ISTRUZIONE: SE IL CITTADINO CHIEDE I DANNI - FERRARI: L’UNIVERSITÀ NON È PRONTA ALLA MULTIDISCIPLINARIETÀ - GLI ATENEI CORTEGGIANO LE FUTURE MATRICOLE - E NELLA FORMAZIONE LA SPAGNA SURCLASSA L' ITALIA - VIA LIBERA AI RIMBORSI PER GLI STUDENTI SARDI - CERVELLI IN FUGA: STORIE ESEMPLARI DI RICERCATORI COSTRETTI A EMIGRARE - FACOLTA’: IL LAVORO È APPESO A UN RAMO - PROGETTO PROGENIA IN QUATTRO COMUNI DELL' OGLIASTRA - AMBIENTE: SE L’UOMO È LA MALATTIA - ASSUNZIONI RECORD DI LAUREATI - IO, SARDA, DALLA PARTE DELLE DONNE - SE IL MIO FONDOSCHIENA VALE PIÙ DI DUE LAUREE - L'ETERNA MALATTIA DEL RIBELLISMO - MESSINA, PRESIDE IN CELLA: «FAVORÌ IL FIGLIO» - PRIVACY: IL BUON SENSO DELLA LIBERTÀ - PRIVACY: LA RISPOSTA STA NELL'ANONIMATO - ACCESSO E COMPETENZE, NODI CRUCIALI PER I LEGALI - ======================================================== INTRAMOENIA, PROROGA AL 2009 - SANITÀ, ORA LE PAGELLE DEGLI UTENTI - SANITA’: INDAGATI OLTRE 60 DIPENDENTI DEL SANTA MARIA - LA SALUTE E I BREVETTI - INFERMIERI: GLI STIPENDI IN CORSIA - I BRUTTI RICORDI CANCELLABILI SENZA FARMACI - DI CHIARA: MA L’AMORE NO, NON VA IN PENSIONE - CURATEVI CON IL SESSO - SCHIAFFO AGLI INTEGRATORI, PER LE OSSA MEGLIO IL LATTE - SOTTO IL CAMICE BIANCO, UN ROBOT - LA GUERRA ALL'OBESITÀ LA COMBATTE IL CERVELLO - LA VITAMINA C NON PROTEGGE DAL RAFFREDDORE - ECCO IL VACCINO ANTI-AVIARA - INSEGUENDO LE ARMONIE SEGRETE CHE FANNO SUONARE LE PROTEINE - ======================================================== ____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Lug. ‘07 ISTRUZIONE: SE IL CITTADINO CHIEDE I DANNI di PIETRO ICHINO Il Corriere di venerdì ha dato notizia dell’alto numero di bocciati all’esame di maturità nella classe di una scuola media superiore di Milano che ha avuto la sfortuna di avere come docente — si fa per dire — il professor M.: il super- assenteista il cui caso avevamo denunciato nell’ottobre dell’anno scorso. Le famiglie, indignate, dichiarano di voler muovere causa all’amministrazione scolastica per essere risarcite dal danno causato dal non-insegnante. Non faticheranno a vincere la causa: il danno è grave e la colpa è evidente. Non solo la colpa del professore, la cui nullafacenza è stata accertata in tempi diversi da due ispettori, ma anche quella dell’amministrazione scolastica che, nonostante le ripetute denunce di una preside seria e coraggiosa e i due referti ispettivi, non ha mai adottato l’unico provvedimento che poteva e doveva essere adottato: il licenziamento. C’è solo da domandarsi perché le famiglie non abbiano chiesto il risarcimento molto prima della bocciatura alla maturità, visto che quella deplorevole situazione si protraeva da anni: perché qui il vero grave danno non sta tanto nell’insuccesso finale, quanto nell’ignoranza cui lo studente è condannato dal professore che non insegna. Sarebbe molto importante che tutti incominciassero a fare la stessa cosa: chiedere il risarcimento del danno all’amministrazione scolastica nei casi analoghi a quello del professor M. (che sono assai numerosi: è raro che uno studente non incontri almeno un professor M. nel corso dei suoi studi). Sarebbe un inizio, sia pure un po’ rudimentale, di quello che in Gran Bretagna chiamano civic auditing: il controllo e la valutazione dei cittadini sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Se la richiesta del risarcimento si diffonderà — e le associazioni degli utenti possono fare molto per favorirla — il ministro e i dirigenti scolastici saranno finalmente costretti ad aprire gli occhi almeno sui casi più clamorosi ed evidenti di incapacità o rifiuto di insegnare da parte del docente. Si porrà fine alla prassi assurda oggi in vigore, per cui il professore nullafacente non viene mai licenziato: se proprio gli va male, viene trasferito, cioè inviato a far danni in un’altra scuola (anche al professor M. è andata così: nel febbraio scorso è stato trasferito in una scuola della periferia di Milano, dove ha ovviamente perseverato nel suo comportamento precedente). La realtà è questa: il grado massimo di inefficienza che un’amministrazione pubblica può raggiungere è, in generale, quello che la cittadinanza è disposta a sopportare. Almeno nella scuola — settore chiave per il progresso sociale del Paese — i cittadini devono imparare a essere molto meno pazienti. Lo Stato, dal canto suo, deve incoraggiarli, dotandosi di un sistema efficiente di valutazione capillare della produttività delle scuole e dei singoli docenti, che raccolga sistematicamente anche il giudizio di studenti e famiglie; questo renderà più facile individuare i professori migliori per pagarli meglio, ma anche rimuovere gli incapaci e sanzionare chi si sottrae al proprio dovere. Consentirà, poi, che la Corte dei Conti finalmente incominci a chiedere il conto ai dirigenti pubblici che tollerano tutto, compresi gli inadempimenti più gravi e plateali. Anche per quest’ultimo aspetto il caso del professor M. sembra destinato a segnare una svolta: il 14 giugno scorso il Procuratore regionale lo ha citato in giudizio davanti alla Corte dei Conti per il risarcimento del danno da lui causato all’amministrazione statale, valutato in 124.200 euro. Attendiamo che il Procuratore citi in giudizio anche chi avrebbe potuto e dovuto da molto tempo metterlo alla porta e non lo ha ancora fatto. ______________________________________________________________ Repubblica 16 lug. ’07 FERRARI: L’UNIVERSITÀ NON È PRONTA ALLA MULTIDISCIPLINARIETÀ Mauro Ferrari, nato a Udine, docente universitario di scienze mediche e ingegneristiche a Houston, uno dei maggiori esperti nella nanotecnologia; Lo scienziato italiano che vive in Texas spiega perché alle tecnologie di frontiera serve un nuovo approccio Milano Quello delle nanotecnologie è il tipico «Q settore multidisciplinare, e proprio per questo evidenzia le carenze del sistema universitario italiano. Ed è un gran peccato perché ancora una volta i cervelli ci sono, ed è una dissipazione di risorse vederli fuggire sistematicamente all'estero». Mauro Ferrari, friulano dai modi gentili, parla con la consapevolezza dell'esperienza: studente a Padova, lasciò l'Italia nel 1983 per fare la tesi in ingegneria a Berkeley, e non è più tornato. «Però - mi sento legatissimo al mio paese, ci vengo una volta al mese e adesso ci verrò ancora di più». II motivo è che Ferrari è stato nominato la settimana scorsa consulente del consorzio pubblico-privato per la creazione del Centro di Nanomedicina a Milano promosso dalla Regione Lombardia. Ferrari, che darà «tutto l'aiuto possibile» a questo progetto, è la personificazione della multidisciplinarietà: è professore di medicina molecolare all'Università del Texas, di ingegneria nello stesso ateneo nonché alla Rice University, e di experimental therapezttics all'M.D. Anderson Cancer Center, il centro oncologico numero uno degli Stati Uniti. E' consulente della Casa Bianca, della Nasa e dell'Unione europea, ed ha presieduto la commissione sulla bio e nanotecnologia che presentò due anni fa a Palazzo Chigi un documento «che non si sa che fine abbia fatto». Perché l'Italia è tagliata fuori da questa corrente di ricerca? «L'università soffre di un male antico, cronico e inguaribile: è ancora legata ad una ripartizione rigida che ricorda le corporazioni medievali. Chi è ingegnere idraulico non può neanche fare i concorsi ad ingegneria edile. Figuriamoci se un medico può affacciarsi a fisica, o un chimico a matematica. E' un metodo autoreferenziale che punta alla conservazione del potere e non tiene conto che l' interdisciplinarietà è un valore fondamentale in materie come la nanotecnologia. E' quanto di più antiscientifico si possa immaginare. Intendiamoci, ci sono delle isole di qualità interdisciplinare come la Sant'Anna di Pisa, il Politecnico di Milano, la Sissa di Trieste, anche la Magna Grecia a Catanzaro che ha un campus che ce l'avessimo in America sarei orgoglioso. Ma sono pochi. In Italia, se fai un lavoro interdisciplinare devi sacrificare la carriera. Così perdiamo qualsiasi leadership, e intanto anche paesi come Spagna e Portogallo fanno passi da gigante, per non parlare di quello che succede in Asia. Ma noi non siamo da meno: io su 50 ricercatori ho 15 italiani tutti bravissimi». Un motivo per cui non tornano è la precarietà della posizione nonché lo stipendio. Quanto guadagna un ricercatore in America? «Diciamo che un post-doc che ha appena fatto il PhD guadagna come un professore associato in Italia, cioè più o meno tre volte tanto. Non è un gap immenso, e poi consideri questo: siamo tutti precari anche in America, siamo al servizio della comunità. Quando non funzioniamo più, andiamo a casa. La differenza è che in America hai accesso a programmi di finanziamento straordinari come quello il cui lancio ho diretto io nel 2005 per il nanotech del National Cancer Institute, il programma più ricco di nanotecnologie applicate alla medicina del mondo. AL centro medico di Houston abbiamo finanziamenti di ricerca e clinical trials per 6 miliardi di dollari (più dell'intera spesa per ricerca in Italia, ndr)». A quali progetti in particolare sta lavorando in questo momento? «Il settore più importante è l'oncologia. Stiamo creando delle particelle che vanno in giro per il corpo letteralmente a cercare le cellule metastatiche, particelle `multistadio come i razzi vettori e non a caso al progetto partecipa la Nasa». (e. oc.) ____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 Lug. ‘07 GLI ATENEI CORTEGGIANO LE FUTURE MATRICOLE Le università lanciano i saloni d' orientamento estivi Passati gli esami di maturità, per le aspiranti matricole è ora tempo di scelte. E per capire qual è il corso di laurea più adatto, l' input giusto può arrivare dai Centri di orientamento degli atenei. Sono condotti da team di esperti capaci di cogliere indizi preziosi. Ecco la voce «last minute» di alcune università. Fermo restando che, in tutta Italia, gli sportelli orientamento sono aperti anche in agosto. All' università di Padova «i prossimi Open day del 23 e 31 luglio sono il momento conclusivo di un anno di lavoro sulle future matricole», spiega Daniela Lucangeli, delegato del rettore per l' orientamento e il tutorato. Oltre a presentare le singole facoltà e i corsi di laurea, organizziamo seminari per la comprensione dei test di ingresso: che cosa sono le domande aperte, le domande chiuse, come ottimizzare il tempo. Per orientare gli studenti, l' università non sconfina mai nel marketing. Puntiamo ad incontri "di risultato", non "di risonanza"». A Milano, «oltre alle giornate Open day-Open mind di marzo e luglio - dice Cesare Kaneklin, delegato del rettore per l' orientamento all' università Cattolica -, una buona chance per fare il punto sulla scelta-studi può essere quella dei corsi estivi di orientamento. Quest' anno, le sedi sono il Salento dal 19 al 23 luglio e il Trentino dal 29 luglio al 2 agosto. E focalizziamo sempre il ruolo del "tutor" per aiutare a socializzare. Perché chi partecipa poco alla vita d' ateneo, è anche quello che getta la spugna o rimane indietro con gli esami. E un criterio adottato oggi dalle aziende per le assunzioni è quello dei "tempi di laurea"». Oggi a Roma «si svolge la sesta edizione di Orientarsi all' università Roma3 - dice Maria Rosaria Stabili, prorettore delegata alle politiche di orientamento -. Nella mattinata, docenti, studenti e imprese dove i nostri giovani fanno i tirocini, raccontano i vari step del cammino in ateneo. Dalle 13 alle 18, sono previsti tre turni per il test di ingresso simulato. Avviene nella cosiddetta Piazza telematica e conta 230 postazioni». Per settembre, invece, Alma mater studiorum dell' università di Bologna ha in calendario diversi open day di facoltà. Passando dai singoli appuntamenti ai progetti, l' università di Bari punta sull' iniziativa Arianna. «Facciamo informazione su oltre 200 scuole - spiega Stefano Bronzini, delegato alla comunicazione e all' orientamento -. E per portare i ragazzi alla scelta della facoltà con in mano il maggior numero di dati, ci muoviamo in anticipo: li contattiamo già al quarto e quinto anno delle superiori. La chicca del nostro progetto? La promozione delle "quote rosa" ai percorsi tecnico-scientifici con incentivi sulle tasse». E all' università di Catania, «al Centro di counseling orientativo istituito nel 1995, è stato affiancato, dal 2 luglio, il Centro psicologico», dice Santo Di Nuovo, responsabile del primo centro. Il lavoro sull' orientamento ha avuto un' impennata con l' entrata in vigore della "riforma 3+2". E anche se il test di autovalutazione rimane uno strumento valido, abbiamo sentito l' urgenza di vagliare la "tenuta studi" su principi collaudati all' estero». laurabonani@libero.it ____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Lug. ‘07 E NELLA FORMAZIONE LA SPAGNA SURCLASSA L' ITALIA UNO STUDIO BAIN & COMPANY c.d.c.) Il settore dei viaggi e del turismo è uno dei più importanti in termini di peso sul Pil complessivo del nostro Paese. Eppure il nostro mercato contiene dei gap rispetto al resto dei competitor europei. Lo conferma l' «Osservatorio sul turismo in Italia» firmato da Vincenzo Gringoli e Diego Petruccelli di Bain & Company. Tra le aree di debolezza dell' Italia, c' è, secondo gli esperti, anche la questione delle strutture manageriali non all' altezza rispetto alla necessità di innovazione del turismo italiano. «C' è una bassa presenza di laureati, e soprattutto un' insufficienza del sistema di formazione professionale» dice Diego Petruccelli. E la differenza con l' Europa è netta: se tra gli addetti del settore alberghiero in Spagna il 16% è laureato, e in Grecia il 7%, da noi la cifra si riduce al 3%. Il livello di scolarizzazione italiano nel settore è insomma tra i più bassi in Europa, nonostante ci siano moltissime possibilità di crescita. E' importante, secondo gli esperti, aumentare l' offerta di percorsi formativi specializzati, oltre ad avviare al più presto interventi per lo sviluppo di attrattori di turismo e miglioramento delle strutture ricettive. Nel frattempo, in linea con i consigli di Bain, è stata annunciata la nascita in Friuli Venezia Giulia del primo centro di formazione per manager e imprenditori del turismo con l' impegno di Regione, Università di Trieste, Udine e Mib di triestino. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Lug. ‘07 VIA LIBERA AI RIMBORSI PER GLI STUDENTI SARDI Gli studenti sardi che frequentano dei corsi universitari in Sardegna, nella penisola e all’estero potranno ottenere un rimborso delle spese di affitto pari all’80% e per il solo periodo di studio. La Giunta regionale, su proposta dell’assessore ad interim alla Pubblica istruzione, Carlo Mannoni, ha incrementato di sei volte per quest’anno accademico lo stanziamento rispetto al 2006, per un totale di un milione e mezzo di euro. Ai fuori sede delle università sarde andrà un milione di euro, assegnato agli Ersu dei due atenei: 65% per l’Ersu di Cagliari e 35% per quello di Sassari. Ai nuovi beneficiari fuori Sardegna sono destinati 359mila euro, mentre 141mila euro serviranno per rinnovare i contributi già assegnati negli anni accademici precedenti. Quest’anno, pur mantenendo l’obbligo di certificare il costo del canone d’affitto, la Giunta ha eliminato il tetto massimo di spesa ammissibile. I contributi sono ora accessibili agli iscritti a qualsiasi corso di laurea, mentre finora erano disponibili solo per chi sceglieva un corso universitario non presente in Sardegna. ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 Lug. ‘07 CERVELLI IN FUGA: STORIE ESEMPLARI DI RICERCATORI COSTRETTI A EMIGRARE Presentato il libro «Scienziati di ventura»: 20 vicende umane e professionali dimostrano come nell’isola non regni la meritocrazia L’arte sono io, la scienza siamo noi» ricorda spesso il neurofarmacologo Gian Luigi Gessa citando l’endocrinologo Claude Bernard che sin dall’Ottocento capà che l’operare scientifico è fatto da grandi squadre di ricercatori e non dai singoli. E questo significa che per fare scienza occorrono le scuole, di eccellenza possibilmente. Ma per realizzarle c’è bisogno di anni e anni perchè «queste sono composte da capitale umano», come ha sottolineato Gessa durante la presentazione del libro «Scienziati di ventura» (Cuec, 2007, pagine 147) di Andrea Mameli e Mauro Scanu, tenuta lunedà sera in piazzetta Savoia, a Cagliari. Un angolo del capoluogo diventato agorò per discutere delle scienze e dei suoi problemi, e di come creare quella massa critica di ricercatori bravi da poter dire che è nata una scuola, un luogo in grado di far crescere altri giovani. «In Sardegna — ha spiegato Gessa — i rari centri di eccellenza si sono realizzati senza l’aiuto delle istituzioni, ad opera di ricercatori che hanno riportato nell’isola il tesoro di conoscenze acquisite all’estero e lo hanno altruisticamente trasmesso ad altri giovani sardi ». Da qui il disegno di legge regionale, presentato dal neuroscienziato (che è anche consigliere per Progetto Sardegna) e che sarò discusso a breve dall’assemblea che governa l’isola. Un’ipotesi che parte dalla considerazione che le scienze si fanno nel mondo e che è importante formarsi dove operano i laboratori d’eccellenza. E qui interverrò la Regione con borse di studio post laurea. Poi «con contratti pluriennali bisognerò cercare di far rientrare questi giovani — ha affermato Gessa — ma senza disperarsi se alcuni resteranno fuori: potranno diventare lo zio d’America ed aiutare altri giovani sardi a formarsi ». La strada, peré, è lunga. E anche in consiglio regionale «c’è chi vorrebbe snaturare la legge derogando al rigore e abbassando troppo la soglia di merito di coloro che potrebbero accedere alle borse di studio ». Intanto i cervelli fuggono, come dimostrano le venti storie raccontate da Mameli e Scanu: studiose e studiosi emigrati, ma con pochi rienti. Francesco Muntoni (giò allievo di Gian Luigi Gessa), ad esempio, avrebbe voluto tornare ma non ce l’ha fatta. Attualmente è a Londra dove dirige un laboratorio per le malattie neuromuscolari infantili, considerato punto di riferimento del settore in campo internazionale. «Lui voleva rientrare a Cagliari — spiega Gessa — ma la sua preparazione era troppo ingombrante, nel senso che avrebbe fatto troppa ombra e allora è stato tenuto fuori». Muntoni è anche molto amico del genetista Francesco Cucca, uno dei pochi che è riuscito a toranre e che oggi insegna all’univeristò di Sassari. «Occorre — spiega Cucca — uscire dall’autoreferenzialitò, non esistono ricette magiche ma bisogna lavorare per creare condizioni che permettano ai giovani di fare ricerca e di poter vivere. Ma attenzione, essere stati fuori non significa automaticamente diventare bravi. Dipende dal laboratorio in cui sei stato». Ed è questo uno dei problemi che preoccupano Gessa: teme che la sua legge venga annacquata aumentando a dismisura le persone che dovrebbero andare all’estero, «mentre i laboratori d’eccellenza non sono tanti». Gli scienziati sardi «di ventura » sono numerosi e operano anche in discipline non consideraate «dure» (come la matematica e la fisica). Tra questi, ad esempio, c’è Carla Pittalis che vive oggi in Turchia dove ricopre un importante incarico alla Banca Mondiale: contribuisce a gestire progetti per cinque miliardi di dollari all’anno e ha solo 34 anni. E c’è anche Carlo Rubattu che per tredici anni ha svolto a Londra l’attivitò di analista finanziario, poi ha fondato una propria societò di produzione di software, la Visokio, specializzata in visualizzazione di dati. All’estero, ha raccontato nel libro, «è normale vedere giovani in posizione di responsabilitò e fare velocemente carriera all’interno di aziende multinazionali». In Italia e in Sardegna, no: tanto meno nelle universitò. Secondo dati ministeriali il quaranta per cento dei docenti d’ateneo ha almeno 60 anni, mentre quelli di ruolo al di sotto dei 35 anni sono, in tutto il territorio nazionale, solo nove. Tra chi è rientrato c’è anche Giuseppe Pilia (giò allievo di Antonio Cao). Nonostante sia morto nell’aprile del 2006 a soli 43 anni, aveva giò creato una scuola. Era riuscito a mettere in piedi un progetto, il Progenia, interamente finanziato dagli Usa, per lo studio genetico della popolazione dell’Ogliastra. Un’impresa scientifica che continua. Un esempio da imitare. Cervelli in fuga: storie esemplari di ricercatori costretti a emigrare INCONTRO A CAGLIARI ______________________________________________________________ MF 17 LUG. ’07 FACOLTA’: IL LAVORO È APPESO A UN RAMO Gli elementi da valutare per scegliere facoltà giusta, terminare gli studi e iniziare subita la carriera Una fitta rete di rapporti internazionali accelera l'ateneo di Emanuela Borzacchiello Troppi errori nella scelta. I giovani che si immatricolano all'università sono molti, quelli che concludono gli studi sono relativamente pochi. Il sistema universitario italiano è caratterizzato da un ridotto tasso di laurea: su 100 studenti meno di 40 riescono a laurearsi. Allora a quale università iscriversi? Quali sono i. passaggi chiave da seguire per fare una scelta professionale che sia il più possibile consapevole e di successo? Scegliere la facoltà giusta, conseguire un titolo di studio spendibile sul mercato del lavoro ed essere coerenti con le proprie aspirazioni sembra un obiettivo difficile da raggiungere. Ci sono quindi alcuni elementi da considerare prima di iscriversi. La qualità di un ateneo si misura molto dalla sua capacità di produrre ricerca di alto livello, sulla fitta rete di rapporti internazionali, sulla capacità di creare un canale privilegiato tra università e impresa, sugli sbocchi professionali in grado di garantire traguardi professionali rispondenti alle proprie aspirazioni e anche sulla possibilità di offrire percorsi didattici in grado di guidare lo studente e far sì che questi tagli il traguardo della laurea in corso. Tirocini, stage, esperienze all'estero forniscono l'imprinting al futuro laureato, a prescindere dalla sua scelta professionale. L'internazionalizzazione della didattica è una scommessa che una università vince grazie alla forte presenza di professori italiani e stranieri di alto profilo scientifica e l'attivazione di corsi avanzati. Importante è la lista delle collaborazioni che ogni ateneo ha attivato con università straniere. Un elemento da non sottovalutare è la «doppia laurea». Il titola offre agli studenti la possibilità di seguire un curriculum particolare che, attraverso un percorso integrato con università straniere, permette di conseguire due titoli accademici: una laurea italiana e un corrispondente titolo straniero . «Un doppio titolo in curriculum è una nota caratterizzante.. Esperienze importanti che facilitano l'accesso al mondo sono i tirocini e gli stage», afferma Mauro Santomauro, pro rettore del Politecnico di Milano, «lo stage ha una doppia finalità. Serve allo studente per mettersi alla prova ed è utile alle imprese per individuare studenti da assumere dopo la laurea». L'aver sperimentato gli stage in azienda durante gli studi facilita del 10° e l'ingresso nel mondo del lavoro. Sbocchi professionali per qualificati, ma sempre meno pagati: solo la metà dei laureati trova un impiego a un anno dalla laurea. In più nel 2006 un laureato guadagna al mese, in termini reali, meno di quanto percepiva cinque anni fa il fratello maggiore. I dati del triste record dicono che a un anno dal giorno della discussione della tesi trova lavoro solo il 45% dei giovani «triennali» (erano il 52% l'anno scorso) e il 52,4%o dei laureati pre-riforma. i dati sono quelli della nona indagine sulla «Condizione occupazionale dei laureati italiani», presentata a Bologna da AlmaLaurea, Solo un giovane su tre che ha conseguito una laurea breve, e ha trovato un impiego, è riuscito a siglare un contratto a tempo indeterminato. La laurea, però, rimane ancora una scelta che premia, ma a lungo termine. «Il tasso occupazionale tra diplomati e laureati migliora sulle lunghe distanze. È vero che chi è partito prima, guadagna prima, ma è anche vero che si ferma prima nell'incremento salariale e nella possibilità di migliorare la propria carriera», sottolinea. Andrea Carnmelli, direttore del Consorzio interuniversitario ALmaLaura e docente all'università di Bologna, «i laureati sono in costante formazione. Ormai la laurea triennale è concepita come soglia educazionale minima con la quale poter interagire in una società tecnologicamente avanzata». I più richiesti dalle aziende sono i dottori in ingegneria e architettura: a cinque anni dalla laurea lavora il 95,67o degli ingegneri e il 92% degli architetti. Una laurea senza mezze misure sembra essere quella di medicina: o ci si ferma alla laurea triennale professionalizzante (57,6%), o ci si iscrive a una scuola di specializzazione (29,2%). Eclettico e con tassi di occupazione superiori alla media é il settore politico-sociale. A un anno lavora già il55,7%. Ottime chance postlaurea ci sono per gli iscritti ai settore agrario. Un anno dopo la tesi la metà dei laureati pre-riforma di agraria è occupato. A cinque anni dal titolo sono ampiamente occupati anche gli psicologi, ma la metà in modo precario. Per matematici, fisici e informatici il punto più critico è 1.a stabilità del lavoro che a cinque anni coinvolge solo il 51,9 r`o. La loro condizione si diversifica tenendo conto dei differenti percorsi di studia. Gli informatiei hanno un tasso di occupazione alto (71,4%). mentre a fisica e matematica pesala quota di chi continua gli studi dopo la laurea. A prescindere dalla facoltà, per tutti i dottori quella che arriva più tardi è la stabilità. In controtendenza rispetto a questo trend è il gruppo chimicofar-maceutico, per cui il posto fisso coinvolge, a cinque anni dal titolo, il 78,7% degli occupati. Uno stipendio superiore alla media è invece la nota positiva dei laureati in materie. statisticoeco-nomiche. Una lunga gavetta caratterizza infine il percorsa delle professioni forensi, per cui sono obbligatori praticantati e tirocini. ______________________________________________________________ L’UNIONE SARDA 14 lug. ’07 PROGETTO PROGENIA IN QUATTRO COMUNI DELL' OGLIASTRA L’interesse per l'invecchiamento, condizione umana ambita ma altrettanto temuta, cresce con l'innalzarsi dell'aspettativa di vita media. L'obiettivo delle ricerche in questo campo è esplicito: prolungare la vita mantenendola in salute. Attratti dalle caratteristiche di longevità al 2001 i ricercatori del CNR di Cagliari dell'Istituto di neurogenetica e neurofarmacologia studiano i pregi della popolazione sarda, attingendo dal patrimonio genetico degli abitanti di quattro comuni ogliastrini: 6162 volontari di Arzana, Elini, Ilbono, La nusei, di età compresa fra 14 e 102 anni, pari al62% della popolazione del territorio (9995). Il progetto, denominato "Progenia", è nato nel 2001 in collaborazione con l'Istituto sull'invecchiamento del National institute of health degli Stati Uniti, dal quale è stato totalmente finanziato per dieci anni (fino al 2011). Sono alcune condizioni particolari, come la propensione alla longevità, la stabilità ambientale e lo stesso isolamento geografico, a fare del territorio sardo un laboratorio naturale per lo studio della longevità. Le differenze tra individui derivano dal fatto che ciascuno di noi possiede diverse varietà dello stesso gene, ma in Sardegna tali variazioni sono minori: questo permette di associare più facilmente la variante genetica a uno o più tratti particolari. Per esempio l’ elasticità delle arterie o la capacità di affrontare con ottimismo le difficoltà della vita. I risultati raggiunti dal progetto "Progenia" sono stati presentati a Lanusei in un affollato incontro pubblico ("I: unicità del tuo patrimonio genetico: una ricchezza che puoi condividere"). I sindaci dei quattro centri coinvolti nella sperimentazione, impegnati in prima persona come volontari, hanno rinnovato il pieno sostegno alle attività di ricerca. Il coordinatore del progetto, Antonio Cao, dopo aver ricordato la figura del ricercatore che per primo diede impulso e corpo all'iniziativa, il compianto Giuseppe Pilia, ha sottolineato gli elementi di forza del progetto a partire dalle caratteristiche di invariabilità del corredo genetico dei sardi. La particolarità delle ricerche condotte da "Progenia" sono anche di carattere metodologico: «In Ogliastra - ha sottolineato Manuela Uda, responsabile della sezione di ricerca del CNR a Lanusei - conduciamo uno studio longitudinale: la salute di ogni volontario viene seguita nel tempo, per questo è fondamentale mantenere il campione il più possibile invariato. Alla prima visita del 2001 tre anni dono la seconda, con analisi epidemiologica e analisi genetica, e nel 2008 abbiamo in programma la visita con analisi funzionale dei geni che avremo identificato». Tra i brillanti risultati del progetto, l'identificazione di geni per acido urico, asma e variazioni emoglobina fetale (lo studio dei meccanismi che regolano l'attivazione dei geni gamma dell'emoglobina fetale può portare a sopperire all'assenza di catene beta dell'emoglobina adulta nei pazienti talassemici), numerosi articoli scientifici accettati da riviste e congressi internazionali, e lavoro per decine di ricercatori. Ma Antonio Cao ha sottolineato un dato negativo: «I finanziamenti del progetto, cioè due milioni di dollari all'anno, per 10 anni, giungono solo dagli Usa. Ora confidiamo nella legge di riordino della ricerca scientifica in Sardegna, che presto sarà discussa in Consiglio regionale». Il coordinatore del progetto "Progenia" ha chiuso i lavori ringraziando calorosamente i seimila volontari coinvolti. Ma ha fatto appello ai circa 1500 che non si sono ancora sottoposti al secondo ciclo di visite: «Per uno studio longitudinale, in cui è cruciale ripetere gli esami sugli stessi soggetti a distanza di tempo, è indispensabile raggiungere la stessa cifra della prima volta». ANDREA MAMELI ______________________________________________________________ IL Giornale 19 LUG. ’07 AMBIENTE: SE L’UOMO È LA MALATTIA Quando si arriva a credere che anche l'inverno gelido è colpa del riscaldamento globale, e ora di farsi un bel condizionatore. Come insegna il colonnello Giuliacci Bastano tre giorni di caldo a maggio e le cassandre strepitano che il deserto avanza, con tanto di ridicoli inviti a non lavarsi più. Poi segue il giugno più piovoso degli ultimi duecento anni, ma non si vede nemmeno l'ombra di una mezza autocritica: il Live Earth, del resto, è fissato per il 7 luglio. E pazienza se a Milano, regno eterno dell'afa estiva, sembra di essere alle Canarie, cielo terso evento fresco, un luglio che neanche i vecchi ne ricordano uno così mite. Ma tant'è, «a questi signori non interessa la realtà, ma i propri schemi», dice a Tempi il lapidario Riccardo Cascioli, giornalista controcorrente, da anni impegnato a smascherare le bugie dei falsi profeti del catastrofismo ambientale. «Ormai la loro è una vera e propria ideologia». E quel che allarma di più Cascioli è che nonostante questa «ideologia antiumana» abbia «proclamato l'uomo nemico del pianeta, parassita da eliminare o quanto meno da ridurre ai minimi termini», essa «sta penetrando in modo impressionante anche nella Chiesa». L’ambientalismo cattolico non è una novità, ma, osserva Cascioli, «negli ultimi tempi sembra un'eresia montante. Una concezione negativa dell'uomo, che il Papa già da arcivescovo di Monaco aveva bollato come non cattolica, continua a farsi strada nella Chiesa. Basterebbe prendere i titoli dell'Editrice Missionaria Italiana per farsi un'idea: un libro addirittura fa l'elogio del non lavoro, dell'ozio nel senso del non far niente». Altrettanto eloquente è l'impegno dell'associazione Greenaccord, sponsorizzata dalla Conferenza episcopale italiana, che «organizza forum rivolti ai cattolici a cui vengono regolarmente invitati WWF; Green peace e Legambiente». Cosa su cui si potrebbe ancora sorvolare, se non fosse che «sul sito di Greenaccord si esaltano personaggi come Mathis Wackernagel, l'inventore dell’impronta ecologica, la sintesi dell'ambientalismo antiumano, Serge Iatouche, guru del pensiero no global, Lester Brown, il catastrofista per antonomasia, profeta di cataclismi che non sono mai avvenuti, e via discorrendo. Se questi sono i punti di riferimento di un'associazione cattolica sponsorizzata dalla Cei, sta succedendo qualcosa dì grave. Perfino nella diocesi di Bologna, che pure è guidata dal cardinale Carlo Caffarra, lontanissimo da queste posizioni, la commissione preparatrice del Congresso eucaristico ha proposto un "convegno scientifico-sociale" dal titolo "L'Eucaristia e il sole, fonti di energia pulita"». Cascioli parla anche di manovre in corso per trasformare l'incontro del Papa con i giovani a Loreto, in programma a settembre (in coincidenza con la "Giornata per la salvaguardia del creato"), in un appello della Chiesa in favore dell'ambientalismo. Già in aprile, in occasione del convegno su "Cambiamenti climatici e sviluppo", era andato in fumo un pesante tentativo da parte di molti ambienti cattolici e di governi che, come quello b, hanno sposato la linea della lotta al riscaldamento globale, di coinvolgere fino all'omologazione la Santa Sede nella loro crociata per la salvezza dell'ambiente. «La rabbia per il fallimento di quella accorata azione traspariva chiaramente dai resoconti che ne hanno dato agenzie di stampa come Adista in Italia e The tablet in Inghilterra, che sono un po' le punte di questo movimento ambientalista all'interno della Chiesa cattolica». Ma i lobbisti ecocattolici non demordono. In un forum organizzato poche settimane fa da Greenaccord per i giornalisti cattolici «è stata lanciata l’idea di misurare l’impronta ecologica delle parrocchie italiane, valutazioni di impatto ambientale per cui poi saranno spinte a spendere i soldi dell'8 per mille in pannelli solari e via discorrendo. Cosa che peraltro in Germania alcune diocesi hanno già cominciato a fare». Anche tra i cattolici, insomma, in molti si sono spinti ben oltre la sana ecologia. «Non si tratta di essere contro le energie rinnovabili, ci mancherebbe. Ma queste sono iniziative puramente propagandistiche, che non hanno alcun significato dal punto di vista della reale salvaguardia dell'ambiente, figuriamoci poi da quello dell'evangelizzazione, che dovrebbe essere la preoccupazione principale delle parrocchie. Quando il mondo cattolico fu investito dall'ondata marxista perlomeno il giudizio della Chiesa sul comunismo rimase chiaro, sull'ambientalismo c'è un'ambiguità pericolosissima. A partire dalla sacrosanta difesa dell'ambiente, si diffonde un'ideologia terribile, che considera l'uomo il principale nemico del creato». KYOTO È MORTO. VIVA KYOTO E se è nemica dell'uomo, alla lunga un'ideologia non può che accanirsi anche contro quel che lo circonda. Basta vedere cosa succede in Campania, con la questione dei termovalorizzatori o con il costo dell'energia. «Quando il costo dell'energia comincia salire molto, porta a un impoverimento generale. Non è solo un problema per l'industria: cosa significa per tanti pensionati veder aumentare la bolletta dell'elettricità o dover abbassare il riscaldamento d'inverno? Altro che caldo, la mortalità aumenta per il peggioramento delle condizioni economiche. Ecco dove ci vogliono guidare - Cascioli ha molto da ridire anche su quella priorità che Walter Veltroni nel suo discorso a Torino ha definito - lotta al caldo -, e che è diventata una priorità anche di governi tradizionalmente seri come duello di Sua Maestà. «Il governo britannico non può dire sciocchezze del tipo che il riscaldamento globale è un pericolo più grave del terrorismo. Ma come, proprio loro, che mentre a Greenapple stavano discettando sui cambiamenti climatici gli sono scoppiate quattro bombe in casa? È un discorso che vale anche per l'Europa. Divisa su tutto, l'Unione Europea ha trovato un solo punto di unità su cui ricostruirsi un'autorevolezza mondiale: il protocollo di Kyoto». Peccato, però, che Bush e i grandi paesi in forte sviluppo (India, Cina, Brasile) siano già oltre. «Gli Stati Uniti hanno lanciato nell'area del Pacifico una partnership anti-inquinamento con parametri meno rigidi su cui ha già raccolto l'adesione di India, Cina, Canada e Australia. Quindi, anche se i leader europei lo ammetteranno chissà quando, il protocollo di Kyoto è già morto. Così oggi l'Europa è rimasta isolata con la sua sbandierata "diplomazia verde"». Chi sa cos'è l'anidride carbonica? Non sarà più grave del terrorismo internazionale, però il problema del riscaldamento globale esiste. «Certo. E se capita un inverno freddissimo come quello dell'anno scorso dicono che il riscaldamento globale ha bloccato la corrente del Golfo. Ma se in tv il colonnello Giuliacci ha spiegato che l'estate del 2007 sarà torrida, terrificante, un caldo da morire, e poi la realtà è quella che è sotto gli occhi di tutti, crede che Giuliacci sia tornato in tv a dire "scusate, ci siamo sbaglia ti"? No, ha fatto la pubblicità per i condizionatori d'aria». Insomma, l'unica catastrofe ambientale di cui Cascioli ammette l'esistenza è «la disinformazione». Come quella che regna sul problema dell'emissione di anidride carbonica legata all'industrializzazione, un problema oggi additato come causa di tutti i mali del mondo. «Intanto bisogna distinguere. Aumenta l'anidride carbonica, la CO2, che non è un inquinante ma il normale prodotto dei processi vitali. Invece l'inquinamento, in tutti i paesi sviluppati, sta diminuendo. Già nel 2002 l’Ocse registrava per i paesi industrializzati una diminuzione de1 70 per cento rispetto agli ultimi 40 anni. Dati analoghi sono registrati regolarmente dall'agenzia governativa per l'ambiente, l Apat. Poi, certo, il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio nel presentarli è riuscito a dire il contrario, ma ha barato: ha detto che sono in aumento i giorni in cui sono stati superati i limiti, però non ha detto che i limiti sono stati notevolmente abbassati, anzi, che addirittura sono stati usati i limiti che entreranno in vigore nel 2010. È ovvio che i giorni di superamento delle soglie sono aumentati». Rimane l'aumento delle emissioni di CO2, questo sì reale. Ma, primo, non è dimostrato che esso sia legato all'aumento delle attività industriali. Secondo, non è affatto dimostrato che sia il vero responsabile delle variazioni climatiche: si registrano aumenti della concentrazione di CO2 nell'atmosfera anche in periodi di diminuzione delle temperature, come fra il 1940 e il '75, quando ancora i soliti catastrofisti lanciavano allarmi per l'avvicinarsi di una nuova era glaciale. «Il fatto è che le vere ragioni dei cambiamenti climatici ci sfuggono. Il clima terrestre ha sempre subito oscillazioni periodiche, dalle grandi glaciazioni della preistoria al rialzo della temperatura che fra il Mille e il1300 ha favorito il decollo della civiltà medievale, fino alla cosiddetta "piccola glaciazione" che invece ha reso dura la vita dei secoli seguenti. La natura non è statica, è dinamica, il cambiamento è la normalità. E il clima in sé non è un problema, gli uomini si sono adattati a tutti i cambiamenti di clima del passato. II problema è l'ideologia: oggi non ci vogliamo più adattare noi al clima, vogliamo adattare il clima a noi. È un risvolto dell'ideologia occidentale moderna, dell'uomo che si fa Dio». Quando tutti i cinesi andranno in macchina e mangeranno bistecche - così ragionano i catastrofisti - le risorse della Terra si esauriranno. C'è anche chi si è già messo a calcolare quanti ettari di foreste si dovrebbero abbattere per far posto ai pascoli dei milioni di manzi necessari per rifornire tutti i McDonald's del Celeste Impero. «Bisogna domandarsi: che cos'è una risorsa? L'ideologia ambientalista dice che è come una torta, e che quindi bisogna mangiarla lentamente, e possibilmente nel minor numero possibile di commensali, tant'è vero che poi tutti i filoni dell'ambientalismo vanno a finire nell'idea che siamo troppi al mondo. Invece la risorsa è l'uomo. È lui che, a seconda dei problemi che si è trovato ad affrontare nella storia, ha scoperto risorse che prima non considerava tali. Per secoli, il carbone o il petrolio non sono state risorse. Fino a qualche anno fa si prevedeva la crisi anche per le telecomunicazioni, a causa dell'esaurimento del rame con cui si facevano i cavi, poi gli uomini hanno inventato la fibra ottica, fatta di silicio, cioè di sabbia. Spinta da un problema, l'intelligenza umana ha scovato una risorsa in un materiale che aveva da sempre a portata di mano ma di cui non aveva ancora scoperto le potenzialità. È l'uomo che deve usare responsabilmente quel che la natura gli offre. Come dice lo slogan che ho scelto per l'agenzia online che seguo, "Sviluppo e popolazione, "l’uomo è la soluzione, non il problema"». Rnhartn Parcicn ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 21 LUG. ’07 ASSUNZIONI RECORD DI LAUREATI Un posto per 75mila, il massimo dal 2001 Daniele Barzaghi MILANO Saranno 75mila i laureati assunti quest'anno dalle aziende italiane. È il numero più alto registrato dal 2001 e corrisponde al 9% dei nuovi contratti (840mila), secondo l'indagine Excelsior di Unioncamere e del ministero del Lavoro. L'aumento delle richieste di "dottori" non è un dato statistico, utile a confortare i genitori degli studenti universitari. Ha un valore economico preciso: «Offre la conferma che il sistema industriale nazionale è in ripresa - spiega Andrea Mondello, presidente di Unioncamere. - Le aziende sono in fase di accumulazione del capitale e stanno aggiornando le tecnologie produttive. E proprio per questo è reiniziata la ricerca di capitale umano più preparato». Stanno infatti aumentando i neoassunti laureati e anche quelli diplomati (293mila, contro i 235mila del 2006), mentre si riduce la percentuale degli assunti con una più bassa qualifica di studio (4500 nel 2007 contro il 19,2% dell'anno scorso). L'85% dei laureati con un nuovo contratto è richiesto dal settore dei servizi (56mila assunzioni). Meno consistente la domanda dell'industria 80mila laureati) con una percentuale ridotta al 5,8% (dal 6,2% del 2006). Il numero più basso di richieste viene dal Mezzogiorno, che rivela «una minore propensione all'innovazione e alla ricerca della qualità», riprende Mondello. Tra i nuovi assunti al Sud solo il 5,5% è laureato. Contro il 12,2% del Nord-Ovest, il 10,2% del Centro e il pur contenuto 8% del Nord-Est. Economia e commercio si conferma il percorso di studi più ricercato dalle imprese (oltre z4mila i posti di lavoro offerti, 4.500 in più del 2006). Segue una novità tra gli indirizzi: ingegneria elettronica e dell'informazione (9mila assunzioni contro le 7mila di un anno fa), che supera le più tradizionali lauree di ambito medico e paramedico (6.goo contratti). Le statistiche elaborate da Unioncamere permettono inoltre di dare risposta ai promotori dai detrattori delle lauree brevi. II titolo quinquennale, specialistico, sembra ancora avere una chiara preferenza presso gli imprenditori: ne è la prova il numero di assunti con questo titolo (il48,3% del totale), contro un valore più contenuto dei triennalisti (il 16,3%). Qualcosa sta cambiando però, poiché a dirsi «indifferente al grado di laurea conseguita» è ben il 35,4% dei datori di lavoro. Ciò che non muta è la scarsa propensione ad assumere laureati al primo impiego: dei 75mila laureati neoassunti quest'anno solo il35,3% arriva direttamente dalle università. ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 18 LUG. ’07 IO, SARDA, DALLA PARTE DELLE DONNE Manager trentenne ha lavorato nei villaggi delle aree rurali Richmond, Londra, dipartimento E li Lilly risorse umane per l'Europa. Tania Caeto, manager della multinazionale farmaceutica, dopo un anno di preparazione insieme con colleghi di Gp Morgan, Accenture, Deloitte, Aventis, prende un aereo per l'India. La sua destinazione non è un palazzo di vetro delle nuove aree metropolitane da dove passeranno le autostrade più moderne del mondo; il suo staff non è in giacca, cravatta e camicia bianca, né a Bangalore, né a Madras. Da New Delhi viaggia in treno oltre 26 ore, per raggiungere quello che sarà il suo ufficio, il suo incarico da consulente a 36o gradi. Dal finestrino le passa davanti agli occhi un paesaggio incredibile. «Verdissimo, foreste e risaie, e poi giallo arancione, azzurro i colori dei vestiti dei contadini, sembravano in posa per il National Geographic-racconta Tania-Le donne assolutamente perfette, pulite, senza possedere un bagno, con una grazia nel camminare per aver portato per tutta la vita qualche cosa sulla testa, una brocca o un cesto pieno di panni». La sua destinazione è Durg nel Chhattirgark, uno dei tre Stati indiani creati nel 2ooo. Tania ha lavorato un anno per Prakriti, un'Ong che si dedica a potenziare lo sviluppo delle danne nelle regioni rurali, selezionata da Vso, l'organizzazione mondiale che invia volontari qualificati con obiettivi precisi e progetti da realizzare. Nata a Cagliari poco più di 30 anni fa, ha un cv internazionale, università nel Regno Unito, Mba, training a Indianapolis alla casa madre della sua azienda. In India per la seconda volta nel 2002 per un volontariato di tipo umanitario: ma stavolta la spinta è stata la sfida professionale. Qual era il suo compito a Dure. Sono andata con il ruolo di consulente organizzativa, in una struttura che incide sulla vita di 24 villaggi e oltre due milioni di donne della regione. Tra le principali attività, le iniziative per promuovere lo sviluppo della leadership politica, centri mobili di consulenza per dare supporto alle donne nei villaggi su violenza, diritti di base, educazione sanitaria, finanziamento attraversa il tiaicro credito. Il mio contributo più importante è stato sulla comunicazione del loro, lavoro all'esterno, sul coordinamento dello staff, nel mettere in piedi il sistema finanziario, anche con il fundrising, sull'organizzazione di una banca dati d'informazioni sul territorio. Perché questa scelta, e come è stata gestita con il suo datore di lavoro? Ero in un momento particolare, sentivo che dovevo cambiare lavoro, confrontarmi con qualcosa di nuovo e forte. In India ero già stata, ho pensato che potevo condividere le mie conoscenze, e Vso è stata preziosa, in linea con il mio desiderio di dare un contributo qualificato, e migliorare il luogo dove si è lavorato. Con l’azienda è andata bene, il mio capo a Londra ha commentato che sarei tornata con competenze nuove. Ho preso un anno di aspettativa non retribuita e sono rientrata con un incarico un p& diverso, sono responsabile risorse umane per Eli Lilly Uk. Com'è cambiata la sua vita professionale e personale? Mi sono sentita in armonia con l'energia e la fiducia nel futuro che c'è in India. Anche il mendicante malato ti fa capire che si sente parte di un Paese forte, che ce la farà, che conquisterà il mondo. So che posso vivere con pochissimo, che non mi servono troppe cose, che la tecnologia non è indispensabile. Se si rompe la posta elettronica, posso lavorare lo stesso. Il valore aggiunto è dato dalle idee, dal fatto che si mettano in circolo nuovi pensieri, che ci siano degli scambi tra le persone, invece di rispondere a 20o e-mail al giorno. L la gente sorrideva nonostante l; povertà, le malattie, a Londra ap pena tornata tutti mi sembravano immusoniti, chiusi nel loro individualismo. Adesso non me la prendo più sul lavoro, per problemi del tutto risolvibili, vivo in un, maniera più rilassata, anche ne mio privato è così. Ho lavorato il mezzo al nulla, ho motivato gli altri, siamo riusciti a far passare l’audit finanziario a Prakriti, con una struttura davvero di base. Parlo un po' di bindi. Mi sembra di avere acquisito un vantaggio competitivo. Sono preparata per un incarico professionale in Asia, chissà forse un giorno. Come vede le iniziative per attrarre giovani indiani in Europa? Ogni scambio internazionale è prezioso, evolutivo. Ho conosciuto studenti indiani che avevano fatto esperienza all'estero, appartenenti ad un'élite. È un luogo di enormi contraddizioni, l'inglese è parlato solo dal 5% della popolazione, scritto e letto ancor meno. Gli studenti indiani delle nuove generazioni cercano gli istituti di eccellenza, fanno come gli altri, guardano internet, i giornali specializzati, per questo scelgono la Francia, l'Inghilterra, gli Usa. Dovrebbero venire in Italia per lo stesso motivo, per frequentare università di prestigio internazionale. L'esistenza di un programma specifico mi fa pensare. Si dovrebbe promuovere il livello dell'università italiana all'estero, senza scorciatoie. Per un indiano un'esperienza internazionale vale prestigio e considerazione sociale. Ma deve esserci il valore formativo reale. Si vedrà quando ritornerà in India, la competizione sul lavoro è molto forte. ______________________________________________________________ Repubblica 17 lug. ’07 SE IL MIO FONDOSCHIENA VALE PIÙ DI DUE LAUREE" Una lettrice risponde all'articolo del Financial Times sul sessismo in Italia MILA SPICOLA CARO DIRETTORE, ad Adrian Michaels che sul Financial Times critica il trionfo di veline e donne nude in Italia vorrei dire che il problema non è femminile. Non è tanto il femminismo ad aver fatto passi da gigante però all'indietro, semmai è il maschilismo italo -pakistano (per parafrasare una recente affermazione di Giuliano Amato) che ormai troneggia da tutte le parti. Per come la vedo io, la signorina Canalis ha raggiunto benissimo il suo obiettivo e cioè successo e soldi e alzi la mano chi tra le donne non rinuncerebbe al proprio stipendiuccio e ad un po' di amor propria femminile se gli mettessero sul piatto un milione di euro per mostrarsi sorridente ...ma anche un uomo direi, no? Della serie: chi è più scemo signor Michaels, la Canalis o chi gli va dietro? Per quel che mi riguarda sono problemi che vivo ogni giorno, ma davvero ogni giorno. Ho 39 anni, sono single, due lauree, (una in architettura e una in conservazione dei beni architettonici), due master, uno in economia e uno in studi storici, una specializzazione in consolidamento, un dottorato di ricerca e ...un gran bel fondoschiena. Ebbene sì, signori miei, il mio primo impatto con la classe "maschio italico" è sempre il suo sguardo insistente su quella"qualità" (a meno che non mi metto un bel burka) della quale io non ho nessun merito; nonostante il mio quoziente intellettivo, la mia cultura, la mia ironia, eccetera... ho un bel affannarmi a parlar di politica, a ricostruire 1e tappe del disfacimento etico della nostra attuale società, a discutere dei massimi sistemi, di pensioni, di Mozart, di cuneo fiscale, di travi in precompresso... La replica, nel migliore dei casi, è sempre "pure intelligente..." e sorrisino, nel peggiore uno sbadiglio. E io penso: ma davvero sono così poveri di spirito? Poveri di argomenti con l'altro sesso? Assolutamente incapaci di confrontarsi su altri terreni che non siano quelli delle schermaglie sessuali? o anche amorose? In ogni caso la mia idea è, tranne qualche valida eccezione, "penso di te che sei solo uno scemo" e dio solo sa quanto vorrei essere smentita, visti i problemi che vivo. Sa anche che chi legge questa mail, se è un uomo, ha già alzato il ciglio. Potrei metterci la mano sul fuoco, così come lui poserebbe felice la mano su un mio gluteo. Scusatemi se sono sfrontata. Allora io mi chiedo, cosa dovremmo fare noi mamme italiane con questi ragazzini maschi? perché il problema sono fondamentalmente loro; annegarli dapicco1i? buttarli giù dalla rupe tarpea della selezione intellettuale? fargli sistemare la cameretta già a 8 anni così da capire che la parola "maschio" andrebbe sostituita con quella di "persona"? Delle donne italiane caro signore, mi preoccuperei di meno. Le statistiche le danno sempre più brave nei risultati a scuola, sempre più agguerrite, più flessibili, più forti, forse sempre mena fornite di scrupoli... ma lei mi insegna: in una giungla di uomini davvero poco evoluti almeno tentano di ottenere qualcosa sfruttando le armi che rimangono loro. Quasi tutte le signorine svestite sono ben più consapevoli di quello che fanno, sicuramente il doppio anche del preparato professore che fa zapping in tv e si sofferma ad ammirarle. "Che male c'è?", direbbe la ragazza, ma anche il professore. Ovviamente ho esagerato, ovviamente sono d'accordo con lei nel giudicare davvero orrendo, mortificante dell'intelligenza umana, un tale costume, un tale andazzo... ma toglierei da parte sua l'accento solo sulle donne e lo sposterei su ragioni e cause ben più complesse e variegate. Lo sposterei sulla totale deriva di tutti i media italiani. Lasciamo perdere la tv, sulla quale si aprirebbe il baratro da lei già prospettato, ma, se lei si connette con la home page di un qualunque quotidiano sul web, a partire anche da Repubblica, troverà sempre una bella ragazza, possibilmente svestita, ben in vista. Immagino anche chi le sceglie tali foto: si tratterà di un solerte giornalista... di sesso maschile, al quale la redazione avrà detto "una bella fighetta ci sta benissimo, attira l'attenzione,,; ancora troppo sfrontata? Del resto in Italia i giornali non fanno giornalismo, fanno mercato, e la domanda di tette e fondoschiena in vista è altissima. Qua, caro signor Michaels, si tratta di vendere. Mica roba da poco. E gli uomini sono davvero come i bimbi mi sa, sembra un luogo comune e mi vergogno quasi a scriverlo. Del resto in Francia ha destato scalpore il servizio realizzato su una rivista di moda su una brava donna politica. Siamo alle solite: è più facile il compartimento stagno della bella/elegante/scema e brutta/malvestita/autorevole ergo intelligente. Bambini, indubbiamente. La complessità, signori miei è sempre più bandita, è sempre più difficile da accettare, da comunicare, da vendere. Se io vado in cantiere con i tacchi a spillo attiro l'attenzione ..non perché vado contro il decreto sulla 494, ma perché ho pur sempre una bella caviglia ...e mi sogno di poter essere presa sul serio nel dare indicazioni sull'impianto elettrico. Se dico queste cose ad un uomo, o affronto un discorso del genere il meno che mi replica, è già successo del resto, è "cavolo quanto sei acida". Ma io non sono acida, sono peggio: furiosa. E a quel punto sapete come diventerei? petulante e nevrotica.. o meglio... magari oggi ho il ciclo. E festa finita. ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 17 LUG. ’07 L'ETERNA MALATTIA DEL RIBELLISMO Dalle proteste contro Bertolaso ai blocchi dei pendolari alla stazione di Roma Crescono le forme di conflitto estranee all’esercizio del diritto di cittadinanza di Valerio Castronovo Sta diffondendosi un fenomeno inquietante nel nostro Paese. Ed è una sorta di ribellismo molecola re alquanto contagioso. Non si tratta, va detto innanzitutto, di certe agitazioni analoghe a talune manifestazioni di malcontento popolare avvenute in un passato più o meno lontano. Come quelle contro il rincaro del prezzo del pane dell'aprile-maggio 1898, che videro insorgere la gente un po' dovunque in Italia e pure a Milano, dove il generale Bava Beccaris giunse a sparare sui dimostranti; o come quelle contro il persistente razionamento dei generi alimentari nell'immediato secondo dopoguerra, quando si faceva la coda ai negozi con la tessera in mano. UN NUOVO TIPO DI PROTESTE Tantomeno si tratta, è bene precisare, di agitazioni per così dire fisiologiche, che rientrano nella normale dialettica fra le parti sociali, in quanto non hanno nulla a che fare con le lotte sindacali di questa o quella categoria di lavoratori, o con le rivendicazioni di determinati sodalizi e associazioni professionali. Si tratta invece di un'ondata di microrivolte, di esplosioni di protesta e di antagonismo, estranee tanto all'esercizio dei diritti di cittadinanza sociale che a istanze dal basso di maggiore partecipazione democratica. In alcuni casi esse sono delle esplosioni repentine d'insofferenza e di collera da parte di piccolissimi gruppi di persone, per i motivi più disparati; in altri casi consistono in forme di contestazione altrettanto veementi quanto pervicaci, da parte di movimenti più o meno ideoligizzati, nei confronti di determinate decisioni e iniziative ancor- . ché assunte o autorizzate in piena regola dalle istituzioni pubbliche. Naturalmente, e questo secondo genere di sussulti che balza di più agli occhi. Del resto, quanta e quale forza d'urto o d'interdizione essi siano in grado di produrre, anche perché cavalcati talora da esponenti della sinistra radicale o perché guidat i da alcuni improvvisati capi-popolo, llo si è dovuto constatare recentemente. Dato che il titolare della Protezione civile, Guido Bertolaso, è stato costretto a dimettersi dall'incarico di commissario per l’emergenza rifiuti in Campania, in quanto non si riteneva adeguatamente sostenuto dal Governo e dai maggiorenti della Regione nei confronti delle irruenti sommosse orchestrate o capitanate lancia in resta dai notabili di alcune comunità locali contro l'impianto o la riapertura di discariche nel loro territorio. A non contare, poi, altre manifestazioni inconsulte di protesta che, sfociando nel dar fuoco a cassonetti e a cumuli di spazzature per le strade, provocano vaste zaffate dì fumo pestilenziale in interi quartieri. Ma c'è il rischio di un'altra clamorosa capitolazione delle autorità pubbliche ai pronunciamenti e all'aggressività di quanti si ergono a tribuni di cause e insurrezioni di stampo populista: Non pare infatti, a pochi giorni dalla scadenza della domanda del Governo a Bruxelles per ottenere il finanziamento dall'Unione Europea, che i vari "comitati di lotta" della Valsusa abbiano l'intenzione di lasciare via libera, dopo oltre due anni di barricate, al progetto de1la Tav, benché il tracciato della linea ferroviaria fra Torino e Lione concepito inizialmente sia stato nel frattempo modificato in più punti. Tant'è che alcuni amministratori comunali; solo per aver sostenuto l'opportunità di un dialogo con i consulenti dell'Osservatorio tecnico, sono stati bollati come traditori del popolo e messi all'indice in liste di proscrizione affisse a ogni angelo di strada nei loro paesi. CONTRO LE OPERE PUBBLICHE Inoltre, non s'è ancora dileguata del tutto la minaccia che tornino à mobilitarsi quanti vorrebbero imbalsamare o affossare la realizzazione di altre infrastrutture pur essenziali come l'autostrada Brescia-Bergamo-Milano, il raddoppio del traforo stradale, del Frejus, o il quadruplicamento del-! la ferrovia del Brennero al confine con l'Austria. Per non parlare dei moti di piazza e delle sollevazioni a raffica in corso, dall'uno all'altro capo, d'Italia, contro qualsiasi sorta di ope;re pubbliche (non solo discariche è inceneritori, ma rigassificatori, centrali a carbone e a metano, impianti, di energia eolica, trivellazioni petrolifere), innescate o patrocinate a spada tratta da una galassia di no-global, centri sociali, comitati di base locali, ambientalisti autonomi v meno, militanti della sinistra massimalista ma anche della destra sociale. E tutto ciò sulla scorta, per lo più, di schemi pregiudiziali e di veti indiscriminati. - È evidente pertanto che l'unico rimedio a questo stato di cose non può che essere un'azione da parte del Governo che non finisca per insabbiarsi in estenuanti quanto vani tentativi di mediazione, ma che si traduca, all'insegna delle funzioni e delle responsabilità di sua pertinenza, in scelte e risoluzioni definitive. Altrimenti, finirà per rimanere ostaggio di spinte demagogiche o a compromessi deleteri. MICROCONFLITTUALITÀ Ma, come si diceva, c'è un altro genere di ribellismo di cui preoccuparsi. E sono gli episodi sempre più numerosi ' (tanto da non rimbalzare talora sulle colonne dei giornali) di escandescenza e di microconflittualità di cui sono protagonisti di volta in volta alcuni sparuti gruppi di persone, in grado di provocare danni ed effetti collaterali talora micidiali sul funzionamento di servizi pubblici e a scapito di un gran numero di cittadini. Ci riferiamo, per citare uno degli esempi più recenti, a quel centinaio di pendolari che, sprovvisti di un regolare biglietto di viaggio e invitati perciò a scendere dalle carrozze, hanno paralizzato per molte ore alla stazione Tiburtina di Roma il traffico ferroviario fra Nord e Sud. D'altra parte, forme soggettive o arbitrarie più o meno analoghe di insorgenza e prevaricazione sono avvenute ripetutamente, e non sembra, dato l’andazzo, che verranno meno. Basti pensare ai blocchi imposti di punto in bianco al passaggio dello Stretto di Messina da pattuglie di manifestanti, per le più svariate ragioni; agli impedimenti opposti in tratti stradali di gran traffico da un pugno di abitanti di piccoli Comuni, per la chiusura di uno scalo ferroviario; al subbuglio provocato nei trasporti aerei da una schiera di assistenti di volo o di impiegati del personale di terra, datisi improvvisamente malati per aggirare le norme in materia di autodisciplina sindacale degli scioperi. A non contare i reiterati atti di vandalismo, concepiti da chi li compie alla stregua di forme di autoaffermazione, a danno di attrezzature di pubblica utilità, di edifici scolastici, e dell'arredo edilizio urbano, commessi da frotte di neo- luddisti, di sedicenti anarchìcì o più semplicemente di teppisti. E tutto ciò senza che quasi nessuno cì faccia ormai più caso. Che dire poi di genitori che arrivano a picchiare gli insegnanti o a far loro causa in, tribunale, perché hanno dato un brutto voto ai loro figli o li hanno puniti, come prescrivono i regolamenti, per certi soprusi e biasimevoli atti di bullismo? Insomma, c'è da chiedersi, da un lato, se non stiano prendendo il sopravvento su finalità ed esigenze d'interesse collettivo ipoteche e repulsioni settarie o municipalistiche. E, dall'altro, se non stia propagandosi a raggiera una spirale di ribellismo individualistico destinata a rendere ancor più scarso e gracile il senso civico, il rispetto tanto delle istituzioni che di certe regole basilari di convivenza civile, che purtroppo fa già difetto al nostro Paese. Il guaio, oltretutto, è che di entrambi questi pericoli non ci sia un'adeguata consapevolezza a livello politico e nel discorso pubblico ma neppure, spesso, una concreta percezione sociale. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Lug. ‘07 MESSINA, PRESIDE IN CELLA: «FAVORÌ IL FIGLIO» MESSINA - Il preside della facoltà di veterinaria, Consolato Macrì, è stato arrestato perché avrebbe condizionato un concorso per professore associato in modo da favorire il figlio Francesco. In carcere anche un altro docente, Giuseppe Piedimonte, responsabile dei progetti di ricerca. Assieme a tre funzionari amministrativi è accusato di peculato per aver «manipolato ingenti somme di denaro provenienti dalla Regione Siciliana e dallo stesso Ateneo». Cinque arresti all' università di Messina, teatro in passato di compravendita di esami, appalti truccati e pesanti infiltrazioni mafiose da parte delle cosche calabresi. Nella storia dell' ateneo c' è persino l' omicidio di un professore, Matteo Bottari, per cui venne indagato e poi prosciolto un altro docente. Quanto basta per far riparlare di quello che una volta l' antimafia definì un «verminaio». Il ministro Mussi ha annunciato che avvierà un' ispezione chiedendo al Consiglio di Stato «quali poteri e quali provvedimenti può adottare di fronte a episodi gravi e diffusi, ivi compresa l' ipotesi di commissariamento dell' università in quanto ente pubblico». L' inchiesta della Gdf sarebbe partita dalla denuncia di alcuni docenti danneggiati dalla gestione nepotistica di Veterinaria. Oltre a favorire il figlio, il professor Macrì, da poco eletto alla guida della facoltà, è accusato anche di falso in atto pubblico. Come presidente della commissione di un altro concorso avrebbe favorito quello che poi è stato il vincitore del posto di ricercatore. Indagati con l' accusa di abuso d' ufficio anche il rettore Francesco Tomasello, il suo consulente legale Raffaele Tommasini e altri due docenti, in relazione all' assegnazione della cattedra di ricercatore sempre a Veterinaria. I magistrati della Procura avevano addirittura chiesto per il rettore e gli altri indagati la sospensione dalle funzioni, ma la richiesta non è stata accolta dal Gip che deciderà dopo l' interrogatorio di garanzia. «Per le cose che mi riguardano mi sento sereno e fiducioso perché tutto sarà chiarito. Ma allo stesso tempo sono preoccupato che da episodi singoli si arrivi a generalizzazioni e accostamenti col passato, addirittura col "verminaio", che francamente mi amareggiano. Abbiamo molto lavorato per risollevare le sorti di questa università, che non può essere penalizzata da episodi comunque circoscritti. È quanto spiegherò nell' incontro che ho già chiesto al ministro Mussi» ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 19 LUG. ’07 PRIVACY: IL BUON SENSO DELLA LIBERTÀ Sensibilità ed equilibrio necessari per conciliare i diritti contrapposti di riservatezza, sicurezza e cronaca DT ARTURO DI CORINTO Chi è pronto a rinunciare alle proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza». Lo diceva Benjamin Franklin e 1o ha ripetuto il presidente dell'Autorità Garante della Privacy, Francesco Pizzetti, che nella sua relazione annuale ha denunciato come alla crescente collaborazione fra sistemi di sicurezza dopo l’z z settembre 2oor non è corrisposta un'accresciuta attenzione verso i diritti dei cittadini. Il fatto è che nell'era digitale le persone possono esercitare con pienezza diritti fondamentali come quelli di comunicazione, di associazione, di cooperazione, di manifestazione del pensiero e di libera circolazione solo attraverso 1~ protezione delle informazioni che li riguardano. Eppure ancora oggi in Italia, a dieci anni dall'istituzione del Garante per la protezione dei dati personali, il diritto alla privacy è sempre più spesso messo in pericolo dall'abuso di strumenti di sorveglianza, intercettazioni, invasive tecnologie biometriche e di protezione dei diritti intellettuali e dall'ideologica contrapposizione fra privacy e sicurezza. Un esempio valga per tutti. La proliferazione, bulimica,l'ha chiamata Pizzetti, delle telecamere di sorveglianza, non ha impedito agli attentatori della metropolitana di Londra di portare a termine il loro folle piano. Eppure nella capitale britannica sono attive 5oomila telecamere davanti a parcheggi, trasporti ed edifici governativi. La sintesi fra tutela della privacy e le esigenze di sicurezza personale e dello Stato sta certamente nella vigilanza e affidabilità delle autorità competenti, ma anche in semplici accorgimenti che vanno dalla messa in sicurezza delle banche dati che contengono i dati personali, dei clienti di un'azienda o di una pubblica amministrazione, al loro adeguato trattamento. E vale soprattutto per quelli "sensibili", relativi cioè agli orientamenti politici, religiosi, sessuali e ai dati genetici e sanitari. Argomento su cui si è spesso soffermato il Garante nelle ultime settimane, denunciando l'assenza di un elenco ufficiale di questi database. È ovvio infatti che se mancano regole chiare e strumenti adeguati di protezione della privacy, i dati raccolti per finalità legittime - fiscali, di giustizia, di sicurezza-possono essere abusati, per usi commerciali, di ricatto, di lotta politica. Come sta accadendo in Italia, una situazione che Pizzetti definisce d'emergenza e che rende «meno sicura la sicurezza, meno libera la democrazia». E tuttavia può essere lecito valicare la barriera che le leggi pongono a difesa della privacy. Quando? Quando impedisce il diritto di cronaca. Ma la tensione irrisolvibile fra i due diritti, pure regolata da norme giuridiche e deontologiche, è insufficiente oggi che siti e Blog conservano ad infinitum ogni discorso, ogni parola, e i motori di ricerca connessi con database intelligenti possono restituire in un attimo il profilo individuale anche di chi invoca legittimamente diritto all'oblio. Poi c'è il diritto all'innovazione. È fuori di dubbio che le tecnologie di profilazione siano utili all'economia di rete, ma è altrettanto ovvio che non a tutti sia gradito il fatto che il risultato delle proprie ricerche venga incrociato con i dati personali della posta elettronica di Google mail o venduto a terzi e usato per il marketing diretto. La quadratura del cerchio fra diritti contrapposti non è possibile, ma un surplus di attenzione, sensibilità e rispetto delle regole, quando si tratta dei dati che identificano le persone, ormai precedendole nella loro dimensione pubblica e privata, è necessario. E non dovrebbe essere fastidioso neppure per le aziende tenute a rispettare gli onerosi adempimenti del Codice per la privacy. Basterebbe cominciare a pensare alla tutela della riservatezza come a uno stimolo per innovare strumenti, procedure e professionalità, ma anche come a un asset da far valere sul mercato verso consumatori ormai molto più attenti ai loro diritti ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 19 LUG. ’07 PRIVACY: LA RISPOSTA STA NELL'ANONIMATO La persona è tutelata se viene eliminato il legame con i dati che la riguardano DI MICHELE FABBRI La tutela della privacy, la protezione dei dati digitali, è una vera e propria emergenza, «che ha assunto una dimensione pari ad altre emergenze nazionali, quali quella ambientale, quella energetica, quella infrastrutturale». Ad affermarlo, nella relazione presentata al Parlamento, è Francesco Pizzetti, presidente del Garante per la protezione dei dati personali. Un'inarrestabile voracità di informazione circolanti in rete ha fatto esplodere nuove forme di illegalità, rispetto alle quali le difese tradizionali si sono rivelate inefficaci. La sfida, nell'analisi del Garante, è quanto mai complessa e investe sia aspetti giuridici difficili da definire, sia tecnologie di controllo ardue da sviluppare e applicare. Per fortuna, alcune risposte cominciano già a essere abbozzate, grazie al lavoro di ricerca di alcuni studiosi e di istituti all'avanguardia. Secondo Giusella Finocchiaro, ordinario di diritto di internet presso l'Università di Bologna, «la protezione dei dati in rete richiede nuove idee e nuove regole: ciò che prima era pubblico ora non lo è più, ciò che era anonimo, in rete ha smesso di esserlo». Il confine teorico a volte è sottile (e questo rende difficile l'individuazione di regole giuste ed efficaci), ma la rilevanza pratica è enorme. Si può prendere come esempio la documentazione pubblica relativa ad appalti o impianti industriali o la pubblicazione dei risultati degli esami universitari. Sono, in senso tradizionale, dati pubblici che finora non erano tutelati. Infatti, la specificità del luogo di affissione (l'albo pretorio o la bacheca dell'istituto) e il ristretto numero di persone a conoscenza (i diretti interessati) fornivano automaticamente un quadro di tutela sufficiente. Ora, con internet, tutto è cambiato. «Accesso e riservatezza sono due esigenze contrapposte - afferma Finocchiaro : da una parte c'è l'esigenza di conoscere: si pensi alle ricerche statistiche sulla popolazione e, ora, sulle banche dati genetiche, o alla gestione di fascicoli sanitari che circolano online, e dall'altra parte quella di proteggere la privacy. L'unica soluzione è un bilanciamento fra questi diritti contrapposti che appaiono inconciliabili. L'anonimato è la soluzione che sembra meglio conciliare queste due esigenze». I benefici dell'anonimato, tema su cui Finocchiaro ha organizzato recentemente un incontro, appaiono enormi, perché ponendo uno schermo tra la persona e i dati a essa associati non impedisce la circolazione dei dati medesimi. Cos'è il processo di "anonimizzazione" è tutt'altro che facile da definire. Più difficile ancora è realizzarlo. «Di anonimato assoluto in internet non c'è niente - avverte Finocchiaro -. Il collegamento è sempre rintracciabile: è solo questione di tempo. Possiamo dire che è anonimo, solo ciò che non può ragionevolmente essere associato al nome di un utente». Fosca Giannotti, dell'Istituto di scienza e tecnologia dell'informazione del Cnr di Pisa, coordina il laboratorio di Knowledge Discowery and Data Mining, che si occupa di "estrazione di conoscenza" da informazioni digitali: «Per capire in cosa consiste l’anonimizzazione, si pensi al contenuto di una telefonata associata al numero di telefono dell'utente. Una vola fornito il servizio, basta togliere il numero. Sul contenuto della telefonata si possono effettuare ricerche, come la tipologia di servizi richiesti, senza intaccare la privacy». In realtà, avverte Giannotti, le cose non sono così semplici. Non sempre abbiamo a che fare con la figura dello «studioso benevolo», che non viola la privacy; molto spesso si tratta di un «attaccante malevolo». Le strategie di difesa sono sostanzialmente due: l’anonimizzazione e la perturbazione. Per giungere a soluzioni robuste, sono necessari studi molto complessi, ma Giannotti ne spiega le caratteristiche di fondo con un'immagine: «Il dato anonimìzzato è come un ricercato che non cammina mai da solo, che sta sempre nella folla in cui cerca di confondersi cancellando ogni segno particolare. La perturbazione, invece, è la strategia del ricercato che può anche viaggiare da solo, ma che si maschera con un paio di baffi». Il che significa che nel dato anonimizzato possono anche apparire alcune generalizzazioni dei dati personali, tali per cui il valore di quell'attributo deve essere così generico da non permettere a un attaccante esterno di attribuirlo a un individuo specifico. Mentre nella perturbazione si altera un elemento significativo ai fini dell'individuazione ma non della qualità della conoscenza trasmessa ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 21 LUG. ’07 ACCESSO E COMPETENZE, NODI CRUCIALI PER I LEGALI di Aldo Berlinguer Prosegue il dibattito sulle professioni con continue fughe in avanti, ripensa menti, ritocchi contingenti: una sorta di sperimentazione concertata di soluzioni possibili. Il rischio è perdere il disegno complessivo, che va invece ribadito, partendo da un'analisi puntuale dei problemi sul tappeto. Provo ad abbozzarla, con riguardo almeno alle professioni legali. Partiamo dalla totale inidoneità dei percorsi scolastici e universitari a selezionare i giovani. La laurea oggi è una questione di tempo, non di merito. In mancanza di raccordo con le professioni, il laureato si cimenta poi in un percorso a ostacoli, inseguendo il primo concorso disponibile e dovendo ripeterne taluni, visti i tempi di correzione degli elaborati. La procedura è estremamente selettiva per i notai, affidata al caso per gli avvocati. L'85oio dei legali italiani sarà pure contento, come rileva il Censis, ma quelli che restano fuori, non avendo i mezzi per affrontare un iter formativo così lungo? L'età dei nuovi abilitati è infatti elevatissima. Il mercato: ormai quasi 2oomilaavvocati, circa 4.500 notai. La progressione, per i primi, è insostenibile: ogni anno oltre i5mila praticanti accedono all'Albo. Permane ancora una concezione generalista della professione, scarsa inclinazione all'aggregazione, scarse risorse finanziarie per organizzazione e aggiornamento. Altrettanto scarse specializzazione, internazionalizzazione, informatizzazione. Inevitabilmente diversa la situazione dei notai, in regime di oligopolio: pochi, bene equipaggiati, aggiornati. Rare però, anche per loro, aggregazioni ed economie di scala; scarsa l'internazionalizzazione. La concorrenza non scaturisce dal numero degli operatori ma da come sono distribuite le quote di mercato. Attorno al 50% degli iscritti, soprattutto giovani, dichiara redditi annui inferiori a 7mila euro e il 30% meno di 15mila. Le donne hanno in media redditi pari alla metà degli uomini e si collocano su settori professionali meno appetibili. I giovani sono spesso assoggettati a forme di tirocinio che coincidono con la dimensione del lavoro subordinato. Le dinamiche di mercato sono guidate dai fattori più diversi (rapporti parentali, vicinato, appartenenza ad associazioni segrete, forze politiche), meno che dalle capacità professionali; fattori che incidono anche sui rapporti col ceto giudiziario e rendono il mercato per nulla trasparente. In altre parole: non c'è nessuna tendenziale corrispondenza tra capacità, impegno e reddito del professionista. Analoghe considerazioni valgono per il ceto notarile, che inibisce formalmente ogni forma di concorrenza, la 'quale è spesso effettuata sottotraccia. Ben diversi i redditi dei notai: la media nazionale è di qz8mila euro annui. Quali soluzioni ipotizzare? Anzitutto avvedersi del processo di costruzione del mercato europeo dei servizi professionali e rivedere l'impostazione che ha consentito allo Stato ottocentesco di segmentare il sapere tecnico in tante porzioni legalmente riservate ad altrettante figure. Per questo, il progetto di legge governativo si propone di accorpare gli Ordini e rivedere i confini tra professioni affini. L'obiettivo è ambizioso, lo si può raggiungere nel tempo, con una serie di interventi che però, da subito, muovano nella direzione del disegno complessivo. Occorre, anzitutto, un percorso unitario di accesso alle professioni di avvocato, notaio e alla magistratura, con periodi di tirocinio - anche pre laurea - comunque non superiori a 18 mesi presso sedi giudiziarie, studi legali e notarili, un esame unico e un programma che abbracci le tre aree di competenza lasciando a un apprendistato post-abilitazione, il compito di fornire ulteriori approfondimenti di carattere pratico. Occorre ampliare le aree di riserva legale in modo da comprendervi altri professionisti, ponendo, però, a loro carico anche oneri e responsabilità che conseguono allo svolgimento di funzioni molto delicate per la tenuta del sistema. L'estensione tout court di prestazioni riservate, senza un discrimine plausibile e senza queste implicazioni, risulterebbe dannosa per tutti. Occorre dotare i professionisti di strumenti idonei ad aggregarsi e sviluppare economie di scala. Importante qui aprire a forme societarie multidisciplinari con responsabilità limitata e con la possibilità di afflusso di capitali, in quota minoritaria. Occorre aprire davvero al mercato il regime dei compensi professionali, lasciando valore indicativo alle tariffe, contingentando i patti di quota lite e rivisitando quell'articolo 2233 del Codice civile che oggi è norma insidiosa e contraddittoria. La pubblicità professionale è stata già oggetto di aperture: si può fare di più e meglio. Occorre ridefinire ruolo e composizione degli Ordini, affidando l'esercizio dell'azione disciplinare a soggetti esterni, dotati della necessaria serietà e competenza. Occorre, infine, chiamare le cose col proprio nome: se il professionista versa in condizioni di lavoro subordinato è bene applicargli quello statuto normativo, con annessi e connessi. ======================================================== ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Lug. ‘07 INTRAMOENIA, PROROGA AL 2009 Sanità. Approvato all'unanimità in commissione al Senato il Ddl sulla libera professione negli ospedali pubblici Entro 18 mesi dovranno essere disposti gli spazi all'interno del Ssn Roberto Turno ROMA Ancora per 18 mesi, fino al 31 gennaio del 2009, i medici pubblici potranno continuare a svolgere nei propri studi la libera professione intramoenia, quella cioé dentro le mura del servizio pubblico. E sempre per quella data Regioni e aziende sanitarie dovranno attrezzarsi per realizzare gli spazi per l'intramoenia all'interno del Ssn, con poche possibili eccezioni. Le Regioni fuori regola perderanno i finanziamenti, i manager rischieranno il posto. E ancora: stop al doppio binario delle liste d'attesa (oggi veloci per le prestazioni a pagamento), «urgenza differibile» da garantire entro 72 ore, occhio a conflitti d'interesse e concorrenza sleale. È con una proroga sicura e con promesse tutte da mantenere che il Senato ha licenziato ieri in prima lettura, con un voto all'unanimità, il disegno di legge che differisce l'attività libero professionale dei medici pubblici. Con una accelerata degna delle intese bipartisan d'altri tempi, di quelle possibili quando in gioco ci sono interessi (e categorie) forti, la commissione Igiene e sanità del Senato ha approvato in sede deliberante il Ddl del ministro della Salute, Livia Turco, ma rivisto e corretto: dal testo sono scomparse le norme su sicurezza, assicurazioni ed esclusività, e lo stesso articolo sull'intramoenia (la proroga era inizialmente di 12 mesi) è stato notevolmente ampliato. «È un esempio di buona politica che sa affrontare i problemi e li risolve», ha commentato il ministro. Anche se la partita non si chiude con il voto di ieri. Il testo passa alla Camera, dalla quale si auspica analoga rapidità, magari in sede legislativa per evitare le trappole di un'assemblea ingolfata di qui alla chiusura dei lavori parlamentari prima della pausa estiva. Il percorso dovrebbe essere il seguente: voto finale della Camera entro il 31 luglio, dopo di che, poiché la legge di proroga (l'intramoenia negli studi scade il 31 luglio) non potrebbe essere pubblicata in tempo sulla Gazzetta Ufficiale per fine mese, a salvare la situazione interverrebbe un decreto legge tampone, che intanto sanerebbe la situazione. Pura e legittima ingegneria istituzional-parlamentare, come del resto è stato per l'escamotage adottato dell'esame in sede deliberante al Senato, che ha permesso di bypassare il voto (e i tempi) di un'aula di Palazzo Madama perennemente in panne. Va da sé che soltanto l'intesa con il centrodestra - che in cambio ha intanto ottenuto lo stralcio delle norme sull'esclusiva per i primari, lasciando alla sinistra norme più rigide sull'intramoenia - ha consentito il via libera al provvedimento. Il fatto che la partita non sia ancora formalmente chiusa è, non a caso, l'aspetto che più preoccupa e che spinge alla cautela tutte le organizzazioni sindacali. Tutte, peraltro, soddisfatte, anche se con qualche riserva, sul risultato ottenuto. L'Anaao critica i «rigidi paletti» introdotti che «limitano l'esercizio dell'attività a prescindere dai contesti organizzativi». La Cimo se la prende col "decreto Bersani" di un anno fa che concesse la proroga di un anno. La Cisl contesta il Governo per avere «sciupato un anno». La Cgil non apprezza l'eliminazione dell'esclusiva per i primari. È chiaro che il pentolone tornerà in effervescenza da settembre: con la Finanziaria, con il Ddl della Turco sull'ammodernamento, con il confronto su contratti e convenzioni. La proroga della libera professione "intramoenia allargata", a questo punto, ha altri 18 mesi. E andrà applicata, in maniera certosina, anche nei confronti di quelle Regioni che hanno perso l'occasione in questi anni di utilizzare, e perfino di chiedere, quasi la metà dei 900 milioni disponibili per la realizzazione degli spazi dentro il Ssn per creare le aree destinate all'esercizio della libera professione intramoenia dei medici pubblici. Entro 3 mesi sarà costituito un Osservatorio nazionale ad hoc per vigilare lo stato di attuazione dei programmi: era già previsto dalla riforma del 1992 (Dlgs 502), ma non se ne è mai fatto niente. La speranza è che stavolta la storia ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Lug. ‘07 SANITÀ, ORA LE PAGELLE DEGLI UTENTI Inchiesta sugli assenteisti. Il ministro Turco presenterà a settembre il Piano nazionale di valutazione Per i 668mila addetti del settore in arrivo nuove verifiche LA GRADUATORIA Secondo la Ragioneria dello Stato sono infemieri e tecnici i più assenti del comparto: in media 28 giorni l'anno (32 le donne) Roberto Turno ROMA Medici, infermieri, tecnici, amministrativi, anche i manager: per l'esercito dei 688mila dipendenti del Servizio sanitario nazionale arriveranno presto le verifiche a tutto campo del lavoro svolto e dell'assistenza prestata ai cittadini. Quasi una pagella. Sarà un «Sistema nazionale di valutazione» nuovo di zecca, che dovrà monitorare e accertare qualità delle cure prestate, capacità, risultati del lavoro in corsia e negli studi. Un check che chiamerà in causa per primi come giudici gli assistiti e le loro organizzazioni. Con un occhio di riguardo anche verso il tasso di assenteismo, considerato un sintomo della "furbizia" dei dipendenti, ma anche del malessere e di scarso senso di servizio, tanto più grave quando in gioco c'è il diritto alla salute. La riforma arriverà a settembre, proprio a ridosso della Finanziaria, e chissà che, in un soprassalto di valutazione politica della necessità di dare un segnale forte di cambiamento, non si trasformi addirittura in un Ddl collegato alla manovra 2008. Ma le carte sono già pronte, o quasi, dopo mesi e mesi di estenuanti confronti con le Regioni e con le categorie. La riforma - «Interventi per la qualità e la sicurezza del Ssn» - è stata annunciata da tempo dal ministro della Salute, Livia Turco. E subito dopo l'estate dovrebbe arrivare sui tavoli del Consiglio dei ministri. Con alcuni capitoli caldissimi sui quali da tempo i fucili sono spianati: i nuovi concorsi per superare (è la speranza) le baronie, l'esclusività per i primari, i nuovi metodi di selezione dei manager per aggirare (se possibile) le nomine puramente partitiche. È in questo grande sogno tutto da realizzare - «ammodernamento del Ssn», l'ha definito per lungo tempo la Turco - che il ministro ha preparato anche il cambio di rotta per la valutazione del personale. Di tutto il personale del Ssn. Con regole applicabili, ad esempio, anche per il rinnovo dei contratti dei dirigenti medici. Secondo lo schema del Ddl, Governo e Regioni definiranno d'intesa gli adempimenti locali di attuazione del «Sistema nazionale di valutazione», con la possibilità che, in assenza di misure regionali, il Consiglio dei ministri possa nominare i commissari ad acta. Tutte le Regioni, insomma, dovranno obbligatoriamente stare al passo. Senza sconti, è la minaccia per ora solo sulla carta. Sia chiaro, non che, a partire dai contratti in vigore, già non esistano le regole per la valutazione del personale. Fatto sta che sono valutazioni fatte a spanne, per premiare il più possibile, o per penalizzare il meno possibile. Come non si stanca di ripetere la Corte dei conti nelle sue relazioni sul personale pubblico: i premi di produttività (caso particolare, certo, è quello della Sanità) generalmente arrivano a pioggia. Con criteri che vengono stabiliti azienda per azienda. Asl per Asl, ospedale per ospedale. E sempre cercando di evitare livori e scontri sindacali. Premiare i migliori, insomma, nel Ssn è una sfida quasi impossibile. Infermieri assenti 28 giorni L'ultima rilevazione del tasso di assenteismo nel pubblico impiego è contenuta nel «Conto annuale 2005» della Ragioneria generale dello Stato. E per la Sanità, che è al top nelle pubbliche amministrazioni, non mancano le particolarità. Considerando soltanto le assenze retribuite per malattie e permessi (eccetto, dunque, ferie, scioperi e altre assenze non retribuite) nel 2005 sono state conteggiate 16,7 milioni di giornate di assenza: in media 24,3 giorni l'anno, con le donne assenti per 29,9 giorni. I più assenti sono infermieri, tecnici sanitari ecc., del profilo «ruolo sanitario»: 28,1 giorni, 32,6 per le donne. Ma con l'avvertenza che questa categoria di operatori del Ssn rappresenta quasi la metà del personale totale. I medici sono assenti per 16,4 giorni (23,9 le donne), il ruolo tecnico per 23,7 e i dipendenti del ruolo amministrativo (non dirigenti) per 22,9 giorni. Come dire che questi ultimi (77mila operatori) forse pesano assai di più nel monte- giornate non lavorate. Che l'assenteismo sia un «campanello d'allarme» per il Ssn lo dice a chiare lettere il «Sistema di valutazione delle performance» delle aziende sanitarie realizzato dalla Toscana. Un modello avanzatissimo, destinato a fare scuola, che ha inserito proprio il «tasso di assenteismo» tra le spie della valutazione interna di Asl e ospedali. E i risultati, con l'obbligo della valutazione, sembrerebbero aver premiato questa scelta: dal 2005 al 2006 in Toscana, che presenta valori sotto la media nazionale, c'è stato un calo delle assenze rilevate. Ma ancora non basta, ammette il rapporto: nonostante la Toscana lo abbia preso a modello e come punto di riferimento, la distanza rispetto al settore privato nelle attività di produzione di beni e servizi resta ancora «troppo elevata». ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 Lug. ‘07 SANITA’: INDAGATI OLTRE 60 DIPENDENTI DEL «SANTA MARIA Il caso Perugia. » tra dirigenti, medici e infermieri - L'accusa è di falso e truffa Assenteismo, 12 arresti in ospedale Il ministro Turco: no a una Sanità illegale che danneggia il servizio e i pazienti L'INCHIESTA Lo scorso autunno erano finite in manette quattro persone. Chi si assentava dall'ospedale faceva timbrare da altri colleghi il badge Serena Uccello MILANO C'era sempre un collega compiacente, un amico, pronto a timbrare al loro posto il cartellino di ingresso o di uscita dal lavoro. Qualche volte lasciavano il loro posto prima del previsto, qualche altra non si presentavano affatto. Campioni di assenteismo stando all'inchiesta dei Nas di Perugia che ieri ha portato all'arresto di dodici persone. Tutti medici, docenti, infermieri e personale amministrativo dell'ospedale Santa Maria della Misericordia del capoluogo umbro. Una mega-truffa dal momento che oltre agli arrestati il procedimento coinvolge anche una sessantina di indagati "in stato di libertà". I reati ipotizzati sono falso in atto pubblico e truffa aggravata. Non un'assenza isolata ma una prassi ripetuta in modo «sistematico», spiega il procuratore capo di Perugia Nicola Miriano. In modo sistematico cioè medici, capisala, infermieri e tecnici «sparivano», scrive nella sua ordinanza il gip, Nicla Restivo, dalla «sede abituale», - nella quale non risultavano presenti anche per «malattie immaginarie» - per occuparsi di «faccende private» o addirittura lavorare in un'altra struttura sanitaria. Tutto questo grazie a una serie di complicità, amici e colleghi, che hanno ricostruito le indagini, si prestavano a timbrare appunto il proprio e l'altrui cartellino. Una consuetudine che si ripeteva nel tempo, questa indagine è infatti il proseguimento di una prima inchiesta che lo scorso autunno aveva portato ad altri arresti, sempre nella stessa struttura e sempre per assenteismo. In quell'occasione erano stati arrestati due caposala, un operatore sociosanitario e un farmacista. Ecco perché il procuratore di Perugia parla di «diffusa applicazione delle presunte condotte illecite». Fra l'altro, nonostante i precedenti arresti, è stato verificato, continua il procuratore, che gli indagati «per nulla intimoriti o dissuasi» da quanto successo, «persistevano a tutt'oggi nelle condotte delittuose». Nel corso dell'operazione di ieri sono stati inoltre sequestrati numerosi documenti ritenuti importanti per l'indagini che prosegue. Secondo il Gip c'è la necessità di svolgere altri accertamenti. Obiettivo: «chiarire sia l'esistenza di ulteriori ipotesi delittuose, sia il coinvolgimento di eventuali concorrenti in quelle per cui si procede». Gli approfondimenti sollecitati riguardano, in particolare, i cosiddetti fogli giustificativi presentati da due degli indagati e il certificato medico presentato da un altro. Intanto gli atti dell'inchiesta saranno a breve inviati alla Corte dei Conti. Gli investigatori hanno ravvisato un possibile danno materiale e di immagine per le strutture pubbliche. Motivo per cui sarà coinvolta la magistratura contabile. Mentre il direttore generale dell'Azienda ospedaliera di Perugia, Walter Orlandi, ha fatto sapere che «è stata lesa la nostra immagine e quindi la tuteleremo in ogni sede». Sulla vicenda è intervenuta il ministro della Salute, Livia Turco secondo la quale «ben vengano indagini e inchieste come questa, frutto della preziosa collaborazione tra la Magistratura e l'Azienda sanitaria perugina. Vogliamo una sanità efficiente e di qualità che funzioni sempre meglio per i cittadini. Non vogliamo invece una sanità di pratiche e comportamenti illegali che danneggiano il servizio sanitario nazionale e i pazienti». Per il titolare della Sanità «la legalità è una parola chiave del sistema sanitario per il quale stiamo lavorando. Non è un caso - ha aggiunto - che proprio nell'ultima legge finanziaria il Governo abbia voluto inserire una norma specifica che prevede il licenziamento degli operatori sanitari condannati per truffa ai danni del servizio sanitario». Difende invece la categoria e, pur ammettendo che è giusto punire chi truffa, dice di stare attenti a non generalizzare Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo, la federazione degli ordini dei medici. «La maggioranza (dei medici, ndr) non bada agli orari, si sacrifica oltre il dovuto e regge sulle proprie spalle il servizio pubblico», spiega. E sulla responsabilità degli ordini professionali aggiunge: «Non è vero che l'ordine dei medici non agisce contro i comportamenti scorretti, ma l'ordinamento ordinistico è subordinato a quello giudiziario, quindi è necessario aspettare la fine del procedimento per agire. In ogni caso, quando scatta una misura di restrizione della libertà personale anche l'ordine fa scattare automaticamente un provvedimento di sospensione dell'attività professionale». Foto: G. BELFIORE ______________________________________________________________ L’Unità 16 lug. ’07 LA SALUTE E I BREVETTI di Giovanni BERLINGUER Le difficoltà di accesso alle cure nei Paesi in via di Sviluppo sono dovute alla combinazione di numerosi fattori: i livelli di reddito bassi, la debolezza di sistemi sanitari efficaci e, soprattutto, i prezzi dei farmaci, troppo spesso insostenibili. La maggior parte dei medicinali essenziali è sottoposta a brevetti per un periodo di venti anni che garantiscono un monopolio di fatto sul prodotto, così come su un determinato processo di produzione. Ne consegue il divieto di produzione, di impiego e di commercio di prodotti equivalenti se non dietro l'acquisto o il rilascio di un'autorizzazione del titolare del brevetto. Non si vuole negare l'importanza dei brevetti per determinate invenzioni, né il fatto che i diritti di proprietà intellettuale hanno contribuito al finanziamento della ricerca. Oggi però la ricerca è sempre più privatizzata e al servizio dell'industria. La ricerca del bene comune è sacrificata alle regole del profitto e del mercato. Se Albert Sabin avesse brevettato il suo vaccino antipolio, milioni di persone non sarebbero state salvate. Nel sud del mondo assistiamo a nuove gravissime emergenze sanitarie e alle quali bisogna dare risposte urgenti ed efficaci, da cui dipendono lo sviluppo di intere regioni del nostro pianeta e l'esistenza di una generazione futura, decimata da Aids, malaria, tubercolosi e altre malattie dimenticate. D menta quindi necessario limitare i monopoli nell'ambito della salute, riducendo il periodo in cui una scoperta è soggetta a brevetto, ponendo dei limiti a ciò che è brevettabile e sostenendo soluzioni flessibili affinché i brevetti e i prezzi non siano di impedimento ad un accesso più equo alle cure. Anche la ricerca scientifica trascura queste malattie. È necessario invertire la tendenza secondo la quale il 90% della ricerca scientifica riguarda le malattie dei ricchi e solo il 10% la grande maggioranza della popolazione mondiale. Il Parlamento Europeo si è espresso su tali questioni, intervenendo sul controverso accordo TR IPS, in vigore per ciò che concerne la regolamentazione dei regimi di proprietà intellettuale a livello internazionale, e le sue implicazioni per il settore farmaceutico. Il Parlamento ha confermato il sostegno ad un utilizzo flessibile degli accordi TRIPS, come stabilito nella Dichiarazione di Doha. Questa permette ai governi nazionali in situazioni di crisi sanitarie di concedere "licenze obbligatorie", cioè di produrre i farmaci indispensabili per rispondere a tali emergenze, senza essere obbligati ad acquistarli dalle case farmaceutile o pagarne i diritti, ma le condizioni per utilizzare questo meccanismo sono molto farraginose e complicate. Le società farmaceutiche e alcuni Stati hanno esercitato fortissime pressioni affinché i paesi che volevano avvalersene non lo facessero. Il Parlamento dovrà dare un parere sul Protocollo, del 2005 per rendere definitive le cosiddette "flessibilita" previste dell'accordo TRIPS e gli ulteriori ampliamenti della Dichiarazione di Doha, semplificandone le procedure e mettendo a tacere quanti finora hanno boicottato i governi che si erano opposti alle regole OMC. Anche la Commissione dovrà modificare l'attitudine di costante bilico tra protezione dei diritti di proprietà intellettuale lei grossi gruppi farmaceutici e bisogno di assicurare l'accesso ai firmaci essenziali ai paesi in via d sviluppo. Non meno importante risulterà infine la volontà di promuovere la ricerca, il trasferimento di tecnologie e il rafforzamento dei sistemi sanitari di quelle reali. Giovanni Berlinguer ____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 Lug. ‘07 INFERMIERI: GLI STIPENDI IN CORSIA La polemica sugli infermieri Dieci anni fa il poster di una campagna pubblicitaria proposta dal Royal College of Nursing (l' organizzazione degli infermieri inglesi) ritraeva una infermiera con in mano una nocciolina americana, sotto c' era scritto "When you pay peanuts what do you get?" (ci pagano noccioline, cosa pensano di poter avere in cambio?). Come dire "siamo pagati poco, ma il nostro lavoro è importante". Speravano di migliorare la loro immagine così da convincere più giovani a voler essere infermieri. Non ci sono riusciti. Gli infermieri in Europa sono pagati poco e in Italia ancora meno. Due anni fa Anthony Heyes, un professore di economia che insegna a Londra e a Oxford, ha pubblicato un lavoro per dire che un' infermiera per essere una buona infermiera deve essere pagata poco. La sua teoria è questa: "Se gli infermieri guadagnassero di più ci sarebbe più interesse per questa professione. Potrebbe succedere che voglia fare l' infermiere anche qualcuno che non ha la vocazione. Questo ridurrebbe la qualità delle cure". E' un ragionamento un pò bizzarro. Per essere un buon infermiere un pò di vocazione ci vuole, certo, ma servono conoscenze, capacità, formazione e tranquillità economica. Forse è venuto il momento di riconsiderare lo stipendio degli infermieri tanto più che adesso molti di loro sono laureati. Ammettiamo di voler aumentare lo stipendio degli infermieri. Se lo si volesse fare per tutti non ci sarebbero abbastanza soldi. A meno che non si arrivi ad avere anche in Italia livelli diversi di educazione e di responsabilità, che potrebbero corrispondere a vari livelli di stipendio. Per gli infermieri diplomati che hanno studiato meno e che avrebbero meno responsabilità, potrebbe essere giustificato uno stipendio più basso. Quelli laureati li si potrebbe pagare di più. E poi si dovrebbe riconoscere il merito. Se uno volesse fare l' infermiere in uno degli Ospedali dell' Università di North Carolina e chiedesse dello stipendio si sentirebbe rispondere: "dipende". E, infatti, dipende dalla qualifica, da che scuola ha fatto, da cosa sa fare davvero, dal tipo di esperienza, dalla capacità di insegnare, dai risultati dell' attività di ricerca. E lo stipendio, per infermieri che fanno e sanno fare cose diverse può essere molto diverso. Perché non proviamo anche noi? Remuzzi Giuseppe ______________________________________________________________ L’Unità 16 lug. ’07 I BRUTTI RICORDI CANCELLABILI SENZA FARMACI DA «SCIENCE» Individuata l'area cerebrale deII'Oblio I brutti ricordi si possono cancellare senza fare ricorso ai farmaci. Esiste un'area del cervello, la corteccia prefrontale, che è capace di sopprimere i pensieri sgradevoli. Esercitando questa zona, potremmo sgombrare la mente dalle emozioni negative che ci perseguitano. A scoprire l'area e il meccanismo cerebrale alla base di questo processo di inibizione della memoria è stato un gruppo di ricercatori dell'Università di Colorado, a Boulder. La ricerca, pubblicata su Science, ha implicazioni rilevanti per il trattamento di vari disturbi psichiatrici, come la sindrome da stress post traumatico, la sindrome ossessivo-compulsiva, ma anche ansia, depressione e fobie. I ricercatori hanno osservato la soppressione della memoria attraverso una risonanza magnetica funzionale del cervello su alcuni soggetti. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Lug. ‘07 DI CHIARA: MA L’AMORE NO, NON VA IN PENSIONE Viagra e Cialis hanno stravolto abitudini e costumi di coppia Sostiene il farmacologo Di Chiara che Viagra e Cialis consentono di avere rapporti sessuali «anche a novant’anni». Il mondo della terza età, almeno su questo fronte, è stato rivoluzionato. Altro che pace dei sensi della terza età. I capelli ingrigiscono, la prestanza fisica perde qualche colpo e la pelle dice addio alla tonicità di un tempo, certo. Ma qualcosa rimane inalterato. E non è certo la voglia di stare seduti al tavolo di cucina insieme alla propria donna a farsi somministrare dalla televisione l’ennesimo quiz-fotocopia. Assolutamente no. È la libido, il desiderio sessuale, che negli individui sani non conosce limiti anagrafici. E che trasporta le coppie ormai non più giovanissime in camera da letto. «Se un anziano gode di buona salute - garantisce Gaetano Di Chiara, professore ordinario di Farmacologia e preside della facoltà di Farmacia dell’Università di Cagliari - può fare l’amore anche a 90 anni». Allora via le pantofole sgualcite e la vecchia vestaglia a quadri per soddisfare le richieste della natura, che quando va a bussare non bisognerebbe lasciarla fuori dalla porta a una certa età. Proprio come ha fatto qualche giorno fa un aitante pensionato settantenne di Sinnai, sorpreso a fare l’amore per strada con una cinquantenne. Al centro della città di Cagliari, per giunta, all’interno di un furgone da cui provenivano rumori altamente sospetti. Per questo una telefonata anonima ha sollecitato l’intervento della polizia, che si è materializzata con le facce imbarazzate degli agenti che, una volta aperto lo sportello, si sono trovati davanti alla coppia seminuda. Anche in mancanza di furgone, comunque, gli incontri ravvicinati riescono bene. E ancora meglio se si ricorre ai metodi per combattere l’impotenza o rafforzare le prestazioni. Il Viagra è il più quotato, e viene utilizzato anche da coloro che non hanno nessun tipo di disturbo. «Non esiste anche in questo caso un’età limite per l’assunzione, ma a rigore dovrebbe essere preso dai soggetti che hanno subito traumi o soffrono di qualche malattia - spiega Di Chiara - Favorisce la vasodilatazione e aumenta il ristagno del sangue, proprio perché il suo principio blocca un enzima che degrada una sostanza dall’effetto vasodilatatore». Se sono tantissimi gli uomini che tengono in tasca la pillola blu per ogni evenienza, sono decisamente meno numerosi quelli che ricorrono alle altre soluzioni anti-defaillance. Un esempio, oltre alle altre vie farmacologiche come l’iniezione e l’applicazione topica, è dato dall’intervento chirurgico. «Consiste nell’applicazione di protesi - illustra Antonello De Lisa, urologo responsabile di reparto dell’ospedale Santissima Trinità e docente di Urologia dell’Università di Cagliari - costituite da un cilindro che si gonfia». All’occorrenza e attraverso un semplice gesto. «Il cilindro è collegato a una pompa che si trova all’interno dello scroto», prosegue De Lisa. All’occorrenza, si esercita una certa pressione sulla pompetta e il gioco è fatto. Il risultato è garantito: «Funziona perfettamente». Solo che non funziona nel convincere il popolo maschile, soprattutto quello sardo, visto che gli interventi annuali al SS. Trinità di Cagliari si fermano a quota due o al massimo tre. «Negli altri ospedali la situazione non è dissimile». A favorire la sessualità tra le persone anziane può contribuire anche un altro fattore: «Il tempo che si possiede a disposizione dopo la fine del periodo lavorativo - spiega Paolo Putzu, primario del reparto di Geriatria dell’ospedale di via Is Mirrionis - Aumenta la possibilità di creare momenti di complicità, tenerezza e affetto». Perché la pensione può giovare, altrochè. Qualche limite è posto invece dalla donna, che non è sempre disponibile, e ha un atteggiamento diverso rispetto al rapporto sessuale. La soluzione alternativa ci sarebbe, certo, ma per evitare di ricorrere a un altro partner le tecniche di convinzione più sottili possono funzionare. In caso di ottima salute, anche a 80 anni. Mariangela Lampis ______________________________________________________________ Libero 17 lug. ’07 CURATEVI CON IL SESSO Io ho urla fisicità portata al sesso. Sono ridondante, materna, con questo grande seno... E- un fisico che invoglia e riinvoglia Sono portata all'amore». Parola di Antonella Clerici. La conduttrice Tv, che più di una volta ha confessato dì non poter Avere senza fare sesso, ha rivelato in un'intervista pubblicata sii "Sette" che ha conosciuto, però, solo tre uomini che sapevano l'arte di amare. Come dire, attrazione e eccitazione non bastano. Secondo una ricerca dell'Università del Texas ci sono ben 237 buone ragioni per fare sesso. La pulsione erotica la 1ibido" di freudiana memoria, non è l’unica motivazione che spinge uomini e donne sotto le lenzuola: i rapporti intimi possono essere innescati dai più futili ed egoistici motivi oggi come dalle più elevate aspirazioni spirituali. Alcune conclusioni della ricerca texana confermano cose che già E sapevano gli uomini, per esempio, "tendono a entrare in azione soprattutto per cause fisiche" mentre le donne si lasciano andare sull’onda di "emozioni interne"; lei lo fa in genere perché innamorata (o si dà comunque questa spiegazione giustificazione), lui, cacciatore, punta, invece, più o meno inconsciamente a moltiplicare il numero delle partner". Attrazione, piacere, affetto, amore, desiderio di vicinanza emotiva, desiderio, eccitazione, voglia di piacere, gusto dell'avventura. sono le motivazioni in assoluto più ricorrenti, ma gli psicologi texani sostengono che le ragioni meno comuni sono da considerarsi altrettanto importanti per una migliore comprensione della psiche umana. «In tutto», dicono i ricercatori, «abbiamo identificato 237 ragioni sul perché la gente fa, sesso»: dalle più banali come la voglia dì star meglio all'aspirazione di avvicinarsi a Dio, dall'altruistico tentativo di dar piacere al partner al gesto manipolatore per ottenere una promozione o compiere una vendetta. Molti vedono nel rapporto carnale un modo per combattere la noia, lo stress, facilitare l'arrivo del sonno o bruciare calorie. Alcuni sì "buttano" nei seno per evitare discussioni col partner che potrebbero mettere in crisi la relazione, altri per trovare una via di fuga da altre delusioni della vita quotidiana, lavoro in priinisi altri ancora per sfuggire ai problemi in generale. E solo pochi perché convinti che fare sesso sia il modo migliore di affrontare le tensioni che riguardano la coppia. Ma c'è anche chi sceglie l'alcova d'amore semplicemente «per farsi passare il mal di testa». E se le ragioni che spingono uomini e donne a fare sesso sono spesso insolite e poco ortodosse, altrettanto strane sono quelle per cui gli studiosi spiegano come il sesso sia necessario. La tesi condivisa da tutti è che una certa attiva sotto le lenzuola fa sembrare più giovani di sette anni e funziona da elisir della salute. Non solo, la ginnastica per la colonna vertebrale: può far meglio della palestra. Abbassa la pressiorie del sangue e aiuta a dormire meglio. E la materia prima dell'orgasmo, l’ossitocina, a due un rilassante e sonnifero. Specie sugli uomini. Mette di buon umore: dopo una notte d'amore ci si sente più felici. Come nello sport, fare sesso mette in circolo le endorfine. Assodato che il sesso non è uno sport olimpionico, va comunque ricordato che, durante un rapporto completo, si consumano circa 200 calorie. Il sesso elimina gli attacchi di farne, aiuta contro il dolore e fa bei le anche al denti: i baci intensi non sono solo espressione di passione, eccitazione e amore, ma anche produttori dì saliva, responsabile di gengive e denti più sani. Insomma far l’amore fa buie te rende belli, i capelli risultano più luminosi e sani, la pelle più elastica con effetti positivi sulla cellulite. E gli uomini ne approfittano in diversi campi, grazie alla produzione dì testosterone, che aiuta a formare la muscolatura. Migliora il sistema immunitario: un importante ormone del sesso, la prolatina, difende dallo stress e rilassa. Il sesso rafforza il cuore e la circolazione sanguigna, aumentando le pulsazioni il sangue scorre più velocemente. E se il sesso chiama sesso, più desiderio si ha, più se ne produce. ______________________________________________________________ MF 17 lug. ’07 SCHIAFFO AGLI INTEGRATORI, PER LE OSSA MEGLIO IL LATTE Il calcio si assorbe più facilmente Per rafforzare il proprio apparato scheletrico gli integratori a base di calcio non costituiscono la miglior risposta. Alcuni ricercatori della facoltà di medicina dell'Università dì Washington hanno controllato 168 donne in post- menopausa, tenendo conto del fatto che per le persone di oltre 50 anni la quantità raccomandata di calcio da assumere quotidianamente è di 1200 milligrammi, è stato rilevato che i migliori risultati ai fini del rafforzamento della densità delle ossa si ottengono non dagli integratori, ma dal calcio contenuto negli alimenti che vene più facilmente assorbito. Soprattutto il latte che contiene composti simili a estrogeni in grado di forzare le ossa a trattenere questo minerale. ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 19 LUG. ’07 SOTTO IL CAMICE BIANCO, UN ROBOT Una macchina visita pazienti, fa diagnosi e arriva a prescrivere farmaci E state. Caldo torrido. Entriamo in un bar e, appena varcata la soglia, la sorpresa. Anziché vedere il classico banco con un barista simpatico cui chiedere - come il gorilla più famoso della pubblicità - un aperitivo in rima con il suo nome, troviamo soltanto una macchinetta automatica comunque pronta a servirci. Il culmine del timore giunge al momento della constatazione di non avere spiccioli in tasca e di non poter pretendere il resto di una tanto grossa quanto inutilizzabile banconota. Se ci lasciamo sbalordire da così poco, che dovrebbero dire i pazienti del Sinai Hospital di Baltimora? Non parliamo dei punto di ristoro della struttura clinica e dei relativi apparecchi distributori di bibite, ma delle ordinarie prestazioni sanitarie che vengono erogate in alcuni reparti. Il paziente che deve essere visitato viene avvicinato da una sorta di robot che -situazione simile a quella dei cartoon dei Pronipoti (o Jetson per i lettori più giovani) - gira attorno al letto e scruta il malato come un medico vero. Pur non dotato di sembianze antropomorfiche, la sofisticata attrezzatura è in condizioni di interloquire con l'assistito, verificarne le condizioni di salute e dar corso a una serie dì eventuali prescrizioni farmaceutiche. Lo strano arnese semovente vede attraverso alcune telecamere che gli garantiscono di zoomare anche il più piccolo dettaglio, sente la voce del degente grazie a un microfono high-quality, parla mediante una coppia di altoparlanti, si presenta familiare grazie a uno schermo su cui - oltre alla sintesi delle impressioni cliniche - può apparire anche il volto rassicurante del dottor Gandsas. Se il ricoverato sopravvive all'emozione e alle potenziali complicazioni cardiache conseguenti, può avvalersi della qualificata consulenza del medico che ha applicato un sistema interattivo di videoconferenza in grado di sostituirlo in qualsiasi momento e ovunque lui si trovi. Alex Gandsas ha pagato questo suo surrogato in lamiera e microchip l'esigua cifra di i5omila dollari, trasformando un deprecabile assenteista in un futuribile eroe di una prossima edizione di «E.R. medici in prima linea». I risultati di questo eccezionale esperimento è stato pubblicato sul numero di luglio del «Journal of the American College of Surgeons». Il complesso congegno elettronico prodotto dalla InTouch Technologies si chiama RP-7 (Remote Presence Robotic System), ma è stato ribattezzato "Bari". Il suo nickname sarebbe stato adatto anche se invece di diventar medico, il robot fosse finito a servire drink. Probabilmente il gorilla avrebbe preferito in questo caso un aperitivo rosso e si sarebbe lasciato scappare un «Bari, dammi un ...». UMBERTO RAPETTO ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 19 LUG. ’07 LA GUERRA ALL'OBESITÀ LA COMBATTE IL CERVELLO La leptina, un ormone geneticamente determinato, invia lo stimolo all'encefalo La guerra all'obesità? Alla fine si traduce in una lotta tra corpo e spirito, tra volontà e ambiente che porta a ricercare cibo. Con il cervello "biologico" che spesso domina su quello .,razionale", guidando verso gli alimenti anche quando bisognerebbe ridurne il consumo. La causa della sconfitta? Il comando delle operazioni è determinato geneticamente, quindi lì occorre agire per trovare una soluzione. Legge così il futuro della ricerca Jeffrey Friédman, della Rockfeller University, recentemente premiato a Parigi con il sesto Premio Internazionale di nutrizione Danone per la scoperta della leptina, un ormone prodotto proprio dalle cellule adipose e in grado di regolare il desiderio di cibo e quindi l'appetito. «I geni hanno un ruolo fondamentale nel determinare il peso di un individuo, tanto che più dell’ 8o % del profilo ponderale si può considerare legato al Dna - è il parere di Friedman -. Io nel 1994 ho trovato uno di questi elementi di controllo, geneticamente determinati, cioè la leptina, la cui presenza ha dimostrato per la prima volta che il tessuto adiposo è un vero e proprio organo endocrino, in grado di sintetizzare sostanze con attività ormonale». La leptina è un fattore di regolazione per il mantenimento del peso, ma tende a mantenere stabile la situazione sulla scorta delle informazioni scritte nel dna dell'individuo. Quando si perde peso durante una dieta molto stretta, il segnale biologico che arriva dall'organismo è chiaro: cala la leptina quindi occorre recuperare aumentando l'introito di alimenti. Ed è a questo punto che si crea la lotta tra corpo e spirito, con l'entrata in gioco della volontà e degli stimoli ambientali. «Il cervello, citi arriva lo stimolo dell'appetito, può decidere di bloccare la propria reazione alla ricerca di cibo, ma è difficile - spiega Friedman -. E lo dicono i risultati degli studi clinici. A prescindere dalla tipologia di dieta nelle persone obese non basta il calo di peso, ma occorre mantenere i risultati del dimagramento a distanza di tempo. Ma questo non avviene in oltre quattro casi su cinque. Per questo penso che il fondamento biologico della regolazione del peso corporeo sia dominante e credo che occorra impegnarsi nella ricerca sulla biologia dell'obesità». Insomma, piuttosto che stigmatizzare chi è fortemente soprappeso e puntare a comprendere le cause ambientali dell'aumento ponderale, bisogna puntare direttamente alle radici dell'obesità. «Sarà una ricerca lunga, destinata a portare risultati solo tra diversi anni, ma sarà la chiave per affrontare questa emergenza sociale», ha concluso Friedman. ______________________________________________________________ Libero 20 lug. ’07 LA VITAMINA C NON PROTEGGE DAL RAFFREDDORE Assumere quotidianamente vitamina C non fornisce alcuna protezione dal raffreddore. Lo sostiene una ricerca pubblicata dalla Cochrane Library. I ricercatori hanno raccolto dati per decenni, analizzando studi che hanno riguardato in complesso più di 11.000 persone che assumevano quotidianamente una dose dai 200 mg in su di vitamina C, I Risultati? Questa assunzione non ha effetti significativi stilla probabilità di contrarre il raffreddore. ______________________________________________________________ IL SOLE24ORE 21 LUG. ’07 ECCO IL VACCINO ANTI-AVIARA Rino Rappuoli Direttore ricerca del gruppo Novartis Sarà prodotto nei laboratori di Siena e presto negli Stati Uniti Cesare Peruzzi SI ENA. Dal nostro inviato Finalmente possiamo difenderci dai rischio di una pandemia influenzale». Il primo vaccino anti-aviaria, l'influenza da virus HSNi che due anni fa mise in allarme l'opinione pubblica mondiale, ha un padre italiano: realizzato nei laboratori Novartis di Siena, il più importante centro di ricerca sui vaccini d'Europa, è stato messo a punto dall'equipe guidata da Rino Rappuoli, 55 anni, lo scienziato toscano che dirige l'attività della multinazionale svizzera in questo campo. «Abbiamo vinto la sfida, ma adesso serve un piano di vaccinazione a livello planetario», dice Rappuoli. Il vaccino è già disponibile? L'utilizzo in caso di emergenza è stato approvato dall'Agenzia regolatoria europea, l’Emea, che sta formalizzando anche la registrazione della versione per uso preventivo: aspettiamo il via libera per fine anno. Si tratta del primo farmaco per scongiurare la cosiddetta influenza aviaria, che nel frattempo ha continuato a progredire nel mondo. È ancora attuale il rischio di una pandemia? Purtroppo sì. Alcuni Paesi sono più a rischio, così come alcune categorie di persone, ma in generale il livello di probabilità che il virus passi dagli animali all'uomo scatenando una pandemia non è calato, anzi: più passa il tempo e maggiori sono le probabilità statistiche che accada. Ora però mi sento tranquillo, perché c'è la difesa. E insieme a Novartis, anche altre case farmaceutiche stanno approntando vaccini simili. Questo cambia radicalmente la prospettiva di azione. Cioé? Prima potevamo intervenire a pandemia scoppiata curando i sopravvissuti con degli antivirali, tenuto conto che gli effetti peggiori di un simile evento si sarebbero manifestati in tre mesi. Adesso è possibile fare prevenzione, grazie al nostro vaccino pre-pandemico di derivazione dal virus 115N1, coa0diuvato con MF59, in grado di fermare, o comunque di contrastare, anche eventuali mutazioni. Propone di vaccinare tutta la popolazione del mondo? Il problema è stato affrontato il mese scorso a Seattle in un incontro a porte chiuse a cui hanno partecipato l'Organizzazione mondiale della Sanità, il Wto, i principali Governi del pianeta e la Fondazione di Bill. Gates. E la questione è in agenda perl’ autunno, anche se ci sono Paesi più riluttanti. Quali? Gli Stati Uniti, per esempio. Anche perché non hanno impianti di produzione del vaccino sul loro territorio. Si stanno però attrezzando: Novartis ha ricevuto zzo milioni di dollari di finanziamento per realizzare una struttura nella Carolina del Nord la cui prima pietra sarà messa in agosto. Andrete a produrre in America? Sì, ma potenzieremo anche la struttura di Rosia, alle porte di Siena, dove lavorano più di 1.400 persone, con 25o ricercatori, e dove il gruppo ha investito oltre 250 milioni di euro nel biennio zoo6-zoo7. L'impianto senese è in grado di coprire le esigenze di tutta la popolazione italiana in sei mesi. Ma serve un programma. Ecco perché dico che i Governi dovrebbero valutare la possibilità di passare dai piani d'emergenza a un'azione preventiva. Quanto costerebbe vaccinare l'intera popolazione del pianeta? L'r% del danno economico che provocherebbe una pandemia: grosso modo 30 miliardi. E se la pandemia poi non arrivasse? Meglio. Nessuno assicura la casa contro gli incendi sperando che bruci. Lo scienziato. Rino Rappuoli dirige l'attività di ricerca della Novartis ____________________________________________________________ tst tutto Scienze e tecnologia 18 lug. ’07 INSEGUENDO LE ARMONIE SEGRETE CHE FANNO SUONARE LE PROTEINE Biologa e pianista, Rie Takahashi studia alla Los Angeles University Tante melodie, ma quando la molecola è malata scatta una cacofonia PAOLAMARIANO a vita è un concerto armonioso di molecole, una partitura che fa vibrare i tasti del pianoforte. La prima a essersi cimentata nell'esecuzione perfetta della magica sinfonia è Rie Takahashi, giovane biologa e pianista che ha messo in musica le molecole più importanti della vita - le proteine - inventandosi le regole per arrangiare brani composti con note speciali, gli amminoacidi, di cui le proteine sono composte. Lo «spartito genetico» è stato scritto nel laboratorio di Jeffrey Miller all'Università di Los Angeles, da anni in attesa di «allestire» un esperimento simile: «Pensavo a questo progetto da tempo - confessa Miller - ma sapevo che per metterlo in pratica avevo bisogno di una persona che fosse sia una genetista molecolare sia un musicista. Quando ho incontrato Rie, ho capito che era la persona che cercavo». Ghiribizzi? No, Takahashi e Miller hanno intenti di tutto rispetto. Pensano che l’invenzione sarà utile agli scienziati, che potranno leggere, ascoltandole, le sequenze proteiche. E poi - spiega Miller - «crediamo che sia uno strumento prezioso per insegnare la biologia ai bambini e non solo a loro». Riportato sulla rivista «Genome Biology», quello da Takahashi e Miller non è il primo tentativo di mettere la biologia in musica, ma l'unico, finora, di successo, che ha prodotto melodie piacevolissime. I risultati di altri team erano stati deludenti: una cacofonia di suoni discordanti, perché quasi sempre si cercava di tradurre direttamente il codice della vita - il Dna - in note. Ma la vita è complicata e orchestrarla con una regola cosi banale non poteva che dare risultati pessimi. Solo grazie al suo talento musicale Takahashi ha potuto trovare la chiave giusta per suonare la vita, ovvero le regole perfette per tradurre le proteine in musica. E per capire il percorso che l'ha condotta alla soluzione bisogna sapere che ogni proteina è una sequenza di 20 amminoacidi diversamente disposti e ripetuti e che il vocabolario minimo del codice della vita - il Dna, appunto - è composto di quattro lettere: le basi adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T). Ogni parola, «codone», è di tre lettere e corrisponde a un solo amminoacido. Per esempio il codone ACG corrisponde all'amminoacido treonina. Esistono codoni «sinonimi»: per esempio sia ACG sia ACA significano treonina. Un brano di codice, fatto di tanti codoni, è il gene e si traduce in una proteina. Con il suo ingegno Takahashi ha permesso che un simile rebus si librasse sulle ali della musica, risolvendo quei problemi tecnici che avrebbero altrimenti portato a componimenti di scarsa qualità. In primo luogo, visto che ci sono 20 amminoacidi, ma 13 note, non si possono semplicemente convertire gli amminoacidi in note. Quindi Takahashi ha adottato lo stratagemma di abbinare non una, ma tre note, o meglio una triade (la triade è l'accordo più semplice), a ciascun amminoacido. Per rendere il risultato ancora più elegante poi accoppiato gli amminoacidi chimicamente simili, assegnando loro lo stesso accordo. «Per esempio - spiega Takahashi a TuttoScienze - Tirosina (Tyr) e Fe~ nilalaninà (Phe) sono rappresentati dall'accordo in Sol maggiore, ma hanno comunque un suono differente, perché lo stesso accordo è suonato con una disposizione diversa delle note. Così - prosegue - ad amminoacidi simili sono associati suoni molto simili tra loro ma sempre riconoscibili». Ricorrere agli accordi - spiega ancora - non solo risolve il problema del numero di amminoacidi e note, ma riduce anche gli sbalzi nella melodia, rendendola più piacevole. E poi c'è la trovata per dare ritmo al brano che risulta dalle sequenze di accordi/amminoacidi: la Takahashi si rifà ai codoni sinonimi, che significano lo stesso amminoacido. Ciascun sinonimo compare in un gene con frequenza diversa. La regola, quindi, 'e che la durata del suono dell'amminoacido dipende dal codone con cui quell'amminoacido è di volta in volta scritto sul gene: più frequente è il codone, più lungo è il suono. Con queste regole e con l'aiuto del programmatore Frank Pettit, i due biologi hanno creato un software per tradurre automaticamente qualsiasi sequenza proteica in una composizione musicale e sul loro sito Internet si possono ascoltare le melodie di varie proteine e comporne di nuove. La musica è melodiosa, a meno che a suonare non sia una proteina «malata». Tra le proteine già «tradotte», infatti, c'è l’Huntingtina, causa del morbo di Huntington. Il suo suono sembra quello di un disco che si incanta.