TRA I DOCENTI DEGLI ATENEI AUMENTA IL PRECARIATO - R&D, L'ITALIA UNA LUMACA MONDIALE (ULTIMI PER L’OCSE) - CULTURA SCIENTIFICA UGUALE DEMOCRAZIA - ATENEI NON STATALI: TROPPI VINCOLI E POCHI AIUTI - UNIVERSITÀ, PICCOLO È BELLO MA MOLTI CAMPUS SONO IN CRISI - HARVARD: SORPASSO IN ROSA, IN AULA PIÙ DONNE CHE UOMINI - ANTINEPOTISMO - SORU SULLE FACOLTÀ GEMMATE: ANCHE L'ESPERIENZA È CULTURA - UNIVERSITA’: UNO OLBIESE COSTA UN SEDICESIMO DI UN ORISTANESE - L'UNIVERSITÀ DI RE ABDULLAH RIVALEGGERÀ COI CAMPUS MONDIALI - FRANCIA: STUDENTI IN RIVOLTA, OCCUPATE DIVERSE UNIVERSITÀ - SASSARI, BETHESDA E RITORNO PER UN PROGETTO LUNGO TRE ANNI - DA CAGLIARI A OSAKA EMIGRATA PER POTER STUDIARE LO STRESS - NELL'HI-TECH L'ITALIA S'È DESTA - NUCLEARE, OGM, CLIMA PER FAVORE, NIENTE DOGMI - LE GRANDI OPERE FANNO ACQUA VACILLA IL MITO DEI SUPER-ARCHITETTI - TROPPI MANAGER, POCA INNOVAZIONE - ======================================================= CELLULARI IN OSPEDALE RIANIMAZIONE IN PANNE - QUELLO CHE I PAZIENTI DOVREBBERO SAPERE - GARA SISAR, PROFUMO DI CASO SAATCHI - SSTRINITA’:CARO MINISTRO, VENGA A SALVARE I MATTI - WORLD TOILET SUMMIT: SFORZI D'IGIENE GLOBALE E LOCALE - FARMACIE. SI RISCHIA LA «FASCIA C» A PAGAMENTO - C'È UN VIRUS DIETRO LA SCLEROSI MULTIPLA - EPATITE, B ALLE CORDE - IL GENE DEL TUMORE AL SENO - METABOLICA: DALLE MOLECOLE DI SCARTO ALLA DIAGNOSI DI TUMORE - NON TUTTE LE ALLERGIE VENGONO PER NUOCERE - PSORIASI, LA SCONOSCIUTA - PENICILLINA, COSÌ CAMBIÒ IL MONDO - L' HIV ARRIVÒ MOLTO PRIMA, PASSANDO DA HAITI - ======================================================= _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 nov. ’07 TRA I DOCENTI DEGLI ATENEI AUMENTA IL PRECARIATO Università. I risultati dell'indagine campionaria Crui su otto sedi del Centro- Nord Circa metà degli insegnanti dell'area non ha incarico stabile Camilla Ghedini Le università del CentroNord funzionano per il 5o% grazie al precariato. II dato - che emerge dal recente censimento effettuato dal centro studi della Crui (Conferenza rettori università italiane) su un campione di 33 atenei, di cui otto nell'area - caratterizza tutto il mondo accademico nazionale. Sono 15.705 i ricercatori precari del panel e costituiscono il 37% del personale impiegato. Di questi, 3.187 operano negli atenei del Centro-Nord. Ma i numeri del censimento- il primo e l'unico disponibile, commissionato dalla Rete nazionale ricercatori precari, nodo Ferrara - raggiungono quota 35.638 se proiettati a livello nazionale, ai 79 atenei operativi, dì cui 63 statali. « E non tengono conto dei ricercatori a contratto - afferma Silvia Sabbioni, del coordinamento nazionale - che farebbero raddoppiare il numero dei precari, degli specializzandi e dei dottorandi, il cui iter può essere ancora definito di studio e formazione». Si arriva così alla stima che le università si appoggiano per metà sull'opera di personale precario. L'analisi è limitata a 33 università- quelle del Centro-Nord sono Camerino, Perugia, Stranieri di Perugia, Sant'Anna di Pisa, Stranieri di Siena, Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia -che hanno accettato di fornire indicazioni su: titolari di collaborazioni coordinate e continuative, a progetto, prestazioni occasionali, borse di studio, assegni di ricerca (con il supporto di dati Miur). I 3.187 precari degli otto atenei dell'area rappresentano il 51% del personale strutturato, ovvero 6.244unità tra ricercatori confermati e docenti associati e ordinari. Verificando nello specifico il rapporto tra personale non strutturato rispetto a quello "fisso" sì passa dagli estremi del 13,2% dell'Università per stranieri di Perugia (7 a 53) al 66% dell'Ateneo di Ferrara (439 precari contro 665 strutturati) e di quello per stranieri di Siena (29 a 44). C'è oltre un precario ogni due strutturati anche a Perugia (50,6%) e a Modena (51,4%), mentre sotto questo rapporto si piazzano Bologna (43,9%) e Camerino (45,6%). Fa eccezione il S.Anna di Pisa, dove i precari sono 179 su 49 docenti fissi per l'altissima specializzazione. «La nostra Scuola superiore conta su un elevato numero di persone impegnate nella ricerca - dichiara Maria Chiara Carrozza, neoeletto direttore dell'istituto - con mansioni che variano dall'assegnista di ricerca al post doc: la formazione, infatti, non finisce con il dottorato. Il vero motore dei laboratori è costituito proprio dai post doc». I numeri, per quanto elevati, sono in difetto, dato che molte voci non compaiono. «I dati sono stati infatti rilevati dai singoli dipartimenti di ogni ateneo - precisa Sabbioni - perché fatta eccezione per gli assegnisti, non esistono uffici centrali che tengano traccia del personale di ricerca precari». Varie le formule contrattuali; rinnovate perlopiù di anno in anno e stipulate o con l'ateneo o coni singoli dipartimenti. «Parliamo di numeri e competenze legate alla ricerca afferma Patrizio Bianchi, rettore dell'Università di Ferrara - ma è lo stesso concetto di ricerca a richiedere mobilità, flessibilità. Molti contratti hanno una durata precisa, altri sono legati alle esigenze delle imprese». Proprio le imprese che puntano sull'innovazione e la tecnologia «con cui le università stanno consolidando importanti collaborazioni, potrebbero assorbire buona parte dei ricercatori», precisa il rettore dell'Ateneo di Modena e Reggio Emilia, Gian Carlo Pellacani-. Non tutti possono essere assunti, la ricerca può essere slegata da un rapporta subordinato con l'università. Ma le aziende, così come gli enti di ricerca, possono essere un bacino di sfogo». «La stabilità è un presupposto fondamentale per la ricerca -ribatte Sabbioni-- e non a caso la Carta europea sottoscritta dalle stesse: università italiane invita a limitare al massimo il periodo di precarietà sollecitando l’inserimento stabile dei ricercatori nelle istituzioni in cui lavorano». Bianchi replica: «Il ' precariato è un problema se è assenza di futuro. In un sistema mobile come quello accademico il discorso da affrontare, come nelle altre professioni è l'assenza di tutele». _______________________________________________________________ Italia Oggi 5 nov. ’07 R&D, L'ITALIA UNA LUMACA MONDIALE (ULTIMI PER L’OCSE) Classifica dell'Ocse ci mette all'ultimo posto in ricerca e sviluppo: Investimenti fermi a 17 mld $ In dieci anni tasso di crescita al 2,5°lo contro il 18% della Cina PAGINA A CURA DI GABRIELE FRONTONI Che le imprese italiane investissero poco in ricerca e sviluppo (R&D) non è di certo un segreto. Ma vedersi relegati agli ultimi posti della classifica mondiale alle spalle di Austria, Belgio, Olanda, Danimarca, tanto per citarne alcuni, senza andare a scomodare mostri sacri dell’R&D come Stati Uniti, Giappone, . Germania e Regno Unito, deve proprio far pensare. Tra il 1995 e il 2005 il tasso medio di crescita degli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia si è limitato al2,5% contro il 18% della Cina, il 7% della Spagna o il 5% della Danimarca. Per non parlare del valore assoluto dei fondi destinati alla ricerca. Lo scorso anno la Cina ha investito oltre 115 miliardi di dollari per aumentare il livello di sviluppo delle proprie imprese. Gli Stati Uniti hanno devoluto alla causa dell’R&D ben 343 miliardi dì dollari mentre il Giappone si è limitato, si fa per dire, a 130 miliardi. E cosa dire dei paesi di Eurolandia? La Germania ha investito in ricerca e sviluppo 62,5 miliardi di dollari nel corso del 2005, la Francia di miliardi ne ha spesi 40,4 mentre il Regno Unito si è limitato a 35,2 miliardi di dollari. E cosa dire dell'Italia. Il governo del Belpaese ha messo in campo uno sforzo economico pari alla metà di quello britannico mettendo sul piatto appena 17 miliardi di dollari in progetti di ricerca e sviluppo, poco più della Spagna (13,3 miliardi). Si tratta di dati ufficiali contenuti nell'ultimo rapporto annuale sugli investimenti in ricerca e sviluppo pubblicato dall'Organizzazione per lo sviluppo economico (Ocse). «Negli ultimi anni il tasso di incremento delle spese in R&D ha registrato un drastico ridimensionamento a livello internazionale rispetto a quanto registrato negli anni 90», si legge nel rapporto. «Tra il 1995 e il2001 il livello medio di incremento delle spese in ricerca è sviluppo all'interno dei paesi Ocse si attestava infatti al +4,6%. Nell'ultimo quinquennio (2001-2005), al contrario, si è assistito a una contrazione degli investimenti che ha portato questo indicatore al +2,2% medio annuo». Ma quanti sono i ricercatori a livello internazionale e quali le zone più fertili per lo sviluppo di nuovi cervelli? Secondo i dati forniti dall'Ocse, nel mondo operano al momento 3,9 milioni di ricercatori, due terzi dei quali si trovano all'interno del comparto economico. Si tratta, tuttavia, di una generalizzazione in quanto la distribuzione dei ricercatori tra mondo economico e realtà governative varia sensibilmente da paese a paese. Negli Usa, per esempio, la quota di ricercatori privati si attesta intorno all'80%, in Giappone si scende al 60% mentre in Europa soltanto un ricercatore su due deve rispondere a una logica di tipo aziendale. In termini relativi è la Finlandia il paese più densamente popolato di ricercatori con una media di quasi 25 studiosi ogni mille lavoratori. Seguono la Svezia (18), la Danimarca (16), Lussemburgo, Giappone, Francia e Nuova Zelanda (14) e la Russia con 13 ricercatori ogni mille occupati. Anche in questo caso l'Italia si è dovuta accontentare delle retrovie. Con appena 6,5 ricercatori ogni mille dipendenti, il Belpaese si è posizionato al di sotto della media europea (10), sugli stessi livelli della Slovacchia. Non solo. Se nell'ultimo decennio il numero di ricercatori in Cina è cresciuto a un tasso medio del 10% all'anno, in Finlandia del 9% e in Turchia, Nuova Zelanda e Spagna dell'8%, il numero di ricercatori italiani ha fatto segnare un incremento davvero poco rilevante: appena +1,8% dal 1998 a oggi. Stavolta però, magra consolazione, l'Italia è in buona compagnia. Sugli stessi livelli di incremento di ricercatori del Belpaese si sono attestate anche Svizzera e Germania, mentre Olanda e Russia hanno fatto registrare addirittura una variazione negativa compresa tra l’1,8 e il 2,2%. E cosa dire, invece, della presenza di donne tra le fila dei ricercatori? In Portogallo il gentil sesso arriva a occupare più del 45% dei posti disponibili nel comparto ricerca e sviluppo. Seguono Russia, Slovacchia e Islanda con una quota di ricercatrici pari al 40% del totale, mentre in Italia non si supera il 30%. Quella del Belpaese rappresenta una percentuale di tutto rispetto se paragonata con quanto si registra nelle altre grandi economie del pianeta. Se la Francia, con il suo 28% di donne ricercatrici, non si discosta tanto dal caso italiano, in Germania si scende fino al 20% mentre in Giappone, ultimo della graduatoria dell’Ocse, le donne non occupano più di un posto su dieci rispetto ai colleghi uomini. IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SPESE IN R&D Gli sgravi fiscali rappresentano una delle forme più praticate dai governi dei paesi dell’Ocse come forma indiretta di sostegno alle spese in ricerca e sviluppo. Si va da trattamenti fiscali speciali a varie forme di detrazione, accantonamenti o indennizzi. In base ai risultati contenuti nello studio dell’Ocse, nel 2006 sono stati 20 i paesi che hanno concesso crediti fiscali all’R&D, in rialzo rispetto ai 18 di due anni prima. «A partire dallo scorso anno Spagna, Cina, Messico e Portogallo si sono imposte come i paesi più attivi sul versante degli sgravi fiscali a favore delle imprese che investono in ricerca e sviluppo, eliminando le differenze che fino a qualche anno fa imponevano un trattamento 'differenziato a seconda della dimensione dell'azienda», si legge nel documento dell'Istituzione parigina. «II Canada e l'Olanda continuano invece a privilegiare il supporto fiscale alle Pini rispetto alle imprese di grandi dimensioni, mentre i paesi emergenti, dal Brasile all'India, da Singapore al Sudafrica hanno predisposto una serie di agevolazioni fiscali molto interessanti per stimolare la ricerca e sviluppo all'interno dei propri confini». In base ai dati raccolti dall'Ocse, infatti, il trattamento fiscale delle spese sostenute per la ricerca e sviluppo varia sensibilmente da paese a paese. In Spagna, per esempio, per ogni dollaro investito in R&D il governo consente uno sgravio fiscale pari a 0,39 centesimi (il 39%). Anche se all'interno dell’Ocse non esistono situazioni tanto favorevoli come quella praticata nella penisola iberica, non se la passano male nemmeno le imprese messicane che possono contare su sgravi fiscali nella misura del 36%, quelle cinesi (33%) e quelle portoghesi (28%). Nelle grandi economie del Vecchio continente il panorama che si incontra è assolutamente variegato. Fermo restando il caso isolato della Spagna, il governo di Parigi consente sgravi fiscali per le spese in ricerca e sviluppo nella misura del 18%, senza distinzione tra imprese di piccole, medie o grandi dimensioni. Anche l'Austria prevede un unico sistema di tax relief per gli investimenti in R&D ma in questo caso la quota detraibile (8%) risulta molto inferiore rispetto a quella praticata dai francesi. Stanno ancora peggio gli imprenditori italiani e tedeschi per cui, stando ai dati comparativi dell’Ocse, non solo non è prevista alcuna detrazione per le spese di ricerca e sviluppo ma addirittura queste vengono tassate con un'aliquota compresa tra il 2 e il 3%. ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 8 novembre ’07 CULTURA SCIENTIFICA UGUALE DEMOCRAZIA L’anomalia italiana, fanalino di coda in Europa per la ricerca di Roberto Paracchini CAGLIARI. «La cultura scientifica è importante per tanti motivi ma ce n’è uno che mi sta particolarmente a cuore ed è che fa bene alla democrazia », sottolinea Luigi Berlinguer, già ministro della Pubblica istruzione, oggi a Cagliari dove alle ore 11 terrà la relazione inaugurale della manifestazione Scienza Società Scienza (che si svolgerà sino al 25 novembre nell’edificio dei Saliscelti del parco di Molentargius). — Professore, in che senso la diffusione della cultura scientifica è importante per la democrazia? «Perchè rende le persone più consapevoli in quanto educate dal metodo scientifico sperimentale. Mentre nella cultura idealistica questo non avviene in quanto la scienza viene lasciata ai margini». — In fatto di investimenti nella ricerca, l’Italia si trova ancora agli ultimi posti. Nonostante l’Agenda di Lisbona, che ha spronato tutti i Paesi europei a investire in questo settore, nel 2006 la percentuale sul Prodotto interno lordo era ferma all’1,11 per cento. La diffusione della cultura scientifica può contribuire a invertire questa tendenza? «Certamente anche perchè può influire sulla sensibilità del mondo politico e, quindi, sulle scelte legate al finanziamento della ricerca. Ma va detto che in Italia abbiamo degli ottimi laboratori scientifici, tutti pubblici. E che la carenza maggiore è legata al settore privato che investe pochissimo in questo settore, pur determinante per lo sviluppo economico. Si parla di priorità della ricerca, ma solo a parole ». — Lei, che è anche presidente del Comitato interministeriale per la diffusione della cultura scientifica, come si spiega la forbice tra un’importanza della ricerca conclamata a parole e il non considerarla nei fatti? «Precisato che un conto è la ricerca, altro è la diffusione della cultura scientifica, direi che anche la scarsa diffusione di quest’ultima si riflette negativamente sulla prima». — Perchè la sensibilità culturale verso la scienza è così limitata? «Il gruppo di lavoro interministeriale che presiedo ha affrontato complessivamente il problema ed è arrivato ad alcune sintesi. In generale verso la scienza e la tecnica c’è un atteggiamento di paura: spesso sono viste come oggetti da stregoni, altre come un qualcosa in grado di modificare i cibi, di produrre l’inquinamento, i pericoli del nucleare... ». — Timori, in parte giustificati... «Mi spiego, io sono un ambientalista, ma un conto è combattere il prodotto di una serie di scelte politiche (economiche, energetiche ecc.), altro è coinvolgere la scienza e la tecnica nel suo complesso. Questi giudizi negativi sono per lo più prodotti dall’ignoranza e da un atteggiamento esclusivamente ideologico. Le scienze non sono considerate prodotti culturali universali. Se una persona non sa il “dolce stil novo”, viene considerata ignorante, se è digiuna di biologia o matematica, no». — Non dovrebbe essere la scuola a invertire questa tendenza? «Sì, ma nel nostro sistema scolastico le scienze non sono considerate essenziali». — Come mai? «Paghiamo ancora lo scotto di quello che è capitato un secolo fa col neoidealismo di Bendetto Croce e Giovanni Gentile: per questi filosofi, che egemonizzarono la cultura italiana, le scienze non raggiungevano le vette dello spirito. Eppure è sotto gli occhi di tutti l’importanza di queste discipline: se non ci sono più le epidemie di un tempo lo si deve alle scienze». — Non le sembra che oggi parte della cultura cattolica stia, di fatto, svolgendo un ruolo di freno verso alcuni settori della ricerca? «Non credo che la religione sia un freno. La storia è piena di vicende negate in passato dalla Chiesa (dal processo a Galileo al prestito di denaro, all’uso della morfina in medicina), poi rivalutate. Semmai si può parlare di rallentamento, ma sono fiducioso: si tratta di pressioni secolari e non eterne. Penso che in futuro la contraccezione sarà la norma e sarà anche benedetta». — Torniamo alla scuola: come migliorare l’insegnamento delle discipline scientifiche? «Nella cultura neoidealista tutto quello che è pratico non è cultura, quindi non si devono fare esperimenti per capire, bisogna imparare a memoria e acquisire le conoscenze scientifiche come dei precetti. Invece occorre ripristinare anche nell’insegnamento il metodo scientifico sperimentale e logico deduttivo: di ricostruzione del ragionamento che ha portato alle conoscenze ». _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 nov. ’07 ATENEI NON STATALI: TROPPI VINCOLI E POCHI AIUTI La prima rilevazione del coordinamento Gli atenei non statali: troppi vincoli e pochi aiuti Le università non statali sono sempre più vincolate e sempre meno aiutate e «i requisiti minimi di docenza appena stabiliti dal ministero sono solo l'ultimo capestro» che conferma questa tendenza. Ne è convinto Giovanni Puglisi, che oltre a essere rettore dello Iulm di Milano guida il Coordinamento degli atenei non statali che si è formato a febbraio scorso in seno alla Crui. E che per rilanciare le ragioni delle i4università del gruppo (l'ultima della famiglia, da fine ottobre, è l'Università Kore di Enna) ha presentato ieri a Milano i risultati della prima Rilevazione su conti e indici di efficienza degli atenei privati. E i conti, soprattutto alla voce che indica l'incidenza dei contributi pubblici, mostrano una famiglia divisa nettamente in due gruppi. Nel più numeroso trova posto la maggioranza delle università private, dalla Bocconi di Milano, in cui i contributi pubblici (per il funzionamento e per i contratti di ricerca) pesano in media per il 14,5% e diminuiscono dell'i,i% tra il 2004 e il 2006. Il secondo è invece formato da quattro atenei particolari, dove i contributi regionali per le strutture sanitarie (nel caso di Cattolica e Campus Biomedico di Roma) 0l’occhio di riguardo della Regione di appartenenza (Aosta e Bolzano) gonfiano la colonna delle entrate fino a pesare per oltre i tre quarti del totale. I dati - puntualizza Puglisi - non servono ad aprire «una guerra delle percentuali» con le strutture statali, ma a combattere l'idea di una "iper- tutela" a favore delle università private. E fanno il paio con gli indicatori di performance, in cui le 13 università del coordinamento (la Kore di Enna non fa parte del campione perché la sua adesione è troppo recente) rivendicano un tasso di laureati in corso del 48% (contro il 27% delle statali), una quota di abbandoni ferma al 9% (contro il 22%) e una minore presenza di studenti "inattivi", che non conseguono crediti in un anno (9% contro il 19% delle pubbliche). Rimane il problema dei requisiti minimi di docenza (quattro docenti per anno di corso), che negli atenei non statali impone un adeguamento delle risorse, per l’86% delle facoltà. Un adeguamento, anche se in cinque anni invece dei tre previsti dalla regola generale, particolarmente impegnativo per gli atenei non statali perché, sottolinea Puglisi, «impone di assumere docenti prima di aver verificato a fondo il successo dell'offerta formativa». ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 novembre ’07 UNIVERSITÀ, PICCOLO È BELLO MA MOLTI CAMPUS SONO IN CRISI Chi viene dal Sud vuole Milano»: a rischio alcune sedi distaccate «Ma dove diavolo ci avete mandati? E poi vogliamo un pullmino che ci porti in paese». Dario Casati, prorettore dell' Università degli Studi di Milano, ricorda ancora quando, da preside di Agraria, dovette affrontare una mezza rivolta degli studenti di Torrazza Coste, nell' Oltrepò Pavese, esasperati dalla nebbia e da un orizzonte fatto di campi. Già, perché in un Paese allergico al campus anglosassone, andare a studiare in una sede distaccata non è scelta facile. Milano offre una vita sociale brillante, ma ha affitti proibitivi, microcriminalità diffusa e appuntamenti con i docenti con tempistiche da malasanità. In provincia i fattori si invertono: udienze rapide con i docenti e una vita più economica e tranquilla, anche se magari noiosetta. Ma di rado uno trova sotto casa la facoltà preferita, tanto che le piccole sedi finiscono per riempirsi di emigranti e di «bamboccioni» con nessuna vocazione, ma con mammà a portata di mano. «Ormai il 25% delle nostre matricole arriva da fuori regione - dice Giulio Ballio, rettore del Politecnico -. Ma chi lascia la Puglia o la Sardegna vuole Milano, non Como o Lecco. A costo di qualche sacrificio». Con il vecchio sistema, si poteva frequentare almeno il primo biennio, comune a tutti i corsi, nelle sedi vicine a casa. Oggi che le specializzazioni iniziano il primo anno, vengono tutti subito in città e molti poli, come Cremona, si sono quasi dimezzati. «Per rimediare abbiamo attivato corsi che a Milano non ci sono (è il caso degli edili-architetti di Lecco) e attività di ricerca con vocazione territoriale, sempre con professori di serie A, qualificati e motivati. Le sedi distaccate, poi, sono da sempre il nostro contatto con le aziende sul territorio e, da quando quasi tutte le realtà produttive si sono spostate fuori Milano, hanno assunto un' importanza ancora maggiore». Non molto diversa è la politica dell' Università degli Studi di Milano: «È giusto che le attività principali rimangano nelle sedi centrali - dice il prorettore Dario Casati - ma i piccoli poli, con le loro strutture e i loro laboratori, sono l' ideale per attività di ricerca ed esperimenti didattici. Tra i nostri più riusciti posso citare la laurea in scienze infermieristiche e ostetriche (tra le poche a garantire un lavoro), quella di Edolo in Valorizzazione e tutela dell' ambiente e del territorio montano (l' unica in Italia di questo genere), con studenti provenienti da Valtellina, Veneto e Val d' Aosta, e quella già citata di Viticoltura ed enologia a Torrazza Coste (Pv). Ma abbiamo anche chiuso altri insegnamenti di scarso successo». Le «piccole» Brescia e Cremona, sedi a tutti gli effetti dell' Università Cattolica, fanno il loro dovere: «In entrambe l' aumento costante delle iscrizioni ci permette nuove iniziative - dice il rettore Lorenzo Ornaghi -. A nord di Brescia, nell' ex seminario di Mompiano, nascerà una nuova struttura che consoliderà le proposte formative già esistenti e amplierà le attività post laurea, con l' aumento degli alloggi per studenti e docenti fuori sede». Punto di forza di Cremona/Piacenza, tra i pochi campus italiani, è invece la vocazione per l' area agroalimentare: «Agraria, giurisprudenza ed economia promuovono una scuola di dottorato "interfacoltà" dedicata a questi temi - aggiunge Ornaghi -. A Cremona, poi, è attiva l' Alta scuola in economia agroalimentare, che da anni si occupa con successo di formazione manageriale, ricerca e consulenza nel settore». Nelle piccole università di provincia, infine, la parola d' ordine è «cautela». «Saronno (scienze motorie) e Busto Arsizio (biologia sanitaria) sono nate per esigenza del territorio e con le sue risorse funzionano - dice il rettore dell' Università dell' Insubria (Como-Varese) Renzo Dionigi -. Per ora stanno bene, ma la crisi della nostra università e la legge dei requisiti minimi (numero di studenti, valutazione dei docenti e delle strutture necessarie per aprire nuove facoltà) ci hanno spinto a rinviare l' apertura di ingegneria chiestaci dal comune di Saronno e dalle aziende locali». Non molto diversa è la situazione di Treviglio, unica sede distaccata dell' Università degli Studi di Bergamo, nata due anni fa come presidio piazzato al centro della Bassa, per «dialogare» con un bacino d' utenza di 300 mila abitanti mal collegato con la città e fortemente orientato verso la vicina ma costosa Milano. «Offriamo una facoltà di economia a chi non poteva o non voleva fare il salto verso la metropoli - dice il rettore Alberto Castoldi -. Grazie anche alle istituzioni locali che hanno messo i soldi per aule, mobili e pc. Purtroppo anche da noi il progetto di una seconda facoltà rimarrà per ora sulla carta per i requisiti minimi imposti dal Ministero. Abbiamo investito molto in città, dove abbiamo più che raddoppiato gli spazi. Ora puntiamo al consolidamento. Questi non sono tempi da avventure». Marcello Parilli ___________________________________________________________ Corriere della Sera 9 novembre ’07 HARVARD: SORPASSO IN ROSA, IN AULA PIÙ DONNE CHE UOMINI Si è appena inaugurato il primo anno accademico di Harvard in rosa. Per la prima volta nei suoi 371 anni di storia, le chiavi e i sigilli dell' università di Cambridge, Massachusetts, sono stati consegnati a un presidente donna, la sessantenne Drew Faust. Nello stesso tempo le ragazze sono diventate la maggioranza (52%) degli studenti del college. E fra i più famosi docenti nel campus ci sono professoresse come Samantha Power, paladina dei diritti umani e consulente di politica estera per il candidato Democratico alla casa Bianca Barack Obama; la storica femminista Laurel Thatcher Ulrich, autrice del libro appena pubblicato «Le donne per bene raramente fanno la storia»; la pioniera dell' epidemiologia sociale Lisa Berkman; e la nota fisica Lisa Randall. La differenza è abissale rispetto a 40 anni fa, quando le docenti donne erano mosche bianche, il rapporto femmine-maschi fra gli studenti era uno a quattro e la vita delle ragazze era miserabile, come raccontano le sopravvissute: recluse nei dormitori con il coprifuoco alle 10 di sera mentre i compagni, perlopiù rampolli di famiglie wasp (bianche, anglosassoni, protestanti), potevano fare quello che volevano. Emblematicamente, a consegnare le chiavi di Harvard a Faust nella cerimonia di metà ottobre è stato il suo predecessore Larry Summers, costretto alle dimissioni l' anno scorso per i suoi commenti politicamente scorretti sul fatto che le donne sarebbero per loro natura meno portate alle scienze che non gli uomini. Faust rappresenta una rivincita sia della costituente femminile, sempre più forte nel campus, sia del corpo accademico umanistico, che si era sentito schiacciato dai programmi di Summers più focalizzati sullo sviluppo delle scienze e della tecnologia. «Le università sono un posto di filosofi così come di scienziati», ha detto Faust nel suo discorso inaugurale, che per il resto non ha specificato obbiettivi precisi della sua presidenza, se non ribadire gli sforzi verso l' internazionalizzazione. Il suo primo compito, già in parte assolto fin dalla sua nomina lo scorso febbraio, è quello di calmare le acque che Summers aveva agitato con il suo piglio non diplomatico. Professoressa di Storia, specializzata nello studio della guerra civile americana, Faust è conosciuta per essere un personaggio di basso profilo e per la sua tendenza a ricercare e costruire il consenso, tutto l' opposto insomma del suo controverso predecessore. Ma resta da vedere se questo suo atteggiamento nell' affrontare i problemi porterà benefici anche agli studenti, i quali - soprattutto quelli del college (i primi quattro anni, introduttivi alle specializzazioni) - tutto sommato amavano Summers per il suo tentativo di far scendere dalla torre d' avorio i professori e farli tornare a insegnare i corsi di base. A guastare la cerimonia d' inaugurazione si è levato infatti il rappresentante degli «under graduate» del college, Ryan Peterson, che ha ricordato alla neopresidente che gli studenti sono poco rappresentanti negli organi di governo di Harvard e vogliono invece far sentire la loro voce. Cometto Maria Teresa _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 nov. ’07 ANTINEPOTISMO PROVOCAZIONI IN LIBERTA DI MAURIZIO BIFULCO Il nepotismo è un argomento ormai sempre più spesso dibattuto in seguito a nuovi scandali in diverse Università italiane, suscitando nel lettore un forte senso di sdegno, disprezzo e spesso di impotenza. Ma cosa si intende per nepotismo? Il termine deriva dal latino nepos - nipote - e significa favorire i parenti a causa del vincolo familiare piuttosto che perla loro abilità e professionalità. Indubbiamente un sistema che viola i principi alla base dell'etica e della morale, se non della legalità. Il fenomeno è presente con diverse declinazioni fin dal Medioevo, con il nepotismo di papi e cardinali. Strano a dirsi ma esistono forme anche in natura, ad esempio tra le formiche e le api, che tendono ad allevare con maggiore dedizione le larve a loro geneticamente affini, e quindi sembra essere una tendenza istintiva, costituendo una forma di selezione parentale. Atteggiamenti di questo genere sono riscontrabili anche tra i mammiferi; ad esempio nelle volpi che utilizzano il cosiddetto meccanismo dell'helping. II nepotismo, dunque, esiste anche nelle specie animali e grazie a esso si tende a favorire i consanguinei permettendo di salvaguardare parte del proprio patrimonio genetico. Proprio perché presente in natura come fenomeno "innato" e spesso assolutamente inconscio, se ne potrebbe dedurre che sia connaturato anche nella specie umana. Quando applicato dagli uomini diventa però strumento non più di protezione della famiglia da attacchi esterni, ma di privilegio per la conquista di una posizione di lavoro. AL di là dall'essere giustificabile come fenomeno naturale, il nepotismo è quindi nient'altro che una forma di abuso di potere, ostacolando quindi la possibilità di un accesso meritocratico e trasparente alle posizioni di lavoro. Tra i motivi principali che dovrebbero indurre a contrastarlo c'è senz'altro l'incompetenza. Bisogna però fare attenzione perché può anche capitare che il "favorito" in questione possa essere realmente capace, qualificato e meritevole. Il nepotismo da parte di un leader nei confronti di parenti o persone fidate del proprio staff può essere eticamente giustificato e ammissibile solo qualora sia finalizzato a migliorare gli interessi generali e organizzativi della struttura lavorativa prescindendo quindi dall'interesse e dal vantaggio personale. Ma perché il sistema nepotistico è così consolidato in ambito universitario? Perché la posizione accademica è ritenuta un "privilegio", una posizione di potere a cui si anela per impossessarsi del titolo e dei vantaggi che ne derivano. Inoltre l'accesso alle cariche universitarie, mancando rigorosi sistemi di selezione e di valorizzazione delle persone realmente meritevoli, è monopolizzato da lobby locali o di settore che mandano avanti i "favoriti". In molte Università straniere le procedure di assunzione sono ben regolamentate in modo da contrastare il nepotismo. Ben venga, quindi, anche in Italia, il nuovo codice etico proposto dal ministro dell'Università Fabio Mussi. L'Università di Bologna, dal canto suo, ne ha già stilato uno proprio. Sarebbe auspicabile che in base a questi valori etici si faccia luce tra le attribuzioni avvenute indegnamente e soprattutto si dia un messaggio di apertura e speranza ai giovani meritevoli. L'aspetto più deleterio di questo fenomeno riguarda, infatti, proprio i messaggi negativizzanti trasmessi ai giovani, che perdono motivazioni e rinunciano alle proprie aspirazioni perché frustrati e scoraggiati da un tale consolidato sistema chiuso e parziale. Il nepotismo è un "vizio" che si riuscirà a impedire soprattutto con la diffusione e il sostegno di una cultura meritocratica che implichi un processo di valutazione trasparente, rigoroso e condiviso. * Maurizio Bifalco è ordinario di Patologia generale all'Università degli Studi di Salerno _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 nov. ’07 SORU SULLE FACOLTÀ GEMMATE: ANCHE L'ESPERIENZA È CULTURA Il presidente della Regione ritorna sul decentramento e chiarisce la sua posizione PIANETA UNIVERSITA' «Per gli studenti è importante studiare lontano da casa» Il confronto con Nichi Vendola di Andrea Massidda CAGLIARE. Renato Soru e Nichi Vendola. Uno presidente della Regione Sardegna, l'altro al vertice della Regione Puglia. Uno arrivato al governo passando prima per L'imprenditoria e la finanza, l'altro invece allevato a pane e politica (il padre e lo zio erano entrambi dirigenti del Pci nella sezione di Terlizzi). Due facce apparentemente molto diverse di questa ampia sinistra italiana che però si trovano d'accordo almeno su alcuni punti cruciali: tutela dell'ambiente e rilancio della conoscenza come strumento necessario per la crescita civile ed economica del Mezzogiorno. Soru e Vendola si sono incontrati ieri mattina a Cagliari per intervenire insieme a Passaparola, il quarto Forum nazionale della lettura organizzato dai Presidi del libro, le roccaforti letterarie volute dall'editore Giuseppe Laterza. E a proposito di istruzione, la giornata di ieri ha offerto subito spunti per qualche polemica. Non solo per la contestazione di una ventina di studenti di Azione giovane (area centrodestra), che ha atteso davanti all’ ex Manifattura Ta bacchi di Cagliari l'arrivo di Soru e del ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni (quest'ultimo alla fine ha dato forfait, ma per lui era pronto lo striscione con su scritto: «Noi rimandati a settembre, voi rimandati a casa». Ma anche per via di alcune dichiarazioni del capo dell'esecutivo sardo, che nel suo discorso ha toccato l'attualissima questione dell’università diffusa, con i corsi gemmati in alcune località come Nuoro, Tempio e Iglesias che ora rischiano di scomparire per mancanza di finanziamenti. «L'università - ha detto Soru criticando il decentramento - non può essere una targhetta che serve a rendere orgogliosi i sindaci dei piccoli centri». Un problema serio, visto la valanga di proteste piombate sul suo indirizzo dalle amministrazioni locali interessate. «Mi rendo conto - ha continuato il presidente della Regione Sardegna - che sarà difficile chiudere queste sedi, ma è necessario far capire alle persone quanto sia prezioso per uno studente fare un'esperienza fuori casa». Tuttavia il forum è andato avanti con successo. Intervistati da Carmela Decaro, presidente dall'associazione "Forum del libro", i due governatori hanno spiegato al pubblico che ha affollato per due giorni i locali dell'ex Manifattura Tabacchi, il loro pensiero sull'utilità del sapere. Trovandosi praticamente d'accordo su tutto, tanto da far nascere quasi un asse Cagliari-Bari che potrebbe tradursi in una nuova edizione del forum nazionale ancora qui in Sarde gna. «Non è la politica ad essere in crisi, ma l'intera società, di cui è lo specchio fedele - ha esordito Vendola coperto di applausi come una rockstar -. Una società che è frantumata e soffre di un evidente vuoto di cultura, con gli agenti educativi come la famiglia che sono saltati e il lavoro che ha lasciato il passo al precariato globale. Vendola nel suo discorso ha voluto ricordare l'importanza della letteratura, vera panacea contro la decadenza, e le responsabilità delle istituzioni pubbliche riguardo al tema della scuola. Ma ha anche tracciato un quadro sconsolante dell'Italia di oggi, dove - ha spiegato riferendosi a recenti battute di alcuni esponenti del centrodestra - tra i politici c'è chi si può permettere di invocare pubblicamente la caccia allo straniero, di teorizzare che esistano etnie geneticamente inclini al crimine, dicendo per esempio che tutti i Rom rubano. Dopo i complimenti a Renato Soru («In Puglia studiamo ciò che fa la sua giunta»), Vendola ha poi lanciato una frecciatina al governo Prodi. «Si fa finta di ignorare - ha detto - che soltanto investendo quotidianamente in cultura e formazione si combatte la battaglia sociale». Sulla stessa lunghezza d'onda Renato Soru, che dal canto suo ha sottolineato come la vera forza di un popolo risieda, ora più che mai, nella sua conoscenza. E che soltanto puntando sul sapere le regioni economicamente più povere possono ambire alla ricchezza. Anche l'ex Mister Tiscali, insomma, ha voluto ribadire l'importanza di investire nell'istruzione e di seminare oggi per far raccogliere i frutti ai nostri nipoti, chiarendo - come già aveva fatto alla Fiera di Cagliari in occasione degli stati generali della scuola isolana - quanto la giunta sia sensibile al problema. Tanto che Soru ha annunciato che il suo esecutivo stanzierà 6 milioni di euro affinché le università sarde facciano bandi per "importare" professori di alto livello da tutto il mondo. _______________________________________________________________ Unione Sarda 6 nov. ’07 UNIVERSITA’: UNO OLBIESE COSTA UN SEDICESIMO DI UN ORISTANESE Istruzione. Renato Lai (Udeur) tra consiglieri che contestano gli scarsi finanziamenti regionali La Cenerentola delle Università La Regione spende per ogni studente olbiese 214 euro, per un suo collega nuorese 2.680, per un oristanese 2.953: non sarà sempre matrigna - come ama dire la classe politica locale - ma sicuramente con l'Università è stata avara. Solo spiccioli per l'università olbiese. E per fortuna il Comune ha volontà politica e casse abbastanza solide da permettere al corso di laurea in Economia e imprese del turismo di tirare avanti. Unico caso in Sardegna, il contributo comunale copre quasi la metà delle spese necessarie per tenere in piedi la struttura, 220 mila euro su 510.000, la Regione ne ha stanziato solo 137.000, la cifra più bassa in assoluto tra le sedi gemmate sarde. Oristano che ha un numero di studenti simile, e il grosso degli iscritti in Economia del turismo, per esempio, incassa 2.227.000 cure. Ossia sedici volte tanto. Il solito ritornello della Regione matrigna e della Gallura cenerentola? I numeri rendono l'idea: l'amministrazione regionale investe 214 euro per uno studente olbiese, 2.680 per un nuorese, 2.953 per un oristanese. Un gruppo di consiglieri regionali ha presentato un'interpellanza che sarà probabilmente discussa oggi. Tra i firmatari, insieme ai rappresentanti del centro-destra, c'è anche Renato Lai, esponente Udeur: «Quando si tratta delle battaglie per il territorio - spiega il consigliere regionale - dobbiamo spogliarci dei nostri colori politici e andare al di là della logica degli schieramenti impedendo che la Gallura subisca disattenzioni ed ingiustizie come è avvenuto in questo caso». Non c'è una guerra di campanile dietro la protesta dei rappresentanti galluresi. «Personalmente non posso che esprimere il massimo compiacimento per il finanziamento alla sede di Tempio Pausania che appare proporzionato ed adeguato - sostiene ancora Lai - e uguale soddisfazione per le assegnazioni fatte ad altre sedi. Non ci interessa fare una guerra tra poveri». Il criterio contestato è quello storico che peraltro viene utilizzato in moltissime situazioni e non solo per i fondi all'Università. In sostanza il finanziamento per l'anno corrente è proporzionale a quelli precedenti. «Un criterio - continua Renato Lai - non più accettabile anche sotto il profilo etico perchè perpetua situazioni di squilibrio che non hanno alcuna giustificazione. Risultato di vecchie politiche clientelari basate sulla diversa forza di rappresentatività politica». Un altro esempio è quello dei fondi per la Sanità, quelli destinati alla Asl olbiese sono notevolmente inferiori alle altre. Il corso universitario in Economia e imprese del turismo, sede gemmata della facoltà di Economia dell'Università di Sassari, conta quest'anno 640 iscritti, 532 in corso. È una realtà molto inserita nel tessuto economico olbiese che di servizi al turismo vive. Il quaranta per cento degli iscritti proviene da altre Province della Sardegna. All'interno della sede, ospitata nei locali dell'aeroporto Costa Smeralda, è stata attivata anche una segreteria decentrata che fornisce servizi agli iscritti di tutte le facoltà universitarie sassaresi. Un altro carico finanziario che grava tutto sulla sede cittadina e, in ultima analisi, sul Comune di Olbia che è il principale finanziatore. «Un altro aspetto particolare - evidenzia ancora Lai - è che i costi del corso di laurea olbiese sono molto ridotti e le richieste avanzate alla Regione sono molto basse. Un comportamento virtuoso che non è stato certamente premiato. La nostra Università ha chiesto poco e in cambio ha ottenuto briciole». La richiesta avanzata alla Regione era di 290 mila curo, la più bassa in assoluto. Le polemiche sui finanziamenti alle sedi gemmate, proliferate negli ultimi anni, arrivano in un momento di grande incertezza legata alle nuove linee guida per l'istituzione e l'attivazione dei corsi di laurea che dettano regole molto severe anche in funzione del contenimento dei costi. «Sono sicuro - conclude Renato Lai - che il corso di Olbia può affrontare questa prospettiva con serenità». C.D.R. _______________________________________________________________ The New York Times 5 nov. ’07 UN OASI DI MODERNITÀ NEL DESERTO DELL'ARABIA L'UNIVERSITÀ DI RE ABDULLAH RIVALEGGERÀ COI CAMPUS MONDIALI. di TAANASSIS CAMBANIS GEDDA, Arabia Saudita - In una penisola paludosa a 84 chilometri dal porto sul Mar Rosso, re Abdullah investe 12,5 miliardi di dollari in un'ambiziosa scommessa per mettere il Paese al pari dell'Occidente nei settori della scienza e della tecnologia. Tra una raffineria di petrolio e il mare aperto, il monarca sta costruendo un istituto universitario di ricerca che potrà cantare su una donazione fra le dieci più imponenti al mondo, pari a 10 miliardi di dollari. Stando ai progetti, nella nuova università - un'enclave isolata dal resto della società saudita dove la polizia religiosa non potrà entrare-uomini e donne di ogni appartenenza etnica e religiosa potranno studiare fianco a fianco, nel tentativo dì promuovere la libertà accademica e la collaborazione internazionale. E già si sa che l'impresa metterà alla prova i limiti culturali e religiosi del regno. L'iniziativa è in contrasto can l'impostazione religiosa, che limita drasticamente i diritti delle donne, rifiuta la promisciutà fra i sessi e gli studi progressisti. Per costruire il campus, definire il programma accademica e attrarre stranieri nella nuova istituzione, il re ha scavalcato il proprio ministro dell'Educazione, affidandosi invece al gigante petrolifero Saudi Aramco. I sostenitori di quella che verrà chiamata Università Re Abdullah per la scienza e la tecnologia - a Kuast - si domandano se il sovrano stia creando un'istituzione che avrà un impatto sulla società saudita e sul mondo arabo, o non stia invece edificando una zana franca che sarà dominata dagli stranieri, come quei compound che da decenni sono riservati al personale forestiero dell'industria petrolifera. "Esistono due Arabie saudite", dice Jamal Khashoggi, direttore del quotidiano AI Watan. "E' da vedere quale delle due avrà il sopravvento", Il re dì recante ha infranto vari tabù: ha denunciato l'arretratezza degli Arabi in fatto di conquiste intellettuali rispetto a gran parte del mondo moderno, l'eccessiva dipendenza dal petrolio nella creazione del benessere del Paese, la scarsa innovazione. "Esiste un grande discrepanza nella conoscenza che separa le nazioni arabe e islamiche dal processo e dal progresso della civiltà contemporanea globale", è netto Abdallah S. Jumah, direttore generale della Saudi Aramco. "Non siamo più al passo con le conquiste della nostra epoca". Le università pubbliche seguono le tradizioni: i programmi vengono scrupolosamente controllati dalle autorità islamiche, i ricercatori medici affrontano con cautela argomenti come l'evoluzione, e maschi e femmine entrano nelle aule da porte separate, per seguire le lezioni segregati da pareti divisorie. Malgrado le difficoltà, il re intende fare della nuova università una vetrina della modernizzazione. I festeggiamenti per l'inaugurazione del cantiere e iI successiva convegno sul futura dell'università moderna sono stati organizzati in parte per reclutare accademici internazionali. "La sfida maggiore sarà quella di trovare dei docenti", dice Ahmed F. Ghaniem, un professore egiziano del Massachusetts Institute of Technology che collabora can la nuova università in veste di consulente. "Sarà un aspetta determinante". Per allettare il monda accademica internazionale, Ghoniem ha consigliato al nuovo istituto di offrire strutture, laboratori e borse di studio di rado disponibili in altri Paesi. E tuttavia a suo avviso pochi docenti saranno disposti a lasciare le proprie università per trasferirsi in una piccala enclave nel deserto. "Occorre creare un ambiente dove sia facile comunicare con il monda esterna", ha detto. "Non si può lavorare nell'isolamento". Benché ammiri l'idea della nuova università, nemmeno Ghoniem è pronto ad abbandonare la cattedra all'Mit bostoniano per trasferirsi in Arabia. Invece gli studiosi sauditi, eternamente alle prese confondi di ricerca stagnanti e una burocrazia opprimente- questo fino a due anni fa, prima che il re promuovesse la riforma dell'insegnamento - guardano al nuovo progetto con speranza. Suhair el-Qurashi, rettore dell'università privata Dar AI Hekma, riservata alle donne e bersaglia di attacchi per il curriculum "progressista", dice che l'iniziativa del re potrebbe tradursi ìn un autorevole esempio, un vessillo del libero pensiero, e perciò imbaldanzire i tanti sauditi a favore della riforma degli studi superiorî voluta dal sovrano. "Il re sa che sì scontrerà con parecchi malumori" , dice la signora Qurashi. "Però a mio avviso il sistema sta muovendosi nella giusta direzione". Il luogo dove sorgerà l'Università per la scienza e la tecnologia dedicata al re Abduliah, risposta saudita all'Mit bostoniano. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 9 novembre ’07 FRANCIA: STUDENTI IN RIVOLTA, OCCUPATE DIVERSE UNIVERSITÀ Protestano contro la riforma che riconosce l'autonomia agli atenei PARIGI Cresce la protesta degli studenti universitari in Francia contro la legge sull'autonomia degli atenei. Una decina ancora ieri le facoltà bloccate a Parigi, Nantes, Rennes, Tolosa, Perpignan, e diverse le assemblee generali in corso per votare nuovi scioperi anche per la prossima settimana. A Parigi, l'università di Tolbiac, sede distaccata della Sorbona, resterà chiusa ancora a tempo indeterminato. E mercoledì sera un centinaio di studenti che occupavano i locali sono stati evacuati dalla polizia. I giovani hanno lasciato con calma i locali, ma l'intervento dei poliziotti Crs, specializzati nel controllo delle manifestazioni pubbliche, è stata vista da molti come una «provocazione». Stesso scenario alla facoltà di lettere di Nantes, ma altre università - Caen, Montpellier, Grenoble, Pau - sono pronte ad unirsi al movimento. Ieri l'appello di Bruno Julliard, presidente dell'Unef, principale sindacato studentesco, di sinistra: «lo sciopero nelle università deve intensificarsi». Mentre il collettivo degli studenti contro l'autonomia invita ad organizzare una giornata di manifestazioni in tutto il Paese. Insomma, le tensioni non sembrano ancora destinate a spegnersi e il mese di novembre si preannuncia ancora nero per il presidente Nicolas Sarkozy alle prese con una serie di manifestazioni in diversi settori. Sotto accusa dagli studenti è la legge sull'autonomia degli atenei votata lo scorso agosto che autorizza le facoltà a diventare proprietarie dei locali e l'introduzione di fondi di privati. Ieri a Perpignan un migliaio di studenti ha scandito slogan contro il Medef, la Confindustria francese, accusata di voler fare dell'università un proprio «feudo». Già a giugno gli studenti universitari, ai quali si erano aggiunti anche i docenti, aveva manifestato per settimane, contrari ad una riforma che, secondo loro, è destinata a creare delle università di serie A e di serie B. Sciopero incomprensibile per Valerie Pecresse, ministro dell'educazione: «Queste occupazioni arrivano proprio l'anno in cui lo stato ha aumentato i finanziamenti». ___________________________________________________________ La Repubblica 8 novembre ’07 SASSARI, BETHESDA E RITORNO PER UN PROGETTO LUNGO TRE ANNI "Negli Stati Uniti la mentalità è più aperta alle collaborazioni tra gruppi. Perché il fine ultimo è quello di ulteriori scoperte" ILARIA ZAFFINO Giovane lo è davvero. Trentasei anni appena compiuti, di cui cinque trascorsi negli Stati Uniti, con una borsa di studio Firc prima e poi per i meriti conseguiti presso il laboratorio di cancerogenesi sperimentale di Bethesda, nel Maryland, alle porte di Washington. Diego Francesco Calvisi, classe 1971, è uno dei primi dieci vincitori del My First Airc Grant, il primo finanziamento autonomo concesso dall´Airc per un giovane scienziato promettente a cui viene affidato l´incarico di gestire un gruppo di ricerca nel nostro Paese. Tornato in Italia un paio di anni fa, dopo aver vinto il concorso di ricercatore presso la sezione di Patologia sperimentale e oncologia dell´università di Sassari, dove insegna anche Fisiopatologia generale, è ora a capo del progetto premiato dall´Airc che parte a gennaio: 50mila euro l´anno per tre anni che serviranno a coprire i costi degli strumenti, dei materiali, dei reagenti, se serve della piccola equipe che lavorerà al suo fianco. «Ma le persone che lavorano con me hanno già una borsa di studio». Perciò il finanziamento servirà per "fare ricerca" a 360 gradi. Calvisi ha appena ricevuto la notizia dell´assegnazione della borsa: una delle iniziative che l´Airc ha messo in campo per arginare la fuga dei cervelli, anzi proprio per favorirne il ritorno, il cosiddetto "brain gain", la riconquista di quei talenti alle prime armi che all´estero hanno fatto esperienza e ora sono pronti a tornare a casa e gestire in proprio un piccolo gruppo di ricerca. E quello di Diego Calvisi è un caso esemplare. «Sono partito per gli Stati Uniti nel 1999 mentre frequentavo ancora la scuola di specializzazione in patologia clinica»: in tasca una laurea in Medicina e chirurgia con centodieci e lode all´università di Sassari, tesi sperimentale dal titolo "Amplificazione del gene c-myc nelle lesioni neoplastiche indotte nel fegato di ratto", e in testa l´intenzione di rimanere un anno nel laboratorio di cancerogenesi di Bethesda per occuparsi dei meccanismi molecolari alla base dell´insorgenza del tumore del fegato. Poi è arrivata la borsa Firc, per rimanere un altro anno nello stesso laboratorio; quindi l´offerta di fermarsi lì altri tre. Di cosa si occuperà, nello specifico, il progetto di ricerca finanziato dall´Airc? «Di tumore del fegato ovviamente. Il campo in cui mi sono specializzato, su cui si concentrano l´istituto da dove provengo e dove ora lavoro e anche quello dove sono stato negli Usa. Perché è il secondo tumore più maligno dopo quello del pancreas, che porta alla morte in un brevissimo periodo di tempo: non ci sono cure efficaci contro il tumore epatico. Non dà sintomi nelle prime fasi ed è molto esteso quando poi si manifesta, è resistente alla chemio e il futuro non è roseo perché aumenteranno i casi di pazienti affetti da questa malattia. Per questo, noi studiamo l´instabilità genomica: come cioè alcune cellule tumorali maligne vanno incontro a mutazioni spontanee che portano all´inattivazione di geni che fanno da guardiani al nostro genoma o, al contrario, all´attivazione di altri che non dovrebbero essere attivi. Studiamo i meccanismi che determinano questo, perché è noto l´effetto ma non ancora la causa. Abbiamo dei modelli di ratto sperimentale nei quali induciamo il tumore. Lavoriamo su due ceppi diversi di ratto: uno più suscettibile al tumore, l´altro più resistente. Perché pensiamo ci siano dei geni che possono proteggere lo sviluppo di questa malattia: per questo è utile capire quali sono. Poi dagli animali passiamo ai tessuti umani: ma in questo caso lo studio è puramente descrittivo». Quali le differenze nel fare ricerca in Italia e all´estero? «Prima di tutto negli Stati Uniti lo stato spende per fare ricerca una quantità di soldi che non è paragonabile all´Italia. L´istituto nel quale mi trovavo io, il National Cancer Institute di Bethesda, riceve soldi direttamente dal governo americano. Che li elargisce in quantità. Qualunque idea mi veniva in mente potevo sperimentarla. Qui da noi è tutto più lento: le industrie che producono certi reagenti sono lontane. In America la burocrazia è minore, la mentalità diversa: più aperta alle collaborazioni tra i gruppi. In Italia ogni gruppo protegge il suo nido per conservare la sua esclusività. La ricerca è provinciale, il ricercatore ha più limitazioni, come fare didattica, fare lezioni nelle università. Negli Stati Uniti no: ci si comporta in modo più maturo, conta la produttività, si dà più importanza alla ricerca. Perché il fine ultimo è quello di ulteriori scoperte». ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 novembre ’07 DA CAGLIARI A OSAKA EMIGRATA PER POTER STUDIARE LO STRESS La biologa Rosaria Piga racconta la sua esperienza giapponese dove i laboratori funzionano anche grazie alla meritocrazia di Giacomo Mameli La prima sorpresa, quasi uno choc (fortunatamente più che positivo perché del tutto inatteso), all’aeroporto internazionale di Osaka. A ricevere Rosaria Piga, biologa cagliaritana in arrivo con un volo Alitalia decollato da Milano, c’è nientemeno che il professor Etsuo Niki, direttore del centro di ricerca Hssrc (Human Stress Signal Research Center), uno degli istituti più accreditati al mondo per lo studio dello “stress ossidativo”, patologia causa di numerose malattie sempre più diffuse e gravi, spesso con esito letale, dal cancro all’invecchiamento precoce, dall’arterosclerosi fino all’alzheimer e al parkinson. Il professore, giacca e cravatta, sorridente, è con un altro collega. Danno il benvenuto a Rosaria che non sa come ringraziare per un’ attenzione così premurosa, ma già da questo primo segnale capisce di «aver cambiato pianeta». Racconta: «Mi sentivo catapultata dall’anonimato o quasi che ti circonda in un centro di ricerche sardo (o italiano) al rispetto e alla considerazione riservatimi all’estero. Quando mai, non dico il direttore-mito di un centro mondiale di studi, ma anche il suo ultimo assistente ti sarebbero venuti ad accogliere a Elmas o ad Alghero? Ma neanche a Milano o Perugia. Ebbene, lì è successo. Ed è la norma, non l’eccezione”. È la domenica mattina del 31 marzo 2002. Dopo dodici ore su un Boeing a diecimila metri di quota la giovane ricercatrice sarda sale sull’auto privata del professor Niki, si parla di tutto, dell’Italia e del Giappone, ma soprattuto di cose pratiche, senza convenevoli. «Mi dice: la tua casa in affitto è pronta, è a nord di Osaka, quartiere Ikeda, abbiamo già pagato l’allaccio della luce e del gas. Di sera mi invitano a cena con altri colleghi che accolgono l’amica italiana». La casa è un condominio a cinque piani in un rione molto popolato di una città di tre milioni di abitanti, la terza del Sol Levante, alla foce del fiume Yodo, con Kobe e Kyoto è una delle tre città dove vivono 18 milioni di abitanti. Sì, un altro mondo, sotto tutti gli aspetti. «Entro a casa, 17 metri quadrati, più un metro quadrato di bagno. Abito ancora lì e sto bene. E sono passati sei anni». Il lunedì mattina, primo aprile, è al dipartimento Hssrc, collegato all’istituto Aist Kansai che sta per Advanced Industrial Science and Technology. Mezz’ora a piedi dalla mini-casa. È sempre il professor Niki che la va a prendere, le mostra i negozi e le banche, il supermercato più fornito. Eccolo il campus, una grande cancellata con una guardia in divisa blu scuro, legge i nomi dei padiglioni di Fisica, Chimica, Ottica. «Il mio istituto era quello dello stress ossidativo. All’ingresso chiedono di lasciare le impronte digitali, quella dell’indice destro». Rosaria crede che sia uno scherzo. «No, no, è la prassi. Quell’impronta diventava la mia parola chiave, la password, la chiave di accesso dopo aver digitato il codice del mio laboratorio. Entro e il direttore mi presenta dieci colleghi, tutti giapponesi doc, volti simpatici, Yoshiro e Yasukazi, anche due donne sposate, Junko e Nanako. Ecco la mia scrivania, gli scaffali, il cassetto, i libri, il computer». E vedo, nel mio studio, tutta la strumentazione necessaria per far ricerca. È tutto made in Japan, sono in giapponese anche le istruzioni per l’uso, ho bisogno dei colleghi per capire, disponibili, affabili. Dal primo giorno ho tutto a disposizione, col mio budget. E lavoro come tutti gli altri dalle 9 del mattino alle 21 con un’ora di pausa- pranzo. Dal primo mese lo stipendio regolare: 400 mila yen, pari a quattromila euro al mese». E poi? «E poi i colleghi mi insegnano pazientemente a lavorare al bancone, pipette e reagenti, microscopi. Ma soprattutto inizio da subito a ragionare come deve fare un ricercatore. Mi dicevano: devi togliere le idee dalla tua testa e confrontarle con le idee dei tuoi colleghi per arrivare a un progetto comune». Stress ossidativo si diceva. Come limitarne gli effetti devastanti? Studiando. Rosaria indaga su due proteine, va alla ricerca di sostanze naturali estratte da piante e arbusti per prevenire o ridurre i danni di queste malattie degenerative. Dice, con linguaggio tecnico: «Testo in continuazione l’effetto anti-stress di questi composti tanto su cellule di aorta per gli studi sull’aterosclerosi quanto su cellule simil-neuroniche per indagare sul sistema nervoso». Progressi? «Certo, rispetto a dieci, cinque anni fa sono stati fatti molti passi in avanti, i pazienti sono assistiti meglio, si può migliorare ancora, ma soltanto insistendo caparbiamente con la ricerca. È ciò che facciamo a Osaka e Kyoto. Collaboriamo anche con un gruppo di fisici guidati da Yoichi Kawakami, si occupano di nanotecnologie, ci lavora anche un piemontese, Ruggero Micheletto, torinese». Nanotecnologie, cioè? «Usiamo uno strumento ottico detto Snom, è un sofisticato microscopio a scansione, consente di esaminare tessuti viventi in estremo dettaglio, arriviamo a miliardesimi di metro. Ecco, tutto ciò è basilare per arrivare a risultati concreti. E ci spero, ci speriamo». Davvero un altro pianeta. Rispetto alla Sardegna. Rispetto all’Italia. Dove le carriere universitarie si costruiscono per via nepotistica, con le parentopoli all’ombra di nonni e di padri, di zii e di zie, di suoceri e suocere, con gli intrallazzi e le triangolazioni di grembiuli e di lobbies. Non solo a Bari e Messina, non solo a Napoli e Salerno, anche a Cagliari e Sassari, con le eccezioni del caso ovviamente. E così quella di Rosaria Piga diventa la storia emblematica di chi, «non per affermarsi» nel campo della ricerca scientifica ma «per poter fare ricerca scientifica», ha dovuto preparare la valigia e varcare il Tirreno, le Alpi e gli Oceani e approdare dove ciò che conta è il merito, il valore individuale e non la carta d’identità, il clan familiare, la casta di appartenenza. È una storia come tante altre che sono già state raccontate e che continueremo a raccontare perché è una tendenza negativa, devastante che va invertita, perché più cervelli l’Italia perde e più l’Italia perde in competitività, perché più cervelli la Sardegna regala gratis all’universo mondo e più la Sardegna retrocede. Le vicende degli “scienziati di ventura” raccontate in un best seller Cuec da Andrea Mameli e Mauro Scanu sono lì a dimostrarlo. Con inoppugnabili prove. Ricercatrice in Giappone, quindi. Con molto lavoro, riunioni in team, discussioni, prove. Dopo alcuni anni un altro salto di qualità per Rosaria. «Mi propongono di collaborare col dipartimento di immunologia e infiammazione del Kyoto Prefectural University of Medicine diretto da un altro grande della ricerca, il professor Toshikazu Yoshikawa. Accetto. Da Osaka sono 45 minuti di treno, sempre puntuale, treni che spaccano il secondo, ogni giorno dell’anno. Passo davanti ai templi, al Palazzo imperiale e poi camice bianco e microscopio». Studi e pubblicazioni su riviste internazionali. Una delle più recenti è apparsa su Biophys Chemistry. Articoli e ricerca continua. Ancora Rosaria. «In Giappone, avere un laboratorio efficiente è la normalità, la regola per un ricercatore, non devi elemosinare nulla, hai a disposizione ciò che è necessario. In queste condizioni la crescita culturale è costante» E i rapporti umani? Eccellenti. «Intanto nessuno conosceva la Sardegna, pochi conoscevano l’Italia, per cinque anni non ho incontrato un solo sardo, solo quest’anno ho conosciuto una coppia di cagliaritani che studiano a Tokyo la storia delle religioni, in particolare il buddismo e lo shintoismo». E oggi? «L’Italia e la Sardegna non sono più sconosciute ma sempre poco conosciute, sono state importanti alcune fiere, alcune mostre. Quello giapponese può essere un mercato importante per il nostro Paese». Vita normale, semplice quella di Rosaria Piga. Ha 43 anni, nasce a Cagliari, il padre Antonello rappresentante di prodotti per l’agricoltura, la madre (Maria Teresa Boi) insegnante fra i paesi dell’alto oristanese e del Campidano di Cagliari. Rosaria è la primogenita (il fratello Piero, 39 anni, geometra, vive in Spagna dove è fidanzato con Monica, un architetto). Elementari in viale San Vincenzo a Cagliari, liceo scientifico al “Brotzu” di Pitz’e serra di Quartu. Gli insegnanti del liceo? «Giudizio insufficiente, il professore di italiano e latino mi sconsiglia di iscrivermi all’università, e aggiunge: non ti servirebbe a nulla». Rosaria va avanti, diploma, si iscrive in Biologia, studia e lavora, baby sitter e ripetizioni, fotocopie al palazzo di giustizia, la laurea con 107 (tesi con Gaetano Verani sui prodotti di sintesi con metalli pesanti). Inizia il calvario per «trovare un istituto che mi accolga per poter fare la ricercatrice. Inizio con tanto entusiasmo, poi mi rendo conto che non ho nulla attorno a me, lavoro gratis, mai un soldo, girovago sette anni senza avere mai uno stipendio che mi consenta di essere autonoma economicamente. Vago per l’Italia, Torino, Siena, Bologna, Napoli, Udine. Ovunque le stesse trafile, estenuanti. Mi proponevano pochi denari. Poi la svolta, targata Sardegna. Nel 2000 conosco alla Cittadella di Monserrato l’ex preside di Scienze, il professor Francesco Corongiu, patologo generale. Ha collaborazioni con Paesi esteri. Mi chiede se sono disposta a lasciare l’Italia. Anche domani mattina, gli rispondo. Senza dirmi nulla avvia le pratiche. Prima di morire Corongiu mi dice: andrai presto in Giappone. Detto fatto. Arrivo a Osaka nel marzo del 2002 e mi accorgo davvero di un altro mondo per la ricerca scientifica, noi in Italia ne siamo lontani anni luce». _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 nov. ’07 NELL'HI-TECH L'ITALIA S'È DESTA Per la prima volta dal 1981, il saldo tra import ed export è tornato in attivo nel 2006 con 789,6 milioni - Positivi mutamenti nell'innovazione di prodotta di Luca Paolazzi Pochi scienziati, bassi investimenti in ricerca e sviluppo, specializzazione in settori tradizionali (aggettivo fuorviante), brevetti in numero irrisorio, ritardo negli investimenti informatici. Il ritratto tecnologico dell'economia italiana appare cristallizzato e immutabile con statistiche che da anni si ripetono uguali tanto da essere entrate nell'immaginario e da non fare più notizia. Anche perciò è caduto nell'indifferenza un dato nuovo e positivo: nel zoo6, per la prima volta da tempo immemorabile, la bilancia tecnologica è diventata attiva. E in misura non trascurabile: 789,6 milioni. Dal 1981, l’anno più lontano cui si riesce a risalire nella serie storica, pazientemente ricostruita da Lucia Segni del Centro studi Confindustria, è stata in rosso, con un picco in valore assoluto di 845 milioni nel 2001 (a ridosso del changeover e del temuto "baco duemila"). In rapporto al Pil il deficit era maggiore nei primi anni 80, mentre l'interscambio rimane vicino ai massimi storici. I valori in sé non sono elevati. Sul totale dell'export di beni e servizi, gli incassi generati dalla vendita di tecnologia all'estero rappresentano poco meno dell'1 per cento. Siamo ben lontani dai livelli americani o tedeschi. Gli Usa hanno un saldo attivo di 26,5 miliardi di euro, con esportazioni pari a tredici volte quelle italiane; la Germania ha un surplus di 2,7 miliardi con un export oltre sette volte quello italiano. Va detto che probabilmente le cifre per l'Italia sono sottovalutate perché, per le caratteristiche di imprese e produzioni, è relativamente più importante la parte di innovazione incorporata nei prodotti e non "estraibile" e vendibile separatamente. Ma il cambiamento di segno è ugualmente significativo in sé e soprattutto come sintomo della trasformazione in atto nel made in Italy. In sé perché nasce da un robusto aumento delle esportazioni (+27,3% nell'ultimo biennio), in particolare di vendite di marchi e disegni (+25,5%), studi tecnici ed engineering (+70,7%), invio di tecnici ed esperti (+10,5%) e servizi di ricerca e sviluppo (+17,1%). C'è stato anche un calo dell'import totale, ma da valori anomali nel 2005, mentre è contenuto rispetto agli anni precedenti. L'aspetto più interessante è proprio nel surplus quale segnale dei mutamenti in corso nel made in Italy. Non si tratta più solo d'innovazione di processo, in cui l'Italia è sempre stata campione, ma divera e propria innovazione di prodotto: infatti, sempre più sono presenti nelle attività italiane la progettazione su misura e l'assistenza prima e dopo la vendita, con un allungamento della catena del valore aggiunto. Solo in apparenza il bene manufatto è rimasto lo stesso, in realtà è sempre più sofisticato, richiede il supporto di servizi forniti dall'azienda che lo ha venduto, servizi che ampliano fatturato e utili. Una trasformazione testimoniata anche dalla forza dell'aumento delle esportazioni in valore, che tengono il passo del commercio internazionale e riconquistano quote di mercato per la prima volta dal 2001. Un cambiamento che ne implica altri sul piano della governance, dell'organizzazione manageriale e commerciale, della dimensione delle imprese. Per dargli gambe e fiato è indispensabile che le aziende proseguano nel ripensare se stesse, così da attrezzarsi a mercati lontani e più difficili. Ma anche e soprattutto che il Paese promuova la ricerca e l'innovazione, assecondi, con un welfare incentrato sulla flexicurity, lo spostamento di risorse dalle attività perdenti a quelle vincenti ed elevi il capitale umano investendo di più nella formazione tecnica e scientifica. Altrimenti il made in Italy si troverà imbrigliato dalla mancanza di persone capaci di farlo affermare nel mondo. l.paolazzi@confindustria.it _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 nov. ’07 NUCLEARE, OGM, CLIMA PER FAVORE, NIENTE DOGMI PREGIUDIZI Il dibattito su temi cruciali è spesso deviato da posizioni preconcette di Salvatore Carrubba Le scolaresche affollano al Piccolo Teatro di Milano le repliche (ormai le ultime) di un grande classico di Bertolt Brecht, Vita di Galileo, splendidamente interpretato da Franco Branciaroli. Speriamo che a scuola abbiano modo e tempo di approfondire i temi del dramma, tra i quali il rapporto tra ricerca e politica, tra fede e ragione. Gli spunti sarebbero numerosi: a cominciare dalla continua invocazione alla "ragione" da parte di Galileo, contraddetta dall'abdicazione alla ragione da parte del Brecht stalinista. Per continuare, e qui verremmo all'oggi, con l'esigenza di affrontare i temi scientifici con serietà e consapevolezza, appunto con "ragione", senza lasciarsi tradire da dogmi, ma nemmeno da slogan e conformismi. Proprio ieri se ne è parlato a Milano, in occasione del ventennale dell'Osservatotio meteorologico di Milano Duomo, che si è concluso con un confronto appunto sul tema della divulgazione scientifica. Tre esempi di questi giorni ne confermano l'attualità. Il petrolio veleggia ormai verso i cento dollari: questa volta, la colpa non è solo dell’egoismo dei Paesi ricchi e del loro irresponsabile sciupio. Molto di più conta il consumo di Paesi come Cina e India che assaporano vantaggi e costi dello sviluppo. Adesso non basta certo invocare una nuova "austerità"; né basta l'illusione salvifica in fonti alternative spesso invasive e di efficacia limitata. Ripensare al nucleare, dunque, sarebbe opportuno, magari sulla scorta di quegli ambientalisti che proprio nel nucleare riconoscono ora la fonte energetica meno inquinante. Naturalmente, sul tema in Italia, il silenzio è d'obbligo, salvo poi scoprirsi alla mercé delle impennate dei mercati, della Russia e della Libia. Secondo esempio, il clima. Ieri a Milano sano state ricordate alcune prese di posizione, in Italia quasi clandestine, di scienziati importanti (come Richard Lidnzen del Mit o Paul Reiter del Pasteur) che hanno manifestato fondati dubbi sulla responsabilità dell'uomo sul mutamento climatico; e che mettono in discussione l'attendibilità del mitico Iccp, insignito quest'anno del premio Nobel per la Pace assieme ad AL Gore. Un componente di quest'ultimo, John Christy, ha rinunciato alla propria porzione simbolica di premio per l'assoluta divergenza sulle conclusioni del Panel. Anche in questo caso, tuttavia, il conformismo del dibattito corrente non consente di approfondire seriamente le posizioni. Si finisce così con l'assumere come dogma, appunto come Galileo non voleva che si facesse, quanto bravi comunicatori e mediocri fonti informative continuano a propalare come verità rivelate. Terzo esempio: gli Ogm. Il 28 ottobre, due belle pagine del supplemento della «Domenica» hanno cercato di chiarire, sine ira ac studio, i termini della questione. Missione difficile, riconosce il professor Alessandro Vitale, dell'Istituto di Biologia e biotecnologia agraria del Cnr, che non nasconde tutte le sue perplessità sulla posizione dei No-Ogm che con la loro insuperabile ostilità a qualunque forma di ricerca ribaltano e annullano il concetto stesso di libertà della ricerca (sacrosanto quando fa comodo); e agitano un principio, quello della precauzione, che se applicato drasticamente fermerebbe il mando (e che avrebbe stroncato, se adottato all'epoca, la diffusione di una scoperta pericolosissima: il fuoco). A parte il fatto che nessuno ancora ha spiegato perché tanto terrore sugli Ogm e tanta indifferenza sugli Egm, gli esseri geneticamente modificati. Per questi, guai a parlare di prudenza nella ricerca. salvatore.carrubba@ilsole24ore.com ________________________________________________________ La Repubblica 8 novembre ’07 LE GRANDI OPERE FANNO ACQUA VACILLA IL MITO DEI SUPER-ARCHITETTI Chiamati a dare lustro alle città, i grandi progettisti devono subire critiche crescenti. A prendersela con i "guru" sono le stesse istituzioni che li hanno ingaggiati ALBERTO FLORES D’ARCAIS I grandi architetti della nostra epoca sono tra i "guru" del nuovo millennio: ammirati, incensati, copiati, invidiati. Metropoli, capitali, città di ogni tipo, musei prestigiosi (o più semplicemente ricchi), istituzioni, accademie e università fanno a gara per avere un loro progetto, qualcosa di "firmato" che dia nuovo lustro e gloria eterna; e loro sono infaticabili: ridisegnano le skyline delle metropoli, trasformano interi quartieri, schizzano ponti straordinari e avveniristici palazzi di vetro e acciaio, creano strutture ultramoderne all’interno di edifici ottocenteschi. Ma adesso alcuni dei grandissimi, uomini geniali come Frank Gehry e Santiago Calatrava, sono finiti nell’occhio del ciclone. Con un’accusa pesante: le loro opere fanno acqua (in alcuni casi letteralmente) da tutte le parti. A scagliarsi contro Gehry, a dieci anni esatti dalla nascita del suo capolavoro (il Guggenheim di Bilbao), non sono colleghi rosi dal suo successo ma il Mit di Cambridge (Boston), una delle più prestigiose università del mondo; non solo a parole, ma portando il famoso architetto in tribunale con l’infamante accusa di aver sbagliato qualcosa. A Gehry il Massachusetts Institute of Technology aveva affidato il progetto del «Ray and Maria Stata Center», un complesso accademico di circa 40mila metri quadrati. Inaugurato nel 2004, questo insieme di edifici dalle forme spigolose, dalle strutture angolari, con i suoi parallelepipedi sospesi nel vuoto che sembrano sfidare la forza di gravità, era stato salutato come un gioiello dell’architettura contemporanea. Non era passato neanche un anno ed ecco comparire i primi problemi: a causa di un difetto nel sistema di drenaggio, l’acqua iniziava a filtrare nell’anfiteatro esterno. Il Mit corre ai ripari: viene chiamata la filiale americana della Skanska (società svedese che ha in appalto anche i lavori di restauro del Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite), vengono fatti alcuni lavori di riparazione, ma il problema non viene risolto. Anzi peggiora, provocando anche casi di allagamento. Per i dirigenti della Skanska responsabile è solo l’architetto. A Gehry, sostengono i dirigenti della società svedese, erano stati segnalati una serie di «potenziali problemi» già durante la costruzione, ma l’architetto non aveva ascoltato ragioni. Da qui la decisione del Mit di portarlo in tribunale, sottolineando di avergli pagato 15 milioni di dollari per il progetto e di averne già spesi un milione e mezzo per le riparazioni. Con dichiarazioni di fuoco (rilasciate al Boston Globe) dell’ex rettore dell’università John Silber: «Gehry si considera un artista, uno scultore. Purtroppo non si vive in una scultura e c’è chi, in questi palazzi, deve viverci e lavorare». Accuse cui Gehry ha ribattuto sostenendo che in edifici così complessi sono inevitabili errori di costruzione (quindi della Skansa): «Sono cose complicate, che coinvolgono un sacco di gente, quasi mai nella costruzione di edifici così complessi si riesce a sapere cosa è andato storto. In ogni caso sono problemi minori; dai professori e studenti del Mit ho avuto decine di email di appoggio». Infiltrazioni e allagamenti sono la croce anche per Santiago Calatrava. L’architetto di Valencia è finito sotto accusa proprio nella sua città natale: il Palau de les Arts, il teatro dell’opera della città spagnola (costato 332 milioni di euro) ha avuto problemi sin dalla sua inaugurazione un paio di anni fa. Il mese scorso, durante le piogge torrenziali che hanno colpito la penisola iberica, l’allagamento è stato pressoché totale, danneggiando gravemente anche il circuito elettrico e il sistema di aria condizionata, tanto da costringere l’opera a rimandare la prima della stagione (la «Carmen» di Bizet diretta da Carlos Saura) e ad annullare altre serate. E al suo figlio prediletto adesso Valencia intende chiedere i danni. Le polemiche sulle opere dei grandi architetti non sono una novità. Ce ne sono state anche per "star" come Renzo Piano (l’aeroporto di Osaka), per Richard Meyer (il museo dell’Ara Pacis), per Arata Isozaki (gli Uffizi). A New York la Freedom Tower (la grande torre che sorgerà a Ground Zero) di Daniel Lebeskind è stata revisionata più volte e l’ultimo progetto ha poco a che vedere con l’originale, a suo tempo anche il Beaubourg e le piramidi del Louvre avevano suscitato grandi discussioni. Finora si era trattato perlopiù di polemiche tra gli addetti ai lavori, di discussioni sui costi e in qualche caso sulle nazionalità degli architetti. La decisione del Mit e le intenzioni del comune di Valencia spostano invece le polemiche nelle aule del tribunale: e per i "guru" del nuovo millennio si annunciano tempi più difficili. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 9 nov. ’07 TROPPI MANAGER, POCA INNOVAZIONE Il docente della London Business School: bisogna accorciare le catene gestionali L'efficienza ha dominato i pensieri del manager nel ventesimo secolo, ma oggi non basta più: «L'adattabilità è diventata più importante dell'efficienza, il pensiero innovativo dà migliori risultati dell'affidabilità, in questo mondo sempre più turbolento». Gary Hamel, definito dall’Economist «il re della strategia nel business», docente della London Business School e consulente di tutte le grandi multinazionali, si è posto un obiettivo ambizioso nel suo ultimo libro, «The Future of Management» (HBS Press, presto in libreria anche in Italia): tracciare la strada per i nuovi manager, una sorta di «management 2.0» nell'era del «web 2.0». Nel suo libro si mette in luce quanto i tradizionali strumenti di gestione siano inadeguati al ritmo dei tempi: Vede un segno di questa carenza strategica anche nella crisi che sta travolgendo oggi il mondo finanziario americano? «Ogni sistema dove il potere stia tutto al vertice fa più fatica ad adattarsi alle rapide evoluzioni tipiche delle situazioni di crisi. Le società finanziarie che favoriscono il conformismo sul pensiero innovativo, la catena di comando e controllo sulla responsabilità diffusa, rischiano grosso di questi tempi. Gli errori strategici si vedono bene dal ritmo con cui saltano le teste degli amministratori delegati. La leadership dei grandi gruppi non è mai cambiata così rapidamente come in questo periodo. Ma non tutto il mondo bancario è malato di verticismo. Ci sono anche elementi di grande innovazione nella strategia di alcune banche, come ad esempio l’Ubs. E si vede dai risultati». Lei sogna di organizzazioni capaci di rinnovamento spontaneo, dove il dramma del cambiamento non debba essere per forza accompagnato dal trauma della ristrutturazione. E' possibile questo? «Certamente. Basta guardare ad alcuni esempi dei tempi moderni, come Google, un'azienda con un giro d'affari di più di 10 miliardi di dollari e oltre diecimila dipendenti, che praticamente non ha gerarchie. La catena gestionale viene mantenuta il più corta possibile, perché un eccesso di controllo rischia di mettere un freno all'innovazione». Google è un'azienda relativamente giovane, non è detto che riesca a mantenere questo standard nei decenni a venire... «Vero. Ma in questi dieci anni ha costruito un'organizzazione vasta e articolata, quotata in Borsa, che sta in piedi perfettamente e anzi corre come una lepre, pur facendo a meno di tutta l'impalcatura gestionale che di solito viene considerata imprescindibile per ogni grande multinazionale». Quindi il suo consiglio è di sfrondare? «Esattamente. Le strutture di gestione devono essere leggere, flessibili, adattabili. In massima parte le aziende di oggi utilizzano dei sistemi di gestione inventati all'inizio del secolo scorso. Una cascata di presidenti, amministratori delegati, vice presidenti, vice presidenti esecutivi, direttori generali e via discorrendo. Gli stessi sistemi di controllo, le stesse pratiche nelle risorse umane, gli stessi rituali di pianificazione, le stesse strutture di revisione dei tempi di Ford: Ma non si possono trattare dei lavoratori del terziario come se fossero operai alla catena di montaggio ... ». Non mi verrà a dire che le aziende ignorano la rivoluzione tecnologica... «Applicano la tecnologia, parlano di innovazione, ma i sistemi di gestione rimangono gli stessi. E così le aziende perdono un vantaggio competitivo essenziale, perché in cent'anni di produzione industriale, a ben guardare, non sono mai state le rivoluzioni tecnologiche ma le rivoluzioni gestionali a dare una spinta decisiva alla crescita. Se non cambieranno in fretta, rischiano di farsi superare dai nuovi competitor dei Paesi emergenti. In India, soprattutto, ci sono molte aziende giovani che applicano strutture di gestione molto innovative, come ad esempio la HCL Technologies, dove gli impiegati hanno il diritto di criticare i dirigenti con una sorta di cartellino rosso, che viene ritirato solo quando il dirigente si è emendato. Un bel sistema, no?». Elena Comelli ` Molte società utilizzano sistemi di gestione inventati cento anni fa Con una cascata di presidenti, amministratori e direttori generali I GRANDI MAESTRI INTERNAZIONALI DEL MANAGEMENT Il guru della business strategy Identikit Gary Hamel è stato definito dal settimanale inglese The Economist «il re della strategia nel business». Insegna alla London Business Suhuol cd c consulente di molte grandi multinazionali. ======================================================= _______________________________________________________________ MF 6 nov. ’07 CELLULARI IN OSPEDALE RIANIMAZIONE IN PANNE Salute Test sulle interferenze con le macchine, di Galcazzo Santini In tutte le cliniche e gli ospedali del mondo è proibito utilizzare i telefoni cellulari per non creare interferenze con gli apparati elettromedicali. Un gruppo di ricercatori olandesi dell'Università di Amsterdam ha voluto eseguire una serie di prove e controlli specifici. Gli scienziati hanno effettuato una serie di chiamate telefoniche con i cellulari tenendoli un prossimità degli apparecchi medici di rianimazione (naturalmente quando non erano collegati ai pazienti). Su un totale di 61 macchine controllate, ben 26 hanno presentato risultati irregolari. I ricercatori hanno proseguito le loro indagini mandando in panne un respiratore, una pompa e un rene artificiale. La maggior parte dei cattivi funzionamenti di questi apparati sono stati osservati quando l'antenna del cellulare era posta a pochi centimetri di distanza, ma in alcuni casi il danno alle apparecchiature mediche è stato provocato anche quando il telefonino si trovava a ben cinque metri di distanza _______________________________________________________________ Panorama 9 nov. ’07 QUELLO CHE I PAZIENTI DOVREBBERO SAPERE Tre nuovi libri, scritti da medici, rivelano come funziona la ricerca clinica, le sue incertezze e i suoi trucchi. Perché saper fare le domande giuste è il primo passo per difendere la nostre salute. A chi dar retta? Questo è spesso il dilemma più angosciante, che si tratti del dubbio se fare un esame per scoprite in anticipo una malattia, della decisione se prendere una medicina per allontanare il rischio di infarto, della scelta su quale trattamento anticancro seguire. I pareri non sono concordi neppure fra gli esperti, tra medici di specialità differenti, tra specialista e medico di famiglia. A confondere ancor più le acque c'è il bombardamento di informazione sulla salute di tv, giornali e internet. Neppure i dottori possono più permettersi di ignorare questo disorientamento: l'attendibilità e la qualità delle informazioni in medicina riguardano non solo i pazienti ma la loro categoria. E infatti sono usciti in contemporanea, nel dibattito specialistico dedicato al - l’argomento, tre piccoli libri che affrontano per i non addetti ai lavori proprio il tema della reperibilità e dell'affidabilità delle informazioni: Come sapere .re una cura funziona (Il Pensiero scientifico editore), Dottore... mi posso fidare? Manuale di medicina comprensibile (Avverbi edizioni) e Malati di farmaci, Come difendere la propria salute dalle medicine inutili o pericolose (Editori riuniti). Tutti condividono un assunto: saperne di più su come funziona la ricerca clinica e come vengono prese le decisioni riguardanti la salute è già un valido aiuto. Armati di maggiore conoscenza e informazioni affidabili, saranno perlomeno nelle condizioni di diffidare quando sentiranno parlare di certezze assolute (visto che in medicina ne esistono poche); e capaci di porre le domande giuste al camice bianco. «Una buona parte della classe medica è ancora ostile a quello che chiama in modo sprezzante il fai-da-te» afferma Nicola Magrini, direttore del Ceveas, il Centro per la valutazione dell'efficacia dell'assistenza sanitaria. «Ovvio che per fare una diagnosi è indispensabile un medico. Credo però che, se bene informate, le persone abbiano un ruolo per poter scegliere». Buone informazioni, appunto. Ma come trovarle? «Mi è venuto in mente di scrivere il mio libro» racconta Giorgio Dobrilla, gastroenterologo, autore di Dottore ... mi posso fidare?, «dopo aver constatato come anche persone di media cultura siano sorprendentemente ignoranti su che cosa sono la medicina basata sulle prove, gli studi clinici controllati, i diritti-doveri di un paziente. Ignoranza dovuta anche al gergo medichese usato dai dottori quando parlano (se parlano) con i pazienti». Negli Stati Uniti sono state videoregistrate le visite di un gruppo di dottori e i pazienti intervistati alla fine dei colloquio: il 26 per cento, uscendo dallo studio medico, ignorava il nome del farmaco prescritto; il 14 per cento lo scopo della terapia; il 66 per cento la durata; il45 per cento il dosaggio del farmaco; il42 per cento le modalità di assunzione; il 65 per cento tipo ed entità dei possibili effetti collaterali. «Quando compra un paio di scarpe, un profumo o un cellulare, la gente vuole sapere molti più particolari di quando chiede un approfondimento diagnostico o una cura» si rammarica Dobrilla. Un farmaco serve o non serve? Una certa terapia è utile o no? In passato, la medicina era in grado di dare risposte più rapide. Dimostrare che l'insulina servisse nel diabete o la penicillina nelle infezioni fu questione di provarla su poche persone. Oggi raramente succede. Gli effetti dei trattamenti sulle malattie più serie della nostra epoca, dal cancro all'insufficienza cardiaca, non sono quasi mai eclatanti. Per evidenziarli c'è bisogno di studi clinici complessi, condotti con regole precise. E anche in questi casi i risultati vanno interpretati. Per esempio, nonostante la gran mole di ricerche su diagnosi e terapia del tumore della mammella, c'è ancora incertezza sia sull'utilità delle mammografie periodiche come mezzo di prevenzione, soprattutto sotto i cinquant'anni, sia sulle cure più appropriate nelle diverse fasi: chirurgia, radioterapia, chemioterapia. Difficile da accettare? Eppure è la realtà. Scrivono gli autori di Crnne sapere se urea aasa frtnziona: «I malati devono comprendere che se, guardando alle prove disponibili, il loro medico dice "non so", questo non vuol dire che si debbano mettere alla ricerca del secondo parere di un medico che dia loro certezze, quando è palese che non esistono». A volte è questione di tempo, poi si arriva a un punto fermo. Fra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta, i ricercatori hanno svolto una cinquantina di sperimentazioni su farmaci antiaritmici per la prevenzione dell'infarto prima di capire che aumentavano i morti, invece di diminuirli. Lo strumento principe a disposizione della medicina per dare risposte a domande sull'utilità dei trattamenti è lo studio clinico. Ne esistono di vari tipi, ma quello considerato più affidabile è il cosiddetto studio controllato randomizzato: due gruppi di pazienti, scelti a caso, assumono o non assumono il farmaco e poi si contano i miglioramenti (o i peggioramenti) nei due gruppi. Sembrerebbe facile, ma le trappole e i trucchi abbondano. Alcuni sono di natura statistica. Ma non solo. Ogni anno nella letteratura biomedica vengono pubblicati oltre 2 milioni di articoli su > > più di 20 mila riviste: accatastandogli articoli si otterrebbe una collina alta 500 metri. Eppure, tanta di questa ricerca è cattiva o inutile: studi condotti su argomenti per cui c'è già una risposta, oppure per rispondere a domande dì nessun reale interesse per un malato. Di solito a chi è malato interessa sapere se un nuovo farmaco sia migliore di quello che c'è già, oppure equivalente ma con meno effetti collaterali, e non se una variazione minima nella formulazione sia meglio di niente (cioè di un placebo). Eppure, è così che viene oggi impostata la maggior parte delle sperimentazioni, su sollecitazione dell'industria farmaceutica. Altro effetto di cui le persone dovrebbero essere consapevoli è che i risultati positivi, cioè a favore di un certo farmaco o trattamento, tendono a essere resi pubblici; quelli negativi finiscono per rimanere nel cassetto, dando la falsa impressione che una medicina funzioni assai più di quel che è vero nella realtà. Ora si stanno studiando iniziative per minimizzare questo effetto, per esempio l'obbligo di registrare qualunque studio clinico in atto. Altra questione di cui essere avvertiti: quanto viene pubblicizzato, anche da fonti apparentemente affidabili come le associazioni di pazienti, non sempre lo è. Un'industria produttrice di interferone, farmaco utilizzato nella sclerosi multipla (esempio discusso in Come sapere .re una cura funziona), ha creato un'associazione per spingere affinché il sistema sanitario britannico fornisse il farmaco, suggerendo che fosse efficace ma costoso. In realtà ancora oggi non si sa se serva a qualcosa per questa malattia. La ricerca medica non è sempre in grado di offrire una risposta chiara. A volte i risultati degli studi sono in conflitto e c'è bisogno di ulteriori analisi per arrivare a una conclusione. La lista dei test preventivi sulla cui utilità molti scommetterebbero è lunga, ma ad avere resistito alla prova dei fatti sono pochi. Tra i più discussi c'è lo screening del tumore della prostata attraverso la valutazione del Psa, l'antigene prostatico, nel sangue. La logica con cui viene proposto è che prima si arriva a scoprire la malattia, tanto più efficace sarà la cura e più probabile la guarigione. Ma non c'è alcuna evidenza che serva. Stesso discorso per la tac come mezzo di diagnosi precocissima del tumore al polmone. Quanto ad attendibilità e trasparenza delle informazioni, la situazione potrebbe complicarsi. La direzione per l'industria della Commissione europea, da cui dipende l’Emea, l'agenzia di controllo sui farmaci, ha stilato un rapporto in cui si parla di una collaborazione tra industria e agenzie regolatorie per aumentare l'insufficiente informazione dei cittadini sulle medicine. «In pratica, senza dirlo, si cerca di aprire la strada alla pubblicità diretta dei farmaci ai consumatori, oggi permessa solo in Usa e Nuova Zelanda» spiega Magrini, che ha criticato la proposta sul British medical jorernal. Ciò di cui i pazienti (e i medici) avrebbero più bisogno è invece informazione accessibile di fonti indipendenti. «Le istituzioni sanitarie dovrebbero cercare di sviluppare strumenti per informare direttamente i cittadini, magari su temi particolari, come la gravidanza, le malattie croniche o rare. Altro progetto utile è dare un bollino ai siti in materia di salute in base alla loro affidabilità» propone Magrini. Anche perché il passo successivo, dopo averli informati, sarebbe creare le condizioni perché siano i cittadini a orientare la ricerca medica, come avviene in altri paesi. Un esempio: nel momento in cui nuovi e costosi farmaci (come quelli biologici anticancro) arrivano sul mercato, a decidere come usarli, insieme agli esperti, sono persone comuni, magari malati. Iniziative del genere sono in Italia l'eccezione, forse dovrebbero diventare la regola. «Siamo a zero su questo punto. Si immagina che gli esperti sappiano cosa fare e ci si fida in modo acritico di come viene fatta la ricerca, vengono stabilite le priorità, assegnati i finanziamenti» osserva Alessandro Liberati, responsabile del Centro Cochrane italiano, che valuta l'efficacia degli interventi sanitari. A fine novembre, alla riunione annuale del Centro presso l'Istituto Mario Negri di Milano, si discuterà proprio di trasparenza della ricerca e partecipazione dei cittadini. www.cirb.it www.partecipasalute.it www.attentiallebufale.it www.jameslindlibrary.org ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 8 novembre ’07 GARA SISAR, PROFUMO DI CASO SAATCHI Il centrodestra: la Regione annulli tutto, l'appalto è irregolare L'opposizione in Consiglio regionale contesta la recente aggiudicazione dell'appalto Sisar: gara irregolare, la Regione annulli tutto. Sembra un film già visto, purtroppo. Il caso Saatchi è ancora decisamente di attualità e un'altra gara d'appalto - secondo il centrodestra sardo - ha la stessa sceneggiatura, ma con un finale differente. Allora la Regione decise di cancellare la pellicola e di ricominciare le riprese . Questa volta, documenti ufficiali alla mano, la gara per l'informatizzazione della sanità si era bruscamente fermata, con l'annullamento sui titoli di cosa per questo chiacchierato procedimento. Ma il colpo di scena, con la decisione della dirigente responsabile di individuare un vincitore e chiudere la gara (il 26 settembre) ha stupito anche gli osservatori più attenti. Soprattutto quelli schierati all'opposizione, che gridano allo scandalo, chiamando in causa il presidente della Regione, l'assessore alla Sanità e la dirigente che ha sancito la felice chiusura della gara per l'accoppiata Engineering-Telecom Italia. «Vogliamo che torni a lavorare la commissione di inchiesta del Consiglio», dichiara un folto gruppo di consiglieri, «se non avremo soddisfazione in Aula». Ieri è stata presentata una mozione urgente sulla vicenda, con la richiesta di convocazione urgente del Consiglio. «PAROLA ALLA PROCURA L'appalto è da 20 milioni di euro, si gareggiava per aggiudicarsi l'affidamento del sistema informativo dell'assessorato alla Sanità. «C'è nuovo lavoro per il procuratore aggiunto Mario Marchetti», ha detto Roberto Capelli (Udc), che ha elaborato una mozione dettagliata sul caso Sisar, così come fece a più riprese per la gara della pubblicità regionale. Il consigliere nuorese collega il licenziamento del direttore generale dell'assessorato, Mariano Girau (clamoroso il suo sfogo sull'Unione del 18 febbraio scorso) al finale tormentato della gara Sisar: «Il 26 luglio il consulente dell'assessorato, l'avvocato Giuseppe Macciotta, consegna un parere nel quale consiglia l'amministrazione ad avviare il procedimento di annullamento d'ufficio». Francesca Pia Atzei, dirigente responsabile della gara, fa scattare l'annullamento comunicando ufficialmente alle società concorrenti l'intenzione della Regione. «Un successivo parere dello stesso legale conferma le prime perplessità», dice Capelli, «ma a una sua frase, "con riferimento alla gran parte dei vizi rilevati... sussitono concorrenti orientamenti giurisprudenziali difformi" la Regione si appiglia e - prosegue Capelli - assegna la gara proprio alla società di cui già si parlava». Il consigliere si corregge subito dopo: «Non la Regione, ma Soru, è lui che riapre i giochi». LA MOZIONE Con il consigliere dell'Udc, si schierano Pierpaolo Vargiu (Riformatori), Ignazio Artizzu (An), Giorgio La Spisa (FI), Raffaele Farigu (Nuovo Psi) e SIlvestro Ladu (FP), ma la mozione è firmata praticamente da tutto il centrodestra. Nel documento si chiede al presidente Soru e all'assessore Dirindin di riferire in Consiglio se nel procedimento «sussitano molteplici violazioni della normativa sugli appalti pubblici e sui principi di trasparenza e imparzialità della pubblica amministrazione». Ancora: si chiede di «annullare la gara, in base all'articolo 21 della legge regionale 31 del '98, per illegittimità della procedura e interesse pubblico all'annullamento della stessa». Il centrodestra chiede inoltre di sapere «le ragioni per cui Mariano Girau, ex direttore della Sanità, aveva reso quelle pesanti dichiarazioni». E di chiarire come mai ci si rivolga a professionisti esterni «nonostante la Regione sia dotata di un apposito ufficio legale». ENRICO PILIA GARA SISAR (appalto Sanita')NUOVO CASO GIUDIZIARIO NELLA DENUNCIA DEL CENTRODESTRA. il testo della mozione GARA SISAR (appalto Sanita')NUOVO CASO GIUDIZIARIO NELLA DENUNCIA DEL CENTRODESTRA "Sara' un'ulteriore scocciatura per il pm Marchetti". Il consigliere dell'Udc Roberto Capelli ha presentato cosi', in una conferenza stampa a Cagliari, la mozione con cui 30 esponenti di opposizione in Consiglio regionale denunciano pesanti irregolarita' nella gestione della gara d'appalto Sisar da 24 milioni di euro per l'informatizzazione della sanita' sarda. Affiancato da tutti i capigruppo di minoranza, Capelli, primo firmatario del documento, ha contestato i criteri seguiti per l'assegnazione del bando formalmente aggiudicato, lo scorso 26 settembre, all'associazione temporanea di imprese costituita fra le societa' Engineering e Telecom Italia spa. "Ottanta punti sono stati assegnati in base all'offerta tecnica, 20 punti in base a quella economica. Il problema", ha spiegato il consigliere dell'Udc, "e' che gli 80 punti sono stati assegnati senza che venissero prima definiti i criteri per addivenire a una valutazione tecnica, lasciando quindi massima discrezionalita' per l'affidamento. Stando cosi' le cose, e' evidente che gia' prima che iniziasse la gara si potesse dire che Engineering avrebbe vinto la gara, come poi e' successo". Capelli ha citato, inoltre, un parere legale richiesto dal responsabile del procedimento dottor Giulio De Petra, "dirigente di una direzione della Presidenza della Regione e non dell'assessorato alla Sanita' come sarebbe stato lecito aspettarsi". Secondo quanto riportato nella mozione, la Regione ha assegnato l'incarico di fornire un parere all'avvocato Giuseppe Macciotta che, lo scorso 26 luglio, rilevo' "profili di criticita' tali da poter determinare l'annullamento della procedura, perche' non rispettosa dei principi di trasparenza ed imparzialita' che devono sempre contraddistinguere l'agire della pubblica amministrazione". Dalla lettura del parere del legale riportato nella mozione, emergono, effettivamente elementi simili a quelli ravvisati nella gestione dell'appalto per la pubblicita' istituzionale annullato dalla Regione dopo la costituzione di una commissione consiliare di inchiesta e per la quale e' in corso un'inchiesta penale. "Non si comprende dai verbali di gara", scrive Macciotta, "quale sia stato l'iter logico motivazionale seguito dalla commissione per l'attribuzione dei punteggi". Capelli ha auspicato che il Consiglio possa discutere al piu' presto la mozione preannunciando che, subito dopo la discussione, presentera' tutto il materiale raccolto in Procura. In seguito al parere fornito dall'avvocato Macciotta, secondo quanto ricostruito nella mozione, il direttore del servizio Affari generali dell'assessorato alla Sanita', Francesca Pia Atzei, ha avviato, con nota del 27 luglio scorso, alle procedure per l'annullamento della gara in via di autotutela. La dirigente ha segnalato cinque profili di illegittimita': i criteri per la valutazione delle offerte tecniche non erano presenti nel bando ma solo in un capitolato speciale; la commissione non aveva indicato i criteri motivazionali per l'attribuzione dei punteggi delle offerte tecniche e aveva modificato l'ordine prestabilito nel capitolato speciale per l'esame dei criteri di valutazione dell'offerta; l'introduzione di una formula proporzionale per l'attribuzione del punteggio alle offerte tecniche, in violazione dell'articolo 83 del codice degli appalti e della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea; infine, il bando di gara prevedeva l'attribuzione di 80 punti per il merito tecnico e di 20 punti per il prezzo. "Tale circostanza", si legge nella mozione, "finiva per rendere assolutamente irrilevante l'elemento 'prezzo' e per attribuire illogicamente valore decisivo all'offerta tecnica, la valutazione della quale rientrava nella discrezionalita' della commissione". Dopo l'avvio delle procedure per l'annullamento, e' stato richiesto un ulteriore parere legale all'avvocato Macciotta, il quale ha ribadito tutte le valutazioni espresse in precedenza rilevando "la sussistenza di concorrenti orientamenti giurisprudenziali difformi". Ciononostante, ha proseguito il consigliere dell'Udc Capelli, la gara e' stata comunque definitivamente aggiudicata all'Ati. ^^^^^^^^^^^^^^^^^^ CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA XIII LEGISLATURA MOZIONE N.____ MOZIONE CAPELLI, RANDAZZO Alberto, LA SPISA, ARTIZZU, VARGIU, LADU, FLORIS Mario, FARIGU,CHERCHI O., CAPPAI,CUCCU Franco Ignazio, MILIA, RANDAZZO Vittorio, AMADU, DIANA, LOMBARDO, GALLUS, DEDONI, MORO, SANNA Matteo, CONTU, LIORI, MURGIONI, CASSANO, RASSU, SANJUST, PILERI, PETRINI, LICANDRO, PISANO, sulla gara indetta dall'Assessorato della Sanità per l'affidamento del "Progetto Sistema Informativo Sanitario Integrato Regionale - SISaR" aggiudicata in favore dell'ATI fra Engineering s.p.a. e Telecom Italia s.pa., con richiesta di convocazione straordinaria del Consiglio ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 54 del Regolamento. *************** I sottoscritti VISTO il bando di gara per l'appalto pubblico, dell'importo di 24 milioni di euro, denominato "Progetto Sistema Informativo Sanitario Integrato Regionale - SISaR", finalizzato alla c.d. informatizzazione della sanità; PRESO atto che il medesimo appalto, il 26 settembre 2007, è stato definitivamente aggiudicato all'ATI costituita tra le società Engineering e la Telecom Italia s.p.a.; RILEVATO, peraltro, che il direttore del servizio Affari Generali dell'Assessorato della Sanità, competente ad aggiudicare definitivamente la predetta gara, aveva sollevato diversi dubbi in ordine alla legittimità e regolarità della procedura e alla correttezza dell'operato della commissione giudicatrice, il cui Presidente era il dott. Giulio De Petra; RAMMENTATO che, pertanto, il direttore generale del medesimo Assessorato della Sanità, con nota del 18 luglio 2007, ha chiesto ad un professionista esterno - avv. Giuseppe Macciotta- un parere in ordine alle problematiche sorte inerenti la suddetta gara d'appalto; VISTO il parere dell'avv. Macciotta, reso il 26 luglio 2007, nel quale sono stati ben evidenziati tutti i profili di illegittimità della procedura di gara, stante le molteplici violazioni della normativa sulle gare pubbliche e dei principi affermati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria; profili di illegittimità, questi, che hanno portato quel professionista a concludere che la gara doveva essere annullata perché "presenta profili di criticità tali da poter determinare l'annullamento della medesima procedura... perché non rispettosa dei principi di trasparenza ed imparzialità che devono sempre contraddistinguere l'agire della pubblica amministrazione" e perché "non si comprende... dai verbali di gara quale sia stato l'iter logico motivazionale seguito dalla Commissione per l'attribuzione dei punteggi" e perché, ancora, "la formula utilizzata nel capitolato per l'attribuzione del punteggio relativo all'offerta economica abbia determinato un sostanziale appiattimento dell'elemento prezzo, favorendo eccessivamente chi ha proposto il ribasso meno conveniente per l'amministrazione, che peraltro è coinciso proprio con l'aggiudicatario provvisorio". RAMMENTATO che, alla luce del predetto parere e stante la sussistenza di "profili di criticità... potenzialmente idonei ad inficiare il procedimento di aggiudicazione in esame, in considerazione dell'interesse pubblico al perseguimento dei principi di trasparenza, economicità ed imparzialità che dovevano contraddistinguere l'azione della pubblica amministrazione", il dirigente competente, con nota del 27 luglio 2007, ha dato avvio al procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela della gara stessa; SEGNALATO che, nella menzionata comunicazione di avvio del procedimento di annullamento della gara, il dirigente aveva rilevato i seguenti molteplici vizi di legittimità della gara: 1) i criteri per la valutazione delle offerte tecniche non erano presenti nel bando, ma soltanto nel capitolato speciale, non approvato contestualmente al bando. Mancava, quindi, la prova che tali criteri fossero stati stabiliti prima della presentazione della domanda di partecipazione, "come impongono l'art. 83 del codice dei contratti ed i principi di trasparenza di imparzialità,... che devono sempre contraddistinguere l'agire della pubblica amministrazione". 2) la Commissione, in violazione del medesimo art. 83 del codice degli appalti, non ha indicato i criteri motivazionali per l'attribuzione dei punteggi delle offerte tecniche "che sarebbero stati necessari ai fini della ricostruzione dell'iter logico motivazione...". 3) la Commissione ha modificato l'ordine prestabilito del capitolato speciale per l'esame dei criteri di valutazione dell'offerta, in violazione del citato art. 83 del codice degli appalti che impone che l'ordine decrescente di importanza dei criteri sia indicato fina dal bando di gara. 4) la Commissione ha introdotto una formula proporzionale per l'attribuzione del punteggio alle offerte tecniche in violazione del già menzionato art. 83 del codice degli appalti e della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che impongono, per limitare la discrezionalità della Commissione, che tali formule siano già indicate nel bando. 5) il bando di gara prevedeva l'attribuzione di 80 punti per il merito tecnico del progetto e di 20 punti per il prezzo. Tale circostanza, unitamente alla formula utilizzata per attribuire il punteggio per l'offerta economica, finiva per rendere assolutamente irrilevante l'elemento "prezzo" e attribuire illogicamente valore decisivo all'offerta tecnica, la valutazione della quale rientrava nella discrezionalità della Commissione e finiva per far sì che il prezzo non avesse nessuna rilevanza nell'ambito della procedura. PRESO ATTO che, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento per l'annullamento dell'intera procedura, sono pervenute, da parte della Commissione di gara e della società aggiudicataria provvisoria, le relative controdeduzioni; VISTO, in proposito, l'ulteriore parere rilasciato il 21 settembre 2007 dall'avv. Giuseppe Macciotta, il quale ha confermato e ribadito "tutte le valutazioni espresse dal sottoscritto nel precedente parere... le quali evidenziavano una serie di criticità relative alla modalità di svolgimento della predetta procedura che avevano consigliato, in ogni caso e a prescindere, l'apertura di un procedimento di annullamento d'ufficio...", precisando, nel contempo che le già evidenziate "criticità... non possono considerarsi ridimensionate alla luce delle controdeduzioni trasmesse sia dalla Commissione di gara che dall'aggiudicatario provvisorio..."; CONSIDERATO che, peraltro, lo stesso avv. Macciotta, nel menzionato secondo parere del 21 settembre 2007, ha rilevato, con riferimento ai vizi dal medesimo rilevati, la sussistenza di "concorrenti orientamenti giurisprudenziali difformi" relativi, tra gli altri, all'onere della commissione di stabilire i criteri motivazionali per l'attribuzione del punteggio tra il minimo ed il massimo fissati dalla lex specialis di gara ed alla introduzione, da parte della commissione, di ulteriori sub-criteri per la valutazione delle offerte; CHIARITO a tal proposito che: - l'art. 83 del codice degli appalti è chiarissimo nell'imporre alla commissione, a pena di illegittimità dell'intera procedura, di stabilire i criteri motivazionali per l'attribuzione del punteggio, al fine di eliminare in proposito ogni margine di discrezionalità alla Commissione giudicatrice, mentre, nel caso specifico, tale norma è stata palesemente violata, come ammesso sia dall'amministrazione regionale, sia dal legale della medesima; - la giurisprudenza amministrativa, con riferimento alla possibilità, o meno, per la commissione di gara, di stabilire dei sub-criteri di valutazione delle offerte tecniche ulteriori rispetto a quelli previsti nel bando, ha categoricamente escluso tale possibilità, perché vietata dall'art. 83 del codice degli appalti, laddove, nel caso della gara in questione, la commissione ha ulteriormente suddiviso gli elementi valutativi indicati nel bando; ACCERTATA, pertanto, definitivamente, la sussistenza di tutti i vizi di legittimità riscontrati dall'Assessorato della Sanità e dal professionista esterno incaricato di formulare pareri in ordine alla correttezza della gara; RILEVATO che, nonostante tutti i profili di illegittimità ribaditi dall'avv. Macciotta e condivisi dall'Assessorato alla Sanità, la gara è stata, comunque, definitivamente aggiudicata all'ATI tra le società Engineering e la Telecom Italia s.p.a.; SEGNALATO che, nel provvedimento finale di aggiudicazione, non sono state fornite le ragioni per le quali l'Assessorato alla Sanità ha determinato di aggiudicare, comunque, la gara, nonostante l'espressa ammissione dell'esistenza di violazioni della specifica normativa sul codice degli appalti, nonché dei principi di trasparenza, economicità e di imparzialità che devono sempre contraddistinguere l'azione di una pubblica amministrazione e benché fosse stata riconosciuta l'impossibilità di ricostruire l'iter logico motivazionale seguito dalla Commissione per attribuire i punteggi alle offerte tecniche; RAMMENTATE le dichiarazioni trionfalistiche -espresse sull'intervenuta aggiudicazione della gara- del Presidente della Regione e dell'Assessore alla Sanità, benchè si trattasse di un di un procedimento di gara condotto, come ammesso dallo stesso Assessorato alla Sanità e dal legale esterno incaricato, in violazione di principi cardine quali la trasparenza, l'economicità, l'imparzialità dell'azione amministrativa; EVIDENZIATO che la menzionata gara sull'informatizzazione della sanità presenta diverse similitudini con la gara relativa alla pubblicità istituzionale della Sardegna aggiudicata alla società Saatchi & Saatchi, in quanto in entrambe: - sono state riscontrate violazioni dei medesimi principi di trasparenza e di imparzialità dell'amministrazione; - i punteggi attribuiti alle offerte tecniche erano stati assegnati senza un giudizio motivazionale espresso, ma soltanto attraverso in punteggio numerico, inidoneo a dar conto delle ragioni obiettive della scelta del progetto migliore; RAMMENTATO, peraltro, che, nel caso della gara per la pubblicità istituzionale della Sardegna, il dirigente, il 7 agosto 2007, ha annullato l'intera procedura, ivi compresa l'aggiudicazione della gara intervenuta in favore della Saatchi, stante la necessità di curare l'interesse pubblico "alla tutela della parità di trattamento dei partecipanti alla gara, alla trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa e alla tutela dell'immagine dell'Amministrazione regionale", mentre il medesimo interesse pubblico non risulta essere stato tutelato nell'ambito della gara per l'informatizzazione della sanità; SEGNALATO che la gara per l'informatizzazione della sanità era stata oggetto, da subito, di numerose contestazioni e polemiche, che avevano addirittura portato alla rimozione dell'allora direttore generale dell'Assessorato alla Sanità dott. Mariano Girau; RAMMENTATO che quest'ultimo, subito dopo tale rimozione, aveva lamentato "l'estromissione delle questioni legate all'informatizzazione della sanità sarda", di avere "in diverse occasioni rappresentato problemi di legittimità" e "di aver colto una certa indifferenza ai controlli di legittimità interni", affermando di essere stato licenziato anche "perché non condizionabile" e di essere stato estromesso dalla presidenza della commissione della gara per l'informatizzazione della sanità, probabilmente, proprio per tale ragione; EVIDENZIATO, a tal proposito, che, in effetti, il presidente della commissione di gara non è stato individuato nella persona del dott. Girau, benchè direttore generale dell'Assessorato alla Sanità, che ha indetto la gara in questione, ma dal dott. De Giulio De Petra, dirigente di una direzione incardinata all'interno, non già dell'Assessorato della Sanità, bensì della Presidenza della Regione; SEGNALATO, invece, che, nel caso della gara per la pubblicità istituzionale della Sardegna, quale presidente della commissione, era stato nominato il dott. Fulvio Dettori, direttore generale della Presidenza che aveva indetto quella gara, con la conseguenza che non risulta comprensibile perché, con riferimento alla gara per l'informatizzazione della sanità, non sia stato utilizzato lo stesso criterio di nomina del presidente della commissione e non sia stato quindi nominato, quale presidente della commissione, il direttore generale della Sanità, bensì un altro dirigente, a meno che non sfugga la conoscenza di una norma che impone che, per determinate gare, i presidenti delle commissione giudicatrici devono essere scelti tra i dirigenti della Presidenza della Regione; RILEVATA, comunque, la illegittima composizione della commissione giudicatrice nella gara per l'informatizzazione della sanità, in quanto i relativi membri esterni non risultano essere stati scelti seguendo il procedimento previsto dall'art. 84, 8° comma, del codice degli appalti; RITENUTO, alla luce di quanto sopra, che sussistano tutti i presupposti per l'annullamento dell'intera procedura in quanto: - sono state riscontrate, sia dall'Assessorato alla Sanità, sia dal legale incaricato dal medesimo Assessorato di valutare la correttezza della procedura di gara, molteplici violazioni della normativa in materia di appalti pubblici e dei principi di trasparenza, economicità, ed imparzialità dell'azione amministrativa; - sussiste l'interesse pubblico all'annullamento di tale gara, a tutela dei sopra richiamati principi (rispetto ai quali l'interesse meramente economico del privato deve senz'altro recedere), nonché a tutela dell'immagine della medesima amministrazione regionale. Principi, questi, la cui violazione ha portato il dirigente responsabile della gara sulla pubblicità istituzionale della Sardegna ad annullare quella procedura; - l'interesse pubblico all'annullamento della gara è ancora maggiore se si considera il riscontrato vizio di legittimità rappresentato dal fatto che il sistema di attribuzione del punteggio relativo alle offerte economiche rendeva pressochè irrilevante, ai fini dell'aggiudicazione della gara, l'elemento "prezzo", con la conseguenza che è risultato favorito il concorrente che ha proposto il prezzo meno conveniente per l'amministrazione; impegnano il Presidente della Regione e l'Assessore dell'Igiene e Sanità e dell'Assistenza Sociale - a riferire al Consiglio regionale, se, effettivamente, come sembrerebbe risultare dagli atti e provvedimenti sopra menzionati, sussistono le molteplici violazioni della normativa sugli appalti pubblici e sui principi di trasparenza, economicità ed imparzialità della pubblica amministrazione, valutazioni queste che competono loro al fine di potere esercitare il potere di annullamento d'ufficio di cui all'art. 21, 8° comma, della legge regionale n. 31 del 1998, ; - ad annullare, di conseguenza, in base all'art. 21, 8° comma, della legge regionale n. 31 del 1998, la gara di cui sopra, sussistendo, oltre che il presupposto della illegittimità della procedura, anche l'interesse pubblico all'annullamento della medesima; - se sono a conoscenza delle ragioni per le quali l'ex direttore generale dell'Assessorato alla Sanità dott. Girau ha reso le sopra riportate dichiarazioni; - a chiarire le ragioni per le quali, nonostante la Regione Sardegna sia dotata di un apposito Ufficio Legale, la medesima Regione si avvalga sempre meno spesso dei numerosi avvocati interni, ricorrendo, come nel caso della gara in questione, a legali esterni, con conseguente sperpero di risorse pubbliche; - se esiste una norma che impone, in certi tipi di gare, e segnatamente in quelle oltre un certo importo o che siano ritenute strategiche per l'amministrazione regionale, che la presidenza delle commissione giudicatrici sia affidata a dirigenti della Presidenza della Regione. Cagliari, 5 novembre 2007 Firmato ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 novembre ’07 SSTRINITA’:CARO MINISTRO, VENGA A SALVARE I MATTI I sindacati: «Una situazione inaccettabile che va risolta» L'Ugl (Unione generale del lavoro) fa una radiografia disarmante del reparto di Psichiatria del Santissima Trinità e chiede un intervento urgente del ministro della Salute Livia Turco. I sindacati cagliaritani lo denunciano da mesi: il reparto di Psichiatria del Santissima Trinità è nel caos. Morti sospette sotto la lente della magistratura, aggressioni a medici e infermieri, tentativi di suicidio da parte dei pazienti sono vicende che hanno fatto raggiungere il livello di guardia. Per non parlare dei rapporti tra lavoratori e vertici dell'Azienda sanitaria: un disastro, secondo i rappresentanti sindacali. Sul banco degli imputati l'assessore alla Sanità e il direttore generale della Asl 8. Ora la protesta si sposta a Roma, sul tavolo del ministro della Salute, Livia Turco. Con una lettera inviata al ministero, al presidente della Regione, al direttore generale della Asl 8 e agli assessori regionali alle Politiche sociali, alla Sanità e al Lavoro l'Ugl (Unione generale del lavoro) fa una radiografia del reparto di Is Mirrionis. Per Rosa Roccatani (segretaria nazionale) in Psichiatria non funziona niente, per questo «quanto accade a Cagliari merita un pronto e autorevole intervento del ministro, affinché un servizio così delicato e importante trovi un adeguato sostegno per i pazienti e per le famiglie, senza causare l'attuale forte sconcerto della collettività e degli operatori. La disorganizzazione del lavoro e la mancanza di personale hanno portato oramai alla sola copertura del servizio di urgenza». LA RADIOGRAFIA Come più volte denunciato dall'Unione Sarda il reparto di Psichiatria soffre una situazione drammatica. E proprio dall'indagine del nostro giornale prende spunto la richiesta d'intervento fatta al ministro Turco. «A Is Mirrionis emerge una situazione paradossale e gravissima, che non rispetta la dignità professionale degli operatori sanitari e non tiene conto dei malati affetti da patologie psichiche. Spesso medici e infermieri che operano in emergenza, subiscono aggressioni in modo continuativo da parte di pazienti psichici senza nessuna tutela e senza nessuna prevenzione (negli ultimi 6 mesi ben 12 vittime). Un episodio gravissimo è stato un tentato suicidio di una giovane di appena 19 anni senza che gli organi competenti ne prendessero atto». LA RICHIESTA Rosa Roccatani focalizza nella mancanza di personale e nello scarso riscontro alle proteste tutti i problemi del reparto. Il sindacato chiede un confronto immediato «affinché i responsabili possano meglio comprendere le difficoltà operative degli addetti e assumere misure di salvaguardia, non solo per gli operatori, ma anche per i pazienti che inconsapevolmente creano disagi alla collettività». I NUMERI La responsabile nazionale del sindacato evidenzia «le carenze strutturali, organiche e di sovraffollamento di pazienti» e riscontra «che l'unico Spdc (servizio psichiatrico di diagnosi e cura), presente sul territorio, a fronte di un'esigenza di 54 posti letto (standard nazionale, un posto letto ogni 10 mila abitanti) ne è dotato di 27 (già in sovraccarico insostenibile poiché per legge il limite massimo consentito è di 16 posti letto per ogni singola struttura)». Una situazione inaccettabile per Rosa Roccatani che al ministro Livia Turco rimarca «come un solo modulo di 27 posti letto sia illogico e inappropriato. Il territorio di Cagliari necessita di almeno tre Spdc dislocati in strutture diverse e indipendenti con massimo di 16 posti letto ciascuno, con un relativo organico di ognuno di loro di: 1 direttore, 7 medici psichiatrici, 1 psicologo, 1 assistente sociale 24 infermieri, 6 ausiliari». LA CRITICA Per l'Ugl la situazione dell'ospedale cagliaritano è addirittura fuorilegge. «La Giunta regionale, anziché ragionevolmente protendersi alla tutela dei pazienti e degli operatori, ampliando il numero di posti letto con l'istituzione di almeno un secondo modulo di 16 posti letto, a fronte dei 3 previsti per legge, s'inventa di strutturare il Csm (Centro salute mentale) secondo il modello "nelle 24 ore". Iniziativa questa che non trova riscontro in nessuna delle leggi vigenti in Italia, tanto meno lo trova nei due Progetti obiettivo nazionali». Dopo le dimissioni poi scoppia l'altra grana: «Il paziente non trova sul territorio ne l'assistenza del Dsm (Dipartimento salute mentale) ma neanche altre strutture residenziali protette e finisce per essere ricoverato ripetutamente al Servizio Spdc che di fatto finisce per essere un piccolo manicomio coattivo». ANDREA ARTIZZU ___________________________________________________________ La Repubblica 8 novembre ’07 WORLD TOILET SUMMIT: SFORZI D'IGIENE GLOBALE E LOCALE Acqua, fogne e Wc per la sanità mondiale Al World Toilet Summit, in India, esperti di Salute pubblica ed epidemiologi rilanciano l'obiettivo Onu su servizi adeguati entro il 2025 di Johann Rossi Mason Forse non tutti ricordano che il balzo in avanti nell'aspettativa di vita si è verificato quando alcune deduzioni su semplici regole igieniche hanno permesso di limitare il contatto con germi e batteri, processi di disinfezione delle acque con il cloro, abitudine a lavarsi le mani, introduzione degli antibiotici. E se nei paesi in via di sviluppo ci si ammala di patologie ormai debellate da tempo in Occidente una delle ragioni risiede proprio nelle scarse misure sanitarie: dalla scarsa presenza di acqua, men che meno potabile, all'assenza di servizi igienici. Esperti di igiene e sanità si sono riuniti ad inizio novembre a Nuova Delhi per il settimo World Toilet Summit, che anticipa il 2008, Anno Internazionale dell'Igiene. L'obiettivo? Quello di fornire servizi igienici adeguati a tutti entro il 2025, uno degli Obiettivi del Millennio stabiliti dall'Onu. Ma è prioritario anche l'aumentare il numero di persone che può accedere a fonti di acqua potabile entro il 2015. Nonostante possa sembrare incredibile, si è detto al Summit, 2,6 miliardi di persone (ma l'OMS parla di 2,4 miliardi: poco meno di un miliardo di bambini), nel mondo non hanno servizi igienici, né bagni con acqua corrente, né tantomeno toilette e la metà di essi vive in Cina e in India. Non a caso, quindi, la scelta della sede del Summit. Spiega Lucia Bonadonna, del Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS): "Nei paesi in via di sviluppo il 90% dei liquami e il 70% dei rifiuti industriali vengono smaltiti senza ricevere alcun trattamento, spesso contaminando i suoli e inquinando le fonti d'acqua. Più di 2 milioni di persone muoiono ogni anno a causa di malattie associate a condizioni sanitarie insufficienti e quasi mezzo milione di bambini di etaà inferiore ai 5 anni è morto per malattie diarroiche tra il 1995 e il 2000" In queste regioni del mondo le persone usano, per i loro bisogni fisiologici, contenitori aperti come secchi e fosse nella terra, spesso scavate e richiuse a mani nude, dove vengono depositate le deiezioni. In altri casi le feci sono gettate direttamente nella spazzatura, le deiezioni liquide rimangono a cielo aperto, scorrendo in canali di scolo che viaggiano lungo le strade, nelle zone rurali si ricorre ai campi. Metodi che comprensibilmente favoriscono la diffusione di pericolosi patogeni e malattie intestinali, in condizioni di denutrizione e cattivo stato di salute generale. "Questo metodo provoca la morte di 6000 bambini al giorno per malattie evitabili. Nei paesi industrializzati le acque di scarico che contengono patogeni pericolosi per la salute umana sono raccolte e sottoposte ad opportuni trattamenti di sanitizzazione. Anche perché gli inquinanti possono infiltrarsi nei terreni, raggiungere le falde acquifere sotterranee e contaminare le acque potabili, una risorsa già scarsa in certi paesi", aggiunge l'esperta ISS. Nonostante questa pratica sia vietata per migliaia di persone è ancora in uso per la mancanza di una vera rete fognaria. Al Summit, quindi, sono state valutate nuove e più economiche tecnologie a basso impatto ambientale. "Oltra alla contaminazione "sotterranea" esiste un vero e proprio rischio di trasmissione per via fecale orale, perché in questi paesi mancano le più semplici regole di igiene", prosegue la dottoressa Bonadonna, "e spesso anche i cibi sono trasportati e conservati negli stessi contenitori che trasportano le deiezioni. Il rischio di contrarre pericolose infezioni enteriche è legato alla contaminazione oro-fecale". Si tratta di un argomento di cui anche i politici hanno una certa riluttanza a parlare, è imbarazzante, certo, ma l'urgenza è stretta anche perché sono proprio i bambini a pagare il prezzo più alto in termini di mortalità, morbilità, malnutrizione, povertà. Bambine e ragazze rimangono escluse dalla possibilità di una istruzione scolastica perché non esistono servizi igienici dignitosi e soprattutto sicuri. Insieme all'uso dei servizi igienici l'acqua corrente nelle case potrebbe incentivare l'abitudine a lavarsi le mani, ignota proprio perché mancano i più semplici strumenti per metterla in atto. Ma le rivoluzioni non si compiono in un giorno, non a caso 1 miliardo di persone ha guadagnato l'accesso a servizi igienico-sanitari adeguati solo negli ultimi 14 anni. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 novembre ’07 FARMACIE. SI RISCHIA LA «FASCIA C» A PAGAMENTO La minaccia di Federfarma: disdetta al Servizio sanitario Sara Todaro ROMA Nuova durissima levata di scudi delle farmacie private contro le liberalizzazioni volute dal ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani. Se non ci saranno prestissimo risposte soddisfacenti sull'abolizione della norma che abilita anche le parafarmacie alla vendita dei farmaci «C» (a totale carico dei cittadini) con obbligo di ricetta, contenuta nel Ddl all'esame del Senato, Federfarma ha annunciato ieri che considererà disdetta la convenzione con il Ssn e da lunedì 19 novembre i cittadini potrebbero essere costretti a pagare i farmaci. L'affondo dei farmacisti è giunto al termine di una conferenza stampa congiunta con cui Fofi (Ordini), Federfarma e Assofarm (comunali) hanno illustrato le conclusioni raggiunte al Tavolo tecnico della Salute, cui partecipava anche lo Sviluppo: un pacchetto di misure alternativo alla «ristrutturazione del sistema a colpi di emendamenti» che consentirebbe l'apertura a stretto giro di oltre 2mila farmacie, portando a quasi 20mila la rete dei presidi (+20%). «Il ministro della Salute, Livia Turco, ha apprezzato le proposte del tavolo ma qualcuno all'interno del Governo sembra volere una deregolamentazione selvaggia», ha avvertito il presidente Federfarma, Giorgio Siri, annunciando per giovedì prossimo l'assemblea nazionale dei privati che in assenza di risposte soddisfacenti sancirà la rottura dei rapporti con il Ssn. Nessun commento dalla Salute. L'avviso non è però piaciuto al ministro Bersani: «Non voglio fare polemiche - ha detto - ma creare disagi così rilevanti solo per far pressione sul Parlamento che sta liberamente discutendo una norma è una cosa molto seria sulla quale spero si rifletta». Toni assai più accesi dalle sigle dei consumatori, che hanno invitato ministri e Parlamento a «respingere un aut- aut inaccettabile»; i Liberi farmacisti (non titolari) hanno parlato di «ricatto al Paese», candidandosi a sostiture in tutto e per tutto le farmacie. E attacca anche Federanziani: «Gravi le conseguenze per gli anziani». È nel Ddl, per le farmacie, che dovrebbe approdare come emendamento il pacchetto di proposte: riduzione del rapporto farmacie-abitanti, con quorum unico a 3.800 abitanti; aumento del numero di farmacie, anche in aeroporti e centri commerciali; regole più snelle per i concorsi; flessibilità d'orario in linea con le richieste dell'Antitrust; l'aumento - a cura dell'Aifa - del numero dei farmaci (di uso consolidato) senza obbligo di ricetta. Aperture inevitabili: «La deregolamentazione selvaggia comporterebbe lo smantellamento del sistema», ha dichiarato il presidente Fofi (ordini), Giacomo Leopardi: «Le farmacie rischierebbero di non riuscire più a garantire neanche le prestazioni attuali», ha aggiunto Venanzio Gizzi, presidente Assofarm. Positivo intanto il giudizio di Farmindustria: «un Passo avanti per un servizio più moderno». I NUMERI 17.524 La rete Totale farmacie presenti sul territorio nazionale 16.112 I privati Il numero di farmacie private 1.412 Le strutture pubbliche Le farmacie pubbliche 22,5 Il giro d'affari Il fatturato totale in miliardi _______________________________________________________________ Corriere della Sera 6 nov. ’07 C'È UN VIRUS DIETRO LA SCLEROSI MULTIPLA E' lo stesso della «malattia del bacio» MILANO - Il virus di Epstein Barr sarebbe la causa principale della sclerosi multipla. L'innesco per la bomba a tempo che colpisce attualmente 54 mila italiani e che va al ritmo di 1.800 nuovi casi all'anno. Per dare un'idea di quale virus si tratti, la più comune malattia riconducibile ad Epstein Barr è la mononucleosi o «malattia del bacio», perché la saliva è veicolo di trasmissione. Il virus convive con l'uomo (è presente nel 90% della popolazione) senza fare danni. Questo è l’identikit del nemico, da ieri ancora più ricercato perché uno studio italiano ha dimostrato che è l'indiziato numero uno per la sclerosi multipla. Riuscendo a superare la linea difensiva che separa l'organismo dal sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale), innesca quella reazione difensiva che va a minare anche la guaina protettiva dei nervi (mielina). Il danno infiammatorio diventa via via irreversibile, fino alla paralisi completa. Insomma la sclerosi multipla. La ricerca, condotta dal Dipartimento di Biologia cellulare e Neuroscienze dell'Istituto superiore di Sanità (Roma), è pubblicata dalla rivista americana The Journal of Experimental Medicine. Francesca Aloisi, neuroimmunologa di fama internazionale, e Barbara Serafini con la loro équipe sono riuscite (importante la metodica adottata) a mostrare la relazione causale tra la presenza del virus e la risposta infiammatoria nelle lesioni cerebrali (placche) tipiche della sclerosi. Il lavoro è stato effettuato su materiale autoptico di 22 malati. «Da tempo si ipotizzava una correlazione tra infezioni virali e sclerosi multipla - commenta Renato Mantegazza, neuroimmunologo del Besta di Milano - ma ora è stata dimostrata». II futuro? Risponde Mantegazza: «Si può studiare come agire sul virus per prevenire o per fermare la malattia. Ma anche come bloccare soltanto le cellule difensive innescate dal virus e che sono poi la causa della reazione infiammatoria autoimmune». Mario Pappagallo SCLEROSI MULTIPLA Secondo uno studio Italiano il virus di Epsteln Barr è responsabile della sclerosi multipla. La malattia più nota legata a questo virus è quella del bacio Le cellule del sistema immunitario attaccano i neuroni. Vengono colpite le cellule che costituiscono la guaina (mielina) intorno alle fibre nervose nel cervello e nel midollo spinale La mielina danneggiata lascia cicatrici chiamate placche I segnali nervosi rallentati o bloccati sono sintomi della sclerosi multipla TRATTAMENTO Non esistono cure conosciute per la sclerosi multipla. Medicinali e terapie LA MALATTIA Disfunzioni Colpisce oltre 2 milioni di persone della vescica nel mondo, 54 mila in Italia. Colpisce due volte più le donne degli uomini. Diffusa tra le persone originarie del nord Europa. In Italia, la Sardegna è un'area ad alta incidenza Perdita della sensibilità sessuale Difficoltà - nel camminare, fino alla paralisi Fonte: Afp/Harvard/NMSAIMavoClinic Mielina sana I SINTOMI PIU' COMUNI Impoverimento di vista e memoria Perdita - dell'equilibrio Difficoltà - di linguaggio _______________________________________________________________ MF 6 nov. ’07 EPATITE, B ALLE CORDE Medicina Nuovi studi su una molecola che riduce la riproduzione virale Il 99% dei pazienti trattati con il farmaco non sviluppa resistenza e nel 91 % dei casi il virus non è più rilevabile di Cristina Clmato Chiude i battenti stasera il 58° congresso organizzato n dall’American Association for the study of the liver che ha luogo a Boston e che ha radunato oltre 6 mila esperti da tutto il mondo. Durante le sessioni del congresso sono stati presentati studi recenti su una molecola che ha avuto l’approvazione nel 2005 dalla Fda e nel 2006 dall'Emea per la cura dell'epatite B. Gli effetti di entecavir sono stati analizzati per quattro anni su oltre 300 pazienti malati di epatite e da questi studi è emerso che il 99% di coloro che sono stati trattati con questo farmaco in grado di inibire la replicazione del virus non hanno sviluppata farmaco resistenze e nel 91% dei casi il virus non è stato rilevabile. La malattia infettiva, che rappresenta una delle prime cause di insorgenza del tumore al fegato, è causata da un virus trasmissibile mediante contatto con sangue o fluidi, tramite rapporti sessuali, scambio di siringhe o da madre a figlio durante la gravidanza. Il primo trattamento utilizzato all'insorgenza della malattia è a base di antivirali, che sono in grado dì bloccare la progressione della malattia. Nonostante i buoni effetti di questi farmaci in uno studio randomizzato condotto su 65 pazienti con epatite B cronica mai trattati prima dì allora con antivirali entecavir si è dimostrato più efficace. La sperimentazione ha mostrato come la nuova molecola abbia indotto una riduzione più marcata della carica virale dopo 12 e 24 settimane di trattamento rispetto a coloro che avevano ricevuto l'antivirale. Nel 45% dei pazienti a cui era stato somministrato entecavir non si sono rilevati livelli di carica virale contro il 13% di quelli curati con antivirale. «A oltre quattro anni dalle prime somministrazioni», ha commentato Antonio Craxi, professore di medicina interna e gastroenterologia dell'Università di Palermo,