SEI DOCENTI ALLA CARICA DELLA POLTRONA DA RETTORE - FINANZIAMENTI REGIONALI SULLA RICERCA - INIZIATA LA CORSA PER IL DOPO MISTRETTA - IL DISASTRO ANNUNCIATO DELLE UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ: NON TAGLIARE QUELLE TASSE - GRECO: PERCHÉ DIFENDO IL MINISTRO MUSSI - VIA AI PRIMI TEST PERLE MATRICOLE - QUANDO AINALDI SALVÒ LA FISICA ITALIANA DAL DISASTRO - LA VOCE FORTE DEI VINTI - GELMINI: I, VALORI? LI HA SCHIACCIATI A '68 - L'UNIVERSITÀ E LA TRAPPOLA DEGLI APPELLI INUTILI - LAUREA BREVE STIPENDIO ALTO - ORMAI LA BRAVURA NON SAPPIAMO PIÙ NEPPURE VEDERLA - PD: LIBRI GRATIS, VIA LE TASSE UNIVERSITARIE - UNIVERSITÀ E LE BANALITÀ DI VELTRONI - L'UNIVERSITÀ DEL PD MODELLO BLAIR - ATENEI, L'ATTIVITÀ DI RICERCA È SOGGETTA A IVA E IRES - SCOPERTO PERCHÉ VENERE RUOTA IN SENSO OPPOSTO ALLA TERRA - UNIVERSITÀ, IL MERCATO DEGLI ESAMI - SESSO, RACCOMANDAZIONI E VOTI REGALATI - L'UNIVERSITÀ, GLI INVESTIMENTI E I VALORI - QUANDO L'ICEBERG AFFONDA IL BUON SENSO - ======================================================= SANITÀ SARDA, INTESA DA 54 MILIONI - QUANDO È BUONA MEDICINA - PERCHÉ LE CURE NON SONO UGUALI PER TUTTI - I MEDICI BOCCIANO I DIRIGENTI - IL SOCCORSO È PRONTO? - ERRORI MEDICI, 6 CAUSE AL GIORNO - ITALIA SEMPRE PIÙ DIVISA NELLA GESTIONE DELLA SALUTE - I RICOVERI MIGLIORANO MA SONO ANCORA IN ECCESSO - NUOVA TECNICA LASER PER GUARIRE DALLA PRESBIOPIA - TUMORE DEL TESTICOLO L'IMPORTANTE É L’AUTODIAGNOSI - IL RUOLO E-HEALTH NEI PIANI DI SVILUPPO DELLASI - LE SPIE GENETICHE SALVA SENO - TRAPIANTI FEGATO 120 SPECIALISTI RIUNITI A CORTINA - L'IMPULSO DI RIGENERARE GLI ARTI - SCOPPIA L'INCUBO DI UNA TBC EXTREMELY RESISTANT - LA CAFFEINA CONTRO L'ALZHEIMER - RESPIRAZIONE BOCCA A BOCCA FINE DI UN' ERA: È PERICOLOSA - I TEST ANTINFARTO? SONO COME L' OROSCOPO - ======================================================= _______________________________________________________ L’Unione Sarda 4 apr. ’08 SEI DOCENTI ALLA CARICA DELLA POLTRONA DA RETTORE Università. Tra i candidati alla successione di Mistretta c’è anche Santa Cruz C’è anche Giuseppe Santa Cruz, ordinario di Anatomia patologica alla facoltà di Medicina, tra i candidati alla carica di rettore. Si allarga il fronte dei professori universitari che aspirano a occupare il posto di Pasquale Mistretta giunto al suo ultimo anno di rettorato: ora sono in sei ad aver annunciato, in modo diretto e indiretto, la loro discesa in campo. «Sto già pubblicizzando il mio programma da alcuni mesi», sottolinea Santa Cruz, per due volte avversario di Mistretta nelle ultime competizioni elettorali, «puntando soprattutto su una riduzione dei poteri del rettore attraverso la creazione di un ufficio elettivo la cui composizione è oggetto di dibattito tra gli elettori». Anche il preside di Medicina, Gavino Faa, ha sciolto gli ultimi dubbi: nell’ultimo consiglio di facoltà si è detto disponibile a candidarsi e l’applauso dei suoi colleghi, dopo il suo intervento, lo trasforma in uno dei favoriti. Nella corsa al rettorato il peso della facoltà di Medicina, con i suoi numeri, può risultare decisivo, anche se i nomi in campo sono due (Faa e Santa Cruz). Per ora la partita sembra riservata al polo medico e a quello di viale Sant’Ignazio. Gli altri quattro candidati sono docenti delle facoltà del polo economico e giuridico: Raffaele Paci (preside di Scienze politiche e docente di Economia applicata), Francesco Sitzia (ordinario di Diritto romano, ex preside di Giurisprudenza, componente del Senato accademico e del cda del Banco di Sardegna), Giovannino Melis (docente di Economia aziendale, ex preside della facoltà di Economia, avvezzo alle competizioni elettorali essendo stato avversario di Mistretta per due volte) e Antonio Sassu (anche lui economista, ordinario di Politica economica, è stato presidente del Banco di Sardegna). I primi tre, per evitare la dispersione di voti hanno dato il compito a dei loro uomini di fiducia di effettuare un sondaggio per capire chi può essere l’uomo che potrebbe attirare più voti. Paci si è affidato a Francesco Pigliaru, Sitzia all’attuale preside di Giurisprudenza, Massimo Deiana, e Melis al collega Armando Buccellato. Dagli incontri con docenti, sindacati e studenti dunque dovrebbe uscire il candidato unico. Si parla anche di vere e proprie primarie, con voto segreto, nel polo economico e giuridico. Le elezioni si dovrebbero tenere nel maggio del 2009 anche se Mistretta resterà al suo posto fino a fine ottobre 2009, quando scadrà il suo mandato. Che a quel punto sarà arrivato a diciannove anni. Matteo Vercelli _______________________________________________________ L’Unione Sarda 4 apr. ’08 FINANZIAMENTI REGIONALI SULLA RICERCA Quando anche l’asfalto viene irrigato di Ezio Laconi* Quando si decide di dare soldi alla ricerca, lo si può fare in due modi: ne diamo un po’ a tutti, senza criterio, oppure solo a chi merita, stabilendo prima precisi metodi di valutazione. Nel primo caso si parla di finanziamenti "a pioggia". La pioggia, si sa, cade a caso, su tutto: bagna i campi coltivati, ma anche le rocce, il cemento, l’asfalto. Può capitare che anche un po’ di pioggia, cadendo su un terreno molto fertile, mandi avanti una coltura; ma in genere l’acqua che cade dal cielo non è sufficiente, per cui da sempre l’uomo applica sistemi di irrigazione, per non sprecare una risorsa preziosa. Così anche nella ricerca. I finanziamenti a pioggia sono poco utili; meglio spendere per costruire canali e indirizzare i soldi dove possono essere spesi meglio, valutando l’affidabilità (il curriculum) di chi propone la ricerca. In questo modo più soldi possono essere incanalati per favorire i gruppi di ricerca che appaiono più "fertili". La "fertilità" non è poi così difficile da misurare: basta verificare quanto quel terreno (gruppo di ricerca) ha prodotto nelle ultime annate, pur senza eccessive rigidità. Anche il sistema dei canali però ha i suoi problemi, e, se non applicato correttamente, produce danni anche più del sistema a pioggia. Ad esempio si può mandare troppa acqua nello stesso terreno, e i frutti magari sono molti, ma scipiti. Il danno più grave avviene quando il canale, costruito male, va a finire sul cemento, sulla roccia, o sull’asfalto. Sarà tutta acqua sprecata, soldi buttati al vento. Molta acqua, portata lì dai canali. Questo è successo con i finanziamenti per la ricerca sanitaria. Vi sono, tra i primi posti della graduatoria appena pubblicata, progetti i cui proponenti non producono un lavoro scientifico da anni; per di più i soldi sono stati dati per studiare argomenti sui quali il proponente non ha mai lavorato. Con l’aggravante che, essendo un sistema canalizzato, non a pioggia, vengono anche elargiti molti soldi (2 milioni di euro per 23 progetti, mediamente quasi centomila euro a progetto); cioè, appunto, il canale che va a finire sull’asfalto. Dove nasce il problema? Innanzitutto nel bando. Si è dato ancora una volta mandato all’Università di valutare i progetti (i proponenti) e stabilire una scala di priorità. La Commissione regionale si è quindi trovata di fronte una classifica di cui tener conto. Non è proponibile che colleghi di una stessa Università si valutino tra loro, in quanto il giudizio sarà fortemente condizionato da componenti emotive (amicizie o inimicizie). Il bando, poi, sembrava fatto apposta per ridurre al minimo la possibilità di esprimere un giudizio obbiettivo da parte dei Commissari. Si è infatti deciso che l’affidabilità (il curriculum) del proponente non dovesse quasi contare nella valutazione del progetto (solo 5 punti su cento), mentre erano decisivi altri elementi, come la completezza e qualità del progetto proposto, più difficili da misurare e comunque altamente opinabili. Uno si poteva anche far scrivere un progetto da un esperto in materia, per poi presentarlo con il proprio nome senza conoscere nulla sull’argomento. Insomma, diciamo pure che ai Commissari è stata data carta bianca: fate come volete! Ad alcuni ciò avrà creato imbarazzo, ad altri non sarà sembrato vero; il risultato è che si è irrigato anche l’asfalto. Va dato atto alla Regione e all’assessorato alla Sanità del loro impegno per far crescere la quantità e la qualità della ricerca in Sardegna. È stata anche approvata nei mesi scorsi una legge regionale sulla ricerca. Tuttavia c’è da chiedersi dove fossero i legislatori quando veniva scritto il bando sui finanziamenti alla ricerca sanitaria, nel quale si fa peraltro esplicito riferimento proprio alla legge regionale. Oppure la teoria è una cosa e la pratica un’altra? Se si sceglie il sistema dell’irrigazione come alternativa a quello a pioggia, ciò implica precise responsabilità. Bisogna investire nella costruzione e nella manutenzione dei canali, evitando anche di utilizzare sempre e solo quelli preesistenti, ché non è detto che portino l’acqua nei posti giusti. Non esistono scorciatoie; occorre che i molti soldi che la Regione ha deciso di mettere in campo per la ricerca vengano distribuiti secondo espliciti criteri di merito, attraverso percorsi di valutazione realmente anonimi, affidati a esperti che devono essere per necessità esterni alla Sardegna e possibilmente di livello internazionale. *Università di Cagliari _______________________________________________________ L’Unione Sarda 3 apr. ’08 INIZIATA LA CORSA PER IL DOPO MISTRETTA Circolano i primi nomi in lizza per la poltrona di rettore In lizza cinque docenti, quattro del polo economico giuridico, uno di Medicina Università. Nel polo economico giuridico potrebbero svolgersi delle elezioni primarie Il dopo Pasquale Mistretta è un pezzo di storia ancora lontano dall’essere scritto, ma gli aspiranti al trono di rettore dell’Università di Cagliari hanno già iniziato a scaldare i motori in vista delle elezioni in programma a maggio del prossimo anno. Cinque i nomi che circolano con insistenza nelle facoltà cagliaritane. ALLO SCOPERTO A un anno e un mese dalle elezioni (che si dovrebbero svolgere nel maggio 2009, anche se chi le vincerà prenderà il posto di Mistretta soltanto alla scadenza del mandato del magnifico che guida l’Università da diciotto anni) la campagna elettorale è già iniziata. Per ora resta confinata negli uffici dei presidi, dei docenti colleghi e dei capi dipartimento oppure si svolge nell’atrio delle facoltà o con una semplice telefonata. Cinque le personalità dell’Ateneo cagliaritano che sembrano aver sciolto le riserve: Raffaele Paci (preside di Scienze politiche e docente di Economia applicata), Francesco Sitzia (ordinario di Diritto romano, ex preside di Giurisprudenza, componente del Senato accademico e del cda del Banco di Sardegna), Giovannino Melis (docente di Economia aziendale, ex preside della facoltà di Economia, avvezzo alle competizioni elettorali essendo stato avversario di Mistretta per due volte), Antonio Sassu (anche lui economista, ordinario di Politica economica, è stato presidente del Banco di Sardegna) e Gavino Faa (attuale preside della facoltà di Medicina). LE PRIMARIE La battaglia principale si gioca nel polo economico giuridico. Per evitare la dispersione di voti tre candidati hanno affidato ad altrettanti loro uomini fidati di effettuare un sondaggio per capire chi può essere l’uomo preferito dai colleghi docenti, dai componenti del cda e del Senato accademico, dai sindacati e dagli studenti. Paci si è affidato a Francesco Pigliaru, Sitzia all’attuale preside di Giurisprudenza, Massimo Deiana, e Melis al collega Armando Buccellato. I tre "saggi", dopo una serie di incontri, dovrebbero arrivare a scegliere un solo candidato. Difficile però che gli interlocutori (docenti, sindacati e studenti) si possano sbilanciare in questa primissima fase, anche perché non ci sono ancora in campo veri e propri programmi di governo dell’Università. Si ipotizzano anche delle primarie con voto segreto da svolgere nel polo economico e giuridico. DA SOLI Non rientra in questo discorso Sassu e che sta sondando il terreno per un’eventuale candidatura senza un primo confronto. Dalla sua ha gli ottimi contatti con altre facoltà, fuori da viale Sant’Ignazio, come Ingegneria e Scienza grazie ai trascorsi alla guida del Banco di Sardegna. Si è messo a disposizione della sua facoltà, intervenendo in uno degli ultimi consigli di Medicina, anche Gavino Faa: se dovesse avere un buon appoggio potrebbe diventare uno degli uomini da battere per l’elevato numero di votanti in Medicina. LE VOCI Nell’ambiente universitario circolano altri cinque nomi: Francesco Ginesu (preside di Ingegneria, anche se è improbabile un nuovo rettorato in mano a Ingegneria dopo il regno di Mistretta), Giovanna Ledda (pro rettore all’Internazionalizzazione e docente della facoltà di Farmacia), Maria Del Zompo (ordinario di Farmacologia clinica nella facoltà di Medicina), Gaetano Di Chiara (ex preside di Farmacia) e Gianfranco Bottazzi (docente ed ex preside di Scienze politiche). Qualcuno è in forse, altri sono ipotesi in attesa di conferme o smentite. GLI INCROCI Una partita (al voto andranno in 1.400 circa, 1.100 docenti, 180 studenti e 120 del personale non docente) che si incrocerà con le elezioni politiche regionali dell’anno prossimo e con il sostegno che il rettore uscente, Pasquale Mistretta, potrebbe riservare al suo "delfino". (m. v.) _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 apr. ’08 IL DISASTRO ANNUNCIATO DELLE UNIVERSITÀ Istruzione e ricerca di Beniamino Moro La riforma universitaria Berlinguer-Zecchino del 1999, meglio nota come riforma del "3+2" perché si basa sulla laurea triennale cui segue un biennio di specializzazione, aveva come obiettivi principali la qualificazione della ricerca scientifica e una migliore organizzazione della didattica, che consentisse di ridurre il fenomeno tutto italiano dei fuori corso. Nel 2000, infatti, solo 9 laureati su 100 conseguivano il titolo nella durata legale degli studi. A distanza di quasi un decennio, si nutrono forti dubbi sul perseguimento di entrambi gli obiettivi. La percentuale degli studenti che si laureano in corso è salita ma non di molto (intorno al 15%), mentre ha ripreso a salire anche il numero dei fuori corso. Solo in un anno, dal 2005 al 2006, è quasi raddoppiata (dall’11,5 al 20,3%) la percentuale di coloro che si sono laureati due anni oltre la durata regolare degli studi. L’incidenza dei fuori corso nel 2006-7, pari al 37% degli iscritti, è tornata agli stessi livelli del 2001-2, quando era del 37,3%. Spiace constatare, peraltro, che l’Università di Cagliari, col 46,6% di fuori corso, svetta prima nella classifica degli atenei con più di 30 mila studenti, seguita dalle università di Catania, Salerno e Pisa. Se l’obiettivo del miglioramento della didattica non pare essere stato conseguito, almeno come era nei propositi della riforma, il grido d’allarme si fa ancora più forte con riguardo alla qualificazione della ricerca scientifica, che è rimasta solo un auspicio, un mero enunciato teorico. Si sono moltiplicati gli insegnamenti oltre ogni ragionevole misura, che solo di recente gli ultimi provvedimenti del ministro Mussi hanno cercato di arginare, e dietro ogni insegnamento si è cercato di costruire la carriera di un docente, non sempre basata su meriti scientifici riconosciuti. L’ultimo tentativo fatto da Mussi l’estate scorsa di legare i finanziamenti ai risultati dell’attività di ricerca, che è stato definito pomposamente come "patto per l’università" tra governo e vertici degli atenei (Conferenza dei rettori), è finito miseramente tra le norme stralciate dal recente decreto milleproroghe. Come risposta, una dozzina di atenei si sono auto-proclamati nei giorni scorsi come università di eccellenza, fissando le regole da rispettare per essere ammessi nel club di serie A. Tra queste, in particolare, si fa riferimento a una produttività scientifica superiore alla media nazionale e a una spiccata politica di internazionalizzazione. Sarebbero una ventina su 77 gli atenei che rientrerebbero nella categoria degli "atenei di ricerca", con il 40% della popolazione studentesca. Utilizzando una distinzione introdotta nei paesi anglosassoni, tutti gli altri verrebbero considerati come "atenei di istruzione", dediti cioè prevalentemente, se non esclusivamente, alla sola attività didattica per una prima selezione triennale dei laureati. L’Università di Cagliari rischia di essere marginalizzata ad "ateneo di istruzione", in assenza di un disegno di forte recupero dell’attività di ricerca. Tra un anno si eleggerà il nuovo rettore. Già avanzano dietro le quinte varie candidature. E’ opportuno che esse si confrontino pubblicamente sulle proposte idonee a fare del nostro un vero e proprio "ateneo di ricerca". _________________________________________________________________ Europa 2 Apr. 08 UNIVERSITÀ: NON TAGLIARE QUELLE TASSE GILIBERTO UPANO Orgliare le tasse universitarie? . Sembra che Veltroni ci stia pensando ma non è affatto una buona idea. Il sistema universitario italiano è strutturalmente sottofinanziato rispetto agli altri paesi (riceve il 30 per cento in meno di finanziamenti pubblici rispetto alla inedia Ocse). E Italia spende circa 4mila euro per studente, contro i 7500 del Regno Unito e i 1Qmila della Germania. Le nostre università avrebbero bisogno di maggiori risorse finanziarie, da distribuire secondo il merito. Tagliare le tasse universitarie significherebbe, invece, che le risorse aggiuntive che lo stato potrebbe investire nell'università andrebbero semplicemente a compensare la riduzione dei contributi studenteschi. Quindi alla fine non vi sarebbe alcun vantaggio per il sistema. Ma c'è di più. Abbassare le tasse universitarie (che non sono uguali in tutti gli atenei) contrariamente a quanto si può pensare, non avvantaggerebbe i ceti più poveri ma i ceti medio-alti che sono quelli che tendono a mandare in massa i propri figli all’università (e, solitamente, lontano da casa, nelle università migliori che ovviamente sono quelle che chiedono le tasse più alte e quindi .possono dare anche migliori servizi), Bisogna inoltre ricordare che frequentare l’università costituisce anche un vantaggio individuale al quale, necessariamente, i singoli debbono contribuire personalmente, poiché, come decine di ricerche internazionali mostrano da almeno tre decenni, avere uri istruzione universitaria fornisce un vantaggio competitivo non da poco per le chances di carriera e di vita dei singoli. Le tasse studentesche, insomma, sono un meccanismo di co-responsabilizzazione degli studenti universitari rispetto al fatto che essi rappresentano un investimento per la collettività: infatti la gran parte di coloro che pagano le imposte non manda figli all'università (qualche anno fa il sociologo Guido Martinotti calcolò che con le tasse di 18 famiglie senza figli o che non mandavano figli all'università si pagava l’istruzione superiore al figlio della diciannovesima famiglia). E non è affatto vero che se si diminuissero le tasse aumenterebbe la propensione di coloro che appartengono ai ceti più deboli ad iscriversi all'università: questa propensione dipende molto di più 11 contesto sociale e famigliare nel quale si vive. In realtà, se si vuole davvero investire nell'università perseguendo una maggiore equità sociale> bisognerebbe investire cospicuamente risorse nel diritto allo studia. Cioè a dire che se ci sono soldi da spendere in università, come auspicabile, bisognerebbe investirli in borse di studio e far partire davvero anche in Italia, come accade già in tutti i paesi civili, Gran Bretagna in testa, i prestiti d'onore (che consentono di diluire negli anni il costo di investimento in un bene, l'istruzione universitaria, che noti può essere ricondotto a prezzi politici). Solo in questo modo, fra l’altro, si potrebbe consentire, come recita la nostra Costituzione, ai «capaci e meritevoli anche se privi di mezzi» di poter accedere all'istruzione superiore in modo adeguato. IL che vuol dire ad esempio, mi si scusi la brutale franchezza, per. mettere allo studente brava ma poco abbiente di seguire le proprie inclinazioni andando a cercarsi, anche lontano da casa, il corso di studio migliore. E’ La carenza impressionante di fondi per 1e politiche di diritto allo studio che rende odiosamente iniquo il nostro sistema universitario. Ed è investendo risorse in questo settore che si possono davvero aiutare le famiglie italiane. _________________________________________________________________ l’Unità 29 Mar. 08 GRECO: PERCHÉ DIFENDO IL MINISTRO MUSSI PIETRO GRECO Scusate la franchezza, ma se Mussi si fosse occupato un po' di più, e con idee più chiare, del suo ministero, l'Università, l'istituzione in cui opero, non sarebbe al collasso (perché di questo si tratta). Dubito fortemente che i docenti universitari di sinistra lo voteranno». Lo confesso. Mi ha colpito leggere queste parole nell'editoriale firmato dal professor Alessandro dal Lago e pubblicata 10 scorso 25 marzo sulla prima pagina di Liberazione, il quotidiano della principale formazione politica che concorre alla Sinistra L'Arcobaleno, con il titolo «Sinistra, sono deluso ma ti voto». E non perché, in piena campagna elettorale, è inusuale che un quotidiana riferimento di una parte politica in corsa assuma posizioni così ferocemente autocritiche. Criticare se stessi è sempre un atto di coraggio ed è bene che questo coraggio si manifesti anche in campagna elettorale. Non è dunque per il metodo, cui plaudo, che sono rimasto colpito, ma per il merito, da cui dissento. Per tre motivi. Primo: l'università e la ricerca pubblica in Italia non sono al collasso, anche se versano in gravi difficoltà. Le performances scientifiche e didattiche di ricercatori e docenti hanno buoni e obiettivi riscontri, in media. Secondo, l'università e la ricerca non sono in gravi difficoltà a causa dell'inazione di Fabio Mussi: sono almeno quarant'anni che queste condizioni di difficoltà sussistono. Terzo, i professori universitari e i ricercatori, tutta sommato, possano votare per 1a sinistra (per il centrosinistra del PD o per la sinistra dell'Arcobaleno) senza sentirsi troppo delusi né dal ministro né da altri: in questi venti mesi qualcosa di buona è stato fatto. Premetto che sono stato un consigliere del ministro dell'Università e della Ricerca e che, quindi, ho una visione orientata delle cose. Ma cercherò di far tesoro dell'ammirazione dovuta a chi è capace di criticare serenamente se stesso. Forse ce ne siamo dimenticati. Ma Fabio Mussi assunse la direzione del ministero quando l'Italia, per volontà del suo predecessore, la signora Letizia Moratti, e del governa Berlusconi, partecipava alla minoranza di blocco che in Europa impediva non solo il finanziamento alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma impediva il varo del VII Programma Quadro, ovvero dell'intera politica di ricerca dell'Unione. Il primo atto del nuovo ministro fu di revocare l'adesione alla dichiarazione della minoranza di blocco. Un chiaro segnale di svolta. Che restituiva non salo un carattere di laicità alla posizione italiana, ma restituiva l'Italia all'Europa della ricerca. Cui la stessa Moratti l'aveva sottratta, ingaggiando furiose battaglie, come quella contro l’European Research Cauncil (Erc) e la sua autonomia. Forse ci siamo dimenticati che solo venti mesi fa alla testa degli Enti pubblici di ricerca c'erano molti personaggi scientificamente discutibili. E che oggi per la gran parte sano stati sostituiti da scienziati di assoluto e riconosciuto valore internazionale: da Giovanni Bignami all'Agenzia spaziale italiana, a Luciano Maiani, presidente appena insediato al Coniglia Nazionale delle Ricerche. Ma la buona novità non è solo nei nomi (e non sarebbe davvero poca cosa): ma nel metodo. Il ministro ha messo in moto meccanismi (come il ecrrch committee) che conferiscono minore potere arbitrario alla politica e maggiore autonomia alla ricerca. E anche sull'università non sono state né poche né banali le azioni di Fabio Mussi. Si è battuto contro la proliferazione delle sedi e dei corsi (degenerazioni 1a cui responsabilità ricade quasi tutta sui docenti e sull'interpretazione per così dire minimalista che hanno dato della pregevole e necessaria riforma Berlinguer), contro le università telematiche poco accreditate, contro le lauree facili, contro i fenomeni - ahimé troppo frequenti - di clientelismo e persino di nepotismo. Ha spinto ormai quasi in porto l’Anvur, con le sue due idee forti che l'università deve essere valutata da organismi indipendenti e che il merito va premiato. Ha varato - dopo anni di blocco - un piano di assunzioni di ricercatori bloccato in maniera francamente criticabile dalla Corte dei Conti. Indubbiamente si poteva fare di più. Ma è altrettanto vero che in questi venti mesi Fabio Mussi ha tirata la corda dalla parte giusta, riaffermando il valore strategico del sistema pubblico dell'alta formazione e della ricerca per il nastro paese nel quadro europeo. Non è poco, visto che solo venti mesi fa c'era un ministro, la signora Moratti, che tirava con vigore dalla parte opposta. Ma, in omaggio alla virtù della serena critica a se stessi, occorre ricordare anche i limiti dell'azione del Ministro. Si è fatto troppo poco, per esempio, per sciogliere le incrostazioni burocratiche all'interno stesso del Ministero. Ma forse è meglio uscire delle questioni, pur importanti, di settore per arrivare ai tre nodi fondamentali. Prima: la questione dei fondi, per l'università e per la ricerca pubblica. In questi venti mesi non c'è stata la svolta. Sono stati risanati i conti dello Stato, ma non sono state trovate 1e risorse nuove e aggiuntiva da dare a centri di ricerca e università, per consentire all'Italia di uscire dal1a situazione di stallo e iniziare a correre come gli altri paesi verso 1a società della conoscenza. Secondo: non sono stati sufficientemente qualificati gli incentivi alle imprese. Sarebbe stata opportuno premiare le imprese che cambiano specializzazione produttiva in direzione dei beni high-tech eJo ad alto tasso di conoscenza aggiunto. Terzo: non si è riusciti ad imporre l'idea che la ricerca scientifica e l'alta educazione non sono questioni settoriali, sia pure importanti, ma sono l'unica e l'ultima chance che abbiamo per fare uscire il Paese dal declino economico. Certo, Fabio Mussi non è riuscita a fare tutto ciò. Ma tutto ciò non poteva farlo da sala. Questi sono obiettivi mancati dall'intero governo di centrosinistra. E sono, a ben vedere, i motivi per cui il governo - privo di un grande progetto oltre quello di risanare i conti dello stato - è durato venti e non sessanta mesi.Potremmo dire che Fabio Mussi doveva tirare con più forza, ma dobbiamo rilevare ancora una volta che è stato tra i pochi nell'intero centrosinistra a tirare nella direzione giusta. Non è una questione personale, naturalmente. Se la sinistra - quella moderata del Pd o quella radicale dell'Arcobaleno - non fa i conti con il grande tema della società della conoscenza, della necessità di assicurare autonomia e risorse alla ricerca e all'alta formazione, della necessità di cambiare la specializzazione produttiva del sistema paese per realizzare uno sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile, rinuncerà a un'idea di futuro e si condannerà a vivere, chissà per quanto tempo, tra polemiche interne e delusioni esternate. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 31 Mar. 08 VIA AI PRIMI TEST PERLE MATRICOLE Le selezioni. In sei poli gli esami per il 2008/2009 L'università gioca d'anticipo: Francesca Barbieri Federica Micardi wn, Gli atenei giocano d'anticipo sull’esame di maturità. Sei università infatti - Politecnici di Milano e Torino, Bocconi, Luisse Liuc- selezionano in questo periodo una prima tranche di aspiranti matricole, mentre Bolzano riserva posti in base ai vati ottenuti alle superiori. Il primo a partire è stato il Politecnico di Milano, con il Tol (test online) del 15 marzo. La prova - che si ripeterà il s aprile, il 24 maggio, il 14 giugno e il s luglio, davanti al pc in una delle aule - consiste in test a risposta multipla: i temi vanno dall'inglese alla logica, passando per matematica, statistica, fisica e comprensione verbale. Il risultato è immediato e chi non passa può tornare in una delle date successive. Chi supera la soglia minima di 6o punti, invece, può iscriversi a ingegneria (esclusa ingegneria edile/architettura). Gli aspiranti bocconiani devono segnarsi in agenda due date: 18 e i9 aprile. A Milano, Bari, Cagliari, Napoli, Palermo, Roma e Vicenza avranno due ore di tempo per sostenere un test di tipo attitudinale. Gli idonei potranno iscriversi al primo anno del corso prescelto: Giocheranno un ruolo importante pure le pagelle del terzultimo e penultimo anno. Oltre 2.500 i posti a disposizione: chi fallisce potrà ritentare il 3 settembre. È fissato, invece, tra diéci giorni, l'esame per provare l'ammissione a una delle tre facoltà (economia, giurisprudenza e ingegneria) dell'Università Carlo Cattaneo -Liuc. Nella sede di Castellanza(Va) e a Bari, Cagliari,Catania,Napoli e Pescara si affronteranno 60 domande in 75 minuti. Sono previste altre due selezioni a Castellanza il6 e 7 maggio. Ingresso diretto, però, per gli studenti con voto di maturità superiore o uguale a 75/100 o con la media del 7 negli ultimi tre anni. La Luiss organizza a Roma e in altre 29 sedi in tutta Italia una prova di ammissione il 16 aprile. Cento domande a risposta multipla con cui misurarsi nell'arco di novanta minuti: l’85% dei quesiti sarà di tipo psico- attitudinale é il 12% di cultura genérale. Oltre mille i posti in palio, chi non passa il test anticipato si può ripresentare a settembre. Il Politecnico di Torino, invece, in occasione del Salone dell’orientamento- corso Duca degli Abruzzi il 6 e aprile - darà la possibilità agli studenti del quinto anno delle superiori di pre-immatricolarsi ai corsi ad accesso libero. Poi, a metà maggio, ci sarà il test vero e proprio: l'obiettivo è valutare i saperi in matematica, fisica, logica, comprensione verbale e lingua inglese. Anche in questo caso si può riprovare a settembre. Apre infine le preiscrizioni fino al4aprile, venerdì prossimo,la Libera università di Bolzano. Solo, però, per economia e scienze informatiche: niente esame di ammissione ma la presentazione di un dossier - con le pagelle del terzo e quarto anno di scuola, eventuali certificati linguistici e lettera motivazionale - da allegare alla domanda. La graduatoria viene stilata in base al giudizio dei fascicoli: chi resta fuori non può ritentare nella sessione estiva. _________________________________________________________________ l’Unità 31 Mar. 08 QUANDO AINALDI SALVÒ LA FISICA ITALIANA DAL DISASTRO SETTANTA anni fa venivano promulgate le leggi razziali che azzerarono la comunità scientifica. Ma Edoardo Amaldi riuscì a ricostruire la fisica a livelli «alti». E quest'anno ricorre il centenario della sua nascita di Pietro Greco e1l’estate del 1938, settant'anni fa, un nutrito gruppo di scienziati italiani scrivono un manifesto dal titolo «II fascismo e il problema della razza» in cui si afferma che le razze umane esistono; che tra loro c'è una gerarchia di capacità; che esiste una «razza italiana»; che questa razza va tutelata e che di essa non fanno parte gli ebrei, con cui va evitato ogni contatto di sangue. Sulla base di questo manifesto il regime vara, nelle settimane successive, le famigerate leggi razziali, il presupposto per la persecuzione anche in Italia degli ebrei. Tra le prime conseguenze delle leggi razziali c'è l'inizio di quel «disastro» della scienza italiana che si consumerà per intero durante la successiva seconda guerra mondiale. IL «disastro» è dovuto sia al fatto che gli scienziati di origine ebrea devono abbandonare le università, sia al fatto che viene violentemente perturbato un ambiente relativamente protetto. Basta fare il caso della fisica, per rendersi conto di cosa tutto ciò ha significato. C'erano, a quell'epoca, due scuole di fisica in Italia che avevano raggiunto un valore mondiale. Quella sui raggi cosmici, costruita, tra Firenze e Padova, intorno alla figura di Bruno Rossi e quella di fisica nucleare, costruita, a Roma, intorno alla figura di Enrico Fermi. Entrambe vengono letteralmente dissolte dalle leggi razziali. Bruno Rossi - che è ebreo ed è imparentato con la famiglia Lombroso, invisa al fascismo - deve fuggire dall'Italia e riparare negli Stati Uniti. Con lui la scuola sui «raggi cosmici» si disperde. Stessa sorte tocca alla scuola romana. Enrico Fermi, che ha la moglie ebrea, approfitta dell'assegnazione del Premio Nobel, nel dicembre 1938, per emigrare in America. Lo stesso fanno Emilio Segré (che è ebreo) e Franco Rasetti (che ebreo non è, ma che è disgustato dalla situazione). Quanto a Bruno Pontecorvo (ebreo), resta in Francia, prima di scappare in America e sfuggire alle truppe hitleriane appena inizia la guerra. Dei «ragazzi di via Panispema» solo Edoardo Amaldi resta in Italia: tutti gli altri sono perduti per sempre. A Edoardo Amaldi, per pura coincidenza, è legato una seconda ricorrenza quest'anno: corre, infatti, il centenario della nascita, avvenuta a Carpaneto Piacentino, in Emilia, il S settembre 1908. Ed è una ricorrenza significativa, perché sarà proprio Amaldi ad assumersi sulle spalle la ricostruzione della fisica (e, per certi versi, dell'intera scienza) italiana dopo il disastro (la definizione è sua) delle leggi razziali e della guerra fascista. Un compito che svolge con lucidità e creatività. Anzi, con un metodo che ancora oggi risulterebbe straordinariamente attuale. Celebrare Amaldi significa dare una precisa indicazione alla scienza italiana e al paese intero. Amaldi comprende che i tempi dei «ragazzi di via Panispema», quando si poteva fare buona fisica con pochi mezzi e poco supporto politico, sono finiti per sempre. Sa che Fermi è andato via non solo per le leggi razziali, ma anche perché il regime gli aveva negato i fondi necessari per conservare l'assoluta eccellenza italiana in fisica nucleare. Sa, infine, che a conflitto finito e dopo il successo del progetto Manhattan negli Usa il problema non è quello della penuria di fondi, ma al contrario dell'eccesso di finanziamenti. In queste condizioni, i fisici italiani devono riunirsi, individuare poche tematiche, a basso costo e ad alta potenzialità scientifica, da sviluppare in pochi centri. È seguendo questa linea che, negli anni successivi, verrà fondato l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e che il nostro paese riuscirà non solo a ricostruire un buon ambiente di ricerca, ma anche a produrre una «via italiana alle alte energie». Ma Amaldi sa che esiste anche un problema di scala. E che questo problema può essere risolto solo in sede europea, con una strategia «politica»: che usa la fisica per rafforzare la pace nel continente. Questa idea può essere realizzata, in pratica, creando in Europa un centro di ricerca comune, paragonabile anzi superiore ai centri americani. Per affermare questa idea deve vincere lo scetticismo, più o meno interessato, non solo dei colleghi americani (tra cui Isidor Rabi), ma anche dei più illustri fisici europei, inclusi Niels Bohr. Ma alla fine è la linea Amaldi che si afferma. E a Ginevra negli anni '50 nasce il Cem, il centro europeo di fisica nucleare: il più grande laboratorio del mondo. Amaldi diventa il primo Direttore generale del centro. Ma Edoardo Amaldi sa che creare una fisica europea e integrarvi la ricerca italiana non basta. Occorre anche creare delle scuole di eccellenza (a lui si devono le prime scuole di formazione post-laurea) e integrare la fisica di base con la fisica applicata. Perché, ormai, nessuna delle due può essere sviluppata fino in fondo senza l'altra. E così si impegna direttamente anche nella realizzazione di un gruppo misto formato da scienziati, economisti e industriali, il Cise, per utilizzare l'energia nucleare a scopi civili. La fisica applicata, nella visione di Amaldi, non deve (non può) essere fine a se stessa, ma deve assolvere a due scopi, peraltro legati: creare le premesse, anche in Italia, perché si affermi un modello di sviluppo fondato sulla ricerca e dotare il nostro paese dell'indipendenza energetica (lo stesso progetto, assolto in altre forme, di Enrico Mattei). È evidente che Amaldi assegna a se stesso e ai suoi colleghi scienziati una «funzione nazionale», di classe dirigente a tutto tondo, che si fa carico dei problemi complessivi del paese. Non è, dunque, un orpello il fatto che si impegni direttamente e fondi l’«Unione scienziati per il disarmo», un'organizzazione che si batte, con solidi argomenti, per la pace. Il grande progetto di Amaldi - ricostruire la fisica italiana lacerata dalle leggi razziali e dalla guerra fascista facendone un motore della ricostruzione generale del paese - non si realizza per intero. Conosce notevoli successi: nella fisica fondamentale, nel ruolo dei fisici italiani per la pace. Ma anche forti insuccessi (non certo per colpa sua): l'Italia non si doterà di un modello di sviluppo fondato sulla ricerca e rinuncerà non solo al nucleare civile, ma anche al principio, ancora oggi valido, dell'indipendenza energetica. Oggi conviene celebrare Amaldi non solo per il suo genio scientifico. Ma anche e soprattutto per questa capacità progettuale. Non solo perché tutte le sue principali strategie d'azione conservano intatte la loro validità. Ma anche e soprattutto perché nel loro combinato disposto c'è il modo - forse l'unico possibile - per uscire dal declino cui è avviato il nostro paese. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 apr. ’08 LA VOCE FORTE DEI VINTI Scrivere versi allunga la vita. Non è lo slogan di un gruppo di studiosi dell’Università di Harvard, che ha indicato i fattori di rischio per proseguire il cammino dai settanta i novant’anni. Nè la conclusione a cui arriva Cicerone, nel celebre trattato sulla vecchiaia, dove sostiene che molti artisti hanno dato il meglio durante la terza età. Si tratta di una constatazione alla portata di tutti, se si esaminano i dati biografici di parecchi autori sardi.Tra il 2005 e il 2007 sono scomparsi all’età di novant’anni tre poeti isolani molto noti: Aquilino Cannas, Raimondo Mameli e Francesco Masala (a voler essere precisi il primo aveva novantuno anni). In età molto avanzata sono venuti a mancare anche Angelo Dettori, ultranovantenne, Faustino Onnis e altri. C’è da aggiungere che questi autori hanno scritto versi sino alla fine della loro esistenza. Insomma l’attività letteraria sembra essere anche un elisir di lunga vita. Aquilino Cannas è scomparso il 29 maggio 2005 e ha lasciato, oltre a un ricordo indelebile in chi l’ha conosciuto, un numero imponente di poesie in italiano e in sardo (nella variante campidanese). Il dialetto cagliaritano nei suoi versi raggiunge punte di straordinaria espressività. Specie quando lui leggeva in pubblico poesie che danno voce a una collettività fortemente ancorata a un’identità municipale vicina alle classi diseredate. I suoi versi piacquero a molti lettori dal palato fine. Primi fra tutti i lettori della rivista "S’Ischiglia", dove pubblicò un gran numero di componimenti (di questa rivista fu anche direttore). Tra i suoi estimatori vanno ricordati Francesco Alziator, Giovanni Lilliu, Antonio Romagnino, Giuseppe Podda, che hanno scritto di lui in diverse occasioni. Cosa hanno messo in risalto? Da un lato l’uso di una scrittura impeccabile sul piano formale (in anni di grandi diatribe su questioni ortografiche o relative all’uso dei neologismi). Per un altro verso si sono soffermati su molti temi da lui affrontati. L’argomento sul quale insiste maggiormente, in raccolte come Arreaula, Le bianche colline di Karel e Mascaras casteddaias e nelle poesie pubblicate postume, è il degrado di Cagliari, la nostalgia per una città più a misura d’uomo, dove tutti gli abitanti si conoscevano e parlavano una lingua gergale. Il suo non è un rimpianto proustiano; alla base del rifiuto del presente, ci sono anche motivazioni politiche. La distruzione dell’ambiente è frutto di una speculazione edilizia selvaggia, di interessi economici che puntano tutto sul profitto immediato. Una vena lirica, il gusto per le descrizioni, il ricorso ai disaloghi, l’arma dell’invettiva, un mix tra versi e prosa, si alternano e a volte intrecciano in componimenti di ampio respiro o di una secchezza epigrammatica (si pensi ai "muttettus"). Con poche battute Giuseppe Podda ha saputo condensare l’attività poetica di questo autore, quando scrive: «Uomo di lettere, osservatore attento e sensibile, Aquilino Cannas vive dall’interno i problemi del popolo cagliaritano, le passioni, le amarezza, il cinismo, la ferocia, la bontà». Nella sua poesia non c’è nessuna forma di manierismo. Conosceva la gente perché si muoveva nei mercati, nei quartieri diseredati, dove sopravvive la città vecchia. La sua attenzione lo portava a cogliere le differenze e le sfumature tra le parlate dei diversi quartieri. Non mancava in lui l’elogio per le pietanze tipiche della sua città. Sapeva in quali locali si potevano mangiare piatti di una cucina popolare del passato dai sapori forti e inconfondibili. Uno dei componimenti più felici da lui scritti ha per titolo "Ischiassius casteddaius" (lo si trova nel volume antologico "Mascaras casteddaias e altre opere di Aquilino Cannas", pubblicato dall’ Unione Sarda nella biblioteca dell’identità). Ha per sottotitolo "In arregodu de Franciscu Alziator" e si presenta come un lungo monologo nel quale il poeta racconta allo scrittore estinto i mali della città. Ricorrendo anche a espressioni crude quando scrive: «Poita sa storia, sa nostra storia / hiat essiri depia essi’ sa storia / de totu nosus cristianus. /E invecis no! Sta’ sighendi a essiri /sa storia de tottus is nostrus / (e allenus) fillus de bagassa!|...». Oltre che poesie, Aquilino Cannas scrisse racconti sparsi sui giornali e riviste, mai raccolti in volume. Uno di questi lo si può leggere nel numero quindici della rivista "la grotta della vipera". Interamente scritta in dialetto cagliaritano, questa short story ha tra i personaggi il Padreterno, che dialoga con due popolani di Villanova, parlando la loro stessa lingua farcita di vocaboli e locuzioni come "besseindi de mesu ’ e is garronis" o "toccai, immoi pigaisidda muru muru". Recuperare gli scritti di Aquilino Cannas apparsi sui giornali (compreso l’Unione Sarda dove tenne una rubrica molto seguita) consentirebbe di avere un quadro completo di un’attività letteraria in senso lato svolta in un ampio arco di tempo. All’inizio si è fatto un accostamento anagrafico tra tre poeti arrivati al traguardo dei novant’anni. Ma tra Aquilino Cannas, Francesco Masala e Raimondo Mameli ci sono importanti affinità tematiche e linguistiche (tutti e tre scrissero in italiano e in sardo). Gli argomenti delle loro poesie si richiamano a storie di "vinti". Con una forte adesione alle "generazioni legate dal filo d’acciaio di un antico dolore". Travolti dall’avvento della civiltà tecnologica, i personaggi raffigurati da questi poeti sentono che bisogna ribellarsi. Ma la loro è una rivolta che si trasforma in rabbia impotente. Da questo stato d’animo nasce una poesia intrisa di un senso di rassegnazione. La poesia di Aquilino Cannas che esprime meglio questo scacco esistenziale è intitolata Pensamentu de unu becciu piscadori de sa marina. È un monologo in versi liberi di un uomo che ha perso tutto. Ma soprattutto vede lo stravolgimento della sua città, arrivata a un punto di non ritorno (« Ohi Casteddu Casteddu! Chi dopu millanta / e mollant’annus arrutta ses in malas manus! / Arrutta in manus arrennegaras, / arrutta e sfigurara... bella chi fiasta"). Nell’introduzione alla raccolta "Disterru in terra. La saga dei vinti", Giovanni Lilliu ha scritto: «Il cuore addolorato di Aquilino Cannas ha battuto e batte a causa dei saccheggi consumati e che ancora si consumano sulla natura e sulle bellezze della sua città». Queste parole si possono riferire a tutta la produzione poetica di un autore rimasto nella memoria di tutti. GIOVANNI MAMELI _________________________________________________________________ Il Giornale 1 Apr. 08 GELMINI: I, VALORI? LI HA SCHIACCIATI A '68 Sabrina Cottone da Milano «La scarsa valorizzazione del merito è una delle cause principali della crisi del Paese. E ora di superare la cultura sessantottina del diciotto politico». Mariastella Gelmini, avvocato, coordinatrice lombarda e giovane parlamentare di punta di Forza Italia, nel Sessantotto non era ancora nata ma è convinta che siano state gettate allora le basi del malcostume che oggi dilaga a tutti i livelli, dagli impiegati ai top manager. Così due mesi fa, nel quarantesimo anniversario dello «sfascio», ha presentato una proposta di legge «per la promozione e l'attuazione del merito nella società». La tesi di fondo è chiara: «Nel '68 è stata imposta una pseudocultura di uguaglianza formale, un egualitarismo che è appiattimento verso il basso. Occorre invece premiare il talento, la capacità di lavoro e il coraggio di rischiare». Una legge è in grado di modificare il senso civico e cambiare costumi consolidati? Il nostro è il Paese delle raccomandazioni:.. «Credo che la legge possa essere un contributo importante per modificare la situazione anche dal punto di vista culturale. Purtroppo è vero, il sistema non è imperniato sul concetto di merito e così prevale la conoscenza, la raccomandazione. Per questo promuovere il merito è un aiuto concreto a giovani e donne. La sinistra promette loro il posto fisso ma la realtà è che la politica non può fare queste promesse ma al massimo creare le condizioni perché i giovani possano emergere». Quando si parla di scarsa meritocrazia, si pensa subito al pubblico impiego. Un pregiudizio? «Nella pubblica amministrazione non bisogna fare di tutta l'erba un fascio. Abbiamo rispetto dei funzionari pubblici che svolgono al meglio il proprio compito, ma per questo è giusto isolare fannulloni e assenteisti> altrimenti si danneggiano tutte le altre persone che lavorano». La sua proposta di legge dedica ampi spazi alla scuola. Lo ritiene un settore in cui il merito è particolarmente penalizzato? «La scuola è una delle principali urgenze. Occorre recuperare il concetto di merito sia per gli studenti sia per i professori, che devono avere una parte dello stipendio legata alla produttività. Nel sistema universitario è giusto che l'assegnazione delle risorse non sia a pioggia ma vengano agevolati gli istituti che esprimono maggiore qualità e livello di eccellenza». Secondo lei, gli stipendi dei top manager rispettano la meritocrazia o c'è qualcosa che può essere rivisto? «Le retribuzioni sono decise dal mercato ma non è giusto, non esiste che manager che hanno portato verso il fallimento società come Ferrovie e Alitalia, per non dire dell'Iri, ricevano stock option sganciate da produttività e merito. Si tratta di società mal gestite, che hanno rinviato continuamente decisioni urgenti o le hanno prese senza tenere conto delle regole del mercato. È importante che ci sia un'assunzione di rischio da parte dei manager, come avviene in Gran Bretagna e Stati Uniti. Per Alitalia, vista la situazione, è una cosa particolarmente scandalosa». I tempi di attuazione della legge non rischiano di essere lenti? «AL contrario. È un disegno di legge delega già presentato alla Camera. Basta approvarlo e il prossimo governo potrà intervenire in tempi brevissimi. Mi auguro che diventi un tema bipartisan all'indomani delle elezioni. Ci fa piacere che anche Fassino e Veltroni adesso parlino di merito, ma nei fatti si sono sempre appiattiti sulle posizioni oltranziste della Cgil». Poche ore fa Berlusconi a Milano ha promesso di dimezzare parlamentari, consiglieri regionali e comunali: Anche questa è una misura anti-privilegi? «Stiamo soffrendo molto il tema della casta, che si è acuito negli ultimi anni. Anche la sinistra oggi dice che vuole dimezzare la classe politica ma dimentica che durante il governo Berlusconi fu approvata una riforma costituzionale che prevedeva già la riduzione dei parlamentari. E Veltroni fu tra coloro che spararono ad alzo zero contro la riforma. Se la legge non fosse stata sottoposta a un linciaggio mediatico, oggi sarebbe già, operativa». _________________________________________________________________ l’Unità 2 Apr. 08 L'UNIVERSITÀ E LA TRAPPOLA DEGLI APPELLI INUTILI ANDREA RANIERI Si moltiplicano in questi giorni gli appelli bipartisan per impegnare le forze politiche ad un'azione congiunta in grado di affrontare l'emergenza sapere, attraverso azioni incisive in grado di far fare un salto di qualità alla nostra scuola, alla nostra Università, alla nostra ricerca. È indubbiamente positivo che intellettuali, forze economiche e sociali - si veda l'importante documento di Confindustria - richiamino la politica ad un impegno più decisa, anche in campagna elettorale, su questo terreno che viene giustamente individuato come la ragione fondamentale del ritardo di sviluppo del nostro Paese in termini di produttività, di innovazione, di crescita economica e civile, nell'epoca dell'economia e della società della conoscenza. E d'altra canto mi sembra importante che il richiamo sia rivolto a tutte le forze politiche, perché rivela quanto sia diffusa la convinzione che occorre passare finalmente alla fase del bipolarismo mite, in cui l'avversario non è più considerato un nemico, ma un interlocutore con cui confrontarsi seriamente e serenamente per individuare risposte utili al Paese. In special modo per la scuola, l'Università, la ricerca, per le quali i tempi in cui diventano visibili e misurabili gli effetti delle azioni di riforma, e soprattutto le ricadute positive per la competitività e la coesione sociale del Paese, superano i tempi brevi delle alternanze di governo. Mi convince meno la formula del bipartisan, che schiaccia troppo questa compito sulla contingenza politica, e sulla base della contingenza sceglie e discrimina i possibili interlocutori. Mi sembra più appropriato proporsi di dare al dibattito e alle scelte su questi terreni una valenza costituzionale, di costruire sui provvedimenti che li riguardano maggioranze di questa natura, come le forze politiche si sono impegnate a fare, finalmente, per la riforma della legge elettorale. Cominciare cioè a considerare, come avviene in altri Paesi del mondo, le politiche della conoscenza come fondative dello stesso patto di cittadinanza, e su cui è perciò necessario ricercare sempre un consenso più ampio della maggioranza pro tempore. E del resto quello che si è cominciato a fare nella passata legislatura. Il confronto sui provvedimenti riguardanti questi temi ha saputo il più delle volte spogliarsi delle pregiudiziali ideologiche e di schieramento. Tanto è vero che ampie sono state le modifiche dei provvedimenti durante l’iter parlamentare, accogliendo spesso proposte presentate dall'opposizione. Su alcuni, il più importante dei quali è quello sul riordino degli Enti di Ricerca, questa nuova volontà - lo riconosceva il senatore Valditara di Alleanza Nazionale in un bell'articolo comparso su Italia Oggi - il consenso più ampio si è espresso anche a livello di votazione parlamentare. E questo non è avvenuto per effetto dell'azione di qualche club di volenterosi, ma per effetto di un dibattito chiaro e trasparente, che ha coinvolto - questo deve essere l'obiettivo permanente di un dibattito costituzionale - tutte, ma proprio tutte, le componenti dell'allora maggioranza e dell'allora opposizione. L'altro aspetto su cui tutti i partiti dovrebbero impegnarsi è l'assumere le risultanze della valutazione - nazionale ed internazionale - come elemento essenziale su cui portare avanti il confronto, considerando le stesse azioni rifondatrici non come tavole della legge su cui schierare le proprie truppe, ma come processi da implementare, monitorare, correggere. Saremmo tutti un po' più avanti se avessimo lavorato in questo modo sia sulle riforme dell'Università, che su quella della scuola, invece di costruire schieramenti aprioristici di difesa o di offesa rispetto ai tentativi di riforma dei passati governi. Sui risultati della valutazione va aperto un confronto misurato e sereno che eviti il più possibile catastrofismi e sensazionalismi, quali ad esempio periodicamente avvengono sui dati Ocse-Pisa che, come è noto, rivelano insoddisfacenti performances medie degli alunni italiani riguardo a tutti gli indicatori presi in considerazione. Ma se vogliamo fame dati utili per l'agire politico occorre uscire dalle "medie", ed entrare più puntualmente nel merito. Si scoprirà allora che nel Nord-Est del paese siamo in Finlandia - e comunque ben sopra alle performances medie del Regno Unito e degli Stati Uniti, che alcuni vorrebbero prendere a modello - e che nei licei si trovano a tutt'oggi eccellenze di tutta rispetto. Non è cosi al Sud, né negli istituti professionali, né tanto meno nella maggior parte delle scuole paritarie. L'Italia è al di sotto della media Ocse, ma lo è in maniera ineguale, e l'ineguaglianza è data, ancora oggi, principalmente dal territorio in cui si è nati, e dalla condizione sociale della famiglia d'origine, che dispone ancora oggi i ragazzi secondo le sciagurate gerarchie su cui la cultura idealistica mise in fila le scuole italiane, secondo il principio che la scuola è tanto più alta quanto più lontana dalla concretezza e dal saper fare. È su questa ineguaglianza che bisogna intervenire, rimuovendo gli ostacoli sociali, culturali, organizzativi che ancora oggi, la originano. Nel nostro programma sono indicate una serie di azioni concrete, per far si che le differenze dipendano sempre più dal merito e dall'impegno, e sempre meno dal luogo e dalla famiglia in cui si è nati. Per fare questo consideriamo l'autonomia una risorsa, e non un limite. Essa rappresenta una forte assunzione di responsabilità delle scuole rispetto ai risultati raggiunti dai propri ragazzi, sulla base degli obiettivi formativi nazionalmente stabiliti e seriamente valutati. I differenziali fra Nord e Sud sono frutta di decenni di centralismo, e non l'effetto perverso dell'autonomia, come del resto è facilmente deducibile dai differenziali nei livelli di istruzione formali e informali della popolazione adulta fra il Nord e il Sud del nostro Paese, che è la variabile che più di ogni altra influenza - assieme alla qualità dell'edilizia scolastica, e alla preparazione e all'impegno degli insegnanti - i risultati scolastici dei nostri ragazzi. Del resto sono sicuri i laudatori del bel tempo passato - quelli a cui evidentemente la scuola è andata bene, tanto è vero che scrivono sui libri e sui giornali - che se l’Ocse-Pisa avesse indagato sui livelli di apprendimento dei ragazzi italiani ai tempi in cui loro andavano a scuola, i risultati medi sarebbero stati migliori di quelli di adesso? Ho seri dubbi in proposito, se penso ai tassi di analfabetismo linguistico, matematica, scientifico che le analisi internazionali mettono in luce quando passano a indagare le competenze della popolazione adulta, e che rivelano una distanza dagli altri paesi dell'Ocse ancor più marcata di quanta avviene per i nostri studenti. Ben vengano dunque gli appelli al merito e alla responsabilità, purché non fatti con la testa rivolta all'indietro, ma affrontando con serietà i nodi necessari per valorizzare merito e responsabilità della scuola del Terzo Millennio. Responsabile Area Sapere _________________________________________________________________ l’Unità 2 Apr. 08 LAUREA BREVE STIPENDIO ALTO Due terzi degli studenti proseguono con il biennio specialistico. Ma chi va al lavoro dopo il triennio guadagna di più. Anche perché i corsi che ha seguito sono più richiesti. di Anna Momigliano La cattiva notizia è che la disoccupazione giovanile è alle stelle. La buona notizia è che i neolaureati disoccupati quasi non esistono. La conclusione logica è che mandare i figli all'università è ancora il migliore investimento per il futuro: dati alla mano, le famiglie che hanno finanziato gli studi sono presto ripagate dei loro sacrifici. Ma a volte studiare «troppo» non si rivela un investimento utile, almeno dal punto di vista economico. I giovani tendono a proseguire gli studi sempre più a lungo, con specializzazioni, master e dottorati, ma non sempre poi la formazione universitaria, troppo distante dal mondo del lavoro, è all'altezza delle aspettative. II risultato è che i neolaureati arrivano al primo impiego stabile a un'età non più cosi verde, con un'ottima preparazione tecnica, ma senza le capacità organizzative e personali necessarie ad affrontare il mondo reale, i cosiddetti soft skills. Cominciamo dai dati. Quanto costa una laurea e in quanto tempo si rientra dall'investimento? Tenendo conto della tendenza a laurearsi fuori corso (1,4 anni in media), si può stimare che tra tasse, libri e trasporto il prezzo di una laurea triennale sia di poco superiore a 10 mila euro, mentre quella specialistica si avvicina ai 15 mila. Secondo l’Istat, i laureati guadagnano in media 300 euro al mese più dei diplomati. Dunque per ammortizzare una laurea breve, rispetto a un diploma, non servono neppure tre anni (2,8), ma per una laurea specialistica ne occorrono più di quattro. Certo, il dato non tiene conto di una eventuale progressione di carriera, perché la riforma universitaria è pienamente in vigore da pochi anni. Quel che è sicuro è che la stragrande maggioranza dei neolaureati (il67%) prosegue gli studi dopo il triennio. Il che spiega anche i dati particolarmente positivi sulla disoccupazione. Secondo AlmaLaurea, solo il 6% dei giovani che hanno appena ottenuto una laurea di primo livello resta disoccupato. Una percentuale davvero bassissima, se si pensa che l’Istat stima la disoccupazione giovanile sopra il 23% (quella nazionale è 6,6%) Peccato che i dati di AlmaLaurea si riferiscano solo a quel 33% di giovani che non prosegue gli studi. SORPRESA RETRIBUZIONI. I dati sono ancora più sorprendenti se si guarda alle retribuzioni. Lo scorso ottobre l’iniziativa Interuniversitaria Stella, consorzio che rappresenta 10 atenei, ha pubblicato uno studio comparativo per i neolaureati cor laurea triennale e specialistica e del vecchio ordinamento. Il risultato dice ch( chi studia meno guadagna di più, seppure di poco. Tra i laureati triennali, più del la metà hanno uno stipendio netto tra mille e 1.500 euro, e il12,6% arriva a guadagnare tra i 1.500 e i 2 mila euro. Per ch è in possesso di una laurea specialistico la media delle retribuzioni nette è sempre la stessa, ma diminuisce al 10,2% la percentuale dì chi ha stipendi alti. Questa contraddizione si spiega innanzitutto tenendo conto di alcuni corsi triennali del settore medico (infermieristica, optometria, ostetricia, ecc.) che sono molto richiesti e ben remunerati. Ma c'è anche un'altra spiegazione: alcuni preferiscono assumere personale molto giovane per poi formarlo in azienda: «Il mondo del lavoro ha fame di giovani» sintetizza Nello Scarabottolo, docente di tecnologie dell'informazione alla Statale di Milano e curatore del progetto Stella. «Eppure molti continuano a studiare fino a diventare non più tanto giovani». Le imprese sono le prime a riconoscere il problema: «Spesso i nostri ragazzi entrano nella forza lavoro troppo tardi: così un ingegnere 27enne italiano si trova a competere con un inglese di 21 anni» commenta Laura Mengoni, vicepresidente di Assolombarda. Proseguire gli studi è lodevole, ma per non arrivare a 27-28 anni senza esperienze concrete Mengoni consiglia di alternare periodi di lavoro e di studio. Ma non tutti pensano che essere giovani sia un plus. Valerio Morganti, responsabile delle risorse umane di Ernst & Young, società di consulenza che per il 2008 prevede 500 nuove assunzioni, spiega di preferire i laureati specialistici proprio per un fattore anagrafico: «I nostri professionisti entrano in relazione con i clienti fin da subito e questo richiede un livello di maturità personale che mediamente si raggiunge dopo i 22 anni». Più che all'età, poi, molte aziende guardano alle esperienze extracurricolari: «C'è un gap tra università e mondo del lavoro» dice Raimondo Cozzolino, a capo del Worlcforce Management di Ibm. «Ma tra coloro che hanno scelto di diversificare il proprio curriculum con stage o piccole esperienze lavorative l'effetto è molto meno percepibile. Fino ad annullarsi, in qualche caso». POCHI STAGE. Infatti secondo un'indagine dell'Assolombarda, i laureati hanno «un'ottima preparazione tecnica» ma «un'insufficiente capacità di tradurla in comportamenti lavorativi congruenti». Gli imprenditori vorrebbero un'istruzione più improntata al pragmatismo: «Servono più workshop, meno didattica da aula» commenta Mengoni. «Ormai lo stage è un'esperienza imprescindibile» rincara la dose Emanuele Degennaro, rettore dell'Università Lum di Bari nonché lui stesso imprenditore. I sindacati però rimandano l'accusa alle imprese: «Sono le aziende che non valorizzano l'istruzione delle proprie risorse umane» sostiene Patrizia Dandolo, responsabile Formazione ricerca Cgil. Poi ci sono le agenzie del lavoro, secondo cui i problemi sono altri: «Mancano i soft skills, ma soprattutto mancano le strutture per l'orientamento al lavoro. Inoltre è vero, i laureati trovano un impiego, ma spesso poco qualificato e mal pagato» dice Stefano Scabbio, ammini- stratore delegato di ManPower. Ma gli stessi dati forniti dall'agenzia fanno capire che se la cavano molto meglio dei diplomati: tra i giovani che si rivolgono a ManPower per un lavoro temporaneo, i laureati sono solo il6%. Polemiche a parte, i dati parlano chiaro: più che una laurea specialistica, sono le esperienze sul campo che aiutano a trovare lavoro: +7 punti nella classifica di ALmaLaurea. _________________________________________________________________ Il Giornale 1 Apr. 08 IL METODO PERDUTO ORMAI LA BRAVURA NON SAPPIAMO PIÙ NEPPURE VEDERLA GEMINLLLO ALVI Non v'è alcun dubbio che sia bene, anzi benissimo, quanto il direttore di questo giornale si propone, chiedendo un ritorno al merito. La menzogna comunista di fingere uguali i talenti degli uomini, e quindi di considerare solo plurali i loro destini, ci ha per decenni rovinati. E dunque va contraddetta. E certo è un bene che si premino i migliori, e non solo col denaro, ma dando loro considerazione e infine persino compiti più elevati. Tuttavia approvare questo intento di dare più e meglio a chi merita, non significa esserci già riusciti. Il merito richiede infatti che, prima, la società si articoli in maniera tale che si possa riconoscerlo. Solo dopo lo si potrà premiare. Questione complicata, e non solo dagli avanzi lamentosi degli anni '70. Viviamo infatti in un'epoca nella quale tutto, ma proprio tutto, sta perdendo senso e diventa astratto, slegato da ogni buon senso. Il merito ormai ha perso il suo merito. Si pensi solo a quante volte ormai capiti d'incontrare qualcuno e dopo avergli chiesto che cosa faccia, non si riesca poi a capirlo. Perché le funzioni e le gerarchie della società, una volta ovvie a prima vista, persino nel modo di vestire, sono oggi svanite. Come i fini generali, persi pure essi in chiacchiere astratte. E allora senza più concrete funzioni e gerarchie, ma come si può, seppure con tutte le migliori intenzioni, riuscire a premiare il merito? Per esempio l'università italiana di oggi somiglia, e purtroppo solo nei casi migliori, agli ultimi anni delle superiori di una volta. Il Sessantotto ha infatti regalato le migliori posizioni a una maggioranza larghissima di peggiori. E ad essi si dovrebbe affidare il compito di premiare i migliori? Ma se sono stati loro la causa prima del peggioramento. E del resto il problema non riguarda solo i pubblici impieghi. Si pensi ai manager delle più nomate imprese private: ma come è pensabile che guadagnino bonus di milioni e milioni. Il loro talento è troppo spesso solo quello di tagliare e licenziare, massimizzare i risultati a breve, lasciare dopo di sé disastri. Essi sono un altro palese esempio di merito riferito a criteri assurdi, e stavolta però esito non del comunismo, ma del capitalismo. In conclusione: le gerarchie e le funzioni sono ormai così confuse dallo Stato, o dai bilanci di impresa, che qualunque discorso sul merito ne risulta sempre più complicato. Infatti non c'è perniciosa riforma della scuola o dell'università, voluta dalla sinistra, con cui negli ultimi anni essa non abbia detto di voler premiare il merito. Ma ogni volta con criteri sovietici: inventando commissioni e punteggi, supponenti e inutili, come ormai i cervelli di chi doveva applicarli. Giacché invece soltanto destatizzare le università potrebbe salvarle, e ristabilire in esse un effettivo criterio di merito. E così sarebbe meglio anche per gli ospedali e i tanti altri campi nei quali lo Stato può far prevalere solo i peggiori. Né dovrebbero però tacersi le distorsioni delle imprese. Se si assecondano, com'è oggi, in esse solo criteri di crescita astratti, il cui riscontro sono le sfide cinesi, i bilanci, o il Pil, ma come può prevalere un fine di benessere fraterno? Che è poi il solo lecito per decidere il merito del profitto. Occorrono all'economia epiche condivise e concrete. Molto più pertanto di una maggior contrattazione aziendale, che pure sarebbe auspicabile. Compiti certo non facili, ma senza i quali non si daranno vere gerarchie di merito. Data Pagina Foglio _________________________________________________________________ La Repubblica 1 Apr. 08 PD: LIBRI GRATIS, VIA LE TASSE UNIVERSITARIE Walter studia la mossa pro-famiglie Per il ministero dell'Economia continua il pressing su Monti GOFFREDO DE MARCHIS ROMA- Nei prossimi giorni Walter Veltroni presenterà la proposte del Partito democratico su sanità, giustizia (con un riferimento particolare alla certezza della pena), nuovo welfare (immaginando un patto sul potere d'acquisto). Ma lui per primo sa che nel rush finale c'è bisogno di un'iniziativa molto più forte, di un messaggio «generale, che interessi una platea di elettori la più vasta possibile». In una parola,le famiglie. E sul tavolo del candidato premier del Pd si va materializzando 1a parola d'ordine degli ultimi dieci giorni. Si lavora intorno al tema della formazione, quindi sul futuro. I tecnici stanno verificando la sostenibilità finanziaria di una vera rivoluzione: il taglio netto delle tasse universitarie o addirittura l'abolizione e la gratuità dei libri di testo per le scuole dell'obbligo. È questa l'ipotesi principale nella cartella di Veltroni, il segno che può rimanere impresso sulla campagna elettorale come la proposta di abolire l’Ici lanciata da Berlusconi sul filo di lana nel 2006 che per poco non si portò via il vantaggio di Romano Prodi. Dentro il tema della formazione c'è tutto, i genitori e i figli, le nuove generazioni, le pari opportunità, un punto di vista che guarda in avanti. Domenica sera, al vertice dei fedelissimi con Goffredo Bettini, Walter Verini, Claudio Novelli e il vice Dario Franceschini, Veltroni ha sparso ottimismo a piene mani: «Sono sicuro che alla fine vinceremo. Ce la faremo al Senato e alla Camera». Non a caso ha chiesto al costituzionalista Ceccanti e a Walter Vitali di uscire oggi sull'Unità con un fuoco di sbarramento al voto disgiunto. Eppure questa sicurezza va sorretta con proposte chiare, che arrivino a tutti. Lo è il taglio secco delle tasse universitarie e dei costi dei libri. Ma tra gli altri progetti nelle ultime ore era spuntata anche la abolizione del bollo auto su una macchina a famiglia. Ipotesi scartata perché il Pd si presenta come un partita attento all'ambiente. L'altra strategia del loft prevede una forte personalizzazione della battaglia. I sondaggi sono chiarissimi: il Pd soffre contro il Pdi, ma nel confronto Veltroni-Berlusconi il primo ha un buon margine di vantaggio. Aquesto sarebbe servito il duello televisivo con il Cavaliere: a concentrare il duello sulla persona e a polarizzare il voto, cosa che secondo gli esperti è destinata ad accadere comunque nei giorni finali. Veltroni quindi cercherà il corpo a corpo, per privilegiare 1a scelta tra due pretendenti a Palazzo Chigi e non tra due coalizioni. Un candidato convinto del successo si preoccupa poco delle subordinate. Magari preferisce annunciare ai suoi interlocutori, come è successo domenica sera, che il Lazio, una delle regioni in bilico, finirà al Pd: «Rutelli e Zingaretti stanno conquistando voti anche per noi». Certo, quota 35 per cento è sempre la soglia minima negli obiettivi veltroniani. Gli consentirebbe, anche nel caso peggiore, di governare il partito e gli strascichi del dopo voto. Sapendo che qualcuno cercherà di fargliela pagare. Le insidie possono venire dal fronte dalemiano. La battuta del ministro degli Esteri («Lo slogan "Si può fare" è moscio») è stata considerata poco più di una battuta. Con qualche sospetto in più è stata letta l'intervista di Pierluigi Bersani alla Stampa. II titolare dell'Industria spiega che il Pd deve ancora fare il salto di qualità, che non parla davvero agli indecisi e al Nord. Ma in piena campagna elettorale Veltroni ha deciso di tirare dritto. L'uscita di Bersani non gli è piaciuta, per i modi e i tempi, ma i due si sono sentiti e l'autore delle liberalizzazioni andrà a rappresentare il partito nelle prossime trasmissioni tv. Resta un dato di fatto: una parte del Pd affila 1e armi per il dopo voto. L'ultimo, ma forse più importante nodo da sciogliere, è legato alla squadra di governo. Anche ieri Veltroni ha garantito che farà alcuni nomi prima del 13 aprile. Nomi esterni, perché i politici non si toccano altrimenti qualche escluso potrebbe smettere di tirare 1a volata. Naturalmente, l'indicazione più attesa riguarda l'Economia. Veltroni ha corteggiato Mario Monti. E continua a farlo. È 1a sua primissima scelta, i due si sono sentiti spesso in queste settimane. Ma l'ex commissario europeo deve aver declinato l'invito se Veltroni, ancora pochi giorni fa, reagiva così a una domanda sull'uomo dei conti pubblici: «Non sta scritto da nessun parte che debba fare il nome del ministro del Tesoro. In nessun paese del mondo lo si sceglie prima del voto _________________________________________________________________ ROMA 3 Apr. 08 UNIVERSITÀ E LE BANALITÀ DI VELTRONI RAFFAELE FIUME L' ULTIMA PROPOSTA DI VELTRONI ' per il rilancio del Mezzogiorno è la costituzione di una scuola di alta formazione manageriale, una sorta di "Bocconi del Sud". Ancora una volta il marketing politico prevale sull'analisi della realtà e le soluzioni altisonanti guadagnano visibilità nel deserto della politica responsabile. Chi ne fa le spese sono i cittadini costretti, loro malgrado, a fare i conti con problemi gravissimi che la politica volutamente trascura perchè è incapace di risolvere questioni che essa stessa colpevolmente genera. Non stupisce, poi, che molti dei rappresentanti istituzionali delle Università campane, sebbene con qualche distinguo, abbiano salutato positivamente una proposta tanto pleonastica e distante dalla realtà. Non stupisce perchè si tratta, per la maggior parte, di rettori e presidi organici al centrosinistra; e non stupisce perchè hanno di certo fiutato il profumo di risorse e posti da gestire. Quel che stupisce, invece, è che si possa sinceramente considerare che una scuola di alta formazione manageriale sia la soluzione efficace per colmare i ritardi del Sud e per aiutare i giovani meridionali nella loro faticosa ricerca di un'occupazione dignitosa. Pur senza voler nascondere tutte le debolezze delle Università nostrane, dobbiamo spogliarci dell' « esterofilia» che troppo spesso ci caratterizza e prendere atto che non esiste alcuna evidenza empirica che la qualità della formazione erogata dalla privata Bocconi sia migliore di quella che i giovani meridionali possono ottenere nelle istituzioni pubbliche meridionali. Quel che è evidente, invece, è la maggiore facilita di collocazione nel mondo del lavoro dei laureati settentrionali, che certamente è attribuibile all'enorme differenziale di posti di lavoro qualificato esistenti al nord. Il dato è confermato dai numerosi giovani meridionali eccellenti che emigrano verso la parte più ricca e produttiva del Paese. La disoccupazione "intellettuale" non è una causa del sottosviluppo meridionale, ma un effetto. La relazione è esattamente inversa rispetto a quella supposta dal candidato del Pd. I nostri laureati bravi sono preparati e motivati, ma non trovano occupazione al sud semplicemente perché non ci sono sufficienti posti di lavoro. Se non ci sono seri interventi che stimolino lo sviluppo dell'impresa nel meridione, se non si ha il coraggio di finirla con una politica che eroga finanziamenti solo su base clientelare, i migliori giovani meridionali continueranno ad emigrare e a contribuire allo sviluppo del settentrione, assieme ai migliori laureati del nord, del centro e delle isole. D'altronde, non è la mancanza di lavoro qualificato che penalizza le imprese meridionali, le quali si rivolgono regolarmente al mercato del lavoro nazionale senza alcun vincolo di territorio. Nell'attesa che il Sud si lasci dietro le spalle l'irresistibile freno allo sviluppo da cui sembra trattenuto, si potrebbe invece pensare ad un modo per facilitare l'occupazione dei giovani meridionali meritevoli, al sud, al nord e all'estero. Bisogna rimuovere le barriere che rendono più difficile ai giovani del sud la realizzazione dei propri sogni. Si otterrebbero la riduzione della disoccupazione intellettuale e l'esempio concreto di percorsi di sviluppo occupazionale credibili, che possano essere di esempio ai più giovani. Se proprio si vuol discutere del sistema formativo, poi, perché non pensare alla rimozione di quelle normative che finanziano di più le università del nord rispetto a quelle del sud, approfondendo le differenze anzichè ridurle? Altro che Bocconi del sud, basterebbero semplicemente pari condizioni di partenza. E ancora, perché non partire dai livelli di istruzione inferiori? Dai malesseri organizzativi e strutturali delle scuole medie e dei licei? Dalla totale mancanza di servizi seri di refezione, di palestre, di biblioteche, di laboratori informatici? Dall'assenza di asili della prima infanzia o di asili nido? Forse perché sono di competenza di regioni, province e comuni? Forse perchè questi enti sono amministrati per la grande maggioranza dal Pd di Veltroni? E allora, si ritorna al punto di partenza: invece che politica seria e coraggiosa, si continua a proporre ai cittadini marketing della vacuità. RAFFAELE FIUME _________________________________________________________________ Europa 4 Apr. 08 L'UNIVERSITÀ DEL PD MODELLO BLAIR In Sardegna («regione in bilico») Veltroni presenta un nuovo disegno di legge Italia l’investimento è solo del l, i del pii. In Giappone e negli Stati Uniti le industria private investono in ricerca e sviluppo il 2 per cento della ricchezza nazionale, in Italia solo l0 0,4». Veltroni ha ricordato però falto livello della qualità della ricerca italiana citando il caso dei ricercatori italiani che hanno partecipato al programma Ideas indetta dal Consiglio europeo delle ricerche: su 9mila idee «ne sono state selezionate 300, giudicate eccellenti e tra queste, ben 35 sono state proposte da italiani. Ma 13 dei 35 vincitori hanno deciso di svolgere la propria ricerca all'estero. Questo è il problema». Non è difficile riconoscere le mani del iiberal Enrico Marando sul ddl presentato ieri che mette in forma alcune delle novità già presentate nel programma di cui è coordinatore. Come l’assegnazione, a -regime, del 30 per cento del fondo di finanziamento ordinario sulla base delle valutazioni dell'Anvur, il potenziamento dei politecnici, la creazio ne di una grande università online pubblica, l'estensione delle borse di studio Erasmus a tutti gli studenti universitari «sostenendo con adeguate borse di studio coloro che provengono da famiglie non abbienti». GIOVANNI COCCONI E presto per dire se l’università che ha in testa Walter Veltroni è figlia della riforma che Tony Blair presentò alla Camera dei comuni nel 2003. Ma certo la filosofia di fondo del disegno di legge democratico annunciato ieri dalla Sardegna non sembra indifferente alla lezione del New Labour. Per esempio al punto 4, quando si parla della "effettiva autonomia" degli atenei. Una "liberalizzazione" che, sulla carta, consente a ciascun ateneo di assumere personale docente italiano o straniero, di darsi il sistema di govetnance più adeguato, di fissare il numero chiuso e, addirittura, il tetto delle tasse universitarie. Come noto la rottura del tabù delle rette universitarie fu l'architrave della riforma blairiana che controbilanciava la "liberalizzazione" delle tasse con l’introduzione dei prestiti d'onore "garantiti" dallo stato: lo studente si indebita per frequentare un'università di eccellenza (e quindi più costosa) e solo dopo l’ingresso nel mondo del lavoro è chiamato a restituire il prestito. Uno strumento in teoria già introdotto anche in Italia, ma che non è mai decollato, un po' per la "pigrizia" delle banche e un po' per l’assenza di garanzie pubbliche. Il ddl di Veltroni lo rilancia insieme con uri altra proposta copernicana: 250nnila curo Y anno di borse di studio che il singolo ricercatore (anche straniero purché lavori in Italia) potrà spendere nèll'ateneo che desidera. Un modo per aggirare i concorsi pilotati dalle baronie locali, trattenere i cervelli italiani e premiare i migliori. Unica condizione non aver superato gli otto anni di anzianità dall'acquisizione del titolo di dottore di ricerca «per favorire lo svecchiamento del paese». Il ddl consente di cumulare al finanziamento pubblico anche quello privato. Come? Innanzitutto. indirizzando le fondazioni bancarie verso gli investi menti in formazione e poi incentivando fiscalmente le imprese, oggi grandi assenti nel mondo della ricerca italiana. Sulla quale ieri il leader del Pd ha snocciolato dati sconfortanti: «Il mondo investe in questo settore il2,1 per cento della ricchezza che produce, in Almeno nelle intenzioni il decalogo veltroniano sembra corrispondere a quella scossa sulla ricerca che da molti anni il paese attende. Proprio ieri il presidente del Cnr Luciano Maiani, in un videoforum sul sito del Sole Z40re, ha lanciato l’allarme: «Rispetto a 10-15 anni fa la situazione sta peggiorando. Ci vogliono più risorse, sia dallo stato che dalle imprese, che da noi invéstono l0 0,5 per cento del Pil mentre all'estero più del doppio. Servirebbero 500 milioni l’anno». Quello che il Pd vorrebbe cambiare sono anche i criteri di assegnazione dei fondi, non più a pioggia, ma in base a criteri di valutazione internazionali (peer reviewed). Non è un caso che il decalogo sia stato annunciato da un luogo di eccellenza come Polaris, il centro di Sardegna ricerche a Pula. Quella Sardegna nella quale il leader del Pd ha ricordato Enrico Berlinguer e che in uri intervista a Panorama (in edicola oggi) indica come una delle regioni decisive per il voto del 14 aprile insieme al Lazio, l’Abruzzo e le Marche (ma _________________________________________________________________ ItaliaOggi 3 Apr. 08 ATENEI, L'ATTIVITÀ DI RICERCA È SOGGETTA A IVA E IRES Risoluzione sul trattamento dei ricavi percepiti dalle università DI CO RICCA corrispettivi percepiti dall'università statale per l'esecuzione di attività di ricerca a favore dell’Agenzia spaziale italiana sono rilevanti sia agli effetti dell’Iva che delle imposte sui redditi. Se la ricerca attiene alla realizzazione di satelliti e loro parti, tuttavia, la prestazione è non imponibile ad Iva; in tal caso, lo stesso regime si applica alle prestazioni di ricerca, riconducibili al medesimo progetto, rese dai sottocontraenti nei confronti dell'università. È quanto ha chiarito l'Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 120 del 2 aprile 2008, rispondendo all'istanza di interpello di una università degli studi, che aveva chiesto chiarimenti in merito al trattamento fiscale applicabile ai contratti stipulati con l'agenzia spaziale Italiana (Asi), aventi per oggetto lo svolgimento di attività di ricerca in relazione a due progetti. La risoluzione chiarisce anzitutto che i proventi percepiti dall'università per i suddetti contratti costituiscono il corrispettivo di prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva, in quanto ricorrono i presupposti richiesti dall'art. 3 del dpr 633/72. L'art. 34-bis, comma 1, del dl n. 69/89, tuttavia, stabilisce che le disposizioni dell'articolo 8-bis, primo comma, lett. b), del dpr 633/72, concernenti la non imponibilità di talune operazioni assimilate alle cessioni all'esportazione, si applicano anche alle cessioni ivi previste effettuate nei confronti dell'agenzia spaziale italiana. Sotto il profilo oggettivo, le disposizioni dell'art. 8-bis riguardano le cessioni di navi e di aeromobili, compresi i satelliti, nonché, ai sensi della successiva lettera e), le prestazioni di servizi relativi alla costruzione, manutenzione, riparazione, modificazione, trasformazione, ecc., dei beni stessi. Per effetto di tali disposizioni, dunque, costituiscono operazioni non imponibili ad Iva, tra le altre, le cessioni di satelliti ed alcune prestazioni di servizi relativi alla costruzione, manutenzione, ecc, effettuate nei confronti dell'Asi. Ricordando di avere precisato, con risoluzione n. 416114 del 1986, che ai fini del trattamento di non imponibilità è necessario che le prestazioni rese siano riconducibili fra quelle indicate nella citata lett. e) e che siano strutturalmente collegate alla realizzazione di un satellite o di parti di esso, l'Agenzia dichiara che, nel caso di specie, qualora l'attività di ricerca svolta dall'università sia riconducibile alla realizzazione di un satellite o di parti di esso, i relativi corrispettivi non sono imponibili ad Iva. Sussistendo dette condizioni, il regime di non imponibilità si estenderà ai sub- contratti stipulati tra l'università e i sottocontraenti per l'esecuzione dell’attività di ricerca, come già precisato con risoluzione n. 161/2003; il trattamento di favore non potrà invece applicarsi alle cessioni di beni o prestazioni di servizi rese all'università da soggetti terzi, diversi dai sottocontraenti. Riguardo alle imposte sui redditi, l'amministrazione ritiene che l'intero importo percepito dall'università per le attività, di ricerca sia imponibile all'Ires, non essendo l'attività in questione inquadrabile nell'ambito dell'art. 74, comma 2, lett. a), del Tuir, che dichiara non commerciale l'esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici; da tale beneficio fiscale, come chiarito con la circolare n. 37 del 1994, sono infatti esclusi i redditi derivanti dalle attività svolte dalle università statali in regime di diritto privato, anche se connesse all'esercizio di funzioni statali (per esempio, i redditi derivanti da aziende agrarie, oppure da attività svolte sulla base di rapporti convenzionali o contrattuali). _________________________________________________________________ Libero 1 Apr. 08 SCOPERTO PERCHÉ VENERE RUOTA IN SENSO OPPOSTO ALLA TERRA Venere ruota su se stessa in un senso opposto a quello della Terra e degli altri pianeti (cioè su Venere il Sole sorge a Ovest), e ora un gruppo di ricercatori dell'Osservatorio astronomico di Parigi ha scoperto perché. Originariamente Venere avrebbe seguito un senso di rotazione analogo al nostro, poi avrebbe subito un rallentamento progressivo, si sarebbe fermato e avrebbe infine iniziato a ruotare nel senso opposto. L'attrazione gravitazionale del Sole avrebbe provocato intense onde aeree nella densa atmosfera venusiana, le quali, grazie anche ai movimenti geologici interni al pianeta, avrebbero interferito con la rotazione di Venere, ribaltandola. _______________________________________________________ Corriere della Sera 4 Apr. ’08 UNIVERSITÀ, IL MERCATO DEGLI ESAMI SCANDALO COINVOLTI ANCHE UN PROFESSORE E IL SUO ASSISTENTE. IL TARIFFARIO: FINO A 15 MILA EURO Bari, vendute anche le tesi. Il rettore: blitz dei carabinieri con il mitra Contestata l' associazione a delinquere. Si sta valutando la posizione anche degli studenti che hanno pagato DAL NOSTRO INVIATO BARI - C' è la madre che mette mano al portafoglio perché suo figlio proprio non ce la fa a passare Economia politica 2: sono 1000 euro. C' è il ragazzo che accompagna la fidanzata a un appuntamento segreto: incontro in macchina, passaggio di soldi e come per magia nelle mani di lei compaiono le domandine del suo prossimo esame. C' è chi compra il pacchetto intero, la famosa «formula all inclusive»: 7 esami più la laurea per 15 mila euro, «e guardi che le ho fatto lo sconto». C' è il disperato che mette via i soldi (3500 euro) per affrontare l' osso più duro: matematica. C' è quello disposto ad arrivare a 2500 euro per statistica generale, l' altro che paga con l' assegno. Ci sono le tracce d' esame che viaggiano con il «sistema del pony express»: un corriere le consegna, già compilate, ai candidati che aspettano nella toilette di facoltà. C' è l' «infiltrato» dei carabinieri che a un certo punto viene chiamato dal docente inquisito che vuole a tutti i costi esaminarlo. Lui è lì per indagare, è di un' ignoranza abissale sulla materia di cui finge di prendere appunti, tergiversa, alla fine dribbla con abilità ma ci giurerebbe ancora oggi: «Avessi fatto l' esame l' avrei passato», dietro ricompensa, s' intende... Perché con i professori giusti e i canali «preferenziali», alla facoltà di Economia e Commercio dell' Università di Bari era facile superare gli esami. Almeno così sembra a giudicare dalle oltre duecentocinquanta pagine di ordinanza emessa dal gip Vito Fanizzi contro due docenti e quattro funzionari di quella facoltà (tutti ai domiciliari). Gli uomini del comandante provinciale dei carabinieri Gianfranco Cavallo lavorano a quest' inchiesta dal 2005 e ancora oggi la partita non è chiusa: sono pronti alcuni provvedimenti di interdizioni per altro personale universitario e poi ci sarà da verificare, dopo gli interrogatori degli arrestati, la posizione processuale di altre persone, specie fra quelle che finora risultano come vittime, studenti che si sono detti costretti a pagare per superare l' esame. In questa vicenda ci sono anche molti indagati, tra i quali il professore Antonio De Feo. I due docenti arrestati sono Pasquale Barile, fino a qualche tempo fa titolare della cattedra di Matematica per l' economia, e il suo assistente Massimo Del Vecchio, docente applicato di Matematica nonché gestore dell' Istituto mediterraneo delle scienze, luogo chiave del «comitato affaristico», come lo chiamano i carabinieri. I quattro funzionari: Lucia Lavermicocca, segretaria del dipartimento studi aziendali della facoltà; Michele Milillo, funzionario in pensione, Giuseppe Maurogiovanni e Sergio Riso, addetti alle aule della facoltà, con compiti di vigilanza degli studenti e di smistamento dei contatti fra segreteria e docenti. Contro di loro l' ipotesi di associazione a delinquere finalizzata a una lista lunghissima di reati: corruzione, concussione, falso, soppressione di atti veri, falsa attribuzione di lavoro altrui e rivelazione di segreto d' ufficio. Le tariffe, dicono gli inquirenti, variavano da 700 a 3.500 euro a seconda della difficoltà dell' esame. Per le tesi invece - fotocopie di vecchi lavori - si va 3500 e 4500 euro. A leggere le intercettazioni di questa storia verrebbe quasi da ridere se non fosse che invece la questione è seria, come hanno capito bene quegli studenti («siamo indignati») che non hanno partecipato al gioco (la maggior parte) o il rettore Corrado Petrocelli che è preoccupato («il nostro ateneo segue la linea del massimo rispetto della legalità»). Si è arrabbiato, Petrocelli, ieri mattina. I carabinieri sono arrivati in università «con i mitra spianati», si è lamentato con il procuratore capo Marzano, «troppa spettacolarizzazione». Si è fatto sentire anche il ministro dell' Università Fabio Mussi che per questo caso - già battezzato con l' orribile termine di «Esamopoli» - chiede «chiarezza fino in fondo». Dovranno chiarire in tanti, e parecchie cose. Per esempio lo studente Antonello. Al telefono Del Vecchio gli dice «Facendo questo prendi 27, (...) Lui ti mette 27 però se ti mette 25 logicamente accetta». «È ovvio (...) l' importante che io rimanga in media anche in matematica». «Io il dovere mio l' ho fatto perché l' avevo promesso a papà tuo...». In un' altra intercettazione il professore Antonio De Feo, presidente di una commissione d' esame per avvocati chiama la sua segretaria: «Mi fai una cartellina con i miei raccomandati personali? Così gli mandiamo una lettera e gli diciamo di votare per Fitto». La truffa *** Le indagini L' inchiesta «Esamopoli» alla facoltà di Economia dell' Università di Bari è cominciata nel 2005. Ieri sono finiti agli arresti due docenti e quattro dipendenti dell' ateneo La vendita Le sei persone sono accusate di un giro di compravendita di esami e tesi di laurea. In 8 mesi l' organizzazione si sarebbe intascata 50 mila euro I prezzi Gli esami venivano venduti per cifre che oscillavano dai 700 euro per quelli più facili fino a 3.500 per quelli più ostici. Ad accettare la truffa erano soprattutto studenti stranieri Fasano Giusi _________________________________________________________________ La Repubblica 4 Apr. 08 SESSO, RACCOMANDAZIONI E VOTI REGALATI Quella studentessa è uno zero, le do 26" Nelle carte dell'inchiesta il racconto di come funzionava il business delle prove truccate BARI - Sesso, elezioni, scambi di favore tra baroni universitari e vip della città. Tariffari precisi e un'organizzazione capillare. È questo lo spaccato della cupola degli esami a Economia che emerge dalle 245 pagine di ordinanza di custodia firmata dal gip, Vito Fanizzi. LE REGOLE DEL SISTEMA Gli investigatori intercettano una chiacchierata tra il professor Massimo Del Vecchio, che dirige l'istituto privata al centro dell'inchiesta, e il bidello Giuseppe Maurogiovanni. Parlano dei professor Barile. M.: «Guarda che questo è pezzo di m. originale.... Si è fatto avere pure date 150 euro... alloravuoivederecheluialprossimoappellamidevefarepassareunosenzadargliuna lira?.... Quello che lui ha lavorato con me, per sei anni... Vincenzo l'Andriese (ndr, Dell'Olio, un altro degli indagati) si è fregato un sacco di soldi... A uno gli tolse 10 milioni quando c'era la lira, dammi 10 milioni e questi li devi passare tutti... C'è una differenza conte, con luiho tremato, tremavo... E ora lui se ne esce con trecento euro? Sai per lui cosa sono, una cacata per pulirsi il sedere». TARIFFE DIFFERENZIATE Del Vecchioparla con Nichiforso Baldacci, l'uomo che dovrebbe portare studenti greci nel suo istituto privato can la promessa di vantaggi durante gli esami. B.: «Allora, 2.500 per l'esame di matematica». D.: «Vabene... Poi perle altre materie mille euro soltanto.Aparte diritto commerciale, quello facciamo mille e cinquecento... Penso che sia buono... giusto?» B.: «E inglese, per esempio, quando uno vuole dare tutti e due?» D.: «1.500 tutto, primo inglese e secondo». PROPOSTEINDECENTI Del Vecchio parla con una delle studentesse che frequentano la sua scuola. D.: «Tu, ti devi aprire, ti devi aprire proprio... ti metti in una situazione di tranquillità locale, perché se vedo che tu anziché aprirti ti copri, mi copro anch'io... Se non ti sbottoni... io non ti posso fare niente». Studentessa: «Professore, se lei mi dice ho la soluzione al tuo problema, io domani stesso sta qua... Io, professore, le sto dicendo tutto quello che mi viene in mente». D.: «Io non intendevo sbottonati in senso figurato... con che altro te la devo dire?» S.: «Io, professore domani le porta i soldi» D.: «Non intendevo nemmeno in senso economico... Va bè andiamo avanti». L'SMS AL PROFESSORE II professor Antonio De Feo, il docente di diritto del Lavoro, campione della Bari bene e anche lui indagata, sta tenendo un esame. Il figlia gli manda un sms, chiedendo informazioni su una sua amica. «Come va?» «Zero assoluto oltre a essere cretina». La ragazza sarà promossa con la votazione di 26/30. L'ESAME DA AVVOCATO Sempre De Feo ha ricoperto anche il ruolo di presidente di commissione per gli esami da avvocato. «Un'altra conversazione ambientale evidenzia - scrive il gip - come abbia utilizzato la scorretta gestione della propria funzione per fini elettorali. Aveva cioè bisogno di tutti i soggetti che avevano fatto gli esami con lui personalmente (che lui stesso definiva" raccomandati") in modo da poter poi loro inviare lettere di sollecitazione ad appoggiare Fitto (ndr, ex governatore dei centrodestra, poi parlamentare di Forza Italia), in quel periodo impegnato nella campagna elettorale». D.: «Quell'elenco.... Devi fare una cartellina.... devi scrivere esami avvocati». Segretaria: «In chi senso?» D.: «Perché questi poi farò una lettera se appoggiamo Fitto e cosi via capito?» S: «Ok». D.: «Quello che hanno fatto gli esami con me.... personalmente... i raccomandati». GIULIANO FOSCNINI LORENZA PLEUTERI LE TARIFFE Per superare un esame le tariffe andavano da 500 a 3.500 euro (costo, quest'ultimo, di un ciclo di lezioni private) ARRESTATI Sono 6 le persone arrestate ieri: un docente in pensione, un ex assistente e quattro dipendenti dell'università GLI INDAGATI Sono 37 le persone indagate per la compravendita degli esami: tra questi, anche 15 studenti e 4 loro genitori In 3 anni di indagini i pm hanno formulato 45 capi di imputazione: l'ultimo è stato l'associazione a delinquere _________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 4 apr. ’08 L'UNIVERSITÀ, GLI INVESTIMENTI E I VALORI di LUIGI COVATTA n servizio comparso sulla «Repubblica» del 27 marzo denuncia che a Roma c'è chi offre posti letto a studenti e studentesse in cambio di prestazioni sessuali. In altra sede sarebbe interessante discutere come questa pratica si concili con la riscoperta dei valori di cui parla la christian majority o con la liberazione sessuale di cui parla il movimento femminista. Qui invece interessa segnalare l'indizio che essa fornisce sulla considerazione di cui godono gli studenti (e gli studi) nella nostra società. Il fenomeno denunciato da «Repubblica» è probabilmente limitato. Ma segnala con la chiarezza dell'iperbole cosa c'è sotto gli esosi affitti in nero, la carenza di servizi, la precarietà dei percorsi didattici, e tutte le altre delizie che caratterizzano la vita di decine di migliaia di giovani. Ed anche sotto l'inosservanza del criterio del merito nel regolare prima il curriculum degli studi e poi la carriera professionale. Se infatti nel senso comune gli studenti sono solo polii da spennare o addirittura pollastrelle da spiumare nessuno si scandalizzerà quando nei corso degli studi essi dedicheranno metà del loro tempo a sbarcare il lunario, nè quando poi nel allo studio emondo del lavoro rentela. Sotto c'è l'indifferenza della società italiana alla valorizzazione di quello che i sociologi chiamano il capitale umano, segno di una difficoltà culturale a partecipare a pieno titolo alla società della conoscenza. Ora, in campagna elettorale, tutti promettono nuovi fondi per formazione e ricerca. Dopo le elezioni, però, chi vorrà mantenere le promesse farà bene a considerare che per riportare l’università italiana al livello delle altre università europee prima ancora che investimenti finanziari servono investimenti sociali. Quelli necessari a garantire davvero il diritto allo studio ai capaci e meritevoli (come, quando non c'era l'università di massa, faceva-no egregiamente i collegi universitari). Ed anche quelli orientati a modificare il senso comune non solo presso padroni di casa erotomani, ma presso famiglie che usano l'università come un parcheggio e docenti che contano gli studenti come si contavano le anime morte nella Russia zarista. _________________________________________________________________ Il Giornale 29 Mar. 08 QUANDO L'ICEBERG AFFONDA IL BUON SENSO Franco Battagiia prezioso lettore mi informa che il distacco di un. colossale iceberg (13.000 kmq), occorso (...) pochi giorni fa in Antartide, sarebbe stato riportato dal Tg1 di prima serata addirittura come prima notizia «manco fosse uno tsunami» col solito allarmismo corroborato dall'intervista a tino dei soliti «esperti» consulenti della Rai. Nel caso specifico, pare che l’«esperto» fosse ~ laureato in agraria che dice di essere climatologo e uso a giurare, dall'alto della sua agronomia, che l'attuale riscaldamento globale sarebbe colpa delle emissioni antropiche di gas serra. È bene avvisare subito i lettori che 1a scienza ha già dimostrato che col riscaldamento globale l'uomo non c'entra; come fa fede il Rapporto del N-Ipcc - presentato a New York 1o scorso 3 marzo e naturalmente ignorato dal Tg1 ; dall'inequivocabile titolo: «E la natura e non le attività umane a governare il clima». L'N-Ipc è un organismo scientifico internazionale, simile all'Ipec ma privo del controllo politico dei governi pa «N» sta per «non-governativo»), di cui fanno parte fisici dell'atmosfera, geologi, climatologi e scienziati di scienze affini Tra gli italiani, nell'N- Ipcc c1 sono anch'io, ma segnalo soprattutto il professor Renato Ricci, già presidente delle Società di fisica sia italiana che europea. Invece, l'Ipcc - voluto dai governi perché desse loro una patente scientifica alle dissennate scelte di politica energetica e ambientale, a cominciare da quel disastro che è il protocollo di Kyoto - è l'organismo che nel 2007 fu gratificato del prèmio Nobel, m di quello politico per la pace, visto che non poteva prenderne uno per la scienza, essendocene poca o punto nei comunicati dall'Ipee sottoscritti ogni 5 anni a partire dal 1990. E veniamo all'iceberg. maggiore dell'Aeronautica Fabio Malaspina - fisico del clima e vero esperto - precisa che quello che il Tg1 riporta come evento eccezionale conseguente alle attività industriali, eccezionale non è. Ad esempio, ricorda il maggiore, era il 14 aprile 1912 quando, urtato da un iceberg, a fondo il Titanic, quasi giunto a destinazione davanti a New York (che, ricordo, è, alle latitudini di Napoli). Magari gli agronomi consulenti della Rai diranno che anche quello fu per colpa delle attività industriali - chissà quali - sino al 1912. Peccato che nella sua Storia. naturale del lontano 1749, in piena piccola era glaciale, George-Louis Leclerc così ci informa: «Nel 1725 i navigatori hanno trovato i ghiacci ad una latitudine in cui non sene trovano mai nei nostri mari settentrionali. In quell'anno non vi fu, per così dire, estate, e piovve quasi di continuo: così non soltanto i ghiacci dei mari settentrionali non si erano sciolti al67° parallelo nel mese di aprile, ma, se ne trovarono in giugno anche al 41°». Ricorda il maggiore Malaspina che, anche se sui media i poli sono presentati m dal punto di vista climatologico molto simili, l'Artico è un oceano circondato da continenti (i ghiacci sono prevalentemente sull'acqua), mentre l'Antartide è un continente circondato dagli oceani. Una enorme differenza, questa, che contribuisce ai processi che, in questo ultimo periodo, inducono i ghiacci marini in Antartide ad aumentare, come accade già da molti anni, con un record di estensione raggiunto lo scorso anno (notizia naturalmente passata totalmente sotto silenzio). a Per farla breve, la verità allora è che il distacco del colossale iceberg, lontano dall'essere la prova che in Antartide i ghiacci stanno diminuendo 1 (come tutte le Agenzie hanno strillato disinformate), esso è invece la conseguenza del fatto che, lì, i ghiacci, sono aumentati come non mai. E visto, che siamo in tema, consentitemi di chiudere consigliandovi una piacevolissima lettura, fresca di stampa e che, anche se non scientifica, è scientificamente scrupolosa e attendibile, perché tali i giornalisti che ne sono autori (Antonio Gaspari e Riccardo Cascioli): «Che tempo farà: falsi allarmismi e menzogne sul clima» (Piemme editore). Franco Battaglia ================================================= _______________________________________________________ L’Unione Sarda 1 apr. ’08 SANITÀ SARDA, INTESA DA 54 MILIONI Accordo Stato-Regione sugli investimenti per l'edilizia e le tecnologie ospedaliere S'inizia il nuovo piano di assistenza diffusa sul territorio CAGLIARI. Regione e ministero hanno sottoscritto il protocollo d'intesa collegato all'Accordo integrativo 2008 del programma di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie. Il piano che lo Stato finanzierà con 54 milioni di euro, prevede sette interventi di riorganizzazione dell'area dell'assistenza sanitaria ospedaliera e distrettuale. L'importo a carico dello Stato è pari a 53.736.762,36 euro. In linea con il piano sanitario regionale, le misure previste intendono contribuire all'adeguamento dei requisiti strutturali e al miglioramento della qualità funzionale delle strutture esistenti, nonchè, attraverso la realizzazione di nuove strutture ospedaliere, garantire il riequilibrio in ambito regionale dell'offerta di posti letto e una adeguata presenza nel territorio interessato delle discipline di base. L'accordo, firmato dal ministro Livia Turco e dall'assessore alla Sanità Nerina Dirindin, prevede, tra gli altri interventi, la costruzione della Casa della salute a Lanusei (Ogliastra), secondo il nuovo modello di assistenza territoriale definito nel piano regionale e una Residenza sanitaria assistita a Macomer (Nuoro) e il completamento del centro dialisi di Siniscola (Nuoro). Ecco, nel dettaglio, gli interventi finanziati: Asl 1 Sassari, 1.962.536,22 euro per la climatizzazione dell'ospedale civile di Alghero; Asl 1 Sassari 245.317,03 euro per la copertura dell'edificio adibito a Rsa e poliambulatorio a Bonorva; Asl 3 Nuoro 539.697,46 euro per il completamento del centro dialisi di Siniscola; Asl 3 Nuoro 2.453.170,28 euro per la nuova Rsa da 40 posti letto a Macomer; Asl 4 Lanusei 3.434.438,38 euro per la nuova sede servizi territoriali e amministrativi della Casa della salute; Asl 6 Sanluri 42.902.680,21 euro per il nuovo ospedale di San Gavino; Azienda mista Cagliari 2.198.922,78 euro per completare lavori urgenti di ristrutturazione e adeguamento alle norme di sicurezza dell'ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari. _______________________________________________________ Italia Oggi 1 apr. ’08 Dal 3 aprile obbligatorio il registro anti-tumori Carla De Lellis La sicurezza chiama a nuovi obblighi i datori di lavoro e medici di fabbrica. Entro il 3 aprile vanno istituiti i nuovi libri obbligatori, in relazione ai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria. I datori di lavoro devono adottare un registro e i medici competenti le cartelle sanitarie per tutti i lavoratori esposti ad agenti cancerogeni o mutageni. La novità, arrivata con un ritardo di 14 anni sulla tabella di marcia, è disciplina dal dm n. 155/2007 (in vigore dal 3 ottobre 2007), che ha approvato il regolamento previsto dall'articolo 70 del dlgs n. 626/1994 (T.U. sicurezza). In alternativa a quella cartacea, è possibile impiegare sistemi di elaborazione automatica dei dati, sia per il registro che per le cartelle. I dati raccolti in registri e cartelle andranno conservati per 40 anni. Il dlgs n. 626/1994 (titolo V) stabilisce che i lavoratori per i quali la valutazione dell'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni abbia evidenziato un rischio per la salute devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria e, a tal fine, devono essere iscritti in un apposito registro, istituito e aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il medico competente inoltre, deve provvedere all'istituzione e conseguente aggiornamento di una cartella sanitaria e di rischio, custodita presso l'azienda in cui sono occupati i lavoratori sotto la responsabilità del datore di lavoro. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, entro 30 giorni l'impresa deve inviare all'Ispesl la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato alla cessazione del rapporto, unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro e ne consegna copia al lavoratore stesso. A norma dell'articolo 70 del dlgs n. 626/1994, il registro di lavoratori deve essere istituito dal datore di lavoro, secondo il modello allegato al dm n. 155/2007. Una copia va inviata, in busta chiusa siglata dal medico, all'Ispesl e all'organo di vigilanza competente per territorio (asl) entro 30 giorni dalla sua istituzione. _______________________________________________________ Corriere della Sera 30 Mar. ’08 QUANDO È BUONA MEDICINA Qualità delle cure Il nuovo codice deontologico impegna i medici ad un maggiore impegno sull'equità Sandro Spinsanti* Come deve essere la medicina per meritare l'aggettivo di «buona»? La risposta non è scontata, come potrebbe sembrare in prima battuta. Per essere buona medicina deve procurare un beneficio alla salute di chi è malato, certo. È una condizione che si misura con gli standard della scienza. Ma non basta. Deve anche rivolgersi alle persone nel modo che oggi riteniamo consono al nostro stato di cittadini adulti e responsabili. Non sarebbe buona medicina quella che ci trattasse come bambini; o dall'alto in basso, con degnazione, come se i servizi alla salute che riceviamo fossero un gesto di beneficenza, non l'esercizio di un diritto di cittadinanza. La buona medicina deve darci, dunque, le cose giuste, ma anche nel modo giusto: abbiamo così elencato due condizioni. E non basta. Nel nuovo codice di deontologia dei medici italiani, redatto nel dicembre 2006, troviamo una terza esigenza: i servizi sanitari devono essere erogati con giustizia. Non è buona medicina quella che, pur dotata di alta scientificità, non fosse disponibile per tutti quelli che ne hanno diritto e bisogno. Perché si abbia un'equa ripartizione dei servizi è necessario un impegno positivo da parte di chi esercita la medicina. Questa è la novità che appare nel codice deontologico dei medici all'articolo 6: «Il medico è tenuto a collaborare alla eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario, al fine di garantire a tutti i cittadini stesse opportunità di accesso, disponibilità, utilizzazione e qualità delle cure». Coerentemente con questa impostazione, i medici non possono limitarsi a dire: «Noi facciamo bene il nostro mestiere, cioè diagnosi, cura e prevenzione, i politici e gli amministratori facciano il loro». È necessario un intervento dei medici affinché coloro che nel gioco sociale sono destinati a rimanere ai margini, quindi meno tutelati, abbiano i servizi di cui hanno bisogno. Per fare un'analogia, possiamo riferirci a quel processo sociale che negli Stati Uniti è stato chiamato Affermative Action, quando ci si è resi conto che non bastava auspicare che i neri avessero le stesse opportunità dei bianchi, ma era necessario garantire loro accessi all'istruzione e ai posti di lavoro con interventi mirati. Non sembri strano: in Italia ci stiamo accorgendo che, pur avendo un servizio sanitario nazionale che, in teoria, garantisce i servizi alla salute a tutti, indipendentemente dalle condizioni sociali, in pratica non è così. Non solo le condizioni di salute, ma anche la stessa durata della vita, tende a seguire la linea del benessere. E dunque dell'istruzione. Vivere di più, vivere in buona salute non è questione di genetica o di fortuna, ma di collocazione sociale. È una buona notizia che i medici abbiano dichiarato, nero su bianco, che un buon medico non è tale, qualunque sia il livello della sua competenza scientifica, se non si impegna positivamente per rendere possibile l'equità. Ora bisognerà che il problema entri nel programma dei partiti. Non basta il «pensierino» rivolto all'abolizione delle liste d'attesa: l'ingiustizia è entrata nella carne delle persone attraverso le disequità nella salute; è necessario, e urgente, un intervento riequilibrativo, perché l'ingiustizia cova malesseri e, a lungo andare, sovvertimenti. * Esperto di bioetica direttore rivista Janus _______________________________________________________ Corriere della Sera 30 Mar. ’08 PERCHÉ LE CURE NON SONO UGUALI PER TUTTI Servizio sanitario I punti critici Gli specialisti Il 57% delle visite specialistiche viene pagato dal cittadino In Italia 57 visite specialistiche su cento sono pagate direttamente dai cittadini, di tasca propria. Le persone lo fanno per avere un rapporto continuativo con un medico di fiducia o per «saltare» le liste di attesa. Ma nel nostro sistema sanitario italiano, pubblico e universalistico, l'accesso alle cure non dovrebbe essere garantito gratuitamente a tutti, indipendentemente dalle risorse economiche, dall'età, dal sesso, dal livello di istruzione, dalla residenza e dal gruppo etnico di appartenenza? Dovrebbe e lo è in linea generale tanto che gli esperti internazionali ne riconoscono l'equità sia formale, cioè sulla carta, sia sostanziale, cioè nelle sue applicazioni concrete, ma le criticità non mancano. E la prima, individuata da Giovanni Padovani nel libro Il diritto negato, è proprio la «privatizzazione strisciante». Non quella delle assicurazioni-malattia, ma appunto quella dell' out of poket, l'esborso di denaro per ottenere una prestazione. Soldi che fanno la differenza e che penalizzano le fasce più deboli. Ancora. La mortalità infantile, che è indice della qualità di un sistema sanitario oltre che delle condizioni igienico- sanitarie della popolazione, interessa molto di più i neonati nati da madri disoccupate e nubili, immigra- te, troppo giovani o troppo vecchie. Ed è molto più alta al Sud che al Nord. Anche la geografia conta nell'accesso alle cure. Per le donne del Sud, che aspettano un figlio, ci sono probabilità molto più alte, che per quelle del Nord, di partorire con un cesareo, con tassi che in Italia sono fra i più alti al mondo, dopo il Brasile, e raggiungono quasi il 60 per cento nella Regione Campania. La colpa è l'eccessiva medicalizzazione delle nascite, ma soprattutto una cattiva organizzazione delle strutture sanitarie che lascia troppo spazio agli interessi economici della sanità privata a scapito del paziente. Altra discriminante: l'età. La rete assistenziale non fornisce, se non in alcune realtà territoriali, una risposta adeguata ai bisogni di salute dei grandi anziani, invalidi e non autosufficienti, e il peso economico di tutto questo grava ancora sulla famiglia. Le badanti finiscono per essere l'unico anello di una catena che non c'è. Per chi se le può permettere. L'assistenza domiciliare integrata, che permette di assistere gli anziani a casa, è frammentaria e le cosiddette residenze assistenziali per gli anziani non sono governate da un piano organico di intervento e sono ben lontane da quanto viene realizzato nei Paesi più avanzati. E la disomogeneità delle loro prestazioni è testimoniata dai vecchi nomi con cui sono ancora chiamate nel nostro Paese: Casa di Riposo, Residenza sanitaria per anziani, Ospedale di comunità e via dicendo. Ecco allora che gli anziani quando soffrono di malattie croniche o di gravi disabilità, unite a scarse possibilità economiche e a un basso livello di istruzione, finiscono per essere discriminati. Un diploma, o una laurea, sono utili anche quando si deve affrontare un altro aspetto critico del nostro sistema sanitario, quello della comunicazione fra medico e paziente. Una scarsa comunicazione medica può essere causa di disuguaglianza nell'utilizzo dei servizi sanitari. Le persone più istruite hanno maggiori capacità di capire, di negoziare e di contrattare la terapia e finiscono per avere cure migliori anche quando l'assistenza è pubblica. E paradossalmente qualche volta sono meno «curati» dei poveri: subiscono meno interventi chirurgici, per esempio, o prendono meno medicine. E sono meno vittime di cure inutili o non appropriate. Un esempio? L'asportazione delle tonsille, il raschiamento, la rimozione dell'utero e l'intervento per ernia inguinale sono più frequenti nella popolazione generale che nelle famiglie di medici e avvocati. Adriana Bazzi 60% È la percentuale di parti che finiscono con il taglio cesareo in Campania, un tasso altissimo paragonabile a quello che si registra in Brasile _______________________________________________________ Il Sole24Ore 7 apr. ’08 I MEDICI BOCCIANO I DIRIGENTI Lo Smi dell'Emilia Romagna ha raccolto in uno studio le criticità con i vertici delle Asl Troppa burocrazia e gerarchie, manca l'ascolto e il coinvolgimento Il Centro studi programmazione sanitaria (Csps) del Sindacato dei medici italiani dell'Emilia Romagna ha effettuato uno studio osservazionale, tutt'ora in atto, tra iscritti e simpatizzanti per approfondire alcune criticità, da tempo evidenziate dai medici di medicina generale e dai medici dipendenti (detti produttori), nei confronti di alte e medie dirigenze aziendali (dette committenze). Il Sindacato dei medici italiani (Smi) può contare tra i suoi sostenitori diverse professionalità mediche (Mmg, medici di continuità assistenziale e dei servizi territoriali, pediatri, specialisti, ospedalieri, specializzandi, primari, universitari ecc.). I risultati dello studio, sebbene riferito a dati preliminari ma significativi, mostrano un profondo, e sommerso, disagio degli operatori. L'oggetto dello studio sono i medici dipendenti e parasubordinati che hanno sviluppato segni o sintomi riconducibili ad atteggiamenti difensivi nei confronti delle aziende (demotivazione, disimpegno, burnout, straining, mobbing, stress occupazionale ecc.). L'obiettivo dello studio è quello di cercare di elencare e conoscere i bisogni organizzativi e gestionali dei medici produttori che hanno sviluppato comportamenti difensivi nei confronti delle aziende, ma anche di individuare possibili soluzioni. Lo strumento utilizzato si richiama alla tecnica della raccolta delle narrazioni e dell'analisi del testo. La raccolta del materiale è avvenuta tramite l'ascolto di narrazioni, trascrizione di appunti, registrazioni audio assicurando l'anonimato e il rispetto della privacy. Le storie raccontate dai medici e raccolte dai ricercatori, contengono informazioni significative riguardanti il vissuto dei vari operatori nei confronti dell'organizzazione aziendale di appartenenza. I racconti sono s e n z ' a l t r o espressioni personali, ma posseggono un senso e un significato che vengono sottolineati dalla costante ricerca di interpretazione che questi colleghi formulano nei confronti delle loro realtà aziendali. Cresce il disagio. Dallo studio stanno emergendo racconti che esprimono una notevole insoddisfazione e un profondo disagio nei confronti delle committenze (alte e medie dirigenze aziendali). Viene percepito, e segnalato spesso dagli intervistati, che i funzionari non medici ottengono più attenzione, da parte delle alte dirigenze, dei clinici stessi: costoro ottengono accessi diretti e immediati, non sono costretti a chiedere appuntamenti che, per i produttori, sono di molto dilazionati nel tempo se non addirittura dimenticati e inevasi. Tali comportamenti dirigenziali vengono considerati come massificanti e genererebbero, di fatto, una situazione nella quale la committenza è avvertita come disinteressata a condividere i contributi, le idee o i suggerimenti che dovessero provenire dai singoli medici. L'apparato aziendale appare inoltre come estremamente arroccato alle regole della formalità burocratica: organigrammi, relazioni, uso arbitrario delle rigide regole gerarchiche non permetterebbero al personale una reale partecipazione e una libera espressione di idee propositive nonostante venga enfatizzata la necessità di fare aderire la prassi aziendale alla così detta democrazia partecipata. A fronte dell'eccessiva attenzione formale vi sarebbe una scarsissima attenzione alle procedure applicate effettivamente e sistematicamente, agli effettivi impegni lavorativi assistenziali mantenuti nel tempo, agli effettivi carichi di lavoro che si dimostrano palesemente squilibrati, alle modalità relazionali, al clima di tensione percepito. Convivrebbero infatti nelle aziende, secondo i racconti, soggetti poco responsabilizzati, considerati dai produttori come figure vuote o di maniera, ma nello stesso tempo, quasi sempre presenti nelle situazioni non operative, molto graditi e sostenuti dalla committenza insensibile alla dimostrazione basata sull'evidenza di un netto e non sostenibile sbilanciamento tra carichi di lavoro eccessivi per alcuni e tranquilla routine inoperosa per altri. Anche le recenti indicazioni riguardanti gli obiettivi di integrazione contrastano con le più solide direttive di qualità e appartenenza. Il concetto di integrazione, è vissuto come ambiguo e imposto dall'alto, e pare nascondere l'intenzione - secondo le narrazioni - di far fare più cose, far funzionare più servizi, utilizzando le stesse risorse già in forza a una sola unità eventualmente già sotto-dimensionata, mantenendo quello squilibrio tra carichi di lavoro già menzionato. L'origine del malessere difensivo è causato quindi dalla netta sensazione, avvertita dai produttori, di contare poco nelle aziende se ciò viene confrontato con l'interesse che le dirigenze aziendali riservano ad altri soggetti "non operativi" o ad altre figure con oggettive minori responsabilità legali riguardo agli effetti del loro agire. Questa impressione provoca inevitabilmente risentimento per l'ingiustizia percepita: la scarsa equità nelle valutazioni e nelle considerazioni rafforza la certezza di ricevere trattamenti discriminanti. La piramide gerarchica. L'apparente rigida gestione del potere decisionale crea comunque timore, a volte vera paura, tra i produttori che si sentono impotenti e incapaci di ogni iniziativa di partecipazione attiva. Il timore a sua volta può trasformarsi (attraverso un noto processo psicologico) in rancore che può innescare, di conseguenza, la ricerca di una rivendicazione personale. Questo comportamento attuato in un ambiente sanitario può diventare, oggettivamente, devastante per tutti: pazienti, produttori, alte dirigenze. Il noto modello della piramide gerarchica individua al vertice la committenza che professa competenze organizzative e gestionali (cosiddetta competenza burocratica). Alla base della piramide vengono posti i produttori che possiedono competenze cliniche, ma anche organizzativegestionali (competenza burocratica e clinica). I medici che lavorano ogni giorno nell'assistenza affermano di conoscere i propri bisogni gestionali-organizzativi e anche le richieste degli assistiti. Affermano di fare fronte alle varie esigenze espresse mettendo in atto sia competenze burocratiche che cliniche. I produttori, alla base della piramide, si percepiscono come il fondamento del Ssn e si considerano come coloro che permettono al servizio sanitario di poter essere ancora considerato nazionale e universale e si vivono, inoltre, come alternativi alle alte dirigenze costruite a tavolino. Le competenze della base sono valutate come storicamente più professionalizzate per curriculum formativo e accreditamento scientifico, mentre quelle del vertice sono percepite come scarsamente autonome dalla politica che ne rappresenta il reale referente. Le contromisure. Dipendenti e parasubordinati ritengono che per affrontare i problemi organizzativi e gestionali della nostra Sanità debbano essere attuate alcune misure o iniziative culturali, normative e legislative: si ritiene opportuna una legislazione che abolisca la lottizzazione operando almeno una compensazione in numero e in remunerazione tra il potere assoluto delle alte dirigenze (non operatività) e la partecipazione di chi esercita il massimo di responsabilità (operatività); si ritiene essenziale che la posizione organizzativa e funzionale delle alte dirigenze aziendali possa rappresentare anche un sistema di progressione di carriera, come è prassi in altri Paesi, per medici, già operativi nell'assistenza, che per vari motivi, dopo una professione certificata e riconosciuta, debbano, loro malgrado, ridurre l'attività prima del pensionamento (per parziali malattie o altro), ma che siano assolutamente in grado di trasmettere ancora tanto sapere, competenza ed esperienza; si ritiene fondamentale l'unità sindacale, nel rispetto delle tradizioni, tra tutte le sigle mediche esistenti (creando una specie di camera alta con poteri decisionali o vincolanti) in quanto la suddivisione della categoria viene considerata antistorica e fondamentalmente deleteria per la categoria; si ritiene formativo, etico e preventivo di comportamenti disadattavi (dettati dal rancore o dal risentimento) introdurre la così detta indaginericognizione- inchiesta elogiativa come pratica comune di conoscenza obiettiva all'interno delle Asl; si richiede agli ordini dei medici un approfondimento dirimente tra alcune apparenti contraddizioni deontologiche derivanti dagli interessi aziendali che i medici dipendenti con ruoli di organizzazione devono osservare e le indicazione di colleganza contenute nel codice deontologico medico. I produttori sostengono di mantenere, nonostante le difficoltà denunciate dalla ricerca osservazionale, una dignità e un'autostima che derivano, verosimilmente, dalla loro cultura e dalla loro formazione: questi aspetti intangibili si manifestano nel lavoro assistenziale q u o t i d i a n o svolto, nella s t r a g r a n d e maggioranza dei casi, al meglio e recepito positivamente dalla gran parte dei pazienti, come dimostrano le conclusioni dei numerosi sondaggi. Questa forza, auto-percepita, sta proprio nel contatto quotidiano e diretto con gli assistiti, nella costante presenza pluri-decennale, nel visitare le persone, nel porre ipotesi diagnostiche, nel ricettare, nel proporre soluzioni ai problemi, nel cercare di far bene il proprio lavoro. Anche se si vivono come lontani dalle stanze importanti, i produttori continuano comunque a progettare visioni future, strettamente collegate alle analisi dei bisogni, nella convinzione che ciò che viene fatto di buono per i pazienti e per i colleghi non sia mai inutile. Gli intervistati assicurano che all'interno delle Asl, sia tra i dipendenti che tra i parasubordinati, si possano identificare molte persone che dimostrano abilità in grado di ottenere cambiamenti migliorativi per colleghi, utenti e aziende stesse. Questi colleghi possono diventare "opinion leader" non formali, possono essere imitati e sono in grado, così, di favorire un apprendimento diffuso di abilità innovative o di comportamenti adattivi. La sensazione dei produttori è che vi sia una assenza di attenzione da parte delle alte dirigenze verso queste dinamiche anche se, alla fine, è il cambiamento migliorativo-adattivo continuo che può mantenere vitale un'organizzazione. I medici dipendenti e para- subordinati vorrebbero che la committenza non avesse solo un ruolo nominativo ("armiamoci e partite"), ma che fosse in grado di mostrare interesse verso il lavoro quotidiano dei produttori, di attuare comportamenti di fiducia, di rispetto, di servizio eticamente e moralmente imitabili. Infine il confronto con le organizzazioni sindacali non soddisfa e non compensa i produttori in quanto vi è la sensazione che parlare con i sindacati o con le aziende sia la stessa cosa a causa di uno strisciante allineamento dei vertici sindacali verso le posizioni del potere aziendale. Conclusioni. La ricerca stimola molte riflessioni preoccupate, in merito alle frattura percepita dall'operatore medico. È necessario, comunque, nel valutare tali evidenze, estrema prudenza. A volte ciò che è una sensazione può essere raccontata come se fosse una realtà. Obiettivamente vi è però una "frequenza" nella ripetizione di alcuni racconti tale da poter pensare che la conflittualità "narrata" possa richiedere una particolare attenzione. Saranno poi le contingenze e gli avvenimenti, a volte fortuiti, che potranno palesare, nel tempo, l'attendibilità delle suggestioni che questa ricerca ha stimolato. In ogni caso si ritiene che ricerche di questo tipo possano essere utili ad aprire un dibattito tendente alla ricerca di soluzioni idonee al superamento di tali conflittualità, nell'ottica di poter migliorare, attraverso una nuova prassi relazionale, la produttività interna delle aziende sanitarie. Bruno Agnetti Alessandro Chiari Davide Dazzi Mario Salvi Gruppo di lavoro Centro studi programmazione sanitaria Sindacato dei medici italiani Emilia Romagna Le carenze dei "capi" Scarsa propensione alla soluzione dei problemi organizzativi Scarsa attenzione alla progressione meritocratica delle carriere Scarsa propensione alla diffusione non formale delle informazioni Scarsa propensione a sviluppare relazioni interpersonali di qualità Scarsa preoccupazione verso un'equa distribuzione delle assunzioni Scarsa propensione a prendere decisioni e a fare scelte in quanto l'immobilità non comporta mai assunzione di responsabilità con la netta percezione, da parte della base dei produttori, che questi siano ruoli loafers Scarsa propensione a considerare le proposte e i progetti organizzativi-gestionali originati dalla base, eccezion fatta per le elaborazioni proposte dai pochi, prediletti e graditi Tendenza all'utilizzo di risorse e contributi originati dai "produttori" senza riconoscerne l'origine, la paternità e l'impegno collaborativo Scarsa conoscenza di metodi e di criteri di valutazione trasparenti, oggettivi, meritocratici Scarsa preoccupazione per il sottodimensionamento del personale con incremento di ruoli a "scavalco" tra due o più servizi e di ulteriori posizioni "non operative" Scarsa conoscenza del significato, non retorico, di "meritocrazia" o "qualificazione certificata" Scarsa propensione a comprendere e ad analizzare i bisogni organizzativi gestionali dei produttori tanto che, come conseguenza, le committenze tendono a operare scelte scollate dai bisogni organizzativi e gestionali reali Insufficiente conoscenza delle situazioni pratiche e operative della base con tendenza a emarginare i produttori portatori di istanze innovative Le cause del malessere Incremento del carico di lavoro aumentato a dismisura e origine spesso di episodi di malasanità pubblicizzati sulla stampa Incapacità di valutazione degli effettivi carichi di lavoro dei singoli medici e degli altri operatori Riduzione delle risorse mediche nei servizi e nella Continuità assistenziale Incremento delle risorse amministrative e aumento del personale aziendale "non operativo" visto come carriera interna e sistema premiante (chi non è operativo è percepito dai produttori come premiato e dalla committenza come più meritevole, più adatto, più degno di rispetto, di attenzioni, di informazioni, di incontri, di scambi di idee...) Aumento di contratti di consulenza per la specialistica a pensionati con riduzione di primo accesso alla professione da parte dei giovani Processi decisionali patologici autoreferenziali, non oggettivi e scarsamente valutabili Incompetenze nel valutare i bisogni organizzativi e gestionali: la committenza, a causa dell'utilizzo eccessivo della metodica autoreferenziale, non dimostra di essere in grado di saper leggere i bisogni dei dipendenti e dei parasubordinati e continua a perseguire scelte secondo logiche politiche o di apparato senza far riferimento a criteri di qualità o meritocratici _______________________________________________________ Repubblica 3 apr. ’08 IL SOCCORSO È PRONTO? MENO POSTI LETTO, UN ELEVATO TURNOVER DEI MEDICI E UN UTILIZZO A VOLTE IMPROPRIO DA PARTE DEI CITTADINI Perché è sempre più lunga l'attesa pervisite d'urgenza e ricoveri Rimane alto il numero degli errori Anna Rita Cillis Dalle 12 alle 24 ore, a volte anche più, per attraversare pochi metri. Per andare dal pronto soccorso al reparto. E se oggi a far notizia sono le lunghe, - estenuanti attese dei romani nel Polidi- nico di Tor Vergata o del Casilino al San- t'Andrea come al Pettini, altrove le cose - non vanno meglio, specie al Sud. UH Nonostante la professionalità di molti ~ medici e infermieri che ci lavorano, no- nostante la strumentazione diagnostica, - in qualche caso eccellente. Nonostante la - pressione dei dirigenti dei reparti di emergenza- urgenza che chiedono mag- gioii fondi. Punto dolente, quest'ultimo ZZ anche in virtù dei tagli che talune Regioni ni sono state costrette a fare per risanare i conti. «Come nel Lazio dove si è inizial i : to togliendo agli ospedali posti letto», di- ce Francesco Medici, vice segretario na- zionale Smi, il Sindacato medici italiani, - in prima linea tutti i giorni al pronto soc- corso del San Camillo. «Meno letti signiZZ fica maggiore caos. Come sta avvenendo in molte strutture d'emergenza», spiega - ancora Medici che aggiunge: «La situa- zione è peggiorata un po' ovunque in - Italia. Mancano i fondi? Allora si taglia- no i letti, gli organici. Esistono Pronto - soccorso dove i medici sono costretti a ZZ fare anche quattro notti a settimana». ~ Accusati da più fronti i camici bianchi Q che lavorano nelle strutture di emergenza si difendono sottolineando, tra le altre cose, come a farla da padrone sia la più «assoluta confusione contrattuale». A parlare è Massimo Cozza, segretario nazionale della Cgil Medici, che a proposito dei contratti rimarca: «Ci sono gli atipici, i co.co.co. i libero professionali. In più nei Pronto soccorso ci finiscono i giovani e di conseguenza precari, condizione che genera un elevato turnover». Per Giuseppe di Domenico, medico di 118, membro di "Amami", l'Associazione dei medici accusati di malpractice «i rischi che corrono i medici che lavorano nei dipartimenti di emergenza e accettazione a tengono lontani i più preparati, quelli con maggiore esperienza: sono tra i più denunciati dai cittadini». Va poi aggiunto «che si tratta di un impegno faticoso», racconta Massimo Magnanti, segretario generale di Spes Medici, il Sindacato professionisti emergenza sanitaria: «Chi lavora in un grande Pronto soccorso, segue in media dai 20 ai 30 pazienti contemporaneamente». Ma il margine di errore resta uno dei punti più dolenti della sanità di emergenza-urgenza. Come dimostrano alcuni dati raccolti dal Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva nel 2006: su 100 cittadini visitati al pronto soccorso il 15,3 lamentava un errore diagnostico, il 13,7 lunghe e interminabili attese e a "creare l'errore". Secondo le segnalazioni, sarebbero la raccolta frettolosa delle informazioni, le visite superficiali, la carenza di personale associata al razionamento delle prestazioni diagnosti- Sopra, che a generare l'errore. l'accesso «In due anni le cose sono migliorate», al Pronto spiega Francesca Moccia, la coordinatri- soccorso, ce dell'associazione, «ma il federalismo È l'infermiere sanitario non agevola la situazione». del Triage Della stessa opinione è Carlo Lusenti, a stabilire, segretario nazionale Anaao-Assomed, in base l'Associazione del medici dirigenti perii alla gravita quale «esistono Regioni strutturate da del caso, tempo come l'Emilia Romagna e la il codice Lombardia. È ripetitivo ma è cosi anche nel campo dell'emergenza-urgenza: la 8situazione italiana è disomogenea. Inoltre i pronto soccorso potrebbero essere alleggeriti, visto che i codici bianchi e verdi sono quelli più segnalati, da una rete territoriale assistenziale attiva 24 ore su 24». In attesa di una riorganizzazione generale (era tra i programmi del ministro livia Turco), a pochi chilometri dal centro di Modena nel 2005 è nata una delle poche strutture dedicate all'emergenza: II Nuovo Ospedale civile Sant'agostino Estense. «Siamo spedalizzati in urgenze: trauma cranico, infarti, ictus», spiega Carlo Cavalli, direttore santario Emergenza-urgenza dalla Ausi di Modena. Nell'ospedale 14 posti letto sono riservati all'osservazione breve dei pazienti visitati al pronto soccorso. Tendenza, quella delle stanze dedicate, registrata anche dal progetto Censi&Re dalla Simeu, la Società italiana medicina emergenza-urgenza, sulle attività e Forganizzazione della medicina e chinirgia di accettazione e d'urgenza realizzato due anni fa. Su 234 presidi ospedalieri analizzati «i Pronto soccorso dotati di un area d'osservazione breve intensiva», spiega Cinzia Barletta segretario nazionale Simeu, «sono il 63% con differenze geografiche rilevanti: il 75% delle strutture del Nord, il 60% al Centro il 48% al Sud e 1*85% delle Isole». Dal progetto emerge anche che i codici più assegnati dal Triage sono, verde, nel 56,1% dei casi e bianco nel 25,7%, mentre le persone in pericolo di vita rappresentano il 2 4 % degli accessi (codici rossi). Ma i Pronto soccorso (circa 600) restano una tappa irrinunàabile per gli italiani, nonostante il pagamento di un ticket (25 euro, in media) per la maggioranza dei non gravi. _______________________________________________________ Corriere della Sera 2 apr. ’08 ERRORI MEDICI, 6 CAUSE AL GIORNO Il dossier Uno sbaglio su due commesso in sala operatoria o nel Pronto soccorso Sotto tiro ortopedici e chirurghi Nel 2007 più di duemila pazienti hanno denunciato ospedali e Asl Il risarcimento viene concesso in media in un caso su tre, con un tempo di liquidazione di un anno e mezzo Simona Ravizza Un errore su due in ospedale avviene in sala operatoria o in Pronto soccorso. Nella top ten degli sbagli più frequenti in corsia ci sono quelli commessi durante gli interventi chirurgici e le diagnosi frettolose. Lo dice l'ultimo dossier dell'assessorato alla Sanità. Il documento, presentato ieri ai risk manager della Lombardia (gli esperti in materia all'interno delle aziende ospedaliere), fa la classifica dei reparti risultati più a rischio nel 2007 (o, per lo meno, dei medici più spesso citati in giudizio). Con sei denunce al giorno, è confermato il trend degli ultimi otto anni. La mappa dei rischi Dal '99 a oggi il 15% delle richieste di risarcimento dei danni è stato avanzato contro gli ortopedici (2.536). Seguono a ruota i medici del Pronto soccorso (14%, con 2.386 denunce), gli specialisti di chirurgia generale (10%, 1.615 citazioni in tribunale). I ginecologi e gli ostetrici sono a quota 1.404 (4%), i medici di famiglia a 585 (3,5%). In fondo alla classifica: pediatri, neurologi, chirurghi plastici e anestesisti (1% di lamentele ciascuno). In totale i pazienti che hanno messo sotto accusa chi li ha curati sono stati quasi 17 mila. Quelli dell'ultimo anno 2.040 (contro le 2.088 del 2006). Interventi e diagnosi I malati (o i familiari) portano l'ospedale a Palazzo di Giustizia soprattutto per (presunti) errori chirurgici. Sempre dal 1999 a oggi hanno sporto denuncia in 4.065 (il 24% dei malati che si sono rivolti al tribunale). Altri 3.185 (il 19%) l'hanno fatto per diagnosi considerate sbagliate, 1.277 (85) per cure che non hanno avuto gli effetti desiderati, 835 (5%) per infezioni. Danneggiamenti di beni personali, cadute, infortuni, furti e aggressioni completano il quadro. Lotta all'errore Il risarcimento effettivo scatta solo in un caso su tre. Il tempo medio di liquidazione è di un anno e sei mesi, 24.200 euro i soldi in media portati a casa dai malati. Una cura sbagliata vale mediamente 48.400 euro, una diagnosi errata 36 mila, idem un intervento chirurgico. Unico in Italia, il monitoraggio del Pirellone ha lo scopo di fotografare il fenomeno per fare scattare misure di prevenzione mirate. Con l'obiettivo, ovvio, di ridurre gli sbagli. Dopo avere puntato sulla presenza di risk manager in ogni ospedale, per il 2008 l'assessorato alla Sanità vuole concentrarsi soprattutto sul consenso informato dei pazienti e sui pericoli legati a una somministrazione scorretta dei farmaci. È quanto emerge almeno dal documento che nei prossimi giorni sarà consegnato ai vertici delle aziende ospedaliere. sravizza@corriere.it Foto: La statistica Un errore medico su due in ospedale si registra in sala operatoria o in Pronto soccorso 2.040 Le richieste di risarcimento danni presentate in Lombardia contro i medici nel 2007 16.738 Il numero delle denunce scattate dal '99 a oggi 18 I mesi necessari in media per essere risarciti 30% La percentuale di pazienti che riesce a vincere in tribunale 48.400 Gli euro di risarcimento in media per un errore terapeutico __________________________________________________________________ PANORAMA DELLA, SANITA 3 apr. ’08 ITALIA SEMPRE PIÙ DIVISA NELLA GESTIONE DELLA SALUTE Rapporto Osservasalute 2007 il panorama della sanità italiana appare in progressiva divaricazione con pochi elementi che testimoniano possibili percorsi di avvicinamento di comportamenti e risultati, soprattutto guardando a spesa sanitaria, avanzi e disavanzi, modalità di allocazione delle risorse, equilibri/squilibri economici delle aziende, nelle varie Regioni. 5e alcune differenze seguono un chiaro gradiente Nord - Sud (come la spesa sanitaria rispetto al Pii, col valore massimo registrato in Campania - dati 2004 - pari al 9,89% più che doppio del valore minimo, registrato in Lombardia, pari a 4,46°l°), per altri (vedi la spesa procapite) le differenze sostanziali si avvertono tra Regioni a Statuto speciale e quelle a Statuto ordinario. Lo scenario è quello di un sistema sanitario eterogeneo nella performance economico-finanziaria, così come nelle scelte di allocazione delle risorse, ma in continua e progressiva trasformazione. Tanto più che il panorama non sembra mostrare specifici percorsi di convergenza. È la situazione che emerge dalla quinta edizione del Rapporto Osservasalute (2007), un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane, presentato lo scorso 26 febbraio al Policlinico Gemelli. II Rapporto è pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma e coordinato da Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, e frutto del lavoro di 287 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere ed Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute). L'assetto istituzionale e organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale, a sua volta, si presenta sempre più articolato ed eterogeneo tra Regione e Regione. Seppure in parte ciò sia il risultato di diverse esigenze regionali/territoriali, questa situazione in realtà indica una progressiva perdita di quell'unitarietà di approccio che ha rappresentato uno dei fondamenti essenziali nella costituzione del Ssn. Ma le differenze si manifestano anche sui risultati che si riflettono sui disavanzi prodotti dalla gestione regionale. Il Servizio sanitario nazionale mostra ancora un disavanzo strutturale in senso complessivo. II disavanzo sanitario pubblico è infatti di 43euro per persona (ovvero quasi 2,5 miliardi di curo in aggregato!). I disavanzi tra il 2003 e il 2006 si sono incrementati anche se il tasso di crescita rallenta. Questi disavanzi però non sono equamente distribuiti. Regioni del Sud, come la Calabria sono in avanzo, ma confrontando il dato con la spesa pro-capite questo avanzo, come accade per la Basilicata e in parte per le Marche, sembrerebbe testimoniare una "sottospesa". Alcune Reti che testimoniano possibili percorsi di avvicinamento di comportamenti e risultati, soprattutto guardando a spesa sanitaria, avanzi e disavanzi, modalità di allocazione delle risorse, equilibri/squilibri economici delle aziende, nelle varie Regioni. 5e alcune differenze seguono un chiaro gradiente Nord - Sud (come la spesa sanitaria rispetto al Pii, col valore massimo registrato in Campania - dati 2004 - pari al 9,89% più che doppio del valore minimo, registrato in Lombardia, pari a 4,46°l°), per altri (vedi la spesa procapite) le differenze sostanziali si avvertono tra Regioni a Statuto speciale e quelle a Statuto ordinario. Lo scenario è quello di un sistema sanitario eterogeneo nella performance economico-finanziaria, cosi come nelle scelte di allocazione delle risorse, ma in continua e progressiva trasformazione. Tanto più che il panorama non sembra mostrare specifici percorsi di convergenza. È la situazione che emerge dalla quinta edizione del Rapporto Osservasalute (2007), un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane, presentato lo scorso 26 febbraio al Policlinico Gemelli. II Rapporto è pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma e coordinato da Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, e frutto del lavoro di 287 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere ed Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute). L'assetto istituzionale e organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale, a sua volta, si presenta sempre più articolato ed eterogeneo tra Regione e Regione. Seppure in parte ciò sia il risultato di diverse esigenze regionali/territoriali, questa situazione in realtà indica una progressiva perdita di quell'unitarietà di approccio che ha rappresentato uno dei fondamenti essenziali nella costituzione del Ssn. Ma le differenze si manifestano anche sui risultati che si riflettono sui disavanzi prodotti dalla gestione regionale. Il Servizio sanitario nazionale mostra ancora un disavanzo strutturale in senso complessivo. II disavanzo sanitario pubblico è infatti di 43euro per persona (ovvero quasi 2,5 miliardi di curo in aggregato!). I disavanzi tra il 2003 e il 2006 si sono incrementati anche se il tasso di crescita rallenta. Questi disavanzi però non sono equamente distribuiti. Regioni del Sud, come la Calabria sono in avanzo, ma confrontando il dato con la spesa pro-capite questo avanzo, come accade per la Basilicata e in parte per le Marche, sembrerebbe testimoniare una "sottospesa". Alcune Regioni in difficoltà si sono rimboccate le maniche, producendo buoni risultati in termini di rientro da situazioni spesso disastrose. Tra queste spiccano la Provincia Autonoma di Balzano e la Regione Molise. Non possiamo dire la stessa cosa per Lazio e Sicilia dove gli incrementi del disavanzo tra il 2003 e il 2006 sono rispettivamente di 159 e 741 euro. L'analisi mette in evidenza che lo squilibrio macroeconomico dipende chiaramente da squilibri "strutturali" ancora presenti sia nelle Asl che nelle Ao. Anche se la perdita media delle Ao è inferiore rispetto a quella delle Asl questa situazione di squilibrio, a livello aggregato, continua a persistere negli anni presi in considerazione (20012005). Solo nelle Regioni a Statuto speciale (tutte tranne la Sardegna) il dato medio è stato positivo nel 2005 e in alcuni anni precedenti. Solo la Lombardia, tra le Regioni a Statuto ordinario, mostra una situazione di pareggio sia per le Asl che per le Ao. Nel Lazio nel 2005 !a perdita delle Asl è stata in media di oltre 160 milioni di euro, il risultato peggiore a livello nazionale. «Questi dati dimostrano ancora una volta la presenza di differenze estremamente marcate tra Regioni Italiane» ha commentato Americo Cicchetti, ordinario di Organizzazione aziendale alla Facoltà di Economia dell'Università Cattolica. Almeno sotto il profilo della performance economica, misurata con il parametro del disavanzo (avanzo) non sembra più esistere un gradiente Nord-Sud marcato. La differenza si avverte tra le Regioni che negli anni hanno accumulato competenze tecniche per il governo del sistema unitamente a lungimiranza politi ca (vedi Emilia Romagna e Lombardia), quelle che invece pur partendo tardi si sono rimboccate le maniche, portando avanti coraggiosi piani di riequilibrio strutturale del sistema (come al Sud la Regione Puglia) e quelle che invece non hanno mai affrontato seriamente le questioni essenziali del controllo della domanda e della ristrutturazione del sistema d'offerta. La Regione Lazio e la Regione Sicilia sono un esempio dell'incapacità di avviare politiche di riequilibrio strutturale. Nel Lazio l'azione è stata tardiva e da quanto appare è stata caratterizzata da un deficit di analisi dei fenomeni (soprattutto quelli economici) e dall'incapacità di distinguere - coraggiosamente e senza pregiudizi ideologici - la componenti 'sane' de! sistema (pubbliche o private che siano) da quelle palesemente inefficienti e inefficaci». Assistenza territoriale «Anche in questo ambito esistono forti disparità tra Regioni» ha dichiarato Gianfranco Damiani, docente dell'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica <,cosicché la visione della media nazionale effettivamente presenta dei limiti interpretativi. Le maggiori differenze si notano tra le Regioni de( Centro Nord e quelle del Sud. Tuttavia non è sempre possibile evidenziare un gradiente e spesso il fenomeno oggetto d'analisi ha una distribuzione a macchia di leopardo, o con realtà, anche, locali che possono spiccare indipendentemente dalla localizzazione regionale. Ciò è probabilmente attribuibile a una diversa velocità di sviluppo e modifica dei servizi sanitari territoriali in una logica di integrazione ospedale territorio. È altresi importante segnalare un miglioramento sul fronte dell'assistenza territoriale: un trend in crescita a livello nazionale dei numero dei pazienti trattati in Adi, nonostante comunque permangano notevoli disomogeneità». ASSISTENZA FARMACEUTICA Anche sul fronte dell'assistenza farmaceutica in Italia si registra un'ampia variabilità di utilizzo e consumo tra le Regioni italiane, fermo restando però che "il Sistema Sanitario Nazionale attraverso l'assistenza farmaceutica territoriale, ma non solo, assicura a tutti i cittadini italiani la copertura farmacologica completa e gratuita delle patologie rilevanti, garantendo al tempo stesso l'erogazione di farmaci innovativi e di farmaci orfani per la cura di patologie rare nonché medicinali per uso compassionevole", ha sottolineato la dr.ssa Simona Montilla dell'Ufficio Centro Studi Agenzia Italiana dei Farmaco (Aifa), che ha curato questa parte dei Rapporto. Da Osservasalute 2007 emerge che in Italia nel 2006 il consumo totale di farmaci rimborsati dal Ssn è stato di 857 dosi definite giornaliere (DDD) ogni 1.000 abitanti al giorno, con un aumento dei 6,2°I° rispetto al 2005 e dei 27,2% rispetto al 2002. Similmente agli anni precedenti, il Lazio e le Regioni meridionali, in particolare Sicilia, Calabria e Campania, confermano consumi maggiori rispetto alla media nazionale. Anche nel 2006 i consumi farmaceutici più elevati si registrano nel lazio. Le Province Autonome di Trento e Bolzano mostrano i consumi più bassi, seguite da Piemonte e Lombardia. La spesa farmaceutica territoriale pro capite Ssn nel 2006 è stata di 228,80 euro con un aumento dei 9,0°k rispetto al 2001 ed una riduzione dei 1,2% rispetto al 2005. II Lazio e le regioni meridionali, in particolare Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, tendono ad avere una spesa pro capite nettamente superiore al valore medio nazionale. Sicilia e Lazio sono state le regioni con la spesa più elevata. Le Province Autonome di Bolzano e Trento, la Toscana, la Valle d'Aosta e l'Emilia Romagna hanno presentato la spesa più bassa. Però, ha sottolineato Montilla, questi incrementi di consumi e spesa si accompagnano a un aumento anche dei consumo e della spesa di farmaci a brevetto scaduto che offrono il vantaggio di erogare terapie consolidate a prezzi competitivi, rendendo disponibili risorse utilizzabili per l'accesso dei cittadini a terapie innovative. In Italia, infatti, nel 2006 il consumo per farmaci a brevetto scaduto è aumentato dal 14% al 25,3% rispetto al 2002 e analogamente la spesa è passata dal 7% al 13,7W°: Toscana, Lombardia e Piemonte presentano nel 2006 i valori più elevati in termini di percentuale di utilizzo sul totale delle DDD prescritte, pari al 28,2°I°, 27,4% e 27,2°I°. «Quanto alla variabilità regionale in termini di consumo e di spesa pubblica» ha sottolineato Montilla "si tratta della risultante di fenomeni legati all'appropriatezza della prescrizione elo all'efficienza nella gestione delle risorse disponibili da parte delle Regioni stesse, restando in ogni caso garantito per ciascun cittadina il diritto alla salute e all'erogazione gratuita di farmaci eleggibili per la rimborsabilità, senza distinzioni legate al territario». ASSISTENZA OSPEDALIERA Passando ad analizzare l'assistenza ospedaliera emerge invece un quadro italiano, seppur con dei distinguo, più unitario: i tassi di ospedalizzazione complessivi tendenzialmente sono in lieve diminuzione, questo sia con la diminuzione dei ricoveri in regime ordinario che con un lieve aumento di quelli in regime day hospital. Nel 2005 il tasso di ospedalizzazione standardizzato a livello nazionale è 141 per 1.000 abitanti in modalità ordinaria e 66,78 per 1.000 in day hospitai. L'analisi dei valori temporali conferma nel 2005 una riduzione dei ricovero in regime ordinario di -2,6q° rispetto al 2004 e di -3,8 % rispetto al 2003. L'analisi delle distribuzioni regionali mostra che, nel 2005, la riduzione dell'ospedalizzazione in regime ordinario si manifesta in tutte le Regioni. In particolare, i tassi standardizzati risultano maggiori in Abruzzo (192,32 per 1.000), Molise (175,39), Puglia (167,82) e Calabria (163,22), mentre i valori più contenuti appartengono a Toscana (109,46 per 1.000), Piemonte (110,68), Friuli-Venezia Giulia (115,51) e Umbria (120,11). II valore nazionale dei tasso standardizzato di ricoveri ordinari si attesta a 141 ricoveri per 1.000 abitanti. Per contro, si rileva un incremento dell'ospedalizzazione in regime diurno minore rispetto a quello avvenuto dal 2003 al 2004, con variazioni percentuali pari a +1,5°I° tra 2005 e 2004 e +6,8 °/° tra il 2004 e il 2003. Per questo regime di ricovero non è evidenziabile un particolare gradiente geografico. I tassi oscillano da 37,29 per 1.000 abitanti (Friuli-Venezia Giulia) fino a 107,17 (Sicilia). Queste dinamiche, che presumibilmente continueranno a essere osservabili nei prossimi anni anche per effetto delle azioni conseguenti ai piani di rientro, stanno a significare che, soprattutto negli ultimi due anni, è iniziato un progressivo trasferimento di alcune prestazioni a livello di assistenza territoriale. Tale tendenza è confermata anche dall'analisi delle dimissioni per tipologia di attività che segna la diminuzione dei tassi per acuti e un aumento dei tassi dei ricoveri in riabilitazione, mentre è stazionaria l'attività di lungodegenza. Restano però ancora molto diversificati a livello regionale e piuttosto alti i tassi di ricovero nelle fasce di età "estreme" ( < 1 anno e > 75 anni), segno di difficoltà nella progettazione delle reti ospedaliere e dei servizi territoriali. Si evidenziano cambiamenti nella degenza media complessiva: la degenza media standardizzata per case mix varia tra il minimo di 6,1 giorni di Umbria e Sicilia e il massimo di 7,8 del Lazio. la distribuzione dei valori regionali evidenzia un gradiente Nord-Sud, con la tendenza per le Regioni del Nord alla diminuzione, rispetto alla degenza media, dei valori assunti dalla degenza media standardizzata per case mix, indicativi di una maggiore efficienza operativa a parità di casistica trattata; nelle Regioni del Sud, invece, incluso il Lazio, si osserva una tendenza all'aumento della degenza media standardizzata per case mix, che mette in evidenza una minore efficienza operativa, in termini di consumo di giornate di degenza, per il trattarnento e la cura di una casistica con la stessa composizione per Drg (Diagnosis Related group) di quella nazionale. Mentre le giornate di Degenze Medie Preoperatorie (Dmpo) per le patologie più frequenti dimostrano, sebbene tra 2002 e 2005 sia evidente una progressiva, seppure lieve una riduzione in quasi tutte le Regioni, ci sono ancora preoccupanti differenze tra Regioni (soprattutto tra Nord e Sud Italia); inoltre la Dmpo media nazionale registra una riduzione di entità assolutamente modesta in rapporto ai potenziali margini di miglioramento, da 2,13 giorni nel 2002 a 2,04 nel 2005. Meglio invece sul fronte dei ricoveri in degenza ordinaria di alcuni Drg, ricoveri definiti `a rischio di inappropriatezza": il confronto dei dati 2004- 2005 dimostra che tali ricoveri continuano a diminuire in coerenza con le indicazioni poste dal Dpcm 29/1112001, seppure con risultati non uniformi in tutto il Paese. Ma come se la cavano gli italiani tra queste differenze regionali? Andando a osservare la popolazione, emerge innanzitutto che la sua crescita si è ridotta rispetto al triennio 2002-2004 (quando segnava un +8,5 per mille per anno, soprattutto per gli effetti sia dei recuperi postcensuari, sia delle iscrizioni in anagrafe degli immigrati regolarizzati a seguito della legge "Bossi-Fini"). Oggi il saldo medio annuo totale è di +5,7 per mille residenti. Tra le Regioni, però, solo il Molise si è aggiunto alla Basilicata e alla Calabria con una popolazione in calo numerico. II saldo naturale medio del biennio 2005-2006 si è accresciuto rispetto al triennio precedente, ma le Regioni hanno mantenuto il segno positivo o negativo che già avevano. A livello nazionale, dopo il valore positivo segnato nel 2004, il saldo naturale è tornato negativo nel 2005 e poi debolmente positivo nel 2006. L'aumento del saldo rispetto al triennio precedente è dovuto a un certo aumento nel numero medio di nascite (+14.000 circa o +3°l°), mentre il numero medio dei decessi è rimasto praticamente invariato (+2.000); la ripresa della natalità non ha trovato ulteriori rafforzamenti nel biennio 20052006 rispetto a quanto già sottolineato nel triennio precedente. Dalla successiva analisi per cittadinanza emergerà che è proseguita la piccola ripresa della fecondità delle donne italiane, mentre si è un po' ridotta la difterenza di fecondità tra straniere e italiane, fermo restando il contributo forte delle prime nelle Regioni del Nord-Centro; il numero annuo di morti ha continuato a oscillare intorno a 560 mila, ma la mortalità tra i due periodi si è ridotta, dopo il "picco" registrato nel 2003; i processi di convergenza tra le Regioni rispetto alle componenti naturali della dinamica demografica (natalità e mortalità) sono proseguiti, soprattutto con un recupero della fecondità nelle Regioni dove era e rimane più bassa e una riduzione in quelle dove è più alta. Gli effetti di queste dinamiche sulla struttura della popolazione non ne hanno moditicato la tendenza all'invecchiamento, misurato ormai, a livello nazionale, dalla presenza di una persona al di sopra dei sessantacinque anni ogni cinque residenti (con punte regionali di una ogni quattro), e di poco meno di una al di sopra dei settantacinque anni ogni dieci (con punte regionali di una ogni otto). Andando a vedere i singoli fenomeni più da vicino emerge che la geografia della fecondità è cambiata nel Paese, e cambiamenti importanti sono avvenuti anche nel breve intervallo tra i due periodi a confronta (2003 vs 2006), peraltro parzialmente sovrapposti. La fecondità ha guadagnato più di 2 punti per mille in Emilia-Romagna, in Toscana e nel Lazio e 1,9 in Lombardia; nel contempo, in quasi tutte le Regioni meridionali il livello della fecondità si è ridotto tra 0,7 e 1,4 punti per 1.000, e anche le Province Autonome del Trentino-Alto Adige hanno visto ridursi la loro fecondità. In altri termini, è proseguito il processo di convergenza della fecondità regionale verso il valore medio nazionale: il coefficiente di variazione si è infatti ridotto, tra i due periodi, da 0,34 a 0,27. Riguardo la fecondità risulta interessante osservare l'inversione di tendenza che vedeva livelli più elevati al Sud e più bassi al Nord, ora invertiti. Questo è parzialmente spiegato dalle nascite straniere che numericamente sono aumentate ovunque tra il 1999 e il 2005 ma in proporzione sono aumentate solo al Nord. Si deve tenere conto comunque anche del recupero della posticipazione della maternità (evidente dall'età media al parto più alta al Nord che al Sud) e di altri fattori economici e sociali che differenziano ancora in maniera notevole le diverse ripartizioni. Speranza di vita Osservasalute 2007 conferma quanto osservato nel precedente Rapporto: nel 2003 si è verificato un vero e proprio rallentamento della speranza di vita. Inoltre nel 2006 alla nascita gli uomini italiani possono aspettarsi di vivere mediamente 78,3 anni; le donne 83,9 anni. Sia per gli uomini (con 79,2 anni) che per le donne (84,8), le Marche si confermano la Regione con la speranza di vita più elevata, quella più svantaggiata invece è la Campania, 76,9 anni per lui, 82,7 per lei. MORTALITÀ Anche per quanto riguarda la mortalità, i dati definitivi degli anni 2003 e 2004 confermano l'andamento generale dei dati provvisori della precedente edizione: si osserva una consistente diminuzione della mortalità nel 2004 come conseguenza dell'anticipazione dei decessi verificatasi nel 2003. Nel 2004 i differenziali territoriali si restringono ulteriormente e il valore nazionale subisce una diminuzione del 8,1% per gli uomini e del 10,2°/° per le donne (il tasso è pari a 93,26 per 10.000 uomini e 54,22 per 10.000 donne). Inoltre nel 2004 è la Campania ad avere in assoluto i livelli di mortalità più alti (102,25 per 10.000 uomini; 62,62 per 10.000 donne), avendo negli ultimi due anni peggiorato la propria posizione relativa anche tra gli uomini, superando la Valle d'Aosta che per questi deteneva il primato negativo. Le Marche ritorna a essere invece la Regione che presenta in generale i tassi di mortalità più bassi del Paese (uomini e donne presentano tassi rispettivamente pari a 84,80 e 48,32 per 10.000), seguono Calabria e Puglia per gli uomini e Veneto, Umbria e Trentino- Alto Adige per le donne. STILI DI VITA Le abitudini degli italiani non sono ancora lodevoli sul fronte dei comportamenti che possono aiutarli a prevenire i "big killer" dei nostri tempi, malattie cardiovascolari e tumori, anche se si registrano delle tendenze in miglioramento. Sul fronte del fumo, sembra crescere la consapevolezza che questo vizio nuoce alla salute; pur con differenze regionali si assiste infatti dal 2003 (Rapporto Osservasalute 2006) al 2005 a una riduzione del 3% dei fumatori, anche se i valori riguardanti i non fumatori e gli ex-fumatori sono rimasti pressoché invariati. La percentuale degli ex-fumatori risulta globalmente più elevata al Nord con valori superiori al 22°/° rispetto alle Regioni del Sud (Puglia 17,3% e Campania 17,6%); a eccezione della Sardegna in cui si osserva il valore (23,4%) più elevato tra le Regioni del Sud. L'abitudine al fumo resta più diffusa fra gli uomini (28,3%) rispetto alle donne (16,2%) e con un maggior interessamento delle fasce di età comprese fra i 20 e i 54 anni, mentre i dati riguardanti i non fumatori mostrano una netta prevalenza tra le donne (66,4) rispetto agli uomini (39%). COPERTURA VACCINALE Le coperture per Poliomielite, anti-Difterite e Tetano (DC, o Difterite Tetano e Pertosse (Dtp) - Dt-Dtp - ed epatite B (Hbv) sono uniformemente distribuite su tutto il territorio italiano, con una media nazionale superiore al 95%, che si allinea ai dati raccolti negli anni precedenti (Rapporto Osservasalute 2006); ci sono, però, regioni i cui valori sono ancora al di sotto degli obiettivi previsti (Provincia Autonoma di Bolzano, Calabria, Campania e Sicilia). Per quanto riguarda la vaccinazione morbillo- parotite- rosolia (Mpr) i dati non sono ancora ottimali (media nazionale 87,3%) e in confronto ai dati del 2003 si osserva una leggera riduzione della copertura (Rapporto Osservasalute 2006); nessuna regione ha raggiunto il 95°l°, obiettivo indicato nel Piano Nazionale per l'eliminazione del Morbillo e della Rosolia Congenita. Per quanto concerne I'Hib, negli ultimi anni si è osservato un aumento progressivo della copertura (anche se il valore risulta ancora subottimale, con una media nazionale del 94,7%), probabilmente legato, come già osservato per la Pertosse, all'effetto trascinamento che si è verificato con l'utilizzo di preparati vaccinali combinati con gli altri previsti nel primo anno di vita. Tumori, sud si avvicina a nord ma si riduce e la mortalità Come già evidenziato nei precedenti Rapporti, da tali tabelle emerge che il rischio oncologico complessivo del Sud, storicamente più basso, si sta avvicinando a quello del Nord. Esistono ancora delle differenze nei tassi d'incidenza tra regioni settentrionali e meridionali, ma sono sensibilmente ridotte rispetto al passato. Per quanto riguarda gli uomini si nota nell'ultimo decennio una riduzione di incidenza nel Nord (la diminuzione maggiore si riscontra in Veneto e Lombardia), contrastato da un aumento in alcune regioni del Sud (principalmente Basilicata e Campania). I tassi di incidenza nelle donne, invece, sono stimati in aumento in tutte le regioni, con una crescita più accentuata in alcune regioni del Sud (Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna). I trend temporali osservati negli uomini sono in larga parte riconducibili alla riduzione di incidenza del tumore del polmone, accompagnata da una parallela riduzione della prevalenza di fumatori nella popolazione maschile dagli anni '70 in poi. L'analisi per età alla diagnosi (Rapporto Osserva salute 2006) mostra come i tumori siano una patologia prevalentemente della popolazione anziana; i dati di mortalità per tutti i tumori combinati sono in costante riduzione negli ultimi anni sia per gli uomini che per le donne nelle. regioni del Centro-Nord, mentre sono in lieve calo nel Sud. Si stima che l'incremento di prevalenza nel decennio dal 1995 al 2005 sia dovuto per il 27°I° all'invecchiamento della popolazione, per il 43% alle dinamiche del~ l'incidenza e per il 30°/° all'incremento della sopravvivenza. I casi prevalenti sono quasi quadruplicati in 30 anni passando da circa 470 mila nel 1977 a circa 1,8 milioni nel 2007: un grande numero di pazienti che, sia pure con bisogni diversi in funzione della progressione della malattia, contribuisce all'aumento della domanda sanitaria e per i quali sono necessari specifici programmi di assistenza oncologica Grazie al sostegno normativo della L. 138/2004 e sotto l'impulso del Centro di Controllo delle Malattie e dell'Osservatorio Nazionale Screening la diffusione degli screening oncologici in Italia va aumentando. Dai dati disponibili si rileva, però, la persistenza di una diffusione non uniforme con evidenti differenze tra il Nord ed il Sud, peraltro già evidenziate in precedenza. Trequarti delle donne italiane di 50-69 anni risiedono in zone in cui è attivo lo screening mammografico, tuttavia al Centro-Nord si supera il 90%, mentre al Sud ci si attesta intorno al 40%. Rapporto Osservasalute 2007. "Atlante" della salute nelle Regioni italiane LA MIGLIORE PERFORMANCE Piemonte; Regione comigliore assistenza ospedaliera Fiore all'occhiello della Regione Piemonte l'assistenza ospedaliera e il filtro territoriale. Infatti il Piemonte si distingue nettamente in positivo rispetto al resto d'Italia: presenta un basso tasso standardizzato di dimissioni ospedaliere in regime ordinario -Anno 2005 pari a 110,68 per 1.000 (quasi a pari merito con la prima classificata Toscana), contro una media italiana di 141,00. Anche il tasso standardizzato di dimissioni ospedaliere per tutti i Drg medici a rischio di inappropriatezza è inferiore alla media italiana. L'aspettativa di vita alla nascita non è invece una caratteristica che vede il Piemonte tra le Regioni migliori, essendo per i maschi pari a 77,9 anni, per le donne a 83,6 anni. Relativamente agli stili di vita in Piemonte si registra nel 2005 un numero discretamente basso di fumatori, sono il 20,9°1° della popolazione regionale over-14 contro una media nazionale del 22%; il 53,5% della popolazione è costituito da non fumatori, più della media nazionale che si assesta sul 53,2. Sul fronte del "girovita" i piemontesi si difendono bene, essendo in Italia tra quelli con meno chili di troppo: infatti, la percentuale di individui in soprappeso è pari a 31,4, una delle più basse del paese. Molto inferiore alla media italiana anche la quota di individui obesi, I'8,3°/° dei piemontesi, contro il valore medio italiano di 9,9%. Valle d'Aosta: là Regione con la più bassa percentuale di obesi Con solo il 6,6% di adulti obesi, a fronte del 9,9% nazionale e il 30,8% di adulti in soprappeso, contro una media nazionale di 34,7, la Valle d'Aosta si classifica come la regione "più in linea" d'Italia, con il valore minimo nazionale di obesi e, dopo la Lombardia, la regione con la minore percentuale di adulti in sovrappeso tra la popolazione residente. Registra una popolazione in costante aumento, sia per effetto dell'aumentata sopravvivenza, sia per l'inclusione di popolazione straniera immigrata: il saldo medio annuo nel biennio 2005-2006 è stato infatti di +7,8 persone per 1000 residenti e nel 2006 l'indice di fecondità della regione è superiore a quello medio nazionale con 40,3 nati vivi per 1.000 donne residenti contro 39,5 della media nazionale. Benissimo anche per la bassa percentualedi fumatori presente in regione: il 19,9°/° della popolazione over14 contro una media nazionale del 22,0°I° e ben il 55,9°1° della popolazione è costituita da non fumatori (contro il 53,2 della media nazionale) facendo registrare il miglior valore dell'Italia centro settentrionale. Lombardia: la Regione con la minore percentuale di individui in sovrappeso Con solo il 29,8% di adulti in soprappeso, contro la media nazionale di 34,7, la Lombardia si classifica come la regione col minor numero di individui in soprappeso. Bassa anche la quota di individui obesi, l'8,5°/° dei lombardi, contro il valore medio italiano di 9,9%. Bene anche sul fronte della popolazione, che in Lombardia risulta in crescita: il saldo medio annuo nel biennio 2005-2006 è stato infatti di +8 persone per 1000 residenti per anno. Non a caso l'indice di fecondità della regione è a sua volta in crescita e tra i più elevati d'Italia: 40,8% nati vivi per 1.000 donne residenti nel 2006. Altro dato positivo per la Lombardia è l'aspettativa di vita alla nascita, per i maschi pari a 78,3 anni, per le donne a 84,2 anni. Per gli uomini la Lombardia è la regione che ha visto un maggior incremento della speranza di vita. Inoltre la Lombardia presenta una mortalità in progressiva riduzione: il tasso di mortalità oltre il primo anno di vita è pari a 94,58 per 10 mila abitanti nel 2004 tra i maschi, contro una media italiana di 93,26; 51,78 per 10 mila tra le donne, contro una media italiana di 54,22. E i "primati" lombardi non sono finiti: la Lombardia è l'unica tra le Regioni a statuto ordinario, ad avere una situazione di pareggio sia per le Asl che per le Ao. Per quanto riguarda l'indicatore spesa/Pii, la Lombardia registra il valore minimo in Italia (4,66%), contro il valore medio italiano è del 6,40% del 2004. Bolzano: prima in classifica per pratica di sport Con ben il 38,5% di abitanti che praticano sport i n modo continuativo e solo il 15,6% di loro che non ne pratica affat to (dati anno 2005), la Provincia Autonoma di Bolzano si classifica come la più sportiva d'Italia. Altro primato positivo spetta a Bolzano per l'assistenza ai disabili la cui presenza è la minore in Italia; infatti, il tasso standardizzato di persone con disabilità di 6 anni e più che vivono in famiglia (anni 2004-2005), è pari al 2,9% (4,8% valore medio italiano) di questi il 54,4°I° sono donne: ben il 30,9% delle famiglie con almeno una persona disabile a Bolzano è ricorso all'assistenza domiciliare sanita ria (l'insieme di interventi a carattere sanitario, infermieristico e riabilitativo offerti a domicilio a favore di persone temporaneamente o permanentemente non autosufficienti a causa di patologie croniche stabilizzate che non richiedono il ricovero in strutture ospedaliere) negli stessi anni, il valore più alto in Italia. Inoltre, la percentuale di famiglie con almeno una persona con disabilità che non ha potuto usufruire di questa assistenza, pur avendone bisogno, a Bolzano è la più bassa in assoluto, pari al 18,7%, contro una media nazionale del 32,8%. Trento: la minore crescita della spesa sanitaria pro capite nel periodo 2001a2006 Con un valore del 19,83% la Provincia Autonoma di Trento risulta in Italia quella con il minore aumento di spesa sanitaria pro capite nel periodo 2001-2006, grazie, da un lato, all'azione di indirizzo dell'Amministrazione Provinciale, tesa alla razionalizzazione della spesa ed alla riqualificazione dei servizi, dall'altro all'azione di governo clinico dell'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari che ha realizzato sul campo, pur a fronte di un ampliamento nell'offerta di servizi, le indicazioni strategiche. La disponibilità dei fondi per la sanità, per la provincia di Trento, risulta maggiore rispetto alla media nazionale, per cui il minor incremento della spesa va calibrato, nel raffronto con le altre regioni, sulla base dei valori di partenza. Inoltre Trento risulta avere al 2006 un discreto avanzo procapite pari a 56 euro. Trento, al 2006, vanta ancora un'aspettativa di vita alla nascita per le donne tra le più elevate in Italia pari a 84,7 anni. Inoltre, presenta una mortalità in riduzione: il tasso di mortalità oltre il primo anno di vita è pari a 93,08 per 10 mila abitanti nel 2004 tra i maschi, contro una media italiana di 93,26; 48,79 per 10 mila tra le donne, contro una media italiana di 54,22. Veneto: la Regione 3n c31i ci sono meno ricoveri ordinari con degenza di un solo giorno Con solo il 6,4% dei ricoveri il Veneto si classifica come regione col minor numero di ricoveri ordinari per Drg medici con degenza di un solo giorno, che rappresentano un importante aspetto dell'inappropriato uso dell'ospedale. Nella maggioranza dei casi i ricoveri che si concludono entro le 24 ore sono espressione, spesso, di imperfette valutazioni cliniche, di anomalie organizzative o di modelli assistenziali ancora troppo centrati sulla rete dei servizi ospedalieri piuttosto che su quella dei servizi territoriali alternativi al ricovero. II Veneto è tra le regioni più feconde, (40,7%° il suo indice di fecondità, ovvero 40,7 nati vivi per 1000 donne residenti nel 2006), e l'indice di fecondità della regione è in crescita rispetto al 2003. Un dato positivo per il Veneto è anche l'aspettativa di vita alla nascita, per i maschi pari a 78,6 anni, ed il Veneto è una delle regioni in cui tale dato è cresciuto di più negli ultimi cinque anni; per le donne a 84,7 anni. Inoltre, se andiamo ad osservare le malattie psichiatriche, _______________________________________________________ Il Sole24Ore 7 apr. ’08 I RICOVERI MIGLIORANO MA SONO ANCORA IN ECCESSO SDO 2005/ L'analisi dell'utilizzo delle corsie del Ssn mette in evidenza che non si è raggiunto lo standard indicato nel Patto per la salute Tranne alcune Regioni del Nord si superano sempre i 180 per mille abitanti Maxi degenze per la cataratta negli anziani Meno ricoveri e più specializzati, cresce il day hospital e si razionalizzano le degenze riducendo gli interventi "impropri" nei Drg a rischio. La qualità fa un salto in avanti nelle corsie del Ssn, anche se non si ferma il fenomeno della mobilità che dal Sud al Nord assume i caratteri di un vero esodo in cerca di cure migliori. Se l' ospedale va meglio nel 2005 secondo le ultime Schede di dimissione ospedaliera elaborate dal ministero della Salute (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 12/2005), ancora i nodi non sono del tutto sciolti: si può e si deve fare - è anche il commento del ministero - di più. Nel 2005 infatti si riduce il tasso di ospedalizzazione per mille abitanti rispetto agli anni precedenti, ma resta sempre su valori complessivi (tra ricoveri ordinari e day hospital) superiori ai 180 indicati dalla programmazione nazionale e nel Patto per la salute. Secondo le Sdo 2005 i tassi di ospedalizzazione per Regione di residenza, tipo di attività ospedaliera, regime di ricovero e sesso confermano la tendenza, ugualmente distribuita tra maschi e femmine, alla riduzione del ricovero ordinario nelle discipline per acuti (circa 4 per 1.000 in meno rispetto all'anno precedente) e all'aumento di quello in day hospital (1 per 1.000 in più). Il dato medio registrato a livello nazionale è, per il regime ordinario, di 137,76 per 1.000 abitanti e per il day hospital pari a 66,34 (nel complesso 204,10). Per le discipline di riabilitazione e lungodegenza l'incremento dei ricoveri è molto più contenuto ed equamente distribuito tra i sessi. Rispetto al valore medio nazionale si registrano valori maggiori a partire dal Lazio e proseguendo nelle Regioni meridionali, in particolare quelle sottoposte ai piani di rientro. In ricovero ordinario, infatti, tutto il Sud (tranne la Basilicata) si trova su valori dai 150 ricoveri per mille abitanti in su (147,66 nel Lazio, 134,18 in Basilicata, appunto), che raggiungono il massimo in Abruzzo con 190,82 ricoveri per mille abitanti. Sul versante day hospital, invece, il Sud registra comunque valori elevati in media più del Centro-Nord (Lazio sempre a parte), con il massimo in Sicilia dove si raggiungono i 104,06 ricoveri per mille abitanti. Le Sdo analizzano anche i tassi di ospedalizzazione tra i ricoveri effettuati nella Regione di residenza e fuori Regione (un diverso punto di vista della mobilità). E rilevano che sono in aumento i tassi di ospedalizzazione in ricovero diurno sia dentro che fuori la Regione di residenza, mentre diminuiscono quelli in regime ordinario. Secondo l'analisi del ministero però, occorre fare comunque attenzione nella valutazione dei tassi per il ricovero diurno per la differente modalità di registrazione degli accessi e della chiusura delle cartelle cliniche. La riduzione dei ricoveri ordinari nelle discipline per acuti e l'aumento dei ricoveri in day hospital si verificano, anche se in misura disuguale, in tutte le fasce d'età. Per quanto riguarda la popolazione anziana (65 anni e oltre) analizzando i tassi di ospedalizzazione per alcuni interventi chirurgici e/o procedure diagnosticoterapeutiche, particolarmente frequenti in questa fascia di popolazione si rileva che sono in diminuzione l'intervento per cataratta, valore nazionale 3.050 per 100.000 (3.263 nel 2004 e 3.405 nel 2003). In leggero aumento l'intervento di sostituzione dell'anca, 559 per 100.000 (553 nel 2004 e 547 nel 2003). Trend in diminuzione per l'intervento di bypass coronario, con un tasso medio nazionale di 131 per 100.000 (143 nel 2004 e 152 nel 2003) e ancora più significativo l'aumento degli interventi di angioplastica coronaria (338 per 100.000, 310 nel 2004 e 259 nel 2003). La variabilità geografica è evidente per tutti gli interventi considerati: in generale valori più elevati sono registrati nelle Regioni settentrionali per gli interventi di sostituzione dell'anca e angioplastica coronarica. In generale, per quello che riguarda la mobilità, la quota di casi trattati in istituti di cura diversi dalla Regione di residenza non si differenzia granché dall'anno precedente: nei reparti ospedalieri per acuti la percentuale è 7,3% (7,2% nel 2004) per il regime ordinario e 6,2% (6,1% nel 2004) per il day hospital. Relativamente all'attività di riabilitazione, la percentuale dei dimessi fuori Regione di residenza è 16,7% (16,6% nel 2004) per il ricovero ordinario e 9,7% (10,3% nel 2004) per quello diurno. Aumenta anche, sia pure se non di molto, l'assistenza ospedaliera erogata a favore di cittadini stranieri: per ricovero ordinario 373.610 i dimessi (353.431 nel 2004) e 134.630 per ricovero diurno (130.001 nel 2004). Per quanto riguarda infine la degenza media per acuti in regime ordinario, nulla da dichiarare: si è stabilizzata sul valore di 6,7 giorni a partire dal 2002, anche se è interessante notare, sottolinea il ministero, la diminuzione del numero di dimissioni in lungodegenza rispetto a un aumento delle giornate erogate, con il conseguente incremento della degenza media. P.D.B. _________________________________________________________________ Il Giornale 29 Mar. 08 NUOVA TECNICA LASER PER GUARIRE DALLA PRESBIOPIA INTERVENENDO SULLA CURVA CORNEALE Felicita Donalisio Nel nostro Paese, ventitré milioni di persone sono affette da disturbi visivi (miopia, ipermetropia, astigmatismo), e circa 100 mila sono quelle che, ogni anno, decidono di ricorrere ad un intervento laser per correggerli. Oggi, una tecnica nata e brevettata in Italia consente di dire addio agli occhiali anche ai presbiti, cioè a coloro che, dopo i 40 anni di età, cominciano ad avere qualche difficoltà nel mettere a fuoco immagini e oggetti da vicino (per esempio, nel leggere ogni giorno riviste, quotidiani e libri. L'importanza della lettura nella terza età si dilata notevolmente proprio in funzione del maggior tempo a disposizione quando si termina l'attività lavorativa. Avere difficoltà nella lettura incide quindi sulla qualità di vita. «La metodica messa a punto in Italia sta riscuotendo grandi consensi - spiega Roberto Pinelli, medico chirurgo e direttore scientifico dell'Istituto laser microchirurgia oculare - Ilmo di Brescia (www.ilmo.it), che l'ha messa a punto - sia per la sua validità e sicurezza, sia per la possibilità di pianificare una strategia chirurgica personalizzata alle diverse esigenze visive». La -PML o Presbyopic Multifocal LASIK - questo il nome della tecnica - ha una peculiarità che la distingue da tutti gli altri trattamenti laser: «Grazie a un particolare software, è in grado di modellare la curva corneale allo stesso modo in cui vengono disegnate le lenti multifocali, volte a garantire una buona visione simultaneamente; da lontano e da vicino», spiega lo specialista. «L'intervento, bilaterale, è proponibile sia a coloro che non hanno mai accusato problemi visivi prima dell'insorgenza della presbiopia (emmetropi) sia a chi, invece, portava già occhiali da miope, ipermetrope o astigmatico, e che, grazie a questa tecnica, ora riesce a risolvere entrambi i problemi in un'unica seduta: potrà, quindi, fare a meno degli occhiali o delle lenti a contatto, sia per la visione da lontano sia per quella da vicino. Una specie di "abito su misura", insomma, che si adegua perfettamente alle esigenze individuali della persona». La metodica è completamente indolore, previa l'applicazione di alcune gocce anestetiche, che permettono al paziente di tornare a casa subito dopo l'operazione. «Il post-operatorio è estremamente rapido: già il giorno seguente, è possibile ritornare alle normali attività quotidiane»; aggiunge il dottor Roberto Pinelli. Il lavoro scientifico eseguito dalla sua equipe è stato pubblicato di recente sulla rivista scientifica Journal of Refractive Surgery, mentre l'efficacia della tecnica è stata sperimentata da un centro considerato il top della chirurgia refrattiva: il Vissum di Alicante, un Istituto universitario spagnolo diretto dal dottor Jorge Aliò, presidente dell'American Academy of Ophthalmology. Il prossimo aprile, a Chicago, il brevetto messo a punto a Brescia all'Istituto Ilmo sarà presentato negli Stati Uniti. «La nuova tecnica di microchirurgia oculare con il laser, messa a punto a Brescia, consente anche ai presbiti di fare a meno degli occhiali e delle lenti a contatto», afferma il chirurgo Roberto Pinelli _________________________________________________________________ Libero 29 Mar. 08 TUMORE DEL TESTICOLO L'IMPORTANTE É L’AUTODIAGNOSI LUCA BERNARDO* NON Che cosa è cambiato negli ultimi anni nella cura delle patologie urologiche giovanili? La leva militare era un importante momento diagnostico per numerose malattie urologiche e non. Per citarne alcune, ricordiamo il varicocele,l'idrocele, l'ernia inguinale, la malformazione dei genitali. La funzione di quel periodo della vita dei ragazzi non è stata sostituita in modo efficace da momenti diagnostici alternativi (visite pediatriche, la medicina scolastica, le visite di idoneità per l'attività sportiva). Ciò è accaduto, riferisce il Professor Alberto Marconi, dell'Università dell'Insubria-Azienda Ospedaliera Macchi di Varese, per una serie di problematiche che limitano le possibilità diagnostiche degli operatori, non ultime le scarse conoscenze di alcuni tipi di patologie, l'imbarazzo nell'approcciare il paziente giovane, spesso ad opera del medico donna, il manifestarsi di alcune patologie in quella fase poco indagata che separa l'infanzia dall'età adulta. Quale fra queste malattie ha maggiore rilievo? Importanza massima ha il tumore del testicolo. Questo tipo di neoplasia ha alcune caratteristiche che rendono una visita periodica, ad opera di uno specialista, quanto mai auspicabile se non addirittura necessaria: è più frequente nel maschio giovane tra i 15 e i 35 anni, è relativamente rara ma in aumento, attestandosi su 3-6 casi annui per 100.000 maschi. Tuttavia, se diagnosticata precocemente e opportunamente trattata, giunge a guarigione e comunque, in tutti i casi, grazie anche a trattamenti terapeutici efficaci, permette sopravvivenze superiori al 90 per cento e la conservazione della fertilità. Come lo si riconosce? Il testicolo affetto mostra una massa dura e bernoccoluta, nella maggioranza dei casi assolutamente indolore, anzi privo della caratteristica sensibilità tipica del testicolo. È un testicolo pesante, quasi " anestetizzato". Quali sono le condizioni predisponenti? Prima fra tutte il fatto che il testicolo sia stato ritenuto (alto) alla nascita e sia sceso nello scroto in un secondo tempo, magari dopo un intervento chirurgico o una terapia ormonale, o che non sia mai sceso; testicoli atrofici o non palpabili; familiarità (parenti consanguinei con lo stesso problema); infertilità (impossibilità di avere figli); madre di età superiore ai 30 anni con problemi ormonali in gravidanza che abbiano indotto un basso peso nel nascituro; infezione da HIV. È previsto un controllo della popolazione a rischio? Vista la rarità relativa della malattia non sono previsti "screening" di massa, ma per una diagnosi precoce è opportuno palpare le parti. Ed è sulla palpabilità che deve concentrarsi la nostra attenzione, i giovani maschi devono ricorrere periodicamente all'autopalpazione come le donne per le mammelle. Gli esami da fare sono l'ecografia e il dosaggio dei markers tumorali. Poi si procede con la cura, che di necessità è chirurgica e consiste nella asportazione del testicolo stesso in modo radicale. Ancora secondo il professor Alberto Marconi, le neoplasie del testicolo sono considerate una urgenza urologica data la loro aggressività e, nel contempo, la loro curabilità. L'assenza di dolorabilità spesso induce a procrastinare una visita. La neoplasia stessa, ma ancor più le terapie successive, possono inoltre coinvolgere la fertilità. È ormai una prassi consolidata anche nel centro di Varese indirizzare precocemente il paziente presso una banca del seme per un prelievo dello stesso che potrà essere utilizzato in caso di successiva possibile infertilità permanente. Curiamo questa malattia in ogni suo aspetto da oltre trenta anni. La vasta esperienza che ci siamo fatti ci induce a non demordere mai, a curare e a ricurare, a intervenire e a reintervenire e nella maggioranza dei casi abbiamo salvato la vita al paziente, conclude Alberto Marconi. E proprio nel prossimo autunno a Varese si terrà un meeting di esperti da tutto il mondo per fare il punto su questa patologia che non bisogna sottovalutare. *Direttore Divisione Pediatria Ospedale Fatebene&atelli e Oftalmico Milano _________________________________________________________________ Il Tempo 30 Mar. 08 IL RUOLO E-HEALTH NEI PIANI DI SVILUPPO DELLASI Il secondo giorno della manifestazione Sat Expo 2008, che si sta svolgendo a Roma, è stato caratterizzato dai lavori del convegno: "La Telemedicina per la cooperazione tra i paesi del Mediterraneo: Progetti e Programmi". Interessante la presenza degli esponenti di quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo che hanno presentato le loro esperienze di Telemedicina. TELESAL, progetto voluto dal Ministero della Saluto e cofinanziato dall'Agenzia Spaziale Italiana è stato presentato da Alberto Canciani, Unità Applicativa Telecomunicazioni e Navigazioni dell'ASI che ha spiegato come: "L'ASI già da qualche tempo ha il preciso obiettivo di applicare le varie tecnologie satellitari, sviluppate nei suoi programmi spaziali, nello sviluppo di servizi di comunicazione a beneficio del cittadino". Il progetto TELESAL è nato nel 2006 e finirà nel 2009 e l'investimento complessivo per la sua realizzazione sarà di circa 15 milioni di euro. Ora a circa metà del suo percorso il lavoro fatto lascia presumere un bilancio certamente positivo perché comincia già da ora ad intravedersi il raggiungimento di uno dei suoi principali obiettivi: creare un abbattimento dei costi di esercizio del Servizio Sanitario Nazionale. II risparmio si può infatti presumere nelle sue due applicazioni principali: i servizi di emergenza in mobilità: supporto satellitare al118, telemedicina marittima ed aeronautica presidi sanitari mobili rilocabili in zone non servite dalle TLC terrestri e screening, e in quella dell'assistenza domiciliare do.ve è ormai chiaro che portare i servizi a casa del malato comporta un notevole risparmio. TELESAL, nel suo sviluppo sta impegnando oltre all'Asi e al Ministero della Salute, molte Regioni , Università, Istituti di Ricerca e per la prima volta un gruppo di piccole e medie imprese del settore, altamente qualificate. Questo sistema di telemedicina non nasce per dare all'utente un semplice servizio di lettura a distanza, attraverso il satellite, di un elettrocardiogramma o di una radiografia ma punta a diventare anello di congiunzione con le esperienze della biochimica e della biomedica per portare risposte sempre più specialistiche agli utenti. Importantissima in TELESAL è anche la cooperazione di Umberto Veronesi che in un software appositamente creato sintetizzerà trent'anni di esperienza nel settore oncologico permettendo così di poter leggere con un computer, magari in campagne di screening di prevenzione, una mammografia riuscendo così a identificare, senza fare alcuna diagnosi, perché queste possono farle solo i medici, se una macchia può essere una cosa preoccupante o no. Questo darà la possibilità di effettuare una prevenzione capillare risparmiando almeno un' alta percentuale di analisi con un'evidente decongestionamento delle strutture pubbliche a cui sarà inviato solo il numero di pazienti che devono essere controllati da un medico. "L'ASI per il progetto TELESAL, ha detto Canciani, ha speso fino ad oggi circa 15 milioni di euro, mentre altri 25 milioni di euro sono stati spesi nelle comunicazioni per la Telemedicina. Questo è solo l'inizio, ha sottolineato, perché si va avanti e per i prossimi anni è già stato previsto un investimento che raddoppia la cifra già impegnata". Canciani ha poi annunciato che su richiesta della Regione Sicilia l’Asi sta valutando di portare la Telemedicina di TELESAL nelle isole Eolie e successivamente in altri contesti con una base di tele-consulto capace di far dialogare tra loro un centro di eccellenza di Roma, l'IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) San Raffaele alla Pisana con l’IRCCS Centro Neurolesi "Bonino-Pulejo" a Messina, l’IRCCS Fondazione Maugeri a Pavia e i centri periferici sulle isole. Verrà così realizzato un network di tele- assistenza con la collaborazione di più figure professionali (Specialista, Medico di Medicina Generale, Medico di Guardia Medica, Infermiere Professionale, Personale Tecnico) che, attraverso un call centre, consentirà di distribuire prestazioni specialistiche, sia nel settore dell'emergenza/urgenza che in quello delle patologie croniche e disabilitanti. _________________________________________________________________ MF 1 Apr. 08 LE SPIE GENETICHE SALVA SENO Ricerca Uno studio internazionale analizza gli effetti delle mutazioni del Dna in 10 mila donne Nelle donne predisposte a sviluppare i carcinomi alla mammella e all ovaio il rischio è modulato dalla presenza di polimorfismi in altri geni di Elisa Martelli lcuni marcatori genetici sarebbero in grado di redire il maggior rischio di tumore al seno in donne che presentano già una predisposizione ereditaria a sviluppare un carcinoma alla mammella o all'ovaio. È quanto emerge da una ricerca internazionale pubblicata sull’American Journal of Human Genetics, coordinata dal Cancer Research Centre UK di Londra, che ha coinvolto 65 laboratori di ricerca e unità cliniche di 15 paesi diversi riuniti nel consorzio Cimba (Consortium of investigators of modifiers of Brca 1 /2). Lo studio ha coinvolto 10 mila donne che presentano una mutazione dei geni che costituiscono una delle principali determinanti della predisposizione ereditaria a sviluppare un carcinoma della mammella o dell'ovaio. «Si tratta di uno studio concettualmente molto importante che esprime l'indirizzo della ricerca genetica anche se va ricordato che solo il 5-7% dei tumori alla mammella sono ereditari», spiega Alberto Marassi, responsabile dell'Unità di senologia dell'Istituto San Raffaele di Milano. «Solo i due terzi di questa percentuale di tumori, inoltre, sono correlati a una mutazione del gene Brcai o Brca2», sottolinea Marassi. Ciò significa che allo stato attuale è possibile spiegare le cause dei tumori alla mammella solo nel 4% dei casi circa. «Le donne con un'alterazione genetica Brca 1 0 2 presentano un alto rischio di sviluppare un carcinoma alla mammella, con una percentuale che oscilla dal 50 al 70% contro dati normali che parlano di un 10% di probabilità che una donna sviluppi un tumore di questo tipo nell'arco di tutta la vita», precisa Marassi. «I dati scendono al 15-20% nel caso del tumore ovarico ma va considerata la difficoltà nella sua diagnosi e la sua incidenza del 2% nella popolazione normale», spiega Monica Barile, genetista medico della divisione di prevenzione genetica e oncologica dell'Istituto europeo di oncologia di Milano. Se non tutte le donne che presentano questa mutazione genetica sono destinate ad ammalarsi, significa che esistono dei fattori che influiscono nella modulazione del cancro. È quanto ha attestato lo studio internazionale Cimba, evidenziando un rischio di tumore alla mammella o all'ovaio più alto nelle donne che presentavano polimorfismi in altri marcatori già associati a un aumento del rischio di queste forme tumorali nella popolazione in generale, le varianti dei geni Fgfr2, Tnrc9 e Map3ki. «La determinazione di questi geni, Brca, viene generalmente effettuata solo nei casi di donne che presentano un'alta familiarità per questo tipo di tumore, almeno due casi di cancro alla mammella e uno all'ovaio in famiglia, oppure tre casi di tumore alla mammella prima dei 50 anni, o ancora due sorelle entrambe affette da tumori alla mammella o all'ovaio», spiega Marassi. Lo studio di altri geni nella popolazione di donne Brcal/2 positive mostra una correlazione con queste mutazioni genetiche: l'associazione dell'alterazione Brcal/2 con uno di questi tre geni fa infatti salire il rischio fino all'80%. Nel caso della combinazione più favorevole invece il rischio scende al 40%. «Esistono polimorfismi di geni che aggravano il rischio e altri che lo riducono. La grande potenzialità di questa ricerca, ancora in fase di sperimentazione, è un'eventuale futura applicazione dello studio dei polimorfismi di alcuni geni anche per i casi di tumore sporadici, di cui non è stata ancora individuata la causa», spiega Barile. Se lo studio è incentrato sulle donne, le mutazioni Brca possono essere presenti anche nell'uomo. «Un altro caso di familiarità del tumore alla mammella per una donna è costituito dall'avere un fratello affetto da questa forma tumorale, rischio che ha un valore doppio rispetto alla presenza del carcinoma in una donna», sottolinea Barile. Questo studio fornisce uno strumento più preciso per individuare il rischio di cancro in chi ha una predisposizione ereditaria, procedendo con programmi di sorveglianza. Un esame molto utile, specialmente per donne al di sotto dei 30 anni che presentano una familiarità tumorale, è lo screening con risonanza magnetica, meno invasivo della mammografia e più appropriato per il seno di ragazze giovani. La parola chiave resta quindi anticipazione diagnostica, mentre per quanto concerne invece la prevenzione con terapie endocrine nel casa di donne a rischio i dati a disposizione non sono ancora sufficienti, conclude Marassi. (riproduzione riservata) _________________________________________________________________ Libero 2 Apr. 08 TRAPIANTI FEGATO 120 SPECIALISTI RIUNITI A CORTINA CONVEGNO EUROPEO Dal trapianto di fegato in malati con tumori epatici a quello in pazienti che hanno contratto l’epatite C, una delle principali cause di sviluppo della cirrosi. Fino al trapianto di intestino, proposto ai bambini che per malattie congenite o acquisite nella prima infanzia, vanno incontro a perdita della funzione di assorbimento intestinale, con conseguente difetto di crescita e maggiore tendenza alle infezioni. Sono alcuni dei temi che saranno affrontati da domani a sabato a Cortina, presso il nuovo Centro Congressi Alexander Girardi, nell'ambito del convegno europeo della Società "European Liver and Intestine Transplant Association-ELITA", organizzato, per la prima volta in Italia, dal presidente della società, la dottoressa Patrizia Burra, della Gastroenterologia dell'Università di Padova. AL convegno parteciperanno 120 specialisti provenienti da tutta Europa. Non è un caso se il convegno si svolge in Italia II nostro, infatti, è uno tra i Paesi nel mondo in cui vi sono più donatori e quindi si fanno più trapianti d'organo. Il Centro Nazionale Trapianti coordina e monitorizza tutto ciò che ruota attorno all'universo trapianti attraverso tre agenzie (una per il Nord, una per il Sud e una per il Centro Italia e Piemonte) deputate al controllo e all'organizzazione delle donazioni d'organo. A loro volta le 3 agenzie inter-regionali controllano i centri trapianto regionali e locali. Nonostante una leggera diminuzione delle donazioni rispetto al 2006, sono sempre molti i trapianti eseguiti nel nostro Paese nel 2007: in totale 3.021. L'importanza dei donatori è molto importante soprattutto nei trapianti "salvavita" come quelli di fegato e cuore. I dati del 2007 raccolti in diversi centri di trapianto di fegato in Italia (23 in totale) confermano il rischio di morire in lista d'attesa, che va dal 7 al 15% a seconda dei centri. R. M. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 Apr. 08 L'IMPULSO DI RIGENERARE GLI ARTI DI ROBERTO VACCA Ingegnere, scrittore e divulgatore scientifico Ogni tanto descrivo eventi fantascientifici che poi si verificano davvero. Nel 1979 immaginai la diffusione di e-mail (e i russi l'usavano per eliminare il potere sovietico). Nel 1975 raccontai di un ricatto all'Opec: «Se non pagate somme enormi sveliamo che a oltre io km di profondità il petrolio è ovunque» (e pare che sia vero). Nel 1972 in un racconto (ottenibile su www.printandread. coni) Philip Quartara riusciva a modulare raggi X per fornire informazioni progettuali alle cellule superficiali del troncone ,di una zampa di topo, di cui aveva amputato la parte distale, e la zampa ricresceva identica a com'era prima. Avrebbe potuto far ricrescere gli arti amputati a esseri umani, ma associazioni professionali e comitati di bio-etica glielo impedivano. Così apriva un Istituto di Cosmesi scientifica. Con una sola applicazione garantiva ai calvi la ricrescita dei capelli e alle donne sprovviste, lo sviluppo istantaneo di seni floridi e sodi. Se si amputa la zampa di una salamandra anche più di una volta questa ricresce sempre esattamente come era. Anche le code tagliate di lucertole e alligatori ricrescono. I girini di rana hanno la stessa proprietà, ma la perdono da adulti. Perché gli esseri umani non possono fare lo stesso? Le cicatrici che chiudono le nostre ferigrano (come nell'uomo) sul posto, ma in conseguenza di segnali nervosi si produce una de-differenziazione delle cellule. Esse, cioè, regrediscono dalla forma specializzata che avevano raggiunto a uno stato primitivo, embrionico (simile a quello delle cellule staminali) e possono così moltiplicarsi e servire da progenitori a vari tipi di tessuto: muscolare, vascolare e osseo. Questa formazione, detta blastema o cappuccio epiteliale apicale, si sviluppa a ricostituire l'arto e le dita con cui termina: ossa, muscoli, vasi, tessuto connettivo e pelle. La funzione essenziale degli impulsi nervosi è stata scoperta notando che le ferite sulla pelle del fianco di salamandre normalmente rimarginano producendo cicatrici come nell'uomo: se, per le nostre amputazioni sono costituite da cellule epidermiche e da fibroblasti (cellule di tessuto connettivo scoperte nel 1968 da M. De Oliveira) che producono un eccesso di collageno, formano una rete non organizzata di materiale extracellulare e bloccano ogni possibile processo rigenerativo. Ora K. Muneoka ed M. Han di Tulane University e D.M. Gardiner dell'Università della Califorma a Irvine (si veda «Scientific American», aprile zoo8) hanno avuto un grasso finanziamento dalla Darpa (Defense advanced research projects agency) per studiare la possibilità di rigenerare arti umani. Nelle salamandre le cellule epidermiche coprono con un sottile strato la ferita di un'amputazione, dopo di che i fibroblasti mirò, viene deviato un nervo presso la ferita, si produce un blastema rudimentale anche se non riesce a produrre un nuovo arto sopranumerario. Se, infine, si impianta nella ferita un frammento di pelle di un arto dell'animale, inizia a crescere dal fianco un arto quasi normale. Sembra, quindi, che quest'ultimo impianto contenga e sia capace di trasmettere informazioni progettuali che governano la rigenerazione. Tali informazioni devono essere contenute nei tessuti lasciati da una amputazione in modo che la ricrescita "sappia" quali parti dell'arto sono rimaste e come debbano essere completate. La speranza di ottenere nei mammiferi (e nell'uomo) la stessa rigenerazione che avviene nelle salamandre è alimentata dall'osservazione che le ferite sulla pelle dei feti umani si rimarginano senza produrre cicatrici. Negli esseri umani, inoltre, si rigenerano almeno i polpastrelli delle dita, completi di impronte digitali, forma e sensibilità. Dunque i fibroblasti umani adulti conservano una certa memoria del sistema di coordinate spaziali necessario per definire la posizione delle singole parti nel progetto generale del corpo. Il prossimo traguardo sarà quello di rigenerare in un mammifero un dito completo: processo molto difficile perché implica la ricostituzione di giunture che sono le strutture scheletriche più complesse del corpo. Andranno studiati e chiariti molti meccanismi ancora sconosciuti, fra cui le funzioni di geni e quelle dei fattori di crescita dei fibroblasii. Secondo gli esperti i primi successi si potranno ottenere fra qualche decennio, dopo aver capito processi vitali di biologia molecolare e dei meccanismi informatici che li governano. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 7 apr. ’08 SCOPPIA L'INCUBO DI UNA TBC EXTREMELY RESISTANT STOP TB DAY/ La patologia a lungo trascurata dai ricercatori torna a farsi sentire più agguerrita che mai con forme incurabili anche con antibiotici di seconda linea La nuova variante descritta nel 2006 - Le indagini italiane coordinate dall'Irccs Maugeri di Tradate identificano i ceppi rinforzati GIOVANNI BATTISTA MIGLIORI *, E DANIELA MARIA CIRILLO ** Il rapporto globale sulle resistenze ai farmaci antitubercolari che l'Organizzazione mondiale della Sanità (Who) ha pubblicato pochi giorni fa getta un'ombra sinistra sulle prospettive di controllo della tubercolosi (Tbc) in alcune regioni del mondo. La Tbc è una malattia a trasmissione aerogena, si trasmette cioè con le goccioline generate dai colpi di tosse. Se il contatto è prolungato, si acquisisce la cosiddetta "infezione latente". Un certo numero di bacilli sono incapsulati nel polmone in uno stato dormiente. Il soggetto sta bene, non ha sintomi e non trasmette la malattia. Nel caso di una caduta delle difese immunitarie e/o di un nuovo contatto con inalazione di nuovi bacilli in quantità, l'infezione si trasforma in malattia. I bacilli, cioè, iniziano a replicarsi attaccando i polmoni e/o qualsiasi altro organo del corpo umano. Mentre questo succede in meno del 10% dei soggetti sani, quando l'individuo è infetto da Hiv o è affetto da altra condizione di grave deficit immunitario (a esempio grave malnutrizione associata a povertà e stress, terapie concomitanti con farmaci immunosoppressivi, malattie concomitanti come il diabete) la proporzione sale fino al 50 per cento. La diagnosi di tubercolosi polmonare attiva e infettiva si esegue, infatti, evidenziando con tecniche batteriologiche la presenza dei "bacilli della Tbc" in campioni di espettorato. Il principale strumento diagnostico, eseguito in tutto il mondo, semplice ed economico che ci permette di diagnosticare la malattia contagiosa è l'esame microscopico dell'espettorato. Il quadro radiologico conferma la diagnosi. L'isolamento dei bacilli in coltura è fondamentale per una diagnosi di certezza e per saggiare la loro sensibilità ai farmaci antitubercolari (diagnosi di Tbc resistente ai farmaci). Purtroppo i tempi di coltura dei micobatteri sono lunghi e i risultati sono disponibili dopo settimane o anche mesi. La diagnosi di infezione latente è invece molto più complessa e fino a pochi anni fa l'unico strumento diagnostico a disposizione era l'intradermoreazione di Mantoux, nota come "test tubercolinico". Questo è il più vecchio test diagnostico ancora utilizzato nella pratica clinica e si basa sulla capacità che hanno i linfociti T di un soggetto già esposto ai bacilli della Tbc di reagire localmente all'inoculo intradermico di poche unità di tubercolina. Questo test è molto poco specifico e non consente di differenziare soggetti infetti con infezione latente da soggetti vaccinati o che abbiano sviluppato la malattia e ne siano guariti. Da qualche anno sono disponibili test diagnostici più specifici, di nuova concezione, eseguibili "in vitro" sul sangue del paziente che permettono di distinguere i soggetti infetti dai bacilli della Tbc dai vaccinati o dai soggetti venuti a contatto con altri micobatteri che non causano la Tbc. Per affermare che questi nuovi test, per altro molto più costosi, sostituiranno completamente il test tubercolinico è necessario attendere il risultato di grossi studi policentrici che coinvolgono molti pazienti in tutto il mondo. Quando il paziente è affetto da Tbc dovuta a ceppo di Mycobacterium tuberculosis (il bacillo della Tbc) sensibile ai farmaci riusciamo a curare tutti i pazienti con una terapia di sei mesi con un cocktail di farmaci (4 farmaci per due mesi e 2 per 4 mesi). La terapia con questi farmaci di prima linea costa meno di 15 euro. Se per errore umano si generano resistenze diventa molto difficile se non impossibile curare questi pazienti, e il costo dei farmaci può crescere fino a 3 zeri. Andiamo con ordine. Di errore umano si tratta. Infatti, se un paziente sensibile ai farmaci viene curato per sei mesi guarisce sempre. Se invece interrompe la terapia, o la stessa viene esegue irregolarmente, dando tempo ai bacilli di riprendere al loro replicazione, si generano resistenze ai farmaci utilizzati. Ciò capita anche quando vengono prescritti farmaci di cattiva qualità, in dose sbagliata o in numero insufficiente. In buona sostanza i farmaci diventano inattivi. Ecco che allora bisogna utilizzare i farmaci di seconda linea, molto più costosi e tossici. La comparsa di multiresistenza (Mdr, dall'inglese MultiDrug-Resistance) riduce del 10-15% la probabilità di successo. Il ceppo Mdr è quello resistente ai due farmaci più efficaci, rifampicina e isoniazide. Nel 2006 è stata descritta una forma nuova e terribile di Tbc, chiamata Xdr, dall'Inglese eXtremely Drug Resistant. La X è stata utilizzata per enfatizzare questo aspetto di super-resistenza. Il ceppo è definito Xdr quando oltre che Mdr è resistente anche ai chinolonici (potenti antibiotici a largo spettro, di utilizzo comune anche per altre infezioni) e ai farmaci iniettabili di seconda linea (capreomicina, kanamicina e amikacina). Avendo perso le famiglie di antibiotici più importanti, questi casi sono quasi impossibili da curare. La prima epidemia di Tbc Xdr è stata descritta in Sud Africa, ove tutti i pazienti che erano Hiv positivi sono morti entro due settimane dalla diagnosi. La ricerca italiana ha fornito nell'ultimo anno alcuni contributi importanti per meglio conoscere questa nuova malattia. Il gruppo italiano coordinato dalla Fondazione Maugeri di Tradate (di cui fanno parte l'Ospedale S. Raffaele di Milano, lo Spallanzani di Roma, il Morelli di Sondalo e l'Istituto Villa Marelli di Milano) ha dimostrato per la prima volta che i pazienti Xdr muoiono quasi 6 volte di più di quelli Mdr, richiedendo ricoveri più lunghi e costosi (la terapia può costare fino a 150mila euro) e restano contagiosi per periodi di tempo molto più lunghi. Sono stati descritti per la prima volta al mondo in due donne italiane, morte prima dei 50 anni dopo lunghissime terapie e sofferenze, due ceppi di Mycobacterium tuberculosis resistente a tutti gli antibiotici conosciuti. Gli studi del gruppo italiano hanno anche dimostrato su un campione molto ampio di pazienti provenienti anche da Germania, Estonia e Russia, come la resistenza ai fluorochinolonici e agli iniettabili di seconda linea (capreomicina in particolare) predica in modo significativo morte o fallimento della terapia. I dati italiani hanno anche permesso di dimostrare che la definizione di Xdr, che i realtà è un po' complicata, definisce bene sia la gravità clinica sia la gravità in termini di Sanità pubblica. È opinione comune che la ricerca, sia di base sia clinica, abbia per troppi anni trascurato la tubercolosi e le altre malattie legate alla povertà e questo ha avuto come conseguenza l'assenza dello sviluppo di nuovi strumenti diagnostici rapidi e adattabili ai Paesi in cui la malattia è endemica e di nuovi farmaci attivi contro la malattia nelle sue forme resistenti. La Comunità europea tramite il 7 programma quadro ha parzialmente risposto a questa necessità di finanziamento ai programmi di ricerca sulle malattie legate alla povertà finanziando un progetto collaborativo, coordinato dall'Istituto scientifico San Raffaele e che coinvolge più di 25 partner in tutta Europa volto a migliorare le capacità diagnostiche e terapeutiche della Tbc-Mdr in Europa, con particolare attenzione ai Paesi dell'Europa dell'Est in cui i tassi sono allarmanti. È importante che i fondi per la ricerca aumentino e che questo permetta a nuovi giovani ricercatori di essere coinvolti nella sfida alla Tbc del millennio: nuovi diagnostici, nuovi farmaci e un vaccino efficace a un costo sostenibile per sistemi sanitari di tutti i Paesi. * Who Collaborating centre for Tb and Lung diseases, Fondazione S. Maugeri, Irccs, Tradate, Unità patogeni batterici emergenti, Who Supranational reference laboratory, Istituto scientifico S. Raffaele, Irccs, Milano Who Collaborating Centre for TB and Lung diseases, Fond. S. Maugeri, Irccs, Tradate, ** Unità Patogeni Batterici Emergenti, Who Supranational Reference Laboratory, Istituto Scientifico S. Raffaele, Irccs, Milano _______________________________________________________ Repubblica 4 Apr. ’08 STUDIO DELL'UNIVERSITÀ DEL NORTH DAKOTA: LA CAFFEINA CONTRO L'ALZHEIMER La dose quotidiana può ridurre gli effetti del colesterolo in eccesso Una tazzina di caffè al giorno aiuta perché protegge il cervello ROMA - Il caffè - in piccole dosi, sia chiaro - fa bene alla salute. Renderà nervosi ma da recenti studi è emerso che protegge il cervello dall'Alzheimer. E' sufficiente una tazzina al giorno per contrastare gli effetti deleteri di un colesterolo in eccesso, tutelando il sistema fisiologico di controllo degli scambi fra il sangue, l'encefalo, il liquor cerebrospinale e la barriera ematoencefalica, che finisce per perdere colpi quando la malattia neurodegenerativa inizia ad avanzare. La ricerca che ne parla è pubblicata sul Journal of Neuroinflammation. Vi si legge che il caffè nelle giuste dosi fa da scudo proteggendo il cervello dai danni che può causare un elevato tasso di colesterolo (e tra questi danni il peggiore è l'Alzheimer). I ricercatori della University of North Dakota School hanno somministrato una dose di tre milligrammi di caffeina al giorno a dei conigli, nutriti con una dieta ricca di grassi. Dopo dodici settimane i test di laboratorio hanno evidenziato come gli animali che avevano ingerito della caffeina mostravano una barriera ematoencefalica migliore rispetto ai conigli del gruppo di controllo. "La caffeina - spiega Jonathan Geiger, responsabile dello studio - sembra bloccare molti degli effetti dirompenti che il colesterolo ha sul sistema nervoso centrale. In altre parole, la caffeina riduce le perdite che i grassi in eccesso possono provocare nella barriera ematoencefalica". Funziona come raccordo tra le proteine che si legano alle cellule che compongono la barriera in questione, evitando in questo modo che molecole indesiderate raggiungano il sistema nervoso centrale. _______________________________________________________ Corriere della Sera 3 Apr. ’08 RESPIRAZIONE BOCCA A BOCCA FINE DI UN' ERA: È PERICOLOSA L' American Heart Association: i soccorritori non professionisti evitino la tecnica. C' è anche il rischio di infezioni MILANO - Prima chiamare il 118 (gli americani hanno il 911 per le emergenze mediche) poi praticare subito un massaggio al cuore. Ecco che cosa deve fare chiunque si trovi di fronte a una persona che ha avuto un arresto cardiaco, anche se non è medico e anche se non ha seguito corsi di rianimazione. Basta questa procedura, semplice e alla portata di tutti, per salvare una vita umana. Così, secondo le nuove raccomandazioni dell' American Heart Association, pubblicate sulla rivista Circulation, la respirazione bocca a bocca va in pensione. Addio anche alle scene da ER-Medici in prima linea o da tutte le serie mediche televisive (Chicago Hope e Rescue 911) dove, nell' affanno del soccorso, qualcuno tenta sempre di rianimare un individuo privo di sensi alternando tre o quattro compressioni sul petto e due o tre insufflazioni di aria nei suoi polmoni. Se i soccorritori sono medici, d' accordo, sanno fare il loro mestiere, ma se sono persone comuni non sempre fanno la cosa giusta. Le ultime ricerche hanno dimostrato che non si deve perdere tempo alternando respirazione- compressione del torace (che appunto non è una manovra facile da mettere in pratica a meno che non si sia allenati), ma procedere subito con circa 100 pressioni al minuto al centro della gabbia toracica, senza preoccuparsi di fare danni perché non ce ne sono. «E dal momento che molti casi di arresto cardiaco sono provocati da una fibrillazione ventricolare, cioè a una grave aritmia che non permette al cuore di pompare sangue - suggerisce Roberto Ferrari cardiologo all' università di Ferrara e Presidente dell' European society of cardiology - prima di cominciare il massaggio vale la pena di dare un pugno, sempre al centro del torace, per far riprendere ritmo al cuore. Il pugno funziona da "defibrillatore"». La rianimazione cardio-polmonare può raddoppiare le probabilità di sopravvivenza di una persona che ha avuto un arresto di cuore, ma soltanto un terzo circa dei pazienti che collassa viene soccorso da chi gli sta intorno. «Non possiamo dire - continua Ferrari - che la respirazione bocca a bocca non serva a niente: in mani esperte il massaggio serve per far pompare sangue al cuore e la ventilazione per ossigenare il sangue. Ma meglio solo il massaggio che l' astenersi da qualsiasi intervento». Tante volte i soccorritori vengono presi dall' emozione e ci mettono tempo prima di decidere come procedere, perdendo così minuti preziosi. Altre volte, per la respirazione bocca a bocca, interrompono il massaggio per più di dieci secondi, rendendolo così poco efficace. C' è poi il timore di infezioni dal momento che spesso si sta soccorrendo uno sconosciuto. Un ultimo avvertimento: queste procedure non si applicano a persone annegate, perché prima devono essere liberati dall' acqua i polmoni, e a coloro che sono svenuti in seguito ad abuso di sostanze stupefacenti. In tutti questi casi è bene attendere soccorsi. L' intervento *** La rivista americana Circulation scrive che, in caso di soccorso a persone prive di sensi, è meglio non perdere tempo a soffiare aria nei polmoni, ma procedere subito con 100 pressioni al minuto sul torace (sopra un intervento in spiaggia, foto Pavlovsky/Corbis) Bazzi Adriana _______________________________________________________ Corriere della Sera 31 Mar. ’08 I TEST ANTINFARTO? SONO COME L' OROSCOPO IL CONGRESSO L' ANALISI DELLA SALIVA PER PREVEDERE LA MALATTIA. A CHICAGO L' ALLARME DEI CARDIOLOGI: «DANNO FALSE RASSICURAZIONI» IL BOOM IN GRAN BRETAGNA IL KIT SI ACQUISTA NEI DRUGSTORE, IN ITALIA NEGLI AMBULATORI. E IL MERCATO AUMENTA DEL 30 PER CENTO ALL' ANNO Dubbi sull' efficacia dei nuovi test genetici. In Italia al via una sperimentazione su duemila persone in dieci centri DAL NOSTRO INVIATO CHICAGO - Dal sito web Genovation invitano a spedire un campione di saliva. E assicurano: entro pochi giorni saprai se il tuo cuore rischia l' infarto. Decine di farmacie virtuali propongono, insieme al Viagra, anche test casalinghi (da spedire direttamente a domicilio del committente, per assicurare una migliore privacy) capaci di individuare quei segnali genetici che minacciano la salute delle coronarie. Da quando l' analisi del Dna ha scoperto l' esistenza di almeno cento geni dell' infarto, è cominciata la corsa ai test per individuare la predisposizione alle malattie cardiache. E ci sono microchip capaci (dicono) di intercettare almeno un milione di variazioni dei geni che hanno a che fare, per esempio, con la pressione del sangue o il colesterolo, da sempre considerati pericolosi per le arterie. Finora questi test assomigliano più a una sfera di cristallo per oroscopi genetici che a metodi garantiti dal marchio dell' approvazione scientifica. Ma è un vero boom (e un business: il mercato aumenta del 30 per cento l' anno): in Gran Bretagna si possono acquistare nei drugstore, in Italia cominciano a circolare negli ambulatori specialistici. E da Chicago, dove sono riuniti almeno 30 mila cardiologi da tutto il mondo per il congresso annuale dell' American College of Cardiology, arriva un «warning», come dicono oltreoceano, un avvertimento. «Questi test - commenta Francesco Novelli, presidente della Società italiana di cardiologia - rischiano di dare false rassicurazioni o creare inutili ansie. Possono funzionare, ma devono essere meglio studiati e valutati». I ricercatori ci stanno provando e uno di questi test verrà sperimentato proprio in Italia su duemila persone in dieci centri e sarà guidata da Francesco Romeo, cardiologo all' Università Tor Vergata di Roma. «Il test - spiega Romeo che collabora con studiosi dell' Università americana dell' Arkansas - si basa sull' analisi di un gene che produce la proteina loxina. A sua volta questa proteina favorisce l' accumulo di colesterolo nelle arterie, predispone cioè all' aterosclerosi e quindi alle malattie cardiovascolari. Ci sono alterazioni di questo gene che sono "positive" cioè impediscono la formazione di placche, altre negative perché la favoriscono e quindi rappresentano un rischio cardiovascolare». La genetica è responsabile per il cinquanta per cento delle malattie cardiovascolari, il resto lo fa l' ambiente e cioè colesterolo (che dipende anche dalla dieta), fumo, stress, diabete e ipertensione. «Ma il cattivo funzionamento dei geni - continua Romeo - che posso individuare grazie ai test genetici, si può modificare proprio intervenendo sull' ambiente». In attesa di conferme scientifiche per i test genetici, altri nuovissimi esami, come l' ecografia a 3D, permettono di «vedere» se il cuore è in buona salute. Letteralmente «vedere» perché l' ecografia fotografa «a tutto tondo» la silhouette del cuore. «È una questione di geometria - spiega ancora Francesco Novelli - se il cuore è sferico tipo un pallone di calcio c' è da preoccuparsi, se invece è ovale come quello da rugby si può stare tranquilli perché con questa forma il cuore gode di buona salute». Chi lo ha avuto *** Bill Clinton *** Fabrizio Del Noce *** Luca Barbareschi *** Gianfranco Funari *** Jerry Lewis *** Gerard Depardieu *** Come funziona *** Il test predittivo dell' infarto analizza quei segnali genetici che minacciano la salute delle coronarie. Sono almeno 100 i geni dell' infarto *** I microchip *** Alcuni microchip sarebbero capaci di intercettare almeno un milione di varianti dei geni che hanno a che fare con pressione del sangue e colesterolo *** 20 *** MILA all' anno quelli che vengono curati con l' angioplastica *** 100 *** MILA gli infarti diagnosticati ogni anno in Italia. Il numero è in aumento *** 50 *** PER CENTO degli infarti riguarda persone fra i 55 e i 65 anni Bazzi Adriana