RICERCATORI, FUTURO DA DOCENTI AGGREGATI - IN ITALIA POCHI LAUREATI, MA SOLO METÀ DOPO TRE ANNI HA UN LAVORO STABILE - LA RIFORMA BERLINGUER STRAVOLTA DAI DOCENTI - RIFORMA DELLE UNIVERSITÀ, SARKOZY RALLENTA IL PASSO - FONDI IN ARRIVO RICERCA, UNA BOCCATA D'OSSIGENO - LA LAUREA BREVE NON PIACE ALLE IMPRESE - L'UNIVERSITÀ NON PENSA AL LAVORO DEI LAUREATI - ATENEI D’EUROPA, FAME DI ETICA - LA CRESCITA FRAGILE DEGLI SPIN-OFF - L'ISOLA DELLA CONOSCENZA - BASTA CON CARTESIO, È IL SESSO IL FONDAMENTO DELLA CONOSCENZA - BLUE GENE DI IBM PRIMO TRA I SUPER COMPUTER - LA GLOBALIZZAZIONE BOCCIA I MANAGER SCHEMATICI - ======================================================== SAN GOVANNI DI DIO: LUOGO CONCRETO ABITATO DA IDEE CONCRETE - GIANNI CHERCHI SI INSEDIA AL TIMONE DELLA NUOVA AZIENDA - ZANAROLI: ABBIAMO POSTO LE BASI PER IL FUTURO DELLA SANITÀ - TICKET, LO PAGA SOLO IL 37 PER CENTO DEGLI ASSISTITI - STRETTA SULL'ESENZIONE DAL TICKET - MALLARINI: BASTA UN AGO E LA SCHIENA NON FA PIÙ MALE - MEDICI PRIVATI IN PIAZZA: «BASTA AI TETTI DI SPESA» - CAGLIARI: IL NOSTRO INDICE DI VECCHIAIA È PATOLOGICO - MEDICI RIMANETE UMANI - HOSPICE: INGUARIBILI MA CURABILI... - IL LAVORO IN CORSIA - IL CERVELLO COME UN MP3: SCOPERTO IL SEGRETO DELLA VISTA - GENETICA. PASSO VERSO LA VITA ARTIFICIALE - GENETICA: TECNICA NON UNA SCOPERTA - SE IL CHIRURGO DECIDE DI NON DARCI UN TAGLIO - LA PELLE ARTIFICIALE ANTI-CICATRCI - MODE ALIMENTARI: SU INTERNET UNA SELVA DI INGANNI - ======================================================== Italia Oggi 28 Giu. ‘07 RICERCATORI, FUTURO DA DOCENTI AGGREGATI Al prossimo cdm il disegno di legge sulla III fascia DI BENEDETTA P PACELLI Arriva la terza fascia della docenza. Il ministro dell'università e della ricerca, Fabio Mussi, presenterà in consiglio dei ministri, forse già la prossima settimana, un disegno di legge che introduce un ruolo ad hoc per i ricercatori e che li riconosce per ciò che sono: docenti aggregati. AL ministero si sta lavorando alle ultime limature, interessa oltre 20 mila persone che da anni svolgono negli atenei italiani attività di ricerca, ma anche didattica, tenendo corsi, lezioni ed esami senza però avere uno status giuridico specifico. Già la riforma Moratti aveva stabilito che ai ricercatori, che hanno svolto per almeno tre anni attività di docenza, è attribuito, «a domanda senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il titolo di professore aggregato quale terzo livello di docenza». Questi professori, recitava ancora la norma, hanno la responsabilità di corsi compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici e sono anche tenuti ad assolvere i compiti di tutorato e di didattica integrativa. Un titolo, quindi, ma svuotato dal ruolo. Secondo la bozza l'accesso alla terza fascia sarà disciplinata tenendo conto del nuovo regolamento per i ricercatori ora al Consiglio di stato per il parere. A partire dal 2009 i bandi prevedono che l'assunzione del vincitore può avvenire su scelta dell'università interessata, con contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato per quattro anni. Ma il passaggio a docenti aggregati non sarà automatico. Perché ci saranno delle procedure di valutazione che comporteranno non solo automatismi ma anche verifiche. I ricercatori saranno infatti valutati da una parte dall'Anvur e dall'altra secondo le modalità e i criteri stabiliti dai regolamenti dell'ateneo di riferimento. Nel caso in cui entrambe le valutazioni abbiano esito positivo il professore entra definitivamente in ruolo e prosegue nella sua carriera. In caso invece dì esìto negativo il ministero dell'università provvederà annualmente a detrarre dal fondo di finanziamento ordinario delle università di appartenenza una quota pari al trattamento economico complessivo dell'interessato. I professori di terza fascia avranno poi compiti didattici assegnati dagli organi competenti dell'università di appartenenza e potranno essere svolti nei corsi di laurea, di laurea specialistica o magistrale, ma anche di specializzazione e di dottorato di ricerca _______________________________________________________ Repubblica 26 Giu. ‘07 IN ITALIA POCHI LAUREATI, MA SOLO METÀ DOPO TRE ANNI HA UN LAVORO STABILE L'ANALISI/ C'è un rapporto diretto tra il livello di scolarizzazione della popolazione e la produttività del sistema economico Nella fascia tra 25 e 64 anni sono solo l'11,4 per cento della popolazione, contro il 25 per cento di Germania e Francia. Tra chi esce oggi dall'università trovano posto più rapidamente ingegneri, chimici e laureati in economia GIOVANNA AJASSAR Scolarità fa rima con produttività. Un passaggio essenziale per consolidare i segni di ripresa dell'economia italiana è rappresentato dal miglioramento del nostro sistema di istruzione e da una sua maggiore sintonia con l'evoluzione del mondo produttivo. Se l'Italia vuole riposizionarsi ai piani alti della globalizzazione - dove si fa design e innovazione prima che produzione - deve avere i titoli per farlo. Lauree e diplomi, innanzitutto. Istat e Banca d'Italia offrono alcune indicazioni interessanti. Nelle imprese industriali con almeno 50 addetti l'incidenza del personale laureato sale dal 6,9% del 2000 al9,5% del 2006. Nell'intero sistema produttivo la quota dei tecnici è cresciuta da meno del 12% nel 1993 a oltre il 17% nel 2006. Presso le imprese industriali con oltre 50 addetti la quota di imprenditori laureati è salita dal 23% del 2002 al 37,4% del 2006. Gli imprenditori con titoli post-universitari di perfezionamento sono aumentati dal 2,8% al 4,2%. Quelli con solo la licenza media o elementare sono scesi dal 22,4% al 9,5% del totale. Sono numeri incoraggianti, ma il divario tra l'Italia e gli altri paesi rimane ancora molto ampio. Nel 2004 la percentuale di laureati sulla popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni si attestava al 25,2% nella media dei paesi OCSE. In Italia era pari solo all' 11,4%. In Francia e m Germania, i nostri principali partner e concorrenti sui mercati globali, la quota di laureati si collocava tra il 24 e il 25% della popolazione 25-64. Tra il 1991 e il 2004l’ Italia ha pressoché raddoppiato l'incidenza dei propri laureati (dal 6,1 % all' 11,4%) ma rimane ancora ad una quota che non arriva alla metà di quella di Francia e Germania. I laureati in Italia sono pochi perché da noi è particolarmente elevato il numero di chi lascia gli studi senza finirli. Secondo i dati dell'OCSE, nel nostro paese il tasso di abbandono delle università si avvicina al 60%. Si tratta di una proporzione doppia rispetto alla media dei paesi industrializzati. Perché tanti abbandoni? In un recente lavoro, due economisti del Servizio Studi della Banca d'Italia mettono in evidenza la rilevanza delle condizioni famigliari. Più alto è il grado di istruzione dei famigliari, minore diviene la probabilità che lo studente lasci gli studi prima della laurea. A parità di altre condizioni, la presenza in famiglia di un padre laureato riduce la probabilità di abbandono di ben 14 punti percentuali. Allo stesso modo, una correlazione importante è rintracciata con il tipo di scuola secondaria frequentata prima dell'università. Il fatto di aver frequentato un liceo riduce la probabilità di abbandono di oltre 50 punti percentuali. A monte dell'istruzione dei genitori e del tipo di scuola secondaria precedentemente frequentata; lo studio di Francesco Cingano e di Piero Cipollone individua nelle condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza un fattore importante di influenza sulle probabilità di successo dello studente all'università. A parità di altre condizioni, c'è il rischio che finisca l'università chi può permetterselo Piuttosto che chi lo merita. .Al contrario, un sistema di istruzione capace di selezionare i migliori offrendo opportunità di educazione e di emancipazione a tutti serve sia allo sviluppo economico sia alla coesione sociale. Al problema del completamento degli studi universitari si aggiunge il passaggio critico dalla scuola al lavoro. I dati diffusi a fine maggio dall’Istat nell'ambito dell'indagine annuale sull'inserimento professionale dei laureati sono illuminanti. Nel 2001 in Italia si laurearono 154.324 persone. Di queste, nel 2004 solo 86.146 risultavano aver trovato un lavoro continuativo: il56% del totale. Come spesso accade in Italia, intorno alla media c'è molta varianza. Sono infatti appena 19 su 100 i laureati in medicina che godono di un lavoro continuativo a tre anni dalla laurea. All'altro capo della distribuzione, risultano invece 81 su 100 gli ingegneri in possesso di un'occupazione stabile ad un triennio dal completamento degli studi. AL di sotto degli ingegneri, ma sopra la media nazionale, troviamo i laureati chimico-farmaceutici, quelli del gruppo economico-statistico e gli ari. AL di sotto dell'aliquota di 56 occupati per 100 laureati, si collocano i laureati in discipline politico-sociali, letterarie e giuridiche. Riguardo alle tipologie di contratto dei laureati al lavoro ad un triennio dalla laurea, i contratti a tempo indeterminato sono largamente maggioritari nel caso di laureati in discipline chimico- farmaceutiche, in ingegneria, in materie economico-statistiche. Le collaborazioni coordinate e continuative hanno invece un peso significativo per i laureati del blocco politico-sociale, per i laureati in lettere e per quelli del gruppo psicologico. La ripresa in corso dell'economia italiana parte dall'industria. Degli 86.146 laureati nel 2001 che nel 2004 avevano un'occupazione, il 20% lavorano nell'industria. L'industria assorbe un quinto dei neo-assunti laureati del paese mentre è titolare di un quarto del valore aggiunto nazionale. Se guardiamo i dati divisi per i diversi gruppi di laurea, la quota di occupati nell'industria sale al 36% dei neoassunti laureati in discipline chimiche-farmaceutiche e al 48% degli ingegneri. Ecco quindi che il cerchio si stringe. In Italia ogni anno si iscrivono all'università circa 330mila giovani. Oltre la metà di questi non finisce gli studi. Gli 80-90mila giovani che ce la fanno si distribuiscono su un ventaglio dì lauree piuttosto diverso dalla matrice delle possibilità di assorbimento espressa dal mondo delle imprese e, in particolare, dall'industria. E' come un acquedotto con parecchie perdite lungo le tubazioni e un sistema di sbocchi che prescinde dai fabbisogni degli utenti finali. Meno abbandoni degli studi e più laureati nelle discipline chiave per il rilancio della competitività e l'attività dei settori esposti alla concorrenza internazionale: passa anche da qui il consolidamento della ripresa. *Responsabile Servizio Studi BNL Gruppo BNP Paribas _______________________________________________________ Repubblica 30 Giu. ‘07 LA RIFORMA BERLINGUER STRAVOLTA DAI DOCENTI Luciano Guerzoni Già sottogretario all'Università AVENDO condiviso coni ministri Berlinguer e Zecchino la riforma universitaria, vorrei proporre alcune domande. 1) L'articolazione degli studi universitari su tre livelli consecutivi (laurea breve, specialistica, dottorato di ricerca) è un impianto assunto dal 1999 da ben 45 paesi europei. Possibile che, solo per l'Italia, il mutamento dell'architettura dei corsi di studio sia la causa del disastro? 2) Obiettivo essenziale era l'autonomia didattica degli atenei. Come mai si è giunti all'immane minutaglia burocratica dei decreti attuativi?A causa del dirigismo ministeriale o dello scatenamento delle corporazioni accademiche alla ricerca ciascuna del riconoscimento di nuovi corsi? (Nacquero all'epoca associazioni di docenti con questo specifico scopo). 3) Chi ha stravolto i famigerati "crediti formativi " trasformandoli in paradigma del prestigio del docente e del suo potere accademico, parcellizzando insegnamenti ed esami in nome di una logica spartitoria? Chi ne ha fatto una ragnatela inestricabile per lo studente e una barriera alla mobilità studentesca? Dove invece i docenti hanno ben collaborato si fa ancora una didattica di qualità. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Giu. ‘07 RIFORMA DELLE UNIVERSITÀ, SARKOZY RALLENTA IL PASSO Aperto il confronto con gli studenti sull'autonomia Leonardo Martinelli PARIGI Dopo le polemiche sul servizio minimo garantito in caso di scioperi nei trasporti, Nicolas Sarkozy si prepara ad affrontare la battaglia delle università. La riforma allo studio del Governo mira a consentire l'autonomia gestionale e finanziaria di ogni ateneo. Non sarà facile, anche in questo caso, perché le resistenze sono fortissime. Sarko il decisionista aveva intenzione di bruciare i tempi. Ma in questa sua primavera battaglia legislativa - la nuova Assemblea nazionale entra in carica oggi - ha dovuto accettare l'ipotesi di rallentare il passo. Ieri pomeriggio il presidente ha ricevuto all'Eliseo i rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle università (Cpu). E oggi si incontrerà con quelli degli insegnanti e dei ricercatori, oltre che con le maggiori organizzazioni studentesche. Sarkozy intendeva presentare già domani in Consiglio dei ministri il progetto di legge relativo, elaborato con il ministro dell'Università Valérie I'écresse. E invece ieri sera ha deciso di rinunciare alla presentazione del progetto di legge, pur continuando le consultazioni. Secondo David Martinon, portavoce dell'Eliseo, «il progetto dovrebbe comunque essere esaminato dal Consiglio dei ministri mercoledì 4 luglio», per poi affrontare il dibattito in Parlamento: una settimana in più per perfezionare il testo. Le idee di Sarkozy in merito sono note: conferire agli atenei un'autonomia a 36o gradi (nell'assumere il corpo insegnante, per il bilancio e per la gestione del patrimonio immobiliare); introdurre una selezione dura all'inizio dei master; snellire i consigli di amministrazione (da 6o a 20 membri), riducendovi il peso relativo dei rappresentanti degli studenti. La riforma ha l'obiettivo di allineare la Francia a quanto già fatto in gran parte dell'Unione europea. Ma soprattutto si vogliono rilanciare le università, considerate una seconda scelta rispetto alle grandes écoles create ai tempi di Napoleone e ancora oggi fucine dell'élite del Paese. Sarkozy può contare sull'appoggio dei presidenti degli atenei per gran parte delle misure previste. Gli studenti, invece, restano critici. Ieri, dopo l'annuncio del rinvio della presentazione del progetto di legge, i leader dell’Unef, una delle principali organizzazioni studentesche, si sono detti soddisfatti, sperando in cambiamenti sostanziali del progetto. E minacciando proteste in caso contrario. La prima battaglia di Sarko è appena iniziata. _______________________________________________________ Italia Oggi 29 Giu. ‘07 FONDI IN ARRIVO RICERCA, UNA BOCCATA D'OSSIGENO DI BENEDETTA P PACELLI UNA BOCCATA DI OSSIGENO per la ricerca e l'università italiane. Tra proteste, appelli e missive il ministro dell'università Fabio Mussi è riuscito a portarsi a casa un piatto piuttosto ricco, dati i tempi, che pesa circa 700 milioni di euro. Un bottino da spartire in diversi settori del suo ministero: dall'edilizia universitaria che aveva visto quasi azzerati i fondi, alle borse di studio per gli studenti, dai progetti di ricerca a risorse destinate alla realizzazione di strutture di eccellenza che coinvolgono la ricerca pubblica e privata. Approvato poi il decreto in materia finanziaria, che prevede tra l'altro l'abolizione, quest'anno, del taglio del 20% dei consumi intermedi previsti per gli atenei e gli enti del diritto allo studio. Sbloccato anche il 30% dei fondi immobilizzati dal comma 738 della Finanziaria, cosa che consente l'emissione immediata del bando per i Progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin), con una dotazione iniziale di 90 milioni di euro, che sarà incrementata con la prossima disponibilità del fondo First. La restituzione di 155 milioni di euro accantonati dal comma 507 della Finanziaria, che saranno destinati: 15,3 milioni di euro a piani di sviluppo dell'università; 6,8 milioni di euro alle università non statali; 20,3 milioni di euro a borse di studio per dottorati di ricerca; 112,7 milioni di euro al Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, già così la tendenza è in aumento, e quando il disaccantonamento sarà completo, quest'anno l'incremento dei finanziamenti per gli enti di ricerca sarà del 7%, «uno dei più importanti della storia» ha precisato Mussi. Anche per l'anno accademico 2007/2008 le università potranno procedere ad affidare incarichi di insegnamento con supplenze e contratti e ulteriori 65 milioni di euro per finanziare nel 2007 il programma per l'edilizia universitaria. Una giornata cominciata bene per il settore con la riassegnazione da parte del Cipe al ministero di 268,7 milioni di euro, per iniziative di ricerca e di formazione nel Mezzogiorno d'Italia. Risorse, queste, destinate a sostenere la realizzazione di strutture di eccellenza che coinvolgono la ricerca pubblica e privata su settori scientifici e tecnologici di grande interesse per la competitività dei territori. Si tratta, da una parte, di realizzare 11 laboratori di ricerca nei quali imprese, università ed enti pubblici di ricerca opereranno congiuntamente su aree di rilevante interesse socio-economico. _______________________________________________________ Avvenire 26 Giu. ‘07 LA LAUREA BREVE NON PIACE ALLE IMPRESE La laurea breve non piace alle imprese. Se in generale laureati e soprattutto diplomati sono lavoratori sempre più richiesti, il titolo accademico tradizionale, cioè quinquennale, continua a essere preferito a quello triennale. Il progetto Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro segnala che i laureati continuano a crescere percentualmente tra i neo-assunti: erano 59.400 nel 2006, l'8,5% del totale, saranno 75.330 nel 2007, ovvero il 9%. E gli imprenditori preferiscono chi ha la laurea tradizionale, richiesta per il 48,3% delle entrate di laureati, mentre le lauree brevi attirano solo il 16,3% della domanda di laureati. Le lauree più richieste continuano a essere quelle a indirizzo economico (24.240), seguite dall'indirizzo di ingegneria elettronica e dell'informazione (9.000), che supera quello sanitario e paramedico (6.880). Seguono l'ingegneria industriale (6.450), il ramo chimico-farmaceutico (4.960), le lauree con indirizzo insegnamento e formazione (3.040). Sempre alta la richiesta di diplomati, il 35% della domanda complessiva di lavoro del 2007, un punto in più del 2006. 1 più richiesti sono l'indirizzo amministrativo e commerciale (99.500), il turistico-alberghiero (26.570) e meccanico (22.500). _______________________________________________________ Il Sole24Ore 27 Giu. ‘07 L'UNIVERSITÀ NON PENSA AL LAVORO DEI LAUREATI Legge Biaggi.. Poche le realtà che hanno colto l'opportunità prevista dall'art. 6 Borsa internazionale. A settembre a Cernobbio incontro degli uffici placement La legge Biagi è chiara, ma pochi in questo caso l'hanno seguita. All'articolo 6 del dlgs.276 applicativo della legge 30 si legge: «Sono autorizzate all'attività di intermediazione le università, pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie cheharino come oggetto l'alta formazione con specifico riferimento alle problematiche del mercato del lavoro, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro, nonchè l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro, ai sensi di quanto disposto al successivo articolo 17». Alle stesse condizioni, sono autorizzati allo svolgimento dell'attività di intermediazione, anche se con regimi autorizzativi diversi, i comuni> le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari. E, sempre nello stesso articolo nei commi successivi, sono ulteriormente autorizzati all'attività di intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le associazioni di tutela e assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro e della disabilità e gli enti bilaterali, insieme ai consulenti del lavoro attraverso la loro fondazione. Se questo è il dettato e l'opportunità data dalla legge ai diversi soggetti, per quanto riguarda gli atenei sono ancora poche le università che l'hanno praticata. Se si va a guardare la borsa nazionale del lavoro, si vede che sino ad oggi sono in corso 26 sperimentazioni da parte di diversi atenei, o meglio «sarebbero in corso», perché entrando in maggiori dettagli il panorama che ne emerge è piuttosto sconsolante: di incrocio domanda e offerta di lavoro non c'è quasi traccia, le opportunità segnalate sono irrisorie. Ope legis Eppure, alle università è stato aperto un binario preferenziale. Infatti esse sono abilitate a sviluppare l'attività di intermediazione «ope legis», cioè automaticamente e senza bisogno di richiedere l'iscrizione agli albi come accade per gli altri operatori. Un ruolo, quello assegnato dalla legge Biagi, che indica alle università compiti rilevanti, ben al di là delle pur importanti, anch'esse a macchia di leopardo, iniziative di job placement svolte da tempo negli atenei più sensibili. Eppure, nonostante i percorsi agevolati, la massa delle università italiane, a differenza delle principali università estere, continua imperterrita ad ignorare la legge, negando nei fatti un sistema di opportunità professionali ai propri studenti e ai propri laureati, rivelando, se ancora vene fosse bisogno, una certa allergia ai temi del lavoro. Gli stessi uffici placement non sono esattamente dei soggetti di intermediazione, ma si limitano nella maggior parte dei casi a fornire, quando non bloccati dall'alibi della privacy, le liste dei migliori laureati alle aziende che ne fanno richiesta, a volte dietro pagamento, e a volte a offrire rapidi percorsi di orientamento agli studenti. La borsa lavoro appare quindi oggi, anche dal lato dell'università, un'occasione mancata e ciò che colpisce è l'assordante silenzio che vi è calato sopra. Sarebbe invece urgente un monitoraggio degli uffici placement delle singole università, per verificare la loro possibile trasformazione in intermediari di personale, così come previsto dalla legge Biagi. Per ora, più che la borsa nazionale del lavoro, ci provano alcune realtà istituzionali e private, come quella denominata Bip, la Borsa internazionale del placement, che si svolgerà a Villa Erba, Cernobbio (Como), dal 27 al 29 settembre. L'iniziativa, definita «il primo incontro tra aziende e università sui temi del placement e del graduate recruiting», è promossa dal Politecnico di Milano e da Emblema (www.biponline. it) e ha come obiettivo la creazione di un vero e proprio network tra università e imprese per intensificare l'attività di Campus recruiting e placement universitario. Vi saranno incontri, presentazione di ricerche, colloqui di lavoro reali e virtualì, premi alle best practices. Interverranno università italiane e straniere e alcuni dei guru internazionali più noti sul recruitìng universitario. Un passo~ concreto, quindi, nel dialogo tra università, professioni e lavoro. Che dovrebbe entrare nel patto formativo tra gli studenti e i propri atenei. Che attirano matricole con corsi di laurea non sempre al'altezza e di qualità, ma poi non sono in grado di manetenere la promessa di aiutarli a trovare un lavoro. W. P. _______________________________________________________ Avvenire 23 Giu. ‘07 ATENEI D’EUROPA, FAME DI ETICA DA RomA Mimmo MuoLo Europa di domani si costruisce anche attraverso l'Università. Li hanno sottolineato ieri sia il rettore della Sapienza di Roma, Renato Guarini, sia il suo omologo per la Lumsa, Giuseppe Dalla Torre, intervenuti all'incontro dei rettori delle Università europee organizzato nell'ambito dell'Incontro europeo dei docenti universitari promosso a Roma dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, Guarini ha posto l'accento sul «rapporto tra etica e scienza». L’università, ha ricordato, «non può sfuggire alla necessità di trovare nuove risposte a questo problema basilare». Inoltre tra le «questioni fondamentali» da affrontare c'è anche Aa ricerca dell'identità dell'Europa in una visione unitaria, per costruire l'Europa della cultura; l'esigenza irrinunciabile di un'apertura totale e solidale alle tradizioni culturali diverse». Anche Giuseppe Dalla Torre ha messo in evidenza che il raggiungimento degli obiettivi dei Trattati di Roma non è possibile senza l'apporto delle università, «chiamate a trasmettere alle più giovani generazioni la conoscenza e la sensibilità per quegli ideali», ma anche a ku sì che la ricerca scientifica «nell'ambito dei diversi saperi sia convergente e solidale verso gli obiettivi europei». Per il cardinale Zenon Grocholewski «l'università deve dare agli studenti una formazione etica proporzionata alla formazione professionale che comunque rimane il suo scopo istituzionale». Altrimenti, ha ammonito il prefetto della Congregazione per l'educazione cattolica, Al rischio è una specializzazione unilaterale e il crescente frazionamento delle conoscenze». All'incontro, svoltosi nel pomeriggio alla Sapienza, era presente anche il ministro dell'Università e della ricerca scientifica Fabio Mussi, secondo cui «l'Ue spende relativamente poco per la sua ricerca e per le sue università», puntando l'indice contro «la frammentazione» delle politiche europee per l'alta educazione e la ricerca scientifica. In mattinata si sono svolti in altri atenei della capitale convegni su quattro aree tematiche (persona umana, città, visione delle scienze, creatività e memoria). Nelle sede romana della Cattolica si è parlato di bioetica. Un'ampia panoramica sulle maggiori questioni oggi sul _______________________________________________________ Il Sole24Ore 24 Giu. ‘07 LA CRESCITA FRAGILE DEGLI SPIN-OFF In totale 454 le aziende nate dalle università, ma i fatturati crescono a passo troppo lento Censimento della Scuola Sant'Anna di Pisa solo il 10% pronto a stare sul mercato Luca Benecchì MILANO Gli spin-off? Più che contarli si dovrebbero pesare». Sta di fatto che il professor Andrea Piccaluga della Scuola Sant'Anna di Pisa, prima dì metterle sulla bilancia, li ha contati uno ad uno. Ne è uscita una prima, e per certi versi sorprendente, carta d'identità delle imprese hi-tech nate da esperienze universitarie pubbliche. Una radiografia di quelle che dovrebbero essere le punte di diamante della ricerca italiana. «Una tendenza piuttosto recente - spiega Piccaluga - se è vero che circa l’8o-io degli oltre 454 spin-off sul territorio nazionale sono stati costituiti negli ultimi 6/7 anni». In particolare è stato il2oo4l'anno più prolifico con 75 nuove esperienze. Nell'ultimo biennio invece il numero medio è risultato leggermente minore con circa 65 imprese create ex-novo. Ma secondo il professore «quello degli spin-off è un settore che va un po' troppo di moda e sul quale si stanno riversando delle aspettative eccessive. Della sostanza c'è, ma è meglio andare con i piedi di piombo». La perplessità dì Piccaluga deriva essenzialmente dal fatto che ci si trova di fronte ad un fenomeno ampio nei numeri e «con un buon tasso di natalità ma che registra pochi fallimenti e con un tasso di crescita del fatturato molto modesto. Vuol dire che sono imprese che rischiano pochissimo e dunque hanno poche possibilità di fare il grande passo verso un'esperienza di successo». Verrebbe da dire che siamo in presenza di un modello italiano dello spin-off che trae spunto da un approccio artigianale della tecnologia. E che non sempre risponde ai presupposti necessari alla crescita dimensionale di esperienze di questo tipo. Come la presenza di un team di management variegato ed aperto anche a competenze economiche, il possesso di brevetti, l'entrata di soci ed investitori istituzionali e l'impegno sui mercati internazionali. Un altro dato che emerge è quello geografico. «Le imprese nascono dove si fa buona e seria ricerca. Ma decisive sono anche le politiche di sostegno finanziario. Su tutti il caso virtuoso dell'Emilia- Romagna». Le prime esperienze, quasi pionieristiche, arrivano proprio da lì e poi da Lombardia, Piemonte e Toscana. Un fenomeno dunque ancora concentrato nel Nord per il 62,11% dei casi, anche se il Sud mostra dei segni di vivacità con il 13,88 per cento. A livello regionale guida, come detto l'Emilia Romagna con il 20,7% del numero totale di imprese. Seguono Toscana (13%), Piemonte (12,1%), Lombardia (11,5%) e Friuli Venezia Giulia (6,4%). Per ciò che riguardai settori d'attività, la parte del leone è di informatica e multimediale (29%) seguiti da energia e ambiente (13,mio). Forte resta ancora l'elettronica (12,2%). Al 10,3% le promettenti aree delle biotecnologie mentre il biomedicale raggiunge il 5,9 per cento. La miccia legislativa per lo sviluppo di queste aziende innovative è stato il provvedimento che Giulio Tremonti prese nei suoi primi cento giorni all'Economia. Il Governo decise infatti di trasferire la titolarità del brevetto dall'università al ricercatore autore della scoperta. «Questo - spiega Piccaluga - provocò una reazione lobbistica degli istituti che investirono sul tema del trasferimento tecnologico. Così in quasi tutti gli atenei nacquero nuovi uffici di consulenza». A qualche anno di distanza, il fenomeno comincia ad avere una dimensione apprezzabile. Ma quanti dì questi spin-off hanno davvero una capacità innovativa dirompente? «La realtà ci dice - conclude Piccaluga - che sono non più di una quarantina quelli accreditati di una capacità di crescita potenziale. Circa il 10%: non certo una quantità esaltante. Ecco perché più che contarli, sarebbe meglio pesarli per capirne il reale impatto scientifico ed economico. I numeri comunque ci dicono che anche in Italia la ricerca sta faticosamente cercando nuove strade per crescere». _______________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Giu. ‘07 L'ISOLA DELLA CONOSCENZA DA CAGLIARI GUIDO ROMEO Le città sono gli iceberg della nuova economia basata sulla conoscenza e Cagliari non sfugge a questa regola. La città bianca, fondata tremila anni fa dalle tribù sarde dell’era nuragica, domani inaugura Festarch, la prima edizione del suo festival dell'architettura. Il tema della manifestazione, che porta sul Golfo degli angeli ben quattro premi Pritzker, Reni Koolhaas, Paulo Mendes da Rocha, Jacques Hexzog e Zaha Hadid, è una delle passioni del governatore Renato Soru, ma anche la spia di un trasformazione più complessa. «L'architettura è un codice di comunicazione universale- osserva Stefano Boeri, direttore di Festarch - ma in questo caso la manifestazione è particolare perché tutti i partecipanti stanno anche lavorando in Sardegna con progetti molto innovativi e destinati a caratterizzare la città e il territorio». I progetti vanno dal futuristica Museo di arte nuragica e contemporanea disegnato dalla Hadid per l'arca di Sant'Elia sul cui recupero lavora Koolhas, ai nuovi spazi universitari in mano a Da Rocha e alle miniere di Monteponi, nel Sulcis, su cui lavorano Herzog e De Meuron fino al golf di Is Molas curato da Fuksas e a Villasimius e Chia dove sono rispettivamente all'opera la nuova stella giapponese Kengo Kuma ed Eduardo Souto de Moura con un resort mimetico. Un'attenzione all'architettura di qualità che è però accompagnata da un secondo movimento, una forte valorizzazione dell'ambiente, e che èla parte più visibile di una riconversione profonda, mirata a trasformare l'isola in un laboratorio della conoscenza. Da sola Cagliari raccoglie 480mila dei circa 1,2 milioni dì sardi, con una netta prevalenza di laureati, che la rende tra i primi capoluoghi europei per densità di creativi e giovani. Uno degli snodi cruciali di questa mutazione verso la società della conoscenza è il parco tecnologico Sardegna Ricerche, che sorge all'interno del parco naturale di Pula a una ventina di chilometri da Cagliari. «Il nostro scopo non è solo offrire sedi e servizi alle aziende innovative - spiega Giuliano Murgia, presidente della struttura nata nel 1985 col nome di Consorzio 21 e che oggi ospita 40 aziende e oltre 400 ricercatori - ma creare piattaforme tecnologiche utili a tutto il sistema». Così, in questi laboratori disegnati dallo Studio Gregotti la bioinformatica Anna Tramontano, oggi alla Sapienza di Roma ma con un passato all'Istituto di bioinformatica europeo, affianca collaborazioni scientifiche ai progetti per la digitalizzazione di tutto il sistema sanitario regionale. E qui si trova anche il Crs4, la "star" della ricerca creata dal Nobel Rubbia e dove lavora Pietro Zanarini, che nel 1994 lanciò l'idea di mettere ordine L' Unione Sarda, che diventò il primo quotidiano italiano online. Chi teme l'effetto "cattedrale nel deserto" può stare tranquillo. La piattaforma di progettazione industriale in 3D sviluppata da Enrico Gobbetti e Gianluigi Zanetti, ha attirato l'attenzione del gigante dell'aereospazio Boeing. Dalla stessa squadra è nata Sardegna 3D, un sistema di visualizzazione aerea della regione basato sulle fotografie aeree della Regione. Assai più dettagliato di Google Earth, dispone di un codice sorgente aperto e ha già suscitato l'interesse di altre amministrazioni regionali, come quella emiliano-romagnola, interessate ai servizi che ne possono derivare sia per il settore turistico che amministrativo. L'impatto di queste ricerche è destinato ad aumentare con lo sviluppo di CyberSar, una rete di calcolo ad alte prestazioni finanziata con 12 milioni di euro e orientata alla ricerca fondamentale e applicata alle scienze naturali, all'ingegneria e all'informatica. Ma oltre che terra di bit, la Sardegna è piena di promesse per chi lavora con Dna e cellule. «L'Italia è uno dei principali mercati perla diagnostica medica in Europa», osserva Per Lindstron, fondatore e presidente della Edx Diagnostics icon sede nel Parco di Pula che sta per lanciare sul mercato Apocaoo, un test per il rischio di morte fetale mille volte più affidabile delle tecnologie tradizionali. «Ma soprattutto chi sviluppa prodotti per la medicina genetica personalizzata del futuro ha bisogno di banche genetiche e sanitarie. E le migliori sono proprio in Sardegna e Svezia». La forza di questa struttura, con un budget di io milioni di euro annui sostenuti dalla Regione, è poter contare su competenze di punta e su collaborazioni con l’Università di Cagliari, rimanendo però svincolata dal sistema accademico nel suo funzionamento e processo decisionale. Oggi però la sfida per il sistema della ricerca sardo è soprattutto l'integrazione e l'arricchimento del tessuto imprenditoriale. «h lo scopo originale per il quale era stato concepito-osserva Francesco Marcheschi, direttore di Sardegna Ricerche - ma l'attrazione più importante è stata nei confronti dei ricercatori che hanno prodotto un distretto Ict di altissimo livello». Collocata al centro del Mediterraneo Cagliari ha un porto che, secondo Bruxelles, potrebbe facilmente candidarsi ad hub delle merci nel Mediterraneo e dopo il 200g è destinato ad accogliere il gas metano in arrivo dall'Algeria. «I sardi hanno ben compreso che il futura della loro economia non è in nuove "fabbrichette" e aspirano a un modello di sviluppo più alto» osserva il giornalista e scrittore Francesco Abate che, insieme a Massimo Carlotto, in "Mi fido di te" descrive il cambiamento improvviso di quel "piccolo mondo perfetto" che è Cagliari a causa della globalizzazione. «Ma siamo come surfisti su un'onda molto veloce: Ia sensazione è entusiasmante, ma dobbiamo capire rapidamente cosa fare prima che la novità dei progetti perda d'impulso». ________________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’07 BASTA CON CARTESIO, È IL SESSO IL FONDAMENTO DELLA CONOSCENZA TEORIE Il pensatore cattolico Jean-Luc Marion contesta il «cogito ergo sum» e riabilita il «Simposio» Eros, così la filosofia torna a parlare d' amore «Amo, dunque sono. Il fenomeno erotico è alla base della conoscenza umana». Il grande filosofo francese e uno dei maggiori pensatori viventi, Jean-Luc Marion, professore alla Sorbona e all' Università di Chicago, allievo di Deridda e Althusser, compie una completa rivoluzione post-cartesiana, e riporta «il fenomeno erotico» e l' amore al centro delle riflessioni del pensiero. Così come era stato dall' inizio della filosofia, che, come dice il suo stesso nome, appunto è amore, amore del sapere e della saggezza. Quella di Marion è una ribellione contro il soffocamento dell' istanza erotica nel mondo della razionalità, in nome delle evidenze originarie di ogni essere umano. Oggi di amore parlano altri linguaggi: la poesia, il romanzo, la psicoanalisi, la pornografia ma «la filosofia tace - dice Marion - e in questo silenzio l' amore scompare». Anzi, la «parola amore sembra la parola più prostituita» e noi viviamo in un «grande cimitero erotico dove manca l' aria». Nella buona società, «quella delle persone istruite, più nessuno osa pronunciare con serietà un simile non senso: "Ti amo"». Parafrasando Aristotele, invece l' uomo per Marion è «l' animale che ama». L' uomo cartesiano «pensa», ma non ama, almeno originariamente. «Ora - scrive Marion - l' evidenza più incontestabile, quella che comprende tutte le altre, che regola il nostro tempo e la nostra vita dal principio alla fine e che ci pervade in ogni istante, attesta al contrario: che noi siamo in quanto ci scopriamo sempre presi nella tonalità di una disposizione erotica, che si tratti d' amore o di odio, di infelicità o di felicità, gioia o sofferenza, speranza o disperazione, solitudine o unione». E ancora: «l' uomo si rivela a se stesso attraverso la modalità originaria e radicale dell' erotico». Insomma, proprio dalla Francia è sorto un filosofo che ricompone, quattro secoli dopo Descartes, la cesura tra res cogitans (il pensiero appunto) e res extensa (materia), a partire da quella particolare forma di materia che è il corpo, il nostro corpo, il nostro corpo sessuato. Anzi, ad essere precisi, Marion, nel suo libro (che è appena uscito in traduzione italiana e che nel suo Paese ha scatenato grandissime polemiche), più che di corpo, parla proprio di «carne». E conseguentemente, non solo di amore (fileo e agapao) ma di erotismo (erao), quello che i filosofi chiamano amore di possesso, amore attraverso i sensi e la carne, appunto. «Fare l' esperienza della carne mi dice che sono accettato e non rifiutato», ci spiega Marion, «non posso sentire la cosa del mondo se non attraverso la carne, c' è una resistenza, un dolore nel toccare». Nel libro, Il fenomeno erotico (Cantagalli, pp. 285, 18,50, traduzione di Laura Tasso), Marion descrive minuziosamente le tappe di questo itinerario che compie ogni individuo, e quindi l' uomo in quanto tale. «La carne - ci dice ancora il professore - e l' erotizzazione da parte di un altro, l' essere oggetto del desiderio di un altro, mi permettono di prendere coscienza di me e di non farmi sprofondare nel nulla e persino nell' autodistruttività». Sul fronte opposto c' è l' amante che si «spinge ad amare senza essere certo di essere amato». Essere «amante implica sempre uno squilibrio», continua il filosofo. Ma è proprio per questo che «Don Giovanni ha successo». Don Giovanni seduce perché «si muove per primo verso l' altro, e con questo suo interessamento dice all' altro: tu esisti». Anche se poi consuma il suo amato e lo delude. Questa dinamica però non è la descrizione solo del momento sessuale dell' esistenza umana. Il fenomeno erotico è molto più ampio dell' attività sessuale vera e propria. Da questo punto di vista, secondo Marion, che è cattolico, «Dio è il più perfetto Don Giovanni» perché «è Lui che agisce per primo» nella storia dell' umanità e dei singoli uomini. «La relazione con Dio che può sperimentare ogni essere umano è una relazione erotica, anche se non è sessuale», continua Marion. Conseguenza paradossale di questa struttura dell' essere e della logica intrinseca al fenomeno erotico è che persino «la castità può essere erotica». Un altro spunto interessante. Il professore della Sorbona si dice «d' accordo con quanto scritto da Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica "Deus caritas est"». E cioè che «non esiste una separazione netta tra erao e agapao (amore di possesso e amore oblativo)». L' amore, dice, «è un fenomeno se non unico, sicuramente unitario». E così manda alle ortiche un' altra distinzione manichea, quella tra spirito e carne Calabro' Maria Antonietta _______________________________________________________ Repubblica 30 Giu. ‘07 BLUE GENE DI IBM PRIMO TRA I SUPER COMPUTER Ma Sun affila le armi per tornare nella top ten FRANCESCA MARTINO Questa settimana si è tenuta a Dresda la International supercomputing conference, il momento più alto di confronto tra i massimi risultati raggiunti nella potenza di calcolo. E in questa occasione che viene pubblicata la Top500, la lista che ogni sei mesi elenca i più potenti supercomputer in attività. Il momento è particolarmente caldo: si pensi solo che l'ultimo computer della lista odierna (il cinquecentesimo), sei mesi fa si sarebbe meritato un'onorevole metà classifica: 2l6esima posizione. Gli organizzatori fanno notare che si tratta del turnover più veloce mai visto nei 15 anni di vita della Top500. In questo consesso dedicato all'alta velocità informatica chi raccoglie le maggiori onorificenze è Ibm, che si conferma prima per il quarto anno consecutivo con il suo Blue Gene/L e domina i primi posti con 6 macchine su 10. Se Blue Gene/L rimane largamente in vantaggio con il suo picco di 280 teraflops (280 trilioni di calcoli al secondo), le novità più importanti hanno però riguardato il resto della classifica, che vede un aumento generale delle performance. Sommando la potenza di tutti i computer in lista si ottengono 4.92 pentaflops, contro i 2,79 dell'anno scorso. Questi dati hanno un significato di portata rivoluzionaria: non si tratta infatti solo di fare meglio e più velocemente i calcoli, ma di poter affrontare ricerche e progettazioni a cui prima si rinunciava; le applicazioni più tipiche riguardano la ricerca farmaceutica, quella sul genoma per esempio, lo studio del clima e degli oceani, la simulazione finanziaria. Il Cineca di Bologna, il più potente centro di calcolo italiano, composto da 30 Università, Cnr e Ministero della ricerca, per esempio ha elaborato con l’In di Pisa una simulazione dell'eruzione del Vesuvio in 4D, ovvero tenendo conto non solo dello spazio ma anche dell'evoluzione temporale. I risultati sono impressionanti: 300 mila morti stimati, 200 mila persone in serio pericolo, un tempo di 15 minuti perché la lava raggiunga il mare. Dati preziosi per la protezione civile. Ma la stessa potenza di fuoco viene usata anche per la ricerca industriale. «Ovviamente la maggior parte delle nostre ricerche sono coperte da segreto industriale, proprio per la loro grande portata - dice Marco Lanzarini, direttore del Cineca - Ma gli esempi non mancano: tra i nostri clienti ci sono società come Eni, per la quale abbiamo compiuto simulazioni per le ricerche dei giacimenti, o Luna Rossa, che in due anni userà i supercalcolatori per la progettazione di oltre 300 barche, per arrivare alla costruzione delle due migliori». Le ultime tecnologie Hpc, (ovvero hight performance computing) fornite da Ibm e Cisco al Cineca permetteranno al centro di calcolo di dimezzare il periodo del Roi da 3 anni a 18 mesi. Anche se i mastodonti del supercalcolo non si possono portare ovviamente in ogni azienda, c'è chi ha basato sulla versatilità delle applicazioni il suo ritorno al supercomputing. Come Sun Microsystem che sta affilando le armi per tornare nella top ten dei computer più potenti al mondo. «Il nostro approccio è basato sui concetti di versatilità, standard e apertura - dice Roberto Mussi, Product Marketing Manager di Sun in Italia - la nostra architettura Costellation può essere utilizzata anche in ambienti commerciali e funziona con tutti i processori più diffusi. È modulare e usa componenti standard, due caratteristiche che rendono possibile l'aggiornamento continuo e spianano la strada verso l'applicazione in azienda». Inoltre, Sun si concentra su un fattore spesso considerato collaterale ma in realtà fondamentale: la connessione tra i server che compiono i calcoli. In questo campo l'azienda del sole è riuscita a ridurre i cavi a un sesto e lo spazio occupato del 20 per cento. Con il sistema che sta preparando presso l'Università del Texas in ottobre Sun potrebbe realizzare un supercomputer da 500 teraflops al secondo, doppiando quasi il primato di Ibm. E la sfida continua. ________________________________________________________ Corriere della Sera 25 giu. ’07 LA GLOBALIZZAZIONE BOCCIA I MANAGER SCHEMATICI Con la mondializzazione è cambiata la struttura organizzativa e la leadership delle imprese. Un tempo una società americana avrebbe messo dovunque manager americani e una francese manager francesi. Oggi il presidente di un' industria americana può essere turco e il presidente di un' impresa tedesca argentino. E anche ai livelli inferiori si trovano manager di diverse nazioni che fanno carriera spostandosi da un Paese all' altro dove devono affrontare situazioni sempre nuove con collaboratori sempre nuovi. Essi perciò devono conoscerne le tradizioni, il modo di pensare del luogo e saper trattare con mentalità estremamente diverse. Aggiungiamoci le continue innovazioni tecnologiche, il continuo mutare della concorrenza, l' irruzione di fattori politici. No, all' impresa moderna non basta più un manager burocratico che cala dall' alto un progetto rigido, poi dà ordini e ne controlla in modo formale l' esecuzione come si continua a fare nella pubblica amministrazione. Le occorrono manager a un tempo forti e adattabili, capaci di realizzare progetti a lungo termine. Ma oltre al manager burocratico è tramontata anche la figura del tecnocrate che applica formule astratte ad una realtà concreta. Il giovane scià aveva cercato di modernizzare l' Iran con l' aiuto di economisti, agronomi, ingegneri americani o formatisi nelle università americane. Costoro avevano impostato ampie riforme nel campo dell' agricoltura, della scuola e della famiglia ma ignoravano la storia del Paese, l' importanza del clero sciita con la sua rete di tradizioni e di privilegi. Così hanno finito per renderselo nemico e scatenare quell' opposizione che culminerà nella rivoluzione di Khomeini. Anche dopo la caduta del muro di Berlino, nei Paesi dell' Est sono arrivate legioni di giovani economisti occidentali con la formuletta matematica per realizzare in pochi anni un impetuoso sviluppo economico. E' stato un fallimento. Mentre ha avuto successo la Cina sotto la guida del vecchio, navigato e saggio politico Deng Xiaoping. In un mondo mondializzato le imprese non hanno bisogno di manager autoritari e di tecnocrati astratti. Hanno bisogno di veri leader, di personalità complete autorevoli, carismatiche, capaci di motivare, stimolare, sorreggere, guidare esseri umani concreti. Leader capaci di gestire problemi complessi, di lavorare in gruppo e di valorizzare ed utilizzare le idee e la creatività di tutti. www.corriere.it/alberoni Alberoni Francesco ======================================================== ________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 giu. ’07 SAN GOVANNI DI DIO: LUOGO CONCRETO ABITATO DA IDEE CONCRETE Trasformare il San Govanni di Dio - di Gioia Massidda* Ogni volta che mi capita di entrare nel vecchio ospedale cagliaritano, il San Giovanni di Dio, soffro nel vedere lo scempio fatto di un'architettura così pregevole che meriterebbe ben diverso destino. Mi domando se quelli che si sono inalberati di fronte al Piano sanitario regionale (che ha decretato la necessità di dare ai cagliaritani altre strutture ospedaliere) abbiano il rimpianto proprio di questo luogo reale, o invece di quello che alberga nella loro mente: l'immagine di un posto che non c'è, non c'è più. Quando è stato costruito questo edificio bellissimo, ben altra era la condizione sanitaria, ben altra la tecnologia. Pensare di poter continuare a infilare in quell'involucro gli strumentari tecnici necessari a una medicina moderna è un'offesa alla tecnica o a quel luogo. Più probabilmente a entrambi. La tecnologia moderna nel San Giovanni di Dio non ci può stare: non ci sta più. Che farne, allora? Rinunciare a uno spazio non solo medico, ma anche culturale? Che tale è stato, ricco non solo di sapienza tecnica, ma di cultura, di storia. L'ospedale dei cagliaritani è nato, come tutti sanno, nel 1842 a opera di Gaetano Cima. Come negli ospedali medioevali, la porta d'ingresso era rivolta verso il Vaticano, perché lo Spirito Santo potesse entrare meglio, come ci ricorda quell'ottimo cultore della storia della medicina che è Alessandro Riva. A cercare forse qualche benedizione, che aiutasse la sapienza dei medici con un po' di contributo divino. Nelle sue stanze, nei suoi corridoi sono passate intere generazioni di medici illustri, di illustri pazienti. Vi si sono tenute lezioni memorabili, come pure interventi chirurgici, atti medici eccellenti. La scuola medica cagliaritana è stata una scuola alta, di cui trarre vanto. E alta è stata anche la medicina antica, quella della sapienza popolare, resa più acuta dalla necessità della sopravvivenza, resa speciale dalla peculiarità della nostra cultura. Un comune e una regione che volessero puntare la prua verso un futuro internazionale, fatto di turismo di qualità, non possono dimenticare questo luogo. Esso non va né lasciato sgretolare sotto il peso corrompente della tecnologia che avanza, né resettato nella sua funzione, adibendolo ad altro utilizzo. È uno spazio che potrebbe essere un museo della medicina, di tutta la medicina: quella sarda, quella mediterranea e anche quella internazionale, da quella antichissima fino alla presente. Contemporaneamente potrebbe essere una fucina di nuova medicina. Perché, oltre che a un archivio e a un museo, non destinare gli spazi del San Giovanni di Dio, adeguatamente e filologicamente ristrutturato, alle innovazioni dell'insegnamento medico, che passano attraverso l'informatica, il virtuale? In quello spazio i pazienti ci stanno male. In un futuro assai prossimo non potranno essere adeguatamente curati, se non distruggendo definitivamente con le macchine quelle stanze che reggevano così bene, un tempo, la medicina di allora. Ma le simulazioni virtuali di interventi chirurgici, per esempio, non richiedono tutti gli accorgimenti che debbono invece essere pretesi per il benessere dei pazienti. Richiedono macchinari e tecnologia, non necessariamente ingombranti, che possono abitare quegli ambienti senza distruggerne la struttura. L'altissima qualità a volte può risiedere in spazi ridottissimi. Perché non sognare Cagliari capitale del Mediterraneo anche nella promozione di una cultura particolare, quella dell'avanzata tecnologia medica, della quale potrebbe essere degno vessillo? Perché non attraversare le tante stanze del nostro caro, vecchio ospedale trovandovi la storia della medicina antica e moderna? E trovandovi aggregati di studenti, giovani e meno giovani, che si formano con modalità assolutamente innovative? Potendo ascoltare "lezioni" radicalmente diverse da quelle di un tempo, ma altrettanto memorabili? Giuseppe Marci e Alessandro Aresu ci hanno recentemente rammentato, nelle pagine di questo giornale, che la cultura non può essere fatta di parole vuote, senza fatti connessi. La cultura è un bene di tutti, è della gente. È fatta di idee che abitano luoghi concreti, di azioni concrete, rispettose del passato e aperte al futuro. È fatta di bellezza, quella bellezza, quell'estetica che, ci ricorda il Nobel Brodskij, è madre dell'etica. La nostra terra, di fascino antico come di antica saggezza, si potrebbe rendere interprete di un'etica nuova, contemporanea, che sappia innovare senza distruggere né dimenticare. I luoghi di una città, la sua architettura, sono elementi portanti della cultura che li abita. Da essi nascono progetti, che senza quell'"hardware" sarebbero solo sogni visionari, senza memoria e senza storia. *Psichiatra ________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 giu. ’07 GIANNI CHERCHI SI INSEDIA AL TIMONE DELLA NUOVA AZIENDA Dopo l'ok del governatore Gianni Cherchi, manager della Asl n. 2 di Olbia, è il primo direttore generale dell'azienda ospedalierouniversitaria di Sassari. Il decreto di nomina è stato firmato ieri dal presidente della Giunta regionale. Sulla candidatura di Gianni Cherchi aveva espresso il suo gradimento anche il rettore dell'Università di Sassari, Alessandro Maida. Nato 54 anni fa a Banari, laureato in medicina, aveva assunto l'incarico nella Azienda sanitaria gallurese nel 2005 dopo aver lasciato la direzione del laboratorio di analisi dell'Azienda sanitaria di Sassari. È un professionista stimato per la sua preparazione professionale e le sue capacità organizzative. Si deve principalmente a lui l'ammodernamento del laboratorio dell'Ospedale civile di Ozieri e successivamente di quello di Sassari dove si era trasferito diversi anni fa assumendo l'incarico di dirigente medico responsabile del laboratorio di analisi chimico cliniche del presidio ospedaliero. Su incarico del direttore generale uscente, Bruno Zanaroli, ha predisposto, poco prima di andare ad Olbia, il progetto di razionalizzazione dell'attività dei servizi laboristici dell'azienda sassarese. Ora lo attende un compito ancora più importante e gravoso. L'azienda integrata di fatto deve essere ancora costruita, partendo praticamente da zero. Cominciando innanzitutto dal personale. I medici universitari che hanno lavorato finora presso strutture ospedaliere della Asl transitano obbligatoriamente nella nuova azienda. Quello medico ospedaliero che invece lavorava in strutture convenzionate dell'Università ha il diritto di optare, cioè di scegliere fra Asl n. 1 e Azienda integrata. Il resto del personale non medico, ospedaliero o universitario, potrà scegliere dove andare. Uno dei primi atti del direttore generale della nuova azienda sarà la scelta dei suoi più stretti collaboratori: il direttore sanitario e quello amministrativo. Ormai deciso anche il nome del nuovo direttore generale della Azienda sanitaria numero 1. È l'attuale direttore amministrativo Giovanni Mele che assumerà il nuovo incarico a partire dal primo luglio. ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 giu. ’07 ZANAROLI: ABBIAMO POSTO LE BASI PER IL FUTURO DELLA SANITÀ Dopo due anni e mezzo si è congedato il direttore generale della Asl Bruno Zanaroli Il manager lascerà l'incarico a fine mese Illustrati i risultati raggiunti durante il mandato SASSARI. «Abbiamo ereditato un'azienda con tanti problemi e sicuramente lasceremo un'azienda con problemi ancora aperti. Ma abbiamo la presunzione di aver seminato una maggiore trasparenza nella gestione e un metodo più rigoroso e oggettivo nelle scelte». Sono le parole con cui Bruno Zanaroli, direttore generale della Asl n.1 ancora per pochi giorni, ha voluto congedarsi dopo due anni e mezzo di lavoro. Il manager, che era stato nominato dall' assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin all'inizio del 2005, ha lasciato l'incarico con sei mesi di anticipo. Una partenza che aveva destato dubbi sulla soddisfazione della Regione rispetto all'operato dello staff dirigente formato, oltre che da Zanaroli, dal direttore sanitario Guido Fellin e dal direttore amministrativo Giovanni Mele. «La ragione delle dimissioni anticipate - ha invece ribadito il dirigente di Modena - non è certo determinata da una sfiducia politica ma dalla considerazione che importantissimi processi da avviare, come la nuova azienda mista e la costruzione del nuovo ospedale, dovevano essere affidati in toto alla prossima direzione. Sarebbe ingiusto che il nuovo staff cominciasse il proprio lavoro ricevendo in eredità scelte già fatte, valga per tutte l'individuazione dei nuovi dirigenti». Bruno Zanaroli, che ha detto di non avere per il momento un nuovo incarico in vista, ha poi elencato i risultati ottenuti nei due anni e mezzo di lavoro, a partire dal pareggio di bilancio. «In merito al rientro dal deficit si può senza dubbio affermare che l'obiettivo è stato realizzato. L'equilibrio finanziario ormai raggiunto è un valore gestionale inestimabile perché permette di programmare. Soltanto con un bilancio sano si è potuto pensare di realizzare un nuovo ospedale a Sassari attraverso una "finanza di progetto"». Il manager, che ieri davanti a giornalisti si è presentato con l'autorevole "scorta" dell'assessore Nerina Dirindin ha spiegato che il risultato è stato raggiunto grazie ai maggiori ricavi trasferiti dalla Regione e lavorando con oculatezza sulla dinamica dei costi. «Nessuno può pensare di ridurre in un biennio una perdita di 85 milioni di euro pari al 18 per cento dei costi lavorando esclusivamente sui risparmi. Si è raggiunto un compromesso non agendo in maniera particolarmente restrittiva sul fattore produttivo più importante, il personale (4.839 dipendenti nel 2004, 4.774 nel 2005 e 4.789 nel 2006) ma intervenendo energicamente su altri fattori di spesa (prescrizioni inappropriate di farmaci). Non la pensa così buona parte del personale che richiede da tempo rinforzi nelle corsie o almeno una migliore distribuzione delle risorse umane, visto che alcuni reparti letteralmente "scoppiano" a causa di carichi di lavoro eccessivi. All'azienda però non risulta che il personale sia carente perchè «sono le stesse leggi a stabilire il rapporto fra operatori, sia medici che infermieristici, e utenti». Zanaroli ha anche parlato di «negoziazione di budget. Questo ha significato per tutti i professionisti titolari di strutture l'obbligo di discutere con la direzione le proprie attività e di concordare gli obiettivi da raggiungere. Un'iniziativa che ha avuto il pregio di lanciare, anche se in forma embrionale, il seguente messaggio: ognuno deve rendere conto del proprio operato e soprattutto deve agire integrando la propria attività in funzione dei bisogni ed in maniera complementare con altre strutture ed altri servizi. Un'operazione essenziale come questa deve essere supportata da un sistema informativo particolarmente efficace. Questo è stato il grande investimento prodotto nel corso del triennio». ________________________________________________________ Corriere della Sera 25 giu. ’07 TICKET, LO PAGA SOLO IL 37 PER CENTO DEGLI ASSISTITI il Dossier Indagine curata dalla Cisl, che ha analizzato i dati sulle prestazioni specialistiche erogate durante il 2006 *** Il segretario Tommaso Ausili: «È necessario rivedere gli attuali sistemi di esenzioni da reddito» Un esercito di esenti dal ticket sulle ricette: solo il 37 per cento dei cittadini del Lazio lo paga. Tanti, troppi fanno i furbi e dichiarano di guadagnare meno di quello che effettivamente guadagnano. Sono i risultati di una approfondita indagine curata dalla Cisl del Lazio che ha analizzato i dati sulle prestazioni specialistiche erogate durante il 2006 ed i primi tre mesi di quest' anno. Le cifre sono state fornite al sindacato dall' Agenzia di Sanità pubblica del Lazio e dalla Regione. «È necessario rivedere gli attuali sistemi di esenzioni da reddito - chiede Tommaso Ausili, segretario della Cisl di Roma e Lazio - procedendo con urgenza alla messa a regime del sistema di controllo previsto dalla normativa nazionale». Il sindacalista ricorda l' episodio avvenuto a Velletri lo scorso anno: gli uomini della guardia di finanza hanno effettuato un controllo a campione nella cittadina alle porte della capitale. Dall' indagine è emerso che su 49 persone che avevano autocertificato di possedere i requisiti previsti per l' esenzione, solo 3 avevano davvero questo diritto. Gli altri 46 avevano dichiarato il falso. «L' articolo n. 50 della Finanziaria approvata dal Parlamento nel 2003 prevede il collegamento informatizzato diretto tra l' Agenzia delle entrate e il Servizio sanitario regionale - precisa Ausili - ma questo collegamento non è mai stato attivato. E l' attuale sistema per ottenere l' esenzione avviene attraverso l' autocertificazione...». Senza l' informatizzazione dei dati «è impossibile validare in tempo reale la richiesta di esenzione di ogni singolo cittadino - osserva l' esponente della Cisl -. Inoltre bisognerà adottare un diverso sistema di calcolo della capacità di reddito familiare. Ciò è possibile realizzarlo attraverso l' adozione dell' Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), che viene già applicato dalle Università per l' iscrizione degli studenti per fasce di reddito e dal Campidoglio per l' accesso agli asili nido». Tale indicatore tiene conto, spiegano dal sindacato, non solo dei redditi da lavoro, di impresa e professione, ma anche dei redditi da fabbricati, da depositi bancari e delle rendite come i Bot. «Solo così si può avere la certezza di adottare criteri di equità e giustizia sociale - sottolinea Ausili - E di certo attuando questo progetto il numero degli esenti si ridurrà, aumenteranno gli introiti della Regione dal pagamento del ticket e magari sarà possibile eliminare il balzello dai codici bianchi nei pronto soccorso». Tra analisi di laboratorio, visite, cure riabilitative e risonanze magnetiche nella Regione durante lo scorso anno sono state eseguite 84 milioni e 702 mila prestazioni che corrispondono a 21 milioni e 142 mila ricette. Di queste ultime il 31 per cento dei fogli rosa riguarda cittadini che sono esentati dal pagamento del ticket perchè sono colpiti da tumori, insufficienza renale, diabete, demenze ed altre gravi malattie. Un altro 23 per cento appartiene alle persone esenti per reddito e per età, mentre l' 8 per cento sono gli esenti totali (invalidi). Resta quindi il 37 per cento di cittadini che, invece, pagano il balzello. Il sindacato evidenzia un altro aspetto di particolare interesse: sul totale delle prestazioni erogate nel Lazio, il 63 per cento appartiene a quelle cure che vengono fornite in laboratori e servizi di radioimmunologia. Si tratta di 10 prestazioni per abitante nella regione, un' enormità: tale percentuale e tale entità assoluta «appaiono elevate rispetto alla media dei dati nazionali», evidenzia la Cisl che chiede alla giunta Marrazzo «di fare in modo che i medici prescrivano solo le prestazioni necessarie attraverso rigidi criteri di appropriatezza». Indicazioni che permetterebbero di evitare le prescrizioni inutili e di risparmiare milioni di euro. Tra le branche specialistiche che più appaiono utilizzate in modo esagerato certamente sono da annoverare, sottolinea il sindacato, le prestazioni di medicina fisica e riabilitazione: queste terapie assorbono il 18,5 per cento del totale, con rapporto di circa 3 prestazioni ogni 100 abitanti. Un altro capitolo interessa gli ospedali. Secondo i dati che provengono nel primo trimestre 2007 dai pronto soccorso di tre ospedali (San Giovanni, San Camillo, Policlinico) emerge un' altra anomalia: l' introduzione del ticket di 25 euro sul «codice bianco» (quando un paziente è giudicato in condizioni non gravi, ndr) sta determinando un aumento del numero dei «codici verdi» (quando un malato ha lesioni e disturbi di una certa gravità ndr). «Questo tipo di classificazione, però, prevede una maggiore spesa della Regione agli ospedali - commenta con malizia Ausili -. Se si associano l' aumento dei codici verdi e le spese sostenute dalle singole Asl per l' organizzazione della riscossione dei ticket, i costi saranno superiori alle entrate previste. E il 65 per cento delle prestazioni erogate ai codici bianchi sono visite che potrebbero essere fatte dai medici di base, che però spesso sono introvabili». Altro scandalo ha per protagoniste le prescrizioni di risonanze magnetiche: «Abbiamo scoperto che sono risultate negative il 75% delle 311 mila eseguite nel 2006 - aggiunge il sindacalista -. In pratica con questo accertamento si è dimostrato che il malato era tutto fuorchè malato. Ma nelle Asl ne sono state fatte solo 45 mila. Il resto nelle cliniche e negli ambulatori convenzionati...». Di Frischia Francesco ________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 giu. ’07 STRETTA SULL'ESENZIONE DAL TICKET Sanità. Nuovo sistema di regolazione per i farmaci Arriva la riforma del sistema di compartecipazione e di esenzione dai ticket sanitari: sarà improntata in base alle condizioni economiche familiari e farà perno sull'Isee, l'indicatore della «situazione economica equivalente». Ad annunciare la volontà del Governo di cambiare rotta in un sistema che vede oggi esente dai ticket oltre la metà degli italiani, è il Dpef 2008-2012. Con l'obiettivo di una riforma che difficilmente potrà andare a regime subito: creare «maggiore equità» tra le fasce di popolazione e di redditi, con l'handicap di riuscire a stanare le fasce di evasione fiscale. Alla revisione è al lavoro una commissione della Salute affiancata da Regioni e da Economia e Finanze. Nuovi ticket, ma non solo, tra gli obiettivi indicati dal Dpef per le politiche sanitarie. Anche la farmaceutica, come da copione, ottiene un suo spazio: la strada indicata, prevista dal «tavolo» Governo-Regioni- Aifa, è quella del nuovo sistema di regolazione (dei prezzi, ma non solo), che consenta il controllo della spesa e un assetto regolatorio stabile alle imprese, passando per gli incentivi alla R&S e per una nuova policy di investimenti. E ancora, ecco la promozione dell'assistenza odontoiatrica, anche favorendo i Fondi integrativi. Non manca l'attenzione per la non autosufficienza, col potenziamento dell'assistenza domiciliare, anche se la carta vera potrà essere il Ddl per la nascita di un Fondo ad hoc, che tuttavia sconta la difficoltà di reperire le risorse necessarie. I fondi 2008 restano quelli fissati dalla Finanziaria 2007: 99,982 mld, meno della spesa finale 2007. Aumenteranno le risorse per gli investimenti in edilizia e tecnologie. Mentre Sul fronte programmatico e gestionale, la sfida è eliminare sprechi e prestazioni «ormai obsolete», per sostituirle con «prestazioni ad alta rilevanza sociale». Infine, l'impulso al potenziamento delle cure sul territorio, anche con l'associazionismo medico, e i fari puntati sulla «valorizzazione» del personale grazie al Ddl in arrivo della Turco sull'«ammodernamento del Ssn», ormai ai nastri di partenza. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 28 giu. ’07 MALLARINI: BASTA UN AGO E LA SCHIENA NON FA PIÙ MALE Sanità. L'équipe dello specialista Mallarini inserita in un programma di ricerche a livello europeo - Al San Giovanni di Dio nuove tecniche contro ernie, sciatalgie e fratture Mal di schiena addio? Promessa difficile da mantenere anche per la medicina moderna, ma un reparto dell'ospedale San Giovanni di Dio ci tenta. Seguendo una strada impensabile sino a qualche decennio fa ma che adesso è la più seguita a livello internazionale: via il bisturi, si interviene in anestesia locale, attraverso aghi poco invasivi e sotto la guida radiologica. Obiettivo: cementare le fratture ossee, trattare le ernie, e - ultima frontiera - devitalizzare i nervi infiammati o dolenti per problemi degenerativi, né più né meno come fanno gli odontoiatri con i denti. Il paziente in mezz'ora risolve i suoi problemi e torna la mattina stessa a casa sulle proprie gambe. L'equipe del professor Giorgio Mallarini e di Stefano Marcia da qualche mese ha a sua disposizione anche un nuovissimo macchinario, un particolare generatore di radiofrequenza, il primo arrivato in Italia dagli Usa. «Si tratta - spiegano Mallarini e Marcia - di uno speciale apparecchio che consente di trattare certi tipi di lombalgia attraverso una tecnica innovativa. L'idea non è nuova in assoluto, ma il limite delle precedenti apparecchiature, superato da questa, era legato alla precisa individuazione del nervo da "lesionare" e divitalizzare, in modo da risolvere il dolore, senza creare danni alle altre strutture nervose sensitive o motorie». Con questa tecnica l'equipe della radiologia interventistica del San Giovanni di Dio adesso è in grado di affrontare e cercare di risolvere in modo non cruento la maggior parte delle lombalgie. «Per le fratture delle vertebre - proseguono gli specialisti Giorgio Mallarini e Stefano Marcia - causate da osteoporosi, da traumi o da metastasi, siamo in grado di intervenire con la vertebroplastica, cioè con le iniezioni di cemento direttamente all'interno delle vertebre». In caso delle ernie invece le strade sono diverse. «Abbiamo tutti i migliori dispositivi esistenti sul mercato per un trattamento percutaneo, cioé senza usare il bisturi. Oltre alla radiofrequenza, utilizziamo il laser, la decompressione meccanica e l'ozono iniettato direttamente dentro il disco oppure sulla radice nervosa in modo da rdurne l'infiammazione e da far scomparire il dolore, sotto la guida radiologica. Grazie alla elevata tecnologia, possiamo posizionare i nostri dispositivi nel punto esatto della colonna in modo da andare a risolvere direttamente il problema». Da quasi tre anni il reparto del professor Mallarini si sta specializzando nel settore delle patologie della colonna, prima a metà strada tra le competenze ortopediche e quelle neurologiche o ora sempre di più appannaggo del radiologo interventista. Le tecniche all'avanguardia adottate nel reparto cagliaritano hanno permesso l'inserimento della struttura nel progetto Everest (European vertebroplasty research team) che unisce i migliori ospedali europei. Il San Giovanni in questo periodo è diventato il quinto centro italiano, intervenendo per 700 casi di fratture vertebrali e 300 casi di ernie del disco. ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 giu. ’07 MEDICI PRIVATI IN PIAZZA: «BASTA AI TETTI DI SPESA» Assemblea all'Ordine contro la delibera Dirindin che limita le prestazioni convenzionate Ricorso al Consiglio di Stato e protesta generale: «Violato il diritto dei pazienti alla libera scelta In mancanza di alternative pubbliche i malati sono costretti a pagare terapie e diagnostica - «I centri convenzionati costano solo l'1,4% della spesa e coprono oltre la metà dei servizi ma la Regione taglia» CAGLIARI. Medici, biologi, chimici della sanità privata si preparano a scendere in piazza per protestare contro la decisione dell'assessore Nerina Dirindin di stabilire tetti di spesa individuali per le strutture convenzionate. In attesa che il Consiglio di Stato si pronunci sul ricorso amministrativo presentato da decine e decine di centri di assistenza sono i pazienti a pagare più di tutti: code agli sportelli e attese di giorni per un'accertamento diagnostico, l'impossibilità di scegliere il centro dove rivolgersi. L'alternativa è pagare interamente la prestazione. Ieri i titolari delle strutture private si sono riuniti in assemblea nella sala grande dell'Ordine dei medici e hanno deciso di inasprire la lotta. Martedì prossimo sarà decisa la data dello sciopero, inizio luglio o qualche giorno più in là. La Regione è una controparte arcigna, che finora si è mostrata impermeabile a qualsiasi iniziativa sindacale. La scelta dell'assessore, formalizzata a dicembre scorso con contratti individuali che hanno sostituito le le convenzioni («più di tanto non ti paghiamo, indipendentemente dal numero di pazienti e di prestazioni») viene considerata paradossale: tutte insieme le 210 strutture convenzionate in Sardegna - quasi tremila posti di lavoro qualificati - erogano il 52 per cento delle prestazioni complessive e incidono sulla spesa generale per un misero 1,4 per cento. Rispetto al costo totale della sanità sarda, una voragine che s'allarga di anno in anno, si può dire che ricevano una mancia. Eppure la Regione ha deciso di tagliare proprio là: dove i servizi al pubblico funzionano, dove non si fanno le code, dove il cittadino in difficoltà può rivolgersi con fiducia, senza trasferimenti faticosi. «La Regione taglia senza indicare alternative - dicono gli operatori - perchè i servizi degli ospedali rivolti all'esterno sono ormai quasi inesistenti e se pure ci fossero sarebbe assurdo intasarli con impegni di prestazioni che costerebbero molto più di quanto viene rimborsato ai privati». Qualcuno prova a spiegarsi con un esempio: «E' come se da viale Trento dicessero 'più di così non potete ammalarvi, se vi ammalate di più dovete pagare'. Una cosa all'americana, ma in Italia il diritto alla salute è ancora tutelato dalla Costituzione». La legge tutelerebbe anche i diritti economici delle strutture private convenzionate. Carta canta: i rimborsi regionali devono essere saldati entro sessanta giorni dalla rendicontazione. Devono essere saldati. Invece l'Asl 8 - ufficiale pagatore dell'amministrazione regionale - fa finta di nulla e resta in debito: dalle casse dell'azienda non esce un soldo da più di sei mesi, in barba alla legge. Un problema vecchio e mai risolto, che riguarda anche le farmacie. Di più: le tariffe per i privati - stabilite anche quelle dalla Regione - sono ferme al 1998. Tariffe già fortemente penalizzanti se è vero - come ha sostenuto il segretario del Sapmi (Sindacati autonomi professionisti medici italiani), Giuseppe Lonardo - che quelle della Sardegna sono le più basse d'Italia. Un esempio? La prima visita del medico viene pagata 17 euro, la seconda 11.36. «Mentre in Piemonte - ha detto Lonardo - la regione dell'assessore Dirindin, la prima vale trenta euro e la seconda venti». Come se i medici sardi fossero figli di un dio minore. Ma al di là delle conseguenze, medici e paramedici delle strutture private sostengono che la decisione di imporre un contratto col tetto di spesa è illegittima. Gli avvocati Paola Perisi e Alessandro Corda hanno ricorso al Tar per conto di un centinaio di strutture e i giudici amministrativi hanno negato la sospensiva della delibera regionale. Ora c'è il secondo round al Consiglio di Stato, l'organo di appello: «Dovranno darci ragione - ha detto ieri all'assemblea l'avvocato Perisi - perchè viene violato il principio costituzionale che stabilisce il diritto alla salute. Viene meno la libera scelta del medico e si arreca un danno grave all'iniziativa economica privata». Aspetto non secondario, quello commerciale: «Chi voleva allargare la propria attività non potrà farlo a causa del limite imposto al fatturato - ha insistito il legale - e a rimetterci saranno i pazienti, perchè un centro specialistico più grande e più attrezzato significa qualità nell'assistenza e nella diagnostica». Domanda: se un anziano con l'artrosi ha bisogno di terapie e non ha i soldi per pagarsele, quanto vale la sua sofferenza per la Regione? Consiglio conseguente: ammalatevi subito, prima che sia raggiunto il tetto di spesa. ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 giu. ’07 CAGLIARI: IL NOSTRO INDICE DI VECCHIAIA È PATOLOGICO Ogni cento persone al di sotto dei 14 anni ci sono duecentodieci anziani sopra i 65 Cagliari. In città ogni cento persone al di sotto dei 14 anni, si hanno ducentodieci anziani al di sopra dei 65. Nella provincia, invece, questi ultimi sono 137. Cagliari, in pratica, ha un un indice di vecchiaia spropositato. Nel vecchio Continente l’allarme è stato dato nei giorni scorsi a Monaco, durante il convegno «L’Europa e la sfida demografica»: il numero degli anziani aumenta, mentre le nascite diminuiscono, soprattutto in Italia dove le stime del 2006 dicono che il numero medio di figli per ogni donna è di 1,35. Mentre in Francia è di 1,90 e nei Paesi scandinavi è dell’1,80. Ma il dato ancora più preoccupante è che in Sardegna la natalità è di 1,06, l’indice più basso d’Italia, al penultimo posto si trova il Molise con l’1,17. Il che significa che la popolazione sarda tenderà a diminuire in modo sensibile nei prossimi dieci anni. Secondo le cifre fornite a Monaco se si vorranno salvare l’assistenza e i sistemi previdenziali, i quindici Paesi dell’Unione europea (prima dell’allargamento) dovranno aprire le frontiere ad almeno centonovantaquattro milioni di immigrati da oggi al 2035. Mentre secondo le Nazioni Unite dal 1995 al 2050 l’Europa intera dovrà aver regolarizzato oltre settecento milioni di nuovi accessi extracomunitari. Il tutto unito, per aumentare le nascite, a massicci aiuti alle famiglie. In questo quadro Cagliari è messa malissimo. L’indice di vecchiaia della città «è effettivamente patologico - afferma Maria Letizia Pruna, docente di sociologia economica nella facoltà di Scienze politiche dell’ateneo cittadino - abbiamo più del doppio di persone superiori ai 65 anni di quanti sono quelli al di sotto dei 15. In più: si tende oggi ad escludere le persone della terza età dalla vita attiva, mentre rappresentano un patrimonio di conoscenze e capacità che va valorizzato». Negli ultimi dieci anni la città ha perso oltre ventimila persone che sono andate ad abitare nell’hinterland. Il caro-casa fa fuggire le giovani coppie e tutti coloro che intendono (singoli o meno) aveva una propria indipendenza abitativa. Da parte sua l’amministrazione comunale ha varato negli anni scorsi un nuovo piano regolatore con possibilità di cinque nuovi milioni di volumetrie (tra pubblico e privato), ma l’esito è stato del tutto negativo: le persone continuano ad andare via. Inoltre l’ipotesi di concedere il 30 per cento di volumetria in più a chi (impresa) fosse disposto a cederla per dieci anni al Comune per i senza tetto, è fallita. E le case di edilizia pubblica sono del tutto insufficienti. Ma il problema, evidentemente, non è solo quello di arginare l’emigrazione nei centri dell’hiterland. «Il tasso di fecondità è basso - precisa la sociologa Pruna - perchè ci sono dei motivi che scoraggiano la natività come la mancanza di asili nido, di scuole a tempo pieno e di tutte quelle politiche che agevolano la gestione e la vita dei figli. E questo discorso è valido sia per Cagliari che per tante altre cittadine del circondario: Quartu, ad esempio, aveva due asili nido pubblici venti anni va e li ha anche oggi, pur avendo quasi raddoppiato i suoi abitanti. Poi, naturalmente, c’è il problema della scarsità e precarità del lavoro che disincentiva il mettere al mondo un figlio». Come si è visto, però, in Francia e nei Paesi scandinavi il tasso di fecondità è molto maggiore. «In Francia, infatti - continua Maria Letizia Pruna - sin dalle guerre napoleoniche c’è un’attenzione forte ai figli e alle politiche di supporto, molto presenti anche nello stato sociale dei Paesi scandinavi». In città, invece, «aumentano i costi per i servizi alle famiglie a all’infanzia, e ai figli in generale. Manca una strategia e una politica comunale adeguata», afferma Nicola Marongiu, responsabile delle politiche del lavoro della Camera del lavoro. Roberto Paracchini _______________________________________________________ Avvenire 26 Giu. ‘07 MEDICI RIMANETE UMANI di Dietrith Grónemeyer Gli sviluppi detta medicina hightech rivoluzionano già adesso soprattutto le discipline chirurgiche; così le discipline specialistiche mediche si moltiplicano e i quadri professionali cambiano. Nella storia dell’umanità le epoche di cambiamento hanno sempre suscitato vivaci controversie tra sostenitori e avversari. I cambiamenti odierni riguardano tutti i popoli della terra. Vediamo delinearsi grandi progressi, catastrofi e sovvertimenti rivoluzionari in tutti i campi delta vita quotidiana. Scienziati e filosofi delle più diverse discipline hanno analizzato in maniera. eccellente il nostro tempo e ci dicono che (e vecchie immagini del mondo stanno crollando. Ci sono scienziati, ingegneri e anche filosofi, come il filosofo americano Max More, che vedono soprattutto nelle possibilità, della tecnica genetica una nuova epoca, nella quale l’uomo prenderà in mano il proprio destino biologico e si creerà a propria immagine. Tutta la malinconia occidentale starebbe per finire, e l’uomo non dovrebbe più leggere il libro della natura, ma potrebbe scriverlo in maniera nuova e migliore. Le vecchie catene europee potrebbero essere finalmente e definitivamente gettate via, pure le religioni. Se si presta ascolto a simili teorie, una cosa diventa chiara: ci troviamo in una fase transumana del pensiero e dell’azione e stiamo passando dalla natura umana alla natura tecnica,-IL divenire uomo e l’essere uomo cambiano sotto l’aspetto di ciò che è tecnicamente fattibile. La dignità dell'uomo - che è propriamente inviolabile - non ha più posto in questo pensiero. Eppure soltanto attraverso la dignità l’uomo è persona. Questa è una sapienza antica. È per tutti noi difficile rispondere a questi interrogativi etici, giuridici e anche medici. Ma in ciò sta proprio la sfida. Con la decifrazione del genoma umano è stato identificato un mattone essenziale della natura dell’uomo. In questo modo un elemento detta natura umana, che fino a ora era rimasto nascosto al pensiero e all’azione, è caduto sotto la responsabilità etica dell'uomo. Non 'è più possibile tornare aLl’«innocenza». Ma la morale dell'Europa storicamente maturata anche nella sua filosofia deve imporsi nella discussione appassionata circa la questione dell’umano nell’uomo. Essa deve difendere dappertutto ti riconosciuta libertà dell’essere umano e affermarla in tutto il mondo, nella legislazione, in tutte le forme del diritto, nell'educazione, nella medicina e appunto anche nei laboratori tecnici. Un compito della filosofia e delle religioni è quello di lavorare insieme per sviluppare un ethos su scala mondiale, che dovrebbe essere la coscienza della cultura umana. Dobbiamo impedire che si arrivi a una perdita deLL'esistenza umana per colpa dell’uomo. Essere umani e rimanere umani, questa è la parola d'ordine per il nuovo millennio. Le possibilità di un impiego umano di prodotti high-tech nella medicina sono impressionanti e promettenti: la microterapia, la microchirurgia e una chirurgia minimamente invasiva procurano la guarigione e una diminuzione dei dolori direttamente sul posto con interventi chirurgici piccolissimi (te operazioni sono possibili e diventano possibili come se uno volesse «tappezzare» una camera «attraverso il buco della serratura»). I soggiorni negli ospedali sono drasticamente abbreviati o completamente evitati. L'assistenza infermieristica è notevolmente ridotta. In questo modo i medici e il personale sanitario guadagnano tempo e possono prendersi più intensamente cura dei pazienti. Le operazioni possono essere sempre più eseguite con anestesia locale, e il paziente non è aggiuntivamente disturbato dalla narcosi. L’ambiente ospedaliero e ambulatoriale è arredato in maniera conforme alle sue esigenze, e la tecnica passa in secondo piano. Gli interventi piccoli significano rapida guarigione con scarso pericolo di complicazioni e minimo disagio psichico. AL di là di queste promettenti prospettive di un'utilizzazione umana di prodotti high-tech non dobbiamo però perdere di vista il fatto che tali prodotti comportano anche pericoli, per esempio attraverso un abuso di tecniche genetiche e di interventi chirurgici sul cervello. Attualmente in vari luoghi della terra si cerca di sviluppare e di impiantare dei biochip o di collegare il . cervello umano con computer. Con metodi neurochirurgici convenzionali sarebbe possibile impiantare biochip nel cervello umano o collegarlo con computer. La Nasa sta chiaramente compiendo grandi sforzi in questo senso. Pure Marvin Minsk del Mit (Massachusetts Institute of Technology), uno dei pionieri della scienza dei computer e dell'«intelligenza artificiale». che nella sua opera The society of mind («La società della mente», Adelphi, 1989) si è occupato scientificamente a fondo del tema «pensiero e intelligenza», ha contribuito coerentemente a questo sviluppo. Egli è affascinato dalla prospettiva dell’evoluzione umana mediante il collegamento dell'uomo con il computer e pensa a salti quantici dell'evoluzione o perlomeno alla possibilità di ampliare notevolmente la nostra memoria e di copiare il cervello. Norbert Wiener, il padre delle cibernetica e una delle teste fini del Mit, metteva in guardia, già negli anni Sessanta del secolo scorso, dai pericoli che potrebbero derivare da questa tecnologia dell'uomo macchina, soprattutto se la personalità, la psiche, il mondo dei sentimenti e tutta l’esistenza umana, unitamente alte sue ricchezze e profondità, venissero ridotte a una serie di equazioni e di semplici transfer di informazioni. Egli temeva che gli uomini potessero essere ridotti un giorno a macchine. Poiché l'umanità non sarebbe matura per questi sviluppi, egli rifiutò il collegamento uomo-macchina. Wiener morì nel 1964, ma lo sviluppo andò avanti: nel 1999 il cervello di un topo collegato con un computer manovrò per la prima volta il braccio di un robot. Non dobbiamo rimanere passivi di fronte a questo sviluppo: l’uomo non è una macchina! Ognuno di noi ha una responsabilità culturale ed etica. L'eterna domanda: «Che cos'è la vita e che cosa costituisce lo specificamente umano?» è sempre e proprio oggi estremamente attuale. AL fine di disporre di chiari criteri di valutazione e di azione per il futuro occorre perciò urgentemente creare delle categorie aggiuntive di verifica per la tecnica medica e la biotecnica. Propongo di introdurre per la ricerca e lo sviluppo nel campo della microtecnica degli obblighi di verifica in base ai criteri di «compatibilità sociale» e «compatibilità ambientate», come si è soliti fare nei campi della grande tecnica. Queste verifiche radicali prima dell'impiego di tecnologie risalgono a Ktaus M. Meyer-Abich, che negli ultimi decenni si è impegnato a fondo al riguardo nella sua qualità di fisico con diploma universitario e di professore di filosofia della natura. A questi due criteri di verifica bisognerebbe assolutamente aggiungere un nuovo concetto e un nuovo criterio analitico: il criterio della «compatibilità umana», che ho sviluppato nei 1989. Ogni nuova tecnica destinata a produrre modifiche funzionali nel corpo e nel cervello andrebbe verificata sotto questo aspetto da un gruppo interdisciplinare composto da medici, cultori delle scienze dello spirito e della natura, ivi inclusi teologi, giuristi e antropologi. Tate gruppo dovrebbe esaminare fino a che punto si possono temere, per il corpo o per la psiche, modifiche eticamente inaccettabili e non correggibili dovute all’impiego di nuove tecnologie. Similmente esso dovrebbe analizzare se la stessa umanità dell'uomo viene messa in pericolo. A questo scopo bisognerebbe elaborare, con una collaborazione internazionale, dei criteri per stabilire se, quando e a quali condizioni è lecito pianificare sistematicamente l’evoluzione umana con la tecnica genetica ecc. Letica medica conserva un atto valore posizionale. Le tecniche che, oltre alle abituati esigenze umane ed etiche, non corrispondono ai criteri menzionati, andranno in futuro rifiutate dall’umanità o dovranno essere ulteriormente sviluppate fino a soddisfarli. È una grande sfida quella di creare qui delle basi chiare, perché non tutto ciò che è o appare già fattibile potrà anche essere tradotto lecitamente in atto in futuro. Secondo il motto «Qualunque cosa fai, falla con prudenza e pensa atta fine», bisognerebbe verificare ogni giorno e in ogni situazione se la medicina, i contenuti della sua ricerca e i suoi sviluppi sono eticamente, politicamente, socialmente e ambientalmente compatibili, nonché compatibili con l'uomo. Troppo grande è, dato l’odierno stato dello sviluppo tecnico, il pericolo di interventi irreversibili con conseguenze incontrollabili per l'evoluzione. Pure in questo contesto vale la norma: la forza sta nella tranquillità. Una cosa comunque è per me certa e rimane un elemento essenziale di una futura medicina: la misericordia. Una medicina affabile significa dedizione più grande possibile all'uomo. In questo mondo tutti hanno lo spazio necessario per convivere in maniera rispettosa. Siamo una grande famiglia globaie comprendente tutte te età, classi, religioni, sessi e lingue e dovremmo plasmare insieme e in pace questa unica terra, su cui viviamo, per creare una società e una cultura futura pacifica. In questo vedo il mio dovere di uomo, scienziato e medico. Rimanere umani nel rispetto della maggiore opera d'arte: La vita. ________________________________________________________ Repubblica 26 giu. ’07 HOSPICE: INGUARIBILI MA CURABILI... Ancora troppo pochi gli hospice, strutture per malati gravissimi. Vediamo come funzionano di Paola Sorge Sono nati per curare i malati oncologici che non rispondono più alle cure specifiche, creati per la maggior parte dalle numerose associazioni di volontariato che da anni fanno assistenza domiciliare gratuita a chi ha ancora poco o tanto da vivere e da soffrire. Sono gli hospice, piccole strutture modello che ai malati terminali dimessi dagli ospedali e senza possibilità di essere curati nella propria abitazione, prestano tutte le attenzioni necessarie per migliorare la qualità della vita. E in questi microcosmi dove regnano miracolosamente quiete e serenità, il malato si sente "a casa", forse ancor più che in famiglia dove spesso avverte di essere di peso, di creare gravi disagi a chi gli sta vicino; si è lasciato alle spalle le terapie devastanti, gli esami invasivi, le attese angosciose dei risultati e va incontro alle cure palliative che alleviano il dolore fisico e psichico, che non accelerano né ritardano la morte. Nati per dare sollievo Riconosciuti ufficialmente da una legge (la 39) del 1999, gli hospice accolgono generalmente una ventina di pazienti in camere singole con bagno, tv, divano letto per i parenti; li assistono giorno e notte infermieri addestrati, medici e psicologi che non li fanno più sentire isolati ma parte di una grande famiglia. "L'assistenza domiciliare ai malati di cancro in fase avanzata è un'invenzione degli anglosassoni, sempre all'avanguardia nella cura del dolore, di circa trent'anni fa", spiega Roberto Risi direttore sanitario della San Francesco Caracciolo di Roma, "prima non esistevano strutture che risolvevano il problema della lunga degenza dei malati terminali che hanno assoluto bisogno di sedazione, monitoraggio, medicine per alleviare le sofferenze". L'hospice del San Francesco Caracciolo è uno dei primi nati nella Capitale, finanziato dalla Regione Lazio "attualmente si prende cura di 22 ricoverati e 65 assistiti a domicilio a cui forniamo medicine, letti, carrozzine, facciamo analisi del sangue e medicazioni. Il personale è accuratamente selezionato", spiega Risi. Molto attiva nella Capitale è anche l'Associazione Antea che dal 1987 al 2006 ha assistito a domicilio circa 10.000 malati terminali; dell'équipe fanno parte anche fisioterapisti, psicologi e una task-force di volontari per i quali viene organizzato ogni anno un corso di formazione e anche alle famiglie degli assistiti viene fatta una sorta di educazione sanitaria. Dal 2000 l'associazione dispone di un hospice con dieci camere singole fornite di ogni comfort; ora è in attesa di trasferirsi in un padiglione del parco di Santa Maria della Pietà dove ci saranno 25 posti letto. Nata come associazione di volontariato, l'Antea è finanziata dalla Regione, da donazioni di privati e ora conta anche sul 5 per mille. Al Nord sono di più Nel Nord d'Italia il numero degli assistiti dalle singole associazioni è dieci volte superiore a quello di Roma. A Milano la Casa Vidas, che opera da 25 anni, segue 1500 pazienti all'anno, ha un hospice con venti camere singole; dispone di un'équipe di 83 persone, tiene corsi sulle cure palliative, in particolare sugli oppiacei, e dispone anche di ambulatori, day hospital e fisioterapia che integrano l'assistenza domiciliare. Il budget è di 8 milioni di euro all'anno e si basa quasi esclusivamente su lasciti privati e donazioni di aziende e banche. Atmosfera familiare La volontà di curare anche e soprattutto quando non si può guarire anima anche l'Associazione Gigi Ghirotti di Genova. Nata nel 1984, assiste attualmente 1046 pazienti, di cui 12 accolti nell'hospice aperto nel 2002; dal 1994 assiste anche malati di Aids. Presieduta dal professor Henriquet, è la più importante delle numerose associazioni di volontariato sparse in tutta Italia che portano il nome del giornalista noto per aver raccontato pubblicamente la sua malattia incurabile. La Fondazione Gigi Ghirotti con sede a Roma, è impegnata soprattutto nell'organizzare "La giornata nazionale del sollievo" voluta da Umberto Veronesi e nel dare sostegno psicologico ai pazienti e ai loro familiari. Il suo centralino (numero verde 800301510) riceve circa 6000 chiamate all'anno. Non ci sono orari di visita negli hospice, qui i parenti dei pazienti sono accolti con un sorriso e tanta comprensione, non si sentono, come spesso succede nei grandi ospedali, degli intrusi, degli elementi di disturbo in un meccanismo a volte spietato. Entrando nella San Francesco Caracciolo si avverte subito un'atmosfera familiare che scalda il cuore; non c'è nulla di inquietante, la hall sembra quella di un albergo di lusso, piena di piante e di pace. "Qui si mangia bene, c'è una brava cuoca che cucina anche per chi assiste il malato, altro che i cibi precotti degli ospedali", racconta sorridendo l'assistente sociale che sta al centralino e smista gli infermieri impegnati nelle visite domiciliari. "Mi sembra di sognare", aggiunge la moglie di un paziente ricoverato da un mese, "sono tutti gentili, anzi addirittura affettuosi con noi, mi hanno fatto dimenticare la brutalità degli infermieri e anche di alcuni medici ospedalieri che ho dovuto subire in quattro anni di calvario". Ora suo marito, accudito amorevolmente, si è un po' ripreso. Ha ancora voglia di vivere. ________________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’07 IL LAVORO IN CORSIA In Francia ci sono più di 7 infermieri per mille abitanti, in Germania e in Inghilterra quasi 10, da noi 5. E gli infermieri mancano dove c' è più bisogno: ma sono loro che fanno la differenza tra un buon ospedale e uno così così. È l' infermiere che passa la maggior parte del suo tempo con l' ammalato, ad accorgersi per primo che qualcosa non va e, per le malattie gravi, fa la differenza tra la morte e continuare a vivere. Non so perché gli infermieri si stiano allontanando dagli ospedali, da noi e dappertutto, le ragioni sono tante e forse diverse per ambienti diversi, quattro problemi però li hanno tutti: 1) il lavoro è pesante, si comincia presto al mattino o si finisce tardi la sera e c' è il turno di notte, c' è il sabato e la domenica; 2) non c' è abbastanza prestigio (e in Italia ancora meno che negli Usa e in Inghilterra), tutte le volte che si parla o si scrive di medicina e di qualcosa di importante che è stato fatto, si parla di medici, di infermieri mai; 3) le associazioni di categoria hanno voluto l' infermiere unico e laureato. Dopo cinque anni di liceo ne servono altri tre e poi altri due per essere «dottori» anche loro. Credo sia stato un errore. La laurea è assolutamente importante per gli infermieri che hanno più responsabilità. Ma servirebbero anche scuole professionali per consentire a chi desidera lavorare subito di avere una formazione più breve e molto pratica. Quando negli ospedali c' erano le scuole-infermieri gli allievi erano parte integrante e preziosa dell' organizzazione. Lavoravano con infermieri esperti capaci di insegnargli i trucchi del mestiere (come fissare un catetere alla cute di un bambino senza che si muova, senza dovergli mettere i punti che fanno male e si infettano, per fare un esempio). Trucchi così ce ne sono moltissimi, ma i medici non li sanno e non li possono insegnare, peccato che siano quasi sempre i medici, adesso, quelli che insegnano all' Università degli infermieri; 4) gli infermieri laureati di adesso fanno tutto: fanno i prelievi, fanno i letti, puliscono gli ammalati, distribuiscono il cibo, e poi si occupano di farmaci e trasfusioni, fanno funzionare macchine sofisticatissime, nelle emergenze rianimano. E poi ce ne sono che coordinano l' attività nelle sale operatorie, nelle unità coronariche, nelle dialisi. Hanno responsabilità enormi e guadagnano quattro volte meno di un medico, laureato anche lui. Remuzzi Giuseppe _______________________________________________________ Repubblica 26 Giu. ‘07 IL CERVELLO COME UN MP3: SCOPERTO IL SEGRETO DELLA VISTA ELENA DUSI ROMA -Non è così facile mantenere fermo il mondo davanti ai nostri occhi. Per osservare un oggetto abbiamo bisogno di avvolgerlo con un gran numero di occhiate, spostando le pupille fino a 4-5 volte ogni secondo. I movimenti rapidi degli occhi inviano al cervello un fotogramma ogni due o tre decimi di secondo, e come riesca il nostro organo del pensiero a trasformare questo balletto di immagini in una sequenza fluida di eventi è un altro di quei fenomeni che più si indagano e più rimangono misteriosi. David Melcher, un neuroscienziato del Centro Interdipartimentale Mente-Cervello dell'università di Trento e Rovereto e dell'università di Oxford, si è accorto di un particolare importante: i neuroni incaricati di concentrarsi su un oggetto riescono a mantenersi fissi su di esso incuranti dello spostamento continuo della retina. E non solo sono capaci di mantenere il mirino puntato sul loro obiettivo, ma riescono anche a prevedere 1a posizione che assumeranno sulla retina qualche decimo di secondo dopo, quando l'occhio avrà completato il suo spostamento. «L'adattamento comincia ad avvenire già prima dello spostamento dell'occhio - scrive Melcher in un articolo che appare oggi su "Nature Neuroscience " -e questa capacità di prevedere in anticipo i cambiamenti spiega come mai tutte le diverse occhiate ci appaiano come un flusso ininterrotto». Lo scienziato ha usato un computer che proiettava sullo schermo dei punti luminosi in continuo spostamento e uno strumento per seguire i movimenti delle pupille. Poi ha concluso che in fondo il nostro cervello non funziona in modo troppo diverso da un lettore di Mp3. «I file musicali - spiega - sono compressi nel lettore. Non contengono l'intera canzone, ma solo pacchetti discreti di informazione separati da brevi intervalli. Il riproduttore di canzoni riesce a ricomporre i brani perché è capace di leggere il pacchetto di informazione attuale e di anticipare anche quello successivo, riempiendo 1o spazio tra i due intervalli». Anche se l'immagine di un oggetto si sposta continuamente all'interno della retina, i neuroni che si trovano nell'area del cervello incaricata di decodificare i messaggi visivi riescono a mantenere puntata l'attenzione sull'oggetto che abbiamo messo a fuoco. Il cervello non deve spendere tempo ed energie ad "accendere" nuovi neuroni per ognuno dei circa 150mila spostamenti della pupilla che avvengono ogni giorno. E questo trucco, unito alla capacità di prevedere in quale direzione la pupilla effettuerà il movimento successivo con una velocità di circa un decimo di secondo, permette alla realtà di scorrere davanti ai nostri occhi in maniera fluida. E lo stesso meccanismo ci consente di distinguere quando è l'oggetto a spostarsi rispetto a noi o quando a muoversi è il nostro occhio i neuroni riescono a tenere l'attenzione sugli oggetti messi a fuoco _______________________________________________________ Il Sole24Ore 29 Giu. ‘07 GENETICA. PASSO VERSO LA VITA ARTIFICIALE Intero Dna trasferito da un batterio all'altro Francesca Cerati MILANO ma- Segnato il primo passo verso la vita artificiale. A percorrerlo è ancora una volta Craig Venter, lo scienziato che per primo nel aooo ha decodificato il Dna di un organismo. Ed è proprio nel suo Centro privato di Rochville, nel Maryland, a lui intitolato, che il gruppo di ricercatori coordinati da Carole Lartigue è riuscito a trasferire l’intero corredo genetico (ben i,o8 milioni di basi) di un batterio (il mycoplasma capricolum) in un altro (mycoplasma mycoides). In pratica, hanno trasformato artificialmente quest'ultimo nella copia del primo con l'obiettivo - non troppo lontano - di programmare microrganismi su misura in grado di produrre biocarburanti o capaci di depurare terreni contaminati da sostanze inquinanti e rifiuti tossici. Venter ha provato per anni a creare un microbo partendo da zero: «Questo è il primo passo, alla fine - dice - arriveremo anche a produrre cellule artificiali». Così l'era della biologia sintetica e del genoma artificiale è più vicina di quanto si creda. «Entro una decina d'anni, se non addirittura cinque - ha detto Venterin video conferenza riusciremo a ottenere carburanti da organismi geneticamente modificati». Per questo il team del Craig Venter Institute, che ha pubblicato la ricerca su Science, ha già avviato le procedure per brevettare la tecnìca. Ma c'è chi non è d'accordo e mette le mani avanti: «Siamo molto preoccupati -ha detto in una e-mail Jim Thoznas, dell'associazione canadese non- profit Etc dall'ampiezza delle implicazioni di questo brevetto e dai diritti di monopolio. Per questo chiederemo che il brevetto venga rifiutato». _______________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Giu. ‘07 GENETICA: TECNICA NON UNA SCOPERTA di Francesca Cerati Più che una scoperta è la verifica di un metodo. Di fatto, il sogno di creare un organismo completamente sintetico - o come la definiscono gli stessi autori della ricerca, la tecnica di custom-design batterica - è sempre stata un pallino di Craig Venter. Ancor prima di terminare il "Progetto genoma", lo scienziato americano, molto business oriented, ne aveva pubblicizzata l'intenzione. Ora ne ha dimostrato la fattibilità. «Il fatto di avere trasferito l'intero genoma di un batterio in un altro è sicuramente un progresso, una tappa molto precoce verso la creazione di organismi sintetici in laboratorio - commenta Carlo Croce, il noto ricercatore italiano che oggi lavora alla Ohio University ma non è una rivoluzione. Come dicono gli autori è una grande prova di principio. Ventex è un ottimo ricercatore che usa tecnologie già sviluppate per migliorare metodiche già esistenti». Da decenni i biologi modificano geneticamente i microbi, aggiungendo o modificando piccole sequenze di Dna. «Detto questo dice Giorgio Casari, professore di Genetica medica all'Università Vita Salute del San Raffaele di Milano - ci si augura che con il progredire delle tecnologie il trasferimento di Dna possa riuscire anche in organismi più complessi». L'obiettivo è infatti quello di creare organismi su misura. «I batteri potrebbero produrre carburanti se corredati da geni che codificano gli enzimi deputati alla formazione di idrocarburi. Oppure potrebbero catabolizzare, quindi distruggere, rifiuti, scarti petroliferi, plastica, ma anche sintetizzare farmaci, per esempio antibiotici» spiega il genetista. Diventerebbero insomma uno strumento di laboratorio per ottenere prodotti altamente efficienti a basso costo. «Con questa tecnica - continua Casari - noi possiamo aumentare moltissimo la redditività e la produttività dei microrganismi, ricostruendo da zero e in maniera sintetica il corredo genetico. E questo può essere fatto anche dai sintetizzatori di Dna, macchine usate quotidianamente nei laboratori». L in una visione di fanta biologia, sarà possibile ottenere anche cellule sintetiche di mammiferi che, private delle informazioni originarie (cioè di trasformarsi in ossa, cervello> cuore e così via) diventino incubatrici di farmaci. Sarà sufficiente inserire al loro interno un genoma assolutamente ridotto per ottenere insulina, per esempio. «Niente a che vedere con la clonazione - precisa Casari -. In questo caso infatti si tratta di organismi artificiali, costruiti in laboratorio partendo da mattoncini Lego sintetici». Allora è qualcosa che si può brevettare? «Ne dubito. Una volta nota la metodologìa, è sufficiente cambiare r2 basi del genoma che l'organismo sintetico diventa qualcosa di diverso rispetto all'organismo teoricamente brevettato. E se Venter brevetta la tecnica? «Prima deve dimostrare che la sua tecnica è nuova. AL momento il metodo di fusione di cellule attraverso Peg (polietilenglicole) è una pratica corrente. Credo sia difficile in questo studio identificare la vera novità». _______________________________________________________ Repubblica 29 Giu. ‘07 SE IL CHIRURGO DECIDE DI NON DARCI UN TAGLIO di Giuseppe Del Bello Ne parla come se fosse la cosa più naturale del mondo (e in realtà lo è), ma la parola «orificio», subito seguita dall'aggettivo «naturale», legata alla chirurgia, suscita sempre un qualche ef fetto. Eppure Jacques Marescaux, pioniere a Strasburgo della chirurgia laparoscopica in Europa, non può evitare di parlarne quando racconta che lui e la sua équipe, primi al mondo, il 2 aprile scorso hanno asportato una colecisti dalla vagina, utilizzata come via d'accesso. Un orificio naturale, ~ appunto, che in questo caso è stato fondamentale per lasciare, a fine intervento, la pelle intatta, senza cicatrice da bisturi. Come se la guarigione di madame Mildred, trent'anni, due figli e un impiego da segretaria in uno studio medico, fosse stata opera di uno sciamano e non di un chirurgo. La svolta di Marescaux rappresenta l'ultima frontiera della metodica mininvasiva (laparoscopia, letteralmente significa osservare l'addome) che, da vent'anni, permette di realizzare interventi chirurgici introducendo pinze, forbici e strumenti ottici collegati a una videocamera, attraverso tre, quattro piccolissimi «buchi» praticati sulla pancia del paziente. Ambizioso, perfezionista e grande organizzatore, come ammettono anche i colleghi che non lo amano, lo specialista coltivava da tempo il progetto di una tecnica che gli avrebbe consentito di inscrivere il suo nome nella storia della medicina moderna. L'Operazione Anubis, come hanno chiamato il nuovo protocollo segnato dal primo intervento chirurgico senza cicatrici, fa vacillare l'antica e salda convinzione che un chirurgo tanto più vale quanto più è grande la cicatrice che lascia. Figuriamoci quando i sulla pelle non rimane neanche un segno. «Durante l'intervento, abbiamo utilizzato alternativamente Il bisturi elettrico, le forbici di tipo endoscopico e le clips metalliche, spiega Marescaux. «Strumenti miniaturizzati che hanno permesso il controllo sia dell'arteria in cui affluisce il sangue diretto alla colecisti, sia del condotto cistico, che regola il passaggio della bile nell'intestino». L'operazione è iniziata con l'introduzione di un endoscopio flessibile, lungo un metro e mezzo, utile ad «attraversare» gran parte dell'addome. Nella fase successiva il mini strumentario, guidato dall'endoscopio (tubo ottico munito di microcamere che mandano immagini a un video), si è fatto strada tra gli organi addominali, fino a raggiungere la colecisti malata. A questo punto, con impercettibili e precisi movimenti delle dita che manovrano dall'esterno, il chirurgo ha resecato la base dell'organo che, infilato in un sacchetto di plastica, è stato quindi estratto. Poi c'è stata l’emostasi, cioè il controllo dell'eventuale sanguinamento e, infine, la ricostruzione dell'unica ferita interna (sulla parete posteriore della vagina) con tre invisibili punti di sutura (in zycril, materiale riassorbibile). Senza imprevisti e dopo tre anni di «prove», l'équipe dell'ospedale universitario ha portato a termine la prima tappa dell'Operazione Anubis. Mildred, tornata a casa dopo 48 ore («ma solo per prudenza non l'abbiamo dimessa prima»), in tutto questo ha subito una sola aggressione: la puntura di un ago del calibro di due millimetri con il quale è stata insufflata, a inizio intervento, l'anidride carbonica necessaria a distendere l'addome e, quindi, a manovrare gli strumenti al suo interno. La scuola francese è riuscita a battere la concorrenza d'Oltreoceano che, venti giorni prima, aveva effettuato lo stesso tipo di intervento ma con tecnica mista, transvaginale e transaddominale. Un particolare che fa la differenza: i chirurghi guidati da Marc Besler, della II Columbia University di New York, avevano cioè praticato tre fori sull'addome. Non sono rimasti a guardare i nostri specialisti. Francesco Corcior.e, primario all'ospedale Monaldi di Napoli, il 10 giugno è stato il primo in Italia a effettuare una colecistectomia per via vaginale in una donna di 58 anni. Dimessa dopo tre giorni. Ma era proprio necessario immaginare un accesso così delicato e, per certi versi, battericamente contaminato, in nome dell'estetica? «Non è solo per questo motivo» replica Marescaux. «L'Anubis senza incisioni vuol dire assenza o minimo dolore postoperatorio e rapida ripresa della vita normale. D'altronde, la vagina è sempre stata la via d'accesso per il trattamento delle patologie ginecologiche ed è per questo che all'intervento ha partecipato anche un ginecologo. Una precauzione per evitare i rischi complicanze (teorici e stimati dello 0,001 per cento». Del gruppo francese fa parte anche un'italiana, aggiunge Vlarescau. È Silvana Peretta. Romana, 33 anni, a Strasburgo da un anno («in Italia è difficile realizzare le idee che si hanno in mente»), anche lei nega qualsiasi rischio legato all'area in cui si è operato. «La flora batterica intestinale, per esempio, è molto più pericolosa per le infezioni. E poi il tessuto vaginale è così elastico da garantire una maggiore capacità di rimarginazione della ferita». Entusiasta del traguardo, ammette che le indicazioni esigono un'accurata selezione dei casi: «Sempre rimanendo nell'ambito della colecisti, non c'è una controindicazione determinata dall'età, solo il fatto che l'organo non deve avere infiammazioni in corso. Insomma, per ora bisogna limitarsi ad affrontare I situazioni semplici, anche perché, con un paio di casi fatti in tutto il mondo e una strumentazione in evoluzione, sarebbe futuristico spingersi oltre». Ma il progressista Marescaux preannuncia: «Entro due mesi, appena avremo il nullaosta del Comitato etico, partiremo con la "transgastrica", che ha la bocca come via d'accesso. Sa, la mucosa dello stomaco I cicatrizza meglio». _______________________________________________________ Libero 30 Giu. ‘07 LA PELLE ARTIFICIALE ANTI-CICATRCI Impiantata con successo su sei persone, si integra pienamente con l'epidermide ustionata o lesionata e riduce i segni permanenti ROBERTO MANZOCCO CAMBRIDGE Una pelle artificiale di lunga durata e pienamente in grado di integrarsi con l'organismo di chi la riceve. È questo il risultato conseguito da un gruppo di ricercatori inglesi, che grazie alla loro invenzione sperano di rivoluzionare il trattamento clinico delle ustioni e di altri tipi di danni e ferite che possono colpire la pelle umana, offrendo così un'alternativa meno dolorosa ai tradizionali trapianti di pelle e riducendo nel contempo la formazione di cicatrici. A sviluppare questo tipo di tecnologia sono stati Paul Kemp e i suoi colleghi della Intercytex, una compagnia biotech di Cambridge. Battezzata ICX-SKN, la nuova pelle artificiale imita il naturale processo di guarigione delle ferite. Composta da una matrice di fibrina - uria proteina tipicamente presente nelle ferite in fase di rimarginamento - essa contiene anche fibroblasti, cioè le cellule che, nella pelle naturale, producono collagene. In pratica la matrice in questione può essere impiantata nelle ferite che si vuole curare, chiudendole e integrandosi pienamente con l'epidermide dei pazienti. II prototipo di pelle artificiale di Kemp e colleghi è già stato testato con successo sugli esseri umani; nel corso del loro studio gli scienziati britannici hanno asportato delle piccole sezioni ovali di pelle dalle braccia di sei volontari in buona salute, inserendo poi in tali ferite le matrici epidermiche da loro prodotte. Dopo 28 giorni queste ferite si erano completamente rimarginate, lasciando solo delle cicatrici piuttosto piccole (al contrario i modelli di pelle artificiale sviluppati in passato tendono a degradarsi molto rapidamente, senza quindi raggiungere l'integrazione con la pelle naturale). Secondo Stephen Minger, uno studioso di biologia cellulare del King's College di Londra, i risultati conseguiti dal team di Kemp costituirebbero un importante passo avanti nell'ambito della cura delle ferite e della medicina rigenerativa in generale: «Disporre di riserve di pelle artificiale sempre pronte all'uso potrebbe rivoluzionare il trattamento di pazienti che hanno subito gravi ustioni o comunque danni molto pesanti alla pelle». Data infatti l'inefficacia delle precedenti pelli artificiali, fino ad ora l’unico tipo di terapia disponibile per le condizioni in questione era costituito dagli innesti di pelle naturale prelevati da altre aree del corpo (una procedura che però finisce con il creare ulteriori ferite). Proprio in quest'ottica la Intercytex sta ora pianificando la sperimentazione di IIX-SK1V su ferite molto ampie. La ricerca di Kemp è stata pubblicata sull'ultimo numero della rivista scientifica "Regenerative Medicine". ________________________________________________________ Corriere della Sera 24 giu. ’07 MODE ALIMENTARI: SU INTERNET UNA SELVA DI INGANNI» L' intervista Un noto nutrizionista analizza in un libro le mode alimentari Le diete possono essere anche un inganno. Almeno è quanto sostiene Giorgio Calabrese, docente di alimentazione e nutrizione umana presso l' Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, che ha fatto una ricerca approfondita in materia, raccolta nel libro L' inganno delle diete, edito da Piemme. «Tutti ormai si intendono di dietologia e ognuno propone una sua soluzione dimagrante. Ci si riferisce fondamentalmente a regimi dietetici squilibrati che danno risultati a breve termine capaci di appagare il desiderio di perdere chili velocemente - dice Calabrese -. Ho studiato per mesi, assieme a mia moglie, tecnologa alimentare, e ai miei collaboratori all' Università Cattolica di Piacenza, tutte le diete che si trovano su Internet, e tranne qualcuna che veniva elaborata se non da un dietologo, quantomeno da un medico, abbiamo trovato una selva oscura. Diete squilibrate, molto simili fra loro ma con nomi diversi, prescritte dal coiffeur piuttosto che dal body-builder o dal personal trainer. Un inganno totale che non solo illude, ma spesso danneggia la salute». Può fare qualche esempio pratico di diete non adeguate? «La dieta che va più di moda, da un po' di anni, è la Zona, iperproteica, che parte dal teorema di 30 per cento di proteine (contro l' equilibrato 10-12, massimo 15 per cento soprattutto per gli atleti), il 40 per cento di carboidrati (contro l' equilibrato 55-60) e il 30 per cento di grassi (unico parametro giusto). Con questo metodo sono state illuse moltissime persone che dopo aver seguito questo complicato regime, hanno ripreso i chili persi con gli interessi. C' è poi ad esempio, tra le più stravaganti, il "metodo Lemme", che permette di mangiare pasta in maniera illimitata al mattino entro le ore 8 e poi, naturalmente, dieta iperproteica per tutta la giornata. Gli effetti sono deleteri come con la prima dieta, ma con l' aggravio di un sovraccarico mattutino di carboidrati. La dieta "del minestrone" poi non perde il suo appeal. La perdita di peso è determinata dalla esclusiva introduzione di vegetali, integrati con minime quantità di carboidrati e tracce di grassi. Tanto passato di verdura fino alla nausea e alla ribellione». Perché le diete a basso contenuto di carboidrati e le diete iperproteiche danno un risultato subito? «Perché inizialmente si mobilizzano sia i liquidi in eccesso sia i grassi di riserva, ma dopo un po' di giorni il "miracolo" non si ripete e allora diventa dura; il pancreas ad un certo punto si ribella e riprende a produrre insulina che, a sua volta, riproduce grassi, specie a livello viscerale, che diventano i più pericolosi per la salute». Quali sono i suoi consigli per una corretta alimentazione? «La regola è quella di seguire la dieta mediterranea, basata sulla formula cui si accennava prima. La dieta è un atto medico, una terapia, anche se non si usano e non si debbono utilizzare farmaci, che compete al dietologo medico, che prima di prescrivere questo regime deve fare una visita medica approfondita ed esami clinici e poi seguire con controlli periodici il paziente (1 volta al mese) fino al raggiungimento dell' obiettivo». G. T. * * * GIORGIO CALABRESE autore del libro L' inganno delle diete (Piemme) Tanganelli Guido