IN CANTIERE UN CODICE ETICO PER GLI ATENEI ITALIA DEBOLE SENZA LE SCIENZE ALL' ESTERO. PER SFUGGIRE A CHI NON RICONOSCE IL MERITO SORU: SONO TOTALMENTE CONTRO L’UNIVERSITÀ DIFFUSA UNIVERSITA’ DIFFUSA: E NON È VERO CHE NON SERVE A NULLA MISTRETTA: TAGLIEREMO IL NUMERO DEI CORSI PROVASOLI:SCELTE URGENTI PER LA RICERCA, MA NIENTE CATTEDRALI NEL DESERTO GUARINI: ATENEI, SPENDERE MEGLIO SI PUÒ PIÙ MOBILITÀ PER GLI STUDENTI IL BUSINESS DELL'EDUCATION FA RICCO IL REGNO UNITO SCUOLA E SANZIONI, LA STRETTA È LEGGE RISCATTO LAUREA APPETIBILE SULLA CARTA D'IDENTITÀ E TESSERA SANITARIA OCCORRE CAMBIARE ROTTA ======================================================= LA FABBRICA DEI BEBÉ A MONSERRATO SÌ ALLA BRETELLA TRA LA STATALE 554 E LA CITTADELLA MEDICINA TRANSLAZIONALE: A CACCIA DELLA TERAPIA CHE (ANCORA) NON C'È MEDICINA, IL NOBEL È DI UN ITALIANO CURE PER L’UOMO GRAZIE AI TOPI SANITÀ: L’ANGELO CUSTODE INTRODOTTO PER LEGGE PSICHIATRIA: OPERATORI INVITATI AL SILENZIO SALUTE MENTALE CON LE GOMME A TERRA VIA IL TICKET SU VISITE E ANALISI SASSARI CUORE SOTTO I FERRI SENZA TRASFUSIONE SCEEENING: QUEI DIECI MINUTI MI HANNO SALVATO LA VITA LETTO ASSISTITO TELEMATICO, PIANO SARDEGNA 118: LA SALUTE, SPESSO SI MISURA IN CHILOMETRI ANESTESISTI, GRIDO DI DOLORE UN SARDO SU TRE SOFFRE DI MALATTIE REUMATICHE COSÌ IL MIO VELENO ANTICANCRO HA CONVINTO I GIAPPONESI» SANITÀ AL FEMMINILE, ECCO I BOLLINI ROSA NESSUNO VUOLE PIÙ FARE IL CHIRURGO LA TELEMEDICINA, UNA RIVOLUZIONE CHE ACCELERA LA CURA DEI MALATI UNA DIAGNOSI CON IL CELLULARE TUMORI: PIÙ MALATI IN ITALIA MA LA MORTALITÀ È IN CALO IL RAZZISMO DEL DNA QUARTI SCEMI CI SONO TRA NOI E LA GENETICA NON C'ENTRA AFFAMARE IL TUMORE II TUMORE OSSEO CHE GUARISCE GUERRE DI NUMERI ALL'HIV ======================================================= ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 ott. ’07 IN CANTIERE UN CODICE ETICO PER GLI ATENEI In risposta agli scandali che hanno travolto il mondo accademico, il ministro dell'Università, Fabio Mussi, propone un testo di principi etici e deontologici. A redigerlo saranno «tre autorevoli esponenti della comunità universitaria, i professori Dario Antiseri, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky». I tre docenti hanno accettato l'incarico e dovranno adesso stilare il testo che sarà poi sottoposto alla discussione «e una ' volta chiuso questo percorso - spiega Mussi - inviterò I i rettori delle università ad adottare il codice e a renderlo impegnativo per tutti». Secondo il ministro ' dell'Università i recenti I scandali sono stati provoca- I ti da comportamenti «adottati dai meno e tollerati dai più come se fossero un danno inevitabile». A comporre la commissione Dario Antiseri, studioso di filosofia e ordinario di metodologia delle scienze sociali presso la facoltà di Scienze politiche della Luiss; Stefano Rodotà, ordinario di Diritto civile all'università di Roma La Sapienza; e Gustavo Zagrebelsky, docente di Giustizia costituzionale presso le facoltà di Giurisprudenza dell'università degli studi di Torino e dell'università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 ott. ’07 ITALIA DEBOLE SENZA LE SCIENZE Bloccata la fuga delle iscrizioni, va consolidato il progetto formazione di Andrea Casalegno In Italia, patria dell'inventore del metodo sperimentale Galileo Galilei, la cultura scientifica non è mai stata popolare, e una serie di segnali preoccupanti, dal calo delle iscrizioni alle facoltà scientifiche ai risultati disastrosi dei nostri studenti nelle prove internazionali di matematica e scienze, dimostrano che sinora abbiamo fatto assai poco per invertire la tendenza. Il ragionamento scientifico è tuttora relegato ai margini della vita culturale, e fattività scientifica altrettanto nell'ambito delle scelte professionali, mentre sono ancora diffuso forme di pensiero basate sul pregiudizio, l'irrazionalità e addirittura la superstizione. Ma qui non si tratta di preferenze culturali: privo di una robusta cultura scientifica, il Paese sarà sempre meno in grado di far fronte alla sfida continua del rinnovamento tecnologico.L'antipatia per le scienze non è però un carattere genetico degli italiani: è la conseguenza di scelte educative sbagliate, e in primo luogo di un modo di insegnarle basato sull'apprendimento teorico, spesso soltanto mnemonico, anziché sulla dimostrazione, l'esperimento, l'applicazione del sapere alla soluzione di problemi concreti. «L'emergenza tecnico-scientifica ha diversi aspetti - dice Nicola Vittorio, 53 anni, astrofisico, da otto anni presidente della Facoltà di Scienze nell'Università di Roma Tor Vergata, e presidente della Conferenza dei presidi delle facoltà scientifiche -. La didattica è uno dei principali, ma non l'unico. Pesa anche il pregiudizio antiscientifico largamente diffuso nella nostra società, e per affrontarlo non basta insegnare meglio la matematica e le scienze: è necessaria una vasta opera di orientamento e di informazione, che spieghi ai giovani che cosa fa concretamente un ricercatore scientifico e quali prospettive di lavoro si aprono ai laureati». Una delle ragioni del calo degli iscritti è la convinzione diffusa che dopo anni di studio impegnativo gli sbocchi professionali siano molto limitati: essenzialmente la ricerca e l'insegnamento: «Questo non è affatto vero afferma Vittorio -. Una buona formazione scientifica è utile nei campi più diversi, comprese le attività economiche e manageriali. Un laureato in matematica o in fisica si trova a proprio agio nella gestione di sistemi complessi, e può facilmente trasferire queste abilità anche in ambiti professionali che nulla hanno a che vedere con le scienze». In altre parole, oggi sarebbe assurdo considerare le scienze un sapere meno formativo di quello umanistico; tanto più che oggi il sapere è sempre più trasversale e interdisciplinare. Vittorio guida il Progetto lauree scientifiche (www.progettolaureescientifiche. it), varato circa due anni fa dal precedente ministro dell'Istruzione Letizia Moratti per contrastare il calo delle iscrizioni universitarie. Sui giornali fece notizia soprattutto un particolare concreto, lo sconto sulle tasse d'iscrizione, che non mancò di alimentare le solite polemiche. In ogni caso il Progetto ha raggiunto il suo obiettivo immediato: bloccare il calo delle iscrizioni. Poi ha allargato via via i propri obiettivi, diventando un intervento complessivo per la promozione del sapere scientifico. «Oggi - spiega Vittorio - il Progetto lauree scientifiche si occupa prevalentemente di orientamento degli studenti e di formazione degli insegnanti attraverso una stretta collaborazione fra università e scuole secondarie. Vogliamo far compiere un salto di qualità alla didattica della matematica e delle scienze, generalizzando un apprendimento attivo basato sul metodo sperimentale, sulle attività di laboratorio, su workshop e stage negli istituti di ricerca e nelle aziende tecnologicamente avanzate». Il progetto, che ha avuto il sostegno attivo di Confindustria e delle associazioni territoriali degli imprenditori, è andato quindi ben oltre l'obiettivo iniziale, concreto ma limitato. Lo dimostrano le cifre: in due anni sono stati realizzati più di 600 laboratori e workshop, mentre le attività di formazione e orientamento hanno coinvolto più di 30 sedi universitarie, più di 1600 scuole, più di 30mila insegnanti e più di 60mila studenti. Un risultato notevole, che rischia però di andare sprecato se il Progetto non ricevesse i fondi per proseguire; fondi che per ora non si sono visti. Intanto i suoi sforzi non sono rimasti isolati. L'ex ministro della Pubblica Istruzione Luigi I3erlinguer guida dall'estate zoo6 il gruppo di lavoro per lo Sviluppo della cultura scientifica, creato da quattro ministeri: Università e Ricerca, Pubblica istruzione, Innovazione scientifica e Beni culturali. Composto da una ventina di esperti e finanziato con 45milioni di euro (30 dei quali destinati alle regioni meridionali), il gruppo si è concentrato sulla didattica delle scienze nelle scuole secondarie e ha prodotto lo scorso maggio un documento rivolto agli insegnanti. ________________________________________________________ Corriere della Sera 15 ott. ’07 ALL' ESTERO. PER SFUGGIRE A CHI NON RICONOSCE IL MERITO L' impresa che mette come direttore generale il manager più bravo lo fa per guadagnare di più. L' università americana, che chiama come professore una celebrità riconosciuta, attrae più finanziamenti, migliori studenti e anche migliori professori. Da noi questo non succede perché, essendo statale o controllata dallo Stato, l' università non ha molti vantaggi ad avere professori famosi. E, in tutte le imprese pubbliche, i posti di presidente e di amministratore delegato sono assegnati da politici che si preoccupano del vantaggio (politico) che ne possono ricavare. Vi sono infine, a destra, a sinistra e trasversalmente, organizzazioni che, in un territorio, controllano tutto: le banche, la sanità, l' edilizia, decidono sulle aree fabbricabili, sulle licenze, sulle commesse pubbliche e collocano, in tutti i posti di comando, solo proprie persone. Del merito non gliene importa nulla. Una situazione che, oggi, è forse la principale causa del disagio e della sofferenza di tante persone di valore, oneste, che lavorano, si prodigano e non vengono né aiutate né riconosciute. E del disagio dei giovani. Ci sono certo anche dei settori in cui viene riconosciuto il merito. Uno è quello del volontariato, dove si trova gente straordinaria che si prodiga per il bene. Un altro è l' insegnamento, dove ci sono ancora persone preparate e dedicate. Sbagliano gli studenti a comportarsi male con i propri insegnanti. Dovrebbero invece fare come nelle università medioevali, dove erano loro ad andare a cercare i migliori professori e li seguivano. Un terzo settore è quello del commercio, dell' artigianato, dei mestieri in cui si affronta veramente il mercato, e riesce chi ha talento, chi studia e si aggiorna. Vi sono poi le imprese piccole, medie e grandi che si battono con successo sul mercato globale. E sono tante. Infine, per fortuna, siamo circondati da Paesi più dinamici del nostro, in cui i giovani più intelligenti possono andare a studiare, a lavorare, a far carriera e da cui possono anche ritornare come scienziati affermati o dirigenti di multinazionali. Dovendo dare un' indicazione ai giovani, perciò mi sento di dire loro solo questo: non contate troppo sull' aiuto pubblico, datevi da fare voi, studiate, imparate le lingue, andate all' estero. Non come turisti ma per imparare, per lavorare. Poi afferrate tutte le occasioni che trovate, inventate, create. Scoprite il gusto, il piacere di fare le cose bene. Alla fine il risultato arriverà. www.corriere.it/alberoni Alberoni Francesco __________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 ott. ’07 SORU: SONO TOTALMENTE CONTRO L’UNIVERSITÀ DIFFUSA Campane a morto per i corsi di laurea dopo le dichiarazioni di Soru Iglesias. Preoccupazione tra gli studenti. Il filmato immesso in internet è stato poi fatto sparire La considerano tutti una scommessa vinta. Ma ora l’Università di Monteponi è a rischio. Per aziende, enti e studenti i tre corsi di laurea attivati nel villaggio minerario alle porte di Iglesias sono una risorsa preziosa. Per la Regione, invece, la cosiddetta Università diffusa è come una Cenerentola. Anzi, per usare le parole di Renato Soru, «è l’Università dei figli di pastori e agricoltori». Un pensiero che il presidente della Regione ha espresso pubblicamente, mercoledì sera, durante un incontro con gli studenti dell’Ateneo Cagliaritano in occasione del ventesimo anniversario della nascita dell’Ersu. «Sono totalmente contro l’università diffusa - ha detto testualmente Soru - È l’Università dei poveri contro quella dei ricchi; quella dei figli di pastori e agricoltori contro quella dei figli di avvocati e commercialisti. Noi l’abbiamo trovata, invece vogliamo che tutti siano nelle condizioni di frequentare a Cagliari e Sassari poi, siccome siamo in un mondo aperto, anche a Pisa». Parole che hanno lasciato di stucco gli studenti presenti all’incontro, ma anche quelli che hanno ascoltato via internet le parole del presidente. L’incontro all’Ersu è stato, infatti, registrato e inserito nel sito realizzato per la candidatura di Soru alla guida del partito democratico sardo. Una registrazione video che in tanti hanno potuto vedere e ascoltare, ma che è improvvisamente scomparsa nel pomeriggio. È bastato un giro di telefonate tra gli studenti, il diffondersi del malcontento tra gli universitari, il tentativo de L’Unione Sarda di raccogliere reazioni tra i docenti per fare sparire immagini e audio. Molti, però, avevano già avuto modo di ascoltare le parole del presidente. E di reagire indignati: «Abbiamo sentito frasi scandalose - commenta Lorenzo Espa, di Carbonia, studente di Medicina e presidente del Consiglio degli studenti - la definizione di Università diffusa data dal presidente è offensiva e ci preoccupa molto». Il rappresentante degli universitari si sofferma sul caso di Iglesias, dove sono presenti i corsi di Scienza dei materiali, Informatica e Ingegneria ambientale: «Stiamo parlando di una sede che ha la sua peculiarità e ha senso proprio perché si trova in un territorio caratterizzato dalla presenza del Polo industriale». Sconcertato anche Giorgio Piccaluga, responsabile del polo universitario di Monteponi, il quale, tuttavia, aveva già avuto sentore dell’orientamento della Regione. «Non si spiega altrimenti il fatto che, sinora, non sono stati neppure ripartiti i fondi che ci spettano per il 2007. Posso capire che ci sia la necessità di mettere ordine nel sistema dell’Università diffusa, ma quanto meno il presidente avrebbe potuto avviare un confronto. Invece non solo ciò non è accaduto, ma non ha neppure risposto alla richiesta d’incontro che l’Ausi (l’associazione che sostiene l’Università del Sulcis Iglesiente) ha fatto da tempo». Anche Cinzia Patteri, rappresentante degli studenti della facoltà di Scienze dei materiali, si mostra indignata: «Ho visto il video sul sito internet e sono rimasta sconcertata. La Regione aveva promesso l’erogazione di fondi, ma a giudicare dall’intervento del presidente Soru mi pare di capire che resterà una promessa inutile». Cinzia Simbula __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 ott. ’07 UNIVERSITA’ DIFFUSA: E NON È VERO CHE NON SERVE A NULLA Studenti e politici dicono la loro sulle dichiarazioni del governatore NUORO. Si respira aria di tensione nelle aule dell’ateneo nuorese dopo le affermazioni del presidente Soru su “questa” università che «non serve a niente». Tensione e paura, anche, per le scelte finali del presidente, il quale ha confermato il suo pensiero due giorni fa agli universitari di Cagliari. «Intanto non è vero che questa università non serve a nulla» afferma Giovanni Zidda, studente al 5º anno di Scienze ambientali. E cita a titolo personale un dato, precisamente un concorso nazionale per dirigenti. «Su 18 concorrenti per posti a livello di funzionari - dice - ne sono passati 10 nuoresi». E questo depone sulla formazione. Il problema dunque è un altro. «L’università nuorese stava crescendo bene - denuncia Zidda - ma è stata bloccata da Cagliari e Sassari. Chi esce dall’ateneo nuorese sa del valore reale dei corsi, ma il problema è che non si vuole che Nuoro cresca. Gli sgambetti per bloccare la sua crescita sono continui». In questa fase al giovane sembra utile dunque una «seria riflessione» sulla crisi, ma anche una «mobilitazione», da fare con senso di responsabilità ed equilibrio, in modo da difendere l’ateneo e «consolidare le alleanze nel territorio», con tutte le forze sociali e politiche. Zidda rinnoviamo quindi il uo sì a un incontro con il presidente Soru ma con «l’obiettivo di qualificare i corsi, non di chiudere i battenti». Presto comunque gli universitari nuoresi uisciranno con un documento completo sul futuro dell’ateneo. Anche Cristian Fadda, studente in Scienze forestali, è sulla stessa linea d’onda di Zidda. Nonostante le «dichiazioni forti» del presidente Soru, comunque, lui non crede che il «rischio chiusura sia scontato». Il futuro dell’università dipende anche dalla «mobilitazione che gli universitari nuoresi sapranno darsi» insieme alle forze sociali e politiche. «Tra l’altro - conclude il giovane - quando il presidente Soru quando ci ha incontrato ha garantito un altro incontro con noi, per ascoltare le nostre proposte sul futuro dell’università nuorese. Noi chiaramente, dal canto nostro, chiederemo a lui di andare oltre la chiusura e avanzare le sue proposte risolutive». In questi giorni nelle aule e nei corridoi non si discute d’altro. Al centro ci sono le parole di Soru, ma anche il caso del Campus tradito e il patto saltato con la Difesa. La reazione però non è solo degli studenti, anche il mondo politico è in fermento. In particolare quello dei consiglieri regionali nuoresi che si sono sempre battuti per l’università. Per Giuseppe Luigi Cucca della Margherita le recenti dichiarazioni «lasciano davvero perlessi» anche perchè sono contro «gli impegni assunti nell’accordo e all’inizio della legislatura». Inoltre c’è il fatto che il presidente Soru è stato più volte «da noi invitato a discutere a Nuoro sull’università, ma lui non è mai venuto». E questo «lascia doppiamente perplessi». Per Cucca invece bisogna correrer ai ripari ed «evitare il peggio», anche perchè ritiene ancora che l’università nuorese sia un potenziale «volano» per lo sviluppo del Nuorese. A fianco di Soru invece Vincenzo Floris, consigliere regionale ds. «Io ritengo - dice - che il presidente Soru sia per università di seria A e non di serie B. Soru dunque non è contro l’universitù diffusa, ma contro le università dequalificate. Quella di Nuoro deve diventare una università di alto livello, nell’interesse di tutto il territorio». Sono dunque «fuori luogo» per Floris le «strumentalizzazioni penose» che vengono fatte sulle parole del presidente. «Sarebbe più utile, invece, subito dopo le primarie, sedersi intorno a un tavolo, per rilanciare l’ateneo in termini seri» conclude il consigliere ds. Anche per la consigliera regionale ds, Francesca Barracciu, serve subito un tavolo. «Perchè - sottolinea - più che di parole forti, e minacce di chiusura, forse oggi c’è più bisogno di dialogo: per ascoltare, capire e trovare soluzioni». Per la consigliera l’università di Nuoro resta una realtà e una «presenza importante» non solo per gli studenti, ma anche «per il territorio» in termini strategici. «Se questo è un punto di vista ancora condiviso da tutti - aggiunge - allora bisogna essere conseguenti anche sul piano finanziario, dotando di risorse una struttura che, comunque, dovrà fare un salto di qualità, che le consenta di reggersi strutturalmente e di eccellere in alcuni indirizzi di studio». «Tutti noi vorremmo una Bocconi in Sardegna - conclude Barracciu - ma non ce nè a Cagliari nè a Sassari. E siccome questo non è facile, occorre partire dalle realtà che abbiamo, Nuoro compresa, per consentire l’accesso agli studi nello sviluppo integrato. Più che di parole forti credo che ci sia bisogno di scelte e soluzioni».(n.b.) __________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 ott. ’07 MISTRETTA: TAGLIEREMO IL NUMERO DEI CORSI UNIVERSITÀ, 6 SU 10 NON DANNO ESAMI L’allarme. Autocritica del rettore Pasquale Mistretta. Probabili tagli al numero di corsi Solo il 12% degli studenti arriva alla laurea: ultimi in Italia Un panorama desolante che non risparmia nessuna facoltà. Mistretta: «Sempre in coda». «Troppi record negativi: è ora di cambiare rotta». Il rettore Pasquale Mistretta nell’ultima seduta del senato accademico dell’Università ha lanciato l’allarme rosso citando i dati negativi che vedono l’ateneo che dirige agli ultimi posti in tutte le classifiche: dai fuori corso agli studenti che in due anni non danno neanche un esame, dal tasso di completamento degli studi al primo posto, a classifica capovolta, del numero di laureati in rapporto agli iscritti. Una situazione grave sotto molti aspetti, non ultimo su quello economico. Nella distribuzione delle risorse statali, ad esempio, il ministero non prende in considerazione i seimila studenti che in due anni accademici non hanno sostenuto neanche un esame. Così la quota di iscritti che fa fede per il conteggio delle risorse finanziarie del Governo scende da 36 mila a 30 mila. POCHI ESAMI Un panorama desolante che non risparmia nessuna facoltà. Nel rapporto presentato dal rettore ai componenti del Senato accademico, i dati mostrano una situazione estremamente negativa. La percentuale di studenti che non sostiene esami, nel 2005-2006 ha superato il 50 per cento nei corsi di laurea di Servizi giuridici (53%), Economia e gestione aziendale (60%), Economia e finanza (61%), Filosofia (56%), Lingua, letteratura e cultura della Sardegna (67%), Tecniche e laboratorio Biomedico (75%), Scienza dei materiali (54%), mentre non si contano i casi che superano il 30 per cento. «In tutto» ha evidenziato Mistretta, «sono circa seimila i ragazzi iscritti che non hanno mai dato un esame». REVOCARE L’ISCRIZIONE Un male radicato nell’Ateneo che il rettore vorrebbe combattere «magari con la cancellazione della loro iscrizione per poi consentirgli di fare una nuova iscrizione seguendo una via più semplice». Nel rapporto si evidenzia un altro aspetto grave: circa il venti per cento degli studenti lascia l’Università. Anche in questo caso ci sono degli esempi rappresentativi con percentuali che arrivano anche a superare il 40 per cento in alcuni corsi di laurea delle facoltà di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Lettere e Filosofia, Farmacia, Scienze matematiche, fisiche e naturali, Ingegneria. «A volte la presenza di troppi corsi di laurea può essere penalizzante», ha sottolineato Mistretta. Una posizione che lascerebbe intravedere l’intenzione di ridurre il numero dei corsi, eliminando magari quelli con i risultati peggiori. I RAFFRONTI La relazione del rettore ha inoltre messo a confronto l’Ateneo cagliaritano con alcune Università (Siena, Pavia, Trieste, Cosenza, Genova e Perugia) della stessa grandezza a quantità di iscritti. Un confronto che colloca Cagliari sempre all’ultimo posto. La percentuale di ragazzi che nel 2006 ha completato gli studi (che nel capoluogo varia dal 56 per cento di Medicina al 23 di Giurisprudenza) è la peggiore, con un distacco che in alcuni casi raggiunge anche il quaranta per cento. Male anche il raffronto con la media crediti per studente: anche in questo caso Cagliari occupa l’ultimo gradino. Infine il dato dei laureati in rapporto agli iscritti, con l’inevitabile e sconfortante ultimo posto con una media del 12% e con distacchi dagli altri Atenei che arrivano anche a dieci punti percentuali. «Sempre in coda - ha ammesso amareggiato Mistretta - nonostante nelle recenti graduatorie del Censis, che prende in considerazioni più fattori, Cagliari sia al settimo posto nel confronto con i 17 grandi atenei italiani». Matteo Vercelli ________________________________________________________ Corriere della Sera 14 ott. ’07 PROVASOLI:SCELTE URGENTI PER LA RICERCA, MA NIENTE CATTEDRALI NEL DESERTO «Ricerca, concentrare i fondi sui centri d' eccellenza» Il rettore della Bocconi, Angelo Provasoli: i problemi delle università non si risolvono creando cattedrali nel deserto Se guardiamo i numeri, la Finanziaria segna un passo avanti (o per lo meno non uno indietro) in tema di università e ricerca. Sono 400 i milioni di euro di aumento per i settori università (320 milioni) e ricerca (80 milioni). A salire è anche il credito di imposta in ricerca: le imprese che stipulano contratti di ricerca e collaborazione con università e centri di ricerca potranno beneficiare di un credito d' imposta pari al 40 per cento delle spese sostenute, contro il 15 per cento dello scorso anno. Ogni impresa potrà infine portare in deduzione fino a 50 milioni di euro (prima erano solo 15). I numeri testimoniano quindi un' attenzione della politica nei confronti di un settore da tutti considerato strategico al quale però non si presta mai la necessaria attenzione. Ma i numeri non sempre descrivono con la dovuta attenzione la realtà e soprattutto non sono utili per individuare una linea politica. Alzare di qualche punto il credito d' imposta o di qualche milione la spesa per università e ricerca non serve a dare all' Italia una strategia in tema di alta formazione e ricerca. Il sistema universitario italiano è al palo perché da troppo tempo manca di una strategia che non sia quella di aprire nuovi atenei (compresi quelli telematici siamo a 91) o nuovi corsi di studio (3.089 quelli di primo livello e 2.412 quelli di secondo). Tutti ugualmente riconosciuti a livello legale, tutti ugualmente inseriti nell' arena competitiva della quale il processo di Bologna ha gettato le fondamenta. Come si concilia, per esempio, la politica di un ateneo per ogni campanile con i continui appelli alla mobilità degli studenti? E la qualità con la scarsità di risorse? Il Libro verde sulla spesa pubblica sottolinea i problemi della nostra università: a quelli sopra citati vanno aggiunti il rapporto docenti/studenti inadeguato; gli scarsi servizi accessori (leggi mense, alloggi, eccetera); l' insufficiente numero di borse di studio con un importo per di più inadeguato; lo scarso ricorso a meccanismi di selezione degli studenti all' ingresso. E altri ancora. Tutti problemi strettamente connessi alla quantità di risorse finanziarie e alla qualità del loro utilizzo. Esistono poi problemi di gestione degli atenei: dal sistema di governance con «una marcata tendenza alla autoreferenzialità» al sistema di remunerazione dei docenti, evidentemente troppo rigido e non capace di premiare la qualità del lavoro. Per non parlare dei meccanismi concorsuali inefficienti e della composizione del corpo docente «inadeguata, con troppi professori ordinari e associati rispetto al numero dei ricercatori». Alla mancanza di eccellenze come si risponde? Sicuramente in modo inefficace e spesso creando nuove cattedrali nel deserto, aprendo nuovi laboratori dal nulla o investendo in nuove agenzie per l' innovazione. Nel 2003, per esempio, la comunità scientifica si è profondamente divisa (per non dire opposta) alla decisione di istituire l' Istituto italiano di tecnologia, quello che subito era stato ribattezzato come il Mit italiano. Se davvero si vuole che slogan come «l' importanza del capitale umano» o dichiarazioni d' intenti sull' importanza dell' innovazione diventino fatti concreti è necessaria una svolta nella politica italiana. È necessario che l' attenzione dai numeri si sposti sulla qualità delle scelte. Perché di questo stiamo parlando, di fare delle scelte, di premiare quei centri e quelle facoltà già in odore di eccellenza concentrando qui le risorse umane e finanziarie. Scelte che vanno fatte consapevolmente e in modo partecipato. Al controllo di qualità e produttività effettuato dai vari Cnvsu e Civr o dal sempre costituendo Anvur bisogna necessariamente unire il confronto con la comunità scientifica. Non con le caste, ma con la comunità. Non si tratta infatti di mantenere privilegi e posizioni ma di rendere protagonista delle scelte chi la ricerca e la didattica la fa ogni giorno. E se queste scelte portassero anche alla chiusura di atenei o centri di ricerca nessuno dovrebbe gridare allo scandalo. Anzi. Solo a questo punto, dopo aver affrontato il problema da un punto di vista qualitativo, potremmo tornare a parlare di numeri. rettore della Bocconi Provasoli Angelo ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 ott. ’07 GUARINI: ATENEI, SPENDERE MEGLIO SI PUÒ di Renato Guarini * Non era mai accaduto che un ministro dell'area economica accompagnasse il collega responsabile dell'università a un incontro con i rappresentanti degli atenei. Tommaso Padoa Schioppa e Fabio Mussi lo hanno fatto qualche settimana fa, per discutere nella sede della Crui del Patto per l’università e la ricerca, firmato a inizio agosto. Un fatto che deve essere interpretato come u cambiamento significativo: il decisor pubblico riconosce finalmente la necessità di prendere sul serio il ruolo del sistema universitario, quale motore di sviluppo e quale protagonista nella costruzione di quella economia della conoscenza che è il comune intento dei Paesi Ue. D'altra parte il ritardo da recuperare sotto gli occhi di tutti. Il rapporto Ocs 2007 sull'istruzione indica che in Italia 1 spesa per la formazione universitaria re sta inchiodata allo o,9oo sul Pil, una cifra di mezzo punto sotto la media Ocse e pari ad appena un terzo circa della spesa sostenuta dagli Stati Uniti per la stessa finalità A colloquio con i rettori, il ministro dell'Economia non ha negato i problemi più volte denunciati dagli atenei. Il documento elaborato dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica sotto E guida di Gilberto Muraro, illustrato & Mussi e Padoa-Schioppa ai rettori e destinato a far parte integrante del Patti: per l'università, è un contributo analitico di notevole spessore. Il testo mette ú evidenza inefficienze del sistema universitario italiano per alcuni servizi didattici e formativi e l'assetto rigido de comparto docente; ma per converso sottolinea come la discontinuità del Fondi di finanziamento ordinario (Ffo) - i principale capitolo di finanziamento pubblico destinato agli atenei - sia cau sa di squilibri finanziari anche nelle università gestite in modo oculato. Da quell'incontro è scaturita la con ferma che il Patto per l'università è un; proposta seria. Due sono però i punti irrinunciabili affinché il Patto possa esse re sostanziato: Anzitutto nell'andamento del Ffo deve essere tenuto conto degl oneri derivanti dagli aumenti automatici delle retribuzioni dei docenti e del per sonale tecnico-amministrativo, che attualmente le università assumono su sé senza ricevere alcun finanziamento aggiuntivo. In secondo luogo deve essere ipotizzato un sistema compensativo per le spese improprie sostenute dalle università che hanno una o più facoltà di medicina e chirurgia a favore del sistema sanitario nazionale. Questi interventi costituirebbero una 1- base per mettere in atto quei comporta- menti virtuosi previsti dal Patto, in particolare il rispetto assoluto del tetto del - 90% di spese per il personale sul totale – del Ffo. Il fine ultimo non è di spendere ° meno per l'università italiana. In termini a di spesa annua per studente siamo già il a fanalino di coda con 4.167 euro, circa un - terzo in meno rispetto alla media Ocse.Si n tratta invece di spendere meglio, per far e crescere il Paese sul piano culturale ed - economico e per consentire alle università di essere davvero competitive e di imporsi nell'attuale processo di internazionalizzazione dei saperi. Rettore Università La Sapienza ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 ott. ’07 PIÙ MOBILITÀ PER GLI STUDENTI È possibile cambiare Stato e facoltà Marco Noci MILANO D'ora in poi sarà più facile per i "cervelli" stranieri venire a studiare in Italia. Martedì scorso è infatti entrato in vigore il decreto legislativo >,54 del io agosto 2007 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del y settembre 2007), che attua la direttiva 2004/m4/CE del 13 dicembre 2004 sulle condizioni di ammissione dei cittadini di altri Paesi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato: Le novità dei due articoli del decreto riguardano universitari e studenti dell'istruzione secondaria, tirocinanti non retribuiti e volontari. L'articolo i che modifica e integra l'artico10 39 del Testo unico sull'immigrazione, stabilisce che lo straniero titolare del permesso di soggiorno per studio, se ha l'autorizzazione dell'ateneo, può cambiare facoltà (cosa che prima non era possibile). Viene poi facilitata la mobilità: chi soggiorna per motivi di studio in altri Paesi dell'Unione può entrare in Italia per proseguire o integrare gli studi, senza necessità di richiedere il visto di ingresso. Questa possibilità può rientrare nel programma di scambio comunitario o bilaterale con il Paese di origine, oppure è concessa allo straniero autorizzato a soggiornare per almeno due anni, per motivi di studio, in un altro Paese dell'Unione. La richiesta di permesso di soggiorno deve essere accompagnata dalla documentazione dell'Università in cui lo straniero ha già studiato, che attesti che il programma di studi da svolgere in Italia sia complementare rispetto a quello già svolto. Queste condizioni non sono richieste se il programma di studi dello straniero prevede obbligatoriamente che una parte di esso si svolga in Italia. Le norme sulla mobilità per motivi di studio non riguardano gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da un altro Paese dell'Unione, che, come previsto dall'articolo 9 bis del Testo unico, già possono chiedere di soggiornare sul territorio nazionale per più di tre mesi per frequentare corsi dì studio o di formazione professionale. Saranno disciplinate dal regolamento di attuazione, infine, le condizioni di ingresso e soggiorno per la frequenza di corsi di formazione professionale e tirocini formativi (nell'ambito del contingente annuale stabilito con decreto ministeriale) degli studenti non universitari. Quelli di età superiore a diciotto anni (per la frequenza di corsi di studio negli istituti di istruzione secondaria superiore e corsi di istruzione e formazione tecnica superiore), quelli con almeno quindici anni (in presenza di adeguate forme di tutela) e quelli con almeno quattordici anni, nell'ambito di programmi di scambio o di iniziative culturali approvate dai Ministeri competenti. L'articolo a disciplina la clausola di invarianza finanziaria. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 ott. ’07 IL BUSINESS DELL'EDUCATION FA RICCO IL REGNO UNITO Le fonti di introito sono l'insegnamento per studenti stranieri, L'arrivo di giovani da tutto il mondo fa confluire nelle casse i servizi di consulenza, l'editoria specializzata e il software degli atenei rette universitarie per oltre 2 miliardi di sterline Nicol Degli Innocenti LONDRA Vale 28 miliardi di sterline, circa 42 miliardi di curo, e rappresenta la maggiore voce dell'export della Gran Bretagna è l’istruzione, non i servizi finanziari o il settore automobilistico. Lo rivela uno studio appena pubblicato, "Global value: the value of UK education and training exports", condotto dall'Università di Sheffield per conto del British Council. Lo studio tiene conto degli introiti generati dall'insegnamento per studenti stranieri sia a livello scolastico che universitario, dai servizi di consulenza, dall'editoria specializzata e dal software e dai programmi educativi ad hoc. II totale è poco meno di 28 miliardi, contro i zo miliardi generati dal settore automobilistico, i i9 miliardi dei servizi finanziari, i 14 miliardi dei servizi collegati a medicina e salute e i 9,4 miliardi del comparto bevande e alimenti. «È fantastico avere una conferma del reale valore dell'istruzione per la nostra economia - ha commentato Martin Davidson, amministratore delegato del British Council -. Questo "rapporto mostra come l'asse portante del nostro sistema di istruzione si sia spostato da uno prevalentemente nazionale a uno che opera in un contesto realmente internazionale». Il valore diretto degli studenti stranieri, ad esempio, è aumentato del 39% dall'ultimo studio condotto due anni fa. Le università britanniche, in particolare, continuano a essere una vera e propria calamita per gli studenti stranieri, sia dall'Europa che da altri continenti, nonostante la forte concorrenza degli atenei statunitensi, europei e australiani. La Gran Bretagna ha circa 320mila studenti stranieri ed è seconda solo agli Stati Uniti come quota di mercato dei business globale dell'insegnamento universitario. Le ragioni, secondo un sondaggio tra gli studenti stranieri, sono la reputazione di alta qualità dei corsie la maggiore facilità a trovare lavoro se in possesso di una qualifica targata UK: Business studies è la materia più gettonata, seguita dall'arte e letteratura, scienze informatiche e ingegneria. Le rette universitarie degli studenti stranieri portano oltre a miliardi di sterline nelle casse degli atenei britannici, una cifra considerevole, soprattutto tenendo conto che le università ricevono dal Governo G miliardi di sterline in totale per tutte le loro attività di insegnamento e ricerca. Inoltre gli studenti stranieri spendono più di 6 miliardi di sterline in affitto, vitto e altro mentre risiedono in Gran Bretagna. Anche il settore scolastico è in espansione e le scuole e licei privati, alcuni dei quali hanno iniziato a offrire corsi "internazionali" come il baccalaureato, hanno registrato il maggiore tasso dì crescita. Oltre frontiera Il rapporto rivela anche il forte aumento dei corsi transnazionali, cioè i corsi di studio britannici a distanza che studenti stranieri possono seguire senza lasciare il proprio Paese. I maggiori mercati per questa particolare forma di export sono in Asia: Cina, Hong Kong, Singapore, Malaysia e India. Cresce però anche la concorrenza da questi Paesi: Singapore, Malaysia e India in particolare stanno potenziando le loro attività di insegnamento internazionale, mentre Francia, Germania e Olanda hanno iniziato a offrire corsi post-laurea in lingua inglese. Per quanto riguarda l'insegnamento dell'inglese, il numero di studenti è in continuo aumento e ha superato il mezzo milione all'anno. Gli introiti però sono scesi perché gli studenti tendono a scegliere corsi più brevi, spesso per questione di costi. Il premier Gordon Brown ha stabilito l'obiettivo di raddoppiare il valore come export dell'inglese a oltre 20 milioni di sterline entro il 2020, individuando la Cina come il maggiore mercato. Entro pochi anni, il numero di cinesi che parleranno inglese sarà superiore al numero dei madrelingua inglesi. Ciò nonostante, il British Council avverte che le autorità devono investire di più nel settore per non restare indietro. «La nostra posizione è vulnerabile - spiega Davidson -. Se non iniziamo a prendere l'istruzione più sul seria come business globale, perderemo la corsa contro altri Paesi che comprendono il valore dell'insegnamento per la loro economia meglio di quanto non facciamo noi». II successo delle università britanniche nell'attrarre studenti stranieri ha un elemento di rischio perché si trovano a dipendere da un mercato estremamente mutevole. Oltre alla concorrenza degli atenei stranieri, il fattore costo incide negativamente. Un altro studio dell'Higher Education Poiicy Institute (Hepi) rivela infatti una crescente insoddisfazione tra gli studenti stranieri in Gran Bretagna a causa dell'alto costo sia della vita sia dei corsi universitari. Per non rischiare di uccidere la gallina dalle uova d'oro, Hepi propone quindi l'introduzione di tasse universitarie ridotte, e altre agevolazioni fmanziarie per gli studenti esteri. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 ott. ’07 SCUOLA E SANZIONI, LA STRETTA È LEGGE Istruzione. Il Senato ha approvato definitivamente il Ddl di conversione del decreto che ha affidato poteri più incisivi ai presidi Quarta prova scritta all'idoneità di terza media - Verifiche periodiche sugli studenti Luigi Illiano ROMA Approvazione definitiva, ieri in Senato con 147 voti a favore e 114 contrari, per il decreto legge che attribuisce maggiori poteri decisionali ai presidi in materia di sanzioni disciplinari contro i docenti scorretti. Ma non solo: il Dl («Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2007/o8 e in materia di concorsi per ricercatori universitari») ripristina il tempo pieno nella scuola elementare e introduce il giudizio di idoneità per l'esame di terza media, per il quale aggiunge una quarta prova scritta a carattere nazionale. E, imprime un'ulteriore stretta per i candidati privatisti alla maturità: non potranno più scegliere la sede dove sostenere la verifica finale. Dal testo arriva anche l’ok a 10 milioni di euro per le "classi primavera" (rivolte ai bambini di 2 e 3 anni), e alle disposizioni per l'assunzione di ricercatori universitari. Il decreto fissa tempi certi per la conclusione degli interventi disciplinari contro gli insegnanti (120 giorni al massimo) e maggiori poteri ai presidi. Non si tratta di un provvedimento anti-fannulloni, ma di una mini-riforma del sistema delle competenze e del procedimento disciplinare. Prima di tutto il parere del Consiglio di disciplina (da esprimere entro 60 giorni), pur restando obbligatoria, non è più vincolante. In casi gravi di docenti scorretti, o coinvolti in vicende giudiziarie, il preside può intervenire direttamente sospendendo il professore. Stesso discorso per i casi di "incompatibilità ambientale". Ridisciplinata la sospensione cautelare, eliminando il parere del collegio dei docenti. L'introduzione del tempo pieno su 40 ore nella scuola primaria significa il ritorno del modello precedente alla riforma Moratti. Viene offerto in base alle richieste delle famiglie nel quadro degli organici complessivi definiti annualmente e in relazione alla disponibilità dei servizi predisposti dagli enti locali. A tal fine, è previsto un piano triennale di intervento da definire in modo congiunto tra Stato, Regioni, Province e Comuni e da approvare in Conferenza unificata. Arriva lo sbarramento del giudizio di idoneità per l'esame di terza media. Si aggiunge, poi, una quarta prova scritta: test nazionali predisposti dall'Invalsi. Saranno, inoltre, attivate verifiche periodiche sugli apprendimenti degli studenti. Perchè anche l'esame di terza media soffre di una forte crisi di qualità. Nel 2006/07 oltre il 63% dei ragazzi ottenne un valutazione tra "sufficiente" e "buono". E va considerato che quasi sempre il giudizio "sufficiente" viene attribuito per evitare di bocciare. Il Dl stabilisce anche che, dal 2007/08, gli oneri per il pagamento delle supplenze delle docenti in maternità sono trasferiti all'Economia. Gli istituti si ritroveranno con un importante alleggerimento del bilancio, soprattutto se si considera che si tratta del costo che ha fatto sprofondare le finanze delle scuole. La cifra resta comunque nel capitolo di spesa dell'Istruzione. II testo sblocca, infine, i finanziamenti per i concorsi per i ricercatori, per università ed enti di ricerca. E per gli assunti viene previsto un meccanismo di valutazione da parte dell'Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario). LE ALTRE MISURE I candidati privatisti non potranno più scegliere la sede della maturità Sbloccati i fondi dei concorsi per ricercatori universitari ______________________________________________________________ Italia Oggi 13 ott. ’07 RISCATTO LAUREA APPETIBILE Il ddl che recepisce il protocollo welfare rende più conveniente l’operazione La copertura degli studi spalmabile in dieci anni DI GIGI LEONARDI Valorizzare gli anni di studi universitari ai fini della pensione dall’anno prossimo sarà più conveniente. Il costo del riscatto potrà infatti essere spalmato su un arco di 10 anni e senza l'aggiunta degli interessi. Non solo, ma per quanto riguarda in particolare giovani, coloro cui si applica il nuovo sistema contributivo, gli anni di studio recuperati costituiranno anzianità pensionistica a tutti gli effetti, come avviene per i più anziani. La novità, già anticipata nel Protocollo del 23 luglio, è contenuta nell’art. 27 del disegno di legge di riforma previdenziale approvato dal consiglio dei ministri di ieri, lo stesso articolo che facilita peraltro la totalizzazione dei periodi assicurativi. Ma andiamo con ordine. Laurea lunga e breve. Ogni lavoratore può chiedere di coprire con versamenti a proprio carico il periodo del corso legale degli studi universitari. In passato il recupero ai fini pensionistici degli anni di università era pressoché riservato solo alla laurea vera e propria. Non potevano, infatti, essere riscattati i corsi superiori che non davano luogo al conferimento del titolo accademico, come ad esempio, le cosiddette «lauree brevi» e i diplomi «parauniversitari. Dopo la riforma Dini del 1995, grazie a uno dei provvedimenti di attuazione della cosiddetta armonizzazione dei regimi previdenziali (decreto legislativo n. 184/1997), ora è possibile recuperare, senza particolari vincoli, anche gli anni di studio per: il «diploma universitario» che si consegue dopo un corso di durata non inferiore a due e non superiore a tre anni (la cosiddetta «laurea breve»); il «diploma di laurea», ottenuto dopo un corso di durata non inferiore a quattro e non superiore a sei anni il «diploma di specializzazione», che si consegue successivamente alla laurea e al termine di un corso di durata non inferiore a due anni; e il «dottorato di ricerca». Quanto costa. IL costo del riscatto varia a seconda del regime previdenziale in cui si è inquadrati. Tutto nasce dalle modifiche intervenute nel calcolo della pensione con la riforma del 1995 (legge n. 335/1995): sistema retributivo o contributivo. L'onere da sostenere, con il sistema retributivo, quando gli anni di studio da recuperare ricollocano temporalmente entro il31 dicembre 1995, consiste nel versamento di una somma, definita tecnicamente riserva matematica. Questa somma serve all'ente per coprire l'incremento di pensione che scaturisce dal riscatto. Si tratta, in altri termini, della quantità di capitale necessaria al fondo previdenziale per costituire una riserva tale da coprire il maggior onere finanziario derivante (in futuro) dall'aggiunta, nel calcolo della pensione, degli anni riscattati a quelli coperti da contribuzione obbligatoria. Le modalità di conteggio della riserva matematica sono abbastanza complesse e il risultato (la somma da versare) dipende da vari elementi tra cui il sesso, l'età e la retribuzione alla data della domanda. Conti decisamente più facili se i periodi da riscattare sono collocati dopo il31 dicembre 1995 e rientrano quindi nel calcolo contributivo della pensione. In questi casi la spesa da sostenere non viene più determinata con il meccanismo della riserva matematica, ma applicando semplicemente alla retribuzione annua l'aliquota contributiva obbligatoria in vigore al momento di presentazione della domanda di riscatto. Le novità. E veniamo alle novità, sostanzialmente tre. Il citato art. 27 del ddl ne prevede intanto una che vale per tutti, sia per i giovani, sia per chi continua ad andare in pensione con il sistema retributivo. E riguarda la rateazione del pagamento dell'onere, che oggi si può spalmare nell'arco di 5 anni, maggiorata dagli interessi al tasso legale; mentre per le domande di riscatto presentate dal l° gennaio 2008 in poi potrà essere rateizzato sino a 10 anni, senza l’aggiunta degli interessi. La modifica più importante riguarda però l'efficacia del riscatto in termini pensionistici per coloro che vanno in pensione con il sistema contributivo, ossia chi ha cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995. Le regole di oggi prevedono che ai fini del raggiungimento dei requisiti per la pensione contributiva gli anni di studi riscattati non siano considerati. In pratica, per raggiungere i 40 anni che danno diritto alla pensione a prescindere dall'età anagrafica, eventuali contributi volontari e il recupero della laurea non servono. Dall'anno prossimo, invece, anche gli anni di studi universitari concorreranno al computo dell'anzianità richiesta per la pensione. Come da sempre avviene per i più anziani. La terza novità si rivolge infine ai non lavoratori, ai giovani cioè che non hanno ancora iniziato un percorso assicurativo previdenziale, per i quali è prevista comunque la possibilità del riscatto laurea. In questi casi, non essendoci una retribuzione o reddito da utilizzare come base per il calcolo dell’onere, si fa riferimento al minimale imponibile stabilito per i commercianti, al quale si applica poi l'aliquota contributiva (pensionistica) prevista per i lavoratori dipendenti. Un esempio per chiarire. Si ipotizzi il caso di un giovane in attesa di occupazione che nel gennaio 2008 chiede di riscattare la laurea breve (tre anni). L'imponibile contributo minimo dei commercianti sarà pari (grosso modo) a 13.800 euro. Per calcolare quanto gli costa il riscatto è sufficiente applicare il33% (aliquota contributiva dei dipendenti) a 13.800 e ' moltiplicare il risultato per i tre anni di università. In totale deve spendere 13.662 euro. Ai fini fiscali, visto che il nostro giovane laureato non ha reddito imponibile Irpef, l'onere del riscatto potrà essere detratto dall'imposta dovuta dal genitore che lo ha a carico nella misura del 19%. Totalizzazione. Buone notizie in vista sul versante totalizzazione. In attesa di una complessiva riforma della materia, si legge nell'art. 27 del ddl, riforma lesa al superamento della ricongiunzione onerosa, a decorrere dal 1° gennaio ' 2008la possibilità di totalizzazione ' scatta anche in presenza di un periodo assicurativo pari a tre anni, anziché i 6 anni minimo previsti oggi. E inoltre, coloro che vanno in pensione con il sistema contributivo potranno cumulare sempre e liberamente tutti i periodi assicurativi acquisiti durante la carriera lavorativa. Con le regole attuali, invece, la totalizzazione scatta solo nel caso in cui l'interessato non abbia maturato la pensione in alcuna delle forme assicurative cui ha effettuato versamenti. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 ott. ’07 SULLA CARTA D'IDENTITÀ E TESSERA SANITARIA OCCORRE CAMBIARE ROTTA Fabio Pastella Presidente Cnipa Antonello Cherchi Sulla carta d'identità elettronica occorre cambiare registro. L'obiettivo è arrivare a una tessera sulla quale possano essere caricate più funzioni. «Non sono per la carta d'identità elettronica - afferma il neopresidente del Cnipa, Fabio Pistella -. Sono per le carte, nel senso di standard compatibili a cui si possano associare diverse funzioni e che possano essere emesse da diversi soggetti». Si sta, dunque, sperimentando un prototipo sbagliato? No. È l'impostazione sbagliata, perché identifica il supporto tecnico con una finalità. Siccome la carta viene emessa dal ministero dell'Interno, la finalità è principalmente quella del riconoscimento e della sicurezza. Abbiamo ricevuto a casa la tessera sanitaria: non poteva essere una funzionalità della carta d'identità? Ciò che è stato fatto in questi anni deve essere completamente rivisto? Dò una lettura meno pessimistica della questione. Non li considero soldi buttati. È stata, infatti, acquisita una significativa esperienza su diversi filoni. Ora è arrivato il momento di tirare le somme e, in questo senso, stiamo riflettendo con il Governo. Ripeto: la direzione non è di buttare a mare tutto quanto fatto, ma cercare una reductio ad unum, dove l’unum non è rappresentato da chi rilascia le carte, ma dagli standard da rispettare, che per questo devono essere interoperabili. Si va, insomma, verso un supporto che sia allo stesso tempo tessera sanitaria, carta d'identità, patente di guida, in cui ogni soggetto istituzionale inserisca le proprie funzioni: è questa la sua idea? Sì. Come linea di tendenza mi va anche bene che ci sia una fase in cui si hanno più carte. Ma anche in quella fase il concetto deve essere quello dell'interoperabilità e della sostituibilità con una sola tessera. Si è in ballo da anni con una sola carta, quella d'identità. Figuriamoci mettere d'accordo più amministrazioni... Sarà più facile. Quando c'è un solo titolare, gli altri si infastidiscono perché non sono della partita. Anche tecnicamente l’attuale impostazione è errata: se l'operazione la governa un solo soggetto, perché gli altri devono accettare di "caricare" sulla carta di quel soggetto le loro competenze? Il concetto è sempre lo stesso: bisogna muoversi verso un obiettivo coordinato. Per esempio, anche la firma digitale può essere una funzionalità aggiuntiva di questa o quella carta elettronica. A proposito di firma digitale, perché la diffusione è ancora limitata? Non è un problema tecnologico. La tecnologia c'è, così come ci sono le regole. Siamo, invece, in ritardo sul governo dei processi, nel capire dove si trovano le strozzature, come entrano in sinergia i diversi segmenti di una stessa amministrazione. Non c'è nella cultura dei dipendenti della pubblica amministrazione l'abitudine di girare con la tessera che contiene la firma digitale. Ora, però, ci troviamo nella fortunata circostanza che le competenze della Funzione pubblica e dell'Innovazione sono unite in un solo ministero. La visione è unica. Prima non erano così. La firma digitale ha esaurito la spinta? È stato fatto un buon lavoro soprattutto per la promozione presso le imprese e i numeri sono soddisfacenti. Ho, però, l'impressione che al momento sia diventato soprattutto un asse imprese-pubblica amministrazione. È un buon inizio, ma non basta per gli sviluppi auspicabili. L'obiettivo è usare meno carta. Quanta se ne può eliminare? La vera cura sono le e-mail. L'altra soluzione è la creazione di basi di dati comuni, che consentano l'interscambio delle informazioni per via digitale. Non ci sarà, tuttavia, un azzeramento della carta. Però i costi e i consumi sono tali che se se ne diminuisce l'uso nell'ordine del 20%, si otterranno risultati significativi. Ma già con un taglio del 10% i benefici saranno notevolissimi. A che punto siamo? A metà del percorso. Anche in questo caso, non c'è da migliorare la tecnologia, ma semplicemente utilizzare quella che abbiamo. ======================================================= ________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’07 LA FABBRICA DEI BEBÉ A MONSERRATO Sanità. A giugno trasferito il reparto di Ginecologia del Civile e della Clinica Macciotta Dopo il parto al Policlinico la nascita sarà registrata in città La nascita registrata nel luogo di residenza dei genitori. Un reparto modernissimo. A giugno dell'anno prossimo partorire sarà tutta un'altra storia. Fra nove mesi vedrà la luce la nuova struttura Materno infantile del Policlinico universitario di Monserrato. Una nuova e moderna fabbrica dei bambini : concentrerà in un solo edificio i reparti della Clinica Macciotta e della clinica di Ostetricia e ginecologia del San Giovanni di Dio, che entro quella data verranno chiusi. Ma allora a Cagliari nasceranno meno bambini? Non è detto, una legge permette di registrare i neonati nel luogo di residenza dei genitori. Niente cambierà, dunque, dal punto di vista anagrafico, anche se la nascita è avvenuta a Monserrato. LA STRUTTURA Il direttore generale dell'Azienda mista (formata da Università e Asl 8) Ninni Murru dice che la gestazione del dipartimento Materno infantile è stata difficile, ma i lavori per il completamento del corpo sono a buon punto, così come le infrastrutture (metropolitana leggera e cavalcavia sulla 554) che permetteranno un veloce e facile accesso al Policlinico. Per la realizzazione del nuovo blocco della Cittadella universitario sono stati messi a disposizione dell'Azienda mista circa 13 milioni di euro (70 per cento Università, 30 Regione). «Con il finanziamento sarà realizzata una struttura dove medici e infermieri forniranno non solo assistenza medica, ma effettueranno anche ricerca e formazione», afferma Ninni Murru. Ecco come sarà strutturato il nuovo edificio. «Al pian terreno sorgeranno gli ambulatori. Al secondo piano ci saranno il Puerperio, la Neonatologia e la Terapia intensiva neonatale. Al terzo verranno allestiti i reparti di endocrinologia e ostetricia, le sale travaglio e il day hospital. Al quarto piano ci saranno la Ginecologia e i laboratori». Le stanze (tutte con due letti) saranno dotate di tutti i comfort e, a richiesta e pagando una tariffa ancora da stabilire, saranno a disposizione delle pazienti camere singole. «Un ospedale - afferma il direttore generale - non solo luogo di dolore, ma anche di gioia». C'è ora il problema delle due strutture che chiuderanno. «Per quel che riguarda Ostetricia e ginecologia sarà l'anticipazione di quello che entro breve tempo avverrà al San Giovanni di Dio. La Clinica Macciotta - continua Murru - verrà riconsegnata all'Università. È probabile che diventi parte integrante del progetto del Campus universitario urbano, che da Buoncammino si estende all'Orto botanico e alla facoltà di Scienze. Se così fosse la città e gli studenti ne guadagnerebbero certamente». LE INCOGNITE Sono molti i dubbi che ruotano attorno al trasferimento a Monserrato della clinica Pediatrica e di quella Ostetrica. Primo fra tutti quello che riguarda medici, infermieri e ostetriche. Il 15 novembre i dipendenti potranno scegliere se rimanere nell'Azienda mista o trasferirsi nella Asl 8. Quanti chiederanno il trasferimento nell'azienda sanitaria locale? Ninni Murru non è preoccupato. «Non prevedo esodi, la struttura è all'avanguardia e di conseguenza le condizioni di lavoro sono certamente migliori. Comunque, quando la Asl 8 ci fornirà i dati relativi alle richieste valuteremo la dotazione organica e procederemo alle assunzioni». Non è tutto, oggi raggiungere il Policlinico è complicato, come la prenderanno i cagliaritani? «Entro l'apertura - assicura il manager - sarà operativa la metropolitana leggera e, sempre entro giugno, saranno conclusi i lavori del cavalcavia sulla 554: interventi che accorceranno notevolmente i tempi di percorrenza». E i parcheggi? «Nessun problema anche in questo caso, ce ne sono a sufficienza», conclude. Chi nascerà, vedrà. ANDREA ARTIZZU ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 ott. ’07 SÌ ALLA BRETELLA TRA LA STATALE 554 E LA CITTADELLA MONSERRATO. La Regione ha stanziato 500 mila euro per la costruzione della strada di collegamento tra la statale 554 e la Cittadella universitaria. Il finanziamento ricade nel piano delle “Opere di interesse locale”. Altri 400mila euro sono stati destinati alle rotatorie che saranno costruite lungo la statale 125, mentre un milione e 200 mila euro serviranno a realizzare l’innesto con la statale 389. Infine, il comune di Sinnai ha ottenuto un cofinanziamento di 100 mila euro per la costruzione del tratto sud-ovest della circonvallazione. La Regione, in seno al “Piano della viabilità”, ha versato 800mila euro nelle casse della Provincia per la messa in sicurezza e la riqualificazione dell’arteria che collega Settimo San Pietro alla provinciale 12, unica strada che attraversa il territorio del Gerrei e del Parteolla. (p.s.) ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 ott. ’07 MEDICINA TRANSLAZIONALE: A CACCIA DELLA TERAPIA CHE (ANCORA) NON C'È Concepire la ricerca in un'ottica di mercato, sia per promuovere start up sia per essere appetibili agli occhi dell'industria farmaceutica DANIELE PIOMELLI a colloquio con FRANCESCA CERATI L’accordo è stato siglato pochi giorni fa a Irvine, negli Stati Uniti. I rappresentanti della locale Università della California - la prima al mondo per numero di brevetti e una storia d'eccellenza nel technology transfer verso le imprese-hanno incontrato la delegazione dell'Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova per realizzare non solo programmi comuni nel campo dello sviluppo di farmaci, ma anche promuovere lo sviluppo di start up. Tra gli obiettivi dei due istituti pubblici c'è infatti quello di favorire lo scambio tra mondo della ricerca e dell'impresa con una formula nuova. Trait d'union è Daniele Piomelli, docente di Farmacologia all'Università californiana e direttore del dipartimento D3 (Drug discovery and development) dell'Iit, la quarta piattaforma di ricerca all'interno dell'istituto genovese, accanto a quella di neuroscienze, robotica e bionanotecnologia. «La mission del D3 è quella di scoprire farmaci innovativi attraverso la creazione di forme di parternariato con aziende private e venture capital - esordisce Piomelli -. Dove per farmaco innovativo s'intende una molecola con un meccanismo d'azione mai provato prima sull'uomo». E per riuscirci, il D3 raggruppa ricercatori multidisciplinari, che lavorano su progetti ben precisi, ma nella massima libertà di ricerca. «La filosofia del D3 è individuare bersagli farmacologici nuovi che siano utili in terapia, ma anche appetibili per partner privati». Il tipico modello americano... «No, conosco bene l'America, sono 25 anni che vivo e lavoro qui e questo sistema, con le dovute eccezioni, non è il modello corrente nelle università. Una di queste eccezioni è il Centro di ricerca translazionale (Crt) fondato di recente allo Scripps research insiitute in Florida, il cui scopo è di fungere da ponte tra ricerca di base e terapie. Quindi non stiamo "copiando" gli Stati Uniti, piuttosto la creazione del D3 all'interno dell'Iit, contemporanea a quella del Crt, è un segnale che il nostro Paese ha deciso di porsi all'avanguardia in uno dei settori più importanti della medicina translazionale, quello della scoperta di nuove molecole terapeutiche. Se non allarghiamo il punto di vista, non cerchiamo altri bersagli, non nascerà mai niente di nuovo. E la prima linea-guida del D3 è che si possono scoprire medicine anche al di fuori della grande industria farmaceutica. Le big pharma non detengono il monopolio della scoperta farmaceutica, anzi negli ultimi anni si sono specializzate più nella produzione di farmaci, che non alla loro scoperta, diventando di fatto meno creative. AL contrario, istituzioni non- profit come università e laboratori pubblici possono contribuire alla creazione di nuove terapie facendo leva su conoscenze e creatività, piuttosto che sulla disponibilità di risorse finanziarie illimitate. In altre parole, possono osare, e la volontà di avviare progetti ad alto rischio è una necessità sociale. L'Iit è pagato dal contribuente, interessato che si faccia ricerca di base per il bene del Paese, ma che vorrebbe anche ci siano scoperte che portino risultati concreti nell'ambito della sanità pubblica. Pensiamo a quante persone non rispondono ai farmaci in commercio o alle malattie che ancora non hanno una cura. E l'integrazione, la medicina translazionale, è la via del futuro: la robotica, per esempio, consente di modificare e accelerare il processo di scoperta dei farmaci». Dopodichè bisogna coinvolgere realtà private... «In Italia sono circa 7o o le piccole e medie imprese farmaceutiche, tutte potenziali partner se abbattiamo certi paletti culturali. Vale a dire che fino adesso nei laboratori di ricerca di base non si è mai concepita la scoperta in un'ottica di mercato. Per il ricercatore accademico l'importante è arrivare alla scoperta. Dobbiamo invece superare il vecchio pregiudizio, duro a morire, della separazione tra ricerca "pura" e applicata. Questo non significa che l’ Iit ha intenzione di produrre farmaci, ma deve mettersi nelle condizioni di proporsi all'industria farmaceutica o ai venture capital - con qualcosa di appetibile. Diventare una sorta di trampolino di lancio, per riempire il vuoto che c'è tra ricerca di base e industria (in genere avversa al rischio elevato). Arrivati a questo traguardo, anche il ricercatore, capace di assumersi dei rischi, può creare una nuova impresa, basata però su tecnologie innovative, il vero motore dei distretti più avanzati, come insegna la Silicon valley». Ma da un laboratorio come ci si struttura in una start up? «Non serve una laurea in economia, è un processo che richiede prima di tutto la capacità di fare innovazione tecnologica e poi conoscere nello specifico le aree terapeutiche più interessanti. Che saranno molecole per il sistema nervoso centrale e periferico, Alzheimer in primis, ma anche depressione (che colpisce fino al 7% della popolazione), schizofrenia (fino all’2%), dolore neuropatico e i disordini di natura infiammatoria (artrite, morbo di Crohn). Il significato medico di queste aree terapeutiche è indubbio, perchè i farmaci ora in uso non corrispondono al bisogno di efficacia e tollerabilità espresso dai pazienti. L'importanza commerciale di tali settori è altrettanto chiara. Basti ricordare che nel solo aooq. le malattie del sistema nervoso centrale sono costate ai cittadini europei più di 135 miliardi di euro, mentre si prevede che la prevalenza di malattie a carattere infiammatorio subirà un sensibile aumento nel prossimo ventennio. Negli Stati Uniti, per esempio, i pazienti. affetti da artrite aumenteranno da q G a 67 milioni entro il 2030. E la scelta compiuta dal D3 corrisponde anche alla sua intenzione di massimizzare la propria collaborazione con le altre unità dell’ Iit, in particolare con l'unità di neuroscienze, che prevede di lanciare una serie di progetti di ricerca sulle malattie neurodegenerative, e l'unità di nanobiotecnologia, che ha nella creazione di strumenti per intelligent drugdeliveryuno dei suoi punti di forza». www.iit,it httpalvuww.scripps,edu/floridaltril httpalwww,uci.edul D3, SINERGIA TRIDIMENSIONALE II nano-service Dipartimento D3: diretto da Daniele Piomelli. È in fase di creazione, a regime ci lavoreranno 7O persone. l'obiettivo è di sviluppare programmi di ricerca volti a scoprire farmaci innovativi per il trattamento del le malattie dei sistema nervoso e dell'infiammazione. BIONANOTECNOLOGIE. È una facility che perlopiù funziona come "service" cross per i 3 dipartimenti. Attualmente I'lit ha in forza 125 persone, 55 Ph.D. in arrivo e altri 25 presso altri istituti. 95 gli articoli pubblicati su riviste scientifiche, 5 i brevetti depositati. FARMACOLOGIA ROBOTICA Dipartimento di Robotica: diretto da Darwin Ca Idwell, Jean Guy Fontane e Giulio Sandini; 80 ricercatori circa. Attività di ricerca: progetto RobotCub, ingresso in 3 nuovi progetti Ue che partiranno all'inizio del zoo8: I-Talk, Chris, Poeticon. TUTTO PARTE DAL CERVELLO Dipartimento di Neuroscienze: diretto da Fabio Benfenati; 5o ricercatori circa. Attività di ricerca: progetti sui meccanismi di patologia neurologica; progettazione di nuovi dispositivi per interfacce neuro-elettroniche: Daniele Pomelli è nato a Napoli nel 1958, dove si è laureato, nel 1982, in Farmacia. L'anno seguente si è trasferito a New York, dove ha approfondito lo studio della farmacologia e delle neuroscienze con James H. Schwartzed Eri c ICandel alla Columbia University e, successivamente, con Paul Greengard alla Rodcefeller University. Entrambi i suoi mentori hanno ricevuto nel zooo il premio Nobel. Dopo aver lavorato all'Inserm a Parigi e all'Istituto di Neuroscienze di San Diego, Pomelli è approdato alla Università della California, Irvine, dove insegna Farmacologia e Chimica biologica. __________________________________________________________ L’Unione Sarda 09 ott. ’07 MEDICINA, IL NOBEL È DI UN ITALIANO Mario Capecchi vince per gli studi sulle cellule staminali L’italoamericano Mario Capecchi ha vinto il Nobel per la Medicina insieme all’inglese Evans e all’americano Smithies. ROMA Si chiamano Mario Capecchi, Oliver Smithies e Martin Evans i vincitori del Nobel per la Medicina 2007 e hanno il merito di avere aperto la via a un settore della medicina completamente nuovo. Possono essere infatti considerati gli ingegneri del Dna perché sono riusciti a modificare il materiale genetico delle cellule germinali, prima nei topi e poi direttamente sulle staminali. Il risultato è stato avere a disposizione topi da laboratorio che permettono di studiare malattie e sperimentare farmaci. E già si lavora per riuscire, con la stessa tecnica, a modificare le cellule staminali in quella che, per molti esperti in tutto il mondo, potrebbe diventare la medicina del futuro, con una terapia genica sicura e fatta direttamente sulle cellule staminali. Nato a Verona nel 1937, Capecchi è stato il pioniere di queste ricerche. Ha lasciato l’Italia prestissimo per studiare e lavorare negli Stati Uniti. Tanto che oggi è cittadino americano, proprio come il fisico Riccardo Giacconi, che ha vinto il Nobel nel 2002. L’annuncio del prestigioso riconoscimento gli è arrivato in piena notte: «Erano le tre del mattino, il telefono era vicino a mia moglie e squillava in modo molto strano, “deve essere qualcosa di allarmante”, ha detto mia moglie», racconta Capecchi. La chiamata da Stoccolma veniva dal segretario del comitato Nobel: «Mi ha annunciato il premio e mi ha detto di non dirlo a nessuno, ma ho resistito appena mezzora». Tra le emozioni, la prima è stata la sorpresa: «Il Nobel - ha detto - di solito premia argomenti diversi di anno in anno, e l’anno scorso era già stato premiato uno studio di genetica molecolare». Il Nobel a Capecchi era comunque nell’aria, lo dice un suo allievo, l’italiano Eugenio Sangiorgi che lavora con lui nel laboratorio dell’università dello Utah. Dove il primo comandamento è porsi nuove sfide. «Adesso - spiega Sangiorgi - la nuova sfida è scoprire i meccanismi alla base di malattie complesse, i tumori innanzitutto (negli ultimi due anni il laboratorio ha ottenuto i primi due modelli di un sarcoma), ma anche diabete e malattie cerebrali». Se Capecchi ha trovato il modo di modificare il Dna del topo per creare i primi topi con un solo gene disattivato (un trucco per capire la funzione del singolo gene quando ancora non esisteva la mappa del Dna), Smithies ed Evans hanno applicato la stessa tecnica per fare un passo in avanti ulteriore, modificando le cellule staminali embrionali allo scopo di correggere sul nascere geni difettosi, come quelli all’origine di malattie ereditarie, come la fibrosi cistica. la scheda FORMAZIONE E CULTURA IN AMERICA Nato a Verona nel ’37, negli Usa a nove anni ROMA È nato a Verona nel 1937 Mario Renato Capecchi, uno dei vincitori del premio Nobel per la Medicina 2007. I primi anni della sua vita in Italia sono stati resi drammatici dalla guerra, e all’età di 9 anni Capecchi si è trasferito negli Stati Uniti dove ha studiato e ha sempre lavorato. Il ricercatore rimase presto orfano di padre, morto in guerra come pilota d’aviazione. Sua madre, Lucy Ramberg, figlia di una nota pittrice americana e di un archeologo tedesco venne arrestata nel 1941 dalle SS mentre viveva in Alto Adige e venne deportata a Dachau come prigioniera politica. Prima della partenza la donna affidò il bambino, che aveva tre anni e mezzo ad una famiglia di contadini sudtirolesi. Ma un anno dopo il piccolo venne allontanato dalla casa e a cinque anni di età cominciò a vagabondare verso sud. Liberata dagli americani nel 1945, la madre lo ritrovò un anno dopo in un ospedale a Reggio Emilia, ammalato e completamente denutrito. Madre e figlio si imbarcarono quindi nel 1946 a Napoli per gli Stati Uniti, dove vennero accolti in una comunità quacchera vicino a Filadelfia da un fratello della donna, Edward Ramberg, docente di fisica. All’università il giovane Capecchi seguì dapprima i corsi di scienze politiche, che abbandonò per dedicarsi alla biologia molecolare dapprima alla Mit di Boston e poi ad Harvard, con il prof. James Watson, il padre del Dna. Si trasferì poi all’ università dello Utah dove lavora tutt’ora e ha compiuto le ultime scoperte. Oggi vive con la moglie Martine, con la quale condivide l’ impegno di ricerca e di attività clinica, e la figlia Misha in uno sperduto cottage vicino a un canyon, dove si è fatto installare una stazione computerizzata per seguire costantemente il lavoro dei suoi collaboratori. __________________________________________________________ L’Unione Sarda 08 ott. ’07 CURE PER L’UOMO GRAZIE AI TOPI ROMA Un archivio vivente per studiare le malattie umane: per il Nobel Mario Capecchi sono questo i topi geneticamente modificati, creati oggi nei laboratori di tutto il mondo grazie alle sue ricerche. Sorridente ed emozionato, Capecchi ha parlato oggi in una conferenza stampa organizzata dall’università dello Utah, nella quale lavora, e trasmessa in tutto il mondo via internet. «Ogni malattia umana può essere studiata sui topi», ha detto. Un’impresa che all’inizio sembrava impossibile, ma che adesso è assolutamente realistica, «considerando che il patrimonio genetico dell’uomo e quello del topo sono uguali per il 99%». Oggi, ha proseguito, è chiaro che «è possibile individuare i geni responsabili di una malattia e possiamo studiare e classificare le malattie sulla base della funzione svolta dai geni che le scatenano. E di conseguenza diventa possibile mettere a punto nuove terapie». Le cose non sono certamente facili, ha proseguito, considerando che «migliaia di geni differenti possono esprimersi in modo diverso». Ma la sfida è mettere ordine in questa rete di eventi e capire, per esempio, come è possibile che si sviluppano malattie come il cancro. Proprio i tumori sono la sfida che Capecchi considera la più interessante e nella quale il suo laboratorio si sta concentrando negli ultimi anni. «L’obiettivo - ha osservato - è individuare bersagli per future terapie». Capecchi sa che è un obiettivo ambizioso: «La strada per raggiungerlo è ancora molto lunga, ma un primo passo è già stato fatto perché adesso siamo in grado di controllare dove e quando entrano in funzione i geni responsabili delle malattie». Mentre parla del futuro, Capecchi ripensa al suo passato. «Preparate i fazzoletti», dice scherzando a chi gli ha chiesto di parlare della sua infanzia dolorosa, di bambino di strada in un’Italia sconvolta dalla guerra. Poi gli anni più sereni dello studio negli Stati Uniti. Un esordio all’insegna delle scienze politiche, ma seguito immediatamente da una decisa preferenza per le materie scientifiche: la fisica e poi la biologia. «Era stato mio zio, il fratello di mio padre, a iniziarmi al’uso del microscopio». E da allora il microscopio non lo ha più abbandonato, in una carriera non priva di tensioni e difficoltà, ma anche segnata da quello che Capecchi ricorda come «un ambiente decisamente stimolante, entusiasmante». Gli anni di Harvard sono stati indimenticabili: «Lavorare insieme era divertente e utile, si collaborava molto e per questo ringrazio tutti coloro con quali ho lavorato». Un grazie particolare non poteva naturalmente mancare per James Watson, papà della doppia elica del Dna insieme a Francis Crick, e con il quale Capecchi si è laureato. ________________________________________________________ Repubblica 15 ott. ’07 SANITÀ: L’ANGELO CUSTODE INTRODOTTO PER LEGGE Mi è capitato per caso di scoprire l’esistenza di una riforma varata nel 2004 attraverso una legge bipartisan di cui quasi nessuno si è accorto (secondo un sondaggio l’85% dei cittadini – ed io tra questi – non ne ha mai sentito parlare). Il palato drogato dell’infomazione- gossip non è evidentemente più in grado di gustare e recepire notizie prive di appeal scandalistico o, quanto meno, insaporite dal contrasto facinoroso tra le parti in causa. A chi interessa la condizione delle persone infelici? A parlarne si teme di «far cadere la palpebra » del lettore. Per contro la Chiesa per prima vi ha prestato attenzione, tanto che il presidente della Cei, mons. Bagnasco, accanto, però, a due grandi laici eterodossi come Umberto Veronesi e Giuliano Vassalli, ha inaugurato il seminario che l’Agenzia per le Onlus ha dedicato alla attuazione di questa riforma. Ed è la consigliera anziana dell’Agenzia, Paola Severini, animatrice del seminario in questione, a suggerirmi la lettura degli atti. Cosa che ho fatto, giungendo alla conclusione che il legislatore ha introdotto nell’ordinamento e reso concreta la figura simbolica dell’angelo custode. Come in un vecchio film di Frank Capra, «La vita è una cosa meravigliosa». A cosa altro paragonare, infatti, l’amministratore di sostegno (che si affianca idealmente all’insegnante di sostegno nella scuola) nominato dal giudice per tutelare tutte quelle persone che, per effetto di una infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovano nella impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere direttamente e autonomamente ai propri interessi? Per tutelare e aiutare legalmente queste persone prima di questa riforma non vi erano che gli istituti, fortemente penalizzanti e umilianti, dell’interdizione e dell’inabilitazione. In realtà in non pochi casi la preoccupazione che sottostava e sottostà a questo tipo di provvedimenti totalizzanti e affliggenti è la difesa dell’eventuale patrimonio, soprattutto a salvaguardia dei famigliari, impedendo l’uso sconsiderato. La nuova legge rovescia l’assunto della tutela: questa deve essere esercitata, impedendo certo comportamenti anomali, ma assicurando, altresì, la libertà dell’individuo, che resta tutelato nella sua capacità di agire e sostenuto solo per alcuni atti esplicitamente previsti dal magistrato. Altra differenza fondamentale si riscontra sul piano delle garanzie. Se è in grado, lo stesso disabile potrà attivare la procedura di nomina di un amministratore di sostegno, esigere un rendiconto periodico, chiedere in ogni momento la revoca del provvedimento. Sul piano della snellezza procedurale ogni passaggio si svolge in modo informale, gli avvocati non sono necessari, tutto è sostanzialmente gratuito. Spero di non annoiare i lettori (l’argomento non è certo divertente) indicando, in base alle prime esperienze, qualche caso pratico. I) Nella legge la tossicodipendenza è stata riconosciuta come una disabilità che consente la nomina di un amministratore di sostegno per determinati atti. Così, su istanza dei nonni, una donna di trentasei anni, tossicodipendente, divorziata con due figli, entrata in possesso di un consistente patrimonio immobiliare per la morte quasi contemporanea di entrambi i genitori, è stata affidata a un amministratore di sostegno esclusivamente per la gestione dei beni immobiliari nell’interesse suo e dei figli, mentre ha conservato piena capacità di agire per tutti gli altri atti della vita quotidiana. II) Il coniuge di una donna, resa invalida al 100% in seguito ad arresto cardiocircolatorio temporaneo e regredita a uno stato infantile, ha ottenuto l’amministratore di sostegno per attendere alla gestione del patrimonio della moglie, la vendita di un immobile, il disbrigo di pratiche amministrative e la conseguente fruizione dei mezzi per l’assistenza domiciliare quotidiana. III) Altri casi riguardano disabili che incappano in piccole ma insuperabili difficoltà: come investire una liquidazione? Quali clausole introdurre in un vitalizio? come permettere ad un anziano che lo desidera di sposare la badante, lasciandole la pensione ma non l’aziendina di cui è proprietario? Analizzando il testo, che si inserisce assai bene in un codice civile di settant’anni orsono, Giuliano Vassalli, presidente emerito della Corte costituzionale, lo ha definito come «una legge di progresso sociale e umanitario, una legge di autentico rispetto per la persona non del tutto sufficiente a sopperire ai propri interessi e di promozione della sua dignità». Non è poco, a condizione di accorgersene. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 ott. ’07 PSICHIATRIA: OPERATORI INVITATI AL SILENZIO In Psichiatria la politica batte un colpo. Basso Nelle ultime settimane si è "consumato", sulle colonne di questo giornale, un acceso dibattito sullo stato della Psichiatria cagliaritana. A più riprese si sono confrontati medici e operatori sanitari provenienti da due diverse scuole di pensiero: quella favorevole ai metodi di cura tradizionali - ivi compresa la terapia di contenimento dei pazienti psicotici e/o del ricovero coatto in caso di pericolo per sé e per gli altri - e quella più moderna che vorrebbe l'umanizzazione della psichiatra con relativa applicazione della "terapia dell'abbraccio", anche in presenza di pazienti in escandescenze, magari intenti a spaccare gli arti al malcapitato medico di turno. Quest'ultima tecnica suggerita, se non anche imposta, niente meno che dalla Politica, forse in ossequio alla legge Basaglia che ha abolito i manicomi e, insieme, certe pratiche terapeutiche ritenute superate e ormai obsolete, come la camicia di forza e l'elettroshock. Politica intesa non come mezzo diplomatico per mediare e risolvere i guai che affliggono questa branca della sanità sarda, ma - secondo le lagnanze dei sanitari della Asl 8 - come fine per ottenere quel consenso utile a fissare propri tornaconti elettorali e, perché no, posizioni di privilegio per pochi. Tra questi, non certo coloro che di eventuali benefici dovrebbero essere i principali fruitori, cioè i malati di mente. Il dibattito si conclude per ora con un mero (seppur interessante) botta e risposta tra operatori senza che uno (nessuno- novantasette) dei politici dell'amministrazione regionale abbia dato un concreto segnale di interessamento; non necessariamente dalle colonne del nostro giornale, ma neppure - a detta dei medici interessati - con interventi atti a sciogliere i nodi denunciati da chi in Psichiatria dice di operare tra mille difficoltà. L'unico intervento della politica, in merito alle gravi questioni sollevate, pare sia stato l'imbavagliamento, o meglio il divieto assoluto a far trapelare alcunché all'esterno della struttura sanitaria incriminata. Della serie "i panni sporchi si lavano in casa", ma non c'è sapone. Un colpo basso, pena ritorsioni, mobbing e altri sottintesi provvedimenti, tanto da costringere alcuni medici a iscriversi al sindacato per poter liberamente parlare sui giornali dato che in altre sedi verba volant. A parte il dibattito a senso unico, l'importante è che qualcosa si muova. L'auspicio è che si ristabilisca il confine tra la politica e la Sanità sarda, e ciascuna si concentri sul proprio ruolo senza che l'una interferisca dettando legge sull'altra. Entrambe dovrebbero lavorare, ognuna nel proprio preciso ambito ma con un'apertura netta al dialogo e alla collaborazione, nel rispetto anzitutto del paziente - unico soggetto da tutelare e col sacrosanto diritto ad essere curato nel migliore dei modi - che tornerebbe così ad essere al centro dell'attenzione e non al centro delle polemiche. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 ott. ’07 SARDEGNA:SALUTE MENTALE CON LE GOMME A TERRA Quattro personaggi in cerca di untore di Antonio Tronci La parola "Bocconi" evoca prestigio per la rinomata Università milanese che ne porta il nome. Il possesso di titoli altisonanti può però talvolta stridere con il loro utilizzo. Come se un medico, laureato ad Harvard con specializzazioni e dottorati delle migliori università del mondo, volesse curare un malato senza neanche lasciargli spiegare dove ha male; meglio allora che con i titoli ci faccia i razzetti. Quando poi da stranieri ci si muove in terra sconosciuta con eccessiva disinvoltura, senza l'umiltà di chiedere a qualcuno del luogo di indicare la via, si può finire col perdere l'orientamento. Bocconi è comunque una parola molto conosciuta anche in Sardegna, e non solo in quanto evocativa di gustosi frutti di mare, ma anche, ad esempio, per la postura nella quale l'importata amministrazione sanitaria vorrebbe far giacere gli psichiatri ad ogni suo diktat; o ancora, per l'amaro che gli stessi devono ingoiare di fronte alle pubbliche condanne o attacchi per non essere disposti (eresia!) a convertirsi alle terapie politiche "ultimo grido" (di disperazione). In questo clima assai poco temperato si muovono alcuni personaggi di spicco, ciascuno responsabile a diversi livelli gerarchici dell'attuale situazione di sfascio della Salute Mentale e ciascuno, a modo proprio, protagonista di atteggiamenti di sprezzo e intolleranza verso il dissenso e il malcontento venutisi di conseguenza ad instaurare. A testimonianza del comune stile esplosivo dei personaggi, i tanti "colloqui" nel corso dei quali, a diverso titolo, sindacalisti e primari di provata serietà, rappresentanze di operatori e soprattutto psichiatri, hanno dovuto subire le intemperanze di chi inveiva sui malcapitati untori di turno, rei di diffondere un "ingiustificato" dissenso, come fosse la peste, tra le fila degli operatori. Un altro personaggio in cerca di untore ha lo stile "inquisitorio" del giudice e anche la propensione ad emanare sentenze, invariabilmente di condanna ed invariabilmente a carico di psichiatri (come del resto fa la presidente di un'associazione, quarto personaggio in cerca di untore). Tutti e quattro poco consapevoli che i marcati tratti di autoritarismo e di decisionismo dei quali sembrano compiacersi male si intonano con l'attuale paesaggio da "day after" della Salute Mentale (basti pensare al sontuoso Centro fallimentare nelle 24h perennemente con le gomme a terra). Pensare poi agli psichiatri come a dei maniaci rappresenta una "visione" alquanto soggettiva, ma è pur sempre un'opinione; però, che con queste visioni e con tale livore nell'animo si pretenda di fare per mestiere il capo dei "mostri", per quanto apparentemente coerente, è un'assurdità da repubblica delle banane. Mettersi a capo di una branca della Sanità per demedicalizzarla è poi a dir poco... demenziale? L'insensato diventa infine paradosso quando si subisce la persistente accusa di essere, in quanto psichiatri, i responsabili primi della sofferenza mentale. Al rogo! D'altronde la fisionomia abbozzata dei "personaggi" non è mutabile come quella delle persone (Pirandello docet), non c'è quindi da sperare in alcun cambiamento dei loro atteggiamenti. Colpisce però, di fronte a tale regime inquisitorio, l'assoluto silenzio delle forze politiche che sostengono l'attuale gestione della Sanità, le quali continuano imperterrite a fischiettare e a guardare dall'altra parte mentre, nei fatti, fanno quadrato intorno ai nostri personaggi che proseguono indisturbati a scardinare la Salute Mentale. È lecito pensare che il modello anti-psichiatrico, per quanto miseramente fallito, essendo intrinsecamente dogmatico quindi "chiesa", goda dell'incondizionata non-ingerenza del potere secolare. E poi, in "quel reparto" è morto un uomo. La sentenza dell'opinione pubblica è cucinata quasi a puntino. Il rogo è già acceso. Perché darsi da fare? Il problema è chiuso. D'altra parte, creare "dissapori" potrebbe anche comportare il rischio di dover scollare gli onorevolissimi dalle rispettive onorevoli poltrone, eventualità che potrebbe "bruciare" i medesimi molto più dello stesso rogo degli eretici. * Psichiatra SPDC - UGL borderline@tiscali.it) ________________________________________________________ Repubblica 19 ott. ’07 VIA IL TICKET SU VISITE E ANALISI sgravi Ici estesi a tutti i redditi Comuni, stretta sui consiglieri. Sindacati mobilitati sui salari - Cgil, Cisl e Uil ratificano l’intesa sul welfare: "Il testo corrisponde all’accordo" - Via 80 comunità montane, salta il tetto altimetrico Trovati i fondi per il 5 per mille ROBERTO PETRINI ROMA - Finanziaria, si cambia. Un nutrito pacchetto di emendamenti, circa 80, presentati dal governo e dal relatore Giovanni Legnini corregge alcuni aspetti della Finanziaria da 11,5 miliardi varata a fine settembre e attualmente al vaglio della Commissione Bilancio del Senato. Sul testo già si addensano circa 2.000 emendamenti tra maggioranza (190 sono dell´Ulivo) e opposizione (circa 500). Abolizione dei ticket. Diventerà definitiva l’abolizione del ticket da 10 euro sulle visite specialistiche e la diagnostica. La misura costerà 830 milioni e le risorse verranno dal rafforzamento dei risparmi di spesa della pubblica amministrazione (manutenzione degli immobili pubblici e ulteriore razionalizzazione del sistema degli acquisti pubblici). Ici, via il tetto. Viene cancellato il tetto di 50 mila euro annui per poter usufruire delle ulteriori detrazioni sull´Ici della prima casa: saranno dunque estese a tutti i redditi. Al tempo stesso tuttavia saranno escluse dal beneficio (pari ad una franchigia massima di 200 euro) le case di lusso (categoria A1) e le ville (A8), in tutto circa 70 mila abitazioni. La misura arriva dopo l’emendamento al decreto (che ieri ha fatto passi in avanti al Senato con l’approvazione di 10 articoli) che invece ha introdotto un tetto da 50 mila euro per beneficiare del bonus incapienti da 150 euro. Prorogato il 5 per mille. Sono stati reperiti i fondi anche per il 2008. E´ previsto inoltre un contributo di 100 milioni per il 2009. Taglio ai costi della politica. Niente stipendi, ma solo gettoni di presenza: cambiano le indennità previste per i consiglieri comunali, provinciali e circoscrizionali. Di fatto si torna a retribuire gli amministratori locali con un gettone legato alla effettiva partecipazione alle sedute e non più con un forfait (una sorta di stipendio) indipendente dall´impegno profuso. Viene invece stralciata la norma che prevedeva la riduzione del 20 per cento del numero dei consiglieri comunali. Via 80 Comunità montane. Le Comunità montane si trasformano in Unioni dei comuni. Per costituirle ci vorranno almeno 7 comuni (non più 2 o 3) e con questa semplice norma avviene un taglio di 80 Comunità. Inoltre escono dalle Comunità montane circa 120 Comuni: quelli sopra i 15 mila abitanti (non più, come prevedeva il testo originale, i comuni sopra i 40 mila) e quelli costieri (sono 113). La definizione dei criteri altimetrici verrà tuttavia demandata alle Regioni (dunque non ci sarà più il limite dei 600 metri previsto dal testo attuale). Vengono ridotti anche i consiglieri e le indennità. Ires e autonomi. Ritocchi in arrivo per la parte fiscale della manovra finanziaria. Le modifiche riguarderanno il cosiddetto forfettone e l´Isee, cioè il cosiddetto «riccometro». Controfinanziaria della Cdl. I capigruppo della Cdl hanno deciso di presentare 20 emendamenti comuni (in totale dall´opposizione ne sono giunti tuttavia 500). Tra questi l´istituzione di un fondo presso la presidenza del Consiglio finanziato con la vendita (35 miliardi) degli immobili pubblici da utilizzare per investimenti e riqualificazione delle periferie. Prevista inoltre la deducibilità del 90 per cento della spesa per interessi per le imprese che investono in ricerca. Welfare, ok dai sindacati. Gli esecutivi di Cgil, Cisl e Uil hanno ratificato ieri l´intesa sul protocollo del Welfare. «Finalmente un testo corrispondente all´accordo e anche più chiaro», ha commentato il numero uno della Cgil, Guglielmo Epifani che ha chiesto al governo di sostenere l´intesa in Parlamento. Ora tuttavia i leader confederali rilanciano la mobilitazione su salari e fisco del prossimo mese: lunedì si deciderà la data, il 17 o il 24 novembre, a sostegno della quale la Uil ha proposto anche 1 o 2 ore di sciopero. ________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’07 SASSARI CUORE SOTTO I FERRI SENZA TRASFUSIONE Sassari. Sostituita la valvola dell'aorta grazie a una nuova tecnica. È la prima volta nell'Isola Testimone di Geova: operazione a cuore aperto Il caso di Diego Pischedda ha consentito ai Testimoni di Geova di fare il punto sui doveri imposti dalla loro religione riconoscendo allo stesso tempo l'impegno della medicina a ridurre sempre più l'impiego delle trasfusioni di sangue. Un Testimone di Geova, Diego Pischedda, sassarese di 79 anni, è stato il primo paziente ad essere operato nell'Unità di Cardiochirurgia dell'Ospedale civile di Sassari con una nuova metodica che garantisce maggiormente dal rischio di dover far ricorso a delle trasfusioni. Si chiama Mini-Cec, abbreviazione di «minicircolazione extracorporea», che il cardiochirurgo Michele Portoghese ha utilizzato per un intervento di sostituzione della valvola aortica per «stenosi severa». La nuova metodica non è sconosciuta in Italia ma per la prima viene applicata in Sardegna come hanno spiegato nel corso di una conferenza stampa Portoghese e Giacomo Padua, responsabile dell'équipe di Cardioanestesia. «Rispetto al tradizionale metodo di circolazione extra corporea - ha precisato Portoghese - la Mini-Cec è un sistema molto più vicino al corpo umano perché racchiude la sintesi estrema del concetto di biocompatibilità. Il sangue è tutelato al meglio delle possibilità che abbiamo oggi, compatibilmente sempre con l'uso di un sistema che fisiologico non è, perché blocca cuore e polmoni, ma lo fa, per così dire, in modo più gentile». Il caso di Diego Pischedda ha consentito ai Testimoni di Geova di fare il punto sui doveri imposti dalla loro religione riconoscendo allo stesso tempo l'impegno della medicina a ridurre sempre più l'impiego delle trasfusioni di sangue. In Italia ogni anno vengono eseguiti oltre 10 mila interventi chirurgici senza trasfusioni su Testimoni di Geova mentre in Sardegna si è toccata quota 120 l'anno. La sperimentazione di questa metodica aiuta soprattutto quei pazienti che, sottoposti ad un intervento di bypass cardiopolmonare, possono andare incontro a sanguinamenti e trasfusioni di sangue omologo. Complicazioni dovute a varie cause tra cui la bassa compatibilità biologica del sistema extracorporeo tradizionale, il contatto del sangue con l'aria durante il passaggio nella normale circolazione extracorporea e l'eccessiva lunghezza del percorso. Le peculiarità della nuova Mini-Cec tendono proprio a ridurre tali effetti collaterali, grazie soprattutto al circuito chiuso, che evita l'ingresso dell'aria, e alle ridotte superfici di contatto. «L'utilizzo della tecnica Mini-Cec comporta l'impiego di un'équipe multidisciplinare molto preparata e affiatata con i cardiochirurghi » ha detto il professor Padua. Inoltre la gestione farmacologica e la perfusione stessa, cioè l'irrorazione sanguigna del corpo, sono sensibilmente differenti rispetto al tradizionale sistema di circolazione extracorporea aperta. L'intervento su Pischedda è stato eseguito il 25 settembre scorso. Qualche giorno dopo la sua dimissione dall'ospedale ha sentito il bisogno di scrivere una lettera indirizzata a tutti i medici e infermieri della Cardiochirurgia e dell'Anestesia del Santissima Annunziata: «Il Vostro rispetto ha significato molto per me e lo considero uno straordinario segno di serietà e umanità. Spero che le tecniche chirurgiche utilizzate nel mio caso - scrive Pischedda - possano risultare utili non solo ai Testimoni ma a tutti i pazienti che necessitano di tale intervento». ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 ott. ’07 SCEEENING: QUEI DIECI MINUTI MI HANNO SALVATO LA VITA» Giuseppina, operata per un tumore al seno dopo lo screening mammografico - L'esame eseguito a luglio nell'ambito del programma per la diagnosi precoce portato avanti dalla Asl e dalla Regione SILVIA SANNA SASSARI. Dieci minuti, le chiedevano di spendere solo dieci minuti. Ha poggiato la lettera, poi l'ha ripresa in mano. Le è piaciuto il tono, l'invito garbato a prendersi cura di sé. Dentro di lei si muove qualcosa, decide di presentarsi a un appuntamento rimandato per anni. Giuseppina ci pensa spesso a quei dieci minuti, nei quali uno screening mammografico le ha diagnosticato un tumore. Oggi il cancro è sconfitto. Una testimonianza, quella di una donna di 53 anni che dopo una visita medica e un intervento chirurgico scruta la vita da un'angolatura differente. Da luglio a metà settembre, sentimenti opposti si accavallano, ma paure e incertezze non riescono a sconfiggere «quella sensazione di serenità che provi quando senti di essere in buone mani. E sai che ti stai impegnando al massimo per stare bene, per non avere nulla da rimproverarti». Ai primi di luglio Giuseppina, come tutte le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni, riceve la lettera in cui la Asl la invita a sottoporsi allo screening mammografico nella postazione mobile allestita a Rizzeddu: si tratta del programma regionale di analisi precoce del tumore al seno avviato dalla Regione e dalle aziende sanitarie locali. «Nella lettera era stato fissato il luogo, il giorno e l'ora - racconta Giuseppina - e c'era scritto che sarebbero stati sufficienti 10 minuti. Nessuna fila e zero liste d'attesa. Mi sono convinta: l'ultima mammografia l'avevo fatta sei anni prima e ho pensato che fosse arrivato il momento di ripetere l'esame. Così il pomeriggio stabilito ho bussato al camper». I medici sono puntuali e la visita dura 10 minuti, come promesso. Il giorno dopo Giuseppina riceve una telefonata. «I medici mi hanno chiesto di tornare per accertamenti, l'esito dello screening li aveva messi in allarme». Giuseppina ha le gambe molli. Ma non scappa. Bussa di nuovo e viene sottoposta a esami più approfonditi alle cliniche universitarie. Passano altri dieci giorni, ed ecco la diagnosi. È impietosa: nel seno sinistro di Giuseppina un carcinoma cresce velocemente. Per fortuna non si è ancora ramificato, ma non è possibile aspettare. Bisogna operare. È fine luglio, Giuseppina va al mare consapevole che a settembre sarà chiamata. La botta è pesante, ma viene incassata con serenità. Non dice una parola ai suoi familiari, «che senso aveva farli preoccupare?», e affronta l'attesa. L'11 settembre viene ricoverata, il 12 operata, il 13 è già a casa. Il carcinoma è stato asportato, i controlli dicono che il seno è di nuovo sano. I medici hanno escluso la necessità di fare la chemioterapia, forse ci sarà bisogno di un po' di radioterapia. Giuseppina non ha paura, sorride e si rivolge a tutte le donne. «Ho capito che trascurarsi non è giusto. Io per anni ho girato alla larga da medici, da controlli, da visite e code. Per paura, per scaramanzia, per colpa delle liste e dei tempi d'attesa. Quella lettera probabilmente mi ha salvato la vita. Perchè grazie allo screening i medici sono potuti intervenire subito. E non hanno perso un solo secondo. Mi sono stati vicini, con professionalità e umanità. So che sono tante le donne che come me hanno risposto all'invito, ma altrettante non l'hanno fatto, nonostante abbiano ricevuto persino una seconda lettera. In fondo ci chiedono di spendere solo 10 minuti. Non è tanto. È il tempo di un caffè, di una telefonata, di una doccia. Regaliamoli a noi stesse». Nei prossimi giorni, i 10 minuti per lo screening mammografico possono spenderli le donne del Goceano: la struttura mobile della Asl 2 dal 22 ottobre al 27 novembre sarà a Bono, poi si trasferirà aOzieri. A Sassari continuerà a operare il centro di Platamona a supporto delle donne "no responder": quelle che hanno gettato la lettera nel cestino sono ancora in tempo. ________________________________________________________ La Repubblica 18 ott. ’07 LETTO ASSISTITO TELEMATICO, PIANO SARDEGNA Si chiama Telematic assisted bed( TAB),o letto tematico assistito. È uno strumento informatico che permette di collegare in rete una 0 più equipe mediche al paziente che si trova a casa o in ambulatorio. Il programma permette di compilare le cartelle cliniche, inserire referti come radiografie e condividere la consultazione in tempo reale. Il sistema è stato realizzato da Aldo di Russo, di Unicity, società romana di consulenza multimediale, per Giovanni Maria Sanna ideatore del progetto Sa Ena - Villaggio solidale: una rete di ospedalità a domicilio che lega Ospedale, territorio e abitazione. Il TAB sarà operativo nei prossimi mesi, a disposizione di un paziente affetto da Sclerosi laterale amiotrofica. Sull'integrazione cure sanitarie e sociali è attiva la Regione Sardegna con un fondo di 120 milioni di euro per la non autosufficienza e il programma sperimentale "Ritornare a casa" che, come spiega l'assessore alla Sanità Nerina Dirindin consente ai pazienti di poter avere un sostegno economico sulla base di un piano personalizzato per poter viziaria? vere al proprio domicilio con aiuti sanitari e sociali. Del letto assistito telematico si è parlato al recente congresso internazionale di medicina riabilitativa a Quartu Sant'Elena (Cagliari). Le degenze in ospedale sono costose per il servizio sanitario (dagli 800 ai 1000 euro al giorno) mentre le cure a domicilio garantirebbero risparmi. Pioniera del modello di ospedale a domicilio l'equipe dell'Istituto di geriatria dell'università di Torino alle Molinette. «Un vero e proprio reparto che si sposta a casa del paziente», spiega la responsabile Nicoletta Aimonino Ricauda, «Dai nostri studi emerge che pazienti ultra ottantenni colpiti da ictus, curati a casa, a parità di interventi, manifestano migliore tono dell'umore, minor numero di complicanze infettive. E si risparmia». ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 ott. ’07 118: LA SALUTE, SPESSO SI MISURA IN CHILOMETRI I problemi dell'emergenza sanitaria emersi al congresso del 118 - Il direttore Golino: «Varie soluzioni sono allo studio» CAGLIARI. Il futuro dell'emergenza sanitaria in Sardegna è in un obbiettivo ambizioso: cancellare i chilometri e le curve che fanno la differenza tra un cittadino di Sadali, Esterzili, Escalaplano e uno di Cagliari. In percentuale ovviamente minore, il codice rosso, quello dell'urgenza massima, c'è anche nei paesi di mille anime distanti una vita dal primo ospedale utile. Le proposte ci sono, Regione e Asl di appartenenza sono al lavoro. Anche questo è emerso al congresso nazionale del 118 finito domenica. Il 2006 si è chiuso con più di 50 mila eventi gestiti dal 118 sardo, dove per evento si intende un avvenimento con esseri umani in carne ossa, mentre le telefonate di soccorso sono state almeno tre volte di più. Piero Golino fondatore, direttore e ancora animatore della rete delle emergenze sarde («assieme a Piero Delogu di Sassari», dice non soltanto per cortesia), spiega che appena sei anni fa la mole di lavoro era meno della metà. Il servizio è cresciuto, i mezzi stentano un poco a tenere il passo. «In parte è inevitabile - dice dopo la fatica del congresso, il quinto dalla nascita della società del 118 - perché nel nostro campo sono molto importanti le tecnologie, la nostra centrale è stata interamente rinnovata nel 2005 però, come succede quando c'è di mezzo l'informatica, l'invecchiamento qui è precoce. Ma ci sono comunque ancora degli aspetti che andrebbero migliorati». Come la necessità di garantire i collegamenti attraverso sistemi satellitari. Serve soprattutto nelle numerose zone dell'isola raggiunte poco e male dalla telefonia mobile terrestre. «Interventi nelle zone impervie potranno anche essercene pochi, in percentuale - spiega ancora - ma ce ne sono. Ed è per questo che è in fase di attuazione il miglioramento dell'intero sistema. Non siamo stati soltanto noi a far presente necessità di questa natura: più volte i sindaci hanno segnalato i problemi». Come per la zona di Villasimius, che in autunno si spopola di turisti, ma i residenti restano e anche questi possono aver bisogno di un soccorso tempestivo. Al congresso nella giornata di apertura s'è presentato un signore che, presentandosi con nome e cognome, ha spiegato di essere lì a raccontare la sua storia perché attraverso il 118, per ben sette volte, è stato salvato dai suoi problemi cardiaci. Anche dell'organico si è parlato durante il congresso, e dei locali: adeguati 9 anni fa quando il servizio è nato in Sardegna, adesso si sta stretti. Sui locali forse il rimedio è in arrivo: nei locali dell'ex ospedale psichiatrico di Villa Clara. Non lontano dalla palazzina dove un tempo sorgeva un piccolo presidio della protezione civile. L'organico: servono aggiunte, ma, si sa, non è personale che si può improvvisare. In altre parole: non è il giovane dottore al primo incarico l'operatore giusto per il 118. Si raccontava al congresso che il miglioramento nell'intervento sulle cardiopatie improvvise è dovuto anche al fatto che adesso, nell'isola, ci sono 1.600 volontari addestrati nell'uso del defibrillatore cardiaco. Un successo dai numeri sotto gli occhi di tutti. Il congresso è stata l'occasione per mettere a fuoco anche un altro aspetto: 9 anni fa non c'era nulla, adesso c'è qualcosa, che va adeguato, ma che funziona. Piero Golino da 5 anni non va più su ambulanze ed elicotteri. Ma nonostante sia uno degli ideatori della rete del 118 nell'isola, uno dei ricordi più cari è quello del 5 agosto 2001: a Calasetta una bambina di 3 anni era quasi annegata nella piscina di casa e lui l'aveva intubata in porto, sul molo, senza aspettare un secondo di più. Ventiquattr'ore dopo la bambina giocava in un lettino dell'ospedale Brotzu. Adesso deve avere 9 anni. «Valeva la pena di diventare vecchio per essere capace di fare questa cosa... ecco, il sistema del 118 tutti i giorni può fare una cosa del genere. E la fa». (a. s.) ________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 ott. ’07 ANESTESISTI, GRIDO DI DOLORE Troppo pochi per garantire buona assistenza Sono pochi, almeno il 20 per cento al di sotto del minimo necessario. Riuniti ad Alghero in convegno, anestesisti e rianimatori raccontano cosa serve per garantire un'assistenza di qualità in Sardegna. DAL NOSTRO INVIATO LUCIO SALIS ALGHERO Partorire senza dolore. Il sogno di tutte le donne sarde in attesa di un bambino, realizzabile, a caro prezzo, nelle cliniche private; una chimera nella maggior parte delle strutture pubbliche. Fa eccezione il piccolo ospedale di Bosa (sempre a rischio di chiusura) dove si pratica il parto indolore per tutte le puerpere. Gratis. Una grande innovazione che potrà essere estesa alle cliniche pubbliche quando ci sarà un numero di anestesisti adeguato. Perché oggi, in Sardegna, sono circa 280, circa il 20 per cento in meno di quelli necessari per assicurare solo il servizio di routine nelle Asl. Ma la categoria potrebbe fare di più, com'è emerso a margine dell'ottavo Congresso regionale di Anestesia e Rianimazione organizzato dalle associazioni Aimos, Aaroi-Siamed della Sardegna, che si è concluso ieri ad Alghero. «Se vogliamo assicurare il parto indolore - dice Paolo Castaldi, presidente dell'Aaroi e primario all'ospedale Marino di Cagliari - creare l'ospedale senza dolore, in cui il paziente che esce dalla sala operatoria è seguito con attenzione sotto il profilo della sofferenza e i servizi di anelgesia, bisogna potenziare gli attuali organici». Tutto questo rimarrà un sogno? Con l'aria di risparmio che tira sulla Sanità, è piuttosto probabile. Nel frattempo, le Rianimazioni restano reparti di frontiera, in cui arrivano i casi più gravi. Come i pazienti con trauma cranico o lesione al midollo spinale. Un'emergenza continua, fronteggiata con strutture non sempre adeguate. All'origine dei traumi cranici ci sono soprattutto gli incidenti stradali, quelli sul lavoro e di altro genere. «Ho notato che da quando è stato imposto l'obbligo del casco ai motociclisti - spiega Castaldi - i casi di trauma cranico sono diminuiti, mentre sono aumentate le lesioni alla colonna vertebrale». Il numero dei traumatizzati alla testa è comunque sempre elevato, in linea con l'incidenza nazionale: da 100 a 300 casi all'anno per 100 mila abitanti. Che nell'Isola vuol dire da 1600 a 3200 ogni 12 mesi. E infatti, un'indagine dell'Aaroi ha accertato che nel 2001 sono stati 2500. Duecentocinquanta, i più gravi, (coma profondo e insufficienza respiratoria) sono stati ricoverati in Rianimazione. Nello stesso reparto sono spesso ospitati anche i feriti con lesioni al midollo spinale. Una ricerca condotta da Giuliana Campus, responsabile dell'Unità spinale dell'ospedale Marino di Cagliari, ha accertato che nella maggior parte dei casi (36 per cento) sono vittime di incidenti stradali, compresi i moticiclisti ( 12 per cento). Seguono le cadute (22 per cento), gli incidenti sportivi (11 per cento), mentre il 2 - 3 per cento riguardante i tuffi durante la stagione estiva, i tentati suicidi (3 per cento), le ferite da arma da fuoco (14 per cento) e altre cause (14 percento). Le vittime sono, per lo più giovani, in età compresa fra i 15 e i 40 anni. «In questi anni - scrive Campus - stiamo assistendo a un aumento delle lesioni cervicali, passate dal 25 al 50 per cento, aggravando così il carico terapeutico dei centri spinali dedicati all'accoglienza di questi pazienti». E infatti, dal 2002, quando è stata inaugurata, l'Unità spinale di Cagliari ha già ricoverato, fra acuti e cronici, 280 pazienti. Numeri che fotografano drammaticamente la pressione cui sono quotidianamente sottoposti i reparti ospedalieri che curano queste patologie. ________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 ott. ’07 UN SARDO SU TRE SOFFRE DI MALATTIE REUMATICHE L'associazione dei malati: «Siamo sbandati, il piano sanitario non è attuato» CAGLIARI. Cagliari è una delle città italiane che ha il maggior numero di malattie reumatiche e la Sardegna la regione più interessata a questo tipo di patologie. Nonostante questo, però, la situazione locale è «ancora del tutto carente», afferma l'associazione di questo tipo di malattie (Asmar). Ed è per questo che oggi l'Asmar sarà in piazza del Carmine, a Cagliari: per chiedere l'attuazione del piano sanitario regionale. Sino ad ora, infatti, «siamo stati relegati ai margini, come pazienti di serie B». Secondo i dati forniti dall'Asmar circa un terzo della popolazione (cinquecentomila persone) è affetta da una qualche malattia reumatica. E di questi circa un quinto, oltre centomila persone, sono colpite da malattie reumatiche gravi. Più in particolare risulta anche che, complessivamente, i sardi colpiti da almeno una delle tre patologie reumatiche più conosciute (artrite, artrosi e osteoporosi) sono il 28,2 per cento. Tra le malattie reumatiche gravi, la più conosciuta è l'artrite reumatoide che in Sardegna colpisce circa undicimila persone. Si tratta di una patologia meglio conosciuta dai pazienti come artrite deformante per le gravi alterazioni che determina all'apparato locomotore: colpisce indistintamente adulti, giovani e bambini. Inoltre al gruppo di patologie serie appartengono anche la spondilite anchilosante che interessa la colonna vertebrale, il Lupus e le connettivi: affezioni di notevole gravità con compromissione di diversi organi e apparati. Il piano sanitario regionale prende atto, afferma Ivo Picciau, presidente dell'Asmar, «che le malattie reumatiche, per il carico di sofferenza e disabilità che provocano nella popolazione sarda in ragione della loro diffusione e della loro natura cronico-degenerativa, sono "patologie di particolare rilevanza sociale"». Inoltre il piano individua anche una serie di «obiettivi strategici per contrastarle», ma questi non vengon applicati. In particolare il piano sanitario si occupa della creazione di una rete integrata per l'assistenza reumatologica diffusa in tutto il territorio regionale. E non dimentica la realizzazione di una struttura ospedaliera reumatologica nell'area territoriale di Cagliari. Per gli interventi terapeutici viene riconosciuta una funzione di riferimento regionale presso le aziende ospedaliere universitarie di Cagliari e Sassari. In ogni azienda sanitaria locale viene istituito un servizio reumatologico con funzione di riferimento specialistico per il territorio della rispettiva Asl e di raccordo con la struttura di alta specializzazione regionale. Secondo l'associazione Asmar il piano sanitario regionale è molto innovativo: istituisce anche servizi ambulatoriali specialistici distrettuali con funzione di collegamento con il medico di medicina generale e con le strutture reumatologiche aziendali. Un passo avanti che permette di creare una rete tra i vari momenti dell'assistenza. Viene poi data risposta alla definizione di protocolli di screening e di valutazione clinica finalizzati alla diagnosi precoce e adottati sulla base di standard uniformi su tutto il territorio regionale. Per evitare, così, disparità di trattamenti. Il tutto senza trascurare la realizzazione di un piano di sensibilizzazione e aggiornamento dei medici di base sulle tematiche connesse all'assistenza reumatologica. Tuttavia, «a nove mesi dall'approvazione il piano sanitario rimane completamente inattuato», lamenta Picciau. Ed è per questo che oggi dalle 9 alle 14 l'Amsar manifesterà in piazza: per chiedere «più rispetto questi malati e attuare il piano». (r.ca.) ________________________________________________________ Corriere della Sera 14 ott. ’07 COSÌ IL MIO VELENO ANTICANCRO HA CONVINTO I GIAPPONESI Tumori Si sperimenta all'estero la discussa terapia ideata da un medico italiano H a da sempre indossato il camice bianco del neurologo. Ma da 15 anni l'American Association for Cancer Research lo annovera tra i suoi membri. Non è un oncologo. Ma la sua «pazza idea» che la tossina della difterite sia un'arma anticancro ha convinto gli scienziati giapponesi. In questa manciata di parole c'è, in realtà, una vita intera. Quella del dottor Silvio Buzzi di Ravenna. Ha 77 anni e ne ha dedicati quasi una quarantina a testare per conto proprio, negli scampoli di tempo libero, tra gli spazi angusti della soffitta di casa, il CRM197; così si chiama la forma «addomesticata» della tossina difterica. Con quali risultati? Si sono diffusi negli anni, in un tam-tam di speranze, sulla bocca dei pazienti (oltre un migliaio, quelli trattati da Buzzi), ma anche sulle pagine delle riviste ufficiali: Cancer Research, Lancet. Dati (si parla di masse tumorali regredite del tutto e di casi stazionari per lunghi periodi) che vengono oggi giudicati «altamente suggestivi» dalla Pharmaceutical Medical DevicesAgency, l'organizzazione governativa giapponese equivalente alla Food and Drug Administration, l'ente sanitario statunitense. Eppure l'intuizione tutta «made in Italy» ha vita difficile in patria. Il bollettino d'informazione sui farmaci dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, ha di recente liquidato il lavoro di Buzzi così: «Sulla base di dati incompleti (o quasi inesistenti), per lo più aneddotici, vengono create illusioni per i pazienti oncologici, talora anche allo stadio terminale». Però aggiunge: «I risultati ottenuti possono essere considerati accettabili per condurre ulteriori approfondimenti». Approfondimenti che un team di ricercatori giapponesi ha adesso deciso di effettuare con tutti i crismi. «Nel maggio scorso una delegazione è venuta a farmi visita a Ravenna - racconta Buzzi - per informarsi sull'impiego del CRM197 nei tumori: Eisuke Mekada, dell'Università di Osaka, specialista in malattie microbiche, Shingo Miyamoto, ginecologo-oncologo all'ateneo di Fukuoka, e Kaoru Hosoi, grande esperto nello sviluppo dei farmaci. Avevano già testato le potenzialità della molecola sui roditori con tumori ovarici umani, riscontrando il blocco totale della crescita delle masse. Perciò necessitavano del via libera dell'ente governativo del loro Paese per passare all'uomo». Detto fatto: il 10 settembre ha avuto luogo la riunione di Buzzi con i boss dell'agenzia giapponese. «In una grande sede ministeriale a Tokyo - continua il medico - mi sono ritrovato dinanzi a 25 studiosi. Il mio cd comincia a sparare sullo schermo immagini di pazienti prima e dopo il trattamento; poi, si discute per due ore, e a meeting concluso apprendiamo dal professor Miyamoto che la commissione è rimasta colpita dal nostro resoconto. Pare proprio che si possa tagliare il nastro inaugurale di una sperimentazione entro la fine dell'anno, su un gruppo di pazienti colpite da tumore ovarico». Evviva. Ma in Italia? La vicenda di Buzzi, narrata anche in un romanzo autobiografico (Il talco sotto la lampada, Edizioni Ares) e sostenuta dall'acceso passaparola dei malati (che «sorvegliano» la querelle sul sito www.crm197.it), ha conosciuto un sofferto slalom burocratico. A partire dal marzo 2006, prima una raffica di convocazioni a Roma, con i rappresentanti dell'Aifa, poi l'annuncio di un test italiano che però da subito resta al palo. Ora, lo scenario s'è mosso: il CRM197 è sotto la lente di Gianmaria Fiorentini, direttore del dipartimento oncologico all'Asl 11 di Empoli, dell'Istituto Toscano Tumori. «Il nostro lavoro valuta questa terapia sul fronte del melanoma. I pazienti che stiamo reclutando devono rispondere a determinate caratteristiche, fissate da un protocollo ben definito, frutto di due revisioni - spiega Fiorentini -. Si procede per triplette: vengono studiati tre pazienti per ogni livello di dose. A ciascun terzetto si somministra un diverso dosaggio "a crescere", per accertare la quantità della sostanza utile e tollerabile. Al momento il nostro obiettivo è "piccolo", ma cruciale per gettare le fondamenta di successive fasi della sperimentazione. Contiamo di ottenere indicazioni in merito nel giro di 6-8 mesi». Intanto per Buzzi l'appuntamento è alla fine del 2009: con i compagni di cordata giapponesi. Per tirare le somme. E, forse, un respiro di speranza. Edoardo Rosati ______________________________________________________________ Corriere della Sera 19 ott. ’07 SANITÀ AL FEMMINILE, ECCO I BOLLINI ROSA SANITÀ AL FEMMINILE, ECCO I BOLLINI ROSA: gli ospedali migliori al Nord e a Roma MILANO - Ospedali con il bollino rosa per una guida Michelin della «sanità al femminile». La classifica dei primi 34 centri italiani a misura di donna è stata presentata ieri al ministro della Salute Livia Turco: 19 fra questi possono vantare tre bollini, 8 ne hanno guadagnati due, mentre sono stati premiati con un bollino 17 centri (su 60 istituzioni che hanno aderito all'iniziativa). Il progetto Ospedaledonna, che nasce sulla falsariga dei women's hospitals diffusi soprattutto nel mondo anglosassone, è promosso da Onda, l'Osservatorio per la salute femminile, e ha un obiettivo: garantire maggiore attenzione alle donne che si rivolgono alle strutture sanitarie. «Oggi la medicina - commenta Francesca Merzagora, presidente di Onda - è "ritagliata" sull'uomo. La sperimentazione dei farmaci; tanto per fare un esempio, è quasi sempre condotta sugli uomini. Ma si sa che le donne possono reagire diversamente ai loro effetti, compresi quelli dannosi. E di questo bisogna tenere conto». Non solo, ma le donne si ammalano più spesso di certe malattie rispetto all’uomo, come nel caso dell'artrite reumatoide che interessa il sesso femminile cinque volte più del maschile. E possono avere sintomi diversi: colpite da un infarto, 4 su dieci provano nausea e dolori diffusi alla schiena invece del «classico» dolore al torace e al braccio sinistro. Ecco perché è nata la «medicina di genere», più attenta alle specificità femminili. E il progetto Ospedaledonna vuole promuovere questa medicina nelle strutture sanitarie. La commissione, presieduta da Laura Pellegrini> direttore generale dell'ospedale Spallanzani di Roma, ha selezionato gli ospedali secondo precisi criteri, fra cui la presenza di ambulatori dedicati a particolari malattie femminili come l'osteoporosi o la menopausa, oltre naturalmente ai reparti di ostetricia e ginecologia o di eneologla; specializzati nella cura dei tumori alla mammella o all'ovaio. E se questi requisiti sono sufficienti per un bollino rosa, per due è necessario che le ,strutture ospedaliere, facciamo anche ricerca al femminile. Tre bollini è l'eccellenza (dei 19 al top, 17 sono al Nord e due a Roma) e in questo caso le donne non sono solo «pazienti», ma anche «dirigenti»;:nel senso che occupano posizioni apicali nella struttura come direttori sanitari, scientifici o generali. «A tutt'oggi non sono molte - commenta Amelia Compagni del Cergas Bocconi - nonostante la presenza di donne, quando si parla di medici e infermieri, sfiori il 61%. Ed esistono differenze tra le diverse aree in Italia: è due volte più facile trovare una donna direttore generale al Nord che al Sud». Ma per essere al top, gli ospedali devono offrire anche altri servizi. Una cucina multietnica, per esempio, che propone diete speciali come quelle per le donne musulmane durante il periodo del Ramadan. Questionari per il consenso informato scritti in lingue diverse. E, infine, un'accoglienza non stop per le mamme dei bambini ricoverati. Le donne dunque potranno scegliere: a parità di servizi, grazie a questa classifica, avranno l'opportunità, dove esiste, di scegliere un ospedale con il bollino rosa. . . Adriana Bazzi I PRIMI MILANO, Istituto nazionale dei tumori. FORLÌ, Ospedale Morgagni-Pierantonì. VARESE, Ospedale di Circolo. MILANO, Fatebenefratelli e Macedonio Melloni. TORINO, Maria Vittoria. BRESCIA, Spedali civili. TORINO, Sant`Anna. MILANO, Leo. CREMONA Istituti Ospitalieri. MODENA, Policlinico. MERANO, Franz Tappeiner. GENOVA, Galliera: MILANO, Mangiagalli. CHIAVARI, Asl 4. MILANO, Niguarda. VERONA, Azienda ospedaliera. PADOVA, Azienda ospedaliera. ROMA, Sant'Andrea. ROMA, Policlinico Tor Vergata ________________________________________________________________ LA STAMPA 12 ott. ’07 NESSUNO VUOLE PIÙ FARE IL CHIRURGO I MEDICI GIUSTIFICANO i GIOVANI: «SIAMO SOTTOPOSTI A UN PRESSING CHE PORTERÀ All'ABBANDONO DELLA PROFESSIONE» Crollo delle vocazioni tra gli studenti: "Troppi pazienti si rivolgono alla magistratura DANIELA DANIELE ROMA Da un lato, apparecchiature sempre più sofisticate in sala operatoria. Dall'altro, sempre meno chirurghi. «In Italia sono 40 mila, sottoposti a un pressing sconvolgente che porterà a poco a poco all'abbandono della chirurgia». E' il grido d'allarme di Claudio Cordiano presidente, insieme con Vincenzo Pezzangora, del congresso Sic, la società che rappresenta gli specialisti, in programma domenica a Verona. «Già oggi - conferma - come avviene ormai da anni in Paesi come Germania e Francia, anche da noi si assiste a una disaffezione da parte del giovane medico, sempre meno sono quelli che cercano di entrare nelle scuole di specializzazione chirurgiche». Il dato è preoccupante. Se nella prima metà del secolo scorso, ogni anno si specializzavano nelle chirurgie circa 600 medici, oggi il numero è dimezzato. Con tendenza negativa continua, come riferisce Luigi Frati, presidente della Conferenza nazionale dei presidi di medicina e chirurgia. «C'è un trasferimento continuo di competenze professionali - dice Frati - da settori tradizionali, come la chirurgia, a settori innovativi». Per esempio: vent'anni fa l'ulcera gastrica era una malattia chirurgica, oggi sl cura con i farmaci. Così come fino a quindici anni fa per un'emorragia cerebrale l'unica speranza era in sala operatoria, mentre oggi un caso del genere «si può trattare per altra via, con la radiologia interventistica». La favola dei guadagni L'altro grande deterrente è l'aumento delle denunce penali nei confronti dei chirurghi. Secondo il Tribunale del malato, dopo ostetricia e ginecologia è la chirurgia l'area che più spessa finisce nelle aule di tribunale. «Ed è sicuramente un aspetto che condiziona certe scelte - sostiene Frati - l’esercizio eccessivo della denuncia fa arroccare su posizioni difensive. Quello che un chirurgo può azzardare per il bene del paziente, oggi spesso si evita per timore di conseguenze legali. E, naturalmente, una situazione del genere allontana dalla scelta di questa specialità. Per non parlare del fatto che l’iter professionale è molto lungo. E che, ormai, quella dei grandi guadagni è soltanto una favola». Amedeo Bianco, presidente della Federazione degli ordini medici (Fnomceo) ammette che si tratta di «specializzazioni decisamente in salita, quanto a difficoltà oggettive» e che il gran numero di denunce, senza dubbio, «può demotivare i giovani medici». Dal congresso di Verona usciranno, tuttavia, notizie confortanti per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche che proiettano la chirurgia in un futuro che non fa ormai più parte della fantascienza. Da dispositivi che consentono di eseguire interventi chirurgici senza perdite di sangue, azzerando il rischio di emorragie e la necessità di trasfusioni, a robot controllati a distanza dal chirurgo per operare su aree minuscole del corpo, come un'arteria di un millimetro di diametro, a chip da posizionare sottopelle per fare diagnosi, a nanopariicelle che traghettano farmaci ed «esplodono» all'interno di un tumore per distruggerlo, fino ai laser usati al posto del bisturi per riparare una singola cellula o parte di essa. Alcune tecniche sono già state provate con successo su pazienti, altre sono in fase di sperimentazione. E si tratta solo di una parte delle novità della chirurgia che saranno annunciate nei prossimi giorni. Sguardo sul passato IL congresso darà anche uno sguardo al passato, dagli Anni `30 ai giorni nostri, grazie a una pellicola voluta dal presidente della Società italiana di chirurgia, Roberto Tersigni, e realizzata dall'Istituto Luce. Ripercorrerà momenti delicati, rievocando per esempio il disperato intervento cui fu sottoposto a Roma nel `48 Togliatti dopo l'attentato, al Policlinico Umberto I, dall'équipe di Pietro Valloni. Frammenti per ricordare i personaggi che hanno fatto grande la chirurgia italiana «ma anche - sottolinea Tersigni - per ripercorrere l'evoluzione del costume nel nostro Paese». Però molto resta da fare. «Purtroppo - conclude Cordiano - è nell'organizzazione scientifica che dobbiamo ancora migliorare, e anche nella gestione dell'attività chirurgica, su cui gravano carenze da colmare che stanno contribuendo a scoraggiare le nuove leve a intraprendere un cammino lungo e difficile». Con ostetricia e ginecologia è l'area che più spesso finisce nelle aule di tribunale I progressi: vent'anni fa l'ulcera gastrica era malattia chirurgica oggi si cura coi farmaci Medici chirurghi italiani che attualmente esercitano nelle strutture sanitarie: 40.000 Numero di chirurghi che uscivano ogni anno dalle facoltà di Medicina fino agli Anni 90: 600 Laureati Chirurghi che ogni anno entrano in servizio: 600 (l'offerta non copre la domanda ______________________________________________________________ Il Giornale 13 ott. ’07 LA TELEMEDICINA, UNA RIVOLUZIONE CHE ACCELERA LA CURA DEI MALATI Sarà possibile, grazie alla banda larga e alle innovative soluzioni di Telecom Italia, ottimizzare la spesa sanitaria complessiva e migliorare la gestione medica negli ospedali Ignazio Mormino Il pianeta-salute è attraversato da una nuova, importante «rivoluzione» che lo renderà più moderno e più efficiente, moltiplicando le strategie di intervento e anticipando sia i tempi delle diagnosi sia quelli delle terapie. Questa rivoluzione si chiama e-Health (sanità elettronica) ed è destinata a diffondersi in tutte le strutture sanitarie italiane. Telecom Italia è all'avanguardia in quest'area con soluzioni di Information & Comunication Technology avanzate (Ict) rese possibili grazie alle prestazioni consentite dalla banda larga e alle applicazioni innovative di rete che sono in grado di ottimizzare la spesa sanitaria e la gestione dell'assistenza medica all'interno degli ospedali. L'offerta di Telecom Italia è suddivisa in soluzioni modulabili in grado di rispondere alle esigenze operative sia di natura clinica sia amministrativa: MyDocs e-Health, per poter consultare in modo rapido ed efficace i documenti dei pazienti; MyImage Archiving, per conservare e interrogare da remoto le analisi radiologiche; MyPharma Management, per la gestione del farmaco monodose e dei protocolli farmaceutici presso il reparto ospedaliero; MyAsset Tracking; per localizzare in tempo reale e in mobilità le attrezzature elettromedicali grazie ai dispositivi di radiofrequenza; MyPatient Record, per rendere sempre disponibili in modo integrato le informazioni clinico-sanitarie. «Dopo una analisi strategica, condotta in tutte le aree ospedaliere - spiega Marcella Logli, responsabile della divisione e-Health Personal Services di Telecom Italia - abbiamo sviluppato una piattaforma specifica per la sanità che continuiamo a perfezionare e che permetterà un collegamento continuo a livello sia regionale sia nazionale, e che metterà in relazione tutti gli attori del sistema sanitario quali gli ospedali, le farmacie, i cittadini e gli enti istituzionali. La "piattaforma" permetterà ad esempio, agli ospedali di trasmettersi le cartelle cliniche dei pazienti e consentirà che il medico parli direttamente con la farmacia dell'ospedale per accelerare la somministrazione di certi farmaci. Questi servizi - continua la dottoressa Logli - permettono di monitorare i malati da casa, consentendo loro o ai propri familiari di trasmettere un elettrocardiogramma o il risultato della misurazione pressoria al medico di base. Ciò rende più tempestivi gli interventi, con risultati clinici migliori.Un altro servizio che siamo in grado di offrire - MyDocs e-Health - consente ai medici all'interno degli ospedali di conservare in formato elettronico le cartelle cliniche dei pazienti rendendo più veloci l'attività di ricerca e archiviazione. La soluzione si basa su applicazioni evolute che utilizzano Data center capaci di accogliere grandi quantità di dati sempre disponibili in rete». «Anche MyImage Archiving risponde all'esigenza di memorizzare e archiviare in modo sicuro e nel rispetto di tutti gli standard del settore, le immagini radiologiche in formato digitale. Il servizio che si basa sulla adozione della banda larga e di server in grado di amministrare importanti volumi di dati,consente di gestire il patrimonio storico delle immagini, di creare una "library" intelligente, con un sistema di ricerca e di consultazione possibile anche da remoto ottimizzando il processo di archiviazione degli esami. Il servizio MyPharma Management è studiato per poter contenere il rischio clinico, e in parti colare permette la gestione centralizzata del farmaco monodose e dei protocolli farmaceutici presso i reparti. Grazie a queste applicazioni è possibile automatizzare l'intero ciclo del farmaco per la preparazione di una terapia personalizzata, riducendo i rischi legati ad errori umani e rendendo maggiormente sicura la prescrizione, ottimizzando la scorta dei farmaci. Il medico inoltre può gestire le prescrizioni al paziente direttamente con un palmare predisposto al collegamento a banda larga: Le prescrizioni vengono quindi registrate presso il reparto di competenza, aggiornando in tempo reale la disponibilità dei farmaci negli armadi "robotizzati"». Tutti questi servizi non solo permettono di creare una Sanità più moderna e più efficiente, ma anche di contenere i costi. L'ammalato curato -a casa, senza ricoveri ospedalieri, «taglia» vistosamente la spesa sanitaria. Il ragionamento vale soprattutto per gli anziani, che già oggi sono gran parte della popolazione italiana e nel 2025 raggiungeranno percentuali più alte. «Telecom Italia - afferma la dottoressa Logli - intende sviluppare i servizi di teleassistenza e di telemonitoraggio' nell'area geriatrica, in particoIare fornendo soluzioni rapide e sicure a coloro che soffrono di patologie cardiovascolari, di diabete e di malattie respiratorie». Il «modello» per i servizi sanitari cui si ispira (e che è stato studiato in tutti i dettagli) è quello canadese, noto come Info-Way; ma anche i modelli della Danimarca e della Gran Bretagna sono stati presi in considerazione. È certo, in ognicaso che alla fine di quest'anno, quando la rete sarà estesa progressivamente a tutto il territorio nazionale, anche l'Italia potrà iniziare a disporre di un servizio sanitario integrato, con dati interoperabili a tutti i livelli. Inoltre Telecom Italia ha inaugurato il portale Salute. it, rivolto ai cittadini, ai professionisti e alle strutture socio-sanitarie. Consultabile all'indirizzo www.salute.telecomitalia.it, il nuovo servizio on line è dedicato al mondo sanitario con notizie e informazioni, consigli pratici e importanti studi del settore relativi alla salute e al benessere. ______________________________________________________________ Il Giornale 13 ott. ’07 UNA DIAGNOSI CON IL CELLULARE Gianni Clorici Un sistema che consente di monitorare durante l'evento aritmie o insufficienza cardiaca AL dodicesimo congresso della Società internazionale di elettrocardiografia svoltosi ad Atene il professor Mario Trivellato di Padova ha présentato la nuova tecnologia «Blue Tooth» per la trasmissione transtelefonica dell'elettrocardiogramma, ricevendo apprezzamenti da parte del professor Harold Kennedy, dell'università di Baltimora. Il nuovo apparecchio è già in uso presso il servizio cardiologico della Us116 di Padova. La trasmissione transtelefonica di un tracciato elettrocardiografico con tecnologia Blue Tooth è fattibile con tutti i telefonini di ultima generazione e permette la trasmissione dei dati, in questo caso l'elettrocardiogramma an che avendo il cellulare a distanza fino a 10 metri. In maniera assolutamente silenziosa ed anche all'oscuro del paziente, l'apparecchio registra anomalie elettrocardiografiche, che talora possono essere silenti e non avvertito dal soggetto in esame. In pratica vi 'e un «furto» a fin di bene dei dati elettrocardiografici del malato. Questo è possibile, ovviamente, dopo che il paziente, presso il servizio di cardiologia, ha collegato il suo cellulare con l'apparecchio che gli è stato fornito. I dati vengono memorizzati ed inoltrati in contemporanea ad un Centro di riferimento in Germania, che in pochi secondi, via Internet trasmette il tracciato elettrocardiografico in questione, sul computer del cardiologo. L'apparecchio di soli 85 grammi di peso viene consegnato al paziente in genere per due o tre settimane, a seconda delle necessità di documentazione. L'apparecchio viene portato al collo come una collana, con due elettrodi, che possono essere cambiati. È stata fatta una dimostrazione in diretta di questa applicazione e durante la presentazione il professor Vargas, noto cardiologo greco ha fatto personalmente questa prova. L'apparecchio è munito anche della tecnologia Loop Recorder, che permette di documentare una eventuale aritmia o una eventuale insufficienza coronarica, con una registrazione 25 secondi prima e 15 secondi durante l'evento. Questi tempi di registrazione . possono essere tarati diversamente, per esempio un minuto prima ed un minuto durante l'evento elettrocardiografico patologico. Questi dati, ovviamente, vengono inviati in tempo reale automaticamente al Centro di riferimento ed al servizio di cardiologia del professor Trivellato. L'apparecchio inoltre permette una registrazione manuale, molto utile nei casi, in cui il paziente accusi sintomi, ma con elettrocardiogramma normale. È possibile quindi documentare se si tratta di un sintomo cardiaco o di una ernia jatale con reflusso e spasmo esofageo, che può mimare un attacco anginoso. Questa nuova tecnologia darà un ulteriore contributo per la riduzione delle liste di attesa ed impropri ricoveri. Si è aperta una nuova frontiera per la diagnosi e cura dei Pazienti cardiopatici. La conferenza ad Atene aveva per titolo «The Hermes of Telecardiology». ______________________________________________________________ Repubblica 13 ott. ’07 TUMORI: PIÙ MALATI IN ITALIA MA LA MORTALITÀ È IN CALO Palermo, le statistiche dell'Associazione oncologi medici PALERMO - Più malati di tumore in Italia, ma il numero dei decessi è in netto calo. Dal 1970 a oggi la mortalità si è ridotta del 24 per cento, considerando tutti i tipi di neoplasie. L'Aiom, Associazione italiana oncologi medici, ha presentato ieri le statistiche elaborate dall'Istituto nazionale dei tumori e pubblicate a settembre dalla rivista "Tumori". Ma questi progressi hanno un rovescio della medaglia che l'associazione dei medici e la classe politica sono chiamati ad affrontare: il costo dei farmaci. Sono sempre più numerosi, più efficaci, ma anche più costosi. E la diffusione di molte forme di cancro è in continuo aumento. A raggiungere la vetta della classifica, in fatto di incidenza, non necessariamente di pericolosità , sono il tumore alla prostata per gli uomini e quello al seno perle donne. Oggi in Italia ci sono 36 nuovi principi antitumorali in sperimentazione. Negli Stati Uniti sono più di mille. «La loro azione ha rivoluzionato soprattutto i tumori del colon e della mammella. Anche nei casi con le metastasi più gravi, le prognosi sono passate da pochi mesi a diversi anni» dice Stefano Cascinu, segretario dell'Aiom. Ed Emilio baietta, presidente dell'Aiom: «Per un oncologo e un momento commovente. Ci sono voluti 40 anni. Ci siamo arrivati grazie alle diagnosi precoci e ai trattamenti integrati». Il rovescio della medaglia è una spesa per i farmaci anti-cancro (somministrabili solo in ospedale) che cresce ogni anno dell'8 per cento e nel 2006 ha sfondato il tetto dei due miliardi di euro. Un sondaggio condotto tra mille medici dell'Aiom e presentato nel corso del congresso nazionale inaugurato ieri a Palermo rivela che le esigenze di budget dell'ospedale per cui si lavora vincolano l’8 per cento degli oncologi nella prescrizione delle terapie. Il 45 per cento è poco influenzato dai costi, anche se un buon 47 per cento degli specialisti è preoccupato che le restrizioni economiche possano razionare le cure più nuove ai pazienti. Ai timori degli oncologi ha risposto ieri a Palermo il ministro della Salute Livia Turco: «Nessuna valutazione di tipo finanziario autorizza un medico a non erogare una terapia oncologica ritenuta appropriata». Il ministro ha invitato a «segnalare casi dove una tale omissione di assistenza dovesse verificarsi per adottare immediatamente i provvedimenti del caso, che si configurerebbe come vera e propria omissione di soccorso». ______________________________________________________________ Il Giornale 18 ott. ’07 IL RAZZISMO DEL DNA Vittorio Macioce James'Watson ha un sorriso da predatore. Da qualche parte nei suoi cromosomi è nascosta la parola genio. Nel 1962 ha vinto il premio Nobel per la medicina. ÌJ lui l'uomo che ha scoperto la struttura del Dna, in qualche modo è riuscito a leggere nella mente di Dio. Quello che ha visto non deve averlo rassicurato. A Londra, mentre presentava il suo ultimo libro, ha detto che i neri sono meno intelligenti dei bianchi. Boom. Stupore e vergogna. Quando l'hanno raccontato alla sua amica Rita Levi (...) (...) Montalcini quasi sveniva: «Davvero Watson ha detto che i neri sono meno intelligenti? Non ci credo, l'avrà detto Storace». Sbagliato. Storace su questi terreni non si muove, rischia la lapidazione. Un genio sì e qualche volta è razzista. Come Watson: «Chiunque abbia avuto a che fare con un impiegato di colore sa che non è vero che tutti gli uomini sono uguali». E ancora: «Tra una decina d'anni saremo in grado di identificare i geni responsabili delle differenze tra le intelligenze». La verità è che in quest'era, in cui l'uomo gioca con i suoi cromosomi, il limite tra scienza e morale si sta facendo molto sottile. E questo è un rischio. II razzismo c'è sempre stato: î greci consideravano inferiori tutti i barbari, cioè il resto del mondo. Gli ebrei consideravano «gentili» i popoli non baciati da Dio. I conquistadores spagnoli massacravano Aztechi, Inca e Maya lavandosi la coscienza con una scusa metafisica: «Non sono cristiani, non hanno l'anima». Thomas Jefferson, padre della costituzione americana, condivideva il letto con Sally Hemings, bellissima schiava, colta, intelligente e passionale, ma non è mai riuscito a considera re i neri uomini liberi. Hitler ha trafitto con una stella gialla gli ebrei, ha tatuato un numero sui loro polsi e li ha bruciati. Pol Pot ha semplicemen te cancellato tutti i cambogiani che sapevano leggere e scrivere. I musulmani non concepiscono gli infedeli, i francesi raccontano da sempre barzellette sull'intelligenza dei belgi> a Torino e Milano c'era gente che non affittava casa a terroni, cafoni e napoletani. Il razzismo etnico, religioso economico fa, schifo. Quello scientifico e genetico è ancora più insidioso. Ed è il male oscuro di questa epoca. La scienza è diventata un tabernacolo di verità. È l'assoluto. È la spada che divide il bene dal male. È l'oracolo a cui si affidano le risposte finali, una su tutte: chi siamo. Chi è l'uomo. La scienza, nella coscienza degli umani, ha emarginato filosofi e teologi. È la vittoria dell'uomo come carne, macchina, tecnica, filamento, di Dna. P l'uomo che ha, rinnegato il cielo. Magari non è un problema, ma forse è arrivato il momento di dire che le risposte etiche non passano attraverso la scienza. C'è un orizzonte che non si può superare. Watson è un genio, ma le sue teorie non sono legge asso luta. Restano le opinioni di un premio Nobel. L'ultimo, disperato, tentativo di un genetista di affermare che l'intelligenza, si legge nel colore della pelle. Wàtson viene dopo gente come Camper e Lavater che vedevano nella fisiognomica la morale di una persona. Viene dopo Carus che cercò di dimostrare che esiste un popolo «solare», pelle e occhi chiari, e un popolo «notturno», di colore scuro. Viene dopo Gobineau, teorico nazionalista della superiorità della razza tedesca. Viene dopo Galton, che all'inizio del Novecento fondò in Inghilterra il laboratorio di eugenetica nazionale. Lì si studiava un sistema per incrementare la riproduttìvità degli individui migliori e ridurre i deboli, i malformati, gli inadatti. È la stessa grande paura che viviamo oggi con la selezione degli embrioni. Quella sindrome di Sparta, quella rupe asettica e indolore come un laboratorio da cui buttare tutti gli embrioni «sbagliati». Watson ha ragione: gli uomini non sono tutti uguali. Sono i tutti diversi, ma ognuno per conto proprio. Niente insiemi, professore. Niente categorie. II bianco e il nero lasciamoli agli scacchi. , Vittorio Macioce ______________________________________________________________ Il Giornale 18 ott. ’07 QUARTI SCEMI CI SONO TRA NOI E LA GENETICA NON C'ENTRA La scienziata Margherita Hack: «Il codice dei cromosomi è uguale indipendentemente dalla pelle» Tommy Cappellini Spararle grosse è attività antica e sempre alla moda. In questo senso, l'aver ricevuto un premio Nobel non rappresenta alcuna garanzia di saggezza: «Sono pessimista per le prospettive del continente africa no», ha detto il genetista James Watson, «dal momento che le nostre politiche sociali si basano sul fatto che la loro intelligenza sia pari alla nostra, mentre tutti i test lo smentiscono». Come dire: i neri sono meno intelligenti dei bianchi. Il concetto non sembra piacere a Margherita Hack, emerita di Astronomia all'Università di Trieste e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei. Che ne pensa, professoressa, delle dichiarazioni del premio Nobel Watson? «Secondo me ha detto una gran fesseria. Innanzitutto, questi test a cui Watson si riferisce spesso li elabora -per usare una metafora - un abitante di città, per poi sottoporli a un abitante di campagna,senza tener conto, invece, che le strutture della mente sono dipendenti dall'ambiente esterno. L'intelligenza inventa strategie differenti a partire dal contesto dove si trova». Un problema di fonti, dunque. «Anche. Sviluppare risultati disuguali in alcuni test standard non significa che ci sia in gioco un'intelligenza superiore o inferiore, poiché le risposte sono condizionate non tanto dall'intelligenza, quanto dal contesto nel quale uno vive». Eppure Watson afferma, testualmente, che non c'è motivo per prevedere che le capacità intellettive delle persone divise geograficamente al momento della loro evoluzione si siano esplicate in maniera identica... «Pure questo è piuttosto discutibile: il codice genetico degli esseri umani è lo stesso indipendentemente dalle diversificazioni fisiche avvenute nel corso dei secoli a seconda dell'ambiente. Per riprendere il paragone di prima, chi vive in città ha conoscenze, condizioni, abitudini diverse, modi differenti di affrontare la vita da chi vive in campagna. Non ci trovo nulla di strano». Nessuna differenza d'intelligenza, dunque, tra chi ha la pelle scura o meno scura? «Nessuna. Tra l'altro, Watson non tiene presente che le differenze nel colore della pelle sono irrilevanti. Come se tra i bianchi non ci fossero intelligenti o scemi tanto quanto tra i neri». MONTALCINI SCONVOLTA Rita Levi di Mantalcini quasi si rifiuta di ascoltare quelle parole. Conosce James Watson da una vita. «Davvero ha detto che i neri sono meno intelligenti? Non ci credo; l'avrà detto Storace. Sono indignata. li cervello dei neri è uguale, preciso; a quello dei bianchi». Margherita Nack ______________________________________________________________ Repubblica 11 ott. ’07 AFFAMARE IL TUMORE A 18 anni dall'identificazione del più importante fattore di crescita ad attività angiogenica (il VEGF, Vascular Endothelial Growth Factor, molecola capace di far crescere i vasi sangue a tre anni dall'approvazione per uso clinico di Avastin Bevacizumab, anticorpo monoclonale anti-VEGF, la terapia antiangiogenica appare ora come una delle più consolidate strategie da affiancare comunque alla chemioterapia antineoplastica. Avastin è il primo anticorpo capace di bloccare nell'uomo il fattore VEGF. Dal sito degli studi clinici della FDA (Food and Drug Administration), e NCI (National Cancer Institute) Avastin risulta essere attualmente in corso di studio in quasi 300 trial. Ma non è l'unica arma contro i vasi sanguigni. Molte novità sull'antiangiogenesi sono state presentate all'ECCO ( Conferenza Europea Cancro) di Barcellona. VEGF, la proteina principale causa della formazione di nuovi vasi, costituisce anche un motivo di orgoglio nazionale. Fu scoperta, infatti, nel 1988 da Napoleone Ferrara, nato a Catania e trasferitosi poi negli USA, che ne pubblicò l'identificazione sulla prestigiosa rivista Science nel 1989. ed in seguito la evidenziò come bersaglio elettivo di terapia "a target". Perché l'angiogenesi? Un tumore prospera accanto a un vaso sanguigno, lo modifica a suo piacimento, si costruisce delle canalizzazioni interne, come una roccaforte nemica che si prepara a invadere. È la formazione di neo-vasi da quelli preesistenti a definirsi angiogenesi. Come un fiume su cui sorge una città, il neocapillare é per il tumore al tempo stesso fonte di sostentamento, portando nutrimento, e una via di trasporto, consentendo la metastasi a distanza. Lo sviluppo e la diffusione nell'organismo di una massa neoplastica sono entrambi dovuti alla sua capacità di sorgere vicino ad un vaso sanguigno e di crescere alimentandosi con vasi propri. Dopo gli studi di Judah Follanan ad Harvard e di molti altri ricercatori il concetto di angiogenesi come bersaglio di terapia antineoplastica si fece strada. L'idea era molto innovativa: soffocare il tumore tappandogli i vasi, affamandolo, sottraendogli il nutrimento; bloccare la metastasi chiudendo gli accessi vascolari. Semplice, eppure non così facile da realizzare I farmaci antiangiogenià di prima generazione. diretti contro gli enzimi dell'invasione, le metalloproteasi non ebbero il successo clinico che si sperava. Bisognava arrivare a scegliere come bersaglio il circuito di attivazione della cellula endoteliale, che consiste nel legame tra VEGF e i suoi recettori di membrana, in particolare KDR-fltr-VEGFRa. La produzione di anticorpi umanizzati che combattono questo fattore, rendendolo inaccessibile per le cellule dei capillari, ha consentito un enorme progresso. Nel 2004, dopo numerosi ed estesi studi preliminari in vitro, fu pubblicata una ricerca su oltre 800 persone con tumore metastatico colorettale: 403 pazienti avevano ricevuto una chemioterapia standard mentre 412 avevano assunto, oltre alla terapia standard, il farmaco antiangiogenico. I risultati avevano dato ragione alle aspettative; i pazienti trattati con Avastin e sottoposti a chemio, hanno allungato di circa il 50 per cento l'aspettativa di vita, rispondendo meglio alla chemioterapia, e sono rimasti più a lungo liberi da malattia, con effetti collaterali minori. In questi tre anni la molecola ha fatto molta strada e migliora la sopravvivenza e l'intervallo libero da malattia in molti tipi di tumore. Il suo utilizzo è stato registrato non solo per tumori metastatici ma anche in terapia adiuvante (post-operatoria). Recenti nuovi miglioramenti sono stati riportati per colon inoperabile e per il tumore L'anticorpo anti-VEGF, come già detto, non è l'unico farmaco antiangiogenico in clinica, anzi ve ne sono almeno una trentina in sperimentazione. I possibili bersagli dell'angiogenesi sono diversi e si basano principalmente sull'attacco alle cellule endoteliali, i principali mattoni dei capillari. Si può impedir loro di crescere bloccando il circuito pulsante-interruttore (fattore di crescita - recettore), proibire loro di '"spostarsi" da un capillare "buono" ad un "cattivo" (quello del tumore), impedire loro di farsi strada attraverso i tessuti con arnesi da scasso (gli enzimi o proteasi) o inchiodare loro i "piedi" (i recettori detti integrine) perché non migrino. Oppure si può cole l'intera cellula endotee con armi più complesse, come la talidomide, finterferone o l’interluchina, farmaci ad attività complessa. Infine si può intervenire sulla componente infiammatoria che induce l’angiogenesi, ad esempio con i COXib o con i flavonoidi, tipo genisteina della soia, soprattutto a livello preventivo. Sono cruciali le caratteristiche che deve avere un farmaco antiangiogenico. Poiché non si uccide un tumore ma lo si soffoca, si deve pensare ad una cronicizzazione di malattia, senza completa guarigione, ma migliore sopravvivenza. Quindi la pillola o infusione che si utilizza deve avere caratteristiche di bassa tossicità per un uso prolungato, minori effetti collaterali, possibilità di utilizzo in l'adiuvante" ovvero dopo chirurgia per impedire recidive o metastasi, possibilità di combinazione con cure tradizionali (chemio e radio- terapia). Combinare bio Con Bio I numerosi studi con Avastin e altri antiangiogenià hanno sottolineato l’importanza di combinare armaci aventi bersagli diversi: il soffocamento dei vasi può essere un valido alleato di farmaci più tradizionali. Il matrimonio di farmaci biologici e chemioterapia tradizionali, si accompagna nell'oncologia di frontiera alla combinazione di più farmaci "a target". Ad esempio si sta sperimentando l'uso di Avastin insieme a Tarceva (erlotinib), inibitore dell’EGF, fattore di crescita epiteliale, per potenziare l'aumento di sopravvivenza. I dati di un ampio studio clinico internazionale multicentrico, condotto su 1.965 pazienti con carcinoma colo-rettale metastatico, giudicato inizialmente non operabile, sono stati presentati all'Eccor4 'Conferenza Europea Cancro) di Barcellona e dimostrano che un numero elevato di pazienti trattati col farmaco antiangiogenesi bevaazumab, in combinazione con chemioterapia, consente di aumentare la percentuale di resezioni chirurgiche del tumore. Questo risultato migliora quelli ottenuti in precedenza con altre combinazioni di agenti biologici e chemioterapia. I risultati di First BEAT (questo il nome dello studio) hanno dimostrato che 2t5 pazienti che hanno assunto bevacizumab in associazione ad altri chemioterapia sono diventati eleggibili per il trattamento chirurgico risolutivo. La rimozione completa delle metastasi è stata ottenuta in 170 malati, 102 soggetti sono stati sottoposti a rimozione chirurgica delle metastasi epatiche e la resezione completa della patologia neoplastica è stata ottenuta in 81 pazienti. ______________________________________________________________ Repubblica 11 ott. ’07 II TUMORE OSSEO CHE GUARISCE IL DOLOROSO OSTEOMA OSTEOIIDE COLPISCE I GIOVANI. SI ELINIINA DEL TUTTO di Fabio Lodispoto * Una antenna, radiofrequenze e un foro sulla pelle di un millimetro per distruggere in maniera definitiva un dolorosissimo tumore delle ossa. Questa in sintesi l'innovativa tecnica chirurgica mini-invasiva per eliminare l'osteoma osteoide. È un tumore benigno di non più di due centimetri, relativamente frequente che può colpire qualsiasi parte dello scheletro, ma più spesso le lunghe ossa dell'arto inferiore, del braccio e la colonna vertebrale. Adolescenti sino a z,o anni, quasi sempre sportivi, i più colpiti. Il dolore è il sintomo principale: da prima insidioso, poi parossIstico, specie notturno, ma sensibilissimo all'aspirina di cui basta una sola compressa per dissolverlo a lungo, peggiora con l'assunzione di bevande alcoliche e in prossimità del ciclo mestruale. La diagnosi a volte tarda perchè di frequente si sviluppa nel ginocchio o in prossimità di anca e caviglia e può essere confuso con problemi articolari. Quando colpisce la colonna vertebrale invece il rischio è di liquidare i sintomi per comune mal di schiena. Basta invece una semplice radiografia a fare chiarezza: una macchia tonda e scura di circa un centimetro di diametro circondata da un orlo più chiaro. Si tratta di tessuto infiammatorio ricco di vasi e tessuto connettivo e di sensibili terminazioni nervose, circondato da osso più denso che lo contiene e lo contrasta. Nessuna possibilità di degenerare in un tumore maligno, solo dolore. Ma così violento da penalizzare i giovani non solo nello sport e nelle attività quotidiane, perfino nel camminare o mantenere la stazione eretta. Unico modo per eliminarlo, la chirurgia: l'ortopedico deve raggiungere ed esporre il segmento scheletrico interessato con una incisione più o meno ampia della pelle, divaricare, scollare e sezionare i muscoli e i tendini che incontra. Di qui i tempi di recupero inevitabilmente lunghi. «Oggi una nuova tecnica», assicura Ugo Albisimú, direttore del servizio di radiologia e diagnostica per immagini dell'istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, «permette di intervenire sul tumore per via mininvasiva e con radiofrequenze. In anestesia locale o periferica o con una blanda sedazione generale il paziente viene da prima sottoposto ad una Tac che individua il piccolo tumore e consente di pianificare la via per raggiungerlo con le radiofrequenze. Si punge a questo punto la pelle con un lungo e robusto ago fino ad incontrare il piano osseo e utilizzando l'anima cava dell'ago come una guida si compiono in successione tutte la fasi dell'intervento: trapanazione dell'osso fino al piano tumorale, prelievo per l'esame istologico e introduzione di una ago-elettrodo, sottile come un capello, (0,35 mm di diametro) che funge da emettitore di radiofrequenze. La somministrazione di queste onde libera energia che scalda l'osso malato fino a 90-95 C° coagulando i vasi sanguigni e rendendo necrotica un'area sferica di circa due centimetri di diametro. Il trattamento dura ao-3o minuti». Rapidissimi i tempi di recupero: dopo circa dieci ore il dolore tipico dell'osteoma osteoide scompare. La mattina successiva all'intervento il paziente può tornare a casa e alle sue normali attività lavorative e scolastiche. Più cauto il ritorno allo sport perché recenti casistiche sembrano attribuire ai microtraumi che lo sport genera sulle ossa lo sviluppo di questo piccolo ma doloroso tumore. ______________________________________________________________ TST 17 ott. ’07 GUERRE DI NUMERI ALL'HIV Nascono i modelli virtuali che simulano le reazioni del sistema immunitario FRANCESCO VACCARINO POLITECNICO DI TORINO In ogni istante si svolgono nel nostro organismo epiche battaglie con migliaia di caduti. Protagonista di questi scontri è il nostro sistema immunitario: linfociti T e B, macrofagi e interferoni scorazzano per il nostro corpo alla caccia di intrusi - virus, batteri o cellule tumorali - per ingaggiare battaglie senza esclusioni di colpi da cui, talvolta, dipende la nostra vita. Che cosa c'entra tutto questo con i numeri? Una delle frontiere più avanzate esplorate della matematica applicata riguarda proprio lo studio delle reazioni del sistema immunitario contro ospiti invasivi come le cellule tumorali e il virus dell'HIV. La battaglia, a livello cellulare o sub-cellulare, può terminare con la distruzione dell'invasore o con l'inibizione del sistema immunitario e la conseguente proliferazione dell'ospite con danni gravissimi. Ne sa qualcosa Marcello Delitala, ricercatore del Politecnico di Torino e vincitore del prestigioso premio per tesi di dottorato, conferito dall'Istituto Nazionale di Alta Matematica con la Società Italiana di Matematica Applicata e Industriale: i suoi studi puntano proprio allo sviluppo di modelli per la simulazione della competizione immunitaria. Regole dì interazione «Immaginiamo un insieme di cellule e pensiamo a loro come particelle. Le loro proprietà fisiche possono essere descritte attraverso i paradigmi sviluppati dalla meccanica statistica, ad esempio dalla teoria cinetica dei gas. Parafrasando il Nobel per la Medicina Leland Hartwell, possiamo dire che la modellizzazione dei sistemi viventi pone problemi specifici rispetto a quelli della materia inerte, perché la vita è caratterizzata da funzioni come la sopravvivenza e la riproduzione - spiega Delitala -. Noi abbiamo cercato di incorporare questa peculiarità, descrivendo un sistema cellulare non solo attraverso un modello cinetico, ma anche incorporando regole di interazione tra le cellule stesse che esprimano, per esempio, gli aspetti immunologici del problema: un linfocita non è una pallina da biliardo, ma è programmato per fare certe cose: esprime, per così dire, una volontà». E' chiaro, quindi, che i matematici vogliono non solo occuparsi di teoremi (e di teologia...), ma anche di medicina e biologia, costruendo sistemi di simulazione che consentano agli scienziati di prevedere, almeno in parte, i possibili esiti delle battaglie degli anticorpi. «Lavoriamo fianco a fianco con medici e biologi attraverso un approccio multidisciplinare e uno degli scopi è ridurre i test da effettuare sugli organismi e in particolare sull'uomo - sottolinea Delitala -. La simulazione può aiutarci a scartare a priori numerosi approcci sbagliati, eseguendo test al computer». L'inflazione delle variabili Naturalmente i tessuti non sono semplici aggregati di cellule e gli organismi non sono solo insiemi di tessuti (parafrasando Totò, «non è la somma che fa il totale»). Questo è il paradigma della complessità di cui si sente sempre più parlare: appare ogni volta che, unendo delle parti, si ottiene un insieme che è più della semplice somma. In questo senso è chiaro che il tentativo di descrivere statisticamente le proprietà globali di un insieme cellulare, applicando una versione modificata della teoria cinetica dei gas di Boltzmann, deve confrontarsi con molte variabili. Una delle strade è ciò che si definisce «approccio multiscala». «Gli esseri viventi sono caratterizzati da un'elevata complessità, che si rileva variando la scala con cui rappresentiamo il sistema. Potremmo partire da un organismo e, scendendo sempre più di scala, arrivare alla sua analisi a livello di organi, tessuti, cellule, molecole. AL contrario, partendo dalla scala cellulare, stiamo cercando di derivare modelli per le scale più ampie. Per esempio i tessuti». «Lavoriamo fianco a fianco con medici e biologi con approccio multidisciplinare» La ricerca medica di frontiera si basa sempre di più sui super-poteri della matematica applicata