SEMPRE PIÙ DIFFICILE LAVORARE NELLE UNIVERSITÀ - CANCELLIAMO SUBITO I CONCORSI O PER OL BELPAESE SARÀ DISASTRO - MUSSI SI SENTE RETROCESSO IN SERIE B - MUSSI: CHI CERCA NON TROVA - LAUREATI IN NEPOTISMO - UNIVERSITÀ: LA RIFORMA VA POTENZIATA, NON CANCELLATA - SOSTEST: SIMULAZIONE TEST: APERTE LE ISCRIZIONI - IL DISASTRO DEI TEST DI AMMISSIONE E GLI ABBANDONI DELLE MATRICOLE - I VANDALI? STUDENTI UNIVERSITARI FUORI SEDE - L'ISTRUZIONE? INVESTIMENTO REDDITIZIO - CITATI: RISPOSTA SULL'UNIVERSITÀ A LUIGI BERLINGUER - CARO BERLINGUER AMMETTI: IL 3+2 È STATO UN DISASTRO - UNIVERSITÀ E POLITICI, L’EUROPA È LONTANA - CORSI LA CRESCITA SI È FERMATA: meno 11 (5385) - LA LAUREA PRENOTA IL POSTO VELOCE - COSÌ L'EUROPA PERDE LA SFIDA GLOBALE - POCHI CAMICI BIANCHI, SPESSO BRAVI - IL SOFTWARE VA SUL WEB: È LA FINE DEL SISTEMA OPERATIVO TRADIZIONALE? - ======================================================== TICKET, LA SANITÀ STUDIA CON LE REGIONI IL TAGLIO ALLE ESENZIONI - CHI USA L'ELETTROSHOCK È SCHIERATO A DESTRA - SISAR: E' SCONTRO ANCHE SUL BANDO SANITÀ - I PRESIDI: ATENEO SUL LASTRICO: SOLO FAA È CONTRARIO - ASL1: ZANAROLI VA VIA, I DISAGI RESTANO - ZANAROLI: HO LAVORATO CON I MITRA PUNTATI CONTRO - RADIOTERAPIA, ENTRO UN ANNO QUATTRO ACCELERATORI - RADIOTERAPIA, ENTRO L'ANNO IL CENTRO - BROTZU, L'ALLARME DI MEDICI E INFERMIERI - L'INGEGNERE DELLA LUCE PRESTATO ALLA MEDICINA - COCAINA, RECORD DI PAZIENTI DAL CHIRURGO - QUANDO PET E TAC COLLABORANO - ======================================================== _______________________________________________________________ Italia Oggi 16 giu. ’07 SEMPRE PIÙ DIFFICILE LAVORARE NELLE UNIVERSITÀ Anche l'ultima bozza di regolamento dei concorsi a ricercatore universitario distribuita alla conferenza dei presidi delle facoltà giuridiche (Napoli, 10 maggio u.s) continua a non convincere. Il metodo di selezione si fonda su macrosettori, cioè «aggregati di settori scientifico-disciplinari affini» (art. 2.1 e 5) per ciascuna dei quali debbono essere banditi i concorsi; mentre per oltre un quarto di secolo si è proceduto per microsettori consacrati in atti ministeriali. Un cambiamento così drastico rischia di essere penalizzante per gli aspiranti ricercatori, indirizzati dal sistema in atto verso studi molto specialistici e che rischiano di vedersi apporre dalla commissione giudicatrice la non attinenza dei loro studi al macrosettore nel cui ambito dovrebbero lavorare in seno alle università. Forse il rischio fu avvertito, perché l'art. 2.5prevede, nella seconda parte., che «per uno o più posti del medesimo procedimento concorsuale l'università può richiedere nel banda uno specifico profilo scientifico, espresso esclusivamente mediante l'indicazione dì settari scientifico-disciplinari di riferimento facenti parte del macro settore,, nel numero massimo di due per ciascun profilo». Il limite restringe il varco aperto da questa disposizione piuttosto oscura ed il varco è ulteriormente ristretto dal fatto che «nella stessa sessione [ne sono previste due all'anno] una università non può bandire differenti concorsi per lo stesso macrosettore» (art. 2:3). Lascia perplessi anche la valutazione dei candidati, articolata in due momenti. Nel primo, l'identità dei sette esperti valutatori, estranei all'università che ha bandito il concorso, è coperta da segreto ìn contrasto con il principio di civiltà secondo il quale ciascuno deve sapere chi lo giudica e ne condiziona il futuro, anche per poter esercitare il diritto di ricusazione. Se proprio si vuole seguire questo metodo, che non condivido, anche ai valutatori dovrebbe essere ignota l'identità dei candidati: I valutatori sono sorteggiati, attingendo a due liste redatte dall'Agenzia nazionale di valutazione dell’Università ma nulla è detto sulla conoscibilità di queste liste, sul cui contenuto nessun controllo è esercitatile da quanti vi hanno interesse. Le liste degli esperti sono due. Una è composta da professori di prima fascia di università italiane e da dirigenti di ricerca degli enti pubblici di ricerca italiani (speriamo che siano professori!) (art. 5.2) e da essa sono estratti tre esperti afferenti al macrosettore dì riferimento del concorso (art. 5:4). L’altra lista è formata da studiosi di riconosciuto valore, impiegati stabilmente presso università o centri di ricerca stranieri o internazionali (art. 5.2). Entrambe le liste «sono articolate nei settori scientifico- diseiplinari dì competenza degli interessati» (ivi) e se sono stati previsti ì profili dell'art. 2.5 quattro esperti sono sorteggiati (due ' per lista) fra i «componenti afferenti al settore o ai settori scientifico-disciplinari di riferimento del profilo» (art. 5,5), altrimenti le liste t concorso, che lo sceglie per me e io sarò obbligato a prendermelo. Se il babbo fosse davvero buono, si potrebbe accettare: il problema è che chi dovrebbe decidere per noi non è un padre, ma un padrino, annidato nel concorso nazionale. È lui il responsabile di quel male profondo dell'università italiana che è il nepotismo. Mi spiego meglio: se non si capisce a fondo, direi antropologica mente, quanto il nepotismo sia connaturato all'ethos professionale del docente, si girerà sempre intorno alla questione, proponendo rimedi che aggravano il male. Intendiamoci, si tratta di male comune a tutti i nostri rapporti con il pubblico: anarchici perché l'anarchia deriva da quella tendenza affiliativa che inquina le nostre relazioni nella polis, che è prepolitica e venne da Edward C. Banfield acutamente definita «amorale»: intendendosi qui la morale pubblica. Ma rimaniamo nell'università, dove questa struttura profonda della nostra cultura trova un suo specifico terreno: il rapporto maestro-allievo. Questo rapporto è inevitabile e senza dubbio benefico (all'inizio della carriera) e fa pane della costruzione di quella tremenda passione fredda per la ricerca scientifica che attira alcuni giovani e che ha bisogno di incorporarsi in un maestro. È così ovunque, ma in Italia scatta un meccanismo che trasforma questo legame, corrompendolo in un meccanismo familistico e clientelare: la causa sta nel sistema di reclutamento dei docenti, largamente per concorso nazionale. Quel che si deve capire è che "portare" o "mettere" il proprio allievo in cattedra (ah! l'onestà dei linguaggio) è per il docente un obbligo morale riconosciutogli e, anzi, impostogli dalla sua comunità di pari. Non parlo del medico che mette in cattedra il figlio, parlo della normalità delle cose. Con acuto cinismo baronale il costituzionalista Tesauro diceva che tutti sono capaci di mettere in cattedra l'allievo intelligente, ma solo i più capaci riescono a portare un cretino. E, credetemi, molti ci provano. Questa norma fa si che chiunque si troverà in una commissione nazionale di concorso porterà il suo protetto in barba alle patetiche contorsioni delle regole concorsuali e al merito dei candidati. Ma, dice, faremo il sorteggio. Non funziona. Il sorteggio serve solo a scompigliare un po' le consorterie, ma non a recidere il legame nepotistico maestro-allievo, che è il veleno di cui muore l'università italiana. Ma, dice, abbiamo il commissario straniero. A parte che i membri stranieri delle commissioni per la valutazione delle ricerche dell'anno scorso non hanno ancora ricevuto il rimborso dei loro viaggi, pensate che incoraggiamento per gli altri. Ma quelli erano poche decine, e si trattava di distribuire milioni di euro, come si può immaginare di trovare centinaia di professori stranieri di valore che sappiano l'italiano, disposti a lavorare gratis per giudicare non il grande docente, ma un giovane ricercatore? E dove si trovano? Ma è ovvio, scatta la sindrome "Mon oncle d'Amerique". Negli elenchi andranno a finire, per la maggior parte, gli italo-americani amici degli amici che saranno a disposizione di chi li ha indicati. E poi, il professore straniero sarà forse più onesto, ma mettetelo in una commissione italiana e sarà sottoposto a tutte le dinamiche locali, con l'aggravante che non dovrà risponderne alla sua comunità di appartenenza. Suggerisco un'altra via. Primo. Stabilire la semplice norma che non si diventa cattedratici senza aver passato almeno dieci anni in un ateneo diverso. Quando, come e con chi, è lasciato al singolo docente. Mobilità contro affiliazione. Secondo. Stabilire altresì che può partecipare al concorso per un posto di ricercatore, bandito da un certo ateneo, solo chi viene da un altro ateneo (come dottore di ricerca, laureato, assegnista o qualsiasi altro ruolo) e che per cinque anni (da computare ai fini del decennio di cui sopra) non si può ritornare all'ateneo di partenza. A questo punto si recidono tutte le teste dell'idra. Ci potranno essere accordi locali, io ti do il mio e tu mi dai il tuo, ma non saranno più convenienti, perché il barone ricevente vorrà comunque un giovane bravo che lo aiuti e non si accontenterà di tenersi il servo scemo del collega per cinque anni. Terzo. Automaticamente viene a mancare il principale fattore di nepotismo. I nuovi posti possono essere distribuiti ai singoli atenei (al tasso di vero spreco di circa 10 posti per ateneo in media) che li assegnano alle materie ritenute prioritarie, e i dipartimenti cui sono stati assegnati i posti reclutano per via diretta, sia pure con un bando pubblico, ovviamente escludendo dalle commissioni docenti dell'ateneo di provenienza di uno dei concorrenti. Semplice? Troppo semplice! Se si facesse così si andrebbe nel senso dell'autonomia (come raccomandato dalla Eua, European University Associassion), ma si distruggerebbe quel radicato meccanismo di tutela mafiosa che nel nosrro paese viene fatto passare per meritocrazia concorsuale. La mia profonda inquietudine è di vedere che, mentre tutti i sistemi europei, con minori o maggiori difficoltà, stanno muovendosi in gruppo sopravvento, l'Italia sta di nuovo prendendo da sola il bordo sottovento quello che porta alle secche _______________________________________________________________ L’Unità 22 giu. ’07 UNIVERSITÀ: LA RIFORMA VA POTENZIATA, NON CANCELLATA GIUNIO LUZZATTO Qualche giorno fa Pietro Citati, su Repubblica, ha affermato che le università italiane sono pessime, che il disastro è dovuto alla riforma Berlinguer di sei anni fa, e che «a partire da allora le leggi ministeriali hanno costretto gli studenti a studiare il meno possibile, e soprattutto a non leggere libri». Lo stesso giornale ha pubblicato poi una lettera di risposta di Luigi Berlinguer e una contro-lettera di Citati. In quest'ultima, fautore ironizza sulle statistiche portate da Berlinguer e cita come documentazione un paio di casi singoli di sua conoscenza. Non varrebbe perciò neppure la pena di polemizzare con lui se non fosse oggettivamente esatto che problemi di qualità nella formazione, e altre difficoltà, esistono: si tratta di individuarne le cause vere, per suggerire i rimedi. Fermo restando che le statistiche sono importanti, e che si sono comunque ottenuti alcuni risultati significativi: primo, evitare di tenere persone all'università per molti anni senza consentire a due terzi di loro di concludere gli studi. Le «leggi ministeriali» (espressione molto sciatta) non solo non hanno costretto gli studenti a non studiare, ma avevano dato alcune precise indicazioni atte a tenere alto il livello degli studi. La riforma didattica del 1999 dispone che i corsi di laurea «definiscono le conoscenze richieste per l'accesso», le verificano e «se la verifica non è positiva vengono indicati specifici obblighi formativi aggiuntivi da soddisfare nel primo anno di corso». Dispone anche che per l'eventuale successiva iscrizione a una laurea specialistica venga verificata «l'adeguatezza della personale preparazione». Raramente, anzi quasi mai, le Università hanno applicato queste regole. Quanto ai contenuti del curricolo, il decreto ha solo prescritto che lo studio complessivo richiesto sia tale da consentire a uno studente in possesso di una adeguata preparazione iniziale e correttamente impegnato di concludere il percorso nel tempo previsto. Sono le Università che in molti casi hanno frantumato eccessivamente gli insegnamenti, inducendo a uno studio sbrigativo e superficiale su ognuno di essi; va però rilevato con forza che non ovunque è stato così, e che sono numerose le situazioni nelle quali si è preferito puntare su un limitato numero di discipline fondanti, assegnando ad esse un numero di «crediti» alto a sufficienza per consentire una preparazione solida. Anche la sottovalutazione del titolo di laurea, che comporta una eccessiva tendenza a proseguire gli studi nella laurea specialistica, è stata in parte determinata da atteggiamenti di illustri accademici: è difficile che altri considerino significativo un titolo se chi ne è responsabile lo denigra. Questi sono i problemi veri da affrontare. Proprio da pochi giorni è in vigore un decreto Mussi che ritocca quello del 1999: con la limitazione al numero degli esami una delle questioni sopra ricordate dovrebbe trovare soluzione. Molto più in generale, esso impone agli Atenei un ripensamento autocritico dell'intera attuazione della riforma didattica (per alcuni punti, anch'essi già richiamati, mancata attuazione); la parola d'ordine deve essere una maggiore collegialità. L'autonomia degli Atenei come istituzioni è cosa ben diversa da una sommatoria di individualismi dei singoli professori. La Repubblica ha pubblicato anche una lettera di consenso a Citati, che aveva irriso al fatto che un dottore di ricerca «non possa insegnare nei licei a meno di seguire altri quattro semestri di carattere pedagogico»; una ricercatrice universitaria che per motivi personali vuole lasciare la sua sede universitaria protesta perché non le viene dato un posto di ruolo in una scuola nella regione da lei prescelta. Un tempo vi era effettivamente una norma che garantiva una cattedra nei licei agli assistenti universitari che non riuscivano a conseguire la libera docenza. Per avere nella scuola secondaria docenti preparati e motivati, e non persone che vi arrivano in stato di necessità, è positivo che ciò non accada più. L'insegnamento è una professione, e per esercitarla occorre una preparazione specifica non solo sui contenuti disciplinari, ma sulle tematiche psico pedagogiche generali e sulla didattica disciplinare. Oggi ciò è ancora più vero che in passato, a causa delle difficoltà ambientali nelle quali è costretto a operare un insegnante: per educare i ragazzi, e non solo istruirli, occorrono competenze diverse da quelle di un ricercatore che opera nel suo laboratorio. Anche su questo punto, alla fine degli anni 90 si è iniziato a fare qualcosa; si tratta di migliorarlo, non di cancellarlo. ________________________________________________________________ Il Sardegna 18 giu. ’07 SOSTEST: SIMULAZIONE TEST: APERTE LE ISCRIZIONI progetto sostest Diciotto scuole superiori della Provincia e circa cinquecento studenti stanno partecipando al progetto SoStest, con la simulazione del test d’ingresso alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Un progetto che si concluderà il 18 luglio e che sarà aperto ad altri cento ragazzi che vorranno iscriversi. L’iniziativa, organizzata in collaborazione con la Provincia, ha permesso di provare i test ministeriali, esercitandosi in aule virtuali condotte da docenti guida o direttamente da a casa. La simulazione su cartaceo alla Cittadella universitaria concluderà il programma il 18 luglio. Gli esterni a SoStest che si volessero iscrivere potranno farlo entro il 24 giugno collegandosi al sito Internet http://192.167.154.12. ________________________________________________________________ L’Unione sarda15 giu. ’07 IL DISASTRO DEI TEST DI AMMISSIONE E GLI ABBANDONI DELLE MATRICOLE L’allarme sul livello di preparazione degli studenti sardi era scattato da diversi anni. Ad amplificarlo erano arrivati i disastrosi esiti dei test d’ammissione all’Università, nelle facoltà di Medicina e Odontoiatria. Lo scorso novembre solo gli studenti di Catanzaro, Campobasso e Salerno avevano fatto peggio di quelli cagliaritani. Un verdetto impietoso come confermato dal punteggio medio (27,3) ottenuto nei quiz, di molto inferiore alla media nazionale. Gli studenti di Cagliari tirarono un sospiro di sollievo: la graduatoria infatti era valida solo ai fini statistici. Altrimenti il massacro sarebbe stato devastante: dei 170 posti nella facoltà di Cagliari soltanto 87 sarebbero stati occupati da ragazzi cagliaritani. Il peggior dato dopo quello registrato a Catania. Risultati in media con il 2005, nonostante i corsi organizzati dalle stesse facoltà e le iniziative messe in campo dalle associazioni studentesche. Ma a destare preoccupazione ci furono anche gli abbandoni degli studi universitari dopo un solo anno accademico, con il 18 per cento della matricole che aveva alzato bandiera bianca dopo soli dodici mesi. Durante la presentazione dell’anno accademico fu proprio il rettore, Pasquale Mistretta, a definire «problema sociale» i dati nazionali che collocavano la scuola sarda agli ultimi posti. Purtroppo a distanza di un anno la situazione non è cambiata. (m.v.) ________________________________________________________________ L’Unione sarda12 giu. ’07 I VANDALI? STUDENTI UNIVERSITARI FUORI SEDE Crisi dei valori e calo demografico: la radiografia del fenomeno fatta dal sociologo dell’Istat Nereo Zamaro Il picco dei danneggiamenti a novembre con la ripresa dei corsi di studio Chi è il vandalo metropolitano, qual è il suo identikit? Perché si diverte a imbrattare monumenti, distruggere panchine o altri beni pubblici? Solo e semplici bravate di giovani incoscienti? Nereo Zamaro fa il sociologo all’Istat, sa tradurre i numeri in comportamenti, analisi, statistiche. Le chiama percezioni, utilissime per studiare un fenomeno che in Sardegna, e in modo particolare a Cagliari, ha picchi percentuali superiori al resto d’Italia. Ieri mattina ha spiegato il suo filo logico durante il convegno per la conclusione del Progetto So.Le. (Società e legalità) organizzato dal Formez e finanziato dalla Regione e dal Dipartimento della funzione pubblica. L’indagineLa ricerca del sociologo dell’Istat Vandalismo e insicurezza: raccontati, percepiti o effettivi? ha preso come base di studio L’Unione Sarda. In un anno, compreso tra aprile 2006 e marzo 2007, ha analizzato 379 articoli del nostro quotidiano, dedicati a episodi di vandalismo, in qualche caso collegati al bullismo. Ha utilizzato anche le statistiche del ministero dell’Interno, che però non parlano in modo diretto di vandalismo, il codice penale non lo prevede come reato. Per capire questo fenomeno è indispensabile quantificare i danneggiamenti denunciati alle forze dell’ordine, che molto spesso si trovano impreparate a fronteggiare questi reati, considerati minori, ma molto sentiti dalla gente. Per non parlare dei danni economici che ricadono sulla collettività. Dalle statistiche di polizia e carabinieri saltano fuori dati inquietanti: in Italia, nel 2003, il totale delle denunce è stato 2.700.000, di queste 286.000 per danneggiamento (circa il 10 per cento). Nell’Isola, a fronte di 71.500 reati, 10.300 riguardano atti di vandalismo (circa il 15 per cento). Una forbice negativa di 4 punti. L’identikitMa chi e perché un giovane si trasforma in vandalo. Zamaro non ha dubbi: «È un fenomeno che riguarda soprattutto la fascia d’età che va dai 13 ai 16 anni ed è prevalentemente maschile. Parlare di bande è azzardato, di solito le azioni sono portate a termine da due o tre ragazzi. Un numero superiore comporta un’organizzazione più complessa e il pericolo che qualcuno si stacchi dal gruppo e possa parlare». Alla base di tutto c’è una crisi di valori. «La cosa pubblica è intesa come bene di nessuno e non di tutti, come dovrebbe essere». In sostanza i giovani non realizzano che bruciare un cassonetto, impallinare lampioni o cartelli stradali, spaccare panchine, alla fine ricade su tutti i cittadini, anche economicamente. Zamaro, poi, mette l’accento sull’invecchiamento della popolazione e sul fatto che gli anziani vengano sottovalutati perché «non fanno capitale sociale. La criticaC’è poi la critica alle amministrazioni. Su Cagliari il sociologo fa un’analisi inquietante: «Il capoluogo, dal 1971 a oggi, ha perso oltre 60 mila abitanti. Ecco perché si è creata una crisi di identità, accompagnata dalla carenza di infrastrutture e aggravata dal vuoto sociale determinato dal calo demografico. Il posto di chi ha lasciato la città è stato preso dai nuovi cagliaritani: gli studenti universitari fuori sede». E a una piccola frangia di loro Zamaro fa risalire una fetta di vandalismo metropolitano. Dall’inchiesta salta fuori che il capoluogo (203 articoli, il 53,6 per cento) raggiunge l’apice a novembre (34 articoli). «I picchi sono stati registrati in quel periodo, alla ripresa dei corsi di studio». Percezioni, sia ben chiaro, che però arrivano da una fonte autorevole. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 giu. ’07 L'ISTRUZIONE? INVESTIMENTO REDDITIZIO Studiare rende più che investire in titoli. Lo dimostra una ricerca di due economisti della Banca d'Italia (Federico Cingano e Piero Cipollone) e di Antonio Ciccone della Icrea, che hanno calcolato i rendimenti privati e sociali dell'investimento in istruzione in Italia. L'analisi, usando come parametro l'anno 2000, ha confrontato i costi (diretti e in termini di mancato guadagno) e i benefici (maggiori salari e probabilità di occupazione) per ogni singolo anno di studio in più: Il risultato è stato un tasso di rendimento dell'8,9%, superiore a quello ottenibile da molti investimenti alternativi: Il tasso è lievemente superiore nelle regioni meridionali rispetto al Centro Nord, per il maggior impatto dell'istruzione sull'occupazione. L'istruzione, però, è un investimento redditizio anche per la collettività. L'analisi ne ha infatti calcolato il "rendimento sociale; confrontando i costi privati e pubblici e i benefici in termini di maggiore produttività, con un risultato attorno al 7% per il 2000. E nelle regioni del Sud dell'Obiettivo i si arriva quasi all'8 per cento. _______________________________________________________________ La Repubblica 14 giu. ’07 CITATI: RISPOSTA SULL'UNIVERSITÀ A LUIGI BERLINGUER Pietro Citati VORREI dedicare a Luigi Berlinguer una piccola storia, che in apparenza non riguarda la sua Riforma. Un mio amico ha una domestica rumena: il figlio ha seguito la madre dalla Romania, e si è iscritto ad una scuola media italiana. Risultati sorprendenti: in pochissimo tempo il giovane rumeno, con la buona preparazione avuta in patria, è diventato il primo della classe. Lo è rimasto per anni, sebbene la scuola italiana minasse via via la sua preparazione. Poi è tornato in Romania, dove è stato bocciato. Le statistiche dell'ex ministro Berlinguer non significano quasi niente. E' facilissimo far laureare dei giovani, o ridurre i loro anni fuori corso, quando si degrada l'insegnamento, e i rettori delle diverse università si contendono i ragazzi, offrendo studi elementari. Oggi, l'università italiana è ridotta a una immensa proliferazione burocratica. Si insegna male: si studia male; giorni fa Repubblica ha pubblicato la lettera di una studentessa, che desiderava semplicemente studiare. Non si legge quasi niente. Luigi Berlinguer ignorale statistiche delle case editrici, che documentano il drammatico calo delle adozioni nelle università. Non si adottano più i libri importanti: nessuno oggi, alla Facoltà di Lettere, si sognerebbe mai di proporre un capolavoro come Il Pensiero Storico Classico di Santo Mazzarino, che negli anni prima della Riforma vendette all'università non so se 50 0 60 mila copie. Si consigliano librettini di cento pagine, confezionati per l'occasione. All'Università non regna il gioioso fervore di cui parla Berlinguer, ma avvilimento, umiliazione, rancore, impotenza. I professori di talento cercano di andarsene. Invidio l'ex-ministro Berlinguer, che la notte sogna e accarezza la sua cara Riforma e le sue statistiche. Purtroppo, quello che dico non è affatto "apocalittico". Ogni anno, la situazione si aggrava. Il prestigio delle nostre Università diminuisce. Se non ci saranno (come spero) interventi profondi, fra una quindicina di anni la classe dirigente italiana sarà formata da figli di ricchi che hanno studiato negli Stati Uniti e in Inghilterra, e da rumeni, bulgari, ucraini, polacchi, uzbechi, cinesi, coreani, emigrati da paesi dove si studia meglio che da noi. _______________________________________________________________ La Repubblica 19 giu. ’07 CARO BERLINGUER AMMETTI: IL 3+2 È STATO UN DISASTRO Piero Marietti pro-Rettore La Sapienza, Roma CARO Luigi Berlinguer, compagno di tante battaglie, ti chiedo con rispetto ma con fermezza di rassegnarti la riforma del 3+2 che porta il tuo nome e i susseguenti interventi legislativi a diverso livello (anche del Ministro Moratti) sono stati un disastro per l'Università italiana. Serviva un titolo intermedio? Per molte facoltà sì, ma le università erano capacissime di progettarlo (e magari di sbagliare) da sole, non serviva loro la minuteria ossessiva delle disposizioni ministeriali. Si doveva porre rimedio ad alcune eccessive lunghezze dei corsi? Certamente: ma non semplificando i percorsi tanto da intaccare il livello di formazione dei giovani. Si doveva porre rimedio alla pletora dei fuoricorso? Certamente, ma dando alle Università i mezzi per assistere più da vicino gli studenti. Si doveva sanzionare chi intende l'Università come una sine cura aggiunta alla sua professione e alla sua vita? Ebbene, oggi quello sta una meraviglia dentro i crediti e le stoltezze di 30 esami in tre anni al posto dei 25 in cinque anni. Oppure «incardinato», con lo stesso stipendio, in Università paesane o telematiche (sic!) che chiedono la presenza di un paio di giorni la settimana, quando nemmeno quello. Chi ha scritto «Una Ikea di Università» oppure «Tre + due uguale zero» sono dei baroni reazionari e attaccati a privilegi? E Citati e io stesso siamo tutti sciocchi nostalgici dei tempi andati? Chi lancia grida di dolore è chi si impegnava e cerca ancora di impegnarsi. Paradossalmente, caro Luigi, un ancora possibile salvataggio dell'università è impedita oggi dalla tua persistente difesa di una mezza sconfitta: se tu ti ostini, cosa possono dire e fare i vari Fassino, D'Alema, Veltroni senza contraddirti? Quindi, per favore, ammetti che Citati abbia ragione e farai una cosa che libererà risorse ideali, politiche e umane. Con affetto e stima. Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. ________________________________________________________________ L’Unione sarda11 giu. ’07 UNIVERSITÀ E POLITICI, L’EUROPA È LONTANA A proposito di riforme di Giuseppe Marci Nell’ordinamento universitario il raggruppamento, spiega il dizionario Sabatini Coletti, è un gruppo di discipline per le quali si bandisce un unico concorso. Attualmente, in Italia, di raggruppamenti ce ne sono 360 e il ministero ha avviato un progetto di riduzione del loro numero, giudicato eccessivo. Tale ipotesi non è condivisa da molti docenti universitari che se ne lamentano, come di recente ha fatto il professore Edoardo Barbieri, filologo, studioso di bibliografia e storia del libro, docente all’Università cattolica di Milano. Gli ha risposto il ministro dell’Università e della ricerca che lo ha pubblicamente redarguito, con severità e ironia, spiegando agli italiani di aver voluto, proprio lui, questa riduzione: «Nel resto d’Europa i raggruppamenti sono in genere meno di 100, in Italia 360. Perché? Il sapere in Italia è forse più complesso che in Francia, Germania, Gran Bretagna? No, la ragione è un’altra. Frammentando le discipline, quando si fa un concorso, è un gioco da ragazzi emettere bandi nei quali è già incorporato il nome del vincitore. Astuto. Che poi si chiami l’astuzia "autonomia", conta poco. Sono queste le cose che danneggiano la reputazione dei professori universitari». Oh! Finalmente uno che gliela canta e gliela suona, a questi docenti di poca reputazione che non vogliono entrare in Europa, a nessun costo. Come invece è entrata trionfalmente l’Italia, tutta intera, ammodernando la legge elettorale con meccanismi atti a evitare che le liste elettorali avessero già "incorporato" il nome del vincitore: e difatti, nelle ultime elezioni, gli eletti sono risultati tutti espressione della volontà popolare e nessuno di loro è stato scelto dai vertici dei partiti. Né si potrà dimenticare che anche nel Parlamento europeo i deputati italiani danno prova di sicura fede europeistica: in premio godono di un livello stipendiale superiore a quello dei loro colleghi parlamentari provenienti dagli altri stati membri. Astuto. Come, del resto, indiscutibilmente europeo è il numero dei ministri e dei viceministri che compongono l’attuale esecutivo: appena cento, con ampia rappresentanza femminile e livelli di età sempre più bassi. Questa non è astuzia, è la dimostrazione che vogliamo procedere, con rigore, verso la modernità. Appena un’ombra, duole dirlo, vela l’entusiastica adesione al concerto europeo: i costi del Quirinale e il numero del personale addetto. Viaggiamo su cifre almeno doppie rispetto a quelle di Gran Bretagna e Francia. Ma forse dobbiamo considerare questo fenomeno come appartenente alla sfera di una nostra personale "autonomia": in fondo, mille uomini in armi sul Colle più alto sono anche un omaggio alla memoria storica dell’Italia nata coi mille armati di Giuseppe Garibaldi. Non so e non mi preoccupa se questo danneggi o meno la nostra reputazione ma ritengo, ministro, che sarebbe ora di rimboccarsi le maniche per fare pulizia. Nei raggruppamenti universitari e in tutto il resto. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 giu. ’07 CORSI LA CRESCITA SI È FERMATA: meno 11 (5385) Offerta formativa. Gli iter possibili sono in totale 5.385, undici in meno dell'anno scorso Corsi; la crescita si è fermata Cristiano Dell'Oste Fabrizio Patti Sarà che la rivoluzione del «3+2» ha esaurito il suo effetto. Sarà che molte università italia ne sono rimaste in attesa della riforma delle classi di laurea: Sta di fatto che - dopo alcuni anni di costante aumento dell'offerta formativa -1a crescita del numero dei corsi si è fermata. Secondo l'analisi del Sole-z40re del lunedì sudati degli atenei, in vista dell'anno accademico aoo7-o8 i ragazzi potranno scegliere tra un totale di 5.385 corsi di primo livello, magistrali e a ciclo unico: un numero praticamente invariato rispetto ai 5.396 corsi dell'anno scorso. Per cogliere il senso del cambiamento, comunque, è bene non fermarsi alle cifre complessive. Dietro una sostanziale stabilità, infatti, si nascondono andamenti opposti. I corsi di primo livello e a ciclo unico sono in effetti diminuiti (da 3.035 a 2.99O. I corsi di laurea magistrale, invece, sono aumentati, da 2361 a 2394. Un andamento che anticipa almeno in parte lo spirito della riforma delle classi di laurea contenuta nei due decreti ministeriali registrati dalla Corte dei conti il s giugno scorso. L'obiettivo delle nuove regole; infatti; è contrastare la frammentazione didattica innescata dalla riforma del «3+2», riducendo il numero di esami e concentrando l'offerta formativa. Guardando alle diverse facoltà, si scopre che ingegneria è quella dove, il calo dei corsi è stato più netto. E questo forse non è un caso, visto che molti docenti da tempo sottolineavano la necessità di rafforzare gli insegnamenti di base. Le riduzioni maggiori si registrano a Palermo (sei corsi di primo livello in meno) e Roma La Sapienza (tre in meno). A Messina, invece, ci sono nove corsi in meno, ma la ragione è organizzativa, perché le lauree ora figurano come interfacoltà. Una certa riduzione si registra anche a lettere (da 305 a 298 corsi) e - seppure in modo più leggero - anche nelle facoltà di psicologia (da 37 a 35) e scienze statistiche (da 17 a i6). In questi ultimi due casi l'offerta formativa torna esattaménte ai livelli del 2005-06. Nettamente in controtendenza, invece, la facoltà di scienze della formazione, che ha visto passare da 122 a 134 il numero di corsi di primo livello. soprattutto nell'istituzione di nuove facoltà a Lecce e Roma Lumsa e per l'incremento di cinque corsi a Enna. È diverso, invece, il significato dell'aumento dei corsi delle facoltà di economia e scienze matematiche, fisiche e naturali. In questo caso, si tratta di uria sorta di assestamento dopo il brusco calo registrato nel zoo6-o7 (li corsi in meno nell’economia e nove per scienze). v Il numero dei corsi attivati dagli atenei può essere analizzato anche guardando alle diverse città: Tra i maggiori centri universitari spiccano la riduzione di Roma (2i corsi in meno) e Palermo (nove in meno), mentre crescono - anche se di poco - Milano (tre corsi in più) e Nanoli (due) _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 giu. ’07 LA LAUREA PRENOTA IL POSTO VELOCE Resta il passepartout per l'impiego - Un freno alla moltiplicazione degli indirizzi Cristiano Dell'Oste Un investimento, una scommessa e una sfida con se stessi. La scelta del corso di laurea è tutte queste cose insieme. Frequentare l'università, infatti; significa dedicare tempo, energie e denaro alla propria formazione. Per poi raccogliere sul mercato del lavoro quanto seminato nelle aule. Sapendo che - a parità di posizione lavorativa e al dilà delle differenze tra le aree disciplinari - la ' laurea si conferma un valido acceleratore di carriera. I percorsi Per ogni area tematica vengono presentatele novità dell'offerta didattica e le tendenze del lavoro, mentre le pagine centrali di questo inserto riportano tutti i corsi attivati nell'anno accademico 2007-08; raccolti direttamente dalle università italiane. Rispetto ai 5.396 corsi del 2006-2007, l'offerta degli atenei è rimasta praticamente invariata (-0,2%) con una inversione di tendenza rispetto al +4% dell'anno precedente. La riduzione dei corsi, in particolare, si concentra tra le lauree di primo livello e a ciclo unico (-1,4% rispetto all'anno accademico 2006-07), mentre aumentano le lauree magistrali (+1,4%). La riforma Una parte del mondo universitario, dunque, ha anticipato - o quanto meno non ha contrastato - la riforma delle classi di laurea. Un intervento che intende combattere l'eccessiva frammentazione didattica, riducendo il numero delle classi e, quindi, dei corsi di laurea, rafforzando i contenuti fondamentali in modo da "scartare" le proposte deboli. Le novità normative partiranno dal 2008-09 ci saranno attuate gradualmente nell'arco di un triennio (anche se è difficile non immaginare qualche contraccolpo "in corso d'opera" per chi si iscrive ora). I decreti registrati il S giugno dalla Corte dei conti fissano il numero massimo di esami per arrivare alla laurea (20 per la triennale e 12 per la magistrale) e definiscono i contenuti di ogni classe. Tra le novità degli ultimi mesi c'è anche la nota che il ministero ha inviato il i6 maggio a tutte le università, per precisare quanti crediti formativi si possono concedere a seguito del riconoscimento delle abilità professionali degli iscritti. Il limite di 6o crediti, peraltro previsto per legge -precisa - si applica già dal 2oo6-07 e le stesse competenze possono essere conteggiate per un solo corso di laurea. Un invito che suona come uno stop ai cosiddetti laureifici". Martedì scorso, infine, è stato presentato lo Statuto dei diritti c doveri degli studenti universitari, piccola costituzione che contiene diritti e doveri della comunità studentesca, con particolare attenzione alle misure per il diritto allo studio. Gli iscritti in attesa della riforma, nei prossimi giorni 497mila studenti delle scuole superiori – 12mila in più che nel aóo6 = affronteranno . l’esame di Stato. Le statistiche indicano Che circa il 70% di l'oro si iscriverà a un corso di laurea. E come ogni armo, per tutti i ragazzi che non hanno ancora deciso, le ansie della maturità lasceranno il posto ai dubbi sulla scelta universitaria. Secondo le statistiche del ministero, quasi il 25% dei 325mila ragazzi che si sono immatricolati al primo anno nel 2oo6 ha scelto tre classi di studio: scienze dell'economia e della gestione aziendale, giurisprudenza c ingegneria industriale. Segno che gli insegnamenti tradizionali continuano a essere molto frequentati, anche se i corsi nuovi si stanno ritagliando uno spazio crescente. Quanto al lavoro, le ultime indagini sulla condizione occupazionale confermano l'elevata richiesta di laureati in ingegneria, architettura ed economia, mentre - tra le lauree umanistiche - recupera terreno il gruppo letterario e perdono quota psicologia e lingue. Tuttavia, le considerazioni occupazionali non possono mai essere l’unico elemento su cui basare la propria decisione. Su questo i docenti e gli esperti di selezione del personale sono d'accordo: interessi, attitudini e passioni vanno sempre ascoltati. Fabrizio Patti Un anno di studio all'estero e, al ritorno, due lauree in tasca, automaticamente riconosciute: quella della propria università e quella_ dell'ateneo straniero. È quanto accade con le "doppie lauree", corsi integrati che nascono a seguito di accordi tra due o più atenei di diversi Paesi. Le rilevazioni Secondo il Cimea (centro di informazione sulla mobilità e le equivalenze accademiche) ci sono almeno 320 progetti di questo tipo, soprattutto di arca giuridico-economica e di ingegneria, per i due terzi di secondo livello. E il numero è in crescita (si vedano anche le segnalazioni raccolte dagli atenei e pubblicate nelle pagine interne di questo Dossier): «Spingono in questa direzione i finanziamenti della Commissione europea, il programma di mobilità Erasmus Mundus, i progetti di internazionalizzazione del Miur, e la domanda cre scente da parte degli studenti» spiega Carlo Finocchietti, direttore del Cimea. 1 criteri per il funzionamento di questi percorsi non sono ancora regolati in dettaglio: non esiste, per esempio, un periodo minimo di permanenza all'estero, né una regola comune sulla discussione della tesi, che può avvenire in uno solo o in entrambi gli atenei. Tuttavia, una novità arriva da Erasmus Mundùs, che per la prima volta ha stabilito dei criteri per i propri corsi, ponendosi come punto di riferimento per gli altri. Il tempo minimo di permanenza nelle università partner, ad esempio, è stato fissato a un semestre. Gli esempi Variano molto anche le durate. Se di regola si rispetta il limite dei tre anni per la laurea di primo livello e di due perla specialistica, la formula può variare. L'Università Cattolica (a Piacenza c Cremona) ha attivato, ad esempio, una laurea magistrale di due anni in economia del sistema agroalimentare in collaborazione con l'ateneo olandese di Wagvveningen. Cura poi un doppio diploma in Management internazionale (D-Dint), articolato su quattro anni: con i primi due si ottiene la laurea di primo livello, con i secondi il master di primo livello in Management internazionale e una laurea straniera. Anche il Master in Management (MiM),della business school Escp-Eap parte dalla triennale e segue un percorso «a+3»: il primo dei tre anni fa ottenere una laurea di primo livello; i successivi due portano a tre lauree specialistiche (una italiana e due straniere) e a un master. L'altra opportunità Diverso dalla doppia laurea è il joint degree o titolo congiunto: in questo caso non sono rilasciati due diversi titoli, ma uno solo firmato dai rettori delle due università. Questo sistema è diffuso soprattutto per i master, mentre per le lauree si preferisce il doppio titolo per evitare intoppi nel riconoscimento. Ma non mancano eccezioni come a Macerata, dove c'è un triennio in scienze giuridiche con l'università di Orléans. Tra gli atenei più attivi su questo fronte ricordiamo Trento (convenzioni con 17 università straniere) e Bologna (z8 corsi). Molto dinamici i Politecnici di Milano e Torino, che hanno stretto accordi rispettivamente con 24 e 23 Paesi e che partecipano al Polo ingegneria dell'importante Campus italo-cinese Torino-Milano-Shanghai. Il Polo di economia dello stesso Campus vede invece impegnate Bocconi, Luiss e Fudan di Shangai (corso dim in International Management). «L'obiettivo - spiega Roberto L'ardolesi, docente di diritto privato alla Luiss - è creare una classe dirigente globale. Questa esperienza, soprattutto, apre nuove opportunità anche al di fuori del normale "circuito occidentale" in Cina». Test d'ingresso a partire dal 3 settembre Prenderanno il via il 3 settembre i test per i corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale. Prime a partire le aspiranti matricole della laurea triennale e a ciclo unico in architettura. IL4, 5 e 6 settembre sarà la volta dei corsi rispettivamente di medicina e chirurgia, odontoiatria e medicina veterinaria. Per queste lauree le prove sono preparate dal ministero dell'Uniiversità e della Ricerca e sono identiche in tutta Italia. Il io settembre toccherà alle professioni sanitarie (il z4ottobre perle specialistiche), , mentre Pii settembre i test riguarderanno i corsi di laurea in scienze della formazione primaria. Per queste aree di studi le domande saranno predisposte dagli atenei sulla base delle indicazioni ministeriali. Selezioni sono previste anche per l'accesso a molti atenei privati: le università Bocconi c Luiss hanno fissato i test rispettivamente il5 e 7 settembre (salvo le tornate già svolte), mentre l'Università Cattolica segue criteri diversi per i singoli corsi di laurea. Ma anche le altre università possono proporre un "filtro" agli accessi: «I corsi più frequentemente regolati - spiega Renato Sironi di Alphatest, azienda leader nel mercato della preparazione alle selezioni -sono quelli che prevedono un tirocinio pratico, ma anche quelli di psicologia, scienze della comunicazione, economia». L'autonomia didattica, inoltre, prevede che sia possibile sottoporre le matricole a test iniziali - non vincolanti per l'accesso - per valutarne la preparazione. Se il risultato è negativo, l'iscritto dovrà seguire corsi di recupero per colmare i debiti formativi. La formula è molto usata nei corsi di scienze biologiche e ingegneria. _______________________________________________________________ TST 20 giu. ’07 COSÌ L'EUROPA PERDE LA SFIDA GLOBALE PIERGIORGIO STRATA TORINO L'emergere prepotente di una decina di Paesi asiatici che dedica somme sempre più consistenti alla ricerca, insieme con il fenomeno della neo globalizzazione, che rende la competizione mondiale sempre più dura, solleva interrogativi che il «Green paper» - pubblicato in aprile dalla Commissione Europea - ha posto al centro dell'attenzione, suscitando un dibattito che diventa via via più ampio. Già nel 2000 il Consiglio Europeo di Lisbona aveva stabilito di creare un'«Area Europea della Ricerca» per una società della conoscenza, requisito fondamentale della crescita. L'impegno era 1 9 di sviluppare ricerca, istruzione e innovazione. E'un impegno disatteso: l'Asia occupa il primo posto per investimenti in ricerca, seguita dal Nord America, mentre l'Europa è al terzo posto. L’accordo di Lisbona prevedeva che nell'Ue i fondi per la ricerca passassero entro il 2010 dall’1,8 % del Pil al 3%, mettendosi cosi in linea con Usa e Giappone, ma oggi - spiega il «Green paper» e ha ribadito il ministro Fabio Mussi in una riunione all'Accademia dei Lincei - siamo appena allo 1,9%. Lo stesso accordo prevedeva anche i finanziamenti dei privati si allineassero agli Usa con un rapporto rispetto al pubblico di 2:1 e invece è rimasto a I.l. E il flusso di capitali privati europei investiti in ricerca con Usa, mentre scarso è l'investimento in senso inverso. In Europa gli ostacoli sono molti: frammentazione delle iniziative con scarso coordinamento dei programmi, carenza di infrastrutture e di masse critiche, scarsa osmosi pubblico-privato e difficoltà alla circolazione dei ricercatori. Quest'ultima è ostacolata dalle legislazioni eterogenee. Chi vuole migrare da un Paese all’altro trova contratti dì lavoro diversi e contributi previdenziali in conflitto. Un accordo europeo su questo punto, peraltro a costo zero, è urgente. Come si pone l'Italia in questo contesto? L'investimento in ricerca è sceso dal11,3% del Pil allo 1,05. li contributo privato rispetto al pubblico vede un rapporto di 0 5-1 La frammentazione del infrastrutture si è ancora estesa e la capacità di attrarre risorse dai programmi europei si è ridotta. In 10 anni il rapporto tra quanto l'Italia immetteva nelle casse europee per la ricerca e quanto faceva rientrare è sceso da 14/11 a 15/9. Istruttivi sono i dati del Programma varato dal G7 nell'87, le «Human Frontier Science Program», il più prestigioso nelle scienze della vita. In un quinquennio il nostro Paese ha visto un costante calo di quanto ha acquisito in un rapporto di 3,6 a I. Particolarmente carente, poi, è la capacità di attrarre ricercatori stranieri. Nello stesso programma, quest'anno, sono state 688 le domande di ricercatori di tutto il mondo per una borsa post-dottorato da spendere in un Paese di loro scelta. Quelli che hanno fatto domanda per venire in Italia erano quattro e nessuno ha ottenuto la borsa. Anche gli stranieri iscritti alle nostre università sono il 2,3% rispetto alla media Ocse del 4,2% * i dati si legano alla questione della fuga dei cervelli. Certo, il fenomeno non è soltanto italiano. Già qualche anno fa la rivista «The Scìentist» rivelava che gli europei che lavorano negli Usa dicono di trovare li indipendenza, flessibilità e mobilità, tutte caratteristiche tipiche delle leggi di mercato, mentre in Europa il rientro comporta troppo spesso l'obbligo di dipendere da qualcuno per lavorare, riuscire a ottenere fondi e fare carriera. Secondo la «National. Science Foundation», sono i tedeschi (36%) e gli inglesi (32%) a fornire il maggior contributo agli Usa come post-doc, mentre, in base alla popolazione, Italia e Francia (con il 7,7% e il 6,5%) forniscono quello minore. Perché? La risposta Aene sempre da «The Scientist»: in realtà la fuga dei cervelli dall'Italia è minore, perché in genere gli italiani, come i colleghi d'oltralpe, preferiscono rimanere legati alla loro istituzione. Prima o dopo, infatti, sperano che arrivi un posto di lavoro garantito per tutta la vita, mentre andare all'estero significa affrontare la competizione. Dobbiamo allora puntare sul rientro dei cervelli? Certamente. Ma non basta aprire le porte a chi vuole tornare, ma fare in modo che tornino i cervelli eccellenti. E succede di rado. Questi cervelli, infatti, chiedono un accesso ai finanziamenti semplice e meritocratico, oltre a infrastrutture funzionanti, ricche di capitale umano per collaborazioni multidisciplinari. Questi centri, in Italia, sono una rarità. La soluzione è prima di tutto quella che si invoca per le altre aziende di Stato: riduzione degli sprechi, migliorando gli investimenti, e infrastrutture adeguate con grandi masse critiche, oltre a meritocrazia, efficienza e mercato. Cervelli di altissimo livello e motivati ne abbiamo in abbondanza. Mettiamoli in condizioni di esprimere le loro qualità. _______________________________________________________________ TST 18 giu. ’07 POCHI CAMICI BIANCHI, SPESSO BRAVI Studio di Observa A futuro è nero i nostri studenti sono impreparati» Un presente meno catastrofico di come spesso viene descritto, ma un futuro che pare assai problematico. E' questo, in sintesi, il quadro della ricerca italiana come emerge dal nuovo «Annuario Scienza e Società 2007», pubblicato dal centro ricerche Observa Scienee in Society. Si tratta di una raccolta ragionata e accessibile dei principali dati messi a disposizione dalle più accreditate fonti statistiche nazionali e internazionali. Un quadro ambivalente Non mancano, infatti, alcuni dati confortanti, per non dire sorprendenti, seppur anch'essi inseriti in un quadro ambivalente. Da un lato,è vero che l'Italia ha sempre meno ricercatori: cori 3 scienziati ogni mille occupati, contro i 17 della Finlandia, siamo ormai all'ultimo posto in Europa, dietro Portogallo, Grecia e i Paesi dell'Est. Eppure i nostri sono, a sorpresa, tra i più produttivi dei mondo, secondi soltanto agli svizzeri per media di pubblicazioni scientifiche per ricercatore e addirittura davanti a svedesi, francesi, tedeschi e americani. Un altro elemento positivo riguarda la presenza femminile, almeno a livello di studi superiori. L'Italia si contraddistingue per avere una del e più alte percentuale di donne tra i laureati in discipline scientifiche 58%). Il futuro, tuttavia, appare poco promettente: i nostri studenti di scuola superiore sono tra i meno preparati del inondo in matematica - soltanto greci, turchi e messicani ranno peggio di noi. Tra i 15-18enni poi, un italiano su due esclude nettamente la possibilità di intraprendere studi universitari di tipo scientifico. L'Italia figura inoltre all'ultimo posto in Europa per numero di lettori di argomenti scientifici su quotidiani, riviste e Internet. Sul piano degli investimenti in ricerca e sviluppo ' se quelli dei settore pubblico ci vedono comunque al di sotto della media europea, il dato che forse ci distingue più in negativo riguarda la spesa in ricerca e sviluppo del settore privato: 0,6%, appena, sul Prodotto interno lordo, esattamente la metà della media europea. Nessuna azienda italiana, inoltre, figura tra i primi 10 investitori privati in R&S (Ricerca e Sviluppo) del mondo (ben tre - compresa la prima, la Daimler- Chrysler - sono tedesche). Vale la pena di notare, ad ogni modo, che questa situazione italiana si inserisce in un quadro europeo in cui le crescenti aspettative dei cittadini nei confronti dei progressi e i benefici apportati dalla scienza e della tecnologia trovano, da un lato, solo parziale riscontro nello sviluppo delle risorse - umane e materiali - dedicate al binomioR&S. Non soltanto gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo sono ben distanti dagli obiettivi stabiliti nella cosiddetta «Agenda di Lisbona» - e faticano spesso a tenere il passo con quelli dei Paesi emergenti a livello globale - ma la difficoltà di attrarre i giovani verso i percorsi di studio tecnico- scientifico appaiono ormai generalizzate su scala europea. Le risposte politiche E' un elemento, questo, elle conferma anche la crescente necessità di guardare ai problemi - e alle relative risposte di «policy» - della ricerca nella società, anziché mantenere disgiunte le dimensioni della promozione della ricerca, (la una parte, e dei suoi aspetti sociali e culturali dall'altra. _______________________________________________________________ The NewYork Time 18 giu. ’07 IL SOFTWARE VA SUL WEB: È LA FINE DEL SISTEMA OPERATIVO TRADIZIONALE? di JOHN MARKOFF SAN FRANCISCO- Due irriducibili rivali con lo stesso obbiettivo: salvare il vecchio sistema operativo. Nella battaglia tra Apple e Microsoft, Bertrand Serlet e Steven Sinofsky sono i generali impegnati sul campo: il loro compito è garantire la sopravvivenza dei sistemi operativi in un mondo sempre più incentrato sul Web. Serlet e Sinofsky stanno preparando i loro ingegneri del software per il prossimo scontro, previsto per il2009, quando dovrebbe essere pronta la nuova generazione di sistemi operativi. La sfida sarà evitare di replicare le sfide precedenti ed evitare di lasciarsi sopraffare dai nuovi concorrenti. Molti esperti di tecnologia sono convinti che i sistemi operativi come il Windows Vista della Microsoft e il Mac OS X Leopard della Apple che oggi sono installati in 750 milioni di computer in tutto il mondo e che a ogni nuova versione diventano sempre più pesanti, perderanno la loro centralità. Secondo questo scenario, il software diventerebbe un insieme modulare dì servizi web, accessibili attraverso una serie di supporti portatili e attraverso i computer, e a sviluppare questi nuovi software saranno aziende come Google e Yahoo, oppure qualche brillante new entry. "Il centro di gravità e il centro delle innovazioni si sono trasferiti sul web, il pc non domina più la scena", dice Nova Spivack, amministratore delegato e fondatore della Radar Networks, una società che sta sviluppando un servizio web per immagazzinare e organizzare informazioni. Di fronte a questa dinamica in continua evoluzione, tutti si aspettano che Apple e Microsoft sviluppino dei sistemi operativi che tengano conto dell'influenza del web. Dopo aver sgobbato per cinque anni sul Windows Vista, il suo progetto più ambizioso fino a oggi, la Microsoft, sotto la direzione di Sinofsky, ha iniziato a lavorare su traguardi meno ambiziosi per il prossimo sistema operativo, quello che dovrà succedere a Vista. La Microsoft punta a riconciliare il sistema operativo del pc con internet: una strategia nuova, a cui ha dato il nome di Windows Live, un tentativo di far leva sulla situazione di monopolio di cui gode nel campo dei computer da tavolo per imporsi anche nel web. Il doppio ruolo di Sinofsky, che sta curando lo sviluppo della prossima versione di Windows e dei nuovi servizi internet, è la dimostrazione che Microsoft sta puntando sull'integrazione pc/web. L'amministratore delegato della società di Seattle, Steven A. BaIlmer, definisce il nuovo approccio "innovazione integrata". Ancora non si sa, però, se Sinofsky avrà l’agilità per reagire a quella che viene chiamata l'era dell' "innovazione scollegata", un'agilità divenuta il marchio di fabbrica degli sviluppatori di servizi web più innovativi. Daniel D. Turner ha contribuito a questo articolo. I servizi web progettati da piccoli gruppi di programmatori si muovono più rapidamente, rispetto ai sistemi operativi, che hanno tempi di reazione dilatati per introdurre aggiornamenti e innovazioni. "La sfida per Steve è riuscire a ridurre questi tempi di reazione", dice Michael A. Cusumano, che insegna management alla Sloan School of Management, del Massachusetts Institute of Technology. In futuro, aggiunge, "lo scenario probabile è un Windows suddiviso in pezzi più piccoli con un ritmo più frequente di nuove versioni, oppure un Windows che diventerà un servizio web". L'ascesa del Web rappresenta una sfida anche per la Apple, che ha avuto uno strepitoso successo con il servizio iTunes (il sito che offre contenuti audio e video via internet), ma non ha incontrato altrettanta fortuna con il Mac, un pacchetto di applicativi web pensato come integrazione al sistema operativo Mac OS X. Ora, i programmatori di Serlet, secondo diverse fonti, puntano a creare una maggiore integrazione tra internet e i prodotti elettronici e i personal computer della Apple. La Apple dovrebbe aggiungere funzioni di rete ai suoi iPod di nuova generazione, e il software per il suo prodotto nuovo, l'iPhone, è basato sull’OS X, il sistema operativo del Macintosh: è un approccio che annulla i confini tra il computer e altri supporti e annulla la distinzione tra il supporto stesso, dove risiede il software, e internet. Queste trasformazioni saranno il filo conduttore degli sforzi di Apple e Microsoft per rinnovare i loro sistemi operativi. E potrebbero voler dire che l'era delle grandi presentazioni di nuove versioni del sistema operativo è finita: "In futuro non ci saranno più i lanci di nuove, rivoluzionarie versioni del sistema operativo", dice John Seely Brown, ex direttore del Centro di ricerca di Palo Alto. "Tutti preferiranno avere la possibilità di fare piccoli miglioramenti in modo che il sistema potenzi le sue prestazioni". ======================================================== __________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 giu. ’07 TICKET, LA SANITÀ STUDIA CON LE REGIONI IL TAGLIO ALLE ESENZIONI LA PARTITA SULLA SALUTE Già nel Dpef il patto sulla spesa farmaceutica sostenuto da Prodi Governatori e sindacati premono, l'Economia resiste Roberto Turno ROMA Il «patto» sulla farmaceutica, sostenuto in prima persona da Prodi, troverà sicuramente spazio già nel Dpef, magari solo con poche righe. La revisione dei ticket e delle esenzioni è in ascesa e c'è un tavolo di lavoro con le Regioni. Il federalismo fiscale, con i suoi effetti sul finanziamento della spesa sanitaria, sarà uno degli aspetti decisivi del programma per il 2008. Ma di finanziamenti in più, nemmeno se ne parla: Padoa-Schioppa considera definitivi i generosi accordi sottoscritti l'anno scorso dai governatori: 99,082 miliardi per il 2008, che potrebbero crescere extra Fondo solo per gli investimenti, su cui spinge forte Livia Turco, ministro della Salute. Ma se le Regioni intendono battere ancora cassa, l'Economia non ha alcuna intenzione di allargare i cordoni della borsa. Tanto meno davanti alla maxi richiesta di Paolo Ferrero (Solidarietà sociale), ma non solo, di destinare 2 miliardi alla non autosufficienza. Che poi è la vera bomba a tempo per i conti di tutti i sistemi sanitari. Tra Dpef e Finanziaria 2008, fervono i lavori intorno al pianeta Sanità. E crescono le attese: delle Regioni, delle categorie, delle imprese. Con una serie di incognite, però, che avranno un peso decisivo su qualsiasi scelta. I contratti e le convenzioni, tuttora fermi, del personale e il loro impatto sulla spesa finale. Il risultato dell'andamento della spesa Ssn nel 2007, che difficilmente riuscirà a non superare l'asticella fissata dalla Finanziaria e che potrebbe innescare la richiesta di fondi in più da parte dei governatori. E poi i primi riscontri dell'andamento dei piani di rientro nelle Regioni finite sotto schiaffo nel 2005: Lazio e Campania, anzitutto, ma anche Abruzzo, Molise e Sicilia. È in questo quadro di emergenze mai superate e di ambizioni per l'immediato futuro, che si stanno giocando le partite decisive per il Ssn nel documento di programmazione economicofinanziaria. E naturalmente nella Finanziaria 2008, che tradurrà in norme i magri concetti che saranno espressi dal Dpef. Partite incrociate dentro il Governo, con la sinistra che spinge per valorizzare ben di più la spesa nel sociale. E con i sindacati che remano nella stessa direzione, con la massima attenzione per i redditi bassi e per i pensionati. Qualsiasi ipotesi di taglio delle prestazioni, o comunque di scremature, troverà una barriera altissima. La stessa riforma della compartecipazione alla spesa sarà guardata a vista, passo dopo passo, per capirne a fondo le ricadute se si dovesse ricorrere in qualche modo all'Isee: la strada è quella (se possibile) di unificare i balzelli locali, ma soprattutto di guardare con più attenzione ai redditi. Con la speranza di scremare esenzioni dai ticket che oggi si aggirano intorno al 50-60 della popolazione: qualcuno, insomma, ci perderà. E allora l'attenzione resta altissima, anche per evitare la doppia beffa degli evasori fiscali che beneficierebbero anche dell'esenzione dai ticket. Foto: GRAZIA NERI Foto: Il ministro della Salute Livia Turco ________________________________________________________________ L’Unione sarda 14 giu. ’07 CHI USA L'ELETTROSHOCK È SCHIERATO A DESTRA A proposito di salute mentale Chi usa l'elettroshock è schierato a destra di Gaetano Di Chiara* La polemica sull'apertura del Csm, che non significa Consiglio Superiore della Magistratura ma Centro di Salute Mentale nell'area dell'ex-manicomio ripropone un campionario di vecchi argomenti. Caratteristica saliente di questi dibattiti è la forte connotazione ideologica e la resistenza a qualsiasi logica ed evidenza scientifica. Un esempio per tutti è l'atteggiamento nei confronti dell'elettroshock. L'Unasam, l'associazione nazionale che raccoglie le associazioni dei familiari dei malati di mente, nella persona del suo presidente nazionale, la signora Gisella Trincas, ha inserito tra i suoi fini primari l'eliminazione dell'elettroshock dal novero delle terapie praticate sui pazienti psichiatrici. Questo in barba alle evidenze scientifiche che dimostrano l'efficacia dell'Ect (electroconvulsive therapy) nel ridurre l'incidenza di suicidi nei depressi, cosa che nemmeno i più efficaci antidepressivi o la più costosa terapia cognitivo-comportamentae sono in grado di fare. Sull'elettroshock si sono stratificati decenni di pregiudizi. Oggi l'elettroshock ha in comune con la tecnica inventata da Cerletti nel lontano 1930 soltanto gli effetti positivi, dato che si pratica sotto anestesia, cosa che impedisce le convulsioni e fratture ossee, e con intensità di corrente che riduce al minimo i disturbi della memoria. Uno studio recente sugli effetti avversi dell'elettroshock esclude la presenza di lesioni cerebrali e annovera soltanto transitori disturbi della memoria e dolori muscolari, dovuti all'uso di farmaci necessari per prevenire le contrazioni muscolari. Attualmente in Sardegna l'elettroshock si pratica solo in due presidi ospedalieri, a Cagliari e ad Oristano. Nella penisola, la Clinica psichiatrica dell'Università di Pisa, diretta dal professor Cassano, lo utilizza di norma nei pazienti resistenti ai comuni antidepressivi ed in quelli a rischio imminente di suicidio. Al Mac Lean Hospital di Boston, l'ospedale psichiatrico dell'Università di Harvard, l'elettroschock è utilizzato sia nei depressi che rifiutano il cibo e rischiano di morire d'inedia, che nei maniaci gravi a rischio di esaurimento fisico. L'ostracismo dell'Unasam nei confronti dell'elettroshock è apparentemente condiviso dall'assessore alla Sanità della Regione Sardegna, Nerina Dirindin, che fin dal 2004 raccomandava alla commissione regionale sulla salute mentale da lei presieduta di uniformarsi al dettato della lettera del sottosegretario Guidi, che annoverava l'elettroshock, assieme alla contenzione fisica ed a quella farmacologica, tra gli "interventi di natura apparentemente terapeutica ma che di fatto costituiscono inaccettabili forme di tortura" (sic!). Perché questo ostracismo? Semplice pregiudizio, elevato a ideologia politicamente corretta. Se sei per l'elettroshock non puoi che essere di destra. Così come, se sei di sinistra non puoi essere contro la marijuana. Anche la salute mentale ha bisogno delle sue icone e l'elettroshock è una di queste. L'aspetto più tragico della vicenda, in questo caso, è che i più convinti avversari dell'elettroshock sono proprio i familiari dei pazienti, cioè di coloro che più di ogni altro potrebbero giovarsene. Ma non si creda che in tema di salute mentale il pregiudizio stia solo da una parte. Come considerare se non frutto di pregiudizio l'argomento secondo cui i locali dell'ex-Villa Clara sarebbero inadatti ad ospitare il nuovo Csm per il semplice fatto che fino a 10 anni fa in quell'area c'era il manicomio? Un'altra icona, elevata a strumento di lotta politica. * Tossicologo ________________________________________________________________ L’Unione sarda 21 giu. ’07 SISAR: E' SCONTRO ANCHE SUL BANDO SANITÀ L'opposizione all'attacco con un'interrogazione e Vargiu annuncia un nuovo dibattito La Dirindin: «Nessuna interferenza sui nostri funzionari» - IL CASO CAGLIARI. Dopo il caso Saatchi, in consiglio regionale si parla di altri bandi di gara: quelli per l'informatizzazione della sanità sarda. Il Centrodestra aveva presentato un'interpellanza firmata dai capigruppo. Il documento - lo ha annunciato Pierpaolo Vargiu nella sua replica dopo la risposta dell' assessore Nerina Dirindin - sarà trasformato in mozione per consentire un dibattito. «Questa interpellanza - ha detto Vargiu nell'illustrarla all'aula - tratteggia una vicenda dagli aspetti inquietanti per le analogie con il caso Saatchi, ci sono le ombre di un vincitore annunciato». I bandi di gara cui fa riferimento il Centrodestra sono tre: per il sistema Medir (Medicina generale e pediatria), per il sistema Rtp (Telepatologia oncologica) e il terzo (da solo vale 20 milioni) per il Sisar (Sistema informativo sanità regionale). L'interpellanza poneva una serie di quesiti. Il primo sul ricorso al Tar della ditta esclusa (la Engeenering) per eccesso di ribasso: l'assessorato aveva suggerito di difendere l'operato della commissione di gara, ma la giunta, in un caso, aveva deciso diversamente. Il Centrodestra voleva inoltre sapere se l'autorità politica ha esercitato «pressioni» sulla struttura amministrtativa «nel corso delle procedure di gara». E ha chiesto alla giunta se sia «a conoscenza dei motivi che hanno indotto i segretari della commissione Sisar Carlo Sanna e Giangiacomo Serra a rassegnare le dimissioni» e se «esista qualche correlazione tra il ruolo svolto dall'ex direttore generale dell'assessorato Mariano Girau nella sua qualità di presidente delle commissioni di gara e il suo allontanamento dalla stessa direzione immediatamente prima della scelta del presidente della commissione di gara Sisar». Vargiu ha citato dichiarazioni di Girau rilasciate alla stampa in cui affermava di essere stato rimosso («perché non condizionabile»). Vargiu ha chiesto di sapere chi ha vinto la gara: «Le buste sono state aperte il 14 aprile. L'assessore Dirindin ha chiarito che la struttura dell'assessorato «ha sempre lavorato in maniera autonoma e indipendente salvo indirizzi politici dati con delibere di giunta» e che «non c'è mai stata nessuna ingerenza né in passato né ora». E ha aggiunto: «Se alcuni membri della commissione si sono dimessi dal loro incarico lo hanno fatto per ragioni personali». Dunque, «nessun sospetto, nessuna dietrologia, sono normali situazioni». Per quanto riguarda la correlazione tra l'ex direttore generale e la sua eventuale presidenza della commissione di gara, la Dirindin ha detto che «quelle affermazioni riportate sulla stampa non sono degne di essere prese in considerazione in un'aula come questa». Vargiu si è detto «costernato» dalla risposta dell'assessore: «Ha parlato d'altro sisar Informatizzazione della sanità, mozione in Consiglio Saranno trasformate in mozioni le due interpellanze delle opposizioni discusse ieri in Consiglio regionale sui vincoli previsti nei 92 siti d'interesse comunitario (Sic) della Sardegna (primo firmatario il capogruppo di Fortza Paris, Silvestro Ladu), e sulla gara pubblica per l'informatizzazione della sanità sarda (Sisar), primo firmatario il capogruppo dei Riformatori, Pierpaolo Vargiu. All'ordine del giorno dei lavori di ieri anche una mozione del centrodestra sull'attuazione della legge regionale 10 del 2005 sul trasferimento edl personale ex Esaf nell'amministrazione regionale e in enti come Arpas ed Ente foreste. Sui Sic, estese su oltre 426.000 ettari, l'assessore all'Ambiente Cicito Morittu ha ribadito in Aula che gravano non vincoli indifferenziati (per esempio, divieto di caccia, pascolo e coltivazione) come quelli previsti dalla legge nazionale sulle aree protette, ma regole di tutela individuate nei piani di gestione e valorizzazione che gli enti locali interessati sono chiamati a presentare alla Regione. Sono stati pubblicati 3 bandi per la gestione e valorizzazione dei Sic, il primo dei quali finanzia proprio i piani di gestione. «Sono state presentate domande per 80 Sic», ha spiegato Morittu, «una cinquantina delle quali sono in fase avanzata e presto saranno approvate dalla Regione». ________________________________________________________________ Il Sardegna 20 giu. ’07 I PRESIDI: ATENEO SUL LASTRICO: SOLO FAA È CONTRARIO Bilanci. Aumento delle tasse: parlano i dirigenti delle facoltà: «Mancano anche i soldi per la carta» Il grido d’allarme dell’Università I presidi: “Ateneo sul lastrico” Tutti d’accordo sulla necessità di nuovi fondi Finanziaria sotto accusa. Solo Faa è contrario I soldi, in cassa, non ci sono. Spiccioli, ma non bastano nemmeno per le pulizie. E per la carta, che nell’università è fondamentale. e per quella igienica,necessaria dappertutto. A dirlo stavolta sono i presidi delle facoltà cagliaritane che, all’unisono,affermano: «Siamo sul lastrico». Il grido d’allarme arriva dai vertici dell’ateneo, da coloro che gestiscono i cordoni delle borse. La ricetta per la crisi il Rettore Pasquale Mistretta l’ha già scritta: più tasse per tutti,anche se in proporzione al reddito: ha scatenato il malcontento degli studenti, che invece chiedono tagli agli sprechi e una riduzione dei centri di spesa dell’Università. Per i presidi la situazione è delicata, ma quasi tutti sono d’accordo:servono urgentemente i soldi per andare avanti, si alzi il livello di tassazione oggi tra i più bassi d??Italia, ma si concerti una soluzione con gli studenti,evidenziando prima i vantaggi concreti che ricaveranno dall’aumento delle tasse universitarie.«Purtroppo i tagli della Finanziaria nazionale ci hanno complicato l’esistenza»,lamenta Aldo Pavan, preside designato di Economia e Commercio,«certo, ci servirebbe personale amministrativo qualificato, che conosca meglio le lingue straniere, ma abbiamo bisogno di manutenzione, di pulizie: trovo che sia più giusto però fare lezione in aule sporche che non farle del tutto. Abbiamo un livello di tassazione tra i più bassi d??Italia, ma individuiamo una strategia che miri al negoziato con gli studenti».Più o meno sulla stessa linea di pensiero Alberto Granese, preside uscente di Scienze della Formazione: «La preoccupazione degli studenti è comprensibile», ammette, «tuttavia bisogna riflettere. Dopo i tagli della Finanziaria la mia facoltà ha subito tagli impressionanti, oggi abbiamo difficoltà anche per la carta per il fotocopiatore. Spero tuttavia che si arrivi all’apertura di un tavolo tra le istituzioni accademiche e gli studenti per confrontare le diverse esigenze». Lungo l’elenco dei problemi anche in Ingegneria:«È vero, ci servono i soldi per la manutenzione ordinaria di aule e strumenti e per il personale fisso», denuncia il preside Francesco Ginesu, «ma soprattutto servirebbero laboratori centralizzati per la didattica. La difficoltà economica comunque è il momento migliore per progettare. Sulla vicenda tasse era tutto scontato: sia gli aumenti, sia le proteste. Tuttavia occorrerebbe compensare gli aumenti con borse di studio maggiori per i meritevoli». Gli stessi che chiede Massimo Deiana, preside di Giurisprudenza:«Bene gli aumenti, ma vorrei più attenzioni per gli studenti capaci e meritevoli. Purtroppo oggi l’Università assume nella società un ruolo di ammortizzatore che non le compete e che le costa, intervenga lo Stato o la Regione». Il preside di Scienze Politiche Raffaele Paci chiede di decentrare le tasse alle facoltà per adeguare i servizi alle esigenze degli studenti, mentre è contrario agli aumenti solo il preside Medicina Gavino Faa. «Come si fa a chiedere un aumento a famiglie di studenti alle prese con povertà e precariato», accusa, «trasmettere cultura è anche un dovere sociale per l’Università, occorre introdurre meccanismi di protezione economica per gli studenti meno abbienti». Ennio Neri La convocazione di SanJust Il rettore in commissione “Servizi scarsi” Carlo SanJust convoca Mistretta in Regione. Entro la settimana prossima. Secondo il consigliere regionale di Forza Italia, la Regione deve intervenire a sostegno dell’Università e degli studenti che protestano contro l’aumento delle tasse universitarie.«C’è un gap di 4 milioni di euro che l’Ateneo deve recuperare a causa del taglio dei fondi statali», dice SanJust, «ma non possono essere certamente gli studenti quelli in prima linea per il risanamento del bilancio dell’Ateneo cagliaritano. Credo che un aumento delle imposte per poter studiare sia elevatissimo rispetto ai servizi che l’Università del capoluogo sardo offre. Nonostante, a parole,ma non nei fatti, lo scorso anno le tasse siano rimaste invariate. Intanto, sarebbe giusto che l’Ersu, da parte sua, predisponga fasce di reddito con scaloni meno elevati». ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 giu. ’07 ASL1: ZANAROLI VA VIA, I DISAGI RESTANO» Le reazioni degli amministratori alle critiche del manager - Il direttore della Asl ha parlato dell'ingerenza del mondo politico Ganau: «Un malcostume innegabile» SASSARI. «La politica è invadente? Sarà anche vero ma questo non può essere un alibi per le manchevolezze che nella direzione della Asl ci son state eccome». «Se Bruno Zanaroli dice che la politica lo ha ostacolato è sicuramente così. Evidentemente l'idea della Dirindin di portare un manager slegato da logiche di questo tipo non è bastata». Come era prevedibile non si sono fatte attendere le reazioni alle clamorose affermazioni fatte ieri dal direttore arrivato da Modena due anni e mezzo fa per rimettere in sesto le casse e l'organizzazione di un'azienda sanitaria allo sfascio. Il manager Zanaroli, il quale ha anche annunciato che lascerà l'incarico prima della scadenza naturale del contratto con la Regione, ha infatti affermato che, nonostante il raggiungimento degli obiettivi contenuti nella delibera 40, ha incontrato difficoltà a causa della presenza opprimente del mondo politico. «Uno dei motivi che avevano spinto l'assessore Dirindin a scegliere un manager non sardo - commenta il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau - era proprio il tentativo di evitare ingerenze indebite della politica. Ma anche lui, evidentemente, ha subito il malcostume che investe anche questo settore». Il sindaco ha precisato di aver avuto rapporti con Bruno Zanaroli soltanto in relazione alle scelte fatte dall'azienda quando queste avrebbero coinvolto tutta la città. «Per il resto - ha aggiunto - il fatto che l'azienda non funzioni al meglio è questione che non si può negare. Credo che a Zanaroli vada riconosciuto il merito di aver dato un'impostazione moderna all'organizzazione aziendale e di aver ideato un piano strategico, quello presentato alla Provincia, che dovrebbe proiettare il nostro sistema sanitario in una dimensione di efficenza ed efficacia». Ma Ganau aggiunge anche che la famosa riconversione ospedaliera per il momento non trova risposte a causa di carenze che affondano le radici nel passato. Complice probabilmente anche l'ingerenza politica nella gestione aziendale. «L'ingerenza politica ha fatto in modo che Bruno Zanaroli arrivasse in Sardegna - dice, decisamente critico, il consigliere dei Riformatori Gavino Cassano -. Perchè anche la sua nomina è frutto di un accordo. E poi ci tengo a dire che la pretesa da parte dei politici di inserirsi nella gestione della sanità è cosa vecchia. Non può essere comunque un alibi per scaricare le proprie responsabilità, il problema doveva essere denunciato all'inizio e non alla fine del mandato. In realtà - continua Gavino Cassano - che la sanità nel nostro terriorio non funziona è sotto gli occhi di tutti. Le liste d'attesa sono rimaste identiche a prima dell'arrivo di Zanaroli, lo stesso discorso vale per le condizioni dei macchinari necessari per sottoporsi a visite diagnostiche e per le tante altre carenze che caratterizzano il settore». Insomma, niente sconti per l'operato del manager che adesso lascerà spazio ai suoi successori. E all'orizzonte ci sono sfide grandissime, a partire dalla nascita effettiva dell'azienda mista. ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 giu. ’07 ZANAROLI: HO LAVORATO CON I MITRA PUNTATI CONTRO Le dimissioni prima della fine naturale del mandato: «Era opportuno» Il manager Bruno Zanaroli torna a casa dopo due anni e mezzo alla Asl - Intanto circolano i nomi dei possibili canditati alla direzione delle aziende Si parla di Giovanni Mele e Gianni Cherchi GABRIELLA GRIMALDI SASSARI. Se ne torna a casa Bruno Zanaroli. Ed è inutile negarlo, il volto e la voce sono quelli di un uomo che si è tolto un peso di dosso. «Me ne vado con la coscienza a posto, ma sono stati anni duri, è difficile lavorare con i mitra puntati contro». Se è per questo anche in questi giorni in cui il direttore generale della Asl ha ufficializzato le sue dimissioni infuria la battaglia politica. E sarebbe proprio l'ingerenza della politica nella gestione e nel funzionamento dell'azienda sanitaria a rendere tutto più complicato. «Non voglio dire che nel resto d'Italia questa presenza sia trascurabile - afferma - ma in Sardegna si fa sentire in maniera particolare e ostacola il lavoro quotidiano. Tutti i gruppi professionali all'interno dell'azienda hanno un referente politico e diventa difficile instaurare rapporti concreti mirati a un obiettivo comune». E poi la diffidenza. «Fin dal primo momento in cui sono arrivato ho sentito ostilità per il fatto di non essere sardo e ho provato ansia per l'attenzione secondo me eccessiva rispetto al lavoro di un management che non doveva far altro che far funzionare un'azienda al meglio». Zanaroli, modenese, era stato nominato dall'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin all'inzio del 2005. Il mandato era di tre anni e quindi sarebbe scaduto a dicembre. A sorpresa, però, Zanaroli ha deciso (sostiene dopo una consultazione con l'assessorato) di andare via alla fine di giugno, quindi fra due settimane. La notizia ha fatto scatenare violente polemiche in consiglio comunale: è emerso che il manager Zanaroli aveva dato le dimissioni per il sostanziale fallimento della sua missione. «Non è stato in grado di migliorare la funzionalità della Asl, lo dimostrano le lunghe d'attesa per la chirurgia pediatrica e generale, la carenza di personale e di apparecchiature, la difficoltà ad accedere alle visite specialistiche e la chiusura di reparti importantissimi». Sono fatti, questi, sotto gli occhi di tutti e c'è quindi da chiedersi se davvero gli obiettivi fissati dalla Regione al momento della nomina siano stati raggiunti. «L'ultima parola spetta all'assessore - risponde Bruno Zanaroli - ma ritengo di aver raggiunto tutti gli obiettivi, a partire dall'allestimento di un sistema di valutazione della produttività, del tutto assente quando sono arrivato, per arrivare al progetto di screening e all'informatizzazione dell'azienda. Non sto dicendo che tutti i problemi siano stati risolti ma sono state poste le basi perchè l'efficenza dell'azienda sanitaria migliori». Intanto sono cominciate le grandi manovre, almeno a livello di gossip, per la nomina dei successori alla guida della Asl n.1 e per l'assegnazione delle poltrone nella futura azienda mista. Fra i candidati più gettonati per l'azienda "ospedale-università" c'è Gianni Cherchi, attuale manager della Asl di Olbia salito alla ribalta dopo il varo del nuovo ospedale di Olbia. Per Cherchi l'incarico a Sassari sarebbe l'atteso riconoscimento dopo una carriera brillante. Maggiori dubbi invece su chi andrà a sostitutire Zanaroli. Le titubanze dell'assessore Nerina Dirindin e del presidente della Regione Soru sarebbero relative agli assetti politici che si profileranno a livello regionale dopo le recenti elezioni amministrative. Ecco perchè potrebbe essere l'attuale direttore amministrativo della Asl n.1 Giovanni Mele a reggere ad interim l'azienda fino alla nomina del nuovo management. Si fa invece il nome di Michele Poddighe (direttore del pronto soccorso di Sassari) per la conseguente nomina a capo della Asl di Olbia. Poddighe smentisce dicendo che è stato soltantoconvocato in assessorato come tanti altri candidati. «Anche per questo - conclude Zanaroli - ho ritenuto fosse opportuno lasciare libero il campo prima della scadenza naturale del contratto. Con l'atto aziendale sarà necessario nominare una serie di dirigenti di importanti strutture, non mi sembrava giusto assegnare incarichi strategici e andar via». Ma che cosa farà Zanaroli una volta andato via dalla Sardegna? «Intanto andrò al mare qui, perchè sia chiaro, quest'isola è la più bella del mondo. Poi vaglierò alcune proposte, ma il mio desiderio più grande è di tornare a casa». ________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 giu. ’07 RADIOTERAPIA, ENTRO UN ANNO QUATTRO ACCELERATORI Asl e Brotzu, c'è molto da fare STEFANIA SIDDI CAGLIARI. Diminuiscono i tempi d'attesa per le visite specialistiche, il Centro Unico di Prenotazione (Cup) è più efficiente, ed entro la fine dell'anno ci saranno tutte le apparecchiature per il trattamento dei tumori solidi. La sanità sarda comincia ad andare incontro alle esigenze dei cittadini. A un anno di distanza dalla firma di tre protocolli, che che il Tribunale per i diritti del malato e CittadinanzAttiva avevano sottoscritto con l'azienda ospedaliera Brotzu, l'Asl 8 e l'assessorato regionale alla Sanità, ieri, nella Giornata per i Diritti del Malato, sono state tirate le prime somme. In una conferenza all' ospedale Businco, la coordinatrice provinciale Luisa Cossu Giua e quella regionale Franca Pretta hanno verificato lo stato di attuazione dei protocolli insieme al direttore generale della Asl 8 Gino Gumirato, a quello dell'azienda Brotzu Mario Selis e al segretario particolare dell'assessore Nerina Dirindin, Antonio Pili. Dalle tre relazioni è emerso un quadro con luci e ombre. Asl 8. Qui sono stati fatti notevoli passi avanti con la riorganizzazione del Cup, che non opera più solo telefonicamente ma è presente anche negli ospedali e nei poliambulatori. Risultato: informazione in tempo reale sulle strutture con maggiore disponibilità e riduzione delle liste d'attesa. Lunghe code invece in viale Trieste e Quartu a causa delle forti carenze della rete telematica che non sopporta un elevato traffico. In generale però i dati sulle liste d'attesa sono positivi, ha sostenuto Gumirato. <>. In futuro si spera di includere nel Cup anche le strutture private accreditate. Le note dolenti riguardano la riorganizzazione dei presidi sanitari. Si pensava di trasferire in pochi mesi la sede di via Nebida ma il progetto è naufragato. Ora però la finanziaria regionale destina 150 milioni per tutti i presidi e un milione e mezzo andrà alla direzione centrale in via Nebida. In linea con i tempi invece, i reparti di radioterapia e medicina nucleare. Un acceleratore lineare è già in viaggio dagli Stati Uniti ed entro la fine del 2007 arriveranno anche gli altri quattro. Sul fronte del personale sono stati assunti 3 medici su 6 e sono stati formati i tecnici e i fisici. San Michele. Segnali positivi e criticità arrivano anche dall'ospedale. Ridotte le liste d'attesa per la cardiologia da 245 a 59 giorni, e ristrutturata la sala travaglio e parto, ma molti reparti sono ancora in ristrutturazione, e per alcuni i lavori non sono neanche iniziati, fra cui l'immunoematologia, uno dei posti più infelici del Brotzu. Migliorata la situazione nel pronto soccorso dove i ricoveri inappropriati sono calati dal 21 al 14 per cento. A livello regionale c'è ancora da fare per uniformare le procedure di esenzioni del ticket, per i codici di priorità e per gli incontri fra informatori scientifici e medici di base, che oppongono resistenze. Nonostante molto sia ancora da fare i risultati raggiunti sono incoraggianti. A breve saranno sottoscritti altri protocolli. ________________________________________________________________ L’Unione sarda10 giu. ’07 RADIOTERAPIA, ENTRO L'ANNO IL CENTRO Sanità. La novità riguarda circa 2200 pazienti che oggi si curano nella penisola - Macchinari in "4D" per bombardare solo l'organo malato Il primo paziente sarà trattato entro l'anno, poi il nuovo centro per la radioterapia e medicina nucleare sarà pronto per quelle persone che oggi devono partire per essere curate nei grandi poli specializzati del nord Italia. il centroI lavori per la costruzione targata Siemens alle spalle del «Businco» sono in fase avanzata e ieri mattina si è chiuso anche il corso per i medici e i tecnici che lavoreranno nel nuovo centro, dotato delle più moderne attrezzature per la radioterapia in tre e quattro dimensioni. «Per far funzionare questo nuovo centro», ha spiegato Gino Gumirato, manager della Asl 8, durante la presentazione del complesso, «assumeremo una sessantina tra medici, fisici, infermieri e tecnici. Oltre a bandire i concorsi, abbiamo richiamato alcuni professionisti sardi che lavoravano nelle altre regioni ma che avevano espresso il desiderio di tornare. Questo centro offrirà terapie e servizi in linea con i maggiori standard europei». pazientiUna volta a regime, il centro di radioterapia del Businco sarà in grado di trattare oltre duecento pazienti con una tecnologia che, sino a oggi, era sconosciuta nell'Isola. E ieri, a visitare il cantiere del nuovo polo oncologico, c'era anche l'assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin che ha illustrato le potenzialità della nuova rete radioterapica che vede impegnati anche gli ospedali di Sassari e Nuoro. «Grazie alla revisione del project financing», ha detto l'assessore, «siamo riusciti a ottenere apparecchiature all'avanguardia risparmiando denaro». A sovrintendere la nascita del progetto è stato chiamato il piemontese Pietro Gabriele, direttore della centro di radioterapia dell'istituto di ricerca Mauriziano di Candiolo, uno dei maggiori centri nazionali di ricerca e terapia. «Il corso ha permesso ai partecipanti di conoscere le tecniche della radioterapia tridimensionale e di quella a intensità modulata», hanno spiegato gli esperti, «quello di Cagliari sarà uno dei centri più moderni d'Europa con quattro acceleratori lineari: tre in tre dimensioni e uno a quattro dimensioni. In più saranno operativi un simulatore e una pet che consente di valutare con estrema precisione le caratteristiche di ciascun tumore, più altre apparecchiature sofisticate per la diagnosi e il trattamento localizzato. i viaggiUna volta a regime, la rete radioterapica eviterà i viaggi della speranza ai circa 2.200 pazienti sardi che, ogni anno, partono per essere curati in altre regioni o all'estero. Francesco Pinna (Unioneonline) 10/06/2007 Previste 60 assunzioni tra medici, infermieri e tecnici. Ieri mattina si è chiuso anche il corso per i sanitari che lavoreranno nel nuovo centro. le tecniche Nuova frontiera per sconfiggere i tumori Alcuni tumori hanno necessità dell'intervento chirurgico, ma altri possono essere curati anche solo con la radioterapia. La nuova frontiera delle terapie oncologiche offre speranze di guarigione sempre maggiori, ma le apparecchiature più sofisticate consentiranno di intervenire localmente, in tre o quattro dimensioni, solo sul tumore, evitando di intaccare altri organi o i tessuti sani circostanti. La radioterapia, in sintesi, consistente nell'utilizzo di radiazioni per scopi medici, in particolare nel trattamento di tumori. Il reparto in costruzione dove verranno sistemate le nuove apparecchiature a tre e quattro dimensioni è un vero e proprio bunker: i posti letto per i pazienti trattati, ad esempio, avranno a disposizione una rete fognaria speciale a prova di radiazioni. All'interno del polo alle spalle del Businco, inoltre, funzioneranno anche alcune attrezzature per la tac a quattro dimensioni, ma anche un gruppo radiologico telecomandato con digitalizzazione delle immagini. Il corso appena terminato ha consentito a medici e tecnici di iniziare a lavorare con le nuove apparecchiature a tre e quattro dimensioni. (fr. pi.) Ecco la radioterapia, finiti i viaggi della speranza Dalla fine del 2007 sarà pronto il parco macchine e la rete di operatori formati in un anno di lavoro - Dirindin: «Avremo alta tecnologia con grossi risparmi» ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Nel 2005 c'erano 4 mila sardi malati di cancro che avevano bisogno della radioterapia, 2.400 hanno dovuto lasciare la Sardegna per sottoporsi alla radioterapia con apparecchiature a tre dimensioni, quelle che centrano il tumore senza distruggere i tessuti attorno. Quei 2.400 erano pazienti il cui male era annidato accanto a organi quali colon, cervello, occhi: impossibile, pena la vita o una menomazione permanente, intervenire con le macchine ancora oggi presenti in Sardegna. Ieri è stato annunciato che, a partire dalla fine del 2007, nessun malato di cancro bisognoso di una radioterapia di alta precisione dovrà lasciare l'isola. Ieri nell'aula magna dell'Oncologico il direttore generale dell'Asl 8, l'assessore alla sanità e il consulente del progetto per la rete della radioterapia hanno spiegato che, qui, funzionerà uno dei 4, 5 centri in Europa con il più avanzato parco macchine e con l'organizzazione e le risorse professionali all'altezza del compito. Il centro sarà a Cagliari ed è il risultato della ricontrattazione del project financing con la società Siemens fatto dal manager Gumirato appena insediato su disposizione della giunta regionale, ma altri due poli di uguale livello funzioneranno a Sassari (entro la fine del 2007) e a Nuoro (inizio 2008). L'occasione per l'incontro pubblico è stata la fine del corso per il personale che dovrà operare nella rete, cui si aggiungeranno altre 60 persone (concorsi avviati, alcuni già finiti). Si è scelto inoltre di proporre il rientro in Sardegna a specialisti di radioterapia in servizio in ospedali del nord Italia. La rete per la radioterapia e la commissione per l'oncologia si sono riunite per la prima volta in questi giorni. «Il direttore generale - diceva ieri l'assessore Dirindin - mi ha promesso che il primo paziente potrà essere trattato già prima della fine del 2007. Io ringrazio tutto il personale che si è impegnato perché, in attesa del nuovo centro, si potesse migliorare la qualità e la quantità delle prestazioni, e ringrazio tutti gli operatori che hanno fatto ciò che la giunta regionale si era impegnata a dare alla Sardegna: uscire dall'arretratezza che troppo a lungo i pazienti sardi hanno sopportato. Mi preme sottolineare che la nascita di questo centro è una buona esperienza perché ci saranno buone macchine acquistate con un grosso risparmio di risorse. Ed è buona perché non soltanto si è investito nei macchinari, ma abbiamo formato le persone, creato un'organizzazione e rimodulato il progetto edilizio: tutte cose che faranno funzionare il centro». Il direttore generale Gino Gumirato ha spiegato come tutta la programmazione del progetto sia stata rispettata e quindi a fine 2007 si apre tutto, ma anche che le macchine acquistate permetteranno di trattare tutti i tumori dei pazienti sardi. Il consulente per la rete di radioterapia è Pietro Gabriele, direttore del centro di Candiolo in Piemonte: «Ora solo il 35 per cento dei pazienti sardi viene trattato in Sardegna. Ma, in Europa, non siamo gli ultimi: Scozia e Irlanda, regioni ricche, trattano il 35 per cento dei tumori alla mammella (indichiamo il più diffuso), e gli scozzesi pensano di metterci 9 anni per arrivare al 75 per cento di pazienti trattate». La radioterapia è una strada maestra per affrontare i tumori: «Quelli del colon - spiegava l'esperto - guariscono solo con la radioterapia, nei tumori alla prostata il 65 per cento dei pazienti deve sottoporsi a radioterapia. Coi numeri dei trattamenti non siamo soli anche rispetto al resto del mondo: negli Usa si tratta il 19 per cento di cancro alla prostata, in Inghilterra il 16, soltanto la Svezia, sempre prima della classe, raggiunge la quasi totalità dei trattamenti radioterapici necessari». Sull'importanza di applicare le tecniche delle tre dimensioni e di quelle che possono modulare l'intensità per colpir questa malattia: «Il tumore della prostata - diceva Gabriele - viene giustiziato anche sulle due dimensioni, ma il problema è che si giustizia anche il retto, lo standard dovrebbe essere invece la tridimensionalità, con la modulazione di intensità si risparmia il retto e si guarisce al 90 per cento». L'alta qualità riguarda la rete, non soltanto Cagliari: le macchine a 4 dimensioni, quelle che centrano il tumore vicino a organi in movimento, saranno anche a Sassari e a Nuoro. Sanit . Il centro all'avanguardia in costruzione accanto al Businco sarà pronto entro l'anno Macchine nuove e medici esperti in lotta con i viaggi della speranza La radioterapia sarda sarà adeguata a quella italiana. Il personale sarà formato ad hoc Un centro all'avanguardia. Che adeguerà la radioterapia sarda a quella del resto della Penisola e d'Europa. I malati sardipotranno finalmente dare l'addio ai lunghi e costosi "viaggi della speranza" in cerca di cure al di fuori dei confini dell'Isola, e molto spesso della Penisola. Entrolafine dell'anno, il capoluogo disporrà di un centro, attualmente in costruzione all'interno della stessa area dell'ospedale oncologico Businco, poco distante dal Mìcrocìtemìco. I lavori procedono rapidamente, ed entro la fine di dicembre - è la stima dei medici - potrà essere curato con le nuove tecnologie che saranno sistemate nella struttura di via Jenner il primo paziente. La composizione del personale che opererà all'interno del nuovo spazio è stata intanto già definita: vi lavoreranno tredici medici, diciannove tecnici di radiologia, sei fisici, due tecnici fisici, diciassette infermieri, cinque operatori socio sanitari e sette impiegati amministrativi per l'accettazione dei pazienti. Tutti impegnati sino a ieri ad un corso di formazione in radioterapia oncologica, conclusosi ieri e durato dieci fine settimana. A organizzare il piano di studio, Pietro Gabriele, direttore dell'ospedale Maurìzìano di Torino e dell'istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo, e consulente della Asl 8 e della Regione. I PARTECIPANTI hanno potuto conoscere le innovative tecniche di radioterapia tridimensionale e ad intensità modulata. Al termine dei lavori, nella modernissima struttura arriveranno anche i nuovi macchinari: quattro acceleratori lineari, dei quali tre in tre dimensioni e uno in quattro, un simulatore, e tutti i più moderni ritrovati che consentiranno al centro di diventare uno dei più moderni d'Europa. «Le tecniche di radioterapia ad intensità modulata - spiega Pietro Gabriele - fanno il modo che il tumore possa essere aggredito in tutte le direzioni, e la cura sia quindi più efficace». E aggiunge: «Questi nuovi macchinari consentono di contornare i confini in modo che sia solo il tumore ad essere attaccato, senza compromettere le funzionalità degli organi vicini. Attendiamo duemila pazienti all'anno, e contiamo di raggiungere standard elevati anche dal punto di vista quantitativo, con un numero sempre maggiore di tumori curati con successo». Oltre alle macchine, nel capoluogo arriveranno anche professionisti specializzati. «L'attivazione del centro - spiega Gino Gumirato, manager dellaAslS - richiederà circa sessanta persone in più, per questo motivo ci saranno dei concorsi, alcuni dei quali sono già stati portati a termine. L'obiettivo è quello di formare le tre figure cardine della radioterapia: medici oncologi e radiologi, fisici e tecnici sanìtarì». Anche le professionalità mediche che negli scorsi anni sono state costrette a lasciare l'Isola, potranno trovare spazio nel nuovo progetto. NEL MESE di maggio si sono svolti concorsi per medici, tre sono stati assunti e altri sette fanno parte di una graduatoria. Oltre che a Cagliari, si potrebbero trovare a operare anche a Sassari e a Nuoro, sempre lavorando in rete con il capoluogo e con un'équipe altamente formata. Gli obiettivi sono ambiziosi: passare dai circa cento pazienti curati nel corso nel 2006, ai duemila per il prossimo anno, dando spazio a tutti i pazienti che fino ad oggi sono stati costretti a farsi curare in Contine ________________________________________________________________ L’Unione sarda 22 giu. ’07 BROTZU, L'ALLARME DI MEDICI E INFERMIERI «Al lavoro anche per due mesi di seguito senza mai riposare» Al Brotzu gli infermieri dicono di lavorare anche 60 giorni di seguito senza mai riposare. Ci sono reparti inaugurati che non hanno mai funzionato, dirigenti pagati per non lavorare, primari che aspettano da mesi un bisturi nuovo per operare, che chiedono più luce in sala operatoria o, semplicemente, che venga pulita. O che un'apparecchiatura guasta venga riparata. E ci sono pazienti in attesa dal 2004. Nella più grande azienda sanitaria della Sardegna - 1881 dipendenti, 630 posti letto, 36 mila ricoveri all'anno, 150 mila prestazioni ambulatoriali - non si investe più. L'organizzazione del lavoro è affidata agli ordini di servizio della direzione sanitaria che impongono la reperibilità costante. Anche per questo gli infermieri si licenziano e vanno a lavorare alla Asl 8 dove sono pagati di più, o si mettono in malattia, peggiorando la situazione. Scrivono lettere di protesta e siccome nessuno risponde si rivolgono agli avvocati. Anche i primari sono disperati: non hanno personale, quello che c'è si massacra di lavoro ma è demotivato, molte apparecchiature sono guaste o obsolete. Tutto questo si traduce in liste d'attesa più lunghe, aumento dei viaggi della speranza. La tensione è alle stelle e anche chi ieri taceva oggi parla. Parlano - e sono fiumi in piena - davanti ai commissari del centrodestra della commissione sanità del Consiglio regionale che ieri hanno fatto un'ispezione nell'ospedale per verificare condizioni di lavoro e qualità dell'assistenza. Quello che è emerso, senza i filtri della politica, è un quadro oggettivo della situazione. CENTRO PER L'AUTISMO. L'ispezione inizia nel Centro per i disturbi pervasivi dello sviluppo, unico reparto di questo genere nell'Isola dove vengono seguiti prevalentemente bambini autistici. Il centro registra due nuovi casi al mese, ha 40 bambini in lista d'attesa. Pazienti che per migliorare hanno bisogno di assistenza costante. Ma per far fronte a tutte le richieste «il reparto li visita, poi rinvia i trattamenti», spiega il direttore Giuseppe Doneddu. «Abbiamo bisogno di due neuropsichiatri, sette psicologi e tre terapisti del linguaggio. Servono rinforzi anche nel gruppo che fa assistenza domiciliare». CARDIOLOGIA. «Qui la qualità dell'assistenza è mantenuta grazie all'abnegazione del personale », premette il direttore, Maurizio Porcu. Un concetto che ripeteranno tutti i primari intervistati. «Abbiamo carenze nel monitoraggio dei pazienti in terapia intensiva e quindi non è sempre facile rilevare le aritmie. Su cinque ecocardiografi ne funzionano solo due, uno lo chiediamo in prestito. Per lavorare con serenità ci servirebbero sei infermieri». CARDIOCHIRURGIA. «Con il personale che abbiamo siamo costretti a rincorrere le urgenze e a rinviare gli altri interventi, per questo le liste d'attesa ad oggi sono di tre mesi e per questo molti vanno ad operarsi fuori con il conseguente aumento di costi per la sanità sarda », attacca Valentino Martelli. «L'apparecchiatura per l'ecografia transesofagea è guasta, gli ecocardiografi sono vecchi, come i contropulsatori per i quali non esistono pezzi di ricambio. I letti sono difettosi, le luci in sala operatoria sono insufficienti. Ci servirebbe un milione di euro, ce ne hanno promessi 70 mila». CHIRURGIA GENERALE. È il reparto dove in nove mesi sono saltati quattro trapianti di fegato per carenza di infermieri o di sangue. A maggio hanno trapiantato sei fegati e un pancreas, a giugno sono a quota due. Ci sono 7 pazienti in lista d'attesa. É uno dei reparti che ha più personale, ma non basta. «Per stare tranquilli ci servirebbero due infermieri», spiega Fausto Zamboni. «Le responsabilità dei trapianti saltati? Organizzative, qualcuno si dovrà assumere le sue responsabilità ». CHIRURGIA PLASTICA. C'è un direttore, Mario Figus, e anche 15 posti letto. Ma il reparto non è mai stato attivato per mancanza di personale. I degenti, spesso malati tumorali, sono ricoverati in chirurgia generale. «Servirebbero 12 infermieri e sei medici», riferisce Figus. «Ci sono circa 1000 pazienti in attesa, alcuni dal 2004. É ridicolo ». NEFROLOGIA. «È stata privilegiatal'attività di trapianto che ha assorbito il 40% delle nostre forze e sono stati sacrificati gli altri settori», spiega Paolo Altieri, il direttore. «Per far sì che l'attività di trapianto non turbi il resto ci servirebbero due medici e sei infermieri. Per urologia generale la lista d'attesa è di un anno, per l'urodinamica di 5 mesi, in nefrologia di 15 giorni. Ci stanno tagliando le gambe, non si può continuare così». CARDIOLOGIA PEDIATRICA. «Potenzialmente potremmo fare qualunque tipo di intervento, ma il reparto non è mai stato organizzato», riferisce Roberto Tumbarello, il cui reparto tratta 4000 pazienti all'anno, il 40% dei quali vengono da altre province. «Ci servirebbero due terapie semintensive che non abbiamo, facciamo una fatica enorme ad andare avanti. Abbiamo 52 pazienti in lista d'attesa, molti vanno ad operarsi al Gaslini e per noi, che siamo all'altezza, è una sconfitta». CHIRURGIA D'URGENZA. La chirurgia d'urgenza ha due sale operatorie e un solo infermiere a disposizione. Ieri c'era una doppia emergenza - la prassi - uno dei due pazienti ha aspettato. «Mancano 7 infermieri, quelli che ci sono fanno turni massacranti, sono scoppiati, qualche volta si dimenticano di somministrare le terapie ai pazienti. Siamo stanchi, non ne possiamo più», denuncia il direttore Sergio Gemini. «Gli ausiliari sono pochi e spesso non possono pulire le due sale. Ho chiesto un bisturi elettrico tre mesi fa, solo oggi hanno firmato la delibera». MEDICINA NUCLEARE. «Siamo passati da 8 a quattro tecnici, uno dei quali tra pochi giorni va in pensione. Con questi riesco a gestire solo la Pet, l'unica in Sardegna», rimarca il direttore Livia Ruffini. Per la medicina nucleare convenzionale si lavora mezza giornata, chi prenota la scintigrafia cardiaca oggi la potrà fare a novembre. Gli esami da 10 mila all'anno sono stati ridotti a 4000. C'è la potenzialità per aumentare le Pet ma serve una nuova apparecchiatura. RADIOLOGIA. «A causa delle carenze del personale i quattro macchinari possiamo usarli solo al 50%», spiega il numero uno Paolo Schiffini. Per questo per una risonanza magnetica si aspetta cinque mesi. «Servirebbero due tecnici di radiologia e un radiologo. Abbiamo chiesto da tempo un software per fare la colonscopia virtuale: costa 20 mila euro ma non ce lo danno. Ci servirebbero 500 mila euro all'anno per rinnovare i macchinari, ma da due anni non ci danno una lira». GLI INFERMIERI. Un gruppo di infermieri denuncia i turni massacranti e c'è chi parla di otto settimane senza un riposo. Il Nursind rivela che un paziente trapiantato martedì è rimasto per quattro ore in sala operatoria dopo l'operazione perché non c'era posto in Rianimazione. E che sono stati chiesti in prestito due infermieri al Policlinico universitario. Il direttore pagato per non fare nulla e il reparto senza pazienti Maurizio Calamida ha un abito blu elegante e un bell'ufficio. Ampio e vuoto. Nella scrivania non c'è nemmeno una cartella, nessun foglio di carta. Dal 2000 al 2005 è stato direttore amministrativo dell' ospedale. Da maggio 2006 non ha incarico e - denuncia - «prendo lo stipendio senza far nulla». Nel frattempo è stato assunto un altro direttore dall'esterno. Calamida ha fatto un esposto alla procura della Repubblica. CARDIORIABILITAZIONE. Il reparto (che comprende anche la neuroriabilitazione) è stato inaugurato a settembre 2005 ma non è mai entrato in funzione come luogo di degenza. Funziona solo come day hospital. Ci sono i direttori, Paolo Mascia e Giovanni Melis, e qualche medico. Sia Maurizio Porcu che Valentino Martelli, cardiochirurghi, riferiscono che ne avrebbero bisogno. L'EX DIRETTORE GENERALE. La visita degli esponenti della commissione sanità (Pierpaolo Vargiu, Nello Cappai, Mimmo Licandro, Vittorio e Alberto Randazzo, Sergio Pisano, Mariano Contu, Giorgio La Spisa, Antonello Liori, Raffaele Farigu, Domenico Gallus) si conclude dal direttore generale, Mario Selis. Queste le sue risposte: «Le carenze di personale le stiamo risolvendo: stanno arrivando anestesisti e, dal primo luglio, una ventina di infermieri. I trapianti saltati? Succede ovunque, sennò gli organi rimarrebbero sempre nella città del donatore, invece finiscono in un circuito. È vero che ci sono criticità, in generale, ma anche perché il numero di pazienti cresce. Quanto al centro per l'autismo, i pazienti crescono di numero perché è l'unico in Sardegna. Abbiamo un progetto, aspettiamo le risorse. E speriamo che ne facciamo un altro, magari al nord Sardegna». LE POLEMICHE. Il centrosinistra polemizza con i colleghi del centro destra. Nazareno Pacifico, presidente della commissione sanità del Consiglio regionale, accusa: «Non è serio giocare sulla sensibilità di chi soffre creando infondati allarmismi ». (f. ma.) _______________________________________________________ Il Giornale 23 giu. ’07 L'INGEGNERE DELLA LUCE PRESTATO ALLA MEDICINA L'azienda El.En:, fondata nel 1981, ora è un gruppo noto in tutto il mondo. Il suocero del docente è stato trai primi a preferire al bisturi il raggio luminoso Si deve a Leonardo Masotti, professore all'università di Firenze la produzione e l'utilizzo del laser nel campo della chirurgia E’ uno studioso, un ricercatore. Da più di quarant'anni. E tutto grazie a un articolo apparso su Selezione, il mensile del Reader's Digest, dedicato al laser e ai primi studi effettuati in Italia. Leonardo Masotti, romagnolo di Faenza, laurea in ingegneria a Bologna e dal 1976 docente di elettronica all'università di Firenze, ne rimane talmente affascinato da dedicarsi quasi completamente al laser e in seguito anche agli ultrasuoni. E con successo: una quarantina i brevetti. Realizza insieme all'Esaote, l'azienda che una volta era della Bracco e ora appartiene a un consorzio di banche, il primo ecocardiografo italiano. Realizza insieme al professor Riccardo Pini lo strumento per l'ecografia tridimensionale che fa vedere le sembianze del feto. Realizza il laser che ha un effetto terapeutico rigenerativo dei tessuti umani. Produce laser utilizzati in dermatologia, chirurgia estetica, fisioterapia, odontoiatria, ginecologia ma anche per le industrie e per il restauro delle opere d'arte. E con una società del gruppo ELEn. realizza un laser che agisce in profondità rispetto alla normale laserterapia. Dice: «Un laser innovativo e particolarmente efficace nelle situazioni traumatiche a carico di muscoli, tendini e articolazioni». Adattissimo quindi nel mondo sportivo. Impresa hi-tech. Questo laser si chiama Hilt, acronimo di «High intensity laser therapy». E caratterizzato dall'emissione dl impulsi a breve durata e di elevata potenza di picco. La luce emessa è nella banda dell'infrarosso. Ed è uno strumento realizzato dall'Asa di Vicenza, un'azienda che fa parte, insieme a un'altra decina di imprese, del gruppo E1.En., quartiere generale a Calenzano, alla periferia di Firenze, quotato in Borsa al segmento Star e al trentaduesimo posto nel ranking europeo delle società quotate che investono di più in ricerca e sviluppo: l'8% del fatturato. I primi passi. El.En. nasce nel 1981 a Firenze in un modo tipico di molte imprese high-tech: l'iniziativa di un professore universitario e di un suo allievo per trasformare in prodotti le idee e i risultati della ricerca. Il professore è Leonardo Masotti, a quei tempi poco più che quarantenne e attuale presidente del comitato scientifico-tecnico del gruppo fiorentino che ama definire «una piccola multinazionale; l'allievo si chiama Gabriele Clementi, allora neoingegnere trentenne essendo del 1951 e oggi presidente dei gruppo. In realtà c'è anche una terza persona che partecipa come socia all'iniziativa con il compito di occuparsi dell'amministrazione ed è Barbara Bazzocchi, la moglie di Masotti. Fisico asciutto, occhi verdi marroni, per sua ammissione «molto distratto», Leonardo Masotti è del 1939, figlio di un enologo romagnolo e sesto di sei fratelli. Studia al liceo classico Torricelli di Faenza, quindi va all'università a Bologna e dopo la laurea gli capita di leggere quell'articolo sui laser. Anzi, un riquadro più che un articolo. E li c'è anche il nome di chi conduce la ricerca, il professor Nello Carrara. Allora gli telefona, lo va a trovare a Firenze, ottiene anche una borsa di studio. L'arrivo a Firenze. Cosi Masotti si trasferisce a Firenze dove viene messo a lavorare sui radar. E continua a studiare i radar anche quando parte per il servizio militare. Solo che, occupandosi di ricerche delicate, viene nominato direttamente ufficiale di marina in base a una legge di cui ha usufruito anche Marconi e spedito a Livorno. E dal momento che sin dai tempi del liceo è innamorato di una ragazza del suo Paese, Barbara Bazzocchi, figlia del primario chirurgo dell'ospedale di Faenza, decide di sposarsi. A quei tempi, afferma, «vivere insieme al di fuori del matrimonio era impensabile». Finito il militare i due sposini mettono su casa a Firenze. E lui si divide tra l'insegnamento universitario e la ricerca applicata collaborando con l’Esaote nella progettazione del primo ecocardiografo italiano e con la Valfivre, un'azienda della Magneti Marelli, specializzata in valvole radio elettriche. Ed è proprio con la Valfivre che costruisce i primi laser. Anzi il primo laser lo dà al suocero, Giovanni Bazzocchi, un ottimo chirurgo che proprio in quegli anni apre a Forlì la casa di cura Villa Serena. E il suocero lo utilizza al posto del bisturi. Svolta epocale. È una rivoluzione: il taglio non produce sangue, la guarigione avviene senza lasciare una brutta cicatrice il dolore postoperatorio è minore. Masotti, racconta, rimane talmente «impressionato» da far eseguire altre prove nel trattamento delle malattie dell'epidermide e delle corde vocali scoprendo gli effetti terapeutici del laser: dalla riduzione delle infiammazioni nelle artico]azioni allo stimolo nella riparazione dei tessuti e della cartilagine. E dopo avere dato vita a Firenze, sempre insieme a Clementi e alla moglie, a un Centro diagnosi di medicina interna avendo come modello un famoso centro americano la Mayo Clirdc, nel 1981 fonda la El.En: significa Electronic Engeneering. L'azienda è ben poca cosa: nessun dipendente, un fido di 50 milioni, un appartamentino con un banca di lavoro per gli oscilloscopi e i saldatori. Clementi fa un po' di tutto, dal ricercatore al montatore; Masotti continua a dividersi tra l’università e il laboratorio mentre Barbara tiene i conti. Arrivano gli ordini. Le prime commesse sono un convertitore di formato d'immagine per gli ecografi dell'Esaote e strumenti per il controllo delle acque. E poi i laser. Anzi, la El.En. è la prima al mondo a elaborare laser nel settore medicale per la stimolazione. Sono realizzati anche sistemi laser per nuove applicazioni in diversi settori: d'impiego come è quello della marcatura laser in campo industriale. Inizialmente l’azienda produce per conto terzi ed è solo all'inizio degli anni Novanta che utilizza marchi propri: la Deka per il medicale, la El.En. per l’industriale. Ma per sostenere l'espansione operativa, Masotti fa entrare anche nuovi soci, per lo più pratesi, da Andrea Cangioli ad Alberto Pecci. Sano così acquisite nel tempo la Valfivre, la Quanta System paser perla ricerca e l'estetica), la Ot-Las (macchine per la marcatura), la Asa. Sono fondate la Cutlite Penta (sistemi laser industriali di taglio) e la Lasit (sempre marcatura ma su metalli). Tutte in Italia. E solo dopo la quotazione in Borsa nel 2000, Masotti e soci pensano all'estero. Nuovi orizzonti. Acquisiscono due aziende negli Stati Uniti (la Cynosure di Boston una delle più importanti del settore medicale al punto da essere quotata nel 2006 al Nasdaq, é la Lasercut nel Connecticut, specializzata nei laser industriali), comprano in Germania dalla Carl Zeiss la Asclepion (laser per l'estetica), aprono una società di distribuzione in Giappone, realizzano una jont venture in Cina per laser industriali: I dipendenti sono ora 650, il fatturato di 152 milioni di euro realizzato per il 70% nel medicale, l'export è del 75 per cento. A Calenzano è operativo il principale centro di ricerca con 54 persone tra ingegneri, fisici, ricercatori, ma laboratori funzionano con un'altra ventina di dipendenti anche a Milano Malpensa (dove ha sede la Quanta System), negli Stati Uniti e in Germania. Progetti. Divoratore di riviste tecniche ma anche molto tempo dedicato alla scrittura, due figli (Maria Federica è il legale dell'azienda; Giovanni,1967, ingegnere meccanico, segue lo sviluppo delle nuove macchine), Masotti vuole sviluppare laser sempre meno invasivi nel settore medicale e sostiene che di fatto la El.En. è ormai una public company. La famiglia Masotti ha infatti il 10,5% del capitale come ce l'ha Clementi, Cangioli ha il 13% e Pece! l'8% mentre il flottante è il 42 per cento. Spiega: «Non c'è un padrone ma si lavora in team. Le decisioni sono infatti collegiali». _______________________________________________________________ La Repubblica 16 giu. ’07 COCAINA, RECORD DI PAZIENTI DAL CHIRURGO I MEDICI: TROPPI DANNI A BOCCA E NASO Allarme di Libera: mancano 400 tonnellate dalle stime sul consumo ROMA- Adulti, ma anche molti giovani, con setto nasale distrutto e gengive danneggiate al punto di perdere i denti. Si diffonde il consumo di cocaina e le persone che ne portano sul viso i segni sono in aumento. La cocaina è infatti un vasocostrittore, le mucose si ritirano e il setto si danneggia, fino a bucarsi, mentre nella bocca le gengive si assottigliano e si ritirano, infettandosi. Se fino a 10 anni fa i medici vedevano pochi pazienti in queste condizioni, «uno al mese» riferisce Gilberto Ponti, specialista in chirurgia maxillo-facciale e docente di ricostruzione ed estetica del naso all'Università di Tor Vergata di Roma, «oggi invece è quasi una routine, almeno 3-4 alla settimana». E la stessa cosa si comincia a vedere negli studi dentistici. Nel caso di danni al setto il sanguinamento può essere anche irrefrenabile, mettendo a rischio la vita. E non mena pericolosi sono i rischi di infezioni come la meningite batterica. Un consumo in aumento, dunque, sottostimato. Ci sarebbe infatti un buca nero da 400 tonnellate, questo è l'ammontare della cocaina prodotta e consumata nel mondo che resta fuori dai calcoli ufficiali. A fornirla è "Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie" che a Roma ha presentato la propria lettura dei dati contenuti nei rapporti annuali delle Nazioni Unite e della statunitense Dea mettendone in luce in luce le clamorose discrasie. Il dossier si basa sulla comparazione tra le varie voci della produzione, del consumo e del sequestro di cocaina nel mondo dal 1999 al 2004. Intanto una nuova ricerca dell'Ibc-Cnr ha scoperto topi insensibili ai suoi effetti stimolanti. Si tratta di topi geneticamente modificati nei quali è stato rimossa il gene che produce un recettore che è l'interruttore per la sensibilità alle droghe. Uno studio che apre una strada per la messa a punto di farmaci contro gli effetti delle droghe. _______________________________________________________________ La Repubblica 14 giu. ’07 QUANDO PET E TAC COLLABORANO L'APPARECCHIO INSTALLATO AL CNR DI PISA PER CUORE, TUMORI, NEUROLOGIA. VANTAGGI NELLE DIAGNOSI Diagnosi più rapide e precise, procedure non invasive, decisioni terapeutiche più appropriate. Con una macchina che è la fusione di due diversi apparecchi: Pet e Tac. È il Discovery VCT, installato da poco al CNR di Pisa, che consente di diagnosticare e valutare con maggior precisione le patologie cardiache, ma anche le malattie onco10E 'che e le disfunzioni neurogiche. Dal giugno dell'anno scorso sono già stati diagnosticati 2000 pazienti oncologici. Da tre mesi funziona anche per i pazienti cardiologici, finora ne sono stati esaminati 50- 60. Due esami in uno . «Il Discovery VCT», spiega Piero Salvadori, responsabile dell'Unità Cidotrone/Radiofarmacia/PET dell'Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa, «è l'unione di due macchine che sono state indipendenti per molto tempo. La Tac dà informazioni di tipo anatomico, ci dice come sono fatte le strutture del nostro corpo. La Pet, utilizzando tracciati radioattivi, è in grado di dire come funziona l'organo. Mettere insieme queste due informazioni - cosa c'è di anomalo e non funzionante e dove - consente di riunire due esami in uno, di fare una diagnosi migliore, di ridurre i tempi dell'esame, e quindi di esaminare molti più pazienti. Possiamo arrivare a esaminare fino a 20 pazienti al giorno». E si tratta di pazienti sofferenti, che non possono stare fermi per troppo tempo: in questo caso, l'esame dura appena 20 minuti. Risoluzione altissima Tanti i vantaggi di questa nuova apparecchiatura. Li illustra Danilo Neglia, responsabile delle applicazioni cardiologiche della PET/CT al Cnr di Pisa: «La Tac si è sviluppata moltissimo negli ultimi anni», spiega, «e il salto di qualità è dovuto al multistrato (in questo caso, gli strati sono 64). Con una risoluzione temporale molto alta si vede meglio. Si vedono bene le coronarie dopo aver iniettato il mezzo di contrasto. L'apparecchio dà la possibilità di sostituire la coronografia invasiva con un esame assolutamente non invasivo. Diminuisce il rischio di "sovradiagnosticare", e anche di non diagnosticare la malattia». Non trascurabile anche l'aspetto dei costi: «Questo esame naturalmente ha un costo, che si giustifica solo se riduciamo i costi a valle dell'esame, evitando esami inutili o dannosi. Ancora siamo in fase di valutazione, ma per quanto riguarda solo la Pet c'è una riduzione del 25% dei costi; per Pet e Tac insieme il risparmio è raddoppiato se non triplicato». Ricerca di frontiera Quello di Fisiologia dinica di Pisa, nato negli annni '7o, è il più grande istituto del Cnr. «Fin dalla sua costituzione», ricorda Neglia, «l'obiettivo dell'istituto è stato quello di sposare l'informazione clinica con l'informazione funzionale. E il principale strumento è l'imaging. La prima Pet è stata installa noi negli anni '80. Facciamo ricerca con la tecnologia di frontiera. Il nostro staff comprende medici, fisiologi, biochimici, ingegneri, informatici. Abbiamo macchine di altre ditte, non abbiamo esclusiva con nessuno». In modo non invasivo, nell'arco di appena cinque battiti cardiaci, l'apparecchio è in grado di catturare immagini del cuore e delle coronarie, acquisendo 64 immagini in una sola rotazione. In un'unica sessione di esame e utilizzando un unico sistema, è possibile accedere a dati essenziali del profilo anatomico e funzionale del paziente, comprese le mappe di perfusione cardiaca a riposo e sotto stress l’angioTAC e il "calcium score" (quantità e qualità di calcio nelle arterie coronariche). «Questo esame», spiega ancora Neglia, «sposta la medicina dalla fase riparativa alla fase preventiva. Bisogna fare attenzione ai pazienti candidati e agli sviluppi futuri. In base ai fattori di rischio (fumo, obesità, ecc. ) si può stabilire uno score di rischio: se questo score è tra 2o e 7o%, questo esame è indicato». di Lucia Zambefii