RETTORI: CON IL TIMER MANDATO DI 6 ANNI, NON RINNOVABILE - LA RIFORMA DEBOLE E CONFUSA DEL MINISTRO MUSSI - RICERCA E SVILUPPO L'ANOMALIA ITALIANA - RICONOSCERE IL MERITO PER COMBATTERE LE CASTE - SOLO IN ITALIA NON VINCE IL MERITO - TRA CASTE BANDE E MINISTRI - GAVAZZI: LA RETE DEGLI ATENEI RESTA ESSENZIALE - CONCORSI: SI DEL CONSIGLIO DI STATO - L'ODISSEA DEI RICERCATORI AL CONCORSO PER IL CNR: GIUDICATI IN 11 SECONDI - LE NOMINE INUTILI E ARROGANTI AGLI ISTITUTI DI SCIENZA E SANITA - NEGLI ATENEI RISCHIO COSTI PER IL PERSONALE - SOLO L’1,1% DEL PIL DESTINATO ALLA RICERCA - EVOLUZIONE CONTRO EDUCAZIONE - LE NOZZE DI SCIENZA E LIBERTÀ: LA FEDE CONTRO LA RICERCA - CAGLIARI: IL CORSO DI FISICA TRA MIGLIORI IN EUROPA - BORSE DI STUDIO NEGATE A BIOLOGI FARMACISTI E CHIMICI - IL RETTORE SI ARRENDE, NUOVO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE - RICERCATORI UNDER 40 AI PIÙ BRAVI UNA DOTE (mezzo milione di euro) - L’OCSE: STUDENTI ITALIANI BOCCIATI IN SCIENZE - I BECCHINI DEL NUCLEARE - ZICHICI: TUTTE LE VOLTE CHE SI SCIOLSE IL POLO NORD - SE L'ENI DÀ IL 2,5 % ALL'UNIVERSITÀ RICOMINCIO DACCAPO - L'EDITOR SI SPECIALIZZA SULWEB - ======================================================= CANCELLARE I MEDICI NAZISTI DALLA MEDICINA - MEDICINA: TEST TRUCCATI - MEDICINA, TEST SBAGLIATI - NON SOLO TERAPIA: GLI OSPEDALI CURANO CON L'UMANITÀ - DIRINDIN: LE RAGIONI DEL MANCATO ACCORDO CON I MEDICI DI FAMIGLIA - MEDICI: LA DIRINDIN VUOLE IMPORCI INACCETTABILI ACCORDI CAPESTRO - CAGLIARI: LA WIKIPEDIA DELL'ECOGRAFIA - TROPPE TAC NEGLI USA: CRESCE IL RISCHIO CANCRO - DELLA SANITÀ SARDA AI TEMPI DI SORU - GLI OSPEDALI PRIVATI CHIEDONO LA PARITÀ - SANITÀ: SARDEGNA LA PIÙ VIRTUOSA DEL MEZZOGIORNO - BASTA BISTURI PER IL CANCRO AL SENO - SE IL MALATO È UN ROBOT - DIABETE, BISTURI SOTTO ACCUSA - SULLE STAMINALI DIETROFRONT IN TUTTO IL MONDO - DIMMI DI CHE GRASSI SEI... - L'ASSISTENTE VIRTUALE DÀ UNA MANO IN CORSIA - QUEL MESSAGGINO CHE ALLERTA IL CARDIOLOGO - AIDS, È NUOVAMENTE EMERGENZA-GAY - IL 60% DEI GINECOLOGI È OBIETTORE ABORTIRE DIVENTA PIÙ DRAMMATICO - PACEMAKER SENZA FILI E DEFIBRILLATORI SOTTOPELLE - POLICLINICO: IL MEDICO TI VISITA MA È FUORILEGGE - ======================================================= ___________________________________________________ ItaliaOggi 6 DIc. ‘07 RETTORI: CON IL TIMER MANDATO DI 6 ANNI, NON RINNOVABILE C'è la proposta di Mussi sulla governance, negli at,enei DI BENEDETTA P. PACELLI Un mandato di sei anni non più rinnovabile per i rettori universitari, un taglio ai consigli di amministrazione e poi compiti chiari e distinti per tutti, senato accademico compreso. Sono solo alcune delle novità contenute in un disegno di legge sulla governance universitaria che il ministro dell'università Fabio Mussi sta mettendo a punto e che, prima della pausa natalizia, sarà presentato nella competente commissione istruzione al Senato. Una proposta annunciata dal numero uno di viale Kennedy sin dall'inizio del suo mandato alla guida dell'università che punta, soprattutto, a semplificare la macchina universitaria, dando un taglio a tutta quella selva di dipartimenti, di facoltà, di consigli di laurea che talvolta paralizzano il sistema. Il testo su cui c'è ancora-molto silenzio, dal ministero infatti non si vuole far trapelare molto, potrebbe cambiare di molto la vita delle università. A cominciare dai mandati per i rettori che come aveva già annunciato il ministro all'inizio di questo anno accademico, sarà unico. In sostanza un magnifico non potrà rimanere in carica per più di un mandato e questo non potrà durare per più di sei anni. In teoria, anche oggi, l'incarico è a tempo e può durare non più di quattro o cinque anni a seconda delle università. Ma è rinnovabile, modificando lo statuto interno del singolo ateneo, per una sola volta. Sono stati però moltissimi i rettori che negli anni lo hanno cambiato prolungando il periodo di permanenza nelle università anche fino a vent'anni. Un'altra novità prevista dal testo che il ministro sta mettendo a punto è la semplificazione tra le facoltà che organizzano la formazione e la didattica e i dipartimenti dove si svolgono le attività di ricerca e i consigli del corso di laurea. Tra le novità si annuncia anche un taglio ai consigli di amministrazione che oggi risultano composti anche da 30 membri. In futuro non potranno esserne previsti più di sei tra docenti, studenti o personale . di servizio. Ma le novità non finiscono qui. Perché saranno inoltre ben distinti i compiti tra gli stessi consigli di amministrazione che dovrà occuparsi essenzialmente di budget e di problemi legati alla gestione e il senato accademico che invece manterrà le competenze sull'Attività di didattica e di formazione. Dovranno, poi, essere esterni anche i membri che fanno parte dei nuclei di valutazione che ogni singola università ha nel suo organico e che avranno un ruolo di certificazione __________________________________________________________ Il Giornale 5 dic. ’07 LA RIFORMA DEBOLE E CONFUSA DEL MINISTRO MUSSI PIETRO SERRA Le giuridicamente fragili procedure adottate dal ministro Fabio Mussi per la nomina del presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, confermano la ben nota debolezza della «governance» del sistema scientifico e tecnologico esercitata fino ad ora, dal ministro e,dal governo Prodi. Spieghiamoci meglio. Il Cnr, massimo organo di ricerca del Paese, che comprende oltre cento istituti di ricerca, dopo l'allontanamento «incentivato» del presidente Fabio Pistella, è in attesa della nomina di un nuovo presi dente. Il ministro ha nominato per il caso in oggetto una commissione di 'alta consulenza con l'incarico di identificare una rosa di tre candidati, tra i quali il ministro sceglierà chi proporre al Cdm e al Parlamento. L'iniziativa è apprezzabile poiché sottrae, in parte, la nomina del presidente del maggiore ente di ricerca italiano alla discrezionalità fino ad ora esercitata da parte del potere politico, per una nomina per la quale si richiedono altissime caratteristiche sia scientifiche sia manageriali. Le procedure adottate dal ministro presentano, tuttavia ; elementi di illegittimità che i candidati esclusi potranno far valere nelle sedi opportune, con ulteriore discapito delle istituzioni. È ben vero che la legge 165/2007 ha concesso in proposito al governo una delegale cui norme tuttavia devono ancora essere approvate dal Parlamento, che prevede scelte dei presidenti effettuate in rose di candidati proposte da «appositi comitati di selezione di volta in volta nominati dal governo», ma nessuna legge vigente o «in fieri» prevede il ricorso a una commissione con il potere di scegliere una rosa di tre candidati e quindi anche con la possibilità di esercitare, senza averne titolo, un potere di veto verso determinati candidati. Ed è proprio a questo, si dice maliziosamente, ma non lo vogliamo credere, si tenderebbe. In più, la procedura prevista dalla legge delega prevede che la Commissione proponga una rosa di candidati non specificandone il numero, stabilendo che sia il governo, e cioè il Cdm, a designare i componenti della stessa commissione. Sia chiaro: il ministro può ben nominare una commissione di esperti per scegliere un candidato da proporre al Cdm, ma non può affidare alla stessa commissione compiti di selezione tra i candidati. Ciò - tra l'altro - implicherebbe, a tutela degli stessi concorrenti; una rigorosa, corretta procedura, del tutto analoga a quella di un concorso pubblico. Si aggiunga che la commissione ha formulato peri candidati (comunicato stampa del Mur, 22.10.2007) requisiti diversi da quelli previsti dalla vigente legge 204/1998, art. 6, tra cui la necessità di conoscere la lingua italiana (sic). Ma non siamo parte della Comunità europea? E il Cnr non opera in un contesto internazionale? Si tralasciano ulteriori commenti sulla richiesta, che sfiora il ridicolo> da parte della commissione, di un colloquio con i candidati - si noti - a una delle più alte cariche dello Stato italiano e il cui curriculum e caratteristiche professionali dovrebbero essere ben note a ogni esperto in materia. Ci manca solo la prova a quiz! __________________________________________________________ L’Unità 3 dic. ’07 RICERCA E SVILUPPO L'ANOMALIA ITALIANA A FORLI II convegno sulla comunicazione della scienza di Cristiana Pulcinelli Il mondo si trova ad una svolta epocale per quello che riguarda la scienza. Gli investi menti per la ricerca non sono mai stati così alti: nel 2007 hanno superato i 1.100 miliardi dl dollari. Il che vuol dire che i1 mondo investe in ricerca e sviluppo il 2,1% della ricchezza che produce. È un processo che riguarda tutti, ma alcuni paesi più di altri. Ad esempio, l'Europa, che per 400 anni è stata il cuore della scienza, oggi investe meno della media del mondo: l’1,91%. Mentre l'Asia si situa al primo posto. La Corea del sud, ad esempio, che ha un Pil più basso del 40% rispetto al nostro, investe in termini assoluti quanto l'Italia e la Spagna messe insieme. In questo quadro di luci e ombre, ma che prospetta un futuro in cui la ricerca diventa multipolare, l'Italia sembra non essere toccata da questo vento e andare in una direzione opposta: l'investimento è solo dell'1,1% del Pil. Non investiamo in ricerca e i risultati sono drammatici: cala il reddito pro capite, il numero degli occupati, peggiora la nostra efficienza energetica (e, quindi, inquiniamo anche di più). I dati sono emersi dal convegno sulla comunicazione della scienza, organizzato dal gruppo per l'Innovazione nella comunicazione della scienza (Ics) della Sissa di Trieste e dall'associazione Nuova civiltà delle macchine. Quali sono i mali italiani che ci impediscono di entrare a far parte di questa corrente che investe il resto del mondo? Nel corso del convegno ne sono stati analizzati alcuni. IL primo, ad esempio, è la mancanza di una ricerca privata nel nostro paese: nel mondo si è passati da un tempo in cui per ogni due dollari investiti dal pubblico nella ricerca corrispondeva un dollaro investito dai privati ad un tempo in cui il rapporto si è invertito. Unica eccezione l'Italia, dove gli investimenti privati sono diminuiti. Il secondo è l'imposizione all'organizzazione della scienza dl paradigmi estranei alla scienza stessa, ad esempio la burocratizzazione. E ancora, la mancanza di una discussione tra ricercatori e cittadini: un fenomeno che genera due atteggiamenti opposti, da un lato la paura della scienza, dall'altro la fiducia cieca nei suoi risultati che non possono venir messi in discussone. Inoltre, ci sono mali antichi: ad esempio, una ricerca che non è basata su principi di meritocrazia e che è troppo condizionata dalla politica, o ancora una classe dirigente culturalmente lontana dalla scienza. A tutto ciò sl aggiunga il fatto che ai nostri ricercatori spesso manca quello che gli anglosassoni chiamano «positive attitude and thinking» e che potrebbe essere sintetizzato nell'espressione «credere in quello che si fa», e il quadro si fa fosco. Per fortuna, è emerso dal convegno, nel nostro paese fioriscono anche tante piccole iniziative che cercano di avvicinare la gente alla scienza e che potrebbero avere un ruolo importante nel ribaltare la nostra vocazione al declino. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 dic. ’07 RICONOSCERE IL MERITO PER COMBATTERE LE CASTE TRAI SISTEMI L'incentivazione degli atenei migliori ideata da Blair funziona In Italia vince la spesa a pioggia e l'università uguale per tutti, basata su un falso solidarismo Pubblichiamo un estratto del discorso tenuto ieri da Luca Cordero di Montezemolo all'Università Luiss di Roma. di Luca Cordero di Montezemolo T'n'istruzione e un'università imperniate sul riconoscimento del merito e che diffondano la cultura del merito in tutta la società. Solo così possiamo affrontare il cambiamento richiesto dalle sfide globali e imboccare la strada della modernizzazione permanente. Altrimenti non si sta fermi sulle posizioni conquistate faticosamente: si cade indietro. Solo mettendo al centro il merito potremo vincere quella competizione per le idee ed i talenti che è, e sarà la sfida di questo secolo. Contano e conteranno sempre di più il capitale umano, le persone creative, le idee, l'innovazione e la ricerca. E le persone vanno formate a questa finalità. Blair in Gran Bretagna ha varato una riforma che premiale università migliori con risorse aggiuntive, tolte a quelle peggiori. E il meccanismo funziona: nelle graduatorie mondiali due università europee spezzano il monopolio di quelle americane e sono entrambe inglesi; cinque delle dieci migliori università europee sono britanniche. E da noi? Oggi escono ufficialmente i dati ocse sulla valutazione degli studenti quindicenni e sappiamo già che l'Italia, già molto indietro nella graduatoria internazionale, è ancora peggiorata. Il rapporto Pisa (Programme for International Student Assessment) fa un'impietosa fotografia del livello di preparazione dei nostri studenti. Siamo tra il 33° e il 38° posto, a seconda delle materie, su 57 Paesi analizzati. Risultati mortificanti di per se, ma ancora di più se pensiamo che peggiorano rispetto alle precedenti rilevazioni. Vanno meglio di noi tutti i Paesi del G7 e anche la maggioranza di quelli europei. E non potrà che continuare così finché ogni sforzo di creare valutazione del merito e meccanismi premiali viene regolarmente vanificato. Anche l'ultimo è stato di fatto insabbiato: durante l'estate era stato raggiunto un accordo nel Governo per destinare nel 2008 il 5% del fondo di finanziamento ordinario dell'università agli atenei migliori, ma in Finanziaria è rimasto solo un impegno privo di vere risorse. Nel frattempo l'Agenzia per la valutazione è stata parcheggiata, si sono persi per strada i nuovi meccanismi di reclutamento dei ricercatori e stiamo per assistere alla consueta infornata di raccomandati. Vincono la spesa a pioggia, l'allergia alla meritocrazia, l'università uguale per tutti ispirata a un falso solidarismo che in realtà danneggia i più deboli, perché i più ricchi possono sempre andare a studiare all'estero. In questo modo l'università non sarà mai in grado di essere fonte di progresso economico, sociale e civile. Perché il merito è segno di civiltà oltre che di equità. Premiare chi merita significa riconoscere le persone per quello che valgono, per il loro impegno e non perla loro estrazione sociale. La nostra rimane invece una società incentrata sulle caste, dove la mobilità sociale è bassissima, dove i figli perpetuano il lavoro dei padri, dove c'è poco posto per i giovani nelle posizioni di vertice della politica e delle professioni. Tra le persone di i8-37 anni sei figli di operai su dieci fanno gli operai, una quota che è addirittura in aumento rispetto alle generazioni precedenti; mentre sette figli di professionisti, imprenditori, dirigenti fanno i professionisti, imprenditori, dirigenti. Qualche segnale di mobilità in più c'è nelle regioni del Nord. Ma non nel resto del Paese. Maggiore produttività, più meritocrazia sono vitali per una società competitiva che vuole continuare a crescere. E sono fondamentali perché per i giovani possano esserci prospettive e opportunità reali all'altezza delle loro aspettative e delle loro capacità. Nella mia relazione di maggio all'assemblea dissi che la gente sogna di vivere in un Paese migliore, più prospero, più giusto e più funzionante,proiettato nel futuro, ma ha paura del cambiamento e non sa neanche bene come chiamare questo sogno. Io credo, come dissi allora, che la parola evocativa di questo sogno è «merito», nel senso di premiare chi merita. Attraverso il merito è possibile ristabilire il nesso, oggi perduto, fra ciò che un individuo vale e fa e quello che riceve in cambio. Questa è la via maestra che conduce a una società più giusta. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 dic. ’07 SOLO IN ITALIA NON VINCE IL MERITO Un disincentivo distribuire agli atenei 7 miliardi all'anno senza premiare la qualità di Alessandro Schiesaro N on provate a contattare un professore inglese di questi tempi: le università stanno completando a ritmi forzati i dossier da inviare all'Agenzia per la valutazione della ricerca. Dall'esito del Research assessment exercise (Rae) dipende infatti il loro futuro: la possibilità di crescere come il rischio di una retrocessione sono legati a un rigoroso esame della produzione scientifica degli ultimi anni da parte di studiosi nazionali e stranieri. Dopo due decenni di simili "esercizi" i risultati sono sotto gli occhi di tutti: solo due università europee, entrambe inglesi, spezzano il monopolio Usa tra le prime io al mondo; e sempre inglesi sono cinque tra le prime io in Europa. Il modello inglese rappresenta l'esperimento più riuscito di allocazione premiale dei fondi statali per l'università e la ricerca, e si fonda sulla valutazione del merito a tutti i livelli. Tutti i docenti rendono conto ogni anno della propria attività di ricercatore e di insegnante, e gli amministrativi dell'efficienza del proprio lavoro; gli studenti sono ammessi sulla base di esami e colloqui, e i finanziamenti erogati valutando periodicamente la qualità della ricerca e della docenza. Ma esistono anche altre forme di valutazione, non codificate ma non certo meno efficaci: in un sistema nazionale di ammissione in cui la struttura dei finanziamenti e l'abbondanza di residenze svincolano dalla schiavitù del localismo, ogni anno centinaia di migliaia di studenti inglesi non votano "con i piedi" scegliendo un ateneo piuttosto che un altro, come fanno molti docenti che si spostano in Gran Bretagna per proseguire le proprie ricerche. Un sistema severo, si, ma molto dinamico. Le università non sono state divise a priori in categorie, e anche una sede di provincia può competere con Oxford e Cambridge: ma deve farlo sulla base di una precisa strategia, scegliendo su quali settori puntare e investendo risorse mirate. Sono i dipartimenti, che si occupano insieme di didattica e di ricerca (a nessuno verrebbe in mente di affidare queste competenze a due organi distinti come avviene in Italia)1e unità in competizione; e dipartimenti eccellenti si possono trovare anche in atenei che nel complesso non brillano. L'importante è non cercare di fare tutto e di tutto, pretendere di offrire lauree master e dottorati di ogni tipo in ogni sede, e soprattutto non arrendersi alla logica della spesa inerziale e storica, "a pioggia". Logica che invece, in Italia, fa tutt'uno con un'allergia per il merito radicata e diffusa. Purtroppo finanziare tutti e male aiuta a sbarcare il lunario, non a vincere premi Nobel, o più semplicemente a fare di nuovo dell'università il motore del progresso sociale e individuale. Siamo ben lontani dal conseguire gli obiettivi che l'Agenda di Lisbona vorrebbe farci traguardare entro il 2oio, ma non si avvertono né una reale urgenza nell'affrontare questi problemi, né la disponibilità a mettere da parte abitudini obsolete. L'università "egualitaria e solidale" continua a essere la stella polare di larga parte del corpo docente, per non dire di studenti e politici. Come negare una laurea, anche se svalutata o inutile, magari anche a chi in università ci mette piede solo per gli esami? O una cattedra? O qualche soldo in più per aprire un'altra sede nei dintorni? Non c'è da stupirsi, poi, di fronte all'invocazione periodica di ope legis più o meno audaci; ad aumenti salariali basati solo sull'anzianità; a stipendi "a scavalco" che fanno guadagnare di più a un associato anziano che a un ordinario giovane, anche se quest’ultimo ha dimostrato un livello più elevato di produzione scientifica; a un'estensione illimitata del voto assembleare che annacqua la responsabilità e dà più potere a un gruppetto di mediocri organizzati che a fior di scienziati magari poco inclini all'intrigo; all'età pensionabile più alta del mondo, causa diretta del precariato diffuso per studiosi tra i 3o e i 4o anni, che all'estero vincono cattedre mentre in Italia si deprimono nell'attesa messianica del concorso - quello per diventare ricercatori a mille euro al mese - e intanto portano borse... L'assenza di un progetto di respiro strategico per contenere il declino colpisce ancora di più nel momento in cui ormai tutti i partner europei hanno deciso di affrontare il problema con decisione. La Spagna ha sottoposto le sue università a una valutazione severa, sta investendo risorse ingenti per creare dei veri campioni internazionali, e da tempo lega gli aumenti di stipendio alla valutazione della ricerca; la Germania, dove non si può far carriera nella propria università ma ci si deve guadagnare i galloni sul libero mercato, ha chiesto a ogni ateneo di definire la propria missione e competere per migliorare. Ora anche la Francia progetta di dare alle sue università più ampi spazi di manovra, ma non da ieri dispone di écoles meritocratiche (e non solo quelle) che il mondo le invidia. Se la situazione è deprimente le prospettive non sono incoraggianti. In estate i ministri dell'Economia e dell'Università avevano deciso che nel 2008 il5% del fondo di finanziamento ordinario sarebbe stato distribuito su base premiale, ma in Finanziaria resta solo un impegno vago sprovvisto di cifre; l'Agenzia per la valutazione è ancora nel limbo, dove tiene compagnia alle nuove regole per reclutare i ricercatori, mentre alcune centinaia di posti stanno per essere assegnati con commissioni pilotate ed esiti scontati. Ogni ritardo non fa che aggravare la situazione: continuare a distribuire 7 miliardi all'anno su base quantitativa non è solo un disincentivo a migliorare, ma una ricetta sicura per impedire la crescita culturale, sociale ed economica del Paese. ______________________________________________________ La Repubblica 6 dic. ’07 TRA CASTE BANDE E MINISTRI Casta. Parola tra le più utilizzate in Italia da qualche tempo: sta ad indicare un gruppo ben definito, un sistema di interessi comuni da difendere, una impermeabilità verso ' l'esterno, un insieme di privilegi intoccabili, una categoria di persone chiuse in se stesse. Per gran parte dell'opinione pubblica la casta è quella dei partiti e dei politici. Ma non è l'unica. L'Italia è un Paese di caste. E il mondo medico scientifico ne fa parte. "Salute", il nostro collaboratore, Paolo Cornaglia Ferraris, racconta quasi ogni settimana di situazioni e persone abbarbi cate al loro potere. Spesso si tratta di casi che rimangono confinati tra le mura di un ospedale, di un istituto di ricerca. Ne aggiungo uno, che in queste ultime settimane ha assunto importanza nazionale per la sua particolarità. Alla Facoltà di Medicina dell'Università La Sapienza di Roma è stato eletto preside il professor Luigi Frati. Eletto è un termine inesatto: rieletto. E per la settima volta. Probabilmente quello di Frati non un è record, però la sua presidenza è tra le più longeve nelle Università, visto che dura già da 18 anni. Non vogliamo mettere in dubbio i meriti gestionali del "neopreside", però la richiesta crescente di rinnovamento della classe dirigente, non può riferirsi soltanto al la politica. A meno che si pensi che non sia prestigioso, gratificante, guidare una grande facoltà. A Medicina della Sapienza, nel corso dei tempo, è stato costruito un sistema di potere, di alleanze, di rapporti profondi con il corpo accademico. Non a caso Frati ha ottenuto 900 voti (su 1022 complessivi), a testimonianza di una solida base elettorale. Dunque, se la maggioranza della "casta" di quella facoltà si pronuncia - democraticamente - in favore del "vecchio" preside> c'è ben poco da dire. E da sperare per chi vuole contrapporsi allo strapotere del preside: infatti l'unica coraggiosa sfidante, Giovanna Delogu, ha avuto appena 122 voti. Per evitare sorprese future, le elezioni si sono tenute addirittura un anno prima della scadenza dell'ultimo mandato (cosa che è stata notata perfino dal ministro dell'Università e della Ricerca, Fabio Mussi). Domanda: se il caso romano non è l'unico in Italia (e non lo è) cosa si può e si deve fare per portare una ventata di cambiamento? Il tempo dei "baroni" universitari forse non è ancora finito. C erto è che il desiderio di voltar pagina è molto diffuso. Guardiamo cosa è accaduto per la nomina (anzi: la conferma) di Enrico Garaci a presidente dell'Istituto superiore di Sanità, decisa dal ministro Livia Turco. Tre ricercatori, non tra gli ultimi arrivati, scrivono al ministro criticando la gestione clientelare (a sentir loro) dell'Iss, nella distribuzione dei fondi per la ricerca. Anche la rivista Nature attacca duramente l'Istituto. E la Turco come reagisce alle critiche? «Questa è una guerra per bande» risponde il ministro, passando da accusata ad accusatrice. Ma forse non valutando appieno il significato della parola banda: "gruppo organizzato di malviventi", "cricca, ghenga», scrive lo Zingareli. Dunque i ricercatori che hanno firmato contro Garaci sono "malviventi"? ria l'anno scorso, dopo la sostituzione di - Francesco Cognetti all'Istituto Regina Elena di Roma, con Paola Muti, la Turco si mosse con energia e determinazione per affermare la validità della sua decisione. Tuttavia da molte par: ti (non solo il centrodestra) piovvero critiche sul metodo - più spoil system che meritocrazia - adottato dal ministro (anche se va detto che Paola Muti è l'unica donna a dirige-re uno dei 43 Irccs: altra anomalia italiana). Nella vicenda : dell'Istituto di sanità oggi si verifica una situazione solo in parte diversa. Sicuramente destinata a lasciare aperte delle ferite. Chi le curerà? __________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 dic. ’07 GAVAZZI: LA RETE DEGLI ATENEI RESTA ESSENZIALE Il mercato del lavoro scientifico Nel 1990 a Milano fondammo l’Igier, proprio con l'intento di far tornare in Europa degli economisti italiani ed europei, che si erano stabiliti in America. Noi eravamo favoriti da una governance "mista" con economisti italiani e stranieri, che è ancora la stessa. Oltre che con l’Università Bocconi, infatti, l’lgier è associato con il National bureau of economie research e il Centér for economie policy research di Londra». L'economista Francesco Giavazzi è uno dei pionieri del talent scouting sul mercato del lavoro scientifico internazionale. Un'attività per la quale, come spiega in quest'intervista, è essenziale saper costruire un'offerta credibile. Professore, come giudica il neonato Istituto Einaudi per l'economia e la finanza di Roma? Non posso che salutarlo con grande soddisfazione. Il suo intento, infatti è molto simile a quello che anche noi perseguiamo. Inoltre, mi sembra che abbia un punto di forza nella guida del centro di ricerca, che è di grande qualità scientifica. Ma lei ha anche qualche rischio da segnalare ai suoi colleghi-concorrenti? Si. Mi sembra che il principale problema che il nuovo istituto dovrà superare consiste nel fatto che per ora è sganciato dal rapporto con l'università. Un rapporto che, al contrario, è essenziale, soprattutto quando si vanno a reclutare giovani studiosi. Vede, quando si va a New Or1eans per arruolare i migliori talenti con un Phd in tasca, occorre offrire contratti di tutto rispetto, al pari di quel che fanno le più importanti università americane: contratti di sette anni, con uno stipendio compreso fra i 50 e i 70mila euro e un trattamento fiscale di favore per i primi anni. Ma il difficile viene dopo. Perché? Perché questi studenti ti chiedono anche qualcosa sulle loro prospettive allo scadere dei sette anni. Ti dicono: se siamo bravi, ci tenete o no? Il che è essenziale, soprattutto per uno straniero che deve programmare se far crescere i suoi figli nel nostro Paese e se insegnare loro l'italiano o no. Noi dell’Igier, ad esempio, adesso abbiamo un professore associato svedese e abbiamo costruito una credibilità su questo terreno. Certamente ci ha aiutato molto in questo il rapporto con l'università. Quindi, che consiglio si sente di dare alla fondazione della Banca d'Italia? Quello di potenziare al massimo il collegamento con gli atenei romani e con gli studenti. Una possibile soluzione, ad esempio, sarebbe quella di unificare i dottorati romani, che oggi sono ben quattro é tenerli presso l'Istituto Einaudi. Questo vorrebbe dire giocare in campo neutro una partita nella quale vincerebbero tutti, perché poter disporre di 24 posti di dottorato per quattro anni, vale a dire circa 100 posti di ricercatore, ti permette di avere specializzazioni un po' in tutti i campi dell'economia. R.Boc. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 dic. ’07 CONCORSI: SI DEL CONSIGLIO DI STATO Alle selezioni con la laurea magistrale Concorsi, si del Consiglio di Stato Alessia Tripodi ROMA Parere positivo del Consiglio di Stato ai nuovi concorsi per i ricercatori universitari. Il ministero dell'Università, accogliendole indicazioni già espresse da Palazzo Spada in luglio, ha previsto che alle selezioni si potrà accedere anche con la laurea magistrale, e non solamente- come previsto dalla prima versione del regolamento ministeriale - con il titolo di dottore di ricerca o dopo almeno quattro anni di esperienza come contrattistà o assegnista. Il dottorato o fattività quadriennale costituiranno un titolo preferenziale. Il regolamento sui nuovi concorsi proposto dal ministro Fabio Mussi introduce selezioni locali con due livelli di valutazione: un giudizio esterno di referee italiani e stranieri e uno interno, elaborato da una commissione di docenti in ruolo dell'ateneo che bandisce il concorso. AL posto di prove scritte e orali, sarà Il dottorato o l’attività quadriennale costituiranno un titolo preferenziale Il giudizio finale spetta all'Agenzia di valutazione valutata la produzione scientifica del candidato e le domande di partecipazione si potranno inoltrare via web. Il giudizio finale sui candidati spetterà all'Anvur, l'Agenzia di valutazione dell'università e della ricerca. Con queste procedure - messe a punto dal Governo in base alla delega contenuta nella Finanziaria per il 2007 - gli atenei potranno assumere 1.60o ricercatori nei prossimi tre anni. In attesa che si concluda l’iter del testo di riforma, però, i concorsi per i 400 posti previsti per il 2007 saranno banditi secondo le "vecchie" regole. Una volta recepite le indicazioni del Consiglio di Stato, il regolamento sarà emanato e potrà passare, quindi, al vaglio della Corte dei Conti. «La nostra proposta - ha detto il sottosegretario all'Università, Luciano Modica - risponde alla richiesta di garantire al sistema universitario nuove regole più celeri, più trasparenti e allineate agli standard internazionali». Intanto, ieri è stata annunciata la nascita dell'Air, l'Associazione italiana per la ricerca (www.associazionericerca.it), struttura creata da ricercatori e professionisti per valorizzare la ricerca in Italia. Tra i primi obiettivi, l'adeguamento delle retribuzioni degli studiosi ai livelli europei: «In Italia - dice l’Air un dottorando di ricerca guadagna 80o euro al mese, in Olanda 1.600». __________________________________________________________ Il Giornale 5 DIc. ‘07 L'ODISSEA DEI RICERCATORI AL CONCORSO PER IL CNR: GIUDICATI IN 11 SECONDI Guido Mattioni La Scienza ha fretta. La Scienza non può attendere. Così un giorno decide che per valutare la carriera di un ricercatore bastino 11 secondi. Succede in Italia, Paese ingrato dove è sempre meno un caso se i ricercatori senza padrini fuggono all'estero. Succede al Cnr, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, dove stando a quanto scrive in un'amarissima e-mail un amareggiatissimo scienziato, «in 35 anni non ho mai visto un concorso svolto con criteri seri e rigorosi». Cnr dove succedono le cose raccolte nel Libro bianco di denuncia redatto dal sindacato UsilRdB-Ricerca e relative al concorsone interno, conclusosi nel 2006. Libro bianco presentato proprio nel giorno in cui - poi uno dice le coincidenze! - il Nobel per la medicina veniva assegnato a Mario Capecchi, l'ex teppistello (per sua ammissione) veronese al quale l'America ha spalancato le braccia e aperto i cordoni della borsa ARROGANTI SORPASSI AL concorsone 2006, centinaia di ricercatori con anni di onorata carriera, pubblicazioni e incarichi di prestigio, si sono visti negare a vantaggio di altri, meno titolati, il riconoscimento dell'attività svolta. Lasciati nella stessa frustrazione degli automobilisti corretti, fermi in autostrada, quando si vedono superare sulla corsia di emergenza. Il Libro bianco, che parla di «un quadro desolante, se non inquietante»; nonché di «clamorose illegittimità e nefandezze», è il risultato di un lavoro di analisi di bandi, verbali e schede di valutazione. CARRIERE BLOCCATE Il concorsone doveva riaprire la carriera a quei ricercatori ai quali i ripetuti blocchi posti dalle Finanziarie avevano reso impossibile, per 12 anni, qualsivoglia avanzamento. Quelli dediniiti in «anomala permanenza», che al 31 dicembre 2001 erano 1.251. Eppure - primo paradosso - a quel concorso sono stati ammessi anche i non anomali, ovvero coloro che quella data avevano maturato pochissima o nessuna anzianità. A bando c'erano 475 posti a cui hanno concorso 2.357 candidati. LIMITI E ANOMALIE Già i bandi sono risultati «affetti da macroscopiche anomalie» come un punteggio massimo, ma non uno minimo, per superare il colloquio. Mentre c'era una soglia minima per la valutazione dei titoli, elevata cosî di fatto al rango di prova d'esame, mentre lo possono essere solo gli scritti, ove previsti, e i colloqui. Per non dire della limitazione al numero di pubblicazioni da valutare che ha danneggiato i candidati più anziani e quindi titolari di una produzione più ricca. Detto questo, al termine delle valutazioni (iniziate a fine 2005 e concluse a fine 2006) i vincitori sono stati 463, gli idonei 622 e 1.260 i non idonei (cioè al di sotto della soglia minima). ANZIANI E INCAPACI? In altre parole, il 53,7% degli scienziati del Cnr è stato bocciato, con 1.260 ricercatori che sarebbero risultati privi della richiesta «capacità di determinare autonomamente avanzamenti di particolare origînalità e valore internazionale». È stato questo a spingere il sindacato ad avviare l'approfondimento. Perché se quel risultato avesse trovato conferma sarebbe stato lo stesso sindacato a chiedere la messa in mobilità dei tanti «sedicenti» ricercatori. Parallelamente, il sindacato ha offerto assistenza legale a chi si è ritenuto danneggiato. Ne sono scaturiti 100 ricorsi con richiesta di annullamento delle procedure e di un risarcimento danni complessivo di 10 milioni di euro. Ricorsi riguardanti 1.516 candidati (il 64,2%) e 21 aree scientifiche. TEMPI DA RECORD Per vagliare curricula, pubblicazioni e quant'altro, le commissioni hanno dedicato in media a ogni documento un tempo compreso tra 11 e 35 secondi; risultante dalla divisione del monte secondi di ogni seduta per il numero di atti esaminati. Il primato va alla commissione del concorso a 22 posti per dirigente nell'area Scienze Chimiche. Dal verbale numero 3 del 23 febbraio 2006 risulta un tempo complessivo di 11 ore, dalle 9 alle 20, escludendo le fisiologiche interruzioni: 660 minuti per leggere, valutare e dare un punteggio a 300 pubblicazioni (10 per ciascuno dei 30 candidati) oltre ad altrettanti curricula contenenti le pubblicazioni eccedenti il limito delle 10 (in tutto 2.705). Quindi 3.000 pubblicazioni, più i 500 documenti dei curricula. Quante volte 3.500 sta in 39.600 (i secondi impiegati)? La risposta è 11,31 secondi per ogni atto, ovvero il tempo necessario a un umano per prendere in mano un foglio e rigirarlo distrattamente. LA FANTASIA AL POTERE Più che veloci, sono stati creativi i commissari di Scienze storiche, inventatisi un riparto del punteggio così matematicamente bizzarro che in base ad esso nessun candidato avrebbe potuto conseguire il punteggio massimo di 40 punti. Infatti, anche se uno avesse ottenuto 10 punti per due volumi originali e il massimo di 24 per i restanti otto, sarebbe arrivato al massimo a 34. Di TUTTO, Di PIU Tra le stravaganze, una soglia minima per i titoli superata la quale si aveva diritto a un bonus per l'esperienza professionale parametrato alla fascia di stipendio. Così, al concorso per soli titoli a un posto di dirigente nell'area Scienze tecnologiche e di base per la medicina, il primo classificato ha ottenuto 52 per i titoli e 5 come bonus (totale 57); mentre un altro, con 45,6 punti per i titoli (restando così sotto i 50) non ha potuto sommarvi il bonus di 25 a cui avrebbe avuto diritto. Dicendo addio al primo posto che gli sarebbe spettato con 71,5 punti. LAMPO Più veloce di Raikkonen: uno dei vincitori del concorso a 13 posti di dirigente nell'area Scienze fisiologiche, biologiche, biochimiche e di medicina molecolare era divenuto 1° ricercatore proprio il 3] dicembre 2001, data ultima per poter concorrere. Grazie a dei bonus, pur senza aver indossato nemmeno per un giorno i nuovi galloni, è passato direttamente a cucirsi addosso quelli di livello superiore. AL concorso per dirigenti dell'area Scienze della Terra, un candidato si è visto dare il voto non solo a ogni pubblicazione; ma anche un ulteriore e incredibile 1,9 al titolo che le precedeva. Si, proprio alla dizione letterale «Elenco pubblicazioni». MIRACOLI E DISPETTI Sempre nello stesso concorso, uno dei vincitori, ora dirigente con inquadramento giuridico ed economico retrodatato al 31 dicembre 2001, può gridare al soprannaturale: il suo punteggio di valutazione (17140), è poi lievitato in verbale a 36/40. La stessa commissione si è invece accanita contro una candidata che campare tra le dodici donne che hanno fatto la storia del Cnr. Eppure le hanno dato 2 su un massimo di 4 per una pubblicazione di cui era stata responsabile e prima autrice, e alla quale aveva pur se solo collaborato una collega. Collega a cui è stato invece assegnato, per lo stesso lavoro, un punteggio doppio: 3,8. SENZA VERGOGNA La commissione Scienze agrarie, infine, ha valutato un candidato le cui 10 pubblicazioni recavano tutte la firma, come coautore, di un membro della stessa commissione. Quasi una simbiosi, la loro: tra il 1985 e il 2001, i due hanno collaborato a 41 pubblicazioni sulle 43 esibite e a 17 su 19 interventi a congressi. Ma la commissione scrive di aver «valutato l'apporto del candidato tenendo conto della continuità della produzione scientifica e della notorietà nel settore di appartenenza». Proprio così, parola per parola. Senza nemmeno arrossire. In un libro bianco che sta per approdare in Procura, tutte le illegittimità nelle selezioni dei «cervelli» italiani Tra le anomalie: voti che raddoppiano nelle trascrizioni dei verbali e candidati eccellenti superati da colleghi meno titolati Lo sfogo di uno scienziato: 4n 35 anni di carriera, non ho mai visto una prova svolta con criteri seri e rigorosi» __________________________________________________________ Il Riformista 5 dic. ’07 LE NOMINE INUTILI E ARROGANTI AGLI ISTITUTI DL . SCIENZA E SANITA Da quasi mezzo secolo i governi che si succedono sembrano dar senza per scontato, senza dirlo, che la ricerca scientifica, l'innovazione tecnologica e un'istruzione non servono all'Italia. E comunque difficile trovare un governo che, quanto quello in carica, abbia in così poco tempo umiliato le competenze e la creatività scientifiche in settori strategici per l'economica e la vita civile degli italiani. Va riconosciuto il coraggio del ministro Mussi, che ha istruito una procedura finalmente sensata per scegliere il futuro presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, affidando a dieci scienziati di fama internazionale la valutazione delle auto-candidature, per consegnare entro il 31 dicembre una terna di nomi tra cui il governo potrò scegliere. E speriamo che vada tutto bene! Purtroppo Mussi non è stato altrettanto coraggioso e illuminato nel riformare le procedure di reclutamento e nel concepire la struttura e il funzionamento dell'agenzia per la valutazione della ricerca. Per tutto il resto, il governo ha fatto peggio delle più negative previsioni. Cercan do di non alterare gli equilibri politici esistenti, che però sono proprio la causa dell'inefficienza in cui versa la ricerca italiana. A cominciare dalla decisione di nominare presidente dell'Enea Luigi Paganetto, che era diventato commissario straordinario dello stesso ente nel 2005, quando fu licenziato Carlo Rubbia e che ha saputo solo normalizzare politicamente l'Enea. Non meno sorprendente è il rapporto di fiducia che lega questo governo al potente e discusso, ma onnipresente, Franco Cuccurullo, rettore dell'Università di Chieti, presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca dal 2003 e del Consiglio superiore di sanità dal 2006. Cuccurullo ha cofirmato nel 2004 un articolo contenente un falso scientifico, ma nessuno ha dato importanza a un fatto che in qualsiasi altro paese scientificamente avanzato avrebbe indotto a ridimensionarne il ruolo e il potere decisionale. Si può continuare con l'atteggiamento ambiguo assunto nei riguardi della campagna contro l'uso delle biotecnologie per migliorare la produzione agricola in Italia, pro mossa da Mario Capanna e da un cartello di interessi economici. A fronte dell'insulto sistematico praticato da Capanna contro gli scienziati italiani che, praticamente all'unanimità, sostengono che gli ogm sono più sicuri ed economicamente vantaggiosi, il governo non ha difeso, anzi alcuni ministri di sono schierati al fianco di Capanna, la libertà di ricerca e la dignità di quei ricercatori italiani che vorrebbero dotare anche l'Italia di una tecnologia di frontiera, che è già il futuro per l'agricoltura del resto del mondo. Non meno grave, è stata la conferma di Enrico Garaci alla guida dell'Istituto superiore di sanità, nello stesso giorno in cui la rivista Nature invitava il ministro Turco a non nominare una persona che possono apprezzare solo quei ricercatori che vorrebbero mantenere nell'inefficienza il sistema della ricerca biomedica italiana. Il ministro della Salute Livia Turco ha addirittura accusato di agire secondo una logica di bande i ricercatori che hanno criticato la decisione e denunciato la pratica poco meritocratica e collusiva di distribuire i finanziamenti alla ricerca biomedica da parte dell'Istituto superiore di sanità in relazione ad alcuni ambiti come lo studio delle staminali. Se una replica di tale arroganza e una difesa così inconsistente della nomina di Garaci fosse stata fatta da un ministro inglese, la Royal Society ne avrebbe chiesto le dimissioni. E probabilmente le avrebbe ottenute, godendo le comunità scientifiche degli altri paesi occidentali di una credibilità tale e di un rispetto da parte del governo che gli scienziati italiani neppure si sognano. Le vicende che ha vissuto il Comitato nazionale di bioetica, con la sostituzione d'imperio di tre vicepresidenti e quindi le dimissioni di Elena Cattaneo non sono meno gravi. In questo caso il presidente del Consiglio si è dimostrato di un'indifferenza preoccupante, dando l'idea che dell'onorabilità degli scienziati e del funzionamento di un organo tecnico consultivo non gli importa niente. Il presidente Prodi, viene chiamato "Professore", in quanto ha tenuto una cattedra universitaria di prima fascia fino al 1999. Peraltro nel settore dell'economia, dove si assegnano addirittura dei premi Nobel in riconoscimento del fatto che gli economisti sono più vicini agli scienziati, i quali basano le loro decisioni su fatti e prove, che agli umanisti, ai quali spesso bastano le parole. Evidentemente si è già dimenticato che ai suoi studenti insegnava che le competenze e la qualità scientifica delle dirigenze e delle consulenze sono un presupposto essenziale per il buon funziona mento di uno stato moderno. Considerando che il segretario del neonato Partito democratico, Walter Veltroni, si è ben guardato dal dire qualcosa di interessante sulla ricerca scientifica e l'innovazione, mentre ha incredibilmente aderito alla campagna integralista e antiscientifica di Capanna, anche il futuro non sembra prometter nulla di buono. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 dic. ’07 NEGLI ATENEI RISCHIO COSTI PER IL PERSONALE Per l'università i risparmi (quasi) certi della Finanziaria rischiano di essere molto inferiori rispetto agli extracosti. I primi arrivano dalla progressiva abolizione del fuori ruolo, che finora permetteva ai docenti di rimanere in organico senza alcun obbligo di svolgere attività accademica per tre. anni dopo la pensione (fino al 75esimo anno di età, mentre nel resto del mondo non si superano i 6s anni). Un emendamento governativo alla Camera abolisce progressivamente il fuori ruolo: calcolando che ogni docente a fine carriera costa circa 200mila euro, e che gli interessati possono arrivare a un migliaio al triennio, i risparmi diluiti nel tempo si potrebbero attestare a regime sui i8o milioni l'anno (quasi il doppio rispetto. ai 100 milioni di aumento netto dei fondo ordinario previsti nella manovra 2008). Resta la possibilità per gli atenei di mantenere a contratto i docenti che mantengono davvero un ruolo attivo, per cui i risparmi finali potrebbero diminuire. Ma le incognite vere per il sistema vengono da altri due punti: oltre a indicare espressamente per la prima volta gli oneri per i rinnovi contrattuali del personale non docente (272 milioni, che rapportati al costo annuale attuale, circa 1,8 miliardi, significano un incremento dell'11,3%, tutto a carico degli atenei), la manovra, a differenza dell'anno scorso, non esclude le università dall'ulteriore stabilizzazione dei precari. Una norma che secondo la Crui rischia di alzare le spese di personale ben oltre il 90% dell'Ffo. G.Tr. __________________________________________________________ Le Ore12 2 dic. ’07 SOLO L’1,1% DEL PIL DESTINATO ALLA RICERCA "Scienza e tecnologia in cifre-statistiche sulla ricerca e sull’innovazione" Pochi investimenti, appena l’1,1%, del Prodotto interno lordo (Pil): le spese italiane per la ricerca hanno registrato una leggera crescita negli ultimi anni, ma sono ancora così basse da occupare l'ultimo posto nel mondo industrializzato. Aumentano invece le pubblicazioni scientifiche di ricercatori italiani. Emerge dal rapporto "Scienza e tecnologia in cifre. Statistiche sulla ricerca e sull' innovazione", del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). "Il sistema scientifico italiano soffre ancora per l'insufficiente livello di stanziamenti, rileva il direttore dell'Istituto di ricerca sull'impresa e lo sviluppo (Ceris) del Cnr di Torino, Secondo Rolfo. L'Italia spende infatti in ricerca 15.252 milioni di euro tra comparto pubblico e imprese (dati 2004) pari all'1,1% del Pil, collocandosi al nono posto tra i Paesi Ocse, Cina e Israele: primi sono gli Stati Uniti (312,5 miliardi di dollari), seguiti da Giappone (118), Cina (94), Germania (59,2) Francia (38,9) e Regno Unito (32,2), Corea (28,3), Canada (20,8). Considerando la percentuale del Pil spesa in ricerca, l'Italia e' ultima nei Paesi Ocse, Cina _e Israele, a pari merito c6n_ là Spagna. Israele e' al primo posto con il 4,4%, seguito da Svezia (4,0%), Finlandia (3,5%, ), Giappone (3,2%), Svizzera e Corea (2,9%,). Gli altri Paesi oscillano tra il 2,7% degli Stati Uniti e l’1,2% dell'Irlanda. Poco confortanti anche i dati relativi al numero di ricercatori: Paesi con una popolazione ridotta rispetto all'Italia, come Svezia, Finlandia e Paesi Bassi, hanno circa la metà dei nostri ricercatori. Basso, in Italia, anche il rapporto tra ricercatori e forza lavora: 0,673%, ossia poco più di "mezzo" ricercatore ogni 1.000 unità di forza lavora. Buoni sono invece i dati relativi alle pubblicazioni di lavori italiani su riviste scientifiche, con una percentuale di citazioni che fra il 1992 e il 2003 e' aumentata dal 2,04% al 3,01% sul totale mondiale delle citazioni. Meglio di Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Canada, Cina e Svizzera. Nel periodo 1995-2005 sono più che raddoppiati gli incassi per i servizi con contenuto tecnologico e di- ricerca. Non altrettanto positive le cifre relative ai brevetti: considerando quelli depositati in Europa, Giappone e Stati Uniti, l'Italia raggiunge appena l’1,56% del totale, preceduta da Stati Uniti (37,56%), Giappone (25,85%), Germania (13,82%), Francia (4,54%), Regno Unito (3,76%), Paesi Bassi (1,94%), Svizzera (1,72%), Corea (1,60%). Poche, infine, le esportazioni di manufatti ad alta tecnologia che, rapporta al totale delle esportazioni, vedono l'Italia fanalino di coda con l’8,6%, preceduta da Irlanda (51,6%), Ungheria (30,0%), Stati Uniti (28,5%), Giappone (26,5%) e anche da Repubblica ceca (13,5%), Slovenia (10,9%), Grecia (9,8%) e Spagna (9,3%). __________________________________________________________ Il Giornale 3 dic. ’07 EVOLUZIONE CONTRO EDUCAZIONE Stop ai cattivi maestri della darwinolatria Un saggio di Rosa Alberoni contro l'ateismo scientista e i suoi riflessi sulla formazione dei giovani Andrea Tornelli Discendiamo davvero dalle scimmie? I nostri progenitori erano scimpanzé? Il mondo è veramente soggetto al caso? La selezione naturale secondo la legge dell'evoluzione va applicata anche per sopprimere i più deboli, i meno fortunati, gli handicappati, magari prima che nascano? Mai come in questi anni le domande sull'origine dell'uomo e sull'esistenza di un disegno intelligente (o ragione creatrice) hanno creato dibattito e anche contrasti. Nel mondo protestante degli Stati Uniti prende forza il creazionismo, che pretende di leggere la Bibbia alla lettera, mentre m molti Paesi d'Europa si discute animatamente sulla validità della teoria evoluzionistica darwiniana. In questo dibattito, con una particolare preoccupazione educati - va, s'inserisce il libro di Rosa Alberoni, Il Dio di Michelangelo e la barba di Darwin (Rizzoli, pagg. 330, euro 18). L'autrice non se la prende con la scienza, ma con l'ideologia scientista, con la «darwinolatria», che ha ridotto l'uomo a poco più di una scimmia tentando di cancellare ogni possibilità, dell'esistenza di un Creatore. È vero che già Pio XII aprì alla possibilità dell'evoluzionismo (purché si considerasse solo un'ipotesi); ed è vero che Giovanni Paolo II ha affermato che «nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell'evoluzione una mera ipotesi». È altrettanto vero, però, che la «darwinolatria» come chiave di lettura ideologica e dogmatica persiste nei libri di testo e in fortunate trasmissioni tele visive che trattano di scienza dando spesso per assodato ciò che assodato ancora non è. Nel libro di Rosa Alberoni il Dio della creazione e la rivoluzione cristiana sono spiegate attraverso la lettura delle immagini della Cappella Sistina di Michelangelo. «Gli episodi della creazione di Adamo ed Eva - scrive il cardinale Renato Raffaele Martino nella prefazione - affascinano non solo per la genialità dell'artista, ma soprattutto perché danno un senso - il senso cristiano - al posto dell'uomo nell’universo». Quale sia questo senso, è sempre Martino a spiegarlo: «II Dio di Michelangelo è il Dio della, dottrina cristiana, che crea l'universo secondo verità e amore e vi colloca l'uomo in una posizione eminente, unica creatura ad essere stata amata, per se stessa», mentre le «ricerche scientifiche di Darwin hanno destato e destano tanto interesse soprattutto perché mettono in questione quel posto dell'uomo nell'universo». È l’ideologia a considerare l'uomo solo come un anello della filiera evolutiva, un prodotto del caso, dimenticando il salto qualitativo tra l'uomo e l'animale. Un salto che può anche essere frutto di un processo evolutivo, ma non causale. «Cancellando il Creatore e riducendo l'uomo a un derivato delle scimmie - ha spiegato Rosa Alberoni - Darwin e i suoi seguaci, da una teoria scientifica, hanno tratto un'ideologia atea che si basa su un solo comandamento: il primato del volere individuale che ha un solo scopo, quello di saziare i propri impulsi. È un modo subdolo per parificare l'essere umano agli animali». L'autrice analizza l'ideologia darwiniana e fa paragoni con le ideologie atee e totalitarie di nazismo e comunismo. In effetti, «non è un caso - ha detto ancora Rosa Alberoni - che il darvinismo abbia prodotto aberrazioni come il razzismo, il classismo, l'eugenetica, il peggior colonialismo, la discriminazione biologica». Lo scopo dichiarato del libro è quello di mettere in guardia i genitori perché «nel momento in cui si accettano le origini solo materiali del nostro corpo, della nostra mente, del nostro cuore, allora cadranno non solo i fondamenti della fede, ma anche quelli della morale e della convivenza umana». MA SENZA UN METODO RESTEREMMO TUTTI AL BUIO Ezio SAVINO Da nonno entusiasta di gemelline sui tre anni, mi preparo alla bordata di domande, di cui già accuso i prodromi: «perché il sole va a nanna? perché la luna sta attaccata al cielo?». Pedagogia alla buona, la mia, domestica, collaterale, intendiamoci, ma non ne sottovaluto l'impatto formativo. Quando verrò interpellato su come è partito lo strepitoso macchinario del mondò, non farò il soffietto a Darwin, raccontando che lo scimpanzé è il nonno di tutti noi Warwin stesso non l'ha fatto, l'efficace semplificazione è del reverendo Samuel Wilbeforce, 1860, il primo furibondo detrattore). Ma non getterò, insieme all'acqua sporca, anche il bambino. Che in questo caso, a parer mio, è costituito da un paio di idee forti che puntellano l'edificio spericolato del cosiddetto darvinismo. La prima è che se siamo qui a discutere di queste ricche questioni, è anche perché un progresso (chiamiamolo pure evoluzione) c'è stato. E nulla è positivo quanto il sentimento del passo avanti, del migliorare. Quattro decenni d'insegnamento mi stampano dentro il credo (corroborato da uno speciali sta come il latino Quintiliano) che far luce sulle forze innovatrici agenti in ogni campo, storia, letteratura, pensiero, vicenda biologica, sia la molla più energica per stimolare all'indagine critica, all'apprezzamento del sapere, alla costruzione di un'ossatura intellettuale. Gli storici collocano Darwin e le sue ipotesi in un'epoca elettrizzata dal senso dell'avanzamento positivo, quando le scoperte di Maxwell; di Pasteur; di Mendel, le teorie di Comte e Spenser irrobustirono la fiducia che se questo non era il migliore dei mondi possibili, c'era però qualche speranza di sconfiggere gli spettri e gli incubi di sempre. Seguirono gli egoismi immani dei mercanti, le ingordigie coloniali delle nazioni, il secolo delle carneficine, ma l'uomo che circumnavigò il globo sulla Beagle, naturalista «senza paga», voleva solo vederci chiaro negli ingranaggi della natura, non fu un artefice complice di orrori. Nel concepire là mole cosmica come determinato (e, forse, consapevole) laboratorio di incessanti selezioni migliorative, Darwin era, in buona compagnia. I presocratici ellenici già descrivevano la vicenda come un colossale trasformarsi dal caos all'ordine, fossero elementi primordiali che stringevano patti e ingaggiavano guerre, o atomi infiniti che turbinavano in base a occulti disegni. Il suo compagno di tomba, a Westminster, Isaac Newton, dimostrò che nell'apparente vaghezza della multiformità una regola vigeva, e che la mente umana, grazie alla suprema disciplina, la matematica, era abile a calcolarla, a dominarla. «Ho un ardente desiderio di contribuire alla nobile struttura della scienza naturale» scrisse il ricercatore nella sua Autobiografia. E qui, nel termine «struttura»,scorgo il secondo pregevole pilastro. Intelaiare il sapere, raccordare le mappe sparpagliate di un percorso, cercare con passione ciò che unisce, per disperdere il pulviscolo della confusa divisione: ecco il sistema, ciò che dà senso compiuto alla ricerca, nelle varie aree della cultura. Darwin riconobbe nell'evoluzione selettiva il filo, e lo seguì con pia ferocia. Eliminò il Creatore, attirandosi il biasimo di ateo-. Laico sarebbe forse l'attributo più conforme. Nella natura darwiniarna prevale il migliore, chi sfrutta le doti. Ma anche nel Vangelo (Matteo, 25, 14-29), parabola dei talenti, accantonare i doni è il peccato più grave. __________________________________________________________ Europa 6 dic. ’07 LE NOZZE DI SCIENZA E LIBERTÀ: LA FEDE CONTRO LA RICERCA C'è una guerra in atto contro la ricerca in nome delta fede FEDERICO ORLANDO Renato Dulbecco ha ricordato i venti anni dall’avvio nel 1987, a opera del Cnr, del progetto di ricerca del genoma umano. «L'anno prima - scrive su La Repubblica il premio Nobel per la medicina - avevo sostenuto che il sequenziamento dell’intero Genoma umano avrebbe portato grandi vantaggi alle scienze biologiche e genetiche. Già allora, infatti, era chiaro che il cancro era una malattia del genoma. Purtroppo il finanziamento terminò improvvisamente nel 1995. Proprio allora iniziava la fase di sequenziamento, da cui l'Italia rimase esclusa». Questa geniale intuitone italiana, colpita dal potere politico italiano, non è l’unico esempio di scelleratezza contro la scienza e il suo impegno a scoprire verità nuove e alleviare il male degli uomini. Scriveva il Riformista commentando i dati sulla terapia del dolore, che nel nostro paese si consumano oppiacei per 60 mila pazienti, ma siccome ogni anno muoiono di cancro 150 mila italiani, molti di loro non ricevono neanche la morfina: insomma nel 2005 sono morti senza assistenza circa 90 mila pazienti. Sono dati dell’anestesiologo Benedetti della Columbus liniversity. Sicché non solo «è vietato parlare di eutanasia, testamento biologico, linee guida della legge 40, ma si impone di morire tra dolori incoercibili, che spiegano anche i mille suicidi l’anno di malati terminali» (la ministra della sanità replica che è stato ultimato il "Primo piano nazionale perle cure palliative". Meno male, siamo nel 2007, meglio tardi che mai). La scienza -come ha sempre sostenuto la filosofia liberale - non è di per se stessa avanzamento etico e liberazione dell’uomo. Ma è certamente una potente alleata della libertà, quando un potere politico criminale non la renda complice dei suoi misfatti. E’ invece in atto una guerra alla scienza in nome della fede, e al relativismo in nome dell’assolutismo; -per cui non solo è da esecrare la ministra Turco (il foglio) se raccomanda ai ragazzi di usare il profilattico anziché ordinar loro di sposarsi o di restare casti (e perché non il sacrificio di Origene?) Ma si nega il registro delle unioni civili a Roma perché "città del papa". E addirittura si privatizza Dio per esaltare i propri interessi: Bush per la guerra agli infedeli nell'Iraq petrolifero, Berlusconi "unto del signore" per salvare le sue tv, Kakà per il pallone d'oro che, dice, «è stato Dio a volerlo» (Repubblica).Un bel minestrone di sacro e profano, di miseria e nobiltà, da cui la voce laica sarebbe del tutto assente se non fosse per gli scienziati, ultimo presidio di quella cultura liberale che pure non li ha mai considerati protagonisti assoluti della liberazione. Anatema anche per questa presenza? __________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 dic. ’07 CAGLIARI: IL CORSO DI FISICA TRA MIGLIORI IN EUROPA Importante riconoscimento per il corso di laurea in Fisica dell’Università cagliaritana. La consacrazione in Europa è arrivata con l’indagine commissionata dal settimanale tedesco Die Zeit, ed elaborata dal "Che", uno dei maggiori tra i Centro studi per l’alta formazione: l’Italia si è piazzata terza alle spalle di Germania e Gran Bretagna. Cagliari si è ritagliata un posto nei top group in cui è suddivisa la speciale classifica dei Programmi europei di eccellenza per laureati in Scienze naturali e Matematica. L’indagine è stata condotta su quattromila strutture universitarie europee che si occupano di matematica, fisica, chimica e biologia. Il corso di laurea in Fisica si è distinto in particolare per il numero di citazioni. (m.v.) __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 dic. ’07 Scuole di specializzazione BORSE DI STUDIO NEGATE A BIOLOGI FARMACISTI E CHIMICI CAGLIARI. Borse di studio solo per i laureati in Medicina che frequentano le scuole di specializzazione, esclusi invece quelli in Biologia, Farmacia e Chimica che pure seguono lo stesso corso. La disparità ha provocato scontenti e malumori fra gli specializzandi penalizzati, ma la protesta è rimasta senza risposta, almeno per adesso. «È più di un anno che un gruppo di laureati e specializzandi non medici di Cagliari e di Sassari - dice Elisabetta Caredda, giovane biologa - attendono risposte dopo le tante riunioni e assemblee. Come per i medici e i veterinari, anche i “non medici” hanno l’obbligo di conseguire il titolo di specializzazione per accedere ai concorsi negli enti della Sanità pubblica e oggi anche in quella privata. Nonostante l’esigenza fosse comune, nella Finanziaria 2007 della Regione soltanto i laureati in Medicina e in Veterinaria sono stati agevolati nell’assegnazione dei finanziamenti per proseguire la qualificazione necessaria ai fini concorsuali in ambito sanitario». Biologi, farmacisti e chimici sottolineano anche che «i laureati in medicina veterinaria fanno parte delle professioni sanitarie “non mediche” e non dispongono di una normativa nazionale che assegni alla loro professione la privilegiata posizione economica che gli è stata attribuita». Il problema è stato esposto a diversi consiglieri regionali, che si sono impegnati a portarlo nelle commissioni consiliari Cultura e Sanità, e trovare una soluzione in un emendamento, così come in altre regioni italiane, che possa regolarizzare l’assegnazione dei fondi per tutti gli specializzandi. «Lo stesso assessore alla Sanità Nerina Dirindin, a cui ho avuto modo di esporre personalmente il problema - prosegue Elisabetta Caredda - ha riconosciuto che in Finanziaria 2007 non era stata disposta alcuna voce che potesse dare la possibilità di poter intervenire sulla nostra situazione nell’anno corrente e che erano però forse prevviste delle maggiori risorse per il 2008, pertanto avrebbe preso in considerazione anche la nostra causa». Gli specializzandi sollecitano la Regione «a prendere atto responsabilmente della necessità a perseguire una migliore qualificazione del servizio sanitario regionale e conseguentemente ad intervenire concretamente nell’impegno preso». (l.on) __________________________________________________________ L’Unione Sarda 5 dic. ’07 IL RETTORE SI ARRENDE, NUOVO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Università. Mistretta emana il decreto Alla fine Pasquale Mistretta ha ceduto. Troppo alta la posta in palio per tirare ancora la corda: il rettore ha così emanato il decreto di nomina dei nuovi rappresentanti nel consiglio d’amministrazione dell’Università. Saranno loro a riunirsi l’11 e il 12 dicembre per discutere del bilancio 2008 e della spinosa questione del regolamento delle tasse studenti. Una decisione arrivata dopo la denuncia di Tomaso Demontis, eletto nel nuovo Cda dai colleghi del personale tecnico e amministrativo, che aveva ricordato come i nuovi membri, eletti a metà novembre, dovevano prendere il loro posto in un consiglio d’amministrazione scaduto il 30 settembre. Dunque, ricordava Demontis, “in caso di approvazione del bilancio e delle nuove tasse studenti, questi atti sarebbero potuti risultare nulli, con pesanti ricadute negative sull’Ateneo che si sarebbe trovato senza bilancio”. L’osservazione del rappresentante del personale tecnico e amministrativo ha di fatto alzato un polverone: alcuni consiglieri del Cda scaduto (Paolo Deidda, Giovanni Melis e Giuseppe Casanova), avevano sollevato il problema al rettore, ricordando le possibili ricadute nel caso il bilancio fosse stato approvato e poi annullato perché non valido. Casanova aveva inoltre annunciato che non avrebbe più partecipato alle successive sedute del consiglio d’amministrazione. Il rettore ha preso atto del rilievo di Demontis e della posizione degli altri consiglieri, ed è passato al contrattacco procedendo con la nomina degli eletti «per evitare qualsiasi impedenza alla continuità dell’azione amministrativa». Mistretta, in una comunicazione ufficiale, ha ringraziato i consiglieri uscenti «per il contributo dato alla discussione del documento contabile» e, nel salutare i membri eletti, si è detto convinto «di poter contare su una fattiva, sollecita e responsabile partecipazione per concludere entro il 31 dicembre l’intera sessione di bilancio». Per questo ha immediatamente convocato il nuovo Cda per l’11 e il 12 dicembre, con all’ordine del giorno il bilancio di previsione 2008 e il regolamento tasse studenti. I nuovi consiglieri nominati con decreto del rettore sono i docenti Roberto Malavasi, Giuseppa Tanda, Gaetano Ranieri, Marco Pitzalis, Enzo Tramontano, Barbara De Nicolo (confermata), i ricercatori Guido Mula, Michele Meloni (confermato) e Giovanni Coinu e i rappresentanti per il personale tecnico, Stefano Seu, Tomaso Demontis e Irene Dessanai. Escono di scena i professori Giovanni Melis, Angelo Balestrieri, Enrico Piga, Giuseppe Arca, Vittorio Dettori, la ricercatrice Paola Devoto, e i rappresentanti per il personale tecnico, Arturo Maullu, Paolo Deidda e Giuseppe Casanova. Matteo Vercelli __________________________________________________________ La Repubblica 7 dic. ’07 RICERCATORI UNDER 40 AI PIÙ BRAVI UNA DOTE (mezzo milione di euro) I 160 prescelti avranno ciascuno mezzo milione di euro MARIO REGGIO ROMA — Ottantuno milioni di euro da assegnare ai ricercatori under 40 i cui progetti verranno scelti da una commissione formata da dieci scienziati, anch’essi con meno di 40 anni, per metà italiani e per l’altra metà stranieri. Ogni ricercatore prescelto avrà una dote di mezzo milione di euro, sceglierà la struttura di ricerca dove lavorare e l’équipe che lo aiuterà nella ricerca. Durata tre anni, e alla selezione potranno partecipare anche i “precari”. I 160 “fortunati” saranno valutati esclusivamente in base al merito, quindi all’impact factor, vale a dire gli studi già prodotti e pubblicati su riviste scientifiche internazionali. I fondi sono messi a disposizione per metà dal ministero della Salute e per metà dal ministero dell’Università e della Ricerca. La strada, che finalmente riguarda i giovani ricercatori e pone come unico criterio quello della meritocrazia, è scritta nella Finanziaria 2008. Grazie a due emendamenti approvati in Senato, infatti, a disposizione dei giovani scienziati ci saranno, a partire dal prossimo anno, fondi per 81 milioni di euro. Due emendamenti proposti dal presidente della commissione Sanità del Senato Ignazio Marino che ieri, in una conferenza stampa alla quale hanno partecipato anche il Nobel Rita Levi Montalcini e la presidente della commissione Istruzione del Senato Vittoria Franco, ha appunto sottolineato «l’impegno » di Palazzo Madama per la ricerca e i giovani scienziati. Rispetto alla Finanziaria del 2007, ha spiegato Marino, i fondi per gli scienziati sotto i 40 anni passano a 81 milioni di euro rispetto ai 17 previsti per il 2007. Inoltre, ogni ricercatore, anche se precario, potrà proporre il proprio progetto: «Sarà giudicato — assicura Marino — solo in base al merito. In pratica, non abbiamo inventato nulla di nuovo, perché la meritocrazia, che finalmente viene così introdotta anche da noi, è il criterio di base in tutto il mondo per l’attribuzione delle risorse a coloro che sono davvero i migliori. E soprattutto giovani, perché oggi l’età media dei ricercatori italiani è di 57, mentre per i capi dipartimento del Cnr è di 68». Entusiasta Rita Levi Montalcini: «Per la Ricerca in Italia è un momento rivoluzionario, perché finalmente, si dà spazio al merito» e non più ai criteri della «appartenenza a gruppi di potere o della “vicinanza” ai baroni delle università. Per me — ha commentato il Nobel — è un privilegio, avendo quasi un secolo di vita, essere qui per vedere l’inizio di un periodo nuovo ». __________________________________________________________ La Repubblica 4 dic. ’07 L’OCSE: STUDENTI ITALIANI BOCCIATI IN SCIENZE Trentaseiesimi su 57 paesi. Disastro anche nella lettura, cresce l’area dei semianalfabeti MARIO REGGIO ROMA — Sono gli aridi numeri di una tragedia annunciata. Oggi verranno diffusi i risultati dell’indagine Ocse Pisa che accertano le competenze dei quindicenni scolarizzati nei 30 Paesi dell’Ocse con l’aggiunta di altri 27 Paesi partner. Questa volta tocca alle capacità di apprendimento nelle Scienze, e l’Italia crolla dal ventisettesimo al trentaseiesimo posto. E come se non bastasse: l’aggiornamento delle competenze in matematica, al centro dell’indagine 2003, ci dice che manteniamo il triste risultato di bassa classifica. Ma le note dolenti riguardano l’area della lettura: dal 2000 al 2006 la percentuale di studenti che sono scesi sotto il livello 1, quello più basso, è cresciuto di ben sei punti. Ma torniamo alla valutazione delle conoscenze scientifiche dei nostri studenti quindicenni. Il campione scelto è di 21.773 studenti in 806 scuole, divise per macroaree geografiche: Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Sud ed Isole. Ma anche per indirizzi di studio: licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale. Il campione italiano è rappresentativo di 11 Regioni, più le province autonome di Bolzano e Trento. Il quadro che ne esce non è confortante: il punteggio medio degli studenti italiani nella scala complessiva delle Scienze è di 475 punti, una distanza siderale dalla prima in classifica, la Finlandia con 563 punti. Ma battuti anche dall’Estonia, Slovenia, Taiwan e Hong Kong. Complessivamente un quarto degli studenti italiani è sotto il livello 2, il più alto è il 6, il livello individuato dai ricercatori come il minimo che permette ai quindicenni di confrontarsi con casi elementari che prevedono analisi scientifiche o tecnologiche. Un vero disastro. Esistono, però, diverse Italie. Intanto dipende dagli indirizzi scolastici. Gli studenti dei licei raggiungono risultati di gran lunga migliori di quelli conseguiti dai loro coetanei degli istituti tecnici, mentre esiste un abisso con i giovani delle scuole professionali. Conta anche l’area geografica dove si studia: nelle scuole del Nord- Est i livelli di apprendimento superano la media Ocse, e di poco questo accade in quelle del Nord Ovest. La situazione peggiora al Centro per crollare nelle Regioni del Sud e nelle Isole. «Mi fa tornare in mente l’Italia degli anni ‘50 — commenta il professor Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto nazionale di Fisica Nucleare — la scuola dovrebbe mettere in grado tutti gli studenti di avere una base di autonomia e di ragionamento. Poi ognuno deciderà quale strada intraprendere. Purtroppo il nostro sistema vuole manufatti già pronti, rincorre il “campo” che sembra tirare di più. Stiamo perdendo la cultura del saper ragionare. E questi sono i risultati ». Passiamo ora agli strumenti usati dai ricercatori internazionali per valutare le conoscenze dei 400 mila studenti- campione, un campione che rappresenta quasi 20 milioni di quindicenni scolarizzati. Tre gli obiettivi. Il primo: valutare la competenza che permette agli studenti di riconoscere quali questioni possono essere affrontate in termini scientifici. Il secondo: dare una spiegazione scientifica a fenomeni specifici. Terzo obiettivo: valutare la capacità di interpretare dati raccolti scientificamente a sostegno di una tesi scientifica. Il prossimo appuntamento è per il 2009, quando l’area d’indagine principale sarà di nuovo la lettura. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 dic. ’07 I BECCHINI DEL NUCLEARE Nel mondo chiuderanno 300 centrali. Un business da oltre 300 miliardi di euro lavora difficile e costoso Bisogna risanare un migliaio di siti contaminati Tutto da fare Solo 8 gli impianti completamente demoliti finora LUIGI GRASSIA TORINO Che l'Italia abbia un futuro nucleare o no è tutto da scoprire. Ma di sicuro il suo sistema industriale si candida a livello globale a svolgere un'attività remunerativa e anche ideologicamente corretta (da un punto di vista ambientalista) come è 1o smantellamento delle centrali atomiche. Obiettivo: ripristinare il «prato verde» delle origini, secondo il modo di dire dei tecnici del ramo. È una cosa che va fatta con procedure delicate e rischiose mettendo a frutto competenze tecnologiche specifiche, di cui nel mondo non sono molte imprese a disporre. Il mestiere di becchini dell'atomo può far guadagnare moltissimo, il mercato potenziale è enorme: stanno per andare in pensione, in vari continenti, gli impianti costruiti negli Anni ?0 e 80, prima del grande blocco dovuto alla catastrofe di Cernobil del 1986; la lunghezza della vita operativa delle centrali nucleari è paragonabile quella lavorativa umana, cioè 30 anni, e si tratta di eventi programmabili a lungo termine, per cui sappiamo che saranno circa 300 ' reattori che avvieranno la demolizione da oggi al2020. Di questi, 70 nella sola Europa. Il numero di siti radioattivi da decontaminare si fa ancora più elevato se si considera anche il centinaio di centrali elettriche atomiche che nel mondo hanno già esaurito il loro ciclo operativo, ma non sono state ancora smantellate e rimangono in piedi come sarcofagi nucleari; e 1 cifra cresce ancora se si aggiungono agli impianti nucleari commerciali i centri di ricerca già in disuso o prossimi ad esserlo, e poi i reattori militari (inclusi quelli dei sottomarini e delle navi di superficie in disarmo). Conteggiare tutte queste cose eterogenee non è facile, ma non s rischia troppo di sbagliar azzardando un migliaio d grandi manufatti radioattivi la cui necessità di smantella mento è già attuale o prevedi bile nell'arco di 20 0 30 anni. r Secondo una valutazione estremamente prudente del la Sogin, che è la società italiana ex Enel (ora di proprietà del Tesoro) a cui sono state affidate le nostre centrali atomiche spente dal referendum del 1987, nei prossimi 4 a anni il mercato dello smantellamento nucleare offrirà con tratti pari a 2,1 miliardi di euro, di cui 0,8 in Europa. Ma si tratta solo di un primo assaggio, perché la distruzione di un reattore atomico con tutti gli annessi e connessi è una faccenda lunga: l'autorità nazionale americana competente calcola un periodo di 7 0 8 anni e di una spesa media equivalente a 220 milioni di euro. - Questo in teoria. Nella realtà, spesso gli anni necessari si dilungano in svariati decenni (come è successo in Italia) e i milioni di euro diventano miliardi. Tenendo conto di tutto _ questo, l'amministratore delegato di Sogin, Massimo Roma_ no, ritiene che «nei prossimi 10 anni a livello planetario per _1 il decommissioning nucleare, cioè per lo smantellamento de- gli impianti e il trattamento _ del combustibile esaurito, saranno spesi fra i 40 e i 50 miliardi, e nei prossimi trent'anini 300 miliardi». Nella demolizione delle centrali vengono coinvolti anche i _ costruttori, come Ansaldo 0 Westinghouse o General Electric o Alstom, perché smontare un apparato del genere, con migliaia di parti _ esposte per decenni alla radioattività e quindi impossibili da i maneggiare senza costose protezioni, richiede una meticolosa preparazione partendo dai - progetti di 40 anni prima;l’a.d. dell'Ansaldo Nucleare, - Roberto Adinolfi, sottolinea che «proprio Ansaldo dispone - di un know-how particolare, i avendo messo a punto per prii ma un programma di riproduzione in 31) dei disegni a due dimensioni». Stranamente, la procedura non coinvolge chi ha avuto la centrale in gestione per 40 anni. L'ingegner Giancarlo Aquilanti, capo della task-force nucleare dell'Enel (che non ha reattori nucleari operativi in Italia ma ne possiede in Slovacchia e adesso anche in Spagna, tramite l'ingresso in Endesa) spiega che «in tutto il mondo è previsto che le centrali al termine della loro vita operativa vengano cedute a un ente pubblico che si occupa del decommissioning. La compagnia pubblica o privata che ha gestito l'impianto deve consegnare tutta la documentazione, però nello smantellamento non interviene. Gestire e demolire sono due attività diverse». Ovviamente 220 milioni di euro per ogni centrale da eliminare rappresentano un valore positivo per chi firma il contratto di smantellamento, ma dal punto di vista dei Paesi che utilizzano l'energia dell'atomo è un «quantum» economico da sottrarre alla convenienza complessiva di questa fonte nell'arco complessivo di vita degli impianti. Chi paga? Pagano gli utenti finali. Aquilanti spiega che «durante la vita operativa della centrale atomica le compagnie che hanno l'impianto in gestione accumulano i soldi che saranno necessari allo smantellamento». In Italia, caso unico al mondo, le somme cumulate durante la vita operativa non sono state sufficienti, perché la medesima è stata troncata dal referendum, perciò il denaro necessario è stato reperito scremando un sovrapprezzo sulle bollette elettriche negli anni (anzi, ormai, i decenni) successivi in cambio di niente. Finora l'utente italiano ha pagato a Sogin a questo titolo 950 milioni di euro (dato ufficiale dell'Authority per l'Energia). Incidentalmente va notato che gli ingegneri usano il termine «decommissioning» non come vezzo, tanto per usare una parola straniera, ma per sottolineare che è un'attività più complessa della semplice demolizione, si tratta di decontaminare. bonificare e spesso anche valorizzare i siti ex atomici, per esempio costruendo impianti per generare energia fotovoltaica (cioè dal sole) là dove c'erano i reattori nucleari, come farà la Sogin con i siti che ha in gestione. Ma qualora in Italia il vento cambiasse e l'atomo tornasse di moda (un'ipotesi molto improbabile, nonostante il gran parlare che se ne fa) qualcuno degli impianti nucleari italiani potrebbe essere recuperato? In fondo la Sogin ha annunciato che in tutti questi anni, dal 1987 a oggi, ha demolito solo il 6% delle centrali chiuse che ha avuto in affidamento, e prevede di arrivare al 28% nel 2011. Prendendo le cose con tanta flemma, non ci sarà tempo per ripensarci e recuperare almeno la centrale di Caorso, che nel 1987 aveva appena finito il rodaggio e fu spenta quand'era nuova? Di per sé la cosa è fattibile. Negli Stati Uniti sotto la spinta della crisi energetica stanno facendo ripartire degli impianti bloccati da 10 0 15 anni, quindi per un tempo più breve rispetto a Caorso ma paragonabile. Tuttavia l'ipotesi non entusiasma i tecnici italiani. La Sogin, che ha smantellato Caorso al 9%, vuole accelerare al 40% entro il 2011 (punta quindi a fare più in fretta che per la media degli impianti). Aquilanti dell'Enel valuta che «ripristinare Caorso potrebbe richiedere 3 anni per l’iter autorizzativo e 5 per i lavori di adeguamento. Quindi 8 anni contro i 10 o 12 che servono per costruire una centrale ex novo. Può essere conveniente, ma sarebbe più complicato che costruire un reattore nuovo, perché, ad esempio, bisognerebbe mettersi a cercare produttori di componenti che magari nel frattempo sono falliti, o adattare parti nuove a un impianto pensato con una tecnologia di 30 anni fa. Oltretutto, Caorso ha una potenza di 800 MegaWatt mentre oggi se ne realizzano da 1000 o anche 1600 MW. Se interessa davvero, ci vorrebbe uno studio approfondito. Ma non dico che non si possa fare». __________________________________________________________ TST 5 dic. ’07 ZICHICI: TUTTE LE VOLTE CHE SI SCIOLSE IL POLO NORD DAVIDE PATITUCCI Uragani, alluvioni e siccità sono una minaccia. Ne sono convinti i membri del Comitato per il Nobel che il 10 dicembre consegneranno il premio per la Pace 2007 all'ex vicepresidente Usa AL Gore e all'Tpcc, il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici. Un organismo che fa parte dell'Onu, ma che è nato in Italia, al Centro di cultura scientifica Ettore Majorana di Erice, su iniziativa di Antonino Zichichi, presidente del Centro Enrico Fermi. Professore, com'è nata l'idea di far incontrare gli scienziati per discutere di cambiamenti climatici? «L'idea fu concepita a metà degli Anni 80 nell'ambito dei seminari sulle emergenze planetarie, un appuntamento in cui da 30 anni scienziati di ogni nazione si incontrano a Erice per parlare del Pianeta. Era l’86, quando convinsi il professor Obasi, allora segretario dell'Organizzazione meteorologica mondiale, a creare un comitato: lo scopo era fissare basi rigorose per lo studio dei problemi meteoclimatologici e degli effetti delle attività umane sull'inquinamento. Il gruppo da me presieduto era composto da 50 membri, tra cui Tsung Dao Lee, allievo di Fermi e Nobel per la fisica. Fu Lee a introdurre nello studio del clima le turbolenze, alla base dei modelli climatologici. Poi il comitato si ampliò, trasformandosi in un organismo dell'Onu: l'attuale Ipec. Che ora conta 2500 membri». La maggior parte degli scienziati è d'accordo nel ritenere che le temperature siano in aumento. Diverse, invece, sono le opinioni sulle cause. Perché è così difficile arrivare a un unico punto di vista? «L'Ipcc ha indotto il grande pubblico a credere che la scienza abbia capito tutto del clima. Se fosse vero, il destino del Pianeta sarebbe privo d'incertezze e sotto il rigoroso controllo delta scienza. Ma non è così». Che cosa non è stato ancora capito? «Il problema è la descrizione matematica del clima. E' basata su quelle che chiamiamo equazioni differenziali (che descrivono, istante per istante, ciò che avviene), non lineari e accoppiate (ogni formula ha grande influenza su tutte le altre). Le equazioni, però, non hanno una soluzione analitica, ma solo approssimazioni numeriche, per giungere alle quali è necessario usare alcuni parametri liberi». PUÒ FARE UN ESEMPIO? «Il padre della matematica che descrive i fenomeni meteoclimatologici, John Von Neumann, 50 anni fa spiegava così le difficoltà di queste equazioni: "Se mi date quattro parametri liberi, vi costruisco un modello matematico che descrive quello che fa un elefante. Ma se mi permettete di aggiungerne un quinto, vi prevedo che l'elefante volerà". I modelli dell'Ipcc hanno molto più di cinque parametri. E' una matematica che appartiene alla scienza della complessità, che studia, ad esempio, l'attività cerebrale o le Borse». In che modo la fisica dell'Universo subnucleare e la climatologia sono unite dallo studio dei si stemi complessi? «Come i climatologi, anche noi fisici che lavoriamo nel campo delle interazioni fondamentali: tentiamo di fare previsioni, per esempio sul livello di energia in corrispondenza del quale dovrebbero esistere nuove particelle. Tuttavia, nonostante la matematica che usiamo sia più accurata di quella adoperata in climatologia, abbiamo problemi nel fare previsioni. Ma queste predizioni non hanno conseguenze sulla vita di tutti i giorni. AL contrario, le previsioni legate ai modelli climatici hanno enormi conseguenze sulfuturo». OUALI CONSEAUENZE? «Sui costi. Se queste predizioni si rivelassero inesatte, potrebbero comportare uno spreco di miliardi, coinvolgendo molti governi nel mondo». La crisi ambientale è legata al problema energetico. Come fronteggiarlo? «La stragrande maggioranza degli abitanti del Pianeta, fatta eccezione per gli 800 milioni di individui a cui abbiamo il privilegio di appartenere, ha a disposizione la stessa quantità di energia che avevano i nostri antenati nell'età della pietra. La soluzione è il fuoco nucleare». Sono trascorsi 20 anni da quando ('Italia ci rinunciò: fu un errore? «Fu una decisione sbagliata, che costrinse il nostro Paese, allora leader mondiale nel campo della sicurezza delle centrali, alla schiavitù energetica». AI meeting di Bali l'Onu discute come rafforzare gli accordi di Kyoto sul taglio dei gas serra. E' la via giusta? «Kyoto non è la soluzione al problema. Occorre migliorare la matematica dei modelli. Ad esempio, un'analisi delle variazioni climatiche del passato dimostra che i raggi cosmici influiscono sul clima, ma nessun modello ha introdotto questa variabile. Eppure, per via dei raggi, negli ultimi 500 milioni di anni, le calotte polari si sono sciolte e riformate quattro volte (all'incirca ogni 140 milioni di anni), in coincidenza con il transito della Terra in uno dei quattro bracci della galassia». Come può aiutarci la scienza? «La matematica da sola non basta. È necessario migliorare gli strumenti di misura e la loro sensibilità». Intanto gli allarmi crescono: quanto li condivide? «I cambiamenti climatici hanno sempre accompagnato la storia della Terra, ma in passato non se ne aveva conoscenza. Ecco perché è importante non fare annunci di catastrofi imminenti, avallandoli come se fossero previsioni rigorose. Tl rischio, altrimenti, è che la scienza perda la sua credibilità». [ mutamenti climatici non sono una novità "F la scienza non capisce che cosa succede" __________________________________________________________ Il Riformista 6 dic. ’07 SE L'ENI DÀ IL 2,5 % ALL'UNIVERSITÀ RICOMINCIO DACCAPO Vi ricordate il film del 1993 con Bill Murray Ground Hog Day in italiano Ricomincio da capo, che poi ha avuto nel 2004 un remake italiano con Antonio Albanese È già ieri? Se non ve lo ricordate o non lo avete visto non importa. Infatti ognuno di noi sta vivendo la trama di quel film ogni giorno in Italia senza accorgersene o se se ne accorge preferisce far finta di nulla. Il film era la storia di un egocentrico personaggio, interpretato da Bill Murray, giornalista televisivo specializzato in previsioni metereologiche, che viene mandato come ogni anno a fare un servizio nella cittadina di Punxsutawney Pennsylvania (che esiste davvero), dove dalla metà dell'800 il2 febbraio si celebra il rito del «ground hog day». Il ground hog è una specie di marmotta. Il rito consiste nell'aspettare che la marmotta esca da sotto terra e osservare se proietta la propria ombra o meno. Se il cielo è nuvoloso niente ombra, segno che la fine dell'inverno è dietro l'angolo, se invece c'è il sole e l'ombra del piccolo roditore si allunga sul terreno e allora, ahimé, prima che arrivi la primavera dovranno passare altre 6 settimane. Pare che la previsione si sia avverata il 90% delle volte. Ma lasciamo perdere il rito pagano e torniamo a noi, anzi prima torniamo un attimo al film. Il giornalista arriva nella cittadina come ogni anno ma una bufera di neve lo blocca e non può ripartire, non solo; per un bizzarro inspiegabile fenomeno oltre ad essere bloccato nel paesino è rimasto incastrato nello stesso giorno, il 2 febbraio. Non importa cosa tenti di fare il povero Phil Connors (nome del personaggio) ogni giorno gli accadono le stesse identiche cose che gli erano accadute il 2 febbraio. Ne prova di tutte anche ad ammazzarsi ma irrimediabilmente si risveglia alla stessa identica ora con la stessa identica canzone alla radio, lo stesso maledetto identico giorno, il2 febbraio. Sta per impazzire ma invece s'innamora. Attraverso l'amore riprende coscienza degli altri che gli stanno attorno, si libera dalla maledizione e dal 2 arriva finalmente al3 febbraio ricominciando a vivere. Ecco l'Italia è come Phil Connors, e con lei la stampa italiana, incastrate nello stesso giorno che si ripete all'infinito. Se apro le testate dei vari quotidiani del mondo le notizie cambiano ogni giorno. Ieri ad esempio l'enfasi di quasi tutti i quotidiani del pianeta era sulla scoperta (bella scoperta!) che è dal 2003 che l'Iran non lavora al suo programma nucleare, per la serie l'abbiamo scampata bella. Il quotidiano Pakistano Dawn,l’alba, ha come titolo di apertura la dichiarazione di Benazir che teme la balcanizzazione del paese, problema locale ma con conseguenze mondiali. Se i7 Pakistan va a ramengo potrebbero arrivare tempi amari per tutto il continente asiatico. Le Monde annuncia che lo stato ha venduto il 2,5% dell'Edf per finanziare l'Università. Come se da noi lo stato (non c'è niente da ridere!) vendesse il2.5% dell'Eni per finanziare Università e Scuola (magari!). Da noi, a parte il Corriere che dirigeva l'attenzione su i brogli di Putin, gli altri maggiori quotidiani dedicavano il titolo di testa alla possibilità di avere, secondo il primo ministro, un vertice sulle riforme i7 «prima possibile», ovvero: «È già l'altro ieri». Vivendo all'estero se non sto attento leggo i giornali italiani di un mese fa senza accorgermene e mi spavento come Bill Murray. Un giorno si parla di Ueltroni che incontra Imi, un altro di Fini che incontra Ueltroni e fa arrabbiare Berlusconi, poi ecco che Fini ritorna ad incontrare Ueltroni, mentre Prodi prevede un incontro quanto prima con tutti ma sicuramente non prima di un chiarimento che dovrebbe arrivare non appena la coalizione di governo si è riunita e ha discusso quando tornare a riunirsi per poter decidere la data dell'incontro nel quale si deciderà se le riforme dovranno essere discusse prima o dopo essersi riuniti. Ground Hog day italiano. La marmotta italiana però non mette nemmeno la testa fuori per vedere se c'è l'ombra della previsione o del cambiamento, rimane nel suo buco. Noi fuori ad aspettare. Ma l'Italia è anche un po' come il protagonista del film, egocentrica ed egoista, disinteressata veramente al mondo o almeno al mondo reale. La realtà che gli interessa è quella che si ripete uguale giorno dopo giorno in un ieri che diventa domani per poi tornare ieri e accorgersi che è oggi. Insomma tutto bloccato dalla nostra incapacità a trovare relazioni con gli altri accettando il rischio di un cambiamento. C'è una mostra al museo Mart di Rovereto dal titolo «La parola nell'arte» che parte dal futurismo per arrivare all'oggi. Mostra perfetta per questa Italia fatta solo di parole. Parole, non più futuriste ma passatiste. «La parola in politica dal Passatismo a ieri» potrebbe essere i7 titolo di una mostra co- curata dal Governo Italiano e dall'Opposizione.Alberto Lupo,nella sigla del varietà televisivo «Teatro 10»,1972, parlava, parlava, parlava e Mina gli cantava sensualmente dietro, «parole parole parole, caramelle non ne voglio più...». Anche noi non vogliamo più caramelle, riforme, incontri, coalizioni. Non vogliamo più assistere alle litigate di Berlusconi con Casini e agli inviti alla prudenza di Prodi. Vorremmo vogliamo e esigiamo, una visione che porti direttamente anche se dolorosamente e faticosamente a una grande e profonda trasformazione. Vogliamo che l'Italia prenda il rischio di cambiarsi magari vendendosi davvero il 2.5% dell'Eni per ridare alle nuove generazioni una Scuola ed un'Università da paese contemporaneo. Una trasformazione che sblocchi le prime pagine dei nostri quotidiani dall'incantesimo maledetto del nostro Ground Hog Day. Una trasformazione che porti un po' d'amore per gli altri, per il nostro paese e per noi stessi. Un amore che spinga il giorno eterno della nostra Repubblica fuori dal 2 febbraio dentro il3 febbraio di un possibile ed auspicabile futuro. Quando c'è l'ombra vuol dire che c'è i7 sole, mentre da noi le previsioni rimangono irrimediabilmente; nuvoloso invariabile. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 3 dic. ’07 L'EDITOR SI SPECIALIZZA SULWEB Intuito, velocità e buona conoscenza dell'italiano restano doti fondamentali ACURADI Emanuela Cavalca Intuito, gusto, fiuto letterario. Ma anche velocità, orecchio e una buona conoscenza dell'italiano. Sono queste le caratteristiche essenziali di un editor di valore. L'editing è la revisione di un testo, che avviene dietro le quinte di una stesura di un romanzo, saggio o rivista. L'editor deve saper entrare in punta di piedi in uno scritto: una sorta di lavoro diplomatico, per non offendere la suscettibilità dell'autore. Se è un abile professionista, non si sostituisce all'autore, anzi l'aiuta a far emergere la parte migliore. Il settore dell'editoria è fatto di case editrici, di specializzazioni settoriali, ma anche ricco di strutture esterne o service editoriali che offrono prodotti "chiavi in mano". Quindi un editor può svolgere le proprie mansioni sia all'interno di una casa editrice che da free lance, con collaborazioni esterne. Sarà il direttore editoriale a programmare le pubblicazioni e quindi a decidere il lavoro di ogni editor. L'editing ha diversi livelli di rielaborazione, da quello meno incisivo a quello più radicale. L'arrivo di Internet e di molti quotidiani in versione online, ha introdotto una nuova figura professionale, il web editor, specializzato in multimedialità. In questo caso il lavoro può andare dalla semplice revisione dei testi alla messa a punto di interventi che richiedono la conoscenza di complessi programmi di videoscrittura. Si elaborano così documenti, pagine web, brochure e si inseriscono immagini. «Bisogna distinguere se si fa l'editing per un autore italiano o straniero - dice Giulio Lupieri, editor di 53 anni, 28 dei quali passati tra le carte di case editrici - Se si tratta di un'opera prima italiana bisogna concordare con fautore l'intervento. Si tolgono le incongruenze, le ripetizioni, gli errori, alleggerendo lo stile. Può succedere di arrivare anche a tre stesure di un romanzo». Nel caso di traduzione di un romanzo americano si arriva a tagliare anche il 15/20 percento del testo. «Le riduzioni si concordano con il marketing per rendere più snella la lettura - prosegue Lupieri - Il formato ideale di un libro è di centosessanta pagine»: In un mese un editor lavora due o tre libri, ma lo stipendio medio (dipende dalla categoria grafici editoriali) si aggira intorno a duemila euro.' Non sono cifre alte, così Giulio Lupieri arrotonda le sue entrate con traduzioni di testi inglesi o francesi: «Consegno già pronto il testo in formato "pdP - racconta - dopo averlo revisionato e impaginato». Si tratta dunque di una sorta di service individuale, dove si è pagati a pacchetto: 3/4.00o euro lordi. Un consiglio a coloro che desiderano affrontare questa professione? Frequentare le fiere del libro, consultare la lista delle case editrici ed inviare il curriculum. Un altro suggerimento è quello di frequentare i master che garantiscono stage presso case editrici: E l’esperienza fatta da Enrico Racca, 31 anni, che ha frequentato la prima edizione (2003) del master diretto da Umberto Eco. Si tratta di un percorso formativo biennale, a numero chiuso, dove sono a disposizione molte borse di studio. Dopo aver fatto uno stage presso la Sperling & Kupfer è stato assunto, coronando così il suo sogno. «Nel giro di pochi anni -racconta Raeca - ho contribuito a far crescere una linea di libri di saggistica, legata al diritto umano, a tematiche di attualità, che provano a raccontare passato e presente. Un editor deve saper passare indifferentemente dalla politica alla storia; i tempi, di lavorazione sono diversi, si può stare anche due o tre mesi,su una medesima stesura». La carriera di un editor non arriva a stipendi di alto livello, gli scatti sono conquistati sul campo: «Ma in compenso - conclude Racca - questo lavoro offre molte soddisfazioni, sia sul versante professionale sia su quello umano, perché si ha la possibilità di stare a contatto con autori di spessore». ======================================================= __________________________________________________________ TST 5 dic. ’07 CANCELLARE I MEDICI NAZISTI DALLA MEDICINA Medici nazisti e malattie eponimiche, chiamate cioè col nome di coloro che hanno fornito la prima descrizione di una patologia o una sindrome, precedentemente sconosciuta. L’accostamento è emerso in questi giorni a proposito di non poche malattie conosciute col nome di clinici e scienziati il cui percorso medico scientifico è stato deontologicamente scorretto, o peggio. E' giusto assicurare l’immortalità o «dare onore al merito» ai medici e clinici seguaci dell'eugenismo e della segregazione razziale, che, nella Germania di Hitler, misero le loro competenze al servizio dell'Olocausto? O che, ancora, utilizzarono il «materiale umano» dei campi di sterminio per le loro disumane sperimentazioni? Se lo chiedono associazioni mediche, singolo scienziati e storici della Medicina nell’ambito di una riflessione aperta nel tempo. Nel 1976, ad esempio, dopo le notizie emerse sul genere di ricerca condotto a Dachau dal famosissimo gastroenterolo e pioniere dell’epatologia Hans Eppinger, la Fondazione Falk di Friburgo - dovette cancellare il premio a lui intitolato, istituito tre anni prima. Direttore della Clinica medica dell'Università di Vienna, Eppinger ha dato il nome ad una malattia, la splenomegalia congestizia da trombosi della vena splenica. Aveva messo a punto, nel 1944, con Cauchois e Frugoni, un protocollo sperimentale per la dissalazione dell'acqua di mare, utilizzando come test di controllo un gruppo di zingari deportati a Dachau, a cui venne somministrata per dodici giorni soltanto acqua non potabile, cosa che ne provocò la morte. Nel 2000, un insigne reumatologo americano, Daniel Wallace, ha proposto di ribattezzare la sindrome di Reiter (citata anche, in alcuni trattati, come «artrite reattiva»). Il nome è quello del medico nazista Hans Conrad Reiter (1881-1969), fedelissimo di Hitler e responsabile dell'Ufficio sanitario del Reich, direttamente coinvolto in esperimenti medici con cavie umane nei campi di concentramento nazisti. 250 prigionieri morirono a Buchenwald dopo essere stati deliberatamente infettati con un batterio (rickettsia) allo scopo di sperimentare il vaccino contro il tifo. Da tempo si chiede, inoltre, la rinominazione di un'altra malattia, la granulomatosi di Wegener (vasculite granulomatosa che determina necrosi e granulomi nella mucosa delle vie aeree e nel polmone ) per cancellare l'imbarazzante ipoteca di un nome, quello di Friedrich Wegener (1907-1990), appunto, direttore dell'Istituto di Patologia di Lodz, che sarebbe stato implicato nella selezione e nella deportazione degli ebrei del ghetto verso le camere a gas. Ma anche, forse, nell'analisi dei sintomi decompressivi sul corpo umano a grandi altitudini. All'attenzione anche una rara malattia neurodegenerativa, sconosciuta imo agli Anni Venti, in cui compare il nome del neuropatologo Julius Hallervorden (1882-1965), direttore nel Kaiser-Wilhelm Institute di Psichiatria. Che conoscesse i programmi di eutanasia non c'è dubbio. Così come sul fatto che li sfruttò per raccogliere i cervelli delle vittime da inserire nella sua collezione neuropatologica. Stando alla famosa relazione del dott. Leo Alexander, presentata al tribunale di Norimberga, lo scienziato chiese ai responsabili del centro di sterminio di Brandeburgo quel «materiale» per utilizzarlo nella sperimentazione. La società per le ambulanze pubblica portava i cervelli in contenitori da 150-250 pezzi per volta. «Io accettai i cervelli, naturalmente. Da dove venivano e come arrivavano a me non era affar mio». Le collezioni Hallervorden rimasero alle Facoltà di Medicina e agli Istituti di ricerca tedeschi, che nel 1990 annunciarono che non le avrebbero più utilizzate nel dubbio che potessero contenere resti delle vittime dell'Olocausto. Si avviava il dibattito sull'uso dei dati raccolti con la sperimentazione nazista e sulle scelte etiche della biomedicina. La discussione sulle malattie eponimiche e sui medici che voltarono le spalle all'etica può fornire nuovi motivi di riflessione. __________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 dic. ’07 NON SOLO TERAPIA: GLI OSPEDALI CURANO CON L'UMANITÀ Il medico indaffarato che non presta attenzione alle lamentele del paziente o l'infermiera un po' antipatica e sbrigativa sempre pronta a lanciare qualche rimprovero. Non è un corso di buone maniere, ma sta di fatto che negli ospedali cagliaritani sono destinate a scomparire alcune delle figure tipiche dell'immaginario sanitario comuni a chi frequenta i reparti. Nato per ridefinire radicalmente il rapporto tra ospedali, pazienti e familiari dei ricoverati, ieri sera sono stati presentati gli esiti del progetto di umanizzazione delle cure nel comparto dell'azienda sanitaria cagliaritana. «L'ottica è quella di rendere meno gravosa la degenza», ha spiegato Gino Gumirato, manager dell' Asl. «Per cinquecento anni il rapporto tra paziente e chi prestava le cure è sempre stato molto basato sull'umanità, poi nell'ultimo mezzo secolo qualcosa in questo rapporto è andato peggiorando. Ora, oltre alla qualità dei servizi sanitari, punteremo anche a migliorare la qualità dell'ambiente che circonda il paziente». Tra i principali obiettivi raggiunti dall'avvio del progetto, circa un anno fa, c'è stata la riorganizzazione dell'accoglienza dei degenti e dei loro familiari, ora affidata a degli staff specializzati e supervisionata da nuclei di controllo presenti negli otto ospedali. Nei reparti, poi, compariranno anche i volontari delle associazioni culturali e teatrali. Spazio anche alle scuole superiori, ieri sera presenti in massa alla chiusura della prima fase del progetto "Uno studente per amico". Coordinati da insegnanti, i ragazzi dei principali istituti della città hanno messo in scena all'interno degli ospedali numerose rappresentazioni teatrali, ma anche concerti e momenti di semplice compagnia con le persone ricoverate. Spazio poi alle critiche con un questionario anonimo ("La sua opinione sul nostro ospedale") distribuito a pazienti e familiari che ha permesso di tracciare la mappa delle lamentele, così da intervenire direttamente per migliorare i servizi. Sedici domande sulla gentilezza del personale, la completezza delle informazioni, la soddisfazione delle cure mediche, l'efficienza di medici e infermieri, ma anche la qualità stessa della degenza con anche quesiti su eventuali motivi di disturbo del sonno o di imbarazzo. Questionario che resterà nel tempo, così migliorare ulteriormente la qualità delle prestazioni e intervenire rapidamente non solo sulle prestazioni sanitarie ma anche sull'ambiente che ospita una persona che soffre. FRANCESCO PINNA Sanità. I primi due anni del progetto dell'Asl per l'umanizzazione delle cure e della degenza in corsia Sorrisi e colori: l'allegria negli ospedali Il manager Gino Gumirato: «Abbiamo vinto una prima grande sfida» CAGLIARI. All'ospedale Santissima Trinità hanno pensato bene, per differenziare i reparti, di puntare sul colore: verdino, giallo e celeste. All'Oncologico la sofferenza dei pazienti è attenuata da clown, spettacoli teatrali, attori in erba pronti a leggere qualcosa a grandi e piccini. Sono solo alcuni esempi di come il ricovero in ospedale possa essere reso meno pesante, esempi di quel processo, chiamato "umanizzazione delle cure", che vuol dire regalare ai malati un po' più di calore. Nel nome di un ritrovato rapporto umano anche in corsia. All'umanizzazione delle cure ospedaliere la Asl 8 ieri ha voluto dedicare, nella sala convegni della Banca Cis, un'intera serata: un po' per fare il punto sui primi due anni del suo progetto di umanizzazione, un po' per far toccare con mano di cosa si tratta, con tanto di spettacoli inframezzati qua e là. Quello della Azienda sanitaria è stato il primo progetto di questo tipo sperimentato in Sardegna: sono partiti dalla definizione degli obiettivi e dalla costituzione dello "staff aziendale per l'umanizzazione". Poi hanno messo su i "nuclei operativi per l'umanizzazione", una sorta di quartier generale (uno per ogni ospedale o presidio) in grado di stabilire le specifiche esigenze e quindi il tipo d'umanizzazione da portare avanti. Il manager della Azienda sanitaria, Gino Gumirato, non ha nascosto che quando gli è stata proposta l'idea ha avuto un momento di smarrimento dovuto, ha spiegato, «all'opportunità del momento storico che l'azienda stava vivendo». Ricoveri ordinari e day hospital fuori controllo, gran numero di ricoveri inappropiati, spesa farmaceutica tra le più alte in Italia. Con questi e altri mille problemi la Asl poteva permettersi di pensare all'umanizzazione? «Sì», è stata la risposta di Gumirato. Così l'azienda s'è messa a lavoro portando a casa alcuni risultati interessanti come la rivisitazione dell'accoglienza dei pazienti e dei loro familiari o l'organizzazione di momenti ricreativi e di socializzazione con l'associazione "Le mani dei Sarti", che ad esempio, ha portato i burattini in corsia. Certo, i problemi non sono ancora tutti risolti: in alcuni casi per i pazienti non è facile parlare con il medico, e le attese, specie al pronto soccorso, sono quanto di più snervante possa esserci. Come dire che siamo appena gli inizi. Guai però a pensare che il risultato finale sia lontanissimo. «L'umanizzazione - ha avvertito Guido Tuveri, direttore del Dipartimento di oncologia degli Ospedali riuniti di Trieste - non è così difficile». Neppure in termini di costi, se si si pensa, come ha raccontato Tuveri, che in un piccolo ospedale della sua zona per dare un po' più di calore alla sala attesa del reparto di oncologia, è bastato appendere alle pareti dei quadri realizzati da alcuni artisti locali per rallegrare l'ambiente. Ad ogni modo, ha aggiunto Guido Tuveri, l'importante è ricordare che la qualità dell'azienda dipende dalle persone, perché l'azienda «è chi ci lavora», e anche un giusto approccio, in termini umani, con il paziente è già un'ottima medicina. Sabrina Zedda ______________________________________________________ La Repubblica 3 dic. ’07 MEDICINA: TEST TRUCCATI Blitz a TorVergata, alla Sapienza e al Campus Biomedico MARINO BISSO CARLO PICOZZA DALL'ABUSO d'ufficio fino alla truffa. Sono le ipotesi di reato, ancora da definire, sulle quali stanno lavorando i carabinieri del Nas che, nei giorni scorsi, nelle facoltà di Medicina di Tor Vergata, della Sapienza e del Campus Biomedico, hanno acquisito centinaia di test di ammissione corsi di laurea a numero chiuso. L'inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Giancarlo Amato e dal procuratore aggiunto Maria Cordova, è ancora contro ignoti e punta ad accertare se durante le prove di accesso ai corsi universitari a numero chiuso si siano consumate irregolarità o, peggio, atti illeciti. In particolare, se siano state favorite alcune delle aspiranti matricole a scapito di altre. I test sotto accusa sono quelli del settembre scorso, disposti dal ministero dell'Università. A far scattare l'indagine è stato un esposto presentato dall'avvocato Michele Bonetti e firmato da Federica Manuela Musetta per conto dell’Udu, l'Unione degli universitari, che sui test sta conducendo una battaglia, anche davanti al Tar, per chiederne l'annullamento. L'associazione degli studenti, in due diverse denunce, ha raccolto le testimonianze di centinaia di iscritti che, nero su bianco, hanno raccontato di comportamenti censurabili dei membri delle commissioni durante gli esami. I casi più gravi sarebbero stati segnalati nella facoltà di Medicina di Tor Vergata dov'è stata registrata la strana combinazione tra punteggi altissimi (dei primi 50 classificati) e correzioni a mano sui quiz. L'Udu, in altre parole, adombra l'ipotesi che gli elaborati siano stati truccati dopo la consegna. È lungo l'elenco delle presunte irregolarità che si sarebbero consumate tra i banchi delle aule di Tor Vergata, Sapienza e Campus Biomedico: studenti che segnalano la consegna degli elaborati in buste già aperte, altri che denunciano «l'alterazione di risposte giuste con altre sbagliate». E sono in molti ad additare i comportamenti "permissivi" dei commissari di esame che avrebbero eluso i controlli consentendo agli studenti l'uso di telefonini e la consultazione di testi manuali e altri ausili. Ma, sopra tutti i sospetti campeggia quello dei «suggerimenti delle risposte giuste ai candidati forniti dagli stessi commissari». ______________________________________________________ La Repubblica 4 dic. ’07 MEDICINA, TEST SBAGLIATI Si complica il giallo degli esami di ammissione a Tor Vergata, Sapienza e Campus Biomedico La denuncia degli studenti. Commissione `fantasma" MARINO BISSO CARLO PICOZZA ON c'è solo il sospetto che N siano stati falsificati i test di ammissione alle facoltà di Medicina di Tor Vergata, Sapienza e del Campus Biomedico Nell'inchiesta sulle presunte irregolarità consumate negli esami per l'accesso ai corsi di laurea a numero chiuso entra anche il giallo di una commissione ministeriale svanita nel nulla dopo aver preparato i quesiti da sottoporre alle aspiranti matricole universitarie. Ottanta domande per le quali i candidati avevano due ore di tempo per rispondere. Test ritenuti «illegittimi» dall'Udu, l'Unione degli studenti, che ha chiesto al Tar di annullare le prove. Così, con i ricorsi davanti ai giudici amministrativi, sono state presentate alcune relazioni peritali che documentato come molti dei quesiti in questione fossero imprecisi, ingannevoli e, addirittura, senza soluzione oppure abbinati a risposte sbagliate quando non a risposte corrette multiple. Per questa ragione l'avvocato Michele Bonetti, per conto dell'Udu, ha chiesto di poter conoscere i criteri adottati nella scelta dei quesiti. «Alcuni nostri iscritti hanno sollecitato l'accesso agli atti della commissione per tentare di comprendere come si siano potuti commettere così tanti errori», spiega la coordinatrice nazionale dell'Udu, Federica Manuela Musetta. Un accesso impossibile: «Gli atti della commissione sono stati tutti distrutti: "Non esistono più file né documentazione cartacea", ci ha risposto un funzionario del ministero. E, sparita ogni traccia dei lavori della commissione, i nostri dubbi non avranno risposta. È un fatto grave: preclude l'accertamento della verità e delle eventuali responsabilità». Il ministero si è rifiutato di dare volto e nome ai componenti della commissione. Perché? «Tutela della privacy». E all'istanza per avere l'accesso agli atti si è limitato a rispondere che la commissione è formata da due docenti universitari, da tre delle secondarie e da due ispettori ministeriali. «Per garantire la riservatezza degli incontri», precisa in una lettera il ministero dell'Università e della Ricerca, «la commissione ha operato presso la direzione generale utilizzando una stanza appositamente organizzata, dove i computer a disposizione non erano collegati in rete. La commissione ha dichiarato che, al termine dei lavori, sono stati cancellati tutti i file e distrutti i documenti cartacei prodotti». In sostanza, nonostante le inchieste penali in corso e i procedimenti pendenti al Tar, non sarà più possibile accertare anomalie o illeciti sui test sotto accusa. Ma c'è di più: «Non è stato redatto alcun verbale», ammette il ministero, «in quanto era interesse della direzione generale entrare in possesso del solo prodotto finale della commissione ovvero dei quesiti oggetto delle prove, operazione questa avvenuta e verbalizzata». 80 DOMANDE IN 2 ORE I test di ammissione dello scorso 10 settembre prevedevano 80 quesiti: molti sono risultati ambigui e con soluzioni errate SPARITI I VERBALI La commissione ministeriale subito dopo aver definito i quesiti dei test ha disposto la distruzione di tutti i file dei verbali delle sedute L'Udu "Così è piú difficile accertare la verità" __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 dic. ’07 DIRINDIN: LE RAGIONI DEL MANCATO ACCORDO CON I MEDICI DI FAMIGLIA Un organismo nazionale è stato chiamato a sbloccare una controversia dannosa per tutti E' dal marzo del 2005 che va avanti la vertenza con i medici di famiglia per il contratto integrativo regionale. E, dopo alterne vicende, nelle scorse settimane, abbiamo deciso di rivolgerci ad un organismo nazionale "dirimente", la Sisac (Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati), perché sblocchi una controversia che non giova agli assistiti, ma neanche ai medici sardi. Per questo ritengo opportuno spiegare pubblicamente - anche come segnale di disponibilità e di fiducia verso i tanti medici che operano quotidianamente con coscienza e senso di responsabilità - perché non siamo riusciti a chiudere una vertenza tanto importante. Non nascondo l'amarezza per l'andamento della trattativa, che in più occasioni ha visto il principale sindacato dei medici, la Fimmg, abbandonare il tavolo dei lavori, preferendo le esternazioni sui giornali e le conferenze stampa al confronto serio e costruttivo, sia con la parte pubblica che con le altre organizzazioni sindacali. Un primo elemento di contrapposizione è legato alla fissazione degli obiettivi di miglioramento dell'assistenza. In maniera assolutamente anomala il Contratto collettivo nazionale dei Mmg impone, tra le altre cose, alle Regioni il pagamento sin da subito di 3,08 euro a paziente, e rinvia al tavolo regionale la fissazione degli obiettivi. Per intenderci: soldi sì, obbiettivi ancora no. Per mesi la Fimmg, allora guidata da un altro segretario, ha bloccato il tavolo delle trattative ponendo come pregiudiziale la revisione del rapporto ottimale, cioè il numero di pazienti assistibili per ogni medico. Non andava bene il parametro nazionale di 1000 pazienti per medico, chiedevano un incremento, incuranti del fatto che - come più volte abbiamo rimarcato - una scelta in tal senso avrebbe bloccato per circa dieci anni l'accesso al lavoro di numerosi medici più giovani. E solamente dopo un pronunciamento da parte del Tar, la Fimmg ha rimosso la pregiudiziale. C'è stato poi il rifiuto alla prescrizione di presidi quali le strisce per il controllo della glicemia dei diabetici, trasferita ai Mmg anche per venire incontro alle richieste delle associazioni di pazienti. La Fimmg ha attuato un blocco inspiegabile tanto più in Sardegna, arrivando fino a invitare formalmente i suoi iscritti ad una sorta di "obiezione" (come accaduto a dicembre scorso nella Provincia di Sassari). Fortunatamente in pochi hanno seguito il sindacato in questo mortificante braccio di ferro giocato sulla pelle degli assistiti. In realtà, allora come adesso, il nodo che sembra bloccare sul nascere qualunque accordo è rappresentato dalla richiesta - da parte nostra - di un attivo ruolo dei Mmg per il miglioramento dell'appropriatezza dell'assistenza per specifiche patologie (il diabete, le malattie cardio-vascolari, gli screening oncologici ecc.), la riqualificazione della spesa farmaceutica, l' appropriatezza dei ricoveri. Abbiamo osato chiedere ai medici di ricevere gli informatori scientifici fuori dall'orario di ambulatorio. Abbiamo proposto loro di partecipare ad un programma di informazione indipendente sulla prescrizione dei farmaci. Ci siamo spinti fino a pretendere che operatori pagati dal servizio pubblico accettassero di collaborare con esso, per migliorare l'assistenza sul territorio, e a domicilio del paziente laddove possibile. Abbiamo, infine, osato coinvolgere la Fimmg nel controllo della spesa per i farmaci, la voce che più di ogni altra ha inciso in passato sul disavanzo della sanità sarda. Come? consigliando - non imponendo - il ricorso alla prescrizione di farmaci equivalenti (non di marca) o a farmaci che hanno perso il brevetto, e quindi sono meno costosi. Non certamente meno efficaci per il paziente; e con la possibilità di deroga qualora ci fossero accertati casi di intolleranza. Una commissione regionale formata da stimati e riconosciuti professionisti ha lavorato ad un prontuario farmaceutico, dando pareri tecnici basati su dati scientifici non opinabili. Ciò non è servito a convincere la Fimmg, pur favorevole in un primo momento (vedi Linee guida proposte dai medici nel 2004) al ricorso ai farmaci equivalenti. In più occasioni hanno lamentato di esser stati offesi dalle "insinuazioni dell'assessore" su questo tema. In realtà una cosa mi sono permessa di chiedere loro, al tavolo delle trattative così come in molte occasioni pubbliche: il rispetto del patto di fiducia con l'assistito, anche resistendo alle sirene delle case farmaceutiche abilissime, e generose, nel convincere all'utilizzo di un farmaco piuttosto che di un altro. Nessuna accusa o insinuazione, solo un appello - superfluo per chi già agisce secondo coscienza. Il 16 novembre scorso la Fimmg ha abbandonato per la terza volta (la prima è stata nel luglio 2006, la seconda nel marzo 2007) il tavolo della contrattazione, rendendo inevitabile il ricorso alla Sisac, benché le altre sigle sindacali siano disponibili a trovare un accordo. Comunque vada non ci saranno vincitori né vinti. Un sindacato che abbandona il tavolo mostra estrema debolezza, non certamente forza. Così come non può considerarsi vincente un'amministrazione pubblica che non riesce a convincere una parte importante del sistema a collaborare, nell'ottica di un reale cambiamento e nell'interesse dei pazienti. Ma non si può - come finora ha fatto la Fimmg - rifiutare di fissare obiettivi per ciò che è già adeguatamente pagato dal servizio sanitario pubblico. L'amministrazione che rappresento è disponibile fino all'ultimo a cercare un accordo con i Mmg, perché siamo convinti che la gran parte di loro sia disponibile e aperta al cambiamento più di chi li rappresenta; che non consideri l'assistito come un "numero del rapporto ottimale", né si ritenga sminuita nel prescrivere un farmaco fuori brevetto, perché ciò che conta è il benessere del paziente, e non la casa farmaceutica che lancia questo o quel farmaco. A dimostrazione della nostra disponibilità, nella Finanziaria 2008 abbiamo previsto altri 2 milioni e mezzo proprio per far fronte al contratto integrativo dei Mmg. Soldi che - è giusto che i medici lo sappiano - rischiano, per il 2007, di finire in economia per il rifiuto della Fimmg a chiudere anche un pur minimo accordo entro il mese di dicembre. * assessore regionale alla sanità __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 dic. ’07 di Paolo Carossino * MEDICI DI FAMIGLIA: «LA DIRINDIN VUOLE IMPORCI INACCETTABILI ACCORDI CAPESTRO» La replica all'assessore del segretario regionale della Fimmg: «Sta delegittimando i rappresentanti di una categoria» Al cambiamento del governo, né più né meno di ogni altro cittadino abbiamo sperato, indipendentemente dal nostro credo politico, che qualcuna delle promesse "elettorali" e delle parole d'ordine della compagine vincente fossero condotte fino ad atti concreti. Credo che tutti i cittadini - costretti a confrontarsi con liste d'attesa, esenzioni, ticket e rimborsabilità dei medicinali, disabilità e cronicità propria o di congiunti da assistere a domicilio anche per dimissioni dall'ospedale spesso troppo rapide - sperassero che fosse dato maggior impulso alla medicina del territorio, e quindi ad un'assistenza più vicina al paziente e quando è il caso portata al suo stesso domicilio. In questo contesto, con un pizzico di presunzione, pensavamo di poter giocare un ruolo degno, e soprattutto di poter portare all'attenzione dell'assessorato le ragioni dei cittadini, di quei pazienti che continuamente ci raccontano di disservizi e pesi burocratici sempre in aumento. Abbiamo accolto quindi con favore il Piano sanitario, una sorta d'atto di indirizzo, che consentiva di conoscere gli intendimenti dell'amministrazione, vincolava le future azioni in sanità del governo e che molto spesso si occupava di temi o adottava soluzioni da noi stessi auspicati. È dal novembre del 2004 che una serie di questioni ci contrappongono all'assessore alla Sanità, professoressa Nerina Dirindin. Iniziamo con il dire che l'assessore esordì decidendo unilateralmente di non dare luogo ad una parte del nostro contratto regionale. Nel precedente accordo regionale, infatti, avevamo, credo virtuosamente, vincolato una parte dei nostri guadagni (dobbiamo ricordare che siamo lavoratori?) ad una prescrizione appropriata, per indicazione e per uso delle risorse. Ma l'assessore non ritenne doveroso onorare un impegno del suo predecessore. Qualunque organizzazione sindacale, a questo punto, avrebbe senz'altro condotto una battaglia ben più dura, ma abbiamo erroneamente confidato che fosse possibile ricondurre questa ed altre questioni nell'ambito della trattativa che avremmo poi aperto. Un accordo integrativo regionale può, nell'accordo appunto delle parti, individuare compiti o nuove modalità assistenziali a fronte di un compenso extra. Per fare un esempio, il precedente AIR del 2002 disponeva un 3-4% in più, per più voci, e sostanzialmente per attivare la reperibilità dei medici di fiducia al cellulare nel corso della giornata. Nella trattativa per il rinnovo abbiamo invece scoperto che ci si proponevano nuove prestazioni e più gravosi compiti, senza prevedere alcun compenso suppletivo, che ci si chiedeva d'incrementare l'orario di lavoro, come atto dovuto «per poterci considerare a pieno titolo facenti parte del Sistema sanitarios regionale», che qualche voce contrattuale veniva «riassorbita», che avremmo dovuto far fronte all'aumento dell'assistenza domiciliare senza reali investimenti in personale e risorse. Per altro siamo assolutamente favorevoli al farmaco generico, ma la Professoressa, che non frequenta gli studi dei generalisti, che non scende fra di noi per inaugurare un nuovo lettino da visita o un nuovo fonendoscopio, dovrebbe pur sapere cosa pensano i nostri pazienti del continuo cambiare la medicina o il nome commerciale, sicuramente equivalenti, per venire incontro alle sue necessità di bilancio. Un esempio di come viene intesa la concertazione e i rapporti sindacali è stata la strumentalizzazione della «prescrizione» dei presidi per i diabetici, che in un primo tempo avevamo accordato come un atto di buona volontà, ma che da sempre avevamo sostenuto di dover adempiere nel rispetto dell'accordo collettivo di lavoro, e che quindi abbiamo interotto. Specialmente perché, in fallo dal punto di vista normativo, si preferì delegittimare l'avversario, magari esponendolo al ludibrio dei pazienti, quasi che ai medici fossero da imputarsi le proprie incapacità gestionali, purtroppo sempre più evidenti. Ed eccoci presentati come medici bruti alla Jeckill/Hyde, insensibili e vessatori dei propri pazienti. D'altronde la Professoressa inanella nello stesso capoverso dell'intervento pubblicato sabato sulla «Nuova», la nostra recriminazione per «essere stati offesi dalle insinuazioni dell'assessore» in materia di informazione scientifica e le sue affermazioni su «le sirene delle case farmaceutiche, abilissime e generose nel convincere all'utilizzo di un farmaco piuttosto che di un altro». Ma la Professoressa sa che esiste una normativa precisa in materia di informazione scientifica? Sa come l'informazione scientifica è portata nei nostri studi o esce solo ora da un filmetto trash anni Sessanta? Se ha riscontro di comportamenti scorretti mi chiami. Sarò lieto di accompagnarla io stesso di fronte al magistrato, per denunciare con lei qualunque medico abbia peccato. Ma se no, che taccia. Dall'alto del suo scranno dovrebbe ben sapere che insinuare una immeritata sfiducia nel proprio curante è un atto vergognoso, che arreca un danno enorme alla medicina di famiglia ed all'intero sistema sanitario. Io sono solo da poche settimane alla guida del sindacato, ma voglio ricordare che la trattativa si è riaperta solo dopo esser ricorsi, dopo un gran ritardo e peraltro con esito negativo, direttamente ad un presidente Soru non certo ben consigliato. Non abbiamo dunque abbandonato il tavolo, ma semplicemente rifiutato le inaccettabili e scandalose condizioni capestro che ci si volevano imporre e che il 16 di novembre hanno indotto la Professoressa a minacciare, e non con dispiacere adottare, il ricorso ad organismo superiore, la SISAC, di cui in fondo credo tema le considerazioni. Oggi, con sgomento per ogni sostenitore del metodo democratico, si prova a delegittimare i rappresentanti sindacali di una categoria professionale, cosa inaudita per ogni governo democraticamente eletto, di destra o di sinistra. La censura di questo comportamento è totale, per il metodo e per i contenuti, ed ogni medico di famiglia della Sardegna sarà moralmente impegnato a stringersi attorno alle proprie democraticissime istituzioni e a spiegare ai propri assistiti i veri intendimenti dell'assessore. * Segretario regionale della Fimmg medici di famiglia __________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 dic. ’07 CAGLIARI: LA WIKIPEDIA DELL'ECOGRAFIA Una finestra acustica (gratuita) ideata da un radiologo cagliaritano C'era una volta Karl Theodore Dussik, un neurologo viennese che si mise in testa di realizzare un nuovo strumento diagnostico. Ci riuscì con l'aiuto del fratello Friederich, fisico, sfruttando un principio molto semplice: l'analisi dell'eco prodotto quando le onde incontrano degli ostacoli. Lo stesso che portò alla nascita del sonar e del radar. I fratelli Dussik riuscirono a individuare tumori cerebrali osservando cosa accadeva a un fascio di ultrasuoni puntato sul cranio di un paziente: la pubblicazione del 1942 descrive il funzionamento dei precursori dei moderni ecografi. Oggi l'uso degli ultrasuoni è una pratica diagnostica di frequentissimo impiego: l'esame ecografico è innocuo per l'organismo e non sussistono limitazioni o prescrizioni. L'ecografia è utilizzata in ginecologia, medicina interna, ortopedia e cardiologia, e in molti altri campi. L'aumento della specializzazione impone un ricorso all'aggiornamento spesso difficile da attuare. E se ancora una volta la soluzione arriva da Internet il merito è di un gastroenterologo e radiologo dell'ospedale Brotzu: Danilo Sirigu, cagliaritano, docente alla scuola di ecografia internistica della Società italiana medici ecografisti. L'idea è semplice: inserire i video delle ecografie in un sito Web. Ma la complessità organizzativa e la necessità di rigore scientifico fanno di questa iniziativa un autentico girello telematico. «Ho pensato di creare una sorta di Wikipedia ecografica che io chiamo finestra acustica libera e gratuita. È utile agli studenti di medicina e serve al confronto professionale per gli specialisti: www.ecomovies.it a quanto ne so è la prima vetrina online di questo tipo al mondo». Una preziosa banca dati, alla quale medici e studenti accedono gratuitamente dopo essersi registrati. I video proposti vengono analizzati dal comitato scientifico che li pubblica nelle varie categorie». ANDREA MAM __________________________________________________________ L’Unità 3 dic. ’07 TROPPE TAC NEGLI USA: CRESCE IL RISCHIO CANCRO L'allarme di un gruppo di radiologi L'elevato numero di Tac effettuate in questi anni negli Stati Uniti potrebbe aver aumentato il rischio di tumori, a causa della quantità di radiazioni che l'esame comporta. Molte di esse vengono eseguite senza una reale necessità, anche nei bambini. A sostenerlo è un gruppo di radiologi della Columbia University, che ha pubblicato un articolo sul «New England Joumal of Medicine». Negli Usa si effettuano ogni anno più di 62 milioni di Tac, 20 volte più rispetto al 1980. __________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 dic. ’07 DELLA SANITÀ SARDA AI TEMPI DI SORU Direttori generali a tempo (insufficiente) di Franco Meloni Sin dal suo insediamento, la Giunta regionale ha affidato all'assessore Dirindin un tentativo di radicale ristrutturazione della sanità sarda, sul quale, per dirla con un grazioso eufemismo, esistono diffuse perplessità. Infatti, a tre anni e mezzo dall'inizio del processo, sono molte le aree contraddittorie, quando non apertamente velleitarie, e tra queste spiccano gli aspetti relativi al governo del sistema. A seguito della drastica epurazione di coloro che in qualche modo potevano apparire legati alla precedente amministrazione di centrodestra ma anche, e forse con ancor maggiore ferocia, di molti considerati vicini a settori dello stesso centrosinistra non contigui all'attuale potere e demonizzati come vecchi quando non corrotti, le Aziende Sanitarie sono oggi affidate a un gruppo di direttori generali che hanno alle spalle pochi anni di esperienza nel ruolo, con pochissime eccezioni. Nonostante questo, si è pensato bene, con una improvvida decisione di cui francamente non si riesce a vedere la logica (a meno di non pensare male!), di limitare i loro mandati a tre soli anni. Si tratta con tutta evidenza di una scelta sbagliata, ove si consideri la natura e la complessità dei compiti loro affidati: i direttori generali devono essere capaci di combinare in una sintesi efficace le tecniche professionali e le politiche sanitarie locali, implementando quei cambiamenti grandi e piccoli che il raggiungimento dell'interesse pubblico richiede. Questo vuol dire negoziare con le diverse rappresentanze obiettivi realistici, partendo dalla presa d'atto delle situazioni esistenti e delle risorse disponibili, vuol dire definire strategie di riorganizzazione aziendale ragionevoli senza cedere alla frenesia dei cambiamenti tanto per dimostrare di esserci. Vuol dire coinvolgere nei progetti il maggior numero possibile dei dipendenti che devono essere parte attiva nella definizione delle strategie in maniera da riconoscerle come parte del loro lavoro, motivare i collaboratori e selezionarne di nuovi a tutti i livelli, resistere per anni a un logorio e a una pressione politica e mediatica tremenda, superare la noia della ripetitività quotidiana dei problemi e delle lamentele, il tutto tenendo a bada oppositori e interessi consolidati. È nozione abbastanza comune che anche un abile manager che arriva alla testa di una organizzazione complessa necessita di almeno un anno per rendersi conto delle situazioni e scegliersi lo staff, un secondo anno per programmare e impostare l'esecuzione dei piani operativi e, infine, negli anni successivi si vedono i risultati: se si considerano i tempi obbligati delle pubbliche amministrazioni, anche delle più efficienti, si capisce che il mandato di tre anni è un errore madornale, per giunta pesantemente aggravato dalla sostanziale cancellazione di tutto quello che c'era prima. Purtroppo i direttori generali non si comprano al mercato, non crescono nelle sedi dei partiti e neppure nelle vicinanze; non si inventano con una delibera, ma sono il frutto di precisi percorsi organizzativi a loro volta conseguenza di un humus ambientale e professionale maturo e stabile. L'assessore ha scelto di rinunciare alle professionalità presenti nel sistema (e ve ne erano tante, incluse molte politicamente vicine all'attuale maggioranza) per ricominciare daccapo e, dopo aver selezionato una classe di amministratori i cui risultati, salvo qualche lodevole eccezione, appaiono complessivamente modesti, ha reso il loro compito ancora più difficile concedendo un tempo insufficiente. L'unica spiegazione valida per queste scelte sta in quello che vediamo tutti i giorni e cioè un accentramento dei poteri decisionali in capo all'assessore che rende i direttori generali dei meri esecutori delle volontà politiche regionali, senza alcuno spazio di autonomia, cosa che però ha lo svantaggio di una mortificazione delle capacità gestionali e professionali dei manager e dei loro staff. Un disegno sbagliato che depotenzia le risorse professionali di tanti a vantaggio di un sistema orwelliano in cui un unico grande e superiore cervello decide per tutti, con i risultati che vediamo tutti i giorni e di cui i cittadini non sembrano essere troppo soddisfatti. Queste cose le sa anche l'ultimo impiegato della Regione, dovrebbe saperle anche l'assessore. __________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 dic. ’07 GLI OSPEDALI PRIVATI CHIEDONO LA PARITÀ L'Aiop: necessaria un'Authority Barbara Gobbi ROMA Istituire un'Authority indipendente per garantire parità di trattamento tra strutture pubbliche e private. La richiesta arriva dall'Associazione italiana ospedalità privata (Aiop), che ieri ha presentato a Palazzo Marini a Roma la V edizione del rapporto "Ospedali&Salute". L'indagine, realizzata dalla società Ermeneia, passa in rassegna dati quantitativi e qualitativi del pianeta ospedale. E se l'esame della qualità è superato a pieni voti da tutte le strutture, è lungo il "cahier de doléance" dei privati accreditati. Le case di cura puntano il dito, nel rapporto, contro la «permanente asimmetria di trattamento a vantaggio di quelle pubbliche», conseguenza di «una mancata applicazione piena e coerente della normativa e delle modalità di finanziamento». Sotto accusa, i tetti di spesa diversi da regione a regione e il meccanismo delle "regressioni tariffarie", applicato in caso di superamento del "tetto" in circa il 70% dei casi. A ciò si aggiungerebbe l'erogazione posticipata delle fatture in 9 casi su dieci, con un ritardo medio di 7,3 mesi. Strumenti, questi, impropriamente utilizzati come mezzi di contenimento della spesa complessiva da parte dello Stato, a danno dei privati. Tanto che in otto anni l'incidenza della spesa corrente per i privati accreditati sul totale destinato alla spesa ospedaliera è sceso dall'8,9% del 1999 al 7,6% del 2006. «Il problema - ha spiegato il presidente Aiop Enzo Paolini - è che oggi c'è un groviglio di funzioni in capo allo stesso soggetto (il pubblico) che deve controllare ed essere controllato». Intanto, 9 utenti su 10 tra i 12 milioni di italiani che ogni anno ne varcano la soglia, considerano l'ospedale come parte di un sistema misto pubblico/privato. Anche se soltanto il 30% della popolazione sa di poter rivolgersi al privato accreditato senza spese aggiuntive. __________________________________________________________ La Voce 4 dic. ’07 SANITÀ: SARDEGNA LA PIÙ VIRTUOSA DEL MEZZOGIORNO servizi Asl e pronto soccorso accessibili L'88 per cento dei cittadini promuove la sanità di Matteo Bordiga Vicini e accessibili. Sono i presìdi sanitari dell'Isola, che coprono il territorio regionale in maniera capillare. E, soprattutto, strategica: i sardi sono mediamente soddisfatti dell'ubicazione e reperibilità dei servizi Asl e delle unità di pronto soccorso. Un'indagine Istat sul disagio sociale, aggiornata al 2006 e riportata ieri dal quotidiano Il Sole-24 Ore, presenta la Sardegna come la regione più virtuosa del Meridione in materia di distribuzione delle unità di soccorso sul territorio: quasi l'88% delle famiglie isolane promuove la loro accessibilità, con un indice di gradimento in progresso rispetto al 2002. Solo il 12,3% dei nuclei familiari interpellati ha dichiarato di incontrare molte difficoltà nell'accedere ai servizi delle Asl: una percentuale superiore a quella nazionale, pari al 10,5%, ma meno allarmante di quella riscontrata nel Mezzogiorno, che si attesta attorno al 15%. In particolare, l'11,2% dei sardi trova difficoltoso l'accesso ai pronto soccorso e il 7,7% alle Asl, a fronte di medie nazionali del 9% nel primo caso e del 6,5% nel secondo. Se per il Mezzogiorno le cause di insoddisfazione vanno ricercate soprattutto nell'ubicazione poco felice dei presìdi, in Sardegna gli unici problemi sono determinati dalle interminabili code che si creano all'interno delle unità di soccorso: «È il nostro unico cruccio», osserva Franca Pretta, coordinatrice regionale del Tribunale per i diritti del malato di Cagliari, «perché le file di persone che si ammassano nelle sale dei pronto soccorso, generando tempi di attesa biblici, sono frutto di alcune distorsioni del sistema». Ma anche dell'indisciplina dei cittadini, che «ricorrono al pronto soccorso in maniera spesso impropria: anziché consultare il medico di base, affollano i presìdi ospedalieri per farsi diagnosticare patologie trascurabili. Quanto alla vicinanza dei centri sanitari rispetto alle abitazioni, però, anche i dati in nostro possesso confermano un sostanziale gradimento da parte della popolazione». Insomma, il territorio è ben coperto: «Rimangono un po' sacrificati i paesi, specie quelli dell'interno», precisa Pretta, «ma tutto sommato si riesce a trasportare il malato dal suo domicilio al centro di cura con una certa celerità. In particolare, nell'ultimo anno l'avvento dell'elisoccorso ha rivestito un ruolo cruciale nel velocizzare le procedure. Soprattutto a vantaggio della grande traumatologia». Osservazione ribadita dall'assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin: «L'elisoccorso è attivo dal 2006: un elicottero presidia il territorio durante tutto l'anno, rafforzato da un “gemello” nel periodo estivo. Ora abbiamo l'obiettivo di migliorare il servizio, integrandolo con un altro elicottero da utilizzare durante tutto l'anno e tre mezzi complessivi per coprire la stagione estiva». Quanto alla distribuzione sul territorio dei centri di cura, l'assessore sottolinea che «considerando la conformazione geomorfologica della Sardegna dobbiamo sentirci fieri di essere la prima regione del Meridione. Altri, non dovendo fare i conti con i rilievi collinari e montani con i quali ci troviamo a combattere noi, fanno segnare risultati nettamente peggiori». Se poi si aggiunge che l'Isola dispone di una rete viaria inadeguata e fatiscente, «il bilancio non può che essere positivo. Sappiamo che molto rimane da fare, ma non c'è dubbio che siamo sulla buona strada». _________________________________________________________________________ GENTE 13 Dic. 20007 BASTA BISTURI PER IL CANCRO AL SENO UNA SPERANZA CONTRO ILTUMORE PI COMUNE PERLE DONNE Un ultrasuono che brucia le cellule tumorali. All'Istituto europeo di oncologia si sta testando una nuova tecnica non invasiva. «Vogliamo battere la malattia senza ferri», dice il professor Umberto Veronesi di Francesco Gironi Solo la sensazione, lunga non più di un secondo, che la punta di un ago le si scaldasse nel seno. La giovane ventenne, appena dimessa, racconta di non aver sentito altro. Così però ha eliminato uno dei 25 noduli che le si erano formati: senza anestesia né bisturi, come invece era stata costretta a fare già altre quattro volte. Lei è una delle pazienti in cura con una nuova e innovativa tecnologia in corso di sperimentazione presso l'Istituto oncologico europeo di Milano diretto dal professor Umberto Veronesi. «È come usare un bisturi invisibile, maneggiandolo dall'esterno>, semplifica Franco Orsi, responsabile del reparto di Radiologia interventistica dove viene praticato il nuovo trattamento. Ed è proprio questo l’obbiettivo e la speranza del professor Umberto Veronesi: «Arrivare a una terapia anticancro senza più bisturi né radiazioni». Di che cosa si tratta? L'aspetto della macchina è quello di una Tac: un cilindro all'interno del quale passa la paziente, sdraiata "a pancia in giù" su un lettino, con il seno malato immerso in una vasca di acqua purificata. A questo punto, un fascio di ultrasuoni viene "sparato" verso le cellule tumorali, individuate attraverso un'ecografia. Succede come quando un bambino brucia una foglia concentrando la luce del sole con una lente: le cellule colpite dagli ultrasuoni vengono scaldate fino a una temperatura di 100 °C e muoiono, risparmiando però la zona sana attorno al tumore. Il tutto con una seduta che dura al massimo 5 ore, a seconda del tipo di tumore, benigno o maligno. Questa metodologia, battezzata "Ultrasuoni focalizzati ad alta intensità" (Hifu), è stata sviluppata in Cina circa 10 anni fa oggi è impiegata in 45 strutture ospedaliere in Estremo Oriente. «La tecnica non è nata per la cura del tumore della mammella, precisa Orsi, l’esperienza asiatica è basata sul trattamento di lesioni al fegato, alle ossa, al pancreas, ai reni e alla milza: insomma di tutte quelle strutture anatomiche visualizzabili con l'ecografia.. Dallo scorso anno L’Hifu è sbarcata in Europa: all'ospedale Edouard Herriot di Lione (Francia) è stata sperimentata con successo contro il cancro alla prostata. Ora qui, alle porte di Milano. verranno studiati quelli che i medici chiamano "protocolli d'uso", ovvero le regole che, nel Vecchio Continente, indicheranno quando e come usare la cura. =Questa fase servirà per stabilire il modo migliore di impiegarla sui pazienti occidentali, molto diversi da quelli orientali che invece arrivano alle terapie quando la malattia è in fase molto avanzata», spiega ancora Orsi. Infatti, mentre in Cina il numero di donne uccise dal cancro al seno è cresciuto negli ultimi dieci anni del 40 per cento, in Italia la situazione è ben diversa, anche se purtroppo rappresenta la prima causa di morte per tumore nelle donne. - Se si interviene in uno stadio iniziale, il tumore al seno guarisce in più del 90 per cento dei casi, con cure sempre meno aggressive e sempre più rispettose dell'integrità del corpo femminile, sottolinea Umberto Veronesi. Siamo, però, ai primi passi. =Finora, con questa nuova tecnica, abbiamo trattato sei pazienti con problemi al fegato e alle ossa oltre che alla mammella. L'Istituto europeo vuole sviluppare questa metodica proprio nell'ambito della patologia mammaria, ma per una definizione degli standard di trattamento la ricerca sarà lunga», avverte Orsi. Ma l'uso degli ultrasuoni potrebbe rappresentare una svolta nel campo della lotta contro il cancro. Negli Stati Uniti, per esempio, sta muovendo i primi passi una tecnica che permetterebbe, proprio attraverso gli ultrasuoni, di "rompere" le cellule tumorali stimolando l'organismo a produrre gli anticorpi necessari alla loro distruzione, prima che si diffondano su altri organi ______________________________________________________ La Repubblica 7 dic. ’07 SE IL MALATO È UN ROBOT Manifesta settanta patologie, si fa operare senza protestare, segue le terapie e se muore torna subito in vita. Il paziente perfetto è un androide americano che serve da cavia. In Italiane esiste un solo esemplare: a Padova FRANCESCO JORI PADOVA L'ESATTO contrario di Argante, l'ipocondriaco malato immaginario di Molière. Non solo è un paziente a tutti gli effetti, malo è pure a tempo pieno, visto che arriva a manifestare fino a una settantina di patologie diverse. Segue le terapie nel più ortodosso dei modi, si uniforma senza protestare alle decisioni dei medici, ed è talmente affezionato alla parte che se muore torna subito in attività. Gli manca (per ora) solo il nome: perché si tratta di un androide provvisoriamente battezzato con la sigla HPS (Human Patient Simulator), prodotto negli Stati Uniti dalla Meta, e oggi come oggi unico nel suo genere in Italia. Presta servizio alla Clinica di Anestesia e Medicina intensiva dell'università di Padova, dove è diventato uno strumento prezioso per la formazione e l'aggiornamento dei medici non solo locali: l'agenda dei corsi è piena fino a tutto il2008, arrivano prenotazioni anche dall'estero, nei giorni scorsi è stato il turno di un gruppo di camici bianchi cinesi e giapponesi. «Un'opportunità unica per andare oltre le frontiere della formazione tradizionale, attraverso una simulazione avanzata che permette di riprodurre ambienti e situazioni reali, e di lavorare sui più diversi scenari clinici», commenta il professor Carlo Ori, docente di anestesiologia e rianimazione all'università di Padova, di fatto il medico di fiducia del malato a tempo pieno. Tutto comincia a fine anni Novanta, quando il professor Giampiero Giron, nome storico dell'anestesia e rianimazione della scuoia clinica padovana, partecipa a un congresso medico negli Stati Uniti; in uno stand vede un manichino supertecnologico, e cogliendone le potenzialità ai fini didattici riesce a ottenere un finanziamento per l'acquisto. Naturalmente, il robot da solo non basta: occorre costruirgli attorno un ambiente dedicato (macchinari, materiali, software, eccetera). Alla fine, la realizzazione del progetto comporta un investimento attorno ai 750mila euro, ma 1i vale tutti: «Questa è la didattica del futuro, basata su una realtà virtuale cosi realistica da confondersi con quella reale», osserva Giron. Dal canto suo Ori, per rendere l'idea delle potenzialità dell'iniziativa, ricorre a una frase di Benjamin Franklin: «Dimmelo e me lo dimenticherò, insegnamelo e posso ricordarmelo, coinvolgimi e lo imparerò. Ecco, qui il medico è davvero coinvolto anche emotivamente». E racconta l'episodio che ha avuto come protagonista una sua specializzanda: «Stavamo sperimentando il soccorso ad un traumatizzato con forte perdita di sangue. Lei somministrò un eccesso di liquidi, il manichino subì un edema polmonare, e nella simulazione morì. IL giorno dopo la specializzando mi confessò di avere avuto incubi per tutta la notte, e aggiunse: non sbaglierò più». II malato-robot è in grado di resistere a questo ed altro: da un infarto del miocardio a uno sfondamento de1 torace, da un grave trauma cranico a una setticemia da perforazione del colon, da un'insufficienza respiratoria aggravata da broncopolmonite a un'emorragia da rottura di un aneurisma dell'aorta. Muove gli occhi, piange, gonfiala lingua, fa scattare la mano, reagisce ad ogni stimolo; ha una sua fisiologia, un suo sangue, una sua orina, respirando emette anidride carbonica esattamente come noi; è programmabile con una serie di varianti che consentono di modificare il sesso, l'età, perfino la razza. Spiega Ori: «Grazie a questi programmi impostiamo il tipo di paziente che vogliamo, per esempio maschio caucasico di40 anni, e gli applichiamo gli scenari clinici che ci interessa riprodurre. Gli somministriamo anche dei farmaci: è in grado di riconoscerne un centinaio, e di reagire a ciascuno di essi. Se gli si dà un medicinale per la pressione alta, questa diminuisce». IL manichino vive in pianta stabile in una sala operatoria riprodotta con tutti i dettagli possibili, incluso un monitor che misura il segnale elettrico da lui prodotto durante le simulazioni e che registra in tempo reale le conseguenze di eventuali errori umani; a fianco c'è una vera e propria sala-regia che controlla ogni fase degli interventi, e li registra. Il tutto grazie a un'équipe che al professor Ori affianca i medici Fabio Baratto e Massimo Micaglio, e per la parte tecnico-logistica Daniele Zotti, Nicoletta Mansueto ed Elsa Scagnoli: tutte persone che considerano e trattano l'androide come uno di famiglia, tanto si sono abituate a conviverci. Dell'esperienza fin qui maturata, Ori è più che soddisfatto: «Si dice che sbagliando s'impara, ma in medicina non celo si può permettere. Ecco, adesso possiamo dire che simulando si può anche sbagliare». Originale è pure il metodo impiegato nelle esercitazioni: «Non c'è uno che insegna e gli altri che seguono. Lavoriamo con piccoli gruppi, in cui ognuno svolge liberamente il proprio compito, e all'interno dei quali ci sono dei "complici" che preparano i vari scenari possibili. Il tutto è ripreso da quattro telecamere; alla fine c'è una riunione in cui si rivede quanto fatto, e si discutono insieme interventi ed errori». Il quadro è completato da un sito internet (www.istar.unipd.it) che spiega i dettagli del progetto e ne registra gli aggiornamenti. Il fatto che si tratti di una realtà operativa inserita all'interno di un contesto ospedaliero (il centro ha 32 letti in 4 unità di terapia intensiva, e tra le varie anestesie del complesso padovano segue in un anno circa 30mila pazienti) consente di associare alla simulazione la parte clinica. Il progetto che ruota attorno al manichino è destinato infine a diventare anche fonte di ricerca; e intanto, i soldi raccolti con l'organizzazione dei corsi vengono destinati a finanziare borse di studio e periodi di formazione di giovani ricercatori all'estero. Sarà anche un malato professionista, ma così docile e produttivo chi non lo vorrebbe avere tra i propri pazienti? --- - -- - ---------------- - - ----------- - - -------- - ----------- LE CARATTERISTICHE DEL ROBOT Gli occhi si muovono,si chiudono praticando l'anestesia e si riaprono al risveglio. Le pupille si dilatano e si restringono sotto l'effetto della luce. Gli organi genitali possono essere sia maschi che femminili. Si può inserire un catetere nel tratto urinario per facilitare il flusso dell'urina. La cassa toracica si alza e si abbassa a ogni respiro. Si possono diagnosticare eventuali emorragie interne inserendo un ago nel torace ed estraendo il liquido. II battito cardiaco si può modificare per simulare un'aritmia. In caso di arresto cardiaco, si può tentare la rianimazione con un massaggio con il defibrillatore. Le pulsazioni arteriose si possono avvertire sia sui polsi che sui piedi. Le vene contengono un liquido simile al sangue e si possono incannulare; si può misurare la pressione. __________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 dic. ’07 DIABETE, BISTURI SOTTO ACCUSA Scontro fra camici bianchi sulle nuove tecniche Il bisturi per sconfiggere il diabete. Se ne parla a Cagliari nell'ambito del primo Simposio di chirurgia laparoscopica. L'ospedale Marino sarà uno dei 36 centri nei quali si sperimenterà la nuova tecnica. di LUCIO SALIS Milioni di diabetici sognano di sconfiggere la malattia grazie al bisturi. Sono quelli che non riescono a controllarla con farmaci e diete. La loro speranza è nata quando il professor Nicola Scopinaro, università di Genova, ha messo a punto una tecnica laparoscopica in grado di sconfiggere il diabete tipo II. Si chiama diversione biliopancreatica e consiste nella creazione di due vie gastriche dallo stomaco verso l'intestino: una percorsa dal cibo, l'altra dalla secrezione necessaria per la digestione. Da qui la riduzione dell'assorbimento di grassi e calorie e la conseguente diminuzione del peso corporeo. Che resterà stabile. Nel mondo scientifico, la notizia ha avuto l'effetto di una bomba. I giornali sono stati bersagliati da lettere di illustri diabetologi che hanno sparato alzo zero contro la chirurgia bariatrica (quella che si pratica sugli obesi), definita, nel migliore dei casi, illusoria e pericolosa. L'argomento è all'ordine del giorno del simposio di chirurgia laparoscopica organizzato, a Cagliari, dall'omonimo reparto dell'ospedale Marino, diretto da Roberto Moroni. Il quale, da tempo, esegue interventi anche su diabetici. Ai lavori partecipa uno dei più autorevoli esponenti della materia: il professor Pietro Forestieri, ordinario di Chirurgia generale all'università di Napoli e presidente della Società italiana di chirurgia dell'obesità e delle malattie metaboliche. Professore, lei conferma che dal diabete tipo II si può guarire con la chirurgia bariatrica? Facciamo chiarezza, per non creare equivoci. Operando pazienti obesi, abbiamo notato che alcune malattie, come il diabete, la colesterolemia e la trigliceridemia venivano guarite o sensibilmente migliorate. Successivamente, il professor Scopinaro ha operato, a scopo compassionevole, anche pazienti diabetici magri e ne ha ottenuto la guarigione. Su questi soggetti abbiamo poi fatto uno studio osservazionale, che ha dato questi risultati: quelli operati di bendaggio gastrico sono guariti o hanno avuto un miglioramento del diabete in circa il 55 per cento dei casi; invece in quelli operati di bypass gastrico o di deviazione biliopancreatica la percentuale è salita al 70 - 80 per cento. Nel primo caso il miglioramento del diabete era strettamente correlato al fatto che il paziente dimagriva; nel secondo c'è stata anche un'azione specifica, molto probabilmente di natura ormonale, sulla malattia». Discorso tecnico, che però sembra confermare i risultati positivi. «Sì, ma da qui a dire che tutti i diabetici devono essere operati ce ne corre. Dopo queste osservazioni, era necessario dimostrare scientificamente che lo stesso intervento, effettuato su pazienti magri, provocava la scomparsa del diabete senza un contestuale caso di peso. È il risultato emerso dallo studio pilota del professor Scopinaro. Ora procederemo con uno studio multicentrico nazionale». Come sarà organizzato? «Sarà il primo al mondo e vi parteciperanno 36 ospedali. Tratteremo solo casi selezionati». Che significa? «Che non prenderemo in considerazione pazienti anziani con diabete lieve, ma giovani con un livello di malattia grave e lunga aspettativa di vita, che quasi certamente andranno incontro a complicanze» Opererete anche soggetti non obesi? «Certo. Perché il diabete, come l'obesità, è all'origine di una spesa sanitaria non indifferente. Ed è la prima causa di cecità e di dialisi». I diabetologi, però, sostengono che questi interventi chirurgici sono molto pericolosi. «Direi che sono relativamente pericolosi. Nel senso che negli obesi gravi e nei superobesi il rischio operatorio è superiore rispetto a una persona di peso normale, ma con una mortalità al di sotto dell'uno per cento». I diabetologi vi contestano che si tratta di interventi costosi. «Non è vero. Sono operazioni interamente a carico dello Stato. E con gli attuali rimborsi del Servizio sanitario nazionale, riusciamo a malapena a coprire le spese. Inoltre, vengono tutti eseguiti in strutture pubbliche o convenzionate». Vi si accusa di voler operare tutti i diabetici. «Questo non rientra assolutamente nei nostri programmi. Non prenderemo in considerazione chi non rischia complicanze ed è facilmente curabile con farmaci. Né ci sogneremo mai di operare un paziente con diabete mellito di tipo I». I diabetologi dicono che, invece del bisturi, dovreste consigliare un cambiamento dello stile di vita. Oggi si tende a ingrassare sin da bambini. Anziché fare le campagne per insegnare a dimagrire bisognerebbe insistere su come non andare su di peso». Dietro certe reazioni negative alla chirurgia c'è chi sospetta la longa manus delle case farmaceutiche. Il diabete è un affare? «Il diabete è sicuramente un affare. La chirurgia dell'obesità ha impiegato 40 anni per affermarsi e non ha mai dato fastidio a nessuno. Oggi ci rendiamo contro che entra in conflitto contro interessi commerciali enormi, perché le case produttrici di antidiabetici orali e di insulina hanno un mercato vastissimo. Noi però non vogliamo una guerra ma una sinergia, anche perché ci occuperemo solo di pazienti gravi». Avete avuto molte richieste di intervento dopo la scoperta del professor Scopinaro? «Sono già 36 gli ospedali che vogliono partecipare allo studio multicentrico. E molte richieste arrivano da diabetici. Ma prima di partire, dobbiamo elaborare un protocollo inattaccabile e farlo esaminare dai comitati etici». Allo studio parteciperà anche l'ospedale Marino di Cagliari? «Credo proprio di sì». Quando contate di iniziare? «Il primo luglio 2008». __________________________________________________________ Avvenire 6 dic. ’07 SULLE STAMINALI DIETROFRONT IN TUTTO IL MONDO LA MORATORIA SUGLI EMBRIONI EUGENIA ROCCELLA L’ondata di euforia»: cosi l'autorevole rivista americana Wired definisce l'effetto che ha avuto sulla comunità scientifica internazionale la scoperta di Shinya Yamanaka. La nuova tecnica inventata dallo scienziato giapponese consente di ottenere cellule staminali «pluripotenti indotte», con caratteristiche quasi identiche a quelle embrionali umane, grazie a un processo di riprogrammazione di cellule somatiche adulte. Dalle notizie pubblicate negli ultimi giorni, sembra inoltre che Yamanaka sia riuscito a condurre nuovi esperimenti senza utilizzare il gene c-Mvc, che causa tumori. Ancora più sicuro, dunque, il suo metodo, che viene salutato come la nuova frontiera degli studi sulle staminali. 1 laboratori si riorganizzano, i governi corrono ai ripari, l'intero assetto della ricerca scientifica mondiale si adegua velocemente ai nuovi indirizzi. Già troppo tempo, e doppi soldi, sono stati inghiottiti dal buco nero di quella che su Avvenire abbiamo definito «la ricerca che non trova», cioè il tentativo - mai riuscito - di arrivare alla clonazione terapeutica, una tecnica che prevede di creare embrioni umani per poi distruggerli. Oggi bisogna riconvertire, e bisogna farlo rapidamente, se si vogliono recuperare il tempo e il denaro perduti. Il Giappone, a due settimane dalla pubblicazione della scoperta di Yamanaka, ha già annunciato che finanzierà lautamente gli studi sulla riprogrammazione delle cellule adulte, mentre Annette Schavari, ministro tedesco della Ricerca, parla di raddoppiare i fondi destinati alle staminali, considerando che la scoperta giapponese «potrebbe aprire una nuova frontiera». Anche la California ha appena stanziato 13 milioni di dollari da investire nel 2008 su tecniche che non distruggano embrioni umani. Si, parliamo proprio della Califorma, il medesimo Stato che nel novembre 2004 votò con un referendum esattamente in senso contrario, destinando ben 3 miliardi di dollari in 10 anni alla sperimentazione sulle staminali embrionali. Dietrofront, dunque, e subito, prima che gli elettori protestino contro chi li ha illusi che quell'enorme investimento avrebbe trasformato il loro Stato nel leader assoluto della ricerca americana. E dire che il radicale Marco Cappato aveva commentato l'esito del referendum californiano come «una lezione per i clericali e i fondamentalisti nostrani»: laicità vorrebbe che oggi si prendesse atto delle nuove scoperte, e che Cappato, con tutta l'Associazione Luca Coscioni, sostenesse con entusiasmo la nostra proposta di moratoria sulla distruzione degli embrioni. Ma la laicità troppo spesso in Italia diventa un'ideologia cieca, e non un approccio liberamente critico alla conoscenza. Così, mentre nel mondo tutti si adeguano, da noi c'è chi maschera a fatica, o non maschera affatto, il malumore per lo scippo dell'embrione: su cosa potranno impiantare le loro polemiche? Le discussioni intorno alle linee guida sulla legge 40 o alla distribuzione dei fondi per la ricerca rischiano di essere poco coinvolgenti, ora che la ricerca scientifica si muove in un'altra direzione. A tutti, laici e cattolici, di destra e di sinistra, noi rivolgiamo il nostro invito: superiamo le vecchie divisioni, e sospendiamo la distruzione inutile di nuovi embrioni. Non vogliamo fermare un treno in corsa, non chiediamo di interrompere i progetti di ricerca già finanziati dall'ultimo programma quadro europeo. Chiediamo solo di rallentare il treno, visto che la stazione d'arrivo non c'è più. Ci sono già 400 linee staminali embrionali certificate a disposizione dei laboratori: non andiamo oltre, e mettiamo in atto la moratoria sugli embrioni. Proviamoci. ______________________________________________________ La Repubblica 6 dic. ’07 DIMMI DI CHE GRASSI SEI... LO STUDIO DEI LIPIDI FORNISCE INFORIMAZIONI UTILI SUL NOSTRO STATO DI SALUTE Dopo la genomica, altre discipline in "-omica" stanno apportando il loro contributo alla ricerca e conquistando il giusto riconoscimento in ambito scientifico. È il caso della lipidomica, la scienza che studia i lipidi (grassi) con un approccio più dinamico rispetto al passato: oltre a esaminarne la struttura e la funzione, ne studia infatti anche le trasformazioni che avvengono durante la vita della cellula ,a, per ricavare informazioni preziose sulla nostra salute. Come spiega Carla Ferreri, ricercatrice dell'Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività (Isofj del Cnr di Bologna: «I lipidi costituiscono la parte fondamentale della struttura di una membrana cellulare ed è ormai certo che essi influiscono anche sulle funzioni della cellula. Ma i grassi vanno incontro a metamorfosi continue, legate in parte a cambiamenti fisiologici in parte, invece, a trasformazioni anomale che ne alterano la struttura, ostacolando il buon funzionamento cellulare e, di conseguenza, minacciando il nostro benessere». Sapere qualcosa in più della situazione lipidica della membrana equivale quindi ad avere più informazioni sulla nostra forma fisica e a prevenire o curare numerosi disturbi. «Con un semplice prelievo di sangue, si esegue in laboratorio un'accurata analisi lipidica (Fat profile) che valuta i livelli dei diversi acidi grassi (omega 3, omega 6, saturi, monoinsaturi, trans, etc.) che compongono la membrana cellulare dell'eritrocita (globulo rosso)», prosegue Ferreri. Confrontando i risultati ottenuti con la tabella dei valori lipidici standard si evidenziano eventuali scompensi, che possono essere ricondotti a specifici disturbi. «Cosi, per fare solo qualche esempio», continua Ferreri, «una carenza di omega 3 è correlabile a malattie degenerative del sistema nervoso, incluse le demenze e l’Alzheimer, mentre un eccesso di omega 6 rispetto agli omega 3 è collegato all'asma e alle allergie, comprese le dermatiti. È bene precisare che la lipidomica permette di individuare anche squilibri lipidici lievi, consentendo quindi di effettuare una vera azione preventiva personalizzata per il miglioramento della qualità della vita, per contrastare i danni dovuti all'invecchiamento e all'azione dei radicali liberi e per combattere malesseri non riconducibili a una malattia vera e propria, quali senso di gonfiore, stanchezza, facilità a ingrassare». Per ottenere un profilo lipidomico accurato, i ricercatori del Cnr hanno messo a punto un questionario per conoscere stile di vita e abitudini alimentari, storia medica personale e familiare di chi si sottopone al test. «Incrociando i risultati delle analisi con quelle del questionario è possibile avere un quadro completo e concordare con il medico curante un intervento adeguato, anche a supporto di terapie farmacologiche», conclude la ricercatrice. Una volta individuati gli squilibri lipidici l'obiettivo è sanarli attraverso la nutraceutica, consigliando cioè opportuni integratori, specificando dose e mix, e suggerendo, se necessario, alcune variazioni da apportare alla dieta. __________________________________________________________ MF 6 dic. ’07 L'ASSISTENTE VIRTUALE DÀ UNA MANO IN CORSIA Salute Più efficienza con la piattaforma Intel di Sara Bernardi Piùproduttività e minore latenza nella registrazione delle informazioni relative ai pazienti. Studi recenti hanno dimostrato come il dispositivo Motion Computing C5, basato sulla piattaforma Intel MCA - Mobile Medical Assistant, si sia rivelato utile all'interno delle strutture ospedaliere nel coadiuvare il personale medico. II dispositivo permette infatti di gestire i dati e acquisire le immagini direttamente dal luogo ove si effettuano le cure. «Con questa piattaforma il dottore può ottenere in tempo reale tutte le informazioni relative agii esami svolti e alla terapia da somministrare mentre è accanto al letto del paziente o si trova in sala operatoria», commenta Luca Romani, responsabile del settore Healthcare di Intel per l'Italia e la Svizzera. Il dispositivo è stato sviluppato in collaborazione con alcuni partner tra cui Motion e Philips con l'obiettivo di dare a infermieri e dottori strumenti evoluti in grado di ottimizzare i tempi e velocizzare le procedure. Tra i mille ospedali che si avvalgono di questa piattaforma la Johns IIoplùns School of Nursing la Medical University of South Carolina e il Children's Hospital-di Omaha. In Italia sono stati avviati alcuni progetti pilota in grandi ospedali pubblici. «II device permette di avere una cartella clinica elettronica in mobilità, 'ma integra anche lettori Rúd per il riconoscimento dei pazienti», conclude Romani Nell'area della sanità sono state già avviate da Intel altre sperimentazioni a Milano con il San Raffaele e il Niguarda, a Como con il Valduce, e a Roma con il Bambino Gesù per il riconoscimento dei pazienti e la mobilità delle informazioni. Entro la fine dell'anno termineranno i primi progetti con la piattaforma MCA ________________________________________________________ Il Foglio 5 dic. ’07 SCLEROSI MULTIPLA: VACCINAZIONE AL CONTRARIO L'obiettivo: ridurre l'infiammazione con la tolleranza Una terapia efficace contro V la sclerosi multipla? Forse si. La ricerca sta mettendo a punto una terapia genica per combattere la sclerosi multipla, devastante malattia autoimmune che interessa in Italia 54mila persone, una ogni mille abitanti, prevalentemente donne di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Le cause di questa malattia non sono ancora chiare, e sono riconducibili in parte a una predisposizione genetica, in parte a microrganismi ambientali in fase di studio. Per rallentare il decorso della malattia e tentare di combatterla è stato messo a punto presso l'Università di Stanford un trattamento che può essere definito come una vaccinazione al contrario. «Viene somministrato al paziente con frequenza mensile un particolare Dna, ottenuto per via sintetica, che codifica una proteina della mielina - il rivestimento dei nervi che subisce l'attacco del sistema immunitario-, e induce, piano, piano, una tolleranza crescente da parte dell'organismo con una riduzione della risposta immunitaria e quindi dell'infiammazione degenerativa», spiega Lawrence Steinrnan durante una conferenza all'Istituto Besta di Milano. 1 risultati finora ottenuti in un clinical trial sono molto incoraggianti e portano a una diminuzione sensibile delle lesioni, tanto che si prevede entro dieci anni circa di poter disporre di una terapia farmaco-genomica personalizzata per ogni singolo paziente. In Italia in questo campo sono in corso lavori in centri di ricerca su diversi filoni. AL Besta, spiega Rosetta Pedotti, si stanno portando avanti da un lato studi di laboratorio sui topi per modulare la risposta immunitaria e capire se e come la malattia migliora somministrando nuovi farmaci immunomodulanti. Dall'altro si porta avanti la ricerca per individuare nuovi geni coinvolti nell'attacco del sistema imnmunitario contro la mielina, attacco responsabile dell'infiammazione che porta a lesioni irreversibili della mielina stessa ve quindi del sistema nervoso nel suo complesso. LUDOVICA MANUSARDI CARLESI __________________________________________________________ La Repubblica 6 dic. ’07 QUEL MESSAGGINO CHE ALLERTA IL CARDIOLOGO UN NUOVO DEFIBRILLATORE IMPIANTABUE CURA SUBITO L'ARITMIA E, NEL FRATTEMPO, AVVERTE IL MEDICO. .. Maria Rita Montebelii Gli autori del famoso spot-tormentone di qualche anno fa sul telefono-che-ti- allunga-la-vita, non potevano certo immaginare il senso che avrebbero avuto un giorno le loro parole. Per alcuni cardiopatici infatti oggi la salvezza può venire da un SMS, un vero e proprio S.O.S. lanciato via etere al cardiologo di fiducia dal loro defibrillatore elettrico impiantabile. Dietro questo nome un po' ridondante, si nasconde una sentinella high-tech che registra e interpreta l'attività del cuore, intervenendo per correggere sia momenti di battito troppo lento, sia quelli in cui il cuore batte all'impazzata. «I pazienti ai quali viene impiantato un defibrillatore dotato della funzione di controllo remoto», spiega Massimo Santini, direttore del Dipartimento malattie cardiovascolari del San Filippo Neri di Roma, «vengono protetti da questa sorta di "grande fratello" senza che neppure se ne accorgano perché il defibrillatore trasmette dal cellulare del paziente o da un apparecchietto posto sul comodino tutti i dati relativi all'attività del cuore, che poi rimbalzano via internet al centro di ascolto. Così, quando si verifica un'aritmia o si rompe qualche componente del dispositivo o interviene il defibrillatore, parte un allarme in automatico e il cardiologo è avvisato. In questo modo è possibile intervenire tempestivamente». E per il futuro si preannunciano altre importanti novità. Sono in arrivo degli apparecchi che consentono di capire quanti liquidi si stanno accumulando nei polmoni. È questo un problema abbastanza comune nei pazienti con grave scompenso cardiaco, costretti spesso a ricorrere al pronto soccorso per la comparsa di edema polmonare. Se l'apparecchio rileva un iniziale accumulo di liquido nei polmoni, manda un allarme al centro di ascolto; a quel punto il cardiologo contatta il paziente per adeguare la sua terapia, ad esempio consigliando di assumere un diuretico. Di questo ed altri argomenti di cybercardiorogia si sta parlando in questi giorni a Roma in occasione del congresso mondiale della Società Intemazionale di Het-.trofisiologia e di Elettrostimolazione Cardiaca. Un altro settore di interesse crescerite-per questa branca della cardiologia è quello del trattamento non farmacologico della fibrillazione atriale, un'aritmia frequentissima, quasi una pandemia, dopo i 60 anni. Gli antichi la chiamavano "delirio del cuore", una terminologia che rende molto bene l'idea di questa parte del cuore in corto-circuito elettrico che batte in modo disorganizzato, provocando palpitazioni, affanno e a volte terribili conseguenze come l'ictus. «I farmaci che utilizziamo per trattare questa aritmia», ricorda Santini, «hanno tutti almeno vent'anni e quindi abbiamo cominciato ad esplorare la possibilità di trattamenti non farmacologici per la fibrillazione. Una tecnica che sta diventando sempre più sofisticata è la cosiddetta ablazione trascatetere. Si inseriscono attraverso una vena dei cateterini che, risalendo lungo i condotti venosi, arrivano al cuore. Questi "fili" sono collegati ad un speciale apparecchio che fotografa la mappa elettrica del cuore; questo ci consente di identificare la zona nella quale sta avvenendo il "corto drcuito", che andiamo a distruggere attraverso la corrente (un po' come si fa con l'elettrobisturi in chirurgia], bruciando le cellule cardiache responsabili dell'aritmia. È una metodica indolore, ma particolarmente lunga (l'intervento può durare 3-4 ore) e difficile, per cui attualmente non è applicabile ad un gran numero di pazienti. Il costo è di almeno 8-10.000 euro. In altri casi per bruciare l'epicentro delle aritmie si può ricorrere alle basse temperature (crioablazione) o al bisturi (ablazione per via epicardica), in occasione di interventi cardiochirurgici». __________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 dic. ’07 AIDS, È NUOVAMENTE EMERGENZA-GAY L'infezione è in calo ma ancora scarso l'uso del preservativo Meno morti per Aids, più sieropositivi. Parte una campagna nazionale per diffondere l'uso del preservativo. di LUCIO SALIS È morta a 42 anni senza sapere che aveva l'Aids. Casi che capitano da quando è scattato una sorta di cessato allarme sulla malattia. La donna era stata contagiata dal partner, che l'ha tenuta all'oscuro, o forse non sapeva di essere infetto. «In Sardegna - spiega il professor Sergio Del Giacco, titolare della cattedra di Medicina interna II nel Policlinico universitario di Cagliari - sono diminuiti i casi di Aids conclamato, mentre aumentano i sieropositivi, perché si fa sempre meno prevenzione. La maggior parte sono persone abbastanza avanti negli anni, che si infettano attraverso le prostitute. Gente che non si controlla e si accorge di essere infetta quando ormai ha già l'Aids conclamato». Una situazione sovrapponibile a quella nazionale, dove il 60 per cento dei casi di Aids si registra in soggetti che non si sono mai sottoposti a terapia antiretrovirale. Perché oltre il 50 per cento scoprono di essere sieropositivi poco prima che si manifesti l'Aids. Negli anni Ottanta e Novanta, infatti, le diagnosi erano più precoci, perché riguardavano soprattutto i tossicodipendenti, categoria a rischio in qualche misura controllabile, attraverso i Sert e le comunità terapeutiche. Oggi non è più così. L'eroina, droga che si inietta con la siringa, è stata sostituita dalla cocaina, che si sniffa. Rispetto all'inizio dell'epidemia, è calato il numero dei sieropositivi tossici, mentre aumenta quello degli omosessuali. L'allarme arriva dal professor Paolo Emilio Manconi, titolare della cattedra di Medicina al policlinico universitario di Cagliari: «Su 23 diagnosi effettuate nel 2007, 12 riguardano omosessuali. Ormai i tossici che hanno contratto le prime infezioni sono quasi tutti morti, successivamente abbiamo avuto in cura le loro compagne. Nuovi casi originati da scambio di siringhe non ce ne sono quasi più, da quando la coca ha soppiantato l'eroina. La causa principale di infezione è diventata quindi il sesso. In particolare fra omosessuali. Ma non sono da trascurare le persone mature e i giovani che non usano il preservativo». Gente che si accorge troppo tardi di essere malata «mentre una diagnosi tempestiva, attraverso le terapie disponibili, può assicurare un'aspettativa di vita di circa trent'anni». La trascuratezza, quindi, ma anche l'ignoranza favoriscono il diffondersi dell'Aids. A volte, infatti, i sieropositivi si rivolgono a medici inesperti che non riconoscono la patologia, non si rendono conto che alla base di un'infezione c'è il virus Hiv. Nonostante i progressi della medicina, l'arma più efficace per combattere l'Aids è la prevenzione. Per chiamare le cose con il loro nome, il preservativo. Ne è convinto anche il ministro della Salute, Livia Turco, che ieri, alla vigilia della Giornata mondiale dell'Aids, ha presentato una campagna mediatica orientata soprattutto verso i giovani, basata sul messaggio: «Rispetta la vita, rispetta te stesso e gli altri, usa il preservativo e nell'amore non rischiare». Sarà diffuso attraverso uno spot, girato dalla regista Francesca Archibugi e interpretato da Ambra Angiolini. La Turco ha, in pratica, sdoganato pubblicamente il preservativo. Gesto apprezzabile per una cattolica non insensibile alla linea dettata da Papa Ratzingher che, contro il diffondersi dell'Aids, consiglia la fedeltà coniugale e una sana astinenza. Il ministro deve essersi deciso allo strappo dopo aver esaminato i dati sull'epidemia e i risultati fallimentari delle precedenti campagne di prevenzione. In cifre: dall'inizio del contagio a oggi, in Italia si sono registrati 53.400 casi di Aids, con 35.300 morti. Ma dal 1995, anno di maggiore virulenza della malattia, si è passati oggi da 5600 casi a 1200. Sempre nell' annus horribilis i morti furono 4581, mentre nel 2007 circa 200 (una decina in Sardegna). Merito del progressi compiuti dalla ricerca, in particolare dalla terapia antiretrovirale combinata, che favorisce la sopravvivenza delle persone affette da Aids: oggi sono oltre 23.000. Mentre i sieropositivi (cioè quelli che hanno il virus ma non la malattia conclamata) sono 120 mila e tendono ad aumentare. Ogni anno, infatti si registrano da 3500 a 4000 nuovi casi. Persone che a volte non sanno di essere portatrici del virus Hiv. Riuscire a controllarle, consentirebbe di far calare le infezioni. Per raggiungere l'obiettivo, in alcune regioni è stato creato, con tutte le cautele legate alla privacy, il Registro dei sieropositivi. Fra poco, sarà istituito anche in Sardegna, per iniziativa di Giuseppe Angioni, primario di Malattie infettive al Santissima Trinità di Cagliari. Un altro passo sulla strada della prevenzione, che altri percorrono puntando sull'informazione. Come il microbiologo Ninni Piu, che dagli anni Ottanta spiega, attraverso il clown Aspino, cos'è l'Aids ai bambini delle scuole elementari. __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 dic. ’07 IL 60% DEI GINECOLOGI È OBIETTORE ABORTIRE DIVENTA PIÙ DRAMMATICO Il caso. Molte donne sono costrette a "emigrare" in altre regioni o a ricorrere alle cliniche private Ancora polemiche per l'invito del Papa ai farmacisti di negare la pillola del giorno dopo Se la 194 è considerata da molti una legge ben applicata, pur con diverse lacune, le donne che hanno dovuto avere a che fare con l'iter, anche burocratico, per poter interrompere la gravidanza, spesso hanno dovuto affrontare situazioni difficili, hanno avuto a che fare con interlocutori non disponibili e hanno vissuto la scelta, di per sè complicata, come un vero dramma. Sul web sono centinaia i forum di discussione sull'argomento. Donne, ragazze e giovanissime che si scambiano consigli, storie, aiuto psicologico. Ad emergere è soprattutto il problema della crescita esponenziale, nelle strutture pubbliche italiane, dei ginecologi obiettori. La legge infatti prevede l'obiezione di coscienza per i medici e il personale ausiliario che li esonera da tutte le procedure per praticare l'Ivg, ma non dall'assistenza pre e post intervento. Secondo il rapporto presentato dal ministro Turco gli obiettori in Italia nel 2005 (ultimo dato disponibile) sono stati il 58.7% dei ginecologi, il 45.7% degli anestesisti ed il 38.6% del personale ausiliario. UN DATO DESTINATO A SALIRE a salire nelle strutture sanitarie italiane e che diventa sempre più preoccupante perch di fatto crea difficoltà e impasse, tanto che spesso molte donne sono costrette a emigrare in altre regioni o a pagare molti soldi nelle cliniche private per poter abortire. Una delle conseguenze peggiori e più estreme è poi il ricorso all'aborto clandestino, proprio quello che la 194 era nata per cancellare. «Il discorso sull'obiezione di coscienza è complicato in Italia - spiega Paola Piattella ginecologa e responsabile del centro adolescenti dell'Aied romana - la crescita esponenziale del numero dei medici obiettori è dovuta spesso al fatto che gli stessi ginecologi che non sono contrari all'aborto diventano obiettori obtorto collo». «Spesso chi pratica le Ivg viene messo a fare solo quello - continua la Piattella - diventa una catena di montaggio, la mole di lavoro è grande perch si è in pochi, le prospettive di carriera non si vedono e soprattutto si viene ghettizzati dai colleghi: cos il passo che porta all'obiezione è breve». Ma il vero problema è che esistono medici obiettori anche all'interno degli stessi consultori, nati invece, proprio con la 194, per agevolare e sostenere le donne nel difficile percorso di una interruzione di gravidanza. «Ancora peggiore però - commenta la ginecologa - è l'obiezione sulla pillola del giorno dopo, che non è assolutamente un abortivo. Questo è scandaloso». Il riferimento all'ultimo intervento di Benedetto XVI sull'obiezione dei farmacisti non è velato. Ma ci ha già pensato il ministro Turco a rispondere e a diradare il polverone sollevato da quelle dichiarazioni: «Quando si parla di legge la sovranità spetta al Parlamento». __________________________________________________________ Corriere della Sera 2 dic. ’07 PACEMAKER SENZA FILI E DEFIBRILLATORI «SOTTOPELLE» Quali tecnologie sono in cantiere per aver la meglio sui «capricci» del cuore? Di novità in giro ce ne sono molte. L' ultima, per ora solo un prototipo messo a punto da David Tran dell' università di Stanford in California, riguarda il pacemaker, il segnapassi artificiale che rimette in sincronia il cuore quando batte al di sotto della norma (succede agli anziani, la cosiddetta bradicardia) grazie ad un elettrocatetere posizionato nelle sue cavità e alimentato da batterie esterne. E proprio queste Tran è riuscito ad eliminare inventando un dispositivo che si ricarica «parassitando» il corpo di chi lo indossa: sfrutta l' energia meccanica della contrazione del muscolo cardiaco per trasformarla in energia elettrica. Un pacemaker teoricamente «eterno»; ben altra cosa dall' attuale nel quale bisogna sostituire l' alimentatore, nascosto in una tasca sottocutanea, in media ogni cinque anni. Meno futuribile, ma più vicino ad una sperimentazione sul paziente il pacemaker «senza fili» che anziché ricorrere al catetere posizionato nel ventricolo destro invia lo stimolo elettrico al cuore dall' esterno grazie ad un apparecchio inserito sottocute nel torace. Ma come regola il dispositivo la sua attività di supporto al cuore stanco? Lo fa grazie ad un sensore posizionato nel cuore, grande quanto uno stent, quella «retina» metallica in uso da qualche anno per tenere aperta una coronaria (una delle arterie che nutrono il cuore) dopo averla disostruita da un trombo. «Ancora non è chiaro dove verrà collocato il sensore; - spiega Riccardo Cappato, responsabile del centro di aritmologia del policlinico San Donato di Milano - forse ancorato alla parete interna del cuore o a livello del seno coronarico. Certo è che una soluzione del genere farebbe superare gli inconvenienti attuali dei pacemaker, spostamento del catetere e infezioni, visto che all' interno del cuore c' è solo un piccolo sensore». Se il pacemaker «dolce» è in fase di sviluppo, un' altra novità è ai blocchi per partenza. Riguarda il defibrillatore impiantabile, un dispositivo molto simile dal punto di vista tecnico, ma meno anziano come storia (il primo venne impiantato nel 1980, stranamente, in una donna) e destinato ad una funzione del tutto diversa. Non eroga stimoli di supporto al cuore lento come il pacemaker, bensì shock elettrici in grado di bloccare quelle corse al «galoppo» improvvise del cuore (fibrillazione e tachicardia ventricolari) che, se non interrotte, portano al decesso nell' arco di poco tempo, spesso solo qualche minuto. Evenienza drammatica alla quale va particolarmente soggetto chi ha avuto un infarto. La novità è il defibrillatore che non ha più parti inserite all' interno del cuore (di solito due elettrodi, uno nell' atrio, l' altro nel ventricolo destro) con funzione di rilevatori e erogatori di shock elettrico, ma fa tutto dall' esterno. «La percezione del ritmo cardiaco viene garantita da un certo numero di sensori grandi come un telefonino piatto posizionati nel torace sottocute tra il quarto e il quinto spazio intercostale - spiega Cappato, che fra pochi mesi farà partire, grazie all' autorizzazione del Ministero della salute, al policlinico San Donato il «braccio» italiano della sperimentazione su un numero consistente di pazienti, che vede altri due centri coinvolti, in Nuova Zelanda e in Gran Bretagna - . E per la stessa via, transcutanea, è possibile erogare la scossa salvavita. I test sugli animali e i primi preliminari su 150 pazienti condotti in vari paesi europei ci hanno dimostrato che questa innovazione funziona». «Si tratta di un passo avanti straordinario - commenta Paolo Della Bella, responsabile dell' unità di aritmologia del centro cardiologico Monzino di Milano - . Oltre ad eliminare i problemi legati ai cateteri intracardiaci, dovrebbe ridurre i costi». Se teniamo conto che i defibrillatori attuali hanno un prezzo che varia dai 13.000 ai 16.000 euro e vanno sostituiti in media ogni cinque anni, una tecnologia low cost cambierebbe lo scenario. Anche per il Sistema sanitario nazionale che si trova a sostenere oggi una spesa non indifferente. A proposito di scenari che cambiano, non si può non ricordare l' importanza che ha assunto negli ultimi anni il defibrillatore impiantabile nella cura dello scompenso cardiaco. L' apparecchio rispetto ai due elettrodi standard (nell' atrio e nel ventricolo destri)ne prevede un terzo posizionato nel ventricolo sinistro con funzione di stimolatore. «Ciò consente di riportare in sincronia i due ventricoli, con un miglioramento ormai dimostrato delle funzione contrattile del cuore - informa Silvia Priori, professore di aritmologia dell' università di Pavia presso la Fondazione Maugeri - . Si tratta di un dispositivo costoso, ma il suo impiego viene riservato a casi particolarmente gravi». Porciani Franca __________________________________________________________ L’Espresso 6 dic. ’07 POLICLINICO: IL MEDICO TI VISITA MA È FUORILEGGE di Monica Rubino Diagnosi e terapia affidate a uno specializzando. Che dovrebbe soltanto imparare. E invece cura i pazienti con disturbi psichici. Fra timbri e firme false. Ecco cosa succede nel nuovo Policlinico di Roma. Perché il timbro sull'impegnativa ha un nome diverso dal suo? "Non si preoccupi, facciamo sempre così". Ore 17, ambulatorio di psichiatria del Policlinico di Tor Vergata, la nuova struttura sorta sei anni fa nella zona sud di Roma. La visita si è appena conclusa. Ma non si è visto nessun dottore specializzato nella disciplina, nessun dottore 'strutturato' come si dice nel gergo burocratico sanitario. Davanti a noi, per capire i problemi, diagnosticare una 'depressione con stato ansioso' e prescriverci degli psicofarmaci c'è soltanto una specializzanda. Ossia un medico, laureato da poco e che sta ancora perfezionando la sua formazione. La stessa cosa si ripete un mese dopo, quando alla visita ci presentiamo con una telecamera nascosta. In pratica, tutto il percorso terapeutico del paziente viene affidato a un dottore che, secondo la legge, dovrebbe solo assistere alle visite fatte dal suo tutor, lo specialista esperto. E invece cura i pazienti da sola. Non ha a che fare con influenze di stagione, ma affronta casi delicatissimi, quelli per cui l'esperienza conta più di tutto: i malati psichiatrici. Succede in gran parte delle cliniche universitarie d'Italia. Ma la situazione dell'ospedale romano fa scuola. L'ambulatorio di psichiatria di Tor Vergata serve un bacino sterminato che comprende tutta la zona sud di Roma, con le borgate che sorgono lungo la Casilina e giungono, oltre il raccordo, fino a Tor Bella Monaca e alle grandi zone residenziali dei Castelli romani. Milioni di persone, quartieri enormi e con alcune aree socialmente a rischio. Il Policlinico è stato inaugurato nel gennaio 2001 grazie anche ai fondi straordinari ottenuti per il Giubileo: una struttura nuovissima, grandi padiglioni di vetro e ferro all'americana, spazi ampi, punti informativi. Persino le casse del Cup, il Centro prenotazioni, sono impostate su un modello amichevole: niente sportelli separati da vetri, ma operatori alla scrivania che ti accolgono facendoti sedere comodamente. Sul sito Internet, ben documentato, si legge che il Policlinico "mira a realizzare un innovativo modello di assistenza: un ospedale umano, aperto e sicuro" che sottolinea la "centralità del malato e la sua dignità come persona". Insomma, all'apparenza una clinica universitaria perfetta. Ma anche l'emblema di una consuetudine fuori dalla legge, diventata ormai prassi legalizzata. Di un sistema che, lì come nel resto d'Italia, si regge sullo sfruttamento di laureati che ricevono 800 euro al mese per imparare, mentre invece sono di fatto obbligati a esercitare la professione. A rimetterci è la loro dignità di giovani medici e la loro capacità di perfezionarsi: non possano essere formati da maestri, ma diventano autodidatti, dal momento che vengono messi a lavorare da soli. Tra turni, guardie e ambulatorio è difficile che abbiano il tempo di frequentare corsi e dedicarsi all'approfondimento. Possono venire impiegati senza preoccuparsi degli straordinari o delle notti, perché non hanno orari precisi: il loro compito non sarebbe quello di lavorare ma solo di apprendere. Una condizione di Cenerentole della sanità che riguarda 25 mila neolaureati in tutta Italia: medici che imparano sui propri errori. A spese dei pazienti. Una situazione paradossale soprattutto nella psichiatria, una disciplina in cui l'esperienza è determinante, commettere un errore può avere conseguenze irreparabili. Scambiare una depressione grave per un banale stato d'ansia o prescrivere con troppa leggerezza psicofarmaci a soggetti malinconici, vittime di un qualunque disagio o pseudo-depressi, può essere assai rischioso. 'L'espresso' ha verificato sul campo la situazione. Siamo andati a farci visitare, come pazienti qualunque, e siamo sempre stati esaminati da una dottoressa specializzanda. Al suo fianco non un medico strutturato, ma una studentessa ancora più giovane, non ancora laureata. Una tirocinante che assisteva, per apprendere, alla visita di una specializzanda, che a sua volta stava imparando, da sola, sulla pelle di un paziente. La dottoressa ci ha fatto alcune domande di prammatica, ha ascoltato il nostro racconto e ha emesso la sua diagnosi: "Depressione con stato ansioso". Ci ha prescritto degli psicofarmaci e ci ha anche dato l'appuntamento per una successiva visita di controllo. Ha marcato l'impegnativa con il timbro del medico di ruolo, sul quale ha vergato a penna una sigla falsa. Sul foglio bianco dove ha prescritto i farmaci, invece, ha messo il suo timbro personale e la sua vera firma. Il tutto tranquillamente, alla luce del sole. Anche se la dottoressa in questione, a differenza di quasi tutti gli altri suoi colleghi che affollano ogni reparto dell'ospedale, non aveva sul camice il cartellino con la scritta 'specializzando'. Torniamo un mese dopo: ore 10,30, stesso luogo, seconda visita, stessa scena. Sempre lei, sempre sola, questa volta non c'è neanche un tirocinante a farle compagnia. Con noi abbiamo una telecamera nascosta. Le raccontiamo che la terapia ci ha provocato fastidiosi effetti collaterali. La dottoressa corregge le dosi e comincia a scrivere la nuova ricetta. A quel punto le chiediamo a bruciapelo: "Scusi, lei è una specializzanda?". La dottoressa risponde tranquillamente: "Sì". "Ma lei non dovrebbe visitare da sola: uno paga il ticket di una visita specialistica e si aspetta di trovare uno specialista". "Ma si sa, se uno viene in una clinica universitaria si deve aspettare di essere visitato da un medico che è ancora in formazione". Replichiamo: "Sarà pure una consuetudine, ma non è legale". "Comunque il medico strutturato è nella stanza a fianco". "Ah sì? E chi è? La dottoressa che le dà in prestito il timbro, giusto? Me la fa conoscere?". La risposta è laconica: "In questo momento ha altri impegni, ma se vuole, possiamo organizzare per la prossima volta". Noi insistiamo ancora, con determinazione, e alla fine la titolare salta fuori. La specializzanda si premura di rintracciarla e, dopo oltre mezz'ora di attesa, si presenta. Le chiediamo subito: "Mi aspettavo di trovare lei dietro la scrivania e non la sua allieva". "No, qui in ambulatorio ci siamo organizzati così per le visite. Io però sono di guardia, giro per il reparto e sono reperibile...". Un'organizzazione lecita? Quando allo sportello del Centro prenotazione (Cup) abbiamo chiesto di pagare un ticket inferiore a quello previsto per la visita specialistica perché avevamo incontrato solo un medico specializzando, ci hanno risposto: "Ma questo non è legale, lo specializzando può soltanto assistere alle visite. Mah, che posso dirle, lì in reparto fanno come vogliono. Non posso farle pagare di meno, però se vuole può presentare un reclamo, è un suo diritto". Anche quella del ticket è una forma di truffa ai danni del cittadino, che paga una cifra per una prestazione qualificata che non ha mai ricevuto. Ma il raggiro colpisce pure le casse della Regione Lazio, dove il deficit per la sanità continua a sprofondare. Molte comunità terapeutiche per malati psichiatrici sono costrette a chiudere per i tagli alle convenzioni sanità decisi dalla giunta Marrazzo, che ha ereditato un buco di 9,4 miliardi di euro mentre altre voragini continuano a spuntare di mese in mese, l'ultima è di 310 milioni, bruciando ogni volta le previsioni di contenimento della spesa. Eppure strutture come il Policlinico di Tor Vergata riescono a rinforzare il fatturato anche grazie ai rimborsi regionali per visite che al nosocomio costano poco o nulla, grazie all'uso disinvolto dei giovani camici bianchi. Il meccanismo è anche una manna per i primari. A Tor Vergata il numero uno dell'Unità operativa di psichiatria è Alberto Siracusano, professore ordinario e direttore della Scuola di specializzazione. Grazie agli specializzandi, i primari possono aumentare il numero delle visite contabilizzate dalle loro divisioni: il bilancio si arricchisce e di conseguenza anche il potere contrattuale del docente all'interno della facoltà. Il tutto a danno di didattica e pazienti. Uno dei tanti meccanismi impazziti della sanità italiana. Di sicuro non l'unico. Il Policlinico Tor Vergata presenta anche un'altra anomalia: quella di un ospedale pubblico nuovo di zecca che prende in affitto due piani di una clinica privata, la Sant'Alessandro, per lezioni della facoltà di psichiatria e ricoveri di pazienti psichiatrici. Se in ospedale la stanza del primario è vuota forse è perché trascorre gran parte del suo tempo lì, a una dozzina di chilometri dall'ateneo. O perché si dedica alle visite intramoenia: al telefono la segretaria ci spiega che l'appuntamento privato costa 300 euro. Intramoenia, quindi all'interno del Policlinico? "Intramoenia, ma nel suo studio di Corso Francia". La distanza tra il Polo Universitario e lo studio è di 26,5 chilometri: in mezzo c'è tutta Roma, ma proprio tutta.