LA SPESA PUBBLICA PER GLI ATENEI SALE ALL’1,2% DEL PIL - MUSSI: «I RETTORI DEVONO ANDARSENE DOPO SEI ANNI DI MANDATO - VERONESI: LIBERIAMOCI DALL’ANTISCIENZA - I MANAGER: LA BOCCONI MEGLIO DI HARVARD- FILANTROPIA: COME FAR SOPRAVVIVERE LE UNIVERSITÀ PUBBLICHE - SISTEMI SCOLASTICI E FORMATIVI DI FRONTE ALLE SFIDE DEL XXI SECOLO LA LOTTERIA DEI TEST D' INGRESSO I QUIZ NON SONO IL SISTEMA IDEALE - MESSINA, I QUIZ MIGLIORI? FATTI TUTTI NELLA STESSA AULA - LE «DOPPIE VERITÀ» DELLA RICERCA - LA MALDICENZA COLPISCE DI PIÙ LE PERSONE GENEROSE - SENZA NUCLEARE L’ECATOMBE DELL'UMANITÀ- ======================================================= QUANDO I MEDICI DIVENTANO CASTA - SE NELLE AZIENDE SANITARIE VINCE LA LOGICA DEL BUDGET - LA DIRINDIN RITOCCA IL TARIFFARIO REGIONALE - ECCO IL NUOVO PRONTO SOCCORSO E IN CORSIA SBARCA LA TECNOLOGIA - ASL 8, DIPENDENTI IN RIVOLTA - L’AUTISMO HA PERSO UN SEGRETO - TRAPIANTI INUTILI E DANNOSI - LE CONQUISTE DELL'IMPLANTOLOGIA - LA SALUTE È OPENSOURCE - VINO E BIRRA SONO SCUDI PER IL CUORE - TELEDERMATOLOGIA NELLA LOTTA AL MELANOMA - ADDIO AGO E SIRINGA, SI PROVA IL CHIP CHE "STAMPA" LE MEDICINE SUL BRACCIO - ANOMALIE AI GENITALI IN AUMENTO TROPPI ESTROGENI NELL'AMBIENTE - ADDIO ALLO STETOSCOPIO LE VISITE CON UN MP3 - NGF, UN MARKER PER LE PATOLOGIE EPATICHE - SE IL TUMORE SI DIFENDE DALLA CHEMIOTERAPI -A LE BASI GENETICHE DELL'ARTRITE REUMATOIDE - ======================================================= ________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 Sett. ‘07 LA SPESA PUBBLICA PER GLI ATENEI SALE ALL’1,2% DEL PIL L'accordo. Il ministro Tommaso Padoa Schioppa, il rettore Guido Trombetti e il ministrò Fabio Mussi Un protocollo di impegni tra Governo e università per una migliore gestione delle risorse. La spesa pubblica per l'università sarà aumentata, a patto che gli atenei spenderanno meglio. È l'intesa scambiata ieri tra i ministri dell'Economia e dell'Università Nell'accordo firmato con Padoa-Schioppa e con la Crui più soldi agli atenei che li spenderanno meglio Padoa-Schioppa e Fabio Mussi, e i rettori degli atenei italiani. Entro i prossimi dieci giorni verrà sottoscritto l'accordo formale, sulla base del quale - hanno precisato i ministri - saranno programmati gli interventi della Finanziaria per il settore dell'università. Siglato il protocollo Un incontro, quello di ieri, che rappresenta per il Governo «un primo passo verso la svolta il sistema», non solo nella sostanza, ma anche nella forma. Per la prima volta, infatti, sono stati i ministri a recarsi nella sede romana della Conferenza dei rettori (Crui) e non il contrario. L'intesa formalizzerà i contenuti già enunciati nel «Patto per l'università», sottoscritto da Mussi e Padoa Schioppa lo scorso z agosto, e nel capitolo del recente «Libro verde sulla spesa pubblica» dedicato al sistema universitario. Ma «il documento – ha precisato Padoa-Schioppa - non conterrà cifre». Portare la percentuale di spesa pubblica per l'università rispetto al Pi1 dall'attuale o,8% all'i,z% della media Ocse, potenziare la cultura della valutazione - premiando i comportamenti virtuosi-, prevedere piani di rientro per gli atenei che superano il limite del 9o% dell'Ffo (il fondo di finanzia mento ordinario) per le spese del personale, favorire la mobilità degli studenti e potenziare il diritto allo studio. E riservare una quota dell'Ffo (il 5% nel 2008, ma con previsione di crescita) per premiare gli atenei migliori. Sono questi gli obiettivi del protocollo, che riprende le indicazioni già contenute nel documento della commissione per la Finanza pubblica guidata da Gilberto Muraro. «Se l'università avesse nella spesa pubblica italiana lo stesso spazio che ha in Europa -ha spiegato Padoa-Sehioppa - le risorse a disposizione sarebbero maggiori, ma se si utilizzasse meglio ciò che si ha, la situazione sarebbe migliore». Investire di più spendendo meglio, quindi, perché «il nostro Paese - ha sottolineato Mussi - deve scommettere sullo sviluppo qualitativo del sistema». I rettori hanno espresso «soddisfazione», anche se la quantificazione delle risorse da prevedere in Finanziaria appare un argomento tabù. «Non crediamo ai miracoli-ha detto il presidente della Crui, Guido Trombetti - ma é importante che il Governo abbia riconosciuto che il sistema è sottofinanziato. Ma ci sono precisi impegni sul riconoscimento degli incrementi stipendiali, sulla potenziamento del diritto allo studio e dell'edilizia e - ha concluso - sulla questione del costo dei policlinici: Al. Tr. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 Sett. ‘07 MUSSI: «I RETTORI DEVONO ANDARSENE DOPO SEI ANNI DI MANDATO» ROMA - Un tetto al mandato dei rettori: sei anni al massimo, non rinnovabili. La proposta arriva da Fabio Mussi che nei giorni scorsi l' aveva preannunciata alla Crui, l' organo che rappresenta i 75 rettori italiani e i loro atenei. Ieri il ministro dell' Università è entrato nel dettaglio, dal palco di un convegno del Cnr: «Se mi riesce - ha detto il ministro - vorrei mettere il colpo secco in Finanziaria: sei anni di mandato non rinnovabili. Prevedendo che non si possano fare modifiche ai regolamenti interni, come spesso accade oggi, per andare oltre il secondo mandato». Al momento ogni università si regola come vuole, fissando la durata dell' incarico nel proprio statuto. La gran parte degli atenei prevede due incarichi di quattro anni. Ma ci sono diverse eccezioni. Il record è per l' Ateneo di Brescia, dove Augusto Preti è rettore dal 1983: 24 anni. A Cagliari Pasquale Mistretta è «magnifico» dal 1991: 16 anni. A Campobasso Giovanni Cannata è al suo posto dal 1995. Tutti regolarmente eletti e rieletti da professori, rappresentanti degli studenti e del personale tecnico. Ma, secondo Mussi, è «necessario favorire un ricambio periodico» perché ci sono «cordate professional-politiche che consentono tutto questo». Come spiegato da Mussi, la misura dovrebbe trovare posto in Finanziaria. Non un disegno di legge specifico che, con i fragili numeri del Senato, potrebbe perdersi per strada. Ma un solo articolo da aggiungere all' unico testo che il Parlamento è obbligato ad approvare ogni anno. La Finanziaria è sempre un rebus, il cammino è ancora lungo. Ma la proposta è sul tavolo e se ne discute. «In linea di principio - dice Guido Trombetti, presidente della Conferenza dei rettori - mi sembra una buona idea, perché bisogna favorire il ricambio. Sulla durata si può discutere, forse sei anni sono un po' pochini. Sia chiaro che la grande maggioranza delle nostre università già prevede un tetto di otto anni che mi sembra fisiologico». Restano le eccezioni, però. Con il suo incarico ottenuto nel 1991 a Cagliari, l' ingegner Pasquale Mistretta è il secondo rettore più longevo d' Italia. E l' iniziativa di Mussi non la prende bene: «Sono stato eletto - dice - da 1.200 professori, 165 studenti e 120 rappresentanti del personale tecnico amministrativo. Ogni volta. E ogni volta non ho fatto nemmeno una telefonata. Il consenso non si costruisce con il potere ma lavorando bene. E se ci sono elezioni libere e democratiche, bisogna rispettarne il risultato». Mistretta ha anche un passato da politico. Per anni iscritto al partito socialista, nel 2001 fu candidato sindaco di Cagliari per il centrosinistra. Quelle elezioni le perse. Quello che non ha perso è il gusto per la battuta: «Mussi lo ricordo bene, se non sbaglio stava nel Pci. Sono passati tanti anni... Vogliono mettere un limite al nostro mandato? Bene, perché non lo mettono anche per loro che invece restano in Parlamento quanto vogliono?». Il quinto mandato del rettore Mistretta scade nel 2009. Stavolta non si ripresenterà: è arrivato a 75 anni, andrà in pensione. Salvia Lorenzo _________________________________________________________________ La Stampa 20 Sett. ‘07 VERONESI: LIBERIAMOCI DALL’ANTISCIENZA" Umberto Veronesi: l’energia è la sfida che deciderà il nostro futuro UMBERTO VERONESI IEO - MILANO Il titolo «The Energy Challenge», a cui è dedicata la terza edizione della Conferenza Mondiale sul Futuro della Scienza di Venezia, ha un doppio significato. La prima sfida è quella di identificare fonti di energia che possano far fronte al crescente fabbisogno mondiale e al tempo stesso raggiungano il delicato equilibrio fra efficienza, costo economico, costo sociale, sostenibilità per l’ambiente, ricadute etiche e politiche. La seconda è quella di intervenire a livello culturale per far capire e accettare le soluzioni energetiche che la scienza propone ad una società confusa, poco informata, impaurita e percorsa da movimenti antiscientifici. Circa il primo aspetto, il punto di partenza è chiaro e ormai fuori discussione: è necessario ridurre l’uso dei combustibili fossili, in primis il petrolio e i suoi derivati, per evitare il degrado accelerato del pianeta. La scienza in questi anni ci ha dimostrato in modo incontrovertibile che la combustione degli idrocarburi causa gravi malattie ed è il principale responsabile dell’inquinamento del pianeta, oltre che del progressivo alterarsi del suo equilibrio climatico. Non abbiamo però al momento una fonte alternativa immediatamente disponibile che, da sola, possa far fronte ad un bisogno energetico globale che cresce a ritmi rapidissimi e in modo esponenziale. La via d’uscita più razionale pare dunque quella di fare ricorso a un «mix» di tutte le altre fonti non inquinanti, senza dare a nessuna l’«esclusiva», perché ognuna di esse comporta comunque squilibri sociali e ambientali. Per orientarci nelle scelte, io credo che dobbiamo guardare prima di tutto la natura e da qui ripartire, studiando come sfruttare al meglio le fonti di energia che essa utilizza: il sole, l’acqua, il vento. È ovvio che la ricerca scientifica deve anche saper fare i conti con l’intervento dell’uomo sulla natura: la civiltà post-industriale, il consumismo, le concentrazioni urbane. Tuttavia molto ancora si può imparare dalla realtà biologica, dove le fonti di energia si alimentano e si completano l’una con l’altra. Così l’uomo dovrebbe imparare a diversificare per distribuire il rischio. La dipendenza dal petrolio ci dovrebbe aver insegnato che il possesso di fonti di energia si trasforma in possesso di potere economico che diventa anche potere politico, che, a sua volta, è causa dei grandi conflitti mondiali. Credo che un obiettivo raggiungibile nei prossimi anni sia quello di sostituire il 50% dei combustibili fossili con percentuali di produzione distribuite uniformemente fra le diverse fonti rinnovabili (intorno al 10-15% ciascuna): l’energia nucleare, che ha tecnicamente le maggiori potenzialità, ma, al di là delle ingiustificate paure per le radiazioni, richiede impianti e tecnologie complesse con soluzioni in tempi non brevi; l’energia solare, che va spinta in modo deciso perché è pulita e può avere un maggiore e più facile utilizzo; l’energia eolica, che è una prospettiva affascinante ma non può essere troppo sfruttata per non rovinare il paesaggio, soprattutto nel nostro Paese; l’energia idroelettrica, che è sfruttata al massimo del suo potenziale o quasi; le biomasse, molto promettenti, ma da utilizzare con raziocinio per non capovolgere l’utilizzo dei terreni e la destinazione delle coltivazioni; l’energia geotermica, che è una fonte inesauribile, ma la cui estrazione è ancora costosa. Le condizioni per mettere in atto questo programma di «uso integrato» delle fonti non inquinanti ci introducono al secondo aspetto della sfida energetica: la sfida culturale. Nulla si può fare per ridurre la dipendenza dal petrolio (e salvare il pianeta) a meno che scienza e società si alleino, e per allearsi devono essere libere dai condizionamenti che derivano dall’ignoranza, dai fondamentalismi ideologici e dagli interessi. Quindi prima di tutto bisogna, con un’azione di informazione sistematica e capillare, spazzare via l’atteggiamento antiscientifico serpeggiante, a cui ho accennato prima, che induce la gente a mostrarsi perplessa, se non ostile, nei confronti di ogni progresso della scienza, come se perseguisse finalità che non sono le stesse di ognuno di noi, come individui e come parte di una comunità: la salute, il benessere, un ambiente bello e piacevole in cui vivere, un futuro migliore per i nostri figli. Questo abito mentale precostituito crea una serie di tabù e pregiudizi che impediscono la partecipazione della gente a una discussione lucida e razionale su dove e come investire le risorse per il progresso. Il secondo freno da cui liberarsi sono i fondamentalismi legati alle ideologie, che soffocano la libertà del pensiero razionale nell’assoluta rigidità dei dogmi, contribuendo anch’essi ad affossare il dibattito sul futuro. Inoltre su questo atteggiamento «di chiusura» hanno facile presa gli interessi, il terzo ostacolo alla scienza; quelli economici, quelli partitici e tutti i particolarismi e le politiche locali, tese esclusivamente a guadagnare il consenso della popolazione, soffocando le spinte alla ricerca e all’innovazione. Dobbiamo allora ritrovare e diffondere la fiducia nella scienza, che per definizione è invece universale, obiettiva e orientata al bene futuro. La conferenza di Venezia vuole dare prima di tutto un contributo in questa direzione. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 Sett. ‘07 I MANAGER: LA BOCCONI MEGLIO DI HARVARD Le multinazionali: apprezziamo la forte etica del lavoro. Il direttore Grando: il nostro programma è al top Classifica dei master economici: studi e risultati, l' ateneo è il primo d' Italia Top business school. La Bocconi meglio di Harvard. Prima in Italia, ottava in Europa, diciassettesima al mondo. E in salita. In tutte la classifiche. Lo rivela l' indagine annuale del Wall Street Journal: il Master of Business Administration (Mba) della Sda (Scuola di formazione aziendale) conquista i consensi dei cacciatori di teste. I recruiter delle grandi multinazionali scelgono sempre di più i manager di Milano. Risultato: i bocconiani scalzano gli americani di Harvard. Top business school, appunto. Una delle migliori scuole di management. Facilità di relazione e di comunicazione. Orientamento al lavoro di gruppo. Integrità personale, capacità di analizzare e risolvere i problemi. Forte etica del lavoro. I 4.430 selezionatori internazionali hanno rispettato questa griglia per scegliere i manager al top. Ventuno parametri d' eccellenza. Non basta: per essere ammessi nella classifica, si devono avere ottime valutazioni da almeno venti società che assumono personale in tutto il mondo. Dunque? «Scalare quattro posizioni fa certamente piacere», risponde il direttore della Sda Bocconi, Alberto Grando. Ma il dato «realmente importante», ecco, «è la continua presenza del nostro programma, in posizioni lusinghiere, in classifiche che utilizzano parametri diversi. Il nostro Mba si conferma, così, un programma davvero completo». Il podio: prima la Sda spagnola di Esade (con cui la Bocconi ha aperto a Milano il primo Executive master in marketing & sales), secondo l' ateneo svizzero Imd, terza la London Business School (che supera i messicani dell' Ipade). Oltre all' università di Harvard (ventunesima), la Sda Bocconi si mette alle spalle anche anche New York, Oxford e Stanford. Un risultato, questo diciassettesimo posto nella classifica del Wst, che si affianca alle quinta e sesta posizione tra gli Mba di durata annuale calcolate da Forbes (sul ritorno dell' investimento) e alla quarantaduesima nei ranking del Financial Times, costruiti principalmente sui giudizi degli studenti. LEZIONI E GRADUATORIENella classifica del «Wall Street Journal», gli studenti della Sda Bocconi sono preferiti ai colleghi di New York, Oxford e Stanford Stella Armando _________________________________________________________________ Corriere della Sera 14 Sett. ‘07 FILANTROPIA: COME FAR SOPRAVVIVERE LE UNIVERSITÀ PUBBLICHE Con la nuova filantropia Le fondazioni private prendono il posto degli Stati che tagliano i finanziamenti Davanti allo Stato della California che taglia i fondi destinati a una grande università come quella di Berkeley, ci si potrebbe attendere un intervento dei miliardari filantropi a favore delle accademie private in modo da consentire loro di colmare i vuoti lasciati dalla ritirata di quelle pubbliche, magari aumentando il finanziamento delle borse di studio, in modo da garantire l' accesso a questi costosi atenei anche ai giovani più capaci delle famiglie a basso reddito. La William e Flora Hewlett Foundation ha fatto una scelta diversa: sorprendendo tutti, l' istituto di beneficenza creato quarant' anni fa dal fondatore della Hewlett Packard ha deciso di donare 113 milioni di dollari all' università pubblica che sorge sulla baia di San Francisco per aiutarla a sopravvivere all' inaridimento delle fonti di finanziamento statale e a continuare a competere con le migliori accademie private. Sintetizza Robert Birgeneau, cancelliere di Berkeley: «Stavolta i privati intervengono con i loro soldi per cercare di salvaguardare il carattere pubblico di questa università», a partire dalla difesa di un corpo accademico i cui migliori professori, dopo i tagli di budget, erano diventati l' obiettivo della «campagna acquisti» lanciata dagli istituti privati più prosperi e blasonati, come Stanford. Negli ultimi anni - anni di polarizzazione dei redditi e di rapida crescita dei patrimoni dei super-ricchi - molti miliardari americani hanno moltiplicato le loro donazioni a favore di istituzioni private che spesso ambiscono a integrare o addirittura sostituire lo Stato in aree (soprattutto dell' istruzione, della cultura, della ricerca medica) nelle quali spesso le sue strutture sono poco presenti o funzionano male. Interventi originati dalle donazioni miliardarie di personaggi come Bill Gates e Warren Buffett più volte descritti anche in questa rubrica, che certo non possono sostituire il welfare pubblico, ma che hanno diffuso una cultura degli interventi di politica sociale non più affidati solo allo Stato che è notevolmente diversa da quella tuttora dominante in Europa. Ma, anche quando rischia di cadere in un eccesso di semplificazione, l' America può sempre contare sul correttivo del suo innato pragmatismo: questi interventi non sono stati impostati quasi mai in termini di battaglia ideologica nei confronti dello Stato e, anzi, di recente tra i miliardari filantropi si è aperta una discussione sull' effettivo valore sociale del loro intervento. All' immobiliarista californiano Eli Broad, convinto che i miliardi della beneficenza privata siano spesi in modo più efficiente e quindi abbiano un effetto moltiplicatore rispetto agli stanziamenti pubblici, il gestore di mutual funds William Gross (che, pure, ha donato decine di milioni a scuole, università e alla ricerca sulle cellule staminali) risponde coi suoi dubbi: i benefattori, che l' anno scorso hanno complessivamente ottenuto 40 miliardi di dollari di sgravi fiscali a fronte delle loro donazioni, spendono sì queste risorse con efficienza imprenditoriale, ma scelgono anche i settori socialmente più bisognosi d' intervento? O si concentrano su quelli che meglio soddisfano il loro «ego filantropico»? Il caso classico è quello delle stelle di Hollywood impegnate nelle campagne per l' Africa: si battono per sradicare l' Aids e la tubercolosi, trascurando malattie di minor appeal mediatico, come la dissenteria. L' iniziativa della Fondazione Hewlett - come, del resto, gli interventi di Bill Gates per le scuole pubbliche in Oregon e nello Stato di Washington - sembrano aprire la strada a forme di filantropia più mature e sofisticate nelle quali l' intervento sociale può passare, a seconda delle opportunità, tanto da iniziative private quanto dal tentativo di far funzionare meglio le istituzioni pubbliche. massimo.gaggi@rcsnewyork.com Gaggi Massimo ________________________________________________________ L’OSSERVATORE ROMANO 21 Sett. ‘07 SISTEMI SCOLASTICI E FORMATIVI DI FRONTE ALLE SFIDE DEL XXI SECOLO Convegno su «Cooperative learning» all'Università Pontificia Salesiano ELENA FAZI Università e la scuola devono diventare sempre di più compagni di viaggio». Con queste parole il Rettore Magnifico dell'Università Pontificia Salesiana, prof. Mario Toso, ha dato il benvenuto agli insegnanti e ai dirigenti che partecipavano numerosi, circa 600, al Convegno di formazione sul tema «Il Cooperative Learning e scuola del XXI secolo: confronto e sfide educative», tenutosi a Roma dal 5 al 7 settembre presso l’Università Pontificia Salesiana, promosso dall'Ups (Università Pontificia Salesiana), dalla Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) e dall'Associazione professionale Uciim (Unione Cattolica Insegnanti Italiani della scuola Media) del Lazio. Il Comitato Tecnico Scientifico, era, infatti, composto dal professore Mario Comoglio, direttore dell'Istituto di metodologia didattica della Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Ups, dal professor Giuseppe Tognon docente di Storia della Pedagogia alla Lumsa e dalla professoressa Franca Talone, vicepresidente Uciim Lazio. Il Convegno è stato patrocinato, inoltre, dal Ministero della Pubblica Istruzione, dalla Regione Lazio c dal Comune di Roma. AI Convegno, oltre al saluto del Magnifico Rettore dell'Ups, vi è stato anche quello dell'onorevole Silvia Costa, Assessore della Regione Lazio all'Istruzione, Formazione c Diritto allo studio e Coordinatore degli Assessori nella conferenza Stato Regioni. Le relazioni sono state svolte da M. Comoglio (Ups) e G. Tognon (Lumsa), L. Bertazzi (formatore) e S. Cacciamani (Univ. Valle d'Aosta), I. Fiorin (Lumsa) e da N. Rosati (Lumsa). Diversi c competenti sono stati anche i relatori delle esperienze didattiche, provenienti da realtà educative diverse quali le scuole, le Asl c l'arca della formazione. Nei primi due giorni sono stati previsti anche spazi strutturati ad hoc e finalizzati al coinvolgimento attivo dei corsisti in «prove» di Cooperative Learning. L'ultimo giorno del Corso, in mattinata, si è tenuta una tavola rotonda coordinata dal prof. Tognon, con la partecipazione del Dott. Calcerano (Direttore Generale della Formazione del personale in servizio Mpi), della prof.ssa Lupidi Sciolla (presidente nazionale dell'Associazione professionale degli insegnanti Uciim), del Dott. Mazzoli (Dirigente Scolastico, facente parte della Commissione che ha stilato le Nuove Indicazioni Nazionali). Il Convegno era rivolto ai docenti e ai dirigenti delle scuole di ogni ordine e grado c intendeva offrire loro la possibilità di ritrovarsi, di confrontare esperienze significative, di orientare sforzi di rinnovamento, di convergere su obiettivi condivisi, di coinvolgersi in un progetto e in un linguaggio comune. La collaborazione tra le due Università e l’Uciim ha favorito il collegamento tra la «ricerca» e la «prassi didattica», la scambio di scienza ed esperienza che, ci si augura, divenga sempre più frequente e sistematico per portare a un reciproco proficuo arricchimento. II programma del Convegno è stato intenso, impegnativo e anche innovativo rispetto ad altri modelli di Convegno. II Rettore Magnifico, a questo proposito, ha sottolineato: «Siete invitati a essere non solo spettatori, ma anche protagonisti. Affrontate tematiche nuove e significative: intercultura, bullismo, nuove tecnologie, metodologie didattiche, abilità per il secolo che ci sta davanti e le disposizioni della mente. Nel programma vi è teoria, ma anche pratica. Insomma credo che vi siano le premesse per entrare in una nuova visione di scuola. [...]». «La vostra partecipazione qui presso l'Università Salesiana - ha aggiunto - ci consente di farvi conoscere la nostra università, i contenuti e il senso del nostro lavoro e il nostro impegno per l'educazione e la scuola, sulla scia del metodo pedagogico - un metodo preventivo anziché repressivo - di Don Bosco e del suo umanesimo globale, aperto alla Trascendenza. Per noi, la vostra partecipazione, oltre che comunicarci stima ed incoraggiamento, è un àrricchimento. E trovare compagni di viaggio con cui unire le forze, a fronte della grande emergenza antropologica e sociale che è l'educazione». La scuola attraversa un periodo di grande impegno poiché i rapidi cambiamenti degli scenari culturali, economici e sociali esigono che i giovani del XXI secolo acquisiscano nuove competenze. Si trova, inoltre, ad affrontare problemi sempre più pressanti e ineludibili, quali la perdita di motivazione ad apprendere, la difficoltà di stabilire relazioni interpersonali efficaci, l'esigenza di imparare a collaborare per raggiungere obiettivi comuni. La società chiede che gli studenti siano preparati ad assumere un ruolo di cittadinanza attiva e responsabile, che siano in grado di affrontare problemi complessi e mal definiti, che siano disposti ad apprendere con continuità per tutta la vita. Queste istanze, assieme ai vari mutamenti socio-culturali, sono stati ben presenti negli interventi dei vari relatori, perché essi interrogano studiosi e ricercatori, ma soprattutto sollecitano gli insegnanti a un rinnovamento radicale delle metodologie di insegnamento e di educazione e a una maggiore consapevolezza sui contenuti adatti a veicolare un apprendimento significativo. Ne è emerso il bisogno, sempre più acuto, di coniugare le nuove competenze metodologiche con la capacità di visione rispetto al futuro, per sapere prevedere i problemi e per acquisire una nuova consapevolezza di ruolo. La realizzazione di un Convegno sull'Apprendimento Cooperativo all'interno di una riflessione sui nuovi trend della società e sulle sfide future per i sistemi scolastici e formativi ha permesso di mettere in evidenza il valore generale di una metodologia che da tempo ha dimostrato di essere efficace a livello non solo di apprendimento ma anche di abilità sociali, di inclusione tra culture diverse e persone diversamente abili, di motivazione, di gestione positiva dei conflitti. Uno spazio particolare, inoltre, è stato dedicato al tema delle «disposizioni mentali» illustrate nella loro ampiezza e complessità, indicate da recenti studi psicopedagogici come una strada privilegiata per il coinvolgimento attivo del discente in un apprendimento motivato, significativo e duraturo. Si è evidenziato che troppo spesso si continua a rispondere a nuove domande di formazione e di riconversione attraverso corsi tradizionali di aggiornamento rivolti a singole scuole o al massimo a piccole reti di scuole. Questo tipo di corsi, per lo più centrati su tematiche scontate o previsti da necessità burocratiche o di carriera, sono apparsi ai vari relatori inadeguati a comunicare le idee e le sfide nuove che la ricerca educativa continuamente promuove, come anche sintesi di esperienze e pratiche di successo diffuse e scientificamente validate. Uno degli scopi previsti e più significativi del Convegno era che non fosse, nella vita professionale dei partecipanti, solo un momento, per quanto importante, di intensa riflessione individuale ma che promuovesse tra gli insegnanti l'idea e l'esigenza di una comunità professionale che recuperi l'iniziativa e che si prenda cura di sé migliorando con continuità la propria professionalità. Con questa occasione formativa i promotori auspicavano, inoltre, di creare le condizioni favorevoli allo sviluppo di un gruppo stabile di scuole e di docenti che, nell'ambito della propria autonomia di ricerca e sviluppo, vogliano migliorare la propria offerta formativa, sostenuti dalla collaborazione con la «ricerca» universitaria. Gli insegnanti che sanno tradurre e sostanziare nella propria attività didattica quotidiana le proposte della scienza, forniscono un concreto e insostituibile feedback agli studiosi. Come ha evidenziato il Rettore Magnifico, «lo scambio proficuo tra riflessione, ricerca scientifica sull'educazione e sull'apprendimento e pratica reale e concreta, di cui l'associazionismo professionale rappresenta un'espressione, consente di vedere più facilmente gli sbocchi operativi e le necessarie progettualità [...]. II salto di qualità di una scuola moderna dipende molto da una nuova e costante prassi di ricerca sul piano della didattica, che obbliga a commisurarsi costantemente ai destinatari e al contesto socio-culturale». Le autorità politiche, presenti al Corso, hanno assicurato il proprio interesse e appoggio al lavoro delle scuole e auspicato che si possano ripetere sistemati camente e frequentemente opportunità formative così significative e di livello. L'onorevole Silvia Costa, in particolare, ha garantito il suo costante impegno nel presentare proposte e progetti e nel sostenere quelli avanzati dalle scuole, volti a creare per i giovani l'opportunità di un orientamento attivo e dinamico. Lavorerà anche per ridurre l'abbandono scolastico, attualmente pesante come rilevato dall'Osservatorio Regionale sulla dispersione, e per recuperare, con un progetto specifico, il patrimonio di esperienza delle persone uscite dal mondo del lavoro ma disposte a contribuire ancora alla formazione e all'educazione dei giovani. Della scuola italiana e dei suoi operatori si dice sempre un gran male, se ne evidenziano carenze e inadempienze ma di ciò che quotidianamente nelle classi gli insegnanti realizzano con i propri alunni raramente viene fatta menzione. Come ha sottolineato la professoressa Maria Teresa Lupidi Sciolla, (Uciim) «fa notizia l'insegnante che sbaglia ma più di cinquecento insegnanti, di ogni ordine e grado di scuola, convenuti da ogni parte d'Italia al Convegno non vengono notati da nessuno. Chi meglio degli insegnanti comprende e vive quotidianamente la crisi e l'emergenza della società e della scuola? Gli insegnanti vogliono aggiornarsi e trovare nuove possibili strade educative per il mondo che cambia e, se si offrono loro serie e valide opportunità, sono disponibili a spendere, in proprio, tempo e denaro per un significativo perfezionamento professionale. Purtroppo però tutto questo non fa notizia». Anche il Rettore Magnifico ha voluto lodare l'impegno personale dei partecipanti. «La vostra presenza qui - egli ha detto - è segno di una profonda consapevolezza: la serietà della scuola, non viene primariamente da un riformismo dall'alto, a colpi di circolari e di annunci ministeriali, ma anzitutto da una rinnovata coscienza dei suoi soggetti e dalla loro mobilitazione morale e culturale. La scuola deve ritrovare in sé la capacità di un'autoriforma dal basso, coadiuvata certamente dalle leggi e dall'istituzione statale, che però non sono ultimamente decisive: queste poco potrebbero quando non vi fosse sincera dedizione e ferma volontà di bene». Riallacciandosi a queste affermazioni il Dott. Paolo Mazzola ha fatto notare come, infatti, le Nuove Indicazioni Nazionali siano state proposte in via sperimentale e necessitino delle osservazioni, delle critiche e delle proposte della base per poter essere, tra due anni, tradotte in un testo definitivo anche perché condiviso. Alla chiusura del Convegno il professor Comoglio ha ringraziato i partecipanti per il loro impegno e interesse costanti in un Convegno così intenso per I contenuti e tempi di lavoro e ha prospettato l'edizione di altri Corsi con cadenza annuale a turno in altre parti d'Italia. Comoglio ha, infine, invitato i docenti ad accedere al sito creato ad hoc «cooperativelearning.unisal.it», per scaricare materiali, inserire contributi, «dialogare» con esperti e colleghi, scambiare attività, esporre difficoltà insomma per cominciare a costituire, dall'esperienza vissuta nel Convegno, una «Comunità che Apprende» e che collabori proficuamente per migliorare costantemente la I qualità della propria formazione e azione educativa di fronte alle sfide del XXI secolo. Sistemi scolastici e formativi di f,-, alle sfide del XXI secolo _________________________________________________________________ Corriere della Sera 21 Sett. ‘07 ATENEI, LA LOTTERIA DEI TEST D' INGRESSO Dei test per l' ammissione all' università si è detto e scritto di tutto: che costano troppo; che sono cervellotici; che sono sbagliati; che sono in vendita; che ledono il diritto allo studio. Nessuno però ne ha messo in discussione l' efficacia per la selezione degli studenti. Ha fatto eccezione Raffaele Simone, che su Repubblica li ha sostanzialmente definiti un' americanata introdotta in Italia negli anni ' 50 come la Coca Cola ed altri segni di una modernità a buon mercato. Ma neanche lui ha indicato un' alternativa convincente, se non quella di dare maggior peso al voto di maturità, del quale però, a suo avviso, non sempre ci si può fidare. Non ha indicato, invece, la soluzione più ovvia, e cioè che siano gli stessi docenti universitari a selezionare i loro studenti, esaminandoli non solo in uscita, ma anche in entrata. Si dirà che, con l' aria che tira in certe Facoltà, gli episodi di nepotismo si moltiplicherebbero. Si dimentica, però, che per il codice etico di certi baroni mettere una firma sotto un verbale d' esame taroccato è più grave che barare alla tombola dei test psico-attitudinali somministrati da anonime società di selezione. L' esame, ovviamente, non dovrebbe aver luogo a freddo, come la somministrazione dei test, ma al termine di un breve corso di orientamento che potrebbe essere collocato o nell' ultimo anno della scuola secondaria superiore o, meglio, nel primo semestre dell' anno accademico. Per gli studenti non sarebbe una perdita di tempo maggiore di quella, devastante, determinata dalla dispersione universitaria, ancora rilevante nonostante l' introduzione della laurea triennale. E non sarebbe una perdita di tempo neanche per le università, che solo così potranno difendere un istituto, quello del numero chiuso, che altrimenti gli scandali di queste settimane cancelleranno definitivamente. L' istituto, invece, merita di essere difeso proprio per garantire quel diritto allo studio evocato a sproposito in questa circostanza e che la Costituzione riconosce «ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». Sono i privi di mezzi capaci e meritevoli, infatti, le prime vittime del disordine della didattica universitaria, visto che i dotati di mezzi possono provvedere alla propria formazione prescindendo dall' offerta pubblica. L' altra vittima è il Paese, che non può più permettersi di sprecare risorse per finanziare una università a cui si accede con una lotteria e dalla quale si esce con un' altra lotteria. Covatta Luigi _________________________________________________________________ La Voce 14 Sett. ‘07 LA LOTTERIA PER L’ACCESSO A MEDICINA: I QUIZ NON SONO IL SISTEMA IDEALE ma i giovani devono impegnarsi di più di Matteo Bordiga Test risibili. Inadeguati a rilevare le effettive capacità e competenze degli aspiranti dottori. Dunque, attenzione: essere bocciati ai quiz di ammissione alla facoltà di Medicina non può rappresentare un dramma. E, soprattutto, non deve far smarrire la fiducia in sé stessi e nella propria preparazione di base. Non lo dice uno studente bocciato, ma il preside della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Cagliari, Gavino Faa. Il quale confessa di non digerire «queste prove a risposta multipla che, se agli studenti americani vengono somministrate fin dai primi anni di scuola elementare, in Europa sono ancora una novità. Ecco perché i ragazzi italiani accusano tante difficoltà al momento di affrontarle: non sono abituati a rapportarsi con quesiti schematici, pieni di trappole e di “distrattori”, da risolvere nel giro di un paio d’ore». Detto questo, rimane da affrontare la realtà: per gli studenti sardi, gli esiti dei test di ammissione svolti il 4 settembre sono stati disastrosi: Sassari si è piazzata all’ultimo posto in Italia, e Cagliari non è stata capace di fare molto meglio. Ferme restando le perplessità sollevate dalle indagini sulle possibili truffe in alcune sedi (Bari, Catanzaro e Ancona in testa), occorre capire perché i futuri medici sardi soffrono mediamente più dei loro colleghi la sindrome da quiz a risposta chiusa. «E qui c’è da fare un discorso ad ampio respiro», risponde Faa, «perché, pur senza negare la scarsa attendibilità dei test, il problema va inquadrato anche da altri punti di vista. Ad esempio, da tempo mi chiedo se, in Sardegna, le famiglie degli studenti riconoscano alla scuola l’importanza capitale che essa riveste nella formazione dei ragazzi. I quali, purtroppo, spesso crescono vivacchiando sui libri, coccolati e protetti da padri e madri che li difendono sempre e comunque. Accusando, magari, i professori e l’organizzazione scolastica per i loro scarsi risultati nelle materie fondamentali». Insomma, se da un lato i test riflettono una conoscenza sommaria e puramente nozionistica, dall’altro gli studenti non si impegnano come dovrebbero per superarli: «Anche quest’anno, alla prova di Medicina si sono presentati candidati abbronzatissimi, magari appena tornati dal Poetto. Forse in pochi hanno chiaro che, per affrontare una prova di ammissione a un corso universitario, occorre ammazzarsi di studio per tutta l’estate. E poi qualcuno si lamenta dell’incapacità degli insegnanti delle scuole superiori… I quali, peraltro, talvolta non vengono neppure messi in condizione di fare lezione da alunni maleducati e assolutamente disinteressati ai contenuti didattici». Sotto accusa, dunque, finisce per l’ennesima volta la mentalità e l’impostazione culturale della società sarda: «Quell’apatia e insofferenza strisciante nei confronti dello studio, alimentata dall’atteggiamento indulgente e complice dei genitori», insiste Faa. «Prima di puntare il dito contro la scuola, perché non proviamo a guardare con un po’ più di attenzione dentro noi stessi e le nostre famiglie? Che stimoli sappiamo dare ai nostri figli, quando li vediamo tutta la sera davanti al pc o ai videogiochi? Giusto qualche giorno fa, un collega belga è venuto a trovarmi con i suoi sei figli. Di cui quattro, al mare, leggevano un libro sotto l’ombrellone. Ora domandiamoci: quanti giovani sardi oggigiorno vediamo leggere dei libri al mare? Pochissimi. Non solo non si leggono più libri, ma sono sprofondati nel dimenticatoio perfino i fumetti…». Insomma, una situazione di disagio diffuso, di refrettarietà agli stimoli culturali e didattici di cui sembrano soffrire gli studenti isolani: «Ciononostante, faccio notare che quest’anno, pur nell’insufficienza generale, i punteggi degli aspiranti dottori di Cagliari sono stati leggermente migliori di quelli del 2006», evidenzia il preside di Medicina. «Merito anche dei corsi, denominati “Sos test”, che l’Università ha tenuto dallo scorso febbraio nelle scuole superiori, per insegnare ai ragazzi come affrontare le prove a risposta multipla. Con la collaborazione, ovviamente, dei docenti liceali». Ma, tornando al problema-quiz, se le risposte chiuse non restituiscono un’immagine fedele del valore del candidato (certe domande sul motto dell’Unione Europea e sull’estensione di alcuni Paesi, fra cui Norvegia e Finlandia, non appaiono in effetti delle inconfutabili cartine di tornasole per valutare la preparazione di un futuro medico), perché non le si abroga? «In realtà, un colloquio orale sarebbe l’ideale per esaminare ciascuno studente», ammette Faa, «ma i test si sono imposti perché consentono di risparmiare tempo: con ottanta domandine, in due ore si scremano molto velocemente 1.400 candidati. Allora, siccome oggi questo è il metodo di selezione adottato, bisogna che la scuola abitui i ragazzi a risolvere questi quesiti. Lo dico anche se io stesso, personalmente, non mi vergognerei a essere bocciato a un quiz di ammissione. Appunto perché non ho dimestichezza con la struttura di compitini nozionistici come quelli proposti dal ministero». In definitiva, un invito accorato agli studenti: «Impariamo a risolvere questi benedetti test ma, soprattutto, drizziamo le antenne nei confronti di ciò che ci incuriosisce e ci affascina. Torniamo a leggere, a informarci, ad acculturarci. Non abbattiamoci se veniamo respinti per non aver saputo inserire correttamente ottanta letterine. Puntiamo invece alla sostanza, ai concetti. E risvegliamo la nostra ricettività e sete di conoscenza». La prossima volta andrà sicuramente meglio. ________________________________________________________ L’Unità 17 Sett. ‘07 MESSINA, I QUIZ MIGLIORI? FATTI TUTTI NELLA STESSA AULA Università: tra i 10 test con punteggi top, 9 ottenuti in quella numero 3. Tra i primi 20 ben 17 nella stanza «magica» di Manuela Modica /Messina GLI STUDENTI più preparati d'Italia? Tutti a Messina, e tutti in un'aula. Tra i primi dieci studenti che realizzano la vertiginosa media di 71,18 infatti, 9 sono tutti nell'aula 3. Ma non basta. Sfogliando ancora i nomi dei primi 20 si scopre che ben 17 di loro svolgevano l'esame nella stessa aula, sempre la numero 3. Se si allarga lo sguardo di indagine sui primi 100 invece sono due le aule che registrano il miglior risultato: tra i primi 100 arrivati al test d'accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia di Messina, 35 hanno svolto l'esame nell'aula 3 e 22 nell'aula 4. Ancora un'«anomalia statistica», dunque, usando le parole con cui proprio il ministro Mussi si era riferito - il giorno stesso dell'esplosione della quizzopoli universitaria - ai risultati top a livello nazionale registrati proprio a Messina nelle prove d'ammissione. Gli aspiranti medici regalano perciò un primato talmente insolito da gettare ancora una volta l'Ateneo dello Stretto nello scandalo. E talmente sospetto da aprire una nuova inchiesta. È Io stesso titolare del ministero dell'Università e della Ricerca a sollecitare la Procura messinese; «Invierò gli atti alla procura di Messina perché indaghi». E la sollecitazione del ministro viene raccolta: giovedì infatti la Guardia di Finanza ha sequestrato gli atti del concorso 2007 dell'ateneo siciliano. Un faldone che va ad aggiungersi agli atti del concorso 2005 che la polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, su ordine del pm Antonino Nastasi, aveva già sequestrato i17 settembre. Un fascicolo che era nato dall'esposto presentato in Procura da uno studente che all'epoca non riuscì a passare gli esami di ammissione alla facoltà a numero chiuso di Medicina, ma che a rilevò delle «anomalie» nelle procedure di selezione. Ma già in passato la Procura aveva indagato sugli esami di accesso alla facoltà di Medicina dello Stretto: nel 2004 otto persone, tra professori, personale amministrativo, studenti e mediatori esterni, venivano indagate proprio a proposito degli esami di ammissione. Si trattava di un filone di indagine del maxi procedimento «Panta Rei», il processo sulle infiltrazioni della `ndrangheta all'Università messinese. L'ennesima anomalia non giova senz'altro al prestigio dell'ateneo siciliano, già compromesso da numerose inchieste, di cui l'ultima poco più di un mese fa, che aveva portato all'arresto di cinque persone, e alla sospensione del Rettore Franco Tomasello, preside di Medicina per diversi anni, tra gli indagati. E mentre i1 professore Emanuele Scribano, preside della Facoltà di Medicina, difende le procedure di selezione della Facoltà - «Le procedure sono affidate esclusivamente al Muir, le sedi universitarie non sviluppano alcun ruolo attivo nella selezione. La sola sede dove, in astratto, può avvenire una fuga di notizie è il Ministero» - una lettera anonima, pervenuta alla Camera del Lavoro messinese, aveva già denunciato delle incongruenze avvenute durante lo svolgimento dell'esame: «In alcune aule sembra che sia stato consentito di iniziare la prova con ben 30 minuti di anticipo rispetto all'orario ufficiale». A Mediciana già sequestrati i faldoni del concorso 2007 la Procura sta facendo indagini Sui risultati Mussi aveva parlato di «anomalie statistiche» Ed ecco che arrivano nuovi particolari _________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 Sett. ‘07 LE «DOPPIE VERITÀ» DELLA RICERCA Troppe scoperte che conquistano i titoli dei giornali il mese dopo vengono messe in dubbio. Il filosofo Giorello: ma anche questo aiuta a conoscerci Dal peperoncino alla playstation «Fa bene». «No, danneggia». Così gli studi si smentiscono l' uno con l' altro MILANO - Il peperoncino fa bene alle arterie. Chi nasce per primo è più intelligente. L' aglio abbassa il colesterolo «cattivo». Progressisti o conservatori, è tutta questione di corteccia cerebrale. Avete preso nota? Bene, proseguiamo: il peperoncino è dannoso per la prostata. I secondogeniti fanno la Storia, e i maggiori stanno a guardare. L' aglio non abbassa il colesterolo, però fa impennare l' alitosi. L' unica affermazione non smentita, finora, è quella sull' inclinazione politica: forse perché la relativa ricerca dell' università di New York risale solo alla scorsa settimana. Non ci fosse (spesso) di mezzo la salute, verrebbe da prenderla come un gioco: basta scavare negli archivi della memoria, e subito sbucherà una scoperta che per un giorno ha conquistato i titoli dei giornali, salvo essere smentita a distanza di pochi anni, se non di pochi mesi. L' ultimo in ordine di tempo è anche un caso-limite: è bastato un comunicato della Società italiana di urologia, con cui si accusava il suddetto peperoncino di provocare la prostatite, spalancando la porta a lesioni cancerose, per scatenare la reazione dei suoi sostenitori. Tutti pronti a giurare, dati alla mano, che il peperoncino è anzi un potente antitumorale, grazie al suo principale agente piccante, la capsaicina. Una scena che, negli anni, si è ripetuta per gli argomenti più disparati, dalla cancerogenicità delle patatine fritte - sostenuta nel 2002 dalla Fda statunitense, smentita sei mesi dopo da due scienziati italiani - al complesso di Elettra, secondo cui ogni donna cercherebbe nel partner il riflesso della figura paterna: a giugno, uno studio inglese ha dimostrato che, con buona pace di Freud, «capita solo a chi ha avuto un felice legame con il padre». E così via, in un' altalena tra il serio e il faceto, dal diritto di primogenitura sul QI al recente «ribaltone» sugli effetti della pillola contraccettiva. «Viene in mente la battuta di Bertrand Russell sulla nocività del fumo - commenta Giulio Giorello, filosofo della scienza -: "state attenti, perché ora gli esperti si divideranno nel dare pareri, a seconda che siano o no fumatori". Una considerazione banale, ma molto umana». Di certo, però, non rassicurante per chi si vede sballottato tra una nuova scoperta e il suo esatto contrario. «Ma questi tormentoni, caffè sì caffè no, vino sì vino no, vanno presi cum grano salis. Diverso è il discorso per altri campi, nei quali bisognerebbe saper discutere con sobria competenza e non con isteria: gli Ogm, il nucleare...». Il «palleggio», prosegue Giorello, «avviene tutte volte che entrano in gioco profonde componenti emotive, e non ci sono dati sufficienti per un parere definitivo». Un' altalena di dubbi che spesso gioca sulla «fame» dei media, disorientando i lettori. «Ma quel che conta è il lavoro serio, il resto sono fuochi d' artificio. La conoscenza scientifica non è un insieme di verità da affermare una volta per tutte, bensì un' arena in cui c' è una libera competizione di intelligenze diverse. Chi viene smentito dovrebbe ringraziare: è un modo per liberarsi dall' errore». Un terzo delle ricerche, in fondo, è destinato ad essere ridimensionato: lo dice uno studio realizzato nel 2005 dal Journal of the American Medical Association. Perlomeno, fino alla prossima smentita. * * * CHI DICE SI' VIDEOGIOCHI UTILI *** Nel 2006 la rivista Acta Psychologica promuove i mondi virtuali e i videogames: «Allenano la vista a interpretare più velocemente l' ambiente che ci circonda» *** SÌ AL DECAFFEINATO *** Gli studi «classici» accusavano il caffè di aumentare i fattori di rischio per le malattie cardiache: tutta colpa della caffeina, molto meglio una bevanda decaffeinata *** VINCE IL SECONDO *** Nel 1996 una ricerca del Massachusetts Institute of Technology (Mit) sostiene: i secondogeniti sono i veri rivoluzionari, quelli che «fanno la storia», mentre i primogeniti sono noiosi e abitudinari *** SÌ AL PEPERONCINO *** Secondo gli studi del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles e, tra gli altri, del dipartimento di Urologia dell' ateneo di Ferrara, il peperoncino è un potente antitumorale *** PILLOLA ANTI CANCRO *** Una settimana fa una ricerca pubblicata sul British Medical Journal afferma che l' assunzione della pillola anticoncezionale può ridurre il rischio di tumori in età avanzata * * * CHI DICE NO RISCHIO IRREALTÀ *** Nel 2005 l' American Psychological Association aveva messo sotto accusa i videogames: giocare alla playstation isola dalla realtà, rende irascibili e violenti *** MEGLIO IL CLASSICO *** Nel 2005 uno studio Usa ribalta la prospettiva: il caffè classico è un «elisir di giovinezza», il decaffeinato invece fa salire il colesterolo cattivo, o Ldl, e può danneggiare il muscolo cardiaco *** QI ALTO PER I PRIMI *** Nel 2005 e nel 2007 due studi riabilitano i figli maggiori: sono più bravi a scuola (lo rivela una ricerca che esamina l' intera popolazione norvegese) e hanno un QI più alto *** PERICOLO PROSTATA *** Pochi giorni fa gli esperti della Società italiana di urologia hanno invece accusato il peperoncino di danneggiare la prostata, con il rischio di aprire la strada a lesioni cancerose *** NO AI CONTRACCETTIVI *** Nel 2005 l' Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione aveva classificato i contraccettivi estroprogestinici (la «pillola») come carcinogeni di classe 1 * * * 1 su 3 LE SMENTITE Uno studio su 3 in seguito viene smentito * * * L' ITER Dai laboratori ai mass media Il «marchio di qualità» alle ricerche è fornito dalla pubblicazione su autorevoli riviste scientifiche, che valutano e selezionano i lavori; da qui, il passaggio ai media avviene tramite comunicati, che devono «semplificare» la scoperta per renderla comprensibile. Un altro problema è la ricerca di visibilità per ottenere fondi o pubblicità, cosa che tende a «falsare» il reale valore scientifico. Jacomella Gabriela _________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 Sett. ‘07 LA MALDICENZA COLPISCE DI PIÙ LE PERSONE GENEROSE La maldicenza è dovunque attorno a noi. Ma si presenta in forme diverse, più o meno cattiva e più o meno pericolosa. La modalità più semplice è quella del pettegolezzo, una forma di sapere sulle relazioni umane nascoste, non ufficiali, uno scavare nei sentimenti degli altri, nelle loro relazioni erotiche riservate. Un sapere essenzialmente femminile, perché sono le donne che studiano l' animo umano, l' amore, l' odio, l' erotismo, e ne parlano quotidianamente fra loro. E nel pettegolezzo può esserci l' informazione maligna, che diventa un' arma nelle mani di chi ha risentimenti e rancori. Esiste poi la maldicenza degli uffici, di tutti gli uffici, dagli ospedali all' università, che nasce da rivalità, invidie, ingiustizie. Diverse volte, non appena chiamato a dirigere una nuova istituzione è venuto qualcuno a darmi informazioni - riservate, riservatissime si intende - un semplice «si dice», su tizio, caio, le loro storie sessuali, i loro errori, gli imbrogli che hanno fatto. E a spiegarmi perché questo ha fatto carriera e l' altro no. Pettegolezzi maligni per liberarsi di avversari, per farsi strada. Ma che contengono qualche verità per cui alcuni cattivi dirigenti li incoraggiano. La terza forma di maldicenza è quella «del lamento». C' è gente che, quando ritiene di essere ingiustamente trattata da qualcuno, l' accusa di essere un delinquente, un farabutto e gli attribuisce ogni tipo di malefatte. Salvo poi, non appena costui l' aiuta, dirvi invece che è bravo, intelligente, onestissimo. È un veleno che gira molto nei corridoi del potere e della politica. Poi c' è la maldicenza che nasce dall' invidia e che colpisce chi sta in alto, chi ha potere. Meno quelli che hanno posizioni consolidate, i duri, i violenti che incutono paura e che si vendicano. Molto di più le persone aperte e generose, che fanno tutto bene e sono amate dalla gente. Perché l' invidia si rivolge sempre ai migliori, non ai peggiori. È il loro valore che odia. Da ultimo abbiamo la calunnia intenzionale, la menzogna scagliata per distruggere il credito di chi è salito in alto e prenderne il posto. La calunnia che prepara e giustifica la congiura, come nel caso di Cesare accusato di voler diventare re. O contro il generale Dalla Chiesa accusato di mettersi troppo in vista. Un metodo che viene sempre adoperato contro chi ha creato qualcosa di grande ma ha, come difesa, solo il suo valore e la sua rettitudine. www.corriere.it/alberoni Alberoni Francesco ________________________________________________________ TST 19 Sett. ‘07 SENZA NUCLEARE L’ECATOMBE DELL'UMANITÀ Gli ecologisti non capiscono: l'equilibrio della Terra è distrutto L’atomo darà energia e produrrà il cibo sintetico per sopravvivere JAMESLOVELOCK OXFORD UNIVERSITY lo non ho cambiato opinione sull'energia nucleare. In realtà sono sempre stato a favore del nucleare. L'ho dichiarato apertamente già nel mio libro «Gaia: a new look at life on Earth», pubblicato la prima volta nel 1979. Penso che «Nucleare è naturale», per usare uno slogan. Intendo dire che l'Universo vive di energia nucleare: la vita sulla Terra è infatti il risultato dell'esplosione nucleare di una Supernova. E il Sole, che permette il perpetuarsi della vita, è un'immensa centrale nucleare. Non c'è motivo per non sfruttare una fonte di energia che la natura stessa utilizza. Quanto alle scorie tossiche, che preoccupano tante persong non vedo il problema. Hanno un sistema di conservazione sicurissimo. Poco tempo fa, per esempio, mi trovavo a Le Havre, in Francia, con mia moglie e ci siamo accorti che stavamo tranquillamente camminando sopra un deposito di scorie nucleari: sono conservate in una stanza grande quanto la sala di un cinema, a tre medi sodo la superficie. Sono custodite sottoterra e le radiazioni non ci raggiungeranno mai. Nessuno, invece, sembra pensare al fatto che ogni anno il Pianeta produce una montagna di anidride carbonica alta 1,6 chilometri e con una base di 20. Questa si che è pericolosa e ci ucciderà. Quando sostengo il nucleare, io non tradisco affatto la teoria di Gaia, ma semmai la rafforzo. Questa ipotesi, infatti, esprime una scienza del «Sistema Terra»: è un modo per capire il nostro pianeta, come si presenta a noi umani. Nel libro «The Revenge of Gaia», invece, ho esaminato gli effetti di questo Sistema sull'uomo e in particolare le conseguenze dei danni che abbiamo inflitto al pianeta. Abbiamo «offeso» la Terra e adesso la Terra reagisce o - meglio - si sta vendicando. Ecco perché l'ecologismo classico ha un approccio troppo umanistico: pensa che prima venga l'uomo e poi il suo ambiente e che entrambi possano vivere insieme in armonia, se il genere umano riesce a tornare in equilibrio con il suo habitat. Deve, invece, aprire gli occhi e capire che non è più possibile, perché l'equilibrio armonico è stato infranto in modo irrimediabile. Anche il Vaticano dovrebbe essere d'accordo con questo principio, perché la Terra è parte della Creazione e l'uomo non ha il diritto di distruggerla. Da questo punto di vista, penso che le energie alternative siano inutili, al punto in cui siamo arrivati, perché nessuna può cambiare la situazione in modo radicale. Non c'è più tempo. C'è un'unica fonte alternativa immediatamente sfruttabile: è l'acqua, ma purtroppo è già sfruttata al massimo delle sue potenzialità. Sono anche perplesso sull'energia eolica, mentre quella solare è difficile da utilizzare subito e in quantità sufficienti. Forse, in Paesi molto soleggiati come l'Italia, si potrebbe fare qualcosa di più, ma non basterebbe comunque. Dev'essere chiaro che l'unica soluzione, adesso, è l'energia nucleare. So che questa affermazione può creare dei problemi politici in molti Paesi, ma non è necessario che ognuno possieda le proprie centrali. In Europa, per esempio, la Francia potrebbe potenziare i suoi impianti e rifornire altri Paesi e, infatti, già lo sta facendo. arrivato il momento in cui dobbiamo accettare il fatto che sulla Terra siamo ormai in troppi. E'probabile che soltanto il 20% della popolazione attuale sopravviverà alla fine di questo secolo. C'è più gente sulla Terra di quanta questa sia in grado di nutrire. So che è un'affermazione difficile da accettare, ma l'unico modo per uscirne sarebbe sintetizzare il cibo da prodotti chimici: è una tecnica, però, da associare all'uso dell'energia nucleare. Se seguissimo gli appelli degli ecologisti, invece, dovremmo tornare al naturale e mangiare solo cibo «bio». E' un'ipotesi magnifica, ma così si salverebbe solo mezzo miliardo di persone, che è una piccola percentuale (circa un 13') della popolazione totale. Ci troviamo, quindi, di fronte a un terribile dilemma. La verità è che le previsioni sono fosche. In linea di principio potremmo anche provare a manipolare il clima, ma così non faremmo altro che guadagnare un po' di tempo. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno pensato a «scudi» nella stratosfera per riparare la Terra dal surriscaldamento. In realtà nemmeno questa possibilità può rappresentare un'alternativa all'utilizzo dell'energia nucleare. Il tempo, ormai, stringe. L'Ipcc dell'Onu -l’Intergovernmental Panel for Climate Change - sostiene che nel 20501a maggior parte del pianeta sarà soggetto a un clima simile a quello del Sahara. Secondo alcune proiezioni, già nel 20401e temperature medie estive saranno simili a quelle che sono state registrate nel torrido agosto 2003 nel Sud dell'Europa. Chi potrà permetterselo sopravviverà grazie all'aria condizionata, ma il problema più tragico saranno le coltivazioni: non crescerà più niente, fatta eccezione per alcune aree. La gente comincerà quindi a migrare verso i Paesi con un clima fresco e umido (in Europa verso la Gran Bretagna e la Penisola scandinava). Queste masse migranti andranno comunque nutrite e l'unico modo, appunto, sarà il cibo sintetico. Per loro dobbiamo cominciare a pensare a quella che definisco una «Sustainable retreat», una ritirata sostenibile. Lo scenario è catastrofico, lo so, ma il vero problema su cui dovremmo concentrarci è che tutti questi disastri stanno accadendo troppo velocemente rispetto alle capacità di reazione dell'uomo. La Terra va veloce e l'uomo va adagio. Il Protocollo di Kyoto è stato stilato solo 10 anni fa e da allora non è successo niente. Siamo esattamente al punto in cui eravamo allora e abbiamo già perso 10 anni preziosi. ======================================================= ________________________________________________________ Repubblica 13 Sett. ‘07 QUANDO I MEDICI DIVENTANO CASTA Di padre in figlio nei posti di potere VLADIMIRO POLCHI ROMA- Le colpe dei padri non ricadono sui figli, ma i posti di lavoro sì. Raramente negli uffici gli stessi cognomi sono solo una coincidenza: più spesso sono figli, nipoti, mogli che ereditano da padri, zii e mariti un buon incarico. La chiamano "parentepoli": una mala pianta che tra ospedali pubblici e università di medicina ha messo salde radici. Come dimostra tra l'altro lo scandalo-test di questi giorni: figli di medici, che entrano all'università grazie a quiz truccati. Che il nepotismo sia ben radicato nel Bei Paese è risaputo. Una pratica diffusa in tutti gli ambienti, che fa notizia soprattutto quando ha a che fare con 1a salute pubblica degli italiani. La casistica è ricca e ben distribuita sul territorio nazionale. Tutto legale, sia ben chiaro, e spesso alla luce del sole. A Roma, per esempio, è sempre in auge la "casata" di Giovanni Dolci, autorevole ordinario di clinica Odontostomatologica. Una saga universitaria che parte dalla facoltà di Odontoiatria della Sapienza e si dirama anche fuori della capitale. A cominciare dalla figlia Chiara Dolci, odontoiatra e assistente di Odontoiatria all'ospedale Bambino Gesù di Roma e da Davide Sarzi Amedè, marito di Chiara e professore associato di malattia Odontostomatologica alla II facoltà di Medicina della Sapienza Sant'Andrea. Poi c'è i1 figlio Alessandro Dolci, professore associato presso l'Università di Tor Vergata. Alessandra Marino, moglie di Alessandro, è invece ricercatore alla II facoltà di Medicina della Sapienza Sant'Andrea. L'altro figlio, Federico Dolci, laureato in Odontoiatria, si è trasferito a Tor Vergata per iniziare 1a sua carriera. E ancora: Livio Gallottini, nipote di Dolci e professore associato di Odontoiatria conservativa alla Sapienza di Roma e un altro figlio, Marco Dolci, ordinario all'Università di Chieti. Tutti entrati - va detto - attraverso concorsi ineccepibili. E in tema di concorsi, i14 settembre scorso a Palermo sono stati sostituiti due membri della commissione che doveva valutare i test d'ingresso a medicina, perché tra i candidati c'erano loro parenti. «Si tratta di un fatto fisiologico, che avviene quasi ogni anno - spiega il preside di Medicina, Elio Cardinale - ilnostro è stato un atto dovuto e in direzione proprio della trasparenza». A proposito: i candidati erano 2.123 per 250 posti, da ripartire tra 1e sedi universitarie di Palermo e Caltanissetta. C'è poi Firenze, dove i vertici della facoltà hanno quasi tutti eredi. La figlia del preside di Medicina, Gianfranco Gensini, internista e cardiologo, lavora in ospedale; quella del prorettore Calogero Surrenti, gastroenterologo, si occupa addirittura della stessa disciplina. Lavora a Careggianche la figlia di uno dei più importanti ricercatori italiani nel campo dell'immunologia, Sergio Romagnani. Ci sono poi figli di medici e professori passati dall'ospedale e oggi in pensione, come i primari ospedalieri di medicina Carlo Nozzoli e Alessandro Morettini e quello universitario di chirurgia Francesco Tonelli. A Napoli sono addirittura una ventina i figli di genitori illustri che occupano la poltrona che fu di papà. Eclatante i1 caso Motta con due esempi in famiglia. Gaetano è ordinario di Otorinolaringoiatria al Secondo Ateneo e il fratello Sergio è professore associato nella stessa disciplina alla Università Federico II. Entrambi sono figli di Giovanni, oggi professore emerito e fino a qualche anno fa ordinario nella stessa sede universitaria. La nomina di Gaetano è stata al centro di un'inchiesta giudiziaria per le modalità che avrebbero consentito ai rampolli di alcuni famosi docenti in varie facoltà italiane di arrivare pur giovanissimi (Motta junior a soli 32 anni) a occupare il più alto ruolo accademico. Una carriera rapida, secondo le accuse, decisa a tavolino da professori universitari, che avrebbero fatto parte della commissione esaminatrice. AI Policlinico di Bari, infine, sono tanti i figli che decidono di seguire la carriera del padre. È il caso del preside Antonio Quaranta e del figlio Nicola, tutti e due nello stesso dipartimento. Stessa situazione a medicina interna, dove Riccardo Giorgino ha passato a suo figlio Francesco la direzione della clinica o a urologia dove Arcangelo Pagliarulo e suo figlio Vincenzo sono gli unici due professori universitari. _________________________________________________________________ Repubblica 18 Sett. ‘07 Sanità e affari sociali : SE NELLE AZIENDE SANITARIE VINCE LA LOGICA DEL BUDGET PAOLO CORNAGLIA FERRARIS CARO Direttore, ci siamo dovuti abituare a considerare aziende i “nostri” ospedali. Una riforma guidata da ragioni economiche ha creduto di farci uscire da sprechi e ruberie, erogando prestazioni sanitarie in modo efficiente. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è che l’aziendalismo sanitario ha aumentato la competizione tra chi vende diagnosi e cure, con larga espansione di esami inutili, terapie inappropriate, chirurgie inopportune. La logica del “budget” ha prevalso su qualunque altra considerazione. I medici sono valutati per quanti euro riescono a far incassare all’azienda. Su ciò, pesano (lo si vede periodicamente in cronaca) le logiche lottizzate di designazione dei manager ASL, espressione degli interessi dei potentati politici “loco regionali”. Tutto ciò rende necessario aumentare di continuo il danaro necessario al fondo sanitario pubblico, portando chiunque governi a confrontarsi con una domanda di salute incomprimibile, che si oppone alla continua richiesta di riduzione delle tasse. Ma il ministro Padoa- Schioppa non è un medico, né lo è Livia Turco. Devono fidarsi di quanto viene loro indicato come indispensabile, provando a tagliare il resto. Ma siccome tutti coloro cui si prospetti una riduzione di risorse gridano allo scandalo e al delitto, come sarà possibile contenere la spesa sanitaria, voce maggiore dei bilanci regionali, senza togliere a tutti noi le cure necessarie? Dovremo rassegnarci alla logica che chi è ricco compra la propria salute e chi non lo s’accontenta della “sanità”. Impossibile senza accettare che cresca un progressivo malessere sociale, politicamente troppo caro da pagare. Eppure esiste un modo per rendere la spesa sanitaria sostenibile: evitare che essa obbedisca al mercato e s’allontani, quanto prima, da logiche aziendali. Provo a spiegarlo. I luoghi di cura e quelli di servizio alle persone fragili (malati), funzionano bene e non sprecano quando consentono a chi cura di sviluppare con i curati una relazione fiduciaria stabile. Se io, malato, mi fido del medico e dell’infermiere che mi curano, permetto loro di scegliere, insieme a me, quali esami fare, quale terapie selezionare, considerando la necessità di puntare su ciò che costa meno, a parità di efficienza e sicurezza. Se io, medico, mi fido del mio paziente, ne conosco le abitudini e le debolezze, ho sviluppato con lui un rapporto di responsabilità condivisa, posso rischiare di prescrivere meno esami di controllo, affidando a lui la responsabilità di indicare per tempo segni e sintomi che potrebbero indicare un aggravamento. Agirei in prevenzione, risparmiando il danaro nec e s s a r i o a r i p a r a r e i n emergenza quanto ormai si è rotto. I tempi di ascolto dovrebbero essere considerati tempi di cura e strumento di risparmio, non più “perdite di tempo”. La corresponsabilità dovrebbe essere principio vitale del consenso. Informazioni ben comprese e non atti burocratici che proteggono il medico dalle denunce. Medico e paziente deciderebbero insieme di risparmiare, rischiando il meno possibile: farmaci conosciuti (i più costosi non sono sempre i migliori), operazioni chirurgiche indispensabili, risonanza e ecografia (poco rischiose), piuttosto che TAC e scintigrafia (a rischio cancro). Un percorso condiviso basato sulla reciproca fiducia. Così si risparmia e si pagano meno tasse. Il consumismo sanitario rende tutti malati di spreco. La cura non è fatta di tagli decisi dal ministero dell’Economia e sopportati da quello della Salute, ma di rinuncia all’aziendalismo di unità operative guidate dal budget. Non è la romantica medicina di ieri, quando il medico condotto si fermava in cucina a prendere il caffè, chiacchierando a lungo per conoscere la famiglia, ma la medicina del domani, l’unica sostenibile. Recuperare le ragioni proprie della terapia è logica che dovrebbe entrare nella Legge finanziaria in discussione. Curare un malato significa creare una relazione basata sulla fiducia che utilizza le più moderne tecniche, certo, ma secondo il senso originario dì techne: “una pratica basata su scienze, che opera in un mondo di valori”. Se nelle aziende sanitarie vince la logica del budget _________________________________________________________________ La nuova Sardegna 13 Sett. ‘07 LA DIRINDIN RITOCCA IL TARIFFARIO REGIONALE CAGLIARI. Con una delibera approvata ieri dalla Giunta regionale viene rivisto il nomenclatore tariffario delle prestazioni di specialistica ambulatoriale. L’assessore della Sanità, Nerina Dirindin, ha spiegato che «rispetto alle tariffe massime nazionali, quelle regionali presentano differenze significative, sia in aumento che in riduzione. Dalla ricognizione dell’Assessorato risultano 37 prestazioni con tariffa inferiore rispetto a quella nazionale. E tra queste sono ricomprese le visite generali e di controllo, pagate dalla Regione - rispettivamente - il 17,5% e il 12% in meno del valore nazionale. A fronte di queste, altre 142 prestazioni risultano rimborsate con tariffa superiore rispetto a quella massima fissata da decreto ministeriale: per esempio, il colesterolo totale (113% in più), l’aminotransferasi (118% in più), la creatinina (100% in più)». La delibera rappresenta il primo passo verso la progressiva revisione del nomenclatore tariffario regionale, in vista di un riequilibrio graduale e sostenibile da parte degli erogatori privati. Vengono perciò incrementate le tariffe relative alle visite generali e di controllo, e per alcune prestazioni specialistiche riabilitative di particolare rilevanza; subiscono riduzioni le tariffe di alcune prestazioni di laboratorio, la terapia fisica e diagnostica per immagini. _________________________________________________________________ Il Sardegna 20 Sett. ‘07 ECCO IL NUOVO PRONTO SOCCORSO E IN CORSIA SBARCA LA TECNOLOGIA Taglio del nastro al Santissimia Trinità per i nuovi reparti di Dialisi e Gastroenterologia Iacopo Norfo Tre reparti inaugurati in un solo taglio del nastro: nuovo pronto soccorso, centro dialisi, gastroenterologia e chirurgia endoscopica. È il giorno della “festa” dell'Asl al Santissima Trinità di Is Mirrionis: il manager Gumirato e l'assessore Dirindin annunciano le nuove tecniche all'avanguardia, che consentiranno anche la presenza 24 ore su 24 dei tecnici di Radiologia. «In attesa del nuovo polo ospedaliero- ha detto Gumirato- presentiamo questo progetto innovativo di ristrutturazione per il padiglione a due piani, dotato delle migliori tecnologie». Soddisfatta anche l'assessore regionale alla Sanità: «Vogliamo mettere più qualità nei servizi sanitari - ha detto Nerina Dirindin - e lo stiamo già facendo, migliorando questa struttura senza tener conto del fatto che tra qualche anno sarà sostituita dal nuovo ospedale». Impianti- gioiello nuovi di zecca, con un'architettura ospedaliera definita più “umana” e standard di sicurezza e assistenza garantiti. I lavori sono durati un anno e l'investimento è stato massiccio: ben quattro milioni di euro per la realizzazione dell'opera e altri due milioni e mezzo spesi per migliorare le tecnologie. Il tutto su una superficie di 2800 metri quadri. SOLO QUATTRO sono però i medici che operano nel reparto di Dialisi (che per la verità è già operativo da un anno e mezzo) a fronte di quindici infermieri. Dieci i posti letto nel pronto soccorso, con ambienti rinnovati e le strutture per la Tac, e le apparecchiature radiologiche capaci di muoversi attorno al paziente come per avvolgerlo dei migliori servizi. Nel 2007 il numero di prestazioni del pronto soccorso è aumentato, sono state 59718. A margine dell'inaugurazione c'è però da registrare la forte protesta dei sindacati di categoria, che hanno apertamente “sfiduciato” il manager dell'Asl Gino Gumirato: «Chiediamo che rassegni al più presto le dimissioni - affermano Lino Marrocu della Rsu e Tonio Raspino della Fase - troppe sono le emergenze alla Asl e in un'assemblea la protesta dei lavoratori si è fatta sentire. Vorremmo servizi in grado di garantire assistenza per tutti i pazienti della provincia. Sia chiaro che la nostra non è una protesta di carattere politico come ci viene rimproverato». E Paolo Cugliara della Fials aggiunge: «Il Santissima Trinità si è vestito di luci e i nuovi locali sono eleganti, ma la sala d'attesa del pronto soccorso è troppo piccola e le attese dureranno ore. Nella “sala rossa” i malati sono in promiscuità e per il personale infermieristico c'è il solito degrado ». Gumirato però va avanti per la sua strada, l'Asl preferisce rispondere alle polemiche coi fatti. _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 Sett. ‘07 ASL 8, DIPENDENTI IN RIVOLTA L’accusa: Gumirato ignora le richieste del sindacato CAGLIARI. Basta alle decisioni prese unilateralmente dall’azienda: il rapporto con le organizzazioni sindacali deve rimanere prioritario. Parte da qui, e passa poi per tante altre questioni spinose (dagli orari di lavoro all’utilizzo non concordato di lavoratori interinali), la protesta dei lavoratori della Asl 8, che ieri per fare il punto della situazione si son riunti in un’assemblea convocata dalle Rappresentanze sindacali unitarie nella sede Asl, in via Pier Della Francesa. Sotto accusa c’è la dirigenza, e in particolare il manager Gino Gumirato, che «ha disatteso molti degli accordi presi». Racconta Beppe Piras, coordinatore delle Rsu: «Dopo due documenti, in cui per l’ennesima volta lamentavamo il mancato rispetto degli accordi, abbiamo chiesto a Gumirato un incontro: la risposta non ci è arrivata». In particolare i sindacati vogliono chiarezza su quei punti del Contratto di lavoro destinati alla contrattazione decentrata, fatta cioè direttamente tra organizzazioni sindacali e singola azienda, sui quali, dicono i lavoratori, la Asl sembra voler camminare per proprio conto. «E’ capitato, ad esempio — racconta Emidio Fanni, segretario provinciale della Uil-Fpl — che dopo mesi e mesi di trattative con la dirigenza, questa abbia applicato gli accordi unilateralmente, senza tener presenti i patti sottoscritti con noi». E’ successo così, va avanti Fanni, con il regolamento sulla mobilità: «Mentre la legge stabilisce che il lavoratore possa essere spostato a determinate condizioni, come inidoneità fisica o anzianità — spiega Emidio Fanni — da noi è successo che molti dipendenti transitassero da un ospedale all’altro senza che ci fossero queste condizioni». Alla richiesta di spiegazioni la Asl è stata laconica: «Il manager Gumirato — racconta Antonella Iaconagni, coordinatrice della Uil provinciale — ci ha risposto che deve applicare la legge, non concertare». Ad accrescere il malessere dei lavoratori, palpabile nella sala riunioni, sono gli altri bisogni disattesi. La questione dei lavoratori socio-sanitari, ad esempio. «Sono una nuova figura che va a integrare il ruolo degli infermieri professionali — spiega Emidio Fanni —. In organico ce ne sono 252, in realtà ne servirebbero un altro centinaio». Non è tutto: i sindacati lamentano anche la scarsezza di direttori sanitari («forse è proprio per questo — dice qualcuno — che la dirigenza non s’accorge dei problemi»), e gli orari di lavoro al limite dell’impossibile. «Siamo penalizzati anche con i buoni pasto — lamenta Paolo Cugliara, segretario provinciale della Federazione italiana autonoma lavoratori sanitari — il loro valore è di cinque euro, ma ce ne viene decurtato uno come contributo mensa. E se andiamo a pranzo con due minuti di ritardo, addio buono». Ce n’è abbastanza insomma per prevedere scintille. Che potrebbero sfociare in qualcosa di più grosso il 12 ottobre, quando i sindacati convocheranno una nuova assemblea per chiedere le dimissioni di Gumirato e protestare sotto l’assessorato alla Sanità. Sino a quel momento, fa sapere Beppe Piras, l’impegno è non firmare più accordi con la dirigenza. Sabrina Zedda ________________________________________________________ Tutto Scienze e tecnologia 12 Sett. ‘07 L’AUTISMO HA PERSO UN SEGRETO FABIO MALAVASI UNIVERSITA' DITORINO Il numero di malattie da cause ignote è ancora molto alto: non si conoscono le ragioni per cui la malattia insorge e di conseguenza non si è in grado di formulare diagnosi e preparare terapie specifiche. Un esempio è l'autismo, un disturbo dello sviluppo del sistema nervoso che colpisce numerose funzioni dell'individuo: i casi diagnosticati sono in crescita ovunque nel mondo. In medicina, quando non si hanno punti di riferimento da cui partire, si esaminano ipotesi di lavoro derivate da osservazioni della ricerca di base, che analizza in vitro effetti di sostanze naturali o artificiali su funzioni semplici e che prevede la trasposizione in vivo dei risultati. Se si va nel sito PubMed e si cerca «Autismo», si è inondati da una massa di osservazioni, di potenziali legami tra sostanze, di ipotesi sulla genesi della malattia e sul miglioramento dei sintomi clinici. Tra questi emerge un rapporto fra gli ormoni ossitocina e vasopressina (e i loro recettori) e autismo. Questo legame è stato analizzato in dettaglio da un gruppo di ricercatori giapponesi, guidato da H. Higashida, che ha valutato in vivo su animali geneticamente modificati la solidità del legame fra ossitocina e la «memoria sociale a breve termine» («short term social memory»). Tl modello su cui «validare» l'ipotesi è stato un topolino, a cui era stato eliminato il gene CD38. Nell'uomo come nel topo, la molecola CD38 si trova prevalentemente sulla superficie delle cellule, dove funziona come recettore capace di trasdurre segnali, ma è al tempo stes so un enzima in grado di produrre ADP Riboso ciclico e ADP Riboso. L'ADP Riboso ciclico è un importante messaggero che agisce nella cellula e serve per diverse attività. La funzione più importante scoperta nel `94 è il suo ruolo nella liberazione di insulina attraverso la modulazione del calcio citoplasmatico. Invece, il deficit cognitivo osservato nei topolini mancanti delle molecole CD38 (i cosiddetti knock-out CD38, CD38 KO) è stato dimostrato mettendo al lavoro i più importanti esperti di psicologia animale del Giappone. Gli specialisti hanno visto che le topoline CD38 KO curavano normalmente i piccoli, al pari delle loro colleghe non modificate geneticamente: tuttavia non si ricordavano bene dove avevano lasciato i cuccioli, in condizioni di stress ottenute con una serie di percorsi a inganno tipici dei test di psicologia animale. Una volta stabilito che i topi CD38 KO presentavano questo difetto, il gruppo Higashida è andato a vedere se era l'assenza stessa della molecola CD38 a causare il disturbo psichico 0 se il risultato fosse dovuto a un mediatore intermedio. Per questo sono stati reclutati i maggiori esperti di anatomia del topo, i quali, alla fine, hanno trovato il difetto specifico. L'ossitocina è un ormone secreto dalla neuro ipofisi (la ghiandola alla base del cervello) ed è importante per la contrazione uterina e per numerose altre funzioni. La vasopressina, invece, controlla varie sostanze che regolano la pressione sanguigna. Si è osservato che i topolini CD38 KO erano in grado di sintetizzare gli ormoni, compresi ossitocina e vasopressina. Nei topolini modificati geneticamente, però, l’ossitocina veniva sintetizzata, ma non secreta né inviata nel sangue. E' stato quindi prospettato un legame diretto tra assenza di ossitocina e deficit cognitivo. La controprova si è avuta correggendo il difetto genetico dei topolini, nel cui cervello sono stati diretti vettori che hanno ricostituito il gene CD38 mancante. Dopo la terapia genica, la secrezione di ossitocina è ripresa a livelli accettabili e lo stesso è avvenuto per le cure parentali. Il modello in vivo ha così dimostrato che l'assenza della molecola CD38 si associa nel topo ad un deficit di secrezione nel sangue dell' ormone ossitocina, che va di pari passo con il disturbo di memoria sociale a breve termine. Il lavoro di Higashida è stato accettato come «full article» dalla rivista «Nature» e ha avuto molti commenti per l'eleganza e la complessità del disegno sperimentale e l'abilità dei vari componenti, un team di 36 ricercatori giapponesi e russi. Il lavoro si conclude proponendo un legame in patologia umana con l'autismo, un quadro che ha numerosi punti in comune con il deficit di memoria sociale a breve termine. Il problema ora è riuscire a trasferire le osservazioni nella clinica. Questo progetto è stato avviato a Torino, mettendo insieme neuropsichiatri infantili e genetisti medici (referenti per la molecola CD38) con un gruppo dell'Università Campus di Roma, che analizza la maggior parte dei marcatori genetici noti dell'autismo. L'interesse per questi dati va oltre la medicina, coinvolgendo sorprendentemente anche chi disegna modelli di sviluppo economico. Questi «laboratori di economia empirica» hanno dimostrato che l’ossitocina è alla base delta fiducia che pervade le relazioni nella società ed è ritenuta un elemento indispensabile per la gestione del mercato. Come si vede, si può passare da modelli di topi KO alle malattie umane e al tempo stesso scoprire le basi umorafi che tengono insieme la società. ________________________________________________________ L’espresso 20 Sett. ‘07 TRAPIANTI INUTILI E DANNOSI Teresa Alvaro ha ricevuto le ovaie. Isabelle Dúloire una faccia nuova. Altri una mano o Lu1 utero. Un grande chirurgo spiega che queste operazioni fanno male ai pazienti e alla medicina C'erano una volta i trapianti, terapia salvavita per pazienti gravemente ammalati, che non avevano altra speranza se non quella di confidare nell'arrivo di un organo. L'attesa era per un fegato, un cuore, ma anche un pancreas o un rene, per sconfiggere la malattia, grazie alla donazione da parte di un altro essere umano. È ancora così per migliaia di persone iscritte in una lista d'attesa, ma con il passare del tempo la gamma di organi per trapianto si è allargata al punto che oggi si può sostituire praticamente tutto: cornee, polmoni, intestino tenue, colon, le cellule che producono l'insulina, ma anche mani, faccia, valvole cardiache, tendini, ovaie, eccetera. Sono stati superati uno dopo l'altro gli ostacoli tecnici. Si tratta di progressi e, in generale, non si può che esserne felici. Esistono però differenze nei vari trapianti, e per questo dobbiamo porci il problema se siano giustificabili ed eticamente accettabili interventi che non sono essenziali per la sopravvivenza del paziente mentre possono, forse, migliorarne la qualità di vita. Ma a quale prezzo? La notizia del primo trapianto di ovaie tra due donne non gemelle risale solo a poche settimane fa. Teresa Alvaro aveva vent'anni quando, all'inizio degli anni'90 ammalò gravemente a causa de beta-talassemia che aveva ereditato alla nascita. La sorella, Sand allora poco più che adolescente a donarle il midollo osseo per la vita. Purtroppo però, a causa di chemioterapia e di radioterapia divenne sterile e visse nella condizione di non potere avere figli: fin quando venne resa pubblica la possibilità di un trapianto di ovaie eseguito su sorelle gemelle, di cui diremo dopo non aveva una gemella ma aveva fatto il trapianto di midollo della questo era stato possibile per grado di compatibilità. Così, nell'Università Cattolica di Lovangio, a cui le sorelle si erano rivolte decisero di tentare l'intervento: azione semplice e rapida, eseguii atroscopia. II tessuto ovarico è stato prelevato da Sandra e trapiantato si dopo 24 ore le sorelle erano già dall'ospedale. Sei mesi più tardi arrivate le mestruazioni, un normale livello ormonale e i medici hanno confermato che la funzione ovarica era stata ripristinata. La donna ha subito tentato la strada della fecondazione artificiale per avere un figlio e benché il primo tentativo non sia andato a buon fine, gli specialisti oggi assicurano che l'insuccesso non è da collegare al tessuto ovarico trapiantato e che la donna potrebbe tentare anche la strada del concepimento naturale. Ma si pone un serio problema etico: a chi apparterrebbe geneticamente il figlio nato dall'inseminazione di un ovocita che non appartiene alla donna che porterà il bimbo in grembo, ma alla sorella che le ha à donato l'ovaio? Gli specialisti dei trapianti, come peraltro tutti i medici e gli scienziati, dovrebbero sempre tenere presente che le possibilità É tecniche non giustificano ogni intervento. Curare implica sperimentare, ma di fronte anche alla più affascinante delle scoperte, la motivazione ad andare avanti deve rimanere il bene e la salute del paziente, la sua qualità di vita, la valutazione costi- benefici in termini di sacrifici, a volte vere sofferenze, che saranno inflitte a chi sperimenterà le innovazioni. In Italia, come in molti altri paesi del mondo, il trapianto delle ovaie è vietato per un semplice motivo: nel caso di una gravidanza, la donna che ha ricevuto il trapianto non trasmetterà al figlio il proprio patrimonio genetico, ma quello di un'altra persona. Potrà portare avanti la gravidanza, forse anche con successo, ma non sarà comunque la madre biologica del bambino che porta in grembo. Certo, si tratta di casi estremi, ciò non toglie che i dilemmi etici restino evidenti. Altri casi di trapianti non salvavita hanno fatto discutere. Nel 1998 in Francia, a Lione, un team internazionale di chirurghi eseguì per la prima volta al mondo il trapianto di mano, utilizzando l'arto di una persona deceduta. l :intervento ebbe successo e la notizia fece il giro del mondo; purtroppo il paziente non riuscì mai ad accettare pienamente il nuovo arto e alla fine, dopo tre anni, la mano venne rimossa. ll trapianto di un arto è un intervento molto complesso dato che oltre a collegare i vasi sanguigni, i chirurghi devono unire nervi, muscoli e tendini in modo che la mano mantenga la sua mobilità, il senso del tatto e della temperatura. Inoltre, la problematica del rigetto è particolarmente spinosa perché l'arto trapiantato è costituito da tessuti di tipo diverso, pelle, osso, muscolo, eccetera. Di fronte a queste difficoltà, non è forse preferibile optare > per le protesi artificiali? Un altro caso che ha suscitato grande clamore è stato il primo trapianto di faccia, eseguito in Francia, ad Amiens, nel 2005 su una donna di 36 anni rimasta sfigurata per l'aggressione di un cane. Con questo intervento pelle, grasso e vasi sanguigni sono stati rimossi dalla faccia di un donatore-cadavere per essere applicati su parte del volto della paziente. Il chirurgo che ha guidato l'impresa, Jean-Michel Dubernard, lo stesso del trapianto di mano, prima dell'intervento ha sottoposto la paziente ad una approfondita consulenza psicologica. La donna infatti doveva essere consapevole che sarebbe stata obbligata ad assumere farmaci antirigetto per il resto della sua vita, che avrebbe dovuto affrontare rischi e controlli continui ma anche che il suo aspetto sarebbe definitivamente cambiato con probabili conseguenze sulla percezione di sé. Alla fine l'intervento si fece, forse anche perché un altro team, a Cleveland negli Stati Uniti, era pronto ad eseguire il trapianto di faccia e aspettava solo l'autorizzazione, innescando così una corsa per il primato tra bisturi eccellenti. Personalmente non considero la competizione un fatto negativo, e devo ammettere di provare una certa soddisfazione riesco a pubblicare per primo il risultato di uno studio o la descrizione di un intervento chirurgico al quale sapevo lavoravano anche altri scienziati. Però nel competere è necessario rispettare sempre due regole: lavorare nell'interesse del paziente e non presentare dati che inducano false speranze. Quindi, rispetto al trapianto di faccia, pur comprendendone le motivazioni, il dubbio etico rimane ed è legato al fatto che non si salva la vita di un paziente e nemmeno lo si cura da una malattia. E tuttavia possiamo ben immaginare le difficoltà di una persona sfigurata che non riesce ad accettare la propria condizione, che conduce un'esistenza isolata, senza lavorare o intrattenere amicizie, una situazione che davvero rende la vita impossibile. Dunque una motivazione si può trovare ma, prima di intraprendere la strada del trapianto di faccia, varrebbe la pena investigare l'animo umano e percorrere le vie che portano all'accettazione di sé, fino a dove questo è possibile. Esistono anche persone sfigurate che hanno imparato a convivere con la loro condizione e che, probabilmente, accetterebbero con difficoltà le complicanze legate a un trapianto, come il rigetto, l'ipertensione, il rischio di diabete, le infezioni a volte mortali. Oggi la frontiera che si pensa di abbattere è quella del trapianto di utero, annunciato dagli specialisti del New York Downtown Hospital di Manhattan. L’équipe medica, composta da chirurghi ed esperti di medicina riproduttiva, ha portato a v termine con successo esperimenti su ratti, maiali, conigli e scimmie che saranno sottoposti a inseminazione artificiale per verificare la possibilità di avviare e portare a termine una gravidanza. L'idea sarebbe quella di trapiantare l'utero, attendere qualche mese per stabilizzare la funzionalità del nuovo organo, procedere con l'impianto di embrioni fecondati artificialmente e, nel caso di una gravidanza portata a buon fine, eseguire il parto cesareo per rimuovere contestualmente anche l'utero trapiantato ed evitare così che la paziente debba assumere a vita la terapia antirigetto. Una sorta di trapianto temporaneo dunque, finalizzato esclusivamente alla gravidanza e praticato da coloro che definirei cow boy più che medici. È evidente che i rischi sono troppo alti per la salute della donna e le incognite legate allo sviluppo di un eventuale feto non possono essere considerate esistono validi sistemi alternativi per concretizzare il legittimo desiderio di maternità; metodi che vanno dall'adozione fino all'utero in affitto, una pratica che non mi sento di condividere, ma che negli Stati Uniti viene eseguita ormai con una certa regolarità e che, secondo gli esperti, nel 95per cento dei casi comporta gravidanze condotte a termine con successo, per la felicità di tutti gli interessati. Sottoporsi a un trapianto di utero comporta invece rischi per la paziente, legati all'intervento, ma soprattutto alla terapia antirigetto costituita da farmaci che possono determinare effetti collaterali non irrilevanti. Può darsi che io, in quanto uomo, non riesca a cogliere il senso più profondo di una gravidanza, ma mi chiedo se abbia senso consentire terapie che mettono a rischio la vita di una donna e la salute del nascituro (esposto alla tossicità dei farmaci antirigetto che la madre deve assumere) pur di non utilizzare percorsi più semplici come l'adozione, I trapianti, lo abbiamo visto, si prestano bene a una riflessione sulle implicazioni etiche delle innovazioni in medicina e sui meccanismi che spingono chirurghi e scienziati a correre per arrivare primi e che, una volta innescati, è molto difficile fermare. Viviamo in un'epoca eccezionale: dobbiamo ritenerci fortunati del fatto che oggi si possano guarire malattie che sino a pochi decenni fa erano incurabili. Ma anche se la tecnologia e lo studio della biologia hanno permesso di superare molti ostacoli non posso né voglio dimenticare la frase che tante volte mi è stata ripetuta da Thomas Starzl, il pioniere che nel 1963 ha eseguito il primo trapianto di fegato: «L'esistenza di una tecnologia non costituisce la ragione per utilizzarla>,. La ragione deve essere sempre il bene dell'uomo, fuggendo dalle ambizioni personali, siano esse degli scienziati o dei pazienti. ________________________________________________________ Il Giornale 15 Sett. ‘07 LE CONQUISTE DELL'IMPLANTOLOGIA ODONTOIATRIA In una sola seduta è possibile impiantare una intera arcata dentaria Le nuove procedure messe a punta dai ricercatori svedesi di Nobel Biocare offrono maggiore sicurezza WitO Cucchi Minimo dolore, elevata sicurezza dei trattamenti, qualità e tempestività degli interventi. Queste sono le richieste che i pazienti rivolgono agli oltre 50mila odontoiatri che curano i denti degli italiani. Nei confronti del dentista si nutre ancora tuia sorta di timore. Si ha paura del dolore. risico. del rumore del trapano, si cerca, appena è possibile, di ritardare l'incontro. In realtà si nutrono spesso dubbi sulla stessa professionalità di questi medici che invece, sul piano internazionale primeggiano per conoscenze scientifiche, capacità tecniche, versatilità. All'estero gli odontoiatri italiani si distinguono persino per la loro fantasia creativa. In quest'area della medicina sono state fatte molte conquiste ed in questi ultimi anni anche la sostituzione dei denti mancanti è affrontata con metodiche innovative che stanno rivoluzionando le cure dentali. Ne parliamo con il dottor Emilio Francir:.i Naldi, implantologo a Firenze, Milano, Roma e Udine fwww. efran.itl che ci illustra le più recenti conquiste dell'implantologia e le moderne metodiche di sostituzione dei denti assenti. «Gli impianti dentali sono strutture cilindriche in titanio, di solito a vite, che vengono posizionate nell'osso della mascella o della mandibola al posto dei denti mancanti, come radici artificiali. Il titanio consente di sostenere il dente artificiale che viene inserito sull'impianto stesso. Questi impianti ci consentono di non coinvolgere gli elementi dentali vicini alle zone edentule, né usandoli come appoggi per protesi mobili, che di solito sono sorrette da ganci che gravano proprio sugli elementi rimasti, né riducendoli di volume tramite fresatura con i mezzi rotanti (le turbine ed i trapani), per usarli come pilastri delle protesi fisse. Colui che ha gettato le basi scientifiche dell'implantologia, e che ha reso possibile l'evoluzione di questa branca dell'odontoiatria - ricorda Francini Naldi - è il dottor Braneznark, un ortopedico svedese, che dal 1965 in poi ha portato l’implantologia da procedura sperimentale a vera e propria branca scientifica. I mezzi diagnostici, quali le TAC, sono stati sfruttati nella progettazione di tecniche implantari che operano senza incisione della gengiva e, se le condizioni ossee lo consentono, posizionando i denti nella stessa seduta operatoria, con la tecnica detta del carico-immediato. Procedure simili sono realizzabili anche in zone della bocca dove manchino solo alcuni elementi». Come si è giunti a questa rivoluzione metodologica? «I ricercatori di una società svedese, la Nobel Biocare, hanno sviluppato ed applicato i risultati scientifici più avanzati acquisendo un ruolo d'avanguardia nella definizione di protocolli e procedure che ottengono il massimo risultato con il minimo disagio per i1 paziente. La procedura All On Four, ad Francini Naldi: «L'impiego della Tac e dell'informatica hanno rivoluzionata gli interventi esempio, consente, nei casi di edentulie totali superiori, dopo lo studio della TAC e la progettazione del lavoro tramite un software apposito, di inserire quattro impianti nell'osso usando una guida di montaggio personalizzata, e di posizionare 't denti fissi nella stessa seduta.. 11 dentista progetta sia la dimensione che l'inclinazione degli impianti e spedisce il file alla Nobel Biocare in Svezia che prepara le mascherine di montaggio e le strutture protesiche, monconi e denti in ceramica, in modo che si possa effettuare l'intervento in una sola seduta e senza aprire la gengiva. La certezza dell'inclinazione e della lunghezza consente di mitare sia il taglio che lo scollamento, poiché le guide di montaggio evitano errori e in tal modo la guarigione è più veloce, il dolore pressoché inesistente, l'estetica ottimale. L'implantologia é così diventata una procedura sicura, della quale non si deve aver paura, che ofre ottimi risultati dal punto di vista funzionale, ed estetico. Il paziente con questa metodica innovativa ha la possibilità di riprendere subito l'attività lavorativa e sociale». ________________________________________________________ MF 18 Sett. ‘07 LA SALUTE È OPENSOURCE Internet Una nuova piattaforma permette di condividere esperienze sanitarie e contenuti personali Il medico può mostrare gli interventi e far gestire il proprio materiale digitale di Giulia Silvestri Una sorta di Youtube della salute, un luogo virtuale di condivisione di informazioni e contenuti, uno spazio di storage e uno strumento utile per comunicare con il proprio medico anche a distanza. Sarà lanciata ufficialmente i124 settembre MyOpenCare, una piattaforma multicanale in lingua inglese pensata per gestire ogni sorta di contenuto legato alla salute con l'obiettivo dl valorizzare la conoscenza individuale e collettiva. Pensata e realizzata in Italia, si rivolge principalmente al mondo anglosassone e statunitense dove da un recente rapporto della Pew foundation denominato Health information online è emerso che nel 2005 più di 95 milioni di americani al di sopra dei 18 anni hanno consultato informazioni inerenti alla salute su internet. «La piattaforma vuole essere una opensource community in grado di mettere in comunicazione tra loro i pazienti, i medici e la comunità di utenti», ha commentato Edoardo Narduzzi, fondatore della società MyOpenCare, «questo permetterà di accumulare conoscenza specifica e creare percorsi di apprendimento derivati dall'interscambio di contenuti, commenti, esperienze». Per i privati la registrazione al sito è gratuita, men tre per la comunità scientifica che intende usufruire di alcuni servizi pensati ad hoc per i medici verrà stabilito un canone. I privati possono accedere a una sorta di forum dove raccontare le proprie esperienze sanitarie, ma sono anche in grado di creare un H-book, ossia un percorso individuale in cui si possono utilizzare tutti i contenuti ritenuti utili, autoprodotti o clinici, così da dar vita a un vero e proprio profilo personale. La piattaforma può ospitare file audio-video, ma anche presentazioni in powerpoint, pubblicazioni in word e quant'altro. Questo "libro" può essere condiviso da tutti gli utenti registrati che sono interessati ad approfondire una tematica in esso contenuta o a commentare e dare consigli o suggerimenti in base alla propria esperienza, ma può essere anche accessibile solo alle persone indicate da chi l'ha creato. Una possibilità in più viene offerta ai medici o alle strutture ospedaliere che desiderano mostrare il proprio lavoro a una comunità allargata. «La piattaforma consente di Inserire all'interno filmati e documenti relativi a operazioni chirurgiche o a nuove tecnologie messe a punto in campo sanitario», ha aggiunto Narduzzi, «questo consentirà loro di mostrare l'efficienza delle tecniche utilizzate, la velocità di esecuzione dell'intervento e gli standard di qualità dell'équipe medica. In questo modo da un lato viene incentivata la condivisione di know how e dall'altra le strutture possono mostrare il loro valore e autopromuoversi». Sempre per i medici sarà possibile, dal 1 novembre, acquistare all'interno di MyOpenCare uno spazio per lo storage di cartelle cliniche dei pazienti e ogni informazione relativa al proprio studio medico; in questo modo i professionisti possono far gestire in outsourcing il materiale digitale che hanno a disposizione. Per gli studenti di medicina e gli specializzandi il servizio può essere utile per caricare all'interno casi allo studio a già analizzati da conservare e condividere. La tecnologia valorizza le potenzialità comunitarie del web 2.0 e le comunità sono gestibili in diverse modalità: aperte, riservate, su invito. La tecnologia è proiettata nella visione del web 3.0 con il motore semantico che verrà lanciato nel 2008, pensato per favorire la ricerca profilata tra i contenuti ospitati dal sito. Info: www.myopencare.com. ________________________________________________________ MF 18 Sett. ‘07 VINO E BIRRA SONO SCUDI PER IL CUORE Medicina Meglio dell'aspirina per i cardiopatici di Giovanni Domina rii e birra più efficaci dell'aspirina nella protezione del cuore. È quanto emerge da diversi studi condotti negli ultimi anni e presentati a Vienna in occasione del XXV Congresso europeo di cardiologia Si tratta di ricerche, tra cui una italiana coordinata dall'università Cattolica di Campobasso, che hanno dimostrato come l'assunzione moderata e regolare di alcool (uno-due bicchieri al giorno per le donne, due-tre per gli uomini) riduca il rischio di mortalità nei soggetti affetti da cardiopatie in media nel 27,5% dei casi, contro il 18% ottenuto utilizzando cardiofarmaci preventivi, come per esempio l’aspirina I dati arrivano da un report dellAmerican heart association, pubblicato sulla rivista Circulation, che raccoglie e analizza statisticamente le ricerche sulle cause di mortalità dei pazienti affetti da disturbi cardiaci. Dagli ultimi studi è emerso che un miglioramento delle abitudini di vita e il consumo di bevande alcoliche possono aiutare i pazienti già affetti da cardiopatie nel ridurre il rischio di recidive. Uno studio statistico svolto su persone già colpite da infarto al miocardio 0 da angina pectoris ha registrato un significativo miglioramento delle prognosi. Gli studi sono stati comparati alle ricerche sull'uso di farmaci preventivi nella cura di soggetti cardiopatici. I risultati hanno registrato una riduzione del rischio di mortalità del 18% nei pazienti curati con aspirina, del 21% in quelli in cura con statine, del 23% per i malati che hanno assunto beta-bloccanti e del 26% nelle cure con ACE inibitori. «Adottare sane abitudini di vita, e ciò comprende anche l'assunzione moderata di vino, è sicuramente più vantaggioso per i cardiopatici rispetto all'uso preventivo di farmaci», dice Giovanni de Gaetano, direttore dei laboratori di ricerca dell'università Cattolica di Campobasso. ________________________________________________________ Il Denaro 18 Sett. ‘07 TELEDERMATOLOGIA NELLA LOTTA AL MELANOMA E’ stato presentato a Telese Terme, in via sperimentale, il progetto Helios TeleMedNet realizzato dalla II Facoltà di Medicina e Chirurgia della "Sapienza" Università di Roma, dall'Associazione House Hospital onlus e dall’Information Technology Services spa. Scopo della collaborazione è: la composizione e 1a messa in opera di strumenti e procedure per l'applicazione di servizi di teledermatologia con particolare attenzione alla prevenzione del melanoma cutaneo. La sperimentazione territoriale di prestazioni assistenziali di teledermatologia attraverso postazioni fisse (Ambulatori e Farmacie-.rurali) e mobili (Hospital Car), allo_scopo di acquisire un data base sul territorio nazionale. la predisposizione e l'organizzazione di un servizio di offerta di teleconsulto dermatologico attraverso la telemedicina in seguito alla formazione specifica degli operatori sanitari. Vassilios Papaspyropoulos, chirurgo e docente di Informatica medica della II Facoltà di medicina e chirurgia della "Sapienza" Università di Roma nonché coordinatore nazionale del master in Teledidattica applicata alla medicina, ha sottolineato: "L'evoluzione tecnologica dei sistemi di telecomunicazione, e della trasmissione di immagini di alta qualità, associata alla rivoluzione dei processi informativi della medicina, consentono l'utilizzo strategico di sistemi e di applicazioni legate alla Sanità digitale. L'impatto sociale e il valore aggiunto di questi sistemi digitali consentono la definizione di processi assistenziali in grado di agevolare l'accesso dei cittadini a diverse procedure diagnostiche che possono essere eseguite a distanza". La conseguenza di questo accesso facilitato consente di migliorare e soprattutto ottimizzare le molteplici e notevoli competenze professionali sparse sul territorio. La distribuzione delle prestazioni con la trasmissione a distanza di informazioni mediche aumentano notevolmente, infatti, l'efficacia e l'efficienza dei sistemi sanitari digitali. Le applicazioni di telemedicina possono essere utilizzate per il monitoraggio dello stato di salute a domicilio di pazienti affetti da malattie croniche e, comunque, in tutti i casi in cui si può evitare lo spostamento del paziente effettuando, ove possibile, la sola trasmissione delle informazioni necessarie all'assistenza sanitaria. "Per la diagnostica - continua Papaspyropoulos - le tecnologie con sentono - grazie agli standard di interoperabilità dei dispositivi diagnostici e dei sistemi informativi integrati - la prestazione di un intervento sanitario a distanza, risparmiando tempo e ottimizzando le competenze specialistiche. Queste situazioni sono molto frequenti in zone sprovviste di specialisti e in circostanze dove la richiesta è occasionale o sporadica e non è né giustificata, né conveniente la presenza di personale sanitario permanente. La velocità e l'affidabilità della trasmissione di immagini e di dati sanitari consente lo scambio di competenze anche a notevole distanza, tramite la condivisione interattiva tra gli operatori sanitari". La sanità digitale, dunque, in questo contestò, è in grado di facilitare, chiarire o risolvere sospetti quadri patologici e focalizzare l'attenzione del servizio sanitario a circostanze di urgenza ed emergenza. Il progetto si propone di creare una piattaforma completa e integrata basata sulle tecnologie più avanzate deíl'Ict e della sanità digitale. Scopo del progetto è anche la riduzione dell'incidenza delle conseguenze infauste dovute a neoformazioni cutanee.e in particolare la riduzione della mortalità per melanoma attraverso procedure di diagnosi precoce. All'iniziativa del Progetto Helios parteciperanno il Cnr ed altri centri di eccellenza attivi sull'intero territorio nazionale». Una rete di consulto virtuale Francesco Cremona, direttore scientifico dell'Associazione House Hospital onlus, ha sottolineato: "II progetto Helios prevede il collegamento tra gli Hospital Càr, la "sapienza" Università di Roma e le Asl della Regione Campania per la trasmissione, a distanza, di immagini dermatologiche come supporto al teleconsulto con i dermatologi. II melanoma è un tumore maligno della cute e delle mucose, si sviluppa attraverso vari stadi evolutivi e si manifesta con aspetti clinici e istologici differenti". L'incidenza del melanoma è in continua crescita in tutto il mondo é in Italia è di circa 1 caso su 8 mila abitanti con la massima-incidenza tra 130 e i 60 anni. La mortalità per melanoma è in crescita per tutte le età e per entrambi i sessi. Complessivamente, la mortalità aumenta del 70 per cento ogni 10 anni, con un tasso medio, negli ultimi 15 anni, in Italia, di 5 casi dì sesso maschile e 6 di sesso femminile su 100 mila abitanti: Grazie alla prevenzione ed alla diagnosi precoce, )a sopravvivenza a 5 anni è migliorata, tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta, passando per gli uomini dal 57 per cento al 71 per cento e per le donne dal 78 per cento all'83 per cento. "Il melanoma cutaneo - conclude Cremona - è visibile già nelle prime fasi evolutive e la diagnosi precoce associata all'educazione sanitaria sono fondamentali in quanto l'intervento terapeutico tempestivo consente, nella maggior parte dei casi, la guarigione completa". . IL RUOLO DELLA RICERCA Non solo diagnosi precoce, teledermatologia, informazione e formazione ma anche ricerca scientifica. Il ricercatore del Cnr di Alghero Giuseppe Palmieri, ha sottolineato: 'T'aumento della radiazione solare UV b, in arrivo sulla superficie terrestre, a causa sia del cambiamento climatico sia della deplezione dell'ozono stratosferico; produce una connessione diretta tra condizioni climatiche e stato di salute. La radiazione solare è responsabile, specie per la componente UV, di diverse affezioni cutanee, che vanno dall'eritema ai cancro della pelle. Gli studi eseguiti negli Usa e nell'Australía, indicano una maggiore incidenza di queste malattie nei Paesi dove più elevata è l'incidenza della radiazione UV-b. La radiazione può indurre reazioni fotochimiche in atmosfera con formazione di composti organici dannosi per la salute e di ozono troposferico (smog fotochimico) la cui nocività è ben documentata. Occorre, in questa prospettiva un'intensificazione delle ricerche e degli studi di settore": A bordo degli Hospital Car, muniti di biometer,, idl e data link sarà possibile: monitorare la radiazione UV -b in relazione alla deplezione dell'ozono per determinare la dose assorbita ed effettuare studi epidemiologici per valutare le correlazioni tra esposizione ai raggi W b, fattori ambientali ed insorgenza di tumori a carico della cute e trasmettere bollettini informativi alle Istituzioni". _________________________________________________________________ Repubblica 20 Sett. ‘07 ADDIO AGO E SIRINGA, SI PROVA IL CHIP CHE "STAMPA" LE MEDICINE SUL BRACCIO Progetto HP-Crospon: il mini apparecchio sfrutta la tecnologia delle stampanti Inietta il medicinale ad uno strato superficiale della pelle, senza dolore La microplacchetta per medicinali (Dal sito di Hewlett Packard) AGHI appuntiti, odore di alcool e smorfie di dolore addio. Le iniezioni tradizionali stanno per diventare storia: presto le medicine si somministreranno con una micro-placchetta da poggiare sul braccio. Una specie di futuristico chip che sfrutta la tecnologia delle stampanti ad aghi, e grazie ad una serie di minuscoli aghetti inietta il medicinale ma ad uno strato superficiale della pelle, senza andare a fondo e attivare così i recettori del dolore. Il chip, che usa un sistema brevettato dalla Hewlett Packard, è in fase di sperimentazione dall'azienda di apparecchiature mediche Crospon, che lo ha adattato per poter essere usato sull'uomo. (Guarda le foto) Finora solo sostanze che possono essere assorbite direttamente dalla pelle, come la nicotina, possono venire somministrate attraverso cerotti transdermici. Ma la maggior parte dei medicinali sono fatti di molecole più grosse e devono essere iniettati oltre lo strato superficiale della pelle, con aghi tradizionali. Il nuovo patch utilizza 150 microaghi e promette molti vantaggi: secondo Hewlett Packard, la dose esatta da somministrare ed anche il momento in cui farlo potrebbero essere regolati da un microchip: niente più errori e dimenticanze, quindi. E senza soffrire: la sensazione dei microaghi sulla pelle equivale alla "leccata di un gatto", ha spiegato alla Bbc il professor Brian Barry, dell'università di Bradford, esperto di dermatologia. La minirivoluzione potrebbe essere a portata di mano già fra tre anni, ma qualche rischio c'è. Rimane da chiarire, spiegano gli scienziati, se il fatto di forare più volte lo strato superficiale della pelle, lo strato corneo, invece di togliersi il pensiero una volta per tutte con un buco più in profondità, non esponga a rischi di infezioni batteriche. Non meno irrilevanti sono i costi del gioiellino, che potrebbero rimanere a lungo alti, non competitivi con quelli delle iniezioni tradizionali. _________________________________________________________________ Repubblica 20 Sett. ‘07 ANOMALIE AI GENITALI IN AUMENTO TROPPI ESTROGENI NELL'AMBIENTE L'allarme dal Congresso nazionale "Progressi in andrologia" Un bambino su tre nasce con problemi, disfuzioni nello sviluppo "Si controllano latte e carne ma non gli altri alimenti, i cosmetici, i prodotti per l'igiene e soprattutto l'acqua" di ANTONIO CAPERNA UN ALLARME ambientale da estrogeni che provocano anomalie dell'apparato genitale in un bambino su tre, ritardi nello sviluppo dei maschietti e precocità nelle femmine. A sollevare il problema sono gli specialisti riuniti nel IV Congresso nazionale "Progressi in andrologia" in corso a Villa San Giovanni. "Il maschio è meno maschio", affermano gli esperti, "gli estrogeni sono ovunque: aria, acqua, cibo, fiumi, perfino nelle plastiche, nei nastri adesivi da imballaggio, nei pavimenti di vinile, negli inchiostri. Arrivano nel corpo anche attraverso la pelle quando usiamo shampoo, saponi e cosmetici. Non c'è scampo". Gli estrogeni infatti hanno la capacità di mimare gli ormoni naturali, inviano falsi messaggi al corpo, bloccano i ricettori ormonali. "Gli stessi ormoni usati per accelerare lo sviluppo e l'accrescimento di peso negli animali d'allevamento - spiega Nicola Ilacqua, Presidente del Congresso - si trasferiscono nell'uomo accelerando e sviluppando anomalie nell'apparato genitale maschile, molto frequenti nei giovani che tendono all'obesità, in coloro che fanno una vita sedentaria (solo computer, videogiochi) e che hanno un'alimentazione priva di frutta e di verdura. Gli Enti preposti ricercano e controllano per lo più la presenza di estrogeni a livello della filiera delle carni o del latte, trascurando totalmente gli alimenti non animali, i prodotti cosmetici e quelli per l'igiene personale, l'ambiente e soprattutto le acque". Da qui l'aumento dei casi di impotenza, disfunzione erettile e patologie vascolari, che generano problemi legati all'attività sessuale e provocano infertilità. "Negli ultimi venti anni la percentuale di bambini che nascono con i testicoli retratti, criptorchidismo, è aumentata di quattro volte - fa presente Andrea Ledda, direttore scientifico del Congresso - La colpa è degli estrogeni: sono distruttori endocrini che bloccano la produzione del 'ricettore L3', che si trova nelle cellule fetali-neonatali, il quale condiziona la differenziazione sessuale del feto. Ecco allora le anomalie nell'apparato genitale maschile". "Inoltre - prosegue - gli estrogeni interferiscono nella produzione del testosterone, fondamentale per la maturazione degli spermatozoi e per il mantenimento delle ghiandole che li producono. E così si spiega il problema dell'infertilità maschile, che diventa sempre più importante. Gli spermatozoi che produce l'uomo moderno sono diversi da quelli che produceva trenta anni fa: oggi sono pochi e di scarsa qualità". La presenza di estrogeni nell'ambiente e negli alimenti sarebbe inoltre associata a un incremento di alcuni tumori ormonedipendenti _________________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Sett. ‘07 ADDIO ALLO STETOSCOPIO LE VISITE CON UN MP3 Rivoluzione tecnologica dopo 200 anni STOCCOLMA - Rischia di andare in pensione, dopo 200 anni, lo stetoscopio. Potrebbe prendere il suo posto un lettore Mp3. È una delle novità presentate al congresso dell' European Respiratory Society, a Stoccolma. Ad accelerare la fine dello strumento, usato dai medici per «ascoltare» cuore e polmoni, sono stati soprattutto gli ultimi studi che ne hanno messo in dubbio l' efficacia. O meglio la capacità dei camici bianchi di decifrarne i suoni. In particolare un recente studio danese ha mostrato come gran parte dei medici avesse difficoltà nel distinguere suoni provenienti da cuore, bronchi e polmoni. Neanche l' arrivo dello stetoscopio elettronico - sosteneva lo studio - era servito a migliorare le cose. Altri due studi, inoltre, avevano mostrato come gli studenti di medicina dovessero riascoltare i suoni provenienti da uno stetoscopio circa 500 volte prima di riconoscerne la provenienza. Da qui, la decisione di un ricercatore canadese, Neil Skjodt, del dipartimento di medicina dell' università d' Alberta, a Edmonton, di correre ai ripari. Con il supporto di un collega otorino, Bill Hodgetts, Skjodt ha sostituito il classico stetoscopio con un lettore Mp3, di quelli in vendita nei grandi magazzini. Ponendo l' insolito strumento sulla cassa toracica di alcuni pazienti, il ricercatore ha registrato i suoni provenienti da bronchi e polmoni. Con una qualità molto alta, come ha spiegato il ricercatore. La conferma arriverebbe anche dagli studenti di medicina a cui Skjodt ha fatto ascoltare le registrazioni. Inoltre, «ci sono altri motivi che rendono - secondo Skjodt - il lettore Mp3 preferibile allo stetoscopio. Innanzitutto, questo strumento ci consente trasmettere i suoni a uno specialista». «Inoltre - aggiunge il ricercatore - possiamo condividerli con altri camici bianchi, qualora avessimo dei dubbi sullo stato di salute del paziente». _________________________________________________________________ Le Scienze 20 Sett. ‘07 NGF, UN MARKER PER LE PATOLOGIE EPATICHE Si ipotizza la possibilità di una diagnosi precoce basata su un semplice prelievo di sangue e, di conseguenza, di trattamenti più efficaci PAROLE CHIAVE Marker tumorale NGF Il Nerve growth factor (NGF), il fattore di crescita nervosa la cui scoperta valse il Premio Nobel a Rita Levi Montalcini, potrebbe trovare una insospettata applicazione clinica come marker di patologie come la cirrosi e il tumore del fegato. Secondo quanto scoperto e annunciato da Annalucia Serafino, ricercatrice dell’Istituto di neurobiologia e medicina molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Inmm-Cnr) e dai colleghi dell'Ospedale Regina Elena, dell’Ospedale di Marino e dell’Università di Tor Vergata, l’NGF è infatti presente nei soggetti colpiti da tali patologie in quantità fino a 25 volte superiori rispetto al normale. “L’NGF è il fattore di crescita nervoso essenziale per la sopravvivenza, il differenziamento ed il mantenimento delle cellule neuronali del sistema nervoso centrale e periferico - ha spiegato la Serafino - ma può avere un ruolo sia nella riparazione tissutale del polmone e della pelle, nell’infiammazione cronica e nelle patologie fibrotiche, sia nei tumori del polmone, della prostata e della mammella. La nostra ricerca dimostra che l’NGF potrebbe essere implicato anche nello sviluppo del cancro al fegato”. Nell’articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista “World Journal of Gastroenterology” si ipotizza così la possibilità di una diagnosi precoce basata su un semplice prelievo di sangue e, di conseguenza, di trattamenti più efficaci, evitando al contempo esami bioptici che conservano in ogni caso una notevole invasività. “Il tumore del fegato (epatocarcinoma) è una patologia in costante aumento, in gran parte dovuta all’evoluzione delle epatiti virali croniche B e C”, ha ribadito la Serafino. “Attualmente vi sono molte interessanti possibilità terapeutiche, il cui successo è fondamentalmente legato alla diagnosi precoce. In particolare, nell’epatite C, il processo di trasformazione in carcinoma epatico è preceduto da un periodo, anche molto lungo, di progressiva trasformazione fibrotica (cirrosi). La diagnosi fondamentalmente si basa ancora nella biopsia, tecnica invasiva e non del tutto priva di rischi”. (fc) *** _________________________________________________________________ Le Scienze 20 Sett. ‘07 SE IL TUMORE SI DIFENDE DALLA CHEMIOTERAPIA I risultati possono aiutare a spiegare per quale motivo l’espressione dei marker Nanog e BMI1 sono stati associati alla resistenza alla chemioterapia e alla radioterapia, nonché gli scarsi risultati del trattamento dei tumori della prostata, del seno e dei polmoni PAROLE CHIAVE Tumori chemioterapia metastasi I trattamenti anti-tumorali spesso sono in grado di ridurre le dimensioni della neoplasia, ma alcuni di essi possono avere un effetto opposto, aumentando la crescita della piccola popolazione di cellule staminali tumorali. Di recente alcuni ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che alcune terapie non siano in grado di eradicare i tumori perché non riescono a colpire le cellule staminali tumorali responsabili dello sviluppo della neoplasia. Per verificarla, Vasyl Vasko, patologo della Uniformed Services University of the Health Sciences di Bethesda, nel Maryland, insieme con i colleghi del Institute for Drug Development del CRTRC di San Antonio e quelli della Johns Hopkins University, ha misurato sia i marcatori di cellule staminali sia il volume tumorale prima e dopo un trattamento chemioterapico in topi di laboratorio affetti da una rara forma neoplastica, il condrosarcoma mesenchimale. In prima battuta si è potuto constatare come l’espressione di marker di cellule staminali denominati Nanog e BMI1 fosse notevolmente aumentata nei tumori metastatici rispetto a quelli primari, il che suggerirebbe “che l’espressione dei marker svolge un ruolo nello sviluppo di metastasi”, come ha spiegato Vasko. In seguito, agli animali sono state somministrate diverse terapie, dagli inibitori della VEGF agli inibitori dei proteasomi, verificando come alcuni trattamenti funzionassero, portando a una drastica riduzione delle dimensioni dei tumori. Ma, secondo la relazione presentata ad Atlanta nel corso della Seconda conferenza internazionale sulla diagnosi molecolare nello sviluppo delle terapie oncologiche dell’American Association for Cancer Research, le analisi dell’espressione delle cellule staminali ha rivelato un aumento dell’espressione dei marker Nanog e BMI1. Tale circostanza è stata interpretata ipotizzando che i trattamenti non possano inibire del tutto la crescita tumorale e, anzi, che il tumore si difenda dalla chemioterapia aumentando l’espressione dei marcatori di cellule staminali. I marker, infatti, contribuiscono a definire la capacità delle cellule staminali di rinnovarsi e di differenziarsi in differenti linee cellulari. “Il piccolo numero di cellule che sopravvive al trattamento può generare un altro tumore e dare il via alla metastasi”, ha concluso Vasko. “I nostri esperimenti possono aiutare a spiegare per quale motivo l’espressione dei marker in questione sono stati associati alla resistenza alla chemioterapia e alla radioterapia, nonché gli scarsi risultati del trattamento dei tumori della prostata, del seno e dei polmoni.” (fc) _________________________________________________________________ Le Scienze 20 Sett. ‘07 LE BASI GENETICHE DELL'ARTRITE REUMATOIDE Coinvolto un polimorfismo a singolo nucleotide rilevato nella regione di genoma che separa due geni PAROLE CHIAVE malattie autoimmuni Uno studio condotto da ricercatori dell'Università di Leiden, del Karolinska Institut e della società Celera, indica che lo sviluppo dell'artrite reumatoide sarebbe legato a una specifica regione del cromosoma 9 che include un gene per la componente 5 del sistema del complemento (C5), un sistema "antico" di difesa del corpo da molecole estranee, e un gene, TRAF1 (TNF receptor-associated factor 1), coinvolto nella risposta infiammatoria. In precedenza era già stato individuato un legame fra la malattia e una parte del genoma che controlla il sistema di istocompatibilità umano (HLA) e, nel modello murino, anche un possibile coinvolgimento del gene C5. Come viene illustrato in un articolo publicato sull'ultimo numero della rivista on line PLoS Medicine, i ricercatori hanno utilizzato 40 marker per l'individuazione di polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) su un campione di 240 pazienti affetti da artrite reumatoide e 254 soggetti sani di controllo. Lo studio è stato quindi ripetuto su tre altri gruppi di pazienti e di soggetti di controllo olandesi, svedesi e statunitensi. In questo modo i ricercatori hanno trovato una forte associazione fra l'artrite reumatoide e una regione di sole 65 chilobasi che include la parte terminale del gene C5, il gene TRAF1, oltre a un particolare SNP nella parte che separa i due geni. I ricercatori hanno anche scoperto che la regione genetica in cui si trovano questi geni può essere coinvolta nel legame di una proteina che modifica la trascrizione dei geni. (gg)