RICERCA È VERO DECLINO - QUANDO I FONDI PER LA RICERCA VANNO A CHI LI MERITA - LUZZATO: L'UNIVERSITÀ ALL'IMPASSE DELL'AUTO-RIFORMA - CERVELLI, LA SECONDA FUGA SU 466 SI FERMANO IN 45 - DOCENTI DI ECONOMIA NEL MONDO, PRIMI GLI ITALIANI - I NUOVI PAPERONI? LAVORANO IN UNIVERSITÀ - I RETTORI FANNO RICORSO CONTRO MUSSI - BIOETICA SENZA GENETISTI - SAPIENZA, FRATI RIELETTO PRESIDE È AL SETTIMO MANDATO A MEDICINA - PERCHÉ UMANISTI E SCIENZIATI NON SI CAPISCONO - ORIENTAMENTO: UNIVERSITÀ, ECCO COME TI VORREI - MUSSI: FRATI? PRIMO CASO DI ELEZIONE PREVENTIVA - SENZA SCIENZA I POLITICI SONO CIECHI - DONNE E ICT, BINOMIO CONVENIENTE - UN MATEMATICO DI POLIGMANO «RIVOLUZIONA» IL CONCETTO DI EQUAZIONE - NUORO E UNIVERSITÀ, I TAGLI SONO CONFERMATI - La7: MISTRETTOPOLI BATTE OGNI RECORD: “IO, COME IL PAPA E NAPOLITANO” - LA CURIOSITÀ CONTA PIÙ DELL' ETÀ - RETTORE, L’AUMENTO È STATO UN COLPO BASSO - UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: PAGA DI PIÙ CHI NON STUDIA - SOTGIU: TASSE GIUSTE MA SERVONO CORRETTIVI - L’ESERCITO DI STUDENTI MASTER AND BACK - LAUREA, RISCATTO SENZA INTERESSI - ======================================================= BONCINELLI: LA LEGGE DI DARWIN E IL PESO DELLA CASUALITÀ - MANDELBROT: NUVOLE E FOGLIE, COSÌ IL «CAOS» PUÒ AIUTARE LA MEDICINA - E IL CAMICE BIANCO VA IN RETE - SANITÀ, RESPINTO L’ATTACCO DELLA CDL SU SISAR - MEDICINA: ALTRO COLPO ALLA MERITOCRAZIA - PIÙ SOLDI ALLA SANITÀ E VIA IL TICKET - POLICLINICO: CHIRURGIA PEDIATRICA «SUBITO UN REPARTO PER I BAMBINI SARDI - DALLA FAVERA: IL CANCRO HA MILLE FORME DIVERSE. LA SFIDA? CURE PERSONALIZZATE - NASCE IL PRIMO CENTRO DI RICERCA GESTITO E FINANZIATO DAI PAZIENTI - MAPPATO IL DNA DELLA FOROFORA - TUMORE AL SENO SI SVILUPPA NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO - DIABETE, ORA INTERVIENE IL CHIRURGO - POLICLINICO. ANATOMIA PATOLOGICA CHIUSA: POLEMICHE - ======================================================= ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 nov. ’07 RICERCA È VERO DECLINO Per l'erogazione dei fondi devono contare il valore dei singoli scienziati e dei loro progetti L'Italia non segue questi criteri e non promuove l'eccellenza universitaria. La pagherà cara In occasione della Giornata per la ricerca sui cancro, nell'ambito degli incontri con i giovani di scienziati e uomini cultura, il nostro collaboratore Salvatore Settis ha tenuto ieri a Pisa un discorso sulla ricerca di cui qui pubblichiamo uno stralcio. di Salvatore Settis La ricerca sul cancro, che nessuno ha saputo promuovere con l’energia e l'intelligenza di Umberto Veronesi, ci riguarda tutti da vicino. Ma essa non raggiungerà mai i risultati che vorremmo se resterà un'isola, se cioè non si svilupperà entro un contesto capace di porre al centro dell'attenzione i grandi temi della ricerca di base oggi (richiamati in dichiarazioni recentissime di leader politici, da Sarkozy a Hu Jintao): la centralità del merito, la competizione internazionale, l'intimo nesso con la formazione universitaria. Qualche esempio: la Germania ha stanziato quest'anno due miliardi di euro per una propria «iniziativa dell'eccellenza», destinandoli a un piccolo numero di università di élite (da cinque a otto) che possano dimostrare di avere sviluppato progetti di altissimo profilo, e di avere al proprio interno scuole di specializzazione e ricerca post-laurea, ma anche «cluster di eccellenza», cioè reti fra vari dipartimenti e centri di ricerca finalizzati a ricerche d'avanguardia di forte impostazione interdisciplinare. La selezione, appena completata, è stata affidata a comitati scientifici internazionali di alta qualificazione, in uno spirito di fortissima concorrenzialità. In Francia, patria delle Grandes Écoles, è in atto una vivace discussione sul loro futuro. Un libro di Pierre Veltz (Faut-il sauver les grandes écoles?), appena pubblicato da Sciences Po, una Scuola che ha saputo reinventare se stessa, riflette la complessità del quadro. Alcune Grandes Écoles, specialmente l’École Normale Supérieure, hanno mantenuto un forte tasso di ricerca nella formazione dei propri allievi, ma questo non è il caso nelle Scuole di ingegneria, come l’École des Mines (che dipende dal ministero dell'Industria) o l’École Polytechnique (che dipende dalla Difesa): qui il processo di formazione è sempre più tecnocratico, la ricerca resta marginale, gli allievi selezionati dai severi concorsi di ammissione sempre più provengono dagli strati elitari, perpetuandone il privilegio, mentre lo spirito delle "Grandi Scuole" deve essere egualitario e democratico. Insomma, il sistema è in crisi, ma la crisi è avvertita, e dunque i rimedi si cercheranno e si troveranno. Si muove anche l'Europa. È ormai in funzione il nuovo Consiglio Europeo delle Ricerche, che distribuirà sette miliardi e mezzo di euro a studiosi di ogni nazionalità che, intendano stabilire il proprio centro di ricerca in uno dei paesi dell'Unione. Studiosi di alta qualificazione raccolti in panels disciplinari scelgono i migliori progetti (i risultati del primo bando saranno noti tra poche settimane) sulla base di un solo criterio: il talento dei singoli ricercatori, la qualità e il merito dei loro progetti di ricerca. Per la prima volta, niente quote nazionali, niente associazioni forzate fra centri di ricerca di vari Paesi, nessuna priorità alla ricerca applicata rispetto alla ricerca di base. Infine, un terzo dei fondi è riservato ai giovani (entro il nono anno dal PhD), con lo scopo che il grant loro assegnato (fino a due milioni di euro) ne acceleri e favorisca la carriera. Di fronte a tanto fermento, la situazione in Italia è stagnante: persistente blocco delle carriere per i giovani, calo dei fondi di ricerca, la casta docente più vecchia d'Europa, incombenti minacce di assunzioni ope legis per anzianità, anziché mediante competizioni basate sul merito. Il tema della qualità e della competitività nell'università e nella ricerca è marginalizzato nell'attenzione politica e nel discorso pubblico per una serie di fattori concomitanti: scarsezza congenita dei fondi, uno sciatto populismo che deprezza il merito a vantaggio della mediocrità, la mancanza di chiari indirizzi progettuali sulla ricerca che sembra accomunare ministri di destra e di sinistra. Il più noto meccanismo di rating delle università, quello dell'università Jiao Tong di Shanghai, vede solo due atenei italiani (la Normale di Pisa e la Sissa di Trieste) fra le prime venti università del mondo per rapporto fra dimensioni e qualità; quelle che seguono sono Milano Statale, Pisa e Padova (classificate al 215°, 261°e 278°posto); la classifica, che comprende le prime 500 università del mondo, ne esclude in Italia ben sessanta (su ottanta). Si sa che questi ratings non vanno presi alla lettera: ma questo emergere in Italia di due scuole d'eccellenza come Normale e Sissa ha un significato qualitativo che non può sfuggire a nessuno: ebbene, in coincidenza con questo risultato il Ministero ha tagliato i fondi a queste due Scuole in misura superiore a quella delle università nemmeno incluse nello Shanghai Ranking. Un bel caso di virtù punita. L'Italia è dunque in declino, in questo campo e non solo. Lo sostengono con dovizia di argomenti Pietro Greco e Settimo Termini (Contro il declino. Una modesta proposta per un rilancio della competitività economica e dello sviluppo culturale dell'Italia, ed. Codice; 2007). Siamo nel G8 dell'economia, ma non entriamo nel GS della ricerca, dicono gli autori: e infatti guadagniamo il 15% in più dei coreani e spendiamo in ricerca la metà. Il nostro magro 1,1% del Pil e un terzo rispetto a Usa e Giappone, metà rispetto alla media dei paesi dell'Unione Europea. Il numero dei ricercatori cresce costantemente in Europa (in Finlandia, i8 su 1.000 abitanti), decresce in Italia 2 su 1.000). Eppure, i ricercatori italiani sono tra i più bravi e produttivi del mondo: se essi non riescono a trainare l'Italia nella società della conoscenza, è per carenza di investimenti in ricerca delle imprese (sostengono Greco e Termini), ma anche per il mancato riconoscimento del merito come fattore cardine della competitività, avvilito da un fallimentare sessantottismo di maniera. Come ha scritto Marcello De Cecco, il rilancio dell'economia tedesca (+ 3% annuo negli ultimi due anni) è dovuto al convergere di due fattori: il rilancio di una politica pubblica della scienza e della ricerca e una leadership industriale che ha deciso di puntare sulla qualità. Il confronto fra due dati di questo anno 2007 è parlante: in Germania due miliardi di euro in più per gli atenei di eccellenza, in Italia tagli indiscriminati a tutti, anche alle poche, piccole ma prestigiose Scuole che sono ai vertici delle classifiche mondiali. In Germania una politica degli occhi aperti sul futuro; in Italia, a quel che sembra, un'inerte fiducia nello sviluppo senza ricerca, che nulla produce se non stagnazione; nella formazione senza valorizzazione del merito, che nulla produce se non emigrazione intellettuale. Pensando all'importanza della ricerca biomedica, e di quella sul cancro in particolare, il messaggio centrale da cogliere e da tradurre in azioni nel club di quelli che lo hanno capito, saremmo gli ultimi: ma sarebbe comunque meglio che ostinarsi a non capirlo mai. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 11 nov. ’07 QUANDO I FONDI PER LA RICERCA VANNO A CHI LI MERITA, Alla Giornata nazionale contro il cancro gli appelli di Napolitano, Draghi e Veronesi di GIAN ANTONIO STELLA Si può vincere una guerra mandando al fronte i vecchi? Solo un vecchio di grande fascino come Umberto Veronesi poteva lanciare questa domanda, che domina oggi la Giornata per la ricerca sul cancro. La dedica ai giovani di questo appuntamento annuale dell'A.i.r.c., infatti, non è affatto rituale. Quella in corso contro i tumori, ha spiegato il grande oncologo, è una «una vera e propria guerra contro un nemico che uccide nel nostro Paese 150 mila persone». Un nemico contro il quale schieriamo pochissimi ricercatori. E di questi solo una manciata di giovani. Non lo denuncia solo il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi che ieri, al Quirinale, ha ricordato con scandalo come l'Italia investa da anni nella ricerca poco più dell'1% del Pil, quota bassissima e per di più sprecata con una distribuzione dei soldi talora cosi assurda («non sempre riflette la qualità dei risultati conseguiti») che non avrebbe senso investire di più senza «l'adozione di criteri di assegnazione fondati sul merito». Lo dimostrano, inequivocabili, i numeri ufficiali. In linea con quelli generali dell'Università italiana. Se i professori ordinari in cattedra con meno di 35 anni sono 9 (nove!) su 18.651, cioè l0 0,05 (zero virgola zero cinque) per cento contro il 16% in Gran Bretagna, il 7,3% in America, l'11,6% in Francia (dove al contrario i docenti con più di 65 anni, che da noi sono i130,3%, scendono rispettivamente all'1%, a15,4% e all'1,3%); anche nella fascia dei ricercatori il panorama è sconfortante. Il 52,6% dei 21.639 addetti italiani ottiene il titolo di dottore di ricerca tra i 30 e i 34 anni, uno su tre accede alla carriera verso i 38 e l'età media è di 46. Per non parlare di realtà come il Cnr. Dove, come denunciava mesi fa il Corriere, 32 su 107 dei direttori (o facenti funzione) di istituto hanno più di 67 anni (uno passa l'ottantina), 1'età più frequente è 68 anni e sol014 stanno sotto i 55. Di più: una trentina sono allo stesso tempo docenti a tempo pieno in qualche ateneo e direttori a tempo pieno (prodigi dell'ubiquità) al Cnr. Di più ancora: oltre la metà occupano la posizione d.a più di dieci anni e diversi addirittura da più di venti. Il tutto in un contesto nerissimo. Su mille occupati, quelli che lavorano nella ricerca scientifica sono circa i16% in Francia e in Germania, i15% nel Regno Unito, il 6% nella media europea, il 9,5% negli Stati Uniti, il 10% in Giappone, i17% nei Paesi dell'Oese e i12,8% in Italia. In termini assoluti, stando ai dati del Ministero dell'Università e della Ricerca, abbiamo 70 mila persone impegnate sul fronte della ricerca in Italia contro le 160 mila in Francia, 240 mila in Germania, 150 mila in Gran Bretagna, un milione e 200 mila negli States, 650 mila in Giappone. C'è poi da meravigliarsi se, come ha denunciato giorni fa il direttore della Normale di Pisa Salvatore Settis, «al Cnrs, il Cnr francese, quasi un terzo dei ricercatori sotto i 30 anni è italiano» perché «noi li formiamo e loro se ne vanno»? Costa almeno mezzo milione di euro formare, con almeno 21 anni di studio dalle elementari al perfezionamento; un dottore di ricerca. Un investimento massiccio. Sul quale uno Stato serio, consapevole di quanto sia vitale per il proprio futuro, dovrebbe scommettere. Macché. Spiega una ricerca di Giovanni Peri sulla base di dati della Eurostat Force Labor Survey, che «paragonando la percentuale di laureati italiani che lavorano all'estero con la percentuale di laureati stranieri che lavorano in Italia l'anomalia del caso italiano è evidente». Germania, Francia o Regno Unito, per non dire degli Usa, «hanno ben più laureati stranieri nel loro Paese che laureati emigrati all'estero». Noi no: «La percentuale di laureati emigrati è 7 volte maggiore di quella di laureati stranieri presenti nel nostro Paese». Apri il giornale e leggi che è italiano Paolo De Coppi, lo scopritore delle staminali «amniotiche» (benedette come «etiche» dal Vaticano) che dopo essere stato ricercatore in Olanda e negli Stati Uniti è diventato a 35 anni primario di chirurgia pediatrica al Great Ormond Street Hospital di Londra. E poi che è italiana Valentina Greco, che a 34 anni è una delle ricercatrici di punta della Rockefeller University di New York, salita agli onori per avere pubblicato sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze i risultati d'una ricerca sulla clonazione di topi con 1-'uso, del nucleo di diversi tipi di cellule staminali. E poi ancora Ilaria Falciatori, che dopo aver lasciato la Sapienza di Roma ha fatto parte con un altro italiano andatosene ancora giovane in America, Pier Paolo Pandolfi, direttore del laboratorio di ricerca dello Sloan-Kettering Cancer Institute di New York, del gruppo scopritore un paio di mesi fa della «sorgente delle staminali». Tutta «crema» sciaguratamente lasciata sfuggire. E certo, non recuperabile con progetti quali quello del '99 per il rientro dei «cervelli in fuga» vanificato dalle resistenze di troppi baroni universitari. Resistenze cosi rocciose (e svillaneggiate dal caso del 62enne «docente» di una fantomatica università mongola rimosso dalla cattedra solo grazie alla decisione di Fabio Mussi) che l'anno scorso, dei 460 giovani faticosamente riportati in Italia, solo una cinquantina erano riusciti a superare le forche caudine del Cun, il Consiglio universitario nazionale. Come aggirare quelle forche? Come recuperare, quelle intelligenze? Come fermare l'emorragia? L'Aire ci prova, per quanto può, con varie iniziative. Una settantina di borse di studio da 20 mila euro l'anno per giovani con laurea di eccellenza mandati per tre anni in laboratori di prestigio. Un'altra decina di borse di studio per i più bravi perché possano fare un'esperienza all'estero. E poi un paio di progetti l'anno (totale in corso: dieci) battezzati «Start up»: se il giovane trova un grande centro italiano disposto a dargli uno spazio fisico e le attrezzature con cui lavorare, l'Aire per 5 anni gli paga una parte o tutto lo stipendio più il materiale di consumo più l'aiuto di 2 assistenti. Quelli che se la sentono di navigare da soli, infine, possono provare col «My firts A.i.r.c. grant»: presentano un progetto e vengono finanziati. Tutti soldi privati. Donati da banche, imprese, singole persone. E lo Stato? Qualcosa, se passa la Finanziaria (tocchiamo ferro...), forse si muove. Merito di un progetto fortissimamente voluto tra i primi dal professore-senatore Ignazio Marino che, scottato lui stesso dall'emigrazione forzata, ha messo a punto una serie di meccanismi per aprire almeno un pertugio ai giovani ricercatori. A quanti hanno meno di 40 anni e le carte in regola per rispondere al bando di concorso che verrà pubblicato entro il mese di novembre, sarà infatti destinato i15% (dal prossimo anno i110) dei fondi per la ricerca del Ministero della Salute. Sedici milioni di euro che, suddivisi in finanziamenti tra i 400 mila ed i 600 mila euro per ogni progetto, andranno non all'ente di ricerca ma al ricercatore stesso, che «potrà iniziare a lavorare portando con sé non solo le proprie idee e la propria competenza ma anche i fondi propri, rappresentando quindi un interesse maggiore per il centro di ricerca». E chi deciderà, su questa distribuzione di denaro? Una commissione di «dieci membri tutti al di sotto dei 40 anni e metà dei quali provenienti da centri di ricerca stranieri». E i baroni? Fuori. Ma basterà, per vincere la guerra? Gian Antonio Stella ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 nov. ’07 LUZZATO: L'UNIVERSITÀ ALL'IMPASSE DELL'AUTO-RIFORMA Si è dimesso, pochi giorni fa, il rettore di Camerino, università piccola ma di antica tradizione e scientificamente vivace. Fulvio Esposito, biologo di prestigio internazionale, ha constatato che, all'interno e all'esterno del mondo universitaria, è comune la convinzione che l'attuale sistema di governo degli atenei non consenta di far prevalere le esigenze generali dell'istituzione sugli interessi particolaristici di chi in essa opera. Con la sua mentalità scientifica, ha cercato di intervenire sulle cause delle disfunzioni. I LIMITI Queste cause si riconducono a quanto prevedono gli statuti degli atenei, ed Esposito ha proposto perciò di modificare lo Statuto di Camerino; dopo una lunga elaborazione e riunioni di confronto all'interno e all'esterno dell'Ateneo, sì è visto bocciare dal Senato accademico l'ipotesi stessa di prendere in esame la proposta di modifica e ne ha tratto le logiche conseguenze. Gli attuali Statuti sono centrati su due organi: il Senato accademico, tutto universitario e dominato dai Presidi delle facoltà, e il consiglio di amministrazione, con un ristrettissimo numero di «esterni» (rappresentanti degli enti territoriali, del mondo imprenditoriale, del ministero) e per il resto anch'esso autoreferenziale, con rappresentanze di docenti (ai diversi livelli) e del personale tecnico-amministrativo. Alcuni Statuti non prevedono una chiara distinzione di compiti tra i due organismi, quasi sempre pletorici, e il risultato è una specie di inefficiente «bicameralismo perfetto»; altri Statuti hanno sancito l'assoluta prevalenza del Senato in tutte le decisioni importanti, riducendo il Consiglio a un mero ufficiale pagatore, con l'ovvio risultato di indurre i pochi esterni al disimpegno. POSSIBILI RIMEDI Tutto questo è vero da sempre, ma era poco rilevante quando il sistema universitario era gestito centralisticamente dal ministero; ora che gli spazi di autonomia sono grandemente aumentati, i danni causati dalla autoreferenzialità sono sempre più evidenti. Un recente intervento congiunto dei ministri dell'Economia e dell'Università, Tommaso Padoa-Schioppa e Fabio Mussi, ha evidenziato queste disfunzioni, subordinando al loro superamento la distribuzione degli incrementi finanziari (modesti, ma non nulli) previsti nella Finanziaria 2008. Nelle sue parti più qualificanti, la modifica di Statuto respinta a Camerino prevedeva che l'organismo rappresentativo delle esigenze interne avesse competenza nelle questioni statutarie e normative e nella definizione di indirizzi generali, ma che la gestione fosse affidata a un consiglio di amministrazione snello, solo in parte elettivo e aperto a presenze designate da un «Comitato dei Sostenitori» atto a legare l'Università al suo territorio. Prevedeva inoltre l'unificazione di Facoltà e Dipartimenti: anche in questo caso, sulla carta tutti deplorano una duplicità di strutture che determina la scissione tra didattica (cui sovraintendono le Facoltà) e ricerca (oggetto dei Dipartimenti) e che moltiplica le incombenze amministrative e i tempi destinati a Consigli e riunioni, ma nessuno è finora intervenuto. Con forza di legge La vicenda di Camerino dimostra che gli sforzi di auto riforma, anche impostati nei modi migliori, falliscono: le corporazioni non approvano quanto riduce il loro potere, anche se ciò compromette sempre più la credibilità esterna del sistema universitario, e occorre perciò che intervenga, drasticamente, il potere politico coni un atto legislativo. Ciò non viola l'autonomia universitaria, perché saggiamente i Costituenti hanno stabilito che essa si esercita «nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». Una legge sul governo universitario non può limitarsi a norme generiche: inevitabilmente, verrebbero attuate con il minimo possibile di innovazione. Sugli organi di governo, sull'unicità delle strutture cui affidare congiuntamente la competenza sulla didattica e sulla ricerca, su un rapporto con la società circostante atto a evitare l’autoreferenzialità, sui doveri dei docenti (attualmente spesso indefiniti, perché chi dovrebbe determinarli sono i colleghi) le scelte devono essere secche e decise. Il ministro Mussi ha annunciato più volte la presentazione di un testo. Questo episodio dovrebbe indurlo non solo ad accelerare i tempi, m1a anche a non esitare sui contenuti. Giunio Luzzato Università di Genova __________________________________________________________________ Corriere della Sera 17 nov. ’07 CERVELLI, LA SECONDA FUGA SU 466 SI FERMANO IN 45 Il (magro) bilancio dell' operazione rientro degli scienziati Il modello spagnolo: 800 tornano, 400 diventano docenti Acchiappa cervelli suonava un po' sinistro. E allora l' avevano ribattezzato brain buster, perché l' inglese dà sempre una certa aria di efficienza. Anno 2001, ministro dell' Università è Letizia Moratti, l' obiettivo quello di far tornare in Italia ricercatori che sono andati a lavorare all' estero. All' inizio il piano funziona: arrivano da noi 466 persone, attirate dalla sensazione che nelle università italiane il vento stia cambiando. Si parla di riforme capaci di spazzare via nepotismo e raccomandazioni. Si pensa ad un grande concorso nazionale e lì l' esperienza di chi ha lavorato in Inghilterra o negli Stati Uniti varrà di più, che diamine, di anni consumati a raccogliere le briciole del barone di turno che nei concorsi locali ha potere di vita e di morte. Passati sei anni, e spesi 52 milioni di euro, il bilancio è un fallimento: di quei 466 italiani di ritorno, secondo i dati ufficiali del ministero dell' Università, solo 45 sono stati stabilizzati, cioè trasformati in professori associati. Uno su dieci, e nelle intenzioni dovevano essere tutti. Un centinaio (ma questa è solo una stima) hanno rifatto le valigie e sono tornati all' estero, salutando per sempre il patrio suolo. Gli altri 321 sono in un doloroso limbo fatto di contratti a termine. E visti non proprio di buon occhio da quei colleghi che da casa non si sono mai mossi e adesso, dopo anni di semischiavitù, pretendono e ottengono la precedenza. Il fallimento L' atteso concorso nazionale non è mai arrivato, anche per le resistenze delle singole università che si sarebbero sentite scippate di una consistente fetta di potere. Non solo. Il primo gennaio 2003 arriva il blocco delle assunzioni per la pubblica amministrazione. Crisi post 11 settembre, tempi di magra: bisogna tirare la cinghia. I 466 emigranti di ritorno cominciano a pensare che quell' aria nuova in cui speravano puzza un po' di fregatura. Ma nel 2005 arriva una legge che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe risolvere tutto. Consente alle università di procedere alle cosiddette chiamate dirette: assumere professori associati e ordinari pescando direttamente tra chi ha avuto esperienze all' estero per almeno tre anni. Non solo: il ministero dell' Università si impegna anche a pagare il 95% dello stipendio di partenza dei nuovi assunti. Sugli atenei pesano solo i futuri scatti di anzianità. Un affarone, i 466 emigranti di ritorno tirano un sospiro di sollievo. Ma anche questa volta non succede nulla: chiamare gli stranieri non è un obbligo ma una possibilità. E davanti alle porte di presidi e rettori ci sono sempre quelle fastidiose file di assistenti che da anni sgobbano come semivolontari e faticano a mettere insieme il pranzo con la cena. La norma, poi, non è proprio coraggiosa: si può chiamare solo chi «all' estero ha una idoneità accademica di pari livello». Tradotto: possibile importare un professore dell' Università di Ulaanbator in Mongolia, è successo sul serio prima dello stop del ministero. Ma non chi era ricercatore a Yale o Cambridge. E infatti dei nostri 466 ne vengono chiamati solo una decina. Se adesso siamo arrivati a 45 è solo perché il ministro Fabio Mussi ha chiesto un' interpretazione elastica di quella norma: dove il pari livello non si misura contando le stellette accademiche sul petto ma anche valutando la qualità del lavoro fatto. Solo così, ad esempio, è stato possibile acchiappare il cervello di Giovanna Serino, una biologa che nei suoi sei anni a Yale ha studiato le piante e scoperto una strada per uccidere le cellule tumorali. Pochi giorni fa ha firmato un contratto da associato alla Sapienza di Roma. Presa per i capelli perché era pronta a tornare negli Stati Uniti. Il giudizio Il progetto per il rientro dei cervelli ha un comitato di garanti, da poco rinnovato. Il giudizio di chi ne faceva parte fino a pochi mesi fa, e quindi ha vissuto speranze e delusioni, è senza pietà. Alessandro Schiesaro è professore alla facoltà di Scienze umanistiche alla Sapienza di Roma: «I risultati sono ampiamente deludenti. Perché c' è stata una difesa corporativa da parte delle singole università che hanno pensato a proteggere i loro precari piuttosto che aprirsi al contributo di chi veniva da fuori. E perché il meccanismo della chiamata diretta, scritto in quel modo, era una presa in giro. Probabilmente i 100 che sono già tornati via erano i migliori». Ancora più duro un altro ex garante, Luciano Maiani, docente di Fisica teorica sempre alla Sapienza ed ex direttore del Cern di Ginevra: «Era tutta una moina, un' operazione cinica di propaganda. Si sapeva che ci sarebbero state resistenze, i bambini non li porta mica la cicogna. E lasciando la scelta alle singole università non si poteva fare di più». Nello stesso periodo anche la Spagna ha lanciato un programma simile, chiamato Ramon Y Cayal: 800 ricercatori rientrati, 400 trasformati in professori. Uno su due. Tanto per tirarsi un po' su il morale. * * * Protesta Febbraio 2003, ricercatori italiani a Montecitorio. A destra Albert Einstein, che emigrò negli Usa durante il nazismo Salvia Lorenzo __________________________________________________________________ Corriere della Sera 17 nov. ’07 DOCENTI DI ECONOMIA NEL MONDO, PRIMI GLI ITALIANI Nei 200 migliori dipartimenti arriva dal nostro Paese il 10% dei prof stranieri MILANO - Se siete in viaggio in un Paese esotico, vi hanno rubato tutti i vostri soldi ma scoprite che con l' ultima Finanziaria è stato chiuso il locale consolato d' Italia, non vi resta che una soluzione. Chiedete del dipartimento di Economia dell' università più vicina: lì, anche se non è un console, un italiano lo trovate di certo. Dove non arrivano le istituzioni della Repubblica, sicuramente sono penetrati da tempo i suoi laureati in fuga. Probabilmente uno di quelli che hanno coperto più chilometri è un 35enne studioso di teoria dei giochi e economia politica di nome Massimiliano Landi: laurea a Firenze, dottorati a Bologna e in Pennsylvania, cattedra (dal 2004) alla Singapore Management University. Ma non è il solo. In uno studio per la Fondazione Rodolfo Debenedetti, Stefano Gagliarducci, Andrea Ichino, Giovanni Peri e Roberto Perotti hanno provato a fare il censo degli italiani nei 200 dipartimenti universitari di Economia primi al mondo per successo delle pubblicazioni. Chi dell' Italia non dovesse conoscere che quei dati, potrebbe sospettare di avere a che fare con una superpotenza. Il 18% degli economisti del Boston College, il 9% della New York University, l' 11% di Cambridge e della London Business School vengono dalle università della Penisola. Quasi ovunque, costituiscono il gruppo straniero più nutrito e in totale fanno circa il 10% dei docenti «migranti»: dieci volte più del peso demografico degli italiani nel mondo, cinque volte più del peso economico del Paese. Sono dati come questi che a un recente convegno di «Glocus» hanno fatto esclamare a Linda Lanzillotta, ministro per gli Affari regionali e presidente del centro studi, che l' Italia «è il secondo esportatore di cervelli verso gli Stati Uniti dopo l' India». In realtà una graduatoria sulla base dei visti Usa L-1 e H-B1 (quelli concessi in America agli «specialisti» stranieri) non sembra confermare la grande fuga. Al contrario: l' India è sì prima, poi però seguono Cina, Gran Bretagna, Canada, Germania (undicesima), Francia (tredicesima). L' Italia non entra neppure fra i primi venticinque, superata dalla Malesia. Ma questi timbri L-1 e H-B1 sul passaporto vengono richiesti soprattutto dai grandi gruppi dell' informatica, da Hewlett-Packard a Microsoft, a caccia d' ingegneri a basso costo. È qui che si coglie la molla più potente del brain drain all' italiana, un drenaggio intellettuale con un profilo ritagliato sulle contraddizioni del Paese: l' esodo avviene dalle istituzioni della formazione e della ricerca, non dalle imprese. A «Glocus», il politologo dell' Institut d' Etudes Politiques di Parigi Marc Lazard ne ha contato i vantaggi per la Francia: quest' anno il 30% dei giovani laureati ammessi al Centre National pour la Recherche Scientifique francese sono italiani. «Per noi è un ottimo affare - ammette Lazard - ma per voi?». Per l' Italia - nota la 36enne siracusana Oriana Bandiera, economista dello Sviluppo alla London School of Economics - è una perdita netta in termini di crescita: «Chi si priva della ricerca di base non la può certo importare». Andrea Ichino e colleghi hanno fotografato il fenomeno dei ricercatori che votano con i piedi (contro l' Italia) solo per l' economia. Studi altrettanto specifici in altri campi non esistono. Ma Oriana Bandiera (una degli 8 italiani fra i 54 professori del Dipartimento Economia della Lse) sospetta che il deflusso sia più alto in settori diversi. «Nella microbiologia, nella medicina o nella fisica - nota - la ricerca ha bisogno di più fondi che in economia». Questi notoriamente mancano: la quota di prodotto lordo spesa per la ricerca è l' 1,2% (scarso), contro il 2,5% della media europea e il 3% abbondante negli Stati Uniti. Eppure Maria Grazia Roncarolo racconta una vicenda diversa: «Sono partita da Torino per Lione dopo la laurea perché non avevo scelta, se volevo trovare un posto sulla base delle mie capacità». Seguono per lei circa 20 anni, prima in Francia, quindi in California. Ora però lei è un ex cervello in fuga rientrato al San Raffaele di Milano, infila riconoscimenti in serie sulla ricerca biomedica anche con fondi ridotti rispetto ai concorrenti americani: «Non sempre è necessario investire tanto denaro - taglia corto -, basterebbe darlo a chi lo merita». * * * 30 *** PER CENTO è la «fetta» di italiani sul totale dei laureati ammessi al Centre National pour la Recherche Scientifique, in Francia *** 2,5 *** PER CENTO è la media europea della quota di prodotto interno lordo spesa per la ricerca. L' Italia è ferma all' 1,2 per cento *** 8 *** DOCENTI sui 54 che compongono il dipartimento di Economia della London School of Economics sono italiani Fubini Federico __________________________________________________________________ Corriere della Sera 16 nov. ’07 I NUOVI PAPERONI? LAVORANO IN UNIVERSITÀ I nuovi Paperoni della classe dirigente? Sono i boss delle università. Almeno in America. Una ricerca sul mondo accademico d' Oltreoceano, appena pubblicata dall' autorevole New York Times, non lascia dubbi: lo stipendio dorato, una volta esclusiva dei rettori delle istituzioni più ricche, sta diventando cosa diffusa. Il fenomeno riguarda innanzitutto l' emisfero privato, dove, secondo l' indagine, i pacchetti paga ultramilionari sono passati da 7 a 12 tra l' anno accademico 2005-2006 (l' ultimo sul quale è stato possibile avere i dati per gli atenei privati) e quello precedente. Ma anche l' università pubblica non si sta tirando certo indietro. Basti pensare che i rettori da 700 mila dollari nel 2006-2007 erano ben otto, contro gli appena 2 di 12 mesi prima. E lo studio non ha messo in conto il generoso salario accordato dalla Ohio State University al neoeletto E. Gordon Gee: un milione di dollari, bonus esclusi. Barera Iolanda ___________________________________________________________________ Libero 16 nov. ’07 I RETTORI FANNO RICORSO CONTRO MUSSI Firenze si appella alla Corte dei Conti per accedere ai fondi. Nella stessa situazione Pisa, Triste e Napoli CLAUDIO ANTONELLI I rettori d'Italia comincia no ad alzare la testa e alle bacchettate del ministro Fabio Mussi rispondo per le rime. Anzi con tanto di ricorsi alla Corte dei Conti. In prima fila c'è il rettore dell'università di Firenze, Augusto Marinelli, che alle accuse del governo che imputava all'ateneo la colpa dello sforamento dei budget, ha risposto che le «responsabilità sono di chi redige i provvedimenti e non di chi applica le leggi». E in un'ampia intervista sull'edizione locale di Repubblica, dettaglia le motivazioni dell'ateneo. «L'università di Firenze ha espresso un giudizio favorevole sul Patto per l'Università e la Ricerca del governo e sta già lavorando, sulla base dei relativi parametri, per definire gli orientamenti al bilancio preventivo 2008 e a quello pluriennale. Non abbiamo mai nascosto le difficoltà di bilancio», aggiunge, «e neppure le dinamiche che a queste ci hanno portato. Se Firenze avesse ricevuto in questi anni dallo Stato gli aumenti stipendiali del per sonale docente e tecnico-amministrativo - 58 milioni fra il 2000 e il 2006 - che sono decisi a livello centrale ma dal 2000 hanno pesato sui bilanci degli atenei saremmo ben al di sotto della soglia del 90 per cento. Su questa spesa, poi, non incidono solo gli incrementi del numero di docenti e ricercatori - in questo senso fra il 2001 e il 2006 siamo cresciuti al di sotto della media nazionale, e cioè il 7 per cento a confronto di un 13 per cento - ma anche le progressioni automatiche di carriera». Il ragionamento sembra non fare nemmeno una grinza. Nella stessa posizione si trovano anche i rettori di Pisa, Trieste e Napoli Orientale, le università nel mirino di Mussi. I quattro atenei, infatti, secondo il ministero «negli ultimi anni hanno ritenuto facoltativa la buona amministrazione, a spese dello Stato». Ai 20 milioni messi a disposizione, chi ha superato la soglia della spesa non ha diritto di accesso. Marinelli, però, sostiene che il suo ricorso presentato alla Corte dei Conti, che Mussi contesta, non mirava a quel pacchetto di finanziamenti ma solo alla possibilità di usufruire del 35 per cento di ricambio del personale docente che va in pensione. Materia da contendere c'è ne è molta e da entrambe le parti si affilano i coltelli. «Alle Università non è stata data alcuna libertà effettiva, nè di tassazione, nè di ordinamento», commenta il senatore azzurro Gaetano Quagliariello, «e ora sono convinto che le acqua non si possono più fermare e scoppierà il bubbone. Gli atenei statali come possono essere autonomi se non ricevono fondi e non possono cercarli al di fuori dello Stato?». Per lo stesso motivo Augusto Marinelli non imputa a se stesso alcuna colpa. Ma non si tratta solo di dispute verbali. A Pisa, dove una ventina di docenti precari, sia ricercatori che dottorandi, ha interrotto la seduta del consiglio d'amministrazione per portare una lettera aperta al rettore Marco Pasquali in cui si domanda una verifica delle scelte e delle responsabilità nella gestione delle spese. Arrivati a questo punto», conclude Quagliariello, «ci sono soltanto due possibili soluzioni. O si torna indietro con un sistema centralistico puro in cui tutto è controllato da Roma o finalmente si fa il salto e alle università si offre vera autonomia. È venti anni che le facoltà italiane aspettano di uscire dal guado sarebbe proprio arrivato ìl momento di traghettarle verso la salvezza» ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 nov. ’07 BIOETICA SENZA GENETISTI di Tullio Gregory Il ministero dell'Università e della ricerca non perde occasioni per dare prova del suo disinteresse per il corretto svolgimento delle attività a cui è preposto. Era comparso a dicembre dello scorso anno un bando per accedere al Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb), bando che univa insieme (con dubbia trasparenza) programmi strategici per la Bioetica e quelli per le scienze umane (articolati in un «Fondo manoscritti medievali» e «Fondo manoscritti letterari di autori italiani moderni e contemporanei»). Un solo bando comporta una sola commissione di valutazione: ci si sarebbe aspettati la presenza di specialisti in biologia, genetica, filosofia del diritto e della morale e altre discipline direttamente afferenti ai problemi della bioetica; e ancora, di paleografi, filologi, mediolatinisti, storici delle letterature per le scienze umane. Invece nella commissione insediata nei giorni scorsi, nominata dal ministro Mussi, su undici membri, sei insegnano: chimica generale, idrologia, informatica, ingegneria elettronica, scienza etecnica dei materiali, teoria delle forze nucleari, discipline tutte nobilissime delle quali è tuttavia difficile vedere una stretta affinità con quelle relative alla bioetica o ai manoscritti medievali e moderni. Per la bioetica restano tre professori: di medicina interna, di anatomia, di farmacia, cui si aggiunge, come quarto, un giurista. Per il comparto delle scienze umane (manoscritti medievali e moderni), un solo professore, titolare di archivistica informatica, il quale probabilmente è stato nominato non per i suoi meriti scientifici, ma per la presenza nell'intitolazione della sua cattedra, della magica parola informatica, che affascina in modo bipartisan i nostri politici, da Berlusconi a Mussi. Per il settore delle scienze umane dunque non uno storico della cultura medievale e moderna, non un latinista, non un filologo. Atto di fiducia nell'onniscienza dei professori universitari o non piuttosto assoluto cinismo degli organismi preposti ad alcune delle designazioni e dell'onorevole ministro che ha costituito la commissione e firmato il decreto di nomina? Nello stesso bando anche manoscritti medievali e altro. Le valutazioni affidate a esperti di tutt’alte materie: dalla chimica all'archivistica informatica ___________________________________________________________________ La Stampa 14 nov. ’07 SENZA SCIENZA I POLITICI SONO CIECHI «Chi è scientificamente illetterato non potrà fare il politico, perché progetta re il futuro richiede la capacità di elaborare previsioni concettualmente solide». Incalzante e implacabile: è Joachim Schelinhuber, fisico, direttore del Pik, il Potsdam Institute for Climate Impact Research, e consigliere di un altro fisico di formazione, il cancelliere Angela Merkel, l'unico politico che interroga gli scienziati prima di ogni grande decisione. Professore, dietro il meeting di Potsdam c'è una sua idea, quella di creare «un nuovo contratto tra scienza e società»: può bastare un Memorandum come quello dei 15 Nobel per il meeting di Bali? «E' l’inizio di un nuovo tipo di dialogo, tra due mondi ai massimi livelli. Oggi si verifica una doppia crisi, ambientale ed economica, ed ecco perché abbiamo bisogno di un contratto scienza-società ed è una fortuna che Angela Merkel capisca entrambi i mondi. E' evidente che, ora, noi europei dobbiamo trasformare il metabolismo industriale, abbandonando i combustibili fossili, reinventando le produzioni con energia solare e biocarburanti e, inoltre, puntando a una maggiore efficienza. Solo così otterremo un vantaggio sui mercati: è una prospettiva sia altruistica sia egoistica». La Germania è all'avanguardia nelle energie rinnovabili: che progetti avete con i partner europei e con l'Italia? «Noi investiamo nell'eolico e nel solare e ci sono contatti con l'Italia per un'alleanza sulle energie rinnovabili, per esempio con il progetto "Supergrid", la rete che può produrre energia con il sole in Nord Africa e inviarla in Europa: è una delle idee più promettenti di Rubbia e potrebbe rendere l'Europa e la Germania le società più efficienti del mondo». Lei sostiene che lo sviluppo sostenibile è un ossimoro: può spiegare il paradosso? «Lo è perché pensiamo su due livelli, statico e dinamico. Vogliamo preservare l'ambiente e vogliamo uno stato permanente di evoluzione. In realtà si tratta di un'aspirazione illogica. Dobbiamo accettare che allo sviluppo si impongano dei confini: non può essere esponenziale, ma deve diventare qualitativo. E' il motivo per cui abbiamo convocato i Nobel. Tl Memorandum presenta due elementi. Il primo affronta l'aspetto a breve-medio termine, con una proposta da presentare a Bali, mentre il secondo guarda al lungo termine, quando si esaurirà il Protocollo di Kyoto: solo l'Europa può spingere a un patto globale, che garantisca lo sviluppo del Primo Mondo e quello delle nazioni povere, basandolo sull'innovazione dei processi energetici. Abbiamo bisogno di un nuovo Manhattan Project». ___________________________________________________________________ REPUBBLICA 16 NOV. ’07 SAPIENZA, FRATI RIELETTO PRESIDE È AL SETTIMO MANDATO A MEDICINA Con 900 voti su 1022 battuta la Delogu. Mussi: "Primo caso di elezione preventiva" ANNA MARIA LIGUORI CON 900 voti favorevoli su 1.022 complessivi, Luigi Frati si riconferma preside della facoltà di Medicina e chirurgia della Sapienza, iniziando il suo settimo mandato. Alle 16 di ieri si sono chiusi i seggi della prima elezione dopo 18 anni di presidenza in cui c'è stato un candidato che ha sfidato Frati: Giovanna Delogu, docente di Anestesia e rianimazione che ha ottenuto 122 preferenze. «Con questo voto la facoltà ha espresso un parere positivo sul mio programma – ha detto Frati dopo la vittoria - e rappresenta per me un impegno ancora più grande per il rilancio di questa facoltà e per la ristrutturazione del Policlinico». Il rinnovo di Frati come preside della facoltà di medicina e chirurgia della Sapienza di Roma «è il primo caso di elezione preventiva». E' il commento del ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi. «Mi risulta - dichiara Mussi - che il mandato del Preside di Medicina dell'Università La Sapienza di Roma scada il 31 ottobre 2008. Si è votato comunque ieri per il suo rinnovo. E' il primo caso di elezione preventiva. Un buon oggetto di studio - conclude -per le Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche». Frati è nato a Siena 63 anni fa. Laurea alla Cattolica, dal 1980 professore di Patologia generale alla facoltà di Medicina della Sapienza, il suo astro sale negli anni Ottanta quando fonda la Cisl universitaria e rompe il monopolio rosso della Cgil. La sinistra democristiana gli è riconoscente, lui si lega all'allora ministro Carlo Donat Cattin e al senatore Severino Lavagnini. Ma i suoi sponsor sono nel ministero della Pubblica istruzione: il potente direttore generale Domenico Fazio e il sottosegretario (e poi ministro) Franca Falcucci. A 40 anni è già vicepresidente del Consiglio universitario nazionale, il celebre Cun che gestiva l'assegnazione dei concorsi. «Ho messo in cattedra più di 200 professori», ripete sovente. Nel 1990 viene eletto per la prima volta preside della facoltà di Medicina. Così il suo incarico, che sarebbe dovuto durare tre anni, è ormai diventato avita. Alla vigilia della sesta conferma, nel 2005, Frati ha tentato anche la scalata allo scranno più alto dell'università. Non è riuscito a diventare rettore, ma i suoi voti sono stati decisivi per l'elezione di Renato Guarini. ___________________________________________________________________ L’Unità 16 nov. ’07 MUSSI: FRATI? PRIMO CASO DI ELEZIONE PREVENTIVA Luigi Frati eletto preside della facoltà di Medicina e chirurgia della università La Sapienza di Roma. È la settima volta che Frati ottiene l'incarico ed è la prima elezione, dopo 18 anni di presidenza, in cui c'è stato un candidata (Giovanna Delogu, docente di Anestesia e rianimazione) che ha sfidato il professore. Comunque, alla chiusura dei seggi, ieri alle ore 16, per Frati sono andati 900 voti su 1.022 complessivi. Tutto scontato? Non proprio, perché il ministro dell'Università, Fabio Mussi, gela il riconfermato preside con una battuta: «È il primo caso di elezione preventiva». «Mi risulta che il mandato del preside di Medicina dell'Università La Sapienza di Roma scada il 31 ottobre 2008», ha poi spiegato Mussi, «Si è votato comunque oggi (ieri ndr) per il suo rinnovo. È il primo caso di elezione preventiva. Un buon oggetto di studio -conclude il ministro per le Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche». Il professore non commenta e si limita a spiegare le direttrici del suo nuovo mandato «che sarà l'ultimo e sarà caratterizzato dall’obbiettivo di portare a compimento la ristrutturazione del Policlinico Umberto I». «Nessuno deve essere eterno - ha continuato Frati - oggi ho 64 anni e finirò a 68, poi basta. Farò ricerca e mi impegnerò per lo sviluppo della ricerca nelle biotecnologie». Frati ha ricordato che la facoltà di medicina de La Sapienza «è una delle strutture di eccellenza del Paese: abbiamo ricercatori e tecnologie di avanguardia, si tratta di metterle al servizio dei cittadini e della scienza. Questa facoltà ha tutti i requisiti per guardare alle sfide del futuro. Se i politici ce lo permetteranno - ha annunciato il preside - realizzeremo un centro per la biologia e la medicina rigenerativa pubblica». ___________________________________________________________________ Il Foglio 13 nov. ’07 PERCHÉ, PUR USANDO LE STESSE PAROLE, UMANISTI E SCIENZIATI NON SI CAPISCONO Il ruolo pubblico che un tempo era degli intellettuali di formazione filosofica, letteraria genericamente "umanistica", è oggi ampiamente svolto dagli scienziati-intellettuali. Cioè da uomini di studio, dedicati alla ricerca "scientifica" per antonomasia. Più esattamente da quegli studiosi che sulla base delle loro indagini, sentono il dovere o la necessità di offrire interpretazioni generali o "teorie", che per forza di cose si distaccano dalla immediatezza del dato sperimentabile, ma rispondono alle grandi domande (oggi tipicamente: evoluzione, creazione eccetera) Qui non mi interessa riprendere la questione infinita del rapporto tra teorie ( o ipotesi generali di interpretazione) e loro verificabilità falsificabilità empirica. Vorrei mettere a fuoco la dimensione del linguaggio che accompagna inevitabilmente questa problematica. Il linguaggio pubblico degli scienziati non è semplicemente lo sforzo occasionale di divulgare i dati scientifici in loro possesso. E' il loro modo di esprimersi al di là della tecnicità legata alle metodologie e ai dati sperimentali che è profondamente intessuto di linguaggio corrente. In questo modo frequentemente il linguaggio degli scienziati-intellettuali perde ogni rigore scientifico. Reinventa le grandi questioni filosofiche, spesso con un notevole dilettantismo concettuale e terminologico. In alcunii casi si produce un linguaggio composito filosofico, letterario-metaforico 0 meta-scientifico che gli studiosi stessi considerano distinto e distinguibile dal linguaggio scientifico vero e proprio. Ritengono cioè di poter stabilire un punto fino al,quale arriva il dato scientifico - dopo di che inizia la riflessione di qualità diversa, filosofica o etica. Alcuni scienziati sostengono con convinzione questa idea, altri invece sono più cauti, o semplicemente indifferenti per ciò che sta oltre il loro orizzonte scientifico. Di fatto nel linguaggio di molti uomini di scienza si produce una singolare mescolanza di codici che dà luogo ad una sorta di metalinguaggio, carico di metafore che rendono suggestivo e accessibile a tutti l'opaco dato scientifico. Nel metalinguaggio scientifico ci imbattiamo anche in secolarizzazioni di codici teologici. Considerazioni sulla (il)libertà umana e lo sul determinismo presenti oggi in alcuni neuroscienziati ricalcano, al di là degli argomenti di merito, schemi mentali non dissimili dalle classiche disquisizioni teologiche sulla onnipotenza e onniscienza di Dio o sulla predestinazione; o non dissimili da quelle elaborate dalla filosofia illuminista basate su assunti del legalismo fisico naturalistico. Alcuni stili di ragionamento attorno al Big Bang ripropongono antichi paradigmi dell'eternità o dell'inizio del mondo e della creatio ex nihilo. Il metalinguaggio è una necessità del discorso pubblico, anzi del comunicare in quanto tale. Il significato di una parola è dato dall'uso che ha in un determinato linguaggio o meglio in un gioco linguistico. Il "gioco linguistico" cioè fornisce un plus-significato alle parole che lo compongono. Ma a loro volta i "giochi linguistici" fanno parte di "attività o forme di vita" (nel senso di Wittgenstein), di interazioni a carattere strategico. Ogni gioco linguistico ha componenti strategiche cosi come ogni azione strategica ha componenti comunicative/linguistiche. E l'etica pubblica non si sottrae a queste dinamiche. Questo spiega il caso frequente di dibattiti in cui gli interlocutori, pur discutendo degli stessi temi, si capiscono grammaticalmente ma non si intendono davvero, perché le parole-base che usano (natura, vita o evoluzione) sono sovraccariche di significati che rimandano a interessi cognitivi, a orizzonti di esperienza, a strategie e giachi comunicativi che sono incompatibili tra loro. Il linguaggio degli scienziati non si tratta a queste aporie. Gian Enrico Rusconi ___________________________________________________________________ ItaliaOggi 13 nov. ’07 ORIENTAMENTO: UNIVERSITÀ, ECCO COME TI VORREI Firmato il decreto interministeriale. sull'orientamento: alle superiori farà parte del curriculum Per scegliere bene, stage anche in enti e studi professionali DI MARCO GASPARINI In studio dal notaio, dal commercialista o dall'avvocato per capire se la professione del futuro sarà fatta di codici o atti giudiziari. Oppure a lezione dal sindaco per vedere come lavorano i segretari comunali, ma anche in visita a Bruxelles per assistere alle sedute del Parlamento europeo e, magari, un giorno diventare funzionario di sostegno all'attività delle commissioni consiliari. Il governo punta a rafforzare il raccordo tra mondo della scuola e università. Su proposta del ministro dell'istruzione, Beppe Fioroni, d'intesa con il ministro dell'università, Fabio Mussi, il consiglio dei ministri ha infatti approvato in via preliminare lo schema di dlgs che completa la delega contenuta nella legge n. 1 dell'11 gennaio scorso per la definizione dei percorsi di orientamento degli istituti superiori statali e parificati. IL provvedimento va, infatti, ad aggiungersi agli altri due decreti varati dall'esecutivo rispettivamente allo scopo di stabilire criteri di accesso più selettivi nelle facoltà a numero chiuso e di incentivare l'eccellenza nelle scuole superiori. L'iter di quest'ultima coppia di atti normativi è già in fase avanzata. Quello che, tra l'altro, facilita l'accesso ai campus per chi ha ottenuto la lode alla maturità è infatti all'esame delle commissioni parlamentari per il parere da esprimere entro f8 dicembre, mentre quello sulla valorizzazione delle eccellenze ha già ricevuto il via libera della commissione istruzione del senato che ha chiesto a Fioroni di dare maggiore risalto ai percorsi di orientamento sulle materie scientifiche considerato il divario dell'Italia rispetto agli altri paesi Ue. Lo schema preliminare è ancora al vaglio della commissione cultura della camera che dovrà licenziarlo in sede consultiva entro il 16 dicembre. E ora un rapido excursus sull'ultimo ventaglio di norme varate dal cdm e dedicate, in modo specifico, a favorire una scelta più matura e consapevole da parte degli studenti dell'ultimo anno sul proprio futuro professionale (si veda Italia Oggi del 9 novembre). Il decreto legislativo va ad affiancarsi alle disposizioni che già consentono agli istituti superiori di dare concreta attuazione al principio dell'alternanza tra scuola e lavoro (dlgs n. 77/2005) e si focalizza, invece, sull'organizzazione dei percorsi di orientamento. Le iniziative che si inseriscono in quest'ultimo ambito andranno a far parte del piano di offerta formativa triennale ma saranno indirizzate a chi frequenta l'anno conclusivo delle superiori e dovranno essere inserite nel monte ore annuale in cui si articolano le varie discipline di insegnamento. Le scuole potranno stipulare protocolli d'intesa o convenzioni con associazioni, ordini professionali, enti pubblici locali ed organismi europei nonché imprese private attive nel settore produttivo e dei servizi allo scopo di creare un collegamento più sistematico tra la formazione che si svolge in aula e le attività di laboratorio e di stage formativo destinate a svolgersi all'esterno. Gli istituti nell'ambito della propria autonomia didattica dovranno, in buona sostanza, attivare programmi e azioni di intervento che potranno coinvolgere oltre ai soggetti già indicati anche i centri territoriali per l'impiego, le strutture formative accreditate e gli organismi specializzati nell'inserimento lavorativo delle persone diversamente abili oltre che la Borsa continua nazionale del lavoro. Le attività programmate, precisa lo schema di decreto, saranno soggette al via libera dei consigli di classe e saranno affidate a docenti esperti. Con la clausola che non si potrà ricorrere a nuove assunzioni anche se gli istituti potranno attingere alle assegnazioni dei fondi per la valorizzazione del personale insegnante. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 nov. ’07 DONNE E ICT, BINOMIO CONVENIENTE Le nuove tecnologie aiutano a conciliare attività professionale e famiglia lavorare nell’informatìca. La presenza femminile è al 14%, tra le più basse in Europa, ma ci sono segnali di crescita Piero Orlando In crescita ma ancora in minoranza. Sempre più impiegate in ruoli ad alta professionalità ma assenti nelle posizioni di vertice. Qualificate, ma ancora poche nelle discipline scientifiche. È un quadro di luci e ombre quello che emerge dall'analisi della partecipazione femminile nell’Ict in Italia, un settore non più tipicamente maschile ma dove permangono resistenze. La presenza delle donne si può stimare nel 14% degli addetti dell’Ict (sono circa 94mila su un totale di 671.200), come emerge da una ricerca del Cnel («Donne, Ict, potere innovazione la trasformazione silenziosa»), confermata dalle analisi della Commissione europea («Great carrier for great women») sulle donne con professioni informatiche impiegate nell’Ict (il nostro Paese è al sestultimo posto nella Ue a 27). Le donne sono comunque in crescita del 2,5% in due anni nella ricerca di Linea Edp con NetConsulting «Ict-Professioni e carriere 2007». «I segnali positivi ci sono - dice Annamaria di Ruscio, partner e direttore generale di NetConsulting-, con l'occupazione femminile nell’Ict che si afferma anche in aree delicate. Se non si può parlare di discriminazione in entrata, le differenze di genere si vedono però nella carriera». AZIENDE INDIFFERENTI AL GENERE Le assunzioni del 2007 nel settore Ict, infatti, prevedono una sostanziale indifferenza di genere con i due sessi ritenuti «ugualmente adatti» nel 69,5% dei casi (Rapporto Excelsior), gli uomini più adatti nel 17,5%, le donne nel 13 per cento: L'indifferenza di genere cresce per le assunzioni tra i più giovani e nelle grandi aziende. Dal sondaggio di «Ict - Professioni e carriere 2007», però, solo il 13% delle donne percepisce redditi superiori a 50mila euro, la percentuale sale al 23% per gli uomini. «Indubbiamente, si vedono ancora poche donne nei Cda delle aziende e tra i dirigenti - prosegue Annamaria Di Ruscio -, perché l'esigenza di conciliare lavoro e famiglia in questo settore impone scelte e sacrifici. II primo ostacolo è la maternità: per mantenere un legame con l'azienda e consentire rientri "morbidi", oltre a nuovi asili nido aziendali, è fondamentale l'utilizzo delle tecnologie che oggi consentono il telelavoro ad esempio in settori di sviluppo e help desk avanzato». IL RUOLO CHIAVE DELL’HI-TECH Le tecnologie sono la chiave della conciliazione di vita familiare e lavorativa anche per Anna Maria Ponzellini, docente di Relazioni industriali all'università di Bergamo: «Pur con una certa segregazione, concentrandosi sul software più che sull'hardware, e con alcune differenze territoriali, la presenza delle donne nel settore è significativa. Bisogna comunque investire nell'autogestione del lavoro, perché le donne possono lavorare a distanza. Limando poi una certa cultura del presenzialismo, con orari svantaggiosi». Nell'Ict le donne sono ancora penalizzate per una visione dominata da un «modello maschile» secondo Agostino Cortesi, direttore del dipartimento di Informatica dell'università Cà Foscari e curatore del portale Ada -Awicinare le donne all'informatica: «Si richiede un lavoro senza limiti di orario- dice - in cui sono ancora poco riconosciute le competenze che le donne laureate hanno in maggior misura, perché rispetto agli uomini finiscono ,gli studi prima e con migliori risultati. Purtroppo sono sempre poche nelle lauree in informatica». POCHE ISCRITTE ALL'UNIVERSITÀ Infatti, la presenza femminile è in calo ai corsi in Scienze e tecnologie informatiche, dove le donne sono il 13,2% degli immatricolati e il 14% degli iscritti del 2006/07 (valori aggiornati a gennaio 2007), con un calo del 4,7% delle immatricolate e del 3,6% delle iscritte rispetto alla stessa rilevazione del 2001/02. Eppure, sono in leggera crescita per Ingegneria dell'informazione, dove rappresentano il 15,8% degli immatricolati e il 14,7% degli iscritti: +0,5% delle immatricolate e +1,2% delle iscritte rispetto al 2001/2002. Mentre si riduce il divario con i maschi nell'uso delle tecnologie nella vita quotidiana, le donne che le utilizzano in azienda dimostrano competenze superiori, risultando il 30,3% degli «utilizzatori evoluti» contro il25% degli uomini (Rapporto Occupazione 2006 Federcomin,/Dit), dimostrando di dare maggior rilievo alla loro formazione tecnologica. __________________________________________________________ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 13 nov. ’07 UN MATEMATICO DI POLIGMANO «RIVOLUZIONA» IL CONCETTO DI EQUAZIONE LA CURIOSITÀ i Le tesi di Giacomo De Laurentis, docente all'lpssar di Castellana ANTONIO MAIELLARO POLIGNANO. Studi, riflessioni ed approfondimenti che potrebbero aprire una strada nuova e rivoluzionaria nell'ambito della matematica, modificando il concetto di equazione introdotto, pensate, nel 1202 in Europa da Fibonacci con il suo Liber Abaci. A mettere in discussione quel castello di certezze, ritenuto «inespugnabile» per più di 800 anni, è oggi un ingegnere di Polignano, Giacomo De Laurentis, docente di matematica presso l’Ipssar di Castellana. In un suo studio, Ontologia dell'equazione, (pubblicato nella sezione «didattica» del sito www.matematicamente.it) ha proposto nuove definizioni di uguaglianza, equazione, identità ed equivalenza, sulla base delle quali lo studioso polignanese ritiene si possa pervenire ad una nuova concezione dell'equazione. Si tratta di temi indubbiamente complessi, apparentemente riservati solo agli addetti ai lavori, che però, se semplificati, possono agevolare la comprensione e l'apprendimento da parte degli studenti delle future generazioni. Nella sua tesi, l'ing. De Lamentis propone di fondare la definizione di uguaglianza matematica sui concetti, del tutto nuovi ed originali, di «natura e di scrittura», arrivando ad una definizione di equazione che non sia solo e puramente matematica. Una definizione che, senza essere operativa e prescindendo del tutto dall'esito risolutivo dell'equazione, ne fa invece emergere unicamente il significato e l'essenza, ossia la sua capacità di descrivere e porsi in relazione con la realtà esterna a cui l'equazione stessa si connette e con cui essa coesiste. Lo scopo che l'ing. De Laurentis si pone è quello di pervenire a delle conclusioni semplici, universalmente condivisibili e di facile comprensione per tutti e di stimolare un confronto ed un dibattito non solo con gli studiosi della materia, ma con gli insegnanti e gli autori dei testi oggi adottati nelle scuole di ogni livello. Un modo anche per avvicinarsi alla Ontologia applicata, sezione spesso trascurata della filosofia che invece può proporsi come un valido metodo di interpretazione e conoscenza in ambito didattico e scientifico. __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 nov. ’07 NUORO E UNIVERSITÀ, I TAGLI SONO CONFERMATI Via i corsi gemmati dalla facoltà di Scienze politiche di Cagliari  Bruno Murgia (An): è un duro colpo per i giovani nuoresi  Il governo ha risposto all’interrogazione del parlamentare  NUORO. Niente da fare, il taglio ai corsi universitari resta tutto in piedi. Lo ha comunicato Nando Dalla Chiesa sottosegretario alla Ricerca al deputato nuorese, Bruno Murgia, che aveva interrogato il ministro sul caso nuorese. E adesso è lo stesso parlamentare di An a commentare la risposta del Governo sulla alla soppressione di due corsi di laurea nell’università gemmata di Nuoro.  «La soppressione dei corsi triennali di Scienze dell’Amministrazione e di Scienze del Servizio sociale nella sede gemmata dell’Università di Nuoro è stata, purtroppo, confermata dalla risposta datami dal Governo, una risposta che non mi ha assolutamente soddisfatto. Si tratta infatti di un duro colpo per i giovani nuoresi che vedono così venir meno la speranza di una sempre più valida formazione superiore sul territorio. E’ un duro colpo inoltre per la crescita delle nuove generazioni alle quali rivolgo un invito alla mobilitazione». Poi Murgia commenta così la risposta alla sua interrogazione sull’argomento data da Nando dalla Chiesa, sottosegretario al Ministero dell’Università ed alla ricerca. «Il percorso normativo che ha causato la soppressione di questi corsi - spiega Murgia - è da individuarsi soprattutto nel decreto ministeriale del luglio 2007, n. 362, con il quale si dispone che le Università sono autorizzate a razionalizzare la loro offerta formativa anche prevedendo la chiusura dei corsi. Determinante è stato anche il decreto ministeriale del 31 ottobre 2007 n. 544, nel quale si definiscono i requisiti minimi per l’attivazione di nuovi corsi universitari e che indicano la dotazione minima della docenza di ruolo necessaria: proprio in merito a questa disposizione la Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari ha dovuto ridurre il numero dei corsi di laurea da attivare nel corso dell’anno accademico 2008-09 da tredici a otto».  «Nel corso del tempo - prosegue Bruno Murgia - a nulla sono valsi gli interventi del sindaco di Nuoro, del presidente della Provincia di Nuoro e dei consorzi, ed a questo si è unita, ovviamente, la gestione dissennata di questa problematica situazione da parte della Regione Sardegna».  «Anche l’Università di Cagliari - conclude il deputato nuorese di An - che si trincera dietro alla fredda necessità di dover razionalizzare l’offerta formativa in relazione a criteri di efficienza e di qualità stabiliti dalle disposizioni del Ministero, dovrebbe compiere degli sforzi maggiori proprio per evitare la chiusura dei corsi a Nuoro e anzi aumentarli, favorendo in questo modo la formazione di tanti giovani nuoresi. Sono convinto che resta compito primario dell’università quello di promuovere la cultura ovunque non certo quello di sopprimerla».(n.b.) __________________________________________________________________ Corriere della Sera 15 nov. ’07 LA CURIOSITÀ CONTA PIÙ DELL' ETÀ Se chiedete al professore di un' università americana quali siano i giorni più avvincenti del suo anno accademico non avrà dubbi: le prime settimane di settembre. Sono i giorni in cui nei dipartimenti arrivano i nuovi professori: giovani assunti sul mercato accademico, ma anche professori più anziani «rubati» a qualche altra università. Portano idee, progetti per nuovi corsi. Le discussioni nei corridoi si accendono: è una frustata di freschezza per tutti. Jimmy Cayne, il capo di Bear Stearns, una grande banca di New York, spiega così il suo lavoro: «Il compito più difficile è convincere i nostri giovani brillanti a non lasciarci, e spiegare ad altrettanti candidati perché dovrebbero accettare la nostra offerta di lavoro. Per noi il talento è la risorsa più preziosa e più rara: è difficile attrarlo e ancor più difficile trattenerlo. Se ho successo in questo compito mi sono ripagato lo stipendio». Un giorno chiesi a Wim Bishoff, l' ex capo di Schroders, un' antica banca inglese, quale regola seguisse per assumere i giovani: «Prima scorro l' elenco dei laureati in lettere classiche, poi in matematica e fisica: se proprio non trovo nessuno disposto a lavorare con noi, assumo un giovane uscito dalla London School of Economics». Sorprendente? «No, una volta assunti li invito a colazione ed espongo loro i problemi della banca. I laureati in lettere classiche, i matematici e i fisici per lo più dimostrano di non capire di che cosa si stia parlando; ma ogni tanto il loro modo di vedere le cose è talmente inusuale che improvvisamente capisco come risolvere un problema che fino a quel momento ci pareva senza vie d' uscita. Quanto ai laureati della London School, mi ripetono ciò che ho letto al mattino sul Financial Times: raramente imparo qualcosa. (In Italia, sessant' anni fa, lo aveva già capito Raffaele Mattioli). Che cosa c' è di comune in questi esempi? La curiosità. Le società aperte sono innanzitutto società curiose, Paesi in cui la curiosità verso il mondo e la meraviglia verso la vita sono tratti comuni, anche di chi ha raggiunto il potere o posizioni prestigiose. Sbaglia chi pensa che il rinnovo della classe dirigente sia innanzitutto e solo un problema di età (un' opinione condivisa dall' analisi che la Fondazione Giovanni Agnelli presenterà sabato al seminario dell' Aspen Institute dal titolo: «Il merito non l' età è il fattore discriminante»). Certo, l' età conta, ma ancor più conta la curiosità. A ottant' anni compiuti il premio Nobel Franco Modigliani trascorreva ore con i nuovi colleghi per cercare di capire la loro ricerca, che spesso usava tecniche matematiche a lui incomprensibili. Non desisteva mai: «Se il risultato è giusto devo essere in grado di capirlo». E con il medesimo desiderio di conoscere interrogava i loro figli, curioso di come evolvesse l' insegnamento della matematica o della storia nelle scuole elementari. Sono esempi purtroppo rari. Gli uomini, invecchiando, solitamente pensano di aver raggiunto la saggezza e smettono di ascoltare. Il guaio è che, così facendo, spengono la mente dei giovani, i quali, anziché imparare a pensare con la loro testa, imparano a conformarsi alle idee dei loro superiori anziani, perché questo è il modo facile per far carriera. Romano Prodi ha riempito Palazzo Chigi di suoi fedelissimi. Persino il suo collega bolognese, il professor Paolo Onofri, colui che nel 1996 aveva ideato un' intelligente riforma del welfare, questa volta è stato lasciato a casa. Ha il torto di pensare con la propria testa. E allora non c' è da stupirsi se la presidenza del Consiglio si sente un «fortino assediato». Dagli assedi ci si libera con un' idea che sorprende il nemico: difficile scovarla se si passa il tempo a convincere il capo di quanto egli sia bravo. Senza curiosità non può esservi merito. Perché il talento, come dice Jimmy Cayne, va scovato. Ciò che ha spento la nostra università è la scomparsa della curiosità per la ricerca scientifica: ne è la prova un sistema retributivo basato esclusivamente sull' anzianità. Brevettare una scoperta, pubblicare su una prestigiosa rivista internazionale è ininfluente: lo stipendio procede solo con gli anni, indipendentemente dalla qualità della ricerca e anche dell' insegnamento. Per permettersi di accedere all' università occorre essere ricchi, perché gli stipendi dei giovani sono miserrimi, ma a 60 anni i nostri professori sono pagati più o meno come i loro colleghi inglesi. E' un vizio non solo dell' università. I dati sulle retribuzioni nell' industria, citati due settimane fa dal Governatore Draghi, mostrano che, in media, tra stipendi italiani ed europei c' è una differenza di circa il 30%. Ma non equamente distribuita: la differenza è molto maggiore per i giovani, si annulla a 55 anni. E allora non c' è da sorprendersi se alla domanda: «Preferisci un lavoro sicuro, anche se meno redditizio, oppure uno meno sicuro ma con migliori prospettive di reddito»? sei giovani su dieci rispondono (l' indagine è di Renato Mannheimer) di preferire quello sicuro anche se mal pagato. «Supponiamo che un' azienda attraversi un periodo florido e decida di aumentare gli stipendi: preferiresti aumenti uguali per tutti, riservati a quelli che più ne hanno bisogno o a chi ha lavorato meglio»?: 4,4 su 10 rispondono o a tutti in egual misura o a chi ne ha più bisogno. Ma non è colpa dei giovani se dimostrano così poca audacia e così tanta avversione al rischio. Hanno semplicemente capito di vivere in una società basata sull' anzianità anziché sul merito. Se si premia solo l' anzianità, allora è comprensibile che i giovani preferiscano aumenti uguali per tutti: così almeno qualche giovane meritevole verrà premiato. Telecom è una delle maggiori aziende italiane. Gli azionisti stanno cercando un nuovo capo azienda. Ci aspetteremmo che incaricassero una società di «cacciatori di teste» di scovare l' amministratore delegato più bravo disponibile sul mercato, poco importa se italiano. Invece le banche azioniste vogliono decidere loro, preoccupate che arrivi un capo azienda che magari decida di affidare i conti e la finanza di Telecom ad un' efficiente banca inglese. Altro che merito! Segnali più incoraggianti provengono dalle imprese medie e piccole. Un' indagine della Banca d' Italia segnala un rilevante ricambio generazionale: nelle imprese industriali con oltre 50 addetti i capi azienda nel 2006 erano più giovani e con un livello di istruzione superiore a quanto si osservava nel 2002: la quota di capi azienda con oltre 65 anni è diminuita dal 37 al 24 per cento; la quota di quelli di età compresa tra 36 e 55 anni è aumentata dal 29 al 44 per cento; la quota dei laureati è salita dal 23 al 38 per cento. Il ricambio generazionale è spesso collegato ad un mutamento nelle strategie aziendali e la performance dell' impresa è inversamente correlata con l' età del capo azienda. La curiosità nasce nella scuola perché se una mente a diciott' anni si spegne è difficile che poi si riaccenda. Ma rifondare la scuola non significa programmi ministeriali, tabelle, contratti, le cose di cui i governi si occupano e che non ne hanno evitato il degrado. E' giunto il momento di una riflessione più profonda che parta dalla consapevolezza che è la scuola la chiave di volta del nostro futuro. Giavazzi Francesco __________________________________________________________________ Sardegna 14 nov. ’07 La7: MISTRETTOPOLI BATTE OGNI RECORD: “IO, COME IL PAPA E NAPOLITANO” Università. La trasmissione “Exit” di La7 sceglie Cagliari come caso nazionale: mai un Rettore più longevo Ilaria D’Amico:si è fatto affiggere in Rettorato persino la targa con il suo nome in calce di Jacopo Norfo Mistrettopoli diventa un caso nazionale: «Io, come il Papa e Napolitano, ancora in carica a 75 anni». Scherza, Pasquale Mistretta, davanti alle telecamere di “Exit”. La trasmissione di La7 ha per titolo “l’Università a pezzi”, e ha scelto il caso di Cagliari come la storia più emblematica: nessun Rettore in Italia è rimasto in carica per sei mandati. Mistretta mostra fiero la targa col suo nome fatta affiggere in Rettorato: «Si ricorderanno per sempre di me». E la conduttrice Ilaria D’Amico afferma in diretta: «Persino la targa col suo nome, incredibile». Il servizio è condotto sul filo dell’ironia: l’inviata Alessandra Ferrari intervista anche i nemici storici del Magnifico. Come il docente Paolo Pani, che torna ad agitare lo spettro di Parentopoli: «Che dire delle assunzioni in organico di figli e parenti stretti” – dice - ma soprattutto l’Università dovrebbe essere rinnovamento, e invece a Cagliari è avvenuto esattamente il contrario». O come Giovanni Melis, sfidante di Mistretta alle ultime elezioni accademiche: «È normale che abbia perso, era un copione già scritto- giura- e quando un Rettore resta in carica tanto tempo, si creano rapporti che diventano potentati». Ma lui, il Mistretta dei sei mandati, sembra avere ipnotizzato anche gli studenti: «Sì, noi lo abbiamo sempre votato- conferma Lorenzo Espa - d’altronde non ha mai aumentato le tasse. Le sta aumentando adesso - Sì, è vero, però...». E fuori onda Espa scherza con Mistretta: «Rettore, ha visto?», come se ci fosse accordo sulle dichiarazioni. Mistretta mostra entusiasta la sua creatura, la cittadella di Monserrato, mentre il servizio ripercorre le tappe di tutti quei cambi allo statuto, che sono valsi tante elezioni al Magnifico. Sino a farne un caso nazionale di incollamento alla poltrona. La conduttrice prova a sventolare il limite di età superato, lui non si scompone: «Oltre i 75 anni restano in sella solo il Papa e Napolitano- ricorda- però adesso è sicuro: tra un anno e mezzo me ne dovrò andare», sussurra con una punta di malinconia. Magnifica malinconia. Che non cancellerà il primato nazionale della longevità al potere: «Io, come il Papa e Napolitano». IL CAMBIAMENTO Una norma blocca-Magnifico e il settebello sarà difficile Per fermare l’ennesima proroga, è stata necessaria la norma blocca-Mistretta. Quella approvata quest’anno dal Senato accademico - soltanto con una larghissima  maggioranza- difficile da prevedere- sarà possibile una nuova modifica allo statuto per poter rieleggere ancora Pasquale Mistretta. Un blitz già compiuto quattro volte con sorprendente successo, in barba ai suoi oppositori. In futuro un Rettore non potrà restare in carica per più di due mandati, e quattro saranno gli anni di permanenza nella carica universitaria più alta. Il Rettore si era astenuto dalla votazione, motivandola col “garbo istituzionale”. Per cambiare le regole ci vorrebbero i quattro quinti dei voti, in pratica una maggioranza bulgara. E alla successiva votazione i due terzi, che sarebbero comunque un mezzo plebiscito. Mistretta ci tenterà ancora. Una Parentopoli davvero Unica Dinastie al potere Vere e proprie dinastie al comando: la Parentopoli accademica si rivela davvero unica, ed è stata ripresa dal servizio di La7. Corrias, Seatzu, Balestrieri, solo per citare i cognomi più ricorrenti nelle facoltà: famiglie che occupano diversi posti nell’organico di docenti e ricercatori. E anche gli assegni del dottorato vanno sempre agli stessi giovani-prodigio. Studenti decisivi nelle ultime rielezioni Proprio gli studenti sono  stati decisivi nelle ultime rielezioni di Pasquale Mistretta alla guida  dell’ateneo cagliaritano. Voti fondamentali, che confermano un rapporto non  sempre conflittuale tra il  rettore e gli iscritti all’Università. Solo l’annuncio  dell’aumento delle tasse ha un po’ raffreddato il rapporto. __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 nov. ’07 RETTORE, L’AUMENTO È STATO UN COLPO BASSO Gli studenti: «Assurdo che la decisione sia arrivata ad anno accademico in corso»    CAGLIARI. Che le tasse sarebbero aumentate gli studenti lo sapevano. Ma che l’aumento sarebbe arrivato adesso, quando l’anno accademico è già cominciato, per loro è stato davvero un colpo basso. A dieci giorni dal Consiglio d’amministrazione che dovrà discutere la proposta del rettore Pasquale Mistretta di ritoccare le tabelle, Lorenzo Espa, presidente del Consiglio degli studenti, spiega perché da questo fronte arriva un no secco: «Non siamo d’accordo sul metodo e neanche sui contenuti».  - Non avete preso bene l’annuncio di Mistretta...  «No, e spiego perché: quando a giugno il rettore ci aveva detto della sua intenzione di aumentare le tasse, subito noi ci siamo detti contrari, facendogli notare come i soldi che servivano all’univeristà si sarebbero potuti recuperare tagliando, ad esempio, alcune spese inutili».  - E invece nulla da fare: dovete pagare.  «Già. Di tutto questo ciò che mi amareggia di più è che il nostro suggerimento non sia stato preso in considerazione. Dico: accanto alla proposta di aumento delle tasse, il rettore avrebbe potuto presentare almeno un piano dettagliato di razionalizzazione della spesa e di contenimento dei costi. Questo era un modo per non far pesare tutto su di noi...».  - È vero, ma tutto, ha detto Mistretta, sarà soltanto sulle spalle di chi può realmente pagare. Le fasce deboli non saranno toccate.  «Nella proposta del rettore gli aumenti toccheranno solo le famiglie inserite dalla quarta fascia di reddito (ventimila euro) in poi. Voglio però far notare che alla quarta fascia non appartengono nababbi, ma famiglie dove i genitori sono semplici impiegati. Se poi si tiene conto che spesso in una famiglia gli studenti universitari sono più d’uno, vorrei proprio vedere chi dice che questi aumenti non fanno male».  - Voi contestate anche il momento. Perché?  «Il rettore ha spiegato che l’aumento delle tasse avrà valore sin da questo anno accademico. Per noi questa decisione è inaccettabile: non si possono cambiare le regole quando l’anno è già cominciato».  - A proposito di regole: Mistretta ha detto che con gli studenti meno diligenti sarà più severo già a partire dal primo anno fuori corso...  «Questa forse è la parte meno discutibile della proposta. Siamo d’accordo, perché pensiamo che uno studente vada incentivato a uscire dall’università il prima possibile».  - Come vi preparerete al 26 novembre, quando il rettore presenterà la sua proposta al Cda dell’ateneo?  «Saremo presenti con un parere unanime che ribadirà la nostra contrarietà. Vorrei però si capisse che il nostro non è un no a priori, ma una proposta ragionata. Se Mistretta aprirà nuovi margini di dialogo noi siamo pronti». Sabrina Zedda __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 nov. ’07 SOTGIU: TASSE GIUSTE MA SERVONO CORRETTIVI Lo dice l’ex presidente dell’Ersu cagliaritano CAGLIARI. L’aumento delle tasse universitarie è davvero inevitabile? Se lo chiede Luigi Sotgiu, funzionario dell’ateneo ed ex presidente dell’Ersu cagliaritano, in una lettera aperta inviata al rettore, agli studenti e alla Regione. Analisi e proposta s’incrociano: «Il forte aumento del numero delle borse di studio erogate dall’Ersu — scrive Sotgiu — è di per se un fatto molto positivo, ma porta come effetto collaterale l’esonero dal pagamento delle tasse universitarie di tutti gli studenti aventi diritto alla borsa, anche di quelli non beneficiari. Dunque, molte migliaia di studenti non pagano le tasse ma il costo di quella provvidenza, che è il diritto allo studio universitario ed è a carico delle regioni, si riversa pesantemente sulle spalle delle università». Fatta questa premessa, Luigi Sotgiu affronta quello da lui definito un pericoloso circolo vizioso: «Oggi, paradossalmente, le università così indirettamente penalizzate dalle scelte a favore del diritto allo studio regionale, e sono costrette duenque costrette ad aumentare le tasse agli altri studenti, rischiando di provocare nuovi problemi di diritto allo studio e questo è un bel circolo vizioso ». Ed ecco la proposta: «A questo punto sarebbe invece più giusto che la Regione si accollasse anche il costo dell’esenzione dalle tasse a favore degli idonei Ersu. Perché se l’università ricevesse dalla Regione il corrispettivo di quelle tasse non pagate, sarebbe in grado di ridurre la portata degli aumenti, rendendo così maggiormente sostenibile il costo degli studi per tutte le famiglie sarde». __________________________________________________________________ L’unione sarda 15 nov. ’07 UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: PAGA DI PIÙ CHI NON STUDIA Stangata. Il rettore Mistretta rivede gli scaglioni dopo le polemiche degli studenti Rivisto il piano-tasse: aumenti per i fuori corso e gli abbienti Il rettore conta di incassare quattro milioni. Tasse più basse d'Italia. II no degli studenti. La battaglia finale tra studenti e rettore sulla proposta dì incremento delle tasse universitarie si disputerà lunedì 26 novembre in consiglio d'amministrazione: in quella data Pasquale Mistretta porterà in discussione il nuovo regolamento che permetterà alle casse universitarie di incassare 4 milioni e mezzo dì euro in più, spalmati in fasce a seconda del reddito. Gli studenti annunciano il loro voto contrario, mentre il rettore parla di «manovra corretta ed equilibrata» ricordando che nell'Ateneo cagliaritano le tasse sono ferme dal 2401 e sono le più basse d'Italia. MODIFICHE. Ieri Mistretta ha illustrato il documento che sarà messo ai voti. «Rispetto a quello preparato prima dell’estate - ha spiegato il rettore - ha subito delle modifiche. Le prime tre fasce non verranno toccate. Dopo i ventimila euro di reddito ci saranno degli aumenti progressivi fino agli 80mila». Questo per quanto riguarda le lauree triennali e a ciclo unico. In concreto, chi denuncia un reddito fino a 8.168 euro continuerà a pagare 179 euro per anno accademico, chi arriva a 13.596 ne dovrà sborsare 235 (come nel 2006) e che tocca i 10.024 avrà una tassa di 293, uguale all'ultimo anno. SCAGLIONI. Gli aumenti ricadranno sulle altre fasce, con incrementi che andranno dai 19 euro di chi denuncia ventimila euro (da 347 euro le tasse passeranno a 366) agli 822 di chi ha un reddito di 79mila euro (da 1.122 a 1.444 euro), In mezzo una miriade di scaglioni: 81 euro in più per chi dichiara 30mila euro, 100 per quelli che toccano i 35mila, 219 per chi arriva a 57mila. Sopra gli 80mila la quota diventa fissa: duemila euro di tasse, con 877 euro di incremento. Anche per le specialistiche è stata applicata la stessa filosofia-. restano invariate le prime tre fasce, mentre gli aumenti saranno progressivi per gli altri redditi. INCASSI. Per raggiungere i quattro milioni e mezzo di incasso in più, la proposta contiene altre novità: un raddoppio dei contributi aggiuntivi per le facoltà (120 per Medicina, 100 per Scienze, Farmacia, Ingegneria e Architettura, 60 per le altre), costi maggiori per i cambi di corso e per l'abbreviazione della carriera (cioè con il riconoscimento di altri crediti formativi) e un inasprimento delle tasse per i fuori corso (dopo il secondo anno un aumento del 10 per conto delle tasse, e dopo il terzo un più 30 per cento). PROMESSA. «I fuori corso - ha sottolineato il rettore - e chi non sostiene esami, quest'ultimo anno undicimila studenti, penalizzano l'Università nella distribuzione dei fondi statali». Mistretta ha fatto una promessa: «Questi soldi verranno utilizzati per migliorare l'offerta formativa. Le decisioni saranno prese con gli studenti». Il rettore ha ricordato che l'Ateneo cagliaritano è al 7,5 per cento di tassazione rispetto al finanziamento statale e che con il nuovo regolamento si arriverà al 12: «Lontanissimo dal 25 per cento che sta per essere autorizzato dal Governo». RIFIUTO. Dopo il no del presidente della Regione, Renato Soru, alla richiesta del Consiglio degli studenti, preseduto da Lorenzo Espa, dì dare un contributo per evitare l'aumento delle tasse, la strada sembra segnata. Presidi e docenti sono sempre stati per l'aumento, dunque in consiglio d'amministrazione non ci dovrebbero essere sorprese. Da destra a sinistra, nei gruppi studenteschi, il no in quell'occasione sembra sicuro. Lo hanno detto apertamente nell'incontro con Snru tutti i rappresentanti, come Andrea Marrone, Luigi Pisci, Giuseppe Frau, Paolo Pirino e Andrea Zucca. Tra dieci giorni la resa dei conti MATTEO VERCELL! __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 nov. ’07 L’ESERCITO DI STUDENTI MASTER AND BACK  Sono ottocento gli universitari sardi sparsi nei cinque Continenti  L’esperienza fa crescere professionalmente i giovani e favorisce l’integrazione tra culture    Dalla Queen’s University di Belfast, dove sta perfezionando i suoi studi di veterinario dopo la laurea a Sassari, Antonio Foddai, 33 anni, non ha dubbi: “Il Master and Back? Accelera la modernizzazione della Sardegna, è frutto di menti sottili, ci consente il confronto col mondo e quindi ci fa crescere”. Aggiunge: “All’estero impariamo molto e ci integriamo con le culture locali: nel fine settimana suono in un locale notturno dove faccio spesso l’animatore”. Però? “Però - almeno nel mio caso - se non ci sono gli anticipi in euro di mamma e papà, fuori casa, all’estero non si può stare. Gli ingranaggi e le complicazioni burocratiche sono più vincolanti dell’intuizione e dei percorsi politici. È vero che la Regione sta spendendo per elevare i nostri standard culturali, è stata un’autentica rivoluzione. Ma i denari arrivano in ritardo e noi giovani vorremmo non essere bamboccioni eternamente legati alle nostre famiglie. Credo che anche le banche ci mettano del loro per far dilatare i tempi di assegnazione dei fondi. Sì. Viva il Master and Back, però le procedure amministrative dovrebbero essere direttamente proporzionali all’innovazione politica introdotta. Mi auguro che le cose - che comunque vanno bene - migliorino ulteriormente”. E se il Master and Back venisse abolito? “La Sardegna tornerebbe indietro di secoli. Mi auguro che qualche mente illuminata si dia da fare per rimuovere i freni burocratici”.  I “masterini” come Antonio Foddai sono ormai quasi ottocento, sparsi nei cinque Continenti (Australia compresa). Il loro identikit coincide con la “meglio gioventù” degli atenei sardi e di quanti già studiano in altre università italiane o straniere. Sono destinati a diventare la classe dirigente di domani. Ed eccoli impegnati a formarsi nei centri di eccellenza sparsi per il mondo. Torneranno? Dopo il Master ci sarà davvero il Back? Presto per dirlo. Gli ostacoli non sono solo sardi ma nazionali. La ricerca scientifica - lo sappiamo col supporto di mille statistiche e ricerche sociali - è tutt’altro che la punta di diamante dell’Italia. La Sardegna inoltre, ancora ultima nel rapporto popolazione-laureati-diplomati, ancora prima nella classifica della dispersione scolastica, per decenni leader nello spreco miliardario di una formazione professionale inutile alle imprese e ai senza lavoro - ha giocato d’anticipo per scrollarsi di dosso questi primati negativi. Ed è presto per azzardare bilanci sulla tentata inversione di tendenza. Meglio, allora, continuare a raccontare le storie di chi sta credendo in questa scommessa basata sull’innalzamento dei nostri livelli culturali.  Antonio Foddai nasce in una famiglia sassarese del quartiere La Cruzzita. Genitori bancari. Il padre, Costantino, dirigente alla banca di Sassari, la madre (Gabriella Alba, originaria di Villasalto, una delle nipoti di Emilio Lussu) al Banco di Sardegna. Due figli. Alessia, laurea in Lettere, gestisce un centro-benessere. Antonio si laurea in Veterinaria, tesi in Parassitologia con Tonino Scala. Inizia a lavorare subito all’Istituto zooprofilattico di Sassari. “Mi occupavo dell’agalassia contagiosa, per tre anni ho fatto ricerche di laboratorio su una delle patologie più diffuse negli allevamenti ovini dell’Isola”. Ricerca e studio, guardando al microscopio le gocce di latte. “In tre anni prendo la specializzazione in Ispezione degli alimenti di origine animale con Enrico De Santis. Ero interessato in particolare a un batterio patogeno presente nei prodotti a base di latte, principalmente nelle ricotte, soprattutto in quelle non prodotte in Sardegna. Una ricerca utile perché combattere quel batterio specifico significa evitare che, mangiando certe ricotte, si possano avere disturbi come la diarrea o il vomito”.  Foddai nota subito una differenza sostanziale fra i latticini sardi e quelli che arrivano da oltretirreno. E si rende conto che la qualità sarda non è una favola, anzi. “In Sardegna l’agalassia contagiosa è tenuta sotto controllo anche perché non è eccessiva l’industrializzazione delle aziende agroalimentari. Quelle esistenti si affidano ai tecnici, ai biologi, ai chimici. Ciò evita di perdere il controllo della filiera produttiva, i nostri prodotti continuano a essere genuini, sono visti come alimenti non un “pezzo” da fabbrica. C’è ancora la cultura del prodotto buono e non del prodotto da prezzo anche se la crisi economica spesso può portare a fare scelte al risparmio ma poi si torna al prodotto più genuino possibile. E - in questa ricerca - le analisi sui latticini sono fondamentali tanto per i consumatori che per le aziende”.  Con questa passione alle genuinità e salubrità dei cibi ecco, nel novembre dello scorso anno, la svolta col Master and Back. Per ottenere il Ph.D., il Doctor of Phylosophy, dottorato di ricerca. La scelta cade in una delle regioni più ricche di allevamenti, l’Irlanda del Nord. Destinazione Belfast. Trova casa nella zona del campus universitario a venti minuti dal laboratorio, condivide l’appartamento con un altro ricercatore.  “Lavoro per Iaflu, che sta per Agri Food and Land Use anche se i laboratori sono all’interno di un altro istituto, il Mbc (Medical Biological Center) che rimane nella zona Sud di Belfast su Lisburn Road”. La ricerca è sempre riservata agli alimenti, la terminologia si fa molto specifica. “Attualmente mi occupo di amplificazione fagica per la titolazione indiretta di batteri difficili da coltivare in normali terreni agarizzati”. Cioè? “Infetto delle cellule batteriche con un virus, verifico la sua replicazione all’interno delle stesse cellule batteriche coltivate in diverse condizioni di crescita come la temperatura, l’ossigeno, eccetera. Lo scopo è quello che animava i miei primi studi fatti a Sassari: mettere a punto un sistema diagnostico che permetta di studiare la reale presenza e sopravvivenza di questi batteri negli alimenti. Nel mio caso si tratta in particolare del micobatterio della paratubercolosi. Tutto questo è fondamentale per dare ai cittadini, ai consumatori prodotti garantiti, sicuri, senza rischi. In questa ricerca la Sardegna è ben piazzata ma il confronto con altri ricercatori, con altri metodi scientifici può farci solo del bene”.  È scontato chiedere quali sono le analogie e le diversità fra la ricerca fatta a Sassari quella di Belfast. “Nel sistema anglossassone nel suo complesso emerge una prima differenza: e balza subito agli occhi la maggiore disponibilità economica. Tutto questo porta nei fatti a una maggiore professionalizzazione dei giovani ricercatori. Qui in Irlanda del Nord - ma avviene lo stesso in tutto il Regno Unito - durante un Ph. D ti viene insegnato veramente tutto quello che ti serve per diventare un professionista: fare una scelta e un’analisi critica delle informazioni presenti sull’ Web, non accetti nulla per scontato, tutto va verificato. All’inizio del percorso viene valutata con cognizione di causa la sostenibilità del progetto di ricerca che proponi. Ma soprattutto il progetto di ricerca è sottoposto costantemente ad analisi, c’è comunicazione e discussione fra ricercatore e professore dei dati ottenuti in laboratorio. Tutto ciò consente una crescita vera perché sei sempre in tiro, mai in relax, mai nell’indifferenza o nella routine. Ecco: qui ti rendi conto che il rapporto studente-docente o ricercatore-professore è reale. E ciò in Sardegna, anche nella mia facoltà di Veterinaria che pure ha avuto momenti di eccellenza, è un’eccezione, non più la regola. Il Master and Back ci ha fatto capire due mondi così diversi fra loro”.  Schiavo della ricerca, dei microscopi, dei vetrini? Neanche per sogno. “Nel tempo libero mi dedico principalmente al ballo caraibico e alla musica, due hobbies che avevo iniziato a curare quando ancora stavo a Sassari e che ritengo molto utili per il relax totale del cervello e per socializzare con persone di altre culture. Vicino a casa c’è un charity pub dove il lunedì e il martedì parte degli introiti vengono devoluti in beneficenza. Talvolta vado in un altro locale per ballare caraibico e dove a volte faccio animazione, si chiama Empire, dista circa 15 chilometri da Belfast”.  Avviene in un ristorante spagnolo, il Tasca. “Qui conosco il proprietario, Ryan, simpaticissimo. Ero insieme ad altri ragazzi italiani e spagnoli a cui stavo insegnando dei passi di ballo. La sera, oltre a offrirmi la cena, mi dice che è titolare di un altro locale a Bangor dove si ballava caraibico tutti i venerdì. Appena ho potuto sono andato a trovarlo e mi ha chiesto se ero interessato a lavorare come animatore. Gli ho spiegato che lavorando per l’università non avevo molto tempo a disposizione. Abbiamo trovato l’accordo, vado quando me lo consente l’impegno di ricercatore e metto da parte qualche sterlina. Ho creato anche qualche invidia fra altri ballerini perché la mia esperienza sassarese mi aveva permesso di essere già esperto, ma si sa che tutto il mondo è paese e anche in Irlanda del Nord le invidie non mancano, basta non dar loro troppa importanza”.  E il Master and Back? “Questo è il mio problema principale. Tra poco io compirò 35 anni e probabilmente non sarò più considerato idoneo in base ai requisiti del bando. Avevo chiesto un finanziamento per 36 mesi di studio, domanda accolta, parto per Belfast poi qui mi arriva una lettera dall’Agenzia regionale sarda del lavoro dicendomi che mi avrebbero finanziato solo i primi 26 mesi. È possibile mandare tutto a carte quarantotto per dieci mesi? Ci saranno denari per nuovi bandi, per rettificare alcune norme restrittive? Sono domande che mi pongo io come tanti altri miei colleghi che non vogliono uscire allo scoperto. Io credo che tutto si possa risolvere alla luce del sole, senza sotterfugi, perché l’intento della Regione è quello di farci concludere i corsi di specializzazione”. Diversamente? “In questo malaugurato caso dovrò rivolgermi a una banca irlandese per avere un contratto, loro me lo darebbero, ma mi chiedono la domiciliazione, cioè di restare da loro, in Irlanda. Ma io vorrei, dopo il Master, fare il Back. Con la mia Regione. E tornare a casa. A lavorare per la Sardegna”.  Quanti “masterini” sono nella situazione di Antonio Foddai? Forse non molti, proprio per ragioni anagrafiche come vedremo fra un paio di righe. Basta dare uno sguardo alle statistiche più generali. L’attuazione del programma Master and Back è affidata all’Agenzia regionale del lavoro che ha recentemente diffuso un monitoraggio sulla prima annualità con le 767 domande ammesse (su poco più di mille presentate). Nel programma del triennio 2005-2008 è prevista l’assegnazione di tremila borse di studio per un totale di oltre 53 milioni di euro. Le preferenze dei giovani sardi? Svettano, come ormai è prassi consolidata nelle statistiche, le donne con 442 domande rispetto alle 325 dei maschi. La fascia d’età più numerosa è quella fra i 26 e i 30 anni (487 in totale), 17 sono gli ammessi con età fino a 25 anni e 263 dai 31 anni e oltre (caso Foddai). Queste le strade scelte: 15 lauree specialistiche, 202 dottorati di ricerca, 38 corsi di specializzazione in Italia, 308 frequenze ai master tra Italia e Paesi esteri, 190 master di alta specializzazione e 14 diplomi accademici. I corsi più richiesti (179 sul totale) sono - secondo l’indagine dell’Agenzia per il lavoro - quelli in Scienze economiche e statistiche seguiti (99) da corsi in archeologia e storico artistici, al terzo posto (79 richieste) per Scienze politiche e sociali. L’Europa è il Continente più ambito con 745 domande su 767. Tredici hanno scelto l’America centrale, tre l’Africa e l’Oceania, due l’Asia e una l’America del Sud. In Europa, dopo l’Italia, nelle scelte degli studenti sardi è al primo posto la Spagna, seguita dal Regno Unito e dalla Francia.  Torneranno tutti? La partita è in corso. Aspettiamo il risultato. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 nov. ’07 LAUREA, RISCATTO SENZA INTERESSI Finanziaria misure anti-precariato -Anni di studio totalizzabili in 124 rate di Michela Finizio Anche se l'incertezza della pensione ancora non è un problema molto sentito tra i giovani, farà piacere a tutti sapere che da gennaio ci saranno maggiori garanzie per il futuro dei precari. Soprattutto ai genitori dei laureati che, prima ancora che il figlio inizi a lavorare, potranno contribuire a riscattare gli anni di studio a fini pensionistici. La possibilità di farsi pagare i contributi da mamma e papà, attraverso il meccanismo del riscatto della laurea, è solo una delle novità messe a punto dal Governo. È in arrivo, infatti, un articolato pacchetto di riforme per far fronte ai principali problemi delle nuove generazioni: il miraggio di un lavoro stabile e la mancanza di indipendenza economica. Le nuove norme, in questi giorni all'esame del Parlamento, sono contenute nel disegno di legge sul welfare e nel testo della manovra 2008, ed entreranno in vigore a partire da gennaio. AL centro degli interventi del ministero del Lavoro e della previdenza sociale c'è la difficoltà, per i giovani di oggi, di assicurarsi una pensione. Sarà più facile, innanzitutto, totalizzare diversi periodi contributivi maturati in differenti gestioni pensionìstiche: si potranno cumulare anche "spezzoni" di almeno tre anni, mentre prima non venivano riconosciuti periodi inferiori ai sei anni. Allo scopo di favorire il pieno riconoscimento dell'attività lavorativa svolta, chi ha già maturato il diritto al trattamento previdenziale potrà far valere nel calcolo della pensione anche i contributi maturati presso altre casse: una persona che ha già raggiunto i 65 anni di età e i 2o anni di vita contributiva, per esempio, avrà la possibilità di cumulare tre anni di attività svolta in precedenza come libero professionista. Per quanto riguarda il meccanismo di riscatto dei corsi universitari, per ora possono richiederlo solo gli iscritti a una gestione previdenziale. In futuro, come già accennato, saranno ammessi anche i soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza e coloro che non hanno ancora iniziato fattività lavorativa. Gli oneri del riscatto potranno essere pagati senza interessi attraverso i2o rate mensili (cioè per dieci anni) oppure con un numero di rate pari ai mesi di durata del corso. Il contributo da versare non è più calcolato in base al sesso, alla speranza di vita e all'importo teorico della pensione, ma sulla base dei minimi vigenti sul mercato: la cifra viene stabilita per ogni anno da riscattare, moltiplicando il livello minimo imponibile previsto per i lavoratori autonomi con l'aliquota di computo vigente per i lavoratori dipendenti (circa 4.5oo-5.00o euro). I genitori che decidessero di aiutare il figlio laureato a costruirsi una pensione potranno anche detrarre il contributo nella misura del ì9% dell'importo stesso. Un incentivo per favorire questo strumento, ancor più importante visto che, da gennaio, il riscatto varrà ai fini del raggiungimento del diritto a pensione: i periodi di studio potranno essere calcolati nel computo dei requisiti minimi previsti dal sistema contributivo. Per i lavoratori autonomi e gli iscritti alla gestione separata ci saranno alcune modifiche in busta paga: dal mese di gennaio saranno elevate la aliquote contributive. Per gli iscritti ad altre gestioni sale al 17%, rispetto all'attuale 16%, mentre per gli altri l'aumento sarà progressivo (rispetto al 23%): nel 2008 sarà del 24%, nel 2009 del 24% e nel 2010 del 26 per cento. Sotto l'albero di Natale il Governo ha poi deciso di far trovare alcune risorse aggiuntive ai disoccupati e ai ricercatori. L'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (cioè per quei lavoratori che, occupati soltanto per una parte dell'anno, non raggiungono il minimo contributivo richiesto per la disoccupazione ordinaria) è stata elevata al 35% per i primi i2o giorni e al 40% per i successivi, rispetto all'attuale 30%, per un massimo di sei mesi. E, allo scopo di integrare gli stipendi dei titolari di assegni e contratti di ricerca, è stato incrementato di 8 milioni di euro il fondo di finanziamento di università ed enti pubblici di ricerca, per ciascuno dei prossimi tre anni. Inoltre, se le famiglie non saranno comunque in grado di mantenere a lungo i propri giovani, basterà saper cercare accuratamente tra i bandi ministeriali e nelle misure di accesso ai fondi. Presso il ministero del Lavoro nel 2oo8 si potrà accedere a tre fonti di finanziamento mirate, per una dotazione complessiva di 150 milioni: per il sostegno dell'attività intermittente dei lavoratori a progetto, con erogazioni fino a 600 euro per 12 mesi, con restituzione posticipata a 24 0 36 mesi; incentivi alle attività innovative, con priorità per le donne; credito ai giovani lavoratori autonomi per sostenere il trasferimento generazionale delle piccole imprese e l'avvio di nuove attività. A questo si aggiunge un programma nazionale destinato ai laureati del Sud per favorire il loro inserimento lavorativo, che dovrà essere disciplinato con un decreto ministeriale entro 6o giorni dall'entrata in vigore della Finanziaria 2008. Il Governo, infine, intende intervenire nei prossimi mesi sul fronte della formazione, per valorizzare i percorsi di istruzione dei giovani, in relazione alle necessità del tessuto economico e produttivo del Paese. «Questi interventi -spiega il ministro del Welfare Cesare Damiano -vanno valutati nel loro insieme. Abbandonando una visione complessiva i singoli provvedimenti sembrano perdere significato». I genitori potranno sostenere con una detrazione del 19% le spese necessarie ai figli Più facile sommare periodi maturati in gestioni differenti ======================================================= ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 11 nov. ’07 BONCINELLI: LA LEGGE DI DARWIN E IL PESO DELLA CASUALITÀ Dopo la replica di Piattelli Palmarini, Boncinelli interviene su creazionismo e specie «Ma proprio gli eventi accidentali dimostrano la bontà dell'evoluzionismo di EDOARDO BONCINELLI D i tanto in tanto si parla di evoluzione biologica e subito gli animi si infiammano. Probabilmente occorre ricordare a tutti che la teoria dell'evoluzione è una teoria scientifica e come tale procede solo attraverso esperimenti e contro-esperimenti. Le speculazioni teoriche appartengono certamente alla storia delle idee, ma non alla scienza: divengono scienza solo se danno luogo ad esperimenti e se questi ne dimostrano le anticipazioni, o per meglio dire, ne dimostrano alcune anticipazioni e né confutano altre. Purtroppo molti tendono a dimenticare tutto ciò e scambiano per scienza le interpretazioni teoriche della stessa, dando più o meno involontariamente l'impressione che su certi punti ci sia un dibattito scientifico, che invece, non c'è. La teoria dell'evoluzione biologica, nella sua ultima versione chiamata neodarwinismo, rappresenta un corpo di conoscenze teoriche e sperimentali ormai assodate e ampiamente corroborate sperimentalmente, che ci dannò la migliore spiegazione al momento possibile della presenza e dell'evoluzione della vita sulla terra. Questa non spiega tutto perché nessuna teoria scientifica può spiegare tutto, ma ci fornisce uno strumento interpretativo potentissimo per il lavoro quotidiano dei biologi di tutto il mondo. Nessun biologo può oggi prescindere dalla visione neodarwiniana del processo evolutivo, sia che si occupi di genetica, di sviluppo embrionale, di sistematica, di fisiologia o di ecologia. Anche chi non si serva esplicitamente dei principi del neodarwinismo, finisce per adoperarli in ogni circostanza, perché nulla ha senso in biologia se non è iscritto in un quadro evolutivo. Avendo premesso ché nessuna teoria riguardante il vivente può violare i principi della fisica e della chimica, che riguardano sia il vivente che il non vivente, vediamo che cosa dice la teoria dell'evoluzione. Essenzialmente due cose. In primo luogo, che ogni organismo vivente oggi, nonché l'insieme degli organismi fossili, derivano tutti da un gruppo di organismi primitivi vissuti su questo pianeta più o meno tre miliardi e ottocento milioni di anni fa. In secondo luogo, che tutta questa incredibile e affascinante varietà si è originata grazie all'azione di solo due meccanismi biologici sempre in azione: la creazione di nuove mutazioni e la cosiddetta selezione naturale. La comparsa di nuove mutazioni e la loro ridistribuzione nei diversi genomi porta alla continua comparsa di individui diversi, -poco o tanto, in ogni popolazione naturale. Alcuni di questi nuovi esemplari scompaiono subito dalla circolazione o lasciano comunque pochi discendenti. Altri «vivacchiano» per qualche tempo a fianco degli organismi precedentemente presenti nella popolazione e che, volendo, possiamo definire «normali», anche se il significato di questo termine cambia necessariamente con il passare delle generazioni. Di tanto in tanto i nuovi esemplari hanno un grosso successo riproduttivo in un certo ambiente e finiscono per rimpiazzare i «normali» di una volta. Si è cosi avviato un processo che porterà alla creazione di una nuova specie biologica, al posto della precedente o accanto ad essa. Questa scelta-condanna dei nuovi esemplari, approvazione tiepida o approvazione entusiastica degli stessi -è messa in atto dall'ambiente, organico e inorganico, dove vivono gli organismi in questione. L'ambiente ha cosi operato una selezione naturale, senza che questo termine significhi niente di più di quanto abbiamo appena detto. Gli organismi momentaneamente prescelti possono anche essere definiti come i più «adatti» all'ambiente in cui vivono, ma il termine non regge ad un'analisi concettuale stringente. Personalmente preferisco dire che la selezione naturale concede ai diversi tipi di individui presenti in una popolazione di lasciare una quantità di discendenti diversa: chi ne lascia di più si afferma. Tutto qua. Fin qui quello che dice la teoria da decenni e che trova quotidiana conferma negli esperimenti biologici sul campo o in laboratorio e nell'analisi dei diversi genomi oggi disponibili. Che cosa è successo negli ultimi trenta-quaranta anni? Abbiamo 'imparato tantissime cose sui geni, sui meccanismi dello sviluppo e sulle dinamiche delle popolazioni naturali. È inevitabile che tutto ciò abbia lasciato il segno anche sulla teoria dell'evoluzione, chiarendo molti punti, mettendo in secondo piano alcuni meccanismi e dando nuovo risalto ad altri. Personalmente riassumerei tutto questo affermando che in questi anni è aumentato di molto il peso che si dà al caso, cioè agli eventi accidentali di natura geologica, meteorologica, genetica e ecologica - che propongono sempre nuove situazioni all'azione dell'ambiente e in definitiva alla selezione naturale. Che comunque è sempre quella che ha l'ultima parola. ____________________________________________________________________ la gazzetta del mezzogiorno 13 nov. ’07 MANDELBROT: NUVOLE E FOGLIE, COSÌ IL «CAOS» PUÒ AIUTARE LA MEDICINA A Bari lo scienziato Benoit B. Mandelbrot L’inventore della rivoluzionaria «geometria dei frattali» L'Universttà di Bari assegna Oggi alle 17 nell'Aula Magna dell'Ateneo la laurea «honoris causa» In Medicina e Chirurgia a Benott B. Mandelbrot, professore emerito dl Scienze Matematiche nell’Università di Yale. Il programma prevede Il saluto del rettore Corrado Petrocelli, la laudatio del preside Antonio Quaranta, la lettura del dispositivo del conferimento di Rosalia Ricco, direttore dei dipartimento di Anatomia Patologica, e la «lectio magistralts» di Mandelbrot sulle applicazioni dei frattali In anatomia e fisiologia di DOMENICO RIBATTI Benoit B. Mandelbrot, noto a livello internazionale per avere fondato la «geometria dei frattali», è nato a Varsavia nel 1924 da una famiglia di ebrei lituani. Si trasferì in Francia nel 1936, dove consegui all'b:cole Polytechnique di Parigi il diploma di ingegnere nel 1947 e la laurea in matematica nel 1952. Nel 1958 si trasferì definitivamente negli Stati Uniti, iniziando la sua lunga e fruttuosa collaborazione con l’113M, che lo portò alla elaborazione della sua teoria. Attualmente è professore emerito dell'università di Yale. Molti dei suoi saggi sono stati tradotti in lingua italiana. La definizione più semplice descrive il frattale come una figura geometrica in cui un motivo identico si ripete su scala continuamente ridotta. Ingrandendo la figura si otterranno forme ricorrenti e ad ogni ingrandimento essa rivelerà nuovi dettagli. La parola «frattale» definisce una rappresentazione grafica composta di linee spezzate (dal latino fractus), dall'andamento apparentemente irregolare, che sono in sostanza delle strutture matematiche, capaci di esprimere comportamenti variabili in spazi anche molto piccoli. Mandelbrot ha descritto in termini grafici forme e processi naturali, quantificando il loro grado di «erraticità» attraverso rigorosi metodi matematici. È nata cosi quella branca della matematica che Mandelbrot ha chiamato «geometria dei frattali» o «geometria frazionaria». A differenza della geometria euclidea, cosi rigida nel rappresentare il mondo visibile, e cosi lontana dal poter raffigurare le forme reali, la geometria dei frattali è capace di rappresentare fenomeni naturali complessi, non riducibili alle entità geometriche classiche come il punto, la linea, il quadrato, il cubo e la sfera. Nell'ambito dei fenomeni naturali complessi rientrano, ad esempio, i profili di una montagna o di una costa, le nuvole, la struttura ramificata degli alberi, le strutture cristalline e molecolari, le galassie. Le foglie possono descriversi mediante costruzioni frattali in quanto i contorni frastagliati tendono a riprodurre in ogni parte la complessità del tutto: la felce è un esempio tipico in quanto ogni suo particolare è una replica in scala ridotta della struttura completa. La figura che viene ad essere generata è ottenuta fissando (lei numeri in una legge di trasformazione affine iterata migliaia di volte. Anche esaminanda i profili delle montagne o delle nuvole l'ingrandimento di una parte é indistinguibile dal profilo di una montagna intera perché si presenta frastagliato allo stesso modo e la scelta dei coefficienti numerici determina profili più aguzzi o più arrotondati. Una caratteristica comune a tutti gli oggetti frattali è la autosimiglianza o invarianza di scala, che sta a significare che ad ogni scala di misura adottata la struttura appare simile a quella della scala precedente. Ogni tentativo di ridurre un frattale in parti più piccole produce come risultato l’emergere di altre strutture simili che a loro volta ne contengono altre e cosi via. I frattali, data la loro irregolarità, hanno dimensione frazionaria. Per generare un frattale è necessaria una procedura che deve essere iterata all'infinito, cioè in sostanza è il risultato dell'evoluzione di un sistema dinamico. La complessità dei calcoli ha rappresentato un ostacolo a prog-ressi significativi in questo tipo di geometria fino all'avvento dei calcolatori negli anni Sessanta. La geometria frattale è alla base delle cosiddette teorie del caos che hanno applicazioni in chimica, biologia, meccanica dei fluidi, dove l'evoluzione dinamica di certi fenomeni può essere caratterizzata da una figura frattale. Numerose sono le strutture che presentano una dimensione frattale osservabili nel nostro organismo durante lo sviluppo embrionale e nella vita postnatale, come ad esempio i vasi sanguiferi che si ramificano progressivamente in rami di ordine di grandezza inferiore, i neuroni che presentano ramificazioni di tipo asimmetrico, corrispondenti ai dendriti, che veicolano gli impulsi nervosi dalla periferia verso i centri nervosi, ed ancora la modalità di ramificazione dell'albero bronchiale a livello dell'apparato respiratorio. La teoria dei frattali ha trovato una sua applicazione anche in ambito patologico, come nello studio radiografico delle lesioni benigne e maligne della marmmella. __________________________________________________________________ La Repubblica 15 nov. ’07 E IL CAMICE BIANCO VA IN RETE Il futuro della professione e le nuove tecnologie in aiuto: computer, teleassistenza, teleconsulto... di Carla Etzo Quale medico di base per il futuro? Al recente congresso Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale) a Villasimius (Cagliari), è emersa l'esigenza di una professione ridisegnata, attrezzata per affrontare l'emergenza cronicità. Il punto di partenza è il progetto per le Umg (Unità di medicina generale), modello di relazioni tra professionisti (medici, infermieri, personale sociosanitario ecc.) sul territorio. Il 2008 sarà un anno duro per la categoria, impegnata nel rinnovo della convenzione. L'emergenza cronicità è al centro di quella che il segretario della Federazione, Giacomo Milillo, ha definito la "ri -fondazione" della medicina generale. L'ospedale da solo non basta più. In questo senso la medicina di base dovrà diventare ancora di più la porta di accesso al sistema sanitario, il medico di famiglia colui che segue l'utente nell'arco del suo percorso terapeutico. Servono strumenti informatici, lavoro in rete, presenza in studio di personale non medico in grado di supportare un lavoro ambulatoriale sempre più articolato. Sul fronte delle nuove tecnologie i camici bianchi hanno da tempo promosso l'uso del computer per la gestione dei dati clinici dell'assistito, per ricette e impegnative. "Un percorso che entro il 2009 porterà all'obbligo dell'informatizzazione" spiega Leandro Pesca, coordinatore della commissione informatica Fimmg. "Il grado di informatizzazione dei medici di base arriva al 76 per cento", aggiunge Giancarmine Russo, segretario generale della Società di telemedicina e sanità elettronica (SIT), "negli ospedali la percentuale di utilizzo del computer per la gestione clinica del paziente è tra l'1 e il 5 %". La diffusione della medicina in rete, che prevede la gestione telematica, tra più professionisti, dei dati clinici del paziente, si attesta tra il 35 e il 40 per cento. "In maniera sporadica e disomogenea nascono anche le prime reti di medicina regionale, dialogo informatico tra medici di famiglia, azienda sanitaria, ospedali e centri di prenotazione", continua Russo. Esempi di questo sono il "progetto Carta regionale dei Servizi (CRS-SISS)" della Lombardia, il progetto Sole (Sanità on line) dell'Emilia Romagna. Stanno nascendo poi le cosiddette Medir (Rete dei medici e dei pediatri) che interessano Sardegna, Puglia, Abruzzo, Campania, Basilicata, Sicilia, Molise e Lazio. Altro campo in via di esplorazione da parte della Fimmg è quello della telemedicina attraverso la tele assistenza domiciliare (controllo dei pazienti cronici a casa), il telemonitoraggio medicale (controllo a distanza dei parametri vitali del paziente), e il tele consulto specialistico: esperienze in corso nella Asl 4 dell'Alto vicentino, il progetto E-care dell'Emilia Romagna e la rete sperimentale di Telepatologia della Sardegna. __________________________________________________________________ La Repubblica 13 nov. ’07 PIÙ SOLDI ALLA SANITÀ E VIA IL TICKET Marcia indietro sulle ricette. Dal 2008 solo utilitarie per le auto blu Accelera il Pil nel 2007. Palazzo Chigi: non siamo pessimisti, il 2% non è lontano ROBERTO PETRINI -------------------------------------------------------------------------------- ROMA - La contrastata norma che abolisce anche per il prossimo anno il ticket da 10 euro per analisi e specialistiche passa. Non passa invece l´altra norma che riguarda la sanità: quella che obbligava i medici a limitarsi ad indicare sulla ricetta solo il principio attivo e non la marca del farmaco a pagamento (quello di fascia C). «Colpa delle lobby farmaceutiche», si lamenta Roberto Manzione dell´Ud che aveva la paternità della proposta. Positivo invece il commento di Claudio Cavazza, presidente della Sigma Tau: «La misura non avrebbe portato risparmi alla spesa sanitaria e avrebbe creato solo confusione». Tira le conclusioni il ministro della salute Livia Turco: «Il Servizio sanitario esce rafforzato dalla Finanziaria: abbiamo innalzato i livelli di assistenza». Il primo giro di boa della Finanziaria 2008 si avvicina con il voto finale previsto per oggi e l´aula del Senato, tra una sconfitta sulle risorse per i ricercatori e le minacce di Dini e Mastella, prosegue il suo cammino arrivando ad approvare l´articolo 90 (su 97) e collezionando più di 300 votazioni. Restano aperti i nodi del tetto agli stipendi dei manager (dove l´accordo annunciato lunedì sera dalla capogruppo dell´Ulivo Finocchiaro è stato contestato da Mastella) e la stabilizzazione dei precari dello Stato. La giornata di ieri, oltre che dalla sanità è stata segnata dal colpo di scure ai costi della pubblica amministrazione. Via libera al rilancio della Consip, l´agenzia che dovrà provvedere all´acquisto centralizzato di beni e servizi per gli uffici pubblici. Ridotta la cilindrata media delle auto blu che diventeranno «utilitarie di Stato»: non potranno superare 1.600 cc. di cilindrata. Incremento dell´utilizzo della posta elettronica nelle amministrazioni pubbliche e ricorso a Skype (o altri operatori Internet low cost) per le comunicazioni telefoniche. Sempre nel campo dei risparmi scatta la riduzione (da 5 a 3 e da 7 a 5) dei consigli di amministrazione delle società a controllo pubblico. Scompaiono anche 12 enti inutili: ma il Senato, rispetto alla proposta del governo, ne salva cinque (tra cui quello proposto da Storace di An per l´Africa e l´Oriente fondato nel 1931). Tagli per 23,8 milioni per il Quirinale, le Camere e la Corte Costituzionale: la spesa per il 2008 sarà contenuta entro il tetto dell´inflazione per decisione autonoma di queste istituzioni. Prorogato il 5 per mille (donazioni-Irpef per scienza, motivi umanitari e volontariato) anche per il 2008 , ma con un tetto di 100 milioni. Andranno allo Stato (per fini sociali) 60 milioni in più dell´8 per mille (donazioni-Irpef per confessioni religiose). Battuto invece il fronte laico del Senato su un ordine del giorno che invitava il governo ad aprire un tavolo di riforma dell´8 per mille (solo 92 i favorevoli). Agita infine ancora il dibattito la questione della crescita del Pil: ieri l´Istat ha comunicato il dato del terzo trimestre di quest´anno: si tratta di una crescita dell´1,9 tendenziale (0,4 rispetto al precedente trimestre in accelerazione) che si ritiene compatibile con un analogo tasso a fine anno (lo stesso del governo). Su prossimo anno invece lo stesso Padoa-Schioppa aveva espresso preoccupazioni: Prodi ha preferito tuttavia mostrarsi ottimista e sollecitato dai giornalisti ha risposto: «Sono fiducioso, nel 2007 tendiamo al 2 per cento». __________________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 nov. ’07 POLICLINICO: CHIRURGIA PEDIATRICA «SUBITO UN REPARTO PER I BAMBINI SARDI» La Sardegna, dopo la chiusura di quello attivo all’ospedale Santissima Trinità, è priva di un reparto di Chirurgia pediatrica, e ogni anno duemila bambini sardi sono costretti a imbarcarsi per viaggi della speranza per sottoporsi a interventi chirurgici nel resto d’Italia o all’estero. Per ovviare al problema, sostengono i dipendenti del Policlinico universitario di Monserrato, se ne potrebbe aprire uno nella loro struttura: «Nella nostra sede abbiamo tre sale operatorie modernissime, costate milioni di euro, ma nessuno pensa alla Chirurgia pediatrica. Noi potremmo accoglierla nel blocco N, ad esempio, visto che la Cardiologia, cui sarebbero riservati ben 15 posti letto, esiste già al San Giovanni di Dio». Con i 6 milioni di euro che la Sardegna spende ogni anno per far operare i piccoli fuori dall’isola, secondo Angioni, si potrebbe far entrare in funzione il reparto del Policlinico, mettendo così fine alle odissee di bambini e genitori: tante famiglie, costrette a sobbarcarsi costi ingenti per soggiornare lontano da casa, in diversi casi hanno dovuto far ricorso a collette di generosità. I dipendenti del Policlinico chiedono risposte certe alla Regione: «Servono atti concreti. Non è accettabile la mancanza di reparti essenziali come Chirurgia pediatrica o che vengano ridotti al minimo altri come Anatomia patologica». Il consigliere regionale Pierpaolo Vargiu (Riformatori), nell’agosto scorso presentò un’interrogazione sul caso di un neonato iglesiente trasferito a bordo di un aereo militare per essere sottoposto a un intervento chirurgico di atresia intestinale all’Ospedale Bambin Gesù di Roma. «Avrebbe potuto essere eseguito nel reparto di Chirurgia pediatrica del Presidio ospedaliero Santa Barbara - scriveva il consigliere - ma non era stato possibile, non perché mancassero le competenze chirurgiche, ma perché il servizio di rianimazione dell’ospedale Santa Barbara non avrebbe potuto fornire adeguate garanzie sul decorso post-operatorio». I chirurghi non specialisti, ovviamente, si rifiutano di affrontare operazioni che solo chi è esperto del settore o è un chirurgo generale può eseguire. Con una richiesta: «Che siano pienamente efficienti le strutture che consentano ai piccoli pazienti sardi e alle loro famiglie di trovare nella propria terra di residenza la risposta ai propri bisogni di salute». __________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 nov. ’07 SANITÀ, RESPINTO L’ATTACCO DELLA CDL SU SISAR Bocciata dal consiglio regionale la mozione sul bando di gara per il Sisar, ma l’Unione si divide CAGLIARI. La mozione del Centrodestra sul bando Sisar nell’assessorato alla Sanità è stata respinta dal consiglio regionale nonostante i contrasti nella maggioranza di Centrosinistra: i «no» sono stati 24, i «sì» 16 e 9 le astensioni. Prima del voto finale, alla quale non ha partecipato l’esponente della maggioranza Paolo Maninchedda («è stata una gara pessima») c’è stata una lunga sospensione chiesta dal capogruppo della Margherita Antonio Biancu. La mozione sull bando per l’informatizzazione della sanità («è un nuovo caso Saatchi») è stata illustrata da Roberto Capelli (Udc), il quale, come anticipato nei giorni scorsi, ha comunicato all’aula che porterà tutti i documenti alla Procura della Repubblica. Capelli, così come gli altri esponenti dell’opposizioni, ha chiesto l’annullamento dell’aggiudicazione all’associazione temporanea d’imprese tra Engineering e Telecom. La minoranza ha fatto riferimento ad un parere legale fornito da un consulente esterno, l’avvocato Giuseppe Macciotta, nel quale erano evidenziati alcuni profili di illegittimità. Nel complesso sono state contestate violazioni alla normativa sugli appalti pubblici e dei principi di trasparenza, economicità e imparzialità della pubblica amministrazione. Capelli ha fatto riferimenti anche alle dichiarazioni critiche dell’ex direttore generale dell’assessorato (poi «rimosso dall’incarico») e al ruolo del presidente della commissione esaminatrice delle offerte, Giulio De Petra, dirigente della presidenza della Regione. Per la giunta ha replicato l’assessore Nerina Dirindin: «L’amministrazione ha operato nel massimo rispetto della legge, è un esempio di assoluta trasparenza, di prudente ed equilibrata gestione di una gara ad evidenza pubblica, con iniziative accorte adottate dagli uffici senza alcuna interferenza da parte dell’organo politico». La Dirindin ha criticato la «cultura del sospetto» dell’opposizione e a proposito delle consulenze esterne ha accusato il Centrodestra di averne fatte molte di più quando e di essersi anche rivolto a convenzioni («riveletesi inutili») con strutture del Piemonte. ___________________________________________________________________ Libero 16 nov. ’07 MEDICINA: ALTRO COLPO ALLA MERITOCRAZIA di MASSIMO SLAVICH: Neo Laureato in Medicina L'iter da percorrere per i giovani medici è lungo. Dopo. la laurea infatti è previsto l'obbligatorio tirocinio presso reparti per poter sostenere così l'esame di stato e potersi finalmente forgiare del titolo di Medico. Medico senza tuttavia un'identità precisa in quanto è ormai prassi ottenere una specializzazione. Questo è il primo grande scoglio che il Giovane Medico deve superare: gareggiare contro colleghi, il più delle volte egualmente preparati, per accaparrarsi uno dei pochi posti disponibili in Scuota di specialità. Negli ultimi anni, i neolaureati in Medicina e Chirurgia nelle sessioni di Luglio e Ottobre, hanno sostenuto l'esame di Stato a Febbraio e il test di Specialità tra Marzo e Luglio. E' stata quindi assolutamente una spiacevole sorpresa leggere le intenzioni del Ministro On. Mussi: Test per la scuola di specialità a Gennaio. Questo significherebbe che tutti gli studenti laureati a Luglio o Ottobre del sesto anno non potranno partecipare al concorso di Gennaio in quanto non in possesso dell'abilitazione, a vantaggio di tutti i Colleghi Medici abilitati nel 2006 che, o non sono stati ammessi l'anno scorso in Scuola di Specialità o che, essendosi laureati non nelle prime sessioni, hanno sostenuto l'esame di abilitazione in ottobre. Di certo la realizzazione del tanto paventato principio meritocratico viene a subire un duro colpo nel momento in cui non si consente di partecipare al test a coloro che si sono laureati per primi e hanno intenzione di abilitarsi appena possibile. Siamo sicuri che poi tutti questi meritevoli neomedici resteranno in Italia ad attendere delusi il bando per gli esami di specializzazione per il 2009? Probabilmente dovremo prepararci ad una ennesima fuga di cervelli che non stupisce più nessuno, ma è l'unica triste via di salvezza. Il test a Gennaio sarebbe un segnale veramente scoraggiante di quanto le Istituzioni, spero per malaccorta insipienza, tarino verso il basso il livello della Sanità. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 16 nov. ’07 DALLA FAVERA: IL CANCRO HA MILLE FORME DIVERSE. LA SFIDA? CURE PERSONALIZZATE MILANO - «La malattia cancro non esiste, si tratta di molte malattie. diverse». Riccardo Dalla Favera è uno dei ricercatori più noti al mondo. Un'eminenza nello studio dei linfomi. Un «cervello» italiano espatriato. Di lui sarebbe fiero il suo maestro, l'ematologo Elio Polli. Perché Dalla Favera, 56 anni il prossimo 30 dicembre, è milanese di nascita e di formazione. La sua «culla» come medico e specialista nel campo dei linfomi e delle leucemie è stato il Padiglione Granelli dell'Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. II «Ca' Granda», nel cuore della città. A New York, nella «Grande Mela», da anni guida un'équipe di 85 scienziati del Cancer Center della Columbia University. Anche in questo caso struttura storica, pur se relativamente agli Stati Uniti. All'italiano d'America Dalla Favera, «cervello» che non rientra (anche perché dagli Stati Uniti non lo lasciano andare) ma che tiene alto il nome della ricerca italiana, l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) ha chiesto di parlare a Roma, in Campidoglio, nella Giornata Aire 2007. Il cancro non esiste: è una provocazione? «No. Ho detto la malattia cancro non esiste: È come quando prima dell'avvento degli antibiotici si parlava genericamente di polmonite. Si moriva di polmonite. Oggi parliamo di decine di polmoniti, una diversa dall'altra; con cause diverse, gravità diverse, prognosi diverse... Insomma è finita l'epoca del cancro o del tumore come termine unico per indicare quel tipo di patologia, oggi sappiamo che sono decine e decine di malattie diverse». Ma come: si era appena «sdoganato» il termine cancro, e già non va più bene? Non è lontano il tempo in cui parole come tumore o cancro erano tabù e sostituite con «brutto male» o «male incurabile»... E ora? «Abituiamoci a parlare di tante malattie cancro, di cause diverse, di cellule malate che possono essere eliminate o corrette, o tenute sotto controllo con terapie diverse. In alcuni casi al limite della "personalizzazione". Per esempio solo di linfomi ve ne sono dieci sottotipi diversi, alcuni guaribili altri nefasti. E via via che con la ricerca si affinano le conoscenze, si scoprono differenze che hanno un peso nella prognosi e nel tipo di cura». Oggi si parla molto di cause genetiche del cancro e di cause ambientali (fumo, radiazioni solari, cattiva alimentazione, inquinamento) che fanno «impazzire» i geni a livello cellulare. Dov'è la verità? «IL10 per cento di alcuni tipi di tumore può dipendere da un gene alterato ereditato. Abbiamo individuato questi geni per quanto riguarda seno e colon-retto ed esistono i test per scoprirli nel corredo genetico. Ma, attenzione, ammalarsi non è scontato. Anzi. Quella che si eredita in realtà è una predisposizione ad ammalarsi. Nulla di più. L'ambiente esterno e le abitudini di vita, invece, possono agire sui geni delle cellule al momento della loro duplicazione: inducono degli errori a livello di Dna. Normalmente, se gli errori sono pericolosi o incompatibili con la funzione della cellula stessa scatta il meccanismo di auto-eliminazione e tutto finisce li. Ciò avviene quotidianamente. Se, però, l'errore riesce a superare controlli e difese ecco che può svilupparsi un cancro. Noi dobbiamo cercare di correggere l'errore», Quindi sta cambiando lo scenario terapeutico: tante malattie diverse, tante possibili cure diverse? «Il nostro corpo reagisce alla malattia attraverso il sistema immunitario o meccanismi di riparazione del danno che sono addirittura in grado di riportare le cellule maligne ' a una condizione di normalità. Ma non sempre l'organismo ce la fa da solo: le cellule malate riescono a sfuggire alle nostre difese naturali e addirittura a ingannarle per favorire la crescita indisturbata del tumore. La nuova sfida della ricerca è proprio quella di indagare sempre più in profondità il nostro microambiente per capire i meccanismi che possono interferire con l'insorgenza e la diffusione del tumore. La mia attività scientifica si è incentrata fino dagli inizi degli anni 70 sulle alterazioni genetiche che caratterizzano la malattie linfoproliferative. Ed è proprio da questa strategia di ricerca che è nato il primo farmaco "intelligente", il glivec. Una rivoluzione: blocca la leucemia mieloide cronica, senza i gravi effetti distruttivi di una chemioterapia e con la sicurezza di fermare la malattia. La via è questa, con soluzioni vincenti a volte valide solo per una percentuale molto piccola di malati. Non a caso sono le Biotech,'abituate a lavorare con le malattie rare, a emergere ora nella cura dei tumori». Tempi lunghi per dire addio alla chemioterapia? «Nei prossimi dieci anni mi aspetto una netta inversione di tendenza». Mario Pappagallo ___________________________________________________________________ Libero 16 nov. ’07 NASCE IL PRIMO CENTRO DI RICERCA GESTITO E FINANZIATO DAI PAZIENTI Grazie a un progetto della Lega Italia Fibrosi Cistica nasce l’Ierfc: il primo esempio in Europa di un centro di ricerca interamente progettato, finanziato e gestito dai pazienti e dalle loro famiglie. La grande novità dell'Istituto, che ha la sua sede operativa presso il San Raffaele di Milano, sta nel fatto che le finalità della ricerca vengono decise direttamente dai pazienti che si avvalgono della partecipazione e della collaborazione dei più validi ricercatori come "braccio operativo" nel trattamento della sintomatologia. L'elemento davvero innovativo è il cambio di prospettiva: in questo progetto la ricerca la fa il paziente. L'Istituto e le sue finalità verranno presentate sabato 17 novembre all'Hotel Executive di via Don Luigi Sturzo 45 a Milano alle ore 10.30. (F.F.) ___________________________________________________________________ Gente 22 nov. ’07 MAPPATO IL DNA DELLA FOROFORA Un team di ricercatori Usa ha mappato la sequenza genetica della malassetia, che è responsabile della forfora. Ora riusciremo finalmente a sconfiggerla? direttore dell'Istituto dl dermatologa dell'Università di Milano Cominciamo a spiegare che si tratta di un lievito e non di un fungo: i lieviti attaccano il sebo, mentre i funghi aggrediscono lo strato corneo. Non credo comunque che questa mappatura possa cambiare qualche cosa nella cura di questo disturbo. Sappiamo già da tempo che li fattore scatenante è il lievito malassetia globosa che si alimenta del sebo della pelle ed emette delle sostanze irritanti che fanno squamare la pelle: quindi colpisce chi ha la pelle grassa. Inoltre non è vero che la malassetia furfur sia all'origine di molte malattie della pelle come la psoriasi, l'eczema o la dermatite atopica: piuttosto direi che, se una persona ha determinate patologie, questo lievito gli aggrava i sintomi, cioè si tratta di una sovrapposizione peggiorativa. Ma da trent'anni si utilizzano ottimi shampoo a base di solfuro di selenio che combattono benissimo questo lievito nocivo. ___________________________________________________________________ Panorama 22 nov. ’07 TUMORE AL SENO SI SVILUPPA NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO CANCRO Aumentano i casi in Asia, America Latina, Europa orientale mentre scendono negli Usa e per la prima volta in Italia si stabilizzano. Intanto dalla ricerca sui geni arrivano novità. di DANIELA OVADIA Fino a qualche tempo fa il tumore al seno colpiva soprattutto le donne del mondo occidentale e industrializzato. Oggi non è più così, o almeno non solo. II cancro al seno sì diffonde sempre di più in paesi dove, in passato, non rappresentava un'emergenza globale: in, America Centrale e Latina, Asia, Sud Africa, Europa orientale. Fenomeno nuovo e preoccupante, canto da essere stato al centro di un recente incontro, a Budapest, fra medici, associazioni e pazienti dei paesi in via di sviluppo. Obiettivo, unire le forze contro quella che ormai viene quasi percepita come un'epidemia: secondo le proiezioni, entro il 2020 il 70 per cento dei tumori al seno colpirà nei paesi con minori risorse economiche, dove non sono disponibili cure appropriate, ma nemmeno sistemi di diagnosi precoce o programmi di screening. La denuncia degli esperti riuniti in Ungheria ha meritato la copertina di Time, per ricordare che ciò che è ormai considerato un diritto acquisito in Italia (la possibilità di sottoporsi a visite, una cura efficace e tecniche chirurgiche sempre meno invasive) è ancora un miraggio per le donne che abitano paesi a basso reddito pro capite o privi di sistemi sanitari pubblici. Negli stessi Usa si osserva un divario impressionante, quanto a sopravvivenza, tra le donne coperte da assicurazione sanitaria e quelle senza i mezzi per pagarla. In Africa e Asia, l'aumento del tumore al seno è una conseguenza dello sviluppo di questi continenti: più cibo e più cure hanno aumentato la vita media delle donne, quindi favorito la crescita dei tumori del seno, una patologia della mezza età. Non solo: le abitudini di vita occidentali, in termini di alimentazione, sedentarietà e maternità ritardata, sono fattori di rischio in popolazioni che prima non sapevano neanche che questa patologia esistesse. É il caso delle donne cinesi, che hanno progressivamente abbandonato la dieta tradizionale per cibi più ricchi di grassi animali e più poveri di soia. Mentre la campagna statale a favore del figlio unico ha ridotto il numero delle gravidanze (più concepimenti sono un fattore protettivo). Gran parte del territorio cinese manca di centri attrezzati per la mammografia. E quando la malattia si manifesta, spesso è troppo tardi. Situazione analoga in India, dove solo il 5 per cento dei tumori della mammella viene identificato allo stadio 0 o 1(i meno gravi), contro il 60 per cento circa in Italia. Anche là dove esistono le macchine per la mammografia, come in Ucraina, la mancanza di fondi porta a situazioni paradossali: per risparmiare la pellicola fotografica i medici locali hanno deciso di fare una sola proiezione del seno, invece delle classiche due (di fronte e di lato). Lo sviluppo del carcinoma mammario in popolazioni di etnia diversa da quella europea conferma il ruolo decisivo dei geni nella malattia. Le donne caucasiche bianche sono affette da tumori sensibili agli ormoni estrogeni, quelli con la prognosi migliore. Quelle asiatiche e africane, invece, sono spesso colpire da forme ormono-resiscenti, più difficili da combattere. Le asiatiche, infine, hanno un seno denso che rende difficile la diagnosi precoce con mammografia. Anche nel mondo occidentale il tumore al seno sta cambiando aspetto. Dall'agosto 2002 al dicembre 2003 negli Stati Uniti c'è stato un calo del 15 per cento nell'incidenza. Il motivo? L'abbandono, da pane di molte donne, della terapia ormonale sostitutiva in menopausa, un fattore di rischio accertato per il tumore alla mammella. E da noi? Ancora oggi il cancro al seno rappresenta un quarto delle forme tumorali che colpiscono le italiane. Ma i) numero di casi, dopo una lunga curva crescente, si è finalmente stabilizzato; probabilmente, anche in questo caso c'entra la diminuzione di donne che prendono gli ormoni in menopausa, sebbene l'impatto di questa terapia sull'incidenza del tumore sia stato molto minore in Italia che negli Usa (ed è ancora oggetto di studio). Ed è in calo il numero dei decessi, come hanno annunciato gli esperti riuniti a Firenze, al congresso «Attualità in senologia». «Il 2007 si chiuderà in Italia, come l'anno passato, con circa 37 mila nuovi casi di tumore al seno e 11 mila decessi: il20 per cento in meno rispetto alla seconda metà degli anni Novanta» riferisce Eugenio Paci del Centro studio e prevenzione oncologica della Regione Toscana, coordinatore dei registri tumore che raccolgono ed elaborano, su tutto il territorio italiano. ____________________________________________ L’Unione Sarda 16 nov. ’07 DIABETE, ORA INTERVIENE IL CHIRURGO Al Marino di Cagliari operazioni che suscitano speranze Si esegue anche a Cagliari l'intervento chirurgico per curare il diabete di tipo 2, ma gli specialisti di medicina interna lo sconsigliano. di Lucio Salis Guarire dal diabete di tipo 2 grazie al bisturi. La notizia dello studio pilota compiuto dal professor Nicola Scopinaro, dell'università di Genova, (sul quale riferiamo nell'articolo a fianco) ha suscitato molte speranze nei pazienti. Pure in Sardegna, dove si stima ci siano 80 mila diabetici (fra tipo 1 e 2). Ma pochi sanno che il cosiddetto intervento bariatrico in laparoscopia si esegue anche presso l' ospedale Marino di Cagliari. Autore, Roberto Moroni, responsabile della Chirurgia laparoscopica e dell'obesità. Che collabora da tempo con Scopinaro e parteciperà a uno studio policentrico, previsto in venti ospedali italiani, fra i quali il Marino, nel quale saranno coinvolti seicento pazienti, che saranno seguiti per dieci anni. «Sono stato di recente - spiega Moroni - anche alla consensus conference mondiale di Roma, convocata per tracciare le linee guida di questo intervento per la guarigione del diabete 2». Ancora non si conosce la data precisa in cui partirà la grande sperimentazione (forse nell'estate 2008) ma il medico cagliaritano ha già operato numerosi diabetici. «In un primo tempo, si trattava di pazienti che alla malattia univano uno stato di obesità. Ora operiamo anche diabetici non obesi». E sono guariti? «La percentuale di guarigione dal diabete negli obesi, secondo i dati ufficiali, è superiore all'80 per cento». Ma tutti i diabetici possono essere sottoposti ad intervento in laparoscopia o solo alcune categorie particolari? «Per adesso, ci siamo limitati, nella fase iniziale, a quelli che hanno un'obesità dal primo grado in sù. In pratica, anche chi ha 30 - 35 di massa corporea può essere operato». Dell'argomento si parlerà al congresso nazionale della Sicob (Società italiana di chirurgia dell'obesità) che si terrà a Cagliari il 6 e 7 dicembre. La possibilità di risolvere il problema diabete con un intervento chirurgico in laparoscopia sta, ovviamente, sollevando un enorme interesse nelle tante persone (4,5 milioni in Italia) obese o soltanto sovrappeso, che non riescono a controllare la glicemia con farmaci e dieta. Ma se i chirurghi suscitano speranze, inviti alla prudenza arrivano dai diabetologi. Come il professor Sergio Muntoni, già primario del Brotzu, di Cagliari, e autore di numerose pubblicazioni in Diabetologia e Malattie dismetaboliche: «Per esperienza personale, sono nettamente contrario al ricorso alla chirurgia per curare il diabete. Ho visto troppe persone ridotte in condizioni critiche da questo genere di interventi. Perché possono provocare una serie di complicanze gravi. E mi chiedo come mai, a Genova, si continui su questa strada». Muntoni precisa che «una delle conseguenze peggiori può essere la cirrosi del fegato, che può insorgere alcuni anni dopo l'intervento. Inoltre, si deve tener conto che una volta eseguita la diversione bilio pancreatica, non si può più tornare indietro: la situazione diventa irreversibile. Per questo sconsiglio assolutamente questo genere di interventi». Dello stesso parere anche Marco Songini, responsabile del Dipartimento di medicina interna dell' ospedale Brotzu e vice presidente della Società sarda per lo studio del Diabete. Che contesta il ricorso a una chirurgia «rischiosa e costosa, per di più presentata come risolutiva, su larga scala, del diabete. Una follia. Inoltre bisogna sapere che, una volta eseguita una deviazione biliopancreatica, si perde parte dell'anatomia del fegato. E tutto per un tipo di malattia che oggi si può fronteggia benissimo con una buona educazione alimentare» Col bisturi glicemia ok e linea ritrovata GENOVA Dal diabete di tipo II si può guarire definitivamente, con un intervento chirurgico in laparoscopia. La notizia interessa tutti coloro che oggi non controllano bene la malattia con terapie mediche. Sono due milioni e mezzo i diabetici in Italia, e metà di essi, nonostante la dieta e i farmaci, non riesce a controllare adeguatamente la glicemia: per questi ultimi si apre oggi la strada dell'intervento bariatrico in laparoscopia. La novità viene da Milano dove il professor Nicola Scopinaro (Università di Genova) ha presentato i risultati del primo studio pilota al mondo (20 casi) sulla terapia chirurgica del diabete e ha anche annunciato il primo studio multicentrico, in 20 ospedali italiani, su 600 pazienti. L'intervento adottato da Scopinaro è quello di "Diversione biliopancreatica" (BPD). Lo studio pilota - condotto all'Ospedale San Martino di Genova - prevedeva l' arruolamento di 20 pazienti, ma tra aprile e settembre 2007 i pazienti operati sono stati 12, tutti in semplice sovrappeso o con obesità lieve. «Oggi - ha detto Scopinaro - nessuno di loro fa più uso di farmaci, né osserva alcuna dieta per diabetici già dal giorno della dimissione. Per 10 di essi, al primo controllo, 1-2 mesi dopo l'intervento, la glicemia era normale in 3 casi e al di sotto dei livelli di rischio in altri 4. A quattro mesi, tutti e sei i casi sottoposti a controllo sono risultati al di sotto del livello di rischio». L'80 per cento dei diabetici è sovrappeso o obeso. Proprio dall' osservazione dei risultati della chirurgia sui grandi obesi, Scopinaro ha tratto le indicazioni per applicare la Diversione biliopancreatica alla terapia del diabete. Questo intervento è già diffuso per la cura dell'obesità. Consiste nella creazione di due vie gastriche dallo stomaco verso l'intestino: una percorsa dal cibo, l'altra solo dalla secrezione biliopancreatica, indispensabile per la digestione. Ne risulta una limitazione del quotidiano assorbimento dei grassi e calorico che consente di rientrare un peso normale insieme al ripristino della sensibilità all'insulina. I risultati dello studio indicano altri vantaggi: colesterolo e trigliceridi tornano a livelli normali rispettivamente nel 100% e nel 98% dei casi e l'ipertensione guarisce nell'80% dei casi. ____________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’07 POLICLINICO. ANATOMIA PATOLOGICA CHIUSA: POLEMICHE Autopsie pendolari per un reparto sbarrato Il reparto, aperto due anni fa, chiuso per i costi eccessivi. Il caso alla Regione: interrogazione del consigliere Carlo Sanjust. Il trasferimento dei reperti per le analisi all'ospedale Civile crea disguidi. Al Policlinico il reparto di anatomia patologica è chiuso da 120 giorni. Ufficialmente per contenere le spese: il servizio costava 60 mila euro al mese, utilizzati per pagare un'équipe esterna guidata dal professor Giuseppe Santacruz. INTERROGAZIONE Adesso il caso è finito in consiglio regionale: Carlo Sanjust ha presentato nei giorni scorsi un'interrogazione diretta al presidente della giunta, dove si chiede di spiegare i motivi della chiusura. Anche perché, a giudicare dal documento presentato dal consigliere di Forza Italia, non sarebbe una fine indolore. I macchinari e le attrezzature del reparto, inaugurato due anni fa, sono costate 427.000 euro. Una cifra di tutto rispetto, spesa per acquistare le migliori apparecchiature disponibili sul mercato. IL RISCHIO Ora queste strumentazioni rischiano di essere buttate: «Le attrezzature non possono restare inutilizzate perché sono molto sensibili e si deteriorerebbero. Questo renderebbe le macchine inservibile e da rottamare, già dalle prossime settimane», si legge nel documento. Inoltre, lo stop del servizio del Policlinico ha creato un altro contrattempo: le autopsie e gli altri esami devono essere eseguiti al San Giovanni di Dio, dove è ancora attivo un altro reparto. Anche su questo aspetto si basa l'interrogazione di Sanjust: «È assurdo che i reperti umani da analizzare vengano costantemente portati da Monserrato al San Giovanni. Dei trasferimenti che, oltre ai ritardi nei tempi di consegna dei referti, avrebbero provocato confusioni ed errori diagnostici. Molti di questi hanno messo in serio rischio la salute degli utenti». AUTOPSIE Ma la chiusura del reparto è discutibile anche sotto un altro punto di vista: dei due servizi di anatomia patologica che fanno capo al Policlinico universitario, è stato interrotto quello dotato dei macchinari più moderni. E soprattutto, l'unico ad avere un futuro certo, vista la prossima chiusura del San Giovanni di Dio. PROGETTI «Il piano sanitario esprime la volontà di chiudere definitivamente l'ospedale Civile e per questo motivo si sta mandando avanti la progressiva dismissione dei servizi operanti». Insomma, una contraddizione: c'è l'intenzione di chiudere l'ospedale in futuro, ma nell'immediato si preferisce bloccare il reparto di anatomia patologica del Policlinico. Ecco perché Sanjust chiede il ripristino del servizio, in modo da evitare danni ai pazienti della struttura ospedaliera. (m.r.)