NEI CONCORSI PER RICERCATORI FINALMENTE SPAZIO AL MERITO - MUSSI: RIDURRE LA FRAMMENTAZIONE DEGLI ATENEI - ATENEI, LA LEZIONE AMERICANA - ATENEI, ARMA IL TALENT SCOUT D'AZIENDA - IN CERCA DELLA PARTICELLA DI DIO - QUANDO L'EVANGELIZZAZIONE PASSA ANCHE DA INTERNET - ALLA SCOPERTA DELLA CONOSCENZA - ETICA PER UN ROBOT - IN ITALIA SERVONO 25MILA ESPERTI DI INFORMATICA - INFORMATICA, SARDEGNA OK MA NON C’È PARI OPPORTUNITÀ - POETTO, GLI SPIETRATORI DA TESTIMONI A INDAGATI - SFIDA HI-TECH USA: SCIENZA DEI SERVIZI ALL' UNIVERSITÀ - ================================================================= ASL8: L'APPALTO CONTESTATO ERA REGOLARE - L'ASSESSORE: «NOI SEMPRE TRASPARENTI, LORO NO» - POLICLINICO, STABILIZZATI I PRECARI - LA ASL 8 È PRONTA A INVESTIRE 500 MILIONI DI EURO - AZIENDA MISTA PRONTA SOLTANTO A CAGLIARI - TETTI DI SPESA: LABORATORI DI ANALISI AL TAR - MELONI: AL BROTZU INUTILE CERCARE ALIBI - UN OSPEDALE DEL BAMBINO RISCHIO DEL BIS AL POLICLINICO? - I COSTI DELLA MEDICINA HI-TECK - UN VIRUS TRA LE CAUSE DEL DIABETE 1 - TANTI MUSCOLI E MOLTO CERVELLO: LO SPORT MIGLIORA L'INTELLIGENZA - IDENTIFICATO IL GENE CHE PROVOCA LA CALVIZIE - UNA SPECIALE VERNICE ANTIBATTERICA SULLE PARETI DEGLI OSPEDALI AMERICANI - ASPETTANDO IL VACCINO ARRIVA IL GEL ANTI-HIV - SCHEDATI CON I SUONI - TUMORE AL POLMONE: TAC INUTILI PER CHI FUMA? - LA TV SI FA SPAZIO IN CORSIA E LO SPOT FINANZIA LA, RICERCA - PROSTATA, FUNZIONA IL VACCINO ANTICANCRO - È BOOM DEGLI ESAMI GENETICI - FARMACI: SE L'INFORMAZIONE È OSCURA - ALZHEIMER: OGNI ANNO OTTANTAMILA NUOVI CASI - SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, SI AUMENTINO GLI INFERMIERI - UNA DIAGNOSI DI OSTEOPOROSI DAL DENTISTA - I PROBLEMI DI UDITO: UN' EREDITÀ TRASMESSA DA TRENTA GENI - EPATITE B: LOTTATORI CONTAGIATI COL SUDORE - SE IL SESSO È A METÀ STRADA - =============================================== ______________________________________________________ Il Sole24Ore 20 mar. ’07 NEI CONCORSI PER RICERCATORI FINALMENTE SPAZIO AL MERITO di Alessandro Schiesaro pochi giorni dal termine imposto dalla Finanziaria, incomincia a prendere forma il nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori universitari che il ministero dell'Università si accinge a varare. Che ci sia bisogno di un taglio netto con il passato è chiaro a tutti (o quasi). Oggi i ricercatori sono di fatto designati dall'ordinario che presiede la commissione, ma non senza risparmiarsi per questo un'impalcatura barocca fatta di commissioni nazionali, elezioni, prove scritte, prove orali. I giovani studiosi sono i primi a dimostrare cosa pensano di questo sistema: capiscono al volo per chi è stato bandito il posto, e, se non intervengono fatti eccezionali (la miracolosa assenza di un vincitore preannunciato, dissidi interni all'ateneo tali da riaprire i giochi), si guardano bene dallo spendere soldi e sprecar tempo per comparsate umilianti. Sul come cambiare, naturalmente, il dibattito potrebbe essere infinito, soprattutto in un Paese che troppo spesso deve ridefinire le regole di un gioco che altrove, sia in sistemi di diritto pubblico che di diritto privato; ha una sua forma compiuta da tempo. Le esigenze da contemperare sono molte. Bene o male che sia, in Italia resta sentita l'esigenza di un momento di verifica nazionale, basata sull'idea che l'uniformità almeno giuridica tra gli atenei renda necessario un coinvolgimento collettivo nelle scelte di ciascuna sede. Ma vent'anni di pur imperfetta e incompiuta autonomia rendono improponibile un ritorno secco ai mega-concorsi nazionali che annientano la voce e le esigenze delle singole sedi. Tanto più, naturalmente, oggi che il concetto di valutazione si sta faticosamente facendo strada: sarebbe difficile, anzi iniquo, valutare un ateneo se non è sua la responsabilità di scegliere i propri docenti. La proposta che sta emergendo dal ministero contempera queste esigenze con una forte carica di novità. I concorsi sono banditi da una singola sede, ma non si potrà più scrivere un profilo che, equivale alla fotografia a colori del vincitore in pectore. In una prima fase, le domande, sono inviate a sette referees, cinque ordinari italiani e due stranieri, sorteggiati tra quanti avranno inviato il proprio curriculum, soprattutto per macroaree e non più solo per micro settori. Questi esperti esterni, lavorando anonimamente, e in autonomia l'uno dall'altro, dovranno valutare i candidati di ciascun concorso, offrendo per ciascuno un giudizio analitico e una valutazione numerica. La seconda fase del concorso è interna all'ateneo, dove una commissione formata da cinque ordinari recepisce i giudizi pro veritate dei referees e, salvo l’obbligo di escludere i candidati con i giudizi peggiori, e includere quelli con i migliori; procede in libertà a compilare una lista di finalisti, li invita a tenere un seminario pubblico, compila una graduatoria. Agli organi decisionali dell'ateneo, rettore in testa, spetta la decisione finale se e chi assumere. Ma la vera novità del nuovo sistema prescinde dai tecnicismi concorsuali. Il vincitore continuerà ad essere assunto per un triennio di prova, al termine del quale, però, le procedure di conferma, affidate all'Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca (Ahvur), smetteranno di essere il pro forma di oggi: in caso di esito negativo, infatti, è previsto che il ministero sottragga all’università il finanziamento relativo al posto. Il rischio di veder svanire posto per posto i denari con cui si manda avanti,l'ateneo dovrebbe indurre, per forza se non per convinzione, a comportamenti più virtuosi. Inutile ripetere che nessun meccanismo può garantire la serietà e la trasparenza dei comportamenti individuali; e molti scandaglieranno il nuovo regolamento alla ricerca dei punti deboli nei quali inserirsi con macchinazioni e combines. Nel complesso, però, questo sistema ci avvicina molto sensibilmente ai sistemi universitari europei e internazionali, evitando che ogni sede ceda alle tentazioni più corrive, eliminando le prove scritte che allontanano i candidati stranieri e sono spesso luogo deputato per ogni sorta di misfatto, imponendo una presa di responsabilità pubblica da parte di chi deve decidere; infine, escludendo associati e ricercatori da un processo di selezione in cui 1a loro posizione può essere soltanto scomoda o acquiescente. Si tratta poi; dettaglio non da poco, di un sistema che dovrebbe ridare agli studiosi, anche stranieri, il gusto di partecipare alle selezioni con qualche oggettiva speranza di veder riconosciuti i propri meriti; e che, a ben vedere, si presterebbe anche ad essere utilizzato per scegliere associati e ordinari. Su quel fronte, infatti, la riforma lasciata in eredità dal Governo precedente è in pratica inapplicabile, ma c'è il rischio, e qualche dichiarazione in tal senso del ministro Fabio Mussi preoccupa non poco, che questa impasse tecnica sia sfruttata per bloccare i concorsi di prima e seconda fascia in nome del risparmio. È un rischio (o una tentazione?) che va evitato a ogni costo, magari intervenendo subito per applicare a tutti i concorsi, non solo quelli per ricercatore; regole che nel complessa appaiono limpide nella ratio che le ispira e non difficili da mettere subito in pratica. Alessandro Schiesaro Il nuovo regolamento per l'università IL RICERCATORE SARÀ SELEZIONATO DA DOCENTI ESTERNI Marzio Bartoloni Ancora una settimana e il reclutamento dei ricercatori nelle università italiane non sarà più lo stesso. La promessa dell'addio a concorsi pilotati e corsie preferenziali per i "protetti" del solito "barone" di turno è contenuto in un regolamento che il ministero dell'Università e della Ricerca varerà entro il 31 marzo, termine fissato dall'ultima Finanziaria per cambiare volto alle procedure concorsuali. Il regolamento che sindacati e Crui (la Conferenza dei rettori) vedranno in bozza questo lunedì si basa su un mix di misure nel segno della trasparenza e del merito: i concorsi saranno «locali» - il bando e la scelta del vincitore spetteranno sempre agli atenei e alle loro commissioni-, ma a pesare sulle decisioni ci sarà la valutazione di 7 «referee» esterni (sorteggiati da una lista tenuta dal ministero) che non hanno nessun legame con le università e che forniranno un giudizio «anonimo e separato» sul curriculum dei candidati. Non solo: su ogni singolo concorso penderà, dopo tre anni, la "spada di Damocle" della valutazione «ex post» con tanto di minaccia di «sanzioni». Il ministero con il «supporto» dell'attesa Agenzia di valutazione della ricerca (Anvur) che fornirà «criteri, dati e metodologie » per valutare il reclutamento potrà sottrarre, in caso di giudizio negativo, il «costo stipendiale» del ricercatore dai fondi di finanziamento dell'ateneo. Che, a questo punto, dovrà contare solo sul suo budget. « È una rivoluzione che sicuramente susciterà molto clamore - avverte il sottosegretario del ministero dell'Università, Luciano Modica, che ha lavorato da vicino alla proposta -, quello dei concorsi del resto è argomento che appassiona, basta entrare in un qualsiasi bar di un ateneo per accorgersi che si parla quasi solo di questo». E la tentazione del ministero è quella di estendere questa procedura di selezione anche ai docenti: «Ci stiamo pensando, - aggiunge Modica -, servirà - però una legge e gli aggiustamenti del caso». Ma come, sarà garantita davvero la tanto agognata trasparenza nei concorsi? «Il punto forte è la separazione delle valutazioni - spiega il sottosegretario: quella esterna all'ateneo, fatta da valutatori anonimi e che lavorano separatamente tra loro; influenza le decisioni dell'ateneo a cui resta però la responsabilità della scelta finale del vincitore del concorso». E per l'università che sceglierà il ricercatore con meno titoli dal1a "short list" di candidati uscita dal giudizio dei «referee» esterni ci sarà comunque il rischio di vedersi sfilare i fondi necessari per pagargli lo stipendio, «ma anche tutti quei finanziamenti premiali che distribuiremo alle università», aggiunge Modica. Ma le novità non finiscono qui: i bandi dovranno avere la massima visibilità (pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e nei siti del ministero e dell'Università). Per partecipare ai concorsi servirà un requisito determinante non di poco conto: un dottorato oppure un contratto o assegno di ricerca di almeno 4 anni con atenei o centri di ricerca italiani e stranieri. Si semplifica e snellisce anche la procedura di selezione: vanno in soffitta le maratone concorsuali fatte di prove scritte e orali. I candidati inseriti nella «lista ristretta» dovranno tenere un «seminario pubblico» sulla loro attività di ricerca. Un elemento, in più, questo che si andrà ad aggiungere all'«intero complesso delle valutazioni» dal quale uscirà la «graduatoria finale di merito» e il vincitore del concorso. Bando di concorso Emanato dal rettore è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e sui siti web di ministero e ateneo. Il termine perle domande non può scadere prima di 60 giorni dalla pubblicazione dei bandi Requisiti di partecipazione Servirà il dottorato di ricerca. Ammessi anche studiosi con assegni o contratti di ricerca di almeno 4anni presso università o centri di ricerca. Procedura di valutazione In due fasi. La prima si basa sul giudizio di 7 revisori esterni (5 professori ordinari e due stranieri) che forniscono un giudizio anonimo su ciascun candidato. La seconda fase sul giudizio di una commissione di reclutamento" dell'ateneo formata dal rettore e quattro professori di ruolo, integrata da altri due professori della disciplina interessata. La commissione redige, sulla base dei voti dei revisori esterni, una "short list" di candidati che dovranno tenere un seminario pubblico. Si compila la graduatoria finale per la scelta del vincitore. Verifica Si effettua dopo tre anni e si basa sul giudizio di cinque revisori esterni all'ateneo. Nel caso di valutazione negativa il costo stipendiale del ricercatore viene sottratto dal finanziamento dell'ateneo. ______________________________________________________ Avvenire 18 mar. ’07 MUSSI: RIDURRE LA FRAMMENTAZIONE DEGLI ATENEI DA NAPOLI La navicella di Galassia Gutenberg, l’annuale fiera del libro e della multimedialità che per l'edizione con cui festeggia la maggiore età ha scelto come protagonisti la navigazione e il Mediterraneo e come sede la Stazione Marittima di Napoli, si è allungata ieri nei canali dell'Università spinta dal ministro Fabio Mussi. Si partiva dall'apprendimento permanente e si è giunti alle novità che riguardano la massima istituzione italiana per la formazione, con alcune dure affermazioni del ministro. «C'è stata una complicità omertosa fra Università e potere politico per la proliferazione delle sedi universitarie e la frammentazione dei corsi-ha accusato Mussi-. Abbiamo 360 sedi su 105, e ogni sede è un centro di potere per i politici locali. Venerdì ho firmato i decreti sulle classi di laurea. Andranno a regime fra i12008 e il 2010. Abbiamo introdotto norme per ridurre la frammentazione ingiustificata. Un corso poi non potrà afferire a più di due classi e dovrà avere almeno metà degli insegnanti strutturati». La vera novità del settore universitario è comunque un'altra: «Non ci si è ancora accorti -ha sottolineato il ministro - che le Regioni cominciano a esercitare i poteri che dà loro la riforma del titolo V della Costituzione e cominciano ad aumentare gli impegni, anche finanziari, in materia di ricerca scientifica e di università». L'apprendimento permanente è stato indicato come «la terza missione» dell'Università, dopo insegnamento e ricerca. Il ministro per le Riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione Luigi Nicolais ha riaffermato l'azione del governo per l'ingresso delle nuove tecnologie negli uffici pubblici, «anche nella sanità e nella giustizia». Il ministro Mussi ha invece indicato tre obiettivi: «Una legge quadro che indichi linee guida e programma pluriennale di lavoro. Quindi accordi di sistema fra ministeri e Regioni, infine accordi mirati con parti sociali, ordini, associazioni e università, per promuovere centri per l'apprendimento permanente». A «Menti@contatto», in parallelo a Galassia Gutenberg, si è nuovamente parlato di Università. «Ci sono grandi opportunità in vista della programmazione 2007- 2013 dei fondi strutturali - ha detto Nicolais -. Abbiamo bisogno di grandi progetti e di puntare molto sulle università e sui centri di ricerca. Nel 2007 - ha aggiunto-avremo l'avvio anche de1VII programma quadro europeo, del riparto dei fondi perl'industria da parte del governo con 1,1 miliardi di euro in tre anni, del nuovo quadro strategico nazionale con 100 miliardi di euro in sei anni per il Sud, di cui 28 per la Campania. Se le nostre imprese saranno capaci di interpretare il loro nuovo ruolo, avremo una competitività basata sulla qualità». Valeria Chianese ______________________________________________________ Indipendente 22 mar. ’07 ATENEI, LA LEZIONE AMERICANA L'università italiana non ha ancor un sistema di valutazione efficace Se esistesse le facoltà migliori, come quella d' ingegneri di Napoli premiata da un recente classifica internazionale avrebbero premi e incentivi Il numero chiuso è contro la 1Costituzione: usatelo con moderazione». Il monito, inviato ai rettori italiani, è del ministro dell'Università e della Ricerca Fabio Mussi. Preoccupato dal fatto che il numero chiusa, o programmato, nelle Università italiane è sempre più usato. Basti dire che rispefto al 2001 il suo utilizzo è aumentato dei 330 per cento. Eppure il principale problema delle università italiane non sembra essere il numero chiuso ma quello di una scarsa selettività degli atenei. Dell'assenza di buoni parametri con cui selezionare merito e valore degli studenti e delle stesse università. Su questo nodo e sul dibattito in merito alla valutazione delle università e del loro finanziamento interviene un documento elaborata in questi giorni da un gruppo di docenti dell'università Federico 11 di Napoli e che ha già raccolto più di SUO adesioni in 47 atenei italiani. 11 documento afferma che le università devono rendere conto del modo in cui spendono i soldi che ricevono e che solo con l'attuazione di un rigoroso sistema di valutazione le risorse per l’università - finanziarie, di personale e infra strutturali -potranno essere distribuite e gestite con efficacia. Per questo i docenti della Federico II chiedono l'introduzione dì rigorosi ed efficaci strumenti di valutazione che «in accordo con le esperienze già maturate in ambito internazionale, premino i risultati conseguiti nella ricerca, nella formazione e nel funzionamento dell'università». Oltre a questo il documento propone anche un'Agenzia nazionale di valutazione - che individui il merito in modo trasparente, utilizzando valutatori di indiscusso profilo scientifico anche esterni - un Anagrafe nazionale della ricerca - che renda disponibile la verifica dei progetti finanziati delle risorse utilizzate e dei risultati ottenuti - e l’istituzione di misure successive alla valutazione che definiscano incentivi e disincentivi sull'assegnazione: delle risorse alle strutture- Il fatto che in Italia non esista ancora un sistema della valutazione con regale e metodi chiari è una delle cause della scarsa reputazione in ambito internazionale del nostro sistema di formazione. Per questo fanno notizia le eccezioni carne quella che emerge dalla recente classifica stilata dall’Institute of Higher Education della JiaoTong Univezsity di Shangai. Dove tra le prime 100 scuole di ingegneria del mondo compare al cinquantaduesimo pasto la facoltà di ingegneria Federico 11 di Napoli, subito dietro al Politecnico di Torino. Un risultato notevole considerando che le facoltà europee citate tra le prime cento sono in massima parte inglesi e solo un paio sono francesi e una sola tedesca. Uh risultato che sarebbe premiato in un sistema di valutazione che tenesse conto dei risultati raggiunti in termini di risultati didattici e di produzione scientifica. Che è poi quello che accade nei Paesi più avanzati dell'Occidente. In un recente incontro che si è tenuto al Cnr è stato analizzata il modello del National Institute of Health, il centro che gestisce la ripartizione delle risorse per la ricerca medica. L’agenzia americana sceglie le risorse da destinare in base alle pubblicazioni e all'effettiva volontà di partecipare alle study section di valutazione. Secondo ì dati presentati dall'Istituto il 90 per cento delle domande per ricevere fondi del governo americano provengono da ricerche presentate da singoli ricercatori a piccole imprese su idee e intuizioni slegati da veri e propri programmi di ricerca. E sono queste idee - molto spesso premiate - che alla fine si rivelano le migliori per i risultati clinici e terapeuticì. 11 60 per cento delle domande riguarda la ricerca di base, i125 per cento i giovani, i127 per cento le donne. Un sistema che potrebbe essere tenuto in considerazione in Italia alla vigilia del varo della nuova agenzia di valutazione dell'Università e della Ricerca. ______________________________________________________ Corriere della sera 23 mar. ’07 ATENEI, ARMA IL TALENT SCOUT D'AZIENDA Sempre. più imprese si affidano a un manager per reclutare gli studenti migliori Nelle aziende, il rapporto con le università come bacini di utenze e di possibili candidati sta diventando sempre più importante. Ed è per questo che in molte società italiane, che siano di consulenza o meno, sta nascendo una nuova figura professionale che si occupa di approfondire quotidianamente i canali di comunicazione con il mondo accademico. C'è chi la chiama "Sourcing and channel manager", chi "Recruiting Director", oppure ancora chi la definisce "University relations manager". Fatto sta che questa figura sta diventando un "must" per moltissime aziende ìtaliane, anche se per alcuni sì tratta di una posizione consolidata da tempo. «Da noi esiste già da una decina d'anni», dice Federico Lalatta Costerbosa, vice president and director BCG Italia, «i rapporti con le università sono fondamentali. Per questo dedichiamo al settore uno staff di due - tre persone che fanno capo al Recruiting director». Il team varia, a seconda dei casi, dalle tre alle dieci persone ed è generalmente costituito da dipendenti che conoscono bene l'azienda ma anche il settore di riferimento, quindi i giovani e le università. Lo staff mantiene vivo il sito internet, consolida il rapporto con gli uffici placement delle facoltà, sponsorizza l'attività dell'azienda negli atenei, contatta i docenti universitari per proporre delle lezioni a tema. Il Recruiting director ha la responsabilità di gestione del team, stabilisce obiettivi e coordina il lavoro. «Per diventare Recruiting director bisogna aver vissuto l'azienda a fondo e naturalmente conoscere l'università», continua Lalatta. DALLA RICERCA ALLE IMPRESE - Capita, quindi, che un Recruiting director possa essere anche un ex ricercatore. Come Carla Milani, University relations manager di IBM Italia, che prima di entrare in azienda era proprio una ricercatrice nel dipartimento di fisica nucleare dell'università di Pavia: «Bisogna essere appassionati di questo mondo - spiega Milani - e conoscerne i ritmi. E' un momento in cui c'è grandissima enfasi sul mondo universitario. Arrivare ai giovani è importante, e arrivarci con una certa immagine lo è ancora di più. Per questo realizziamo career day e job challenge, in cui incontriamo direttamente i ragazzi». E poi anche collaborazioni didattiche, in cui un dipendente dell'azienda tiene, a supporto dell'attività del docente, una lezione per promuovere l'immagine della società. «Il sourcing manager fa parte dello staff del recruiting», dice Monica Palma, Sourcing manager Accenture, «e si occupa, insieme al suo team, di organizzare tutti gli eventi di student communication, presentazioni aziendali, giornate di orientamento, premi di laurea, business game, con una presenza capillare a livello geografico». Ma anche collaborazioni con le principali scuole di formazione e direzione (master), e organizzazione di eventi e contatti con il personale dell'azienda per trovare i relatori giusti che raccontino la propria esperienza lavorativa nelle università. In alcuni casi si analizza e si studia anche il target di riferimento. «Facciamo delle indagini per monitorare le esigenze dei giovani, studiamo i media habit, le loro abitudini, i gusti, i siti intèrnet in cui navigano più spesso», continua Palma. Il tutto, per trovare i canali di comunicazione giusti con cui presentare l'azienda ed esser sicuri di poter coinvolgere i ragazzi. Una figura, quella del Sourcing manager, che è anche un buon trampolino di lancio. «E' un'esperienza che dà molta visibilità, ed è un ruolo molto importante», conferma Alberto Guerrini, Recruiting director di BCG Italia, «per questo di solito scegliamo una persona che si è distinta nel recruiting, che abbia fatto un Mba, e che parli un inglese fluente». UN LAVORO IN VIAGGIO - Il Recruiting manager, generalmente dai 30 ai 50 anni, viaggia infatti spesso, e soprattutto in Europa. «Si tratta di una figura che nel tempo sarà sempre più valorizzata, perché è un vero e proprio biglietto da visita dell'azienda nei confronti del mondo esterno», dice Fulvia Tarasconi, Recruitment manager di Kpmg. Può capitare infatti che un University relations manager diventi top manager o partner dell'azienda. «La competenza linguistica è una di quelle chiave, perché partecipiamo ad iniziative di recruiting e di presentazione dell'azienda anche nelle università e nei campus all'estero», continua Tarasconi. «Ci sono dei miei paralleli in Francia, Olanda e Cina», dice invece Milani, «e ci incontriamo una volta l'anno per raccontarci le nostre esperienze. Quello che fanno i miei colleghi all'estero può essere interessante per noi in Italia e viceversa». Nella maggior parte dei casi, la figura del Recruiting manager, prima di arrivare in Italia, si è sviluppata nelle sedi estere dell'azienda. Chi pensava dunque che le università non fossero più il giusto trait d'union con il mercato del lavoro, si sbagliava. Gli atenei continuano ad essere, per le aziende, un bacino da monitorare. Corinna De Cesare ______________________________________________________ Il Sole24Ore 18 mar. ’07 IN CERCA DELLA PARTICELLA DI DIO Le danno la caccia i più grandi acceleratori del mondo: dopo il fallimento del Lep, ci provano al Tevatran di Chicago e al Cern. Come avrebbe giudicato questi esperimenti Demacrito, il fondatore dell'atomismo? È il «bosone» che dovrebbe far quadrare i conti del modello standard. Ma é troppo presto per brindare di Democrito * I1 bosone di Higgs -1a particella ipotizzata da Peter Higgs nel 1964 e considerata cruciale per far quadrare i conti della efficacissima teoria delle interazioni fondamentali nota come «modello standard» - è ancora in libertà, e con ogni probabilità vi rimarrà ancora per qualche anno. Un segnale del decadimento della particella di Higgs, la cui fenomenologia è perfettamente nota nell'ambito del modello standard ma la cui massa è tuttora incognita, è stata cercato senza successo fra il 1996 e il 2000 nelle collisioni elettrone-positrone fornite dall'acceleratore Lep al Cern. Il risultato negativo dei quattro esperimenti di Lep ha permesso di capire che se l’Higgs esiste, la sua massa è con ogni probabilità superiore a 114 GeV - equivalenti alla massa di 120 protoni. Nel frattempo, l'analisi globale di molte quantità misurabili del modello standard ha reso sempre più stretto il margine di accordo fra tutti gli altri risultati sperimentali e la mancanza all'appello del bosone di Higgs. Se il modello standard è corretto, questa particella non può essere molto più pesante del limite inferiore trovato da Lep. Con lo smantellamento di Lep nel 2000,la parola è passata all'acceleratore Tevatron di Fermilab, dove le collisioni protone-antiprotone garantiscono una pur limitata sensibilità a particelle di Higgs più pesanti. Gli esperimenti Cdf e Do che analizzano le collisioni del Tevatron raccoglieranno dati almeno fino al 2009, ed è possibile che essi riescano per tale data a ottenere una prima evidenza dell'esistenza dell'elusivo bosone. Se non sarà "così, il coronamento _definitivo del modello standard sarà compito del nuovo superpotente acceleratore di protoni in via di completamento al Cern, il Large Hadron Collider (Lhc), e degli esperimenti Cms e Atlas che ne studieranno le collisioni a partire dal 2008. E se il modello standard non fosse corretto? La domanda è lecita, perché vi è consenso tra gli addetti ai lavori nel ritenere che la teoria, ormai sopravvissuta à quarant'anni dì verifiche sperimentali sempre più precise, sia al massimo una teoria effettiva, valida cioè a bassa energia, proprio come la meccanica di Newton è un caso particolare della meccanica relativistica di Einstein, valido per velocità piccole rispetto a quella della luce. Su cosa vi sia oltre il modello standard le opinioni non sono però univoche. Molti ritengono che l'estensione più attraente e teoricamente motivata sia la supersimmetria, una costruzione che implica l'esistenza, per ogni particella elementare esistente, di un "super-partner" con caratteristiche simili ma diverso valore del momento angolare intrinseco; lo "spin", un numero quantico che distingue i costituenti della materia, quarks e i leptoni, dai portatori delle quattro forze fondamentali, come il fotone e i bosoni vettori. Se la supersimmetria fosse la teoria corretta, dovrebbero esistere più bosoni di Higgs: non una ma almeno cinque distinte particelle! E in tal caso, il Tevatron avrebbe maggiori possibilità di osservarne una prima evidenza, dato che si dovrebbe allora prevedere una maggiore frequenza di produzione per questi Higgs "esotici". Intanto, gli esperimenti Cdf e Do continuano pazientemente a raccogliere dati, e con cadenza semestrale ne pubblicano un'analisi preliminare, dopo aver scrutinato con infinita attenzione ogni dettaglio dei risultati ottenuti. L'ultimo risultato di Cdf nella ricerca di Higgs supersimmetrici mostra un blando eccesso di eventi, che potrebbe rappresentare un primo segnale del decadimento di un Higgs di massa pari a circa i6o GeV in coppie di leptoni tau. Potrebbe, se non fosse dovuto - cosa sommamente più probabile - a una normale fluttuazione statistica. L'esperimento concorrente, Do, mostra in effetti un deficit di eventi per lo stesso valore di massa, rendendo ancora più evidente che è troppo, troppo presto per mettere lo champagne in frigo. *Dietro questo pseudonimo si cela un fisico italiano ______________________________________________________ L’Osservatore Romano 21 mar. ’07 QUANDO L'EVANGELIZZAZIONE PASSA ANCHE DA INTERNET Una globalizzazione dei saperi e delle conoscenze che possa superare le barriere culturali e i confini delle nazioni, al fine di costruire una nuova società interculturale dove le singole discipline e specializzazioni universitarie siano riconosciute e fruibili in tutti i Paesi e rispettino i valori umani ed etici. Questo è il principale obiettivo perseguito dall'Istituto Universitario Internazionale «Sapientia Mundi», al quale si sono associate 320 università del mondo compresi gli istituti consortili, istituendo un sistema modulare di e- learning in grado di dare una risposta all'esigenza di mobilità di molti studenti. Per realizzare questo proposito, l'Istituto «Sapientia Mundi», di cui il Professor Giuseppe D'Ascenzio, Rettore de «La Sapienza», è il direttore e il presidente scientifico, si è dotato di una piattaforma multimediale, che recentemente ha inglobato anche un sistema di web tv satellitare in modo da fornire servizi e strumenti sempre più veloci ed efficienti. Fra questi importanti servizi, è nata la prima «Cappellania virtuale», che permetterà agli studenti di approfondire il percorso spirituale che anima l'intera iniziativa. La Cappellania è stata inaugurata, domenica 18 marzo, presso i locali dell'Istituto Giovanni XXIII, con una Celebrazione Eucaristica presieduta da Mons. Francesco Cuccarese, arcivescovo emerito di Pescara-Penne, e concelebrata da don Davide Calantoni, Vice presidente dell'Istituto «Giovanni XXIII» e da padre Alfonso Libano Arrechua, dei Missionari Identes, cappellano dell'Istituto «Sapientia Mundi». Alla Celebrazione Eucaristica, insieme agli studenti provenienti da numerose nazioni ospiti dell'Istituto «Giovanni XXIII», era presente anche Mons. Remigio Musaragno, presidente e fondatore del collegio più di quarant'anni. «La proposta di inaugurare la cappellania virtuale proprio in questo istituto - ha commentato il dott. Giuseppe Anelli, vicepresidente vicario dell'Istituto "Sapientia Mundi" -, è nata perché l'istituto "Giovanni XXIII" da decenni ospita studenti di tutte le nazioni del mondo, aiutandoli nel loro percorso di formazione e permettendo loro di frequentare le università romane. Il suo carisma infatti rispecchia l'idea della carità della cultura, che sta alla base dello stesso "Sapientia Mundi", poiché solo lo scambio culturale e una formazione professionale senza barriere possono essere la giusta risposta per lo sviluppo del mondo. Ambedue gli istituti perseguono gli stessi obiettivi, offrendo ai ragazzi l'opportunità di ricevere un'adeguata istruzione che sia anche portatrice di valori umani profondi e rispettosi della vita. Per tale motivo il "Sapientia Mundi" sosterrà l'impegno di questo istituto offrendo periodicamente delle borse di studio, al fine di facilitare il percorso educativo dei ragazzi presenti. «Inoltre con l'avvio dell'estensione su banda satellitare dei servizi di formazione che attualmente si svolgono su internet con l’e-learning - ha proseguito il vicepresidente di "Sapientia Mundi" -, sarà possibile un'ulteriore flessibilità dei metodi di insegnamento, come per esempio quello di poter assistere in diretta in tutto il mondo alle lezioni presentate dalle università associate al "Sapientia Mundi". Mentre la "cappellania virtuale" potrà dare un valido supporto a questa missione, dando la possibilità con una le voci e pratica consultazione di approfondire argomentazioni di carattere spirituale». La Cappellania è stata realizzata in collaborazione con Canto Nuovo, i missionari strettamente legati con i religiosi Salesiani che nell'ultimo decennio hanno sviluppato un sistema di evangelizzazione utilizzando i mezzi di comunicazione sociale. Nello stesso sito internet del «Sapientia Mundi», infatti, vi sarà un link che permetterà l'accesso alla tv satellitare e ai diversi servizi informativi offerti. «Canto Nuovo - hanno spiegato i missionari presenti alla Celebrazione Eucaristica -, è nato in Brasile, e successivamente si è espanso nel Nord America e in Europa. Nel corso dei decenni ha dato avvio ad una televisione con 23 stazioni, che ora viaggia anche sul satellitare superando i confini nazionali, ad un portale internet ed a una casa editrice. Attraverso il collegamento fra il sito di Canto Nuovo e quello dell'Istituto "Sapientia Mundi", si potranno vedere diversi programmi che affrontano discorsi di attualità, documentari culturali e disquisizioni a carattere religioso, fra i quali i discorsi del Santo Padre, diverse informazioni dal Vaticano e una sezione per la presentazione e le spiegazioni sui Santi secondo il Calendario romano e la lettura commentata del Vangelo del giorno. A differenza della televisione, dove i programmi hanno orari fissi, in questo sito sarà l'utente a scegliere quando e cosa vedere, selezionando i settori che verranno costantemente aggiornati». Rispettando i tempi veloci delle rete di internet, tutti i programmi saranno brevi e concisi, c verranno tradotti in sei lingue, al fine di diffondere nel mondo la Parola di Dio. Questo nuovo servizio amplierà ulteriormente le potenzialità della piattaforma di comunicazione dell'Istituto Internazionale «Sapientia Mundi», già da anni impegnato nell'istituzione di corsi di laurea e di formazione per l'acquisizione di titoli universitari riconosciuti direttamente da più Paesi associati. Il cuore del sistema infatti è un campus virtuale dove si svolgono i corsi modulari di e-learning idonei al riconoscimento dei crediti e dei titoli di studio delle università aderenti. I piani di studio per il rilascio dei titoli accademici necessari sono individuali e selezionati da un'apposita commissione internazionale. A permettere lo svolgimento delle lezioni è una piattaforma multimediale, che fornisce supporti quali combinazioni audio-video, filmati, videoconferenze, cd- rom, dvd, esercitazioni e classi virtuale. Si alternano così incontri sincronizzati, quali lavori di gruppo, rapporti fra tutor, studenti c insegnanti, e sistemi asincroni come le lezioni multimediali, le verifiche dello stato di apprendimento, c le prove tecniche. Il supporto con i canali satellitari di Canto Nuovo, permetterà di implementare le relazioni in tempo reale, favorendo così una comunicazione più veloce. RITA DIETRICH _______________________________________________ La Nuova Sardegna 21 mar. ’07 ALLA SCOPERTA DELLA CONOSCENZA Cagliari, seicento studenti ascoltano una lezione del genetista Edoardo Boncinelli Una iniziativa promossa dalla Fondazione Veronesi «I giorni della scienza» Filosofia e tecnologia Gli interventi di Gessa e Silvano Tagliagambe di Andrea Massidda CAGLIARI. La scienza spiegata ai ragazzi: dal disatteso anatema di Cartesio, che nel Seicento metteva in guardia dall’immaginare l’anima delle bestie di uguale natura rispetto a quella umana, sino alle ultime scoperte sulla psiche e nel campo della neurofarmacologia. Passando per il rapporto virtuoso (ma anche vizioso) tra struttura cerebrale e tecnologia. Argomenti affascinanti quanto complessi al centro di una speciale lezione tenuta ieri mattina alla Fiera da Edoardo Boncinelli, genetista dell’Università San Raffaele di Milano, Gianluigi Gessa, neurofarmacologo dell’Università di Cagliari e Silvano Tagliagambe, filosofo della scienza dell’Università di Sassari. Tutto davanti a una platea di seicento studenti delle scuole superiori della Sardegna, più altrettanti collegati in teleconferenza da vari centri dell’isola. Un incontro inserito nell’ambito dell’iniziativa «I giorni della scienza», organizzata in sei regioni italiane dalla Fondazione Umberto Veronesi e dal ministero della Pubblica istruzione per promuovere il pensiero scientifico nei suoi aspetti più innovativi. Ad aprire i lavori, coordinati dal ricercatore Andrea Mameli, è stato Edoardo Boncinelli, che ha affrontato la reale natura delle doti intellettuali, svelando risultati piuttosto sconvolgenti. «Sino a qualche anno fa - ha detto il genetista - eravamo convinti che certe capacità cerebrali fossero frutto un po’ di fattori ereditari e un po’ di fattori ambientali. Recentemente invece si è scoperto che c’è una terza componente, completamente casuale, con la stessa dignità delle altre due. Questo - ha continuato il genetista - da una parte ci fa capire perchè tutti gli individui sono così diversi tra loro, dall’altra ci rassicura sulla questione delle eventuali clonazioni, perchè anche quei cloni saranno in qualche modo differenti». Di come la tecnologia possa potenziare gli strumenti concettuali di cui l’uomo dispone per produrre conoscenza ha parlato invece Silvano Tagliagambe. «L’esempio più classico e scontato - ha spiegato lo studioso - è il microscopio, che aumenta di gran lunga le facoltà di veduta dell’occhio. Oggi attraverso la simulazione e la capacità di creare modelli artificiali ci troviamo davanti a grandi occasioni di crescita della conoscenza, ma bisogna imparare a saper cogliere certe opportunità». Anche perché la tecnologia può essere usata in maniera distorta. «E’ indispensabile - ha aggiunto Tagliagambe - che gli insegnanti prendano per mano i loro allievi e li conducano a un approccio critico nei confronti della tecnologia. Solo così, ad esempio, potranno sfruttare al meglio le potenzialità di comunicazione di un telefonino evitando di utilizzarlo soltanto per riprendere scene stupide da mandare su internet». A chiudere la conferenza - prima della testimonianza di Elsa Addessi, ricercatrice del programma internazionale «L’Oréal Unesco for Women in Science» è stato Gianluigi Gessa, che ha raccontato come gli scienziati hanno scoperto che le cellule del cervello, ossia i neuroni, dialoghino tra loro attraverso molecole chimiche che producono le emozioni e le sensazioni. «Una rivelazione importante che svela molti segreti e apre nuove frontiere di studio sulle tossicodipendenze - ha detto il farmacologo - ma che, è bene dirlo, ha necessitato sia l’utilizzo degli psicofarmaci sia degli animali da laboratorio». ______________________________________________________ La Stampa 19 mar. ’07 ETICA PER UN ROBOT Le macchine umane-troppa umane della prossima generazione distingueranno tra bene e male? Nuova frontiera della bioingegneria PIERO BIANUCCI Paolo Daria robot hanno un'anima? Per adesso la risposta è «quasi». O «forse». Una cosa invece è sicura. I bioingegneri che progettano le macchine terribilmente umane della prossima generazione il problema se lo pongono. Naturalmente in termini più laici. Non parlano di anima, ma di responsabilità. Pensano a come concepire robot che, se necessario, sappiano distinguere tra il bene e il male. Si preoccupano di un mondo nel quale certi tipi di robot, almeno in alcune loro prestazioni, saranno super-umani, e proprio per questo - per non combinare guai- potrebbero aver bisogno di una super-coscienza. I robot non antropomorfi che costruiscono, saldano, verniciano automobili o altri prodotti industriali restano i più importanti dai punto di vista economico ma appartengono all'archeologia. Sono l'Uomo di Neandertal con la clava rispetto all'Homo sapiens che impugna il cellulare. All'orizzonte si profilano robot umanoidi sempre più intelligenti, dotati di affettività, in grado di interagire emotivamente e intellettualmente. Viene avanti un esercito di robot badanti per assistere gli anziani, robot infermieri per governare ospedali, robot- maggiordomo come la Caterina del film di Alberto Sordi, persino robot capaci di prestazioni sessuali. E, in un futuro che in parte è già presente, anche robot soldati che stanano terroristi e agiscono in scenari bellici. Di qui l'esigenza di una riflessione che riguarda i valori: bene e male, equità, diritti umani. In una parola, la morale. L'etica dei robot, o roboetica, è una nuova frontiera. Se ne parlerà questo venerdì a Tokyo: da una parte i maggiori esperti giapponesi di macchine intelligenti, dall'altra la punta di diamante del nostro paese in questo settore, in prima fila Paolo Dario della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. A ben guardare, niente che la letteratura non avesse previsto. Già nel 1921 nella commedia RUR i robot operai di Karel Capek si ribellavano, organizzati in un sindacato delle macchine. Isac Asimov nel 1942 ideò le Tre Leggi della Robotica: 1) un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge; 3) un robot deve proteggere la propria esistenza, purché l'autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge. Professor Dario, lei ha realizzato robot chirurghi, lavora su robot dotati di una specie di sistema nervoso, è titolare di molti brevetti di meccatronica, ha presieduto la Società Mondiale di Robotica: pensa che le Leggi di Asimov, concepite più di mezzo secolo fa in storie di fantascienza, oggi siano superate dalla realtà? «Superate no. Sono ancora il miglior riferimento possibile in tema di bioetica. Ma dobbiamo guardare a queste leggi dinamicamente. Tecnologia, valori etici e situazioni sociali si evolvono generando nuovi interrogativi: dobbiamo tenerne conto». Quali interrogativi? «Primo problema: è legittimo fare robot più dotati dell'uomo? Secondo: per risolvere casi di handicap gravi abbiamo già mani artificiali comandate da un cervello umano; sarà legittimo interfacciare normali esseri viventi con parti artificiali? Ancora: robot molto avanzati potrebbero aumentare squilibri sociali già oggi gravi tra ricchi e poveri, giovani e anziani, uomini e donne. Più in generale: saremo in grado di rendere queste macchine quasi consapevoli, cioè dotate di una forma di autocoscienza? In questo caso, come si porrà il rapporto tra queste macchine e i nostri valori morali? Giustamente non tolleriamo maltrattamenti ad animali. Un robot sensibile e intelligente sarà titolare di diritti analoghi?». Sono i temi che solleverete a Tokyo il 23 marzo durante l'evento «Primavera italiana»? «Sì, ci presenteremo come la coscienza della robotica più avanzata. In questa tecnologia l'Italia non è seconda a nessuno: compete bene con giapponesi e americani. Ma in più noi europei abbiamo una tradizione umanistica e filosofica che gli altri non possono vantare. È una cultura importante per evitare che la robotica e la meccatronica si riducano a semplici fatti tecnici e commerciali». Che cosa fanno oggi i robot più intelligenti? «Per esempio, cani robot sostituiscono gli animali da compagnia. Sono già al lavoro un milione di aspira polvere robot che puliscono la casa da soli. Esci la mattina e quando torni la casa è in ordine. Robot badanti attenuano la solitudine dei malati di Alzheimer. Robot soldati agiscono sia nella protezione civile sia in operazioni belliche. Robot per fare l'amore non sono inimmaginabili. La domanda è: fino a che punto è lecito mettere intelligenza in queste macchine?». LA STAMPA E LA RISPOSTA? «Direi che per ora la roboetica è ancora un problema di coscienza di chi inventa e usa i robot. Domani chissà. Pensi a robot soldato come quelli usati in Iraq in perquisizioni di case di presunti terroristi: è lecito che sparino? Si usano già aerei, navi, sommergibili senza pilota: da un lato evitano perdite umane ma non è che venga meno la sopraffazione del più forte sul più debole. Anzi. Ricorda gli Orazi e i Curiazi? Forse avremo guerre simboliche, combattute solo tra robot. Ma alla fine chi vince schiaccerà ancora chi ha perso». E i nanorobot, macchine costruite con poche decine di atomi in grado di agire a livello molecolare? «Ci occupiamo anche di quelli. E dei microrobot. Per adesso non pongono dilemmi etici ma normali questioni di sicurezza. Accertato che non creano rischi, saranno utilissimi all'umanità in medicina, ingegneria dei materiali, produzione di energia. Importanti sono anche certi robot come lamprede, polpi e salamandre artificiali: fornisco no modelli per la sperimentazione biologica». E I ROBOT CALCIATORI? La RobotCup suscita grande curiosità ma finora i risultati sono modesti... «Beh, si spera che nei 2050 una squadra di robot possa battere la squadra campione del mondo, così come una decina di anni fa un computer per la prima volta sconfisse il campione mondiale di scacchi». Strano. È più difficile simulare un Totti che un Kasparov. Bravi maggiordomi Un piccolo bipede umanoide della Sony (58 centimetri di altezza), denominato SDR-4X, capace di ballare e cantare. «I migliori robot che possiamo aspettarci nel prossimo futuro saranno in sostanza dei bravi maggiordomi», dice Paolo Dario. II loro aspetto sarà umanoide, avranno una pelle simile alla nostra e capacità espressive e affettive. La somiglianza con gli esseri umani è importante per rendere più spontanea la nostra interazione con queste macchine. Ma anche perché, secondo i più recenti sviluppi della robotica, l'intelligenza artificiale si esprime nella sua pienezza soltanto se innestata in un corpo fisico. Per certi versi, serve più «intelligenza» per camminare che per risolvere un teorema IL PROBLEMA tomi molto avanzati -ebbero aumentare gi squilibri Sociali» l IL DILEMMA «Avranno diritti simili a quelli riconosci agli animali?» PRIMATO ITALIANO «Siamo la coscienza avanzata della robotica, al livello degli Usa» L'USO IN GUERRA «Basta stragi di soldati ma chi vince schiaccerà ancora chi ha perso» ______________________________________________________ L’Unione Sarda 17 mar. ’07 POETTO, GLI SPIETRATORI DA TESTIMONI A INDAGATI Tribunale. Colpo di scena al processa sul ripascimento: sei operai invitati a tornare con l'avvocato I giudici: hanno concorso al reato di stoccaggio in area non autorizzata Un esperto del Cnr sostiene in aula che fin dagli anni Settanta si sapeva che nel Golfo di Cagliari non c'erano sabbie compatibili con quella del Poetto. Non solo: per analizzare il materiale riversato dalla draga sull'arenile bastavano poche ore. pietrificato (per stare in terna). E come lui gli altri cinque operai che aspettano di testimoniare. Ah, le pietre. Prima hanno affondato la barca che tentava di buttarle al largo, ora rischiano di inguaiare, dopo l'ex assessore provinciale ai Lavori pubblici Renzo Zirone, il dirigente della Provincia Andrea Gardu e il coordinatore del progetto Lorenzo Mulas, anche i sei operai che hanno portato via i massi dall'arenile. Sono quasi le tre del pomeriggio, il Tribunale sta affrontando la questione delle pietre riversate dalla draga sull'arenile con l'operaio Cesare Pau quando l'avvocato Luigi Concas solleva un problema di diritto: chi ha caricato e trasportato le pietre e gli altri rifiuti concorre nel reato di stoccaggio in area non autorizzata. I pm Guido Pani e Daniele Caria non sono d'accordo e sembrano pure spuntarla, nel senso che il presidente Francesco Sette dispone la continuazione dell'esame. Ma l'operaio può dire solo che i suoi colleghi, a turno, conducevano la moto Ape con pietre e rifiuti fino all'area dell'ex poligono: il giudice ritiene infatti che il teste stia fornendo elementi autoindizianti e interrompe. Quando viene invitato a tornare il 30 marzo con un difensore, l'ormai ex teste resta pietrificato (per stare in terna). E come lui gli altri cinque operai che aspettano di testimoniare. Prima della sospensione dell'interrogatorio Pau ha comunque fatto in tempo a distinguere i lavori diurni (in orario di lavoro) da quelli notturni (fuori orario): di giorno portavano via le pietre con forconi e rastrelli, di notte facevano luce ai camion che, in retromarcia sull'arenile, scaricavano la sabbia bianca raccolta a bordo strada. «Dovevo vigilare e far luce ai camion con una torcia, c'era un problema di sicurezza delle operazioni». Il presidente domanda: «Dovevate far luce per agevolare o per impedire le operazioni»? No, non dovevano impedirle: dovevano agevolarle. L'operaio è sicuro: «Mi hanno mandano lì per quello». La gran parte dell'udienza è stata riservata all'audizione di Michele Agus, dell'istituto di geologia ambientale della facoltà di Ingegneria. Su incarico del Rettore, che non voleva coinvolgere l'Università in quello che si annunciava come un disastro ambientale, aveva indagato. Del resto Agus conosceva bene la materia perché alla fine degli anni 70 aveva lavorato a un progetto del Cnr per il quale furono campionate le sabbie di terra e di mare di 196 spiagge, Poetto incluso. Ebbene: i carbonati nella nuova sabbia superavano il 50 per cento contro il 6 per cento della vecchia e quasi tutta la sabbia preesistente aveva una consistenza granulometrica decisamente inferiore a quella di ripascimento. La sabbia nuova era scura perché conteneva sulfuro di ferro, pirite (un minerale metallico) e molti pezzi di roccia scura «e le rocce rimangono scure per milioni di anni». Quindi Agus ha parlato di un «esame autoptico» della spiaggia che ha richiamato l'attenzione del presidente e l'ironia del pm Pani, visto che nell'udienza preliminare il professor Ulzega (invitato a uscire dall'aula perché deve ancora essere chiamato a testimoniare) aveva definito il Poetto una spiaggia morta. A1 di là delle battute, quel che conta è il tempo: secondo Agus per analizzare la sabbia servono alcune ore. Traduzione: si poteva sapere subito che la sabbia prelevata dal mare era diversa. Non solo: bastava dare uno sguardo al lavoro di 20 anni fa per sapere che nel Golfo di Cagliari non c'erano sabbie simili a quella del Poetto. Anche il petrografo Giampaolo Macciotta aveva a suo tempo fatto un'indagine personale sul Poetto, per concludere che la sabbia preesistente era diversa da quella riversata dalla draga. L'ex comandante Antonio Camboni ha invece ribadito quel che già aveva dichiarato l'inviato del ministero dell'Ambiente: la Capitaneria doveva controllare solo che nella zona dei lavori non passassero altre barche e tutte le informazioni relative alla qualità della sabbia provenivano dal comitato scientifico della Provincia. Secondo il quale era tutto ok, dunque non c'era motivo per sospendere i lavori. Nonostante le polemiche. Solo quando in riva al mare all'altezza del Lido, era stata trovata una bomba della seconda guerra mondiale, la Capitaneria aveva sospeso i lavori. L’avocato Pierluigi Concas produce una lettera con cui la Capitaneria dava atto della compatibilità della sabbia: quella carta metterebbe in discussione le dichiarazioni di Camboni poiché il comitato scientifico si era espresso 4 giorni dopo. MARIA FRANCESCA CHIAPPE ______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 mar. ’07 IN ITALIA SERVONO 25MILA ESPERTI DI INFORMATICA Rapporto Cepis: in Europa 250mi1a Andrea Marini ROMA Il contributo degli specialisti informatici sarà sempre più importante nel futuro europeo. Solo puntando sull'innovazione le aziende del Vecchio continente potranno reggere il confronto con i Paesi in via di sviluppo che godono di un costo del lavoro molto più basso del nostro. Già ora, con un giro d'affari di oltre 650 miliardi di curo (un terzo dei quali legati ai software e ai servizi), l’Ict è un potente motore dell'economia- Ue. Il settore, inoltre, occupa più di 6 milioni di addetti. Tuttavia, tra pochi anni la carenza di specialisti informatici rischia di creare seri problemi al mercato. Questa, almeno, è la prospettiva che emerge da uno studio elaborato dal Cepis (Federazione delle associazioni informatiche europee) per la Commissione Ue e presentato ieri da Confindustria Servizi Innovativi e da Aica (Associazione per l'informatica e il calcolo automatico). Lo scenario più ottimistico in tema dì crescita economica e tasso d'innovazione stima una domanda di nuovi professionisti Ict di 25mila unità nel 2010, ma di queste, 70mila potrebbero rimanere insoddisfatte se non si investe in programmi formativi e di qualificazione. Nell'ipotesi, invece, di un declino economico, il fabbisogno scenderebbe a 101mila addetti, con mille esperti del settore che rimarrebbero disoccupati. Circa le prospettive italia nei dati del Rapporto 2006 su «Occupazione e professioni nell'Ict» di Confindustria Servizi Innovativi mette in luce per il 2010 un fabbisogno di informatici di 17.500 unità, a cui si aggiungono circa 3.Soo esperti delle linee di business. Nel 2006 le imprese del settore Ict in cerca di lavoratori qualificati hanno dichiarato di essere in difficoltà nel reperire ingegneri elettronici e delle Tlc nel 40% dei casi, seguono i tecnici informatici (39%) e progettisti e analisti informatici (36%): _______________________________________________ La Nuova Sardegna 19 mar. ’07 INFORMATICA, SARDEGNA OK MA NON C’È PARI OPPORTUNITÀ In un libro scritto da Clementina Casula e pubblicato da Cuec una ricerca tutta sarda sull’uso delle nuove tecnologie A Clementina Casula piace Brahms. Filosofa di laurea e sociologa per professione, aveva un diploma in pianoforte al Conservatorio “Pierluigi da Palestrina” di Cagliari ma ha dovuto trascurare pezzi e sonate del grande compositore tedesco per passare a un’altra tastiera: quella del computer. Proprio in questi giorni, in collaborazione con Alessandro Mongili e (per la parte statistica) con Maura Marras, ha dato alle stampe un libro edito dalla collana University Press della Cuec dal titolo «Donne al computer» (210 pagine, euro 15). La ricerca è tutta sarda, effettuata, con i fondi Interreg dell’Unione europea e della Regione, a Sassari, Nuoro e Macomer. Sono stati intervistati 40 funzionari pubblici e studenti in focus group opportunamente divisi per età, status occupazionale e genere. Già nelle prime pagine del libro Clementina Casula sfata intanto alcuni luoghi comuni che talvolta penalizzano la Sardegna, spesso accorpata alla Sicilia nelle statistiche nazionali. Dai dati Istat riferiti al 2006 (il nostro Paese è tristemente agli ultimi posti fra quelli industrializzati) emerge comunque che il possesso del computer in Italia è del 46,1 per cento della popolazione, quello delle Isole è pari al 40,5 ma - scomponendo il risultato finale - la Sardegna si piazza al 49,4 per cento con la Sicilia ferma al 37,6. Idem per l’accesso a internet: media italiana pari al 35,6 per cento, Isole 29,1 la Sardegna va al 36,8 per cento contro il 26,6 della sorella siciliana. Resta invece importante la distanza nell’utilizzo delle tecnologie informatiche tra uomini e donne, nonostante i più alti e innegabili tassi di scolarizzazione di queste, che determina il cosiddetto “digital divide di genere”, in crescita in Italia negli ultimi anni. Sempre l’Istat: «Nel 2000 la distanza delle donne dagli uomini era di 9,3 punti percentuali per l’utilizzo del computer e di 9 punti per l’accesso a internet. Lo scorso anno la forbice si è allargata: uso del computer sempre più maschile e sempre meno femminile (da 9,3 è saltata a 10,8) e l’accesso a internet (da 9 a 10,5 punti)». Una possibile interpretazione di questo fenomeno la suggerisce Anna Oppo, ordinario di Sociologia prima a Urbino ora a Cagliari, una della massime studiose della società italiana e femminile in particolare. «C’è una specie di costante storica - dice Oppo nella presentazione al volume - nella divisione del lavoro fra i sessi: uso di attrezzi evoluti da parte dei maschi, ricorso a strumenti elementari se il lavoro è svolto dalla donne. C’è di più. La stessa operazione comporta l’utilizzazione di strumenti diversi se a compierla è un uomo o una donna». La Oppo cita uno studio classico di Paul Tabet sulle società agricole: «se il trasporto di oggetti e derrate veniva eseguito dagli uomini questi usavano mezzi trainati da animali mentre le donne, nella maggior parte dei casi, utilizzavano semplicemente il proprio corpo». Si potrebbe banalizzare con la donna al volante difficilmente in grado di sostituire un pneumatico. La ricerca Casula-Mongili va oltre i dati statistici per dare uno spaccato inedito e assolutamente originale del mondo femminile informatico ricostruendo nelle sue linee principali il processo di apprendimento delle tecnologie informatiche lasciando il campo di ricerca aperto all’emergere di temi “dal basso”, a partire dai racconti degli intervistati. Sono significative alcune considerazioni da loro espresse. Corrado, 46 anni, docente in un biennio delle superiori: «Noto che le ragazze più che altro usano il computer per chattare, blog, sentirsi, partecipare un po’. Nei ragazzi questo interesse forse è inferiore, sono più su videogiochi oppure su ricerche particolari». Cecilia, 33 anni: «Gli uomini guardano il sito delle moto, delle auto, le donne sono più portate alla comunicazione». Carla, 54 anni: «Le ragazze scrivono diari, chattano, i ragazzi visitano i siti delle auto, dei telefonini». Ancora Anna Oppo: «C’è sempre, nel profondo di tutti noi, un’antica visione della fanciulla che per imperizia e avventatezza si perde nel bosco misterioso e pieno di pericoli e del bel cavaliere dalla splendente armatura e dalla lancia potente che arriva miracolosamente in suo soccorso». La riduzione dei divari digitali, scrive Clementina Casula, viene ormai considerata come un problema di equità sociale per i governi, visto che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono ormai diventate una risorsa fondamentale nelle società contemporanee industrializzate. Per l’Italia (impegnata come gli altri paesi dell’Ue nel perseguimento della cosiddetta “strategia di Lisbona”) i dati finali sono deludenti. E per la Sardegna? I risultati sarebbero forse stati diversi se l’indagine fosse stata compiuta nel distretto cagliaritano dove la presenza delle industrie dell’Ict - da Tiscali, al Parco tecologico di Pula, a Energit, ad Abbey net, per citare i principali - è certamente più incisiva? Può darsi. Ma nei territori considerati tra uomo e donna, le distanze nell’accesso ed utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione esiste e persiste Perché? Casula evidenzia l’emergere, nei racconti delle intervistate, di stereotipi di genere che scoraggiano la partecipazione femminile al mondo scientifico e tecnologico e la riconduce alla persistenza, in Sardegna come in Italia, di modelli culturali discriminatori radicati nelle pratiche sociali, anche quando “formalmente” si parla di pari diritti e opportunità. «La sola prospettiva di una riduzione del divario digitale di genere attraverso l’alfabetizzazione informatica delle donne- sostiene Casula- riduce il problema a una questione di parità di accesso all’istruzione e alla formazione, riponendo sulle donne la responsabilità della permanenza in una situazione di svantaggio». Analisi settoriali dei divari digitali di genere, prosegue, si concentrano così sull’origine biologica o psicologica del problema (nel caso delle donne: la paura del successo, la mancata vocazione per le discipline tecnico-scientifiche, l’insicurezza nell’apprendimento) sottovalutando l’influenza di paradigmi socio- culturali discriminatori. Alessandro Mongili esterna qualche dubbio sull’utilizzo del divario digitale come misura di un certo stato dello sviluppo tecnologico. E dice: “Nel caso dei computer e delle donne da noi studiate, occorre rilevare che non si può parlare di computer ma di applicazioni, cioè di programmi usati”. Sulla distanza uomo- donna nell’Ict Mongili è perfino più netto: “È solo figlia della retorica giornalistica, la Sardegna ha problemi seri nel sistemadi innovazione, a partire dai modi di apprendimento dei dispositivitecnici, di estrema arretratezza del sistema universitario, pocoqualificato e fondato sullo spreco e su posizioni occupate senza averetitoli accademici per farlo, di scarsa apertura verso la praticadell’innovazione, di investimenti tutti centrati sui quadri organizzativi e poco su scelte innovative dei singoli ricercatori”. Mongili è perfino più drastico soprattutto quando si riferisce ai corsi standardizzati di informatica: “Sembra che si usi un programma didattico segreto, spegnendo ogni curiosità e abilità eccedente nelle stesse persone che si vorrebbero utilizzare”. E il dilemma uomo-donna? Mongili evidenzia l’elemento “ideologico” insito in questo approccio, definito da chi ricopre ruoli importanti nella progettazione e nella cosiddetta “alfabetizzazione informatica”, decidendo quali applicazioni sono strategiche e quali no, e di conseguenza chi è aggiornato/integrato e chi arretrato/escluso.”Peccato che molte donne così considerate conoscessero a menadito altre applicazioni (ad esempio i programmi di contabilità usati tutti i giorni da loro)”: E ancora. “Se l’innovazione la fanno i capiufficio, se viene articolata in modo autoritario, essa incontra molte difficoltà a diffondersi e a innovare pratiche arretrate”. In ogni caso il “divide” - e qui si torna alla tesi più generale di Anna Oppo e Clementina Casula - è “sociale”. Il mondo delle Ict nel cagliaritano, stando ad alcune dichiarazioni rilasciate alla Nuova Sardegna dai responsabili delle aziende informatiche più accreditate nell’Isola, è utile per capire meglio. Mario Mariani, aministratore delegato di Tiscali Italia, dice: “La storia di Tiscali, fino dal’98, racconta di come le donne rappresentino un pubblico sensibile al mondo di internet. Sono spettatrici attente e attive di un mondo che le vede protagoniste impegnate. All’interno della nostra azienda le donne ricoprono un ruolo determinante sia dal punto di vista numerico con una percentuale superiore al 50 per cento, che dal punto di vista qualitativo, assumendo ruoli ai più diversi livelli: da impiegate fino a dirigenti e responsabili di attività importanti e strategiche per il buon andamento dell’azienda. A tal punto riteniamo fondamentale la loro presenza, che Tiscali ha creato un asilo nido e implementato orari di lavoro flessibili al fine di agevolare le donne nel loro difficile ruolo di madri e lavoratrici.” Percentuali diverse in altre due aziende leader. A Energit le donne sono il 28 per cento dei dipendenti ma - dice Luigi Filippini, amministratore delegato - “ricoprono ruoli apicali non solo nel settore amministrativo ma anche in quello del marketing e nei sistemi informatici”. Sono il 15 per cento i dipendenti donna di Abbeynet: “Ma molte di loro rivestono ruoli importanti, con diverse donne ingegnere elettronico e certamente hanno più fantasia e creatività di noi maschi”, dice il direttore commerciale Franco Nonnis. Ma siamo ai “ma”, alle solite “eccezioni”, certo esaltanti ma pur sempre eccezioni. Il dato di fatto, in questo settore, resta la posizione marginale dell’Italia e comunque la distanza fra uomo e donna, anche perché - ricorda la Casula - “la stessa risorsa tempo”, per quelle cause sociali si cui sappiamo, “è minore nelle donne accentuando così le disuguaglianze”. Resta da dire dei due autori. Casula, cagliaritana, si è laureata con una tesi in Filosofia politica con Anna Maria Loche. Marcata l’esperienza internazionale: Erasmus a Norwich, stage a Bruxelles sulle politiche regionali, è ricercatrice in Sociologia economica al Dres (Dipartimento di ricerche economiche e sociali) e alla facoltà di Scienze della Formazione. Il master alla Graduate School of European and International Studies di Reading e il dottorato di ricerca (PhD) alla London School of Economics. Mongili si è specializzato in Francia all’Ecole des hautes etudes en sciences sociales. A Scienze politiche di Cagliari si occupa di sociologia delle tecnoscienze. In queste settimane è visiting scholar presso il Center for Science, Technology, and Society dell’Università di Santa Clara, nel cuoredella Silicon Valley. Presidente della Sts Italia (Science- technology-society), è lo stesso nome dell’orientamento degli studi a Cagliari a partire dal primo Sts program, quello mitico dell’Mit nel Massachusetts). Resta da dire - per tornare alla distanza uomo-donna sul digital - di un’altra delle testimonianze riportate nel libro. Dicono di essersi imbattuti “in vere e proprie sociologie spontanee, rafforzate da luoghi comuni troppo spesso diffusi con leggerezza e che producono un certo razzismo nei confronti delle donne ma anche degli anziani”. Ecco la testimonianza di una studentessa universitaria: «Mia madre tocca il cellulare come fosse una bomba che sta per esplodere...è stato micidiale insegnarle l’uso del telecomando per la televisione, adesso che ha imparato è al settimo cielo, noi siamo propensi verso la tecnologia, i genitori zero”. Che fare? Clementina Casula: «Le politiche per le pari opportunità dovrebbero diventare, attraverso il mainstreaming di genere, una preoccupazione sociale in tutti i settori e i livelli territoriali del Paese». Giusto, certo. Paradossi a parte, quei numeri dell’Istat restano scolpiti. Implacabili. Anche nell’informatica pari opportunità cercasi. _______________________________________________ Corriere della Sera 21 mar. ’07 LA NUOVA SFIDA HI-TECH AMERICANA: SCIENZA DEI SERVIZI ALL' UNIVERSITÀ Dopo la rivoluzione tecnologica che ha rinnovato e reso più efficiente l' industria, ora l' obiettivo è di modernizzazione del settore terziario Da Stanford al Mit, sono decine gli atenei che puntano su questi corsi DAL NOSTRO INVIATO ALMADEN (Silicon Valley) - Vikas Krishna, architetto dei processi di automazione dell' Ibm, mostra orgoglioso i risultati del suo lavoro: l' Intelligent Document Gateway, un sistema di gestione automatizzata dei rimborsi spese che «scannerizza» e legge anche ricevute di taxi e conti del ristorante, registrando data, emittente e cifra pagata. Qualche stanza più in là Jeff Kreulen sviluppa nuove tecniche di data mining per estrarre dall' enorme caos di informazioni che si incrociano in ogni azienda - dai dati delle vendite alle lamentele dei clienti che telefonano ai call center - indicazioni utili per aggiornare le strategie produttive e commerciali. In un cubicolo in fondo al corridoio Douglas McDavid ricostruisce al computer riunioni aziendali, fantasiose dimore e incontri tra manager che volano come Icaro da un luogo all' altro: il tentativo di trovare un' applicazione d' impresa per Second Life, il luogo in cui gli appassionati di realtà virtuale si creano un «alter ego» digitale e si immergono in una seconda vita libera dalla «pesantezza» della materia. Per due secoli l' innovazione è stata guidata dalle scienze fisiche, quelle che hanno alimentato il prodigioso sviluppo della civiltà industriale. Negli ultimi decenni, però, società sempre più ricche e affluenti hanno cominciato a chiedere un volume crescente di servizi - sanità, informazione, divertimento, trasporto, università di massa - che hanno spostato l' ago della bilancia dall' industria al terziario. E l' era di Internet, sbocciata grazie alle tecnologie della Silicon Valley, ha «messo il turbo» a questo processo, offrendo la possibilità di creare nuovi servizi a valore aggiunto e anche quella di trasferire le attività meno remunerative e sofisticate (prodotti manifatturieri ma anche call center e servizi come la lettura a distanza delle radiografie o la contabilità aziendale) ai Paesi emergenti: India e Cina in primo luogo. Ma, mentre l' industria ha trovato il modo di aumentare continuamente l' efficienza dei processi produttivi e di ridurre i prezzi, altrettanto non è accaduto (o è accaduto in misura molto minore) in un terziario assai frammentato e nel quale i protagonisti erano spesso enti di natura pubblica. Le cose sono cambiate col grande sviluppo della finanza e cambieranno ancor più in futuro con lo spostamento verso il settore dei servizi di grandi multinazionali manifatturiere come Xerox, Hewlett Packard e, appunto, Ibm. Ed è proprio nei laboratori Ibm di Almaden, tra le colline brulle di un parco naturale che sorge a sud di San Josè, in fondo alla Silicon Valley, che sta prendendo corpo la scienza dei servizi. Un «nuovo vangelo» che si sta diffondendo rapidamente: da Stanford al Mit, dall' università Tsing Hua di Shanghai a quella di Pavia e alla Bocconi, sono già decine le accademie di 22 Paesi che hanno introdotto corsi di questo tipo nei loro programmi di studio. Ma lo stimolo allo sviluppo della nuova disciplina è venuto dalle imprese: dovrebbe essere, tra l' altro, imminente, l' annuncio di un accordo tra 12 multinazionali a sostegno di iniziative capillari per la sua diffusione. Tutto ciò fa storcere il naso a molti: c' è chi teme la colonizzazione dell' università da parte del mondo del business e chi ritiene che vera scienza sia solo quella alimentata da fenomeni naturali, mentre un servizio è una prestazione, non un fenomeno. Queste remore non hanno però frenato molte delle più prestigiose università di tutto il mondo, probabilmente perché ricordano bene come trent' anni fa, mentre alcuni atenei si attardavano a discutere se una materia riferita ai computer potesse avere dignità di scienza o andasse, piuttosto, declassata a branca dell' ingegneria, la computer science esplose aprendo la strada all' era di Internet e a una radicale trasformazione dell' economia e dei rapporti sociali. Jim Spohrer, il direttore dei laboratori di Almaden dove 550 ricercatori esplorano le nuove frontiere dei servizi, non si nasconde dietro un dito: «Guardi questi dati: la nostra compagnia ricava dai servizi il 53 per cento del suo fatturato, ma solo il 35 per cento dei profitti. Se l' Ibm guadagnasse con i servizi quanto guadagna con l' hardware dei grandi computer o il software informatico, noi, oggi, non saremmo qui». Tutto vero: il gigante dell' informatica si muove, investe in ricerca e tenta di diffondere una cultura dei servizi per un preciso interesse economico. Dietro al quale, però, c' è una questione di sistema: in un mondo in cui il centro di gravità si sposta sempre più dall' industria verso i servizi che rappresentano già più della metà del reddito nazionale nella ricca Europa, in Giappone e perfino in Paesi come Russia e Brasile, diventa essenziale gestire anche questa parte della ricchezza prodotta da una nazione con i criteri di efficienza fin qui sperimentati soprattutto nell' industria. Ed è inevitabile che, ancora una volta, siano gli Stati Uniti a fare da battistrada: non solo perché hanno le università migliori e più aperte e le aziende-guida delle nuove tecnologie, ma anche perché l' America è di gran lunga il Paese più «terziarizzato» del mondo: i servizi, infatti, coprono ormai il 75-80 per cento del reddito nazionale. Del resto anche la Cina - la «fabbrica del mondo» nella quale l' industria è regina, l' agricoltura continua ad assorbire la metà della forza-lavoro e i servizi contribuiscono ancora solo per il 35 per cento al reddito nazionale - ha appena lanciato un piano quinquennale per la modernizzazione del terziario. Scienza nuova o business travestito da scienza? Il punto vero è che studiare sistemi più moderni ed efficienti per produrre servizi è tecnicamente possibile, ma tutto questo si traduce in innovazione effettiva solo se si sviluppa una cultura, se i nuovi processi diventano fenomeno sociale. Per questo ad Almaden studiano nuovi servizi avanzati, ma cercano anche di diffondere una nuova cultura attraverso un rapporto sempre più stretto con le università. Perché, come la società del low cost, anche quella dei servizi avanzati è una società che dà più potere al cittadino-utente, ma tende a portare il lavoratore in un ambiente più competitivo, più flessibile e meno protetto: un' esperienza simile a quella percorsa negli ultimi anni dai dipendenti dell' industria. La partita è grossa, anche perché il futuro del lavoro è qui: già oggi negli Usa 83 nuovi occupati su 100 sono nei servizi. Entro qualche anno agricoltura e industria ridurranno il loro contributo a meno del 10 per cento delle occasioni di lavoro. E l' Europa, anche se con un passo più lento, sta percorrendo la stessa strada. * * * 15,2 miliardi di dollari il «patrimonio» di cui dispone l' università di Stanford *** 8,4 *** miliardi di dollari il «patrimonio» del Massachusetts Institute of Technology * * * Il caso Ibm Nei laboratori Ibm di Almaden, a sud di San José, in fondo alla Silicon Valley, in California, 550 ricercatori esplorano le nuove frontiere dei servizi. Dice il direttore dei laboratori Jim Spohrer: «Ecco i dati: la nostra compagnia ricava dai servizi il 53 per cento del suo fatturato, ma solo il 35 per cento dei profitti. Se l' Ibm guadagnasse con i servizi quanto guadagna con l' hardware dei grandi computer o il software informatico, noi oggi non saremmo qui». * * * I numeri L' America è il Paese più «terziarizzato» del mondo: i servizi, infatti, coprono ormai il 75-80% del reddito nazionale. Già oggi negli Usa 83 nuovi occupati su 100 sono nei servizi. Entro qualche anno agricoltura e industria ridurranno il loro contributo a meno del 10% delle occasioni di lavoro. E l' Europa, anche se con un passo più lento, sta percorrendo la stessa strada. Perfino la Cina, dove i servizi contribuiscono solo per il 35% al reddito nazionale, ha appena lanciato un piano quinquennale per modernizzare il terziario. Gaggi Massimo =============================================== _______________________________________________ L’Unione Sarda 23 mar. ’07 ASL8: L'APPALTO CONTESTATO ERA REGOLARE Dall'opposizione in consiglio regionale dure accuse alla Asl 8 sugli atti della gara per ristrutturare Microcitemico e Businco - Vargiu: hanno lasciato 2300 persone senza radioterapia L'appalto tra Asl 8 e Siemens che nel 2005 costò la testa all'ex numero uno della Asl 8, Efisio Aste, non era illegittimo. Lo è, invece, quello nuovo, elaborato dalla nuova dirigenza. Illegittimo perché il direttore generale, Gino Gumirato, ha speso più soldi di quanti la giunta ne abbia autorizzati: 148,7 milioni contro 116,7: quasi 32 in più. Di più: alcune delibere hanno bypassato il controllo di legittimità. Risultato: più costi per i sardi e ritardi nell'installazione di apparecchiature per la radioterapia. Un ritardo che costringerà almeno 2300 malati di tumore a non curarsi. È il duro atto d'accusa dei capigruppo del centrodestra in Consiglio regionale che affidano a una interpellanza - che forse sarà trasformata in mozione e forse nella richiesta di una commissione di inchiesta - i loro dubbi sulla nuova delibera con la quale l'Azienda sanitaria autorizza l'ampliamento del Businco e del Microcitemico e l'acquisto di apparecchiature per la radioterapia. Giorgio La Spisa (FI), Ignazio Artizzu (An) Raffaele Farigu (Nuovo Psi), Alberto Randazzo (Udc), Pierpaolo Vargiu (Rs) e Silvestro Ladu (Pps) chiedono «un chiarimento pubblico» al direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato, all' assessore alla Sanità Nerina Dirindin e al presidente della Regione Renato Soru definiti da Roberto Capelli (Udc) «killer della sanità». La storia La vicenda è nota. Nel 2002 la Asl 8 adotta il contratto di «concessione, costruzione e gestione dei lavori di ampliamento ed innovazione» di Microcitemico e Oncologico stipulato con un'Associazione temporanea di imprese tra Siemens, Siemens Building Tecnologie, Siemens Informatica e Tepor. Un progetto da 60 milioni di euro che avrebbe impegnato l'Azienda sanitaria per 30 anni ed avrebbe comportato una spesa complessiva a carico del Servizio sanitario di oltre 210 milioni di euro. L'appalto prevedeva l'ampliamento dei reparti dei due ospedali (con lavori per 12 milioni 810 mila euro pagati dalla Regione) e l'installazione di macchine per la radioterapia da parte delle società con un investimento di 28 milioni 725 mila euro (60 milioni 609 mila euro con iva e spese generali). In cambio delle strutture tecnologiche, la Asl avrebbe corrisposto alla società un canone di 1 milione 988 mila euro per 15 anni. Per il servizio di aggiornamento e manutenzione delle strutture tecnologiche, la Asl avrebbe invece pagato per 29 anni (rinnovabili per altri 30) un secondo canone annuo di 4 milioni 946 mila euro (iva esclusa e indicizzato). Il progetto viene approvato dall'assessorato alla Sanità a fine 2002. A marzo 2005, a lavori edilizi in fase avanzata, la delibera viene annullata dalla giunta Soru perché «caratterizzata da assoluta imprecisione, incuria ed approssimazione palesando altresì lacune per quanto riguarda il conto economico...». La vicenda deflagra «in modo plateale» sui giornali, il presidente e l'assessore, dopo un blitz nella sede della Asl, licenziano Aste, che ricorre al Tar e al giudice del lavoro senza successo. La Siemens annuncia ricorsi, poi recede. Il Tar si pronuncia anche sul merito del contratto. Viene nominata una commissione d'inchiesta. Gli atti vengono inviati alla Corte dei conti. I punti contestati Che cosa contestano i capigruppo dell'opposizione? Punto primo: Gumirato - sostengono gli interpellanti - è stato autorizzato dalla Giunta (delibera 12.10.2005) a spendere 116,7 milioni di euro invece ne ha spesi 148,7: perché? Ancora: il responsabile del settore controllo atti della Regione nota che alcune delibere di spesa della Asl, non inviate al controllo, contengono «situazioni di palesi irregolarità amministrative». Mancherebbe, tra l'altro, il piano economico finanziario aggiornato, dunque non sarebbe possibile verificare il costo totale dell'appalto così come modificato. Un fatto che induce l'ex direttore generale dell'assessorato, Mariano Girau, poi destituito, ad avocare a sé il procedimento di controllo per poi rilasciare una delle delibere definita «esente da vizi». I capigruppo del centrodestra, a questo proposito, citano nell'interpellanza una dichiarazione di Girau che, quando non è più alla Regione, sostiene che «in diverse occasioni ho rappresentato problemi di illegittimità su alcuni provvedimenti cogliendo una certa sofferenza ai controlli di legittimità». Secondo i leader dell'opposizione in tutto questo ci sono responsabilità del manager della Asl 8 e, probabilmente, dell'ex direttore generale dell'assessorato. i commenti Fin qui il merito dell'interpellanza. Più pesanti le considerazioni. «Dobbiamo denunciare sempre più forte ciò che sta accadendo nella sanità sarda, ed Efisio Aste, ingiustamente massacrato, deve essere riabilitato», attacca La Spisa. Vargiu parla di «scandalo continuo al quale i sardi rischiano di assuefarsi. Stiamo parlando della radioterapia», spiega il leader Riformatore, «della quale - cito il piano sanitario - hanno bisogno 3900 sardi ma che oggi può soddisfare solo 1360 pazienti. Altri 300 all'anno vanno fuori, gli altri non si curano. Lo faranno, se andrà bene, all'inizio del 2008, con 13 mesi di ritardo rispetto al bando precedente». Pesante Antonello Liori (An): «Hanno bloccato un contratto regolare per ricontrattarselo personalmente peggiorandolo, questo è regime». Capelli si chiede: «Perché Girau non disse allora ciò che denuncia oggi? La giunta Soru sta facendo sperimentazione sulla pelle dei sardi». Osserva Ladu: «Tagliano la spesa farmaceutica, le visite specialistiche e spendono i soldi male e in modo disinvolto, accontentando gli amici loro». Chiosa Farigu: «Se guardiamo quest'ennesimo atto di regime assieme a tutti gli altri capiamo che siamo alla deriva, alla soppressione della certezza del diritto. Serve una commissione di inchiesta». Fabio Manca L'ASSESSORE: «NOI SEMPRE TRASPARENTI, LORO NO» L'assessorato alla Sanità smentisce il centrodestra su tutti i fronti. Sui tempi di attivazione del servizio di radioterapia, sul presunto sforamento della spesa, sulle irregolarità dell'appalto. E in attesa di una conferenza stampa congiunta con il direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato, in programma per oggi, è l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin a replicare alle accuse pesanti dei capigruppo dell'opposizione. «Ancora una volta si cerca di gettare fango su chi, da due anni e mezzo, lavora con impegno e trasparenza nell'interesse dei cittadini, anche cercando di recuperare situazioni pregiudicate dalle precedenti gestioni. In molti casi», prosegue l'assessore, «non abbiamo voluto utilizzare strumentalmente situazioni complesse o di illegittimità nel rispetto di tutti, mentre continuiamo a ricevere attacchi volti a creare incertezza nei cittadini». Nerina Dirindin ricorda che «abbiamo ereditato un progetto che prevedeva un centro di radioterapia obsoleto e non al passo con l'aggiornamento tecnologico. Lo abbiamo rivisto nell'interesse della comunità e per l'importanza di un tema che tocca molti cittadini, costretti ad andare fuori Regione ancora oggi. Una situazione, questa, che ci spiace e per la quale ci scusiamo come istituzione. Stiamo lavorando con trasparenza e serietà», aggiunge l'assessore alla Sanità, «e non abbiamo alcuna difficoltà a rispondere delle debolezze che ancora esistono, ma ci stupisce che attacchi su questo tema vengano fuori adesso». Poi parla delle presunte irregolarità sui conti e sul controllo di legittimità degli atti. «A noi non risultano irregolarità legate alle deliberazioni della Asl 8», afferma Dirindin. «I conti della direzione generale sono conformi alle autorizzazioni date dalla Giunta con delibera del 12 ottobre 2005, così come attestato dall'allora direttore generale dell'assessorato alla Sanità, Mariano Girau. Le irregolarità dell'appalto Siemens ? da noi prontamente annullato - sono state a suo tempo rilevate dal Tar, che ha dato ragione alla Regione su tutti i fronti. Se ora qualcuno è a conoscenza di aspetti di non legittimità lo denunci e lo documenti nelle sedi opportune. Nessuno può negare che questo esecutivo abbia sempre dato massima pubblicità e trasparenza ad ogni sua decisione, a differenza di quanto accadeva nel passato». Quanto allo slittamento dei tempi, l'assessorato inizia a dare qualche certezza: «Due settimane fa è stato effettuato un sopralluogo al Businco e al Microcitemico. Ed è stato appurato che i lavori per la realizzazione della nuova ala del Businco termineranno entro dicembre ed entro l'anno sarà installato il primo macchinario per la radioterapia. Contestualmente avranno terminato il corso i primi radioterapisti». (f. ma.) _______________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mar. ’07 POLICLINICO, STABILIZZATI I PRECARI IL CASO CLINICHE PRIVATE IN CONSIGLIO REGIONALE CAGLIARI. È festa per i centoventotto precari del Policlinico che da mesi, accampati sotto il consiglio regionale di via Roma, chiedevano la stabilizzazione del posto di lavoro: il governatore Renato Soru e l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin hanno assicurato la stabilizzazione per tutti i lavoratori nell'organico della nascente Azienda mista. La notizia è arrivata nella tarda serata di ieri, e ha fatto tirare un sospiro di sollievo anche agli operatori che hanno prestato il loro servizio al Policlinico per venti mesi perché la Regione, grazie all'approvazione di due emendamenti, ha deciso di dar loro la precedenza nel corso di aggiornamento propedeutico al reinserimento lavorativo, previsto per maggio. La svolta è arrivata dopo mesi di proteste, culminate con l'episodio più drammatico della crociata inaugurata dai precari del Policlinico, quando quattro giorni fa due operatori si sono incatenati all'interno del palazzo regionale. «Senza questi lavoratori, le strutture sanitarie non potrebbero funzionare - ha commentato a vertenza risolta il sindacalista Confsal Gianfranco Angioni - ora ci metteremo al lavoro per ritornare in corsia». Risolto un problema però, ne rimangono altri. I consiglieri regionali di Rifondazione hanno presentato un'interrogazione per conoscere lo stato dell'arte e, soprattutto, capire che cosa intenda fare la Regione per «garantire la formazione necessaria alle assunzioni a tempo indeterminato». (p.so.) _______________________________________________ L’Unione Sarda 22 mar. ’07 LA ASL 8 È PRONTA A INVESTIRE 500 MILIONI DI EURO Sanità. Ieri il manager Gumirato ha illustrato il piano dell'azienda ai sindaci dei comuni della Provincia - La metà del finanziamento destinata alla costruzione del nuovo ospedale Quasi cinquecento milioni di euro di investimenti in tre anni. È quanto si prepara a spendere la Asl 8 nel sistema ospedaliero, con metà del finanziamento (250 milioni) destinato alla nuova struttura che dovrà sorgere in città. Ieri il manager della Asl, Gino Gumirato, ha presentato ai sindaci della provincia di Cagliari il piano degli investimenti e quello che accadrà agli ospedali del territorio. il programma Il Binaghi, ha fatto sapere il manager, resterà l'ospedale di riferimento regionale per le Pneumologie, il centro Sclerosi e quello Trapianti. Prevista anche l'organizzazione di un centro Salute Donna e di uno per l'Oftalmologia (chirurgia oculistica programmata). Il Marino manterrà la vocazione ortopedico-traumatologica, con il rafforzamento della chirurgia ortopedica. nuovo microcitemico Il Microcitemico diventerà sempre più l'ospedale del bambino e delle malattie rare accorpando la chirurgia pediatrica del Santissima Trinità. Sono in corso i lavori di ampliamento che porteranno al raddoppio degli spazi attuali entro la fine del 2007. Nell'ultima seduta della giunta regionale è stata approvata la delibera che dà il via libera all'intervento (anche per l'oncologico Businco) per la realizzazione, in variante a quello già autorizzato dal Comune, di un fabbricato di 490 metri quadri da destinare in parte a hall reception (al piano terra) e a sala riunioni biblioteca (primo tempo). Gli interni avranno una diversa organizzazione con una modifica della destinazione d'uso da magazzini, lavanderia e uffici a reparto di Medicina Nucleare. Verranno realizzate una nuova centrale frigorifera, un edificio per la Radioterapia, Medicina Fisica, Medicina nucleare. gli altri In attesa della costruzione del nuovo ospedale, il Santissima Trinità terrà la sua vocazione plurispecialistica. Uno dei punti di forza è diventato il Pronto soccorso, recentemente potenziato, l'unico ad avere stanze di degenza breve. Con la dotazione della Tac e di un apparecchio radiologico moderno sarà in grado di affrontare la maggior parte delle emergenze della Provincia. Il Businco mantiene inalterato il suo indirizzo oncologico. Sarà potenziata la Radioterapia che, con nuove tecnologie, sarà in grado di abbattere le liste di attesa. Di prossima apertura l'Hospice per malati terminali con diciotto posti letto. Il San Giovanni di Dio confluirà nell'Azienda mista. la nuova strutturaIl piano prevede la costruzione del nuovo Ospedale Policentrico che accorperà i reparti del Marino e del Santissima Trinità. Gumirato ha assicurato che fino all'apertura della nuova struttura i due ospedali avranno finanziamenti e infrastrutture. il comune All'incontro, per il comune di Cagliari, era presente l'assessore all'Urbanistica Nanni Campus: «L'ospedale di Is Mirrionis - ha commentato - deve rimanere un punto di riferimento per la città. Se si dovesse confermare la sua dismissione la nuova struttura dovrà sorgere a Cagliari che ha aree e infrastrutture adeguate e dispone dei servizi indispensabili». (m.v.) _______________________________________________ La Nuova Sardegna 22 mar. ’07 AZIENDA MISTA PRONTA SOLTANTO A CAGLIARI CAGLIARI. Non per scherzo la data di nascita dell'azienda mista era stata fissata al primo aprile, ma non soltanto per evitare riti scaramantici è già spostata due volte: al primo maggio e, si dice, anche al primo giugno. Quest'ultima data giunge da Sassari, dove c'è il nocciolo del problema a proposito dell'avvio dell'azienda mista. Come è noto in Sardegna ce ne saranno due perché tante sono le facoltà di Medicina. Però a Sassari la parte universitaria e quella ospedaliera non avrebbero ancora trovato un accordo. Nel capoluogo del nord Sardegna si racconta che sono proprio gli universitari a non voler cedere di un passo su alcune richieste. A Cagliari è una storia nota, ma del tutto superata. Asl 8 e Università hanno stilato un elenco esatto e condiviso di tutti i beni (immobili, attrezzature) che dovranno confluire nell'azienda mista. Non si è ancora parlato del personale, i dipendenti avranno facoltà di optare per l'ospedalone universitario o per l'apparato pubblico regionale. La prossima tappa sarà la nomina del direttore generale sul cui nome ci si deve accontentare delle illazioni, tutte piuttosto scontate perché nascono dalla carrellata degli aventi titolo che in passato sono arrivati a un passo dalla nomina. Si escludono gli ex manager. Per ora. _______________________________________________ L’Unione Sarda 20 mar. ’07 TETTI DI SPESA: LABORATORI DI ANALISI AL TAR «I tetti di spesa imposti dalla Regione violano il principio costituzionale della libera scelta del paziente che ha tutti i diritti di scegliersi la struttura sanitaria, pubblica o privata, dove si sente più garantito e tutelato». È uno dei passaggi chiave su cui poggiano dodici ricorsi presentati alla cancelleria del Tar Sardegna da alcuni dei maggiori laboratori analisi convenzionati della città. Viene chiesto ai giudici di sospendere gli effetti della delibera della Giunta regionale approvata lo scorso dicembre che introduce i cosiddetti tetti di spesa, ovvero il numero massimo di prestazioni che ciascun presidio privato può avere rimborsato dalla Asl 8. L'aias e 12 laboratoriNelle stesse ore un ricorso analogo contro la Regione lo hanno presentato anche l'Aias (avvocato Giovanni Faa), la Fondazione Stefania Randazzo e alcuni ambulatori specializzati in fisioterapia e riabilitazione. Capofila della protesta è l'associazione Assolab che raggruppa una ventina di laboratori di analisi convenzionati. A predisporre i ricorsi, che adombrano l'ipotesi di incostituzionalità di un articolo della legge regionale di riordino della sanità, sono stati gli avvocati Alessandro Corda e Paola Perisi, rispettivamente segretario e vicesegretaria dell'Assolab. «Tutto ruota attorno sul cosiddetto accreditamento che ha sostituito le vecchie convenzioni», spiegano i due legali, «in altre parole l'abilitazione delle strutture private per garantire prestazioni per conto del sistema sanitario regionale. I laboratori devono firmare dei contratti con le Asl, garantendo qualità ed efficienza, mentre al pubblico spetta decidere il numero massimo di prestazioni eseguibili da ciascun centro». i ricorrentiTra i ricorrenti la Cmt Analisi Mediche, Laboratori Biotest, Laboratorio analisi Lar, International Trading, Cmd, Centro Fisiocinesiterapia Nuova Medicina e Studio Medico Polispecialistico. «I ricorsi», prosegue l'avvocato Paola Perisi, «chiedono la dichiarazione di illegittimità costituzione di uno degli articoli della legge: quello che stabilisce, per i successivi due anni dall'entrata in vigore della legge, che i privati avrebbero dovuto sottoscrivere un contratto predisposto unilateralmente dalle Asl con un tetto di spesa che è stato imposto da Regione e Asl, prima che fosse addirittura approvato i piano sanitario dal Consiglio regionale». Il 18 aprile si terrà la prima udienza di Camera di Consiglio che deciderà sulla richiesta di sospensiva presentata dai centri dell'Assolab. «lunghe attese»«I laboratori si sono trovati ad avere un numero di prestazioni e di esami che non rispondono alle esigenze dei loro pazienti» denuncia l'associazione che sta raccogliendo i ricorsi, «e molti sono costretti a rivolgersi ad altre strutture o al pubblico, perché spesso il loro laboratorio ha già superato il tetto di spesa. In questo modo viene violato non solo il principio fondamentale del paziente che deve poter scegliere da chi farsi curare, ma anche i diritti alla salute e all'iniziativa privata, mandando in fumo enormi investimenti fatti in questi anni da centri analisi e laboratori che hanno puntato ad ammodernarsi». Francesco Pinna _______________________________________________ L’Unione Sarda 20 mar. ’07 MELONI: AL BROTZU INUTILE CERCARE ALIBI La polemica sul Brotzu «Inutile cercare alibi nel passato» di Franco Meloni Credo che mi si possa dare atto di non essermi mai occupato del Brotzu né pubblicamente né privatamente da quando, 18 mesi fa, ne ho lasciato la direzione. Per non creare difficoltà di alcun genere al mio successore ho addirittura evitato di andarci se non per ragioni sanitarie e anche in quei casi ho cercato di farlo nella maniera più discreta possibile. Mi si vorrà perdonare pertanto se oggi ritengo invece di dover infrangere le mie regole ma non posso assistere senza difendermi a un basso tentativo di rovinare il buon nome che ho lasciato. La semplice verità, difficile da mandar giù per qualcuno, è che il Brotzu sotto la mia direzione è diventato senza discussione l'ospedale più importante della Sardegna, con un patrimonio umano e tecnologico che aveva poco da invidiare ai migliori ospedali del Paese, non è mai stato coinvolto in scandali di alcun genere, ha visto avviarsi e completarsi progetti importantissimi per i pazienti e tuttora vengono pomposamente inaugurate le progettazioni pensate, finanziate e cantierate in quegli anni. Ora le cronache giornalistiche ci dicono che i medici sono insoddisfatti, i primari scrivono lettere critiche, gli infermieri se ne vogliono andare in massa, aumentano le file all'ufficio ticket, si perdono con dilettantesca superficialità gli organi da trapiantare, ci sono reparti terminati e inutilizzati da sei mesi e mi fermo qui per amore di patria. Insomma, un disastro che imbarazza un po' tutti, soprattutto coloro che si trovano a dover sbrogliare una matassa confusa senza sapere bene da dove iniziare. Adesso per cercare di uscire dalla situazione si lamentano problemi di cui nessuno si era mai accorto, tanto meno gli interessati che pure avrebbero dovuto essere ben attenti ai loro stipendi, e si crea un polverone confuso per distrarre l'opinione pubblica da quanto sta succedendo. Se gli infermieri vanno via è colpa mia perché li pagavo poco, se ai medici vengono tolti gli incarichi è sempre colpa mia perché ne ho dati troppi e perché sbagliavo i conti creando buchi (!) nel bilancio. Per inciso, gli incarichi erano tutti perfettamente legittimi oltre che meritati, proposti e approvati dai primari, concordati con i sindacati e soggetti a periodica verifica da parte del Nucleo di Valutazione con risultati positivi nella stragrande maggioranza dei casi. E infatti il tutto avveniva senza che nessuno si accorgesse di nessuna irregolarità: non i funzionari dell'ufficio Personale che fanno le buste paga, non quelli dell'ufficio Bilancio che controllano i pagamenti, non i revisori dei conti che verificano che tutte le spese siano conformi alla normativa e neppure l'Ufficio Controlli della Regione che tra i numerosi atti da controllare ha anche quelli relativi ai fondi contrattuali. E, per concludere, i bilanci dell'azienda presentati con la mia firma sono stati tutti approvati dalla Regione, incluso l'ultimo (2005) quando era già assessore la Prof.ssa Dirindin. Bene, tutto questo sistema di controlli, ripetuti e accurati, non ha mai evidenziato errori di alcun tipo, nessuno si è mai accorto di nulla, ma ora il mio successore, peraltro dopo oltre un anno e tre mesi dalla sua entrata in carica, denuncia questi errori giusto in casuale coincidenza con l'ennesimo fegato perso dall'ospedale per carenze organizzative. Speriamo che non facciano altri pasticci, sennò chissà di cosa mi accuseranno la prossima volta. _______________________________________________ La Nuova Sardegna 23 mar. ’07 UN OSPEDALE DEL BAMBINO RISCHIO DEL BIS AL POLICLINICO? Microcitemico: chirurgia e forse clinica Macciotta CAGLIARI. L’ospedale Microcitemico una volta finiti i lavori in corso risulterà quasi raddoppiato: da 8 mila metri passerà a 14 mila. Lo scopo è farne un ospedale del bambino e per le malattie rare. Qui verrà trasferita la chirurgia pediatrica ora al Santissima Trinità, qui dovrebbe confluire anche tutto ciò che costituisce la clinica Macciotta (universitaria) e poi la pediatria di Iglesias. La scelta risponde a una richiesta diffusa degli operatori pediatrici di costruire un’assistenza completa e integrata per la cura delle patologie infantili. La scelta dell’Asl 8 non è stata fatta in solitudine: ricalca le indicazioni del piano sanitario. Ma questo probabilmente non basterà a risolvere il rebus saltato fuori dopo l’ultima indiscrezione trapelata dai santuari universitari: l’ateneo ha deliberato il trasferimento della clinica Macciotta in un blocco del policlinico di Monserrato dove verrà allestito un dipartimento materno-infantile (si trasferirà anche l’ostetricia-ginecologia?). Il rischio del doppione è elevato perché anche al Microcitemico c’è un segmento ben sviluppato sulla diagnosi prenatale e non soltanto in questo campo c’è la possibilità che le discipline si intersechino ______________________________________________________ Corriere della Sera 18 mar. ’07 I COSTI DELLA MEDICINA HI-TECK Il commento I conti della Sanità messi sotto pressione anche dall'innovazione Nanoparticelle al posto dei farmaci per bloccare la crescita dei tumori? Forse. E c'è una novità di questi giorni: ricercatori di Santa Barbara in California sono stati capaci di legare ai vasi sanguigni certe nanoparticelle che bloccano la circolazione del sangue dentro il tumore. E hanno fatto in modo che queste particelle si leghino solo ai vasi del tumore, senza danneggiare quelli del tessuto sano. La procedura è molto costosa anche perché l'organismo tende a eliminarle queste particelle, ma i ricercatori hanno trovato il modo di superare anche questa difficoltà. Che si possa vincere il tumore privandolo dell'ossigeno e delle sostanze che lo "nutrono" non è una novità. Farmaci ce ne sono già, ma da soli non bastano, ci vuole 1a chemioterapia. Un giorno 0 l'altro col sistema dei ricercatori di Santa Barbara si potrà guarire i tumori, forse senza chemioterapia. Ma costerà moltissimo. Cosi la cura con le nanoparticelle non sarà per tutti. E per chi allora? La medicina è orinai alta tecnologia, ma costa tantissimo. Ci si deve chiedere chi le potrà usare queste tecniche. Facciamo due esempi. Quando lo hanno fatto vicepresidente degli Stati Uniti. Dick Cheney aveva già avuto tre attacchi di cuore. Poi l'hanno operato alle coronarie. Dopo ha avuto un altro infarto, il cuore glielo hanno riparato di nuovo. Cheney oggi lavora, come sempre. Uno dei miracoli della medicina di oggi, però s'è speso tantissimo. E s'è speso ancora di più per Michael DeBakey, il più grande cardiochirurgo del mondo. L'aorta certe volte si dilata e si può rompere; quando succede si muore, quasi sempre. O meglio si moriva, prima che DeBakey insegnasse a tutti i chirurghi del mondo come ripararla. Un giorno DeBakey ha un dolore violentissimo al petto. L'aorta - la sua questa volta- si sta lacerando, ma non si trova un anestesista disposto ad addormentarlo. Rischio troppo alto, dicono: DeBakey ha 97 anni (e nessuno ha voglia di passare alla storìa per quello che lo ha fatto morire in sala operatoria). Intanto DeBakey si aggrava: o si opera, o DeBakey muore. L'anestesista alla fine si trova. DeBakey dopo la chirurgìa finisce in rianimazione: una macchina che respira per lui, un foro nello stomaco per alimentarlo, la dialisi. Sì va avanti così per settimane. Oggi DeBakey sta bene, lavora come prima, a 98 anni. «Sono felice che l'abbiano fatto» ha detto a proposito dei chirurghi che hanno decisa di operarlo. Quanto è costato ridare la vita a DeBakey? Forse 2 miliardi di vecchie lire, forse di più. Chi può spendere tanto per un uomo di 98 anni? Non il servizio sanitario (dove c'è) e ancora meno le assicurazioni. Un giorno si faranno organi in laboratorio. Ma un rene fatto in laboratorio costerà tantissimo. Sarà per tutti? E se no, per chi? Nessun sistema sanitario può sopportare i costi dell'innovazione in medicina. Novità ce ne sono ogni pochi giorni e certe tecniche oggi si usano proprio perché sono nuove. In vece bisognerebbe sapere se servono e conoscerne fino in fondo i limiti. Però, stabilito che qualcosa serve, e che è meglio di quello che c'era già, dopo dovrebbe essere per tutti. «Certo, perché, se la scienza servisse ad esaltare le differenze fra ricchi e poveri, -e fra chi è assicurato e chi no, allora ci si dovrebbe chiedere se la ricerca medica è davvero per la salute dell'uomo» scrive Daniel Callahan nei suo libro "What price better health?" (Star meglio, a che prezzo?). L'Europa e l'Italia hanno fatto della salute un diritto per tutti, indietro non si tornerà. Allora bisogna cambiare l'organizzazione della sanità, da principio, stabilire delle priorità e tener conto della responsabilità sociale connessa all'innovazione. Queste storie sono forse l'occasione per parlarne_ Farlo servirà a tutti, alla gente, ai medici e ancora di più a chi dovrà decidere nei prossimi anni quanto possiamo spendere per curarci. E a chi si potrà dare che cosa, e con che criterio. Giuseppe Remuzzi L'Europa e l'Italia hanno fatto della salute un diritto per tuttî. Indietro non si tornerà. Bisognerà, tuttavia, stabilire delle priorità e tener conto della responsabilità sociale connessa all’innovazione CARDIOCHIRURGO Michaei de8akey, 98 anni, ha eseguito oltre 60 mila interventi. Un anno fa è stato operato per aneurisma ___________________________________________ l’Unità 19 mar. ’07 UN VIRUS TRA LE CAUSE DEL DIABETE 1 C'è lo zampino di un virus nello sviluppo del diabete di tipo 1. Almeno questo è quello che hanno scoperto, biologi della Novartis Vaccines, dell'Università di Siena e dell'Università di Pisa. Il gruppo di ricerca è riuscito a isolare per la prima volta il virus Coxsackie B4 dal pancreas di pazienti affetti da diabete di tipo 1, confermando una teoria di vent'anni fa, e mai direttamente convalidata, circa il coinvolgimento degli enterovirus nella malattia. Lo studio è pubblicato su Pnas. ______________________________________________________ REPUBBLICA 19 mar. ’07 TANTI MUSCOLI E MOLTO CERVELLO: LO SPORT MIGLIORA L'INTELLIGENZA" Si chiama Ifg-1: aumenta la produzione di sostanze chimiche che "fertilizzano" le cellule nervose Ricerca Usa, ecco la proteina che lega attività fisica e cerebrale MARY CARMICHAEL CHARLES Hillman non ha mai accettato la stereotipo dell'atleta "tonto": atleta egli stesso - gioca regolarmente a hockey- quando non combatte i suo rivali sul ghiaccio, esercita il proprio cervello nei laboratorio di neuroscienze dell'Università dell'Illinois, negli Usa. Dove, tra i suoi studenti, quelli che hanno i voti migliori sono le ragazze della squadra femminile di corsa campestre. Di recente, quindi, ha iniziato a chiedersi se non esisteva un legame tra muscoli e cervello. Coni suoi colleghi Hillman ha messo insieme un gruppo di 259 studenti di terza e quinta elementare, ha misurato il loro indice di massa corporea e li ha sottoposti a prove di valutazione fisica: una corsa seguita da flessioni sulle braccia e addominali. Quindi ha confrontato le loro abilità fisiche e i loro risultati nei test di matematica e di lettura. Ebbene, nel complesso i bambini con il corpo maggiormente in forma erano anche quelli con le doti intellettuali migliori. La conclusione di Hillman è che lo sport può effettivamente migliorare l'intelligenza degli studenti. La settimana scorsa, poi, altri ricercatori erano riusciti a far crescere nuove cellule nervose in un cervello umano, processo ritenuto impossibile, sottoponendo i soggetti analizzati a un regime di esercizi aerobici per tre mesi. E altri studiosi hanno scoperto che l'esercizio fisico intenso può far sì che le più vecchie cellule nervose cerebrali instaurino una rete di interconnessioni molto fitte, che fanno funzionare il cervello molto più velocemente e in modo più efficiente. Tutto ha inizio nei muscoli: se un bicipite o un quadricipite si contrae e si distende, ha luogo una messa in circolo di composti chimici tra i quali una proteina denominata IGF-1 - che, attraverso il sistema circolatorio, arrivano al cervello. Qui l’IGF-1 fa aumentare la produzione di altre sostanze chimiche, tra le quali il Bdnf, o fattore neurotrofico cervello-derivato, considerato il fertilizzante miracoloso del cervello: farebbe funzionare tutte le attività mentali in modo più profondo. Con l'esercizio fisico il corpo accumula quindi alti livelli di Bdnf, che inducono le cellule nervose cerebrali a ramificarsi e a instaurare nuovi collegamenti tra loro. Insomma, i cervelli con più Bdnf avrebbero migliori capacità di apprendere. Amano a mano che si invecchia, i neuroni iniziano lentamente a morire. Fino alla metà degli anni Novanta, gli scienziati credevano che tale perdita fosse definitiva. Ma gli studi condotti sugli animali nell'ultimo decennio hanno invece dimostrato che è possibile indurre un processo di «neurogenesi» in alcune aree del cervello tramite l'esercizio fisico. In realtà, i nuovi neuroni possono crescere sola in alcune zone del cervello, ma anche altre zone possono trarre beneficio dall'esercizio fisico: il volume del sangue aumenta con l'esercizio fisico, gli adulti che praticano esercizio fisico hanno meno infiammazioni nel cervello e anche i livelli di neuro trasmettitori sono maggiori tra chi pratica costantemente l'esercizio fisico. La maggior parte di questi effetti «secondari» si manifesta pressoché immediatamente, mentre invece i1 processo di neurogenesi può richiedere qualche settimana prima di verificarsi. «Scendente da un tapis roulant dopo mezz'ora di esercizio e nell'arco di 48 minuti i1 vostro cervello sarà in forma migliore» conclude Hillman. ©2007, Newsweek ______________________________________________________ Libero 20 mar. ’07 IDENTIFICATO IL GENE CHE PROVOCA LA CALVIZIE MOSCA Mai più calvi. La calvizie potrebbe diventare presto un ricordo del passato. Dopo milioni di dollari spesi inutilmente in tutto il mondo, un biologo russo ha infatti identificato un gene collegato al mancato sviluppo dei capelli. Evgeni Rogayev e il suo team hanno scoperto le mutazioni nel gene che codifica la fosfolipasi, enzima che si trova nei follicoli dei capelli. Per identificare il difetto genetico che si presenta durante l'alopecia e la calvizie i ricercatori hanno effettuato una selezione genetica, estesa a 350 mila individui di diversi gruppi. Hanno selezionato 50 famiglie in cui il gene mutato è stato ereditato di generazione in generazione. È stata usata la tecnica della clonazione di posizione, precedentemente utilizzata per la ricerca di altri geni umani come quelli collegati all'Alzheimer. L'analisi dei campioni del DNA, prelevati dai pazienti e dai loro parenti, ha rivelato che tutti gli individui interessati hanno avuto una mutazione nel gene della fosfolipasi. I risultati hanno permesso agli scienziati di concludere che l'enzima interviene nel processo di sviluppo dei capelli. Il fermento, dunque, può essere la base potenziale per lo sviluppo di cure definitive allo scopo di impedire la perdita dei capelli e per stimolarne il relativo sviluppo. Una scoperta importante, se si considera che secondo l’Istat i130% delle visite dermatologiche riguarda la capigliatura. «Una nostra ricerca», spiega Cesare Maffei (psicologo clinico al San Raffaele di Milano), «dimostra che i176% di chi si fa visitare vive la perdita dei capelli con sofferenza psicologica. Un disagio talora ingigantito, che può portare a depressione, ansia, isolamento, insonnia». La calvizie colpisce l’80% dei maschi entro i 60 anni e il 15% degli adolescenti dai 12 ai 18 anni. Inoltre i capelli si diradano nel 50% delle donne in postmenopausa e nel 35% di quelle in premenopausa. Forse è troppo presto per dire che la calvizie è stata finalmente sconfitta, ma certamente siamo di fronte a una scoperta fondamentale, che getta una base importante per lo sviluppo di future cure. FABIO FLORINDI ______________________________________________________ MF 21 mar. ’07 UNA SPECIALE VERNICE ANTIBATTERICA SULLE PARETI DEGLI OSPEDALI AMERICANI Benessere AI Mit studiato un rivestimento che neutralizza i virus influenzali per molti anni di Galeazzo Santini Un gruppo di ricercatori del Massachusetts institute of technology (Mit), guidato dal professor Alexander Klibanov, ha creato una vernice antimicrobica in grado di distruggere batteri, parassiti e il virus dell'influenza. II primo utilizzo di questo prodotto verrà effettuato negli ospedali attraverso il rivestimento di pareti, soffitti e pavimenti. In questo modo, ha dichiarato Klibanov, sarà finalmente possibile lottare efficacemente contro il flagello costituito dalla cosiddetta malattia degli ospedali. La, commercializzazione di questa vernice dovrebbe avvenire nel giro di due o tre anni, una volta completate le procedure di omologazione e la messa a punto del processo di produzione. Questo rivestimento è costituito da polimeri molto particolari che possiedono minuscole punte aguzze estremamente piccole (della misura inferiore a un micron) in grado di perforare le membrane dei batteri e il rivestimento del virus dell'influenza. I numerosi test già compiuti hanno dimostrato che la presenza del virus si riduce nella proporzione di 10 mila a uno sulle superfici rivestite da questa vernice. Risultati simili sono stati ottenuti con i batteri Escherichi a coli, in cui fonti di stafilococchi possono resistere agli antibiotici. Uno dei vantaggi di questo nuovo prodotto è che, a differenza di quanto accade con gli antibiotici tradizionali, i batteri non sono in grado di sviluppare efficaci forme di resistenza. Inoltre, è molto difficile che questi organismi possano trasformarsi evolvendo in modo da rendere impossibile alle punte aguzze dei polimeri di spezzare le loro membrane. Per testare un'eventuale resistenza, i ricercatori del Mit hanno depositato i batteri su una superficie rivestita di vernice e hanno riscontrato la distruzione del 99% di questi batteri. I pochi sopravvissuti sono stati nuovamente depositati su una superficie trattata per 12 volte di seguito e il risultato è stato ottimo. Secondo gli scienziati questa vernice mantiene intatte le sue proprietà antibatteriche per numerosi anni. ______________________________________________________ Il Sole24Ore 22 mar. ’07 ASPETTANDO IL VACCINO ARRIVA IL GEL ANTI-HIV Allo studio preparati che potrebbero costituire una barriera al contagio n attesa di un vaccino preventivo, che appare ancora molto lontano, l'Europa si mobilita per individuare nuove strategie in grado di impedire che il virus Hiv si trasmetta durante il rapporto sessuale. Con l'obiettivo di eliminare il rischio di contagio per le donne, visto che questa via di trasmissione appare particolarmente temi bile per il gentil sesso. Lo fa attraverso il Consorzio Empro (European microUicides project), nato nel 2,004 e destinato a lavorare almeno fino al 2oog, che riunisce trenta istituzioni universitarie, centri di ricerca e piccole aziende di tutto il vecchio continente. Sotto la lente di ingrandimento degli esperti, riuniti nei giorni scorsi in un workshop a Camogli, ci sono i "microbicidi". Ovvero una serie di sostanze che, applicate direttamente all'interno della vagina sotto forma di gel, potrebbero "sbarrare" la porta delle cellule al virus, impedendone così l'attecchimento. «Attualmente abbiamo diversi peptidi (cioè piccole posizioni di proteine, ndr) e anticorpi che potrebbero prevenire l'entrata del virus Hiv nelle cellule - spiega Charles Kelly, coordinatore di Empro e docente al King's College University di Londra- In particolare stanno per partire i primi studi clinici mirati a valutare la sicurezza e la tollerabilità di una preparazione messa a punto da Polyimun di Vienna contenente tre specifici anticorpi. Nel Regno Unito porteremo avanti la prima fase della ricerca». Gli studi, attualmente in fase iniziale, mirano innanzitutto a valutare la sicurezza e 1a tollerabilità di questo "cocktail" di proteine. È previsto il reclutamento di 4 G donne che verranno divise in tre gruppi: nel primo verrà somministrato placebo, nel secondo la miscela di anticorpi a basse dosi e nel terzo la terapia a dosaggio elevato. Gli anticorpi vengono preparati a partire dal sangue di soggetti sieropositivi: da lì si estraggono i linfociti B, cellule del sistema immunitario, che vengono selezionati e "ricombinati" con linee cellulari per essere poi utilizzati. Questo approccio, che ha dato incoraggianti Pericoloso. II virus dell’ Hiv risultati anche in piccole popolazioni di sieropositivi che avevano sospeso la classica terapia antiretrovirale consentendo un controllo della carica virale, cioè della quantità di virus circolante, non è però l'unico. Anche in Italia diversi ricercatori fanno parte del consorzio Empro, e stanno seguendo strade diverse per giungere alla messa a punto di microbicidi efficaci nella prevenzione. «Il nostro gruppo sta concentrando il proprio lavoro su specifiche molecole zuccherine, definite tecnicamente derivati del polisaccaride K5-fa sapere Elisa Vicenzi, capo Unità patogeni virali e Uio sicurezza della Fondazione Centro San Raffaele Monte TaUar di Milano-. Siamo nella fase di verifica della tossicità di questo potenziale trattamento preventivo». Ma sempre al San Raffaele l'équipe condotta da Paolo Lusso sta studiando sperimentalmente l'attività di peptidi derivati da un inibitore endogeno della trasmissione virale, per ottenere molecole in grado di bloccare il virus senza scatenare una reazione infiammatoria. Infine, oltre all'Istituto superiore di Sanità, lavora nell'ambito di Empro anche l'Università di Siena. In questo caso si punta a ingegnerizzare batteri normalmente presenti nella flora vaginale per renderli in grado di inibire l'accesso del virus Hiv alle cellule. FEDERICO MERETA ______________________________________________________ Il Sole24Ore 22 mar. ’07 SCHEDATI CON I SUONI L'impronta sonica identifica le statue come un codice a barre DI LUDOVICA MANUSARDI CARLESI D alla geofisica al patrimonio artistico per ottenere una specie di esame del Dna delle opere d'arte. Un collegamento impensabile eppure un'idea geniale per impedire o almeno rallentare sensibilmente il furto, la contraffazione, la produzione di falsi e cloni non autorizzati. Alcuni ricercatori del Gruppo nazionale di Geofisica della Terra del Cnr ci sono riusciti. La soluzione consiste nella messa a punto di un codice a barre del tutto simile a quello già usato per articoli diversi. Si tratta dell'applicazione di una tecnica di microgeofisica ad alta risoluzione, in particolare della tomografia sonica. A ogni bene artistico rigido viene associato un codice ricavato dall'impronta sonica, un marchio che identifica l'oggetto così come le impronte digitali identificano ogni individuo. La procedura non è complicata, come spiega Pietro Cosentino, ordinario di Geofisica all'Università di Palermo. «Il principio consiste nel sottoporre il manufatto da codificare, che deve essere però rigido - quindi una scultura, una statua, un vaso in ceramica o vetro o metallo-, a opportune sollecitazioni meccaniche fino ad arrivare a una situazione di risonanza che dipende dalle caratteristiche meccaniche dell'oggetto stimolato. Il rilievo delle vibrazioni, cioè lo spettro di frequenze che viene emesso dall'esemplare, può essere facilmente rappresentato in un grafico del tutto simile a un codice a barre. E il gioco è fatto. La tecnica, realizzata con sensori opportuni (trasduttori piezoelettrici), non è invasiva; l'apparecchiatura necessaria è,poco costosa (intorno ai 22mila euro); l'acquisizione dei dati sperimentali e la loro successiva elaborazione è rapida, da tre a sei ore in tutto. Tra i pregi di questo sistema il fatto che l'impronta è rappresentativa dell'intero oggetto e non di una sua piccola parte e inoltre dipende sia dalla geometria che dal materiale costitutivo (caratteristiche di elasticità e densità), nonché dagli eventuali "difetti" dell'opera stessa, praticamente inimitabili. Lo strumento per il rilievo, in fase di brevettazione, è molto simile a un sismografo multicanale munito di una serie di sensori che catturano le vibrazioni in diversi punti del manufatto. A breve, l'impronta sonica potrebbe costituire la base della scheda tecnica dei pezzi in pietra, legno, metallo custoditi nei musei, e anzi potrebbe essere rilevata con frequenza triennale o decennale a seconda del manufatto da tecnici presenti nei musei stessi opportunamente addestrati con brevi corsi specifici. Questo particolare sistema di rilevamento è già stato sperimentato con successo, in collaborazione con il Centro del restauro della Regione Sicilia, su alcune opere significative conservate nel terrìtorio. ______________________________________________________ REPUBBLICA 22 mar. ’07 TUMORE AL POLMONE: TAC INUTILI PER CHI FUMA? UNO STUDIO A 5 ANNI CONCLUDE CHE I CONTROLLI NON DANNO VANTAGGI. Ottimista invece Giulia VERONESI di Giuseppe Del Bello Una Tac spirale all'anno sui fumatori non riduce la mortalità da tumore al polmone. È la conclusione di uno studio condotto da Peter Bach del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York insieme alla Mayo Clinic del Minnesota, al Moffit Cancer Center della Florida e all'Istituto dei Tumori di Milano, pubblicato di recente su Jama. Dal 19988 al 2004, un gruppo di 3.246 fumatori dell'età media di 6o anni e asintomatica, sono stati tenuti sotto controllo con la Tac spirale. Le diagnosi precoci di tumori polmonari, seguite da asportazione, però non hanno influito sulla sopravvivenza. Alla fine dei circa sette anni dello studio, tra i partecipanti allo screening si sono contati 38 morti contro i 39 previsti in un campione identico, ma non sottoposto a controllo Tac periodico. Lo studio serve anche a valutare il rischio-radiazioni connesso all'utilizzo della tomografia. «L'identificazione precoce», osserva Bach, «non giova alla sopravvivenza. Sottopone i pazienti a trattamenti invasivi e, con molta probabilità, inutili e rischiosi». I volontari arruolati per lo screening nei tre centri (due americani e l'Istituto dei Tumori milanese) sono stati sottoposti, dopo l'esame iniziale, ad una Tac ogni anno successivo. Alla fine, dall'analisi congiunta dei tre gruppi di fumatori e dal loro confronto col modello statistico in assenza di screening> è emerso che una Tac annuale consente di diagnosticare un numero di tumori tre volte maggiore. Di conseguenza, anche le resezioni chirurgiche sono risultate di più, in media di dieci volte. «Questo studio si basa sulla proiezione di alcuni dati e sui risultati di una ricerca ancora più vecchia», commenta Giulia Veronesi, vicedirettore della Chirurgia Toracica all'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, coordinatrice di una ricerca simile ma di minore durata, «per noi invece lo screening funziona perché permette di scoprire tumori in fase iniziale e lo sanno tutti che quando questi sono curati precocemente, aumentano le probabilità di guarigione». Ugo Pastorino, direttore della Chirurgia Toracica all'Istituto dei Tumori milanese e coordinatore del gruppo italiano delle ricerca americana, non è d'accordo: «E' vero, gli studi pilota su forti fumatori hanno dimostrato che la Tac spirale può rivelare un tumore polmonare allo stadio i, quello iniziale. Ma, anche se la sopravvivenza dei pazienti operati è molto più lunga, la frequenza di tumori colti in stadio precoce precipita drammaticamente dopo il secondo anno e, a cinque anni, la mortalità osservata è sovrapponibile». Il paradosso lo spiega uno dei maggiori esperti sul tema, il primario di Anatomia patologica dell'ospedale di Vicenza Emanuele d'Amore, «L'aumentata sopravvivenza che segue a una diagnosi precoce non è detto che sia un reale allungamento della vita del paziente. Soprattutto se si tratta di tumori, come il polmonare, che fanno subito metastasi, le dimensioni al momento dell'asportazione non sono l'elemento determinante per la sopravvivenza». Altri studi infine, hanno rilevato un alto numero di falsi positivi, soggetti in cui è stato scoperto un tumore polmonare non confermato da ulteriori indagini o dall'intervento chirurgico. QUELLE "FOTOGRAFIE" EL NOSTRO INTERNO Tomografia La Tac o Tomografia Assiale Computerizzata è una metodica ad alta tecnologia diagnostica per immagini che sfrutta i raggi X. I primi modelli risalgono all'ìnizio degli anni 70. La Tac ricostruisce il corpo umano in sezioni dalla testa ai piedi. II paziente sta fermo su un lettino che si muove orizzontalmente mentre la sorgente di raggi X ruota attorno a lui. La macchina a spirale multistrato acquisisce contemporaneamente 16 sezioni (quelle di ultima generazione fino a 64 slides) del corpo per ogni rotazione del tubo radiogeno, che dura mezzo secondo. In questo modo si accorciano moltissimo ì tempi: una Tac del torace o dell'addome dura meno di 15 secondi. I vantaggi: immagini più precise e in tre dimensioni. A seconda del tipo di indagine può essere necessario iniettare nella vene del paziente un mezzo di contrasto. In questo caso sono necessari prima degli esami clinici ed alcune accortezze per tenere sotto controllo il rischio di reazioni allergiche.(giuseppe del bello) ______________________________________________________ Il Sole24Ore 22 mar. ’07 LA TV SI FA SPAZIO IN CORSIA E LO SPOT FINANZIA LA, RICERCA Lo schermo diventa nero e subito dopo segue un jingle. Introduce il classico break pubblicitario. Ma attenzione. Gli spot vengono anticipati da alcuni title. Sembra pubblicità e invece è ricerca scientifica. La pubblicità al San Raffaele finanzia la ricerca. Se vi trovate di fronte a un messaggio del genere state vedendo Tv Raf, televisione interna dell'ospedale milanese San Raffaele, che da giugno 20 04 irradia un palinsesto tematico rivolto ai dipendenti interni e agli utenti esterni. Con Tv Raf la creatività digitale trova spazio in corsia. E così fare tv, anche con pubblicità, diventa servizio sociale. La tv dell'ospedale. Una tv che ha in dotazione sei monitor al plasma da cinquanta pollici, sparsi per l'istituto. Viene vista in accettazione centrale, una sala con quaranta sportelli, da cui passano tutte le persone che devono sostenere una prestazione sanitaria. Una tv che però sì differenzia rispetto a quella propriamente conosciuta. Mutua dalla generalista l'idea di flusso con un palinsesto di un'ora e mezza proposto in loop, ma lo fa adattandosi al target, focalizzando i contenuti per l'utenza specifica. Centratura degli interessi dei pubblici, in questo caso del personale medico, paramedico, impiegatizio, infermieristico e di ricerca del San Raffaele. In tutto circa 4mila dipendenti. E poi dei fruitori dei servizi sanitari dell'istituto. «Da noi transitano in media 25mila utenti al giorno e nove milioni l'anno», dice Luca Isotti, responsabile promozione eproget6 speciali del San Raffaele. Tv Raf riprende dalla generalista il rito del break, ma lo reinterpreta. Ogni dieci minuti quattro réclame ripetute durante il giorno. Ma stavolta l'intento è nobile. E i top spender -come Unilever, Galbusera, Kraft o farmaceutiche come Bayer-investono. Anche perché il canale ha un grosso impatto visivo e commerciale: «Chi vede gli spot sono le stesse persone che la sera a casa Un servizio informativo per gli utenti dell'ospedale. E per medici e personale guardano la televisione», precisa Isotti. E poi la capacità mnemonica, l’imprimatur del ricordo tanto caro ai pubblicitari, è altissima. Lo testimonia una ricerca commissionata all'Istituto Lorien Consulting: «Il go% degli utenti dell'ospedale intervistati gradisce pubblicità in Tv Rafperchéla ritiene utile perla ricerca. E il ricordo spontaneo di marche e prodotti è attestato al q7%», continua Isotti. II giovane team di Smart tv è il service esterno di Tv Raf. Smart Tv cura anche progettazione e installazione. I contenuti sono realizzati da una decina di videomaker che girano con troupe al seguito. La tv propone contenuti di prevalenza mass-market, con un taglio medico. Intrattenimento, previsioni, ricette, documentari. E poi servizio di pubblica utilità, come le informazioni Target per lo spot. Ogni giorno al San Raffaele transitano z5mila utenti, novemilioni l'anno sulle code in accettazione e sulla chiamata numerica. «Una parte del palinsesto è costituita da comunicazioni all'utenza. In questo momento ci sono difficoltà per ì parcheggi perché c'è un cantiere. Abbiamo perciò realizzato un filmato in cui ci scusiamo per i disguidi. O ancora, Tv Raf ha realizzato un filmato che informa l'utenza che dal i gennaio la nuova Finanziaria ha predisposto un ticket di io euro», racconta Isotti: Informazioni su più livelli di lettura visivi, sfruttando la multifinestra tipica dei canali all-news. «Facciamo videonews o interviste speciali. Realizziamo le pillole della salute con consigli pratici», racconta Mauro Carini, di Smart Tv. Modello fastnews, adattato a una fruizione rapida. «Produciamo clip di 45 secondi in cui intervistiamo l'ortopedico oppure l'otorino, Diamo suggerimenti utili: Tra poco inizia il periodo delle allergie e così la troupe esce per raccontare il fenomeno». GIAMPAOLO COLLETTI www.sanraffaele.org ______________________________________________________ Repubblica 23 mar. ’07 PROSTATA, FUNZIONA IL VACCINO ANTICANCRO Mi1ano,ma la strada è ancora lunga LAURA ASNAGHI MILANO - Si può convivere con il cancro della prostata, bloccando la malattia con un vaccino? È questa la sfida ambiziosa lanciata da un gruppo di ricercatori dell'Istituto dei tumori di Milano, guidati da Riccardo Valdagni, oncologo radioterapista, da anni impegnato nello studio delle neoplasia della prostata. Un anno e mezzo fa, è iniziata una sperimentazione, unica a livello mondiale, basata sull'uso di un vaccino terapeutico, in grado di stimolare le difese del sistema immunitario e uccidere le cellule tumorali. A questa cura sono stati sottoposti sedici pazienti provenienti da tutta Italia e i risultati sono stati molto promettenti. Nell'80 per cento dei casi il sistema immunitario ha risposto al vaccino e la malattia ha dato segni di rallentamento. Ciò significa che il vaccino messo a punto dai ricercatori milanesi sembra essere efficace. La ricerca ora continua e entro l'anno saranno selezionati altri 14 malati. Il vaccino agisce grazie a una azione di stimolo nei confronti dei linfociti T che "vedono" 1a cellula tumorale e la colpiscono. «I linfociti T sono dei potenti agenti anti-tumorali – spiega Valdagni – ma nelle persone colpite da tumore alla prostata i linfociti T sono pochi e noi, grazie al vaccino, li potenziamo in modo tale da favorire una risposta del sistema immunitario». Un soluzione questa che ha dato risultati incoraggianti. «La strada da percorre è ancora lunga -ammette Valdagni però ci sembra di aver scelto la direzione giusta». Ma come nasce questa sperimentazione che apre nuovi orizzonti in campo medico? «Il tumore alla prostata è, dopo quello al polmone, uno dei "bigkiller" dell'uomo-spiega 1, oncologo - ogni anno si registrano 43 mila nuovi casi con 9 mila decessi e, in tutta Italia, il problema interessa 178 mila pazienti. Questo tipo di tumore se preso per tempo e se non è molto aggressivo, ha un tasso di guarigione del 90 per cento. Ma il problema che ora stiamo affrontando riguarda quel 30-40 per cento di malati, già trattati con interventi chirurgici o radioterapia, che, dopo una decina d' anni, si ritrova a combattere di nuovo con il tumore». Una recrudescenza della malattia segnalata dall'innalzamento del Psa, una proteina del sangue che segnala la presenza del tumore. Quali armi usare nel curarli? Per loro attualmente esiste l'ormonoterapia, che consiste nel bloccare l'ormone maschile che fa da "carburante" al tumore. Ma, a lungo andare, i pazienti sviluppano una resistenza a questi farmaci e poi non resta che la chemioterapia. Per invertire questa tendenza, i ricercatori milanesi hanno deciso di percorrere una strada nuova che è quella dell'immunoterapia. I fondi della sperimentazione sono privati (il mecenate è Tullio Monzino) e con Valdagni, lavorano Licia Rivoitini, immunologa, e Andrea Marrari, specializzando in oncologia. «Il vaccino lo abbiamo "disegnato" in casa-ricorda Licia Rivoltini-e questo ci permette una maggior libertà d'azione». La sperimentazione non è fatta su malati terminali, ma pazienti che possono rispondere meglio al trattamento perché la loro malattiaè all'inizio. II ciclo di cura dura sei mesi e non ci sono effetti collaterali. La sperimentazione, unica al mondo, avviata un anno e mezzo fa su 16 pazienti In $ casi su 10 il sistema immunitario ha risposto e la malattia ha dato segni di rallentamento LA SPERIMENTAZIONE I test sono in corso da un anno e mezzo e i casi trattati finora sono 16. Nell'80% dei casi il vaccino ha dimostrato di essere efficace IL VACCINO II vaccino terapeutico contro il tumore della prostata stimola i linfociti T che "vedono" la cellula cancerogena e la colpiscono FONDI PRIVATI La sperimentazione che prevede, entro l'anno, il trattamento di altri 14 casi, è finanziata con i fondi privati di un mecenate milanese ______________________________________________________ L’espresso 29 mar. ’07 È BOOM DEGLI ESAMI GENETICI È boom degli esami che attraverso la genetica ci dicono a quali malattie siamo predisposti. Utili? Attendibili? Ecco come e quando sono necessari Se ne fanno 800 mila l'anno. Circa 300 sono i laboratori autorizzati. Ma il 42 per cento è inaffidabile Ottocentomila l'anno. Con un trend in crescita al ritmo di 5 mila in più all'anno. Tanti, stimano i genetisti, sono i test genetici effettuati ogni anno in Italia. N1igliaia di mamme che vogliono sapere cosa c'è scritto nei geni del bimbo che portano in pancia, circa la metà delle indagini effettuate, e migliaia di italiani sani che decidono di sapere se nel proprio genoma ci sono le tracce di una predisposizione a qualche grave patologia. Come ha farro, con grande clamore, il genetista miliardario Craig Venter, l'uomo che hattè tutti nella corsa a decodificare il genoma umano e che, qualche settimana fa, ha annunciato di aver visto nei suoi geni la predisposizione all'alcolismo, all'ipertensione, ad alcuni tipi di tumore, alla demenza e ad altro ancora. È un boom, un business miliardario se si pensa che ciascun test può costare migliaia di euro. La curiosità divora gli italiani: che malattia mi verrà? E la genetica promette di rivelarlo come una sibilla del III millennio. Ma, ha senso tutto ciò? Ci serve di sapere cosa c'è scritto nel nostro genoma? O meglio: serve a tutti? Oppure, l'opportunità di effettuare un test genetico dipende dalle storie cliniche individuali? E in questo caso, chi ci consiglia il da farsi? Poi, soprattutto: c'è da fidarsi? Insomma: ha senso compiere tutti questi accertamenti quando, nella stragrande maggioranza dei casi, l'informazione ottenuta è di tipo probabilistico oppure non ha un riscontro terapeutico? Come e da chi vengono eseguiti gli esami? Dal punto di vista dell'attendibilità e della sicurezza la situazione è tutt’altro che rosea: la Società italiana di genetica umana nel 2002 ha censito le strutture pubbliche e private che fanno test generici sul territorio nazionale. Ha inviato un questionario a cui i laboratori hanno spontaneamente risposto, e, rileggendo oggi i dati, ha scoperto che ben il 42 per cento delle 256 strutture censite non rispetta le linee guida della Conferenza Stato-Regioni che nel 3004 ha fissato i paletti minimi per l'esecuzione dei test: per esempio, il 44 per cento del personale di questi centri non ha una laurea. Oltre a ciò si registra una forte disomogeneità tra le aree del paese, con una concentrazione al Nord di circa la metà dei centri esistenti, e vaste aree del Sud dove non è presente neppure un laboratorio. Variabili, poi, anche i costi, per lo più non coperti dal Servizio sanitario nazionale, tranne nel caso dei test prenatali e di parte di quelli usati in oncologia: si va dalle poche centinaia di curo per un test di paternità agli oltre 3 mila per quello sulla presenza del gene che aumenta il rischio di cancro al seno, il famoso Brca (1 e 2). Ma il nocciolo della questione è: mi serve sapere cosa c'è scritto nel mio genoma? Dipende, rispondono i genetisti. II rischio cardiovascolare di ciascuno dipende, al 26 per cento, da fattori genetici; le variazioni di '38 dei principali parametri misurabili nel sangue hanno al 40 per cento cause genetiche, così come il i 1 per cento delle misure antropometriche e il 25 per cento delle 20 principali funzioni cardiovascolari, nonché il 19 per cento dei 35 tratti di personalità. Insomma, il Dna ci racconta un bel po' di cose. O no? Di fatto, quel 26 per cento di rischio cardiovascolare diventa otto se si considerano le persone con meno di 42 anni, e variazioni di diversa entità si registrano in molti altri parametri nei quali vengono fuori le influenze dell'ambiente, dell'età, dello stato di salute, di quello delle proprie finanze, di ciò che si è studiato, del luogo in cui si vive e così via. Queste sono alcune delle prime importanti risposte (e domande) scaturite dal Progetto Progenia, un grande studio nato dalla collaborazione tra il National Institute of Aging statunitense e l'Università di Cagliari che, a cinque anni dall'inizio dei lavori, ha reso pubblici i risultati conseguiti in un articolo pubblicato sulla rivista "PLoS". Uno studio imponente, perché passa al setaccio la vita e i geni di 6.148 cittadini di sei paesini dell'Ogliastra attorno a Lanusei di età compresa tra i 14 e i 102 anni, cioè di un gruppo etnico estremamente omogeneo (una famiglia annovera 600 membri e il 95 per cento dei partecipanti ha tutti e quattro i nonni originari della zona), misurandone ben 98 diversi indicatori di salute, molti dei quali genetici. Dallo studio sardo i medici si aspettano una fotografia a 180 gradi. Ma da anni i genetisti accumulano dati sui singoli geni e i profili di rischio che disegnerebbero (vedi box a pag. 174). E i medici si interrogano sull'opportunità di fare i test. Da qualche anno si sa, ad esempio, che la presenza di un gene (chiamato Gstml ) è associata a un rischio maggiore di tumore polmonare: il test è stato quindi indicato come possibile strumento per aiutare chi vuole smettere di fumare, perché potrebbe spaventare quel tanto che basta chi reca la mutazione, e farne al tempo stesso oggetto di più intense terapie antifumo, per esempio a base di nicotina. Eppure la rivista "Jama", organo ufficiale dei medici statunitensi, ha appena pubblicato tiri articolo a firma Chris Carlsten e Wvlie Burke dell'Università di Washington nel quale si dimostra che non ci sono prove che la paura destata dalla consapevolezza dello stato del gene sia sufficiente a modificare i comportamenti e che anzi, l'ansia generata dalla notizia potrebbe avere effetti nefasti sulla salute o, peggio ancora, indurre al fatalismo e quindi togliere qualunque motivazione a smettere di fumare. E ancora: le donne che hanno un tumore al seno vengono ormai testate di routine per verificare l'aspetto genetico della malattia; tra gli esami consigliati c'è quello per la presenza di un gene chiamato Her2 perché, in caso esso sia presente, si può ricorrere a una cura specifica basata su un anticorpo monoclonale chiamato Herceptin. Un responso positivo segna in genere l'ingresso in un percorso di cura che costa da 40 a 100 mila euro all'anno e che comporta anche, come tutte le terapie, effetti collaterali. I test attuali (ve ne sono diversi in commercio), tuttavia, hanno un alto margine di errore, che può arrivare fino al 25 per cento. II che significa che una donna su quattro verrà trattata senza trarne beneficio, costando inutilmente alla comunità parecchio denaro, mentre la malattia fa il suo corso. A che cosa servono dunque i test genetici? Chi deve sottoporvisi e in che modo? Risponde Elisa Calzolari, direttrice dell'Unità di Genetica Medica dell'Università di Ferrara e referente del settore sanità della la Società italiana di genetica umana: «Innanzitutto bisogna distinguere tra i vari tipi di test. Ci sono infatti esami come quelli prenatali che identificano una mutazione o un difetto dei cromosomi collegati a una malattia specifica. Si pensi, per esempio, alla talassemia o alla sindrome dì Down: gli esami in genere sono richiesti dai genitori per verificare lo stato di salute del nascituro o da membri di famiglie nelle quali si sono manifestate certe patologie». Questi test sono stati i primi introdotti e oggi vantano una buona affidabilità perché riguardano le malattie genetiche propriamente dette, cioè quelle causate da una sola alterazione, anche se in molti casi la scoperta del gene corrisponde solo a un aumento di rischio e non a una certezza assoluta dello sviluppo della malattia. Inoltre la consulenza medica che sempre deve accompagnare l'esecuzione dell'esame in questo campo è oggi abbastanza consolidata. La maggior parte dei genitori delle classi sociali più colte e consapevoli oggi sceglie questi test anche con la drammatica previsione di dover scegliere se portare o meno avanti la gravidanza in presenza di un'anomalia grave. Poi, però, ci sono indagini che per definizione forniscono solo un'indicazione di probabilità, ma in nessun caso danno un responso certo: la predisposizione all'alcolismo, all'infarto, al tumore, alla demenza. «A questo tipo appartengono i test pubblicizzati e talvolta disponibili in rete che destano grande preoccupazione nella comunità scientifica», continua Calzolari: Anfatti, per la maggior parte delle patologie la componente genetica è soltanto uno degli elementi che possono causare la malattia, e avere un corredo genetico che può predisporre non significa affatto andare incontro a quel disturbo. Inoltre, spesso non ci sono soluzioni da offrire a una persona che viene etichettata come "a rischio". Così può accadere che l'accessibilità dei test in assenza di un adeguato supporto medico e psicologico espone chi vi si sottopone, magari a casa sua, a grandi rischi psicologici». Sottoporsi a un tesi genetico può dunque voler dire molte cose, compreso esporsi a una roulette russa psicologica. Quello che si può fare per contenere i rischi, consigliano i tecnici, è affidarsi a mani esperte fino dal primo momento e per tutto il percorso che si intende compiere. Il settore infatti, è estremamente giovane, e sconta ancora l'anarchia nel quale è nato, amplificata da Internet e dall'assenza di controlli. Negli ultimi anni, visti anche i numeri, si è finalmente iniziato a pensare a una regolamentazione a livello europeo e nazionale. La Conferenza Stato-Regioni nel 2004 ha delineato le caratteristiche dei laboratori e dei servizi di genetica medica e stabilito la necessità di creare una rete in ogni regione, con specializzazioni definite e con un coordinamento unico. La Commissione europea, dal canto suo, ha stilato un documento che riassume in 25 raccomandazioni, tutti gli aspetti dell'analisi del Dna, dalle definizioni alla consulenza psicologica generica da effettuare prima e dopo l'esame, dal consenso informato a tutte le questioni di tutela della privacy; di protezione dalle discriminazioni, conseguenze legali, culturali ed economiche, dalla conservazione dei campioni nel tempo agli sviluppi della ricerca e molto altro. Da entrambi si possono dedurre alcuni punti irrinunciabili, sottolineati da Calzolari: «Innanzitutto la richiesta di un esame genetico andrebbe fatta da un medico che si chiede: questo esame è sufficientemente consolidato da poter essere trasferito nella pratica medica con conseguenze positive pei questo paziente? Un secondo punto è la collaborazione tra il clinico e il laboratorio che esegue le analisi: solo con una stretta sinergia è possibile avere un responso affidabile e comunicarlo in modo adeguato. Poi è indispensabile un servizio di consulenza, che fornisca al paziente tutte le informazioni necessarie a prendere le decisioni del caso. Quindi si deve sempre compiere un'analisi dei costi. Infine, è indispensabile migliorare la formazione degli specialisti e l'informazione al pubblico». ______________________________________________________ Il Faracista 16 mar. ’07 FARMACI: SE L'INFORMAZIONE È OSCURA Foglietti illustrativi difficili da leggere e da comprendere: lo rivela uno studio dell’'Università di Pisa Bugiardi€ni illeggibili e troppo "medichese" negli studi i specialisti e medici di fa miglia: i pazienti italiani si scontrano con le difficoltà di comprensione di un linguaggio sempre più da addetti ai lavori, nonostante gli appelli a una maggiore chiarezza. Un software realizzato dall'Istituto di linguistica computazionale del Cnr di Pisa che permette di valutare la leggibilità dei foglietti illustrativi dei medicinali ha dato dei risultati preoccupanti: i foglietti illustrativi di quindici farmaci da banco messi sotto esame hanno mostrato un grado di leggibilità estremamente basso, con giudizi che vanno da "testo difficile" a testo "molto difficile", con elevati ostacoli alla comprensione anche per gli utenti di scolarità media. In pratica; riferiscono i ricercatori pisani, un lettore con un diploma di scuola media inferiore non ha snolte speranze di venirne a capo, mentre qualche possibilità di comprensione, anche se con un po' dì fatica, ce l'ha chi possiede una cultura almeno ficcale. "11 problema della comprensibililà delle istruzioni per i farmaci - spiega Annalaura Carducci, docente di Igiene alla facoltà di Scienze dell'Università di Pisa - non è stato ancora affrontato efficacemente. Esiste una linea guida dell'Agenzia italiana del farmaco ma purtroppo l’applicazione è ancora in ritardo, mentre in altri Paesi, Stati Uniti per primi, le istruzioni dei farmaci sono molto più comprensibili". I ricercatori e i docenti dell'ateneo pisano propongono pertanto di promuovere un'azione di alfabetizzazione sanitaria della popolazione. "Utenti e pazienti- osserva Andrea Calamusa, coordinatore del Master in comunicazione biosanitaria promosso negli ultimi quattro anni dall'Università di Pisa - hanno bisogno di capire di più î messaggi che li circondano in un mondo - quello sanitario - sempre più dedicato agli addetti ai lavori. Allo stesso tempo e indispensabile tradurre al meglio termini gergali e anche evitare anglicismi nelle spiegazioni dei farmaci. che servono solo a confondere le idee". "Nonostante il nome, i bugiardini sono infatti veritieri nelle informazioni che riportano ma talvolta approssimativi nelle delucidazioni pratiche: - denuncia Luca Serianni, ordinario dì Storia della lingua italiana a La Sapienza di Roma - le informazioni davvero importanti, come controindicazioni e precauzioni d'uso, vengano distribuite in diversi paragrafi e poi c'è un uso troppo esteso di tecnicismi". L’impostazione grafica; poi, è poco accattivante, i caratteri di stampa troppo piccoli, specie se il paziente è anziano, mentre 1e avvertenze principali non hanno il dovuta risalto né fanno sufficiente chiarezza stai rischi e sugli effetti indesiderati del farmaco. Per questo si dovrà pensare in futuro di renderli più comprensibili, dotandoli di un linguaggio elementare e più sintetico o, eventualmente; di un glossario che spieghi i termini più difficili. Da non trasc-urare, infine, un problema che va al di là dei bugiardini quello della comprensione delle informazioni mediche. Tanto nelle università partono già i primi corsi per formare i nuovi medici alla chiarezza. _______________________________________________ Avvenire 21 mar. ’07 ALZHEIMER: OGNI ANNO OTTANTAMILA NUOVI CASI Mezzo milione i malati in Italia Troppe famiglie sole in prima linea La rete familiare è tuttora fondamentale per la cura dei malati di Alzheimer, che superano già il mezzo milione nel nostro Paese - mentre si stima che ogni anno i nuovi casi siano almeno 80mila - e che, purtroppo, sono sicuramente destinati ad aumentare con l'invecchiamento della popolazione. Famiglie in prima linea, dunque, come sempre. E servizio pubblico interpellato con urgenza a venire in aiuto, per garantire che il sistema di assistenza non collassi. È questo il dato fondamentale che emerge dalla ricerca "I costi sociali ed economici dell'Alzheimer", curata dal Censis in collaborazione con l'Associazione italiana malattia di Alzheimer, che è stata presentata ieri per fare il punto sulla situazione a distanza di sei anni dall'ultima indagine sull'argomento. Il quadro tracciato dallo studio attuale registra una quadro complesso, e tuttavia con qualche miglioramento. In particolare, si segnala il positivo impatto delle Unità di valutazione dell'Alzheimer, frequentate dal 66,8% dei pazienti affetti da questa patologia, che comunque viene in media diagnosticata con 2,5 anni di ritardo. C'è, poi, un cambiamento relativo all'accesso alle terapie farmacologiche specifiche, con un significativo spostamento del carico economico, che permette al 94,2% dei pazienti che vi ricorrono di ottenere gratuitamente le medicine. Importante, rispetto a sei anni fa, anche l'aumentato ricorso alle badanti, soprattutto straniere, che vengono stimate in «almeno 800 mila» e vengono utilizzate dal 40,9% delle famiglie alle prese col problema Alzheimer. Ma, nonostante la presenza di questi aiuti, il carico assistenziale sopportato dai "caregiver" è di almeno sei ore al giorno di assistenza e sette di sorveglianza. Insomma, l'Alzheimer è talmente coinvolgente che diventa quasi una malattia "familiare", con disagi cioè per tutti i componenti e causa spesso di impoverimento, perdita di lavoro e isolamento per chi accudisce, tanto che il 20% dei familiari dei pazienti prende a sua volta farmaci di sostegno. I costi sociali della malattia, suddivisi in costi diretti (gli esborsi monetali compiuti per l'acquisto di servizi e prestazioni) e indiretti (la perdita di risorse per la collettività) risultano pari in media a oltre 60mila euro all'anno per paziente. Ed è proprio a partire da questo dato che l'Associazione lancia la sua nchiesta di aiuto alle istituzioni. Ma che cosa si può fare secondo il Censis, per compiere un salto di qualità nei servizi? Prima di tutto, è necessario attivare una rete di assistenza che possa garantire al paziente una «domiciliarità efficace». E subito dopo bisogna rendere più omogenea l'assistenza domiciliare che varia da zona a zona, con carenze più forti al sud e nelle isole. «Anche se il modello casa-famiglia-investimento economico privato-badante regge ancora nel nostro Paese e forse ha in qualche modo deresponsabilizzato le istituzioni - ribadisce il segretario generale del Censis, Giuseppe De Rita bisogna che il servizio pubblico venga in aiuto al più presto alle famiglie». In che modo? «Tra gli interventi più urgenti sostiene il ministro della Salute Livia Turco - un Tavolo di lavoro su questi temi, investimenti sulla ricerca, potenziamento e accesso più facile alle Unità di valutazione e sostegno ai caregiver. E a più lungo termine, la revisione del sistema sanitario nazionale». _______________________________________________ Italia Oggi 21 mar. ’07 SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, SI AUMENTINO GLI INFERMIERI Gabriele Ventura Gli infermieri si candidano come professionisti a tutto tondo. Con un documento programmatico, presentato alla prima conferenza nazionale dell'Ipasvi (la Federazione nazionale collegi infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d'infanzia), che si è conclusa ieri a Roma, relativo alle politiche della professione infermieristica. Dove la categoria unita chiede, tra l'altro, che ´si aumentino il numero degli studenti infermieri, si ridefiniscano i percorsi formativi, si dia una risposta formativamente efficace alle richieste di sperimentare nuove modalità di insegnamento e si definisca in modo appropriato e coerente il ruolo degli infermieri in possesso di laurea magistrale'. Le autorità politiche, sindacali e professionali, insomma, devono tradurre in pratica il fatto che oggi ´l'infermiere è un professionista a tutti gli effetti, dirige e coordina unità operative e opera con piena autonomia assistenziale'. A ribadirlo, nel corso della Conferenza, ci ha pensato la presidente dell'Ipasvi, Annalisa Silvestro, che non ha usato mezzi termini. ´Si continuano a formare infermieri da parte di professionisti che infermieri non sono', ha spiegato infatti, ´vengono attivate cattedre e assegnate ai medici, che non possono conoscere fino in fondo il lavoro dell'infermiere. Il ministero della salute non può non interessarsi a questa nostra necessità. Il confronto con l'Università su questa materia, deve essere stringente'. All'appello ha risposto il ministro della salute, Livia Turco, affermando che ´bisogna fare in modo che il Sistema sanitario si basi su due pilastri: l'ospedale e la medicina del territorio, dove l'infermiere ha un ruolo fondamentale. _______________________________________________ Le Scienze 23 mar. ’07 UNA DIAGNOSI DI OSTEOPOROSI DAL DENTISTA La nuova tecnica offre il vantaggio di essere effettuata su lastre ottenute per altri scopi e pertanto non c’è necessità di esporre il soggetto a ulteriori dosi di radiazioni Grazie a un finanziamento ottenuto nell’ambito del V Programma quadro dell’Unione Europea i ricercatori dell’Academic Center for Dentistry di Amsterdam hanno messo a punto una nuova metodica che consente di analizzare le radiografie dentali per ricavarne una diagnosi di eventuale osteoporosi. Secondo lo studio, presentato alla 85-esima Sessione generale dell’International Association for Dental Research è sufficiente un’immagine ai raggi X dell’osso trabecolare per poter effettuare una valutazione completamente automatizzata che in quanto ad accuratezza, può competere con la densitometria ossea, l’attuale gold standard per la diagnosi dell’osteoporosi. Oltre ciò, la nuova tecnica offre il vantaggio di essere effettuata su lastre ottenute per altri scopi e pertanto non c’è necessità di esporre il soggetto a ulteriori dosi di radiazioni. L’osteoporosi è un disturbo molto diffuso nei paesi occidentali, e colpisce soprattutto le donne dopo la menopausa. Dopo i 50 anni affligge già il 15 per cento della popolazione femminile, dopo i 60 anni la prevalenza cresce al 22 per cento e dopo i 70 anni al 38,5 %%. Oltre gli 80 anni, circa il 70 per cento delle donne sono a rischio di incorrere in una frattura ossea. Lo screening su larga scala dell’osteoporosi è ostacolata in gran parte dalla penuria di apparecchi di diagnosi e di personale specializzato e anche alla luce di questo è interessante considerare una diagnosi basata su esami di routine. (fc) _______________________________________________ Corriere della Sera 18 mar. ’07 I PROBLEMI DI UDITO: UN' EREDITÀ TRASMESSA DA TRENTA GENI È tutta questione di geni: sono una trentina quelli che finora si conoscono come responsabili di forme ereditarie di sordità. A questi oggi si aggiunge un altro gene, identificato da ricercatori dell' Università di Trieste, in collaborazione con l' ospedale Burlo Garofolo, il Veneto Institute of Molecular Medicine di Padova e il Telethon Institute of Genetics and Medicine di Napoli. L' ultimo gene chiamato in causa per la sordità si chiama PMCA2 e codifica per una proteina coinvolta nel trasporto del calcio all' interno delle cellule. Il calcio, infatti, è indispensabile per il buon funzionamento delle cellule cigliate dell' orecchio interno, da cui partono i segnali uditivi diretti al cervello. Quando il gene e di conseguenza la proteina sono alterati, le cellule vanno in tilt e si sviluppa una forma di sordità. Che ciò accadesse lo si sapeva riguardo agli animali da esperimento, ma oggi i ricercatori lo hanno verificato, attraverso studi genetici, biochimici ed elettrofisiologici, anche in una famiglia italiana con un figlio affetto da una perdita uditiva progressiva. A sorpresa, tuttavia, si è scoperto che per andare incontro alla sordità, oltre alla mutazione di PMCA2, è necessario ereditare anche un altro gene mutato, chiamato caderina 23. Nella famiglia italiana analizzata, infatti, il papà e la mamma erano sani, pur avendo ciascuno la mutazione per uno dei due geni coinvolti nella sordità. Questi genitori avevano, però, trasmesso le alterazioni al loro bambino, lasciandogli una doppia eredità che ha provocato la sordità: un caso raro, chiamato «ereditarietà digenica», in cui l' esito finale sull' udito è provocato dall' effetto sinergico e additivo di due geni alterati. Un' informazione che aiuta a capire meglio i meccanismi molecolari della sordità e che, dicono i ricercatori, potrebbe spalancare le porte a nuovi metodi di diagnosi e cura. Anche se, come spesso accade quando si parla di geni, c' è da credere che l' applicazione pratica sia per ora abbastanza lontana. E. M. Meli Elena _______________________________________________ Corriere della Sera 18 mar. ’07 EPATITE B: LOTTATORI CONTAGIATI COL SUDORE Il virus dell' epatite B può essere trasmesso anche con il sudore. Lo sostengono alcuni ricercatori dell' università Celal Bayar di Izmir in Turchia giunti a questa conclusione studiando 70 lottatori (foto). Nel sangue degli atleti non sono state trovate tracce del virus, ma in nove di essi il Dna virale è stato scovato nel plasma, indice di infezioni «occulte». A sorpresa, in otto di questi lottatori anche il sudore conteneva il Dna del virus. Da qui consiglio dei ricercatori di far vaccinare contro l' epatite B chi vuole fare sport di contatto. _______________________________________________ Corriere della Sera 18 mar. ’07 SE IL SESSO È A METÀ STRADA Pseudoermafroditi Un bimbo su 2000 nasce con genitali diversi da quelli scritti nel Dna Come intervenire? I problemi medici ed etici Per qualcuno sono il limbo del sesso, per altri il terzo sesso. C' è chi li chiama pseudoermafroditi e chi per loro ha inventato una malattia, le «alterazioni dello sviluppo sessuale». Strane creature, mescolanze di geni alterati, cromosomi in più o in meno, ormoni in difetto o in eccesso. Senza dubbio persone in bilico fra un' identità maschile e una femminile, nonostante che la medicina cerchi da sempre una risposta «normalizzante» attraverso interventi chirurgici e terapie di vario tipo. Creature rare, ma non rarissime: un bambino su 2000 nasce intersex, ovvero con genitali di un sesso diverso da quello scritto nelle sue cellule, XX per la donna, XY per l' uomo. Altra cosa però dall' ermafrodita, uomo-donna insieme, vera bizzarria della natura che proprio per la sua eccezionalità in tempi antichi veniva assimilato ad un SemiDio (il figlio di Ermes e Afrodite). Nel cinquanta per cento dei casi (un $bambino su 13.500 nati circa) l' ambiguità sessuale alla nascita è dovuta al difetto, su base genetica, di un enzima che attraverso un percorso metabolico alterato provoca un eccesso di testosterone nel corpo del bimbo nel grembo materno. Se questo è femmina l' effetto, disastroso, è la virilizzazione dei genitali: la clitoride si allunga fino a sembrare un pene, la vagina resta piccolissima o rudimentale. Condizione nota come Sindrome adrenogenitale, fin dagli anni Trenta la medicina ha cercato di risolverla col bisturi: asportazione della clitoride-pene prima possibile e plastica della vagina per consentire i rapporti sessuali. Una strada sofferta che rende spesso necessario più di un ritocco nell' età adulta, ma che rasserena i genitori e permette alla bambina di crescere con un' identità «certa». In effetti, ricerche sul vissuto di queste donne diventate adulte sembrerebbe confermare la bontà della strategia radicale. «Nella mia esperienza l' intervento chirurgico nel primo anno di vita ha dato ottimi risultati» conferma Giuseppe Chiumello, direttore del centro di endocrinologia dell' infanzia e dell' adolescenza dell' istituto San Raffaele di Milano. Ma poi, se vai ad indagare più a fondo sulla vita sessuale di queste persone, scopri che molte non raggiungono l' orgasmo, altre non riescono ad avere una vita sessuale, altre ancora sono bisessuali. Lo hanno messo in evidenza studi condotti in Inghilterra, negli Stati Uniti, ma anche in Italia dall' équipe di Alessandro Cicognani, professore di pediatria all' università di Bologna. «È inutile negarlo: ci siamo accorti che la correzione precoce dell' ambiguità genitale non normalizza del tutto l' identità sessuale di queste persone - commenta Gianni Bona, endocrinologo pediatra a Novara e Vice Presidente della Società italiana di pediatria -. Il cervello è stato esposto, quanto i genitali, durante la vita nell' utero all' influsso degli ormoni maschili. È come se ci fosse qualcosa di ineliminabilmente virile nel comportamento di queste persone». Allora? Nel mondo anglosassone (molto più che a casa nostra) si sta ripensando la strategia attuata finora. Sarah Creighton e Catherine Minto, ginecologhe dell' University College di Londra che hanno condotto studi sul benessere sessuale di questi soggetti - pubblicati sulla rivista Lancet -, oggi affermano che va comunque rimandata all' età adulta la plastica della vagina, in modo che la donna possa dare un consenso consapevole. Ma mettono anche in dubbio l' opportunità dell' asportazione della clitoride- pene. Pura cosmesi che giova ai genitori, al contesto sociale, e poi? «Resto convinto che un' infanzia con un' identità sessuale incerta abbia effetti disastrosi sullo sviluppo della personalità» puntualizza Bona. La complessità dell' identità sessuale e di quanto poco se ne sappia è emersa clamorosamente anche dai casi pubblicati di recente sulla rivista americana New England Journal of Medicine da William Reiner, pediatra dell' università Johns Hopkins di Baltimora che ha seguito nel tempo 14 ragazzi maschi (XY) che in seguito ad una malformazione rara e complessa erano nati senza il pene. La strategia di cura è stata quella di femminilizzare i loro genitali e di farli crescere come donne. Ma la maggioranza, arrivata all' adolescenza, ha scelto di vivere come uomo, o come bisessuale. «Quando c' è quella maledetta Y - afferma ora Reiner - non è proprio il caso di forzare la natura verso la femminilità». Reiner avrà ragione, ma la natura ci mette di fronte ad un altro scherzo dove il cromosoma Y non sembra giocare un ruolo così impressionante. È la sindrome di Morris (un caso su 50.000 nati), dal nome del ginecologo americano che per primo la inquadrò nel 1953: uomini a tutti gli effetti (XY), quindi con i testicoli, ma il cui organismo per un difetto genetico è insensibile agli effetti degli androgeni. La conseguenza è che alla nascita non sono presenti i caratteri sessuali comandati da questi ormoni: manca il pene e l' aspetto dei genitali è femminile, con una piccola vagina. Inganno perfetto tanto che questi uomini in corpo di donna vengono di solito identificati (l' ecografia evidenzia i testicoli) solo all' adolescenza quando si cerca di capire perché non compaiono le mestruazioni. Cominciano così gli accertamenti che scoprono l' identità maschile. «Scoperta che può sortire effetti drammatici - interviene Chiumello -. Ricordo quindici anni fa il caso di una ragazza milanese che si suicidò buttandosi dalla finestra dell' ospedale quando seppe di essere affetta dalla sindrome di Morris». Fortunatamente in molti casi la storia è a lieto fine: queste donne-uomo spesso sono alte, slanciate, con seni e fianchi femminei (il testicolo produce piccole quantità di estrogeni) e una pelle bellissima (manca l' effetto negativo del testosterone). Una volta superato il trauma della scoperta, conducono una vita normale sotto il profilo sessuale (anche se la vagina deve essere dilatata) e relazionale; hanno una vita sentimentale, spesso si sposano e adottano bambini. Si dice che fra le modelle ci sia una quota non indifferente di persone con sindrome di Morris. A questo punto viene da chiedersi dove stia la chiave biologica essenziale della femminilità. Franca Porciani Porciani Franca