SE I POVERI PAGANO L' UNIVERSITÀ AI RICCHI - MUSSI BLOCCA LA CARRIERA A 5MILA SUPERLAUREATI - L’UNIVERSITÀ DEVE COLTIVARE L’UOMO - AL CAPEZZALE DI UN’UNIVERSITÀ MAI NATA - IN ARRIVO I BANDI DEL PLACEMENT - UNIVERSITA’: ECCO I NUOVI AMMINISTRATORI - TASSE, MISTRETTA RISCHIA LA BOCCIATURA - FATEVI CONSIGLIARE DA TRE NOBEL - NOI VOGLIAMO IL MUSEO BETILE - PROCURA, I QUATTRO DOSSIER SULLA REGIONE - LA GRANDE RINASCITA DELLE SALINE - LA SARDEGNA NON È LA PIÙ ASSISTITA - SE VUOI VINCERE NON DEVI PENSARE - I POLI FRANCESI CHIAMANO ITALIA - LE CONQUISTE DEL TUTTO INASPETTATE - LE FACOLTÀ UMANISTICHE FIGLIE DI UN DIO MINORE - ======================================================= OBIETTIVO RAGGIUNTO, 26 INFERMIERI DIVENTANO DOTTORI - MENO ASL E MANAGER UN PO' PIÙ STABILI - SONO ALL'ONCOLOGICO DI CAGLIARI I PIONIERI DELLA TARF CONTRO I TUMORI - MIDOLLO OSSEO, È RECORD SARDI PRIMI IN ITALIA. CONTU: «MA NON BASTA» - URGENZE AL POLICLINICO, PROTESTA DEI SINDACATI - SE IL SALARIO COSTA LA SALUTE (DELLE DONNE) - OASI 2007: UN SSN RICCO DI INNOVAZIONE SU MISURA DEL TERRITORIO - CURE PALLIATIVE PUBBLICATO IL PRIMO «LIBRO BIANCO» - E TURCO AMMODERNÒ IL SSN - BAMBINI PIÙ STUPIDI SE ALLEVATI DAL PAPÀ - CANNABIS, UNA CURA CONTRO IL CANCRO AL SENO - GUERRA DELLE STAMINALI: FONDI SOLO AGLI AMICI - SORPRESA: LA DIAGNOSI ANTICIPA I SINTOMI - CHI ALTERA LE VOCALI A, E, O PUO NASCONDERE PREOCCUPANTI DISTURBI CARDIACI - UNA MAGLIA SALVA ARTERIE - LA MIA SCOPERTA (PER CASO) DEL VIRUS DELL’EPATITE B - VENTI BIMBI SU CENTO USANO PSICOFARMACI - TUMORE AL SENO VIA SENZA BISTURI - NEUROSCIENZE: SEMPRE PIÙ CONFUSI E ALLUCINATI - DIABETE SENZA BISTURI - MA LA FEDE AIUTA NELLA GUARIGIONE? - LE RIPARAZIONI A COLPI DI «SPALLATE» - INFARTI IN AUMENTO PER I FUMI DEI DIESEL - GLI ALIMENTI CHE SPIANANO LE RUGHE - ======================================================= ____________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 nov. ’07 SE I POVERI PAGANO L' UNIVERSITÀ AI RICCHI E' più giusto dare opportunità uguali che ridurre il divario tra chi è abbiente e chi no Che lo Stato abbia il diritto, e persino il dovere, di requisire parte della ricchezza prodotta per «ridistribuirla» è una convinzione dura a morire anche fra i socialisti liberali. Essa si fonda su un mito caro alle sinistre di ogni tempo - quello di «giustizia sociale» - e sull' invidia di classe: ridurre le distanze fra ricchi e poveri, impoverendo i ricchi. Ma dove comincia e dove finisce la giustizia sociale? Dal possesso di un telefono cellulare per ogni membro della famiglia, ovvero nel diritto a prestazioni che ogni singolo individuo potrebbe procurarsi da solo una volta esentato dal pagarne i contributi allo Stato? La giustizia sociale è ciò che un marxista definirebbe la «falsa coscienza» di chi si arroga il diritto di requisire, e ridistribuire, ricchezza attribuendosi doti di imparzialità e di equità che non ha. L' Uomo non è disinteressato, altruista e generoso. Meno ancora lo è l' uomo politico. Che, se di una cosa si preoccupa, è del proprio potere e del consenso che gliene può derivare. Diciamola tutta. Il mito della giustizia sociale è la giustificazione con la quale il ceto politico di governo requisisce ricchezza, e la gestisce, per esercitare il proprio potere e acquisire consenso. I benefici sociali - solo apparentemente gratuiti - ne sono la ricaduta indiretta. La sola ragione è il potere. Prendiamo l' esempio della cassa integrazione. Gli studiosi accusano il sistema: 1) di gestione costosa, burocratica e condizionata dall' ingerenza sindacale; 2) di permettere alla grande industria di espellere i dipendenti in esubero e di ristrutturarsi a spese della collettività, non riservando un trattamento equivalente alle piccole e medie imprese più bisognose di farvi ricorso. Un caso esemplare di eccesso di discrezionalità politica e sindacale che produce dispersione e uso distorto delle risorse. Eppure, la soluzione ci sarebbe. Consentire ai lavoratori e ai datori di lavoro di impiegare i contributi obbligatori nel pagamento di un premio a compagnie di assicurazione private - in concorrenza fra loro nell' offerta di migliori prestazioni - sulla base di contratti-tipo che coprano i rischi oggi previsti dalla cassa integrazione e, magari, contemplino persino una qualche liquidazione di fine rapporto ai lavoratori che non ne abbiano usufruito. Idem per il servizio sanitario. In nome della giustizia sociale, i poveri pagano ai figli dei ricchi l' università pubblica, pressoché gratuita, mentre sarebbe più logico aiutare i migliori con opportune borse di studio ed elevare il livello qualitativo degli atenei. Privatizzandoli. E' venuto il momento di sostituire al mito - statalista, dirigista, paternalista - di giustizia sociale il principio di uguaglianza delle opportunità. La produzione di ricchezza non è, come credeva Marx, un gioco a somma zero: i poveri diventano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. Compito dello Stato non è ridurre la distanza fra ricchi e poveri, ma facilitare l' elevazione di questi ultimi. Se i poveri stanno meglio, che importa se i ricchi diventano più ricchi? postellino@corriere.it Ostellino Piero _____________________________________________________________ Il Giornale 21 nov. ’07 MUSSI BLOCCA LA CARRIERA A 5MILA SUPERLAUREATI La protesta dei neodottori che hanno appena conseguito il titolo: «Ci basterebbero due mesi di proroga». Ma così si discriminerebbero altri 2mila candidati Francesca Angeli da Roma Quel pasticciaccio brutto delle scuole di specializzazione di Medicina. Va al ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi, il merito di aver determinato uno stato delle cose di fatto insuperabile senza scontentare migliaia di giovani medici. O si fa perdere un anno intero di lavoro e studio ai circa 5mila giovani che si sono laureati in Medicina da giugno ad ottobre di quest'anno. 0 se ne fa perdere uno e mezzo ad altri 2mila circa, già laureati nel dicembre 2006 e abilitati nel luglio 2007. Oltretutto si tratta dei laureati in corso, già pronti ad emigrare all'estero per avere la possibilità di specializzarsi e trovare lavoro. Che cosa ha provocato la protesta dei cinquemila neolaureati, pronti a scendere in piazza domani a Milano, Roma ed in altre città chiedendo il sostegno dei loro professori e della Conferenza dei Rettori? Tenta di spiegare come si è arrivati a questo impasse il professor Natale Di Martino, ordinario di Chirurgia generale presso la Seconda università di Napoli. «La norma prevede che occorra superare l'esame di abilitazione prima di poter sostenere quello di accesso alla specializzazione - spiega Di Martino - e per accedere all'abilitazione occorrono tre mesi di tirocinio». Il prossimo esame di abilitazione è previsto per il 15 febbraio. Quindi impossibile abilitarsi prima di quella data per tutti coloro che si sono laureati dal giugno scorso ad oggi. «Il bando di concorso perle scuole di specializzazione invece uscirà a giorni. Il concorso poi si terrà a gennaio 2008 - prosegue il professor Di Martino - lo studente che era il primo del mio corso e si è laureato con 110 e lode nel luglio scorso non potrà fare neppure la domanda perché non può abilitarsi prima di febbraio». Non poter partecipare al bando di quest'anno vuol dire dover aspettare il prossimo che non ci sarà prima di un anno. Risultato: per una manciata di settimane circa 5mila neolaureati, oltretutto quelli che hanno conseguito la laurea nei tempi richiesti, dovranno aspettare un anno per accedere alle scuole di specializzazione. Di Martino propone di far slittare i tempi dei bando oppure di far iscrivere i neolaureati al bando sub-condizione in attesa che ottengano l'abilitazione. Anche il senatore di An, Giuseppe Valditara, aveva chiesto al ministro di concedere l'iscrizione «in via transitoria per quest'anno». Ma il pasticciaccio non si chiude qui. Sul fronte opposto infatti sono schierati altri 2mila laureati in Medicina ai quali è già toccata la sorte di aspettare questo bando troppo a lungo. Sono i giovani che hanno conseguito la laurea dal dicembre 2006 ed hanno aspettato luglio scorso per sostenere l'esame di abilitazione. Poi hanno tirato il collo fino ad adesso sperando di entrare nelle scuole di specializzazione prima a novembre e poi a gennaio. Adesso, se il ministro dovesse accogliere la richiesta dei neolaureati più «freschi» avrebbero di fronte altri tre mesi di attesa. Insomma dopo essersi laureati nel dicembre 2006 rischiano di entrare nelle scuole di specializzazione 15 mesi dopo. Un bel record. Molti di loro oltretutto, proprio in vista di una attesa eccessiva, avevano fatto ricorso al Tar che aveva concesso, in via cautelativa, di partecipare ai concorsi per la specializzazione. Ma su questo punto il ministro Mussi è stato inflessibile: no abilitazione, no specializzazione. Proprio un paio di giorni fa Mussi ha detto che sta cercando di risolvere la situazione, visto che ci sono «due interessi in contrapposizione». Il ministro aveva appena ricevuto una delegazione di neolaureati che chiedevano il posticipo della data per la specializzazione. «Ma il ministro - dicono i giovani medici - si è sempre dimostrato sordo alle nostre richieste». _____________________________________________________________ Avvenire 17 nov. ’07 L’UNIVERSITÀ DEVE COLTIVARE L’UOMO DA CATANtA ILAuRA MALANDRINO Si è svolto a Catania l'incontro sul tema «Educazione cattolica e istruzione». Per il vescovo Pennisi di Piazza Armerina I valori etici e religiosi non sono abbastanza valorizzati» on ci può essere futuro aperto alla speranza w l'educazione non sarà rimessa al centro dell'interesse e delle preoccupazioni delle persone, delle famiglie, delle istituzioni formative, della Chiesa e di tutta la società civile, quindi dello Stato stesso». Sono le parole del vescovo di Piazza Armerina, monsignor Michele Permisi, segretario della commissione della Conferenza episcopale italiana "Scuola, Università, Educazione cattolica, nell'ambito dell'incontro che si è tenuto ieri a Catania sul tema Chiesa e università: questione antropologica e sfida educativa", a cui hanno partecipato H rettore Antonino Recca, l'arcivescovo metropolita di Catania monsignor Salvatore Gristina, e il senatore Rocco Buttiglione. «In una quieta stagione della tarda modernità in cui viviamo vede l'educazione in una situazione di accentuata problematicità - ha detto Permisi — Le istituzioni educative diventano un affollato crocevia, in cui si incontrano e si scontrano concezioni e prospettive diverse, dove i compiti educativi stentano ad assumere profilo convincente per tutti e dove non sono valorizzati adeguatamente i patrimoni etici e religiosi provenienti dalla tradizione». In questo contesto, l'università «non può essere solo sede di formazione professionale limitata agli aspetti tecnici, come spesso avviene - ha sottolineato H vescovo di PiazzaArmerina -. Deve coltivare anche l'uomo, in quanto persona capace di rendere conto a se stesso del valore e del senso di quello che studia, e in quanto cittadino in grado di rispondere agli altri dei suoi comportamenti e di concorrere a produrre le condizioni per rendere più governabile la società civile, proprio a partire da quella microsocietà che è L’università». Un compito di formazione autentica della persona, dunque, a cui la Chiesa risponde mettendo al servizio degli atenei la pastorale universitaria, espressione concreta di una Chiesa che mette la sua capacità educativa al servizio delle nuove generazioni. ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 nov. ’07 AL CAPEZZALE DI UN’UNIVERSITÀ MAI NATA Cagliari batte cassa: 500 mila euro per riaprire i due corsi sospesi L’assessore Mongiu: «Serve un progetto e decidere di fondare un ateneo che ora non esiste» Ieri la seduta congiunta dei Consigli comunale e provinciale: «Fronte unico per scongiurare i tagli del governo» Nuoro è decisa a difendere la sua università che, con la riforma introdotta dal decreto Mussi, si ritrova monca di due corsi di laurea e colleziona, nel frattempo, tante promesse mortificate. Ieri i Consigli comunale e provinciale si sono riuniti per dare voce ai timori di una smobilitazione più ampia e per chiedere con forza a Stato e Regione scelte non ispirate ai parametri ragionieristici delle norme, ma alle esigenze di sviluppo di un territorio orfano dei suoi giovani. La Regione, però, non sembra troppo rassicurante. L’assessore alla Pubblica istruzione Maria Antonietta Mongiu richiama i politici locali: «Come si è arrivati a questo punto?». E poi: «Dobbiamo fare una battaglia comune con i nostri parlamentari, che oggi non ci sono, per riconoscere a Nuoro la dignità di ateneo. Si tratta di capire che protagonismo Nuoro e la provincia si riconoscono. Serve un progetto, sederci con le università e decidere di fondare un ateneo che ora non esiste». L’assessore annuncia anche che la Finanziaria regionale prevede sei milioni di euro per l’internazionalizzazione delle università sarde. «Va da sé - sottolinea - che vengano ridimensionate le sedi con pochi iscritti». Il grido d’allarme resta forte benché l’assessore abbia una citazione speciale per Scienze forestali. «Ho incontrato il rettore dell’università di Bagdad, la più antica del mondo, per vedere cosa si può fare assieme. Ho pensato a Nuoro e a scienze forestali». LA DENUNCIA In apertura della riunione, ospitata nell’auditorium della Camera di commercio, il sindaco Mario Zidda tira fuori toni da battaglia. «Sullo spopolamento esigiamo risposte chiare e definitive. Non ci si può permettere di mettere in dubbio un impegno storico», dice richiamando l’accordo di programma del 1989 firmato dalle università sarde e dalla Regione, concordi nell’istituzione dell’università nuorese per agganciare un processo di sviluppo altrimenti proibito. «Se c’è un problema di cattedre - insiste - la Regione può esaminare il problema e dare indirizzi precisi. Si può lavorare assieme alle università sarde o ad altre per costruire il polo nuorese. Non si distrugge nulla, c’è spazio per creare a Nuoro un’offerta formativa in modo che il sistema complessivo possa ricevere un contributo di efficienza». I toni decisi del sindaco sono condivisi dal presidente della Provincia Roberto Deriu che dice: «L’università è opzione strategica per la città e per lo sviluppo del territorio. Non ci servono super master, un’università simbolica o diffusa, ma un polo universitario con migliaia di giovani, una sede per la ricerca e la conoscenza. Vogliamo essere una comunità, non un ospizio o una scuola materna». IL CONSORZIO Il presidente del consorzio universitario Sergio Russo ricorda le prime inadempienze, ovvero il mancato avvio dei corsi in ingegneria elettronica da parte dell’università di Cagliari. E aggiunge: «La Regione considera Nuoro un’università diffusa. Per noi l’università è un progetto strategico e irrinunciabile che non può risolversi con qualche centro di eccellenza. Perciò chiediamo una deroga al ministro Mussi e la stabilizzazione delle risorse. Ma anche ottenendo questo, non avremo risolto il problema perché l’università non è radicata. Serve un nuovo progetto». Russo cita la Normale di Pisa e disegna per il futuro un centro di ricerca, un college e tanti servizi efficienti. «Pensiamo che la didattica integrativa sia improntata a innovazione, tecnologia, mercato, territorio». Nel suo intervento non dimentica l’Ailun di cui è presidente suscitando la reazione di Rifondazione. «Non capisco il modello di università di Russo, se pubblico o pubblico-privato. In quest’ultimo caso mi trovo davvero in difficoltà», dice il consigliere regionale Ciriaco Davoli. L’UNIVERSITÀ Raffaele Paci, preside della facoltà di Scienze politiche di Cagliari che ha cancellato i corsi di scienze dell’amministrazione e servizio civile, spiega la rigida gabbia imposta dal decreto. «Avevamo bisogno di 9 docenti da destinare a Nuoro, ma la nostra facoltà non è in grado di sostenere il carico formativo non solo qui ma anche a Cagliari. Manca il 46 per cento dei docenti». Risultato: stop a cinque corsi di cui due in città. «È una decisione presa con grande difficoltà, ma non possiamo fare altro». Suggerisce una via d’uscita. «Bastano 500 mila euro, il costo dei 9 ricercatori per garantire la prosecuzione dei corsi. Ma devono arrivare dal ministero, non dalla Regione. Noi garantiamo il nostro impegno. Ma la richiesta va fatta all’interno di un progetto complessivo». Strappa un applauso quando, replicando a Russo, dice: «Se volete una libera università fate pure, ma io non ci credo. Noi siamo disposti a concorrere a questa università, a condizione che ci siano le risorse». Le parole del preside restano al centro del lungo dibattito. Intervengono decine di consiglieri. C’è chi propone la mobilitazione del territorio (Fortza Paris e Udeur), chi un’alleanza con Oristano e Gallura per dare più forza alle rivendicazioni nuoresi (Udc). L’incontro di ieri proseguirà con una riunione dei capigruppo: preparerà il documento finale da adottare dalle assemblee consiliari di Comune e Provincia. Marilena Orunesu _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 nov. ’07 IN ARRIVO I BANDI DEL PLACEMENT Novità per gli studenti: dal prossimo anno accademico c'è la possibilità di fare stage in imprese estere L'ammontare delle borse puó arrivare fino a 600 euro al mese A CURA DI Francesca Malaguti Erasmus non significa più solo studente. Dal 2007 il progetto di mobilità studentesca più famoso, d'Europa permette anche di partire per trascorrere all'estero periodi di tirocinio lavorativo. Student Placement, è questo il nome della nuova opportunità. Si affianca a quelle più tradizionali del progetto Socrates/Erasmus, che già offriva di trascorrere fuori frontiera periodi di studio da 3 a ia mesi o di preparazione della tesi. Lo spartiacque è rappresentato dal cambio di gestione del programma Erasmus, ora parte di un progetto più ampio, il Lifelong Learning Programme, che riunisce sotto di sé vari progetti preesistenti in un'ottica di semplificazione e decentramento. «Prima i programmi di studio all'estero erano sotto le dirette competenze della Commissione europea - spiega Clara Grano, la referente nazionale Erasmus - ora invece il grosso dell'organizzazione è stato delegato alle agenzie nazionali, per l'Italia la LLP. Il nuovo programma omnicomprensivo ha ereditato anche una parte del programma Leonardo da Vinci, prima gestito dall'agenzia Isfol, che già permetteva a laureati e laureandi di fare stage all'estero. Ora i tirocini all'estero degli studenti ricadono sotto il programma LLP e si chiamano Erasmus Placement, mentre i tirocini fuori frontiera per gli studenti laureati rimangono competenza dell'Isfol. Ma dove si svolgono i periodi di stage messi a disposizione? «Mai presso le aule delle università- ci tiene a chiarire la Grano - il tirocinio deve essere un vero lavoro, quindi può svolgersi in imprese o al massimo presso enti di formazione o ricerca». Anche chi è già partito con l’Erasmus per studiare all'estero può concorrere alla borsa placement e ripartire con questa seconda opportunità. Assegni più ricchi Il cambio di gestione ha fatto lievitare le borse di studio Erasmus: per i periodi di studio o tesi all'estero la cifra mensile è diventata di Zoo Euro, mentre prima era di 140. Chi invece parte per lavorare con il nuovo Placement può contare su 6oo euro al mese. «Chi va a fare il tirocinio ha una borsa è più alta per diversi motivi - chiarisce la Grano - un po' perché lo studente va a fare un lavoro vero e proprio, un po' perché chi all'estero studia ha già tante altre opportunità per incrementare la sua mensilità, come i fondi aggiuntivi del governo, il contributo che gli atenei danno di tasca propria, le borse degli enti di diritto allo studio e quelle delle fondazioni». Per chi fa l’Erasmus placement non è previsto nessun ulteriore contributo in denaro da parte del datore di lavoro, che può al massimo fornire buoni pasto o agevolazioni sull'alloggio. Come accedere ai progetti Erasmus placement è ancora in fase di rodaggio e quindi in molte università non sarà inserito subito nel bando Erasmus che annualmente viene pubblicato, e che continuerà mettere in palio le borse per studio o tesi. «Certo, il bando sarebbe la strada migliore, quella che noi consigliamo per motivi di trasparenza nell'assegnazione dei posti - chiosa la Grano - ma è chiaro che per entrare a regime occorrerà un po' di tempo. Per questo; per quanto riguarda il placement, non abbiamo reso il bando obbligatorio per ora. Ogni università è libera di organizzarsi come meglio crede, avvalendosi anche dei propri uffici stage, facendo una semplice circolare interna o mettendo avvisi in bacheca per far conoscere agli studenti la nuova opportunità». L'agenzia LLP, intanto, ha già fatto la parte principale, stanziando i finanziamenti per il nuovo Erasmus Placement.«1 rallentamenti burocratici sono fisiologici e poi - scherza la Grano - sappiamo tutti che le nostre istituzioni non sono mai state centometriste». A partire da fine mese le università inizieranno a pubblicare i bandi Erasmus per il prossimo anno accademico, reperibili anche sui loro siti internet. Tra le prime ci sarà il Politecnico di Torino, che prevede di far uscire il bando entro fine novembre. Nella prima settimana di dicembre sono attesi quelli della Luiss di Roma e di Roma 3, circa in contemporanea lo pubblicherà anche l’Università di Bologna, nella prima quindicina del mese. Tra le università che faranno uscire il bando fra gennaio e febbraio ci sono invece Il Politecnico di Milano, la Federico II di Napoli e la Bocconi di Milano, che è in attesa di maggiori indicazioni dall'ufficio nazionale LLP per poter formulare un documento unico che metta in palio anche i nuovi tirocini Erasmus Placement. Anche la Federico II sta valutando se e come fare un bando unico per studio e tirocinio all'estero mentre altri atenei si regoleranno diversamente. Il Politecnico di Milano e l'università di Bologna dedicheranno invece al Placement un bando ad hoc (il Politecnico ne ha già fatto uno anche per l'anno 2007-2008, in scadenza il29 novembre) che faranno uscire in un secondo momento rispetto a quello per lo studio all'estero. Il Politecnico di Torino inserirà probabilmente il Placement nel secondo bando Erasmus dell'anno, quello che mette in palio i posti residui e che uscirà in primavera. Luiss e Roma Tre preferiscono organizzarsi diversamente in questa prima fase. Non faranno un bando vero e proprio ma assegneranno i posti anche avvalendosi dei propri servizi interni perla gestione della mobilità studentesca e degli stage. «Noi abbiamo già un nostro ufficio che assegna le borse peri tirocini all'estero e che probabilmente gestirà anche le borse Placement per quest'anno - spiega Annamaria Ricciardi dell'ufficio relazioni internazionali della Luiss di Roma - anche perché per quanto riguarda la nuova opportunità aspettiamo dei documenti dall'agenzia nazionale e ci sono ancora diverse cose da definire». ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 nov. ’07 UNIVERSITA’: ECCO I NUOVI AMMINISTRATORI Il rettore lo ha detto in modo inequivocabile: la decisione sul regolamento delle tasse (con un incremento che consentirà di incassare 4 milioni è mezzo di euro in più) sarà presa dal consiglio d’amministrazione vecchio. Dunque i consiglieri rappresentanti di docenti e personale tecnico e amministrativo, appena eletti nelle votazioni del 15 e 16 novembre, resteranno alla finestra. Questi i nuovi componenti eletti (in attesa dell’ufficializzazione dell’ufficio elettorale dell’Ateneo). Faranno parte del nuovo consiglio d’amministrazione (2007-1010) i docenti Roberto Malavasi, Giuseppa Tanda, Gaetano Ranieri, Marco Pitzalis, Enzo Tramontano, Barbara De Nicolo, i ricercatori Guido Mula, Michele Meloni e Giovanni Coinu. Per il personale tecnico eletti Stefano Seu, Tomaso Demontis e Irene Dessanai. Siederanno in senato accademico Francesco Raga, Anna Maria Fadda, Carlo Carcassi, Alessandra Fanni, Francesco Atzeni, Francesco Sitzia (per i docenti), Daniela Zedda e Giuseppe Casanova (personale non docente). Completano la tornata i dieci docenti (Cardia, Sirigu, De Montis, Angiolillo, Giovanni Floris, Zuddas, Mastinu, Arca, Nurchi e Tore), i cinque ricercatori (Locci, Funedda, Antioco Floris, Piras, Atzori) e i cinque rappresentanti del personale tecnico e amministrativo (Pilo, Lai, Gioffrè, Guidi, Leo) eletti nel senato accademico allargato. (m.v.) ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 nov. ’07 TASSE, MISTRETTA RISCHIA LA BOCCIATURA Università. Sono nove i consiglieri del Cda che voteranno no alla proposta del rettore Gli studenti: «Non c’è un piano per migliorare i servizi» A una settimana dalla seduta del Cda dell’Ateneo la proposta di Mistretta di aumentare le tasse universitarie rischia la bocciatura. La proposta di Pasquale Mistretta di aumentare le tasse universitarie rischia la bocciatura. A poco più di una settimana dalla seduta del consiglio d’amministrazione dell’Ateneo di Cagliari, che il 26 e 28 novembre discuterà e voterà il nuovo regolamento, sono nove i consiglieri che annunciano il loro voto contrario. Altri sono incerti. Difficile dunque che il rettore abbia dalla sua la maggioranza. Al netto rifiuto degli studenti, che nel Cda possono contare su cinque rappresentanti (un numero cresciuto qualche anno fa proprio su richiesta di Mistretta), si aggiunge quello di due consiglieri del personale tecnico e amministrativo, di un docente di seconda fascia e del rappresentante del ministero dell’Università. Se alla seduta saranno presenti tutti gli attuali componenti del consiglio d’amministrazione (venti in tutto), la soglia da superare per il passaggio dell’aumento delle tasse è di dieci voti, compreso il sì del rettore (che in caso di parità ha valore doppio). Insomma l’intera manovra, che punta a incrementare le tasse universitarie (le più basse d’Italia e congelate dal 2001), rischia una clamorosa bocciatura. I cinque rappresentanti degli studenti (Giuseppe Frau e Lorenzo Espa di Università per gli studenti, Antonio Tamponi e Andrea Marrone di Ichnusa, Andrea Zucca di Sinistra universitaria) sono contrari all’aumento. «Non vediamo una razionalizzazione delle spese e dei costi in Ateneo - spiega Espa - e non c’è un piano per migliorare i servizi, così come non si fa alcun riferimento alla premialità degli studenti migliori». Voto contrario anche da parte di Giuseppe Arca, docente di Ingegneria: «Il momento è difficile e non si può gravare sulle famiglie con costi aggiuntivi». Una filosofia che è propria anche di Onorio Petrini, consigliere regionale e rappresentante del ministero, che aggiunge: «Preferirei un incremento dei controlli su quegli studenti che non pagano niente». Compatti nel no anche due dei tre rappresentanti del personale tecnico e amministrativo: «Sono propenso a votare contro - dice Giuseppe Casanova - perché la situazione economica delle famiglie è complicata. Anche se sarebbe opportuno un ritocco delle tasse, le più basse in Italia». «Questo regolamento - sottolinea Paolo Deidda - così com’è non può essere votato. Sono disponibile ad aprire una trattativa, anche se il rettore non sembra di questo parere». In forse Michele Meloni (rappresentante dei ricercatori): «Valuterò, perché è una decisione difficile», spiega, mentre Giovannino Melis, docente di Economia, evidenzia che «il ritardo con cui arriva la proposta fa gravare sugli studenti un aumento delle tasse non previsto». Insomma il fronte del no cresce e potrebbe superare quello dei sì. Bocciando aumento delle tasse e Mistretta. MATTEO VERCELLI _____________________________________________________________ TST 21 nov. ’07 FATEVI CONSIGLIARE DA TRE NOBEL RICCARDO LATTANZI MASSACHUSETTS INSTITUTE OFTECHNOLOGY-BOSTON Il clamore suscitato in Italia dall'annuncio del Premio Nobel per la medicina all'italo americano Mario Capecchi è sorprendente, soprattutto per l'insistenza con cui si reclamava l'italianità del vincitore. A leggere molti giornali e sentire le tv si aveva l'impressione che la vera notizia non fossero tanto le scoperte del professore sui topi Ogni, quanto la scoperta che fosse nato in Italia. Eppure sono tanti gli scienziati italiani all'estero che ricevono riconoscimenti per le loro ricerche e spesso la notizia non arriva neanche alle redazioni locali del paese d'origine. Quanti sanno che i telefonini GSM funzionano grazie all'algoritmo di Viterbi, scoperto da Andrew Viterbi, un italiano emigrato in America da Bergamo? Oggi è un imprenditore tra i più noti negli Usa e come lui sono centinaia gli espatriati di successo che fondano aziende high-tech, dirigono dipartimenti universitari, occupano posti di rilievo nell'amministrazione pubblica. Certo, all'Italia farebbe comodo mantenere i rapporti con questi cittadini eccellenti, ma, anche volendo, le nostre istituzioni potrebbero fare ben poco per conoscere tutte le diramazioni del flusso di cervelli che si riversa sull'altra sponda dell'Atlantico. La soluzione, per fortuna, ora arriva dagli scienziati stessi, con la creazione dell'ISSNAF, «The Italian Scientist and Scholars of North America Foundation», una fondazione no-profit che ha lo scopo di promuovere un network tra scienziati, accademici e professionisti italiani in Nord America e in Italia. L'idea, nata in un incontro tra ricercatori italiani in California, ha subito suscitato l'interesse della comunità scientifica italoamericana ed è diventata realtà grazie a 35 membri fondatori, tutti di grande calibro, tra cui tre Nobel. Vogliono «aiutare le nuove generazioni di ricercatori che percorrono il loro stesso cammino qualche anno più tardi», spiega Giulio Della Rocca, professore di Matematica all'Università della California a Long Beach e tesoriere della Fondazione. «Quando 16 anni fa arrivai negli Usa con una borsa di studio del CNR, ero sperduto. Se ci fosse stata, ISSNAF mi avrebbe aiutato, dandomi consigli preziosi». Gli obiettivi della Fondazione, però, vanno oltre il network di appoggio per scienziati italiani desiderosi di un'esperienza nordamericana e sono in programma borse di studio per agevolare lo scambio di scienziati e accademici tra Italia e Usa. Partendo dalla consapevolezza che, nell'era della globalizzazione, la mobilità dei ricercatori è fondamentale per alimentare il progresso tecnologico, lo scopo sarà di avere borse di studio «bidirezionali», che per ogni studioso che arrivi in America consentano ad un altro di lavorare in un laboratorio italiano. La Fondazione è partita da poche settimane con il lancio del sito Internet. Per ora sono attivi uno spazio per le news ed un database, che permette di visualizzare una pagina informativa per ogni membro, nonché la sua posizione geografica su una mappa interattiva. Oltre agli scienziati e agli accademici italiani che si occupano di ricerca e sviluppo in aziende o in laboratori americani, circa 10 mila secondo l'ambasciata di Washington, possono iscriversi anche quelli che l'abbiano fatto in passato per un periodo di almeno un anno. ISSNAF potrebbe quindi diventare in breve tempo un punto di riferimento, utile non solo alle università italiane, con il ime di creare collaborazioni di ricerca, ma anche alle aziende italiane, che avrebbero un vasto bacino di competenze a cui attingere per consulenze qualificate. Il rapporto con l'industria è del resto qualcosa a cui i fondatori tengono molto e lo sottolinea la presenza di due imprenditori tra i sei membri del consiglio direttivo. Sempre sul sito, da dicembre, verrà pubblicata una rivista online bimestrale, organizzata in sei raggruppamenti: arte e studi umanistici, ingegneria e tecnologie informatiche, matematica e fisica, medicina e biologia, scienze naturali, economia e scienze sociali. «L'idea della rivista è di far conoscere all'opinione pubblica italiana l'attività e i successi degli italiani in America che si occupano di ricerca e sviluppo - continua Della Rocca -. Poi, con la descrizione dei progetti di ricerca più rilevanti, ci saranno spazi dedicati ai bandi per le borse di studio ed alle opportunità di collaborazioni offerte dalla Fondazione». La rivista verrà anche diffusa nelle università e nelle scuole italiane e chissà che grazie a ISSNAF i giovani non si riappassionino alle discipline scientifico- tecnologiche. ____________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 nov. ’07 NOI VOGLIAMO IL MUSEO BETILE Dai sindaci di Quartu e Quartucciu un appello alla Regione QUARTU. Sedotto e quasi abbandonato. Le forme sinuose e accattivanti del Betile, il museo dell’identità, non affascinano Cagliari, finora poco interessata a ospitare quello che dovrebbe rappresentare un centro culturale polivalente. Ecco allora che il sindaco Gigi Ruggeri e il primo cittadino di Quartucciu Pierpaolo Fois hanno avviato le pratiche per l’adozione: ‹‹Cagliari non vuole il Betile? Bene, ce lo prendiamo noi››. Una provocazione? Probabile. Sta di fatto che le due fasce tricolore hanno le idee chiare. ‹‹Perché no? - dice Ruggeri -. Le aree ci sono e l’idea non ci dispiace affatto: siamo sempre disponibili quando si tratta di puntare su strumenti che favoriscano la crescita culturale ed economica del territorio. D’altronde, quando si parla di Cagliari io penso all’area metropolitana, e non solo al centro urbano del capoluogo. Capisco anche che il progetto avviato dalla Regione riguardi in particolar modo Sant’Elia e la riqualificazione delle zone attigue, ma se la partita con il Comune di Cagliari si dovesse chiudere con un nulla di fatto, noi siamo pronti››. La candidatura di Ruggeri è molto più di una semplice boutade, anche se il sindaco è consapevole che una soluzione del genere non è forse a portata di mano. Per un semplice motivo: ‹‹Mi pare che Regione e Comune siano parecchio impegnati nel gioco delle parti che, di solito, va in onda su contenziosi così importanti - ammette Ruggeri - ma se non dovessero raggiungere un accordo, noi siamo qui››. Si parlava di aree a disposizione: cartina alla mano, quali le zone favorite? ‹‹A mio parere, Su Idanu (dietro l’ipermercato Carrefour, ndc) è perfetto - dice Ruggeri -. E per diversi motivi: si trova a due passi dalle Fornaci Picci, che vogliamo trasformare in un centro polivalente votato alla cultura, e nel contempo è a due passi dal futuro museo già finanziato dalla Regione che ospiterà i reperti fenici trovati a Quartucciu, in località Pill’e Matta››. Un assist raccolto da Pierpaolo Fois: ‹‹Se il capoluogo non ama il Betile e non vuole ospitare un museo di questo tipo, lo prendiamo noi. E non parlo solo della mia città: una struttura del genere potrebbe sul serio contribuire a realizzare un polo della cultura intercomunale che, peraltro, sta già nascendo››. E in effetti, se si parte da Monserrato e si arriva a Quartu passando per Selargius e Quartucciu, i centri culturali non mancano: ‹‹In piazza Si ‘e boi troviamo un teatro, una biblioteca e un centro di aggregazione sociale - prosegue Fois -. Arrivati a Quartucciu, in via Gallus c’è il museo della necropoli di Pill’e Matta, una biblioteca con annessa la sala congressi e una speciale sezione rivolta ai più piccoli. Ancora, non dimentichiamo il parco letterario dedicato a Sergio Atzeni. Infine, Quartu ha il polo culturale delle Fornaci Picci. Fatta questa premessa, la proposta del sindaco Ruggeri sulla probabile localizzazione del Betile mi trova d’accordo. Di più: per realizzare questo progetto siamo disposti a modificare il Puc e rileggerlo in un’ottica intercomunale››. Pablo Sole ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 nov. ’07 PROCURA, I QUATTRO DOSSIER SULLA REGIONE Convocata ieri l'ex assessore Addis: «Nessun collegamento» Fra le inchieste sulle gare d'appalto sospette, spunta anche l'interrogatorio dell'ex direttore della Sanità Mariano Girau. «Non ho ricevuto convocazioni in Procura». Ma Salvatoricca Addis, ex assessore regionale all'Agricoltura targata Udeur, ieri ha varcato il portone del palazzo di giustizia poco dopo le 17. Due giorni fa era stata invitata a presentarsi al terzo piano del palazzo di giustizia dal procuratore aggiunto Mario Marchetti in qualità di "persona informata dei fatti". Ma la presenza dell'ex esponente della giunta guidata da Renato Soru, in carica fino al 26 giugno del 2005, non sarebbe legata in alcun modo alle inchieste in corso. L'incontro fra la rappresentante dell'Udeur e il magistrato che lavora su più fronti, ma tutti legati alle gare d'appalto regionali sospette, avrebbe riguardato temi distanti dal caso Saatchi. La Addis, che faceva parte della prima squadra messa in piedi da Soru, era stata sostituita dal governatore non senza strascichi polemici: l'episodio dell'uscita della dirigente gallurese e il contemporaneo ingresso nell'esecutivo del sanlurese Franco Foddis aveva generato la frattura fra Soru e l'Udeur, aprendo una crepa politica che non si è mai più ricomposta. IL QUARTO DOSSIER Il procuratore aggiunto Mario Marchetti non ha lavorato negli ultimi mesi solo sulle vicende legate alla pubblicità regionale, quelle della gara vinta dalla Saatchi e poi revocata, quella dell'appalto diretto per "Sardegna fatti bella" e della competizione per il marchio della Regione. Dopo la clamorosa denuncia dell'ex direttore generale della Sanità regionale, Mariano Girau, che sull' Unione Sarda denunciò nel febbraio scorso pressioni sul bando Sisar, legando la sua rimozione dall'incarico al fatto di non essersi allineato «dopo un paio d'anni di ingerenze e tentativi sistematici di estromissione», la Procura aveva convocato il dirigente per una "discussione" su quanto da lui affermato sul nostro giornale. La Procura non ha mai confermato di aver aperto un fascicolo sulla gara per l'informatizzazione della sanità sarda, ma da alcune società escluse dalla graduatoria finale (guidata dalla cordata Engineering-Telecom) sono partiti recentemente i ricorsi al Tar della Sardegna per sospendere l'aggiudicazione della gara. Un bando che non ha vissuto vita facile, nonostante la recente decisione della dirigente responsabile del procedimento, Francescia Pia Atzei, di chiudere la gara. La stessa Atzei che due mesi fa aveva avviato la procedura di annullamento, una circostanza analoga a quella della gara Saatchi. In quel caso, la dirigente regionale Michela Melis aveva deciso di annullare l'appalto, mentre alla Sanità quella procedura si era interrotta per regalare alla cordata vincente un successo fino a quel momento insperato. Sarebbero quattro, quindi, le inchieste in Procura sulle gare d'appalto regionali. Tre delle quali stanno producendo effetti politici dirompenti. IL PRESIDENTE «Quello che avevo da dire l'ho già detto». Il presidente della Regione ieri non ha voluto aggiungere nulla, a margine di una conferenza stampa, rispetto a quanto già dichiarato il giorno dopo il lungo interrogatorio in Procura. «Spero di aver contribuito a chiarire i fatti ai magistrati, ora aspetto le loro decisioni. Credo non ci sia da disturbare o da interferire. Ho cercato di dare un contributo di chiarezza e spero sia stato utile». FORZA ITALIA «I falsi moralisti della sinistra, abituati a demonizzare e pretendere le dimissioni degli avversari per molto meno, casualmente in questo caso restano in silenzio», dice Piergiorgio Massidda, coordinatore regionale e senatore di Forza Italia, «non useremo gli stessi metodi della sinistra, fatti di denigrazione e processi mediatici. Siamo sempre stati garantisti e lo saremo anche questa volta. Nel caso Saatchi ci sono troppi lati oscuri che speriamo possano essere chiariti dalla magistratura nel minor tempo possibile. Ma è innegabile che l'aria in Regione sia ogni giorno che passa sempre più pesante». FORTZA PARIS Il consigliere regionale di FP Silvestro Ladu chiede una convocazione urgente del Consiglio regionale: «Dobbiamo affrontare in Aula quella che ormai può, a buon diritto, essere definita una vera e propria questione morale. Per l'evoluzione dell'inchiesta - ha detto Ladu - il mondo politico regionale ha il dovere di seguire con rispetto e fiducia il lavoro della magistratura. Ma sul piano politico c'è da sottolineare che, come avevamo abbondantemente anticipato nella discussione sugli esiti della commissione d'inchiesta del Consiglio, la deriva di stampo autoritaristico del presidente Soru avrebbe portato facilmente a quella tracimazione delle regole tipica dell'iperdecisionismo di stampo dirigistico da lui voluto». ENRICO PILIA ____________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 nov. ’07 LA GRANDE RINASCITA DELLE SALINE Ecco come può essere superata la lite tra Regione e Monopoli ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. Le saline potranno riprendere la produzione a tempi brevi. Per il momento si tratta di una ipotesi. Ma ancorata a una possibilità concreta: la ripresa dell’industria del sale anche se il passaggio della proprietà non è ancora avvenuto. La titolarità del bene è tutt’ora dei Monopoli di Stato e da 4 anni c’è un contenzioso per il passaggio totale (compreso il patrimonio immobiliare) del compendio alla Regione. Una situazione, questa, che sino ad ora ha bloccato qualsiasi possibilità di ripresa della produzione. Ma questo quadro rende il parco di Molentargius «monco e pericolante», denunciano Legambiente e il Wwf, ormai da anni. L’esperto internazionale Alan Johnson nel recente convegno sull’avifauna dello stagno (promosso dal Consorzio di gestione del parco) l’aveva detto con forza: occorrono interventi urgenti per ripristinare gli argini e gli isolotti, altrimenti sia i fenicotteri rosa che le altre specie pregiate troveranno altri lidi dove nidificare. Da qui la richiesta della ripresa dell’industria del sale. Molentargius come lo conosciamo oggi è, infatti, un’importante oasi naturale artificiale, nata nella prima metà dell’Ottocento grazie all’organizzazione delle saline. Queste ultime necessitano per funzionare di un articolato sistema idraulico: un’idrovora aspira l’acqua dal mare e la immette nel Bellarosa Maggiore, la parte del compendio che normalmente viene considerata “stagno” e che rappresenta la “vasca” da cui con una serie di canali l’acqua arriva alle vasche salanti. Ma se queste non funzionano, il sistema idraulico non va a regime e, anzi, provoca scompensi che innalzano il livello dell’acqua e sommergono gli argini-nidi dell’avifauna. Sino ad ora, però, la diatriba tra Monopoli e Regione ha bloccato tutto: i primi sono disponibili a cedere la parte umida, ma non gli immobili, ovvero la struttura dell’ex direzione, le varie officine e i capannoni, e gli ex alloggi dei dipendenti. Ora, però, la direzione del Consorzio del parco ha individuato un sistema che potrebbe sbloccare tutto. E la prossima settimana, informa il direttore generale Mariano Mariani, vi sarà un vertice alla Regione con gli assessorati competenti, Industria e Ambiente. L’ipotesi si basa sulla legge mineraria che regola anche la produzione del sale e che permette di avviare l’attività anche senza avere la proprietà dell’area. Una volta sbloccata la situazione, «la produzione potrebbe riprendere anche solo per un quinto delle sue potenzialità - precisa Mariani - circa ventimila tonnellate all’anno: con l’utilizzo delle vasche del retro litorale del Poetto. E questo sarebbe sufficiente per riequilibrare il flusso idrico». Secondo Mariani «in tre o cinque anni l’attività di produzione del sale potrebbe essere riattivata in modo tale da diventare appetibile per un privato. Come consorzio noi non abbiamo alcun interesse a gestire direttamente le saline: ci interessa il loro funzionamento per la salute del compendio, da un lato; e dall’altro perchè, se qualcuno lo gestisse in modo adegauto, il parco potrebbe avere le risorse per autofinanziarsi e diventare economicamente autonomo. In pratica si potrebbero sviluppare una serie di iniziative complementari: dall’allevamento dell’artemia salina alla vendita dei fanghi». Intanto Vincenzo Tiana, responsabile regionale di Legambiente, e Luca Pinna, presidente del Wwf, ribadiscono per l’ennesima volta che «è importante fare presto per la ripresa della produzione delle saline, altrimenti si richia di rovinare un patrimonio per il quale, tra l’altro, è stata spesa un’ingente quantità di denaro». ____________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 nov. ’07 LA SARDEGNA NON È LA PIÙ ASSISTITA L’isola è preceduta dalle altre regioni del Mezzogiorno di Efisio Contini SASSARI. È tutt’altro che allineata alle regioni meridionali la Sardegna per quanto riguarda la spesa previdenziale. Sia nella classifica della spesa previdenziale complessiva (dove al 14º posto) che in quella della spesa a ssistenziale (escluse cio le pensioni , dove si piazza a ll’11º posto) l’isola sempre preceduta da molte altre realtà del Mezzogiorno e seguita da numerose regioni del centronord. È dunque difficile, da questo punto di vista, considerare la Sardegna come una regione che vive del reddito dei pensionati, e tantomeno di quello legato a disoccupazione o cassa integrazione. Nell’una e nell’altra classifica prevqalgono infatti regioni ad alta intensità di forza lavoro, come la Lombardia, e regioni meridionali tradizionalmente assistite come Campania e Sicilia. In complesso in Italia in un anno l’esborso per le pensioni è cresciuto del 3,6%, mentre quello per prestazioni assistenziali del 5% (+8,6% solo per l’indennità di disoccupazione). Per quanto riguarda la distribuzione della spesa a livello regionale al primo posto figura la Lombardia, mentre al secondo e terzo ci sono Lazio e Piemonte. Ma se dai dati si estrapolano solo le tabelle sull’assistenza (dagli assegni familiari alla disoccupazione) la classifica si scompagina e ai primi posti, sempre dopo la Lombardia, svettano le regioni del Sud (Campania, Sicilia e Puglia). Sono alcuni dei dati contenuti nel dossier della Ragioneria Generale dello Stato («La spesa statale regionalizzata. Anno 2005») appena pubblicato. Per cié che riguarda la spesa per pensioni e indennità di accompagnamento agli invalidi civili, ciechi e sordomuti, essa è risultata pari a 12.660 milioni di euro, con un incremento del 5% rispetto all’anno 2004. Nell’ambito della spesa per trattamenti di fine rapporto (Tfr), ammontante a 4.283 milioni di euro, la parte più rilevante è stata sostenuta dall’ex Inadel (1.110 milioni di euro) e dall’ ex Enpas (2.848 milioni di euro). Le voci più significative della spesa per «altre prestazioni» sostenute dall’Inps (in pratica la spesa assistenziale), pari a 14.676 milioni di euro, sono costituite dagli assegni al nucleo familiare (4.939 milioni), dai trattamenti di disoccupazione (3.362 milioni), di malattia e maternità (3.934 milioni), dai trattamenti di mobilità (1.039 milioni di euro) e di cassa integrazione (918 milioni di euro). _____________________________________________________________ Libero 18 nov. ’07 SE VUOI VINCERE NON DEVI PENSARE Riflessioni, "se" e "ma" allontanano dall'obiettivo. Secondo gli esperti per riuscire in un'impresa bisogna affidarsi soltanto alla forza di volontà. Chiarificatrice intervista con Raffaele Morelli FABIO FLORINDI MILANO ERE Con la forza di volontà si arriva dovunque. Lo sostengono gli esperti dell'Istituto di medicina psicosomatica Riza, riuniti a Milano per il convegno "La forza di volontà: come imparare a raggiungere i propri obiettivi. Una tre giorni (dal 16 novembre fino ad oggi) di incontri, workshop e conferenze all'Hotel Executive con gli psichiatri Raffaele Morelli, Vittorio Caprifoglio, KatiaVignoli, Elisabetta Gesmundo, Daniela Marafante e tanti altri. I lavori sono stati aperti da una tavola rotonda, nella quale gli esperti Riza hanno spiegato le basi e le tecniche defloro workshop, che si tengono fra ieri e oggi. La conclusione dei lavori sarà affidata al workshop di Morelli che ha come titolo "Donne che ce l'hanno fatta". In pratica alcune sue pazienti racconteranno come sono riuscite ad uscire da storie drammatiche e dialogheranno col pubblico. Gli italiani con la volontà hanno un rapporto piuttosto difficile. Sei su dieci, infatti, sostengono di non averne, Una percentuale preoccupante, che mostra come davanti alle difficoltà i nostri connazionali si arrendano (31%) o si adeguino (26%). Il vero problema sembra essere che gli italiani non sanno più cosa vogliono realmente. Il convegno vuole consentire a tutti di conoscere gli aspetti più nascosti della volontà, quali siano i suoi alleati (l'intuito, la spontaneità e la passione) e quali, invece, i suoi nemici. Il senso del dovere è uno di questi, perché nasce dall'esterno (dall'educazione e dalle normative sociali) e non è una forza interiore. La cocciutaggine ci fai intestardire ed attaccare a un progetto senza riuscire a raggiungerlo, mentre la volontà ci conduce senza sforzo alla meta. L'ultimo agguerrito avversario è la determinazione fuorviante. La concentrazione sul risultato non é negativa di per sé, ma può diventare un ostacolo se si perde di vista il percorso che stiamo realizzando. Secondo Carl Gustav Jung "Le grandi decisioni hanno a che fare più con gli istinti che con la volontà cosciente". Una teoria fatta propria da tutti i partecipanti al seminario. «Niente più sacrifici, sforzi e strategie -intima Morelli-, la volontà è un'energia innata radicata nel corpo, una forza interiore che sa orientare la vita indipendentemente dal fatto che ciò che si desidera sia giusto o sbagliato». Esistono due tipi di volontà: una superficiale o secondaria e una più profonda o primaria. «La prima - spiega Elisa Faretta, psicologa e psicoterapeuta –è legata a stereotipi, mode, pregiudizi, condizionamenti dettati dal mondo esterno. È frenata da blocchi e impedimenti in quanto insegue una natura esterna all'individuo. La seconda è istintiva, poco prevedibile ed originale ed è in sintonia con quello che l'individuo è nel profondo». La volontà vera, insomma, é una forza istintiva, che deve essere seguita senza far scattare la molla del ragionamento, del pensiero,che ci induce a tergiversare, a rimandare le decisioni. Ne è convinto anche Raffaele Morelli, psichiatra e psicoterapia, noto per le sue apparizioni televisive in programmi come il Maurizio Costanzo Show. Dott. Morelli, come si può definire la volontà? «È la nostra capacità di arrivare dritti ad un obiettivo». Senza ragionarci su? «Assolutamente si. È vietato pensare. Ragionare allontana dall'obiettivo. La volontà funziona se è frutto di un'intuizione e non di sacrifici o meditazioni». Ma a ora aveva ragione John Lennon nel sostenere che "La vita è quello che ci accade mentre ci stiamo occupando d'altro"... «Ia definirei una frase che nasconde una grossa intuizione». E come si può non far intervenire ostacoli che si frappongano alla volontà e il ime che ci siamo posti? «Bisognerebbe tornare bambini. Nel cervello dei piccoli, infatti, c'è grande interesse per tutto ma la ragione non interviene». Da cosa ci si deve far guidare nel viaggio verso lo scopo? «Dal piacere e dalla passione, sono gli ingredienti più efficaci». E i cosiddetti luoghi comuni? «Vanno sconfitti. È indispensabile non sovraccaricare la coscienza, bisogna togliere di mezzo le idee sbagliate, i luoghi comuni e le operazioni che spesso si rivelano inutili». E con il moralismo derivante dalla nostra educazione? «La volontà mira a realizzare ciò che si è veramente secondo un sano egoismo, senza rinunciare alle cose belle della vita in nome di rigidi dettami morali». È possibile distinguere fra veri e falsi obiettivi? «Certo, e nonostante tutto nella vita perdiamo tempo con i falsi. Se decidiamo di lasciare una persona o di cambiare lavoro non ci dobbiamo pensare su». E questo sarebbe il trionfo della volontà? «Esatto, se si comincia a dire "ma no, aspettiamo, vediamo..."allora siamo perduti. Più ci si ragiona su,più sorgono contrasti. Vuol. di-e che in realtà non vogliamo abbastanza una cosa». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 nov. ’07 I POLI FRANCESI CHIAMANO ITALIA Parigi avvia l'inchiesta per valutare quali strutture potranno continuare a beneficiare dei fondi pubblici 19 Tra gli obiettivi più sinergie con i nostri distretti - Già stanziato 1 miliardo di euro Leonardo Martinetti PARIGI È in carica da cinque mesi. Ma Nicolas Sarkozy si è già lanciato in tante riforme. E neppure i Poli di competitività verranno risparmiati dall'ansia riformatrice del presidente. Sono i distretti d'eccellenza, operativi da poco meno di due anni in Francia, dove si punta alla riproduzione di varie Silicon Valley su tutto il territorio. Proprio in queste settimane sta partendo un'inchiesta per valutare la riuscita di ogni polo. Poi, sulla base dei risultati, le autorità nazionali decideranno quali potranno beneficiare ancora dei fondi pubblici e quali non. Perché Sarkozy, sia durante la campagna elettorale sia dopo, lo ha detto a più riprese e senza mezzi termini: solo i più meritevoli fraipoli potranno andare avanti. Verranno privilegiati quei distretti che più progetti innovativi hanno prodotto, destinati a futuri processi industriali. Perché, come ama ripetere Sarkozy, «basta con la ricerca per la ricerca»: un Paese indebitato come la Francia non se la può permettere. L'idea dei P61es de compétitivité fu proposta nel,zoo4 da JeanI'ierre Raffarin, allora primo ministro di una coalizione di centro-destra. Il iz luglio dell'anno seguente ne vennero selezionati 66, che iniziarono a funzionare solo nel primo semestre del 2006. Nello scorso luglio sono diventati y. Diciassette di questi, attivi nei settori più diversi, dalle telecomunicazioni alle nanotecnologie, passando per il settore multimediale e le biotecnologie, sono i principali, definiti "mondiali" o a "vocazione mondiale" (si veda la lista accanto). L'idea è promuovere attività di ricerca e di sviluppo, coinvolgendo obbligatoriamente piccole e medie imprese (Pmi), una realtà spesso emarginata in un Paese come la Francia, dominato dai grandi gruppi, pubblici e privati. «Abbiamo preso spunto da realtà straniere: la Silicon Valley, i distretti industriali italiani, quelli giapponesi, i cluster inglesi e altre esperienze- sottolinea Fabrice Leroy, responsabile dei poli al ministero dell'Economia -. Alla fine il modello francese ha la particolarità di avere un forte orientamento verso la ricerca e le sue applicazioni. E i progetti, cofinanziati dallo Stato, coinvolgono sempre grandi imprese e aziende più piccole, laboratori pubblici è privati e, altra originalità del nostro Paese, organismi di formazione». Si tratta di un sistema che lascia poco spazio al volontarismo e alla spontaneità: ha regole precise dettate dallo Stato centrale. Che ha varato fondi consistenti (i,5 miliardi di euro, senza considerare quelli che arrivano da gli enti locali, per il periodo Zoo6-zoo8), per i progetti presentati dai partner dei distretti riconosciuti come 'I'oli di competitività". Un miliardo di euro di sovvenzioni pubbliche sono già stati stanziati grazie ai bandi di gara proposti due volte all'anno a partire dal zoo6. A questi progetti possono partecipare pure partner stranieri: «Ma le attività di ricerca collegate - rileva Alain Griot, responsabile delle collaborazioni tecnologiche al ministero dell'Economia - devono essere svolte in Francia e le imprese o altri enti stranieri coinvolti devono avere qui una presenza stabile». L'inchiesta appena iniziata sui poli era già prevista fin dagli inizi. Ma con Sarkozy al potere è diventata 'inevitabile. Questo esame, gestito da una società esterna e autonoma rispetto al ministero dell'Economia, si chiuderà nella prossima primavera. Allora a Parigi si decideranno i nuovi fondi pubblici da destinare a questi distretti e secondo quali modalità. È chiaro che, malgrado le incertezze iniziali, i poli hanno globalmente funzionato: al momento attuale oltre 9mila ricercatori lavorano nei progetti finanziati. Ma è anche evidente che le cose non vanno bene per tutti allo stesso modo: alcuni poli non sono mai decollati. È possibile che nel futuro i finanziamenti vengano destinati a un numero più ridotto di distretti, ovviamente a quelli che hanno dato il meglio di sè. Dalle voci che circolano a Parigi sembra pure che verranno privilegiati i progetti dal valore complessivo compreso fra i dieci e i trenta milioni di euro. Insomma, abbastanza grandi, così da favorire lo sviluppo di "grosse" Pini: in Francia si passa da aziende piccole a quelle molto più grandi, manca la fascia intermedia. E poi, come ha sottolineato di recente lo stesso ministro dell'Economia, Christine Lagarde, «bisogna sviluppare nuove sinergie con i distretti stranieri». Da questo punto di vista, in realtà, qualcosa è già stato fatto. Anche con l'Italia: «L'anno scorso abbiamo firmato un accordo con il distretto tecnologico Torino Wireless e nel 2007 abbiamo iniziato a collaborare pure con il Siit (Sistemi intelligenti integrati tecnologie) di Genova - sottolinea Georges Falessi, del polo Solutions communicantes sécurisées, attivo nell'area fra Nizza e Marsiglia nei campi delle telecomunicazioni e della microelettronica-. Con Torino Wireless stiamo preparando alcuni progetti di ricerca da portare avanti assieme, in particolare nel settore della telefonia mobile e delle tecnologie informatiche applicate al comparto della sanità». ____________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’07 LE CONQUISTE DEL TUTTO INASPETTATE Se Isaac Newton quel pomeriggio del 1665 non avesse bevuto il suo tè in giardino, forse oggi non conosceremmo la legge sulla gravitazione universale. Perché fu in quel momento che la mela cadendo dall' albero «gli fece intuire che se la misteriosa forza della terra poteva agire fino alla cima di un albero (per attirare la mela verso di sè) avrebbe potuto avere gli stessi effetti anche sulla luna» scrive il suo biografo L. T. More. Il caso della mela più famosa della scienza, citata da molti come un esempio di serendipity, non lo è in realtà fino in fondo. Il termine, coniato nel 1754 dal letterato inglese Horace Walpole, più che l' intuizione geniale vuole indicare la circostanza in cui si cerca una certa cosa e se ne scopre, inaspettatamente, un' altra. L' identificazione dell' antigene dell' epatite B da parte di Baruch Samuel Blumberg è una straordinaria serendipity (lui stava lavorando in un' altra direzione), ma la storia della medicina è «lastricata» di casi simili. E non è poi così strano, come sottolinea Gilberto Corbellini, docente di Storia della medicina all' università La Sapienza di Roma: «Louis Pasteur sosteneva che "il caso aiuta la mente preparata"; il che significa che il ricercatore esperto, se dotato di curiosità e di una certa elasticità mentale, può approdare alla scoperta originale». Impossibile non ricordare la serendipity (tradotta in italiano in una parola bruttissima, serendipità) più famosa: la scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming. Nel suo laboratorio, nel 1928, i germi proliferavano nelle capsule di Petri, che altro non sono che piattini di vetro forniti di coperchio. Una di queste venne dimenticata aperta e Fleming il giorno dopo notò che era stata contaminata da una muffa: al suo interno si era creata una patina che si rivelò, poi, un' area priva di batteri. Che cosa li aveva uccisi? Una sostanza prodotta dalla muffa stessa. Fleming la chiamò penicillina. Altro caso arcinoto è quello della scoperta della Lsd: autore il chimico svizzero Albert Hofmann (inserito da poco nella classifica dei cento geni viventi) che nel 1938 studiando gli alcaloidi della segale cornuta per purificarne principi attivi da testare come farmaci, arrivò alla sintesi della molecola. Ma solo cinque anni più tardi scoprì i suoi effetti psichedelici dopo averne ingerito accidentalmente una piccola quantità. Altrettanto casuale la scoperta dei riflessi condizionati cui arrivò il fisiologo russo Ivan Pavlov nel 1903 mentre, sul cane, conduceva esperimenti sulla digestione. Ci sono stati casi clamorosi anche sul versante opposto: ricercatori che pur disponendo degli elementi essenziali per fare una scoperta, sono rimasti «accecati» dai propri pregiudizi. Accadde a Linus Pauling, ben due volte premio Nobel: ostinatamente convinto che il Dna dovesse avere una tripla elica, si fece soffiare la scoperta della «doppia» da Watson e Crick. * * * I casi celebri Albert Hofmann Il chimico svizzero (al centro) che scoprì per caso su se stesso gli effetti psichedelici della Lsd *** Ivan Pavlov Il fisiologo russo con i cani sui quali tentò gli esperimenti che gli fecero scoprire i riflessi condizionati Porciani Franca ____________________________________________________________________ Corriere della Sera 24 nov. ’07 LE FACOLTÀ UMANISTICHE FIGLIE DI UN DIO MINORE La ministra di Sarkozy, Valérie Pécresse vuole cacciare dalla sede della Sorbonne l' École Pratique des Hautes Études, e sbattere in banlieue la più prestigiosa istituzione universitaria francese. Seguiranno, pare, la stessa sorte l' École des Hautes Études e la Maison des Sciences de l' homme. Colpo di sole? Non sappiamo. L' enormità di una tale iniziativa si coglie nel caso dell' École Pratique: luogo d' alta ricerca, privato dell' immediato, insostituibile, collegamento con la Biblioteca della Sorbonne, diventerebbe una cattedrale nel deserto. La protesta dovrebbe sorgere non solo in Francia, dove da mesi è in atto, ma in tutta Europa: non solo perché l' École Pratique è importante oltre i confini della Francia, ma anche perché facilmente il malo esempio trova imitatori. Vediamo un caso minore. Il nostro ministro dei Beni culturali sa da almeno un anno che la Biblioteca nazionale di Bari si è trasferita in sede nuova, liberando i locali che occupava dentro il palazzo dell' Università. Eppure non concede il permesso all' Università di giovarsi di quei locali, necessari e perfettamente vuoti. Il cavillo addotto ha dell' incredibile: i decrepiti scaffali murati nelle pareti, e perciò rimasti in loco, non sono trasportabili! Immortale monsieur de La Palice. Intanto l' Università scoppia, ma al ministro forse non cale. Scendiamo nell' ancora più piccolo. Sempre a Bari, il sindaco ha avuto l' alzata d' ingegno di tentare l' impianto di un parcheggio sotterraneo davanti all' Università. Sembra inaudito, ma è vero. S' inizia lo sventramento. Vien fuori una polla d' acqua e tutto si blocca. Ora l' acqua comincia ad intaccare l' edificio. La magistratura «apre un fascicolo». Parte la consueta quadriglia. Lasciate ogni speranza. Ora c' è, davanti all' Università, un lago immenso, recintato come in un film dell' orrore. Una direttiva europea ingiunge che le facoltà umanistiche siano escluse dalla nuova edilizia universitaria. Forse solo questo bloccherà la Pécresse? Canfora Luciano ======================================================= ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 nov. ’07 OBIETTIVO RAGGIUNTO, 26 INFERMIERI DIVENTANO DOTTORI Da ieri anche l'Università di Cagliari ha i suoi primi infermieri laureati. Sono 26 e hanno discusso la tesi nell'aula Boscolo della Cittadella universitaria di Monserrato. Una giornata di festa per i neo laureati e le loro famiglie. Ma anche un momento di riflessione su una professione ancora oggi non valorizzata e che non ha il giusto riconoscimento professionale e sociale nel mondo sanitario. Gli infermieri ricevono dal '92 -'93 una formazione universitaria che per dodici anni è andata avanti con un diploma. Dal 2004-2005 la trasformazione in corso di laurea in Infermieristica nella facoltà di Medicina, sotto la guida del presidente del corso, Alessandro Riva, della responsabile della commissione didattica, Diletta Peretti, e della coordinatrice dell'attività, Maria Rita Pinna. Ieri i primi 26 studenti hanno tagliato il traguardo della fine del percorso universitario illustrando la loro tesi. Il giorno prima invece hanno sostenuto la prova pratica. Un doppio test che ha valore di esame di stato abilitante: da oggi dunque i 26 infermieri possono lavorare. «Troveranno un posto in ventiquattro ore - spiega Riva - perché c'è molta richiesta di infermieri preparati. Riceviamo tante offerte soprattutto dagli ospedali della Penisola, ma anche da presìdi ospedalieri in Europa, a conferma della bontà della formazione che viene data. Una formazione che però va avanti tra mille difficoltà e problemi». Il corso di laurea infatti deve superare ostacoli di ogni genere. «Uno di questi - evidenzia Diletta Peretti - è il complicato dialogo con la politica e il mondo degli ospedali. Per formare nuovi infermieri serve molta pratica nelle corsie. Per fare questo è importante avere degli infermieri che svolgano il ruolo di tutor all'interno degli ospedali. Ma non esistono incentivi, economici e non, per i formatori: non c'è la volontà di investire. Così dobbiamo affidarci unicamente alla buona volontà dei docenti del corso e di alcuni infermieri». Stesso discorso per i professori universitari che insegnano nel corso di laurea in Infermieristica: sono titolari di altre cattedre e fanno i salti mortali, senza alcun incentivo, per garantire la didattica ai circa 250 iscritti (120 le nuove matricole). Anche per ottenere le aule dove far lezione o per la pratica è una battaglia quotidiana. «Senza contare - ricorda Riva - che non ci sono cattedre infermieristiche. Insomma bisogna investire di più sulla formazione perché la società e il sistema sanitario hanno bisogno di infermieri professionisti, indispensabili quanto i medici». ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’07 CAMBIANO GLI ASSETTI DEL SISTEMA: MENO ASL E MANAGER UN PO' PIÙ STABILI GLI EFFETTI DELLE SCELTE DI "CENTRALIZZAZIONE REGIONALE" Progettare norme per la contabilità In un sistema sanitario sempre più regionalizzato, gli assetti di sistema si possono descrivere a partire dai principali strumenti di governo di cui le Regioni dispongono in quanto "capogruppo" del Ssr. Più specificamente, le Regioni devono: - stabilire la struttura del gruppo in termini di combinazioni economiche con autonomia giuridica ed economica (le aziende del gruppo). Rispetto a questo tema, va innanzi tutto sottolineato come la rinnovata attenzione verso le iniziative di "ingegneria istituzionale" renda meno significativo descrivere l'assetto dei Ssr in termini delle loro classiche aziende pubbliche (Asl e Ao), equiparate, private accreditate; - ridisegnare il proprio apparato amministrativo, anche attraverso l'eventuale istituzione di un'Agenzia sanitaria regionale; - tracciare le politiche e le regole complessive del sistema attraverso la definizione dei Psr, dei sistemi di programmazione e controllo di gruppo, dei sistemi di finanziamento della spesa corrente e degli investimenti, dei sistemi di accreditamento istituzionale; - tracciare le politiche di governo in specifici ambiti di attività (medicina generale, assistenza farmaceutica ecc.); - definire il sistema delle deleghe per il governo economico delle aziende (nomina degli organi di direzione di massimo livello, costituzione di organi collegiali rappresentativi dei differenti interessi ecc.). Qui si confermano, con particolare riferimento alla figura del direttore generale, le difficoltà legate alla breve durata effettiva del mandato (nel periodo 1996-2007 la media nazionale è stata di 3 anni e 8 mesi) e all'occasionalità della nomina (il 41% delle persone che hanno ricoperto l'incarico di Dg sono rimaste in carica, in una o più aziende, per un massimo di 2 anni), seppur con qualche miglioramento rispetto al passato (nel 2003 i valori erano rispettivamente 3,2 anni e 45%); - progettare norme generali per l'organizzazione, il funzionamento e la contabilità delle aziende. È dal 2002 che si susseguono le iniziative di ingegneria istituzionale nella triplice accezione di accorpamenti e scorpori di Asl e Ao; introduzione di nuovi soggetti giuridici; interventi sui meccanismi che legano tra loro le diverse aziende. Nell'ultimo anno sono state quattro (Piemonte, Bolzano, Puglia, Calabria) le Regioni che hanno rivisto l'assetto delle aziende sanitarie, nel senso di una maggiore aggregazione. Per molti aspetti, le scelte di ingegneria istituzionale sono anche una manifestazione dell'accentramento regionale. Alcune Regioni creano Asl uniche regionali; altre centralizzano acquisti e funzioni amministrative; quasi tutte tendono a riappropriarsi delle decisioni strategiche come la negoziazione dei tetti con le strutture private accreditate. Paradossalmente, però, l'accentramento regionale si rivela assente proprio in alcune situazioni dove sarebbe indispensabile. La finanza, a esempio: nella maggior parte dei casi le aziende hanno proceduto in ordine sparso, senza un adeguato supporto regionale nella definizione delle strategie finanziarie e nella strutturazione delle operazioni. Ciò è tanto più grave se si considera l'ingente volume delle operazioni: con riferimento al project finance, l'edilizia sanitaria e sociale copre da sola il 53% del valore degli investimenti così finanziati in Italia. All'accentramento regionale si affianca la differenziazione interregionale, ormai evidente sotto qualsiasi profilo, tra cui quello di peso e caratteristiche delle strutture private accreditate; propensione della Regione a sostituire frequentemente i direttori generali delle aziende e ad assegnare i nuovi incarichi a persone esterne; modalità di copertura dei disavanzi; sistemi di accreditamento in termini, per esempio, di tempistica della progettazione e dell'implementazione, di caratteristiche ed estensione del sistema, di effettiva entrata a regime. Durata media in carica dei Dg 1996-2007 (anni) Totale complessivo Regioni Ao Asl Abruzzo - 3,7 3,7 Alto Adige (Bolzano) - 8,5 8,5 Basilicata 4,0 3,9 3,9 Calabria 2,1 1,5 1,6 Campania 4,2 3,4 3,7 Emilia Romagna 4,4 3,6 3,9 Friuli V.G. 3,4 3,8 3,7 Lazio 3,2 2,5 2,7 Liguria 5,0 2,9 3,7 Lombardia 4,9 4,8 4,8 Marche 3,2 2,9 3,0 Molise - 4,1 4,1 Piemonte 2,9 3,3 3,2 Puglia 4,0 2,5 3,0 Sardegna 4,0 2,8 3,0 Sicilia 3,5 2,9 3,3 Toscana 3,4 3,7 3,6 Trento - 6,0 6,0 Umbria 3,2 2,5 2,7 Valle d'Aosta - 3,0 3,0 Veneto 6,0 4,8 4,9 Tot. complessivo* 4,0 3,5 3,7 * Valore medio calcolato come media aritmetica di tutte le durate medie aziendali ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 nov. ’07 SONO ALL'ONCOLOGICO DI CAGLIARI I PIONIERI DELLA TARF CONTRO I TUMORI La sigla sta per "termoablazione con onde a radio frequenza" Su L'unione Sarda di martedì, il signor Frau di Assemini chiede delucidazioni sulla "Tarf contro i tumori". "Tarf" è un acronimo da me coniato 12 anni fa quando, tra i primi in Italia, ho iniziato a occuparmi di Termo Ablazione con onde a Radio Frequenza. Si tratta di una terapia impiegata nella cura dei tumori e che sfrutta le onde a radiofrequenza per produrre calore all'interno delle cellule tumorali e, di conseguenza, la loro morte. Inizialmente la termoablazione è stata impiegata per combattere i tumori del fegato: l'epatocarcinoma (quasi sempre associato a cirrosi e epatite da virus B o C) e le metastasi, vale a dire localizzazioni nel fegato di cellule tumorali provenienti da altri organi. Oggi la termoablazione è il trattamento di scelta nel caso dell'epatocarcinoma con una efficacia del 95 per cento in alternativa alla chirurgia, spesso non eseguibile per la concomitante sofferenza epatica. Presso l'ospedale "Businco" di Cagliari sono stati sottoposti a questa terapia 1600 pazienti, perlopiù sardi, ma molti provenienti anche da altre regioni. Oltre che sul fegato, la termoablazione più recentemente è stata impiegata nella cura dei tumori del rene, della prostata, del polmone, dell'osso. Inoltre la termoablazione con onde a radiofrequenza è attualmente sperimentata nel trattamento del cancro del seno, associando nello stesso intervento appunto l'asportazione del tumore all'impiego del calore, tecnica messa a punto ed eseguita per la prima volta al mondo proprio presso l'ospedale Oncologico di Cagliari. Va precisato che la Tarf non è la panacea per tutti i casi di tumore, ma quando vi sono le condizioni, che devono essere valutate da paziente a paziente, la Tarf si è rivelata un trattamento efficace, ben accetto dai pazienti e con rischi limitati. In risposta alla richiesta di informazioni da parte del lettore, l'ospedale Oncologico di Cagliari è il centro di riferimento regionale dei trattamenti ipertermici: per quanto riguarda la termoablazione dei tumori del fegato e della mammella ci si può rivolgere all'Unità di Oncologia chirurgica (il telefono è 070 6095449), negli altri casi presso il Servizio di Radiologia (070 6095207). CARLO CABULA - CAGLIARI carlocabula@oncologiachirurgica.it Grazie al dottor Cabula, apprezzato chirurgo, per le delucidazioni offerte ai lettori. In molti hanno scritto e telefonato per avere informazioni dopo che il lettore Roland Joet di Baratili aveva pubblicamente espresso la propria soddisfazione per i risultati della Tarf su suo padre. Ne approfittiamo per precisare che in nessun caso L'Unione Sarda può fornire l'indirizzo o il telefono degli autori delle lettere. (d. p.) ____________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 nov. ’07 MIDOLLO OSSEO, È RECORD SARDI PRIMI IN ITALIA. CONTU: «MA NON BASTA» SABRINA ZEDDA CAGLIARI. Ventidue mila iscritti, 109 donazioni, un esempio da imitare nella diffusione della cultura della donazione, ma anche un cruccio: la mancanza in Sardegna di una banca del cordone ombelicale. L'Admo (Associazione donatori midollo osseo) compie 20 anni e ha deciso di tracciare il bilancio della sua attività. Lo farà il 24 novembre alla Fiera internazionale della Sardegna con un convegno e una serata di spettacoli e premiazioni. Licinio Contu, genetista e presidente dell'Admo, presenta i numeri della sua associazione gonfio d'orgoglio. I numeri li conosce a memoria e li snocciola uno dietro l'altro. Contu parte da una data: 19 novembre 1987, giorno in cui l'Admo nasce per «promuovere la cultura della solidarietà e reclutare volontari da iscrivere nel Registro sardo donatori midollo osseo». La sensibilità dei sardi non è mai venuta meno: attualmente sono 22.179 gli iscritti al registro, 109 dei quali hanno donato il midollo osseo dentro e fuori dalla Sardegna. Dati di tutto rispetto, soprattutto se si pensa che nell'isola si contano 13,6 donatori ogni mille abitanti, contro una media nazionale di 6 donatori ogni mille abitanti. Eppure, fa sapere Licinio Contu, tanto buon cuore non basta: l'obiettivo è arrivare ad avere un registro regionale che arrivi a contare almeno 30-40 mila iscritti. «Questo perché - spiega il presidente dell'Admo - in Sardegna il grado di differenziazione genetica tra gli abitanti è piuttosto ampio, rendendo quindi ancora molto difficile trovare un donatore compatibile>>. Se, infatti, trovarlo nella propria cerchia familiare è possibile nel 30% dei casi, fuori dalla famiglia le possibilità si fanno ancora più ristrette. Dei 109 donatori effettivi citati da Contu, 53 hanno donato a malati sardi, 35 a malati di altre regioni d'Italia, 21 hanno addirittura donato il loro midollo osseo a persone che stavano in Germania, Usa, Francia, Inghilterra, Polonia e, Norvegia, Austria, Canada e Spagna. Un atto di generosità non per tutti quello della donazione del midollo osseo: oltre a godere di un buon stato di salute, bisogna avere un'età tra i 18 e i 45 anni. Dopo i 55 anni si viene cancellati dal registro. Da qui l'appello di Licinio Contu a che nuovi volontari si facciano avanti, perché, seppure ogni anno i nuovi donatori siano qualcosa come duemila, diventa necessario rimpiazzare quelli che sono cancellati. Grazie al progresso scientifico, oggi le cellule staminali non si ottengono solo dal midollo osseo: è possibile ricavarle anche dal sangue periferico e da quello del cordone ombelicale. Tuttavia su quest'ultimo punto la Sardegna è ancora indietro: manca una banca regionale del cordone ombelicale: «Negli anni abbiamo chiesto aiuto alle varie amministrazioni che si son succedute - dice Contu - ma non è servito a nulla». La giornata del 24 si articolerà in un convegno, la mattina, con numerosi esperti, mentre la sera saranno premiati i donatori effettivi. ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 nov. ’07 URGENZE AL POLICLINICO, PROTESTA DEI SINDACATI L’azienda decide l’attivazione di 10 posti letto. Le rappresentanze dei lavoratori: «Salute a rischio» Prove di spostamento dal San Giovanni di Dio al Policlinico di Monserrato. O forse la difficoltà da parte dell’ospedale cagliaritano di rispondere al crescente numero di emergenze. Fatto sta che la settimana scorsa il direttore sanitario, Sergio Mariano Marchi, e il dirigente del presidio del Policlinico, Rita Cantone, hanno avvisato i direttori delle strutture dell’ospedale universitario che a breve si dovranno attivare dieci posti letto da utilizzare per i pazienti provenienti dal pronto soccorso del San Giovanni di Dio. Sia che si tratti di un primo atto in vista del trasferimento o di una situazione di emergenza, non mancheranno le conseguenze per il lavoro di entrambi gli ospedali. I malati che arriveranno dal San Giovanni di Dio verranno così sistemati in diversi reparti, a secondo della patologia: due posti letto in Medicina Interna 1 e 2 e in Cardiologia, e uno ciascuno in Malattie del fegato, Patologie digestive, Malattie metaboliche e Allergologia. Nella circolare è specificato che sono esclusi dal ricovero “tutti i pazienti particolarmente critici e con necessità di probabili prestazioni rianimatorie o di trattamenti di terapia intensiva”. Il trasferimento dovrà seguire una procedura particolare: dai reparti del Policlinico di Monserrato, ogni giorno, “dovranno inviare via fax la disponibilità dei posti letti dedicati all’urgenza”. I due ospedali dovranno inoltre essere in contatto per concordare “l’invio del paziente per la presentazione del caso”. La piccola rivoluzione, che era stata decisa in una riunione dello scorso 15 ottobre, ha fatto scattare la reazione dei sindacati che non erano stati informati di niente. «Il rischio», sbottano Peppino Calledda (Cgil), Tommaso Demontis (Cisl) e Arturo Maullu (Cisal), «è che venga messa a rischio la salute dei pazienti perché si stravolge il lavoro dei medici e del personale del Policlinico che non è sufficiente per questo tipo di servizio». Per i rappresentanti sindacali, inoltre, la decisione non è valida: «Tutto», attaccano, «avviene senza alcun confronto con le sigle sindacali. Infatti questo spostamento inciderà sull’organizzazione del lavoro. Viene violato il contratto nazionale di lavoro perché quando ci sono dei cambiamenti che si ripercuotono sull’organizzazione interna del personale deve esserci una contrattazione con le organizzazioni sindacali e con la Rsu». Per questo Cgil, Cisl e Cisal chiedono un incontro al più presto: «Altrimenti», concludono i sindacalisti nella nota, «saremo liberi di agire, anche per vie legali, per chiedere il rispetto dei diritti sanciti dai contratti vigenti in materia di informazione, consultazione e contrattazione aziendale». (m.v.) _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 nov. ’07 SE IL SALARIO COSTA LA SALUTE (DELLE DONNE) È uscito il volume curato dall'Osservatorio presieduto da Francesca Me rzagora Maurizio de Tilta * L'Associazione O.N.Da presieduta da Francesca Merzagora, pubblica il primo volume sulla «La tutela della salute della donna nel mondo del lavoro», grazie all'impegno di Giulio Prosperetti (che, oltre a curare l'edizione, si è occupato anche delle discriminazioni), Edoardo Ales (protezione della salute della donna lavoratrice), Maria Vittoria Ballestrero (lavoro notturno), Franca Borgogelii (lavoratrice e madre: tutele e contraddizioni), Riccardo Del Punta (mobbing), Gisella De Simone (molestie sessuali). Esperti e docenti universitari che pongono in evidenza le più spinose problematiche che investono il lavoro delle donne. Affrontando la tematica delle discriminazioni, Giulio Prosperetti ha richiamato l'articolo 141 del Trattato Ce che dispone che allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità fra uomini e donne nella vita lavorativa il principio di parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali. Nell'ambito della tutela della salute delle donne rientra invece il tema del mobbing, affrontato da Riccardo Del Punta. Un fenomeno caratterizzato dalla serietà delle patologie organizzative cui esso rimanda. E se, in tali patologie, il ruolo dell’aggressore finisce con l'essere distorto dalle rappresentazioni soggettive di una presunta "vittima" che proietta su azienda, capi o colleghi, le irrisolte problematiche personali, nondimeno esistono situazioni nelle quali le dinamiche dei rapporti di potere si fanno perverse e capaci di emarginare, e nei casi più gravi di annientare, gli anelli più deboli. Su questa base sociologica, psicologica c medica del fenomeno si è innestata la grande crescita di tensione, da parte della giurisprudenza civilistica sulle problematiche del risarcimento dei danni. Ove è, sottinteso che la possibilità che il mobbing dia luogo a una lesione della salute, o a una malattia professionale, non esclude che esso integri una lesione della dignità morale. In altre parole - osserva Del l'unta - la circostanza che del mobbing si siano occupati, per primi, i medici del lavoro, non deve far scivolare verso una integrale "medicalizzazione" del mobbing: esso costituisce una condotta illecita, dalla quale può scaturire una pluralità di possibili (e risarcibili) pregiudizi: alla salute, alla sfera esistenziale, ma anche alla dignità morale della persona. Quanto alle molestie sessuali, Gisella De Simone ha evidenziato il legame tra tutela della salute e sicurezza delle lavoratrici e protezione della dignità della persona. Se prima ci si preoccupava dell'incolumità fisica, oggi la preoccupazione concerne anche la «personalità morale». La molestia connessa al genere e quella a connotazione sessuale, ledono la salute della vittima, producendo danni psicofisici. Ma la lesione della salute si accompagna alla lesione della persona causata dal fatto di prestare la propria attività lavorativa in un clima intimidatorio,umiliante, offensivo. Non solo. Le molestie «sono contrarie al principio della parità di trattamento fra uomini e donne», come si legge nella direttiva zoo2/73. Ed ecco dunque - osserva Gisella De Simone - il che le molestie sono oggi finalmente considerate come discriminazione perché violano il principio di parità di trattamento, principio fondamentale della Ue, e perché violano il principio costituzionale (articolo 3) di eguaglianza sostanziale. La pari dignità sociale dei cittadini, indipendentemente da sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali deve essere garantita a tutti rimuovendo gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo delle persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La libertà «dalle» molestie, e da quelle sessuali in particolare, rappresenta allora un aspetto della libertà della donna, irrinunciabile precondizione per garantire sia il pieno sviluppo delle sua persona, sia la sua effettiva e piena partecipazione al mondo del lavoro. La protezione contro le molestie sessuali dovrebbe allora essere considerata un formidabile strumento di emancipazione delle donne e, più in generale, dei lavoratori. Se la tutela antidiscriminatoria è un lusso - come qualcuno ha detto - è un lusso doveroso e irrinunciabile, che dobbiamo poterci "permettere" nella costruzione di un diritto attento alle "diverse differenze" delle persone e al rispetto della loro dignità, nonché di una democrazia che si fondi sul rispetto del principio di eguaglianza. * PresidenteAdepp e Federazione degli Ordini Forensi d'Europa ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’07 OASI 2007: UN SSN RICCO DI INNOVAZIONE SU MISURA DEL TERRITORIO RAPPORTO OASI 2007/ Secondo il Cergas Bocconi l'aziendalizzazione procede il suo cammino nonostante alcuni aspetti che presentano criticità Positiva la dinamicità delle sperimentazioni che puntano all'efficienza Negativo l'eccesso di «ingegneria istituzionale» Parola d'ordine: deospedalizzazione L'Osservatorio sulla funzionalità delle aziende sanitarie italiane (Oasi) del Cergas Bocconi si propone di analizzare i cambiamenti in atto nella Sanità italiana secondo l'approccio economico-aziendale, analizzando le scelte adottate dalle singole aziende sanitarie e i loro riflessi sulla funzionalità delle aziende stesse e del sistema sanitario nel suo complesso. Strutture ospedaliere. Il numero di strutture di ricovero pubbliche (Ao, presidi a gestione diretta Asl, istituti psichiatrici residuali) ed equiparate (Irccs, Policlinici universitari a gestione diretta, ospedali classificati o assimilati, istituti qualificati presidio dell'Asl, enti di ricerca) si è, rispetto agli anni Novanta, fortemente e costantemente ridotto: da 1.068 nel 1995 a 669 nel 2005. Il numero delle strutture private accreditate è rimasto invece sostanzialmente invariato (circa 550). Anche i posti letto per degenza ordinaria disponibili nel Ssn (pubblici e privati accreditati, per acuti e non) si sono significativamente ridotti, passando da circa 357.000 nel 1995 a poco più di 235.500 nel 2005. Il decremento è stato costante nelle strutture pubbliche ed equiparate, mentre i posti letto privati accreditati sono inizialmente aumentati (fino al 1997), quindi diminuiti (fino al 2000), per poi ricominciare lievemente a crescere nel periodo 2000- 2003 (un incremento dell'1%) e a diminuire nel biennio 2004-2005 (-3,9%). È invece cresciuto il numero di posti letto in day hospital, passato da poco più di 15.000 nel 1995 a quasi 30.000 nel 2005. Nel 2005 la dotazione media nazionale di posti letto - sia in regime di degenza ordinaria che diurna - è pari a 4 per mille abitanti per gli acuti e a 0,6 per i non acuti. Ciò ha consentito di avvicinarsi il nuovo standard di 4,5 posti letto complessivi, pur non rispettando la ripartizione tra acuti e non acuti. In particolare, questa situazione sembra imputabile alla mancanza di idonee azioni di riconversione dei posti letto per acuti in posti letto per riabilitazione e lungodegenza. A livello regionale, la distribuzione dei posti letto appare abbastanza differenziata, con nove Regioni al di sopra dello standard complessivo (Lombardia, Bolzano, Liguria, Sardegna, Emilia Romagna, Trento, Abruzzo, Molise e Lazio). Con riferimento alla ripartizione tra tipologie di ricovero, solo tre Regioni presentano una dotazione di posti letto per acuti (Campania, Puglia e Piemonte) conforme o inferiore al limite imposto (3,5 posti letto), mentre ben sette hanno una dotazione ancora eccessivamente superiore a quanto consentito (Molise: 4,9; Sardegna: 4,8; Abruzzo: 4,6; Lazio: 4,6; Liguria: 4,5; Friuli Venezia Giulia: 4,4; Bolzano: 4,2). Per quanto riguarda i posti letto per non acuti, invece, tutte le Regioni - ad eccezione di Trento e del Lazio, caratterizzate da una dotazione superiore allo standard - presentano un'offerta ancora sottodimensionata. Nel 2005 la percentuale di posti letto in strutture private accreditate, mediamente pari al 19,3% a livello nazionale, era inferiore al 10% in 5 regioni (Valle d'Aosta, Liguria, Basilicata, Veneto e Umbria), mentre risultava particolarmente elevata in Calabria (36,8%), Campania (30,1%) e Lazio (29,4%). Assistenza territoriale. Il periodo 1997-2005 si contraddistingue per l'incremento delle strutture territoriali (+38,3%) e, tra queste, per il sempre maggiore apporto dal privato accreditato, passato dal 34% nel 1997 al 49% nel 2005. Ciò è soprattutto imputabile al contributo delle strutture semiresidenziali (con un peso delle strutture private accreditate pari al 55%) e residenziali (con un peso delle strutture private accreditate pari al 72%), cresciute rispettivamente del 163 e 153%, nello stesso arco temporale. Personale dipendente. Ha fatto registrare una flessione del 3,6% nel biennio 1998-1999, determinata dal blocco delle assunzioni; a partire dal 1999 e fino a tutto il 2003, si è avuta una graduale crescita (+5%), poi rallentatasi a partire dal biennio 2004-2005: rispetto all'intero intervallo considerato (1998-2005), però, si è avuto un decremento molto lieve pari allo 0,3%. In generale l'aumento della spesa per il personale è risultato inferiore rispetto all'aumento complessivo della spesa sanitaria corrente, tanto che l'incidenza percentuale della prima sulla seconda è passata dal 43,3% del 1997 al 33,9% del 2006. Anche in termini di dimensione e composizione del personale si rilevano differenze significative tra le Regioni. Per esempio, le Regioni del Sud, insieme a Piemonte e Valle D'Aosta presentano una minore disponibilità media di infermieri per medico, pari a 2 contro i quasi 3 del Nord, spiegata dalla presenza di un numero più elevato di medici. Medicina generale. Nel periodo 1997-2005 il numero dei Mmg a livello nazionale è rimasto sostanzialmente stabile, mentre si è registrato un significativo incremento dei Pls (+11,9%), a parziale soluzione della forte carenza di pediatri in convenzione con il Ssn in tutte le Regioni. Nel 2005, il carico potenziale (basato sulla popolazione assistibile) ed effettivo (basato sul numero di scelte) dei Mmg era rispettivamente pari a 1.080 e 1.106 persone. Il divario era invece molto più significativo per i Pls (1.029 assistibili contro 816 scelte): per molti bambini viene scelto un Mmg anziché un Pls. La spesa. Secondo i confronti internazionali, la spesa sanitaria italiana è ancora inferiore alla media dei Paesi Ue-15. Questo vale sia per la spesa pro capite, totale (2.437 $Ppa contro 2.785 nel 2004) e pubblica (1.847 $Ppa contro 2.081), sia per l'incidenza sul Pil della spesa stessa, totale (8,7% contro 9,4%) e pubblica (6,6% contro 7%). Anche la copertura pubblica della spesa sanitaria in Italia è inferiore al valore Ue-15, ma soprattutto a quella di alcuni Paesi con un sistema sanitario simile a quello italiano (Ssn) quali Regno Unito e Paesi Scandinavi. (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 44/2007). Il 2006 non si è rivelato eccessivamente critico sotto il profilo economicofinanziario (i disavanzi sanitari regionali sono stati complessivamente inferiori a quelli del 2004 e del 2005) e le criticità finanziarie si concentrano in tre regioni con problemi molto peculiari quali Lazio, Campania e Sicilia. Nelle scelte locali sul capitolo finanziario vanno segnalati tre rischi. Il primo è quello di privilegiare, nella valutazione delle esperienze, i benefici direttamente quantificabili in termini economico-finanziari rispetto agli altri. Esemplificativo al riguardo è il capitolo sugli Erp: ci sono benefici di natura economico-finanziaria, organizzativa e strategica, ma per il lettore i primi sono molto più evidenti perché meglio sostenuti dalla "forza dei numeri". Il secondo rischio è quello di privilegiare i benefici di breve periodo e di carattere prettamente economico-finanziario. In merito si può richiamare la centralizzazione degli acquisti, dove si sottolineano i rischi di eccedere nella minimizzazione dei prezzi di acquisto, nella standardizzazione dei prodotti verso il basso, nell'ampiezza e nella dimensione delle gare, con ripercussioni negative sulla rispondenza delle forniture ai reali fabbisogni aziendali, sui tempi di completamento delle procedure, sul grado di concorrenza tra i fornitori, sull'entità del contenzioso. Il terzo rischio è che le tensioni economicofinanziarie non incentivino scelte opportune, ma impongano soluzioni subottimali. Il caso più evidente è presentato nel capitolo sul project finance, che spesso viene scelto non per la sua convenienza rispetto alle possibili alternative, ma solo perché rappresenta di fatto l'unica alternativa percorribile per realizzare investimenti complessi ad alta intensità di capitali. I principali risultati. Il Ssn mostra un elevato tasso di innovazione manageriale, con una continua ricerca e sperimentazione di soluzioni non preconfezionate, ma disegnate per le specifiche esigenze locali. La dinamicità, peraltro, emerge con grande evidenza già dall'evoluzione dei dati di struttura e di attività nell'ultimo decennio. Tuttavia l'accentramento regionale e ingegneria istituzionale rischiano di mettere in seria crisi il modello aziendale, o comunque le aziende sanitarie come correntemente intese. Nell'Asl unica regionale, il confine tra azienda sanitaria e assessorato regionale potrebbe diventare sempre più sfumato. L'accentramento regionale di decisioni strategiche e funzioni amministrative potrebbe di fatto trasformare le aziende sanitarie in articolazioni operative della regione, dotate di autonomia giuridico- formale ma non sostanziale, con a capo dei direttori generali che sono in realtà dei direttori di "stabilimento" o di "filiale". L'autonomia aziendale, infine, alimenta la diffusione, il consolidamento e l'ampliamento della gamma degli strumenti manageriali. Resta naturalmente il rischio di un loro impiego limitato o inappropriato. Nel Rapporto 2007 si segnalano per esempio lo snaturamento dell'istituto dell'accreditamento o comunque il suo declassamento a un ruolo puramente formale; la criticità e la dubbia convenienza di alcune sperimentazioni gestionali e soprattutto di molte operazioni di project finance; l'implementazione inefficace di alcuni sistemi Erp; le difficoltà di rinnovamento degli assetti istituzionali e organizzativi di molti ospedali di insegnamento e, spesso, la scelta di soluzioni che riflettono compromessi di potere e sono quindi a forte rischio di inefficacia. Tratto dall'Executive summary di "L'aziendalizzazione della Sanità in Italia: Rapporto Oasi 2007" realizzato da Eugenio Anessi Pessina, Elena Cantù, Clara Carbone, Francesca Lecci - Cergas Bocconi Disavanzi dal 2001 al 2006 (milioni di euro) Regioni Al lordo delle assegnazioni previste dalle Finanziarie 2005, 2006 e 2007 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Piemonte 210 40 100 671 -1 52 Valle d'Aosta 0 7 10 13 14 14 Lombardia 281 323 -64 -131 14 13 Bolzano 0 71 25 -25 -28 -21 Trento 0 - 1 5 9 3 -2 Veneto 304 204 145 -6 114 -16 Friuli V.G. 0 -34 -19 -9 -27 -12 Liguria 77 44 48 329 253 107 Emilia Romagna 16 50 40 380 16 96 Toscana 88 44 -20 240 15 75 Umbria 7 10 46 52 8 43 Marche 125 98 71 163 18 29 Lazio 987 574 711 1.669 1.733 1.616 Abruzzo 76 136 216 104 241 136 Molise 37 19 73 44 139 63 Campania 629 638 556 1.182 1.788 658 Puglia 166 4 -109 -42 412 239 Basilicata 28 1 19 31 43 15 Calabria 226 148 57 128 79 66 Sicilia 415 342 264 748 574 909 Sardegna 106 175 143 240 317 102 Totale 3.778 2.891 2.320 5.790 5.725 4.183 Posti letto per degenza ordinaria pubblici e accreditati Percentuale spesa pubblica sulla spesa totale (2003) Scostamento medio dei tariffari regionali dal nazionale ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’07 CURE PALLIATIVE PUBBLICATO IL PRIMO «LIBRO BIANCO» : entro il 2008 raddoppierà il numero dei centri per il ricovero dei malati terminali Aprono 206 hospice, sono tutti in poche Regioni La maggior parte al Nord con l'eccezione della Sicilia, Campania in coda Turco: nella Finanziaria pronti 150 milioni Il pianeta hospice si popola sempre di più. Saranno ben 206 nel 2008, un grande passo in avanti rispetto al deserto di qualche anno fa. Peccato che sono tutti concentrati in un pugno di Regioni: ben 154 si contano, infatti, in sette Regioni (Lombardia, Emilia, Lazio, Veneto, Piemonte, Sicilia e Toscana). Nel resto d'Italia poco o niente. E con modelli e organizzazione ispirati al più spinto fai da te regionale: a partire dalle tariffe fino al tipo di assistenza e alla stessa collocazione. Solo la metà degli hospice opera all'interno di un ospedale o struttura pubblica, il resto tra privato (7%) e terzo settore (32 per cento). La fotografia dei centri di cure palliative che dovrebbero garantire il ricovero ai malati terminali, oncologici e non, emerge dal libro: «Hospice in Italia 2006: prima rilevazione ufficiale». Il volume, con tanto di prefazione firmata dal ministro Livia Turco, è stato presentato all'ultimo Congresso della Società italiana cure palliative ed è nato dalla collaborazione tra Sicp, Fondazione Isabella Seragnoli e Fondazione Floriani. Crescono gli hospice. Sono 114 gli hospice attivi in Italia al 31 ottobre 2007, 9 in più rispetto al dicembre 2006. Entro il 2008 dovrebbero esserne realizzati altri 91 e per il 2011 si punta ad avere operative 243 strutture, con 2.736 posti letto totali e un indice globale nazionale di 0,47 letti ogni 10mila residenti. Il documento rileva un aumento costante delle strutture partito nel 2001. Notevole però la diversità interregionale. «In generale - afferma Furio Zucco , presidente Sicp - vi è un andamento decrescente da Nord a Sud sia nel numero degli hospice attivi e da attivare, sia nel numero dei posti letto». Al 31 dicembre 2006 la Lombardia aveva un tasso di posti letto di 0,46/10.000 residenti, mentre Abruzzo, Cam- pania, Umbria e Valle D'Aosta non ne avevano nessuno in funzione. Secondo quanto programmato a livello regionale, questa diversità sarà solo in parte colmata alla fine del 2008, basti pensare che l'Emilia Romagna arriverà a 0,72 posti letto ogni 10mila residenti, mentre l'indice medio nazionale si attesterà a 0,40. Soltanto Lazio, Basilicata, Lombardia e Valle d'Aosta dovrebbero superare il tasso di 0,50, mentre Friuli, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto si dovrebbero situare tra lo 0,30 e lo 0,45. Tra le Regioni meno virtuose Abruzzo, Calabria, Sardegna, Trentino Alto Adige (tra lo 0,10 e lo 0,23), fanalino di coda la Campania, sotto lo 0,10. «Il problema è - denuncia Zucco - che ogni Regione ha un modello di rete di cure palliative e alcune più di uno». Manca un modello unico. Nelle Regioni vince il fai da te nello sviluppo della rete per le cure palliative che dovrebbe integrare gli hospice con le cure domiciliari. Queste ultime dovrebbero garantire l'assistenza al 75% dei malati terminali (ogni anno sono 250mila). Da un punto di vista logistico la maggior parte degli hospice è collocata all'interno di strutture ospedaliere per acuti (44,8%) e in minor misura in strutture dedicate (27,1%). Il libro suggerisce anche come arrivare a regime. Tra i primi passi da compiere la definizione di standard strutturali, tecnologici e organizzativi uguali in tutta Italia. La rete deve comprendere hospice, cure domiciliari, day-hospital e ambulatori. Altro punto fondamentale la formazione del personale. Punti questi che saranno al centro del Piano nazionale per le cure palliative che sarà presto presentato dal ministero (vedi «Il Sole 24 Ore Sanità» n. 42/2007). In più ci saranno 150 milioni messi a disposizione dalla nuova Finanziaria (recuperando i 100 mai spesi della manovra 2007). Risorse fresche - ha spiegato la Turco - che «permetteranno la realizzazione di strutture soprattutto nelle Regioni che più ne hanno bisogno, nel Sud del Paese» . Marzio Bartoloni La fotografia degli hospice H H Regione Posti letto/ 10.000 res. Posti letto/ 10.000 res. Residenti (Istat 2006) Posti letto Strutture Posti letto Strutture OSPICE GIÀ OPERATIVI NEL 2006 OSPICE CHE SARANNO PRESUMIB. OPERATIVI A FINE 2008 Lombardia 0,46 440 38 0,64 610 53 9.475.202 Emilia R. 0,41 172 14 0,72 300 25 4.187.557 Lazio 0,41 215 11 0,50 266 14 5.304.778 Molise 0,34 11 1 0,34 11 1 320.907 Veneto 0,27 126 14 0,31 149 17 4.738.313 Basilicata 0,27 16 2 0,54 32 4 594.086 Friuli V.G. 0,26 32 2 0,43 52 4 1.208.278 Liguria 0,20 32 3 0,31 50 5 1.610.134 Marche 0,16 25 3 0,42 64 7 1.528.809 Trentino A.A. 0,12 12 2 0,12 12 2 985.128 Piemonte 0,12 51 5 0,38 167 15 4.341.733 Calabria 0,09 18 2 0,20 40 4 2.004.415 Sicilia 0,07 36 3 0,32 162 15 5.017.212 Sardegna 0,06 10 1 0,23 38 3 1.655.677 Puglia 0,05 20 2 0,33 136 9 4.071.518 Toscana 0,04 13 2 0,38 139 15 3.619.872 Valle d'Aosta - - - 0,56 7 1 123.978 Umbria - - - 0,39 34 4 867.878 Abruzzo - - - 0,23 30 3 1.305.307 Campania - - - 0,08 47 5 5.790.929 Totale Italia 0,21 1.229 105 0,40 2.346 206 58.751.711 Nota: le Regioni sono in ordine decrescente rispetto al numero di posti letto attivi per ogni 10.000 residenti all'anno 2006. Il fai da te regionale nelle tariffe * Liguria Veneto Regione Lombardia Rif. decreto reg./prov. (Dgr 39990/1998) (Dgr 12904/2003) (Dgr n. 3242/2006) Emilia R. Euro 188,0 Pa Bolzano Euro 410,0 Euro 201,4 per le Uocp Euro 163,1 per gli hospice Tariffa giorn. riconosciuta per decreto reg./prov., per la degenza in hospice (Dgr n. 589/2002 e successivi aggiornamenti) (Dgp n. 3874/2003, Dgp n. 2603/2005) Note relative alle tariffe giornaliere Tariffa al netto di farmaci, presìdi, beni di consumo e prestazioni specialistiche Tariffa valida sia per l'assistenza residenziale che domiciliare, esclusi i farmaci Tariffa aggiuntiva di euro 51,6 per l'accompagnatore Tariffa di euro 70,0 per l'assistenza domiciliare svolta da Uocp (Dgr n. 55- 13238/2004) Tariffa valida per gli hospice ospedalieri. Tariffa aggiuntiva di euro 7,70 per l'accompagnatore. Euro 72,3 per l'assistenza domiciliare Tariffa aggiuntiva di euro 50,0 per l'accompagnatore Tariffa onnicomprensiva definita ad hoc per un hospice Tariffa onnicomprensiva € 232,4 per i pazienti adulti € 500,0 per i pazienti pediatrici (**) Toscana Non pervenuto Non pervenuto Friuli V.G. Euro 260,0 (Dgr n. 3529/2003) Lazio Euro 180,8 (Dgr n. 1731/2000) Puglia Euro 196,2 (Dgr n. 1365/2004) Pa Trento Euro 190,0 (Dgp n. 1506/2003) Piemonte Euro 258,2 (Dgr n. 16- 3259/2001) Sicilia Euro 201,4 (Decreto n. 32881/2000) (*) Abbreviazioni normative utilizzate: Dgp = decreto della Giunta provinciale, Dgr = Decreto della giunta regionale, Uocp = unità operativa cure palliative. (**) Il primo hospice pediatrico italiano è diventato operativo in Veneto, nei primi mesi del 2007. ____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 nov. ’07 E TURCO AMMODERNÒ IL SSN Approvato dal Consiglio dei ministri il Ddl che rilancia il restyling delle norme sanitarie Deleghe su cure primarie e farmacie - Dirigenti, arriva l'esclusiva Paolo Del Bufalo Sara Todaro Ventitré articoli, tra cui due deleghe: una su assistenza primaria, emergenza sanitaria territoriale e ruolo delle farmacie, l'altra per la riorganizzazione degli enti vigilati dal ministero e il coordinamento e il riordino delle norme sanitarie. Due capi: uno sui princìpi del Ssn e l'altro sulla sua efficienza e funzionalità. E l'obbligo per le Regioni di adeguarsi alla legge, pena poteri sostitutivi del Governo, fino ai commissari ad acta. Ha incassato il via libera del Consiglio dei ministri del 16 novembre il Ddl sull'ammodernamento del Ssn di Livia Turco . «Nasce così il secondo pilastro del Ssn - ha commentato il ministro - per una medicina realmente vicina al cittadino e in grado di riqualificare l'attività della rete ospedaliera. Il Ddl nasce dall'esigenza di migliorare la qualità e la sicurezza delle prestazioni erogate e lo fa intervenendo in diversi ambiti del Ssn. A partire dall'aggiornamento dei suoi principi ispiratori, confermando l'unitarietà, l'universalità e l'equità del sistema, ma alla luce dei cambiamenti del quadro costituzionale e della necessità di garantire i nuovi bisogni di salute della popolazione». I cardini del cambiamento sono il potenziamento delle cure primarie e dell'integrazione socio-sanitaria, la prevenzione e l'adozione di corretti stili di vita, la garanzia della qualità della vita, la centralità della persona grazie a forme di partecipazione, di responsabilità e trasparenza con nuove procedure per la scelta di direttori generali e primari. Il Sistema nazionale di valutazione. La regìa del Ssn è affidata al neonato «Sistema nazionale di valutazione» che dovrà essere messo a punto con un Dm della Salute entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge e che sarà lo strumento di verifica delle politiche sanitarie sul territorio attraverso il quale il ministero coordina le attività valutative del Nsis, quelle di monitoraggio dell'Assr, le attività di ricerca dell'Iss e dell'Aifa e le valutazioni del Comitato per la verifica dell'erogazione dei Lea. È prevista anche la realizzazione di un sistema regionale di controllo e valutazione degli erogatori del Ssn, verificando coerenza e appropriatezza dei trattamenti con la remunerazione delle prestazioni. Cure primarie. La delega prevede la costituzione dell'«Area di medicina generale» di cui fanno parte medici di assistenza primaria, dei servizi e di continuità assistenziale. Nascono anche le Unità di medicina generale di pediatria e il Dlgs dovrà stabilire come dovranno operare i medici per assicurare assistenza ambulatoriale per tutto il giorno e domiciliare giorno e notte. Un altro Dlgs dovrà definire il ruolo delle farmacie pubbliche e private nel Ssn. E si dà anche la possibilità alle Regioni di riconoscere per l'accesso ai ruoli dell'emergenza, oltre la specializzazione l'esperienza quinquennale dei convenzionati nei servizi territoriali. Nomine di manager. La selezione dei Dg dovrà avvenire in base al meccanismo delle «migliori competenze» e sono potenziati i requisiti di formazione per candidarsi all'incarico (almeno otto anni di esperienza), con la valutazione dei profili perché il governatore possa scegliere tra una terna di nomi. Inoltre per i Dg è prevista la formazione obbligatoria con corsi che dovranno essere accreditati dai ministeri di Salute e Innovazione, d'accordo con le Regioni e secondo schemi indicati dalla Scuola nazionale della pubblica amministrazione e dall'Assr. Cambiano anche i criteri di valutazione dei Dg, decisi dalla conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio- sanitaria, con la partecipazione degli utenti. Scelta ed esclusiva dei primari. Trasparenza e meritocrazia sono anche le parole d'ordine per la scelta dei futuri direttori di struttura complessa, per i quali i bandi dovranno essere pubblici e dovranno indicare competenze e requisiti richiesti in base alle attività da erogare in funzione della programmazione. Cambia la struttura della commissione esaminatrice che dovrà selezionare tre candidati motivando la scelta e i relativi curricula dovranno essere resi pubblici dall'azienda sanitaria. Il direttore generale sceglie tra questi, anche lui motivando la scelta e dopo un colloquio attitudinale che la commissione svolge in sua presenza. Arriva anche l'esclusiva per i dirigenti di struttura complessa e semplice e per chiunque sia responsabile di una «articolazione organizzativa rilevante». L'esclusiva durerà per tutto l'incarico. Per gli altri la possibilità di opzione sarò possibile al termine del contratto individuale. Sicurezza delle cure. Nelle strutture sanitarie dovrà essere prevista una funzione aziendale per il controllo e la gestione del rischio clinico attraverso prevenzione e monitoraggio di errori ed eventi avversi. In ogni azienda o gruppi di aziende dovrà essere previsto un servizio di ingegneria clinica per garantire l'uso dei dispositivi medici. Introdotta anche la responsabilità civile a carico della struttura per danni causati da medici, manager e operatori e la possibilità di alternative alla copertura assicurativa come fideiussioni o autoassicurazioni in base alle disponibilità economiche. Controversie. Le Regioni dovranno organizzare nelle aziende misure per la definizione stragiudiziale delle controversie tra pazienti e strutture su danni per prestazioni fornite da operatori del Ssn che dovranno accorciare i tempi e definire la vertenza con «autorevolezza e imparzialità». Le nuove regole I Lea si fissano contestualmente al finanziamento del Ssn (art. 1) Il Psn da triennale diventa quinquennale (art. 2) Sarà creato un sistema nazionale e regionale di valutazione del Ssn: previsto anche il commissariamento per le Regioni che non si adeguano ai contenuti della legge (art. 3) Si dettano i criteri per promuovere l'integrazione socio-sanitaria, la rete dei servizi, i progetti personalizzati individuali, i criteri per il cofinanziamento da parte di Asl e Comuni (art. 4) Per il cittadino partecipazione totale: in un accordo Stato-Regioni impegni e modalità per garantire la valutazione civica in tutte le articolazioni Ssn (art. 5) Sarà creata per delega l'area omogenea di medicina generale (assistenza primaria, continuità assistenziale, e medicina dei servizi). Tra le novità: le Uo di Medicina generale (min. 15 medici) e Pediatria; l'ammissione in sovrannumero dei laureati con almeno un triennio di esperienza nel territorio ai corsi di formazione per Mmg; l'ammissione degli specializzandi in pediatria nelle relative Uo per un tirocinio di almeno 8 mesi l'anno . (art. 6) Una delega anche per ridefinire il ruolo delle farmacie pubbliche e private nell'ambito del Ssn: daranno supporto all'assistenza domiciliare e al generalista nel monitoraggio delle terapie e potranno effettuare analisi di prima istanza (senza uso di siringhe) nei limiti fissati con Dm dalla Salute (art. 6) Novità ai vertici di Asl e Ao: potenziato il collegio di direzione; consiglio dei sanitari sostituito da quello delle professioni sanitarie; procedure "trasparenti" perla scelta dei Dg. Per essi l'esperienza pregressa richiesta passa da 5 a 8 anni; i neo-Dg dovranno esibire il certificato di formazione entro 18 mesi; il loro operato sarà valutato su criteri fissati in Conferenza Stato-Regioni (artt. 7-8) Budget e autonomia gestionale per il distretto (art. 9) Tra i requisiti minimi delle strutture pubbliche e private entrano anche sicurezza, controlli e assicurazioni per la copertura della responsabilità civile, con possibilità per il pubblico di scegliere garanzie alternative alla polizza. Se titolare o Dg di una struttura accreditata sono condannati con sentenza in giudicato per truffa con danno patrimoniale a carico del Ssn la struttura rischia l'accreditamento e lo perde comunque per danni superiori del 10% al tetto annuale di spesa attribuitole (art. 10) I dipartimenti sono modello ordinario di gestione di tutte le attività sanitarie, con natura strutturale per le ospedaliere: competenze e budget fissati dalle Regioni; direttori responsabili di tutta l'attività (art. 11-12) I primari sono selezionati con bando pubblico e scelti dal Dg tra una terna proposta da una commissione ad hoc (art. 13) La formazione dei Mmg sarà coordinata dalla Salute per garantire omogeneità sul territorio (art. 14) L'attività professionalizzante degli specializzandi si svolge dal penultimo anno di iscrizione nelle strutture universitarie e del Ssn (art. 15) Scatta l'esclusività del rapporto per i primari per tutta la durata dell'incarico: gli altri dirigenti possono esercitare l'opzione a fine contratto (art. 16) Com Dm Salute sarà creato un sistema nazionale di linee guida e technology assessment (art. 17) In ogni struttura sanitaria pubblica o accreditata sarà creato un sistema per la gestione del rischio clinico, incluse le infezioni e un servizio di ingegneria clinica per l'acquisto, la vigilanza e l'addestramento sulle apparecchiature (art. 18) Tutte le strutture sanitarie saranno obbligate a garantire la copertura della responsabilità civile per danni provocati dal personale, anche in intramoenia: le strutture pubbliche possono scegliere forme alternative all'assicurazione (art. 19) Regioni, Pa e strutture pubbliche adottano misure per garantire la definizione stragiudiziale delle vertenze sulla responsabilità degli operatori (art. 20) L'Assr diventa "Anssr" (nazionale) e fa da consulente a Salute e Regioni su programmazione, monitoraggi, accreditamenti, formazione Dg, Ecm (art. 21) Il Governo è delegato a emanare entro 12 mesi uno o più Dlgs per la riorganizzazione degli enti su cui esercita la vigilanza (Iss, Ispesl, Izs, Cri, Lega Tumori, Aifa) (art. 20) _____________________________________________________________ Il Tempo 20 nov. ’07 BAMBINI PIÙ STUPIDI SE ALLEVATI DAL PAPÀ LONDRA I bambini curati dai papà sono meno brillanti negli studi dei coetanei che sano stati accuditi dalla madre. È quanta emerge da uno studio dell'università britannica di Bristal.Il sondaggio ha monitorato 6.000 famiglie all'interno delle quali è la madre ad andare tutti i giorni a lavorare mentre il papà resta a casa con i pargoli. Una volta iniziata la scuola i ragazzi sono più lenti nell'apprendimento e, in generale, meno pronti all'esperienza educativa. ________________________________________________________________ La Repubblica 20 nov. ’07 CANNABIS, UNA CURA CONTRO IL CANCRO AL SENO Studio Usa: il cannabidiolo blocca le metastasi nel tumore seno ROMA - Il cannabidiolo, uno degli elementi che compongono la cannabis, potrebbe essere in grado di bloccare il gene che provoca la diffusione delle metastasi del cancro al seno, ma anche di altre forme tumorali. È il risultato delle ricerche di laboratorio effettuate da un'équipe del California Pacific Medical Center Research Institute. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Cancer Therapeutics. I ricercatori si augurano che il cannabidiolo (Cbd), contenuto nella marijuana, possa diventare una valida alternativa alla chemioterapia, senza gli effetti collaterali di quest'ultima. «Ho sempre creduto nelle proprietà contenute nei derivati della cannabis - afferma il professor Umberto Veronesi - questa è una strada mai esplorata a causa di condizionamenti psicologici. La fonte universitaria è molto seria. Voglio chiarire che l'oggetto della ricerca è un composto della cannabis e non una droga. Sarebbe un peccato non esplorare questa via per combattere il tumore al seno». E gli autori dello studio confermano che, a differenza della cannabis, il Chd non ha alcun effetto psicoattivo e quindi il suo utilizzo non viola alcuna legge sugli stupefacenti. Inoltre, insistono nello spiegare che non stanno invitando i loro pazienti a fumare marijuana, visto che le concentrazioni di Cbdusate nelle loro ricerche sono di molto superiori a quelle che si possono ottenere solo fumando. «Il Cbd funzionerebbe bloccando l'attività del gene Id-l- spiega Sean McAllister, autore della ricerca - ritenuto responsabile della metastatizzazione, la diffusione del tumore dalla sua sede iniziale». Altre ricerche hanno già dimostrato che il Cbd potrebbe bloccare il tumore cerebrale aggressivo, e ci sarebbero evidenze di un effetto simile inlahoratorio su cellule di tumore al seno. «Attualmente abbiamo un numero limitato di opzioni nel trattamento delle forme aggressive di cancro-continua McAllister – alcune terapie, come per esempio la chemioterapia, possono essere efficaci ma anche estremamente tossiche e difficili da tollerare». Questo composto offrirebbe quindi la speranza di una terapia in grado di ottenere gli stessi risultati senza gli effetti collaterali, come la nausea e il maggior rischio di infezioni. «La ricerca è a uno stadio iniziale - aggiunge JoannaOwens, del Cancer Research UK - i risultati dovranno essere seguiti da trial sull'uomo per valutare la sicurezza del Cbd e se si raggiungono gli stessi benefici ottenuti in laboratorio. Diversi farmaci basati sulle piante sono attualmente utilizzati nelle terapie tumorali, come la vincristina, che deriva dal fiore Pervinca del Madagascar, ed è usata nel trattamento del tumore al seno e al polmone». Per il momento sono la chemioterapia, la radioterapia e l'intervento chirurgico a dominare il panorama delle terapie contro il tumore. Anche se una serie di farmaci biologici vengono sperimentati ed usati sempre più spesso nei centri di cura oncologici. (ma. re.) Il cannabidiolo, contenuto nella cannabis, non è una sostanza psicotropa Potrebbe essere un farmaco biologico senza effetti collaterali Potrebbe proporsi come alternativa alla chemioterapia perché è in grado di bloccare il gene Id-1, responsabile della diffusione delle metastasi La concentrazione necessaria di cdb per curare un cancro è ben superiore a quella contenuta nella marijuana che viene fumata ________________________________________________________________ La Stampa 20 nov. ’07 GUERRA DELLE STAMINALI: FONDI SOLO AGLI AMICI L’ira dei ricercatori: aggirate le regole Internazionali Se sei un ricercatore e ti dicono che i fondi per î tuoi studi non ci sono, perché sono stati assegnati con la logica «top-down», allora ti stanno prendendo per i fondelli. Nessuno scienziato da New York a Shanghai ha mai sentito parlare del sistema «topdown», perché non esiste. O meglio, non esisteva, finché il neo-anglismo non ha visto la luce all'Iss,l’Istituto Superiore di Sanità, dove i finanziamenti per le ricerche sulle cellule staminali - le famose cellule al centro delle polemiche, strapazzate tra fautori delle embrionali e delle adulte - seguono da tempo percorsi bizzarri: sono quelli «top-down», appunto, concessi dall'alto al basso senza controlli, incompatibili con l'unico sistema universalmente ammesso di finanziamento delle ricerche - la «peer review» - che esige trasparenza e meritocrazia. Lo scandalo è nazionale e internazionale. Tre dei cervelli della ricerca sulle staminali in Italia - Paolo Bianco, Elena Cattaneo e Ranieri Cancedda - hanno scritto a settembre una lettera riservata al ministro della Salute Livia Turco per denunciare i pasticci dietro il «topdown». Senza risultati. E intanto la celebre rivista scientifica Nature ha pubblicato un editoriale di fuoco proprio sulla gestione dell'Istituto Superiore di Sanità e la «scienza ai maccheroni». Che fine hanno fatto i 3 milioni di euro stanziati nella Finanziaria 2007 per studiare le staminali, che - sostengono gli scienziati dagli Stati Uniti alla Cina - potrebbero aiutarci a debellare mali globali come diabete, Alzheimer e cancro? «Dal ministro non abbiamo ricevuto risposta - spiega uno dei "Tre Coraggiosi", il professor Paolo Bianco dal laboratorio all'Università La Sapienza di Roma -. Ecco perché abbiamo deciso di rendere pubblica la nostra lettera. La questione è di interesse generale: per chi è tra le provette e per il pubblico». A farsi vivo è stato Enrico Garaci, fresco di nomina alla presidenza dell'Iss (riconfermata da) ministero per la terza volta, nonostante il «no» del Senato): «Gli abbiamo chiesto chi fossero gli studiosi che hanno ricevuto î soldi, quali i progetti e le procedure. E dove fossero i bandi e chi avesse fatto le valutazioni. Ci ha mandato una mail tardiva ed evasiva, che diceva: "Le informazioni non sono disponibili"». «il fatto sorprendente é che, mentre non sano disponibili per via ufficiale, le informazioni circolano comunque», spiega la professoressa Elena Cattaneo, direttore del Centro sulle staminali dell'Università di Milano. E' stato Angelo Vescovi, del San Raffaele non possono avere connessioni chi ha presentato gli studi» «Sono soldi vincolati e l'ultima parola sarà quella di una commissione ministeriale» o d'accusa «li ministro Turco non ha risposto alla lettera in cui rivelavamo le scorrettezze dell'Istituto di Sanità» ________________________________________________________________ Libero 20 nov. ’07 SORPRESA: LA DIAGNOSI ANTICIPA I SINTOMI Per prevenire e curare le malattie nasce la proteomica, tecnica che consentirà di rilevare nel sangue del paziente l'impronta di patologie in fase di sviluppo GIANLUCA GROSSI In futuro potremo prevedere con largo anticipo lo sviluppo di malattie conte i tu - mori e la demenza semplicemente sottoponendoci a un piccolo esame del sangue fatte proprie mura domestiche. E’ quanto risulta da uno studio effettuato da scienziati dell'Istituto di Biologia di Seatle (Whashingtom), diffuso sulle pagine del Guardian. Il riferimento è a un kit fai- da- te che - stando al parere. di Leroy flood, a capo della ricerca - potrebbe essere pronto entro una decina d'anni, rivoluzionando le strategie di prevenzione e cura anche delle patologie più gravi. Flood afferma che il test si basa stilla cosiddetta "impronta proteomica". Con questo termine si indica una sorta di traccia che viene .lasciata nel sangue dalle innumerevoli proteine provenienti da organi diversi. In pratica, quando determinate proteine risultano alterate, significa che si sta sviluppando una particolare malattia a carico dell'organo dalle quali derivano, In tutto ci sono una cinquantina di proteine specifiche relative a strutture anatomiche peculiari come fegato, reni., cervello, cuore. «Nel nostro organismo ci sono centinaia di migliaia di proteine e il proteomic fingerprinting (impronta proteomica) dovrebbe permettere di identificare quel piccolo gruppo di proteine che sono alterate m relazione ad una specifica malattia - dice Maurizio, Ferrari, Professore di Patologia Clinica all'università XIita-Salulte San Raffaele di Milano -. In pratica per ogni patologia si dovrebbe identificare ima specie di impronta fatta da una combinazione di proteine che ci segnalino la presenza della malattia e che differisce dall'impronta del soggetto sano. Tale indagine, ora ancora a livello di ricerca, viene eseguita con metodiche complesse, quali l'elettroforesi bidimensionale e la spettrometria di massa, che permettono di separare, e identificare proteine in un campione di sangue. Secondo il team Usa l'applicazione su larga scala della proteomica è comunque dietro l'angolo: «Entro una decina d'anni prevediamo di ottenere un semplice test che, chiunque, potrà utilizzare due o tre volte all'anno: uma piccola puntura sarà in grado di rivelare lo stato di salute di ogni organo - dice Flood Questo sistema potrebbe mettere in luce malattie incurabili molto prima di quanto non sia possibile fare ora, e sopratutto prima che il male esacerbi completamente, impedendo qualsiasi intervento efficace». Esperimenti effettuati sui topi hanno dato ragione a questa intuizione medica. Gli scienziati Usa hanno infatti effettuato un certo numero di topi con BSE (Bovine Spongiform Ericeplialopaffly, malattia universalmente nota come morbo della mucca pazza) - una gravissima malattia dei cervello, causata dai Prioni - dimostrando che la patologia è, almeno negli animali, diagnosticabile molto prima. che compaiano i sintomi. Dai test effettuati nei laboratori, dell'Istituto di Biologia eh Seattle si è visto che le manifestazioni del male compariva - no dopo 18 settimane, e la malattia vera e propria dopo 22 settimane. Tramite l'esame del sangue invece è stato possibile, prevedere la insorgenza dell'infezione appena 6 settimane dopo il contatto con i vettori della BSE. E’ chiaro che — ipotizzando di trattare allo stesso modo l'uomo - è possibile auspicare grandi risultati medici, tali da poter salvaguardare molte vite umane, «Senza dubbio la proteomica è un settore medico in espansione - dice Alberio Bosi, ordinario di malattie del sangue dell’Università di Firenze - anche nei nostri laboratori lavoriamo sfruttando i principi della nuova tecnica. Con essa vediamo tradotte, in una forma facilmente leggibile, le alterazioni del Dna, osserviamo indirettamente il genoma e facciamo luce sui misteri di molte patologie. In ogni caso la proposta americana va presa cori cautela. Nessuno ancora può provare l'efficacia di un esame del sangue di questo tipo per cio’ che riguarda molte malattie. Gli satunitensi riportano l’esempio del morbo della mucca pazza, dove c'è coinvolto un virus; ma non è detto che si possa giungere agli stessi risultati operando su altre malattie, dove magari i virus non sono presenti. Oltretutto va osservato che certe forme tumorali, con relativi danneggiamenti dei Dna, insorgono all’improvviso, senza dar modo ad alcun esame di prevedere, alcunché. Infine tiri accenno alle tante persone ansiose per le quali una proposta di questo tipo potrebbe essere controproducente. in questo caso si verrebbe a creare una sorta di circolo vizioso tale per cui l'esame anziché rassicurare finirebbe per aggiungere ansia allarmista». Il team di Hood sta ora lavorando anche con altre malattie incluse il tumore alla prostata, il tumore alle ovaie e un tipo di tumore cerebrale, Da qui, dunque, la speranza è quella di giungere entro breve a sviluppare un singolo test ematico in grado di segnalare l'insorgenza di malattie in 50 differenti organi o tessuti del corpo. Intanto, anche all'ospedale harrimersinith di Londra proseguono studi in questo senso. In particolare c'è Dan Agranoff che sta usando le impronte prolcomiche per diagnosticare. in anticipo malattie polmonari e per salvaguardare pazienti cori il sistema, immunitario debole, o individui che hanno subito trapianti. «Senza dubbio si tratta di una tecnica potenzialmente molto valida, tale da offrirci la seria opportunità di diagnosticare le malattie in anticipo - ha ammesso Agranoff - tuttavia va considerato miche l'aspetto etico: come ci comporteremmo cori tiri paziente al quale abbiamo previsto una grave malattia di cui però non esiste cura?». _____________________________________________________________ Libero 20 nov. ’07 CHI ALTERA LA CONSUETA GRAFIA DELLE VOCALI A, E, O PUO NASCONDERE PREOCCUPANTI DISTURBI CARDIACI i risultati di ricerche inglesi MARIO GALVANI Ricerca inglese dimostra che un’analisi attenta della scrittura è in grado di predire lo sviluppo di malattie cardiovascolari è stata condotta presso il Poole Hospital, in Inghilterra, ed è stata presentata nel corso del recente congresso dell'International Graplionomics Society tenutosi a Melbourne. Un'esperta del problema, Christina Strang, ha coinvolto 100 persone, 61 delle quali ricoverate nel nosocomio, e 41 sane dal punto di vista cardio-vascolare. Non è E prima volta che la, scienziata si occupa di questi, temi. Recentemente ha rivelato delle analogie tra tipologie grafologiche e malattie neurodegenerative come il morbo di Alzaimer e il morbo di Parkinson. Dei partecipanti al test ha considerato molti aspetti grafologici ha cui le interruzioni di scrittura, il disegno anomalo di certe lettere e i cosiddetti «resting dots", puntini marcati che, talvolta, vengono elaborati alla. fine delle lettere. La studiosa ha così rilevato che nelle persone malate di cuore c'è quasi sempre una percentuale decisamente più alta di "resting dots" rispetto a quanto accade nella donna. Ciò è vero in particolar modo per quanto riguarda le vocali a, e, o questo punto lo scopo della scienziata è diventato quello di divulgare al più presto i suoi studi su una rivista scientifica, cosa che secondo molti ricercatori è alquanto improbabile. «Sono fortemente dubbioso in tal senso» commenta il neuropsichiatra Penninder Saclidey della New Souni Wales University, dopo aver letto il lavoro di Strang. Sachdey sostiene che i cosiddetti "resting dots" possono essere semplicemente la conseguenza di stanchezza, nulla a che vedere con il buon funzionamento delle coronarie. A fargli eco c'è Karen Stollinow dell'Australian Skepticst il quale afferma che Strang non fa altro che proporre l'arcinota pseudoscienza grafologica. «Non siamo tanto distanti dalla chiromanzia -- ha detto lo studiamo , Ritengo che non ci siano evidenze scientifiche tali da correlare le malattie cardiache allo stile della scrittura». In Italia è invece Maurizio Carucci, dell'ospedale Fate bene fratelli e Oftalmologico di Milano, a prendere le distanze dallo studio condotto in Inghilterra: «,Sono molto scettico - dice -. Per malattie come il Parkison probabilmente la grafologia può avere un significato (tutti sanno riconoscere una scrittura tremolante), ma per le malattie del cuore penso sia azzardato avallare una simile ipotesi». In ogni caso la Strang ha fatto sapere che andrà avanti per la sua strada, spalleggiata dal dottor Andreiv McLeod del Poole Hospital, il quale, all'inizio dei test, si era detto scettico, ma ora sembra anche lui convinto delle teorie della ricercatrice. Dunque, in questi giorni partirà un nuovo test su larga scala per approfondire l'argomento. Strang è del parere che da questi studi si potrà giungere a una nuova tecnica diagnostica, sicuramente meno invasiva delle tecniche attuali in dote alla medicina ufficiale. Infine vale la pena citare una ricerca australiana che in qualche modo dà adito alle conclusioni della Strang. Esperti della Monash University hanno infatti studiato l'impatto dell'alcol sulla scrittura, verificando che, chi beve oltremisura, ha uno stile di scrittura pecullare, decisamente "più ampio" rispetto alla normalità. I risultati della ricerca della Strang presentano dunque aspetti che possono trovare verifiche anche oltre le specifiche caratteristiche della tematica originaria. _____________________________________________________________ MF 20 nov. ’07 UNA MAGLIA SALVA ARTERIE Uno studio su oltre 18 mila pazienti prova l'efficacia degli stent a rilascio di farmaci di Giovanni Domina Progressi definiti-vi nella cardiologia interventista grazie all'uso delle nuove tecnologie in combinazione con i farmaci. A questa conclusione sono arrivate due delle più autorevoli riviste scientifiche internazionali, the Lancet e the Journal of ameican college of cardilogy (Tccc) che, negli ultimi due mesi, hanno pubblicato i risultati dei più ampi studi mondiali relativi all'efficacia delle diverse soluzioni per le lesioni delle arterie coronariche, eventi cardiovascolari tra i più diffusi in tutto il mondo occidentale. Gli stent a rilascio di farmaco risultano più efficaci rispetto ai tradizionali stent metallici nudi in base a 84 report di 41 studi, per un totale di 18.023 pazienti operati e seguiti nel corso dei 4 anni successivi all'intervento. Sono stati dimostrati i vantaggi ottenibili dall'utilizzo degli stent a rilascio di farmaco in termini di sopravvivenza, riduzione della mortalità complessiva e di quella per patologia cardiaca, sopravvenienza di infarto miocardico e necessità di intervenire nuovamente sul paziente. I risultati indicano anche un'incidenza di necessità di reintervento inferiore di un terzo rispetto ai pazienti operati con stent tradizionali, mentre i dati sulla mortalità sono risultati sovrapponibili. i Il lavoro pubblicato sul Jacc, invece, compara l'efficacia e la sicurezza degli unici due stent a rilascio di farmaco approvati dalla Food and Drug administration per la cura dei pazienti con patologia coronariche: quello a rilascio della molecola sirolimus e quel lo a rilascio di paclitaxel. In questo caso sono stati analizzati 16 studi che hanno coinvolto oltre 5.500 pazienti, con un follow up che va dai 9 ai 37 mesi. I risultati sui pazienti a cui sono stati impiantati stent a rilascio di sirolimus hanno mostrato una significativa riduzione del rischio di reintervento, di trombosi (da stent) e di infarto miocardico rispetto a quelli a cui hanno impiantato stent a rilascio di paclitaxel. «Si tratta di una revisione dettagliata degli studi più importanti degli ultimi anni», ha commentato il professor Carlo Di Mario, professor in cardiology national heart and Lung institute all7mperial college di Londra, «che offre un'indicazione chiara sull'efficacia degli stent a rilascio di farmaco, soprattutto verso alcuni obiettivi terapeutici, come la riduzione della necessità di reintervento». Gli stent a rilascio di farmaco sono utilizzati per il trattamento di pazienti con lesioni delle arterie coronariche. Si tratta di strutture metalliche cilindriche a ma glie, introdotte all'interno dell'arteria e fatte espandere a livello dell'ostruzione fino a che il diametro è pari a quello originario del vaso. In questo modo si riduce il restringimento dell'arteria, sia in fase acuta che a lungo termine. La cardiopatia ischemica rappresenta la principale causa di morte per malattia nella popolazione adulta dei paesi occidentali; ogni anno vengono effettuate 260 mila coronografie diagnostiche e più di 124 mila angioplastiche che, oltre nell'80% dei casi, prevedono l'utilizzo di stent. Gli impianti di stent a rilascio di farmaco rappresentano circa il 55% (dunque oltre 100 mila) degli in terventi realizzati con questi dispositivi metallici. La percentuale ha visto un incremento di 6 punti rispetto al 2005 e quest'anno gli impianti di Des hanno superato, per la prima volta, quelli tradizionali. Il prezzo «reale» di uno stent medicato, calcolato come media di prezzi del 2004 derivanti da 30 ospedali italiani, è di 1.700 euro (minimo 1.420, massimo 2.059); il costo complessivo di una procedura con uso di Des è di circa 6.200 euro. Tale costo è, però, facilmente abbattibile dal Ssn: con l’operazione si risparmiano una serie di costi, altrimenti necessari, per ospedalizzazioni e per il trattamento dei pazienti recidivi. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 nov. ’07 LA MIA SCOPERTA (PER CASO) DEL VIRUS DELL’EPATITE B Epatologia Intervista al premio Nobel Baruch Blumberg Bilancio e prospettive nella lotta alla malattia BOSTON - Professor Blumberg a quarant'anni dalla scoperta del virus dell’epatite B; che le frutto Nobel per la medicina e malgrado la disponibilità di un vaccino l'epatite B è ancora una minaccia. Abbiamo sbagliato qualcosa? «Si, stiamo sbagliando. Il vaccino, paradossalmente, ha prodotto a livello psicologico effetti negativi perché l'attenzione è calata. La gente ha pensato che l’epatite B fosse un problema superato. Questo atteggiamento è presente, purtroppo, anche nella classe medica. Gli sforzi si sono concentrati sull'epatite C, come se fosse l'unico nemico del fegato. Invece non è così. Bisogna avere ancora timore dell'infezione; sarebbe un errore dimenticarla». Baruch Sarnuel Blumberg ha ottantadue anni e la semplicità di uno studente alle prime armi. Anche quando era una celebrità, non ha incarnato la figura dello scienziato altezzoso, tipica di molti colleghi (che magari hanno minori meriti). Era un globe trotter: setacciava i continenti australi per raccogliere campioni di sangue di tribù che abitavano in villaggi sperduti in mezzo alla foresta pluviale. Ed eccolo a Boston, al 58'meeting internazionale dell'associazione americana per lo studio delle malattie del fegato, il pensionato del Fox Chase Cancer Center di Filadelfia. Firma sorridente il libro dove racconta come ha scovato quello che oggi costituisce la prima causa di tumore epatico, The huntfor a killer virus, La caccia di un virus killer (edizione Princeton Paperbacks). La sua esperienza dimostra che una grande scoperta può avvenire per caso e non come conseguenza di un progetto specifico. Su questo i suoi detrattori hanno insistito quando nel 1976 le fu assegnato il Nobel. Semplice invidia? «Non posso negare che è successo così. Io e i colleghi non cercavamo questo virus. Studiavamo impronte genetiche nel sangue della popolazioni. Ci domandavamo se caratteristiche ereditarie potessero rendere certi gruppi di individui più o meno suscettibili ad una stessa malattia. Abbiamo girato il mondo per raccogliere campioni di sangue». Quali tecniche avete utilizzato visto che il Dna non era ancora stato decifrato? «Ci siamo concentrati sull'osservazione dei pazienti emofilici, esposti a proteine di sieri ereditati dai donatori di sangue, costretti dunque a produrre anticorpi contro le proteine estranee. In pratica i loro anticorpi ci sono serviti per testare i campioni di sangue raccolti in tutto il mondo. Abbiamo così identificato un incrocio inusuale tra l'anticorpo di un emofilico di New York e l'antigene di un aborigeno australiano. L'antigene è stato chiamato Australia. Ulteriori ricerche hanno confermato che l'antigene Australia era la causa dell'epatite B. Ecco come scoprimmo il virus, era il 1967. Serendipity? Si, ma frutto di fantasia e curiosità». Quarant'anni di lotta all'epatite B. Bilancio e prospettive. «Potremo trasformarla in malattia curabile con successo anche quando assume le caratteristiche della cronicità, cosa che avviene in circa il 3 per cento della popolazione infettata. Oggi sono disponibili nuove terapie antiretrovirali capaci di ovviare al problema della resistenza».. Alle terapie tradizionali (interferone, lamivudina e adenofir) si è aggiunta una molecola, l'entecavir che inibisce la riproduzione virale e riduce la farmacoresistenza. Che cosa ne pensa? «A Boston c'è stato consenso su queste nuove terapie. Il timore che si creino resistenze ritarda l'impiego dei trattamenti, ma se questo problema si riduce, ecco che si può avviare la cura prima che il danno epatico diventi irreversibile. Un'arma in più; non dimentichiamo che l'epatite B è la prima causa di tumore al fegato». MaMheRa de Bac _____________________________________________________________ Libero 18 nov. ’07 VENTI BIMBI SU CENTO USANO PSICOFARMACI Si abbassa la soglia di infelicità nei minori. In Sicilia, Lombardia e Lazio il maggior numero di prescrizioni 9~ : La regione italiana in cui si prescrivono più psicofarmaci? La Lombardia, seguita dalla Campania, dalla Sicilia, dal Lazio e la Puglia. Addio luogo comune che dipinge il centro-sud come il posto in cui la gente è più sorridente e felice... E - altro dato inquietante - anche bambini e ragazzi vengono ormai curati con gli antidepressivi o affini. La soglia dell'infelicità, della malattia, del disagio si abbassa? Fatto sta che, sempre secondo dati forniti da "Giù le mani dai bambini" - comitato per la farmacosorveglianza pediatrica che riunisce 170 enti tra università, ordini dei medici e associazioni sociosanitarie - ancora in Lombardia ci sono 19 centri per la somministrazione di psicofarmaci a minori, in Veneto ce ne sono 13, in Sicilia 7 e nel Lazio 6. Cosa c'è dietro questi dati? Bambini agitati, troppo attivi, pronti al pianto oppure chiusi in se stessi, che a scuola vanno male, sono troppo distratti - si lamentano maestri e professori - comunque impossibili da controllare, da tenere a bada, da sopportare. I genitori impazziscono, non sanno a che santo votarsi, oppure, più semplicemente, non hanno tempo, forza, voglia di occuparsi di loro con un'attenzione centuplicata. E allora? Una pillolina e il bimbo s'acquieta, diventa tranquillo, persino sorridente. Niente paura, quella pillolina la prescrive il medico, dunque è tutto regolare. Problema globale, internazionale. Del resto, si è scoperto che oggi i bambini e i ragazzi sono esposti ai pericoli di una nuova malattia, per cui è stata coniata una sigla ad hoc: l'ADHD, Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione. E per curarla si ricorre agli psicofarmaci. Da noi è nata "l’Associazione Italiana Famiglie ADHD" che si occupa appunto del problema e sostiene che la somministrazione di psicofarmaci a bambini sotto controllo medico sia il modo migliore per curarli e guarirli dalla sindrome. Pareri e dati sono molto contrastanti. Nel maggio 2006 il quotidiano Usa Today ha rivelato che la Food and Drug Administration americana (o FDA) sarebbe in possesso della documentazione relativa a 45 decessi infantili provocati dai nuovi farmaci antipsicotici. Gli esperti sostengono che il numero delle vittime potrebbe aggirarsi attorno a 450, poiché gli effetti collaterali nocivi riferiti alla FDA sono solo l'1-10% del totale. Risulta piuttosto preoccupante il fatto che le prescrizioni per farmaci antipsicotici a soggetti di età compresa tra i 2 e i 18 anni è passata da meno di 500.000 nel 1995 a circa 2,5 milioni nel 2002: ciò rappresenta un aumento del 400%. Parallelamente, le vendite di questi stessi farmaci sono aumentate del 1500%, passando da 500 milioni di dollari nel 1991 a oltre 8 miliardi di dollari nel 2003. E in Italia? Secondo dati diffusi dalla Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile, la percentuale di minori italiani che soffrirebbero di iperattività e deficit di attenzione va dal 4% al 20%. Sono 11 le molecole antidepressive in uso in età pediatrica la cui somministrazione è stata interdetta in quanto provocavano idee suicide nei bambini, come specificato dall'EMEA, l'Agenzia Europea per il Farmaco, il 21 aprile 2005. Mentre sarebbero da 30.000 a 60.000 i bambini italiani che ogni giorno assumono psicofarmaci. Dati che mettono in allarme e che hanno spinto "Giù le mani dai bambini" a promuovere un'ennesima iniziativa, un convegno sul tema: "Bambini diversamente vivaci: patologia o risorsa?", che si svolgerà a Roma, in Campidoglio martedì 20 novembre. Si parlerà dello scenario internazionale e la situazione italiana sulla questione dell'uso degli psicofarmaci nei minori; quale sia la posizione degli organismi sanitari di controllo e delle istituzioni; l'opinione della comunità scientifica, con i pro e i contro; se esistano e quali siano le soluzioni alternative allo psico farmaco e il ruolo (o meglio il business) delle multinazionali farmaceutiche. Con interventi di esperti italiani ed esteri. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 nov. ’07 TUMORE AL SENO VIA SENZA BISTURI Il macchinario é simile à una tac. Veronesi: in futuro sempre meno operazioni chirurgiche La sperimentazione è in corso allo Ieo di Umberto Veronesi e potrà anche perfezionare l'apparecchiatura studiata e utilizzata in Cina MILANO - L'ultrasuono diventa bisturi. Lo stesso dell'ecografia, ma a una frequenza diversa: capace di sviluppare calore nel punto focale in cui viene concentrato. Una novità tecnologica che potrebbe coronare il sogno di Umberto Veronesi. Lui, chirurgo oncologo, che da sempre vorrebbe operare i tumori senza tagliare e lasciare cicatrici. Non è, quindi, un caso se la prima sperimentazione occidentale degli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (Hifu) è appena iniziata all'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano. Per operare alcuni tumori del seno e anche per migliorare, dal punto di vista tecnologico, l'apparecchiatura nata in Cina e già utilizzata su 2o mila pazienti in una trentina di centri dell'Estremo Oriente. «Eliminare il tumore senza bisturi», ripete Veronesi che si trova in piena sintonia con l'obiettivo dei cinesi che hanno sviluppato Hifu e lo hanno donato allo Ieo, primo centro di sviluppo e sperimentazione clinica in Occidente. A utilizzarlo saranno Franco Orsi, direttore dell'Unità di radiologia interventistica, e Paolo Arnone, assistente della Divisione di senologia. Arnone è stato anche in Cina per fare pratica e verificare l'efficacia del «bisturi ultrasonico». Il principio su cui si basa la metodica Hifu è quello di produrre onde acustiche, proprio come quelle sonore, ad altissima frequenza (gli ultrasuoni) e convogliarle in un'area precisa, in modo che quando raggiungono esattamente il bersaglio (punto focale) si trasformano «naturalmente» in calore. Un calore tale da uccidere le cellule tumorali bersaglio. Si tratta di un macchinario molto simile ad una Tac: un lettino, su cui si fa sdraiare il malato, con al centro una piccola vasca con acqua purificata, mezzo di diffusione degli ultrasuoni. Questi sono emessi da un dispositivo chiamato trasduttore, situato al fondo della vasca. Poi, come per un'ecografia, si propagano attraverso la pelle e gli altri tessuti fino a raggiungere in modo estremamente preciso il bersaglio da trattare, vale a dire la zona malata. Solo li, solo in quel punto e in quel momento, si trasformano in calore, in energia termica, ché distrugge le cellule del tumore. Tecnicamente si chiama termoablazione. Il segreto è nella precisione della mira e della messa a fuoco. Il bersaglio viene identificato, prima del trattamento, con un centraggio ecografico: sempre ultrasuoni ma, questa volta, non ad alta intensità. Lo Ieo dovrà anche, con le competenze occidentali, migliorare il sistema di mira per arrivare a colpire tumori più profondi o situati in zone meno raggiungibili. «Hifu ci dà per la prima volta la possibilità di trattare una lesione tumorale senza nessun danno biologico, senza l'inserimento di aghi e cateteri o la necessità di tagli chirurgici - spiega Franco Orsi -. Il principio in sé era già noto: gli ultrasuoni focalizzati sono da tempo utilizzati per eliminare tumori di superficie in ginecologia, in otorinolaringoiatria e, ultimamente, nella prostata. La novità è nella possibilità di operare organi situati all'interno del corpo come la mammella, il fegato, i reni, il pancreas. E di operare qualsiasi massa o nodulo visualizzabile con l'ecografia. Non abbiamo dubbi sulla validità della tecnica: si tratta solo di definirne le indicazioni per poter trattare più tumori é meglio». «Dopo un periodo di messa a punto delle apparecchiature mediante test in vitro, proprio in questi giorni abbiamo trattato i primi casi di tumore al seno - dice Arnone -. I risultati, sebbene molto iniziali, ci inducono ad un concreto ottimismo». Veronesi è ottimista e immagina un «trattamento chirurgico del tumore della mammella ancora più conservativo di quanto già non lo sia oggi». E spiega: «Hifu è perfettamente in linea con la strategia dello Ieo del "minimo efficace", vale dire della massima efficacia e della minima tossicità per la persona malata. Già oggi Hifu può essere utilizzato in alternativa alle altre tecniche mini-invasive e anche alla chirurgia nei casi in cui il costo clinico sia troppo alto per il malato, cioè quando l'intervento chirurgico ha effetti collaterali troppo pesanti rispetto ai benefici che può comportare. In futuro, se opportunamente perfezionata, Hifu ha tutte le caratteristiche per sostituire, gradualmente e ove possibile, il bisturi del chirurgo». Come mai i cinesi hanno scelto lo Ieo per migliorare Hifu? Veronesi risponde: «È un grande riconoscimento della nostra capacità di credere e investire nell'innovazione tecnologica in medicina e del nostro ruolo di-riferimento scientifico, culturale e formativo, non solo per l'Europa». Mario Pappagallo _____________________________________________________________ TST 21 nov. ’07 NEUROSCIENZE: SEMPRE PIÙ CONFUSI E ALLUCINATI Si moltiplicano le ricerche sulle alterazioni della, coscienza, sia, indotte sia provocate da malattie. Il complesso rapporto tra il cervello e il sé è essenziale per decifrare i lati oscuri e criminali della personalità MONACO UNIVERSITA DEL PIEMONTE ORIENTALE - NOVARA La cronaca nera riporta continuamente in primo piano uno dei problemi più spinosi della neurobiologia: quale rapporto esiste tra attività cerebrale e coscienza? Chi ha sgozzato Meredith Kercher a Perugia era cosciente del gesto che stava compiendo? La responsabilità (e quindi l'imputabilità) dell'individuo cambia, a volte in modo drammatico, a seconda del suo grado di consapevolezza mentre uccide e, non a caso, le neuroscienze stanno ora prepotentemente riconducendo il problema della responsabilità individuale (in termini filosofici il «libero arbitrio») dall'astrazione della filosofia alla fisiologia del sistema nervoso centrale. Il punto è: in che misura è consapevole delle proprie azioni - e quindi responsabile - chi è sotto l'azione di sostanze (droghe e alcol, ma anche psicofarmaci), che alterano il funzionamento celebrale? E ed è affetto da una patologia dei sistema nervoso centrale tale per cui il funzionamento del cervello è sovrapponibile a quello di chi assume sostanze? Per esempio, un paziente con encefalopatia metabolica (da diabete o malattia renale) che si trova in stato confusionale? 0 un soggetto con epilessia durante una crisi? 0 un anziano affetto da Alzheimer? Si tratta di questioni scottanti, visto anche il numero crescente dei crimini e degli incidenti provocati da chi si trova in uno stato cerebrale a cui non corrisponde la piena consapevolezza delle proprie azioni. (li incidenti stradali provocati da chi guida in stato di ebbrezza (secondo un quadro di eneefalopatia alcolica acuta) sono l'esempio più classico. Il rapporto cervello-esperienza cosciente è al centro del saggio, appena pubblicato dalla Nova Scienee Publishers di New York, «The neuropsychiatry of csciousness» ' che ho curato con Andrea Cavanna (della Clinica Neurologica dell'Università del Piemonte Orientale): riporta i risultati delle ricerche più recenti e stimolanti sulle alterazioni di coscienza nei pazienti affetti da malattie del sistema nervoso. Si affronta il tema del rapporto tra cervello e coscienza attraverso l'analisi delle alterazioni dell'attività cerebrale nei soggetti sani con stato di coscienza alterata fisiologicamente (come nel sonno) o artificialmente (come durante un'anestesia), ma anche nei pazienti in coma e in stati vegetativi persistenti, nei pazienti affetti da epilessia (situazione con black-out transitorio della coscienza), in quelli sofferenti di Alzheimer (con una perdita progressiva della coscienza) e in quelli con disturbi di identità (come i casi alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde). A conferma dell'attualità di Tasti interrogativi c'è il convegno internazionale di Firenze, da domani al 24 novembre, intitolato «La Neuropsichiatria del cervello emotivo»: il tema è proprio il rapporto tra emozioni e attività cerebrale. Per dirla in termini più semplici, quali aree cerebrali mi fanno piangere o ridere o in che zona si «accendono» i neuroni quando mi innamoro? Strumenti come l'elettroencefalografia, la risonanza magnetica funzionale, la stimolazione magnetica transeranica ed altri permettono di identificare con sempre maggior precisione le singole aree cerebrali deputate alle differenti funzioni mentali: alcuni tra i neuroscienziati più influenti si riuniranno per presentare le loro ricerche, a partire dalle patologie che compromettono la funzionalità delle aree cerebrali coinvolte nei processi mentali. Ci sarà, tra gli altri, Steven Laureys, direttore dei «Coma Scienee Group» presso il Cyclotron Research Center, Università di Liegi, Belgio: è uno dei maggiori esperti delle patologie della coscienza e, in particolare, dal suo laboratorio provengono alcuni dei dati più interessanti sull'attività cerebrale dei pazienti che si trovano in stato di coma o in stato vegetativo persistente. Utilizzando le tecniche di risonanza magnetica funzionale, ha dimostrato che l'attività della corteccia associativa fronto parietale è una spia della persistenza di un livello ancorché minimo di coscienza. Ma si parlerà anche dei disturbi emotivi legati alla malattia di Parkinson, allo stroke cerebrale e anche a forme più rare ma di grande interesse, come la sindrome di Gilles de La Tourette, un disturbo caratterizzato da fastidiosi movimenti e tic multipli, di cui si ipotizza fosse affetto Mozart. Una lettura magistrale sarà tenuta da Giacomo Rizzolatti, neurofisiologo dell'Università di Parma, scopritore dei neuroni specchio. Questi, pur essendo deputati al controllo del movimento, rivestono un ruolo fondamentale nei meccanismi di apprendimento e, quindi, in qualche modo interferiscono con le funzioni cognitive dell'individuo. L'argomento è cruciale in un mondo in cui l'imitazione, connessa alla funzione per l'appunto di «specchio» dei neuroni in questione, può essere pericolosamente pedissequa, quindi automatica e incosciente, e per certi versi alienante. Ecco perché è necessario ribadire il ruolo dell'educazione dei meccanismi di controllo cosciente delle proprie azioni. Senza falsi moralismi sarebbe consigliabile che gli individui con il cervello in via di sviluppo (bambini ed adolescenti) o quelli con labilità emotive rappresentano una grossa fetta di umanità) non vedessero certi spettacoli violenti in tv, al cinema o su Internet. Non tutti gli esseri umani posseggono sempre e in uguale misura gli strumenti mentali adeguati per opporsi coscientemente alla spinta imitativa istintuale (cioè non cosciente). Il problema rimanda ovviamente al concetto di etica della responsabilità e, poichè non c'è responsabilità senza coscienza, scoprire dove si trovi nel cervello e come svolga le sue funzioni di controllo su azioni ed emozioni (in inglese, «motions» and «e-motions», due funzioni quindi molto vicine) rappresenta una delle affascinanti sfide scientifiche del terzo millennio. RUOLO: E' PROFESSORE DI NEUROLOGIAALL'UNIVERSITA' DEL PIEMONTE ORIENTALE E DIRETTORE DELLA CLINICA NEUROLOGICA RICERCHE: EPILESSIA E ALTERAZIONI DELLA COSCIENZA ____________________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 nov. ’07 DIABETE SENZA BISTURI Il significato di guarigione Prendo spunto dal servizio pubblicato venerdì sulle "guarigioni" dal diabete a seguito di intervento chirurgico per fare alcune considerazioni derivanti dalla mia ultratrentennale attività di diabetologo. Non mi soffermo sull'efficacia dell'intervento (avete già pubblicato opinioni che mi trovano assolutamente in sintonia), quanto sul concetto di guarigione dal diabete. Il diabete è una malattia che può presentarsi sostanzialmente per due motivi: quando non è sufficiente l'insulina prodotta dall'organismo, o quando non è invece efficace nella sua azione. Nel primo caso, se troviamo il modo di ripristinare un sistema di produzione di insulina (ad esempio con un trapianto di pancreas), riusciamo a guarire quel tipo di diabete. Nel secondo caso, invece le cose sono un po' più complicate perché è in ballo non una misura quantitativa, ma qualitativa. In pratica, l'organismo produce insulina, ma questa funziona male e questo mal funzionamento provoca il manifestarsi del diabete, cioè l'aumento della glicemia. Ma perché l'insulina funziona male? I motivi possono essere molti, ma principalmente elenchiamo il sovrappeso o l'obesità, la sedentarietà, la cattiva ed eccessiva alimentazione; ci riconosciamo in molti in questi difetti, ma perché allora non siamo tutti diabetici? Perché è necessario avere i geni predisponenti, cioè pezzetti del Dna che favoriscono lo sviluppo del diabete. Il diabete tipo 2 è, di fatto, una malattia genetica che si manifesta clinicamente a seguito di situazioni comportamentali particolari. È quindi evidente che se tali situazioni non si verificano, il diabete non si manifesta e se tali situazioni si correggono, il diabete "guarisce". Cioè ritorna allo stato genetico e non di malattia clinica. Per "guarire" il diabete abbiamo tantissime armi, sia modificano lo stile di vita che ha provocato il manifestarsi della malattia, sia eventualmente con l'uso di farmaci specifici. Quindi la "guarigione" clinica (dovuta cioè alla normalizzazione delle glicemie) è da tempo possibile e da tempo la si raggiunge in un numero importante di pazienti diabetici. Non possiamo invece correggere i geni (per ora almeno) e quindi la predisposizione genetica ci accompagnerà tutta la vita, pronta a far riemergere la malattia qualora si riverificassero le condizioni suddette. Adesso qualcuno dovrebbe spiegarmi cosa intendono i chirurgi con il termine "guarigione" a seguito del loro intervento; se è la stessa che ho cercato di spiegare, tutti i diabetologi ed i diabetici possono ottenerla. E di fatto talora o spesso la ottengono, senza rischi ed a costi enormemente inferiori (e con una qualità di vita incomparabilmente migliore). Se si tratta di un altro tipo di "guarigione" che io ignoro, mi piacerebbe saperlo per accrescere la mia cultura. STANISLAO LOSTIA ____________________________________________________________________ Repubblica 22 nov. ’07 MA LA FEDE AIUTA NELLA GUARIGIONE? Molte le ricerche sui poteri della spiritualità sulla salute. Ottimi i risultati contro l'alcolismo di Francesco Cro * La maggioranza dei medici americani è convinta che nel processo di guarigione la religione eserciti un'influenza positiva e, per oltre la metà di essi, l'intervento di un'entità superiore può essere determinante. È il risultato di un sondaggio condotto dai ricercatori dell'Università di Chicago e pubblicato sulla rivista Archives of Internal Medicine. Duemila medici di età inferiore ai 65 anni sono stati intervistati sulle loro convinzioni religiose e sulla loro opinione circa l'influenza, positiva o negativa, della religione sulla salute dei malati. L'intervento divino Se l'85% dei medici interpellati è convinto che la spiritualità eserciti un effetto benefico sulla salute dei pazienti, il 54% ammette la possibilità di un intervento divino e il 6% si spinge fino a sostenere che la religione è in grado di modificare i risultati clinici. In netta minoranza i medici non convinti dell'effetto terapeutico degli aspetti spirituali dell'esistenza: il 7% attribuisce alla religione la capacità di indurre nel paziente emozioni negative, come ansia e senso di colpa, il 4% ritiene che la religiosità possa fornire ai pazienti un alibi per non occuparsi seriamente della propria salute, il 2% teme che alcune convinzioni religiose possano spingere, in alcuni casi i malati a rifiutare le cure. Conta il credo personale Tutti i medici intervistati concordano sul fatto che i pazienti attingano alle loro risorse spirituali per affrontare meglio la malattia; se ciò possa apportare o meno un reale beneficio in termini di guarigione clinica, però, è una questione aperta, e le differenti opinioni in merito riflettono le convinzioni personali dei medici. Questo aspetto del problema è stato approfondito dagli stessi ricercatori dell'Università di Chicago in uno studio, pubblicato su Psychiatric Services, che confrontava le convinzioni religiose di un campione di psichiatri con quelle di altri medici specialisti; agli intervistati veniva inoltre chiesto, dopo avergli illustrato il quadro clinico di un paziente con sintomi psichiatrici, se ritenessero opportuno inviarlo a un sacerdote o ad uno specialista. Non sottovalutare la psiche Gli psichiatri sono risultati meno religiosi degli altri medici, e più inclini a considerarsi "spirituali" ma non "religiosi"; d'altra parte, i medici religiosi non psichiatri sono apparsi più propensi a consigliare a una persona con problemi psicologici un incontro con un sacerdote, piuttosto che con un professionista. La psichiatria e la religione appaiono dunque quasi divise da una tensione dialettica, che può avere importanti ricadute sul tipo di aiuto che viene offerto ai pazienti. Se la mancanza di un corretto trattamento può avere conseguenze gravi, anche sottovalutare le risorse spirituali a disposizione di un individuo può essere un errore. A tale proposito una ricerca del Dipartimento di Psichiatria degli Hôpitaux Universitaires di Ginevra ha sottolineato il ruolo protettivo della religione nei confronti del suicidio, mentre uno studio del Centro di Ricerca sulle Dipendenze dell'Università del Michigan ha evidenziato che, in un gruppo di pazienti in trattamento per dipendenza alcolica, l'aumento delle esperienze spirituali e la sensazione di avere uno scopo nella vita sono positivamente associate con la capacità di mantenersi lontani dall'alcol. Più spiritualità meno alcol Questo effetto positivo della spiritualità è stato utilizzato dagli operatori del Dipartimento di Medicina della Famiglia e della Comunità del Baylor College of Medicine di Houston (Texas), che hanno associato all'usuale programma di trattamento dell'alcolismo un percorso, della durata di sette settimane per potenziare la spiritualità dei partecipanti. Risultato: più attenzione agli aspetti spirituali facilita l'astinenza dall'alcol. Se pregare non serve Ma è possibile "misurare" l'effetto di una pratica spirituale, come ad esempio la preghiera, sulla salute? I ricercatori dell'Hertford College di Oxford (Regno Unito) ci hanno provato, analizzando i risultati di dieci studi clinici che avevano testato l'efficacia terapeutica della preghiera, volta a ottenere benefici in per la salute. Dopo aver esaminato i dati relativi di 7600 persone, gli studiosi inglesi sono giunti a conclusioni contraddittorie: le preghiere hanno mostrato un effetto benefico in pazienti ad elevato rischio di vita e in un campione di donne sottoposte a tecniche di fecondazione assistita; d'altro canto in un gruppo di pazienti chirurgici, si è osservata una maggiore incidenza di complicanze post-operatorie in coloro che erano a conoscenza del fatto di essere oggetto di preghiere, rispetto a chi non riceveva preghiere. *Psichiatra, Serv. Psichiatrico Diagnosi e Cura, Viterbo ____________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’07 LE RIPARAZIONI A COLPI DI «SPALLATE» Onde d' urto per curare ossa, pelle, tendini. Ora puntano al cuore Conferme di efficacia per le onde d' urto, che per la prima volta si sperimentano anche sulle coronarie ostruite Fanno tremare i bicchieri nella credenza dopo un tuono, ma da vent' anni si usano anche per sbriciolare i calcoli renali: sono le onde d' urto, onde acustiche provocate da forti rumori. Il loro prossimo obiettivo è ambizioso, come è emerso dall' VIII Congresso della Società italiana terapia onde d' urto (Sitod): le onde potrebbero infatti rigenerare il cuore dopo un infarto. Per capire come, occorre fare un passo indietro di dieci anni, quando si scoprì che avevano sorprendenti capacità curative sui tessuti. «Le onde d' urto si propagano velocemente nell' acqua corporea arrivando in profondità - spiega la dottoressa Maria Cristina D' Agostino, responsabile del Servizio terapia onde d' urto dell' Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) -. Sulle cellule hanno l' effetto di una micro-doccia idromassaggio che induce la produzione di fattori di crescita e antinfiammatori». Così oggi con le onde d' urto si tratta l' infiammazione di tendini e articolazioni e si rigenera l' osso (ci sono Centri in quasi tutte le Regioni, reperibili sul sito www.sitod.it). Due anni fa altre sorprese: Wolfgang Schaden, del Centro traumi di Vienna, si accorse che le ferite cutanee rimarginavano a tempo record grazie alle onde d' urto. Da allora la rigenerazione della pelle con le onde si sta diffondendo, ma, nel frattempo, i medici si sono spinti oltre e le stanno provando sul cuore, per ricostituire il tessuto cardiaco dopo un infarto. «I dati sugli animali sono incoraggianti - riferisce D' Agostino -. Le onde fanno "crescere" nuovi vasi sanguigni e richiamano cellule staminali che si differenziano e in parte rigenerano il tessuto cardiaco». In Giappone e Germania sono già stati trattati alcuni pazienti e i primi risultati confermano i dati sugli animali: le onde d' urto a bassa energia aumentano l' irrorazione del cuore, riducendo ad esempio l' angina. Precise e poco invasive, possono essere focalizzate su pezzettini di cuore di appena due millimetri quadrati, per intervenire solo dove le coronarie sono quasi o del tutto bloccate. Da maggio 2006, all' Università di Francoforte in Germania, è in corso la prima sperimentazione fatta su 100 pazienti. «L' utilizzo delle onde d' urto per rigenerare il cuore è ancora sperimentale, occorrerà qualche anno perché arrivi in clinica: dobbiamo stabilirne efficacia e sicurezza, ma anche costruire apparecchi più adatti di quelli attuali» conclude D' Agostino. Meli Elena ____________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’07 INFARTI IN AUMENTO PER I FUMI DEI DIESEL Rischi anche dieci giorni dopo i picchi Per saperne di più Forum sul cuore, a cura dell' Istituto di cardiologia del Gemelli di Roma, su www.corriere.it/salute Chi dice Diesel dice risparmio, dice minori consumi, ma dice anche più polveri rispetto ai motori a benzina, e quindi più malattie respiratorie e cardiache innescate dall' inquinamento. La possibilità che oltre a essere pericoloso per bronchi e polmoni lo smog sia in grado di provocare danni al cuore è stata osservata anche in Italia. Il prossimo gennaio la rivista Epidemiology pubblicherà uno studio condotto a Roma da ricercatori italiani che hanno osservato un aumento delle probabilità di infarto nelle zone più inquinate della capitale. Uno studio analogo è stato condotto a Bologna, dove il legame fra picchi di inquinamento e infarti è stato confermato. «Per ogni incremento di 10 microgrammi di PM10 per metro cubo si verifica un aumento dell' 1% dei ricoveri per infarto, aumento che era addirittura del 2% nel caso di recidive», spiega Giuseppe Di Pasquale, presidente della Federazione italiana di cardiologia e direttore della Cardiologia dell' Ospedale Maggiore di Bologna. L' effetto negativo si manifesta soprattutto nei quattro giorni immediatamente successivi a un picco di smog, ma si può protrarre più a lungo, anche per dieci giorni. L' aumento di infarti per cause ambientali potrebbe sembrare a prima vista modesto; tuttavia se si considera che l' esposizione all' inquinamento riguarda l' intera popolazione l' impatto non è da sottovalutare. Non sorprende perciò che i cardiologi di tutto il mondo stiano cercando di chiarire i meccanismi attraverso cui l' inquinamento è in grado di scatenare gli infarti. Quello dei motori diesel, responsabili di una maggior produzione di polveri sottili rispetto a quelli a benzina, sembra chiamare in causa una maggior facilità del sangue a formare trombi. Il dato emerge da uno studio recente, coordinato dall' Università di Edimburgo, in cui due gruppi di volontari sani sono stati chiusi in una sorta di "camera a gas" in cui veniva immessa aria filtrata o aria contenente una concentrazione di scarichi di diesel da "ora di punta". Risultato: dopo 2 e 6 ore dall' esposizione le piastrine presenti nel sangue dei volontari esposti ai gas di scarico risultavano "attivate" e mostravano una maggior tendenza ad aggregarsi. Secondo gli autori della ricerca questo meccanismo sarebbe in grado di spiegare l' aumento di infarti osservato nella popolazione in occasione dei picchi di inquinamento. Ma potrebbero entrare in gioco anche altri meccanismi e lo stesso particolato (il PM10 e il PM 2,5) potrebbe svolgere un ruolo diretto. «Dai polmoni le polveri sottili possono passare nel circolo sanguigno e raggiungere le placche aterosclerotiche di cui favoriscono la rottura - spiega Di Pasquale -. Un altro meccanismo chiama in causa l' infiammazione: le polveri sottili irritano i polmoni, che reagiscono con una risposta infiammatoria che può diventare generalizzata e indurre conseguenze come l' attivazione di fattori della coagulazione, l' incremento della vasocostrizione e l' aumento delle formazione di placche aterosclerotiche. Tutto ciò provoca una maggiore probabilità di formazione di trombi». Ovviamente il particolato peggiora le condizioni di chi è già ammalato di cuore. In una ricerca statunitense, pubblicata su New England Journal of Medicine, a 20 soggetti - tutti colpiti da infarto più di sei mesi prima - è stata fatta respirare aria filtrata, oppure una miscela di aria e di emissioni di un motore diesel, diluite fino a ricreare una condizione simile a quella in cui ci si trova quando si guida nel traffico. Durante l' esposizione ai fumi diesel, il cuore dei volontari andava più facilmente incontro a carenza di ossigeno, mentre il sistema naturale dell' organismo che degrada i coaguli che si possono formare nei vasi risultava inibito. Insomma, chi soffre di cuore si tenga lontano dal traffico, se può. Marchetti Franco ____________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 nov. ’07 GLI ALIMENTI CHE SPIANANO LE RUGHE Il menu anti-age: più frutta, verdura, olio. E meno carboidrati e grassiL' alfabeto della bellezza comprende le vitamine A, B, C, E. Ma non bisogna farsi mancare nemmeno ferro e zinco Stare bene e avere un bell' aspetto è senza dubbio un desiderio comune e l' alimentazione gioca un ruolo molto importante per la salute e la bellezza. Ma se per la salute il legame con il cibo è chiaro dal punto di vista scientifico, per la bellezza non è così. È quindi particolarmente interessante quanto emerge da una ricerca, pubblicata dall' American Journal of Clinical Nutrition, in cui si sono riesaminati i dati di un studio osservazionale condotto negli Usa e si è valutata la relazione fra apporto di nutrienti con la dieta e presenza di rughe, secchezza senile, atrofia della pelle in più di quattromila donne oltre i 50 anni. Dopo aver escluso i fattori che potevano "confondere" l' osservazione, come l' esposizione cronica al sole, si è notato che a più elevati consumi di vitamina C e acido linoleico corrispondeva un migliore aspetto della pelle; mentre un alto apporto di carboidrati e di grassi totali era associato con una più elevata probabilità di precoce invecchiamento cutaneo. «Del resto - commenta Pierfrancesco Morganti, docente di Cosmetologia applicata alla II Università di Napoli - la vitamina C (di cui sono ottime fonti agrumi, kiwi, fragole, pomodori, radicchio verde) svolge diversi ruoli biologici. In particolare, interviene nella sintesi del collagene (essenziale per la salute della pelle) e nei processi rigenerativi cellulari e di guarigione delle ferite. Inoltre, essendo un antiossidante, contribuisce a difenderci dai radicali liberi, sempre più spesso chiamati in causa come responsabili dell' invecchiamento cellulare. Quanto all' acido linoleico è noto da tempo che la sua carenza può portare a dermatiti, ma il suo ruolo non è stato ancora completamente chiarito. Lo si può trovare negli oli di semi, di oliva e nella frutta secca a guscio. Bisogna però ricordare che, poiché è un acido grasso "polinsaturo", va facilmente incontro ad ossidazione; è quindi importante assicurare la presenza nell' organismo di adeguate protezioni antiossidanti (in particolare la vitamina E) ed evitare eccessi». Il possibile ruolo antirughe dei vegetali era già stato suggerito da uno studio del Journal of American College of Nutrition, in cui, dopo aver valutato in 450 anziani di diverse nazionalità la rugosità della pelle in zone esposte al sole ed i consumi alimentari, si era visto che la verdura, l' olio d' oliva e i legumi risultavano gli alimenti più protettivi. Questo potrebbe essere spiegato dall' abbondanza, nei vegetali, di antiossidanti, fra cui il beta carotene, il licopene, le vitamine C ed E, i flavonoidi. «Ai quali - commenta Morganti - aggiungerei la luteina, un carotenoide che a, differenza degli altri, contiene ossigeno e che si può trovare in cavoli, spinaci, cime di rapa, lattuga, zucchine. Che la luteina protegga la pelle lo evidenzia anche anche uno studio, appena pubblicato da Skin Pharmacology and Phisiology, di cui sono stato coordinatore: si è osservato che la luteina può avere un' azione foto-protettiva e contrastare quindi l' azione ossidante della luce, in particolare quella blu della luce solare che proviene però anche dagli schermi dei computer e dalle lampade». Peraltro, grazie a uno studio pubblicato sulla versione on line di Pnas, il giornale dell' Accademia scientifica Usa, si è visto che un uso topico, cioè locale, di estratto di broccoli, che appartengono alla stessa famiglia di cavoli e cime di rapa, lenisce gli arrossamenti da sole. Insomma, da oggi abbiamo un motivo in più per dare spazio nella nostra alimentazione a frutta e verdura, olio extravergine d' oliva, legumi. Ma le sostanze preziose per la pelle sono molte (in tabella le più significative) e non si trovano solo in questi alimenti. Anche per la bellezza, quindi, la soluzione migliore resta una dieta varia e bilanciata. Favaro Carla