CAGLIARI: L’UNIVERSITÀ CAMBIA FACCIA E TAGLIA GLI ESAMI - UN FALLIMENTO I CORSI TRIENNALI - CORSI TRIENNALI, LAVORO PER POCHI - UOMINI LAUREATI, L’ITALIA È ULTIMA IN EUROPA - FREEMAN DYSON; I MIEI PENSIERI ERETICI SUL CLIMA - “L’ADDOVE” CRESCONO GLI IMPUNITI CIUCCI - GLI ITALIANI AI PRIMI POSTI PER LE IDEE SCIENTIFICHE - LARGO AI FILOSOFI DEL LABORATORIO - GESSA: «LA RICERCA PRETENDE CERTEZZE» - ISTAT: IN ITALIA TANTI CELLULARI MA POCO INTFRNET - L'ALTRA INTOLLERANZA CONTRO MAIANI AL CNR - ======================================================= SISAR, RINVIO: IL TAR DECIDE FRA 4 MESI - APPALTO SANITÀ, STAVOLTA HA VINTO LA REGIONE - DALLE SAUB ALLE ASL, LA LOTTIZZAZIONE È LA STESSA - CON TESSERA SANITARIA IN FARMACIA - PIÙ AGEVOLE FAR VALERE LA «COLPA MEDICA» - MEDICI E AUTOREFERENZIALITÀ: IL PREMIO NON SI NEGA A NESSUNO - MEDICI E INFERMIERI SUL PIEDE DI GUERRA - ASL: LISTE DI ATTESA PIÙ UMANE - OSPEDALE DI VIBO: TUTTI PRIMARI - TRAPIANTI, L'ALLARME DI MARTELLI: I PAZIENTI EMIGRANO - ARTEROSCLEROSI, SCOPERTI I GENI RESPONSABILI - ALTI O BASSI, ECCO IL RESPONSABILE - SARDI UGUALE BASSI, LO DICE IL DNA - LA LUNGA CACCIA ALLE STAMINALI ETICHE - CANCRO, IL GENE PER SENO, PROSTATA E CERVELLO - SCLEROSI MULTIPLA, IL DECORSO SI PUÒ FERMARE - SCLEROSI MULTIPLA: IL CASO SARDEGNA, UNICO AL MONDO - GLI ULTRASUONI CHE SCIOLGONO IL GRASSO - BATTE IL CUORE CREATO IN LABORATORIO - VACCINI ANTICANCRO: SI PARTE - IN OSPEDALE IL TABLET CHE TAGLIA TEMPI E COSTI - LE LENTI A CONTATTO DEL FUTURO HANNO ANCHE LO ZOOM - ======================================================= ________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 gen. 08 CAGLIARI: L’UNIVERSITÀ CAMBIA FACCIA E TAGLIA GLI ESAMI Presentato ieri dal rettore Pasquale Mistretta il piano di riordino sulla base della riforma Mussi Nascono cinque nuovi corsi di laurea, diminuzione delle prove orali Fra le nuove lauree in Medicina nascono anche Scienze infermieristiche ed ostetriche e Tecniche della riabilitazione psichiatrica. Cinque nuovi corsi di laurea ed un lavoro di semplificazione (diminuirà ad esempio il numero totale dei corsi di studio) dell’offerta formativa universitaria. Per l’anno accademico 2008/09 è in arrivo una «rivoluzione dell’ordinamento», come è stata definita dal rettore Pasquale Mistretta. L’ateneo cagliaritano sarà tra i primi in Italia ad adeguarsi al decreto Mussi, nonostante la legge preveda ancora un anno di tempo. NUOVE LAUREE Innanzitutto: ci saranno meno esami. Difficilmente si supererà il tetto di 20 prove per un corso triennale, in cui distribuire 180 crediti. Mistretta ha presentato ieri il nuovo piano che sarà attivo dal prossimo ottobre. L’obiettivo? «Creare le condizioni perchè i ragazzi studino meglio. Questo lavoro semplifica e qualifica la nostra offerta formativa». Ad esempio: ora esistono due corsi dedicati al turismo. Uno fa capo alla facoltà di Lettere, l’altro a quello di Economia. Dal prossimo anno verranno riuniti in un’unica laurea in Scienze del turismo, nella quale verrà trattato sia l’aspetto culturale che quello economico. Ecco invece i corsi nuovi di zecca. Due riguardano Medicina e Chirurgia: Scienze infermieristiche ed ostetriche e Tecniche della riabilitazione psichiatrica. Per la facoltà di Economia è in arrivo la laurea in Economia e management del turismo. Per Scienze della Formazione, due corsi: uno in pedagogia e l’altro in psicologia dei processi sociali, organizzativi e del lavoro. Ma le modifiche riguardano tutto il panorama accademico, che subirà accorpamenti e nuove definizioni. I corsi di studio diventeranno 97, mentre al momento sono attivi 103. In questa maniera si cercherà di scalfire due cifre: 6.000 studenti che non hanno dato neanche un esame nel 2007 e gli 11.000 fuoricorso. PARTI SOCIALI Ma ieri nell’aula magna del rettorato si è tenuto anche un incontro tra il mondo universitario (rettore, prorettori e presidi) e le parti sociali. Quindi Confindustria, i vari sindacati, Api sarda, Sardegna ricerche e la Camera di commercio. Lo scopo dell’incontro? Modulare l’offerta formativa dell’ateneo tenendo conto delle richieste del territorio. La Sardegna ha bisogno di infermieri? Si potenziano i corsi di questo tipo. Non servono più gli avvocati? Allora si prendono le giuste contromisure. Così si cerca di far combaciare domanda e offerta. Secondo Alberto Scanu, presidente di Confindustria, bisogna puntare sull’internazionalizzazione. «Un processo che deve coinvolgere gli studenti, la ricerca e i docenti. Dobbiamo allargarci a tutto il bacino del Mediterraneo e aggiungere la Cina e l’India». Fabrizio Carta, segretario generale della Cisl, è preoccupato dall’alta disoccupazione femminile e dal mondo del lavoro sardo: «Molti vanno fuori dai confini dell’isola per studiare. Il problema è che una volta tornati in Sardegna, i laureati non riescono a trovare un impiego che soddisfi le loro aspirazioni lavorative. Ci sono persone specializzate che affollano i call center». Ecco spiegato perchè tra i neo laureati solo il 27 per cento ottiene un contratto stabile, mentre il 73 per cento fa i conti con un lavoro atipico. Cioè precario. (m.r.) UN FALLIMENTO I CORSI TRIENNALI Oltre il 63 per cento dei laureati triennali nell’ateneo di Cagliari nel 2005 risultava ancora non occupato 24 mesi dopo la discussione della tesi. Il dato, che non tiene conto dei dottori in Giurisprudenza quinquennali e dei corsi di vecchio ordinamento, emerge da un’indagine sugli esiti occupazionali fatta dall’università con interviste telefoniche fra il 19 novembre e il 14 dicembre scorsi. È stato preso in esame un campione di 653 laureati di primo livello (il 40 per cento su un totale di 1.637), dei quali 406 donne e di 328 usciti da corsi di laurea specialistica a circo unico e biennale. Nel 2005 dall’università, compresi corsi specialistici, sono usciti 2.083 laureati. TRASMESSI I PRIMI DATI I primi risultati, datati 18 dicembre 2007, sono stati trasmessi alle parti sociali (Cgil, Cisl e Uil, Crel, Confindustria, Api sarda, Camera di commercio e Sardegna ricerche) convocate ieri mattina dal rettore Pasquale Mistretta perché possano esprimere, in base al decreto ministeriale 270/2004, un parere sulla formazione e sugli sbocchi occupazionali. GLI SPECIALIZZATI Decisamente più confortante appare la situazione degli specializzati, che hanno seguito anche corsi di laurea delle tipologie specialistica biennale e a ciclo unico. Fra i 328 interpellati dall’ateneo risulta occupato più dell’86 per cento, con quote vicine al 90 in Scienze della formazione (gruppi insegnamento e psicologico) e Farmacia (gruppo chimico- farmaceutico). Dei 45 specializzati non occupati, ben 32 (soprattutto ingegneri e medici) hanno dichiarato di essere impegnati a perfezionare la propria formazione e due di non cercare lavoro. I LAUREATI TRIENNALI Sempre secondo l’indagine, del 36 per cento dei 237 laureati nei corsi triennali a Cagliari che dichiara di avere un’occupazione, 115 lavorano in Sardegna, 16 fuori dall’Isola, mentre 106 lavorano e sono iscritti alla specialistica. Soltanto il 27 per cento ha un contratto a tempo indeterminato. Tutti gli altri sono precari, eccezion fatta per la percentuale del 7,5 impegnata nella libera professione: il 24 per cento ha un contratto a tempo determinato, il 23 è un lavoratore atipico, quasi il 7 per cento non ha un contratto definito, il 3 ne ha uno d’inserimento e l’1 lavora occasionalmente. L’ACCESSO AL LAVORO Il 35 per cento - cioè la maggior parte degli occupati - ha avuto accesso al mondo del lavoro tramite conoscenze, il 19 attraverso domande alle aziende, il 16 per concorso pubblico, quasi il 7 grazie a un tirocinio, poco meno del 6 con inserzioni su internet, circa il 4 con annunci su giornali, il 2 è stato segnalato dall’università o da docenti, mentre quelli che hanno proseguito un’attività familiare o sono diventati imprenditori registrano percentuali in entrambi i casi dell’1,7. Appena lo 0,4 per cento (una persona) riferisce di aver trovato lavoro inoltrando domande a presidi e provveditorati. RAGAZZE PENALIZZATE Dei non occupati con laurea breve censiti dall’indagine affidata alla Direzione per l’orientamento e la comunicazione dell’ateneo cagliaritano le ragazze sono oltre il 61 per cento. Le più penalizzate risultano quelle che hanno completato corsi triennali di scienze della formazione (gruppo insegnamento), farmacia (gruppo chimico-farmaceutico), lingue e letterature straniere (gruppo linguistico): quasi tutte sarebbero senza lavoro. LE PERCENTUALI PIÙ ALTE Fra i non occupati con laurea breve le percentuali in assoluto più alte sono quelle dei gruppi d’ingegneria (24), psicologico (12,3), Scienze della formazione, economico-statistico (11), della facoltà di Economia e di Scienze, del gruppo geobiologico (10). LA CISL: «FALLIMENTO» Commentando i dati durante l’incontro con il rettore, a nome dei sindacati territoriali di Cagliari, il segretario della Cisl Fabrizio Carta ha parlato senza mezzi termini di «fallimento» dei corsi di laurea triennali, visti gli esiti occupazionali in un mercato in cui pochi sono gli spazi per lavoratori qualificati. «Il 75 per cento degli occupati a Cagliari e provincia è impiegato nel settore dei servizi e anche di bassa qualità», ha ricordato Carta, basandosi su dati degli ultimi tre anni elaborati dal sindacato e sottolineando che alle liste dei parasubordinati dell’Inps gli iscritti sono 50.000. PROGETTI FUTURI Il rappresentante sindacale ha invitato l’università a svolgere un ruolo nei servizi di orientamento e auspicato che i precari impegnati nelle facoltà possano trovare una stabilizzazione anche grazie alle risorse della finanziaria 2008. ________________________________________________________ Il Sardegna 16 gen. 08 CORSI TRIENNALI, LAVORO PER POCHI a spasso il 63% degli ex studenti Università. Le parti sociali hanno incontrato il rettore Mistretta e i presidi di facoltà L’ateneo chiede consigli per sfornare laureati che trovino occupazione. Un corso per cinesi L’ateneo cagliaritano apre nuove corsi, riduce quelli vecchi. E si impegna a dialogare con le parti sociali finora tenute fuori dalle porte del rettorato e non coinvolte nella programmazione universitaria. Tutte novità annunciate ieri mattina dal Magnifico Pasquale Mistretta, che ha aperto le porte dell’aula magna di Palazzo Belgrano a Confindustria, ai sindacati, al Crel, ad Api sarda, alla camera di commercio e a Sardegna ricerche. Forti le critiche ricevute sulla gestione delle facoltà, definite poco appetibili per gli “studenti d’oltremare”. E in modo particolare duro l’attacco mosso alle lauree triennali, definite un fallimento, fucine di disoccupazione. Snocciola dati Fabrizio Carta della Cisl: «Oltre il 63% dei giovani che seguono il “corso breve” dopo due anni dalla tesi risultano ancora inoccupati. E il 17% ha lavori precari». Numeri confermati anche da un’indagine del 2005, realizzata dall’ateneo attraverso interviste telefoniche su un campione di 653 laureati di primo livello (il 40% su un totale di 1.637). Più confortante appare la situazione di chi ha seguito la specialistica biennale oppure si è laureato con il vecchio ordinamento a ciclo unico. Fra i 328 interpellati risulta occupato più dell’86%, con percentuali vicine superiori al 90% in Scienze della formazione e in Farmacia. Dei 45 specializzati non occupati, ben 32 (soprattutto ingegneri e medici) hanno dichiarato di essere impegnati a perfezionare la propria formazione e due di non cercare occupazione. Ma per le parti sociali l’università è spesso incapace indirizzare per formare figure richieste dal mercato del lavoro. «Per fare ciò serve il dialogo tra noi e voi - ha affermato il presidente di Confindustria Alberto Scanu - finalmente ci avete invitato. Altrimenti vi avrei scritto». La strada da seguire per rilanciare lo sviluppo economico dell’Isola, secondo Confindustria, passa per la conoscenza. E sul tema Scanu ha annunciato un convegno in città, in collaborazione con “Il Sole 24 Ore”. Importante investire sulla ricerca e serve che l’università si apra verso nuovi mercati, che diventi polo di attrazione. Questa la ricetta degli industriali. «Ci stiamo muovendo in questa direzione - la risposta dell’ateneo - Siamo in contatto con Shangai e presto apriremo un corso per i cinesi che vogliano imparare l’Italiano». Un buon inizio visti i forti rapporti commerciali tra il Paese del Sol levante e Italia. Per la ricerca, il rettore ha annunciato importanti finanziamenti in arrivo. Soddisfatte le parti sociali che hanno espresso parere positivo sulle riforme, augurandosi che gli incontri con l’università continuino. «Vogliamo questo e terremo conto delle vostre proposte» ha concluso Mistretta. Che il 25 gennaio riunirà il comitato tecnico di coordinamento, quel comitato che dovrebbe garantire la coerenza dell’offerta formativa sarda con le politiche della Regione in materia. Stefania Aoi ________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 gen. 08 UOMINI LAUREATI, L’ITALIA È ULTIMA IN EUROPA Il record negativo è stato rilevato da Eurostat. Miglioramento tra i giovani Nuovo record negativo per l’Italia in sede europea: la percentuale di maschi laureati dai 25 ai 64 anni in Italia è esattamente la metà della media Ue, 11,6% contro il 23,2%. Il dato emerge da un’indagine europea sul lavoro di Eurostat, l’ufficio statistico della comunità europea, che fa riferimento ai dati del 2005. Anche tra le donne, l’Italia non eccelle: la percentuale di laureate è del 12,8%, rispetto a una media comunitaria del 22,7%. Peggio fanno soltanto Malta (9,9%), Romania (10,7%) e Repubblica ceca (11,6%). Prime della classe, la Danimarca (30,9%) e l’Olanda (32,7%) per i maschi, e l’Estonia (38,8%) e la Finlandia (39,4%) per le donne. In Germania i maschi laureati sono il 27,1% e le donne il 20,3%, in Francia rispettivamente il 23,7% e il 26,0%, in Gran Bretagna il 29,9% e il 29,7% e in Spagna il 28,1% e il 28,3%. GIOVANI La situazione italiana è riscattata dal livello di istruzione che si riscontra tra i giovani, che risulta in aumento: la percentuale di laureati tra la fascia di età tra i 50 e 54 anni e i 30-34enni è aumentata dall’11,8% al 14,1% per i maschi e dal 10,9% al 19,9% per le femmine. L’indagine certifica anche il sorpasso delle donne sui maschi per quanto riguarda le nuove generazioni. Ciò nonostante, l’occupazione continua a privilegiare gli uomini: l’86,2% dei laureati occupati in Italia sono di sesso maschile contro il 75,3% delle donne. __________________________________________________________________ Tst 16 Gen ‘08 FREEMAN DYSON; I MIEI PENSIERI ERETICI SUL CLIMA I dogmi del riscaldamento globale devono essere sfidati: perché non contemplare l’ipotesi che l’anidride carbonica ci sia utile? Per prima cosa devo ammettere che, come scienziato, non ho fiducia nelle previsioni. La scienza è l'imprevedibilità organizzata: nei loro esperimenti, gli scienziati non fanno altro che mettere le cose insieme in modo che siano il più prevedibili possibile, e procedono per vedere cosa succede veramente. Si potrebbe arrivare a dire che, se qualcosa è prevedibile, allora non è scienza. Dunque, nel fare le mie previsioni, non parlerò come scienziato ma come narratore: le mie previsioni saranno fantascienza. Più che scienza. È noto che i racconti fantascientifici non sono accurati: il loro - scopo. non è descrivere ciò che accadrà, ma immaginare cosa potrebbe accadere. Il mio scopo è raccontare storie che possano sfidare i dogmi che oggi sono dominanti: domi che potrebbero risultare corretti, ma che hanno bisogno di essere sfidati. Sono orgoglioso di essere un eretico. Il trambusto che circonda il riscaldamento globale, è esagerato. Mi oppongo alla fratellanza degli esperti dei modelli climatici e alle folle che hanno illuso con i loro numeri. Certo, come fanno notare, non ho una laurea in meteorologi e a quindi non avrei le qualifiche per parlare. Ma ho studiato i modelli climcatici e so cosa possono fare. I modelli risolvono le equazioni della fluidodinamica e descrivono bene i moti fluidi dell'atmosfera e degli oceani. Descrivono piuttosto male le nuvole, la chimica e la biologia dei campi, delle fattorie e delle foreste. Non riescono a descrivere il mondo reale in cui viviamo, che è fatto di fango e disordine, pieno di cose che non comprendiamo ancora. È molto più semplice, per un ricercatore, restare in ufficio a far girare i modelli sul computer che non indossare indumenti pesanti per misurare cosa sta davvero succedendo nelle paludi e tra le nuvole. Non c'è dubbio che alcune parti del mondo si stiano scaldando e non sto assolutamente dicendo che il riscaldamento non causi problemi: è ovvio che lo fa. Ma è altrettanto ovvio che dovremmo cercare di capirne di più. Quel che sto dicendo è che questi problemi sono grossolanamente esagerati: privano di attenzioni e di denaro altri problemi più urgenti, come la povertà e le malattie, l'istruzione e la sanità pubbliche e la conservazione delle creature viventi, per non dire del problema più grave di tutti: quello della guerra. Il riscaldamento globale è un problema interessante, sebbene la sua importanza sia eccessivamente amplificata. Per capire come si muove il carbonio attraverso l'atmosfera e la biosfera occorre misurare una gran quantità di variabili. Non voglio confondervi e vi chiederò di ricordare un solo numero: un terzo di millimetro all'anno. Metà della terraferma sostiene una vegetazione di qualche tipo. Ogni anno assorbe e converte in biomassa una certa frazione dell'anidride carbonica che emettiamo nell'atmosfera. Non sappiamo quanto sia grande la frazione che assorbe, perché non abbiamo misurato l'incremento o il decremento di biomassa. Il numero che vi ho chiesto di ricordare è l'aumento di spessore della biomassa che si avrebbe mediamente, su oltre metà della terra ferma presente sul pianeta, se venisse assorbito tutto il carbonio che stiamo emettendo bruciando carburanti fossili: solo un terzo di millimetro all' anno. II punto cruciale è il tasso di scambio molto favorevole che sussiste tra carbonio nell'atmosfera e carbonio nel terreno. Per bloccare l'aumento di carbonio nell'atmosfera, è sufficiente che facciamo crescere la biomassa nel terreno di un terzo di millimetro l'anno. Deduco che il problema dell'anidride carbonica nell' atmosfera va visto in termini di gestione del terreno, non di meteorologia. Nessun modello computerizzato dell'atmosfera o dell'oceano può sperare di predire come dovremmo gestire la Terra. Ecco un altro pensiero eretico. Invece di calcolare una media mondiale di crescita della biomassa, sarebbe meglio mantenerci su scala locale. Considerate uno dei possibili scenari futuri: la Cina continua a sviluppare la propria economia, basandola sul carbone, e gli Usa decidono di assorbire l'anidride carbonica che ne risulta aumentando la biomassa dei loro suoli. A differenza delle piante e degli alberi, non c'è limite alla quantità di biomassa che si può immagazzinare. Circa un decimo di tutta l'anidride carbonica viene convertita in biomassa ogni estate e restituita all'atmosfera ogni autunno: è per questo che gli effetti dei combustibili fossili non si possono separare dagli effetti della crescita e della decomposizione delle piante. Ci sono, in particolare, cinque serbatoi di carbone che sono accessibili biologicamente nel breve periodo, senza contare le rocce ricche di carbonati e le profondità degli oceani. Sono l'atmosfera, le piante sulla terraferma, il suolo su cui crescono le piante, lo strato superficiale dell' oceano dove crescono le piante marine e le riserve di combustibili fossili. L'atmosfera è il serbatoio più piccolo, mentre i combustibili fossili sono il maggiore, ma tutti e cinque sono abbastanza simili. Tra loro c'è una fitta interazione e per capirne uno è necessario capirli tutti. Non sappiamo se una gestione intelligente del terreno potrebbe far aumentare il serbatoio del suolo di quattro miliardi di tonnellate di carbonio l'anno - la quantità necessaria a fermare l'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera. L'unica cosa che possiamo affermare con certezza è che si tratta di un'ipotesi teorica possibile, che dovrebbe essere considerata seriamente. La mia terza eresia riguarda un mistero che mi ha sempre affascinato. In molti punti del deserto del Sahara si trovano graffiti rupestri che rappresentano persone e branchi di animali: si tratta di tracce numerose e di qualità artistica sorprendente e furono probabilmente dipinte nell'arco di qualche migliaio di anni. Le ultime tradiscono l'influenza degli Egizi e sembrano essere contemporanee delle prime forme di arte tombale di questo popolo. I migliori graffiti dei branchi risalgono a circa 6 mila anni fa e ci sono prove schiaccianti che a quell'epoca il Sahara fosse umido: c'era abbastanza pioggia da consentire a vacche e giraffe di pascolare tra erba e alberi e c'erano ippopotami ed elefanti. Il Sahara di ieri dev'essere stato simile al Serengeti di oggi. Sempre 6 mila anni fa c'erano foreste decidue nel Nord Europa dove oggi si trovano solo conifere, a dimostrazione del fatto che il clima di queste zone settentrionali era più mite. C'erano alberi anche nelle valli svizzere che oggi ospitano famosi ghiacciai e i ghiacciai che adesso si stanno ritirando erano molto più piccoli. Seimila anni fa sembra essersi verificato il periodo più caldo e umido dell'era interglaciale, iniziata 12 mila anni fa con la fine dell'ultima era glaciale. Ora avrei due domande da porvi. Primo: se permettessimo all'anidride carbonica nell'atmosfera di aumentare ancora, arriveremmo ad avere un clima simile a quello di 6 mila anni fa, quando il Sahara era umido? Secondo: se potessimo scegliere tra il clima di oggi con il Sahara arido o quello di 6 mila anni fa con il Sahara umido, preferiremmo la situazione odierna? La mia terza eresia risponde «si» alla prima domanda e «no» alla seconda. Il clima caldo di 6 mila anni fa sarebbe preferibile e l'aumento dell'anidride carbonica potrebbe aiutarci a ricrearlo. Non dico che questa eresia sia vera, ma so lo che non ci farebbe male pensarci. La biosfera è la cosa più complicata con cui l'uomo abbia a che fare. L'ecologia planetaria è ancora una scienza giovane e poco sviluppata: non mi stupisce che esperti onesti e bene informati non si trovino d'accordo sui fatti. Ma al di là del disaccordo sui fatti c'è un disaccordo più profondo ed è sui valori. Si può descrivere in modo iper semplificato come disaccordo tra naturalisti e umanisti. I primi credono che la natura abbia sempre ragione: per loro il valore più alto è il rispetto dell' ordine delle cose e qualsiasi goffa interferenza degli uomini nell'ambiente naturale è un male. È un male bruciare i combustibili fossili e sarebbe un male anche trasformare il deserto - che sia il Sahara o un oceano - in un ecosistema dove le giraffe o i tonni prosperano. La natura ha sempre ragione e qualsiasi cosa facciamo per migliorarla non porterà che guai: questa etica naturalista è la forza propulsiva del Protocollo di Kyoto. L'etica umanista parte invece dall'idea che gli uomini sono una parte essenziale della natura. È grazie alle nostre menti che la biosfera ha acquisito la capacità di guidare la propria evoluzione e ora comandiamo noi. Noi umani abbiamo il diritto e il dovere di ricostruire la natura in modo che la nostra specie e la biosfera possano sopravvivere e prosperare. Secondo gli umanisti, il valore più alto è la coesistenza armoniosa tra esseri umani e natura, mentre i mali più grandi sono la povertà, la disoccupazione, la malattia e la fame, perché sono condizioni che limitano le opportunità e la libertà delle persone. L'etica umanista accetta l'aumento di anidride carbonica come un piccolo prezzo da pagare per lo sviluppo e l'industrializzazione globale, se questi possono alleviare le miserie di cui soffre metà dell'umanità. L'etica umanista accetta la responsabilità di guidare l'evoluzione del pianeta. E' per questo che sono un umanista. ________________________________________________________ Repubblica 13 gen. 08 L’ADDOVE CRESCONO GLI IMPUNITI CIUCCI Mario Pirani L’addove , con l’apostrofo è solo uno degli infiniti strafalcioni che costellavano la prova scritta dei quattromila laureati in giurisprudenza, presentatisi all’ultimo concorso per entrare in magistratura. Gli errori di ortografia, di grammatica elementare, di sintassi, l’assoluta incapacità espositiva si sono rivelati tanto diffusi e irrecuperabili che alla fine il collegio docente ha rinunciato ad assegnare 58 dei 380 posti che aveva a disposizione. Le origini di questo test catastrofico di massa debbono esser cercate molto indietro negli anni, quando dalle elementari in poi a questi bambini, via via diventati adolescenti e adulti, si è lasciato credere che potevano largamente infischiarsene del rispetto della lingua nazionale (ma anche delle altre discipline, dalla matematica alla storia). Legioni di maestri, insegnanti, professori universitari hanno loro elargito egualmente promozioni, diplomi, lauree, lasciandoli disarmati al momento della verifica col mondo esterno. L’unico tentativo per erigere un primo argine, almeno per il futuro, a questa alluvione di ignoranza è consistito nel recente decreto del ministro Fioroni che blocca il trascinamento all’infinito dei debiti: chi si rivela insufficiente verrà sostenuto con corsi supplementari, da febbraio in poi e, se necessario, anche durante il periodo estivo ma se poi, a settembre, mostrasse ancora gravi mancanze, dovrà ripetere l’anno. La destra, che per iniziativa di un suo ministro aveva abolito gli esami di riparazione, si è schierata contro (in nome del diritto all’ignoranza?). Il presidente del Trentino, Dellai, ha inoltre impugnato l’ordinanza di Roma brandendo a sproposito l’indipendenza regionale. Vasti plausi, ma non unanimi, sono venuti, per contro, dal mondo della scuola. Chi mugugna lo fa soprattutto perché teme che le sue ferie subiscano qualche limatura anche se il ministero ha chiarito che le operazioni di verifica non debbano concludersi obbligatoriamente entro il 31 agosto. Si può, infatti, spostare di qualche giorno l’inizio dell’anno scolastico poiché l’ordinanza indica solo che il giudizio finale avvenga «entro la data d’inizio delle lezioni dell’anno successivo», senza stabilire un termine di calendario. Tutte queste osservazioni, peraltro, temo dimostrino soprattutto il persistere di un radicato scetticismo di fronte al tentativo di fronteggiare il disastro pedagogico nel quale ci troviamo e che tocca la questione di fondo di una rottura generazionale che non investe certo solo l’Italia. Anche in altri paesi ci si trova a fare i conti con gli effetti di riforme dell’istruzione più o meno simili quanto dannose e con una prolungata deriva permissiva in casa e a scuola, che ha delegittimato e affievolito ai minimi termini le possibilità di punizione e di premio da parte dei docenti e anche dei genitori. In Francia, ad esempio, la discussione ha investito anche il tema base dell’educazione familiare, premessa del comportamento in aula. «Le Monde» vi ha nei giorni scorsi dedicato una pagina. Quattro libri usciti negli ultimi due anni hanno titoli molto significativi: «Manuale di educazione ad uso dei genitori», «Dal bambino re al bambino tiranno », «Genitori, osate farvi obbedire», «Me ne infischio, ci andrò lo stesso! Quale autorità con un adolescente?». Il giornale parigino riporta osservazioni di psichiatri infantili, educatori, psicologi che si confrontano con i figli di una generazione che ha confuso autorità con autoritarismo e si è ritratta di fronte ad ogni forma di punizione (naturalmente si parla di punizioni non corporali). «Una punizione serve a sancire che certi limiti sono stati superati... Si è creduto invece che esprimendo molto amore e dilungandosi in spiegazioni, si arrivava a sconfiggere certi istinti tipici dell’infanzia. Ma invece di sviluppare in loro il senso dell’altro, si è potenziato l’egocentrismo». Così i tiranni in erba, sempre più numerosi, protestano di fronte alla minima frustrazione e trasgrediscono allegramente ad ogni regola, sotto l’occhio imbarazzato degli adulti. Non si tratta di chiudersi in una situazione conflittuale ma di far rispettare regole fissate in anticipo, con punizioni graduate e possibili così che il bambino sappia già cosa lo aspetta se trasgredisce. Il bambino e il ragazzo, per contro, vanno incoraggiati e valorizzati quando rispettano le regole e i doveri scolastici, La stima di sé può essere inficiata in bambini che hanno il convincimento di non arrivare mai a soddisfare i genitori e i maestri. L’importanza è che abbiano o recuperino il senso del limite. Se questo avverrà il percorso scolastico e la formazione familiare ritroveranno una proficua coerenza. Oggi non è così. “L’addove” crescono gli impuniti ciucci __________________________________________________________________ L’Unità 14 Gen ‘08 GLI ITALIANI AI PRIMI POSTI PER LE IDEE SCIENTIFICHE POLITICA DELLA RICERCA L'Unione europea ha approvato ben 35 studi presentati da giovani ricercatori del nostro paese per il programma «Ideas» • di Pietro Greco Il primo bando del Programma Ideas indetto dal Consiglio Europeo delle Ricerche (ERC) è giunto al termine del suo iter, scegliendo 1300 giovani che in tutta l'Unione hanno proposto 1 migliori progetti scientifici. Si tratta di un programma davvero innovativo, per due motivi. In primo luogo, perché è rivolto ai giovani ricercatori (entro un massimo di 9 anni dal dottorato). E, in secondo luogo,perché non c'era nessun vincolo se non la bontà assoluta del progetto di ricerca, giudicata attraverso una rigorosa e anonima revisione tra pari (peer review) internazionale. Insomma, i 300 progetti che hanno vinto un milione dl euro a testa sono le 300 migliori idee scientifiche venute in mente ai giovani ricercatori europei tra le 9.000 sottoposte al giudizio di esperti di tutto il mondo. Ebbene, i giovani ricercatori italiani hanno fatto una gran bella figura. Con 35 progetti vincenti, sono risultati secondi in assoluto dopo i loro colleghi tedeschi (40 progetti vincenti). Hanno così preceduto i francesi e gli inglesi. In realtà, i giovani italiani si erano classificati primi per numero di progetti presentati al Consiglio Europeo delle Ricerche. E ciò era stato giudicato da molti non un segno di forza, ma di debolezza del sistema paese. I giovani ricercatori italiani si rivolgono all'Europa perché non trovano risorse in patria. Ciò è vero. Ma il verdetto finale del bando Ideas cl dice che tra le 1.600 domande italiane non c'era solo disperazione, ma anche qualità. Tanto più, come annuncia Salvatore Settis - rettore della Scuola Normale di Pisa e tra i membri italiani del consiglio scientifico de1l’ERC - in un articolo pubblicato su Repubblica nel giorni scorsi, tra i 53 progetti che hanno ottenuto il punteggio pieno, quelli proposti da italiani sono 9. Nessun paese ha fatto meglio dell'Italia. Germania e Regno Unito, infatti, possono vantare 7 progetti a testa col massimo dei voti, mentre Francia e Spagna ne vantano 6 ciascuna. La performance dei giovani ricercatori italiani non è risultato inatteso. Tutti gli indicatori internazionali smentiscono facili luoghi comuni e dicono che la ricerca scientifica italiana è sì carente per quantità assoluta (abbiamo meno ricercatori e investiamo meno degli altri), ma è buona per qualità: i nostri ricercatori, in media, lavorano più di tutti gli altri al mondo (solo gli svizzeri sono più produttivi) e producono ricerca che, in media, è migliore di quella prodotta dai colleghi di altri paesi europei. La classifica per nazioni dei vincitori del primo bando del Programma Ideas non fa altro che confermare questa analisi, che molti (troppi) opinionisti in Italia tendono a trascurare. IL che significa che il nostro sistema formativo funziona. Le nostre università e 1 nostri centri di ricerca allevano ottimi ricercatori. Diverso è il discorso per 11 sistema paese. Dei 35 vincitori italiani, ben 13 hanno scelto dl effettuare la loro ricerca fuori dall'Italia (oltre il37%). AL contrario, solo 3 vincitori di altri paesi hanno scelto l'Italia per realizzare le loro ricerche. In Gran Bretagna, dei 30 vincitori 6 hanno scelto di fare la loro ricerca in un altro paese (il 20%). Mentre ben 12 di altri paesi hanno scelto il Regno Unito che sede della loro attività di ricerca. I numeri sono piccoli: ma l'indicazione è fin troppo chiara. Il mondo della ricerca italiana è in grado di produrre buone idee. Ma ha strutture che non sono in grado né di sviluppare appieno le idee prodotte né tantomeno di cogliere tutte le opportunità applicative che offrono. Ovvero, l'Italia spreca una parte troppo grande delle sue straordinarie risorse. Finanziati più progetti di Francia e Gran Bretagna Premiata la qualità __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Gen ‘08 LARGO AI FILOSOFI DEL LABORATORIO FORMAZIONE INTERDISCIPLINARE DI ANTONIO SANTANGELO Alla domanda -«come è arrivato a fare il direttore del PhD in Lifescience: fondamenti ed etica di Ifom-Ieo Campus» Giovanni Boniolo risponde in modo spiazzante. «Negli anni '70, a 15 anni – racconta - nel Petrarca ero il giocatore italiano di basket più giovane della serie A e B. Alberto, mio carissimo amico, allora ottimo giocatore e ora ottimo fisico degli acceleratori, mi parlò di un certo Russell. Russell chi? Chiesi, Bill?. No; mi rispose, non il grande pivot dei Boston Celtics, ma Bertrand, il filosofo con una preparazione matematica. Mi appassionai del modello "Bertrand Russell", e quando fu tempo mi iscrissi a fisica per diventare filosofo. All'epoca pensavo, e penso tuttora, che fosse necessario sapere di scienza per fare della buona filosofia, altri invece ritenevano che fossi ammattito: quando mai uno studia fisica teorica per avventurarsi nella selva filosofica?». Per questo, dopo la laurea in fisica ha conseguito quella in filosofia; con il suo maestro Dario Antiseri, che lo introduce al pensiero di Popper. Da fisico, Boniolo guarda «con una certa ironia al mito di certi filosofi, specie nostrani, per il rigore formale basato sul linguaggio quotidiano. A Fisica mi insegnarono un paio di cose che ritengo importanti. Mi insegnarono che una cosa è la storia della fisica e un'altra la fisica; mi insegnarono che una cosa è colui che studia fisica e un'altra è il fisico: il fisico è colui che è riconosciuto tale dalla comunità internazionale dei fisici». E per accettare la sfida, comincia a pubblicare su riviste internazionali «con alterni successi -ricorda -. Sentirsi dire che il proprio lavoro è una stupidaggine, che è mal scritto, mal argomentato, è un bel bagno di umiltà, contribuisce ad avere una visione diversa dei propri prodotti, dei propri limiti, del mondo e del proprio posto nel mondo». Poi l'incontro con la biologia: «Un giorno a New York trovai un libro di Michael Ruse, "Taking Darwin Seriously". Mi chiesi perché dovessi prenderlo seriamente e cominciai a studiare biologia». Passa quasi un anno in un laboratorio di biologia molecolare seguendo esperimenti sul promotore di un gene. Questa esperienza gli serve ad aumentare la consapevolezza di che cosa si parla quando si parla di scienza