prevedono la possibilità di creare corsi "biclasse", cioè interdisciplinari. Così, per esempio, il corso in Scienze dei materiali sarà attivabile sia a Chimica che a Fisica. Accanto alle modifiche della didattica, è previsto un giro di vite contro l'eccessiva proliferazione di corsi, che nel zoo6-zoo7 hanno superato quota 5.400. Almeno il 50% degli insegnamenti di un corso, infatti, dovrà essere tenuto da docenti o ricercatori di ruolo. «Una misura - sottolinea il sottosegretario all'Università, Luciano Modica - che pone un limite all'eccessivo numero di professori a contratto utilizzati per coprire corsi di laurea un po' "inventati"». Linea dura anche contro le cosiddette "lauree facili", conseguite da determinate categorie professionali in virtù dell'esperienza lavorativa. I crediti assegnati in tal senso, infatti, non potranno superare il limite di 60 per il conseguimento di lauree triennali e di 40 per quelle magistrali. «L'attribuzione - precisa Modica - dovrà essere fatta ad personam e non per classi professionali». Per gli studenti, invece, sarà più facile trasferir si da un ateneo all'altro q migrare verso un altro corso di laurea: nell'ambito di una stessa classe, infatti, sarà garantito il riconoscimento di almeno la metà dei crediti formativi acquisiti fino a quel momento. Con la sola eccezione degli studenti provenienti dalle università telematiche, per i quali, invece, il riconoscimento degli studi già compiuti sarà a discrezione dell'ateneo ricevente. La nuova didattica entrerà nelle università a partire dall'anno accademico zoo8-zoo9 e dal 2oio in poi diventerà obbligatoria per tutti. «L'effetto prevedibile dei nuovi decreti - dice il ministero - è una consistente diminuzione e una parallela riqualificazione dei corsi di laurea esistenti». Ma sono in arrivo novità anche per il mondo della ricerca. Ieri il ministro Mussi ha annunciato l'imminente emanazione di un regolamento per l'assunzione di quasi tomila ricercatori in tre anni e il rifinanziamento della legge per il rientro dei "cervelli". Esami Fissato un limite massimo al numero degli esami. 20 per la laurea triennale; l2 perla magistrale Insegnamenti Almeno il 50% degli insegnamenti previsti in un corso dovranno essere affidati a professori o ricercatori di ruolo dell'ateneo Lauree «facili» Stop alle "lauree facili": i crediti assegnati in base alle conoscenze professionali non potranno superare quota 60 per chi vuole conseguire la laurea triennale e 40 per quella magistrale. I trasferimeti Lo studente che si trasferisce da un ateneo a(l'altro potrà conservare almeno il 50% dei crediti già conseguiti IL VINCOLO Almeno il 50% delle lezioni dovrà essere tenuto da docenti o ricercatori di ruolo _________________________________________________________ Italia Oggi 17 mar. ’07 UNIVERSITÀ, C'È IL NUOVO 3+2 Il ministro Mussi ha emanato il decreto sulle classi. Nuove regole dal 2008/09 Stop alla proliferazione dei corsi di laurea triennali DI FERDINANDO NANNI La riforma dell'università taglia il traguardo. Dall'anno accademico 2008/2009 entreranno in vigore le nuove regole che metteranno fine alla proliferazione incontrollata degli ultimi anni dei corsi di laurea, soprattutto triennali, che hanno pochissimi sbocchi professionali. Il ministro dell'università ha emanato ieri il decreto ministeriale sulle nuove classi di laurea triennali e magistrali, dopo aver acquisito i pareri del Consiglio universitario nazionale, della Conferenza dei rettori delle università italiane, del Consiglio nazionale studenti universitari e delle competenti Commissioni parlamentari. Il provvedimento passerà adesso alla Corte dei conti per la registrazione e poi alla Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione. Il decreto mette una pietra sopra il percorso a Y, voluto dal governo precedente. Si mette, così, la parola fine ad una vicenda legislativa iniziata quasi un anno fa. I decreti di riforma del sistema universitario, infatti, erano già stati varati dall'ex ministro dell’istruzione Letizia Moratti e, dopo un botta e risposta con gli atenei, i testi erano approdati sul tavolo della Corte dei conti, per essere richiamati dal ministro Mussi perché giudicati in alcune parti insoddisfacenti, e anche perché a parere del ministro era prematura la sperimentazione a partire dal 2007. Il testo emanato ieri prevede per le lauree triennali un tetto massimo di 20 esami, mentre . per le magistrali di 12, con un chiaro invito per le università a far sì che più moduli (esami) vengano aggregati al ime di raggiungere uniche prove finali e meno frammentazione didattica. Si inasprisce quindi il tetto previsto dal decreto Siliquini che aveva stabilito otto o in alcuni casi dieci prove fanno, per un totale, solo per la laurea triennale. di 30 esami. Accolte anche le richieste delle rappresentanze studentesche, che vedevano scandire fanno accademico in una serie infinita di esami che l'entrata in vigore del 3+2 (dm 509/99) aveva previsto. II testo corretto si sofferma anche sul problema dei crediti vincolati che aveva suscitato non poche polemiche. II riconoscimento obbligato dei crediti universitari, in caso di trasferimento da un ateneo all'altro, aveva visto la rivolta dei rettori, che vedevano nella norma un serio limite all'autonomia e si vedevano negare il diritto e il dovere di intervenire sulla qualità dei crediti acquisiti all’interno di un'altra esperienza di studio. La Siliquini era stata costretta a fare un passo indietro, chiedendo invece agli atenei il riconoscimento del maggior numero possibile dei crediti vincolati e restituendo così la palla tra le mani degli accademici. Mussi va ancora oltre e stabilisce che agli studenti che cambiano sede o corso vada riconosciuto il maggior numero possibile di crediti secondo criteri e modalità previsti dal regolamento del corso di laurea di destinazione. Quando il trasferimento avviene nell'ambito di una stessa classe la quota di crediti deve essere pari al50% di quelli maturati. Questo limite però non si applica nel caso di studenti provenienti dalle università telematiche. Un altro paletto è quello del riconoscimento da parte degli atenei di conoscenze e di abilità professionali certificate, le famose convenzioni tra atenei ed enti pubblici per laureare l'esperienza, che ora non potrà valere più di 60 crediti per la laurea triennale e fino a 40 per quella magistrale. (riproduzione riservata) _________________________________________________________ L’Espresso 14 mar. ’07 VERONESI: MAL DI POLICLINICO SANITA! DOPO LA DENUNCIA DE "L'ESPRESSO" L'insegnamento della medicina affidato ai grandi ospedali complica il lavoro dei clinici. E frena la ricerca. Un grande medico analizza le lacune dei sistema italiano di Umberto Veronesi Capitò anche al presidente della Re, pubblica Sandro Pertini, quando tu portato al Policlinico Umberto 1 di Roma per un improvviso malore. Per trasferirlo in rianimazione cardiochirurgica (dove poi gli avrebbero applicaro un pacemaker) lo spinsero in barella attraverso il tunnel sotterraneo così bene descritto nella recente inchiesta su questo giornale: un girone dantesco intravisto da Pertini e raccontato poi al cronisti con risentito umorismo. Son passati vent'anni, e il tunnel è ancora lì, monumento a una cattiva organizzazione, a incuria, non rispetto dei malati. Uno scandalo, certo. Via, più che di mala sanità, si tratta di un difetto organizzativa, che diventa però un attentato alla qualità dell'intera medicina italiana se si pensa che l'insegnamento della medicina in Italia avviene proprio nei Policlinici, secondo un sistema farraginoso e inefficace, che pub frustrare anche gli sforzi di amministratori esperti e di medici bravi e prepara ti, vanificando il programma che dovrebbe e potrebbe costruire una medicina d'eccellenza. L'Università ha il compito di far ricerca e insieme di far insegnamento e, per i clinici, di curare i malati. ",la questo è un impegno molto gravoso, che obbliga i professori a dividersi equamente tra i vari compiti con il rischio di seguire in modo discontinuo il lavoro clinico e i problemi dell'ospedale o di limitare il lavoro di ricerca oppure di insegnamento, perché assorbiti dalle problematiche ospedaliere. Cosa noti difficile sino a qualche decennio fa, quando l'attività di ricerca era motto meno complessa e il numero di studenti era limitato, essendo l'Università ancora sostanzialmente elitaria. La complessità della ricerca di oggi, sia sperimentale che clinica ha posto il problema di come sia difficile fare ricerca e contemporaneamente formare una massa di studenti imponente. Questo dilemma ha spinto molti paesi a creare reti di centri di ricerca extrauniversitari. L’esempio più importante è in Germania con i Max Plank Institures che sono rigorosamente non universitari. Nati un secolo fa e intitolati allo scienziato Max Planck, fondatore della teoria dei quanti e premio Nobel per la Fisica, questi Istituti coprono tutte le aree scientifiche di rilievo, dalla medicina all'astrofisica, dalla matematica all'informatica, chiamando a collaborare i ricercatori più arditi. Sono importantissimi questi Istituti anche per la formazione scientifica post-universitaria, tra cui notissimi la Neurobiologia di Heidelberg, la Immunobiologia di Friburgo, le Neuroscienze di Gotringen, la Proteomica di vlartinsried. D'altra parte l’opinione è concorde nel riconoscere che ricerca e insegnamento siano un binomio fondamentale per la crescita culturale delle nuove generazioni. L'insegnante che fa anche ricerca, avrà maggiori capacità a condurre i discenti nel futuro della scienza, con modelli sempre più aperti alle novità, soprattutto instillando nelle loro menti i principi della conoscenza, fatti di critica permanente e di dubbi di principio essenziali per mantenere elasticità e conferire libertà al pensiero. Vanno poi distinte due componenti nell'insegnamento: quello vero e proprio fatto nelle aule universitarie, e l'addestramento pratico, che è cosa diversa e che viene condotto nei Policlinici, al letto del malato. Quando l'Università era una scelta elitaria, e il numero di studenti in medicina infinitamente minore (noi della vecchia leva non facciamo fatica a ricordare con il loro volto da ragazzo tutti i pochi compagni di corso), gli studenti avevano a disposizione l'insegnamento e l'addestramento pratico in un tutt'uno, ed erano seguiti dai loro professori. Ora questo è difficile e l'addestramento sta diventando quasi un'utopia nonostante l'Università si stia irradiando sui poli ospedalieri, collocati in ospedali generali dove non è facile creare le condizioni perché gli studenti facciano anche pratica, anche se ci sono lodevoli eccezioni. Esiste un solo modello per la formazione post-laurea? Certo che no. Ogni paese ha sistemi diversi. L’Italia appare piuttosto rigida, con la sua organizzazione legata all'Università sia per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia sia per le Scuole di specializzazione. In tempi di rapidi anzi rapidissimi avanzamenti, l'Università italiana non sempre riesce a stare al passo. E allora? Allora molti guardano al modello anglosassone, dove la specializzazione postlaurea, è fondata sul College di medicina e chirurgia, gestito dalle associazioni, piuttosto severe, degli stessi specialisti che formano e addestrano gli specializzandi. I vantaggi sono il grande impegno di studio e di preparazione teorica del candidato alla specialità associata alla documentata preparazione clinico-pratica. Un candidato ad esempio che voglia diventare specialista in chirurgia deve dimostrare di avere fatto correttamente, senza eccessiva morbilità, un numero elevato di interventi chirurgici. Il punto debole del college è che si tratta di un sistema chiuso che presenta connotazioni di tipo corporativo, quindi espone al rischio di discriminazioni non sempre giustificate. In Europa (ma anche in Israele e in Giappone), 1a ricerca e la formazione dei medici sono prevalentemente assicurate dal sistema universitario, tuttavia diverso dal nostro, in genere con una scelti preliminare di qualità, che seleziona per questi compiti soltanto alcuni grandi istituti ospedalieri, di riferimento nazionale, come il Ivarolirtska Institutet di Stoccolma. Se mettiamo l'Italia a confronto con questi modelli, possiamo sentire inadeguato il nostro sistema, ma non dobbiamo perderci d'animo. Innanzitutto molte Scuole di Medicina stanno rivedendo le regole delle specializzazioni in modo positivo, richiedendo all'esame finale non solo una buona preparazione teorica, ma anche la documentazione di una capacità professionale elevata che garantisca la collettività che chi si fregia di un titolo di specialista sia davvero un competente. Sono destinati quindi a sparire gli specialisti giunti al titolo solo attraverso un esame teorico. Non sono passati molti anni da quando un medico poteva divenire specialista in chirurgia senza mai aver preso in mano un bisturi. In secondo luogo, anche se occorre rigore per stroncare i fenomeni denunciati nelle inchieste scandalo, resta i) dato che la medicina italiana è una buona medicina, un fatto che ci è riconosciuto internazionalmente. I medici italiani sono buoni medici, disponibili a sacrifici per frequentare corsi di aggiornamento e sarebbero entusiasti di fare ricerca, ma sono spesso costretti a lavorare in strutture ospedaliere antiquate, spesso carenti di strumenti banali di apprendimento. Nel modello di ospedale che avevamo proposto qualche anno fa, un occhio particolare era stato rivolto anche architettonicamente a stimolare lo studio e la ricerca. Inoltre avevamo dato avvio all Ecm (Educazione Continui Medica), un progetto che è partito bene anche se noti si è ancora evoluto completamente. Per esempio, non è ancora riuscito a sfruttare tutte le potenzialità dell'informatica con cui è possibile un ottimo aggiornamento a distanza. L'altra risposta è quella di fare in modo che la ricerca non resti un'esclusiva dell'Università o dei grandi Istituti Scientifici, ma che in tutti gli ospedali i medici facciano ricerca. Perché dove si fa ricerca il malato viene curato meglio, non è solo un paziente da curare ma è un paziente da studiare. ll medico si sente motivato dal vedere le proprie energie intellettuali diventare utili allo sviluppo della ricerca scientifica e il paziente si sente gratificato per l’attenzione continua. _________________________________________________________ L’Espresso 14 mar. ’07 TAGLIAMO LE CATTEDRE «Quale guerra fra i due luminari dell'oculistica! Non lo sono né l'uno né l'altro, anche se Campos ha il tempo e le capacità per diventarlo. No, è solo una bieca vicenda, inaccettabile in qualsiasi consesso civile». È affilato, sulla storiaccia delle pallottole, il giudizio di Fabio Roversi Monaco, l'altra volto del potere in Emilia prima come magnifico rettore dell'Università Alma Mater dall'85 al 2000 e oggi come presidente della Fondazione Cassa di Risparmio. Taglia corto anche sulle intromissioni massoniche documentate negli atti giudiziari, lui che dal Grande Oriente si dimise quando fu eletto rettore: «A parte forse Firenze, oggi la massoneria serve al massimo per un posto da impiegato. Dopo l'inchiesta su Medicina Interna, è il secondo scandalo che ha per oggetto i concorsi universitari al Policlinico di Bologna. Non crede che te modalità di selezione della comunità scientifica siano da riscrivere alla radice? «Ma di fronte a eventi del genere qualsiasi meccanismo giuridico amministrativo di selezione segna il passo! II sistema dei concorsi è cambiato quattro o cinque volte in 15 anni: erano indetti su scala nazionale, poi locale su richiesta del singolo ateneo e garantendo la copertura finanziaria, ora saranno di nuovo nazionali per decreta del ministro Moratti. Anche i commissari venivano un tempo estratti a sorte, poi eletti dai colleghi, poi l’una e )'altra cosa... ». E allora qual è il punto? « II venir meno del senso etico e di appartenenza dei membri della comunità scientifica. L’ingiustificato timore di molti di esporsi. 1.a perdita di quelle forme di controllo collettivo che si reggevano sul l'approvazione o la riprovazione dei pari grado. Ci fosse un disegno ideologico lo si potrebbe combattere: invece sono piccoli corporativismi e improvvisi incroci di interessi». Ma proprio questo mette sotto accusa l'attuale spurio sistema di selezione: di cooptazione di associati e ordinari da parte dei docenti detta disciplina cui appartengono, con la pretesa un po' ipocrita che vinca il migliore. «La cooptazione è un privilegio dei professori universitari, e io credo sia giusto che rimanga. Non sempre vince il migliore, è vero, ed entrano talvolta persone non di qualità: ma non ho mai visto uno molto bravo restare fuori. Riconosco semmai che la cooptazione funziona in una comunità ristretta in cui tutti sono tenuti a conoscersi. Quando io vinsi, nel '70, di ruolo eravamo meno di 200; oggi sono più di 3 mila. La verità è che il sistema andrebbe riformato cominciando col ridurre drasticamente ìl numero dei posti di ruolo. Lo ritiene davvero possibile? «Figuriamoci! In Italia non si caccia mai nessuno ... » _____________________________________________________________ Repubblica 15 mar. ’07 CAGLIARI SOTTO ASSEDIO TRA BANCHE E MATTONI Il sindaco forzista spera, nel 2009, di poter succedere a Renato Soru Le liti con il governatore imprenditore, poco amato dai partiti Soru: Macché cultura, macché capitani coraggiosi, qui abbiamo solo palazzinari e mercanti che vogliono sfruttare il bene pubblico NESSUNO saprebbe dire se è un concetto filosofi- co, un istituto giuridico, un topos geografico, una categoria dello spirito, una patologia isolana o l’Araba Fenice. Ma qualunque cosa sia, la «Continuità territoriale» agita – eterna croce e delizia – i sonni dei sardi. Arrivi al desk Alitalia di Fiumicino e cominci a capire il perché. Governatore in trincea, industria assente: il vero potere viene da fuori CHIEDI gentilmente di imbarcarti per Cagliari, esibendo il numero del tuo regolare biglietto elettronico Alitalia, ti guardano come un minus habens e ti spediscono a Meridiana, la compagnia di Karim Aga Khan, da dove, con sguardo di compatimento, ti rispediscono all’Alitalia, in un balletto che farebbe infuriare non un sardo «fumino», come dicono i pisani, ma un flemmatico britannico. Anche l’Inghilterra è un’isola e non ci puoi andare in bicicletta, ma la British Airways ti ci porta da quando esiste l’aviazione civile senza farla tanto lunga. L’Alitalia di Giancarlo Cimoli, invece, quando l’anno scorso ci fu la gara per l’assegnazione delle tratte sarde, dice di essersi distratta un po’ e di aver dimenticato di partecipare, lasciando sole Meridiana e Air One, che però non avevano aerei sufficienti. Per cui il governatore Renato Soru, che — pur nato figlio di un edicolante a Sanluri ai bordi delle mammellose colline della Marmilla — è uno di quei sardi che amano le valli interne e sono capaci di terribili ire fredde, si è dovuto sbattere da pazzi per tentare di risolvere alla meglio il problema. Quando finalmente ci fanno sbarcare a Cagliari per la modica somma di 148 euro, solo andata, Soru lo troviamo proprio in una di quelle giornate di rabbia fredda che ben conosce Luigi Pomata, lo chef preferito dal coté di potere cagliaritano, tornato in città dopo aver lavorato a New York a «Le Cirque» di Sirio Maccioni. Da quando due anni e mezzo fa è stato eletto presidente della Regione autonoma della Sardegna, l’uomo che inventò Tiscali e cominciò a dare gratis Internet, che è un capitalista ma cita Gramsci, si è battuto per sfrattare dall’isola i sottomarini nucleari americani e liberarla almeno da una parte dalle asfissianti servitù militari. Ci è riuscito, gli americani se ne andranno dalla Maddalena nel 2008, come promesso. Ma adesso sono le «lobby militari italiane», come le chiama, a non voler schiodare, nonostante l’accordo politico già siglato. In una riunione tecnica al ministero della Difesa, retto dai corregionali Arturo Parisi, ministro, e Emidio Casula, sottosegretario, l’ammiraglio Paolo La Rosa, capo di stato maggiore della Marina, ha dichiarato con militaresca fermezza che non molleranno mai non solo il deposito munizioni della Maddalena, il più grande d’Italia, Punta Rossa, dove si fanno le esercitazioni degli incursori, Capo Frasca, Teulada e Capo Marrargiu, dove aveva sede «Gladio», l’organizzazione che, complice Francesco Cossiga, doveva salvare l’Italia da un eventuale attacco comunista, ma neanche le spiagge occupate dagli «Ops». Che cosa sono gli «Ops»? Sono gli Organismi di Protezione Sociale, che, tradotto in italiano, significa le case di vacanze estive dei militari, dei dignitari ministeriali e dei loro cari. Altro che gli americani a Vicenza, la caserma Ederle e l’aeroporto Dal Molin. A Cagliari non c’è il Palladio, ma c’è quella che il governatore definisce «l’occupazione militare delle spiagge più belle del mondo». Mille ettari in tutta la regione, 120 solo nel capoluogo, con 42 immobili cittadini, a cominciare dall’immensa caserma Ederle — lo stesso nome di quella di Vicenza — a Calamosca. Cagliari città delle «Tre Emme» — medici, massoni e mattoni — si è sempre detto, trascurando colpevolmente la quarta emme, quella dei militari. I medici cagliaritani sono vivi e vegeti, controllano la sanità privata, sono i padroni delle cliniche. Uno di loro, Emilio Floris, è il sindaco forzista di Cagliari. Figlio di Mario Floris, vecchio vicesindaco democristiano soprannominato «Marpio», che controllava gran parte della sanità privata, Emilio è anche lui un perfetto democristiano, che con l’acuminato governatore mantiene un buon rapporto, sperando di succedergli nelle elezioni regionali del 2009, se Berlusconi ci sarà ancora e se punterà su di lui, e non magari sull’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, dopo la tragicomica esperienza di Mauro Pili. Pili era quel ragazzone berlusconiano che trescava con l’ex ragazza demichelisiana, l’opima Anna La Rosa televisiva, e che, diventato presidente della Regione, inaugurò il suo mandato leggendo lo stesso discorso che Roberto Formigoni aveva fatto all’insediamento in Lombardia. Fu scoperto per una piccola distrazione, perché parlava della sua regione come della regione nord-occidentale più industrializzata d’Italia, con un numero di province che purtroppo in Sardegna non tornava proprio. L’Antonio La Trippa del principe De Curtis — vot’Antonio, vot’Antonio! — al giovane Pili faceva un baffo. Se i medici sono in salute, non si può dire lo stesso dei massoni, che pure tradizionalmente con i «clinicari» s’identificavano. Ora si riuniscono tristemente il lunedì sera da Beppe al Flora, in via Sassari, convocati da Francesco Puxeddu, ex presidente dell’Ersat, accusato anni fa di aver maneggiato una tangente del figlio di Claudio Abbado per cedere un terreno pubblico adiacente alla villa algherese del maestro. Altri tempi quelli in cui il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, la massoneria di Palazzo Giustiniani, era Armandino Corona. Ex presidente regionale, lamalfiano, spadoliniano, Armandino, il «risanatore» massonico dopo il ciclone della P2 di Licio Gelli, era anche lui proprietario di cliniche, ma soprattutto era il grande mentore del potere cagliaritano, delle nomine, degli affari immobiliari e non. Oggi, ultraottantenne, vive defilato e tristissimo in lite con i figli per la gestione dell’ingente patrimonio familiare. In compenso, la terza emme, quella dei mattoni, impazza, pur dovendosela vedere con il governatore Soru, che della difesa ambientale ha fatto la sua cifra politica, varando tra mille polemiche il suo piano paesaggistico. Sta vedendo i sorci verdi Gualtiero Cualbu, di amicizie trasversali, comprese quelle con il presidente della Provincia di Cagliari, il diessino Graziano Milia e con l’ex ministro lombardiancraxiano Giovanni Nonne, che stava colando cemento sul Colle di Tuvixeddu, la più importante necropoli punica del Mediterraneo, prima di essere fermato da Soru. Sergio Zuncheddu, palazzinaro di Burcei proprietario dell’«Unione Sarda», il quotidiano cagliaritano che acquistò per un centinaio di miliardi da Niki Grauso, e comproprietario con Veronica Berlusconi del «Foglio» di Giuliano Ferrara, sta spargendo cemento anche lui al centro di Cagliari e aveva la promessa che i suoi palazzi sarebbero stati acquistati dalla Regione. Ma Soru si è messo di traverso ed è ricambiato quotidianamente dagli attacchi del quotidiano cagliaritano, l’unico giornale italiano che ha un ex direttore affidato ai servizi sociali per reati patrimoniali. Lo attaccano tutti i giorni direttamente o per l’interposta persona del suo direttore generale Fulvio Dettori, docente di Diritto costituzionale regionale e figlio di un antico e stimato presidente democristiano della Regione, per una gara da 60 milioni di euro in tre anni vinta dalla Saatchi & Saatchi, che ha precedentemente lavorato per Tiscali, sulle tasse sul lusso, sul conflitto d’interessi, sugli ospedali cittadini, che vuole dismettere per destinarli ad altri usi e per costruirne uno tutto nuovo, sul progetto del grande museo nuragico da realizzare per risanare l’area degradata di Sant’Elia. Anche Roberto Colaninno, l’uomo della scalata a Telecom della razza padana, ha esigenze cementifere a Is Molas, un complesso turistico-sportivo a due passi da Cagliari, e si sente ripetere dal governatore che non si può andare avanti con «una grande ricchezza di tutti usata solo da pochi». E c’è persino il rettore dell’Università Pasquale Mistretta, ingegnere, che ha una passione per gli immobili: ne compra, ne vende, ne affitta, costruisce nei giardini. «Macché cultura, Gramsci si rivolta nella tomba, macché industriali, macché capitani coraggiosi, qui abbiamo solo palazzinari non propriamente coraggiosi e una nuova borghesia mercantile proveniente dai paesi, abbiamo gente che preferisce sfruttare il bene pubblico piuttosto che investire nell’industria», provoca il governatore. Non più le grandi famiglie borghesi, ma i re dei supermercati, i Murgia, i Pilloni. E gli industriali, quei pochi che ci sono, offesi, gli rispondono per bocca del loro presidente Gianni Biggio, titolare di una piccola agenzia di «transhipment», con un sondaggio tra gli iscritti che giudica la politica di Soru «largamente inadeguata». Come collocare, tra tante emme, Niki Grauso, discussa e nervosa star cittadina, inventore di Videolina, ex padrone dell’Unione Sarda e ora dei quotidiani gratuiti «E Polis», di cui sostiene di distribuire nelle città italiane un milione e più di copie? L’uomo è genialoide e spesso avventuroso, come dimostrò nella mediazione che tentò di fare nel rapimento di Silvia Melis, ultimo dei grandi rapimenti sardi, perché — questo è un fatto — dopo il suicidio del giudice Lombardini e la misteriosa mediazione di Grauso, in Sardegna non ci sono più stati grandi sequestri. Venduta a Giorgio Mazzella, presidente del Credito industriale sardo, oggi proprietà di Banca Intesa, la sua villa in viale Trento, dove si mangiava su piatti di cristallo poggiati su un tavolo di cristallo, avendo l’impressione che le pietanze levitassero nel vuoto, Grauso era scomparso da Cagliari, si dice per lidi libanesi. Ora è tornato, ha riportato le sue società a Cagliari per poter ottenere 3 milioni di euro di finanziamento dalla banca regionale Sfirs, presieduta dal sociologo Gianfranco Bottazzi. Mauro Pili, quell’ex presidente berlusconiano un po’ debole in geografia, ha fatto fuoco e fiamme, accusando Soru di proteggere Grauso, uomo della sinistra. Figurarsi. Che c’è mai di sinistra a Cagliari? «Assolutamente niente», secondo il vecchio dirigente comunista Andrea Raggio. «C’è solo una combinazione tra presidenzialismo forte e politica debole». Che piace, paradossalmente, a Rifondazione Comunista, come ci racconta Luigi Cogodi, nato in un paese vicino a quello di Emilio Lussu, detto Gigi il Rosso non solo per i capelli rossi, ma da quando, giovane assessore regionale all’Urbanistica con il presidente sardista Mario Melis, fece abbattere dalle ruspe in Costa Smeralda la villa miliardaria appena costruita da Antonio Gava, allora capo della Corrente del Golfo e potentissimo ministro democristiano. «Soru — giura Cogodi — è una contraddizione positiva, più illuminista che illuminato, è un uomo che fa una politica in una prospettiva di progresso con un taglio non direi dittatoriale, ma manageriale ». Anche Gigi il Rosso, oggi deputato di Rifondazione, naturalmente, soffre del terribile, trasversale chiacchiericcio cagliaritano. Raccontano di quel giornalista dell’»Unione», oggi suo braccio destro in Consiglio comunale, che era accreditato come il confidente di Niki Grauso nel controllo dei colleghi dell’Unione Sarda. «Le banche, guardiamo alle banche che comandano da fuori», fa il governatore capitalista osteggiato dai partiti, che nel 2009 vorrebbero liberarsene. Una, il Cis, Credito industriale sardo, è ormai governata da Milano, l’altra, il Banco di Sardegna, nell’orbita della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, con Natalino Oggiano, ex direttore dell’Antonveneta ai tempi di Silvano Pontello, che oggi passa le carte bolognesi. «Io — rivendica Mariotto Segni, l’uomo che con l’elezione diretta dei sindaci ha cambiato di fatto i pilastri della politica italiana — sono stato un fiero avversario della gestione politica delle banche fatta dalla Democrazia cristiana, ma oggi devo dire che il Banco di Sardegna democristiano dei Giagu De Martini era migliore di quello di oggi ai fini locali». E’ nata da poco la Banca di Cagliari, creatura della famiglia Randazzo, padre, figli e discendenti vari, messa in piedi dalle cooperative rosse e dall’Aias, l’Associazione che dovrebbe assistere i portatori di handicap. Soldi pubblici, commistione di affari e politica, trasversalismo, quello che Cogodi chiama il potere che «veste pubblico e opera privato ». Come quello di Sandro Usai, presidente da antiche ere del Consorzio di sviluppo industriale e quello di Nino Granara, presidente del porto, autori della grande incompiuta, costata centinaia di miliardi di lire, del canale navigabile. Un’incompiuta che ha favorito in Calabria il successo del porto di Gioia Tauro, che sembrava all’inizio la peggiore cattedrale nel deserto d’Italia. Si chiama Bètile la scommessa della Cagliari di Soru, che vorrebbe fare a meno delle quattro emme, integrate dalla B delle banche, dalla C dei comitati d’affari e dalla P dei poteri collaterali. Bètile è un idolo sardo di pietra, ma nella testa di Soru è un grande museo dell’arte nuragica e contemporanea, che spazierà dai bronzetti che colpirono Picasso, alla ricerca artistica attuale del Mediterraneo e del Nord Africa, in un bianchissimo palazzo a vela già progettato dall’architetta irachena Zaha Hadid. «Cagliaricentrismo autolesionista» per la Sardegna, divina il sassarese Mario Segni, mentre la sua capitale del nord, in passato produttrice di classi dirigenti, perde posizioni a favore di Olbia. Soru, l’unico vero potere che resta, che comanda ma non è detto che governi, prepara, secondo lui, una Sardegna semispopolata, che fra trent’anni avrà poco più di un milione di abitanti, di cui 500 mila sul polo metropolitano di Cagliari. Se bastasse il sogno di Bétile, della Bilbao sarda, vagheggiata dall’uomo di Tiscali a salvarla... _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 mar. ’07 CRITICA ALLA RIFORMA "BOCCONIANA" Provvedimenti urgenti per l'università di Gianfranco Sabattini* Roberto Perotti e Guido Tabellini sono tornati a trattare, su Il Sole 24 ore, un tema a loro caro, ovvero la critica del sistema di governo delle università italiane. L'occasione è offerta dalla decisione del ministro Mussi di sospendere l'applicazione dei risultati della valutazione delle università italiane cui è pervenuto il Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) per la ripartizione dei finanziamenti statali tra i diversi atenei nazionali. Perché questa decisione? La ragione sarebbe da ricondursi alla volontà di non voler ridurre i finanziamenti alle università peggiori. Se così stessero le cose, la decisione del ministro sarebbe doppiamente erronea. In primo luogo, perché i "peggiori atenei" non sarebbero costretti a cambiare; in secondo luogo, perché l'eventuale riduzione dei finanziamenti non determinerebbe, necessariamente, il mancato funzionamento degli atenei "penalizzati". Questi, infatti, potrebbero fare fronte alla penalizzazione con l'innalzamento delle tasse e l'istituzionalizzazione di un sistema di borse di studio. In questo modo, se gli studenti dovessero reagire indirizzandosi verso le università migliori, premiate dai maggiori finanziamenti e non costrette ad elevare le tasse di iscrizione, la distribuzione delle risorse in funzione del merito consentirebbe di raggiungere l'obiettivo tanto agognato di indirizzare risorse e studenti verso le strutture più efficienti; fatto, questo, che costituirebbe, per le università penalizzate, il necessario stimolo a migliorare. La proposta di Roberto Perotti e Guido Tabellini, per quanto interessante, è però affetta dal limite che solitamente è presente in tutte le proposte "bocconiane" che da tempo in Italia si succedono e che da sempre si traducono in "provvedimenti urgenti per l'università". Questi non coinvolgono mai dalle fondamenta l'intera struttura organizzativa dell'università italiana. Si potrà osservare che un simile approccio al problema della modernizzazione degli atenei nazionali è destinato a sicuro insuccesso, a causa dei molti vincoli che, allo stato attuale, pesano sulla loro organizzazione complessiva e sulle modalità di svolgimento delle loro funzioni: eredità storica, consolidamento degli interessi corporativi in essi presenti, malinteso senso dell'autonomia loro concessa, ecc. Tutti vincoli, questi, che - sino a quando non saranno rimossi - faranno pesare su qualsiasi riforma parziale si intenda realizzare, l'esteso conflitto di interesse dei riformatori. Questi, infatti, anziché considerarsi "materia" di riforma, propendono sempre per l'introduzione di cambiamenti compatibili con la salvaguardia dei loro interessi particolari economici e di carriera. La logica riformistica intrinseca ai provvedimenti urgenti non paga; essa consente, come l'esperienza insegna, di affrontare di volta in volta uno dei tanti problemi dell'inefficienza complessiva dell'università, trascurando, ovviamente, le sue interconnessioni con i tanti altri problemi che nell'insieme connotano l'inefficienza complessiva. L'esempio in proposito è offerto dai recenti provvedimenti sul riordino dei corsi universitari, con i quali è stata introdotta la cosiddetta laurea breve, la cui regolazione in termini di contenuti formativi è stata delegata alle singole facoltà universitarie. Tali contenuti sono stati pensati e istituzionalizzati con percorsi didattici, non in funzione delle aspirazioni degli studenti, riflettenti gli stati di bisogno ambientale, ma in funzione degli interessi di quella parte di docenti che, maggioritaria all'interno dei singoli Consigli di facoltà, ha imposto le sue scelte, prescindendo da ogni reale esigenza riformatrice. Può l'Italia uscire dal "tunnel" della logica dei provvedimenti urgenti? Certo, a patto che si decida di progettare un modello complessivo di nuova università, la cui attuazione, sia pure con il coinvolgimento dei singoli atenei, avvenga in presenza di controlli i più estesi e sofisticati possibile, al fine di rimuovere il conflitto di interesse che connota in negativo, come sinora è accaduto, qualsiasi ipotesi di riforma parziale. Ovviamente, la scelta del modello non può essere materia di esclusiva competenza delle singole facoltà, in quanto dovrà essere oggetto di una scelta politica socialmente condivisa, che tenga anche conto delle modifiche istituzionali che stanno consolidandosi nel Paese. Se ciò accadesse, cesserebbe la prassi di presentare questa o quella proposta di riforma parziale, in quanto la logica intrinseca al modello complessivo adottato suggerirebbe quali provvedimenti di volta in volta approvare in funzione del risultato finale da perseguire. Ma cesserebbe anche la moda di avanzare proposte parziali, prescindendo dalla necessità di assicurare, da tutti i punti di vista, una preventiva paritaria base di partenza a tutti gli atenei nazionali. *Università di Cagliari _________________________________________________________ ItaliaOggi 14 mar. ’07 UNIVERSITÀ, ARRIVA L’ANVUR PER CONTROLLARE LA QUALITÀ DI BENEDETTA P, PACELLI Voti agli atenei, alle singole facoltà e ai singoli dipartimenti. Ma non saranno solo tali soggetti a passare sotto la scure della neonata Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della "ricerca (Anvur), il cui decreto sarà presentato venerdì 16 marzo al consiglio dei ministri e che ItaliaOggi è in grado di anticipare. Perché l'Agenzia per la quale il ministro Fabio Mussi ha gettato le fondamenta con la Finanziaria 2007, non farà le pulci solo agli atenei, ma valuterà anche la qualità delle persone reclutate nelle università e negli enti di ricerca. Infatti nella bozza del testo, composto da 11 pagine e 18 articoli, all'art. 4 comma 10 si legge che la nuova Authority potrà essere chiamata a svolgere funzioni di valutazione ex post della qualità del reclutamento del personale docente e di ricerca delle università e degli enti di ricerca». Quindi l'Agenzia, che come si legge nel testo avrà sede a Roma, ha come missione principale quella di promuovere la qualità del sistema italiano delle università e della ricerca. Ma nel calderone entrano tutti: dagli atenei agli enti di ricerca alle istituzioni pubbliche di ricerca non universitarie fino agli enti privati di ricerca destinatari di finanziamenti pubblici. Dopo aver passato allo screening tutti questi soggetti, l’Anvur avrà il compito di stendere ogni due anni un rapporto sullo stato del sistema nazionale delle università e degli enti di ricerca. Sulla base di tali valutazioni potrà determinare i parametri di ripartizione delle quote dei finanziamenti che sono strettamente correlati alla qualità delle attività svolte. In particolare, come si legge nel comma 3 dell'art. 3, l'Agenzia stabilisce i parametri di qualità della ricerca, sulla base dei quali il ministro ripartirà ogni anno una quota tra le università e tra gli enti di ricerca. Ma non finisce qui. Infatti i più virtuosi, coloro cioè che raggiungeranno elevati standard di qualità nella didattica e nella ricerca, avranno quote aggiuntive premiali annuali del fondo di finanziamento ordinario. L'Agenzia dovrà determinare anche, in relazione ai parametri europei, il costo standard degli studenti universitari, che comprenderà anche i costi per la ricerca universitaria. E se le cose non funzionano come dovrebbero e nell'ambito delle proprie attività l’Anvur «accerti casi in cui nelle università o gli enti di ricerca si verifichino gravi inadempienze o situazioni di impossibilità ad adempiere alle finalità istituzionali, è tenuta a segnalarli immediatamente al ministero dell'università e della ricerca per i provvedimenti di competenza». Il tutto l’Anvur lo farà con piatto che pesa 5 milioni di euro, così come era stabilito nella legge n. 286 del 24 novembre 2006. A questo fondo però si aggiunge, si legge all'art. 17, una piccola quota del finanziamento ordinario delle università e degli enti, dell'ordine di qualche punto per mille (circa 7 milioni di euro) che sarà gradualmente riversata all'Agenzia, a decorrere dall'anno 2008, per far fronte ai costi delle sue attività di valutazione. Apertura poi da parte del ministero dell'università sulla composizione dei membri dell'Agenzia. Se prima si ipotizzava la nomina del consiglio direttivo da parte ministeriale, se pur con la base del metodo dei comitati di selezione, ora, accogliendo anche le richieste delle associazioni di categoria le cose cambiano. Infatti all'art. 12 è scritto che i componenti del consiglio direttivo saranno nominati con decreto del presidente del consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'università, sentite le commissioni parlamentari competenti. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 mar. ’07 QUANDO LA SCIENZA DEVIA DALLA FEDE NON DICE LA VERITÀ (nel 1991) ERRORI«Le congregazioni hanno sbagliato solo con Galileo» Pubblichiamo parte dell' articolo del 7 aprile 1911 apparso su «Heuberger Volksblatt» e recentemente ritrovato, nel quale il giovane Martin Heidegger ribatte le tesi moderniste, citando tra l' altro anche testi di Pio IX, uscite su «Oberbadischer Grenzbote». Chiedo: che cosa ha l' autore da obiettare contro la «decisione normativa e infallibile» del Concilio Vaticano I, che respinge l' idea secondo cui vi potrebbe essere un conflitto tra un risultato della ricerca scientifica e il dogma? Se è scientificamente dimostrato che la Chiesa cattolica è un' istituzione divina che ha l' incarico di conservare intatta la dottrina della fede, cioè l' eterna verità divina, e di annunciarla, allora è chiaro a tutti che un presunto risultato della ricerca scientifica che stia in contraddizione con la dottrina della fede, la verità eterna, non può essere vero.... Se l' autore volesse muovere un' obiezione valida alla citata decisione del Concilio, allora dovrebbe dimostrare che l' esistenza di Dio non può essere dimostrata, che non è possibile una rivelazione e che non può essere storica, che Cristo era semplicemente un uomo e che quindi la Chiesa è una società esclusivamente umana. Tutte le altre riflessioni non valgono, perché non colgono il punto in questione. Per di più la Chiesa non prescrive a chi fa ricerca nulla in positivo, cioè a quale risultato debba giungere; essa dà piuttosto solo una norma in negativo. Se l' autore ritiene che gli studiosi cattolici dovrebbero sottomettersi alle decisioni delle congregazioni (che per espressa dottrina della Chiesa non sono infallibili) proprio come si fa con una decisione infallibile di un Concilio, allora potrebbe essere in errore. Le decisioni delle congregazioni non sono fide divina et catholica, cioè non vi si deve credere come se fossero verità rivelate e proposte dal magistero ecclesiastico, tanto meno sono opinioni teologiche... Non posso e non devo assolutamente biasimare l' autore per il fatto che queste più precise distinzioni teologiche non gli siano famigliari (dottrina teologica e dottrina dogmatica sono due cose assolutamente diverse). Del resto la Chiesa potrà chiedere ai suoi membri di prestar ossequio alle decisioni di una congregazione che nel corso dei secoli ha sbagliato una sola volta (il caso Galilei). In che senso questa sottomissione deve comportare la «morte della scienza»? Suona molto ingenua la domanda dell' autore: «Ma se gli scienziati lo scoprissero (cioè che l' uomo deriva dall' animale)? Che succederebbe?». Come si possa rispondere a questa domanda, lo potrebbe dire all' autore il professor Wilhelm Branca, direttore dell' istituto geologico- paleontologico dell' università di Berlino. Branca, di cui l' autore certo riconoscerà l' autorevolezza, scrive così nel suo libro Der Stand unserer Kenntnisse von fossilen Menschen (Lo stato delle nostre conoscenze degli uomini fossili, Lipsia 1910; n.d.r.): «Chi dia uno sguardo complessivo a questa insufficienza dei famosi resti fossili finora rinvenuti di esseri antropomorfi, capirà senz' altro, perfino da profano, che è fuori discussione il fatto che essi ci forniscano la dimostrazione di una catena genealogica continua dell' uomo». Quindi possiamo aspettare con calma la prova. Heidegger Martin _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 mar. ’07 ECCO GLI ERRORI DI MOLTI MASTER Il dean a Rotterdam: troppa attenzione ai profitti, bisogna favorire la capacità critica e il confrontoI Responsabili delle Scuole di Business Internazionali Il profitto non basta. Il leader nel nuovo millennio deve essere «socialmente consapevole, generatore di ricchezza, ma anche cittadino del mondo: integrato, partecipativo e aperto di mente», spiega Mike Page, il dean responsabile dei programmi post-experience della scuola di management dell' Erasmus University di Rotterdam, promossa tra le leading business school mondiali dalle classifiche stilate da Wall Street Journal, Business Week e The Economist. Come si "costruisce", quindi, un top manager di successo? «Innanzitutto, avendo ben chiaro in mente che il contesto è fondamentale quanto il contenuto. E' un presupposto necessario che le business school dovranno sempre più fare proprio. La conoscenza è alla base del continuum di esperienza e sviluppo del futuro manager. Poi c' è uno step successivo: la capacità di scelta e d' esecuzione. E, infine, si arriva al gradino più alto, quello in cui il formatore pone l' attenzione sulla complessità e sulla capacità del leader d' esercitare la sua "influenza" sui collaboratori e ottenere risultati all' interno di sistemi che cambiano. Sempre più le economie si basano sulla collaborazione creativa e meno sul controllo. Ed è in quest' arena che si giocano le maggiori sfide per le aziende, nello "sfruttare" pienamente il potenziale del capitale di conoscenza e dei network sociali» Meno enfasi sulle competenze "strettamente tecniche", dunque? «Sarebbe più corretto dire: "Più enfasi sulla visione d' insieme nella sua complessità e sulle abilità integrative". Secondo le nostre ricerche, infatti, le grandi aziende o i "cacciatori di teste" oggi non si "accontentano" degli skill analitici. E' indubbio che chi ha sviluppato capacità di pensiero critico, di decision making ed esecuzione parte in vantaggio sugli altri. Ma il manager di domani deve essere anche un agente di cambiamenti positivi». Quindi la sfida del futuro è il "Business sostenibile"? «Certamente. Gli Mba sono stati a lungo focalizzati sul profitto. Invece, il nostro obiettivo è creare una "supply chain" sostenibile di professionisti in grado di apportare visioni nuove e fresche, punti di vista più aperti, prendere decisioni in campo economico migliori e più consapevoli di quanto non si faccia oggi. Ovviamente, i manager devono aver ben in mente gli interessi degli stakeholders, ma, allo stesso tempo, possono essere consapevoli delle conseguenze sociali e ambientali delle loro scelte». Come si raggiungono questi obiettivi? «Per esempio creando un ambiente che "favorisca" dubbi, interrogativi, critiche e discussioni. Una delle nostre innovazioni al proposito è un programma che sviluppa la leadership personale e la capacità critica attraverso workshop interattivi ed esercizi esperienziali. Un' altra strada è il networking. Abbiamo iscritti da nove Paesi diversi: vengono dall' estero la metà degli studenti dell' executive Mba e il 96% degli iscritti al full-time. E nessuna nazionalità domina sull' altra. Il programma di network li aiuta a gestire e sviluppare "reti" e al tempo stesso a capire il loro stile "naturale" con i suoi punti forti e le sue debolezze per essere più efficienti in un contesto internazionale. Sempre più il capo dovrà saper "ispirare" e motivare i suoi professionisti a interagire con la "diversità totale": diversità di cultura, educazione, esperienza, compito e genere». A proposito di genere, le business school possono "servire la causa" delle pari opportunità nella scalata ai più alti vertici aziendali? «Noi cerchiamo di farlo. Abbiamo "ingaggiato" top business women come consulenti e coach nei nostri Mba. E' un punto di partenza: aiuta a metabolizzare l' idea della donna in posizione senior e a favorire la sua carriera nelle corporation». Per concludere, qual è l' obiettivo fondamentale del vostro lavoro? «I nostri studenti di oggi saranno i leader di domani. E avranno responsabilità sempre maggiori, vista la crescente influenza delle aziende sulla condizione umana: le scuole di management più rinomate devono perciò favorire i comportamenti etici e responsabili». iolandab@leonardo.it * * * Identikit Mike Page è dean e direttore esecutivo della RSM Erasmus University dall' agosto 2003. BSc alla Natal University, Mba e Phd all' università di Cape Town, ha collaborato con atenei in Europa continentale, Regno Unito, Medioriente, Nord America e Sud Africa e ha diretto per anni il South African Journal of Business. Barera Iolanda _________________________________________________________ Il Giornale 13 mar. ’07 LA RICERCA ITALIANA? GLI SCIENZIATI SONO POCHI MA LAVORANO MOLTO Enza Cusmai Chi scrive conosce un giovane matematico, promettente ricercatore, italiano. Subito dopo la laurea, è stato «pescato» da un'università straniera che gli ha offerto, casa, invitante stipendio e mezzi per i suoi studi. Così, Alessandro ha, fatto le valige e se n'è andato. In Finlandia- Torna in Italia solo quando viene invitato alle conferenze internazionali. La sua ex ragazza, anche lei laureata in matematica con il massimo dei voti, si è invece trasferita a Londra.. Dove prosegue i suoi studi con grande successo. I due esempi concreti fanno capire più di mille parole astratte perché in Italia, i ricercatori stanno diventando moschee bianche come confermano i dati pubblicati nell'Annuario Scienza, e Società 2007, pubblicato dall'associazione Observa-Science in Society, con il sostegno della Compagnia di San Paolo. Tra, le note dolenti, gli autori sottolineano che l'Italia ha, sempre meno ricercatori, se ne contano 3 ogni mille occupati contro i 17 della Finlandia.. In graduatoria, siamo ormai all'ultimo posto in Europa, dietro Portogallo, Grecia e i Paesi dell'Est. Una magra. consolazione: i nostri scienziati sono pochi ma bravi, richiesti e tra, i più produttivi del mondo, secondi solo agli svizzeri per media di pubblicazioni scientifiche per ricercatore e ben davanti a svedesi, francesi, tedeschi e americani. Fin qui il presente per niente roseo. Il futuro si prospetta ancora, più nero. A cominciare dagli studenti delle superiori. Quelli italiani risultano tra i meno preparati del mondo in matematica. Solo greci, turchi e messicani fanno peggio di noi, c dimostrano scarso interesse ad iscriversi a facoltà scientifiche. I più bravi invece sono i soliti noti: finlandesi, coreani, olandesi, giapponesi, canadesi. Mentre nelle ultime fila si posizionano, a sorpresa, anche gli americani. Essere refrattari alla matematica alle superiori, equivale a disdegnarci corsi di laurea scientifici. 1150% degli studenti intervistati in un sondaggio sostiene che non li sceglie perché troppo difficili o peggio, noiosi. IL 30% è incerto sul da. farsi, e solo il 18% è attratto da tutto ciò che è scientifico o tecnologico. Seconda l'ultima ricerca internazionale in matematica la scuola italiana è 258 su 29 Paesi. d ragazzi fanno i furbi», spiega Piergiorgio Odifreddi, ordinario di logica matematica a Torino, organizzatore del primo festival dedicato alla matematica che si terrà a Roma dal 15 al 18 marzo, <,La matematica è come uno sport estremo, ci vuole dedizione assoluta e grande impegno fisico. I giovani sanno che chi si laurea in matematica in 6 mesi trova il posto fisso e gli tocca lavorare,>. La Kermesse si apre con una lezione di Andrew Wiles, il più grande matematico vivente, e si chiude con il Nobel John Nash. Dopo la, laurea i ricercatori non trovano spazio e stipendi adeguati per la, loro preparazione. Non ci sono fondi, è il ritornello che si sente da più parti. Eppure in Cina gli investimenti sono cresciuti negli ultimi anni del 20%, annuo. In Svezia si dedica il 3,9% alla, ricerca, in Finlandia, il 3,5, in Giappone il 3,1. In Italia la percentuale crolla AL 1,1%. E di fa-onte a questa, difficoltà oggettiva l'unica. soluzione possibile è la, fuga. all'estero e il 7,3% dei ricercatori ha già spiccato il volo. Un'emigrazione forzata che la quasi totalità degli italiani avverte come una, cosa. «molto grave». In un sondaggio, gli intervistati sostengono che non sia giusto indurre i giovani ad andare all'estero e che in questo modo l'Italia, rischia di rimanere indietro rispetto agli altri paesi. Inoltre, l'accusa più diffusa è che da. noi non si investe per la ricerca, e che gli stipendi degli scienziati sono troppo bassi. Questa consapevolezza, diffusa però, si scontra, con il disinteresse generale per tutto quello che è tecnologico. L'Italia, ò infatti all'ultimo posto in Europa per numero di lettori di argomenti scientifici su quotidiani, riviste e internet., e agli ultimi Posti per utilizzo regolare di computer e internet. Il nostro Paese ha meno ricercatori di Grecia, Turchia e Messico. Ma sono secondi solo agli svizzeri per numero di pubblicazioni scientifiche _____________________________________________________________ Il Sole 24Ore 14 mar. ’07 TAGLIAMO IL FISCO SULLA RICERCA Competitività. Primi consensi all'iniziativa di Progen, Airc e Telethon - Dompé: formula giusta Le imprese d'accordo con la lettera degli scienziati a Prodi PROPOSTA E RISPOSTA Ieri l'appello degli «uomini di laboratorio»: più merito nell'assegnare i fondi Oggi la replica delle aziende: rete tra università e industria Luca Benecchi La premessa è che non chiedono soldi. Vogliono solo che siano distribuiti meglio. Con un criterio semplice: vince il più bravo a patto che a decidere siano scienziati come loro. Gente che di ricerca ne capisce. La lettera aperta che con questi contenuti è stata inviata ieri al presidente del Consiglio Romano Prodi dal consorzio Progen (che riunisce ricercatori di 30 università ed enti di ricerca), dall'Associazione italiana per la ricerca sul cancro e dalla fondazione Telethon, ha trovato una solida sponda anche tra le imprese. A testimoniarlo per primo è il presidente di Farmindustria Sergio Dompé. «Questa proposta - dice - è un passaggio fondamentale nella ridefinizione dei valori della nostra società. Una via stretta ma necessaria per salvare la ricerca e puntare in modo deciso sull'economia della conoscenza». Per Dompé la sfida è quella di creare un forte network ateneiimprese che permetta all'Italia di battagliare con successo anche a livello internazionale. «Ma rispetto alle indicazioni di Progen mi voglio spingere ancora più in là: i finanziamenti dovrebbero andare non solo a chi ha i progetti migliori ma anche a chi nel Paese lavora nei settori a più alto contenuto di competitività». Il presidente di Farmindustria immagina poi un premio per chi fa ricerca. «La nostra proposta è defiscalizzare gli investimenti dei privati nella misura del 50 per cento». Anche per Alessandro Sidoli, fondatore di Axxam (azienda nata da uno spin-off di Bayer che fa ricerca applicata nel settore agro-chimico e delle fragranze), l'applicazione del sistema di valutazione definito dagli americani peer review (un'analisi scientifica e non politica) è un passo che va nella giusta direzione. «Ma ai fini dell'applicabilità del progetto - spiega - nella commissione sarebbe utile avere anche dei rappresentanti del mondo delle imprese che possano esprimere la loro opinione sul possibile utilizzo industriale di una molecola o di un ritrovato». Sidoli sottolinea come questo sia il vero tallone d'Achille delle università italiane. Una mancanza che inevitabilmente si ripercuote sulla capacità di innovare delle aziende. «I nostri atenei - racconta - hanno poca sensibilità manageriale. Se si imbattono in un risultato scientifico di rilievo raramente ne immaginano un'applicabilità industriale. Quando invece dovrebbero imparare a difendere la proprietà intellettuale attraverso la brevettazione e proporne l'utilizzo alle imprese». Un modello questo che garantirebbe anche cospicue royalties che potrebbero essere utilizzate nello stesso istituto o reinvestite in nuovi progetti scientifici. Prassi decisamente diffusa all'estero e che in Italia ha trovato un precursore di successo nel San Raffaele di Milano. «Dunque - conclude Sidoli - serve un rapporto più stretto tra chi fa ricerca e chi è in grado di tradurla in applicazione industriale». Il decalogo stilato dal professor Giovanni Romeo trova il consenso anche di Roberto Gradnik, presidente di Assobiotec (l'associazione per lo sviluppo delle biotecnologie) e amministratore delegato della Serono. Gradink vuole però rinforzarne due aspetti. «Il primo è che i bandi per i finanziamenti alla ricerca sono a tutt'oggi troppo generici. C'è dentro di tutto, dall'archeologia alla sociologia alla medicina. Ora, siccome i soldi sono pochi e non possiamo eccellere in tutto, lo Stato deve decidere quali settori ritiene strategici (due, tre o quattro) e puntare su quelli. Meglio essere bravi in poche cose che mediocri in cento». Altro elemento critico sono i tempi. «La mia azienda attende ancora oggi un finanziamento che gli è stato accordato ben sei anni fa, questo è inaccettabile. Un'impresa più piccola della mia avrebbe chiuso i battenti. Per dare slancio al settore è urgente uscire dalla pastoie burocratiche e dare risposte certe in pochi mesi. Come fanno all'estero». _________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mar. ’07 GLI SCIENZIATI A PRODI: «PIÙ MERITO NELLA RICERCA» «A valutare i progetti sia chi opera sul campo, non la politica» Luca Benecchi Lui dice che lo fa per i giovani ricercatori. Per offrirgli una possibilità di rimanere in Italia e non costringerli ad emigrare all'estero. «D'altra parte - sostiene - io la mia carriera ormai l'ho fatta e ora posso parlare liberamente»: Giovanni Romeo, classe 1940, è professore ordinario di Genetica medica dell'Università di Bologna e ha deciso di scrivere mia lettera aperta a mezzo Governo. Tra i destinatari il premier Romano Prodi e il ministro dell'Università e della Ricerca Fabio Mussi. Nel mirino del professore, che è anche presidente del Consorzio progetto Genoma (Progen), c'è il modo in cui in Italia si finanzia la ricerca scientifica. AL suo fianco si sono schierati anche Telethon e l'Associazione italiana ricerca sul cancro (Airc). «ll nostro Paese - spiega Romeo - è chiuso su se stesso e quei pochi soldi che ci sono vengono spesi male. È arrivato il momento di dare una svolta, tutti sanno che c'è qualcosa non va». Sotto accusa è il sistema di finanziamenti a pioggia alle università «che esclude il merito e premia soltanto gli equilibri di potere». «Quando il ministero indice una gara per finanziare dei progetti è troppo facile capire a chi sarà assegnato. Basta leggere i componenti della commissione di valutazione». Sì perchè molto spesso nello stesso collegio giudicante «ci sono esperti direttamente o indirettamente coinvolti nel bando attraverso amici o scuole d'appartenenza. Il vero bubbone --accusa ancora il presidente di Progen - è il conflitto d'interesse: rischiano di vincere sempre gli stessi. E questo impedisce al nostro Paese di diventare competitivo sulpiano internazionale». La proposta della comunità scientifica arriva proprio nel momento in cui si sta discutendo della nuova Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Avnur) istituita dall'attuale Governo. «Pur senza sconvolgere il sistema esistente - si legge nella lettera 'a Prodi - la nostra idea è di rendere trasparente la competizione dei gruppi di ricerca per l’assegnazione dei finanziamenti pubblici e di rivedere alla radice i metodi di valutazione delle domande». La critica più forte che gli scienziati rivolgono alla costituenda Avnur è proprio che la nuova agenzia si dedicherà solamente ad una valutazione a posteriori dell'utilizzo dei fondi strutturali assegnati a università e enti di ricerca pubblica. Telethon, Aire e Consorzio del Genoma chiedono invece che si passi a una valutazione all'origine dei progetti e che gli arbitri incaricati di decidere rassegnazione dei fondi siano esperti riconosciuti in grado di valutare scientificamente le domande di finanziamento. Esattamente quel che negli Stati Uniti viene definito il peer review (controllo di esperti alla pari) e che ha dato ottimi risultati. «Ogni ricercatore dovrebbe essere sottoposto all'esame di due o più luminari del settore. Ma non basta «in Italia - scrive ancora Romeo nella lettera - chiediamo anche che gli arbitri siano stranieri e quindi privi di qualsiasi conflitto di interesse». L'Università di Bologna ha un bilancio annuale di circa 66o milioni di curo. In gran parte queste risorse vengono utilizzate per pagare gli stipendi e far funzionare la struttura. Solo venti milioni sono destinati dall'ateneo ai progetti di ricerca. Altri venti, allo stesso scopo, arrivano dal ministero. In tutto quaranta milioni. « È per l'utilizzo di questi soldi - conclude Romeo - che gli scienziati chiedono di introdurre il peer review». Dunque nessuna rivoluzione copernicana, nessuna liberalizzazione sfrenata stile Usa, ma molto realismo. Sulla falsariga di quello che da anni stanno facendo le associazioni private. «L'approvazione di questa proposta sarebbe un primo significativo passo in avanti» spiega Maria Ines Colnaghi, direttrice scientifica dell'Aire. «La nostra esperienza è stata positiva. Nel triennio investiremo circa 4omilioni di curo nella ricerca oncologica (il 40% del totale italiano) e per scegliere i progetti più meritevoli abbiamo ingaggiato circa 25o studiosi stranieri». Per Francesca Pasinelli, direttrice scientifica della Fondazione Telethon, il decalogo ripercorre in gran parte «il modello che abbiamo messo a punto ira questi anni» anche se serve sottolineare come una delle carte del successo sarà proprio «la separazione di competenze tra chi sarà chiamato a gestire l'agenzia e chi invece fornirà i giudizi scientifici sui progetti», _________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mar. ’07 A RISCHIO 2MILA POSTI DI LAVORO PER I CERVELLI Circa 2mila posti di lavoro per ricercatori nel settore della farmaceutica e una perditadi 2,2 miliardi di euro di fatturato per le aziende. Sarebbero gli effetti del mancato incremento del 35% in tre anni degli investimenti in ricerca e sviluppo. È quanto sostiene uno studio elaborato dal Centro Findustria dell'università Bocconi di Milano «Quali prospettive per il settore farmaceutico in Italia?». L'incremento di investimenti del 30-35% era stato messo sul tavolo del Governo da Farmindustria nei mesi estivi in una proposta di accordo che si è poi arenata con la Finanziaria. Il presidente di Farmindustria, Sergio Dompé, ha spiegato che la «politica dei tagli» messa in campo dal Governo non sta mettendo in crisi solo il comparto farmaceutico, ma anche tutto l'indotto che vi sta intorno, visto che «ogni mille addetti nella farmaceutica ce ne sono altri 700 che operano a monte nei settori di produzione di beni e servizi». _________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 mar. ’07 AGENTI DEL MERITO Il governo progetta di dare anche all'Italia un'Agenzia unica per valutare la ricerca ed erogare i finanziamenti: Ma non convince gli scienziati, che ne vogliono discutere di Sylvie toyaud 1 Governo statunitense taglia il budgetzoo8 per la ricerca, la speaker Nancy Pelosi promette di rimediare,lo fa. A San Francisco, durante l'assemblea annua del l’American Association for the Advancement of Science, i ricercatori americani esultano. Idem i francesi a Parigi. L'Agence nationale pour la recherche, creata per decreto i13 agosto, è attiva dal 1 gennaio, in due mesi ha lanciato una cinquantina di "appelli" per progetti ai quali assegnare una prima fetta dei suoi 830 milioni di curo annui, distribuiti con criteri trasparenti; pubblici, chiari sul sito internét. A Londra lunedì scorso, i britannici brontolano per il taglio inaspettato di 68 milioni di sterline, ma ammettono, fair-play, che sotto il governo Blair il loro budget è raddoppiato e supera i 3 miliardi di sterline. E gli italiani? Sono anni che discutono di un un'agenzia unica un po' come quella francese, che riceva orientamenti e fondi dal governo, definisca le strategie, gestisca i bandi, finanzi i progetti fidandosi del giudizio prima e dopo di persone indipendenti. In questi giorni hanno saputo del maggior gettito fiscale, che fosse venuto il momento? Macché. Mentre i ministeri rissano per dividerselo, il loro è "moscio", dice un fisico romano. Infatti. Tra maggio e ottobre, Fabio Mussi aveva annunciato meritocrazia e grandi cambiamenti a scienziati e giornalisti, e rimbrottato gli scettici. Sembrava determinato, ci siamo illusi. L'Istituto nazionale di fisica della materia aspetta ancora l'autonomia che doveva ritrovare entro dicembre. A1 vertice del Consiglio nazionale delle ricerche c'è sempre Fabio Pistella malgrado lo scandalo delle sue pseudo pubblicazioni scientifiche. Il vertice ha tagliato del 30% i fondi destinati alle strutture scientifiche: «Colpa della Finanziaria», sostiene. Sarà, ma il fondo ordinario del 2007 è ridotto soltanto del s% e non si capisce perché siano puniti allo stesso modo gli stakhanovisti e i lavativi. Mille e più ricercatori pregano il ministro di intervenire. Non lo fa: Da mesi, ha la "rosa" dei tre candidati tra i quali scegliere il presidente dell’Agenzia.spaziale italiana. Non lo fa: L'ha persa? Se fosse così, i nomi erano Giovanni Bignami, Duccio Macchetto e Rodolfo Zich. All'Istituto nazionale di astrofisica, il consiglio scientifico e i comitati di macroarea si sono dimessi; i direttori di tutti gli osservatori e istituti gli hanno chiesto di cambiare il presidente e il consiglio d'amministrazione. Non lo fa: Di proposte ne ha ricevute tante ancora prima di insediarsi. Poteva usare le valutazioni fornite da un apposito comitato (Civr) per cominciare a tagliare e rimpolpare. Non lo ha fatto. I responsabili dello sfascio difendono con ogni mezzo la propria opera, Fabio Pistella mandandogli dati sbagliati, non sulle proprie pubblicazioni quésta volta, ma su quelle dei ricercatori. Vedi «Le Scienze» di febbraio e marzo. Comitati stantii continuano ad affossare progetti che fanno ombra. "Cervelli" rientrano solo dove possono praticare l’assenteismo. Gli inamovibili bloccano l'amministrazione ministeriale. E «l'Italia ha sempre meno ricercatori, con 3 ogni mille occupati, contro 117 della Finlandia, e all'ultimo posto in Europa, dietro Portogallo, Grecia e i Paesi dell'Est» si legge nell'Annuario Scienza,e Società 2007 pubblicato dall'associazione Observa 1'8 marzo. In questo contesto Rita Levi Montalcini, Jacopo Meldolesi, Margherita Hack, Nicola Cabibbo, Luciano Maiani, Giorgio Parisi, Pier Mannuccio Mannucci,, scrivono al presidente del Consiglio e al ministro per ricordare che la ricerca compare «al secondo punto-base nelle priorità del nuovo Governo», «sottolineare l'importanza di questa priorità... l'urgenza degli interventi attesi nel campo» e di «risvegliare l'entusiasmo dei nostri giovani». Quelli mandati a farsi le ossa all'estero che non riescono a tornare. Quelli rimasti a fare meraviglie e la fame, mentre miliardi sono elargiti in base al numero degli studenti a università che li adescano con corsi di una mediocrità avvilente. «Il futuro della ricerca in Italia: Rinascimento o Medioevo?» è il titolo di un incontro organizzato dal Progen, Aire , e Telethon (16 marzo, aula Santa Lucia dell'Università di Bologna), dove si parlerà dell'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e di ricerca. Creata per decreto i13 ottobre scorso, ai ritmi parigini sarebbe operativa dalla settimana scorsa, anche perché in bozza se ne parla dall'autunno 2006. Sono previsti 5 milioni di curo annui per il suo funzionamento, troppi per misurare la produttività scientifica - affidata a bibliometrista esperto, costerebbe sui 15o-ioomila euro - e pochi per un vero controllo di qualità. Ma i soldi si vedranno dopo, per ora il ministero ha tirato fuori solo le linee-guida del regolamento. Stesura, approvazione, 's'arriva al 2008. Più un anno per reclutare il pérsonale, integrare i comitati di valutazione precedenti (Civr, Cnvsu), convincere le università e i centri di ricerca a fornire dat attendibili... funzionerà nel 2009? Se sarà guidata da jacopo Meldole si; come tanti si augurano, farà proposte sensate. Se il ministro lo sarà altrettanto, le adotterà.' Sempre che lo voglia: si è riservato il potere di pagare e punire. Per alcuni, l'Agenzia è il primo passo, il più urgente, versò la libertà da interferenze politiche. Per altri, è solo l'ennesima mossa del Gattopardo perché nulla cambi. `Se a Bologna non smettono di litigare, ci sarà un'altra occasione. Il 14 maggio, alla Triennale di Milano, il «Gruppo 2003» li inviterà a concordare un piano comune (riproporrà il proprio in La ricerca tradita, Garzanti, in libreria a fine aprile). E magari finisce i1 Medioevo. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 mar. ’07 UNIVERSITÀ: PERCHÉ CALANO LE MATRICOLE? Meno studenti. Le iscrizioni al primo anno di corso negli atenei italiani scendono del 4,5% nel 2005-06 dopo l’1,5% del 2004-05 La moltiplicazione delle lauree non è il solo fattore disincentivante Alessandro Monti* I tagli agli atenei hanno galvanizzato il dibattito politico sull'università ponendo in secondo piano i dati sull'inadeguata funzionalità del sistema, le sue determinanti e le implicazioni su utenti, apparato produttivo e pubblica amministrazione che, invece,meritano attenta considerazione. Sia pure con le cautele- richieste dalla comparazione di modelli formativi operanti in contesti culturali diversi,va preso atto che nei Paesi dell'Ocse i cittadini tra 25 e 64 anni in possesso di un titolo universitario dopo corsi di durata almeno triennale (formazione terziaria di tipo A) nel 2004 erano in media il 19% (nei Paesi Ue il 17%), mentre i cittadini italiani erano appena l’11% (dato Ocse, «Education at a Glance», 2006). Sulle modeste performance del nostro sistema pesano non solo squilibri nella distribuzione delle risorse, ma anche il clima di «riforma permanente» che precarizza l'attività degli atenei e induce a comportamenti opportunistici, poco graditi dagli utenti. Indicativa è la flessione degli iscritti rilevata dall'Istat: il calo delle matricole nel 2005/06 (-4,5%) è più marcato che nel 2004/05 (-i,5%), mentre restano alti gli abbandoni( 21,5%, nelle facoltà scientifiche 35%) e rallenta la crescita dei laureati. Un insieme di fattori influisce negativamente sulle decisioni di iscriversi all'università e di concludere gli studi. Non si tratta solo del crescente disorientamento di fronte al raddoppio delle tipologie di laurea (passate da 81 a i 53), alla triplicazione dei corsi attivati dopo la riforma didattica varata nel 1999(da 2.336 a oltre 7.600 corsi di laurea e di master), alla frantumazione degli insegnamenti (ci sono casi in cui bisogna sostenere fino a so esami per laurearsi) o alla proliferazione di poli didattici in sedi diverse da quella dell'ateneo, spesso carenti di strutture (aule, laboratori, biblioteche) e di docenti. A scoraggiare i potenziali studenti, tuttora privi di uno statuto dei loro diritti, è la consapevolezza dei perduti vantaggi qualitativi delle soppresse lauree a ciclo unico e della ridotta capacità occupazionale della nuova «laurea spezzata». La riforma del 3+2 non ha aumentato la preparazione dei laureati e l'apprezzamento del mercato. Dopo un anno dalla laurea triennale, infatti, lavora solo il 33%, contro il44% dei laureati del vecchio ordinamento. Questi ultimi, inoltre, hanno ottenuto migliori risultati in termini di stabilità, retribuzione e qualità del lavoro (Indagine AlmaLaurea). La durata degli studi, dunque, non si abbrevia, ma si allunga: i laureati già in possesso di un titolo di studio universitario sono quintuplicati Del 2001-2005. Ad accentuare delusione e disaffezione contribuisce la moltiplicazione delle convenzioni per agevolare il conseguimento della laurea a categorie privilegiate di personale appartenente ad enti i più vari che, scardinando il principio della parità di trattamento, ha intaccato la credibilità dell'istituzione universitaria. É stato anche il business delle convenzioni per le lauree "facili" a spingere la nascita di una miriade di atenei privati (17 nell'ultimo biennio, di cui ben 11 telematici), meno sottoposti ai già labili controlli ministeriali sul possesso dei requisiti minimi per garantire la qualità degli studi, portando così a 94 gli atenei e a oltre 350 le sedi universitarie. Nel tentativo di arginare questa deriva, il Governo ha varato il pacchetto serietà: un decreto ministeriale limiterà a venti gli esami per la laurea e il decreto-legge 262/06 declassa a semplice possibilità il diritto dei dipendenti pubblici di vedersi riconosciute, come crediti formativi universitari, abilità professionali e conoscenze acquisite al di fuori dell'università, prevedendo l’obbligo per gli atenei di disciplinare la materia dei riconoscimenti nel regolamento didattico con il tetto di 6o crediti. Lo stesso decreto sospende la creazione di nuove università telematiche fino all'emanazione di un regolamento che individuerà più incisivi strumenti di controllo dell'attività svolta e istituisce l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur che, in base a un regolamento e programmi approvati dal Ministro, verificherà la qualità delle attività universitarie. La legge Finanziaria 2007 (co.653), infine, blocca per un triennio il decentramento degli atenei, vietando la creazione di facoltà e corsi in comuni diversi da quello dove l'ateneo ha sede legale. Il rafforzamento dei compiti di indirizzo coordinamento e vigilanza dell'Esecutivo, però, non é di per se risolutivo. Anzi, associandosi alla progressiva ministerializzazione della funzione normativa in materia universitaria, rischia di conferire al Governo una posizione di assoluta preminenza. Il recupero di funzionalità del sistema universitario, invece, richiede equilibrio nella distribuzione dei poteri istituzionali, certezza e trasparenza nel loro esercizio. In questo senso; la riassunzione di responsabilità dirette del Parlamento nelle scelte strategiche quali «governance» degli atenei, disciplina degli ordinamenti didattici, creazione di nuove università, che la Costituzione riserva alle leggi dello Stato, appare un passaggio obbligato. * Università di Camerino _________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 mar. ’07 LETTERA DEI RICERCATORI MUSSI E LA SCELTA MERITOCRATICA La voce del professor Giovanni Romeo, genetista bolognese, è chiara e forte e dice che la scienza ha deciso di voltare pagina. Questa volta la volontà di cambiamento arriva proprio dalle università, spesso accusate di difendere rendite di posizione. Con la lettera aperta a Romano Prodi, gli scienziati del Consorzio Progetto Genoma del professor Romeo, di Telethon e dell'Airc, chiedono di rivoluzionare i criteri di finanziamento alla ricerca. Basta conflitti d'interesse, basta baronie. Una sola stella polare deve guidare le scelte: la meritocrazia. Vinca il più bravo, dunque. Propongono che la selezione dei progetti da finanziare non passi più da commissioni ministeriali ma da team di scienziati esperti, come accade negli Stati Uniti. Una richiesta che il ministro dell'Università c della Ricerca Fabio Mussi deve saper intercettare inserendo le richieste dei ricercatori nella costituenda Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (Avnur) che proprio in questi giorni dovrà definire i suoi compiti. Una sfida prioritaria per la ripresa di competitività e di sviluppo del Paese. Un'occasione da non perdere. Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. _________________________________________________________ Italia Oggi 15 mar. ’07 INGEGNERIA TROPPI LAUREATI E LE ASSUNZIONI SOFFRONO Il Centro studi del Cni ha esaminato la condizione occupazionale 2006 DI GABRIELE VENTURA L'Eldorado della facoltà di ingegneria nel mercato del lavoro potrebbe non durare a lungo. Perché l'esigua crescita delle opportunità occupazionali non riesce a far fronte al forte incremento del numero dei laureati. Se resta vero oggi, quindi, che ingegneria (insieme ad architettura) è una delle poche facoltà a garantire il massimo dell'occupazione nell'arco di cinque anni, come evidenziato di recente da Almalaurea (si veda ItaliaOggi del 3 marzo scorso). Domani, questo «privilegio» potrebbe cessare. Stando al rapporto «Le assunzioni degli ingegneri in Italia - 2006», redatto dal Centro studi del Consiglio nazionale della categoria, infatti, la crescita occupazionale è insufficiente a garantire il pieno assorbimento dei laureati in ingegneria immessi ogni anno nel mercato del lavoro. Ma vediamo nel dettaglio lo studio, che traccia il profilo delle assunzioni dei laureati in ingegneria nel 2006. A fronte di un incremento delle opportunità lavorative del 3%, con 15.576 assunzioni, il numero dei laureati quinquennali è cresciuto dell'8,9% (da 18.391 a 20.036) dal 2001 al2005. Mentre c'è stato un vero e proprio boom dei possessori di un titolo accademico di ciclo breve (triennale), passati da 2.849 nel 2001 a 19.039 nel 2005.1170% dei quali, però, propende per la prosecuzione degli studi e il conseguimento della laurea magistrale. La laurea triennale, quindi, stando all'indagine, nonostante sia nata con finalità professionalizzanti, non ha appeal sul mercato del lavoro. Solo il 6,6% delle assunzioni è infatti offerto «in esclusiva» ai triennali. Ma tornando al rapporto tra laureati e opportunità occupazionali, dalla ricerca emerge che nel 2005 il sistema accademico ha immesso nel mercato del lavoro circa 26 mila laureati in ingegneria. Numero, tra l'altro, destinato a crescere in futuro. E a fronte di un sistema pubblico che complessivamente assorbe circa un migliaio di ingegneri all'anno e di un mercato professionale saturo, la domanda proveniente dal sistema imprenditoriale privato, secondo il rapporto, risulta insufficiente a garantire il pieno assorbimento dei laureati. Ciò detto, restano alcuni aspetti positivi. Come il vantaggio competitivo, mostrato anche da Almalaurea, del titolo di studio di ingegnere sul mercato del lavoro. Dovuto, per il rapporto del Centro studi, al profilo sempre più multidisciplinare offerto dalla facoltà. Ciò fa sì, infatti, che aumenti anche il ventaglio di opportunità lavorative disponibili, soprattutto all'interno del settore industriale. A questo proposito, lo studio sottolinea che nel 2006, per la prima volta da molti anni a questa parte, la domanda di competenze ingegneristiche del settore industriale risulta superiore a quella del terziario: 8.584 assunzioni contro le 6.992 dei servizi. Per quanto riguarda, invece, i profili con più appeal, nel 2006 il primo posto va ancora ai laureati dell'indirizzo «elettronico e dell'informazione» (7.202 assunzioni). Sebbene continuino a perdere peso rispetto alle altre tipologie di laureati in ingegneria (46,2% contro il48,3% del 2005). In aumento, infatti, la richiesta per il settore civile e ambientale (1.712 assunzioni), che negli ultimi due anni ha visto crescere del 48,2% il numero di offerte di lavoro. Le restanti opportunità sono ripartite tra laureati in ingegneria dell'indirizzo industriale (5.078 assunzioni) e quelli dei restanti indirizzi (1.584 assunzioni). Infine, da sottolineare il fatto che circa tre assunzioni su quattro (75,5%) destinate agli ingegneri sono a tempo indeterminato. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 mar. ’07 LAVORO PRECARIO PER DUE LAUREATI SU TRE: BENE GLI INGEGNERI Ogni anno 32 mila dottori, ma le aziende ne chiedono 41 mila. I più richiesti? Gli ingegneri Hanno una laurea in tasca, trovano subito lavoro e spesso sono corteggiati dalle aziende. Hanno tutta l' aria dei golden boy, sono giovani, colti, super- impegnati. Ma la realtà è ben diversa: i loro contratti di lavoro hanno scadenza brevissima. E per il futuro non c' è nessuna garanzia. Dottore e precario. Ecco l' identikit di chi entra nel mondo del lavoro subito dopo gli studi. Il posto fisso resta un privilegio per un neoassunto su tre nel settore privato, per uno su quattro nel pubblico. Non che i posti manchino, anzi. Le 31.900 persone diplomate ogni anno dalle 12 università lombarde sono troppo poche: il mercato regionale ne cerca 11 mila in più. In tutto, servono 43 mila giovani da inserire nelle aziende. Paradossi del benessere illustrati nella ricerca «La domanda e l' offerta dei laureati n Lombardia» della Camera di Commercio di Milano. Da una parte, un mercato che richiede più laureati di quanti ce ne siano. Dall' altra, un' offerta di lavoro non sempre soddisfacente e che costringe i neo dottori ad accettare incarichi brevi e stipendi bassi. Meglio, dunque, puntare sul sicuro. E sapere che i professionisti più richiesti sono gli ingegneri (ne mancano oltre 3.700) e gli esperti in economia (oltre 3.400). Ad assumere di più, il settore privato. Segue la pubblica amministrazione: i settori che hanno inserito il maggior numero di giovani dottori sono istruzione (ma è precario il 58,3 per cento degli insegnanti) e sanità (super-richiesti i paramedici: 3.081 laureati accolti nel 2005 nelle strutture ospedaliere). Se poi si vogliono evitare brutte sorprese, gli esperti annunciano: l' orientamento è l' unico strumento per non ritrovarsi con la laurea sbagliata. «Fin dalle elementari - spiega Anna Maria Dominici, direttore scolastico regionale - è fondamentale capire cosa i ragazzi si aspettano dal futuro. Ma non si possono sottovalutare le esigenze di mercato». Che serva un maggiore raccordo tra impresa e formazione è la convinzione di Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio: «Le istituzioni si impegnano a far crescere la sinergia tra università e mondo del lavoro, con attività di ricerca e con progetti concreti». Lo spera il rettore della Statale, Enrico Decleva: «Alcune lauree danno un lavoro sicuro, altre vanno meglio o peggio a seconda della congiuntura. Il problema è valorizzarle tutte». Poi l' attacco: «È venuto meno il mito del posto fisso. Ma non lo si può sostituire con lavori sottopagati. Bisogna rivedere le curve stipendiali: troppe famiglie aiutano i figli lavoratori». Toni duri anche da Marcello Fontanesi, a capo della Bicocca: «Non c' è grande soddisfazione tra i triennalisti, soprattutto perché esclusi dagli ordini professionali». Luci e ombre. Non le nasconde il sottosegretario all' Università, Nando Dalla Chiesa: «Avvertiamo un certo sbilanciamento in alcuni gruppi disciplinari: architettura e scienze politiche sono sottorichieste. Per questo è necessario rendere pubblici i dati sulle assunzioni dei neolaureati e trovare più sintonia con le imprese». Sacchi Annachiara _________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 mar. ’07 IL NUOVO ELDORADO DI LAUREATI NOSTRANI VALERIO CARRUBA DI GIANFRANCO ROSSI I ricercatori italiani all'estero sono ormai I la "regola" e di essi la maggior parte non manifesta alcuna intenzione di rientrare. O meglio, non rientrerà fino al momento in cui non sarà garantito anche nel nostro Paese un migliore riconoscimento professionale. E non parliamo solo di soddisfazioni finanziarie con retribuzioni di gran lunga superiori, che al momento sono assicurate dai Paesi esteri. Da troppo tempo il nostro Paese ha assunto sempre più i connotati di "patria ostile" verso la ricerca. I "cervelli in fuga" censurano la scarsa meritocrazia e trasparenza nel mondo della ricerca che dovrebbe assicurare la circolazione democratica delle informazioni. Sotto accusa sono soprattutto le istituzioni accademiche. È un dato di fatto che la maggior parte dei giovani che giungono all'estero da neo-laureati, poi ci rimangano per anni, riuscendo a percorrere una brillante carriera, in quanto favoriti dal minor tempo sprecato in burocrazia e dal maggior tempo a disposizione per insegnare e per fare ricerca. Ma soprattutto dai fondi, in gran parte pubblici, che giungono generosamente in base al merito, e dal rapporto con le altre istituzioni, sempre rivolto alla collaborazione e al progresso. In queste condizioni, gli incentivi a rientrare sono pochi. È questo il percorso che, tra i tanti, è toccato anche a un giovane ricercatore italiano, Valerio Carruba, laureatosi in fisica all'Università «La Sapienza» di Roma, trasferitosi nel 1998 negli Stati Uniti, alla Cornell University, prima di affermarsi all'Università di San Paolo, in Brasile, quale ricercatore sulla dinamica delle famiglie di asteroidi basaltici fuori dalla famiglia di Vesta. Proprio a lui si deve lo studio sulla dinamica delle famiglie di asteroidi, identificate sulla base di agglomerati di elementi propri quali elementi orbitali, semiasse maggiore, eccentricità, inclinazione che identificano la posizione e forbita di oggetti intorno al Sole e, da alcuni anni, anche lo studio su satelliti irregolari di pianeti gioviani, cioè di satelliti che sono caratterizzati da orbite più distanti dei satelliti naturali e sull'effetto che la risonanza di Kozai ha sulla loro stabilità. È sua convinzione, da sempre, che il ripiegamento all'estero è un destino comune a molti laureati italiani che, dopo essersi formati, vengono abbandonati dal sistema accademico proprio quando potrebbero essere più produttivi. Dicendo ciò; fa riferimento al provincialismo delle nostre università, che assumerebbero poche persone formate all'estero e alla mancanza di trasparenza nei concorsi pubblici cui si aggiunge quella che per lui è la ragione principale di tale situazione, riassumibile in una cifra: i per cento. Questa è la frazione del prodotto interno lordo che l'Italia investe ogni 'anno nella ricerca scientifica. Molto semplicemente, non si investono risorse sufficienti ad assorbire il numero di laureati che le università producono. Ed è proprio questo che ha spinto, alla fine, Valerio Carruba, come tanti altri studiosi italiani, a fare domande per corsi d} dottorato all'estero, scelta di cui non si è mai pentito perché si è inserito a pieno titolo in un ambiente accomodante, incentivante e privo di problemi finanziari. Da questo punto di vista gli Usa 'sono senz'altro il posto ideale per lavorare. Per persone che operano in campi più teorici, d'altra parte, il bisogno di finanziamenti 'e più limitato. E, a tal proposito, anche il Brasile ha il grande vantaggio di avere agenzie finanziatrici della ricerca, federali e statali, come ad esempio, la Fapesp che finanzia specifici progetti di ricerca di giovani scienziati. Un fenomeno, quello dei "cervelli in fuga", che mette a nudo le difficoltà dell'Italia di creare una forte base nell'economia della conoscenza, nella quale il fattore umano è determinante per innescare o potenziare un rinnovamento culturale, nel mondo della ricerca quanto in quello delle imprese. Per questo è così importante investire nella formazione dei giovani, incentivare, per quanto possibile, la stabilizzazione dei precari, rendere accattivante l'idea che la ricerca possa essere una carriera da seguire. Un percorso difficile, in cui il "posto fisso" è una condizione praticamente inesistente, soprattutto all'inizio quando bisogna essere perseveranti e immaginativi: Spesso è necessario cercare il lavoro e andargli incontro, essere pronti anche a spostarsi in altri continenti per frequentare università all'avanguardia in un campo che, per sua natura, è sempre mutevole. E soprattutto essere consapevoli che l'idea del rientro dei "cervelli in fuga" non sembra funzionare molto. C'è davvero intenzione nel nostro Paese di fare tesoro dell'esperienza degli italiani all'estero? Quelli rientrati spesso sono punto e daccapo e devono rimettersi in coda per trovare una posizione all'università. _________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 mar. ’07 CRITICA ALLA RIFORMA "BOCCONIANA" Gianfranco Sabattini PROVVEDIMENTI URGENTI PER L'Ul`1IVERSITA Roberto Perotti e Guido Tabellini sono tornati a trattare, su Il Sole 24 ore, un tema a loro caro, ovvero la critica del sistema di governo delle università italiane. L'occasione è offerta dalla decisione del ministro Mussi di sospendere l'applicazione dei risultati della valutazione delle università italiane cui ò pervenuto il Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) per la ripartizione dei finanziamenti statali tra i diversi atenei nazionali. Perché questa decisione? La ragione sarebbe da ricondursi alla volontà di non voler ridurre i finanziamenti alle università peggiori. Se così stessero le cose, la decisione del ministro sarebbe doppiamente erronea. In primo luogo, perché i "peggiori atenei" non sarebbero costretti a cambiare; in secondo luogo, perché l'eventuale riduzione dei finanziamenti non determinerebbe, necessariamente, il mancato funzionamento degli atenei "penalizzati". Questi, infatti, potrebbero fare fronte alla penalizzazione con l'innalzamento delle tasse e l'istituzionalizzazione di un sistema di borse di studio. In questo modo, se gli studenti dovessero reagire indirizzandosi verso le università migliori, premiate dai maggiori finanziamenti e non costrette ad elevare le tasse di iscrizione, la distribuzione delle risorse in funzione del merito consentirebbe di raggiungere l'obiettivo tanto agognato di indirizzare risorse e studenti verso le strutture più efficienti; fatto, questo, che costituirebbe, per le università penalizzate, il necessario stimolo a migliorare. La proposta di Roberto Perotti e Guido Tabellini, per quanto interessante, è però affetta dal limite che solitamente è presente in tutte le proposte "bocconiane" che da tempo in Italia si succedono e che da sempre si traducono in "provvedimenti urgenti per l'università". Questi non coinvolgono mai dalle fondamenta l'intera struttura organizzativa dell'università italiana. Si potrà osservare che un simile approccio al problema della modernizzazione degli atenei nazionali è destinato a sicuro insuccesso, a causa dei molti vincoli che, allo stato attuale, pesano sulla loro organizzazione complessiva e sulle modalità di svolgimento delle loro funzioni: eredità storica, consolidamento degli interessi corporativi in essi presenti, malinteso senso dell'autonomia loro concessa, ecc. Tutti vincoli, questi, che - sino a quando non saranno rimossi - faranno pesare su qualsiasi riforma parziale si intenda realizzare, l'esteso conflitto di interesse dei riformatori. Questi, infatti, anziché considerarsi "materia" di riforma, propendono sempre per l'introduzione di cambiamenti compatibili con la salvaguardia dei loro interessi particolari economici e di carriera. La logica riformistica intrinseca ai provvedimenti urgenti non paga; essa consente, come l'esperienza insegna, di affrontare di volta in volta uno dei tanti problemi dell'inefficienza complessiva dell'università, trascurando, ovviamente, le sue interconnessioni con i tanti altri problemi che nell'insieme connotano l'inefficienza complessiva. L'esempio in proposito ò offerto dai recenti provvedimenti sul riordino dei corsi universitari, con i quali è stata introdotta la cosiddetta laurea breve, la cui regolazione in termini di contenuti formativi è stata delegata alle singole facoltà universitarie. Tali contenuti sono stati pensati e istituzionalizzati con percorsi didattici, non in funzione delle aspirazioni degli studenti, riflettenti gli stati di bisogno ambientale, ma in funzione degli interessi di quella parte di docenti che, maggioritaria all'interno dei singoli Consigli di facoltà, ha imposto le sue scelte, prescindendo da ogni reale esigenza riformatrice. Può l'Italia uscire dal "tunnel" della logica dei provvedimenti urgenti? Certo, a patto che si decida di progettare un modello complessivo di nuova università, la cui attuazione, sia pure con il coinvolgimento dei singoli atenei, avvenga in presenza di controlli i più estesi e sofisticati possibile, al fine di rimuovere il conflitto di interesse che connota in negativo, come sinora è accaduto, qualsiasi ipotesi di riforma parziale. Ovviamente, la scelta del modello non può essere materia di esclusiva competenza delle singole facoltà, in quanto dovrà essere oggetto di una scelta politica socialmente condivisa, che tenga anche conto delle modifiche istituzionali che stanno consolidandosi nel Paese. Se ciò accadesse, cesserebbe la prassi di presentare questa o quella proposta di riforma parziale, in quanto la logica intrinseca al modello complessivo adottato suggerirebbe quali provvedimenti di volta in volta approvare in funzione del risultato finale da perseguire. Ma cesserebbe anche la moda di avanzare proposte parziali, prescindendo dalla necessità di assicurare, da tutti i punti di vista, una preventiva paritaria base di partenza a tutti gli atenei nazionali. *Università di Cagliari _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 mar. ’07 MISTRETTA: «UNA BUGIA PER ALLUNGARE LA VITA» Cagliaritani. Avverte sicuro: «Questo è il mio ultimo mandato, poi si possono aprire altre porte» Il rettore dell’università parla di figli d’arte, politica e massoneria Arrivato al sesto mandato, il rettore Pasquale Mistretta, 74 anni, non ha ancora deciso sul suo futuro. di PAOLO PAOLINI Dopo sei mandati universitari e settantaquattro estati, la militanza socialista e svariati Piani regolatori, Pasquale Mistretta è possibilista: «Ritengo che sia l’ultimo mandato da rettore, ma si possono aprire altre porte, se la vecchiaia non incombe». Proprio sicuro che sia l’ultimo mandato? «Penso di sì. Sono pronto a fare altre cose per sviluppare la saggezza che ho acquisito». Le hanno promesso una candidatura? «No. Per adesso faccio il rettore, uno dei settantacinque che ci sono in questo Paese. I parlamentari sono molti di più e noi, rispetto a loro, abbiamo il grande vantaggio di non avere debiti con nessuno». Chi sarà il successore? «Tanti sono in grado di farlo, con tagli diversi. Sicuramente ci sarà un cambio generazionale ». Uno l’avrà designato? «Assolutamente no». Ai suoi nemici interni scompaiono miracolosamente i finanziamenti. «Casomai il contrario. Vengo accusato di trattare meglio quelli che non mi danno il loro consenso». Suo figlio è ricercatore nella stessa facoltà del padre. Una coincidenza? «Quasi venticinque anni fa gli suggerii di iscriversi a Economia, perché avrebbe potuto fare il presidente di una banca». L’università è zeppa di figli d’arte. «L’università è come tutta la società civile. I Kennedy erano anche loro figli d’arte. I Bush lo stesso, anche se negli Stati Uniti ci vogliono molti più soldi». Si butterà in politica? «Penso di andare alla convention del partito democratico, anche se mi sono tenuto distaccato dalla politica quando ho fatto il rettore. L’unica parentesi è stata la candidatura a sindaco di Cagliari». Per anni si è sostenuto che il partito socialista avesse l’esclusiva dell’ingordigia. «Chi ha vissuto le esperienze degli anni Settanta e Ottanta ha maturato la convinzione che nessuno fosse escluso da un certo tipo di meccanismo ». Hanno rubato tutti? «La questione relativa al fi- nanziamento ai partiti era palese, in tante altre nazioni è regolamentata. In Italia è sempre stata occulta». Molti hanno preso per sé. «Di sicuro ci sono state tante licenze poetiche». Le hanno mai chiesto un contributo? «L’ho dato spontaneamente per alcune manifestazioni del Psi». Anche nella professione di ingegnere? «No, mai». L’università assumerà gli infermieri precari del Policlinico? «Il precariato riguarda tutti gli enti. La storia del Policlinico si sta evidenziando perché stiamo per realizzare l’Azienda mista. C’è una preoccupazione molto forte - peraltro giustificata - di essere tagliati fuori. Farò di tutto perché non accada». Il commissario scelto da Soru per l’Ersu è l’ex presidente del centrodestra. Condivide? «Direi di sì, è forse la prima volta che si conferma la capacità di un ragazzo al di là dell’etichetta d’origine, sempre che sia ancora quella». Un voltagabbana? «È stato nominato su indicazione di Mariolino Floris, poi non ho più seguito il ragazzo, può avere anche cambiato idea, è legittimo». L’università fa concorsi su misura? «Intanto bisogna parlare di pre-selezioni. La commissione è blindata, come le procedure ». CARRIERE «Emilio Floris è andato bene Non ha avuto il coraggio di risolvere il problema del prezzo delle case» Che cosa significa? «Non c’è alcuna possibilità di interferenza esterna. Se poi a parità di risultato uno si presenta con la faccia truce e l’altro sorridente, forse la commissione sceglie il secondo ». Il professor Santacruz sostiene il contrario. «Probabilmente allude alla questione degli specializzandi. Credo che non ci si debba scandalizzare se alcuni ragazzi interni maturano un’esperienza e una professionalità che facilita al momento della selezione». Ogni anno c’è una strage nei test di ammissione. Gli studenti sono ignoranti? «Probabilmente bisognerebbe insegnare di più le chiavi di lettura di certe discipline. Devono imparare a pensare, più che a studiare». La Regione si prepara a vincolare Sa Duchessa. «Credo, dico credo, che abbia sbloccato il cantiere di Ingegneria di via Is Maglias. Per il resto più che vincoli ci sono raccomandazioni di salvaguardia, che sono un’altra cosa». Questa Giunta comunale passerà alla storia per i progetti non realizzati? «Non sono d’accordo. Il sindaco Floris ha fatto moltissimo, trovando risorse finanziarie e portando avanti un discorso non elettorale. Forse è mancato il coraggio di affrontare il problema del prezzo delle case». Perché? «La Giunta e il Consiglio non sono stati in grado di imporre ai costruttori una quota da vendere a un prezzo controllato ». Continuerà la fuga dalla città? «I cagliaritani non ci sono più». Lei è entrato in Consiglio comunale col centrosinistra e ha votato spesso col centrodestra. «Ho preso posizioni individuali su casi specifici per il bene della città. La mia è una distorsione da urbanista, perché i problemi li vedo con quelle lenti e non soltanto da consigliere comunale». Butterebbe giù i palazzi di Sant’Elia? «D’accordo per una forte rivisitazione di una parte. Il degrado è tale da giustificare un intervento ». Il nome di un politico bugiardo? «In politica a volte la bugia è necessaria per poter dire il giorno dopo la verità». Tentato dalla massoneria? «Ho avuto l’affetto da parte di alcuni amici, forse perché mi stimano, ma non sono massone ». Stima le nuove leve? «La mia età mi consente di far riferimento alla massoneria di rango. Quelli di oggi li conosco solo come cittadini. Ritengo che al giorno d’oggi queste lobby abbiano molto meno peso rispetto a un tempo ». L’Opus Dei? «Mi si dice che esista, a Cagliari francamente non ho riscontri ». C’è chi giura che l’input per alcuni primariati parta da lì. «Non mi risulta. Ammesso che sia vero, non conosco quei primari». NUOVE ROTTE «In Consiglio col centrodestra su singole questioni Oggi andrò alla convention del partito democratico» _________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 mar. ’07 UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: INNOVARE PER ESSERE ALL'AVANGUARDIA Importanti, nel progetto realizzato con IBM, la Gestione delle Presenze e la Gestione Protocollo, basati sui principi della `Tele Amministrazione" i maturati all'interno dell'ateneo cagliaritano Un obiettivo molto preciso: essere all'avanguardia nella gestione informatica delle procedure amministrative e di sicurezza. L Università di Cagliari è già al lavoro per raggiungerlo, sia per migliorare la qualità dei servizi amministrativi offerti agli studenti, sia per creare un laboratorio per i ragazzi che intendono specializzarsi nelle discipline relative alla gestione aziendale amministrava degli enti pubblici e privati. Le aree prioritarie del progetto di trasformazione, realizzato in collaborazione con IBM sono: - Realizzazione di una infrastruttura "high avaìlability" tramite un sistema avanzato di clustering con sofisticati automatismi di replica e ripartenza. Questo sistema consente di eliminare quasi totalmente il rischio di "fermi macchina" dovuti a guasti o a malfunzionamenti. - Realizzazione di una rete ad alta velocità interna al Palazzo del Rettorato, basata su piattaforma Cisco Systems. In alcune aree del palazzo i collegamenti sono realizzati con !a tecnologia wireless. La rete inoltre è predisposta per l'utilizzo della soluzione "Voice over IP". Integrazione fra tutte le procedure applicative (Client-server e Web-based) con una soluzione coerente con la Service Oriented Architecture (SOA), che consente di far interagire le diverse realtà applicative aziendali come se fossero componenti di un unico processo e permette di operare in maniera più efficiente e flessibile. Questa soluzione permette inoltre l'aggiornamento e i! controllo automatico delle procedure e degli accessi anche in forma centralizzata e remota. - Gestione del "Disaster Recovery" e dei salvataggi codificata e automatizzata. Questa soluzione mette al riparo e protegge i dati dell'Università da qualunque disastro, sia naturale sia provocato. - Gestione della privacy per proteggere i dati sensibili di tutto il personale discente, docente e non docente che ha rapporti con l'Università. - Gestione del protocollo informatico e della posta certificata, che consente la spedizione e la ricezione formale per via elettronica di documenti, permettendo una più rapida metodologia di ricerca e reperimento degli stessi e un più sicuro sistema di archiviazione, - Realizzazione di un "Cruscotto Aziendale" tramite un DataWareHouse che, interagendo con tutti i database aziendali, consenta al Management di avere, in tempo reale e nella forma desiderata (aggregata o disaggregata), le informazioni indispensabili per il processo decisionale. Meno carta con la gestione elettronica Questo progetto prevede inoltre una riduzione drastica della carta, attraverso (a gestione del flusso elettronico dei documenti e la "gestione personale". Di particolare importanza la Gestione delle Presenze e la Gestione Protocollo, basati sui principi della "Tele Amministrazione" maturati all'interno dell'ateneo cagliaritano che, riducendo i tempi dì invio dei documenti da parte sia dei docenti sia degli studenti, permettono al personale amministrativo di avere informazioni in tempo reale, direttamente sul proprio computer. La soluzione IBM prevede inoltre, da! punto di vista dell'hardware, I'installazione di un server P series 570 IBM partizionato e di due server P 630, l'installazione di un sistema storage D54300 e di un sistema 3583 come tape library con prodotti Tivoli per la gestione della SAN (Storage Area Network), del controllo e degli aggiornamenti remoti è per la gestione dei salvataggi. Questi sistemi, che utilizzano il sistema operativo AIX S, consentono un approccio molto vicino ai sistemi ' Open Source (Linux) con i quali c'è una quasi completa compatibilità. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 mar. ’07 LA SARDEGNA FARÀ DA CAPOFILA DELLE BIOLOGIE AVANZATE Nascono i centri di competenza che faciliteranno il rapporto tra ricerca e produzione Tecnologie per l’industria di Roberto Paracchini CAGLIARI. Si chiamano Centri di competenza tecnologica e coinvolgono le sei regioni del vecchio «obiettivo uno»: Sardegna, Sicilia, Puglia, Basilicata, Campania e Calabria. L’obiettivo che li ha fatti nascere è quello di stimolare il rapporto tra università e imprese su sei argomenti: agroindustria, rischio ambientale, nuove tecnologie, Ict, biologie avanzate e trasporti. Impresa e ricerca, un matrimonio ancora difficile: in Sardegna anche in termini di semplici unioni di fatto. E questo nonostante il settore ricerca-sviluppo venga considerato indispensabile per l’innovazione dei prodotti e del processo che li realizza. Il che, detta in parole povere, significa creare merci competitive e di valore. Da qui l’idea dei Centri di competenza tecnologica (costituiti come società consortili), intesi come una «casa comune delle imprese, delle università, delle Camere di commercio e degli enti di ricerca per l’innovazione legata al trasferimento tecnologico». E per rendere appetibile il tutto il governo centrale ha stanziato circa dieci milioni di euro per ogni filiera (alla Sardegna arriverà un milione per comparto). Ogni regione funge da capofila per tutte le regioni in una delle sei aree di ricerca. Il comparto guida della Sardegna è quello delle biologie avanzate con Sassari come sede centrale (Bruno Masala, già preside della facoltà di Scienze dell’ateneo, è il presidente del consorzio specifico). Sempre nella capitale del nord Sardegna vi sarà anche il punto di riferimento locale per l’agroindustria e l’agroalimentare. Cagliari, invece, guiderà il Centro isolano per l’analisi e la prevenzione del rischio ambientale, quello per le nuove tecnologie sulle attività produttive, l’Ict-tecnologie avanzate e le ricerche-sviluppo sui trasporti. «In Sardegna è previsto che al bando nazionale - spiega Franco Meloni, dirigente delle relazioni esterne dell’ateneo cagliaritano e direttore delle quattro società consortili cittadine - seguano ulteriori provvedimenti di sostegno, cofinanziati dalla Regione con fondi Por a beneficio delle imprese sarde». Fare ricerca ha, infatti, un costo molto alto: da qui la necessità di un supporto. Nell’isola esiste anche Polaris, il parco scientifico e tecnologico, con cui «i nuovi Centri di competenza tecnologica dovranno collaborare in modo intenso - prosegue Meloni - va detto che queste società consortili sono state costituite in tempi molto rapidi: per poter partecipare al bando ministeriale». E così l’università, come istituzione, si trova di fronte a una materia «per noi nuova che implica anche competenze manageriali». Queste nuove strutture sono finalizzate alla promozione dello sviluppo scientifico-tecnologico delle imprese (in particolare delle piccole e medie). «Ma per fare questo - precisa Meloni - i vari centri devono essere dotati di una massa critica di risorse materiali (finanziamenti e strutture dove operare) e immateriali (il know how) idonee a fare dell’innovazione uno dei motori dello sviluppo locale». In sintesi i Centri dovranno svolgere la funzione di intermediari della ricerca e dell’innovazione tra mondo dei laboratori e tessuto produttivo. Mission molto simile a quella di Polaris. Per rendere più pubblico il discorso e instaurare rapporti più solidi col parco, l’ateneo di Cagliari ha promosso per domani (ore 9 Aula magna facoltà di Ingegneria, Cagliari) il convegno «Nuove forme di collaborazione tra università, enti di ricerca e imprese: i Centri di competenza tecnologica». _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 mar. ’07 PANI: CARO SORU, BISOGNA ANCHE SAPER ASCOLTARE Onorevole Presidente Soru, Le scrivo, come cittadino comune su alcuni argomenti; per altri, come persona informata. Come cittadino comune, condivido la validità delle linee politiche generali del Suo governo. Lo faccio, onestamente ed in modo trasparente, senza piaggeria, non ne avrei il motivo. E’ mia opinione che il Suo governo abbia costituito e costituisca, con grande dignità istituzionale, un elemento di grande novità politica. In quanto tale non ha però la piena disponibilità degli strumenti della politica tradizionale, i Partiti, il tramite fra Governo ed opinione pubblica. “Progetto Sardegna” avrebbe potuto assolvere questa funzione: è invece rimasto “movimento”, nelle forme di contingenza politica ed elettorale. Sono queste le ragioni che mi hanno suggerito, anche se in maniera irrituale, di farLe pervenire una lettera pubblica. Spero di farlo in modo costruttivo e propositivo. E’ questo lo spirito con cui Le scrivo, ma anche come “persona informata” dei fatti. Sono infatti docente universitario di Medicina di lungo corso, per più di quarant’anni. La mia carriera si è svolta in diversi atenei: Siena, Torino, Pittsburgh ed infine Cagliari. Queste sono le mie credenziali generali, per il resto rimando al mio curriculum scientifico ed accademico. E’ forse con immodestia che ritengo di essere “persona informata” e di avere il credito di essere ascoltata nei limiti consentiti dalla mia esperienza professionale e da un ragionevole e civile rapporto fra politica ed opinione pubblica. Ho cercato di farmi ascoltare: ho esposto, in successione, le mie considerazioni a “Progetto Sardegna” in modo informale, alla Segreteria della sua Presidenza, a Lei stesso. Non ho ricevuto risposta, è stato silenzio; ritengo in modo istituzionalmente poco civile, se non offensivo. Gli argomenti: Ersu e presidenza della VIII commissione consiliare. Ersu: ho contestato la nomina del Commissario signor Christian Solinas sulla base del suo curriculum, sul quale, onorevole Presidente, può sincerarsi personalmente. Aggiungo che sono stato consigliere d’amministrazione di quell’Ente per due termini. VIII Commissione: ho contestato la sostituzione di una persona competente e di grande prestigio, il professor Gessa, con la recente nomina alla presidenza dell’onorevole Giuseppe Balia. Mi sono attenuto al curriculum dell’onorevole Balia pubblicato dalla Regione. I suoi interventi sono molteplici, in diversi settori, ma nessuno che riguardi, “assolutamente in nessun caso”, le funzioni specifiche della VIII Commissione consiliare. La conosco, Presidente, particolarmente attento e sensibile all’individuazione delle competenze dei curricula rispetto all’assolvimento di un ruolo. Nei casi ricordati non so farmene una ragione. Rimango in attesa di una Sua cortese risposta. * Università di Cagliari _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 mar. ’07 OCCUPAZIONE, LA SARDEGNA È IN ROSSO L’Isola lontana dagli obiettivi di Lisbona. L’allarme dei sindacati La meta è irraggiungibile. Gli obiettivi di “Lisbona 2010” non sono a portata di mano. Il tasso di occupazione della Sardegna, nel terzo trimestre 2006, è del 52,4%, ben al di sotto del 70% fissato nel 2000 dai capi di Stato e di Governo dell’Unione europea nella capitale portoghese. E nemmeno i tassi di crescita sono incoraggianti. Nel terzo trimestre del 2004 il tasso di occupazione stagnava al 52,2%, solo 0,2 punti in meno rispetto al 2006. Per i sindacati, la distanza da colmare è tanto ampia da richiedere interventi urgenti. «La parola d’ordine è sviluppo », dice Giampaolo Diana, segretario generale della Cgil sarda. «La Regione deve attivare nuovi strumenti di incentivazione per favorire le attività manifatturiere, oggi in crisi». Critico il commento sull’operato della Giunta. «Il governo regionale avrebbe dovuto puntare sull’abbattimento del tasso di disoccupazione e di occupazione del 2-4% all’anno. Solo così avremmo potuto recuperare, anche se in piccola parte, la distanza che ci separa da Lisbona 2010». IL LAVORO. L’analisi si sposta sul sistema produttivo sardo, troppo sbilanciato verso i servizi. «Il settore manifatturiero va sostenuto. I servizi occupano il 72% della forza lavoro, mentre l’industria copre appena il 21%». Lo squilibrio si fa sentire sulla qualità del lavoro. «Il precariato è un altro tema scottante », continua il leader della Cgil: «Se non viene ridimensionato, rischiamo il tracollo». La stessa preoccupazione la vive Michele Calledda, segretario generale della Uil. «La distanza dagli obiettivi di Lisbona è una conferma di quanto denunciamo da mesi. Oggi più che mai occorre intervenire sulle politiche del lavoro: finora la Giunta ha latitato». Severo il giudizio sulla Finanziaria regionale. «Ci sono molte risorse disponibili, ma non a favore di queste politiche », commenta Calledda. «Inoltre è stato cancellato il piano straordinario per il lavoro che avrebbe creato sviluppo e occupazione». I NUMERI. I commenti severi sono confermati dai numeri. Nel terzo trimestre 2006, l’Istat ha stimato a quota 610 mila gli occupati nell’isola. Un dato in diminuizione di duemila unità rispetto al trimestre precedente. Il tasso di disoccupazione ha toccato il 10,5%, in linea con la Campania (10,3%), ma lontano anni luce dalla Lombardia (3,3%) e dall’Emilia-Romagna (3,2%). I risultati allarmanti si registrano in alcuni settori chiave. L’industria, nel giro di un anno, ha perso quindicimila posti. Peggio hanno fatto le costruzioni, con un passivo di dodicimila buste paga in appena un trimestre (dal secondo al terzo del 2006): una variazione che cresce fino a quindicimila unità se si raffronta il terzo trimestre del 2005 a quello del 2006. L’unico dato positivo è quello che riguarda i servizi. Comparto che ha guadagnato sedicimila posti dal secondo al terzo trimestre 2006, sebbene si tratti, per dirla con il segretario della Cgil Giampaolo Diana, «di un’occupazione in prevalenza precaria e quindi di scarsa qualità». C’è poi un altro fenomeno che mette in luce la crisi dell’economia isolana. Buona parte dei sardi è scoraggiata e ha rinunciato a cercare un impiego. Non a caso, dal 2005 al 2006, il tasso di attività (l’indice che misura l’offerta di lavoro) è sceso dal 59,1% al 58,6%. «Viene meno la fiducia dei giovani verso il sistema », osserva Diana. «Un dato che si somma alla crescente emigrazione di chi opta per cercare fortuna fuori dall’isola». GLI OVER 55. Insomma: il termometro del lavoro in Sardegna è sottozero rispetto a Lisbona. Il ritardo coinvolge anche gli over 55. Il tasso di occupazione dei lavoratori non più giovani è del 31,3%, molto distante dall’obiettivo di Lisbona del 50%. Il motivo è semplice: dopo i 55 anni, tre lavoratori su dieci sono occupati, mentre gli altri sette sono in prevalenza in pensione (ma anche disoccupati). In questo caso, però, il problema è dell’Italia. La Penisola, rispetto a Paesi come la Svezia (69%), Gran Bretagna (57%), Norvegia (65%) o anche Spagna (43%), presenta un tasso medio di occupazione del 32,5%. LA REGIONE. Getta acqua sul fuoco Chicco Porcu, capogruppo in Consiglio regionale di Progetto Sardegna. L’esponente della maggioranza non sembra preoccupato del divario con Lisbona 2010. «Se si guardano i dati storici nei primi due anni di legislatura, la percentuale di disoccupati è scesa dal 15 al 10,5%. Inoltre, il Prodotto interno lordo, cioè la ricchezza prodotta nell’isola, cresce al ritmo del 2,16: la percentuale più alta di tutto il Mezzogiorno». Di parere opposto Silvestro Ladu, di Fortza Paris. «È da lunghissimo tempo che una crisi così vasta e diffusa a tutti i settori produttivi non colpiva la nostra isola. Non ha aiutato di certo la scelta scellerata dell’attuale Giunta di adottare una politica di tagli e tasse diffusi». LANFRANCO OLIVIERI Obiettivi di Lisbona troppo lontani per la Sardegna. I sindacati lanciano l’allarme: servono interventi urgenti. _________________________________________________________ Il Manifesto 16 mar. ’07 UNIVERSITÀ GRECHE IN RIVOLTA CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE Studenti e docenti uniti Tl governo conservatore usa la mano pesante e tenta di criminatizzare la protesta. Atene: scontri e provocazioni Pavlos Nerantzis Atene Università al collasso, scontri tra polizia e gruppi di giovani incappucciati, manifestazioni di massa di studenti e docenti, arresti a catena. È il tragico bilancio del tentativo del gbvemo di Kostas Karamanlis di far passare una riforma universitaria che pochi giorni fa è stata votata dal parlamento. Ieri gli scontri si sono trasferiti a Salonicco, città con il pîu alto numero di studenti, mentre ad Atene sfilava ancora un altro corteo dì protesta. Tutto comincia poco prima di Natale, quando i conservatori entrano nel dibattito sulle riforme costituzionali con l'intenzione di cambiare l'articolo 16 e dare così via libera alla fondazione di università private. La prospettiva fa parte di un progetto governativo più ampio per la riforma degli atenei, che, a sentire il ministro dell'istruzione, Marietta Koutsikou, prevede la riduzione di anni a disposizione degli studenti per completare i corsi e rende gli atenei più antagonisti e indipendenti anche sotto il profilo economico. «Con la privatizzazione delle università, senza toccare i gravi problemi dell'istruzione fin dalla scuola elementare, la situazione peggiorerà», sottolineano docenti e rappresentanti del movimento studentesco, che hanno reagito unanimi. Una dopo l'altra tutte le facoltà nel paese sono state occupate, mentre il leader del Pasok Jorgos Papandreou, inizialmente a favore della privatizzazione, ha dovuto fare marcia indietro anche perché la maggioranza dei socialisti si è espressa contro. Al centro dell'attenzione il carattere pubblico delle università e il diritto all'istruzione gratuita. «Il diritto costituzionale non si tocca» affermano gli studenti. «È un mito» sostengono i conservatori, viste le migliaia di studenti che ogni anno vanno all'estero a causa del numero chiuso nelle università greche. Il sogno di ogni famiglia di vedere i propri figli laureati e non operai, obbliga i genitori a spendere ogni anno migliaia di euro in istituti privati che preparano gli esami di ammissione alle università. Secondo una ricerca della Confederazione Generale dei Lavoratori (Gsee), ogni anno le famiglie greche spendano complessivamente 4,3 miliardi di curo per l'educazione dei loro figli. A livello mondiale, tenendo conto dei 10 milioni di abitanti, la Grecia ha il maggior numero di studenti all'estero (piu di 50 mila). Che gli atenei greci siano in crisi non lo nega nessuno. Lo senti nelle facoltà occupate, dove la partecipazione nelle assemblee è massiccia. Preoccupati i giovani per un avvenire incerto, preoccupati i docenti per il futuro dell'università. Poca ricerca, lauree sempre meno qualificate, scarsi finanziamenti. Nessuno, però, nemmeno i rettori degli atenei sono a favore di questa riforma, che «comunque sarà votata dal parlamento», come aveva fin da febbraio annunciato il governo, lasciando pochi margini di dialogo. «La riforma non potrà essere applicata». è stata la replica di studenti e docenti. Dal quel momento in poi io scontro è aumentato. Ogni settimana un corteo sempre più di massa sfila perle vie di Atene. Ogni settimana la polizia in tenuta antisommossa si scontra con gruppi di giovani «ignoti» e comunque estranei al movimento studentesco. lanci di candelotti lacrimogeni da una parte e di molotov dall'altra. Allo stesso tempo è partita una campagna di diffamazione. «La sinistra copre atti ,di vandalismo», ripetono ogni sera i notiziari delle otto, nonostante che testimoni dicevano di aver visto poliziotti discutere con giovani a volto coperto. Una settimana fa i nodi sono arrivati al pettine. Nel parlamento cominciava il dibattito sulla riforma e nella capitale più di 30 mila studenti manifestavano per esprimere pacificamente il loro dissenso. Quando il corteo ha raggiunto la centralissima piazza Syntagma, dove sorge il parlamento, gruppi di giovani incappucciati hanno cominciato a scagliare bottiglie incendiarie. Le fiamme hanno avvolto una vicina garritta in legno, a pochi passi dal monumento del milite ignoto sulla facciata del parlamento, simbolo di libertà e resistenza per tutti i greci. Gli Euzones, i caratteristici soldati presidenziali con il gonnellino e gli zoccoli di guardia al monumento sono stati allontanati in fretta, come i pochi turisti. Gli agenti della polizia, però, non hanno arrestato nessuno degli aggressori che stavano a pochi passi da loro, creando ancora maggiori sospetti sul ruolo delle forze dell'ordine. Hanno invece attaccato duramente i manifestanti. Lacrimogeni a pioggia, scariche di gas chimici in faccia, manganellate in testa. Molti i feriti, alcuni anche gravi, e più di 60 studenti arrestati. Saranno processati mercoledì prossimo con accuse pesanti. Un dibattito forte è partito anche al seno dei sindacati della polizia, dove il presidente della federazione nazionale ha accusato il ministro dell'ordine pubblico di fare dei «giochi politici». II governo, pero, non vuole sentire ragioni. Intanto piu di 250 facoltà continuano a rimanere occupate, il semestre è quasi certo che andrà perso e c'è già chi dice che ci saranno presto elezioni anticipate. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 mar. ’07 CON MYSELF LA FORMAZIONE ESPERIENZIALE ENTRA ALL'UNIVERSITÀ II progetto di ricerca, realizzato con il contributo della Comunità Europea, dedicato all'e-learning, si chiama MySelf (www.myself-proj.it) ed è stato presentato da ACSE Spa, system integrator e innovatore tecnologico che sviluppa e realizza soluzioni informatiche all'avanguardia. II progetto ha coinvolto 13 partner europei che insieme ad ACSE hanno costituito il consorzio per !a sua realizzazione. Accanto ad ACSE, capofila e coordinatore delle attività di ricerca, hanno operato il CESCOM dell'Università Bicocca di Milano, l'Università di Twente (Olanda) e l'Haute Ecole Valaisanne (Svizzera) e, tra le Educational SME (PMI dei settore formazione), hanno partecipato l'italiana Learning Edge, le svizzere Plirosoft e CADCAmation, la spagnola PREVI, il Warsaw Institute of Banking (Polonia), SDC Voice (Italia) e Corner Soft Technologies (Romania). In conformità ai protocolli europei, il progetto ha richiesto la partecipazione di tre potenziali end user, che oltre a fornire un contesto concreto allo sviluppo del nuovo prodotto, hanno anche testato i risultati della ricerca: sono Unicredit Banca Spa, ASL Milano e ContadCenter (Romania). "Gran parte della soddisfazione espressa da tutti i partner del progetto MySelf - spiega Massimo Balestra, Responsabile di ACSE Research Laboratory e coordinatore del progetto - riguarda la possibilità di future implementazioni per il mercato". Secondo la professoressa Fabrìzia Mantovani, membro del team CESCOM dell'Università Bicocca di Milano che ha coordinato nel progetto la ricerca sull'Affective Computing: "il progetto MySelf non ha solo una valenza scientifica, ma dà anche risultati tangibili rispetto al mercato, portando alla creazione di un prodotto che sia tecnologicamente innovativo e per questo facilmente vendibile. Si tratta di un aspetto estremamente motivante anche per realtà solitamente legate alla ricerca pura, come gli atenei". Affective computing Tra le caratteristiche rilevanti del progetto di ricerca c'è l'enfasi sulla formazione esperienziale, ancora poco integrata nella formazione online. La ricerca condotta dal consorzio si fonda su una serie di innovazioni significative sul piana sia scientifico sia tecnologico: affective computing, che integra aspetti emozionali nell'interazione dell'utente con il sistema di e- learning (riconoscimento degli stati emotivi) e apprendimento collaborativo, giochi di ruolo, tutor sia virtuale sia umano, metodologia cognitiva, riconoscimento vacale . In particolare, il progetto MySelf ha implementato I'interazione uomomacchina sia a livello macchina, sia a livello utente. Per quanto riguarda la prima, si è potenziata l'abilità dei computer di esprimere emozìoni attraverso un tutor virtuale (realizzato in 3D); di riconoscere, reagire e adattarsi agli stati emotivi dell'utente (sistema di riconoscimento emotivo multimodale e personalizzazione del percorso formativo); di essere un valido strumento di training per la gestione delle emozioni nella comunicazione interpersonale (simulazioni interattive). Per quanto riguarda invece l'utente, il riconoscimento degli stati emotivi in MySelf si realizza a diversi livelli: self report, riconoscimento vacale verbale e non verbale: "il riconoscimento delle emozioni delI'utente è stata proprio uno degli obiettivi più sfidanti del progetto - spiega ancora Balestra -. I risultati sono sempre in progress, così come le tecnologie utilizzate per gestire i dati". In collaborazione con l'Università Bicocca di Milano, è stato appositamente realizzato per MySelf un software specifico. Si tratta di uno spettrografo SW per raccogliere i parametri vocali fondamentali, correlati alle emozioni base, e costruire così un set di dati utilizzabili in sede di formazione. "II passo successivo è rendere i corsi fruibili per mezzo di PDA e smartphone - conclude Balestra -. A margine di questo progetto, abbiamo effettuato un'analisi preventiva delle possibilità di utilizzare la piattaforma su dispositivi mobili e i nostri ricercatori del laboratorio di Catania hanno già verificato con successo alcune possibili implementazioni". ACSE, system integrator e innovatore tecnologico che sviluppa e realizza soluzioni informatiche all’avanguardia, è presente sul mercato del software dal 1981. Oggi l’azienda si avvale di 100 professionisti che operano prevalentemente in quattro sedi: quella principale di Carate Brianza, una seconda in centro::a Mileno .e i nuovi uffici di Roma e Catania. La crescita è sostenuta attraverso un continuo impegno nella ricerca: _________________________________________________________ Asca Multimedia 13 mar. ’07 INTERNET: 61 MLD DI MESSAGGI SPAM AL GIORNO IN EUROPA Sessantuno miliardi di messaggi spam al giorno circolanti in Europa, quasi il 90 per cento del totale delle email scambiate, con costi annui che, secondo la Commissione Europea, sfiorano i 39 miliardi di euro. Ma anche in Italia la diffusione dello spam ha ormai raggiunto e superato il livello di guardia. Le statistiche raccolte dall'Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Iit-Cnr) documentano una situazione che, sia pur decisamente migliore rispetto agli indici americani, peggiora progressivamente. "Da un'analisi statistica sui server di posta elettronica dell'Iit emerge che, nel 2006, il tasso di spam medio e' stato di circa il 66 per cento", osserva Stefano Ruberti, responsabile della posta elettronica dell'Iit-Cnr e del Registro del ccTLD it, l'organismo che assegna i domini internet '.it"'. A fronte di 2.846.282 messaggi di posta ricevuti, il sistema ne ha classificati come 'clean', puliti, poco meno di 970mila (34 per cento). Ben 1.876.511 email erano invece spam o virus: in particolare, 614.772 (32,7 per cento del totale dei messaggispazzatura) sono state etichettate come spani ma recapitate comunque all'utente per evitare 'falsi positivi' e 504.408 {26,8 per cento} bloccate e poste in quarantena perche' spam acdarato. Altri 732mila messaggi sono stati bloccati dai sistemi di controllo Rbl, che identificano indirizzi noti come mittenti di spamming: un numero enorme, se si considera che tali controlli sono in funzione solo dall'8 novembre scorso. Infine, 25.477 email sono state classificate come portatrici di virus (appena I'1,3 per cento): a dimostrazione di come le infezioni abbiano ceduto il passo ad attivita' truffaldine ben piu' remunerative. Tra queste, nel 2006, spicca il 'phishing', il tentativo di dirottare gli utenti su pagine web fasulle che ricordano quelle di banche o portali per l'acquisto di prodotti online al fine di carpire password e codici di autenticazione". Per dare un'idea di quanto lo spam ostacoli la normale attivita' di rete si pensi che, per analizzare tutti i messaggi infetti, il server Iit ha impiegato oltre 1.315 ore di lavoro. "La tendenza", conferma l'amministratore della posta Iit, 'e' in costante crescita: gli indici di gennaio 2007 parlano gia' di un tasso di spam superiore a) 72 per cento. Le tecniche, del resto, sono sempre piu' raffinate. "L'ultimo nato e' l'image spam: messaggi che non contengono piu' testo ma immagini digitali, piu' difficili da analizzare, che secondo la societa' americana Ironport hanno raggiunto il 25 per cento del totale, a fronte del 4,8 per cento dell'ottobre 2005 (una crescita del 421 per cento). Con l'avvento delle immagini e' cresciuta la dimensione media dei messaggi indesiderati (da 8,9 a 13 K, piu' 46 per cento): lo spam mangia oltre 800 terabyte di banda Internet al giorno (erano circa 250 nell'ottobre 2005) con conseguenze gravi sia per gli utenti (che pagano con la lentezza della navigazione) e, soprattutto, per le aziende, costrette a fare i conti con cali di produttivita' (i dipendenti perdono nel selezionare la posta almeno 15 minuti al giorno) e la necessita' di investire risorse in personale e sistemi antispam". A mettere in ginocchio la posta elettronica sono circa 200 "spam gang", non piu' di 600 professionisti che producono I'80 per cento dei traffico mondiale di spani. II piu' noto spammer, )eremy Jaynes, classe 1974, arrestato e condannato a 9 anni di carcere, ha accumulato un patrimonio personale di 24 milioni di dollari. Ma i tentativi di repressione si scontrano con l'uso di societa' e server e normative non sempre adeguate: la culla dello spamming e' negli Stati Uniti, ma Cina, Russia, Giappone e Corea del Sud avanzano a grandi passi. "E' sufficiente che pochi destinatari abbocchino, poiche' i costi sono prossimi allo zero", conclude Ruberti. "Ma l'obiettivo e' mettere in ginocchio i sistemi di posta e non e' escluso che chi propone {a pagamento} sistemi anti spam abbia contribuito alla sua diffusione: un sistema gia' sospettato nella prima, massiccia ondata di virus per computer. ================================================= _____________________________________________________________ Il Sole 24Ore 15 mar. ’07 SANITÀ, DECRETO DA 3 MILIARDI ROMA Dopo una lunga serie di stop and go, arriva domani in Consiglio dei ministri il decreto legge del ministro dell'Economia che ripiana 3 miliardi di vecchi disavanzi della spesa sanitaria dal 2001 al 2005. Destinatarie sono potenzialmente sei Regioni, quelle in grave situazione di deficit, ma a fare la parte del leone saranno soprattutto il Lazio (oltre 2,3 miliardi) e la Campania (oltre 300 milioni), che hanno da scalare una montagna di oltre 13 miliardi di vecchi debiti, dieci dei quali nel Lazio. Messi a disposizione dalla Finanziaria 2007, i tre miliardi concessi per i ripiani concessi a realtà territoriali storicamente in disavanzo, sono stati duramente contestati in queste settimane da parte di alcune Regioni. A voce alta, soprattutto dalla Lombardia e dal Veneto. Altrove, invece, la parola d'ordine della «solidarietà» verso realtà locali che altrimenti rischierebbero un vero e proprio default e che hanno ereditato il rosso dalla giunta precedente (come il Lazio, cui lunedì Standard&Poor's ha riservato la promozione al livello "BBB"), ma anche la solidarietà politica di centrosinistra, ha fatto premio sulle critiche e sull'indubbio dispetto di non ottenere alcunché. Sono almeno due le condizioni indispensabili per accedere al soccorso dello Stato: la firma di un piano di rientro strutturale dal disavanzo, con tanto di «affiancamento» da parte del Governo in tutte le fasi di attuazione del processo di risanamento; quindi, l'attivazione le super addizionali Irpef e Irap, anche oltre il limite massimo, o in alternativa la destinazione di manovre fiscali già adottate, di quote di tributi erariali regionali. Finora hanno sottoscritto i piani di rientro Lazio, Campania, Liguria e Abruzzo. Sono invece al palo Sicilia e Molise, che rischierebbero di perdere le loro quote di ripiano. Intanto resta alta la tensione sul ticket da 10 euro per visite e analisi introdotto dalla Finanziaria e che le Regioni possono abolire, ma garantendo comunque con altre compartecipazioni sanitarie gli 811 milioni attesi per il 2007. Ieri sono scesi in campo i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil che in una lettera a Prodi hanno chiesto un suo intervento per cancellare del tutto il balzello. R. Tu. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 mar. ’07 UNIVERSITÀ. FORMAZIONE PER GLI OPERATORI SANITARI DEL MEDITERRANEO Psichiatria, s'impara online L'Italia indicata dall'Oms, partecipa l'Asarp CAGLIARI. Un corso di formazione online sulla salute mentale per operatori sanitari di base nel bacino del Mediterraneo e in Africa: l'internazionalizzazione della Sardegna passa anche attraverso la conoscenza e la formazione. Non più per esportare generi alimentari o per andare a imparare dagli altri ma per prendere in mano il timone e offrire un esempio di eccellenza. Nasce così il progetto "La salute mentale in percorso formativo online" promosso dal Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Università di Cagliari e presentato ieri in una conferenza stampa alla ex clinica Aresu. Il progetto si propone di offrire un corso formativo online per i medici, infermieri e operatori socio-sanitari dislocati in aree più o meno periferiche del Marocco, Tunisia, Libano, Nigeria e Bosnia Erzegovina, ma è destinato anche a operatori locali. In otto lezioni gli operatori potranno approfondire le proprie conoscenze su aspetti importanti di alcuni dei concetti più avanzati relativi alla cura di disturbi psichici, di cui quattro su dieci rappresentano le maggiori cause di invalidità nel mondo. Nei paesi in via di sviluppo mancano le risorse per fare fronte a questa emergenza. Ecco perché l'e-learning fornisce uno strumento flessibile ed efficace per essere presenti sul territorio. L'Italia è stata indicata dall'Organizzazione mondiale della sanità un modello di riferimento e la Sardegna, con l'approvazione del piano sanitario regionale, si avvia sempre più verso un processo di trasformazione delle reti di cure di salute mentale, basato sulla non ospedalizzazione. Al progetto parteciperà anche l'associazione italiana per la riforma psichiatrica, rappresentata da Gisella Trincas, che fornirà un contributo sull'esperienza diretta dei sofferenti e dei loro familiari. Il corso sarà operativo fra circa otto mesi e sarà accessibile in Italia attraverso un link dal nome Meditpsycare sul portale dell'Università. Cofinanziato dalla Regione con fondi UE per 95 mila euro e dall'Università. Il professor Mauro Carta, che coordina il progetto insieme a Carolina Hardoy, ha messo in luce il significato politico del progetto: la Sardegna ritorna ad essere al centro del Mediterraneo anche nella sanità. (st.s) La salute mentale in un percorso formativo on-line. E’ quanto si propone il gruppo di ricercatori e psichiatri dell’area mediterranea e dell’Africa riuniti a Cagliari dal 10 al 14 marzo. Il progetto è coordinato dal prof. Mauro Carta del dipartimento di Sanità pubblica dell’università di Cagliari ed è stato finanziato dalla presidenza della regione Sardegna con risorse comunitarie (legge regionale 19/06). Partecipano: Il progetto è coordinato dal del dipartimento di Sanità pubblica dell’università di Cagliari ed è stato finanziato dalla presidenza della regione Sardegna con risorse comunitarie (legge regionale 19/06). : * la professoressa Vera Danes, psichiatra dell’università di Sarajevo (Bosnia Erzegovina) esperta in disturbi post traumatici da stress * il professor Elia Karam dell’università di Beirut (Libano), psichiatra che si occupa prevalentemente di epidemiologia delle tossicodipendenze * la professoressa Khadija Mchichialami, psichiatra del Centro Collaborativo OMS dell’Università di Casablanca (Marocco) che si è occupata a lungo dei problemi relativi alla salute mentale della donna * il prof. Oje Gureye del Centro collaborativo OMS dell’università di Ibadan (Nigeria), esperto in ricerche sulle cure di primo livello in salute mentale nei paesi africani * il professor Rafik Garbi, dell’università di Tunisi, esperto di patologie nel mondo del lavoro * il professor Giuseppe dell’Acqua, responsabile del dipartimento di Salute mentale di Trieste e dell’annesso Centro collaborativo OMS * Gisella Trincas, rappresentante dell’Associazione italiana per la riforma psichiatrica (ASARP) * per l’università di Cagliari partecipano al progetto il Centro e-learning d’ateneo (prof. Aymerich, dott.ssa Atzei, Cesare Lofaro, Sabrina Piras), il dipartimento di Scienze mediche (prof. Vitulano, dr Casanova), Ivano Todde, Valeria Massidda, Carlo Balzano e Laura Floris. _____________________________________________________________ Italia Oggi 13 mar. ’07 PER I MEDICI SPECIALIZZANDI C'È IL TRATTAMENTO ECONOMICO Emanato il primo dpcm. Ma manca ancora lo schema di contratto tipo. Benedetta P. Pacelli Sospiro di sollievo per i medici specializzandi. Fino a un certo punto però. Perché se da un lato finalmente si vedono riconoscere il trattamento economico che spettava loro secondo la legge 226/05, dall'altro l'iter per la definizione del contratto tipo è ancora troppo lento. Con un ritardo di oltre un anno è stato emanato il primo decreto del presidente del consiglio dei ministri (dpcm), relativo alla parte economica, con cui viene definito il contratto di formazione specialistica per i medici specializzandi a decorrere dal corrente anno accademico 2006/07. Questo trattamento economico è composto da una parte fissa, circa 22.700 euro lordi l'anno, e una variabile relativa alle responsabilità che gravano sul medico, che non deve superare comunque il 15% della parte fissa e cioè circa 2.300 euro annui lordi per i primi due anni e circa 3.300 per gli anni successivi. Ma le cose non finiscono per i medici specializzandi, giacché per far decollare lo status designato dalla Finanziaria dello scorso anno dovrà essere emesso un secondo decreto relativo allo schema tipo di contratto, fatto, tra le altre cose, di contributi, di tutela della maternità e della malattia. E questo decreto, per essere messo a punto, dovrà passare il vaglio dello stesso ministero dell'università, di concerto con i ministri della salute, del tesoro e del lavoro e della previdenza sociale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti stato-regioni. Un iter avviato solo in parte, ma che si potrebbe concludere, secondo gli intenti dello stesso ministro dell'università Fabio Mussi, entro il prossimo luglio. Ecco perché, a tal fine, appare indispensabile, per il Segretariato italiano medici e specializzandi (Sims) e per l'Associazione medici specialistici della comunità europea e specialisti in formazione (Amsce), il coinvolgimento delle associazioni interessate. E le stesse rappresentanti di categoria, pur riconoscendo i passi in avanti, annunciano battaglia e non smetteranno di incalzare i ministri competenti e il governo fin quando non saranno conseguiti altri obiettivi, tra cui l'emanazione di direttive uniformi sull'espletamento dell'impegno assistenziale in regime di tempo pieno dei medici in formazione specialistica e non saranno sottoposti gli specializzandi al regime di sorveglianza sanitaria, come le altre categorie esposte a rischi legati all'attività lavorativa. Le associazioni chiedono la pubblicazione entro marzo 2007 del bando sulle scuole di specializzazione per l'anno in corso. _____________________________________________________________ La Voce 16 mar. ’07 CUP: LA RICETTA TAGLIACODE DELL'ASSESSORE: informatica e più educazione Possibile impegnare meglio i medici di Matteo Bordiga Un problema complesso. Da affrontare con pazienza, nella consapevolezza che la Sardegna può e deve avvicinarsi agli standard qualitativi di altre regioni più attrezzate e organizzate. L'impresa di riuscire ad accorciare le liste d'attesa per le visite mediche e le prestazioni specialistiche richiederà tempo e, soprattutto, grandissimo impegno. Ma non si tratta di un traguardo impossibile. Anzi. «Purtroppo la domanda sanitaria è potenzialmente infinita», osserva l'assessore regionale della Sanità Nerina Dirindin, attualmente al centro di una polemica, scatenata dai Riformatori, legata proprio alla piaga delle interminabili liste d'attesa che rallentano le visite dei pazienti sardi. «Ma il problema delle liste d'attesa è tipico di tutti i paesi sviluppati», replica Dirindin, «e facendo i dovuti sforzi si può risolvere o, quantomeno, contenere. A patto che lo si affronti in maniera decisa, concentrandosi essenzialmente su tre punti: il primo riguarda la capacità di governare la domanda. Bisogna insegnare ai cittadini a distinguere fra bisogni più o meno urgenti. Oggi, infatti, molto è lasciato alla componente emotiva e irrazionale del paziente. Tanto per capirci», prosegue l'assessore, «accade sempre che il giorno dopo la trasmissione televisiva “Elisir”, condotta da Michele Mirabella la domenica sera su Rai3, aumenti esponenzialmente la richiesta di visite specialistiche legate a patologie che sono state analizzate nel corso del dibattito televisivo. Questo perché la gente si lascia suggestionare facilmente e arriva a immaginare di aver contratto la stessa malattia descritta nel programma». In secondo luogo, occorre imparare a gestire le liste d'attesa: «Bisogna potenziare i centri unificati di prenotazione in tutte le Asl», spiega l'assessore, ricordando che «in Sardegna, fino a due anni e mezzo fa, in alcuni ospedali le prenotazioni venivano ancora prese manualmente, accatastando negli scaffali quintali di scartoffie. Da allora, mi sembra che qualche passo avanti sia stato fatto. Inoltre fra due mesi partirà il nuovo sistema informativo sanitario, che consentirà di ottimizzare l'accesso del cittadino alle prestazioni mediche grazie soprattutto all'informatizzazione dei dati». Infine, la programmazione dell'offerta: «I rallentamenti non si cancellano limitandosi a incrementare il numero delle prestazioni», chiarisce Dirindin. «Riscontri certi confermano che aumentare l'offerta non porta automaticamente allo snellimento delle code. Piuttosto, dobbiamo riuscire a ottimizzarla e riorganizzarla. La Giunta regionale ha intenzione di assumersi questi impegni e di rispondere con i fatti allo scetticismo manifestato recentemente da qualcuno». Per ricordare che il Piano sanitario regionale non ha raccolto solo critiche, ieri l'assessorato ha passato alla stampa una lettera che un mese fa - dopo una animata assemblea di medici a Cagliari - la Anaao-Assomed (Associazione Medici Dirigenti) della Asl 3 di Nuoro aveva inviato per chiedere che la Giunta proseguisse «nel percorso di riforma della sanità sarda. Il Piano sanitario regionale è un primo passo, uno strumento che inizia, in maniera organica, a dare risposte omogenee al bisogno di buona sanità in tutta la regione. Certo, non ci nascondiamo che per alcune parti sia un punto di partenza e che occorrano miglioramenti, ma siamo altresì certi che si parta da una base valida, finalmente sganciata dalle logiche imposte dai soliti noti». Il segretario regionale dell'Anaao, Marcello Angius, ieri ha aggiunto tuttavia che «la Sardegna è un po' indietro, rispetto ad altre regioni, per quanto riguarda la gestione del personale medico che dovrebbe smistare i pazienti in coda. Mi spiego meglio: il contratto nazionale di lavoro dà ai direttori generali degli ospedali la possibilità di assegnare ai medici specialisti alcune ore di lavoro extra, retribuite in maniera particolare, da impiegarsi proprio per lo snellimento delle liste d'attesa. Si tratta di un iter largamente diffuso nella penisola», prosegue Angius, «mentre in Sardegna solo l'ospedale “Brotzu” di Cagliari ha provato, in maniera peraltro sporadica, ad applicare questo tipo di soluzione». Quale, in tal senso, il compito dell'assessore Dirindin? «Fare in modo che i direttori generali sfruttino le norme esistenti, impiegando i medici negli orari extra», conclude il dottor Angius. Mario Selis, direttore del Brotzu, conferma che, effettivamente, il principale ospedale cagliaritano «in alcuni casi ricorre a prestazioni al di fuori del normale orario di lavoro. Succede, ad esempio, quando si formano code veramente interminabili. Ad ogni modo, vorrei ricordare che il problema non si risolve certo grazie a un'unica struttura che si impegna a tagliare i tempi d'attesa. Occorre piuttosto che tutte le ASL, di concerto, si decidano a utilizzare di più e meglio i propri professionisti». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 mar. ’07 POCHI INFERMIERI, IL FEGATO VA A ROMA Sanità in tilt. L'episodio si è verificato giovedì scorso. Il direttore sanitario del Brotzu: «Non posso dare spiegazioni» - Impossibile formare l'équipe per l'intervento di trapianto Al Brotzu non ci sono abbastanza infermieri per affrontare un trapianto di fegato, e l'organo prelevato da un paziente morto a Carbonia e destinato a un paziente sardo vola in Continente, a Roma. Succede di giovedì, 8 marzo, Giornata della donna e data da segnare in nero per la sanità sarda. Come può essere successo? Ieri sera l'abbiamo chiesto alla persona più titolata a fornire spiegazioni: il direttore sanitario del Brotzu, Paolo Pettinao. «Non sono in grado di rispondere», ha dichiarato al telefono: la linea era chiara, in sottofondo crediamo di aver indovinato l'audio di un televisore. Inutile insistere: «Non posso trattenermi, mi scusi, sono impegnato. Buonasera». La realtà è che nelle ultime settimane, dal più importante ospedale dell'Isola, non erano mancati segnali di malessere. Succede che gli infermieri, stanchi di tappare buchi, svolgere mansioni che toccherebbero a figure che non vengono assunte (ausiliari, assistenti), coprire turni di lavoro pesanti passando da un'emergenza a un'altra, lamentare una gestione delle risorse umane che (a loro dire) non tiene conto di competenze professionali e storie personali, chiedono in massa di cambiare posto di lavoro. Secondo il sindacato di categoria, in 34 sono in procinto di trasferirsi alla Asl 8 o a case di cure private. Fra quelli che se ne sono già andati, anche qualcuno di quelli che tre anni fa erano stati inviati alle Molinette di Torino per essere formati sulle procedure del trapianto. Altri hanno ottenuto di andare in altri reparti o di essere adibiti a mansioni meno stressanti. Altri ancora sono in malattia. Qualcuno in ferie. Il risultato? La macchina dei trapianti del Brotzu, uno dei fiori all'occhiello della sanità isolana, è andata in tilt. È successo giovedì scorso, quando si è reso disponibile un fegato prelevato da un paziente a Carbonia. In base ai protocolli nazionali, avrebbe potuto essere trapiantato su un paziente sardo (uno dei sei o sette in lista d'attesa a Cagliari) per restituirgli una speranza di vita. Invece è stato rimandato indietro: anzi, «inserito nel circuito nazionale» e assegnato a un paziente di Roma. Una decisione obbligata, assunta nientemeno che da Fausto Zamboni. Quarantacinque anni, bresciano, cresciuto professionalmente alle Molinette di Torino, da tre anni primario di Chirurgia a Cagliari, Zamboni è considerato un fuoriclasse del trapianto di fegato ed è l'artefice del salto di qualità del Brotzu su questo fronte. Quando il Centro di riferimento regionale per i trapianti, dall'ospedale Binaghi, ha comunicato alla direzione sanitaria la disponibilità del fegato a Carbonia, il luminare lombardo ha dovuto ammettere di non avere a disposizione abbastanza infermieri per comporre un'équipe in grado di garantire le condizioni di sicurezza previste per l'intervento: di norma servono almeno due ferristi (quelli che passano i ferri al chirurgo), due circolanti (offrono assistenza in sala) e uno o due ausiliari. La direzione sanitaria ha cercato di contattare alcuni degli infermieri trasferiti e di quelli in ferie. Nessuno, però, era rintracciabile. A quel punto, i vertici del Brotzu hanno dovuto rinunciare al trapianto. Marco Noce 11/03/2007 In tilt la macchina dei trapianti di fegato al Brotzu: giovedì scorso è saltato un intervento. Pochi infermieri, impossibile formare l'équipe. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 mar. ’07 BROTZU: MANCATO TRAPIANTO, QUESTIONE DI SOLDI Sanità. Brotzu: guerra di cifre fra il direttore attuale, Selis, e il suo predecessore Meloni - «Nel 2002 sbagliati i conti sugli stipendi degli infermieri» Questione di feeling: quello che non c'è più fra il Brotzu e gli infermieri che ci lavorano. Ma anche questione di soldi: perché fra le ragioni di malcontento dei camici verdi (oltre ai turni massacranti, alle reperibilità per venti giorni al mese, alle incombenze che dovrebbero toccare ad ausiliari e operatori sociosanitari che non sono ancora stati assunti e a una sensazione diffusa di mancata valorizzazione professionale) c'è anche una questione di retribuzione. Quello degli infermieri, dal Brotzu, è un esodo: 34, nelle ultime settimane, hanno fatto domanda per andarsene a lavorare altrove e giovedì scorso non si è riusciti a trovarne abbastanza per trapiantare un fegato donato a Carbonia. I conti di SelisSe ne volevano andare anche i due specializzati trasferiti nei mesi scorsi dalla squadra trapianti ai reparti di Chirurgia maxillo facciale e Senologia, puntualizza l'azienda: trasferirli, insomma, era l'unico modo per trattenerli. Se fuggono, spiega l'azienda, è anche perché gli stipendi offerti dal Brotzu non sono competitivi con quelli offerti dalla Asl 8 e da altre case di cura. La direzione ha scoperto di chi è la colpa: dopo una «ricognizione» sulla «disciplina applicativa delle norme contrattuali» dei fondi previsti dal contratto collettivo nazionale del comparto Sanità, è saltato fuori che l'azienda, nel 2002, ha fatto male i conti sulla «progressione economica» (gli aumenti di stipendio) e non ha incassato, nel giro di quattro anni, poco più di un milione e mezzo di euro. Tuttavia ne dovrebbero arrivare due, di milioni di euro: nelle scorse settimane il direttore generale Mario Selis ha incontrato l'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin (i due si sono visti anche ieri mattina) che si è impegnata ad «aprire un tavolo tecnico» con lo Stato. Le cifre di MeloniL'errore, secondo Selis, risale al 2002. Allora, sulla poltrona di direttore generale del Brotzu, sedeva Franco Meloni. Che, tirato in ballo, reagisce: «Non posso escludere, anche perché non essendo più al Brotzu da 18 mesi non posso effettuare alcun controllo, che in passato ci sia stato un errore. Certo però sarebbe molto strano che nessuno se ne sia accorto per tanti anni: né l'ufficio personale, né il servizio Bilancio, né la Regione, né i sindacati, di solito molto attenti alle vicende contrattuali dei lavoratori». Poi, un rapido calcolo: «1.570.000 euro, divisi per quattro anni, per 1500 dipendenti e per 13 mensilità fanno la bellezza di 20 euro al mese. Tanti malumori solo per quei pochi soldi in più al mese?» Marco Noce _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 mar. ’07 L'AZIENDA CI RIDICOLIZZA «Sconcertati»: il sindacato degli infermieri riassume così gli stati d'animo degli iscritti. E spiega che i camici verdi sono infuriati con chi gestisce il Brotzu perché il numero degli infermieri necessari viene stimato non in rapporto al tipo di servizio e alle prestazioni erogate dall'ospedale (e quindi agli «interessi della collettività») ma al numero dei medici: «È gravissimo - scrive il responsabile provinciale del Nursind Graziano Lebiu in una lettera indirizzata al direttore generale dell'azienda ospedaliera Mario Selis, all'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin e all'ordine professionale infermieristico - che i vertici aziendali ridicolizzino in chiave medico- centrica il problema del personale». Le assunzioni ci vogliono eccome, insiste il sindacato, ma non secondo i criteri indicati dalla dirigenza del più importante ospedale sardo: vanno calcolate, scrive il Nursind, «nel rispetto dell'orario di lavoro settimanale», «in base al numero di posti letto e della tipologia di prestazioni erogate», rispettando il profilo professionale e la deontologia degli infermieri, assumendo il personale che si occupi delle «prestazioni domestico alberghiere» e delle «mansioni inferiori» (assistenti sociosanitari e ausiliari) e infine riducendo gli sprechi («prestazioni e ricoveri impropri»). (m. n.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 mar. ’07 CAMICI VERDI IN FUGA: 34 CHIEDONO IL TRASFERIMENTO Retroscena. Il sindacato: costretti a svolgere qualsiasi tipo di mansione e a continui turni massacranti - Martelli: «Da un anno segnaliamo questa situazione. L'assessore ci snobba» L'infermiera Evelin Pandolfi dalle parole è passata ai fatti: ha chiesto il trasferimento, lasciando, il primo marzo, il Brotzu stufa di una situazione lavorativa giunta al limite. Ma il sindacato cagliaritano dei camici verdi, il Nursind, avverte: «Sono 34 gli infermieri che hanno deciso di abbandonare l'azienda ospedaliera». Una situazione che rischia di portare al collasso il Brotzu, sofferente da più di un anno come ricorda il primario di Cardiochirurgia, Valentino Martelli: «Denunciamo le carenze di personale da un anno. Anche dopo un incontro con l'assessore Dirindin le cose sono rimaste uguali». l'addioDopo tante lamentele, turni massacranti, giorni di reperibilità continui, mansioni di ogni tipo, Evelin Pandolfi ha deciso di salutare il Brotzu, chiedendo il trasferimento (ottenuto) alla Asl 8. «In anni di lavoro - racconta in una lettera indirizzata al direttore generale dell'azienda - non ho avuto alcuna soddisfazione, gratificazione, valorizzazione economica. Mi avete spremuta come un limone, ridotta a numero piuttosto che considerata per quello che sono: una professionista». In certi uffici l'infermiera spiega di aver incontrato «gente che ha deciso il mio orario di lavoro, i miei riposi, le mie competenze, i miei diritti e doveri. L'importante era coprire i turni e far svolgere mansioni inferiori, che umiliano chi pensava di dedicarsi all'assistenza diretta e non a mansioni domestico alberghiere. Vado via senza rimpianto. Chiedetevi quanti e quali errori avete compiuto e in futuro rimediate». altri 34Il caso di Evelin Pandolfi non è isolato. «Abbiamo altri 34 infermieri - sottolinea Graziano Lebiu, segretario provinciale del Nursind - che hanno deciso di abbandonare il Brotzu. Non si sentono valorizzati. Inoltre voglio ricordare che stanno crescendo continuamente i contenziosi legali per le situazioni lavorative insostenibili». Il problema principale sono le competenze: «Mancano molte figure professionali - dice Lebiu - come gli ausiliari e gli assistenti sanitari. Così gli infermieri sono costretti, per rispetto dei pazienti, a svolgere anche mansioni non loro. I carichi di lavoro sono insostenibili: si arriva anche a venti giorni di reperibilità». Sul caso del trapianto saltato il sindacalista è duro: «L'équipe per le emergenze dovrebbe essere sempre pronta. Ora bisogna avviare un'inchiesta interna. Questa è la conferma che non c'è un'organizzazione del lavoro». l'allarmeAnche per gli altri interventi chirurgici le situazioni difficili non mancano: «Da anni lamentiamo la carenza di personale - attacca il primario Martelli - e la disorganizzazione. L'assessore non ci ha dato certezze. Dobbiamo smetterla di considerare l'ospedale un'azienda e fare tagli. Basta vedere cosa capita in rianimazione, dove la carenza di infermieri e ausiliari è quasi la norma». Il fegato rifiutato è la triste conferma di una situazione difficile: «Un allarme. Molto pericoloso», conclude Martelli. Matteo Vercelli _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 mar. ’07 LA RABBIA DEI TRAPIANTATI: «BRUTTO PASSO INDIETRO» Reazioni. Il presidente dell'associazione che riunisce chi ha ricevuto organi A Giampiero Maccioni, questa storia del fegato rifiutato dal Brotzu perché non era in grado di trapiantarlo su uno dei pazienti sardi in lista d'attesa, non va proprio giù. Sarà perché da dieci anni vive grazie a un cuore ricevuto in dono. Sarà perché guida un'associazione nata su ispirazione di Alessandro Ricchi (il cardiologo morto tre anni fa in un incidente aereo mentre tornava in Sardegna con un organo da trapiantare) e che riunisce pazienti che hanno ricevuto un trapianto. Sarà perché lui, le battaglie per avere nell'Isola un centro trapianti che liberasse i sardi dal giogo dei viaggi della speranza le ha combattute tutte in prima fila. Fatto sta che, dice a nome degli associati, «leggere di un fegato che si rende disponibile a Carbonia (e prelevato, per inciso, in un altro centro fortemente voluto dalla nostra associazione, quello di Iglesias) e il Brotzu che ammette di non essere in grado di trapiantarlo sembra un brutto passo indietro». Dopo «i primi anni eroici, basati sull'entusiasmo e l'abnegazione», sono insomma arrivati gli anni «della stabilizzazione»: quelli in cui bisogna trovare risorse, fare un bilancio fra costi e benefici. «Mi pare - prosegue Maccioni - che nei bilanci del Brotzu si badi troppo ai numeri e poco alle esigenze dei veri azionisti della sanità: i cittadini. Noi trapiantati chiediamo da anni di poter dare un contributo e di essere inseriti in un comitato consultivo misto. Per affrontare, magari, il tema dell'assistenza psicologica dopo il trapianto. In Veneto, Toscana, Emilia Romagna i comitati ci sono già. Oggi (ieri, ndr) l'assessore Dirindin mi ha assicurato che si farà anche in Sardegna. Staremo a vedere». (m. n.) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 mar. ’07 DIRINDIN: SONO TROPPI I POSTI LETTO IN CITTÀ Piano sanitario. L'assessore regionale in Consiglio provinciale: «Sono troppi i posti letto in città» La Dirindin: «Tagli necessari» q Acceso dibattito in aulae presidio di protesta dei lavoratori disoccupati della clinica Lay Troppi posti letto, i tagli sono necessari. Così l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin, giustifica la futura riduzione dei presidi ospedalieri sardi. Nelle parole della Dirindin ci sono percentuali e statistiche: per i parametri nazionali, i posti per mille abitanti non devono superare i 4,5. Ma il dato in città raggiungei 6,5. L'obie ttivo illustrato dall'assessore, per ora,è raggiungere quota 5,3 posti letto per mille abitanti. Insomma, ancora un botta e risposta sul piano sanitario regionale. L'ultimo match, ieri sera, nel ring istituzionale della Provincia. In attesa che la discussione approdi in Comune, la Dirindin, ha tracciato ancora una volta le linee guida del Piano dei servizi sanitari per il triennio 2006- 2008. E, anticipando quasi le polemiche sulla chiusura di alcuni ospedali cittadini, la Dirindin ha ribadito che nessun presidio verrà chiuso finché non ci sarà il futuro centro polifunzionale. Quello che manderà quasi certamente in pensione le ex casermette del 3 L'assessore Dirindin Santissima Trinità e l'ex albergo sul mare del Marino. Nei sette minuti concessi ad ogni gruppo consiliare, puntuali le critiche dell'opposizione. Le più incisive, quelle fuori cronometro del consigliere azzurro, Alessandro Sorgia. Che ricorda" la grave situazione dei precari del Policlinico universitario e la raccolta di firme contro la chiusura dei presidi ospedalieri di Ci ttadinanz atti va ". Alla seduta di Palazzo Regio, anche un presidio degli ex dipendenti della clinica Lay: «Siamo senza lavoro da agosto- denuncia Matteo Peracchio- e ora, dopo sei mesi senza un sussidio». Cinzia Isola _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 mar. ’07 CARA DIRINDIN: LA SANITÀ SENZA I MEDICI NON SI PUÒ FARE L'ANAAO A DIRINDIN Egregia professoressa Dirindin, Le dichiarazioni a Lei attribuite e pubblicate sulla stampa i giorni scorsi mi inducono ad alcune considerazioni. Definire la posizione dei medici una battaglia di retroguardia o un arretramento culturale ci sembra nasconda l'intenzione di demonizzare la categoria; lo slogan che la sanità è dei cittadini e non dei medici ci sembra un po' demagogico. Sarebbe come dire che la giustizia è dei cittadini, l'università e la scuola sono dei cittadini, i trasporti pubblici sono dei cittadini etc.... Ovviamente non è così! Si tratta infatti di pubbliche Istituzioni e di Servizi di cui i cittadini sono i fruitori e che dovrebbero essere governati al meglio per garantire ai cittadini stessi il massimo dell'efficienza. Purtuttavia non si fa nessuna sanità, buona o cattiva, senza i medici così come non si fa nessuna giustizia, buona o cattiva, senza i giudici e nessuna scuola, buona o cattiva, senza gli insegnanti. Ecco, dunque, la centralità del medico nel sistema sanitario che, naturalmente dovrebbe essere "tagliato" sui bisogni dei cittadini. Rivendicare la centralità del ruolo medico nell'ambito della governance clinica non ci pare una battaglia di retroguardia, bensì di modernità, che peraltro si pone in linea con le recenti proposte ministeriali. I suoi toni lasciano intravedere una sorta di atteggiamento ostile e di diffidenza nei confronti dei medici quasi che noi fossimo una categoria poco raccomandabile, che difende interessi personali e chissà quali altri privilegi. Provi a passare qualche giorno in ospedale con noi (non da paziente, si intende) e si renda conto di persona (cosa che non fanno alcuni direttori generali ed alcuni direttori sanitari delle nostre ASL) di quelli che sono i nostri reali interessi e quali privilegi abbiamo da difendere. Noi non siamo resistenti al cambiamento, ma vogliamo essere parte attiva e propositiva di questo cambiamento. Noi medici, e non i direttori generali, sappiamo di che cosa ha bisogno il paziente, in termini di assistenza. Il paziente è sempre stato al centro della nostra attenzione, dal giorno in cui abbiamo deciso di fare i medici e, se ci siamo spesso adattati a lavorare in strutture e condizioni da terzo mondo, è perché non abbiamo mai voluto far mancare ai pazienti la nostra assistenza. Certamente noi siamo una categoria numerosa e variegata e anche tra noi si possono trovare le mele marce, ma mi creda, quelle si possono trovare in tutte le categorie, anche tra i magistrati e tra i suoi colleghi professori universitari. * Segretario Regionale ANAAO-ASSOMED _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 mar. ’07 CLINICA ARESU: LA MACCHINA DA UN MILIARDO? IN CANTINA Anche un angiografo digitale funzionante lasciato marcire nell'ex clinica Aresu - L'Architettura neonata nel reparto storico della pediatria isolana ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. C'era anche un angiografo digitale fra le macchine in funzione nella clinica medica fino al giorno del trasloco al policlinico di Monserrato. Ma l'apparecchio, valore nel 1994 un miliardo di lire, fu abbandonato. Assieme alla Tac (costata un miliardo e mezzo) e alla risonanza magnetica (due). In questi giorni la facoltà teme un altro imminente terremoto, provocato dalla decisione del consiglio di amministrazione dell'università di trasferire nell'edificio (denominato blocco Q) di Monserrato l'intera clinica Macciotta e trasformare in un dipartimento sanitario materno-infantile il palazzo che nei piani originari della facoltà di Medicina doveva diventare il motore dell'azienda mista. Al posto delle culle termiche per i neonati, nella storica clinica pediatrica andrebbero le aule dell'appena istituita facoltà di Architettura, che aveva inutilmente sperato di trovare una sede prestigiosa nell'ex manifattura tabacchi. Per alcuni docenti della facoltà di Medicina è un nuovo colpo di mano dell'ateneo che unilateralmente decide di svuotare una struttura medica, consegnarla ad altre facoltà e sistemare gli «sfrattati» al policlinico universitario in un edificio concepito all'origine per accogliere ortopedia, cardiologia, neurologia, chirurgia pediatrica. La cardiologia (assieme all'unità terapia intensiva) è considerata una delle discipline fondamentali per aprire il pronto soccorso, reparto indispensabile secondo i docenti perché gli studenti vedano, e quindi imparino a trattare, le malattie dove occorrono diagnosi tempestive e interventi rapidissimi. Secondo gli oppositori di questo progetto d'ateneo nel policlinico di Monserrato, se il blocco Q verrà davvero destinato ad altro, non resterebbe posto per allestire questi reparti perché il blocco R, nuova opera edilizia progettata dall'università, non ha neppure i finanziamenti. In altre parole, nella facoltà di Medicina serpeggia la preoccupazione che si vada verso un nuovo colpo di mano, paragonabile a quello del trasferimento della clinica medica: un verbale di un consiglio di facoltà del marzo 2005 dimostra che vari docenti accusavano l'ateneo di aver imposto il trasloco e, soprattutto, di non aver gestito il trasferimento opportunamente col risultato (tra gli altri) che tre macchinari costosi e (due) funzionanti sono rimasti nel sotterraneo dell'ex clinica Aresu trasformandosi in ferri vecchi. D'altronde, non sembra essere la prima volta che nel policlinico di Monserrato un edificio progettato per alcune discipline viene destinato ad altro. In parole diverse, l'accusa rivolta in certi casi esplicitamente è questa: il policlinico universitario non sta crescendo in personale e mezzi per dare gambe a una programmazione sanitaria bensì per liberare di volta in volta stanze utili a facoltà finora compresse in locali angusti o comunque meno ampi di una clinica Aresu o della pediatria di Macciotta (il fondatore). Col risultato di riempire i reparti di Monserrato di studi e ambulatori, in vari casi sottoutilizzati o non utilizzati per niente. Naturalmente, il «male» di tutto questo non si rintraccia nel fatto che altre facoltà si allarghino in edifici già di Medicina, ma nella circostanza che l'organizzazione della facoltà di Medicina e quindi della didattica, dell'assistenza e della ricerca scienfica di interesse dei futuri medici, dei futuri infermieri nonché dei pazienti di oggi, avvenga attraverso decisioni dell'ateneo e non invece nell'ambito naturale che è l'azienda mista. Intanto, nell'ospedale di Monserrato risultano esserci laboratori per la capillaroscopia, Moc (le macchine per esaminare la densità delle ossa), apparecchi per le ecografie in una quantità non giustificata, ad esempio, dagli orari degli ambulatori che alle 14 immancabilmente chiudono. E mentre si sono lasciate nella polvere delle cantine dell'ex Aresu tre macchinari per diagnosi sofisticate, a Monserrato succede che per due sale operatori non ci siano soldi da spendere negli arredi e che la rianimazione non abbia lo spazio previsto in origine perché affollata di studi e laboratori non tutti aperti. Infine: quando comincerà a lavorare la commissione prevista dal protocollo (2004) per l'azienda mista? _________________________________________________________ Avvenire 13 mar. ’07 IL VIRUS DELL'HERPES «ACCELERA» L'AIDS Studio di scienziati del San Raffaele LA MILANO Un herpesvirus umano, l'Hhv-6, non solo favorisce, ma addirittura «accelera» la diffusione del virus Hiv. La notizia viene da un gruppo di ricercatori dell'Istituto San Raffaele di Milano, che hanno condotto uno studio (pubblicato sulla rivista scientifica «Pnas») in collaborazione con l'Institute of Human Virology dell'Università del Maryland (Stati Uniti) guidato da Robert Gallo. La ricerca, coordinata dal gruppo di Paolo Lusso, responsabile dell'Unità di Virologia umana dell'istituto milanese, è stata condotta sui macachi, coinfettati con il virus dell'Herpes e quello dell'Aids delle scimmie. Si è osservato che nell'organismo dei macachi, l'Herpesvirus ostacolava la diffusione dei ceppi di Hiv meno aggressivi mentre favoriva la crescita dei ceppi più virulenti e quindi la comparsa della malattia. Spiega Lusso: «Anche se saranno necessari ancora alcuni anni per passare dalla sperimentazione alla pratica clinica, questa scoperta ci potrebbe permettere di individuare nuove forme di terapia e prevenzione per fermare la progressione stessa e quindi rallentare anche di anni V avanzamento della malattia. Infatti colpendo FI—Iliv-6 verrebbe meno un acceleratore che probabilmente gioca un ruolo importante nel determinare il passaggio dallo stato asintomatico (di portatore sano) verso l'Aids vero e proprio. In questo senso è ipotizzabile anche l'uso di un vaccino contro l'Hhv- 6, per ora ancora in fase di studio, che renda l'organismo immune a questo tipo di infezione». _________________________________________________________ Repubblica 16 mar. ’07 BOCCIATA TECNICA "BOCCA A BOCCA" Studio statunitense su Lancet MILANO -Meglio il massaggio cardiaco che la respirazione "bocca a bocca". Lo sostiene uno studio giapponese pubblicato su "Lancet": eliminando il "bacio rianimatore" nel primo soccorso, le speranze di far sopravvivere una persona colta da arresto cardiaco raddoppiano: dal 10,2% al 22%. Secondo specialisti Usa eliminare la respirazione bocca a bocca invoglierebbe inoltre molte più persone a soccorrere chi sta male visto che molti «sono restii a prendere l'iniziativa verso un estraneo per la paura di contrarre malattie». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 mar. ’07 AL BINAGHI LA PRIMA BANCA DEL CORDONE OMBELICALE Nel 2008 aprirà il centro di raccolta del sangue placentare Tra un anno Cagliari avrà la prima banca sarda per la conservazione del sangue placentare: avrà sede al Binaghi. Presto nei centri di ostetricia prenderà avvio la raccolta del preziosissimo cordone ombelicale che finalmente non sarà più scartato: il cordone infatti contiene sangue ricco di cellule staminali (le stesse del midollo osseo) che potranno essere utilizzate per scopi terapeutici e per dare nuovi impulsi alla ricerca scientifica. Un regalo vitaleOgni donna che deciderà di donare il sangue placentare regalerà a tanti malati una speranza in più di guarigione. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche da sangue placentare consentirà infatti di curare numerose patologie come leucemie, linfomi, alcuni tumori solidi, gravi forme di anemia, deficit immunitari, errori congeniti del metabolismo e malattie genetiche come la beta-talassemia, molto diffusa in Sardegna. L'istituzione del centro è stata deliberata dalla Giunta regionale un anno e mezzo fa e finanziata con 780 mila euro (solo per il primo anno). «Si tratta di un passo avanti importante», afferma Carlo Carcassi, responsabile del Centro regionale per i trapianti di organi, tessuti e cellule nonché consulente scientifico della Asl 8. «Se consideriamo i costi elevati, ci rendiamo subito conto che la banca è un piccolo lusso per la Sardegna, ma è altrettanto vero che la sua realizzazione collocherà l'isola in una posizione d'avanguardia nel mondo». La sceltaCome mai proprio al Binaghi? «Al Brotzu non c'era sufficiente spazio e poi nell'ospedale di via Is Guadazzonis esiste già il registro regionale dei donatori di cellule staminali emopoietiche». Dal punto di vista scientifico la banca sarà diretta dal Centro regionale di coordinamento per i trapianti, in collaborazione con la struttura trasfusionale dell'ospedale San Michele. Da luglio a dicembre si terranno i corsi di formazione degli operatori dei centri di raccolta (ostetriche e ginecologi) e del personale addetto alla banca. Una volta allestiti i laboratori e messe a punto le metodiche, inizierà lo stoccaggio del sangue placentare (raccolto inizialmente solo negli ospedali Brotzu, San Giovanni di Dio e Santissima Trinità). I tempiSe non ci saranno intoppi la banca inizierà a funzionare ai primi del 2008, ma entrerà a pieno regime non prima di 12 mesi dalla sua apertura. Il progetto prevede che nel giro di cinque anni il sangue cordonale possa essere donato in tutti i punti nascita della Sardegna. L'obiettivo dichiarato è di conservare almeno 100 unità di sangue nel primo anno e 200 nel secondo, fino a raggiungere le 1000 unità a partire dal quinto anno. «In Sardegna nascono ogni anno circa 13 mila bambini ? chiarisce Carcassi ? ci auguriamo di poter raccogliere almeno il 10 per cento dei cordoni, cioè 1.300 all'anno». Il prelievo è rapido e indolore. Per la donatrice e per il neonato non c'è alcun rischio. Paolo Loche 15/03/2007 Con una donazione indolore le partorienti potranno regalare nuove speranze a chi è affetto da leucemie, linfomi e tumori. _____________________________________________________________ Il Giornale 10 mar. ’07 LA CHIRURGIA OCULARE ITALIANA È ALL'AVANGUARDIA Felicita Donalisio Durante il 2006, l'Italia ha avuto il primato europeo per quanto riguarda gli interventi di cataratta, le correzioni chirurgiche laser dei più comuni difetti visivi e le terapie per il glaucoma. Quali sono le più interessanti novità nella ricerca oftalmologia? «Un fiore all'occhiello è sicuramente l'intervento per cataratta - oggi eseguibile in ambulatorio con la sola anestesia locale - che si avvale di tecniche miniinvasive quali la facoemulsificazione a ultrasuoni e le sonde a getto d'acqua (aqualase) - spiega il dottor Carlo Vanetti, microchirurgo oculare a Milano (www.vedo.net), membro dell'American Society of Cataract and Refractive Surgery (ASCRS), che da anni si occupa di queste ricerche. «Oggi, una recentissima apparecchiatura (ozil), utilizzando il movimento torsionale della sua punta, assicura un rischio ancora minore di complicazioni e migliori risultati finali, grazie anche alla minore emissione di calore e di ultrasuoni. I cristallini artificiali, in materiale morbido e pieghevole, vengono inseriti nell'occhio attraverso incisioni che continuano a ridursi (oggi, sotto i 2 mm), senza punti di sutura il che permette una rapida ripresa visiva priva di fastidiosi disturbi. Quasi tutte queste lenti sono trattate con filtri anti UV in grado di proteggere la retina dai pericolosi raggi ultravioletti, tarate in maniera personalizzata in alcuni pazienti ben selezionati, riescono a correggere gli eventuali difetti visivi preesistenti (miopia, ipermetropia), consentendo una buona visione sia da lontano sia da vicino». Significative le innovazioni anche per chi soffre di glaucoma: «I laser argon e yag vengono utilizzati sia per i glaucomi acuti ad angolo chiuso (Yag) sia per quelli cronici ad angolo aperto (Argon)», afferma Vanetti. «La chirurgia mini-invasiva non perforante oggi è molto più sicura. Microscopi ad alto ingrandimento e sostanze visco - elastiche permettono interventi ambulatoriali in anestesia locale, con recuperi rapidi e minori complicanze». E veniamo alla chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri per chi è affetto da difetti visivi come miopia, astigmatismo o ipermetropia: «Dati elaborati da sofisticati strumenti di misura pre-operatori, tracciano una specie di impronta digitale dell'occhio, che guida il chirurgo e consente al laser di intervenire anche sui difetti più complessi e delicati, in modo personalizzato, con accresciuta precisione e considerevole risparmio dei tessuti oculari. Lenti intraoculari morbide, mutuate da quelle utilizzate per l'intervento di cataratta, possono correggere le miopie e le ipermetropie più elevate soprattutto nei pazienti sopra i 50/55 anni che già presentino un invecchiamento precoce del cristallino, in alcuni casi particolari lenti artificiali bifocali possono neutralizzare anche la presbiopia, ovvero l'incapacità di vedere da vicino». Foto: «Molte le novità negli interventi sull'occhio. Una chirurgia mini-invasiva è sempre più diffusa e le cure sono effettuate anche in anestesia locale», afferma il microchirurgo Carlo Vanetti _____________________________________________________________ Repubblica 15 mar. ’07 PUBBLICITÀ IN CAMICE BIANCO In vigore anche tra i medici la libera competizione Valutiamo i pro e i contro Come nel resto d'Europa, potranno essere reclamizzati curricula e prestazioni Gli Ordini: "Accettiamo la sfida, vigileremo sulla qualità" di Maria Gullo Non più solo targhe e titoli accademici. Per i medici nostrani - quelli che esercitano la libera professione - arriva, grazie alla legge sulle liberalizzazioni, la possibilità di farsi pubblicità come per tutti gli altri professionisti. La libertà di pubblicizzare la propria attività e i servizi erogati. Il fine: consentire ai pazienti, come a tutti gli altri consumatori, di confrontare l'offerta e scegliere più consapevolmente. In due parole, libero mercato anche nel campo della salute. Vaghe paure serpeggiano tra chi mette avanti l'assunto che la salute un "mercato" proprio non lo è. Il medico che si fa pubblicità scandalizza. Ma il fatto è che già succede e da tanto. E questo nonostante una legge, molto restrittiva, vigente in Italia da 20 anni. Il boom di Internet ha generato l'esplosione della pubblicità dei medici on line, del resto sempre più presenti anche sulle riviste. E c'è chi si chiede quanto le partecipazioni radiotelevisive siano dettate solo dal desiderio di fare informazione. In fermento, dal canto suo l'Ordine, chiamato a governare un fenomeno cui la legge lascia di per sé ampia libertà e un po' al buio riguardo a tutto il resto (art. 2 della legge, controllo da parte degli Ordini di veridicità e trasparenza del messaggio). "Accettiamo la sfida", sottolinea Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo. "E' giusto puntare sulla modernizzazione ma la nuova visione liberale dei servizi professionali ha bisogno di noi quali soggetti pubblici che promuovono la qualità delle professioni e tutelano i cittadini". Così, in piena presa in carico di questo ruolo, una Commissione ad hoc della Federazione degli ordini sta elaborando un documento che revisionerà le linee guida, in tema di pubblicità, già presenti nel nuovo Codice di Deontologia medica 2006. "Il problema è che la legge non ci dà il diritto di essere preventivi", precisa Roberto Lala, coordinatore del tavolo, "ma chiede di orientare, verificare e, nel caso, sanzionare. Ma se pubblicizzo un cachet che guarisce dal cancro basta una settimana e il danno è fatto. La legge non ci dà poteri autorizzativi. Comunque cercheremo di fare in modo che le informazioni non siano fuorvianti, che non siano trappole". "L'autorizzazione preventiva sarebbe il vero servizio alla qualità dell'informazione sui servizi" aggiunge Bianco, "nella comunicazione orientata alla salute ci vuole attenzione ai messaggi per renderlo veramente uno strumento che aiuti il cittadino a scegliere". Tuttavia, polemiche o no, noi italiani eravamo rimasti gli unici con leggi così restrittive, non esiste in Europa una normativa statale che impedisca ai medici di farsi pubblicità. "Il decreto Poggiolini, (poi 175/92) nacque da una reazione disperata all'abusivismo, al prestanomismo, ai messaggi di attività salvifiche, all'estemporaneità estrema di allora ma l'intento era di modificarne i termini", precisa Claudio Cricelli, presidente della Società di medicina generale. "Ne uscì, e tale rimase purtroppo, una legge che in pratica impediva la pubblicità, tranne che per le società, quelle che gestivano i poliambulatori ad esempio, che potevano pubblicizzarsi, lasciandoci nell'arretratezza culturale rispetto al resto d'Europa. Ovvio che sia emersa l'esigenza di consentire la competizione tra professionisti, basata non sul titolo, ma sulle prestazioni, anche se occorre grande attenzione. Non si modernizza proibendo. L'ansia di non riuscire a controllare non ha senso quando il controllo è stato perso da anni. Meglio amministrare la competizione che fingere di amministrare il rigore e non riuscirci". _____________________________________________________________ Corriere della Sera 14 mar. ’07 ASSISTERE I PARENTI MALATI CI COSTA 142 EURO AL GIORNO Ricerca della Fondazione Iulm: ospitalità inadeguata alle eccellenze sanitarie. La figlia di un ricoverato: «In due mesi ho speso 6.500 euro» Ogni anno arrivano in città 80 mila pazienti e 67 mila familiari. «Ma solo un ospedale su tre ha la foresteria» Gli 80 mila malati che vengono a curarsi ogni anno a Milano dal resto d' Italia mettono in valigia un carico di difficoltà. La mancanza di posti letto collegati con gli ospedali e i prezzi alle stelle di alloggi, ristoranti e bar svuotano il portafoglio dei familiari che li accompagnano. Mogli, mariti e figli sono costretti a sborsare in media 142 euro al giorno: la spesa media quotidiana solo per mangiare s' aggira sui 40 euro. «È necessario intervenire per ridurre i disagi di chi arriva qui per motivi di salute - dichiara Guido Di Fraia, curatore della ricerca «Mobilità sanitaria e capacità di accoglienza di Milano», svolta dalla Fondazione dell' Università Iulm e presentata ieri in Camera di Commercio -. Adesso si scontrano con una città troppo difficile, nonostante le sue eccellenze sanitarie». Gli ammalati in ospedale a curarsi soprattutto contro il cancro e le malattie neurologiche, i loro parenti spesso costretti a impazzire per trovare una camera dove passare la notte. È la realtà con cui ogni anno si confrontano almeno 67 mila familiari in trasferta a Milano. La stima nasconde migliaia di storie difficili, testimonianze raccolte sul campo dai ricercatori dello Iulm: «Per stare vicino a mio papà, in due mesi di soggiorno in città ho speso 6.500 euro solo per dormire. E quando non era orario di visite, non sapevo dove sbattere la testa, almeno ci fosse stata una sala d' attesa in ospedale o una biblioteca nei suoi paraggi...»; «Nei ristoranti ci sono prezzi assurdi. I milanesi hanno gli stipendi più alti e se li possono permettere: ma noi ci dobbiamo far bastare un piatto di pasta e non prendiamo il secondo»; «È impossibile trovare stanze in affitto: sono troppo costose e quando c' è la fiera campionaria è tutto occupato»; «Alla fine abbiamo deciso di stare a Como da un amico e di fare avanti e indietro, anche se è faticoso»; «Quando ho scelto di non andare più al residence perché costava troppo non trovavo un posto, non sapevo a chi chiedere, così ho dormito mio malgrado in ospedale!». È l' altra faccia dei viaggi della speranza. Due parenti di malati su tre si rivolgono ad amici o alle case d' accoglienza. «In totale sono disponibili 300 letti: ne servono il triplo», spiega Patrizia Montanaro, portavoce di Casamica, onlus che con i suoi 83 posti ha 26 mila ospiti l' anno. Gli altri familiari bussano alle porte degli alberghi. Scelta obbligata. Oggi solo il 30% degli ospedali ha una foresteria, il 70% stipula semplicemente convenzioni con gli hotel. «È arrivato il momento di avviare progetti sociali di alloggio che permettano agli accompagnatori di vivere più serenamente il ricovero del familiare - ammette Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio -. Dalla stanza per la notte ai trasporti, il soggiorno in città è affidato nel 42% dei casi al passaparola: bisogna migliorare la politica dell' accoglienza». È un appello raccolto subito da Sofia Gioia Vedani, membro del consiglio direttivo di Federalberghi: «Siamo pronti a collaborare per creare online un portale dell' accoglienza e a mettere a disposizione tariffe scontate soprattutto in determinati periodi dell' anno (quelli senza fiere, ndr) - dice Vedani -. Non lasceremo cadere nel vuoto le richieste dei malati e dei loro familiari». È d' accordo a muoversi in questa direzione anche Antonio Mobilia, direttore generale dell' Asl. sravizza@corriere.it Ravizza Simona