UNIVERSITA’: UNA SU TRE E’ AL DISSESTO - ATENEI IN CRISI: CINQUE PROPOSTE PER CAMBIARE - ELEZIONI: ATENEI, IL 30% DEI FONDI IN BASE ALLA VALUTAZIONE - BERNARDI: UNIVERSITÀ E RICERCA NON CI RESTA CHE SPERARE - PREMIARE GLI ATENEI D'ECCELLENZA - PIÙ FONDI, MERITO E MENO SPERPERI: COSÌ SI FERMA LA FUGA DEI CERVELLI - UNIVERSITÀ CONCORSI CON DOPPIA IDONEITÀ - ATENEI, LA TRAPPOLA DEL DOPPIO IDONEO - RICERCATORI, CONCORSI BLOCCATI - UNIVERSITA: CONCORSI COL TRUCCO - LIBERTÀ D'INSEGNAMENTO CONTRO IL NEPOTISMO - ALL'UNIVERSITÀ NON SI PENSA - NEGLI USA LA RICERCA SPOSA L’OPEN ACCESS - SHAPIN: CARI RICERCATORI 'E COLPA VOSTRA SPIEGATEVI MEGLIO - LA RICERCA ESIGE PREMI AL MERITO, NON PROMESSE - R&S: LA STRATEGIA DEL CORAGGIO - NANO-DEONTOLOGIA EUROPEA - ITALIANI: INFINITAMENTE INCONSAPEVOLI - RICERCA: LITIGATE E SARETE CREATIVI - LA LAICITÀ ORMAI E' VECCHIA: VA RINNOVATA - NO ALL’OFFENSIVA DEL CLERICALISMO - L'ULTIMO FALLIMENTO DELL'EOLICO ORA LE PALE AUMENTANO LO SMOG - ======================================================= UNA MEDICINA APERTA A TUTTI - SCOMMESSA: I MEDICI DIVENTANO UMANI - SANITÀ, L'ULTIMO TRENO PER LE REGIONI IN ROSSO - PIÙ LISTE D'ATTESA COI TAGLI ALLA SANITÀ - PRIGIONI, LA SANITÀ PASSA ALLE ASL - LISTE D'ATTESA, WEB A DIGIUNO - DIPARTIMENTI AL PALO: ATTIVATI IN UN'ASL SU DUE - TRAPIANTI, LA RETE D'ECCELLENZA DÀ LA CACCIA AI «BUCHI» - ANAAO: «IL CAMBIAMENTO È FRENATO MA INDIETRO NON SI TORNA» - QUANT'È DIFFICILE VALUTARE IL MEDICO - NEL SEGNO DELL'APPROPRIATEZZA - IL RAZZISMO DEL PADRE DEL DNA: L'INNOVAZIONE, NON L'INNOVATORE - COMINCIA DA HARVARD LA MAPPATURA DEI NEURONI - NETWORK INTERREGIONALE PER LA TALASSEMIA (IN BASILICATA!) - CON DARWING CAPISCO IL TUMORE - A TUTTE LE ETÀ SI CORREGGONO I DIFETTI VISIVI - LE DIECI SENTINELLE DEL CUORE - LE STRADE PER SUPERARE IL PSA - PIÙ IL CHIRURGO GIOCA CON I VIDEOGAME MEGLIO TI OPERA - IL LASER ILLUMINA LA CARIE - PIANO CON I DOLCIFICANTI - NEGLI ULTIMI 15 ANNI DIMINUITI NEL MONDO I DECESSI PER TUMORE - CALVI PER "COLPA" DELLA MAMMA - UN MICRO-ROBOT NEL CERVELLO: USEREMO L' INTELLIGENZA ARTIFICIALE - PLACEBO NEGLI USA L' 80 PER CENTO DEI MEDICI LI UTILIZZA - ======================================================= __________________________________________________________________ Il Messaggero 21 feb. ’08 UNIVERSITA’: UNA SU TRE E’ AL DISSESTO di ANNA MARIA SERSALE ROMA- C'è chi rischia«sanzioni» e perfino il «commissariamento» se non farà piani di rientro per risanare i conti. Venti atenei sono sull'orlo del «dissesto finanziario» con bilanci ballerini e sempre più in rosso. Non sono i soli. Qualche altro è sulla stessa strada con «conseguenze devastanti per la ricerca». «E proprio sulla ricerca che tagliamo. le altre spese, tra stipendi e costi di funzionamento, sono incomprimibili». A parlare è Alessandro Finazzi Agrò; rettore di Tor Vergata, una delle università in buona salute. «La follia - continua il rettore - è che il 90% per cento dei Finanziamenti ordinari serve a coprire gli stipendi, con il 10% che resta dovremmo fare tutto, dagli appalti per le pulizie al riscaldamento, alle manutenzioni degli edifici, alla ricerca. Stretti tra l'incudine e il martello molti atenei "ammorbidiscono" i bilanci per raggiungere il pareggio imposto dalla legge. Un'imposizione che è una vera istigazione a delinquere. Il risanamento va fatto in altro modo. E' amaro dirlo, ma tra ritardi storici e esiguità dei fondi, se non avessimo i soldi americani e europei, e se non ci fossero gli introiti delle commesse dei privati, la ricerca sarebbe già morta». Siena per gli stipendi ha speso il 101,1% del Finanziamento ordinario (Ffo); Firenze il 99,4%; Napoli, seconda università, 98,8%; Pisa 96,9%; Bari, 95,8%; Messina, 91%. Sono alcuni degli atenei con la maglia nera per avere superato il tetto di spesa. Di contro ci sono una ventina di atenei virtuosi che per la prima volta avrebbero meritato gli «incentivi» promessi dal Patto per l'università dello scorso agosto, siglato tra i vertici accademici e il Governo. Ma le risorse sono state annullate e il Patto è stato tradito (i fondi sono stati usati per tamponare la vertenza dei trasportatori). Ora i «creditori» fanno parte di una lista pubblicata dal Ministero dell'Economia ma non sanno se e quando .vedranno i sospirati stanziamenti aggiuntivi. «Si tratta di università meritevoli - spiega ancora Finazzi Agrò - sottofinanziati in rapporto à strutture e servizi», L'Università degli Studi di Torino guidala classifica del merito, dovrebbe incassare 39,88 milioni di euro. Segue il Politecnico di Milano che vanta 36,55 milioni di euro; al terzo pasto Tor Vergata (unica tra le università romane), che dovrebbe avere 32,76 milioni di euro. C'è anche Bologna, con 26.08 milioni di euro. Ma la lista ne comprende altre, come riporta il grafico in pagina. Intanto per i consigli di amministrazione delle 77 università italiane è sempre più difficile chiudere in pareggio. «La Sapienza negli ultimi 5 anni ha perso 200 milioni di euro - sostiene il rettore Renato Guarini - Per colpa dei tagli e per i criteri di suddivisione dei fondi, gli stessi che valgono per le piccole università. Come chiuderemo il bilancio? Abbiamo un disavanzo di 30 milioni di euro ma ricorreremo a un —pareggio tecnico" essendo creditori di 137 milioni di euro che l’Umberto I; della vecchia gestione. ancora ci deve». Per rimettere in sesto le casse universitarie e colmare il "buco" che si è spalancato negli ultimi anni si calcola che occorra un miliardo di euro. La stima è di Guido Trombetti. presidente della Conferenza dei rettori. Il grido di dolore tuttavia non servirà a ridare ossigeno, soprattutto per i piccoli atenei è quasi impossibile sostenere le spese crescenti a fronte di finanziamenti statali insufficienti. «II problema vero non sono le risorse - afferma Roberto Perotti della Bocconi di Milano -molte università sono dissestate non solo finanziariamente ma accademicamente, se venissero chiuse n e guadagneremmo tutti, perché il male non è curabile con una iniezione di fondi. tanti disastri sono avvenuti per colpa della colonizzazione di intere famiglie. Mussi si è speso con una valanga di parole ma non ha risolto niente. Ci vorrebbe un intervento drastico e non i brodini caldi degli ultimi cinquant'anni». Intanto sui Cda incombe la scadenza di marzo. Tra poco più di un mese gli atenei depositeranno i conti a consuntivo (in dicembre hanno presentato i bilanci previsionali). E sarà il momento della verità. La legge impone almeno il pareggio. Però il disavanzo aumenta. E non bastano più le ardite manovre per registrare introiti da vendite immobiliari (talvolta fittizie) altre vere. Secondo il Ministero di Padoa Schioppa sono una ventina gli atenei a rischio. Nel libro sulla "Spesa pubblica" il Ministero individua le università "sprecone", che hanno sforato i tetti di spesa, e quelle "virtuose", che non solo hanno gestito con oculatezza le risorse, ma che presumibilmente hanno attirato fondi da sponsor esterni. Dice con un sorriso Ezio Pelizzetti, rettore della Statale di Torino: «Vero, siamo creditori di oltre 40 milioni di euro, Ma la distribuzione premiale è rimasta nel cassetto. Non speravamo di ricevere tanti soldi in un colpo solo, in ogni caso l'adeguamento lo aspettavamo in non più di tre anni. Il sistema aveva bisogno di un segnale così, invece, ancora una volta è tutto sfumato e se si lavora bene o male non fa differenza». Ma come ha fatto la Statale di Torino a raggiungere buoni risultati? «Gli incentivi, basati su criteri valutativi, potevano creare competizione, purtroppo si è bloccato tutto. Però noi, già dal 2002, abbiamo varato un piano che si concluderà nel 2012 per ottimizzare la gestione. Abbiamo inoltre svecchiato il corpo docente con quasi 700 concorsi per giovani ricercatori in sette anni, senza per questo disperdere le competenze degli anziani». Anche Giulio Ballio, rettore del Politecnico di Milano, ha il vanto di governare un ateneo al top. «E frustrante non ricevere il riconoscimento, siamo al servizio del Paese, con quei soldi avremmo potuto realizzare cose importanti, non dimentichiamo che la competizione internazionale è sempre più aggressiva. E poi ci lamentiamo della fuga di cervelli, un sistema sottofinanziato è pericoloso, rischiamo di perdere ancora terreno. IL merito è calpestato, ai miei studenti consiglio di andare all'estero. In che modo abbiamo ottenuto buoni risultati? L’ho spiegato al rettore di Zurigo che ha Finanziamenti otto volte superiori ai nostri. I "miracoli" li facciamo lavorando il doppio, anche se siamo pagati la metà». E gli atenei meno virtuosi? Ll Ministero dell'Economia li mette ai raggi X; «Pei ainni le università hanno preferito spendere risorse per garantire la progressione di carriera dei docenti». Però il ministero ammette che in una norma di diritto valida per tutti, credenti, non credenti o credenti in altro dalla religione maggioritaria. Ed è proprio da ciò che nascono i conflitti che stanno dividendo la nazione come forse mai era accaduto prima nella Repubblica. Il pensiero ufficiale della Chiesa insegna che vi sono dei diritti naturali che discendono da Dio che non possono essere messi in discussione dal legislatore. Così i suoi interpreti più tradizionalisti, ecclesiastici e non, ritengono che solo la Chiesa detenga il monopolio dell'etica pubblica, che, come tale, va tradotto nella legislazione dello Stato per fare fronte alla decadenza della società secolarizzata. Perciò le coppie di fatto non devono essere regolamentate; la ricerca scientifica si deve arrestare ad una certa soglia; sottostando a precetti dottrinali e non alle regole della scienza responsabile; l'embrione va trattato come se fosse un essere umano con una personalità giuridica; le donne incinte non devono fare gli esami preventivi di routine perché darebbero luogo a pratiche eugenetiche; e gli omosessuali vanno trattati come malati... Dunque il contrasto fra una visione laica e una neotradizionalista (o clericale) risiede oggi in Italia in due nodi che si aggrovigliano sempre più. Il primo riguarda l'uso del potere. Infatti, mentre da un lato i sostenitori del mondo clericale rivendicano l'opera di apostolato sul propri valori neotradizionalisti in concorrenza con altre visioni del mondo religioso e non religioso, dall'altro gli stessi non abbandonano le condizioni di privilegio istituzionale iscritte nelle regole concordatarie che statuiscono i rapporti fra lo Stato italiano e il Vaticano. È questo ambiguo gioco su due tavoli che non è idealmente, politicamente e religiosamente accettabile: la libera presenza della Chiesa nella società con la sua forte azione valoriale - che va difesa ad ogni costo - e il rapporto di potere privilegiato con le istituzioni statali. L'altra questione fonte di sempre più accentuato conflitto è la manifesta volontà dei neotradizionalisti di imporre per legge un punto di vista morale (religioso) di una parte all'insieme della comunità nazionale. Si tratta di un terreno direttamente politico nel quale il conflitto non è soltanto fra diverse visioni ideali ed etiche - laiche, religiose, cattoliche, bensì sui criteri e i limiti che la legislazione e l'azione dello Stato devono avere nei confronti delle scelte morali individuali e dei comportamenti personali. Una visione laica non nega certo l'ispirazione etica delle leggi in base ad un indifferentismo agnostico buono per ogni uso. Ma ritiene che anche per i moral issues la legge erga omnes non può che essere ispirata a ragionevoli compromessi che escludano i proibizionismi intrinseci a tutte le verità morali assolute. La conseguenza è che, legiferando sul terreno etico in tema di aborto, omosessuali, contraccezione, fecondazione assistita, eutanasia, cellule staminali e ricerca scientifica non si può assumere il punto di vista del tradizionalismo cattolico come regola valida per tutti. Infatti tali punti di vista che sono precettivi per le coscienze dei credenti cattolici, divengono proibizionisti per coloro i quali credenti non sono o credono in altri valori, ideali e fedi. In definitiva, l'attuale polemica non è tra indifferentisti / relativisti e credenti portatori di una morale personale e un'etica pubblica capace di colmare il cosiddetto vuoto della modernità. Ma è tra laici, che affidano le scelte morali alla coscienza individuale nei limiti di ragionevoli compromessi con gli interessi sociali e dei terzi, e proibizionisti che vogliono autoritariamente imporre le loro credenze come verità assolute a quanti non le condividono. Sulla laicità Gaetano Salvemini scriveva: «La ideologia del laicismo nega alle autorità ecclesiastiche il diritto di mettere legalmente al servizio delle loro ideologie le autorità secolari. Le autorità ecclesiastiche hanno il diritto di consigliare i fedeli, e magari di condannarli al fuoco eterno, ma nell'altra vita. Se avessero la facoltà di imporre giuridica,mente a fedeli e non fedeli i loro consigli e le loro condanne in questa vita, i loro consigli diventerebbero leggi. I peccati diventerebbero delitti. Il laicismo - inteso in questo senso, e non so in quale altro senso si possa intendere - è 1a secolarizzazione delle istituzioni pubbliche». __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 feb. ’08 NANO-DEONTOLOGIA EUROPEA La Ue fissa 7 regole di comportamento per il settore Se 20 anni fa la Ue avesse adottato un "codice di buona condotta" sugli Ogni approvato due settimane fa, il mais e la soia transgenica non sarebbero diventati il cibo di Frankenstein. L'atteggiamento delle autorità di Bruxelles nei confronti dei ricercatori che studiano particelle mille volte più piccole di un capello, vuole evitare incomprensioni, diffidenze e favorire la trasparenza. Il codice di buona condotta è stato elaborato dalla Commissione dopo una consultazione pubblica, a mi hanno partecipato tutte le parti sociali, e vuole creare i presupposti per rispondere alle legittime preoccupazioni che la nuova scienza può suscitare. Il nuovo approccio è importante perché nano tecnologie e nano scienze potrebbero essere l'elemento cardine della prossima rivoluzione tecnologica, e l'Europa si aspetta dei buoni risultati dal nuovo settore» ha dichiarato janez Potocnik, membro della Commissione responsabile della Scienza della ricerca. L'ipotesi è avvallata da studi autorevoli che attribuiscono alle nanotecnologie un ruolo trainante per l'economia. Secondo Mitsubishi Institute e Lux Research si può stimare un impatto economico che oscilla dai no miliardi di euro nel 2010 ai 1.900 miliardi del 2014. Un mercato di così vaste dimensioni non può essere lasciato senza regole deontologiche. E il documento della Commissione, anche se enuncia una serie di principi generali, costituisce un codice di comportamento su base volontaria. Gli elementi caratterizzanti sono sette: PRECAUZIONE. Le attività di ricerca devono rispettare il principio di precauzione, prevedendo eventuali problemi nei confronti dell'ambiente, della salute e della sicurezza dei cittadini causati dalle nanoparticelle. COMPRENSIONE. La ricerca nei laboratori deve risultare comprensibile e realizzata rispettando i principi etici fondamentali con la finalità di migliorare la salute o il benessere delle persone e della società. STABILITÀ. L'attività di sperimentazione non deve ledere persone o animali o nuocere all'ambiente o costituire una minaccia biologica. COINVOLGIMENTO. Gli studi in corso devono essere caratterizzati dal principio della trasparenza e devono fornire informazioni a tutte le parti interessate.. ECCELLENZA. Le ricerche vanno condotte seguendo le norme e gli standard scientifici in grado di offrire le massime garanzie. INNOVAZIONE. Le ricerche delle nanoparticelle devono favorire la creatività, l'innovazione e contribuire a, creare nuove prospettive. RESPONSABILITÀ. I ricercatori sono ritenuti in prima persona responsabili di eventuali incidenti sull'ambiente e sulla salute dei cittadini, causati dal loro lavoro. In virtù di questo comma è previsto che una parte dei fondi assegnati da Bruxelles siano destinati all'analisi dei metodi e degli strumenti correlati alla valutazione del rischio. ROBERTO LA PIRA __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 feb. ’08 ITALIANI: INFINITAMENTE INCONSAPEVOLI RICERCA POLIS 2000 Gli italiani conoscono poco le nanotecnologie. A dirlo sono i risultati della ricerca condotta da Polis 2000, gruppo di docenti di psicologia dell'Università di Torino, e commissionata da Nanomat, il progetto finanziato dalla Regione Piemonte e dalla Ue volto a favorire il trasferimento tecnologico delle innovazioni verso le imprese piemontesi. L'indagine ha coinvolto circa 2.500 persone in tutto il Paese e ha rilevato che, benché vi sia un atteggiamento generale che valuta positivamente la ricerca quale veicolo per migliorare la qualità della vita, le nanotecnologie e le loro applicazioni sono assai poco conosciute. Oltre f83% degli italiani afferma diavereunaconoscenzanullaoassailimitatadiquest'amUitodellaricerca; ciò è dovuto alla poca informazione: per esempio, è emerso che molti intervistati associano erroneamente le nanoternologie al processo di miniaturizzazione delle componenti informatiche. Per questo la ricerca sottolinea che anche la piccola percentuale di italiani che afferma di conoscere bene le nanotecnologie (meno del 3%), ha un'idea poco chiara di ciò che è effettivamente la tecnologia dell’infinitamente piccolo. Tale considerazione è supportata dal fatto che oltre il 7o% degli italiani afferma di considerare le nanotecnologie poco diffuse nel]'industria nazionale. In pochissimi sanno che prodotti basati su nanotecnologie sono già sul mercato. Il quadro si completa con l'atteggiamento positivo, di curiosità e di fiducia nei confronti di questo filone di ricerca: solo il 7% afferma infatti di avere timore delle conseguenze della ricerca nanotecnologica. I risultati italiani sono in linea con quelli emersi in Europa e negli Usa dove appare elevata la curiosità e la fiducia nelle potenzialità della ricerca (soprattutto quando è associata all'ambito farmaceutico e sanitario), ma assai limitata l'effettiva conoscenza. In generale, la ricerca nanotech è vista come qualcosa che potrà creare vantaggi in futuro piuttosto che come attività capace di generare opportunità già oggi come effettivamente accade. EMIL ABIRASCID __________________________________________________________________ TST 20 feb. ’08 RICERCA: LITIGATE E SARETE CREATIVI Ricerca. Soltanto tra il 15 (o il 10 per cento dei progetti innovativi raggiunge l'obiettivo stabilito, Se non si combinano professionalità diverse e saperi contrastanti, il fallimento è quasi certo In un team ci si deve sfidare: è il conflitto delle idee a generare decisioni coraggiose SUSAN JUSTESEN COPENHAGEN RUOLO: E'CONSULENTE NELLA SOCIETA'IDANESE «INNOVERSITY» ATTIVIIM: STACREANDO UNASERIE Di LABORATORI PER L'INNOVAZIONE IN 10 SOCIETA'USA INSERITE NELLA LISTA DELLETOP 500 Di «FORTUNE» La maggior parte dei progetti innovativi fallisce. Tra il 90 e il 95% non raggiunge l'obiettivo prestabilito e si considera un tasso così alto molto sorprendente. In realtà, dopo aver studiato questo tipo di progetti in sette multinazionali per tre anni devo ammettere di essere stupita che tra il 5 e il 10% dei casi vada comunque a buon fine. Primo. L'innovazione è difficile e richiede moltissimo lavoro, sebbene sappia anche essere divertente. Quando è davvero «di rottura», può dare fastidio. Se un'idea è nuova, richiede cambiamenti e spesso decisioni dolorose, non solo da parte C chi è direttamente coinvolto, ma anche di chi avrà i minori benefici da una rivoluzione dello status quo, vale a dire i capi. Secondo. E’ sorprendente notare quanto omogenei sia no i gruppi che si focalizzano sull'innovazione, soprattutto quando si pensa al cambiamento come una fonte di conflitto, come una serie di prospettive contrastanti e come scontro di conoscenze, ruoli e opinioni. E' noto che gli umani tendano a circondarsi di persone simili a noi. Perché? Perché è più facile. Il problema, però, è che così diventa difficile aprire la porta all'innovazione. Se vogliamo la novità - ho spiegato alla manifestazione Innovaction a Udine - dobbiamo lavorare con individui diversi da noi, con tanti back ground culturali e professionali. Dobbiamo accettare gli alternativi, chi non si integra e chi dice sempre la sua, incoraggiando così la creatività. lo definisco l'innovazione come il risultato combinatorio di saperi diversi, provenienti da tante discipline e sensibilità, con i quali si crea un nuovo prodotto, un nuovo processo o un nuovo servizio. La diversità, d'altra parte, può essere interpretata in molti modi, ma è importante definirla come la disponibilità e allo stesso tempo come l'utilizzo di tante realtà conoscitive, basate su un'estrema varietà sia sociale sia professionale sia culturale. E' significativo, però, anche un altro aspetto: si tende a pensare che ogni volta che si fanno cooperare gruppi con un alto livello di varietà questa caratteristica venga sfruttata al massimo. In realtà i team la usano soltanto per una frazione minima. Ecco perché, se si vuole utilizzarla al meglio per l'innovazione, è necessario dedicare il giusto tempo e le giuste risorse per tre aspetti. Primo: identificare i saperi disponibili all'interno di un gruppo. Secondo: elevare la consapevolezza tra tutti i partecipanti delle reciproche possibilità. Terzo: enfatizzare gli scambi multipli di conoscenze. Nelle squadre che hanno successo ogni membro sfida apertamente gli altri, continuamente e con grande convinzione, e tutti i partecipanti non smettono di scambiarsi informazioni e punti di vista, fino a quando si raggiunge un adeguato livello di consapevolezza reciproca. Soltanto a quel punto è possibile combinare insieme gli elementi in gioco e questo è esattamente ciò che significa innovazione. In uno dei gruppi che ho studiato, per esempio, la sfida è stata quella di fondere in modo intelligente i saperi altamente specializzati di scuola giapponese con quelli altrettanto sofisticati, ma diversi, di scuola americana. Il processo ha significato far avvicinare conoscenze che fino ad allora erano rimaste separate, creando nuove soluzioni nel settore del biotech. Nelle squadre meno innovative, invece, gli individui tendono a trattarsi con un rispetto quasi eccessivo e la disciplina è sempre molto alta. Le conversazioni seguono un ritmo preordinato e ci si ascolta sempre con esagerata attenzione. E' inoltre raro che qualcuno osi sfidare qualcun altro, perché, in genere, si tende a raggiungere subito un accordo sulle questioni fondamentali. Ma come è possibile mettere in forse le certezze del presente, se tutti sono sempre d'accordo? Per essere certi che i processi decisionali diventino innovativi ci si deve provocare reciprocamente. Così non soltanto si rendono disponibili tanti tipi alternativi di sapere, ma si dà anche vita a un contesto in cui la discussione diventa un'esigenza permanente e spontanea. Solo la diversità, infatti, garantisce conflitti, discussioni e decisioni coraggiose. Tutti e tre gli elementi sono necessari, se si vuole essere veramente innovativi, inoltrandosi nel futuro. __________________________________________________________________ Il Giornale 16 feb. ’08 L'ULTIMO FALLIMENTO DELL'EOLICO ORA LE PALE AUMENTANO LO SMOG FRANco BATTAGLIA Più energia eolica ma anche più Co2 in atmosfera»: potrebbe essere nel programma elettorale di Veltroni, è non dubito che lo sarà, ma per il momento quello detto è il titolo della terza pagina di Le Monde del 14 febbraio. Che rivela lo studio di una delle tante associazioni ambientaliste che assillano l'umanità - la Federazione francese dell' ambiente sostenibile - la quale si è accorta che a dispetto dei 18 Gw (gigawatt) eolici (18mila turbine alte 100 metri) installati in Germania e dei 10 Gw eolici installati in Spagna, negli ultimi 5 anni le emissioni tedesche di Co2 sono aumentate dell'1,2% e quelle spagnole del 10,4%: «L'eolico è un colossale inganno economico ed ambientale», conclude lo studio francese. Raphaél Claustre, ha ammesso: «Una cosa è certa, se non si riducono i consumi d'energia l'eolico non serve a niente». Bella forza, se la si smette di pretendere di avere energia anche l'aria, fritta è buona. E un recente rapporto della E.On tedesca - la principale installatrice di parchi eolici in Germania - lo afferma chiaro e tondo: «Dovremmo avere almeno 24mila turbine eoliche per sperare di chiudere un impianto convenzionale». Ci voleva molto a capirlo? No, se solo si capiscono due cose sull'uso che fa l'umanità dell'energia. La prima è che la parola-chiave in questo uso è la parola «potenza» e non la parola «energia»: se le erogate 1 kWh di energia con la potenza di 100 W, una lampadina da 100 W sta accesa per 10 ore; se le erogate 1.000 kWh alla potenza di 1 W avrete consumato mille volte più energia ma la lampadina sarà rimasta spenta. Quando il vento non soffia le pale non girano, e non si aggiunge alcuna potenza al sistema elettrico, esattamente come non si aggiunge alcuna luminosità ad un locale dotato di lampadine potentissime ma spente. La seconda cosa da capire è che l'energia elettrica è un bene particolarissimo: se ne deve produrre tanta quant'è la domanda, e quando richiesta deve essere prodotta, sennò il sistema va in blackout. Quando il vento non soffia e la popolazione richiede energia, questa deve essere erogata dagli impianti convenzionali. E succede che il vento non soffi? Caspita, se succede: nell'anno 2004 il massimo della potenza dei venti in Germania occorse alle 9.15 del 25 dicembre, quando si registrò una potenza di 6 Gw; dopo appena 10 ore si ridusse a 2 Gw, sin quasi ad annullarsi a mezzogiorno del giorno dopo. La differenza fu compensata dagli impianti convenzionali (oltre il 50% dell' elettricità tedesca è prodotta dal carbone e oltre il30% dal nucleare). Peggio ancora: il vento non ci fa la cortesia di informarci quando decide di soffiare secondo i nostri desideri. Un dispetto, questo, che può costare molto caro, se i venti non sono monitorati con quella cura che - recita la leggenda metropolitana - solo i tedeschi avrebbero. Infatti il 4 novembre 2006 mezza Europa fu colpita da un blackout causato dalla incapacità dei tedeschi a star dietro ai capricci dei loro venti: in Italia se ne sentirono gli effetti fino in Puglia. Cosa fa, allora, il vento quando soffia e le pale girano? Fa risparmiare combustibile convenzionale e nulla più. Quanto? L'aritmetica è facile: per produrre 1 Gw-anno di energia elettrica l'anno sono necessarie 6.000 turbine che costano più di 6 miliardi e durano 20 anni, alla fine dei quali saranno stati prodotti 20 Gw-anno di elettricità. Per produrre i quali, però, basterebbe meno di 1 miliardo di euro in combustibile nucleare: non mi sembra che sia necessaria la consulenza del nostro Renato Brunetta per comprendere che spendere più di 6 miliardi subito per risparmiare meno di 1 miliardo in 20 anni non sia il massimo della furbizia. Ecco perché è necessario che l’eolico sia sovvenzionato in modo abnorme col denaro delle nostre tasse. Ed ecco perché il settimanale tedesco Der.Spigell ha definito < consentirà di correggere almeno l'80-90 per cento del difetto. Si possono utilizzare lenti intraoculari artificiali che sostituiscono il cristallino umano (che viene frammentato e poi aspirato con una sonda a ultrasuoni). Sono costruiti in materiale plastico e inseriti nell'occhio attraverso una microincisione (2,7 mm), sono permanenti e durano per tutta la vita». «L'intervento di cataratta con le nuove lenti artificiali consente di correggere l’85% dei difetti visivi preesistenti», afferma il dottor Cado Vanetti, microchirurgo oculare __________________________________________________________________ Repubblica 23 feb. ’08 LE DIECI SENTINELLE DEL CUORE ictus e infarti, ecco i segna che salvano la ROMA - Spesso bussano alla porta inaspettati. Così ictus o infarti diventano per i medici un rebus da risolvere già al momento della prevenzione. Trovare un nuovo segnale d'allarme affidabile, oltre a quelli già noti, è come ricevere un jolly durante una mano di carte. Ed è con questa eccitazione che ieri gli specialisti di ictus americani riuniti a congresso a New Orleans hanno lanciato la notizia di una nuova possibile spia, in grado di mettere in guardia contro le crisi negli anziani. Una spia che si unisce alle altre "sentinelle" che possono salvare la vita. Uno dei sintomi della scarsa irrorazione di sangue al cervello è la tendenza ad addormentarsi spesso durante il giorno. La fame di ossigeno che rende difficile restare svegli potrebbe indicare una predisposizione all'ictus nelle persone con più di 70 anni. Mai cardiologi e i neurologi riuniti a New Orleans precisano: la tendenza alla pennichella sulla poltrona diventa un possibile sintomo solo se non si verifica nei momenti noiosi della giornata. Davanti alla tv, addormentarsi durante un dibattito Oltre ai segnali eclatanti come il dolore al petto ai casi dei protagonisti dei serial, che crollano a terra stecchiti in quello che è stato soprannominato "il drammatico infarto televisivo", gli epidemiologi statunitensi spiegano che un attacco di cuore si può presentare segnali meno evidenti, come un senso di oppressione che si estende allo stomaco o al collo, respiro corto e sudore freddo. Nelle donne più che negli uomini questi sintomi alternativi tendono a ritardare la richiesta di aiuto. Nel loro rapporto i medici dei Centers for Disease politico non è grave. Chiudere gli occhi durante la partita (ma solo se si è tifosi) rientra invece nei casi degni di attenzione, secondo gli specialisti americani. Se da un lato i tasselli per la diagnosi si arricchiscono fra le mani dei medici, la mancanza di informazione a livello della popolazione normale non fa stare tranquilli i Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, che sempre ieri hanno lanciato un allarme parallelo. Solo un americano su quattro infatti conosce quali sono i sintomi di un attacco cardiaco. La percentuale è in netto calo, visto che nel 2001 la consapevolezza riguardava un cittadino su tre. Control ribadiscono che intervenire nella prima ora vuol dire quasi sempre salvarsi senza troppe ripercussioni negative. Lo studio sugli ictus presentato a New Orleans ha preso invece in considerazione 2.153 persone con un'età media di 73 anni. IL 9 per cento aveva una tendenza molto alta ad addormentarsi di giorno, perfino nel bel mezzo di una conversazione. «Ovviamente siamo partiti dai fattori di rischio classici ha spiegato la dottoressa che ha condotto la ricerca,„ Bernadette Boden-Albala della Columbia University - come ipertensione, diabete, obesità e mancanza di attività fisica. Ma a parità di queste condizioni, abbiamo notato che la presenza dei colpi di sonno favoriva la comparsa dell’ictus in maniera importante». Le probabilità di essere colpiti da un ictus negli anziani che hanno tendenza ad addormentarsi di giorno aumenterebbe, secondo i dati presentati a New Orleans, da due a quattro volte. Ma la scoperta della Boden Albala potrebbe essere anche letta diversamente. In passato infatti è stato scoperto che gli anziani che soffrono di apnee durante il sonno notturno possono essere colpiti da ictus con più facilità. E proprio il russare, unito alla difficoltà di respirazione causato dalle apnee, rende il sonno notturno leggero e frammentato. La tendenza al pisolino diurno potrebbe dunque essere semplicemente l’altra faccia della medaglia dell'insonnia nelle ore notturne. (elena dusi) __________________________________________________________________ MF 16 feb. ’08 LE STRADE PER SUPERARE IL PSA Identificato un nuovo gene responsabile del tumore alla prostata i cui livelli si possono misurare nel sangue. Conclusa anche con successo una sperimentazione animale su un vaccino di Silvia Fabiole Nicoletto Buone notizie per quanto riguarda lo screening del tumore alla prostata: un gruppo di ricercatori inglesi ha infatti scoperto nuovi geni associati a questo tumore che potrebbero essere usati per identificare in modo più accurato i pazienti ad alto rischio oltre che per sviluppare nuovi farmaci. Per lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, sono stati esaminati campioni di Dna appartenenti a oltre 1.800 persone cui era stato diagnosticato il tumore alla prostata prima dei 60 anni di età o che avevano una storia familiare della malattia. Sono inoltre stati inclusi altrettanti pazienti di controllo con un basso valore di Psa per un totale di 500 mila varianti nel codice genetico esaminate. Al termine dell'analisi i ricercatori hanno identificato nuove regioni cromosomiche che non erano mai state collegate al tumore prostatico e tre geni a cavallo di queste regioni che potrebbero essere responsabili di una maggiore suscettibilità alla malattia e sono presenti in oltre la metà dei casi. I livelli di uno di questi (indicato con la sigla Msmb) possono essere misurati nel sangue ed essere molto utili per la diagnosi e il monitoraggio della progressione della malattia. Un altro gene, LMTK2, è considerato dagli studiosi un potenziale bersaglio per nuovi farmaci ed è localizzato sul cromosoma 7. Uno studio clinico inizierà nel corso dell'anno per individuare i fattori di rischio genetici in un gruppo di uomini appartenenti a una famiglia con una storia di tumore prostatico. Sul fronte terapeutico è notizia altrettanto recente la sperimentazione animale di un vaccino che previene la comparsa del tumore prostatico: lo ha sviluppato un gruppo di ricercatori americani della University of Southern California a Los Angeles, la cui ricerca è stata pubblicata sulla rivista Cancer Research. II vaccino sperimentato di recente si basa su una proteina, detta Psma, presente in modo specifico sulle cellule tumorali e sui nuovi vasi che apportano ossigeno e nutrimento alla massa tumorale. La sua presenza è spiccata sulla superficie delle cellule tumorali prostatiche, in particolare nei tumori di alto grado, metastatici e non responsivi alle terapie tradizionali e alcuni studi hanno dimostrato che la sua sovra produzione può predire la ricorrenza del tumore. A differenza di altre proteine, come il Psa, Psma è una proteina non secreta bensì inserita nella membrana della cellula. Per determinare se un vaccino a base di Psma potesse indurre una protezione a lungo termine i ricercatori hanno vaccinato un gruppo di topi che, in seguito a modificazioni genetiche, avevano sviluppato il tumore. La percentuale di sopravvivenza tra i topi vaccinati è stata del 90% a 12 mesi di età, con soli due animali morti per tumore prostatico. A confronto, f80% dei topi non vaccinati è morto come risultato della comparsa di tumori estesi e poco differenziati mentre gli altri hanno sviluppato forme tumorali gravi. Secondo i ricercatori il successo di questa strategia sperimentale di vaccinazione per ottenere una protezione a lungo termine dal tumore fa pensare che protocolli simili possano essere utilizzati su pazienti cui venga diagnosticata la malattia a uno stadio precoce. __________________________________________________________________ Libero 19 feb. ’08 PIÙ IL CHIRURGO GIOCA CON I VIDEOGAME MEGLIO TI OPERA Ricerca Usa: commette meno errori GIANLILICA GROSSI Chirurgia e videogame, due mondi tanto distanti, ma così incredibilmente vicini. Stando infatti a diversi centri di ricerca l'abilità mostrata con le manopole di un gioco elettronico non è tanto lontana da quella esplicata dai chirurghi in sala operatoria. In entrambi i casi è infatti necessaria concentrazione, tempismo e sangue freddo. Sulla base di queste considerazioni, vari scienziati stanno dunque seriamente pensando di fornire ai medici l'opportunità di cimentarsi periodicamente con i videogame per aumentare la loro abilità con pinzette, bisturi e siringhe. L'ultimo traguardo in questo senso è stato ottenuto pochi giorni fa presso il Banner Good Samaritan Medical Center di Phoenix, in Arizona, da Kanav Kahol e Marshall Smith. l due scienziati hanno riunito 8 medici e li hanno divisi in due gruppi. Al primo è stato chiesto di giocare per 4 ore con i videogame della Wii, all'altro non è stato chiesto nulla. In seguito entrambi i gruppi si sono cimentati con il gioco ProM1S, un simulatore che riproduce in 3 dimensioni il corpo di un paziente su cui operare virtualmente. Alla fine si è visto che i medici che avevano giocato con i prodotti Wil ottenevano un punteggio del 48 percento in più rispetto agli altri: in pratica commettevano molti meno errori manuali. Questa è la chiara dimostrazione che giocare con i videogame fa bene alla salute mentale del chirurgo; presupposto fondamentale per poter condurre a termine brillantemente un intervènto. «I movimenti manuali in ambito chirurgico sono molto simili a quelli riguardanti i comandi dei giochi elettronici» ha dichiarato Kahol. Ma non tutti i giochi della Wii hanno comunque lo stesso valore "terapeutico". L'allenamento ideale per i medici viene fornito soprattutto da giochi come Marble Mania, in cui i giocatori guidano un blocco di marmo su un percorso ad ostacoli. Il gioco del tennis, al contrario, non serve a nulla. In pratica - secondo i ricercatori - cimentarsi con joystick e consolle aumenta il livello di concentrazione, allena il cervello (e di conseguenza le mani) a maneggiare strumenti piccoli e a destreggiarsi meglio in spazi ristretti come può essere quello di un organo sul quale è necessario intervenire. Anche gli scienziati del Beth Israel Medical Center di New York sono giunti a conclusioni analoghe coinvolgendo 33 medici. In questo caso si è visto che i medici alle prese con la playstation da almeno da tre anni e con una media di tre ore a settimana commettevano il37 percento di errori in meno durante un intervento chirurgico in laparoscopia; inoltre terminavano l'operazione molto più velocemente di chi aveva poca confidenza con le consolle. Secondo il dottor James Rosser, medico coinvolto nei test, la coordinazione mano-occhio che si utilizza in sala operatoria è strettamente riconducibile a quella dei giochi elettronici. Mentre Kurt Squire, ricercatore dell'università del Wisconsin, afferma che «con un videogioco si è in grado di sviluppare il tempismo». Infine studi come questo potrebbero cambiare i metodi di insegnamento e addestramento degli studenti di medicina. Attualmente gli universitari conducono le loro esperienze grazie ad apparecchiature molto dispendiose; ma con l'introduzione dei videogame in campo didattico le spese per i macchinari calerebbero drasticamente. __________________________________________________________________ MF 19 feb. ’08 IL LASER ILLUMINA LA CARIE L'assenza di radiazioni lo rende perfetto per l'utilizzo sui bambini di Elisa Martelli Un nuovo laser a fluorescenza consente di individuare la carie dentale al suo primo insorgere. Niente più interventi tardivi, quindi, per curare carie che hanno già compromesso gran parte del dente mettendo a rischio la polpa. Se la prevenzione resta fondamentale, risulta importante anche una diagnosi tempestiva. L'ultima novità della ricerca odontoiatrica è un laser capace di riconoscere precocemente la carie, anche quando questa si annida nelle fessure ed é nascosta da uno strato di smalto intatto, caso molto diffuso nei pazienti giovani. Si tratta di un metodo non invasivo; più affidabile dello specillo, = lo strumento a :punta normalmente impiegato dai dentisti; o della telecamera intra-orale e che nel caso di lesioni superficiali dà addirittura migliori performance rispetto allo strumento radiologico. «p funzionamento del soft laser prende origine da principi chimici, i batteri cariogeni responsabili della' demineralizzazione dei tessuti duri dei denti rispondono alla radiazione fluorescente emessa dal laser con una lunghezza d'onda differente rispetto a quelli sani», spiega Antonella Udeschini, medico odontoiatra membro dell'Accademia italiana di medicina conservativa, «i dati vengono poi registrati sul display digitale dell'apparecchio, che produce un segnale sonoro una volta individuate delle anomalie». Si tratta di un mezzo sicuro, indolore e portatile che richiede una taratura Iniziale sullo smalto sano del soggetto, in quanto la sua composizione varia da persona a persona. Una volta regolato sui valori standard dello smalto é così possibile capire di quanto questo si discosta dalla norma, individuando la presenza di uno stato batterica o di decalcificazione. Maggiore È la frequenza di una certa gamma, più profonda sarà la carie. Il laser consente quindi di individuare la quantità di batteri presenti stabilendo lo stadio di avanzamento della stessa: «Per l’assoluta assenz5 di invasività questo tipo di laser è ideale nei bambini o in caso di gravidanza», spiega Enrico Gherlone, primario di odontoiatria al San Raffaele, «In quanto evita l'esposizione a radiazioni». Si tratta di uno strumento utile per un primo screening, quindi, ma che non sostituisce l’esaustività di una radiografia; in quanto consente solo di osservare l'attività batterica presente sulla superficie de: dente. Esistono molte altre tipologie d laser usati in campo odontoiatrico, da trattamento di lesioni dei tessuti duri fino alle applicazioni paradontologiehe che non mettono però ancora d'accordo tutti gli specialisti. Uno di questi è il laser all'herbium per la cura delle lesioni cariose; che rimuove dentina e smalto cariato senza intaccare la parte sam del dente: «Si tratta di uno strurnentc molto costoso che risulta però utile soltanto in caso di lesioni di piccole dimensioni e che presenta il vantaggio, rispetto al tradizionale trapano; d sterilizzare la zona-bersaglio», precisa Gherlone. Una: simile considerazione vale per l’ozono terapia per il cui intervento è necessario che l’impalcatura proteica del dente non sia ancora stata compromessa. Si tratta di una tecnica che utilizza le proprietà ossidanti dell'ozono per uccidere i batteri e presenta costi più contenuti rispetto al laser L'ozonoterapia é veloce e indolore; ma richiede sedute di richiamo e la collaborazione del paziente nel processo di rimineralizzazione del dente tramite l'utilizzo di un kit casalingo e l’assunzione di un'alimentazione povera di zuccheri. __________________________________________________________________ Panorama 28 feb. ’08 PIANO CON I DOLCIFICANTI Puntare sui dolcificanti per controllare il peso può non essere un'idea vincente. Anzi, si rischia di fare peggio. Lo indica uno studio pubblicato su Behavioral neuroscience. A topi di laboratorio è stato dato yogurt con glucosio (zucchero semplice con 15 calorie) o con saccarina (zero calorie). II primo gruppo, durante la giornata, ingeriva più calorie ai pasti aumentando peso e massa grassa. Probabilmente perché il dolcificante altera la capacità dell'organismo di regolare l'introito di calorie e spinge quindi a consumare di più. __________________________________________________________________ Libero 22 feb. ’08 NEGLI ULTIMI 15 ANNI DIMINUITI NEL MONDO I DECESSI PER TUMORE Dal '90 a oggi si è registrato un -18,4% tra gli uomini e un -10,5 tra le donne. Salve mezzo milione di persone Dagli anni Novanta a oggi i decessi per tumore sono drasticamente calati in tutto il mondo: nell'uomo si è avuto un calo del 18,4%, nelle donne del 10,5%. Con ciò si sono evitati almeno mezzo milione di morti (534.500 per l'esattezza). Sono alcuni dei dati evidenziati dall'ultima ricerca statistica compiuta dagli specialisti dell'American Cancer Society. AL trend positivo registrato in Usa rispondono praticamente tutti i Paesi occidentali, Italia compresa. Nel particolare, scopriamo che sempre in Usa il declino della mortalità per tumore è stato particolarmente alto nel biennio 2002-2004, per poi subire una piccola battuta di arresto nel 2005. Nel 2005 ci sono stati infatti 559.312 decessi per -neoplasie contro i 553.888 del 2004. Nel 2008 si prevedono 1.437.189 nuovi casi di tumore e 565.650 morti. Ma ciò non significa che il decremento della mortalità per tumore si sia arrestato. Anzi. Secondo gli studiosi Usa il cammino verso la sconfitta di questa malattia è appena iniziato. «L'incremento del numero di morti nel 2005, dopo due anni di storico declino, non dovrebbe oscurare il fatto che, attualmente, il rischio di morire di tumore è sempre più basso, grazie agli enormi sforzi compiuti dalla medicina da una quindicina d'anni a questa parte - sottolinea John R. Seffrin, dell'American Cancer Society -. I risultati ottenuti dal 1990 al2004 hanno consentito di salvare mezzo milione di vite». E in Italia qual è la situazione? «Il fenomeno evidenziato dagli americani è apprezzabile in tutti i Paesi industrializzati - spiega Andrea Micheli, epidemiologo dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano - È iniziato in Canada, per poi arrivare in Usa e ora anche in Italia. Nel nostro Paese ci sono stati 127mila decessi nel 1990, dato che si è mantenuto costante per circa una decina d'anni. Poi c'è stato un leggero incremento nel 2005 quando si è arrivati a quota 129mila morti. Ma in proiezione futura stimiamo che nel 2010 non ci saranno più di 122mila decessi per causa di neoplasie». Per giungere a questi risultati gli studiosi hanno scandagliato i registri del Centers for Disease Control; è dal 1952 che annualmente l’American Cancer Society si occupa di far conoscere all'opinione pubblica il grado di incidenza e mortalità per tumore in Usa. Le statistiche fomite sono molto utili e vengono periodicamente consultate da scienziati e medici di tutto il mondo. Ecco qualche altro dato significativo. Nell'uomo i tumori diagnosticati con maggiore frequenza sono quelli al polmone, alla prostata, ai bronchi e al colon-retto. Solo questi riguardano il 50% del totale dei casi. Il tumore alla prostata è riferito al25% dei casi. Nelle donne invece i tumori più comuni sono quelli a seno, polmoni, bronchi e colon-retto. Solo il seno riguarda il 26% dei malati. Nel biennio 2002-2004 il decremento della mortalità è stato del 2,6% nell'uomo e dell'1,8% nella donna. TI rischio maschile di morire per uno dei quattro maggiori tumori è complessivamente in calo. Nelle donne l'unico dato leggermente in crescita si riferisce al tumore al polmone, con un aumento dello 0,2% all'anno. (A questo proposito si stima che il numero dei casi annuali di tumore al polmone sia raddoppiato nell'arco di 30 anni, passando dai 600mila del 1975 a 1,4 milioni del 2002, la diffusione di questa neoplasia è scatenata soprattutto dai fumo di sigaretta). L'incidenza del tumore al colon-retto è diminuita dal 1998 al 2004 sia nei maschi che nelle femmine. Nelle donne il tumore al seno, dopo la grande crescita degli anni Ottanta, ha subito una flessione con un calo dell'incidenza fra il 2001 e il 2004 del 3,5%. ______________________________________________________________________ Unione Sarda 20 feb. ’08 CALVI PER "COLPA" DELLA MAMMA Scoperto nell'Isola un gene responsabile della perdita dei capelli Si chiama Eda2R, il principale responsabile della calvizie, scoperto dai ricercatori di Shardna. di STEFANO LENZA I calvi ora sanno con chi prendersela: la testa pelata è colpa della mamma. Lo hanno stabilito i ricercatori di Shardna, società del Parco scientifico di Pula, individuando un gene che svolge una funzione determinante nella perdita dei capelli. Responsabile dell'istituto di Genetica delle popolazioni del Cnr a Sassari, Mario Pirastu dirige la ricerca e spiega la scoperta. «Da dodici anni studiamo gli abitanti di dieci paesi dell'Ogliastra indagando su diverse patologie. Da subito ci ha interessato la calvizie perché colpiva in modo precoce molti giovani, segnale di una forte componente ereditaria. Abbiamo quindi iniziato a osservare il problema dal punto di vista genetico e, dopo parecchi anni, abbiamo identificato l'associazione tra un gene e questa malattia, perché l'alopecia androgenetica, cioè la calvizie, è una vera e propria malattia» Qual è il gene? «L'Eda2r, di cui si sapeva ben poco e si ignorava fosse associato alla perdita dei capelli. È nel cromosoma X e viene quindi trasmesso ai maschi per via materna». La scoperta della correlazione tra l'Eda2r e la perdita definitiva dei capelli offre nuove speranze ai calvi? «No. Quando i capelli sono perduti lo sono per sempre, a meno che non si intervenga con il trapianto. Hanno una vita ciclica caratterizzata da un periodo di crescita pressoché inarrestabile, per questo si tagliano, una fase di involuzione e un'altra di arresto del ciclo. Questo meccanismo dura per tutta la vita accompagnato da una normale perdita che non coinvolge comunque il bulbo pilifero. In altre parole, quando un capello cade, un altro si rigenera nello stesso punto. Questo non avviene, invece, nella calvizie provocata proprio dalla mancata rigenerazione». Se non servirà a far ricrescere le chiome, la vostra scoperta avrà comunque un'applicazione pratica? «Consentirà di stabilire chi è predisposto in modo da intervenire con terapie preventive come avviene per tante malattie. Riteniamo faciliterà poi la ricerca di terapie mirate più efficaci delle attuali». Con un'analisi del Dna si può sapere se si è predestinati a diventare calvi? «Sì, noi abbiamo scoperto una delle cause che conferisce un alto rischio di perdita dei capelli». Non è l'unica? «No, ma pian piano potremmo individuare anche le altre così da determinare non solo se uno perderà o no i capelli, ma sperare in una terapia che arresti o ritardi il processo». Avete stimato l'incidenza dell'Eda2R? «Circa il settanta per cento della popolazione maschile e il cento per cento dei calvi. Bisogna però considerare che questa variante, in decine di migliaia di anni, è aumentata tantissimo perché i negri non ce l'hanno ma i bianchi sì. Gli incroci genetici lasciano supporre che siamo tutti destinati a diventare calvi. Ovviamente in un considerevole arco temporale». Oltre al gene in questione, sono state individuate altre cause? «Tempo fa se ne era trovato un altro ma noi pensiamo abbia un peso meno determinante rispetto al Eda2R che, comunque, da solo non provoca la malattia: deve interagire con una serie di concause ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb. ’08 UN MICRO-ROBOT NEL CERVELLO: USEREMO L' INTELLIGENZA ARTIFICIALE DAL NOSTRO INVIATO BOSTON - L' intelligenza artificiale? Entro il 2029, ipotizzano i ricercatori. Come? Grazie alle nanotecnologie. Un nanorobot potrebbe raggiungere il cervello attraverso il flusso sanguigno, impiantarsi lì e lavorare in sinergia con i neuroni. Per esempio aumentandone le capacità di memoria o proiettando l' individuo in una realtà virtuale senza bisogno di computer, come accade oggi, o di occhiali «tridimensionali». Non è Isaac Asimov, autore del racconto Viaggio Allucinante, a ipotizzare questo scenario, ma l' americano Ray Kurzweil esperto di intelligenza artificiale e futurologo. E lo fa al meeting annuale della Società americana per l' avanzamento delle scienze in corso a Boston. Dice lo scienziato: «Il cervello funzionerebbe da hardware in grado di lavorare con un nano-software a sua volta capace di interagire con i sistemi biologici. Nel giro di alcuni anni potremmo potenziare decine di volte l' intelligenza umana e fare in modo che tutti i cinque sensi dell' uomo, integrati nel cervello, permettano una full immersion nella realtà virtuale. Del resto già adesso impiantiamo microchip nel sistema nervoso per controllare i neuroni e curare malattie come il Parkinson». Ray Kurzweil è stato scelto assieme ad altri 17 scienziati, dall' US National Academy of Engineering, per individuare le grandi sfide che nei prossimi anni la ricerca dovrà affrontare per risolvere i problemi energetici, migliorare la cura delle malattie, limitare l' inquinamento. E fra i «magnifici 18» c' erano anche il biologo Craig Venter, pioniere degli studi sul genoma umano, e il ricercatore del Massachusetts Institute of Technology Martin Langer, un' autorità nel campo della costruzione di organi in laboratorio e di sistemi intelligenti per somministrare farmaci. Dal momento che il progresso scientifico, nei prossimi 50 anni, sarà trenta volte più veloce che nell' ultimo mezzo secolo, gli scienziati si sentono autorizzati a predire cambiamenti sconvolgenti. Venter ha creato un organismo artificiale in laboratorio, costruendo un piccolo batterio, il Mycoplasma genitalium, grazie a un collage di geni, ha individuato almeno 200 nuovi microbi negli oceani e nel giro di pochi anni vorrebbe costruire un catalogo informatico del Dna di tutti i microrganismi viventi sulla terra. «Questo potrebbe avere un grande impatto sulla salute umana - dice - perché permetterebbe di produrre nuovi farmaci, come antibiotici e antitumorali, sfruttando microrganismi oggi sconosciuti. Non solo: i microbi sono in grado di produrre biocarburanti». La costruzione di farmaci intelligenti è una delle sfide individuate dal gruppo di scienziati e Langer prevede che nel giro di una decina di anni si renderanno disponibili «micro-pillole di Rna» capaci di curare malattie dovute ad alterazioni genetiche, tumori compresi, e di rendere reversibile il processo dell' invecchiamento. «L' Rna - spiega Langer - serve per tradurre dal Dna le informazioni utili alla cellula per costruire proteine. Se il Dna è alterato, la proteina sarà sbagliata, ma se intercettiamo il messaggio con un Rna "finto" la cellula non produrrà la malattia». Un' altra priorità della ricerca, per gli scienziati Usa, è il controllo del terrorismo, in particolare di quello nucleare. Ecco perché il problema dell' energia va risolto soprattutto sfruttando quella del sole (con le nanotecnologie si stanno studiando nanocellule capaci di immagazzinarne grandi quantità) e non quella nucleare, per impedire che materiale nucleare finisca in mani sbagliate. Intanto Michael May, fisico all' Università di Stanford, ipotizza la creazione di un database internazionale che raccolga campioni di uranio e plutonio da tutto il mondo e serva per identificare, se ce ne fosse bisogno, qualsiasi materiale sospetto in circolazione. Bazzi Adriana ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb. ’08 PLACEBO NEGLI USA L' 80 PER CENTO DEI MEDICI LI UTILIZZA Se il dottore prescrive «acqua fresca» È etico e lecito curare con finti farmaci? I placebo si usano nelle sperimentazioni, ma con il consenso dei malati. Diverso è il caso in cui il paziente è inconsapevole Fra i medici degli Stati Uniti, specialmente quelli di famiglia, la prescrizione di un placebo al posto di un vero farmaco è molto frequente. Lo ha accertato una ricerca, pubblicata sul Journal of General Internal Medicine, secondo la quale ben l' 80% dei medici statunitensi ammette di ricorrere al placebo nella pratica clinica. E in Italia? «Non esiste alcuna indagine in merito - risponde Carmine Scavone, vicesegretario nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale - tuttavia ritengo che la prescrizione di placebo venga praticata di frequente anche da noi, sia pure meno che negli Stati Uniti». «Quando il medico prescrive ricostituenti, epatoprotettori, integratori - in primo luogo le vitamine anche quando non ve n' è alcun bisogno - dimagranti, antiossidanti, antiradicali liberi, cerebroattivi e via dicendo, non fa altro che assegnare al paziente dei preparati che, di fatto, sono placebo "impuri" contenenti sostanze sprovviste di attività farmacologica specifica puntualizza Silvio Garattini, direttore dell' Istituto farmacologico Mario Negri -. E i prodotti omeopatici possono essere addirittura considerati placebo "puri" quando non contengono alcuna traccia del componente originario. Quanto ai veri e propri placebo "puri", contenenti amido, lattosio o altra sostanza non medicinale, vengono utilizzati nella sperimentazione: il farmaco falso aiuta a scoprire il farmaco vero». In questi casi si chiede però ai pazienti se vogliono far parte di una sperimentazione e li si informa che, in caso accettino, potrebbero anche ricevere un «falso farmaco». Giorgio Dobrilla, docente di metodologia clinica all' università di Parma, precisa: «Placebo impuri sono composti chimici o fitoterapici la cui efficacia non è comprovata in modo adeguato. Tuttavia è provato che un placebo può alleviare, sia pure transitoriamente, oltre che il dolore, malattie anche comuni per esempio cutanee, reumatiche e perfino cardiache. In certe patologie il placebo mostra non solo di attenuare la percezione dei sintomi, ma anche di guarirli». Rimane da considerare l' aspetto etico di tutta la faccenda. «Si deve escludere l' uso del placebo - dice il professor Lorenzo d' Avack, presidente del Comitato nazionale di bioetica - quando viene dato solo per appagare l' insistenza del paziente o per pura convenienza del medico che non intende approfondire né diagnosi né possibilità di cura. Ma vi sono casi in cui l' inganno può essere eticamente ammissibile, per esempio quando la malattia viene percepita come grave dal paziente ma è di insignificante rilievo clinico. Oppure, quando è incurabile, ma la sospensione di ogni terapia sarebbe per il paziente, che ancora spera, una crudele condanna; e in questo caso il placebo può essere molto importante fra le cure palliative». «Dal punto di vista giuridico la questione è però diversa - puntualizza il magistrato Alfonso Marra - perché esiste un obbligo di informazione del malato, a carico del medico, sancito dall' articolo 32 della Costituzione e dall' articolo 2 della legge di Riforma sanitaria quando parla di scelte responsabili del paziente. Se il medico tace, può subirne le conseguenze sia dal punto di vista civile che penale». * * * Dialogo Anche le parole sono terapia I medici sanno da secoli - ufficialmente dal 1757, quando adottarono il termine latino «placebo» (io piacerò) - che il miglioramento o la guarigione del paziente sono talvolta ottenuti somministrandogli una sostanza inerte. Ma c' è di più: «Il placebo non è necessariamente una pillola, come vorrebbe la nostra società "farmacocentrica" - afferma Silvio Garattini - può essere una musica o una preghiera. Ma placebo è anzitutto il medico stesso che sa ascoltare con attenzione e pazienza, infonde simpatia, dà speranza, fiducia e incoraggiamento». Capone Cesare Altro che effetto psicologico: il placebo agisce a livello fisiologico, sul cervello. E ora, grazie alla Pet, si sa anche in quale zona: il «nucleo accumbens», un' area cerebrale profonda e primordiale, legata al piacere e alle aspettative di ricompensa. I ricercatori del gruppo di Jon-Kar Zubieta all' Università del Michigan (Usa), che da anni studiano il placebo, sono ricorsi a un esperimento piuttosto doloroso per i volontari. Alle «cavie» è stato detto che dovevano testare un nuovo antidolorifico e a metà di loro è stato detto che avrebbe ricevuto il nuovo farmaco; all' altra metà è stato detto che avrebbe ricevuto un «finto farmaco». In realtà, a tutti è stata iniettata solo una soluzione salina e poi tutti sono stati sottoposti a una fastidiosa iniezione nella mascella. Risultato: chi credeva di aver ricevuto il farmaco mostrava, alla Pet, un imponente rilascio di dopamina (neurotrasmettitore del piacere) a livello del nucleo accumbens. . D.N