LA FUCINA DEL MERITO - IN ARRIVO DAL MIUR UNO STATUTO PER GLI ATENEI - RICERCATORI IL PASTICCIO E’ SERVITO - ATENEI: LA FORZA USA? NIENTE FONDI PUBBLICI - DOTTORATO IN ARRIVO LA RIFORMA - GUATINO: MODELLO FEDERATIVO PER GLI ATENEI - UNIVERSITÀ, FINANZIAMENTI ALL'OSSO - CONTRORDINE DAGLI USA: IL PC NON AIUTA A STUDIARE - NUORO: UNIVERSITÀ IN AGONIA - GLI ASSASSINI DELLA MEMORIA - CARBONE SI O NO? UE BOCCIA L’ITALIA - RISCHI DI UNA METEOROLOGIA A BUON MERCATO - ================================================= LUNGODEGENTI, IL RECORD NEGATIVO È DELLA SARDEGNA - SE L’INFERMIERE VA AL POTERE IN CORSIA - ASL8: INDAGINE PENALE SULL'ASSISTENZA NEGATA - PRIMARI OSPEDALIERI, STOP AL LAVORO PRIVATO - DISAGIO, SI RIPARTE DA VILLA CLARA - GIOVANI MEDICI: LO STATO CI RUBA UN ANNO - PENALIZZATI 1800 STUDENTI DELLE FACOLTÀ ITALIANE DI MEDICINA - FORDONGIANUS: BISTURI DI EPOCA ROMANA - BISTURI, MOLTO PIÙ DI UN FERRO DEL MESTIERE - PREMIATA FARMACIA GOOGLE - PERCHÉ L' ESERCIZIO TIENE LONTANA L' IPERTENSIONE? - SANITÀ, IL RILANCIO DEL GOVERNO - I FARMACI SPERIMENTATI AL COMPUTER - IL DIABETE NEL MIRINO - PROSOPAGNOSIA: DI CHI SONO QUESTI VOLTI? - BIOLOGIA: A CIASCUNO IL SUO CODICE A BARRE - ANCHE LE MOSCHE SONO DOTATE DI LIBERO ARBITRIO - TROPPI ERRORI? PIÙ UMANITÀ IN MEDICINA - A CACCIA DI CELLULE EMBRIONALI - ITALIANI PIÙ ALTI DI 7 CENTIMETRI - USA: IL FLOP DELLA CASTITÀ ANTI-AIDS - USA: IL FLOP DELLA CASTITÀ ANTI-AIDS - LONDRA: SANGUE DI «PLASTICA» PER L' EMERGENZA - IL MERCATO SELVAGGIO DEGLI ANTI-RUGHE - ================================================= ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mag. ’07 LA FUCINA DEL MERITO Le ricette sono stranote, e tutti dicono di condividerle: premiare i migliori e investire in libertà e responsabilità. Un libro scritto nella speranza che si pravi a realizzarle di Sylvie Coyaud li scienziati del «Gruppo 2003» sono uniti dalla buona reputazione, dal desiderio di salvare la ricerca italiana e, nei contributi per La ricerca tradita, anche dal disincanto. Sanno che tutti gli attori sociali concordano sulla diagnosi e sulla terapia che, più o meno nell'ordine, consiste in: espianto degli organi degenerati e trapianto di organi sani; trasfusione di fondi locali e di menti brillanti di qualunque provenienza; libertà in cambio di responsabilità; dieta meritocratica a base di valutazioni esterne i cui risultati comportano premi e sanzioni. Cose note, giuste e mai realizzate: chissà se dicendole di nuovo e meglio non succeda qualcosa. Giuliano Buzzetti e Isabella Maria Gioia analizzano con più sottigliezza del solito le statistiche che confermano la perdita di cervelli e di finanziamenti. Alla classifica mondiale delle università dove fra le prime cento l'unica italiana è la centesima, Ernesto Carafoli accosta due dati paradossali: il97% di promossi alla maturità e il terz'ultimo e penultimo posto dei quindicenni in matematica, scienze e lettura nell'indagine Pisa condotta ogni tre anni nei 29 Paesi dell'Oecd. Tommaso Maccacaro e Alberto Mantovani sommano le «occasioni perdute» quando, nonostante «ambizioni europee» spesso legittime, non si sa «rinunciare al proprio provincialismo». Giorgio Parisi non ne può più del «chi sbaglia non paga mai» e propone incentivi perché nelle università «fare spazio al merito diventi più conveniente che fare scelte nepotistiche» anche se «ci saranno molte resistenze da vincere». Peccato che i ricercatori siano lasciati soli a combatterle perché - scrive subito dopo-Guido Tabellini, «la crisi della ricerca è una delle principali cause della crisi economica dell'Italia» e lo spiega invece di limitarsi ad asserirlo. Si passa poi dall'economia alla politica con Luigi Nicolais e Giuseppe Eestinese che delineano la rete di interazioni tra ricerca; innovazione e sviluppo e i principi del suo buon governo. Per entrare nel Gruppo 2003 occorre superare un esame di scrittura creativa o è la passione a rendere lo stile di 12 autori su 14 così vivo e personale? Con lavatrici e magliette Tabellini riesce a far sorridere c non solo a far capire specializzazione produttiva e vantaggi comparati. Parisi è stringato ma in un'inciso riflette su come trovar lavoro a quelli che la meritocrazia escluderebbe dall'università. Maccacaro e Mantovani rimpiangono tuttora il giovane cin che all'Istituto Mario Negri aveva contribuito alla scoperta delle chemochine. Per la moglie e il figlio «non c'era alternativa all'immigrazione clandestina». Così se ne sono andati `tutti e tre negli Stati Uniti dove JMW dirige un laboratorio del National Cancer Institute: I capitoli sono accostati per farsi eco. Silvio Garattini vuole mettere fine all'opacità dei finanziamenti con un'Agenzia unica per la ricerca, indica i modelli stranieri più collaudati e conclude che prima di essere altrettanto «efficace ed efficiente» dovrà lottare contro «egoismi ministeriali». Lo segue Roberto Satolli, invitato dal Gruppo 2003 come giornalista anche se critico scientifico =mutuato da critico letterario - descrive meglio il suo lavoro. Parla dei rapporti tra industria e ricerca bio-medica, delle piccole e grandi disonestà compiute per un brevetto, per far carriera o contenta l'azienda finanziatrice e ricorda implicitamente che quell'Agenzia dovrà lottare anche contro i conflitti d'interesse. In «La scienza e la gente», Giuseppe Remuzzi e Brunangelo Falini chiedono agli scienziati di imparare a comunicare, per convincere gli studenti a iscriversi alle facoltà scientifiche, insegnare al pubblico lo spirito critico e sfondare nei media. Questo sarà difficile, scrive Franco Bezzi, un altro matematico senza peli sulla lingua e dotato per i calenbour, nel capitolo successivo, «La vita grama delle scienze dure». E racconta di ricercatori noti per aver la battuta pronta eppure azzittiti in diretta da scrittori famosi, conduttori corpulenti e conduttrici con i dentoni. Alla fine del libro, viene ristampato il manifesto del Gruppo 2003, «Per una rinascita della ricerca scientifica in Italia», e il suo brusco decalogo: abolire i concorsi e il posto fisso, liberalizzare assunzioni, carriere, didattica, tasse d'iscrizione e contributi, creare prestiti d'onore per studenti meritevoli e bisognosi, internazionalizzare, commisurare i fondi pubblici e produttività. «Scrivendolo nel, 2004, non volevamo altro che essere normali», commenta Pier Mannuccio Mannucci. Nel frattempo c'è stata l'anomala legge 230 sulle promozioni universitarie che non contempla né valutazione né incentivi. Ma poi sono arrivati una valutazione - imperfetta, d'altronde era la prima - della produttività dei vari enti di ricerca, e un Presidente del consiglio che alla Commissione europea aveva puntato molto sulla scienza. «Non è sorprendente che i derelitti ricercatori sperino che il cambio del governo porti a una svolta sostanziale», scrive Mannucci. AL condizionale presente perché non rinuncia all'ottimismo. Almeno fino a domani quando, insieme agli altri autori del libro, alla Triennale di Milano parteciperà al convegno organizzato dal Gruppo 2003 che inaugura la settimana «Made in Tomorrow. Ricerca, innovazione, conoscenza». Alle y, parecchi derelitti ascolteranno il ministro Fabio Mussi a trarne le osservazioni conclusive, sperando ancora che annunci la svolta. ________________________________________________________________ Italia oggi 19 mag. ’07 IN ARRIVO DAL MIUR UNO STATUTO PER GLI ATENEI Universitari, carta dei diritti e doveri DI BENEDETTA P PACELLI Diritti e doveri degli studenti universitari scritti nero su bianco. Saranno contenuti in uno statuto che il ministero dell'università e della ricerca si appresterà ad approvare a strettissimo giro. Colmando così un vuoto legislativo che ha dato luogo, spesso, a libere interpretazioni da parte dei singoli atenei forti anche dell’autonomia di cui sono dotati. E così saranno sanciti tutti quei diritti xna anche quei doveri propri del mondo studentesco: dal diritto di poter usufruire di tutti gli spazi ai dovere di rispettarli, dal diritto di essere interrogato dal titolare della cattedra, cosa che talvolta non accade, al dovere, seppur scontato, di studiare. Ma non solo. Nella carta dei diritti si cercherà anche di fare luce sulla spesso non chiara gestione delle tasse universitarie o sulle borse di studio per i più virtuosi. Norma in vista anche per gli studenti part-time, quei giovani universitari lavoratori per i quali si cercherà di predisporre una serie di agevolazioni, dove possibile, sia per gli orari di ricevimento dei professori sia per poter sostenere gli esami. Il tutto non vuole essere a sola tutela degli studenti ma per fissare i capisaldi del rapporto che esiste tra atenei e classe studentesca. Il Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu) e il sottosegretario all'università Nando dalla Chiesa si apprestano così ad avviare un percorso di consultazioni con l'intero sistema universitario del paese per dare voce a tutte le realtà del mondo accademico. Si aprirà già dalla prossima settimana un dibattito sulla formalizzazione dei diritti e dei doveri degli studenti che da alcuni anni, alla luce di numerose riforme del sistema universitario, si trovano ad affrontare tutte quelle difficoltà legate al sistema didattico e all'utilizzo dei servizi. Piena soddisfazione per l’avvio delle consultazioni arriva proprio dal Cnsu. «Lo Statuto dei diritti e dei doveri degli studenti», ha dichiarato il presidente del Cnsu, Salvatore Muratore, «é il primo passo fondamentale per la costruzione di una vera cittadinanza studentesca anche nel nostro paese». Una Carta dei diritti e dei doveri che per Muratore può riportare il sistema universitario italiano al passo degli altri paesi europei in cui il ruolo e la centralità degli studenti nei luoghi della formazione sono da sempre riconosciuti e sostenuti. «Garantire i diritti a una comunità che oggi ne è quasi priva», ha concluso Muratore, «ò un passo importante per ridare dignità ai 2 milioni di studenti universitari italiani. ________________________________________________________________ La Stampa 15 mag. ’07 RICERCATORI IL PASTICCIO E’ SERVITO Il regolamento proposto dal ministro dell'Università prevede per i concorsi «revisori esterni». Tuttavia si rischia un subdolo perpetuamento della cooptazione ERMANNO BEINCIVENGA Il 13 maggio scorso il ministro per l'Università Fabio Mussi ha inviato al Consiglio Universitario Nazionale e alla Conferenza dei Rettori lo schema di regolamento per i concorsi a ricercatore (il cui testo è reperibile al sito http://cnu.cineca.it/do cum0ó/reg-ric-3-5-07.doc). Ottenuto il parere dei due enti, il ministro emanerà il regolamento con un decreto. Vediamo di estrarre dal linguaggio burocratico il senso di questo regolamento. I posti di ricercatore a concorso in ciascuna università verranno assegnati da una commissione interna. Fra gli elementi di giudizio di cui la commissione dovrà tener conto ci saranno le valutazioni di «revisori esterni»: studiosi estranei all'ateneo che si esprimeranno sulla qualità scientifica dei candidati. I revisori avranno però un ruolo poco più che consultivo: serviranno cioè a determinare una «lista ristretta» di candidati, da cui saranno esclusi tutti quelli cui i revisori non avranno dato la sufficienza (cioè una media superiore a 2 in una votazione da 0 a 4). A quel punto sarà la commissione a decidere, e il fatto che un candidato abbia ottenuto dai revisori un punteggio di 2,5 o di 4 non porrà nessun limite alla sua autorità. Esistono due modi diversi di reclutare personale universitario. Quello tradizionalmente favorito in Italia è la cooptazione: un «maestro» si circonda di «allievi» fedeli alla sua «scuola» e, se ha il potere necessario, li fa assumere. All'estremo opposto c'è il modello più comune in America: gli allievi di un maestro vanno a cercar fortuna altrove (ed eventualmente a espandere il prestigio della sua scuola) e i dipartimenti assumono in base a concorsi trasparenti e competitivi. Ciascuno dei due metodi ha i suoi vantaggi e svantaggi, i suoi meriti e i suoi rischi; e un paese democratico, dopo aver valutato entrambi, dovrà compiere una scelta responsabile. Io, personalmente, sono contrario alla cooptazione, avendo visto anche i maestri migliori circondarsi di allievi mediocri. Non è strano: quale che sia il proprio valore scientifico, chi è in grado di tollerare l'irriverenza di un giovane collega originale e sicuro di sé? Chi, per converso, è in grado di resistere all'adulazione? Così, per limitarmi alla mia disciplina, per ogni Aristotele allievo di Platone posso annoverare centinaia di asini allievi di sapienti. E, senza allontanarmi dalla California, è scoraggiante constatare che cosa è successo quando intorno a professori (europei) si sono concentrati allievi simili a loro. A Ucla la scuola di Carnap ha prodotto qualche buon tecnico ma nessun filosofo di rilievo; a Uci la scuola di Derrida ha dato luogo perlopiù a fenomeni imbarazzanti. Questa dunque è la mia opinione personale, compatibile con il rispetto per chi la pensa altrimenti e propone la scelta opposta. Non c'è più nulla da opinare, però, quando si considera il pasticcio ideato dal ministro. Se pensiamo che la cooptazione sia lo strumento migliore, riconosciamolo apertamente e lasciamo che i singoli professori si scelgano i propri collaboratori; ma non mettiamo in campo una laboriosa procedura di revisione esterna che non svolge alcun ruolo sostanziale. Perché mai un revisore dovrebbe voler partecipare a questa manfrina? Conoscendo l'università italiana, mi sembra che la risposta più plausibile sia: per poter contare su giudizi altrettanto benevoli quando i suoi allievi saranno sotto concorso. Che una mano lavi l'altra è essenziale per il subdolo perpetuamento della cooptazione. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 mag. ’07 ATENEI: LA FORZA USA? NIENTE FONDI PUBBLICI» di Cristina easadei Guardando il canale del Naviglio Pavese dove affaccia la casa milanese in cui dagli anni '8o vive un paio di mesi all'anno, Jeffrey T. Schnapp riflette sull'incontro di due mondi, l'impresa e la cultura che sembrano così lontani eppure hanno molto da scambiarsi. Newyorkese di nascita - «sono nato e cresciuto a Manhattan», racconta-, 50 anni; filologo romanzo per formazione, comparatista per passione, «ma dal punto di vista della materialità dei mezzi di comunicazione, radio, tv, internet, architettura, design, letteratura» precisa, Schnapp è ordinario di Francesistica e letterature comparate all'università di Stanford, a San Francisco. Da americano che conosce bene l'Italia qual è la differenza che la colpisce nell’approccio delle aziende italiane ed americane all'investimento in cultura? Quello americano è un mecenatismo in cui il contenuto è essenziale e ha un valore molto forte perché dietro musei, esposizioni, laboratori di ricerca non c'è uno Stato pronto a finanziare, ma soltanto risorse di privati, in molti casi imprese. Con il vantaggio dell'indipendenza dalla politica - negli Stati Uniti il direttore di un museo non cambierà mai perché cambia il sindaco - e anche dell'intraprendenza perché per sopravvivere è necessario trovare fondi. E poi nel mondo anglosassone abbiamo un forte senso civico; i cittadini danno molto valore allo spazio in cui vivono e si sentono responsabili verso la loro città, i suoi monumenti, le sue strade, le sue piazze. Pensi soltanto alle università a cui gli ex alunni donano cifre davvero molto importanti per contribuire al mantenimento elevato del livello della ricerca e al patrimonio futuro dell'istituzione. E l'Italia? È il Paese dei particolarismi. Tutto è tipico qui il tessuto industriale, per esempio, è formato da tante piccole imprese, molto spesso a guida familiare. La conseguenza è che l'investimento in cultura è sempre molto personale e nasce dal gusto e dall'interesse dell'imprenditore piuttosto che dal valore e dalla scientificità di un progetto. C'è una sorta di continuità con ciò che accadeva nelle corti rinascimentali dove le passioni del principe condizionavano le sorti della città, dei suoi monumenti e della sua architettura, degli artisti di corte. E poi senza dubbio l'impegno civico è minore, mentre potrebbe risolvere molti problemi del Paese. Ne basterebbe poco per ristrutturare e riportare al loro splendore molti edifici e monumenti oggi in piena decadenza. A proposito di particolarismi, lei nel 2000 ha fondato un laboratorio molto particolare. Si chiama Stanford humanities lab. È un laboratorio dove vengono realizzati progetti sperimentali pensati nel lungo periodo che implicano la collaborazione di studiosi di aree diverse. Fa parte di quell'arcipelago felice di laboratori di ricerca indipendenti dove i finanziamenti sono privati e dipendono dall'originalità e dall'utilità dei contenuti proposti per la ricerca. Non c'è un campo disciplinare particolare in cui siamo specializzati, ma le nostre ricerche riguardano le big humanities. Pensiamo in grande, affrontiamo argomenti vasti che essendo tali richiedono lavoro di squadra e non potrebbero essere trattati da un singolo studioso. Senza badare troppo alle gerarchie. Ogni progetto ha una guida che non necessariamente è un professore, può essere anche uno studente o un ricercatore. Un esempio? Uno degli ultimi lavori del laboratorio riguarda la folla. Studiosi di letteratura, antropologia, sociologia si sono messi insieme per creare un mosaico dove ogni tassello rappresenta la loro expertize. Questo mosaico non ha preso soltanto la forma del volume, ma anche quella dì un portale con il vantaggio di poter espandere i contenuti all'infinito, e di una grande esposizione in cui abbiamo allestito tre media station, radio, cinema e internet per raccontare i risultati del nostro lavoro. Lo Stanford humanities lab è un laboratorio per esplorare il futuro del sapere in campo umanistico nella cornice delle possibilità che internet e le nuove tecnologie hanno aperto. «Siamo incentivati nella ricerca di sponsor In Italia poco senso civica e molti particolarismi» ________________________________________________________________ Italia Oggi 18 mag. ’07 DOTTORATO IN ARRIVO LA RIFORMA SARA vnxXrn ENTRO LA fine di maggio la riforma del dottorato di ricerca. Ad annunciarlo è stato il ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi. Mussi ha ammesso di «essere in ritardo di un mese e mezzo su quanto promesso in merito al provvedimento. Ma ogni volta che si va a stringere su un testo», ha aggiunto, «emerge la complessità tecnica: Il sistema dell'istruzione superiore è di enorme complessità e tutte le volte che ci si mette le mani ci si imbatte nella difficoltà tecnica delle norme». Mussi ha sottolineato come il dottore di ricerca «rimane una figura chiave. Oggi è prevalentemente destinata alle carriere universitarie, ma l'obiettivo», spiega, «è quello di qualificare e accreditare le scuole di dottorato aprendo così l’uscita dei ricercatori verso pubblica amministrazione e imprese». Le aziende italiane sono tra quelle in Europa che cercano meno dottori di ricerca. «In Francia ai vertici delle aziende della p.a. la figura fondamentale è proprio il dottore di ricerca. Ma non in Italia», ha concluso il ministro. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’07 GUATINO: MODELLO FEDERATIVO PER GLI ATENEI ISTRUZIONE CAPITALE UMANO L'università può rispondere alla carenza di fondi aumentando l'efficienza investire sulla governance: alla Sapienza un sistema organizzativo a rete di Renato Guarini Rettore Università Lo Sapienza. Roma, IL VALORE AGGIUNTO L'autonomia migliora la gestione e offre a facoltà e dipartimenti maggiori opportunità ~ di definire i progetti culturali Le università italiane si trovano oggi in una fase di transizione il cui l’orizzonte ultimo è ancora incerto. Sul fronte della didattica il sistema delle lauree triennali continua a destare perplessità: gli interventi successivi al progetto iniziale di riforma e l'incompiuta sinergia tra università, imprese e istituzioni hanno finito per snaturare l'intenzione originale, portando a una pericolosa frammentazione dei saperi. Il proliferare delle sedi universitarie è una epidemia paragonabile forse solo alle richieste di nuove Province. Del resto risponde alla stessa logica: nell'Italia dei campanili avere l'università in casa è un irrinunciabile segno di distinzione. Sul fronte della valutazione confidiamo nella nascente Agenzia, che tuttavia potrebbe trovarsi a fare i conti con la mancanza di una diffusa cultura della valutazione. Il sistema universitario negli anni ha reagito a questa situazione soltanto in un modo: chiedendo più fondi. Richieste sacrosante, ma astratte dalla realtà. Abbiamo detto più volte che un Paese con un'università debole è un Paese senza futuro. Mai come oggi l'affermazione è vera: l'afflusso dei giovani all'università aumenta senza che ciò costituisca un vero arricchimento del sistema-Paese. Forse ci dovremmo domandare perché e non nasconderci dietro il dito della carenza di risorse. Certamente molti compiti sono del decisore politico. Ma molto possono fare gli atenei: La Sapienza di Roma è stata citata per anni come esempio di inefficienza e di crescita incontrollata. Accusa in parte ingenerosa> se si tiene conto che essa è spesso la sola università italiana presente nelle classifiche internazionali; in parte giustificata e sentita come tale in primis dai suoi organi di governo. Ed è proprio a partire da questa consapevolezza, rinnovatasi negli ultimi due anni, che l'università più grande d'Italia sta realizzando nuovi modelli di governance e di gestione. Da un lato la Sapienza ha intrapreso la strada della programmazione strategica, vuotandosi di un nucleo di valutazione ad hoc, come avviene a livello internazionale e come prevede la legge, per individuare con chiarezza criticità da affrontare e linee di sviluppo nel medio periodo. Dall'altra sta realizzando un ambizioso progetto: l'articolazione in atenei federati, ovvero in un sistema a rete formato da soggetti autonomi, ben caratterizzati in termini di missione e di target, tuttavia strettamente legati alla "casa madre". Il progetto parte da alcuni assunti fondamentali: la suddivisione è vantaggiosa se è contestuale a una operazione di ricomposizione delle facoltà e dei dipartimenti finalizzata a creare un nuovo progetto culturale; la suddivisione è vantaggiosa se sul piano amministrativo e gestionale mantiene al centro programmazione e verifica, assicurando però ai nodi della rete la più ampia autonomia gestionale. Il processo, nato come rimedio all'inefficienza, ha assunto un respiro più ampio e si sta rivelando capace di offrire soluzioni a problemi più generali e di rispondere in parte a quelle debolezze del sistema cui sopra è stato fatto cenno. Il percorso federativo, che la Sapienza intraprende in senso centrifugo per alleggerire l'assetto organizzativo, se realizzato in direzione inversa potrebbe consentire la riaggregazione di università troppo piccole, permettendo loro di ritrovare la giusta dimensione in termini di massa critica, di interdisciplinarietà e di rapporto tra ricerca e didattica. Qualcosa di simile sta avvenendo in Francia dove l'università di Parigi sta valutando l'ipotesi di una riunificazione federativa sotto la denominazione Sorbonne, per tornare a comparire nei ranking internazionali. Il modello federativo potrebbe inoltre favorire, attraverso una intersezione di competenze, un'offerta formativa più vicina alle esigenze del mercato del lavoro, evitare sussulti alla ricerca provocati da soluzioni autonomistiche, obbligare a quella cultura della valutazione insita nel principio stesso della rete di sedi riunite in una holding. Un ulteriore valore aggiunto del progetto è nel rapporto città-università. I fondi stanziati per il progetto Sapienza si traducono nell'apertura di numerosi cantieri nella capitale, riqualificando alcune periferie (Pietralata), rispettando l'anima di quartieri storici (San Lorenzo), restituendo alla città aree di archeologia industriale (Snia Viscosa) e recuperando zone ad alto valore sociale e ambientale (S. Maria della Pietà), in un dialogo intenso e costruttivo con le autorità locali. Una operazione, quella messa in campo dalla Sapienza, rispettosa prima di tutto delle esigenze degli studenti, ma che potrebbe favorire quella riaggregazione culturale tra facoltà e dipartimenti di cui sopra si parlava. La vicinanza di muri favorisce spesso il transito di idee. ________________________________________________________________ Italia Oggi 15 mag. ’07 UNIVERSITÀ, FINANZIAMENTI ALL'OSSO di Benedetta P. Pacelli Era chiaro sin dall'ultima manovra finanziaria che sarebbe stato un anno difficile per le casse delle università. I': questo non è stato smentito dal decreto ministeriale, appena firmato, che stabilisce i criteri sulla ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) delle università per l'anno in corso. Gli stanziamenti concessi agli atenei sono, infatti, poca cosa anche rispetto al 2006: l’Ffo è, passato (la 6,9 miliardi a poco più di 7 miliardi di curo, con una crescila di 200 milioni. Una cifra che per stessa ammissione del ministro dell'università, Fabio Mussi, lascerà -li atenei ancora in sofferenza visto elle l’incremento è appena la metti dell'inflazione. E una cifra che anche la Conferenza dei rettori delle università italiane aveva giudicato inadeguata, che non consente il recupero degli aggravi di spesa dovuti alla dinamica delle retribuzioni dei professori ormai da vari anni a carico totale degli atenei, né dell'aumento dì spesa legalo alta crescita di costi e quantità dei servizi erogati e all’aumento delle tariffe. L’unico dato positivo che il piatto non proprio ricco del fondo di finanziamento assegnato alla fine dello scorso dicembre sarà distribuito, a ciascuna università, per una somma pari al 100% (lo scorso anno era i( 99,5%) dello stesso fondo. Entrando più nel dettaglio il decreto prevede ulteriori interventi finanziari, circa ?0 milioni, per la copertura di provvedimenti ministeriali assunti in precedenza. Oltre 40 milioni di euro invece sono previsti per incentivare i migliori risultati ottenuti nella ricerca scientifica. Questa quota verrà distribuita tra i singoli atenei tenendo conio anche (lei risultati dell'ultimo rapporto Civr. Uno stanziamento altrettanto elevato. circa 43 milioni di curo, sarà destinato per assicurare un adeguato sostegno finanziario per il cofinanziamento ai consorzi interniversitari che svolgono attività (lì rilevante interesse per lo sviluppo del sistema universitario e della ricerca scientifica, incluse tutte quelle iniziative connesse alla gestione dell'anagrafe nazionale dei laureali. Tra le altre voci in bilancio., poi, un milione e mezzo destinato per la copertura di chiamate dirette dei docenti, studiosi ed esperti italiani o stranieri impegnati all'estero. Il decreto sarà ora trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 15 mag. ’07 CONTRORDINE DAGLI USA: IL PC NON AIUTA A STUDIARE Studio del dipartimento dell' Educazione: fa crescere la disattenzione in classe e non stimola la memorizzazione. Le scuole cominciano a tagliare i fondi per l' informatica Nessuna differenza d' apprendimento fra chi può usarlo e chi no La sigla Olpc, che così, all' impronta, può suggerirci petroli, o movimenti di liberazione medio-orientali, riassume invece il motto «un portatile per ogni bimbo» (One Laptop per Child). Lanciato nel 2003 da Nicholas Negroponte, allora direttore del prestigioso Media Lab del Mit, questo progetto mondiale si prefigge di far sviluppare portatili che costino non più di circa cento dollari, ma che contengono tutto, o almeno tutto ciò che veramente serve, dall' accesso a Internet ai programmi di testo, al trattamento delle immagini e della voce. Entro il 2010, ogni scolaretto nel mondo, dalla Thailandia al Brasile, dal Guatemala alle Filippine, dovrebbe infine avere a disposizione il suo piccolo portatile. Ne ho visto recentemente uno, a Santo Domingo, dove un alto funzionario del ministero della cultura mostrava con fierezza questo bianco gioiellino, con tanto di piccola manovella, per ricaricarlo anche dove manca la corrente elettrica. Aprire nuovi universi alle piccole menti, sviluppare la creatività, potenziare l' espressione, facilitare i contatti con il mondo intero, questi sono i nobili scopi dichiarati dai direttori del progetto Olpc, rigorosamente non-profit. Una battuta di riflessione ci viene, però dagli Stati Uniti, dove il mese scorso il dipartimento dell' educazione ha terminato un ampio studio comparativo. Ne è emerso che non esiste differenza alcuna nel profitto medio in matematica e in scrittura, tra gli studenti che frequentano scuole ben munite di portatili individuali e i loro coetanei che, invece, frequentano scuole del tutto prive di tali costose apparecchiature. Non solo, ma emerge che una gran quantità di studenti, invece di prestare attenzione alle lezioni, trincerati dietro i loro schermi, giocano, si passano i compiti, si inviano messaggini o addirittura esplorano siti porno. Nello Stato di New York, il vasto distretto scolastico di Liverpool ha deciso di assottigliare progressivamente i fondi destinati all' informatica individuale nelle scuole, tornare alla lavagna, carta e matita, o all' unico computer di classe a grande schermo. Simili iniziative di progressiva «uscita» dai portatili individuali in classe sono già state decise da distretti scolastici in Virginia e in California. Nelle università americane, dove il perenne «paper» scritto costituisce l' unico tipo di compito assegnato settimanalmente e poi l' unico tipo di esame di fine corso, la tentazione di copiare pezzi, o interi testi, dalle immense risorse disponibili in rete è tale che si moltiplicano i programmi specializzati nell' individuare i plagi. Non pochi colleghi americani esplicitamente e tassativamente proibiscono l' uso dei portatili durante le lezioni. Disposizioni giustamente drastiche contro il plagio vengono diffuse ogni semestre. Sarebbe comunque impensabile, oramai, fare a meno dei computer, nella vita professionale, nella ricerca scientifica, nella docenza universitaria. Un universo di tesori intellettuali si apre di fronte a noi ogni giorno, dai grandi classici alle ultimissime pubblicazioni. Va fatta, quindi, una distinzione netta tra gli studenti dei Paesi industrialmente sviluppati, con ogni tipo di risorsa a portata di click, a casa, e gli scolaretti di una sperduta scuola nel mondo in via di sviluppo. Negroponte e i suoi molti illustri colleghi fanno bene a perseguire nella loro missione disseminatrice e seminatrice, così come fanno bene i professori di liceo e di università statunitensi ed europei a limitare l' uso dei portatili. La vecchia immagine dell' arma a doppio taglio si ripresenta potente. Chi di noi non indulge nello «scaricare» testi, immagini e interi manoscritti nel proprio portatile, o nel computer da tavolo, dopo aver dato loro solo uno sguardo sommario? Li leggerò a tempo debito, ci diciamo, sapendo in parte di illuderci. Quando si andava in biblioteca, fosse essa la punitiva istituzione di stile europeo o la flessibile e sempre aperta banca di testi di stile americano, quanto meno si leggeva attentamente il brano in questione, per decidere se effettuarne o meno la laboriosa fotocopiatura. Prima che esistessero le fotocopiatrici, circa mille anni psicologici fa, si prendevano appunti, si riempivano schede. Oggi basta un click, basta memorizzare l' indirizzo di rete, e poi «ci ritorneremo». I ragazzini non sono più diligenti di noi, anche loro ciccano e archiviano, invece di leggere e digerire. Con ingegno, pazienza e impegno, sono state costruite in rete lezioni chiarissime e piacevoli da seguire, su quasi ogni materia, soprattutto nelle scienze esatte. Direi, però, che ovunque regna un grave equivoco: quello di pensare che i ragazzi possano imparare senza sforzo e con minima attenzione. I portatili, l' Internet e l' interattivo hanno certamente molto contribuito, ma il fenomeno è più vasto. Alcuni anni orsono venne effettuata un' inchiesta all' uscita di quei portenti di divulgazione che sono i musei della scienza americani. Ad una moltitudine di adolescenti in uscita dai musei, con tanto di professore come guida, chiesero, individualmente, quali settori del museo avessero visitato. Poi chiesero di raccontare, molto semplicemente, quali concetti, quali princìpi, quali leggi di natura avessero imparato. I dati furono sconfortanti. Si erano divertiti un mondo, ma non avevano imparato un bel niente. Giocare è bello, motivare con corredi estetici è bello, ma imparare richiede sforzo. Auguriamo, insomma, grande successo alla campagna Olpc. Speriamo che, tra dieci o quindici anni, i distretti scolastici e i professori di quei lontani e sfavoriti Paesi si vedano costretti a limitare anche loro ex cathedra l' uso dei portatili in classe. L' uguaglianza delle opportunità deve passare oramai anche per i piccoli schermi e le manovelline. * SÌ AL PC *** L' uso del computer nelle scuole aiuta a sviluppare la creatività degli studenti *** Usare a scuola un pc potenzierebbe la capacità d' espressione dei ragazzi *** Ma l' utilizzo del computer, soprattutto, facilita la comunicazione e la ricerca di notizie NO AL PC *** L' ultimo studio Usa ha rilevato che la presenza di pc in aula distrae i ragazzi dalle lezioni *** Grazie al computer è facile scaricare compiti ed esami rendendo «superfluo» lo studio *** Fra i pericoli legati al pc collegato a Internet la navigazione su siti pornografici * * * 2010 È il termine entro cui il programma lanciato nel 2003 da Negroponte punta a realizzare il suo obiettivo: dare un pc ad ogni bambino, dalla Thailandia al Brasile Piattelli Palmarini Massimo ________________________________________________________________ La Stampa 17 mag. ’07 CARBONE SI O NO? UE BOCCIA L’ITALIA RAFFAELLO MASCI ROMA L'accusa di Matteoli: «Ci sono due lingue e Pecoraro parla come se fosse un turista» La bocciatura da parte dell'Unione europea del piano di riduzione delle emissioni inquinanti fa di nuovo esplodere quei conflitti all'interno del governo, che proprio su questa materia erano iniziati 10 mesi fa. Con un'aggravante: che ora i verdi chiedono una verifica di maggioranza su questi temi e Rifondazione invoca un chiarimento del governo in Parlamento. Due giorni fa la Commissione europea aveva imposto all'Italia una riduzione delle emissioni di Co2 da 209 a 195 milioni di tonnellate l'anno. Tl imo dato (quello bocciato) era stato proposto dal governo (cioè dal ministero dello Sviluppo Economico), dopo un'estenuante trattativa con i soggetti economici, mentre il primo (ribadito dall'Ue) era quello «suggerito» dal ministero dell'Ambiente. Appena uscito il verdetto europeo, il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio - confortato da Bruxelles - aveva proposto che il taglio alle emissioni avvenisse agendo sul carbone «costoso e inquinante». Ieri il ministro Bersani, in un «question time» alla Camera, ha detto che sul carbone si può ragionare, sia pur come elemento di un mix di fonti energetiche. E la controversia è riesplosa. Parlando a margine di un convegno di Confcommercio, Bersani ha criticato la valutazione di Bruxelles: intanto - ha fatto notare - i media hanno riportato la sentenza come una gogna per l'Italia, una sorta di «autoflagellazione», mentre «la Commissione ha tagliato i piani di 18 Paesi su 20. E la Germania è stata tagliata più di noi». Secondo, Bruxelles non ha preso nella dovuta considerazione gli sforzi fatti dal governo in materia di emissioni inquinanti, mentre «da quest'anno abbiamo iniziato con misure di efficienza energetica che, secondo noi, l’Ue avrebbe dovuto considerare». E comunque - ha aggiunto - il Comitato «emission trading» rielaborerà il Piano Nazionale Assegnazione, secondo le indicazioni della Commissione europea. Quanto al carbone - ha aggiunto il ministro alla Camera - «gli chiederemo solo di far parte di un mix di fonti energetiche, con ciò che può significare questo in termini di nuovi investimenti», precisando che in Europa il carbone vale il 30% del mix, mentre da noi appena il 10%. I verdi, che attraverso il ministro Pecoraro Scanio avevano individuato nel carbone l'elemento da colpire, sono insorti: «Per noi - ha detto il capogruppo a Montecitorio Angelo Bonelli - si è aperto un problema politico nell’Ue sull'utilizzo del carbone, che richiede un chiarimento nella maggioranza». E il segretario di Rifondazione comunista, Franco Giordano, ha chiesto che sulla materia, da Kyoto fino alla censura da parte dell'Europa, il governo riferisca in Parlamento. «Non chiedo di aumentare il carbone - ha replicato Bersani - ma neppure di uscirne. Se su questo si vuole fare una verifica di maggioranza, si faccia, ma non parliamo di "braccio di ferro"». La maggioranza comunque non vuole sottrarsi agli impegni di Kyoto, ha aggiunto il capogruppo dell'Ulivo, Dario Franceschini: «E' ineludibile l'applicazione delle misure previste dal Protocollo sul taglio delle emissioni. È giusto confrontarsi sulle soluzioni, ma quello che non va messo in dubbio è l'obiettivo finale». Questa determinazione non appare, però, così lampante all'ex ministro dell'Ambiente Altero Matteoli (An): «Nel governo si parlano due lingue. Da una parte c'è Bersani che giustamente è preoccupato, in quanto ritiene che l'ulteriore taglio delle emissioni possa penalizzare le imprese, dall'altra c'è il ministro dell'Ambiente che, quasi fosse un turista, osserva che la bocciatura dell’Ue è avvenuta perché il piano non era quello suo». ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 mag. ’07 NUORO: UNIVERSITÀ IN AGONIA Dopo due decenni di attese e speranze il Terzo polo sardo segna il passo Università in agonia? II giallo delle matricole Ma il Consorzio assicura., «I nostri iscritti sono 1200» di Luciano Piras NUORO. «Un'offerta universitaria costantemente in crescita, cinque corsi di laurea triennali, due corsi di laurea specialistica, 1200 studenti». Lo slogan del Consorzio per la promozione degli studi universitari nella Sardegna centrale promette davvero bene dall'home page del sito ufficiale www.consuninuorese.it. Eppure la situazione non è affatto così rosea come viene presentata. Tanto per cominciare: la classe politica dorme. O meglio: tace. Vero è, infatti, che oramai lo sbandierato "Terzo polo universitario", utilizzato più volte nelle campagne elettorali degli ultimi due decenni, è sparito dall'agenda dei partiti. Nessuno più che alzi la voce, che chieda autonomia e progresso. Attorno all'Ateneo barbaricino regna sovrano il silenzio. Tant'è che rischia di saltare, senza colpo ferire, l'eterno progetto del Campus, inghiottito nel buio del dimenticatoio. E anche ora che, volenti o nolenti, le singole segreterie di facoltà verbalizzano la lenta agonia di una chimera mai decollata, dai palazzi del potere nessuno osa uscire allo scoperto. Nessuno che abbia il coraggio di dire a chiare lettere che a Sa Terra Mala, sede dei quattro corsi di laurea gemmati dall'università di Sassari, il totale degli studenti iscritti è di 325. Per l'esattezza: 230 sono quelli che frequentano le lezioni di Scienze e tecnologie ambientali e forestali; 65 quelli iscritti in Scienze ambientali e naturali; 20 in Gestione e allevamento degli ovini e dei caprini; 10 in Progettazione e gestione dei sistemi forestali e ambientali. Laurea specialistica, quest'ultima, mentre le altre tre sono lauree triennali, gemmate dalle facoltà di Agraria, Scienze e Medicina veterinaria dell'ateneo turritano. Emblematico il caso della sede nuorese di Scienze ambientali e naturali, braccio operativo della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Sassari: in Barbagia il numero delle immatricolazioni è andato via via calando (vedi i dati riportati nel sito ufficiale scienzemafn.uniss.it). Dai 23 dell'anno accademico 2003-2004, i nuovi iscritti sono scesi a 12 un anno dopo, a 11 nel 2005-2006 per arrivare agli 8 di quest'anno. Nella sede sassarese, invece, il trend è andato in crescendo: dai 29 iniziali si è passati a 35, poi a 27 e infine a 52. Nuoro insomma paga salato il rendiconto. Vuoi per il fallimento del Parco del Gennargentu, che tante bocche asciutte ha lasciato tra gli studenti, vuoi per il torpore generale, fatto sta che l'università della Sardegna centrale è ben lontana dall'obiettivo «prioritario» sul quale soltanto un anno fa puntavano sia il presidente della Provincia Roberto Deriu sia il sindaco della città Mario Zidda. «Dobbiamo raddoppiare il numero degli studenti, solo allora potremo parlare di presenza dell'università» aveva detto il primo. «Se non c'è il supporto di politiche regionali convergenti verso uno sviluppo condiviso tutto rimane lettera morta» aveva aggiunto il secondo. A poco più di dodici mesi da quelle dichiarazioni, i numeri 1a dicono lunga. Se 325 sono gli universitari nuoresi che fanno riferimento all'ateneo di Sassari e se è vero, come dice il Consorzio per gli studi nella Sardegna centrale, che il totale degli iscritti è pari a 1200, significa che quasi 900 studenti frequentano i corsi di laurea triennali gemmati dalla facoltà di Scienze politiche di Cagliari, ossia Amministrazione governo e sviluppo locale, da un lato, e Scienze del servizio sociale, dall'altro. Con un inciso: quest'ultimo corso di laurea, al contrario di tutti gli altri istituiti a Nuoro, è a numero chiuso, con 30 posti disponibili l'anno. Insomma: i conti non tornano. O da una parte, o dall'altra fanno acqua. Con l'aggravante dell'indifferenza generale. Eppure «la realizzazione a Nuoro del terzo polo universitario sardo - si legge ancora nel sito consuninuorese.it -, costituisce uno dei più importanti obiettivi strategici della classe politica nuorese». Era questo, infatti, l'intento che nel 1990 portò alla nascita del Consorzio per la promozione degli studi universitari nella Sardegna centrale. Da allora, tuttavia, tra sogni e speranze, ben poco è diventato realtà. ________________________________________________________________ L’Unità 15 mag. ’07 GLI ASSASSINI DELLA MEMORIA VALENTINA PISANTY Qualche settimana fa un professore di Scienze Politiche dell'Università di Teramo ha organizzato un convegno intitola-. to —La storia imbavagliata» nell'ambito di un suo master Enrico Mattei, il cui sito è consultabile su http://www.masteanatteimedioriente.it. Basta dare un'occhiata al programma del convegno - che ha ospitato interventi come «L'Olocausto fra storia e teologia» e «Dopo Soros: "lobby ebraica", tabù infranto?» - per rendersi conto che si è trattato di un'iniziativa smaccatamente antisemita e neonazionista, imperniata sulla solita teoria della cospirazione ebraica. Un punto forte del convegno è stata una videoconferenza di Robert Faurisson, nel corso della quale il negazionista francese - imbeccato da una compiacente giornalista - ha avuto modo di ribadire per esteso le sue note tesi circa l’inesistenza delle camere a gas naziste. E notizia di questi giorni che lo stesso professore di Teramo ha imitato Fauiisson a tenere il 18 maggio su questi temi una conferenza presso la sala lauree, dunque nel cuore dell'Università. Faurisson, per chi non lo sapesse, è stato protagonista di un caso mediatico scoppiato in Francia una trentina di anni fa. Ex critico letterario dalle tendenze spiccatamente paranoiche, dal 1976-77 Faurisson comincia a bombardare le principali testate francesi con lettere in cui chiede che venga aperto un dibattito sul "problema delle camere a gas". Abboccano alla provocazione Le Matizz e Le Monde che pubblicano un paio delle sue missive. Segue un'accesa polemica mediatica che travalica i confini nazionali. In seguito allo scandalo, il preside dell'Università di Lione 2 sospende Faurisson dal suo incarico di docente di Letteratura francese. Faurisson non demorde e pubblica un'altra lettera su Le Monde, nella quale parla della sua conversione al "revisionismo" e si lamenta delle persecuzioni che ritiene di avere subito, atteggiandosi a vittima perseguitata, e ottenendo il supporto "a scatola chiusa" di diversi intellettuali di sinistra (tra cui Noam Chomsky). Da allora, Faurisson è stato l'ispiratore e il catalizzatore di quella corrente pseudo-storica oggi nota come negazionismo, la quale sostiene che la Shoah non sarebbe mai avvenuta e che le camere a gas naziste sarebbero un'invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere ingenti riparazioni di guerra alla Germania sconfitta -con le quali finanziare lo stato di Israele. Chiaramente, l'invito rivolto a Faurisson va inteso come una provocazione, e possiamo immaginare che gli organizzatori del convegno in questo momento si stiano rallegrando del clamore suscitato. Saputo dell'iniziativa, il rettore dell'Università dì Teramo ha deciso di annullare la conferenza, ma l'organizzatore del master ha fatto sapere che farà comunque tenere una lezione allo stesse; Faurisson. È bene chiarire alcuni punti. Nessun essere ragionevole può impedire a qualcuno dì esprimere le proprie idee. Nessuno può sbattere in galera chi,professa opinioni eretiche, per quanto false e perniciose. Ma la questione è un'altra: l'università è un luogo in cui si suppone che vengano rispettati certi standard minimi del dibattito scientifico. Invitare qualcuno a parlare nelle aule di un istituto accademica significa riconoscergli una dignità, appunto, scientifica, ed è per questo che l'Università di Teramo ha non solo ìl diritto, ma anche il dovere di chiudere le sue porte a Faurisson (tanto più che nulla fa presagire che l'intervento del negazionista verrà accompagnato da un contraddittorio). Esiste una letteratura che dimostra che i negazionisti (Faurisson in testa) sono scientificamente nulli: Essi non rispettano le regole più elementari del dibattito storiografico, selezionano i documenti a piacimento, si sottraggono ai controlli incrociati su cui si fonda qualsiasi analisi storica seria e, soprattutto, la loro ipotesi non sta in piedi senza l'ausilio di una qualche versione della teoria del complotto giudaico-massonico per la conquista del mondo. Sarebbe auspicabile che vivessimo in una società civile in cui fosse sufficiente dimostrare l'irragionevolezza di queste tesi per chiudere il discorso una volta per tutte. ________________________________________________________________ Avvenire 13 mag. ’07 RISCHI DI UNA METEOROLOGIA A BUON MERCATO L'illusorio esercizio di fare previsioni lungo termine GUIDO CAROSELLI I Consiglio Nazionale ' delle Ricerche fa sapere che il mese appena trascorso è stato per l'Italia il più caldo dal 1800, superiore di 3 gradi rispetto alla media calcolata nei trentennio di riferimento 1961-90. Notizie come questa accendono spesso la voglia di fare previsioni lunghe, sul filo della semplice estrapolazione di quanto è appena accaduto sullo scenario della prossima stagione Poiché viviamo la realtà climatica dell'effetto serra, proiettati in un trend di aumento della temperatura globale, è facile cadere nella confusione tra clima e tempo e sfornare vaticini (il più delle volte allarmistici) per l'estate. In realtà la prognosi a lungo termine è tuttora al di là delle possibilità della meteorologia. Un primo metodo di previsione stagionale è basato sulle statistiche. È un sistema come un altro, senza dubbio conseguente a una certa logica. Purtroppo non offre nessuna garanzia di buoni risultati. È come se volessimo prevedere cosa mangerà per settimane un nostro amico basandoci sul fatto che tra i suoi gusti preferiti ci sono gli spaghetti. Questo ragionamento veniva applicato in passato, dando qualche risultato quando il clima era più stabile e vi era una maggiore probabilità che il tempo si comportasse normalmente. Ora che il clima è in movimento, le possibilità di successo sono in deciso declino. Quel nostro amico è in viaggio in Paesi dove gli spaghetti spesso non si trovano. Un altro metodo tenta di estendere ad libitum le previsioni a breve termine, fidandosi della loro dimostrata bontà. Procedere in questo modo è non solo rischioso, ma spesso porta a risultati pessimi. L'atmosfera è un sistema assai complesso, per certi aspetti caotico, che si presta a essere interpretato con le leggi della fisica (cioè da equazioni matematiche calcolabili con i computer) fino a pochi giorni. II tempo non è il semplice risultato della circolazione globale dell'atmosfera. Intervengono anche le piccole correnti d'aria, i movimenti verticali e altri localizzati e contingenti fattori che, al di là di cinquesette giorni, influiscono sempre più, al punto tale da rendere i comportamenti reali del tempo lontani dallo schema previsto con il calcolo matematico. Si può fare l'esempio del traffico caotico di una città. In questa situazione riusciremo a prevedere i tempi di percorrenza per piccoli spostamenti, ma rischieremo di far saltare un appuntamento nel caso in cui dovremo spostarci all'altro capo della città. Un terzo metodo fa ricorso a quanto esiste in natura di più affidabile: il comportamento degli oceani. AL contrario dei continenti, rapidi nei raffreddamenti quanto nei riscaldamenti e più soggetti dunque ai cambiamenti da un giorno all'altro, le acque sono più conservative, più lente delle terre sia ad acquisire calore che a perderlo. Questa loro inerzia li rende prevedibili per tempi più lunghi e questo invoglia la prognosi da una stagione all'altra. Ricorrendo ancora una volta a un esempio, è come se facessimo una previsione annuale dell'andamento del nostro conto in banca calcolando i flussi certi in entrata e in uscita: gli stipendi mensili come le rate di un mutuo. In realtà non teniamo conto, con questo modo di ragionare, delle altre spese e degli altri redditi che non ci sono ancora noti e che, appunto, si possono definire imprevedibili. In definitiva si può dire che, mentre non è vietato cimentarsi nell'esercizio della prognosi a lunga gittata, tale operazione non ha alcun valore economico, non essendo prudente investire alcunché (denaro, progetti, decisioni) su di essa. ================================================= ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 mag. ’07 LUNGODEGENTI, IL RECORD NEGATIVO È DELLA SARDEGNA Medicina. Convegno sulla riabilitazione delle disabilità neurologiche e ortopediche La Sardegna è la regione italiana col minor numero di posti letto riservati alla lungodegenza in ospedale per i pazienti che necessitano di cure riabilitative in seguito a patologie neurologiche (ictus) e ortopediche. Nell'isola il tasso di ricovero per ogni mille persone è pari all'1,01 per cento, molto al di sotto rispetto alla media nazionale (5,75 per cento) e lontanissimo dal primato del Piemonte (8,2 per cento). Il dato è emerso durante la cerimonia di presentazione del convegno "Riabilitazione delle disabilità neurologiche e ortopediche" organizzato per il 26 maggio dalla clinica Lay. Nel 2004 in Sardegna i ricoveri per malattie cerebrovascolari sono stati 3.826 e 1729 per ischemia transitoria. Nell'ambito della Asl 8, l'unico dato disponibile è quello relativo alla "Stroke Unit" dell'ospedale Brotzu (13 posti letto) che ha effettuato 502 ricoveri nel 2005 e 492 nel 2006. Non vi sono dunque stime sull'effettivo numero dei ricoveri a Cagliari, ma si presume che il totale sia decisamente elevato. Per risolvere il problema della carenza di posti letto il Piano sanitario regionale ha stabilito una redefinizione del numero dei posti destinati ai pazienti acuti e post acuti. «L'obbiettivo ? spiega l'ortopedico Aladar Bruno Ianes, direttore medico del Gruppo Segesta - è di pervenire ad un'offerta di 7.102 posti letto, dei quali 6.075 per acuti e 1.027 per post acuti». La casa di cura Lay, diretta da Renato Daga, da dieci anni ha a disposizione 64 posti letto per la lungodegenza riabilitativa, ai quali se ne sono aggiunti 40 nel febbraio scorso. In base a quanto stabilito dal Piano sanitario, la riabilitazione in regime di lungodegenza deve garantire alla persona con disabilità la massima autonomia e la massima partecipazione possibile alla vita sociale fin dal momento della dimissione. Il paziente deve seguire un percorso assistenziale finalizzato a risolvere (o quanto meno stabilizzare) gli esiti di una menomazione. L'obbiettivo è di evitare che una disabilità temporanea possa trasformarsi, in assenza di una riabilitazione adeguata, in uno svantaggio esistenziale permanente. Dell'argomento si parlerà diffusamente nel convegno "Integrazione ospedale-territorio nella riabilitazione delle disabilità neurologiche e ortopediche maggiori" che si terrà il 26 maggio all'Holiday Inn. Tra i relatori, l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin, il direttore generale dell'Asl 8 Gino Gumirato , il presidente dell'Ordine Raimondo Ibba e la dirigente dell'assessorato ai Servizi Sociali Ada Lai. ____________________________________________________________ Repubblica 17 mag. ’07 SE L’INFERMIERE VA AL POTERE IN CORSIA LA FEDERAZIONE nazionale degli infermieri ha comprato ieri un’intera pagina del Corriere della sera per confutare ciò che avevo scritto sulla mia rubrica “Linea di confine” a proposito dei mutamenti avvenuti nella loro professione ANCHE se è inconsueto ribattere a una pagina pubblicitaria, per di più di un altro quotidiano, la questione sollevata ci sembra di tale impatto per il futuro del servizio sanitario e per la cura dei pazienti da meritare un ulteriore approfondimento. Inoltre il tema rappresenta un vero e proprio test di quale deriva stravolgente possa innestare in un paese come il nostro la pulsione al corporativismo di categoria, di quanta incoscienza possano dar prova i ceti politici quando legiferano per assicurarsi consenso laddove la forza del numero fa premio su ogni logica coerente, di quanto in questo, come in tutti i settori pubblici, l’interesse degli addetti ai lavori finisca sovente per prevalere sui diritti e le attese degli utenti, col contributo delle rappresentanze di categoria, soprattutto quelle autonome dalle Confederazioni. Prima di entrare nel merito desidero ribattere a quanti hanno considerato irrisorie e sprezzanti alcune mie considerazioni che, pur non essendo uso a complimenti formali, ho sempre nutrito rispetto e stima, anche per tante esperienze personali, per quell’esercito di infermiere ed infermieri che lavorano con dedizione, capacità, spirito di sacrificio al servizio dei pazienti, spesso in condizioni disagevoli e sempre mal pagati. Sgombriamo, dunque, il campo da equivoci e risentimenti reciproci e veniamo al punto centrale che riassumerei in quel passaggio del paginone dell’Ipasvi dove si afferma giustamente che «l’integrazione professionale e il lavoro di squadra sono una necessità ineludibile per ogni organizzazione sanitaria moderna»; subito dopo, però, si precisa «che il ritorno a rigide gerarchie tra professioni non solo è anacronistico ma risponde a vecchie logiche di potere». Il dissenso nasce qui e si àncora ad un giudizio, più volte espresso, sugli effetti destabilizzanti e anche distruttivi di taluni (sottolineo «taluni», a scanso di generalizzazioni) aspetti della riforma universitaria e delle molteplici modifiche di quella sanitaria. In particolare l’introduzione del cosiddetto 3+2 e la moltiplicazione dissennata dei corsi di laurea (dovuta alla rincorsa corporativa accademica) ha creato, assieme a una miriade di cattedre, una miriade di nuove «professionalità» con titoli di laurea dottorale di prima e di seconda fascia. Nell’ambito sanitario, come mi informa il sottosegretario on. Patta (ds), ben 22 sono queste nuove scienze, che vanno dall’infermieristica all’igiene dentale, dagli addetti di laboratorio ai podologi, dagli psicologi agli assistenti sociali. Se ciò significasse che una serie di figure, già operanti da sempre nei nosocomi, sono messi in grado di certificare il raggiungimento di un più qualificato livello culturale e tecnologico e, di conseguenza, l’ottenimento di una più ampia autonomia operativa e di uno stipendio più decente, il passaggio sarebbe assolutamente positivo. Per contro la perplessità nasce, invece, quando si legge, nello scritto, sempre del sottosegretario, «che ogni operatore esercita la propria professione all’interno del proprio ambito operativo... mentre i medici restano titolari della diagnosi clinica (da non confondersi con la diagnosi infermieristica, ndr ), degli atti medico-chirurgici e della prescrizione della terapia farmacologica ».Questa suddivisione giuridica ha come ricasco che ogni categoria ha una sua progressione di carriera con propri p r ima r i d e l tutto indipendenti dai primari medici. Come immaginare che una siffatta framm e n t a z i o n e conduca ad un lavoro interdisciplinare armonico? Provano il contrario le numerose e-mail ricevute. Cito per tutti quello di una infermiera, laureata presso l’Università di Firenze, che mi spiega: «L’epoca in cui la caposala (oggi infermiere coordinatore) rispondeva al primario è ben lontana... l’infermiere è l’unico responsabile dell’assistenza infermieristica generale e non c’è medico che possa sindacare processi e pianificazioni assistenziali... la legge inoltre afferma come ci siano settori in cui si richiede che la dirigenza sia affi- data all’infermiere... non esiste gerarchia tra infermieri e medici e il medico non avrà mai responsabilità per ciò che fa l’infermiere». Affermazioni anche psicologicamente significative. Non credo, però, che il problema vada affrontato sotto l’ottica dei rapporti di potere ma alla luce degli interessi del malato e dell’organizzazione ospedaliera, in particolare nelle corsie. Confesso che sono un partigiano della medicina olistica, quella, cioè, che prende in carico l’uomo nel suo assieme e non come somma delle sue varie parti. Per questo ho molti dubbi sugli eccessi di specializzazione anche in ambito medico ed invidio la pratica americana (basta guardare una delle tante fiction in materia) dove tutti gli specialisti si riuniscono attorno al malato ed assieme pervengono alla diagnosi e alla cura. In questo ambito il massimo di competenza specifica, compresa quella infermieristica, si sposa col massimo di collaborazione. Da noi non è certo così e, se è giusto puntare ad una pratica multidisciplinare e ad un lavoro di équipe, l’approccio che mette tutte le categorie sullo stesso piano, negando la necessità che in corsia esista, accanto a vasti ambiti di autonomia funzionale, qualcuno che per competenza scientifica ed esperienza sia in grado di prendere decisioni di ultima istanza valide per tutti, vuol dire gettare le premesse per dissidi corporativi, caotica disorganizzazione, prepotere sindacale istituzionalizzato. Ma non è tutto. In Italia ci sono 342.000 infermieri, teoricamente tutti sulla rampa di lancio per il diploma dottorale (oggi l’offerta formativa universitaria è di 13.000 posti l’anno). L’organico attuale risulta, peraltro, basso e l’attività in molti ospedali è intralciata dalla carenza inferm i e r i s t i c a (doppi turni, liste di attesa, bassa utilizzaz i o n e d e l l e strutture chirurgiche e diagnostiche). Il ricorso a cooperative di extra comunitari è diventato necessariamente m a s s i c c i o . Ora, se un certo numero di infermieri laureati, esperti di bioetica, risk management, etnografia, oltre che di assistenza del paziente, è certamente prezioso, resta il quesito sulla cont r a d d i z i o n e obbiettiva tra le nuove classifiche professionali di tutti i neo laureati (o riconosciuti tali ope legis) e le necessità quotidiane dei pazienti e dell’organizzazione ospedaliera. Sarebbe ipocrita pensare che un dottore in scienze infermieristiche non abbia l’ambizione di svolgere, tranne casi eccezionali, un’attività ben più qualificata del pulire il paziente e soccorrerlo nelle sue diurne e notturne necessità. Vi saranno dunque una quota crescente di neo professionisti non vocati a coprire le attuali carenze ma destinati a dar vita a una categoria intermedia, di difficile e costosa collocazione. D’altra parte la carenza degli infermieri tradizionali sarà coperta, nel migliore dei casi, dalla assunzione di nuovi Opa (operatori tecnici dell’assistenza, come vengono chiamati gli ex portantini) e di nuovi Oss (operatori socio-sanitari, i vecchi infermieri generici) autorizzati a «toccare » il paziente. Così senza acquistare una Tac in più, tagliando le medicine, scaricando molti oneri sulle famiglie, la spesa sanitaria salirà ancora senza costrutto. I sostenitori di questa riforma sindacal-corporativa si rifanno volentieri alla realtà anglo sassone. Dell’America abbiamo già accennato. Quanto all’Inghilterra è vero che l’infermiere ha un ruolo indipendente ma l’esempio purtroppo non calza, almeno per noi. L’Inghilterra è la patria del servizio infermieristico. La faccia della signora Florence Nightingale l’hanno messa addirittura sulla banconota da 10 pounds e le hanno dedicato anche una bella statua di fronte al Big Ben. Ma negli ospedali di Sua Maestà il servizio infermieristico è rigidamente gerarchico. Gli infermieri, e infermiere, tutti rigorosamente in divisa e cappellino hanno addirittura i gradi sulle spalline esattamente come i militari (infatti il servizio iniziò come servizio assistenziale militare a seguito dell’esercito inglese e la Nightingale ogni mattina passava in rassegna le sue nurses) e nelle corsie degli ospedali inglesi chi comanda, cioè la caposala o sister, si riconosce subito (non come da noi dove non conta quasi più nulla) essendo tra l’altro dotata di una elegante divisa blu a pois bianchi. Negli ospedali inglesi, infine, la carriera infermieristica è regolata da precise regole e periodici concorsi. Se si passa l’esame si attacca un altro gallone sulle mostrine. Da noi il caporalmaggiore non si distingue dal generale; tanto a far carriera ci pensano le leggi con le relative sanatorie e i rapporti sindacali. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 mag. ’07 ASL8: INDAGINE PENALE SULL'ASSISTENZA NEGATA Dopo che il Tar ha dato ragione all'Asl 8 sulla scelta della cooperativa nell'appalto bandito nel 2005 L'ipotesi: nel passaggio tra coop forse interruzione di pubblico servizio CAGLIARI. Sull'assistenza domiciliare contesa tra le cooperative Adi 2000 e Ctr Scarl Onlus (ex Primavera) si chiude il processo amministrativo con un punto a favore per la Ctr e si apre l'inchiesta penale. Con la sentenza emessa il 9 maggio il Tar ha respinto il ricorso della società che aveva vinto l'appalto nel 2005, poi esclusa su delibera del direttore generale dell' Asl 8, Gino Gumirato (nella foto). Appena notificata la decisione dei giudici amministrativi dunque il servizio passerà - o in qualche modo ritornerà - nelle mani della Ctr. Ma l'interesse della magistratura al caso non finisce qui. La Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo, l'ipotesi di reato è interruzione di pubblico servizio. A destare sospetti c'è il caotico avvicendamento tra le due cooperative avvenuto lo scorso febbraio. Sotto la lente dei carabinieri del Nas sono finiti tutti gli aspetti di una vicenda complessa e intricata, che lambisce anche la gestione della procedura di gara. Primo elemento d'interesse: perché tra gennaio e febbraio i malati sono rimasti senza assistenza, nonostante ci fossero due società che tentavano di accaparrarsi l'appalto del servizio domiciliare a colpi di carte bollate? Un passo indietro per ricostruire le fasi della vicenda. Siamo ai primi di febbraio. La Ctr deve subentrare all'Adi 2000 sulla base di una decisione dell'Asl e di una prima pronuncia del Tar. Succede però che un gruppo di infermieri, provenienti dalla rivale, si dimettono. E' un fuggi fuggi improvviso e imprevedibile, che sguarnisce l'organico della cooperativa. La conseguenza immediata è che alcuni pazienti vengono abbandonati, la Ctr ammette di non essere in grado di fornire l'assistenza e l'Asl è costretta a chiedere aiuto all'Adi 2000: non c'era altra scelta. Gli inquirenti, che fanno capo al pubblico ministero Emanuele Secci, vogliono capire se ci siano stati accordi o magari ipotesi più gravi, come pressioni e condizionamenti esterni per far finire in panne l'assistenza domiciliare e rimettere tutto in discussione. Accertamenti sono in corso anche sulle prestazioni realmente erogate al momento dell'aggiudicazione della gara da tre milioni di euro. Destituito l'ex responsabile del procedimento Bruno Floris, l'Asl ha cercato di ristabilire l'ordine e ha scoperto che su 652 prestazioni previste dal contratto d'appalto 212 risultavano scadute: i pazienti era già guariti. Mentre sulla carta erano conteggiate 27 visite a persone che in realtà erano morte, mentre sei risultavano dimesse. Le domande sono inevitabili: qualcuno ha finto di prestare assistenza, oppure si tratta solo di quel margine del venti per cento da considerarsi variabile sui tre milioni di euro di appalto? Lo stanno verificando i militari, con interrogatori a tappeto. Gumirato, dal canto suo, si dichiara soddisfatto della decisione del Tar che in sostanza avvalla la sua scelta di preferire la Ctr: «E' la dimostrazione che il comportamento dell'Asl è stato trasparente» ha detto nel corso di una conferenza stampa. Non è mancato un riferimento al rapporto di lavoro che il manager aveva proprio con la cooperativa che l'ha spuntata: «Sono stato consulente per cinque anni della Ctr - ha confermato il direttore generale dell'Asl 8 - e ora sto valutando l'ipotesi di perseguire chiunque abbia fatto allusioni ad un mio conflitto di interessi». ____________________________________________________________ Repubblica 12 mag. ’07 PRIMARI OSPEDALIERI, STOP AL LAVORO PRIVATO Il disegno di legge riguarda anche i direttori di dipartimento. Se le regioni non intervengono, le Asl potranno acquistare spazi esterni per le attività Intramoenia, ripristinato l´obbligo di esclusiva. Via libera al ddl sicurezza - Le Asl incaricate di coordinare le prenotazioni e fatturare gli incassi MARIO REGGIO ROMA - Intramoenia atto terzo. La nuova versione dell´attività privata in ospedale è stata approvata ieri dal Consiglio dei Ministri. Il disegno di legge, presentato dal ministro Livia Turco, comprende anche le norme sulla sicurezza delle strutture sanitarie e la gestione del rischio clinico. Quindi ogni Asl dovrà creare squadre di ingegneri sanitari, con il compito di collaudare i nuovi macchinari, ed équipe di medici ed infermieri per limitare gli errori nell´assistenza dei pazienti. Il disegno di legge contiene anche una novità assoluta: le camere di conciliazione per risolvere le vertenze tra medici e cittadini e consentire quindi risarcimenti più veloci. La terza puntata dell´intramoenia ripristina l´obbligo dell´esclusività di rapporto con il servizio sanitario nazionale, quindi nessun impegno di lavoro privato, per i dirigenti sanitari di unità complessa: primari e direttori di dipartimento. Un punto centrale della riforma introdotta dall´allora ministro Rosy Bindi e cancellato dal governo di centrodestra. Ma il primario potrà ripensarci al termine della durata dell´incarico, di norma tra i 5 ed i 7 anni, per tutti gli altri incarichi dirigenziali è consentita la scelta tra rapporto esclusivo o lavoro privato esterno, alla scadenza dei contratti individuali, di regola dai 3 ai 5 anni. Per la realizzazione degli spazi all´interno delle strutture dell´ospedale per l´intramoenia scatta un´altra, forse l´ultima, proroga: le Regioni avranno tempo fino al 31 luglio del 2008. In alternativa le Asl potranno acquistare o affittare spazi esterni. Le stesse Aziende sanitarie fisseranno un tariffario "equo ed adeguato" per ogni prestazione. Ma non basta. Sarà ancora la Asl a coordinare le prenotazioni a fatturare ed incassare i soldi della prestazione. Poi al medico verrà accreditata la somma stabilita dal tariffario. «Questa iniziativa legislativa - ha dichiarato il ministro Livia Turco - è stata determinata dall´urgenza di intervenire sul sistema dell´attività libero- professionale della dirigenza sanitaria del Ssn per garantire questo diritto dei medici e questa opportunità per i cittadini, ma nel segno della trasparenza e della legalità». «Giudizio positivo nel suo complesso ma dobbiamo avanzare anche delle riserve - ha detto Vincenzo Carpino, Presidente dell´Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani - e sul servizio di ingegneria clinica da molto tempo chiediamo il coinvolgimento della figura dell´ingegnere biomedico». Critico Massimo Cozza, segretario nazionale della Cgil-Medici: «Basta alla proroga infinita degli studi privati dei medici pubblici. I medici che credono nella qualità della sanità pubblica e del proprio lavoro, chiedono pertanto una normativa diversa che impegni il ministro della Salute e le Regioni a consentire una libera professione trasparente dentro le mura del Ssn». Il testo contiene, infine, a parere dell´Anaao luci ed ombre. «I provvedimenti recepiscono elementi positivi a cominciare dal ruolo riconosciuto alle organizzazioni sindacali e al Collegio di Direzione nel passaggio ad un sistema finalmente stabile e certo che metta fine al periodo delle proroghe. Ma non si parla di rivalutazione dell´indennità ferma a sette anni fa». ____________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 18 mag. ’07 DISAGIO, SI RIPARTE DA VILLA CLARA apre il centro di salute mentale q Unaspesadidue milioniemezzo:così l'Aslpuntatuttosulla prevenzionesociale GrandeCagliari 3 Il nuovo centro di salute mentale a Villa Clara GIUSEPPE UNGARI Cinzia Isola cagliari@epolis.sm ? La tutela della salute mentale riparte da uno dei luoghi simbolo del disagio psichico. Sarà l’area di villa Clara, infatti, ad ospitare il nuovo Centro di salute mentale. L’apertura è prevista per il primo giugno, ma la struttura, la prima realizzata in città, sarà inaugurata lunedì prossimo alla presenza del ministro Livia Turco. Prevenzione, cura e riabilitazione sono le parole chiave del nuovo approccio alla malattia mentale. Un percorso che, associando la cura farmacologia ad un programma di abilitazione e formazione, punta al reinserimento sociale e lavorativo del paziente. Ma la struttura ha come obiettivo anche quello di offrire un sostegno alle famiglie che potranno chiedere assistenza e ospitalità per propri congiunti nei momenti di difficoltà. ANCHE SE IL CENTRO punta a sviluppare la sua attività attraverso un lavoro multidisciplinare, non solo in ambulatorio ma anche, seguendo le linee guida del piano sanitario regionale, offrendo assistenza domiciliare. Per quest’anno e per il 2008, i fondi a disposizione preventivati per la salute mentale sono 12milioni di ero per il biennio. Soldi che serviranno per la gestione dei centri di salute esistenti e per quelli che saranno realizzati a breve. Per realizzare la struttura, 1600 metri quadrati, ci sono voluti 2milioni e 400mila euro. Il centro, circondato da 2mila metri quadrati di giardino, ha due stanze e qu att r o p o s t i l e tt o , s a l e d’aspetto e sala riunioni accoglienti e confortevoli. Ma la maggior parte degli spazi saranno dedicati ad attività abilitative, formative e di socializzazione. La sede sarà operativa 24 ore su 24 e sette giorni su sette, ma sarà aperta al pubblico dalle 8 alle 20. Al suo interno sarà impegnato uno staff composto da otto medici, 24 infermieri, 3 psicologi, 2 assistenti sociali e 3 educatori. A supportare il lavoro dei sanitari, è prevista la collaborazione di associazioni culturali. «C'e' la volontà di realizzare attività musicali, teatrali e letterarie- ha spiegato Giovanna Del Giudice, direttore del Dipartimento di salute mentale- tutto il parco sarà gestito dalle cooperative sociali. Il nostro obiettivo è che i pazienti seguiti dall'equipe medica possano essere inseriti in progetti lavorativi». Un modello di integrazione rimarcato da Gino Gumirato, direttore generale della Asl 8. «Tra i nostri obiettivi c’è anche quello di abbattere il muro che separa la Cittadella sanitaria dal parco di Monte Claro. Una richiesta avanzata dallo stesso presidente della Regione, Renato Soru». Intanto, già da lunedì, il cancello che divide Monte Claro da Villa Clara sarà aperto. In questo modo si potrà transitare liberamente da via Cadello. ? ________________________________________________________________ La Stampa 19 mag. ’07 GIOVANI MEDICI: LO STATO CI RUBA UN ANNO ESAME DI ABILITAZIONE PER 1 LAUREATI NELLA SESSIONE Di MARZO E'FISSATO DOPO L'INIZIO DEI CORSI Di SPECIALIZZAZIONE La rivolta dei giovani medici; "Non possiamo entrare in Specialistica" MARCO ACCOSSATO TORINO Circa duemila futuri medici, laureati nella sessione di marzo, non potranno affrontare gli esami per entrare in Specialità, perché la data della prova è stata fissata quindici giorni prima del test di abilitazione che i neo laureati dovrebbero invece aver già sostenuto. Così, un esercito di persone (200 solo all'Università dì Torino) perderà un anno fra te maglie di una burocrazia che li discrimina rispetto ai «colleghi» laureati nel medesimo Anno Accademico 2005- 2006, ma nelle sessioni precedenti di giugno e ottobre, che hanno sostenuto l'esame di abilitazione a febbraio. Un assurdo, che in tutte le regioni dove ha sede una Facoltà di Medicina ha moltiplicato le proteste e sta per scatenare una rivolta: è stata già presentata un'interrogazione a ministro dell'Università Fabio Mussì, mentre a Catania, Ferrara e Bologna gli «abilitandi hanno fatto appello a rettori e presidi. Intanto qualcuno annuncia di voler imboccare la via dei Tar. Ma la protesta dei medici discriminati rischia di spingersi oltre, minaccia di approdare a Roma ed esplodere in un manifestazione di piazza davanti al Miur. Angelo Battaglia, portavoce della protesta, ha scritto al ministro Mussi, ai rettori delle Università, ai presidi di Medicina ai direttori delle Scuole Specializzazione e alla Federazione de gli Ordini dei Medici: «A differenza di quanto avveniva in passato - spiega - da quest'anno i bando per l'accesso alle Specialità prevede, come requisito indispensabile, l'abilitazione alla professione di medico chirurgo Peccato che l'esame per l'abilitazione sìa stato fissato il 181uglio, quindici giorni dopo l’inizio del concorso relativa alte Scuole di Specialità, la cui prova scritta sarà il 3 luglio». Una svista clamorosa, nella quale c'è chi vede in realtà non un «incidente di percorso», m una manovra calcolata: «Dal prossimo anno - ripete piu’ d'uno - gli specializzandi non dipenderanno infatti più da borse di studio, ma avranno un contratto, e costeranno quindi alle casse della Sanità in crisi 23 mila anziché li mila euro». All'origine della situazione c'è una modifica del regolamento nazionale sulle modalità d'ammissione, dei medici alle scuole di specializzazione: articoli 2 e 6 della legge 172. In sin, tesi: «In passato - dice Fabrizio Manfredotti, neo laureato a Torino - era consentito iscriversi da subito alla specialità, "sub condicione", a condizione cioè 1 che si superasse poi l'esame di Stato entro la prima sessione utile all'effettivo inizio dei singoli corsi. Oggi non è più così . lo studente che si laurea dopo la sessione di ottobre, potendo sostenere solo il test di abilitazione a luglio, deve attendere più di un anno per poter proseguire gli studi, dilatando ulteriormente il già interminabile iter formativo del medico chirurgo: sei anni per la laurea, a più cinque o sei anni per la specializzazione». La protesta cresce. Al di 1a degli atti formali come l’interpellanza del senatore Massimo Fantola (Udc) al ministro, è nato un forum online {http://ricorsospecializzazionimedicinaechirurgia.forumfree.net}. La richiesta è di ripristinare la sub condizione, «almeno per i prossimi due anni, per cancellare l’ingiustizia e un trattamento iniquo». Non solo: «Chiediamo che il Ministero suggerisca alle Facoltà di riformulare, entro un anno, i propri piani di studio, in modo che gli studenti possano laurearsi con maggiore facilità nella sessione di luglio». Un modo i per evitare di buttare al vento un anno dì formazione specialistica e di lavoro futuro. In ogni facoltà d'Italia dove ci siano studenti esclusi dall'esame de13luglio è stato chiesto ai direttori di Specialità di sottoscrivere una petizione. Molte le firme già ottenute dai professori. Perché sia cancellata l'incongruenza che si aggiunge a un altro paradosso in Medicina: l’esame di ammissione fissato in estate, nove mesi dopo la data in cui gli studenti dovrebbero cominciare le lezioni e la formazione in ospedale. ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 mag. ’07 PENALIZZATI 1800 STUDENTI DELLE FACOLTÀ ITALIANE DI MEDICINA Parte da Sassari la protesta dei laureati che rischiano di perdere un anno Congelati cento neo-medici SASSARI. E’ una protesta che riguarda ogni città che possiede una facoltà di Medicina, e che ha appena sfornato studenti freschi di laurea. I futuri medici, per una “svista” di 15 giorni, rischiano di restare sfaccendati per un anno intero. A Sassari sono 39, a Cagliari 59, in tutta Italia oltre 1800. Il problema è semplice: quelli che hanno discusso la tesi tra ottobre 2006 e aprile 2007 possono sostenere l’esame di Stato il 18 luglio. Il Ministero, però, ha stabilito che per accedere alle selezioni delle scuole di specializzazione occorre l’abilitazione, e ha fissato le prove scritte di ammissione il 3-4 luglio. «Ci siamo laureati nella sessione di marzo - dicono una decina di studenti Sassaresi - se il Ministro dell’Università Fabio Mussi non farà un passo indietro e rivedrà le incongruenze nelle date, sosterremo l’esame di Stato il 18 luglio ma saremo tagliati fuori dalle selezioni per le scuole di specializzazione le cui prove restano fissate il 3 luglio. Basterebbe far slittare questa data di 20 giorni per dar la possibilità anche a noi di partecipare al concorso». Non esiste un organo ufficiale che rappresenti gli specializzandi. Ma il senso di ingiustizia è un ottimo collante e gli studenti stanno facendo gruppo. La protesta si sta amalgamando sui Forum, le lettere indirizzate a Roma provengono dagli Atenei di tutta Italia. «Noi per adesso abbiamo avuto dei colloqui informali con il rettore Alessandro Maida, col preside di Facoltà Giulio Rosati e domani parleremo col presidente dell’ordine dei medici Agostino Sussarellu». Il quale è sicuramente dalla loro parte. Dice: «La colpa è dell’enorme ritardo nella predisposizione del bando da parte del Ministero. Se i tempi fossero stati rispettati, le selezioni per i corsi di specializzazione sarebbero avvenute sette mesi fa e questo disguido non si sarebbe creato. A questo punto, però, credo sia oppurtuno correggere quella che io ritengo essere una svista, e spostare gli esami di almeno tre settimane, in modo da consentire ai laureati della sessione di marzo di poter conseguire l’abilitazione e ottenere il requisito di accesso alle prove». Anche su Internet il malumore dei neolaureati sta prendendo forma. Qualcuno addirittura non crede all’ipotesi della distrazione nel predisporre il calendario e sente puzza di bruciato. La tesi è questa: da quest’anno gli specializzandi non saranno pagati più con le borse di studio (920 euro al mese netti, senza contributi), ma saranno contrattualizzati (1400 euro più contributi). Per lo Stato il costo di ogni medico passerebbe da 11 mila euro all’anno agli attuali 23 mila. E’ risaputo che le casse della sanità sono esangui. A questo punto 1800 contratti in meno potrebbero essere un bel risparmio. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 mag. ’07 FORDONGIANUS: BISTURI DI EPOCA ROMANA Forum Traiani, accanto alle terme c'era un ospedale Accanto alla terme, a Forum Traiani, c'era anche un ospedale. Forse una clinica militare, ovviamente di epoca romana, della quale non era mai stata trovata traccia. Qualche settimana fa però i bisturi utilizzati dai chirurghi nella casa di cura di Fordongianus sono stati recuperati dai militari della Guardia di finanza di Oristano. Una decina di strumenti medici saltati fuori per puro caso, nel corso di una perquisizione che certamente non aveva l'obiettivo di recuperare importanti reperti archeologici. La scoperta, secondo gli storici, è sensazionale. Di un ospedale romano in Sardegna, infatti, non si aveva notizia. Quello di Forum Traiani è il primo, simile a quello di Rimini. I bisturi recuperati nell'Oristanese sono identici a quelli ritrovati nella "Casa del chirurgo" di Pompei realizzata intorno al III secolo avanti Cristo. Strumenti raffinati, in alcuni casi molto simili a quelli utilizzati attualmente nelle più moderne sale operatorie. «Un ritrovamento incredibile, eccezionale», commenta Raimondo Zucca, archeologo e docente dell'Università di Sassari: «I finanzieri di Oristano ci hanno restituito un vero tesoro. Quelli sequestrati sono strumenti rarissimi, che offrono una testimonianza in più sulla importanza di Forum Traiani e sulla vita che si svolgeva». Ai tempi dei Romani, anche se gli antibiotici ancora non esistevano, i chirurghi qualche tecnica l'avevano già imparata. Nel periodo imperiale, in particolare, la chirurgia fece notevoli passi in avanti: vennero adottate anche nuove terapie e realizzati strumenti sempre più adatti agli interventi. In un trattato di medicina, scritto nel II secolo dopo Cristo da Galeno, si discute di tecniche chirurgiche e si dibatte delle terapie per curare per esempio il labbro leporino. Un medico molto noto, nel secolo successivo, fu Antillo, che pare praticasse con successo interventi alle palpebre, alle guance, alla fronte e al naso. La nascita dei primi ospedali, secondo gli storici, risale al periodo successivo alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, anche se lo sviluppo degli studi venne rallentato dalla disapprovazione della chiesa per le incisioni sanguinarie. I reperti ritrovati qualche settimana fa sono stati analizzati dallo studioso oristanese Tanino Demurtas e da domani saranno esposti nelle sale dell'Antiquarium Arborense di Oristano. Oltre ai bisturi romani al museo archeologico cittadino saranno donati altri reperti sequestrati nei mesi scorsi dalle Fiamme gialle. Tra i quali c'è un altro pezzo considerato dagli studiosi di particolare importanza storica: un'anfora in bronzo che non ha meno di tremila anni di storia. Il vasetto askoide, conservato miracolosamente integro, secondo il parere del sovrintendente archeologico della Sardegna, risale sicuramente all'inizio del'Età del bronzo, cioè tra il 1300 e il 900 avanti Cristo. Il tutto era stato sequestrato a bordo di un'auto bloccata per caso dai finanzieri del comando provinciale di Oristano. Nel cofano c'era anche il resto di un tripode di origine cipriota, una quarantina di manufatti in bronzo (tra i quali i frammenti del copricapo di alcuni bronzetti e di una barchetta votiva di periodo nuragico), sedici pezzi di pugnali e di lance in bronzo. Ma anche un anello e alcune lamine non lavorate. Nicola Pinna ____________________________________________________________ Repubblica 17 mag. ’07 BISTURI, MOLTO PIÙ DI UN FERRO DEL MESTIERE La storia dell'alleato inseparabile del chirurgo: perfetto e insostituibile, dagli Egizi a oggi di Johann Rossi Mason Cosa sarebbe la chirurgia senza il suo strumento di elezione, il bisturi? Non ci soffermiamo quasi mai a pensare quanto sia importante questo piccolo ma affilatissimo coltellino, conosciuto dai Maya che, lo usavano di bronzo o di ossidiana per eliminare tumori esterni. Mentre Greci ed Egizi erano in grado di utilizzare il cauterio già 5000 anni fa per operare il cancro della mammella. Accade spesso alle cose semplici, di essere così perfette da rimanere immutate o quasi, nei secoli: "Oggi il bisturi è molto simile a quello di un secolo fa, uno strumento molto affilato che può avere lama fissa o rimovibile, con un manico antiscivolo per garantire una presa perfetta al chirurgo, che può essere anche usa-e-gettaì" spiega Roberto Tersigni, presidente della Società Italiana di Chirurgia e del Collegio Italiano di Chirurgia. "La lama è di acciaio inossidabile "martensitico", con una percentuale di carbonio all'1% e di cromo al 17% il che conferisce al metallo una particolare capacità di taglio e resistenza". Il diretto erede del bisturi a lama o "freddo" è l'elettrobisturi, un generatore elettrico ad alta frequenza, capace di tagliare, coagulare i tessuti o fare entrambe le cose nello stesso momento. "Uno strumento ormai diffusissimo e prezioso", spiega Tersigni, "per tagliare non è necessario effettuare una pressione. Dalla macchina partono due elettrodi, uno neutro che viene posizionato sul paziente e uno attivo tenuto dal chirurgo che indossa guanti di lattice. La corrente quindi scorre attraverso il paziente dall'elettrodo attivo a quello neutro e la potenza viene decisa dal chirurgo. Nuovi bisturi utilizzano invece gli ultrasuoni che consentono di effettuare manovre chirurgiche meno invasive. I tessuti sono rispettati. I bisturi ad ultrasuoni sono in grado di effettuare dissezioni, coagulo e taglio dei tessuti molli e sono usati in chirurgia generale, pediatrica, ginecologica, urologia ma anche cardiochirurgia e nella chirurgia d'urgenza". La tecnologia avanza, ma il rischio è che i giovani medici siano molto abili nell'utilizzare gli strumenti più raffinati e meno preparati ad affrontare situazioni che necessitino del bisturi classico, a lama. Proprio nella chirurgia d'urgenza è necessario saper intervenire in condizioni critiche e, se per caso va via la luce, non c'è tecnologia che tenga, la mano non può tremare: manualità rimane una parola fondamentale nel lavoro del chirurgo. ____________________________________________________________ Repubblica 17 mag. ’07 PREMIATA FARMACIA GOOGLE Quasi 16 milioni di italiani cercano informazioni di tipo medico-sanitario su Internet. I pro e i contro di Johann Rossi Mason Oltre 20 milioni di persone in Italia usano ormai Internet e il 78% di questi navigatori, circa 15,6 milioni, negli ultimi 12 mesi ha navigato per trovare informazioni su malattie, disturbi e terapie. Tra le patologie di maggiore interesse per gli internauti mal di testa, mal di schiena, obesità, allergie e malattie stagionali per cui si cercano soluzioni e farmaci. Sono i risultati di una ricerca condotta da Millward Brown e commissionata da Google e Edra, un gruppo editoriale presente in rete con il sito www.dica33.it . Come ha spiegato Salvatore Ippolito, della Millward: "Internet è la principale fonte di ricerca su argomenti di interesse medico per il 66% dei navigatori, circa 13,2 milioni di persone, cui segue il medico e il farmacista che affiancano l'utente nelle sue decisioni riguardo la salute e i disturbi minori, curabili con farmaci da banco". Secondo l'indagine motori di ricerca e portali sono le principali risorse utilizzate per ottenere notizie: "Il 73 per cento degli utenti", prosegue Ippolito, "usa i principali motori di ricerca: Google è in testa con il 50% delle preferenze. E il 51% si rivolge a portali e siti specialistici, mentre il 47% cerca informazioni su siti stranieri. Un importante ruolo riveste anche la comunicazione pubblicitaria: abbiamo notato che il 56% dei navigatori esposti alla pubblicità, specie televisiva, negli ultimi 3 mesi ha poi acquistato il farmaco, e tre quarti di loro hanno cercato di approfondire con una ricerca in rete". Una potenzialità ancora tutta da sviluppare, riconosce Maria D'Amico, dell'assessorato alla Sanità della Regione Lazio: "Il sito istituzionale esiste, ma non è mai stato pubblicizzato adeguatamente. Eppure potrebbe essere un'interessante interfaccia tra Regione e cittadini. Purtroppo siamo un po' indietro in materia". ____________________________________________________________ Corriere della Sera 18 mag. ’07 PERCHÉ L' ESERCIZIO TIENE LONTANA L' IPERTENSIONE? Fare attività fisica da giovani riduce il rischio di diventare ipertesi più in là con gli anni. Lo suggerisce uno studio dell' Università del Minnesota, negli Usa, condotto su più di 4mila individui tra i 18 e i 30 anni seguiti per 15 anni. Quale legame c' è tra pressione ed esercizio? Dalla nascita ai 18 anni c' è una crescita graduale della pressione fino al raggiungimento di valori standard (circa 120/80), dovuta a un' attiva vasocostrizione, ovvero un restringimento dei vasi sanguigni. Questa vasocostrizione attiva riprende negli adulti che diventano ipertesi (circa 20%) e in circa il 5% degli adolescenti, per diversi motivi. Attività fisica vuol dire anche far fare ginnastica alle arterie e stimolarne la dilatazione. Che tipo di attività giova alla pressione? Tutte le linee guida mediche mettono al primo posto il consiglio di fare attività fisica. Io aggiungo che questa andrebbe praticata sin da piccoli ed essere divertente. Un' attività che piace, spesso un gioco (dal tennis al calcio) o il ballo, è più efficace perché dà una garanzia di continuità. Come deve comportarsi chi è già iperteso? Se già in terapia con un buon controllo pressorio può fare attività fisica ma non di tipo isometrico come per esempio il sollevamento pesi. Se ha già avuto un infarto o un ictus l' esercizio va bene, ma deve essere moderato e fatto sotto stretto controllo medico. a cura di Antonella Sparvoli ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 mag. ’07 SANITÀ, IL RILANCIO DEL GOVERNO Turco contro la politica piovra - Padoa-Schioppa: migliorare ancora i conti Prodi: un quadro di certezze per l'industria farmaceutica Roberto Turno ROMA Un Servizio sanitario pubblico che sia anzitutto una vera fabbrica di salute, uguale a tutte le latitudini e per tutti gli italiani dal Nord al Sud. Ma che sia anche fattore di crescita economica, di sviluppo, di volano della ricerca made in Italy, di opportunità per le imprese, a cominciare da quelle del farmaco. Un Ssn; che, proprio per queste grandi ambizioni, deve spazzare via tutte le logiche anti-crescita. E una, tra tutte, è forse la prima mossa da fare: «Serve un grande sforzo per tenere lontano la cattiva politica dalla Sanità». Il grande sogno è del premier, Romano Prodi.,E quello del ministro della Salute, Livia Turco, ne è il corollario: «Lavoriamo tutti insieme verso una nuova primavera della sanità italiana». Sogni, ambizioni, sfide, grande riforme da realizzare. Ma tanti trabocchetti da evitare, sempre che davvero esista la capacità di abbandonare antiche rendite di posizione.«Per una Sanità dalla parte del cittadino»: questo il titolo, lo slogan e il filo roso conduttore della mega convention organizzata ieri dalla Salute nelle austere aule del Cnr, a Roma. Presente tutto l'universo del settore, come sempre, ancora una volta, al bivio tra le emergenze del momento e le grandi sfide da affrontare: Come quelle dei conti. Sulle quali il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, non s'è sottratto: molto s'è fatto, e positivamente, in questi dodici mesi, ha detto, ma «occorre fare di più spendere di meno, economizzare risorse». Altra sfida, forse la vera sfida, che si può vincere anche rifiutando «la teoria che tutto è uguale: tutto non è uguale, il riconoscimento del merito è la cosa fondamentale». «Via la cattiva politica» L'aveva detto per prima, in mattinata, Livia Turco: «Sono una donna che ama la politica e i partiti e proprio per questo soffro i guasti profondi che produce la politica quando s'impossessa della Sanità come una piovra». Dunque: niente cordate politiche o raccomandazioni, solo capacità e meriti: «Tante volte la Sanità è ignorata dalla buona politica, ma la buona politica talvolta è divorata dalla cattiva politica per fini di lucro e di potere». Regole che Prodi ha rafforzato: «Si è già fatto molto, ma vi assicuro che da parte mia e del ministro Turco saranno fatti sforzi ancora più forti. Bisogna premiare il valore e la professionalità e dunque io chiedo agli amministratori e ai partiti di portare avanti la bella politica, qualità che distingue un Paese avanzato da uno arretrato». Il Ssn non è un «grande ammalato», ha detto ancora il premier nel sottolineare che «dove abbiamo solo strutture private il cittadino, poveretto, alla fine non sa proprio come fare». Ma cambiando rapidamente passo, a cominciare da quel «disperante» gap Nord-Sud. RILANCIARE LA FARMACEUTICA Ma non solo. Serve fare del Ssn un grande motore dell'innovazione e della spinta alla crescita, ha detto Prodi. A cominciare dal rilancio del farmaceutico, che deve riprendere un ruolo leader: «Mi sto impegnando personalmente per dare un quadro di certezze all'industria farmaceutica». A fine mese se ne saprà qualcosa dal «tavolo» di settore. Mentre entro giugno, ha confermato la Turco, arriverà sui tavoli del Governo il suo Ddl sull’ammodernamento del Ssn. Tutti l'attendono al varco, si annunciano altri tavoli. Ma il ministro, rivolta a tutti gli operatori del Ssn, è ottimista: «Dobbiamo avere tutti insieme l'orgoglio di ciò che siamo e il coraggio di cambiare». A luglio l'aveva definito il «New Deal» del Ssn.Ieri ha promesso: «Facciamo la primavera del Ssn», La sfida riparte. ________________________________________________________________ Repubblica 14 mag. ’07 I FARMACI SPERIMENTATI AL COMPUTER SUSANNA JACONA SALAFIA Nuovi software simulano alla perfezione le condizioni dlela ricerca in vitro In silico research: questo recentissimo neologismo scientifico ~ anglo-latino indica la simulazione dei processi biologici e delle reazioni chimiche tra molecole e organismi, esclusivamente al computer, attraverso sofisticatissimi software di bioinformatica. Un approccio di ricerca all'avanguardia che riduce le lunghe e costose prove di laboratorio in provetta. O i penosi esperimenti sugli animali. Che possa essere la rivoluzione della farmacologia, con la sperimentazioni informatiche dell'efficacia di molecole e principi attivi, lo ritengono le Fondazioni Carialo e Caritro che hanno destinato un contributo di 1,2 milioni di curo al progetto Nobel / Bioinformatica. Nobel in questo caso sta per Network operativo per la biomedicina di eccellenza in Lombardia, progetto supervisionato dal Renato Dulbecco, che il Nobel l'ha vinto veramente, che ha dato vita lo scorso anno a sei piattaforme tecnologiche, vasti database bionformatici di genetica, genomica e modelli animali, attivando sette network scientifici a Milano con una rete di 28 partner. Adesso l'esperienza milanese formerà il network lombardo-trentino, puntato all'applicazione della bionformatica alla ricerca. Capofila di Nobel/Bioinformatica è il Cosbi, Centre for computational and system biology di Trento, finanziato da Microsoft Research e dall'Università trentina, diretto da Corrado Priami, ordinario di informatica all'Università, che progetta e commercializza avanzati simulatori bioinformatici. Allo studio è un linguaggio informatico in grado di codificare le interazioni delle molecole all'interno delle cellule (proteine, enzimi) per rappresentarle graficamente al computer. Lo staff di ricerca, composto da un gruppo di informatici under 40, in due anni di attività ha portato avanti 25 progetti diversi di biosimulatori. Tra questi il Beta workbench, un sistema informatico per simulare e modellare sistemi biologici ed un nuovo algoritmo per rappresentare la velocità di reazione intracellulare. La bioinformatica, l'applicazione dell'informatica alla scienza della vita, sta attraendo numerosi investimenti privati. Secondo un rapporto dell'Isiìnm, le azìende farmaceutiche stanno investendo circa 700 milioni di curo all'anno a partire dal 1998 in bioinformatica. Il mercato mondiale supera i 30 miliardi di euro. ________________________________________________________________ MF 15 mag. ’07 IL DIABETE NEL MIRINO Medicina Presentati a Mantova nuovi polimorfismi genici corresponsabili della malattia Allo studio una tecnica di imaging per visualizzare le beta-cellule pancreatiche di CristinaCimato Una beta-cellula artificiale in grado di misurare la glicemia dispensare l'insulina necessaria all'organismo; una tecnica di imaging per identificare la massa di cellule deputate alla produzione questo ormone e infine l’identificazione di nuovi polimorfismi genici che predispongono allo sviluppo del diabete. Sono queste alcune delle novità più interessanti emerse all'ultimo congresso -Workshop on diabetes melliturs and related conditions - appena conclusasi a Mantova. Tra gli studi in fase avanzata figura quello per la realizzazione di una beta-cellula pancreatica artificiale in grado di misurare continuamente i livelli di glucosio nel sangue e fornire il corretto fabbisogno insulinico. Una volta messo a punto questo strumento meccanico può rimpiazzare l'attuale approccio terapeutico basato sulle multiple iniezioni giornaliere. «I trapianti di pancreas impongono terapie anti-rigetto da assumere per tutta la vita così come i trapianti delle sole beta cellule presenti nel pancreas e deputate alla produzione di insulina. In quest'ultimo caso, inoltre, solo nel 10% delle persone gli isolotti di cellule funzionano bene», commenta Enzo Bonora, ordinario di endocrinologia all'università di Verona e presidente del congresso, «per questo si sta sviluppando una beta-cellula artificiale che dovrebbe sostituire quella che non funziona correttamente nell'organismo dei malati di diabete». L’unica difficoltà risiede nella messa a punto di un sensore in grado di rimanere funzionante per lungo tempo e che non perda rapidità nel mandare il messaggio all'infusore. Quelli che si hanno a disposizione adesso durano pochi giorni, men tre serve uno strumento che funzioni per mesi o anni. Di recente è stato testata sull'animale una beta cellula artificiale che ha dato buoni risultati per diversi mesi. È invece in fase di ultimazione presso i laboratori della Columbia university di New York una tecnica di imaging che permette di visualizzare queste cellule del pancreas, fino à oggi non osservabili. «A oggi noi possiamo osservare solo il pancreas nella sua complessità, e non riusciamo a isolare visivamente gli isolotti di cellule che ci interessano», continua Bonora, «ma con questa tecnica che sfrutta le potenzialità della Pet possiamo quantificare la massa di cellule e quantificarne anche il difetto. Questo ci permette di mettere a punto terapie mirate a seconda della gravità del singolo soggetto, ma anche di valutare nel tempo la progressione della malattia e l'effetto protettivo che i farmaci hanno su queste beta-cellule». La tecnica potrà essere fruibile entro pochi mesi ed è stata messa a punto quando gli scienziati si sono accorti che un certo tipo di tracciante che viene usato per lo studio delle malattie cerebrali come l’Alzheimer si lega anche a questi isolotti del pancreas. «Ora bisogna raffinare questa identificazione per far sì che la trasposizione del dato captato dalla Pet in quella regione del corpo sia molto preciso nell'indicare il numero di betacellule presenti». Un'ultima scoperta interessante riguarda alcuni nuovi polimorfismi genici individuati recentemente dall'équipe di Philippe Froguel, professore di genetica dell'Istituto Pasteur di Lille e da alcuni ricercatori finlandesi. Alle ultime mutazioni identificate si associa un rischio di diabete molto maggiore rispetto a quello correlato ai polimorfismi individuati negli ultimi anni. «Uno di questi geni», suggerisce aoguel, «è un trasportatore dello zinco nelle vescicole secretorie delle beta-cellule pancreatiche. Quindi se il problema è il trasporto del minerale, si possono mettere a punto farmaci in grado di agire solo in questa direzione». ________________________________________________________________ Tst 15 mag. ’07 PROSOPAGNOSIA: DI CHI SONO QUESTI VOLTI? PAOLA MARIANO Il vostro sguardo si posa su due bellissimi occhi «incastonati» zigomi alti e sopracciglia pronunciate, un uomo scandisce il proprio nome con voce rassicurante, dicendo di essere vostro marito, ma voi, incapaci di dare un'identità a quel volto seppure nitido ai vostri occhi, siete lacerati tra la voglia di fidarvi di lui e l'impulso di fuggire all'abbraccio di uno sconosciuto. La trama di un incubo? Per almeno il 2% della popolazione, un individuo su 50, il risveglio potrebbe essere amaro e svelare una particolare forma di «cecità»: la vista è sana, ma si è incapaci di assegnare a un volto, anche a quello del partner o di un figlio, la sua identità. La prima descrizione dei 57 L'incubo si chiama prosopagnona, dal greco «prosopon» (faccia) e agnosia (deficit generale di riconoscimento) ed è un disturbo neurologico tuttora avvolto nel mistero, benché descritto dal neurologo tedesco Joachim Bodamer già nel 1947. I casi più noti sono dovuti a danni cerebrali (ictus e traumi) e quindi si parla di prosopagnosia acquisita. Gli altri, che solo oggi si sa essere meno rari del previsto, sono probabilmente di natura genetica: il deficit ha esordio precoce e si parla per questo di prosopagnosia dello sviluppo o evolutiva, la forma più misteriosa. La prosopagnosia dello sviluppo, rhe nnè) intprp_qqnrp, niú membri nellIn stessa famiglia ed essere accompagnata da altri deficit di riconoscimento (come quelli E luoghìj è un disturtio tuttora sottodiagnosticato, di difficile studio e chi ne soffre spesso non ne è cosciente. Ma ora all'Università di Harvard, Boston, e alla University College di Londra alcuni «segugi» sono intenzionati a svelare l'arcano. Diretti da Ken Nakayama, i neurologi hanno condotto una ricerca su 1600 individui pubblicata sulla rivista «Current Opinion in Neurobiology», stimando che lei prosopagnosia non riconducibile a danni acquisiti affligge il 2% degli individui, un dato confermato da un lavoro dei coniugi Grúter dell'Istituto di Genetica dell'Università di Munster in Germania: questi hanno anche pubblicato sull'ultimo numero della rivista «Perception» uno studio su casi di prosopagnosia tra persone famose in cui figura anche la primatologa più importante dei nostri tempi, Jane Goodall. Il disturbo, seppure in forma lieve, potrebbe riguardare fino a un individuo su 10. Dunque molti milioni di persone potrebbero essere «malati», senza saperlo. t altresi difficile notarli: lo stesso Thornas Grúter ne era colpito senza che la moglie, Martina, al suo fianco da 20 anni, se ne accorgesse. Convivendo con la malattia, lo scienziato aveva acquisito vari escamotage per riconoscere le persone senza basarsi sul viso. Ma, niente paura, sebbene a ciascuno di noi sia capitato una o più volte di non riconoscere una persona, questa gaff è solo un segno di sbadataggine. Ben diverso è soffrire di prosopagnosia, che toglie la serenità del vivere tra gli altri: lo sa bene Claire che, colpita dal disturbo in seguito ad un'encefalite, ha raccontato alla BBC la sua toccante esperienza: «Non riuscivo a riconoscere mio marito e mio figlio». Claire ricordava tutto di loro, ma i visi erano divenuti quelli di due sconosciuti. La vita diventa un inferno E l'incubo può essere ancora peggiore: molti prosopagnosici, guardandosi allo specchio, non si riconoscono: è un disturbo di identità che può rendere la vita un inferno. E non solo. I prosopagnosici possono andare incontro a vari pericoli, non distinguendo tra volti amici e visi sconosciuti. Per fortuna ci sono vari modi, in genere acquisiti spontaneamente, per aggirare tali impedimenti: i prosopagnosici riconoscono le persone da altri segni distintivi, come i capelli, la voce, i modi di fare, l'andatura. Proprio questa capacità di compensare - spiega Grúter - rende difficile individuare gli individui con prosopagnosia dello sviluppo e compiere seri studi genetici sulla malattia. «Sulle basi genetiche di questa prosopagnosia non si sa nulla, se non il fatto che il deficit ricorre in alcune famiglie. P peraltro impossibile ricollegare in modo univoco una disfunzione del giro fusiforme alla prosopagnosia congenita, perché il confronto tra l'attività del giro nei sani e nei prosopagnosici ha dato risultati contrastanti. In alcuni casi i prosopagnosici avevano livelli di attività del giro sovrapponibili a quelli di persone sane, in altri si riscontrava un'attività abnorme. Forse la prosapagnosia dello sviluppo ha più di una causa e, infatti, i soggetti colpiti hanno spesso anche altri deficit di riconoscimento».posta tra lobo occipitale e temporale, il giro fusiforme. Quest'area posteriore è sede di numerose funzioni visive tra cui, a giudicare da questi pazienti, anche quella del riconoscimento dei volti». Quindi il segreto della malattia si nasconde in questo «fuso»? «Studi con la risonanza magnetica funzionale per immagini in individui sani hanno dimostrato che il giro fusiforme si accende quando viene chiesto di riconoscere dei volti. Ciò non toglie che altre aree oggi non note potrebbero essere coinvolte». Disfunzioni del giro fusiforme su basi ereditarie potrebbero spiegare la prosopagnosia dello sviluppo? ________________________________________________________________ Tst 16 mag. ’07 BIOLOGIA: A CIASCUNO IL SUO CODICE A BARRE Quante specie di esseri viventi esistono sulla Terra? Quante varietà di piante, batteri, funghi popolano il nostro pianeta? Quante coppie di animali dovrebbe ospitare un' arca di Noè in procinto di salpare oggi stesso? Nel corso di oltre due secoli i naturalisti hanno potuto descrivere e classificare circa 1.700.000 specie, un numero che probabilmente rappresenta solo una piccola parte della biodiversità esistente. Tuttavia, è proprio la figura del tassonomo «classico» ad esser considerata una specie in via di estinzione, merce rara, con competenze specialistiche sempre più circoscritte. Capita che alcuni specialisti, divenuti negli anni veri e propri punti di riferimento per numerosi colleghi, se ne vadano in pensione senza aver potuto lasciare in eredità agli allievi la propria esperienza. Episodi come questo (sempre più frequenti, a causa della precarizzazione della ricerca!) gettano nel panico la comunità scientifica, poichè molte delle competenze acquisite vanno perdute. La crescente complessità degli studi ecologici richiede un bagaglio cognitivo difficilmente cumulabile da parte di singoli specialisti: quali strumenti possono dunque assistere la ricerca nel campo della biodiversità? Un gruppo di ricercatori dell'Università di Guelph, in Canada, ha sviluppato qualche anno fa una metodica di «classificazione universale» basata sulla sequenza di una porzione del gene mitocondriale coxl. Partendo dall'idea del cosiddetto «codice universale di prodotto» (noto come «codice a barre»), i ricercatori canadesi hanno osservato che alcune sequenze di DNA possono variare in misura limitata nell'ambito della stessa specie, mentre il grado di variabilità aumenta quando si confrontino sequenze di individui appartenenti a specie diverse. Si può così fissare una soglia di variabilità per ciascun gruppo tassonomico, al di sopra della quale dei gruppi di individui non possono più essere considerati come appartenenti alla medesima specie, bensì a raggruppamenti (taxa) super specifici. Applicando tecniche di analisi bioinformatica sulle sequenze ottenute, campioni ignoti possono essere prontamente classificati, ascrivendoli a specifici taxa. Si riesce così a dare «un nome e un cognome» a qualunque essere vivente. Come nel caso dei codici a barre commerciali, l'uso dei codici a barre specifici richiede la costituzione di banche dati universali, che permettano di attribuire un codice distinto a ciascuna specie. Nasce così nel 2004, sotto il patrocinio della Alfred P. Sloan Foundation, l'iniziativa «Barcode of Life», un consorzio con sede presso lo Smithsonian's National Museum of Natural History a Washington, a cui sono legati numerosi musei di storia naturale, erbari, organizzazioni scientifiche pubbliche e partner privati. Le applicazioni di questa tecnica di identificazione sono ormai numerose e spaziano dalle specie marine o di acqua dolce alla meiofauna del terreno, dagli uccelli agli insetti tropicali, dalle specie patogene di interesse bioterroristico alta fauna selvatica protetta. Nel caso dei pesci, il progetto «Fish& Chips», finanziato dall'Ue, si propone di attribuire un codice a tutte le specie ittiche, disponendo le sequenze specie specifiche su un «microarray» (noto anche come DNA chip, da cui il curioso acronimo dei progetto) utilizzabile per la rapida identificazione di campioni ignoti. Ma quali potranno essere le implicazioni di questa iniziativa? I difensori del «DNA barcoding» affermano che questa tecnologia darà impulso alle collezioni biologiche, abbreviando i tempi richiesti per l'identificazione delle nuove specie. I detrattori restano scettici e obiettano che l'identificazione effettuata su basi genetiche contribuirà a mettere definitivamente in soffitta la sistematica tradizionale, già in crisi, e sarà facile preda di speculazioni commerciali. Certamente, sussistono aspetti metodologici ancora irrisolti. Ad esempio, il gene coxl non rappresenta il marcatore ideale per le piante, dato che il suo tasso di sostituzione è troppo lento e non sempre permette il riconoscimento di specie affini. Inoltre, il «DNA barcoding» permette di affrontare un ambito molto circoscritto della tassonomia, in quanto si limita ad attribuire determinate sequenze di DNA a specie note, identificate attraverso metodologie tradizionali (basate, ad esempio, su caratteristiche morfologiche e fisiologiche). In questo contesto la sua funzione è quella di assegnare campioni ignoti a specie già caratterizzate. Laddove però la specie sia ancora indefinita, la tecnica del «DNA barcoding» rivela i suoi limiti, anche se permetterebbe di scoprire nuove specie cosiddette «criptiche», a cui appartengono individui che non si distinguono morfologicamente tra loro ma soltanto su base genetica. Tassonomi e naturalisti, quindi, non temano rischi d'estinzione: il loro contributo resta essenziale e permetterà di frugare ancora per molti anni tra i misteri della biodiversità ________________________________________________________________ Libero 17 mag. ’07 ANCHE LE MOSCHE SONO DOTATE DI LIBERO ARBITRIO ROBERTO MANZOCCO Le mosche potrebbero possedere una forma - sebbene rozza- di libero arbitrio. Lo sostiene una nuova ricerca compiuta da Bjom Brembs e dal suo team della Libera Università di Berlino. La scoperta, secondo questi studiosi, potrebbe aiutarci a comprendere l'origine di tale caratteristica negli esseri umani e a sviluppare robot in grado di compiere scelte autonome. Quello del libero arbitrio (in pratica la presunta capacità dell'uomo di determinare le proprie scelte autonomamente, liberandosi dai condizionamenti della propria natura biologica) è uno dei temi più antichi e controversi di tutta la storia del pensiero filosofico. Secondo alcuni pensatori se le nostre scelte sono veramente libere allora esse non devono né dipendere da cause rigide (altrimenti saremmo completamente determinati, un po' come degli automi), né essere del tutto casuali (altrimenti agiremmo in modo illogico e casuale). Mentre il dibattito sulla libertà umana è ancora in corso, pochi dubbi sembrerebbero rimasti riguardo agli animali, soprattutto per quanto riguarda le cosiddette "specie inferiori" (come gli insetti), considerate da molti studiosi una sorta di macchine (per quanto complesse) che si limitano a reagire agli impulsi esterni. Intenzionati a verificare (o a smentire) questa ipotesi, Brembs e il suo team hanno sistemato alcune mosche in una stanza completamente bianca e priva di mobili(cioè un luogo in cui gli stimoli visivi esterni erano praticamente assenti). E poi le hanno incollate ad alcuni uncini in modo che potessero muoversi ma senza volare via. Gli studiosi hanno quindi monitorato i movimenti delle mosche scoprendo che essi seguivano modelli matematici di tipo caotico (la teoria del caos è un approccio matematico che studia tutti quei fenomeni che sono intrinsecamente imprevedibili, cioè in cui una piccola variazione delle condizioni può produrre effetti finali molto diversi, proprio come capita nel capo della meteorologia). In altre parole il comportamento delle mosche non era né determinato né semplicemente casuale, e quindi secondo Brembs esso potrebbe essere certamente definito come "libero". Secondo il team tedesco questa scoperta potrebbe aiutarci a sviluppare robot realmente autonomi (utili per l'esplorazione spaziale) e per comprendere meglio le patologie mentali che minano maggiormente la volontà umana, come la schizofrenia o le psicosi ossessivo-compulsive. ____________________________________________________________ Repubblica 17 mag. ’07 TROPPI ERRORI? PIÙ UMANITÀ IN MEDICINA di Guglielmo Pepe Non siamo stati profetici la scorsa settimana quando abbiamo scritto che oggi molti italiani hanno paura di curarsi in ospedale. I fatti successivi dell'ospedale "killer" Taranto hanno tragicamente confermato quel che accade da tempo nel Paese, e hanno rafforzato il convincimento di chi sostiene che in un ospedale si sa quando si entra, ma non quando, se e come se ne esce. Immagino già la critica: la malasanità, gli errori, anche mortali, non inficiano quel che c'è di buono nel nostro sistema (13 milioni di ricoveri all'anno sono tanti). Sono d'accordo: ma se un italiano su tre varca con timore la soglia di un nosocomio dobbiamo farcene una ragione, tentando di affrontare con una terapia d'urto la "malattia". È vero che tutti, ora, reagiscono preoccupati: le vicende dell'ospedale di Castellaneta hanno scosso la sanità e l'intera opinione pubblica. Il ministro della Salute, Livia Turco, ha subito annunciato un piano di intervento, nel quale si parla di errore umano propriamente detto, compiuto dal medico o da altro personale sanitario durante un intervento chirurgico o nella somministrazione di un farmaco o di una terapia, e di errore causato da insufficienze organizzative di sistema. "Ognuna di queste cause può e deve essere affrontata con mezzi efficaci per ridurre la possibilità di errore o l'inefficienza del sistema" recita il documento che ricorda l'istituzione, avvenuta a dicembre, del "Centro di riferimento nazionale sulla sicurezza dei pazienti". Inoltre, d'intesa con le Regioni, diventerà prioritaria la sicurezza dei pazienti. E' stato preparato un sistema per l'allarme sui cosiddetti "eventi sentinella", cioè quelli di particolare gravità che, una volta segnalati, devono essere oggetto di immediate analisi e verifiche per capire cosa non ha funzionato. Obiettivo è di arrivare ad un "Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità" (Simes), che diventerà uno degli strumenti del Nuovo sistema informativo sanitario (Nsis). Se questi - e altri - punti del piano governativo-regionale verranno applicati, è probabile che il numero degli errori (e delle conseguenze nefaste) calerà. Però è meglio non illudersi, perché saranno necessari tempi lunghi e investimenti. Inoltre, piani e protocolli non bastano perché serve soprattutto un approccio culturalmente diverso al problema, che coinvolga medici, infermieri e tutti quelli che entrano in contatto con i malati. Averlo scritto in tempi non sospetti non significa nulla, perciò ripeto un concetto fondamentale: il paziente, il cittadino, l'utente deve essere messo al centro del sistema sanitario. Abbiamo bisogno di più umanità in medicina. Proprio questo è stato il titolo di un convegno appena tenuto dalla Siomi, la società italiana di omeopatia e medicina integrata. La riunione è stata una buona occasione per conoscere da vicino cosa rappresenta questa realtà medico- scientifica. Spesso bistrattata dalla scienza ufficiale. Non a caso, alcuni famosi studiosi italiani hanno firmato un documento per mettere nell'angolo le Medicine non convenzionali, ritenute non efficaci e comunque da sottoporre a sperimentazioni e a prove di validazione. Non si può che sottoscrivere. E infatti siamo andati a vedere, ad esempio, le evidenze scientifiche in agopuntura che, come i lettori potranno verificare con l'articolo di Francesco Bottaccioli, ci sono. E in gran numero: basta volerle cercare. Ma il mondo accademico sottovaluta un aspetto determinante: l'importanza che le Mnc attribuiscono al paziente. Pensare di curare la malattia, senza prestare attenzione alle emozioni, alla psicologia, ai sentimenti della persona, è un grave errore terapeutico. Perciò serve più umanità in medicina: chi la mette in pratica commette sicuramente meno errori di chi pensa solo al farmaco giusto. g.pepe@repubblica.it ____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 mag. ’07 A CACCIA DI CELLULE EMBRIONALI Continua il viaggio nel business delle terapie cellulari cominciato a Kiev, con la denuncia della scomparsa di almeno 200 neonati e il ritrovamento di alcuni corpi sezionati e senza organi in una tomba collettiva. Proprio a Kiev c' è una delle cliniche dove vanno i malati italiani «Voglio far guarire mio figlio» I viaggi della speranza di Gabriele a Kiev. «Sta meglio» Molti malati vanno in Cina. I medici: nessuna certezza DAL NOSTRO INVIATO BONEFRO (Campobasso) - Il viaggio nel mito contemporaneo delle cellule staminali può cominciare dove meno te l' aspetti. Da Bonefro, provincia di Campobasso, ad esempio. A pochi chilometri da qui ci fu la tragedia di San Giuliano di Puglia, con il terremoto che fece crollare la scuola elementare sulla testa dei bambini. Ma per la signora Carmela Di Biase il dramma arrivò tre anni prima, quando suo figlio Gabriele aveva appena 14 mesi e una notte rotolò dal lettino. «Distrofia muscolare di Duchenne» fu la sentenza. E' una malattia degenerativa devastante. La morte arriva attorno ai 25 anni. Piangere non basta e la speranza per Carmela è venuta dall' Ucraina. «Abbiamo saputo di una clinica che a Kiev inietta cellule staminali embrionali in malati come Gabriele. Non me la sentivo di vederlo appassire. Abbiamo tentato». È servito a qualcosa? «Ora i suoi muscoli sono più morbidi, più elastici». Ne è sicura, signora? I medici italiani contestano queste terapie. «Lo so benissimo. Sa quante porte in faccia abbiamo ricevuto? L' atteggiamento ostile, quasi terroristico, di chi ci dice che ci stiamo facendo prendere in giro, che siamo degli illusi. Oppure, ed è ancora peggio, chi neppure ci fa l' onore di un rimprovero. Medici che ci ignorano, che visitano Gabriele e via, senza una spiegazione, perché sanno di non poter guarire. A chi affidarsi? A chi dice che il mio bambino resterà per sempre sulla sedia a rotelle? Che morirà a vent' anni? Oppure a chi ci fa vedere dei progressi? In Ucraina ci hanno spiegato che Gabriele potrebbe farcela, potrebbe rimettersi in piedi. Non è sicuro, ma almeno ci stanno provando». E lei ci crede? «Credo a quel che vedo. Gabriele aveva dolori fortissimi alle articolazioni, tanto da non dormire. Dal primo trapianto di staminali non ne ha più. Lo avevano imbottito di cortisone e sembrava non potesse fare a meno di medicine per il cuore. Il professore ucraino, Smikodub si chiama, ha detto che non ne ha bisogno. Così abbiamo fatto e Gabriele sta bene. Anzi, grazie alle staminali, quest' inverno non si è neppure ammalato. Gli altri anni faceva una bronchite dietro l' altra. Qualcosa è cambiato e se ne sono accorti anche all' ultima visita di controllo all' Università di Napoli. Non gli abbiamo detto del trapianto di staminali perché sappiamo che sono contrari, ma l' hanno trovato così bene da ridurgli i farmaci. Guardi il protocollo terapeutico. Nel novembre 2005 gli avevano prescritto 25 gocce di cortisone, un anno dopo solo dieci. Secondo loro non si guarisce da questa malattia. Allora come ha fatto Gabriele a migliorare?». Ha ragione il premier ucraino Viktor Yanukovich: il traffico di embrioni umani esiste non solo perché qualcuno è tanto spregiudicato da ingannare le donne incinte e distruggere nuove vite. Esiste anche perché qualcun altro chiede e compra a caro prezzo quella sorta di medicina vivente che si produce dalle cellule di feti, embrioni e neonati. L' inchiesta pubblicata lunedì dal Corriere della Sera ha scoperchiato un fenomeno criminale orrendo. Si parla di almeno 200 bimbi scomparsi, ma potrebbero essere migliaia. Risucchiati dal business delle terapie cellulari. Succede in Ucraina, ma il filo che parte da Kiev arriva anche in Italia. Ignari del traffico che sta dietro alcune cliniche sono centinaia i malati italiani che hanno tentato di curarsi in Ucraina, Cina, Perù, Messico. C' è un incredibile ricchissimo mondo sommerso che ruota attorno all' idea delle cellule di scorta e alla speranza che offrono a malati altrimenti incurabili. La mamma di Gabriele paga 20mila euro a viaggio per «curare» il piccolo in Ucraina. Fanno 40mila l' anno. C' è chi si è ridotto sul lastrico, chi si è venduto la casa per tentare la via delle «cliniche delle staminali». C' è un baratro di incomprensione tra chi crede in queste terapie e chi le nega. Ma anche tra chi spera e chi ricerca. Tra profittatori e malati, tra scienziati e leggi che diventano legacci per i loro studi. Lasciamo Bonefro per andare in via Garibaldi, nel centro di Bergamo, e bussare alla porta del laboratorio dottor Martino Introna. Il dottore ci scherza su. Lui, di formazione ematologo, nelle vesti del moderno cavaliere a caccia delle staminali del rimedio universale ci sta a disagio. Le potenzialità ci sarebbero. La prima «fabbrica di cellule» pubblica d' Italia anche, bella e pronta, all' interno dell' ospedale Riuniti di Bergamo. Solo che Introna non può ancora «allevare» le staminali perché la legge gli impone una serie di controlli («compreso il tipo di straccio per la polvere») che stanno scritti in cinque faldoni alti una spanna ciascuno. «E' dal 2003 che tento di adeguarmi a quelle norme, ma non ce l' ho ancora fatta. Siamo un laboratorio e la legge pretende da noi gli stessi standard di una multinazionale farmaceutica. Per me è frustrante, per i malati un' occasione sprecata, ma in fondo è un conforto sapere che qualcuno veglia sulla nostra salute. Sapere che in Italia non ci si improvvisa guaritori e venditori di illusioni». Dottore, è pronto a cambiare idea? Guardi il sito della clinica ucraina in cui tenta di curarsi il piccolo Gabriele. Il ricercatore scrolla le pagine sul computer, legge, trasecola. «Ma questi curano tutto: il Parkinson, l' Alzheimer, la sclerosi multipla, la leucemia, i sarcomi, il diabete, le ulcere, la cirrosi, niente meno che l' Aids e, ovviamente, l' impotenza e già che ci sono pure la frigidità. Sono pazzi oppure imbroglioni belli e buoni. E' scandaloso, che una cosa del genere sia permessa. Danno informazioni vaghe, da manuale di liceo. Fosse vero, anche solo un decimo di quel che dicono...». C' è un numero di telefono toscano sul sito della clinica ucraina e conoscendo una malata di sclerosi disposta a registrare e a riferire tutto, è semplice fissare un appuntamento con la dottoressa Fiamma Ferraro, rappresentante italiana della clinica ucraina. La dottoressa riceve ogni settimana a Siena, a Roma e a Firenze dove dà consulenze sulle terapie cellulari ucraine in uno studio di dentisti. Tra le sue specialità, elencate sulla targa appesa in sala d' aspetto, anche le «intolleranze alimentari», l' «agopuntura» e la «laserterapia». Con queste competenze, la dottoressa dispensa suggerimenti che vanno in direzione diametralmente opposta a quella del dottor Introna. La parcella è di cento euro. «Ho buone notizie per lei - esordisce l' agopunturista - il professor Smikodub ha accettato di trattarla. Ci tengo però che lei sappia cosa fanno queste cellule perché circola talmente tanta non informazione che non ci si capisce più niente. C' è chi dice che fanno miracoli e chi dice che non fanno niente. La verità è una via di mezzo. Miracoli nel senso vero della parola no, danno però alla malattia un tampone importante. Questo di per sè potrebbe già essere visto come un piccolo miracolo. La decisione resta sua perché si tratta di trattamenti costosi». Quanti italiani ha già mandato a curarsi in Ucraina? «In due anni, mi faccia pensare, direi una cinquantina». Ci sono pubblicazioni scientifiche sui risultati ottenuti? «Le posso mandare la lista degli ultimi congressi medici a cui hanno partecipato». Ho visto, ma si tratta solo di riassuntini di venti righe, abstract li chiamano. «I criteri di selezione per questi congressi sono rigorosissimi. Lei non è medico e non può sapere. Vengono presentati migliaia e migliaia di abstract e ne vengono selezionati pochissimi». Falso, la dottoressa approfitta dell' ingenuità della paziente, ma fa nulla, il peggio deve ancora venire. «Sì, c' è il riconoscimento dalla comunità scientifica - dice la dottoressa -. Servono statistiche per approvare questi abstract e se una commissione seria decide di ammetterlo vuole dire che l' ha valutato». In fondo è tutta qui la questione. La corrispondente italiana della clinica di Kiev se la cava con imprecisioni e bugie belle e buone. Ma la questione resta decisiva. Se a dispetto dello scetticismo, delle cautele e delle lentezze della scienza ufficiale, ci sono dei miglioramenti, allora vuole dire che, in qualche modo, le terapie cellulari funzionano e che, quindi, la domanda aumenterà sempre di più e con essa la rete clandestina di raccolta con tutti i crimini connessi. E' un problema da affrontare per tempo. Il direttore del Centro Nazionale Trapianti, Alessandro Nanni Costa, fa un interessante paragone: «Nel campo delle cellule staminali oggi siamo come eravamo quarant' anni fa nei trapianti di organi. Tutti sapevano che era teoricamente possibile, ma solo Christian Barnard in un Paese con leggi elastiche come era il Sud Africa riuscì a dimostrarlo». Vuol dire che la frontiera della scienza delle staminali è in Ucraina, Cina, Perù, Isole Barbados dove le cliniche delle staminali fanno pagare a caro prezzo fialette che non si sa neppure cosa contengano? «Lo escludo - è la risposta secca della neurologa Tiziana Mongini, presidente della Commissione medico-scientifica Nazionale della Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare -. Tali pratiche non hanno alcun fondamento scientifico». Lo stesso dice il professor Silvio Garattini dell' Istituto «Mario Negri». Così come il luminare delle staminali in Italia, Giulio Cossu, che mette in guardia dal rischio tumore. L' elenco dei contrari è lunghissimo. Ma è altrettanto sterminato è quello di chi ci prova comunque. In segreto, quasi come fosse una vergogna. Attraverso un tam tam che parte dalle sale d' aspetto dei centri specializzati e invade Internet in un proliferare di siti dedicati ai malati. Siti che diventano diari, tribune, segnali di fumo ad altri malati in cerca di cure. Tra questi c' è la signora Maria, moglie di un vetraio che si è ammalato di Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla) e che per portarlo a Pechino ha affittato un aereo privato con un' equipe medica a bordo: 150mila euro la prima volta, 100mila la seconda. «Ma mio marito ha ricominciato a mangiare, ad avere la sensibilità del braccio. Come posso pensare ai soldi e non dargli questa chance?». Oppure Luca Barbolini, bolognese, anche lui pendolare per il padre malato di Sla con una clinica pechinese. «Fanno dei buchi nel cranio e iniettano staminali fetali dell' apparato olfattivo. Dopo il trattamento ci sono stati dei miglioramenti, anche se poi è rientrato tutto. Mi sembra che la gente vada fino là per guadagnare mesi di vita. È poi così sbagliato?». Michele Paradiso, bergamasco, è furibondo con gli ospedali che abbandonano sua moglie malata. «Manca il rispetto verso chi lotta per sopravvivere. E allora sono andato a cercarmelo in Cina. Siamo tornati da un mese e mezzo e mia moglie ha reimparato a deglutire. È qualcosina, durerà poco magari, ma almeno non è morta». Anche Mario Melazzini è vittima della Sla. Però è anche medico e presidente dell' Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica. «Ne conosco a dozzine di malati che hanno fatto il viaggio della speranza ad inseguire le staminali. Alcuni hanno anche sofferto e ne sono morti. Non ne hanno reali benefici, solo la sensazione che qualcuno si prenda finalmente cura di loro. I sedicenti professori che maneggiano staminali umane sono banditelli di bassa lega. Io capisco bene la disperazione di chi vuole crederci, ma se si devono spendere soldi lo si faccia per migliorare la qualità della vita che resta. Non per comprare un' illusione». Destinazione Cina o Ucraina *** Le cliniche *** LA MALATTIA Gabriele si è ammalato a 14 mesi di distrofia muscolare di Duchenne, malattia degenerativa devastante che provoca la morte intorno ai 25 anni. LA SPERANZA La madre di Gabriele ha deciso di portarlo a Kiev, nella clinica del professor Smikodub (nella foto), dove si curano questi malati con cellule staminali embrionali IL CONTATTO La rappresentante italiana della clinica ucraina è una dottoressa che riceve a Siena, Roma e Firenze. Dopo una visita da cento euro fissa l' appuntamento a Kiev con il professor Smikodub LE CIFRE La mamma di Gabriele paga 20 mila euro a volta per curare il figlio in Ucraina. Una signora che porta il marito in Cina ha pagato 150 mila euro la prima volta, 100 mila la seconda *** 20mila *** Gli euro che la madre di Gabriele spende ogni volta che porta il figlio a Kiev per le staminali Nicastro Andrea ____________________________________________________________ Corriere della Sera 15 mag. ’07 ITALIANI PIÙ ALTI DI 7 CENTIMETRI Diventeremo (quasi) vichinghi Italiani più alti di 7 centimetri e possiamo crescere ancora Il confronto degli ultimi 40 anni. Un giovane su 5 è già un metro e 80 ROMA - Continua la rincorsa degli italiani agli spilungoni della Scandinavia. Non riusciremo mai a raggiungerli, ma ci stiamo avvicinando sempre di più. Anche perché abbiamo davanti la prospettiva di continuare a crescere fino a raggiungere il cosiddetto «bersaglio genetico», cioè la misura scritta nel Dna della popolazione. Danesi, svedesi e quasi tutti i nordici l' hanno già raggiunto e non hanno quindi possibilità di ulteriori scatti. Noi invece abbiamo ancora a disposizione almeno un paio di centimetri, mediamente, per crescere, dicono gli esperti del settore. La progressione dal 1900, quando l' altezza media degli italiani era di poco più di un metro e 61, è stata continua e anzi in accelerazione. Nel 1965 avevamo guadagnato appena un paio di centimetri, altrettanti 10 anni dopo. Ma nel ' 95 eravamo già a quota 1,68 mentre il traguardo dell' 1,70 è stato toccato nel 2005. Quindi 7 centimetri in più in 40 anni. Se consideriamo che l' altezza media dei maschi, come risulta dagli esami alla visita di leva, è cresciuta di poco più di 4 centimetri (da 1,70 a quasi 1,75 mentre la media delle donne è ora a 1,63) in mezzo secolo, si vede che la statura delle donne è aumentata in media di più di quella degli uomini. Anche se ora un italiano su cinque supera il metro e 80, rispetto al 6 per cento nel dopoguerra. E contemporaneamente è calata nettamente (dal 5 all' uno per cento) la percentuale di giovani la cui altezza oscilla tra 155 e 159 centimetri. CENTIMETRI - «Non si possono stabilire le nostre potenzialità - resta sulle generali Lorenzo Lughetti, pediatra all' università di Modena -. È sicuro però che esiste un ampio margine di miglioramento. I giovani del sud crescono a un ritmo maggiore rispetto ai coetanei del nord». I meridionali nell' ultimo quinquennio hanno guadagnato 2,5 centimetri contro la media di 1,6 del resto della popolazione. Entro la prossima decade si dovrebbe ottenere la scomparsa delle differenze geografiche, della penisola tagliata in due. I più veloci nel recuperare l' altezza mai avuta? I sardi, un tempo noti anche per la loro statura non elevata. «Quando nasciamo, il codice genetico indica tra l' altro le caratteristiche che dovremmo raggiungere in condizioni di vita ottimali», spiega Alessandro Cicognani, presidente Siedp. CONQUISTA - L' ultima conquista nazionale è stata tra gli argomenti del workshop nazionale della società di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp), concluso ieri a Rimini. Malgrado il salto in centimetri, persiste nei genitori il complesso della bassezza. «Che il figlio non cresca abbastanza è timore diffuso - dice Lughetti -. Noi dobbiamo insistere per far capire che la bassa statura non è una malattia e non va utilizzato l' ormone della crescita, il Gh. Le mamme ci chiedono la prescrizione. Ma siamo contrari». ORMONI - A Rimini si è discusso del corretto uso dell' ormone della crescita, da somministrare solo se viene diagnosticato un deficit reale determinato da una patologia. Oggi c' è un farmaco biosintetico, del tutto identico a quello prodotto naturalmente dall' ipofisi. Si stima che ne abbia reale bisogno, per disturbi gravi, un bambino su 4.000. Consigli. Se c' è un dubbio, se il bambino non è il vatusso che vorremmo e a scuola deve sedere ai primi banchi, rivolgersi al pediatra di base: verificherà l' eventuale anormalità dei parametri (misurati con le tabelle dei percentili) e invierà se lo ritiene necessario a uno specialista. L' orientamento invece, denuncia la Siedp, è correre dall' endocrinologo. Errori: arricchire la dieta, somministrare integratori. * * * 2,5 I CENTIMETRI guadagnati dagli italiani nati al Sud nell' ultimo quinquennio. La media del resto della popolazione è di 1,6 De Bac Margherita ____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 mag. ’07 USA: IL FLOP DELLA CASTITÀ ANTI-AIDS Adolescenti Negli Usa spesi miliardi per campagne «moralizzatrici», rivelatesi inutili Sul sesso i giovani italiani sono più prudenti, ma ignoranti Un miliardo di dollari per convincere gli adolescenti americani, maschi e femmine, a mantenersi vergini prima di sposarsi. Risultato: chi ha seguito le lezioni di continenza ha il suo primo rapporto alla stessa età degli altri, in media a 14 anni e nove mesi; il 56% degli aspiranti astinenti, nell' ultimo anno ha fatto sesso (anche con tre o quattro partner) usando il preservativo (definito, invece, inaffidabile dalla campagna). Questi i deludenti esiti del quarto - e penultimo anno - della campagna statunitense «Pepfar», ovvero President' s Emergency Plan for Aids Relief, finanziata con 15 miliardi di dollari, per un terzo da spendere per iniziative dedicate alla «valorizzazione» dell' astinenza come rimedio contro il diffondersi dell' Hiv. Campagna che ha alle spalle i fallimenti di analoghe iniziative - finanziariamente molto più modeste - iniziate già nel 2001, che avevano come punti fermi affermazioni del tipo: «l' astinenza porta a una vita più lunga e più sana», «la rinuncia a rapporti prematrimoniali aumenta le probabilità di un matrimonio felice» e «i preservativi funzionano bene solo in laboratorio e non proteggono dalle malattie sessualmente trasmesse». «Il flop di queste campagne negli Usa è la riprova che il proibizionismo, sia pure condotto con metodi democratici, è destinato al fallimento - commenta Emmanuele Jannini, docente di sessuologia medica all' Università dell' Aquila -. Soprattutto in campo sessuale il proibito diventa stimolo alla trasgressione. L' Aids e le altre malattie a trasmissione sessuale, ma anche gravidanze indesiderate e aborti tra le giovanissime, sono problemi reali e serissimi; per combatterli gli americani meglio avrebbero fatto ad insistere su altri punti fondamentali, come il buon uso del preservativo». E i nostri ragazzi cosa ne pensano della verginità? Secondo un sondaggio del 2005 (di SWG, per Oggi), il 68% delle ragazze e il 44% dei ragazzi pensa sia un «valore da preservare fino all' incontro con il grande amore», anche se solo il 6% dei maschi e il 5% delle femmine è disposto ad aspettare fino al matrimonio. Ma quando arriverebbe questo primo grande amore, o supposto tale? Secondo dati Censis, intorno ai 17 anni per i maschi e ai 18 per le femmine, data dei primi rapporti completi. Meno precoci dei giovani americani, dunque, i giovani italiani e anche molto meno propensi a rapidi cambi di partner: quasi la metà dei giovani (fascia di età oggi molto ampia: dai 18 ai 30 anni) dichiara di aver avuto dai 2 ai 5 partner dall' inizio della vita sessuale (dati Censis). Una cifra tutto sommato modesta, che riduce il rischio Aids. «Oggi in Italia credo prevalga la considerazione che le esperienze sessuali prematrimoniali preparino a una vita intima di coppia più soddisfacente - osserva Jannini -. Ma l' età media dei rapporti è stabile da tempo e non è certo bassa come negli Usa». Gli italiani sembrano anche prudenti: il 70% degli studenti del Nord e Centro Italia, secondo un' indagine universitaria del 2005, al primo rapporto usa il preservativo, mentre la percentuale scende al Sud. Ai giovani italiani «10 in sesso», allora? «L' informazione non basta mai. Anche per i nostri ragazzi. In contrasto con l' apologia della castità, - dice Jannini - intesa non solo come segno di purezza interiore, ma anche come sinonimo di salute, esiste l' opinione, maggioritaria almeno in Italia, che la repressione degli istinti sessuali sia dannosa, specie per i maschi. Si parla di intossicazione da sperma, infiammazione dei testicoli, ipertrofia della prostata, foruncolosi. E forse alcuni si ostinano a credere che la mancanza di rapporti sia la vera causa delle nevrosi, specialmente fra le donne. In realtà, non esiste alcuna prova scientifica che l' astinenza sessuale sia di danno alla salute maschile e femminile. Come non esiste alcuna prova del contrario». «Assurdo anche pensare che una prolungata astinenza - prosegue Jannini - pregiudichi la vita sessuale successiva e altrettanto assurdo è pensare che molti rapporti in una certa età della vita compromettano il futuro, quasi si corresse il rischio di dar fondo alle munizioni. La sessualità, a meno che non si ricorra a sproposito a farmaci, si regola da sé. Ma anche sulla masturbazione forse alcuni non hanno le idee chiare: fino a non molto tempo fa era accusata di causare indebolimento visivo, muscolare, cerebrale. Oggi viene ritenuta utile per la conoscenza della propria sessualità in previsione del rapporto a due. L' autoerotismo non fa danni, purché non diventi ossessivo: il che rappresenta un sintomo, non la causa, di un problema personale». Cesare Capone ____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 mag. ’07 LONDRA: SANGUE DI «PLASTICA» PER L' EMERGENZA ROMA - Potrebbe servire a salvare vite umane in casi di assoluta emergenza, quando non c' è neanche il tempo di arrivare in ospedale e ricevere una trasfusione. Si tratta di un nuovo tipo di sangue sintetico messo a punto dai ricercatori dell' Università di Sheffield, in Gran Bretagna, guidati dal chimico Lance Twyman. La struttura del nuovo ritrovato è simile a quella dell' emoglobina: molecole di plastica con al centro un atomo di ferro in grado di trasportare l' ossigeno per tutto il corpo. Il «sangue di plastica» - leggero, facile da trasportare, che non ha bisogno di essere tenuto al freddo e si mantiene a lungo - in futuro potrà essere utile soprattutto nelle zone di guerra. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 13 mag. ’07 IL MERCATO SELVAGGIO DEGLI ANTI-RUGHE Utilizzati anche filler e tossina botulinica che non garantiscono la sicurezza Fillers iniettati per «riempire» le rughe del viso, o aumentare i volumi di labbra e zigomi. Tossina botulinica inoculata sotto pelle per «spianare» le rughe di espressione. «Ma sul mercato e negli studi medici continuano ad arrivare sostanze sospette, per quanto riguarda sia i filler, sia il botulino» denuncia Emanuele Bartoletti, chirurgo plastico e docente della Scuola internazionale di medicina estetica della Fondazione Fatebenefratelli di Roma. Anche per questo e più in generale per garantire trattamenti estetici sicuri, una Consensus conference, composta da 54 esperti del settore (dermatologi, chirurghi plastici, esperti di medicina estetica) indicati dalle rispettive Società scientifiche, sta preparando Linee guida da sottoporre all' approvazione del Ministero della Salute. «Esistono circa 60 filler, un mercato selvaggio - spiega Bartoletti -. A differenza di quanto avviene negli Usa, dove i filler sono autorizzati dall' ente di controllo Food and Drug Administration, in Italia e nel resto d' Europa non sono considerati farmaci, ma presidi medico- chirurgici. Per essere messi in commercio, quindi, non hanno bisogno di sperimentazioni cliniche, ma del solo marchio di produzione Ce, che garantisce il rispetto delle procedure, ma non qualità e sicurezza del prodotto». La Consensus conference dovrà individuare parametri uniformi per i medici, come le caratteristiche ideali o i criteri di scelta del filler in base al tipo di inestetismo. «Dai primi risultati, - prosegue Bartoletti - emerge che il filler ideale è quello riassorbibile, di durata non superiore agli 8 mesi. E che le sostanze più sicure sono collagene e acido ialuronico». Esistono già, invece, le Linee guida sul trattamento delle rughe glabellari con la tossina botulinica, autorizzata 3 anni fa dal Ministero della Salute come farmaco per uso estetico. «Ma le vendite di botulino autorizzato risultano inferiori di circa il 10% rispetto ai trattamenti effettuati - afferma Nicolò Scuderi, direttore della cattedra di chirurgia plastica ricostruttiva dell' Università La Sapienza di Roma -. Le "eccedenze" potrebbero essere prodotti acquistati all' estero a prezzo più basso, ma potrebbe trattarsi anche di altre forme di botulino, prodotte in Oriente senza rispettare le regole di sicurezza. Negli Usa due pazienti sono rimasti intossicati da un prodotto non autorizzato: era 100 volte più concentrato di quello utilizzato per uso estetico». Maria Giovanna Faiella * * * Le precauzioni Filler: chiedete la «scheda tecnica» Affidatevi a medici esperti: che abbiano seguito corsi di formazione in medicina estetica, dermatologi, specialisti in chirurgia plastica e ricostruttiva. Preferite i filler riassorbibili, prodotti che l' organismo metabolizza e assorbe nel giro di pochi mesi. Chiedete sempre al medico la targhetta dove sono riportati: nome del prodotto, sostanze che contiene, numero di lotto. Sarà così possibile agire con sicurezza in caso di effetti non desiderati e verificare eventuali incompatibilità anche nei trattamenti successivi. Il trattamento è da evitare se siete allergici al materiale da iniettare, durante la gravidanza, o se soffrite di malattie autoimmuni del collagene. * * * Botulino: solo prodotti autorizzati Affidatevi a medici competenti, che abbiano una formazione specifica e siano esperti nella chirurgia o nella medicina estetica del volto. Assicuratevi che il prodotto sia quello autorizzato dal Ministero della Salute. Si tratta comunque di un farmaco e quindi può provocare effetti collaterali. Preferite un ambulatorio medico che utilizzi tecniche sterili e sia in grado di fronteggiare un' eventuale emergenza. Diffidate di chi, prima del trattamento, non verifica le vostre condizioni di salute (interazioni con altri medicinali, eventuali allergie all' albumina, stato di gravidanza). Il trattamento non va ripetuto più di tre volte l' anno. Faiella Maria Giovanna