VIA ALL'AGENZIA CHE VALUTERÀ GLI ATENEI NEI FONDI ALLE UNIVERSITÀ POCO SPAZIO AL MERITO COME FAR VINCERE IL MERITO RICERCA, TROPPI FONDI A PIOGGIA SEI CANDIDATI IN CORSA PER IL RETTORATO MASTER AND BACK, TANTE SPERANZE E TROPPE DELUSIONI SASSARI: L’ATENEO PUNTA SULLE NANOTECNOLOGIE ECCO IL DOWNLOAD IN UN SECONDO L'AUMENTO DELLA REALTÀ` QUANDO IL VIRTUALE SI SPOSA CON IL REALE LA FILOSOFIA SALVERÀ L'EUROPA IL NUOVO EINSTEIN? È UN FISICO NAPOLETANO (RIENTRATO DAGLI USA) FARMACIA, LE FACOLTÀ ITALIANE GUARDANO ALL' ESTERO NUCLEARE, ATTENTI ALLE ILLUSIONI PARLI COL MONDO IN SEI "CLIC" ECCO QUANTO È PICCOLO IL WEB BABAGE: ECCO IL PRIMO COMPUTER ======================================================= CAGLIARI, RADIOTERAPIA D'AVANGUARDIA ENTRO IL 2008 LISTA D’ATTESA AZZERATA» LA LENTA AGONIA DEL PIANO SANITARIO MALATTIE MENTALI: UN TEST PIENO DI POLEMICHE QUANDO LA MEDICINA SUPERA LE DISTANZIE ALLARME DIABETE: IN SARDEGNA È EPIDEMIA ANESTESIA, DODICI ALLIEVI SUPERANO IL LORO MAESTRO CONCORSO ANESTESISTI: BOCCIATO AL POLICLINICO "PROFESSORE" DEL BROTZU PROMOSSI TUTTI I SUOI ALLIEVI SPECIALIZZANDI BROTZU: SIAMO INCAPACI, ISTRUITELI ALL'UNIVERSITÀ" LA GESTIONE DELLE SCORTE BASATA SUL CONSUMO REALE QUANDO LA CURA È "NASCOSTA" IL PAZIENTE SI MONITORA DA CASA L'IGIENE ORALE PUÒ EVITARE GRAVI CONSEGUENZE LOTTE INTESTINE NEL DNA RIVALUTATI I RADICALI LIBERI PREVENIRE PRIMA DI CURARE GRAZIE AI NUOVI IMPIANTI DENTALI RITORNA IL SORRISO IN POCHE ORE LA CANNABIS CONTRO LA SCLEROSI MULTIPLA . II CORPO SVELATO DAL NUCLEARE CONSAPEVOLI MA ANESTETIZZATI SI APRE L'ERA DEI RAGGI T ECCO I FARMACI SUPER-INTELLIGENTI I CINQUE CIBI CATTIVI CHE ORA FANNO BENE CRESCONO IN EUROPA I PAZIENTI CON ULCERE DIFFICILI ======================================================= ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 Apr. ‘08 VIA ALL'AGENZIA CHE VALUTERÀ GLI ATENEI Formazione: Attesa la proroga dell'attuale comitato 'e l'autorizzazione a usare i fondi - Prossima tappa la nomina dei «saggi» La Corte conti ha registrato il regolamento ma segnala diversi problemi applicativi Gianni Trovati L'ultima settimana di legislatura mette al sicuro l’Anvur, l'agenzia di valutazione del sistema universitario prevista dal col, legato fiscale alla Finanziaria 2007 che però non ha ancora visto la luce. L'agenzia è oggi ufficialmente istituita perché, come ha reso noto ieri il ministero, il regolamento è stato registrato dalla Corte dei conti (la registrazione risale in realtà al ai marzo scorso). Anche se la vita travagliata di questo regolamento, che nella sua prima versione era stato bocciato a settembre dal consiglio di Stato per «eccesso di dirigenti», non ha superato tutti i problemi. In particolare, sono due i rilievi principali che i magistrati contabili hanno mosso al nuovo impianto. L'esclusiva assoluta prevista per i componenti della nuova agenzia impone che i professori universitari che vi fanno parte siano messi fuori ruolo, ma il regime della docenza di ruolo è disciplinato dalla legge e non può essere modificato dal regolamento. E la fase transitoria, secondo la legge, deve mantenere in vita l'attuale Comitato di valutazione fino alla «piena operatività» dell'agenzia, e non fino alla definizione del regolamento operativo (quello che definisce le piante organiche) come previsto dal provvedimento appena registrato. Sulla fase transitoria, peraltro, pesa l'assenza di fondi in cui si dibatte da tempo il Comitato di valutazione (si veda al riguardo l'appello di Luigi Biggeri, presidente dell’Istat e del Cnvsu, sul Sole 24 Ore del 26 novembre scorso)> che finora ha curato le banche dati su tutto il mondo universitario (bilanci, iscrizioni, mobilità degli studenti, presenza delle strutture eccetera), ha definito i requisiti minimi per l'attivazione dell'offerta formativa e soprattutto ha costruito il modello per il finanziamento competitivo degli atenei. Per superare la paralisi il ministro ha assicurato nei giorni scorsi che sarà prorogato il comitato (scade il13 maggio) e saranno resi - disponibili i fondi per la sua attività. La garanzia ministeriale risale al 27 marzo scorso, ma finora non si è tradotta in atti concreti: Il passaggio di consegne al nuovo organismo, inoltre, si preannuncia tutt'altro che breve. Registrato il regolamento istitutivo occorre ora nominare il se arch committee, cioè i "saggi" che dovranno raccogliere le segnalazioni sui candidati, mala fase elettorale non è quella più indicata per procedere a nomine. Con un accordo fra r attuale maggioranza e l'opposizione si potrebbe anche fare prima della nascita del prossimo Esecutivo, ma molto dipende dal clima che uscirà dalle urne ei tempi accelerati non sembrano la caratteristica di questo lungo –parto dell'agenzia. Il comitato, comunque, dovrà raccogliere 15 nominativi, tra cui il ministro dell'Università sarà chiamato a scegliere i cinque componenti nazionali. Sempre sul fronte della valutazione degli atenei, oggi è un giorno importante anche per l'avvio del finanziamento competitivo previsto dal Patto rettori- Governo dell'agosto scorso e poi colpito duramente dai tagli della Finanziaria zóo8. La Conferenza dei rettori è chiamata infatti a pronunciarsi sul decreto interministeriale (Economia e Università) che contiene la dote per gli incentivi ai virtuosi (i89 milioni, invece dei 350 che erano stati previsti nel Patto) e il decreto sulla ripartizione dell’Fondo di finanziamento ordinario aoo8. Dal via libera al primo dipende anche l'avvio del secondo, perché naturalmente la ripartizione cambia a seconda che ci sia o meno anche la quota destinata agli incentivi. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Apr. ‘08 NEI FONDI ALLE UNIVERSITÀ POCO SPAZIO AL MERITO RETTORI DIVISI Nei due decreti ministeriali per gli incentivi rimangono 189 milioni e solo il20% è destinato ai sotto finanziati GianniTrovati MILANO E un si con molti distinguo quello riservato dai vertici del mondo universitario ai due decreti ministeriali sul finanziamento per il 2008, in cui rimane solo un pallido ricordo di quel «Patto per l'università», firmato solennemente da Governo e rettori lo scorso agosto, che avrebbe dovuto cominciare a rivoluzionare i criteri di assegnazione dei fondi statali agli atenei introducendo i parametri del merito e della competizione. Il semaforo verde è stato acceso ieri dalla Crui, in cui però si è distinto, fra qualche polemica di «frazionismo», il voto contrario di sei atenei: Trento, Verona, Padova, Bologna, Luiss e Cosenza, che hanno voluto protestare proprio contro il mancato rispetto del Patto di agosto. Oggetto del contenderei fondi «incentivanti», cioè quelli distribuiti per riconoscere il contributo al sistema offerto dalle università più virtuose secondo un modello, elaborato dal Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, che tiene conto di attrattività dell'ateneo, risultati della didattica (misurati sul metro dei crediti formativi ottenuti dagli studenti e sul numero dei laureati) e ricerca scientifica. Il Patto, firmato dal ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, e dal collega dell'Università, Fabio Mussi, prevedeva che almeno 350 milioni (il Fondo ordinario si aggira sui sette miliardi) fossero distribuiti secondo questi criteri, e che una quota significativa delle risorse andasse a sostenere i conti delle università più «sottofinanziate», cioè quelle che ricevono meno di quanto meriterebbero secondo il modello. Nei decreti di quell'impianto sopravvive poco: per gli incentivi rimangono 189 milioni, e solo il 20% è riservato ai sottofinanziati. Cioè in pratica il 5 per mille dell'Ffo. Troppo poco, soprattutto per quegli atenei dove la forbice fra il finanziamento reale e quello «meritato» è più ampia (all'Università di Torino, ad esempio, mancano all'appello 43 milioni all'anno, al Politecnico di Milano 39,4 e a Roma Tor Vergata 32,3) e dove sono stati avviati importanti sforzi di razionalizzazione senza poter far conto sui contributi statali. Ma a spaccare il fronte dei rettori, già fiaccato dalle polemiche sul gruppo di atenei che ha fondato Aquis (Associazione perla qualità delle università italiane statali) per reazione «all'immobilismo» della Crui, non sono tanto i problemi dei singoli bilanci, quanto piuttosto il segnale «politico» offerto dal sostanziale -"tradimento" del Patto di agosto. «Il dato centrale - riflette Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano, vicepresidente Crui ed esponente della 'maggioranza che ha dato parere favorevole- è che i finanziamenti complessivi all'università sono insufficienti. In questa situazione, abbiamo trovato una posizione equilibrata fra le esigenze del complesso degli atenei e le richieste di quelli sottofinanziati». Ma secondo i rettori "ribelli" l'esiguità delle risorse (complice l'esodo di fondi verso le destinazioni più varie, compreso l'autotrasporto, determinato dalla Finanziaria aoo8) non è un motivo per tirare i remi in barca nella lotta sulla meritocrazia dei fondi. «Come condizione di serietà - sottolinea Vincenzo Milanesi, rettore dell'università di Padova - abbiamo chiesto che fossero distribuiti secondo il modello altri 40 milioni, e che altri 20 fossero riservati alle sottofinanziate. Misure che non avrebbero salvato i bilanci, ma avrebbero offerto un segnale di attenzione reale alla valutazione dei risultati ottenuti». Segnale che non è arrivato. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 8 apr. ’08 COME FAR VINCERE IL MERITO di MAURIZIO FERRERA La chiave di volta di una società aperta è la valorizzazione di meriti e talenti. Su questa affermazione sembra esserci oggi nel nostro Paese un consenso abbastanza ampio, soprattutto quando si parla di scuola. Com'è tristemente noto, nel sistema educativo italiano la selezione di studenti e docenti avviene in base a criteri scarsamente meritocratici. A dispetto del famoso valore legale dei titoli di studio, il nostro Paese si distingue per un'elevata inaffidabilità di questi titoli come «segnali» di capacità e competenza. Il meccanismo delle raccomandazioni riflette senza dubbio le forti propensioni familistiche e clientelari della nostra cultura politica. Ma in parte è anche uno strumento per trasmettere informazioni, per colmare le lacune segnaletiche del sistema educativo. Cambiare le cose non è facile. Nell'ultimo decennio ci hanno provato molti governi, con pochi risultati. La meta verso cui tendere è chiara: meccanismi di selezione il più possibile standardizzati e concorrenza fra istituti educativi per attrarre i migliori. Nel mondo anglosassone, ad esempio, il voto di maturità e i test di ingresso alle università sono definiti in base a procedure uniformi e centralizzate, in modo da segnalare davvero gli studenti più preparati, le scuole che preparano meglio e le università più richieste da chi è capace e motivato. Il grosso problema è però come raggiungere la meta. Ogni tentativo di riforma in direzione meritocratica scatena l'opposizione delle tante corporazioni (a cominciare dai sindacati della scuola) che traggono vantaggio dallo status quo. E anche quando si riesce a fare qualche timido passo in avanti, resta forte il rischio che meccanismi di valutazione sulla carta più meritocratici (come le prove di ingresso o le nuove regole dei concorsi universitari) cadano preda dei tradizionali circuiti particolaristico-clientelari. Questi fenomeni di «cattura» sono doppiamente pericolosi: fanno fallire le riforme e creano un clima di sfiducia e scoraggiamento. Quando si è scoperto che i test di ammissione a Medicina in alcune università del Sud venivano truccati, fra gli studenti (compresi quelli più bravi) si è diffusa l'idea che «fosse meglio prima» (nessun test, iscrizioni libere), tanto «la meritocrazia è soltanto un'illusione». Come hanno fatto gli altri Paesi a diventare meritocratici? Il mondo anglosassone è caratterizzato da maggiore civismo e maggiore individualismo ed è dunque culturalmente più predisposto a meccanismi di selezione basati su capacità e talento. Ma anche in quel contesto la piena affermazione di meccanismi meritocratici ha richiesto molto tempo e ha dovuto superare molti ostacoli. Prendiamo gli Stati Uniti. Nel primo Novecento un timido tentativo da parte del Bureau of Education di compilare una graduatoria delle scuole sulla base di semplici statistiche provocò un'ondata di furore politico in diversi Stati. Negli anni Sessanta l'associazione dei presidi invitò i propri aderenti a boicottare nuove iniziative in tal senso varate da Kennedy e i sindacati degli insegnanti entrarono in sciopero contro «la malsana idea di misurare la qualità della scuola statunitense». Le procedure e gli organismi federali di valutazione delle istituzioni educative sono riusciti a consolidarsi definitivamente solo negli anni Ottanta. I fattori che spiegano il successo dell' esperienza americana sono essenzialmente due. Primo: il forte impegno e coinvolgimento di attori privati. Sono state in particolare le grandi fondazioni (come la Carnegie Corporation) a promuovere i primi grandi progetti di valutazione della performance scolastica. L'impegno dei privati è stato importante non solo dal punto di vista simbolico e culturale, ma anche da quello finanziario: i sistemi seri di monitoraggio costano cari così come costano le borse di studio e i premi per i capaci e i meritevoli. Si noti che l'impegno dei privati svolge tuttora un ruolo di primo piano. Pochi mesi fa un gruppo di istituzioni filantropiche ha messo a disposizione sessanta milioni di dollari per promuovere l'eccellenza nelle scuole americane nel corso del 2008. Secondo fattore: la graduale creazione di una coalizione sociale pro meritocratica sulla quale far leva per generalizzare i nuovi meccanismi di selezione. Data l'opposizione della maggior parte degli insegnanti (e di molti notabili locali, soprattutto negli Stati più arretrati), le prime iniziative di valutazione finanziate dai privati erano di natura volontaria. Le scuole che lo desideravano si iscrivevano ai test e, se ottenevano un buon punteggio, usavano poi questo «segnale» sul mercato della reputazione e su quello dei finanziamenti. Nel corso del tempo si è così creato un gruppo sempre più ampio di scuole (presidi, insegnanti, ex allievi, genitori) favorevole alla meritocrazia. E' questa la «base sociale» (del tutto bipartisan sotto il profilo ideologico) che ha successivamente fornito al governo il sostegno per istituire un sistema obbligatorio di valutazione. Sarebbe un'ingenuità pensare di riprodurre fedelmente in Italia il percorso degli Stati Uniti. Ma da quel percorso vale la pena di trarre qualche spunto. Anche nel nostro Paese operano numerose fondazioni che dispongono di ingenti patrimoni e che peraltro già operano (alcune, con grande efficacia e lungimiranza) nel settore educativo. Non si potrebbe chieder loro uno sforzo maggiore e più mirato a sostegno di meriti e talenti? Il discorso vale naturalmente per molti altri attori della cosiddetta società civile. Quando parla di riforme, il dibattito italiano tende a dar per scontato che queste siano compito esclusivo della «politica». Come però insegna il caso americano, la costruzione di una società aperta è un'operazione che può e a volte deve partire dal basso, grazie all'esempio, all'attivismo e all'aggregazione spontanea di «volenterosi ». La politica può far molto, ma se una società resta incapace di aprirsi, nonostante i chiari sintomi di declino, deve piangere innanzitutto se stessa. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 Apr. ‘08 RICERCA, TROPPI FONDI A PIOGGIA LA SCIENZA E IL MERITO La Finanziaria stanzia 280 milioni per fIsfol, fIsae, fIstat, lo Svirnez e il Cnel Ma le risorse sono assegnate senza alcuna verifica della serietà dei lavori di Andrea Ichino Sole 24 Ore ha recentemente ospitato un appello degli scienziati italiani dal Presidente Giorgio Napolitano, affinché i fondi per la ricerca vengano allocati solo sulla base di parametri riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, ossia mediante la cosiddetta peer review che consiste in una valutazione regolamentata, anonima e indipendente del merito scientifico di ogni progetto di ricerca. È un appello importante perché tutti in Italia lamentano che si spende poco per la ricerca scientifica, ma pochi sanno che una gran parte degli scarsi fondi disponibili si perde in mille rivoli a favore di enti e persone che poco o nulla contribuiscono a una seria ricerca di livello internazionale. Un ambito nel quale, è urgente che il futuro Governo intervenga affinché l'appello non rimanga lettera morta è quello dei numerosi istituti pubblici che, in vario modo, producono ricerca statistica ed economica finanziata con le tasse dei cittadini: ad esempio l'Isfol, fIsae, fIstat, lo Svimez, ai quali si aggiungono i ricercatori, stabili e occasionali, all'interno del Cnel, dei ministeri, delle Regioni, degli altri enti locali, delle varie Authority e della Barica d'Italia nella sua sede centrale e in quelle decentrate. Una legione di ricercatori e di personale amministrativo al loro servizio che costa allo Stato una cifra difficile da valutare, ma sicuramente rilevante, per produrre un'infinità di rapporti di ricerca che spesso si sovrappongono per oggetto, metodi e risultati senza che esista una qualsivoglia misura della loro efficacia. Soltanto i primi cinque degli enti sopra nominati hanno ricevuto dalla Finanziaria 2008 più di 280 milioni; che corrispondono a oltre il 20% della spesa totale per la ricerca stanziata nello stesso anno dal ministero competente. Può darsi che questi soldi siano ben spesi, ma sarebbe opportuno verificarlo e un modo per farlo è quello appunto auspicato nell'appello degli scienziati pubblicato da questo giornale: la peer review. Qualcuno potrebbe obiettare che : questi enti non sono dipartimenti universitari perché fanno altro e che comunque in Italia nemmeno i dipartimenti universitari sono valutati in questo modo (con l'unica e benemerita eccezione ne delle valutazioni del Civr del 2005, ' misteriosamente dimenticate dal Governo Prodi e che speriamo il prossimo ' Governo voglia riprendere e rendere , operative), Ma per quale motivo un Governo dovrebbe utilizzare rapporti di ricerca basati su metodi e teorie superate dalle frontiere della scienza? È come se, essendo già disponibili le scoperte di Copernico e Galileo, un Governo si servisse ancora di scienziati tolemaici. È successo così nel passato e le conseguenze le conosciamo bene. Ma non dovrebbe più accadere: La politica ha bisogno di buona ricerca e attualmente il metodo della peer review, per quanto imperfetto, è il migliore che la comunità scientifica internazionale sia riuscita a trovare per valutare la bontà del suo lavoro. Non sorprende quindi che il Servizio Studi della Banca d'Italia sia unanimamente considerato come di gran lunga il migliore degli enti in questione: è l'unico i cui ricercatori sono seriamente selezionati anche sulla base della loro capacità di produrre ricerca di valore internazionale; sono periodicamente mandati a «risciacquare i loro panni» nell'Arno delle migliori università mondiali e sono invitati non solo a fare il loro lavoro istituzionale ma anche a produrre ricerca pubblicabile sulle migliori riviste scientifiche. Richiesta che per questi ricercatori significa lavorare ben di più dell'orario standard di un ufficio statale, ma che rende autorevole e ascoltata la loro voce. Non solo, ma è sempre questo stesso Servizio Studi ad aver prodotto e messo a disposizione di tutta la comunità scientifica la prima (e a tutt'oggi quasi unica) banca dati utilizzata per fare ricerca micro economica in Italia: l'Indagine sui bilanci delle famiglie italiane. Fuori da Via Nazionale, il panorama degli istituti pubblici offre un quadro. ben diverso sia per la qualità della ricerca sia per la predisposizione di banche dati facilmente accessibili (in questo l’Istat è ancora alla preistoria). Ma ciò che più preoccupa è che l'allocazione dei fondi pubblici a questi enti non sembra riflettere alcuna qualsivoglia (purché trasparente) valutazione della loro produttività. Basti per tutti lesempio dell'Isfol: essendo finiti i fondi europei che hanno consentito a questo istituto di espandersi negli anni recenti senza che la sua attività abbia prodotto risultati anche lontanamente comparabili a quelli del Servizio Studi di Bankitalia (perché, ad esempio, non ha fatto partire un'indagine longitudinale come l'americana School and Beyond, che sarebbe essenziale in Italia per valutare il sistema scolastico e studiare i problemi della transizione tra scuola, formazione e Tondo del lavoro?), l'ultima Finanziaria ha stanziato un incremento dei suoi fondi da 10 a 40 milioni, la stabilizzazione di 302 precari e la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dialtre249posizioni di collaborazione; chissà come inizialmente selezionate. In un comunicato della Cgil del 3 agosto 2007 si legge che le organizzazioni sindacali e l'amministrazione hanno concordato i seguenti criteri, in ordine di priorità, per le graduatorie relative alle stabilizzazioni: anzianità disservizio presso l’Isfol o altre amministrazioni, idoneità acquisita in altri concorsi pubblici di qualsiasi tipo, appartenenza a categorie protette e età anagrafica. Non solo tra questi criteri non si parla di peer review, ma nemmeno si menziona la produttività scientifica; comunque valutata, dei singoli ricercatori: Il sindacato dirà: ognuno faccia il suo mestiere; il mio è quello di migliorare le condizioni di vita dei miei rappresentati e delle loro famiglie. D'accordo. Ma è sicuro il sindacato che ai figli di quei lavoratori convenga vivere in un Paese in cui i fondi per la ricerca vengono utilizzati per finanziare i redditi dei loro genitori o comunque di chi non fa ciò che la comunità scientifica internazionale considera veraricerca? ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 9 apr. ’08 SEI CANDIDATI IN CORSA PER IL RETTORATO La sfida sarà fra la facoltà di Medicina e il polo economico-giuridico Università. Nella primavera dell’anno prossimo le elezioni dopo il lungo regno di Pasquale Mistretta CAGLIARI. La successione sarà una corsa lunga: le elezioni saranno a maggio del 2009 e soltanto allora si saprà chi prenderà il posto di Pasquale Mistretta, in Rettorato, dopo diciannove anni. Per adesso i candidati ufficiali sono sei, altri potrebbero presentarsi presto. Due dei pababili provengono dalla facoltà di Medicina: il preside Gavino Faa e Giuseppe Santa Cruz, ordinario di Anatomia patologica. Il preside ha sciolto i dubbi in una delle ultime sedute del consiglio di facoltà e la sua discesa in campo è stata accolta da un applauso spontaneo. E questo può far pensare che Gavino Faa potrebbe essere già in pole position per il dopo Mistretta. Santa Cruz, anche la sua candidatura è ufficiale, è al terzo tentativo, dopo gli altri dov’è stato sempre sconfitto da Mistretta. Gli altri quattro candidati appartengono alle facoltà del polo economico e giuridico. A cominciare da Raffaele Paci, preside di Scienze politiche e docente di Economia applicata, che in occasione dell’ultimo mandato di Mistretta, era comparso sulla scena senza però fare poi il grande passo. Adesso la candidatura è certa, con un grande elettore di prestigio per il preside di Scienze politiche: è l’ex assessore regionale alla Programmazione Francesco Pigliaru, che dovrà sondare per capire quali sono le possibilità di riuscita e se, soprattutto, la sfida con gli “uomini di Medicina” può essere vinta. Sempre dal polo economico e giuridico arrivano Antonio Sassu, ordinario di Politica economica e è già presidente del Banco di Sardegna, Francesco Sitizia, ordinario di Diritto romano, ex preside di Giurisprudenza, e Giovanni Melis, docente di Economia aziendale, ex preside di facoltà e già per due volte avversario (sempre sconfitto) di Mistretta. Di questi tre candidati due, così come Paci con Pigliaru, hanno i loro uomini di fiducia con l’incarico di sondare l’elettorato: Massimo Deiana, attuale preside di Giurisprudenza, per Sitzia e Armando Buccellato per Melis. Da questi incontri con gli elettori è probabile che, alla fine, esca un solo candidato del polo di viale Sant’Ignazio per il rettorato. Ma c’è ancora tempo per decidere. ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 apr. ’08 MASTER AND BACK, TANTE SPERANZE E TROPPE DELUSIONI I fondi arrivano a singhiozzo e non tutti possono contare sull’appoggio delle famiglie Sono una dottoranda in Archeologia classica dell’Università di Siena, “fortunata” vincitrice della borsa Master and Back della Regione Sardegna. Non volendomi addentrare su quanto sia difficile trovare fondi per la ricerca e quanti sacrifici costi, vi volevo semplicemente comunicare lo stato di disagio e di precarietà che ha portato questa borsa, non solo alla sottoscritta ma anche ad altre persone che si trovano nella mia stessa condizione. Il momento iniziale di entusiasmo dopo l’assegnazione della borsa è andato via via scemando insieme ai mesi che passavano per vederne la reale attribuzione. Dalla conferma dell’assegnazione della borsa dicembre 2006 la prima rata (cosiddetto voucher) è stata erogata ad aprile 2007 e doveva andare a coprire le mensilità fino a luglio 2007. Da luglio ad oggi (11 aprile 2008), solo proroghe su proroghe, assicurazioni su assicurazioni. Forse rispetto ad altre situazioni di precariato, alla disoccupazione e al disagio sociale della nostra regione questa situazione può far sorridere ma non è bello che una regione si prenda gioco di chi ha deciso di fare ricerca, di chi prova attraverso tanti sacrifici a migliorare e a migliorarsi, in modo umile e onesto. Nessuno ti obbliga a fare un dottorato, in un certo senso ad investire su te stesso e su qualcosa in cui credi, non hai diritti, non hai orari, devi sottostare alle regole dell’Università ma lo fai e ti senti un privilegiato che può fare quello che ama, rispetto a tanti che odiano il loro lavoro, poi l’ideale si viene inevitabilmente a scontrare con il reale, si deve pagare un affitto, si deve mangiare. A questo punto, non so se l’Agenzia regionale del lavoro si renda conto di cosa sia realmente un dottorato, anche perché chi usufruisce della borsa non può avere altri introiti, o meglio non si deve superare un certo reddito (quindi o lavori in nero o cerchi un lavoro da 300 euro e rinunci a tutte le attività previste dal dottorato). Non è detto che tutti abbiamo una famiglia che possa fare da tappabuchi (un conto poi sono 1-2 mesi, un’altra 9 mesi), del resto la mia generazione difficilmente riesce ad essere autonoma, a meno che non sia dotata di un fisico da velina o di un bel sorriso per un buon partito. Qualunquismi a parte, credo che sia lecito pretendere chiarezza e quantomeno correttezza. Certo sono tante le persone che portano avanti un dottorato senza borsa, ma credo che questa debba essere una scelta, o quantomeno una consapevolezza su che cosa si possa contare. L’opportunità della borsa Master and Back è stata data in base al merito, ad una selezione per titoli, se si è istituita questa borsa è perché ci sono i fondi. L’amarezza in chi vi scrive sta nella consapevolezza che difficilmente si attuerà il programma di back, ma probabilmente dovrà rinunciare al proprio progetto di dottorato visti gli antefatti e probabilmente non tornerà nella sua terra non perchè non la ama ma perchè le strade della crescita sono “precostruite” e gli incastri già assegnati, il resto è solo teatrino. Anna Maria Marras Siena ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 apr. ’08 SASSARI: L’ATENEO PUNTA SULLE NANOTECNOLOGIE È l’ultima frontiera della ricerca, la scommessa delle imprese Grazie al master del centro catalano sono nati 10 specialisti Molti di loro hanno già trovato lavoro TONINO MELONI SASSARI. Anche all’università di Sassari si studiano le nanotecnologie, la scienza che si occupa della manipolazione della materia in dimensioni comprese tra 1 e 100 nanometri, cioè in quella scala atomica e molecolare che, stravolgendo le tradizionali conoscenze scientifiche, ha segnato la nascita di una nuova branca del sapere. Considerato che un nanometro è un miliardesimo di metro, la sua misura corrisponde all’incirca a dieci volte la grandezza dell’atomo dell’idrogeno. E poiché a questi livelli di dimensioni i comportamenti e le caratteristiche della materia cambiano drasticamente, le nanotecnologie rappresentano un modo radicalmente nuovo di produrre e ottenere materiali, strutture e dispositivi con proprietà e funzionalità migliorate e del tutto nuove. La nuova scienza, che all’inizio ha interessato soprattutto l’ingegneria (nanoingegneria) e l’elettronica (nanoelettronica), si sta sviluppando in altri settori. Particolarmente nella medicina, dove si stanno mettendo a punto sistemi per la somministrazione mirata di farmaci e per la realizzazione di protesi più resistenti e con sempre più alta biocompatibilità. Per cui presto sarà possibile rivoluzionare radicalmente la pratica medica, grazie a nuovi e più efficaci strumenti diagnostici e innovativi sistemi di cura, con il fine di introdurre terapie personalizzate e, perciò, più appropriate. L’opportunità è stata colta dal professor Sergio Uzzau, direttore del Centro ricerche di Porto Conte che, accogliendo le richieste di alcune imprese che sviluppano ricerche industriali per la produzione di nuovi strumenti diagnostici con sistemi nanobiotecnologici, ha organizzato un master professionalizzante appunto in nanobiotecnologie, avvalendosi della collaborazione dell’Università e di Sardegna Ricerche. Si è trattato, in sostanza, di un progetto che, tenendo conto della necessità delle imprese di arruolare personale con preparazione specifica, si è posto come obiettivo la formazione di un gruppo di dieci nanobiotecnologi, scelti tra i ricercatori dell’ateneo sassarese, allo scopo di creare una forza lavoro giovane, competente, motivata e improntata all’innovazione. Il master diretto dal professor Uzzau, è stato coordinato dal professor Plinio Innocenzi dell’università di Sassari, dalla professoressa Maura Monduzzi dell’università di Cagliari e dal professor Renzo Bozio dell’associazione Civen. I nuovi specialisti saranno, dunque, il veicolo per l’introduzione delle nuove tecnologie nelle aziende. Ma potranno anche essere loro stessi attori autonomi di questa rivoluzione in un settore dove è ancora possibile dar vita a imprese di successo. In ogni caso, le competenze sviluppate saranno utilizzate nel campo delle piccole e medie imprese del settore biotech, che necessitano di personale capace di innovazione. Perciò l’acquisizione di tecnologie altamente innovative, insieme a validi strumenti di management dovrà rappresentare per essi lo stimolo essenziale per attività di spin-off, cioè microimpresa ad alto contenuto tecnologico e consulenza verso enti pubblici e imprese private. Finito il master, gli studiosi hanno frequentato uno stage presso imprese sarde e della penisola, a conclusione del quale, alcuni sono stati assorbiti dalle stesse aziende, mentre altri hanno scelto di proseguire con il master and back. Una giovane ricercatrice ha preferito avviare un’iniziativa autonoma. La possibilità di portare, servendosi di parti infinitesimali di materia, agenti terapeutici o diagnostici in varie parti dell’organismo, aprono sicuramente grandi prospettive sia in campo medico. Perciò la strada aperta dal professor Uzzau con questo master merita di essere percorsa da altri ricercatori. I loro colleghi che hanno frequentato il master del professor Uzzau sono la dimostrazione che ovunque si può raggiungere una un’ottima formazione e una elevata specializzazione. Oltre al comitato scientifico, di cui facevano parte i professori Uzzau, Innocenza, Monduzzi e Bozio, hanno dato il loro apporto all’iniziativa il coordinatore del progetto, dottor Luca Pretti, e i tutors Luca Malfatti, Stefano Costacurta e Tomhjit Kidchob, tutti dell’Università di Sassari. Molte l lezioni sono state tenute da docenti del mondo scientifico internazionale. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Apr. ‘08 ECCO IL DOWNLOAD IN UN SECONDO ALTAVELCICITA LA RICERCA DI IBM Tra un paio d'anni forse sul mercato. Ma rimane da risolvere l'intoppo della rete E’ è una difficoltà intrinseca nel comunicare le novità provenienti dai laboratori di ricerca. Nel corto circuito tira futuro prevedibile e realtà concreta, infatti, corrono veloci i desideri della gente comune: E così, quando Ibm ha fatto sapere di aver creato un bus dati ottico capace di trasferire otto terabit al secondo di informazioni - il più veloce e integrato al mondo - e il Cern di Ginevra di aver messo in atto una rete sperimentale diecimila volte più veloce dell'internet dei nostri giorni, in molti hanno pensato, per esempio, di poter scaricare all'istante un film in alta definizione. E, magari, hanno telefonato al proprio provider per chiedere l’upgrade all'offerta "download istantaneo". Un sogno? Nient'affatto. Una visione, semmai. Allo stato, ovviamente, le nostre dorsali non permetterebbero di sostenere carichi di questo tipo e, con le periferiche hardware attuali, ci sarebbero problemi addirittura "in locale". In Italia, peraltro, in molti sognano ancora la cara, "vecchia" Adsl e sarebbe già una bella cosa - Stefano Quintarelli l'ha chiesta à gran voce al Governo che verrà - disporre dell'Ftth (FiUer to the home) in tutte le case. Ma il futuro è un'altra cosa. E i ricercatori del Cern e di Big Blue ce ne hanno già regalato un pezzetto. Questi ultimi, attraverso le interconnessioni ottiche, è da tempo che sperano di inaugurare una nuova era di connettività ad alta velocità. Lo scorso anno, il primo grande risultato: un circuito, dotato di transceiver ottico, in grado di trasmettere un film Hd in meno di un secondo. Ma aveva un grosso limite: utilizzava «parti e processi specificatamente progettati 'e realizzati» per quello scopo. Il transceiver costruito di recente, invece, oltre a essere più veloce, è assemblato «utilizzando solamente strumenti e componenti standard disponibili sul mercato», ha spiegato Clint Schow, ricercatore di IUm. L'innovazione dunque, grazie a un packaging standard nell'elettronica, è anche nella possibilità di prevederne una produzione su larga scala in tempi ragionevoli. «Non si tratta di esperimenti teorici o di chip che'làvorano nelle condizioni particolari di laboratorio ha precisato Schow - bensi di circuiti che potrebbero essere disponibili sul mercato nei prossimi due anni». Alla base di questi circuiti c'è, appunto, la tecnologia presentata in questi giorni da Ibm, frutto di un lungo cammino nell'ottica parallela a elevata ampiezza di banda. Caratteristica che i ricercatori hanno ottenuto compattando, in un fascio di guide d'onda polimeriche, un elevato numero di canali ad alta velocità, ognuno con dimensioni inferiori a un capello. Utilizzando la luce al posto dei fili, la nuova tecnologia - a detta degli stessi scienziati -potrebbe rivoluzionare il modo di accedere alle informazioni, consentendo di condividere file enormi in pochi secondi e garantendo banda a volontà ai più svariati tipi di macchine e utenze: dai supercomputer ai telefonini, dalle reti aziendali agli utenti consumer. Otto terabit al secondo tracciano equivalenze... da Oscar: cinquemila video stream Hd, per citarne una. E - in perfetta ottica "green computing" - quest'immenso traffico di bit accrescerà l'efficienza energetica nei data center e avrà pretese "modeste": consumerà, infatti, quanto una comune lampadina da cento watt. Ma la sua luce illuminerà le menti di medici e ricercatori. I primi, ad esempio, potranno inviare in pochi istanti ecocardiogrammi e risonanze magnetiche a uno specialista mentre il paziente è in pronto soccorso. Gli scienziati, invece, potranno cogliere i vantaggi di una banda più ampia nel supercomputing: dalle previsioni meteo agli studi sul Dna, non è difficile prevedere un'impennata in tutte le discipline che fanno uso del calcolo parallelo per elaborare modelli numerici. E non solo di queste. Dotando di porta ottica i più comuni dispositivi (notebook, videoplayer, palmari, cellulari), saremo in grado di condividere con chiunque, in tempi brevissimi, immensi archivi di dati e film in alta definizione. Che, grazie all'assenza di fili, potremo goderci su display capaci di ruotare e traslare in qualsivoglia direzione. Un cambio di prospettiva che - ben al di là di un film Hd sul cellulare - è prima visione di un futuro neppure troppo lontano. MASSIMO MATTONE ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Apr. ‘08 L'AUMENTO DELLA REALTÀ` Il mondo si virtualizza sempre di più! La realtà aumentata è la prossima frontiera e potrà essere toccata con mano dal pubblico per la prima volta al Fuori salone, durante la settimana del design al Salone del mobile di Milano. L'innovativa mostra Royal Dutcheese sarà ambientata in un pezzo di archeologia industriale, una ex fabbrica di formaggi ristrutturata. Oltre a presentare le loro ultime creazioni con prototipi reali, gli studenti della prestigiosa Royal Academy of Art dell'Aja, una delle più importanti accademie d'arte europee, firmano un nuovo concetto di mostra, esponendo i loro progetti di mobili, oggetti, lampade e tessuti anche in modo virtuale, creati con appositi software 3D Studio Max o Cinema 4D. Un modo assolutamente innovativo e inedito di esporre arredi e oggetti di design, che grazie alla realtà aumentata consentirà a questi progetti virtuali, di uscire dai computer per essere inseriti in uno spazio ben reale. Sarà così possibile indossare il prototipo del nuovo casco, che grazie a tag Rfid apposti sul pavimento e sulle pareti come markers ottici, e rilevati dalle sue videocamere, consentiranno di visualizzare tavoli, sedie, oggetti e quant'altro. Il pubblico in sala potrà condividere l'esperienza con la videoproiezione sullo schermo di quello che l'utente vede effettivamente nel casco. Il Politecnico dell'Università di Delft in Olanda ha sviluppato la tecnologia Ar (Augmented Reality) ossia la Realtà Aumentata, con partner società di hardware e software come Chess e Cybermind. Ma per la prima volta al mondo entrambe le tecnologie Ar e Rfid (identificazione mediante radio frequenza), sono state abilmente combinate insieme. L'Rfid è la nuova tecnologia identificatrice per tracciare i beni e le merci che comincia a sostituire il classico codice a barre, usato per raffigurare i prezzi. L'inedito matrimonio permette di far scattare, con un sistema tutto sommato concettualmente semplice, tutta una serie di eventi virtuali. Le due videocamere laterali del casco, infatti, permettono di geolocalizzare l'oggetto 0l’evento abbinati al relativo tag Rfid, e di farne scattare la sua rappresentazione tridimensionale virtuale, nella visione di chi lo indossa. Collaborando con l'università di Delft, il laboratorio Ar+Rfid all'interno della Royal Academy of Art ha sviluppato una serie di progetti come duel lo presentato a Milano. A seconda dei tag Rfid inquadrati dalla propria visione dal casco, oggetti o mobili singoli, oppure un insieme di mobili che volteggiano nello spazio saranno visibili in una rappresentazione unica. Oltretutto, questa modalità di presentazione virtuale permette di visualizzare molte più opere, di quelle realmente possibili e consentite dal ridotto spazio fisico. Le prospettive di queste tecnologie sono estremamente promettenti. Ad esempio, tanto per rimanere al Salone del mobile, sarà possibile un domani, visualizzare il proprio arredamento nell'appartamento ancora vuoto e valutarne l'impatto! Il nuovo modello di casco concepito appositamente per la realtà aumentata, è opera di Marina de Hass, che ne ha fatto la sua tesi di laurea, mentre il design è firmato da Niels Mulder. Allo stesso modo gli studenti del dipartimento design tessile esporranno le loro creazioni, oltre che nella realtà, anche in modo virtuale e interattivo, grazie alla realtà aumentata. I visitatori potranno vedere una colonna rivestita dai prototipi di tessuti. Indossando il casco, però, grazie ai piccoli marker interattivi inseriti nei tessuti, il visitatore si ritroverà in un tunnel fatto delle loro stoffe. Ma non solo: si troverà immerso in un ambiente audiovisivo virtuale artistico, creato dalla stessa de Haas; costituita da forme organiche ovoidali che si staccano dai muri e vagano nello spazio. Sarà possibile udire e vedere i UIoU che si espandono, e avere l'illusione di camminare in fondo al mare. Non c'è limite alla fantasia, nell'abbinare eventi di ogni tipo od oggetti; ma anche animazioni a un tag Rfid. Gli studenti del laboratorio AR+Rfid hanno anche sviluppato il concetto di teatro virtuale, in grado di trasportare il teatro delle tradizionali marionette nel al secolo. Vari pupazzi creati in 3D al computer vengono animati, grazie al dataglone, uno speciale guanto che una volta indossato dall'operatore serve da interfaccia, per far cambiare mimica facciale al pupazzo virtuale e fargli esprimere espressioni variegate, in tempo reale, muovendo la mano e le dita. Lo stesso utente che indossa il casco può vedere in sovraimpressione nella stanza ben reale, le marionette virtuali recitare. Appuntamento dunque per gli amanti di tecnologie ed eventi d'avanguardia, dal 16 al 21 aprile a Milano, in via Custodi, 6 (orario ro-2o). CHRISTIAN DE POORTER QUANDO IL VIRTUALE SI SPOSA CON IL REALE Sovrapposte. Quando il virtuale si mescola col reale nasce la realtà aumentata. Mentre nella realtà virtuale il soggetto era immerso totalmente in un mondo artificiale3Dcomputerizzato, la realtà aumentata invece consiste nel sovrapporre alla realtà percepita, in tempo reale, informazioni e immagini virtuali grafiche e testuali sincronizzate, generate dal computer. Contrariamente all'insuccesso della realtà virtuale che mirava a sostituire il mondo reale, con attrezzature scomode e un senso di smarrimento, la promettente realtà aumentata invece, ancora agli albori, è destinata a rivoluzionare il nostro modo di percepire la realtà, e di arricchirla, con numerose applicazioni. Gli enormi progressi della miniaturizzazione consentiranno di percepire la realtà aumentata del futuro con speciali occhiali, tuttavia più leggeri degli attuali prototipi di caschi. E così sarà possibile visitare Londra o Parigi con indicazioni utili di ogni genere sovrapposte alla realtà, o ammirare i tempi egizi e le case di Pompei nel loro splendore originale, in sovraimpressione sui siti archeologici dal vivo. TRA FORMA E FUNZIONE Una selezione dei 150 progetti dei maggiori architetti del mondo che negli ultimi dieci anni hanno ridefinito il concetto di edificio e la sua collocazione nei contesto urbano, il rapporto tra forma e funzione, le innovazioni tecniche, i nuovi materiali. «Atlante dell'architettura contemporanea in Europa», di Christian de Poorter, Mondatori Arte, 25 euro ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 6 apr. ’08 LA FILOSOFIA SALVERÀ L'EUROPA Pensiero e scienza: condizioni fondamentali per costruire una nuova «potenza» di EMANUELE SEVERINO Per l'Europa, la sfavorevole congiuntura economica non è il pericolo maggiore. L'Europa è militarmente debole. Tradizionalmente collocata nella sfera della potenza militare statunitense, è per molti versi — cioè non solo dal punto di vista geografico, peraltro rilevante — più vicina alla Russia che agli Stati Uniti. Già dagli anni dell'implosione dell'Urss osservavo che quanto sarebbe stato impossibile durante la guerra fredda, stava diventando una possibilità non utopica anche se estremamente complessa e piena di incognite: quella collaborazione tra la ricchezza economica europea e il potenziale atomico russo, che avrebbe potuto prefigurare una vicinanza più profonda sul piano politico. Tale possibilità esiste tuttora. Ma dopo la guerra fredda l'Europa, confrontandosi con la Russia, poteva mettere sul piatto della bilancia un'economia forte, capace di aiutare la Russia in modo risolutivo. Quest'ultima aveva (come ha tuttora) un arsenale atomico in grado di distruggere qualsiasi nemico. Unica, insieme agli Usa, ad avere questa potenza. Che però (a differenza di quella americana) era alimentata da un'economia vacillante. Di qui l'importanza dell'aiuto europeo. Oggi, invece, l'economia russa è in forte ripresa ed è capace di sostenere quel potenziale atomico che separa la sorte di Stati Uniti e Russia da quella di tutti gli altri Stati del pianeta. In un mondo sempre più pericoloso, l'Europa tende pertanto a oscillare tra la consolidata protezione militare degli Stati Uniti — convinti peraltro di non dover rendere conto a nessuno, nemmeno ai loro alleati europei, delle loro decisioni di fondo — e una più stretta collaborazione con una Russia che d'altra parte suscita molte diffidenze nei governi dell'Unione. Tuttavia il discorso sull'Europa si fa estremamente più complesso di quanto già non sia sul piano economico-politico, quando ci si rivolga al significato della potenza. La potenza che oggi consente agli Stati di sopravvivere — e che ha il proprio culmine nella potenza atomica — è dovuta alla tecnica guidata dalla scienza moderna. La tecnica riesce più di ogni altra potenza a cambiare il mondo. Giacché non pensa solo a muovere le montagne, ma anche le anime. E, daccapo, è in virtù di essa che il capitalismo è la forma dominante di produzione della ricchezza. Tanto più si è capaci di cambiare il mondo quanto più lo si sa far diventare diverso da come esso è già. Dio è onnipotente perché è capace di creare il mondo dal nulla, ex nihilo. Se con certi materiali si costruiscono cose, si è capaci di sottoporli a un cambiamento: si produce una certa diversità tra essi e le cose con essi prodotte. Ora, la diversità massima sussiste non tra una certa cosa e un'altra, ma tra il nulla e una cosa, tra il nulla e l'essere. Dio è onnipotente, possiede il massimo della potenza, perché produce la diversità massima, cioè fa diventare cosa (mondo, essere) il nulla. Se il senso dell'essere e del nulla rimane impensato, l'uomo non può nemmeno proporsi di produrre la diversità massima. Con questo pensiero la filosofia rende possibile la volontà di produrre la forma massima della potenza. Ma lungo l'intera tradizione della storia europea il culmine di tale forma è riservato a Dio. Sino a che tiene per sé il culmine della potenza massima, Dio limita il dispiegamento della forma massima della potenza dell'uomo. Ma nella storia europea è ancora una volta l'essenza del pensiero filosofico a mostrare l'impossibilità di ogni Dio eterno che si ponga come il padrone del dispiegamento totale della massima potenza. Soltanto per tale essenza, questo dispiegamento diviene accessibile all'uomo, sebbene non come un che di definitivamente ottenuto, ma come uno sviluppo infinito, dove l'uomo può progettare «nuovi» modi di essere uomo e mondo. Sono «nuovi», appunto perché sono ancora un nulla, un non essere, e si tratta di crearli ex nihilo. Soltanto all'interno e sul fondamento dell'essenza del pensiero filosofico del nostro tempo la tecnica guidata dalla scienza moderna può essere il dispiegamento infinito della massima potenza. Per lo più, scienza e tecnica non si curano del fondamento della loro potenza. Così facendo ignorano che la potenza massima è possibile solo producendo dal nulla e rendendo nulla le cose. Ma ignorandolo sono effettivamente incapaci di realizzare tale potenza. E ignorando che non può esistere alcun Ordinamento assoluto e divino che stabilisca Limiti inviolabili all'agire dell'uomo, scienza e tecnica limitano effettivamente il dispiegamento della potenza massima del proprio operare. L'Europa è il luogo dove sono apparse queste, ora richiamate, che sono le condizioni fondamentali della massima potenza e del suo infinito dispiegamento: tradizione filosofica, scienza, distruzione filosofica di tale tradizione, tecnica. Non è un caso che l'Europa abbia dominato il mondo. Inoltre il mondo ha ereditato, con intensità e in modi diversi e per lo più separandole una dall'altra, quelle condizioni fondamentali. La «grande politica », ossia la capacità di sviluppare la forma massima della potenza, è la capacità di tenerle autenticamente insieme. In questo senso, se la grande politica non esiste ancora sulla Terra, l'Europa, nonostante la sua debolezza attuale, può tuttavia candidarsi alla realizzazione di tale politica non meno, e forse più, delle altre grandi forze planetarie: Stati Uniti, Russia, Cina, India. Questo discorso non ha nulla a che vedere con una sorta di fantastica «egemonia» planetaria dell'Europa: ha invece a che vedere col processo in cui la volontà di potenza non può non volere la potenza massima, superando ciò che la ostacola, e quindi ogni forma di contrapposizione di natura, religiosa, filosofica, economica, politica, ideologica. Per realizzare certi loro scopi, queste e altre simili contrapposizioni (cioè ogni forza contrapposta) si servono della forma massima della potenza e del suo sviluppo, e quindi, proprio perché essa non è il loro scopo, ne limitano la consistenza. Limitano e frenano ciò con cui esse intendono realizzare i loro scopi: impediscono la grande politica, si rendono incapaci di realizzarla. L'Europa, più di altri, può prendere e far prendere coscienza del senso autentico della grande politica; ed è questa coscienza a liberare la potenza dai limiti in cui è stata trattenuta lungo la storia dell'Occidente. La grande politica: il dominio planetario da parte della scienza e della tecnica che hanno saputo ascoltare la filosofia. La vocazione dell'Europa: l'andare oltre i propri confini geografici, religiosi, artistici, morali, filosofici, economici, giuridici, politici: la produzione dell'onnipotenza planetaria. Ma a questo punto incomincia la questione decisiva, quella che riguarda la verità della potenza. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 apr. ’08 IL NUOVO EINSTEIN? È UN FISICO NAPOLETANO (RIENTRATO DAGLI USA) IL RICONOSCIMENTO. LA RIVISTA SCIENTIFICA «DISCOVER MAGAZINE» INCORONA GIOVANNI AMELINO-CAMELIA. «SONO TORNATO PERCHÉ L' ITALIA STA CAMBIANDO» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - «Il prossimo Einstein potrebbe essere un italiano». Parola di Discover Magazine. Nell' Italia della crisi permanente, il Bel Paese riesce ancora a partorire geni. Come Giovanni Amelino-Camelia, 42enne ricercatore del Dipartimento di Fisica dell' Università romana «La Sapienza», designato dalla prestigiosa rivista scientifica Usa - insieme ad altri 5 fisici internazionali - come il «futuro Einstein» per i suoi studi sulla gravità quantum. «Se nel 1904 un giornale avesse provato ad individuare il prossimo Newton, Einstein non sarebbe stato neppure incluso», minimizza il fisico napoletano, secondo cui l' articolo di Discover, «va preso con le pinze». «Il suo merito è però quello di aver spiegato al grande pubblico che la fisica non è morta con Einstein. Che guarda in avanti con idee dal potere altrettanto rivoluzionario, sebbene in attesa di verifica sperimentale». Padre dirigente del sistema sanitario nazionale e madre insegnante, Amelino-Camelia ha scoperto la passione per le scienze da piccolo, grazie ad una famiglia «dove circolavano le idee». «Sono andato bene a scuola fino ai 15 anni - racconta -. Poi la politica, di sinistra, cominciò a interessarmi più dei numeri. Volevo cambiare il mondo». Nel suo curriculum, oltre alla laurea a Napoli e il PHD alla Boston University, vanta post-dottorati di ricerca in istituzioni prestigiose come Mit, Oxford e Neuchatel. «Devo moltissimo all' ottima formazione ricevuta all' università di Napoli, che in Usa mi consentì di essere avvantaggiato rispetto a tanti compagni di corso». La scelta di studiare all' estero? «Avevo una forte attrazione per il modus operandi anglosassone - spiega il fisico -. Detesto il sistema basato sulle raccomandazioni che vige in Italia nella sfera professionale e nella vita di tutti i giorni». Alla fine però è tornato in Italia, dove vive con la moglie, fisico sperimentale all' INFN e i figli di uno e quattro anni. Rimpatriò dopo aver vinto una sfida con se stesso: vincere un concorso senza scendere a compromessi con l' etica anglosassone del lavoro. «Riuscii miracolosamente a diventare ricercatore alla Sapienza, nonostante la mia assenza di connessioni col mondo accademico, solo grazie al curriculum». Un segnale che anche in Italia qualcosa sta cambiando che lo ha convinto a non diventare l' ennesimo cervello in fuga. «Dall' America ci sono state tentazioni cui però ho resistito perché mi sembra vicina una fase di transizione del mondo accademico italiano e voglio contribuirvi. L' età dei docenti è molto avanzata. Ed intravvedo un cambio generazionale». Progredire nella carriera per lui vorrebbe dire soprattutto più opportunità per la ricerca, «l' unica sfida che mi interessa. E molto dipenderà dal risultato delle prossime elezioni. Sarò anche fazioso, ma credo che nel campo della ricerca la sinistra abbia una prospettiva più protesa al futuro. Anche se, date le sue radici potrebbe fare di più». Il futuro della ricerca in Italia? «Sono ottimista. Studenti straordinari come quelli che ho alla Sapienza non li ho mai visti neppure al MIT. Chissà cosa sarebbero in grado di dare se avessero la convinzione di poter determinare individualmente il loro futuro». «Se l' Italia riesce a fare così tanto con così pochi mezzi - conclude - si immagini cosa riuscirebbe a fare se puntasse di più su educazione e ricerca». Farkas Alessandra ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 11 apr. ’08 FARMACIA, LE FACOLTÀ ITALIANE GUARDANO ALL' ESTERO DA VIENNA A CARACAS, LE OPPORTUNITÀ DELLE LAUREE NOSTRANE. VERSO UNA PROFESSIONE IN GRANDE CAMBIAMENTO Guardano lontano le facoltà di Farmacia. Plasmare neodottori che coniugano il profilo del farmacista con quello dell' operatore sanitario è diventato un imperativo d' obbligo. E dal momento che si ragiona su parametri europei, ecco che vengono definite proposte per figure capaci di contribuire alla prevenzione delle malattie. La riforma Moratti del 2004, poi, ha dato il via libera a ogni facoltà di inserire nei piani-studio discipline che riflettano lo spirito di ciascun corso. Chi ha pensato a una laurea specialistica inedita è l' università Tor Vergata di Roma: è a ciclo unico e partirà, dopo l' approvazione del Miur, il prossimo anno accademico; le lezioni sono solo in lingua inglese; i programmi (di standard internazionale) sono stati compilati in partnership con la School of Pharmacy dell' università di Nottingham ed è prevista ampia mobilità studenti-docenti. «Vogliamo dare ai giovani la chance di lavorare in un qualsiasi Paese Ue e anche oltreoceano - spiega Giuseppe Nisticò, direttore del Centro di Biotecnologie farmaceutiche all' università Tor Vergata e artefice del progetto -. Senza la riserva mentale che, per il salto di qualità, il soggiorno mediolungo nel Regno Unito o negli Usa è un "must"». Gli studenti ammessi al primo corso di laurea saranno 75. Dopo il triennio, sono previste tre opzioni: in Farmacia, in Biotecnologie, e poi l' indirizzo più innovativo, quello Regolatorio: mira a dare una cultura ad hoc per valutare i dossier dei nuovi farmaci prima della messa in commercio. «Il nostro team - aggiunge Nisticò - ha lavorato sodo con quello di Nottingham anche su un focus scottante come la "Farmacovigilanza"». Rivolto invece a un tema di grande attualità come la fitoterapia, è il corso in Farmacia dell' università di Trieste. «Abbiamo scambi regolari con le università di Vienna e di Graz per indagare le infinite possibilità di cura offerte dal mondo vegetale - dice Roberto Della Loggia, preside della facoltà di Farmacia -. E puntiamo a formare professionisti sotto il profilo dell' automedicazione per rafforzare la fiducia che, a monte, viene riposta nel farmacista». All' università di Salerno, la facoltà di Farmacia vuole invece trasmettere (in primis) un know how scientifico, grazie anche ai suoi laboratori di ricerca che sono i più evoluti del Sud Italia. «La missione del nostro corso di laurea è quella di creare i manager del farmaceutico - spiega Francesco De Simone, preside della facoltà -. Ferrati nella Chimica organica per rispondere a molti dubbi dei consumatori-pazienti. I problemi legati alla chimica degli alimenti, agli integratori, all' idrologia, ai controlli ambientali sono di attualità. Inoltre ci confrontiamo con le università di Valparaiso e di Caracas». E per chi mira al Master? In California, la «Rady school of management» di San Diego offre un Mba in Pharmaceutical- Biotech. Bonani Laura ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Apr. ‘08 NUCLEARE, ATTENTI ALLE ILLUSIONI ENERGIA E SVILUPPO LA RICETTA QI CL8 Le centrali progettate e in costruzione non coprono il fabbisogno di quelle da dismettere - Ancora necessari massicci finanziamenti per petrolio e gas di Federico Rendina Liberarci dalla schiavitù degli ~ idrocarburi? Poche illusioni, avverte un luminare dell'energia del calibro di Alberto Cló nel suo ultimo libro, problematico già nel titolo: Il rebus energetico. Ci aspettano - ammonisce Cló - decenni .di dipendenza obbligata da olio e gas. Con molti rischi, noti e da scoprire. E qualche opportunità, da scovare tra gli errori di manovra che stiamo commettendo, nell'illusione che un poderoso riequilibrio verso altre fonti energetiche possa con relativa facilità soddisfare i bisogni del pianeta. Il nucleare? Il futuro sarà forse suo. Ma ora la sua presunta ripartenza rimane bloccata da due macigni: un rifiuto sociale generalizzato, non solo da noi ma a ben guardare in tutto il mondo; la sua incompatibilità economica e finanziaria (cosa ancor più ostica, sottointende C16) con uno scenario di liberalizzazione dei mercati dove i concorrenti devono traguardare il ritorno di investimenti massicci, e dove le vecchie politiche di sussidi pubblici poco si sposano con la concorrenza. Le fonti rinnovabili? Forse risolutive, anche qui in tempi lontani. Ma delicatissime da maneggiare in questa fase di crisi energetica profonda. E ora bisognose, anch'esse, di poderosi incentivi. Nella tecnologia. Nelle installazioni. Nelle sovvenzioni all'energia così prodotta, che altrimenti produrrebbe un prezzo al moltiplicatore. Investire sulle rinnovabili è doveroso, ma calibrando bene gli interventi. Perché si rischia di drenare preziose risorse necessarie al vero problema da risolvere subito: la grande riattivazione degli investimenti sulla nuova capacità produttiva di petrolio e gas, necessaria a sfamare, oggi, il mondo. La visione è davvero problematica, quasi raggelante. Chiarificatrice in ogni caso. Cló ci offre un compendio approfondito di tutte le variabili energetiche di cui dobbiamo tener conto: dalla crescente correlazione tra produzione e consumi alle prospettive di sviluppo delle diverse fonti. «Ricette conclusive non ne ho», dice Cló con falsa modestia. In realtà un richiamo forte lo lancia. Ed è la logica conseguenza della sua puntigliosa anamnesi. Le capacità e le potenzialità d'investimento sui classici idrocarburi vanno strette a tutti, produttori e consumatori. Vanno dunque liberate: Correggendo innanzitutto alcuni evidenti errori nel governo dei processi di liberalizzazione, troppo orientati allo spacchettamento dei mercati e dei gestori e poco attenti ai problemi che anche. ciò crea alle capacità di investimento e di progresso tecnologico nel settore. E questo fa il paio - incalza C16 - con politiche di incentivi un po' strabiche, che assecondano anche le false suggestioni sulle rinnovabili; frenando risorse che vanno comunque indirizzate meglio per risolvere i problemi d'oggi. Qualcuno scorgerà molte assonanze con gli accorati inviti dell’Eni a non farsi tagliare troppo le ali in nome della concorrenza. E qualcuno potrà ricordare la vicinanza tra il nostro campione nazionale e l'illustre professore, ché siede tuttora nel consiglio d'amministrazione dell'Eni. Rimane l'ineccepibile rigore accademico del libro appena dato alle stampe. Qualche dato, qualche passaggio emblematico. Mentre la crescita dei prezzi delle forniture energetiche diventa strutturale, la domanda mondiale di energia decollerà da 6,3 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio del 2006 ai 17,7 miliardi nel 2030, spinta prevalentemente dai Paesi in via di sviluppo (India, Cina, ma non solo). Tutto ciò mentre le tesi estreme sulla disponibilità futura di petrolio e gas rimangono indimostrabili. Nulla prova un'indisponibilità imminente. Molto, al contrario, lascia presagire una buona disponibilità, senza doverci davvero confrontare con le problematiche legate alle teorie dei picchi, per almeno trenta o quarant'anni ancora. Ma sull'onda del petrolio facile degli scorsi decenni si sta ancora investendo poco sulla ricerca e sullo sfruttamento delle nuove riserve. Il problema è che le grandi compagnie petrolifere, che hanno denari e competenze tecnologiche, controllano direttamente non più del 20% delle riserve: Tutto il resto è in mano ai produttori, interessati ora come non mai a privilegiare la redditività a breve, poco capaci o comunque non m grado di mobilitare gli investimenti necessari alla nuova estrazione. E così faticano anche a sostituire l'esistente che si va esaurendo. Di qui la necessità di trovare un nuovo rapporto tra produttori, compagnie, Stati e consumatori. Con la politica, certamente. Con la finanza, probabilmente. In ogni caso con un grande sforzo di fantasia e di capacità, tenendo conto che l’interrelazione tra mercati non lascia spazio a politiche locali. Tranciante, in tutto ciò, la diagnosi di Clò sulle prospettive del nucleare. «Illusorie speranze» recita un intero capitolo del libro. Che fa i conti. Tutte le nuove installazioni nucleari esistenti, quelle in corso d'opera, quelle programmate, non arrivano a sostituire le centrali che stanno per andare fuori servizio: E se negli ultimi anni la produzione è continuata a crescere, ciò è avvenuto solo grazie al maggior tasso di utilizzo delle ormai vecchie centrali atomiche e all'allungamento della loro vita operativa dai quarant'anni iniziali sino ai 60. Certo, il nucleare di oggi è irrinunciabile. Il mondo non potrebbe materialmente produrre quell'energia in altro modo senza entrare violentemente in crisi. Ciò significa che difficilmente potrà rinunciarvi in futuro. Ma alcune cose - avverte Clq - vanno sapute. Non c'è solo la riottosità della gente ad accettare centrali nucleari; in tutto il mondo. Non c'è solo il problema dello smaltimento delle scorie, che in Italia mortifica qualunque tentazione di ripresa del nucleare nostrano. La filiera economico-finanziaria dell'atomo elettrico non lascia spazio a interpretazioni. Massicci investimenti iniziali con tutti i rischi d'impresa che ne derivano. E con la necessità di un modello consortile che coinvolga i giganti tra gli operatori e massicci interventi di sostegno da parte degli stati. Difficile credere che un modello di questo genere possa farsi largo nelle regole e nelle opportunità di uno scenario liberalizzato. «Di illusioni nel nucleare ne abbiamo già patite troppe in passato perché se ne possano alimentare di nuove per il futuro», conclude, caustico, il professor Cló. ______________________________________________________________ Repubblica 11 Apr. ‘08 PARLI COL MONDO IN SEI "CLIC" ECCO QUANTO È PICCOLO IL WEB Dai ricercatori Microsoft l'ultima prova: la teoria dei sei gradi di separazione è vera istanza tra due utenti di Internet pescati a caso é di 6,6 contatti intermedi" RICCARDO STAGLIANÒ Se non ce l'ha il tuo amico, magari il suo. Oppure un conoscente di questa seconda persona, o una frequentazione della terza. Insomma, a forza di chiedere, dovrebbero saltar fuori anche i numeri di telefono di Angelina Jolie o Brad Pitt. Per il poca che ci si può fare. E' la celebre teoria dei sei gradi di separazione, per cui ogni persona nel mondo può «arrivare» a qualsiasi altra attraverso una media di sei intermediari. Ed ha appena trovato una conferma in un ponderoso studio sui flussi di messaggi scambiati via internet. Worldwide Buzz: Planetari Scale Views on an Instant-Messaging Network è il titolo della ricerca effettuata da Eric Harvitz, scienziato di Microsoft Resear ch, e dal suo allora assistente fure Leskovec. I due, avendo accesso ai server del programma di messaggistica istantanea del colosso di Redmond, ne hanno raccolto e analizzato l'andamento durante tutto giugno 2006. E hanno scoperto, tra le altre cose, che la distanza tra due utenti pescati a caso è di 6,6 contatti. Ovvero che attraverso quel piccalo numero di partner di chat ognuno, pur senza saperlo, è legato a un altro. Ciò che rende questo esperimento più attendibile di quelli compiuti sin qui sono le dimensioni. Spiegano i ricercatori nella pubblicazione che sarà presentata ufficialmente durante l’International World Wide Web Conference di Pechino a fine aprile: «Abbiamo raccolto 4,5 terabytes di dati (ovvero 4500 giga, tanto quanto una ventina di dischi fissi di normali pc, ndr), composti da 1 miliardo di conversazioni al giorno per un mese intero». AL di là delle tecnicalità, che pure danno il senso muscolare dell'ampiezza della ricerca, si tratta delle trascrizioni delle intestazioni (non del contenuto del messaggio, giurano) di 30 miliardi di chiacchierate elettroniche tra 240 milioni di persane sparse per il pianeta. Sei gradi di separazione E' la teoria secondo cui ogni persona nel mondo può "arrivare" a qualsiasi altra attraverso una media di 6 intermediari Il primo esperimento "probante" nel 1967 ad Harvard: la psicologo sociale Stanley Milgram distribui 300 lettore a 300 persone prese a caso Alla fine oltre 60 lettere raggiunsero il destinatario prefissato. Cambiando mano, nella maggior parte dei casi, solo 6 volte Nel 2001 il sociologo della Columbia University Duncan Watts replicò con successo un esperimento simile ma can le e-mail L'ultimo esperimento Sono stati raccolti 4,5 terabytes di dati (ovvero 4500 giga, tanto quanto una ventina di dischi fissi di normali ce), composti da 1 miliardo di conversazioni ai giorno per un mese intero II materiale raccolto riguarda 30 miliardi di chiacchierate elettroniche tra 240 milioni di persone sparse per il pianeta I ricercatori Microsoft hanno scoperto che la distanza tra due utenti pescati a caso è di 6,6 contatti Ovvero che attraverso quel piccolo numero di partner di chat ognuno, pur senza saperlo, è legato a. un altro ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Apr. ‘08 BABAGE: ECCO IL PRIMO COMPUTER Una vita di rinunce e sacrifici dedicata alla costruzione della «macchina universale» Mamma, che cosa c'è dentro?» era la domanda che Charles Babbage Fanciullo rivolgeva ostinatamente alla madre ogni volta che questa gli regalava un giocattolo; e finché non c'era risposta adeguata, chi gli stava vicino non aveva pace, tanto era il suo bisogno di verità e di conoscenza della vera «natura delle cose». Si arguisce che furono la medesima ostinazione e sete di sapere a spingere poi Babbage nell'impresa che lo rese celebre agli occhi delle generazioni future: la progettazione di una macchina - a partire dal terzo decennio del XIX secolo - che può considerarsi il prodromo del primo calcolatore elettronico costruito nel 1945. La storia complessa e travagliata di questo progetto si può leggere ora nell’autobiografia Passaggi dalla vita di uno scienziato, a cura di Andrea Villa e con un'introduzione di Vittorio Marchis. Nato a Teignmouth nel 1792 e morto a Londra nel 1871, Socio della Royal Society dal 1816 e chiamato alla cattedra di Newton a Cambridge nel 1828, Babbage dovette coniugare l'intuizione luminosa e profetica di un calcolatore universale con le difficoltà pratiche di realizzazione. Ne è un riflesso biografico l'ibrida combinazione di passione per la vita e di astratta ossessione scientifica, di laboriosa intraprendenza e di angustia o di esiguità dei mezzi di lavoro. Come nacque il progetto di un calcolatore meccanico? Babbage era uomo curioso e versatile, edera innanzitutto un matematico: Tradusse un trattato di analisi di Lacroix, e si persuase che la tecnica dei differenziali di Leibniz fosse più utile e più potente del metodo delle flussioni di Newton. Fu infatti il metodo delle differenze, lo stesso da cui Leibniz dichiarava di aver derivato l'analisi infinitesimale, a suggerire a Babbage come costruire la prima macchina. L'idea era calcolare tutto con catene di numeri, in modo da controllare automaticamente, in base all'ultimo termine calcolato, l'esattezza di ogni termine precedente. Lo scopo più immediato dell’invenzione era infatti di migliorare la precisione delle tavole numeriche allora disponibili, indispensabili all'astronomia e alla navigazione; tavole corredate troppo spesso da interminabili errata corrige, che contenevano a loro volta numerosi errori. Nel 1822 Babbage ultimò il modello sperimentale di una prima "macchina alle differenze", ottenendo un finanziamento dal governo che pareva disposto inizialmente a riconoscere l'utilità pubblica dell'invenzione. Il progetto progredì però tra lentezze e difficoltà economiche che si protrassero per oltre venti anni, durante i quali Babbage concepì pure un modello di calcolatore più avanzato, la "macchina analitica". Dei suoi sacrifici personali egli diceva: «Pochi possono immaginarli e nessuno li conoscerà mai nella loro piena interezza». Quando una parte della prima "macchina alle differenze" fu esibita nel 1862 in una Esposizione Internazionale, in spazi ristretti e con scarsa assistenza di personale qualificato, molti visitatori stranieri non capivano perché la nazione con la più grande marina militare e commerciale del mondo non cercasse di migliorare con quel nuovo strumento le tavole indispensabili alla navigazione, e si chiedevano perfino - racconta Babbage - se gli esaminatori del progetto «non fossero per caso delle bestie». Ma la dignità di scienziato, l'inclinazione all'ironia e la naturale ritrosia a eccitare i propri sentimenti salvarono Babbage da polemiche troppo aspre, così che i suoi rapporti con il governo si mantennero nei limiti di una misurata cortesia e di qualche nota sarcastica. Oggi si tende a vedere nel progetto di Babbage l'archetipo meccanico del moderno calcolatore digitale. Già con la macchina analitica,infatti,l'intera aritmetica sembrava "alla portata del meccanismo": parole che John von Neumaun avrebbe usato quasi identiche in una lettera a Wiéner del 1946, riferendosi alla recente costruzione del primo calcolatore elettronico. Anche gli ingranaggi c le pesanti colonne verticali della "macchina alle differenze" erano assemblati in modo da "realizzare" formule astratte dell'analisi,per mezzo di procedure che si risolvevano in movimenti meccanici. L'intrinseca complessità del progetto,che spiega in parte gli ostacoli incontrati da Babbage,non era solo di natura tecnologica, ma riguardava anche lo studio teorico delle procedure. Ed era proprio da qui che nasceva pure la "hybris", la visione utopica di una potenza illimitata del calcolo. Tra gli espedienti che servivano a realizzarla c'era quello di dividere ripetutamente i problemi aritmetici in sottoproblemi analoghi di dimensione più piccola: un'idea che divenne la base intuitiva del concetto di algoritmo, e un criterio per riconsiderare la potenza, ma anche i limiti e l'imprevedibilità dei processi automatici. O Charles Babbage, «Passaggi dalla vita di uno scienziato», Utet, Toirno, pagg. XIII-414, € 22,00. ======================================================= __________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Aprile CAGLIARI, RADIOTERAPIA D'AVANGUARDIA Mar.B. Mai più viaggi della speranza nella Penisola per curarsi da tumori più o meno gravi. L'oncologia in Sardegna prova a voltare pagina con l'apertura, nei giorni scorsi, del nuovissimo centro di radioterapia e medicina nucleare di Cagliari, tra i pochissimi in Italia in grado di erogare trattamenti radioterapici con tecnologia 4d. La struttura lavorerà in rete con le sedi di Sassari e Nuoro e conquista il secondo posto in Italia (e tra i primi in Europa) dopo il San Raffaele di Milano per numero di acceleratori lineari e complessità tecnologica. Saranno almeno 2mila i pazienti che potranno essere trattati ogni anno nel nuovo centro appena inaugurato, in pratica metà dell'utenza dell'intera Sardegna. Nell'immediato si ridurranno radicalmente - secondo le stime dell'Asl di Cagliari - i viaggi extraregione delle pazienti con il cancro della mammella e di quelli con tumore del polmone e della prostata, tre neoplasie tra le più frequenti nell'isola. Ma le altre priorità saranno i trattamenti combinati radiochemioterapici dei carcinomi della testa e del collo e del retto. La nuova struttura farà, inoltre, sistema con l'ospedale Microcitemico di Cagliari per il trattamento dei tumori infantili (attualmente la maggior parte dei casi vengono inviati a Padova, all'Istituto tumori di Milano o all'Ist di Genova). Saranno, infine, trattati i tumori della cute (molto frequenti in Sardegna). Il settore della radioterapia, con 20 posti letto, dovrà dare risposte ai pazienti che necessitano di trattamenti radiochemioterapici e di multifrazionamenti di radioterapia nonché di tecniche speciali quali la brachiterapia, la «Total skin irradiation» e l'ipertermia. Tra i macchinari in dotazione ci sono quattro acceleratori lineari che utilizzano tecniche 3d, 4d e Imrt («Intensity modulated radiation therapy»). A questi poi si aggiungono i due acceleratori già presenti al Businco. La medicina nucleare sarà, invece, dotata di macchinari Ctpet e Ctspect. La nascita del Centro di radioterapia e medicina nucleare è inserito nella più vasta opera di ristrutturazione e riorganizzazione dell'ospedale oncologico Businco. I lavori - durati 36 mesi - sono stati consegnati lo scorso 28 marzo. Fino al 30 maggio sarà avviata la fase finale del training del personale e i test operativi sulle attrezzature. Il 25 maggio è prevista l'inaugurazione della Ct Pet e il 30 maggio sarà effettuato il primo trattamento radioterapico su un paziente. L'apertura al pubblico è prevista per l'11 giugno. Mentre il 20 giugno si terrà un Congresso internazionale che prevede la partecipazione dell'oncologo Umberto Veronesi. Per la realizzazione di questo nuovissimo centro all'avanguardia, l'Asl di Caglia ha fatto ricorso al project financing, che è stato gestito interamente da Siemens. ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 apr. ’08 ENTRO IL 2008 LISTA D’ATTESA AZZERATA» Parla Pietro Gabriele direttore del dipartimento regionale di radioterapia CAGLIARI. Il 30 maggio le prime quattro pazienti della lista faranno la radioterapia nel reparto nuovo dell’ospedale oncologico, sono donne operate di tumore alla mammella. A poco a poco, verranno avviate alla terapia con una elevata concentrazione di raggi X altre persone, malate di tumori diversi: la lista d’attesa sarà azzerata entro Natale 2008. Lo spiega Pietro Gabriele, ormai per tutti (l’ha annunciato l’assessore alla sanità Dirindin) il direttore del dipartimento regionale oncologico della Sardegna, lui ha impostato la rete della radioterapia sarda. Ha 57 anni, viene da Candiolo dove funziona uno dei quattro principali centri italiani di radioterapia, da 25 anni frequenta con la famiglia il mare della Sardegna. Per l’isola, la sua venuta in pianta stabile segna la svolta verso l’eccellenza in un settore ufficialmente carente fin dall’origine. E per lui? Perché è venuto questo medico di reputazione professionale eccellente, animatore di un centro rinomato nella Penisola? «Non lo so. Direi che la motivazione profonda è nella sfida. Era una sfida avviare tutto, è una sfida far diventare il centro quello che deve essere: un luogo dove ci si cura ai livelli professionali e tecnologici più alti, dove i pazienti possono avere fondate aspettative di guarigione ». C’è anche un suo interesse verso l’università. «Corrisponde al vero. In Piemonte abbiamo avuto diversi giovani medici sardi in addestramento: bravi, capaci di farsi valere, ma senza prospettive di crescita. Per un medico il primo successo è quello di disporre di una preparazione elevata. E il primo vero successo del progetto della radioterapia sarda è stato far rientrare in Sardegna tre sardi, medici radioterapisti bravi, che lavorano in tre centri di alto livello, ben diretti e collocati in città di grande vivibilità come Ferrara, Bolzano e Trento. Ebbene il loro rientro è un messaggio di qualità, il nostro impegno sarà non farli pentire: questo si ottiene dando loro la possibilità di trattare al meglio i pazienti. Altri verranno da fuori, attraverso il concorso nazionale che è stato fatto: un vincitore è un medico sardo, gli altri arrivano da Milano, Torino e da Roma, dall’università Cattolica, lasciano centri importanti perché hanno capito che qui c’è un progetto ». La radioterapia guarisce? «La sfida è proprio questa: fare in Sardegna la stessa radioterapia che guarisce di altri centri italiani ed europei. Si ricordi però che per la guarigione è fondamentale il momento della diagnosi». Tratterete tutti i tumori? «Sì. Cominciamo con la mammella perché la metà dei pazienti che fanno la radioterapia all’Oncologico di Cagliari sono donne con questo tumore. Non si comincia subito con gli altri perché bisogna che i diversi medici che lavoreranno insieme si conoscano professionalmente, si affiatino ». Quanto tempo ci vorrà? «Confido che in sei, otto mesi, si tratteranno tutti i tumori. Compresi quelli dei bambini, quelli delle parti molli, del cervello e del collo». La radioterapia sostituisce la chirurgia o la affianca? «Dipende dal tumore. In alcuni casi è sostitutiva, in altri si cerca di sostituirla alla chirurgia perché evita le conseguenze dell’invasività. Ma, attenzione, questo non significa che i radioterapisti si sostituiscono agli altri medici specialisti. Faccio un esempio: il radioterapista che interviene su un tumore della faringe ha bisogno dell’otorino perché la diagnosi deve essere di precisione estrema. Un grande centro fa crescere tutto in qualità, anche i rapporti professionali fra colleghi». Il manager ha annunciato un convegno che accompagnerà l’avvio del centro: il tema? «La teragnostica, traduzione del termine coniato da un medico inglese che individua la diagnostica per immagini (fatta con macchinari Tac, Pet ecc.) al servizio della terapia. La data è il 20 giugno, il centro funzionerà di già». (a.s.) ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 apr. ’08 LA LENTA AGONIA DEL PIANO SANITARIO DI FRANCO MELONI Il Piano sanitario regionale rappresenta un tale concentrato di propositi, promesse e impegni futuri da far sorgere il fondato sospetto che difficilmente possa stare in piedi così com’è. Sospetti legati, oltre che alla insussistenza dei presupposti di filosofia sanitaria che ne stanno alla base, anche alla complessità ideologico-burocratica: doveva essere un documento semplice e ben strutturato ma durante il suo iter è stato progressivamente zavorrato di uno spropositato numero di adempimenti solo tratteggiati e la cui esecuzione veniva rinviata a date e provvedimenti successivi. Nel Piano sono identificati ben 65 obbiettivi generali che vanno dalle malattie ad alta specificità nell’Isola alle patologie con maggiore incidenza epidemiologica, dalla prevenzione alla sicurezza sul lavoro, dalle norme di tipo organizzativo puro (esempio, quelle sui distretti) a quelle specifiche per l’infanzia o per lo sport e così via. Ognuno di questi obbiettivi generali è poi articolato in una o più azioni specifiche volte, congiuntamente, a consentire il raggiungimento dello scopo prefissato. Queste azioni sono la bellezza di 225 e hanno scadenze temporali che vanno da pochi mesi all’intero triennio di valenza del Piano: è infatti evidente che mentre per la costituzione della "Consulta regionale per il diabete" possono bastare 60 giorni, per costruire il nuovo ospedale di Cagliari saranno necessari anni. Dopo l’approvazione del Piano e a pochi mesi dalla sua scadenza, di tutta questa mole di provvedimenti attesi e indispensabili per avviarne la realizzazione ne sono arrivati poco meno di una trentina, molti dei quali solo parziali. Questo non significa affatto che uno o più degli obbiettivi stabiliti sia stato davvero raggiunto ma solo che sono stati adottati degli atti che, se tutto andrà secondo le previsioni e se tutti collaboreranno nella maniera più adeguata, in un futuro più o meno vicino forse qualche obbiettivo sarà raggiunto. Fino ad ora diciamo pure che sono stati costituiti alcuni organismi consultivi, tipo le commissioni oncologica, nefrologica, diabetologica; istituito (sulla carta) il dipartimento di radioterapia, approvate un po’ di linee guida assortite, qualche protocollo; e qui siamo, purtroppo per i sardi, senza grandi ripercussioni positive sui servizi. Nessun provvedimento, o quasi, nel settore dell’urgenzaemergenza e delle patologie a particolare rilevanza sociale, zero nelle malattie cardiovascolari e nell’ictus mentre i provvedimenti per l’area della prevenzione si sono persi per strada. Capitolo chiave del Piano è quello della salute mentale e qui bisogna dare atto alla Regione di aver provveduto a tutti o quasi gli adempimenti che si era fissata ma, considerata la guerra in corso nel mondo della psichiatria sarda, forse è meglio stendere un velo pietoso. A merito della Giunta va invece la parte che riguarda la razionalizzazione dei servizi riabilitativi territoriali dove però si è proceduto, pur in una direzione sostanzialmente condivisibile, con le abituali sensibilità e attenzione per le esigenze dei pazienti e delle loro famiglie, cioè nessuna. La parte del Piano che è stata implementata con maggiore determinazione è quella del governo economico del sistema dove, con diversi provvedimenti di forte impatto - alcuni addirittura precedenti il Piano - si è agito sulla riduzione del tasso di ospedalizzazione, sul sostanziale blocco della spesa delle strutture private accreditate e sul controllo della spesa farmaceutica, settori dove ci sono stati risultati degni di nota ma con anche pesanti conseguenze negative. Vedremo più avanti se il prezzo pagato valeva la candela. In sintesi, il quadro attuale mostra da un lato una Regione fortemente impegnata verso tutte le possibili misure di governo della spesa e, dall’altro, quasi come un pizzaiolo impazzito in un cartone animato, impegnata a sfornare una raffica di provvedimenti a pioggia spesso poco più che cosmetici (e comunque quasi sempre solo di carattere preliminare), con il risultato che la spesa è - relativamente - sotto controllo ma la qualità e la quantità del servizio peggiorano o, nei casi migliori, restano immutate. ______________________________________________________________ Espresso 10 Apr. ‘08 MALATTIE MENTALI: UN TEST PIENO DI POLEMICHE di Laura Margottini Potrebbe rivoluzionare la psichiatria. O rivelarsi del tutto inutile, se non addirittura dannoso. In ogni caso, negli Usa, il primo test per individuare la predisposizione genetica alle malattie mentali è già sul mercato. Nonostante le polemiche. Si chiama Psynome, costa ?50 dollari e si ordina su Internet. II kit per raccogliere il campione di saliva su cui verrà eseguita l'analisi arriva direttamente a casa. Ne basta una goccia per svelare se nel Dna siano presenti le varianti genetiche connesse al rischio di sviluppare il disturbo bipolare, una patologia che altera pericolosamente i meccanismi dell'umore e colpisce in media l’ 1 per cento della popolazione adulta. John Kelsoe, psichiatra genetista all'Università della California e padre di Psynome, sostiene che il test aiuterà pazienti e medici, riducendo drasticamente i tempi per la diagnosi della malattia, che oggi richiede in media sette anni. Analizzando il Dna di centinaia di famiglie, Kelsoe ha riscontrato che quando due particolari varianti del gene Gkrs sono presenti nel patrimonio genetico, il rischio di sviluppare la patologia potrebbe raddoppiare. Il condizionale, però, è d'obbligo. Perché, come ha dichiarato alla rivista "Science" il genetista statunitense Francis Collins, capo del Progetto Genoma Umano, non è dimostrato quali siano i geni realmente coinvolti nel disturbo bipolare, che è considerato una malattia complessa, dove i fattori ambientali incidono quanto quelli genetici. Anche gli scienziati britannici disapprovano la mossa commerciale di Kelsoe, che comunque prevede di vendere 30 mila gene test in cinque anni. « I geni individuati da Kelsoe potrebbero giocare un ruolo nel disturbo bipolare, ma la loro presenza nel Dna non significa che si svilupperà la malattia», commenta David Collier, psichiatra genetista all'Istituto di Psichiatria di Londra. «AI momento i test genetici applicati alla psichiatria, pur essendo interessanti per la ricerca di base, possono solo generare paure inutili nelle persone. Specie se venduti direttamente su Internet. Perché se i professionisti non sanno come interpretarne i risultati, figuriamoci i singoli pazienti». Safa dei neuroni al Museo tedesco dell'Igiene. a Dresda. In basso: mamma con bebè a Ituri, Repubblica Democratica del Congo ______________________________________________________________ Il GIornale 1 Apr. ‘08 QUANDO LA MEDICINA SUPERA LE DISTANZIE Teleconsulto in tempo reale, tra medici, per lo scambio di opinioni cliniche. Assistenza del paziente attraverso la televisione. Apparecchi interattivi. Sistemi di videoconferenza e referti medici via internet. II "medico" del nuovo millennio si chiama Telbios. Una joint-venture tra l'Ospedale San Raffaele di Milano, Alenia Spazio,Telecom Italia e Value Partners. Che ha fatto del connubio Sanità e tecnologia il proprio cavallo dl battaglia di Federico Massari Contribuire ad affinare la qualità dell'assistenza medica avvicinando tra loro medici e malati, per una Sanità migliore e più efficiente. Questo è l'obiettivo di Telbios. Lawentura della società, leader in Italia nella progettazione di servizi e reti integrate di telemedicina, apre i battenti nel 1996 partendo dalle competenze specifiche di partner portabandiera nei campi della Sanità e della ricerca. Avvalendosi della collaborazione derivata dai propri azionisti come Telecom Italia, Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, Alenia Spazio e Value Partners, nel giro di soli dodici ann i7èlbiosèdivenuta mlaverae propria realtà di caratura internazionale. I servizi svolti dalla società. Per consenti re di rispondere al meglio alle esigenze dei pazienti ovunque si trovino e in qualunque circostanza, si dividono in tre sezioni ben distinte fra loro: teleassistenza, telecardiologia e telemonitoraggio. Queste funzioni garantiscono la continuità delle cure a Sfrontate in ospedale e il costante monitoraggio dello stato di salute, riducendo in questo modo il numero delle visite di controllo e i ricoveri impropri. Inoltre, per mezzo di videochiamate e videoconferenze, anche da terminale mobile è possibile trasferire dati relativi ai parametri fisiologici e allo stile di vita degli utenti, e ricevere sul televisore di casa l'interpretazione del personale medico del Centro Servizi d i Telemedicina. «Siamo l’unica società italiana che possiede all'interno di una compagine industriale un socio che è rappresentato da un ospedale. Il San Raffaele collabora nella ricerca e nello sviluppo di nuove soluzioni che noi di Telbios svilupperemo congiuntamente ai medici dell'Istituto, per valutare se dal punto di vista scientifico che tecnologico che questi servizi siano realizzabili e proponibili per essere immessi sul mercato italiano». Così esordisce Leopoldo Genovesi, ingegnere e amministratore delegato di Telbios,intervenendo sul felice sodalizio instaurato con l’Istituto scientifico milanese: «Telbios fruisce del supporto di un comitato scientifico permanente - continua Genovesi - composto da personale medico di fama internazionale e da professionisti operanti nel mondo delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni. La joint-venture con Telecom Italia è nata nel 2003, e fino a ora ha dato ottimi risultati». Infatti la società presenta ricavi in forte crescita passando dagli 8 milioni di curo del 2005 ai 13 milioni di curo dei 2006, per arrivare a toccare i 18 milioni di curo ne12007. «La società ne11996 iniziò la sua avventura come consorzio fra l'allora Alenia Spazio e l'Istituto San Raffaele di Milano. Con l'ingresso di Telecom Italia, a cavallo del 2003-04, si fece un nuovo piano industriale e ci tramutammo in una società per azioni. Nel 2004 abbiamo cominciato con 4 milioni di curo di ricavi, per arrivare a una proiezione di 25 milioni di curo per la fine del 2008. Una forte componente del fatturato viene investita nell'innovazione all'interno di progetti in collaborazione con l’Agenzia Spaziale europea, l’Agenzia Spaziale italiana e, non ultima in ordine di importanza, l'Unione Europea». Le esperienza delle forze armate italiane nella telemedicina è cominciata nel 2005, quando i primi militari furono inviati in Bosnia per contribuire all'applicazione degli accordi di pace di Dayton, dando alla luce una costruttiva serie di interventi militari umanitari nei Balcani. Athena Tmd, rete satellitare di telemedicina messa a punto da telbios per il ministero della Difesa, festeggia un livello di eccellenza unico in Italia, da primato europeo. «La necessità di garantire un supporto sanitario plurispecialistico ai militari e alla popolazione civile - spiega ancora Genovesi - tenendo conto delle limitate risorse disponibili e della distruzione delle infrastrutture, ha determinato lo sviluppo di un sistema di telemedicina via satellite». Da questo presupposto nasce Shared, il primo progetto di telemedicina per la Sanità militare. Nel settembre del 1991, viene effettuato il primo collegamento tra gli ospedali Celio a Roma> San Raffaele a Milano, Sarajevo con l'ospedale da campo dell'esercito italiano. II supporto tecnologico, garantito dall'Agenzia Spaziale europea, mette a disposizione le attrezzature di terra come le antenne, le stazioni grafiche, l'apparecchiatura per effettuare la videoconferenza e il ponte satellitare. «Siamo l'unica società italiana ad aver costituito un collegamento dalle sedi militari al Poli clinico Militare Celio di Roma del ministero della Difesa - conferma Genovesi -. Stiamo cercando di esportare questo modello anche al di fuori dei confini italiani, soprattutto in quei Paesi che sono presenti, come l’Italia, in luoghi dove la guerra è in corso, come per esempio a Talill in Iraq e a Belo Polje i n Kosovo. Un servizio essenziale per l'assistenza sanitaria ai militari impegnati in diversi teatri operativi». Da allora sono passati 10 anni e di strada ne è stata fatta parecchia: le migliaia di interventi effettuati con successo sono la testimonianza più evidente. La telemedicina entrerà concretamente a far parte della vita del cittadino: «È previsto il servizio di assistenza territoriale che verrà irradiato tra le regioni della penisola -chiarisce Genovesi - in modo da migliorare la cura dei cittadini che non dovranno più essere ricoverati ma saranno monitorati a distanza dagli ospedali, semplicemente attraverso il televisore di casa che fungerà da strumento di dialogo fra i pazienti egli operatori sanitari». Il nuovo servizio di telemedicina sarà compatibile con tutte le reti di comunicazione a banda larga disponibili> come quelle terrestri, mobili e satellitari, che assicureranno ai cittadini di poterne fruire ovunque si trovino, anche negandoli più bui, remoti e nascosti del globo terrestre. Sono da poco stati presentati i risultati del primo anno di sperimentazione di "Respect", la rete di telemedicina della provincia di Messina per il trauma cranico, ultimamente estesaancheperiltrattamentodell’ictuscerebrale.Irisulrarisonostati estremamente positivi: riduzione del tempo tra il ricovero ospedaliero nel centro periferico ed il trattamento specialistico, da 160 minuti a poco più di 40 minuti, miglioramento dell'assistenza sanitaria con adesione totale alle linee guida per il trattamento del trauma cranico e diminuzione del 52 per cento dei trasferimenti presso il Policlinico di Messina dai centri ospedalieri periferici,con una sensibile riduzione dei disagi per i pazienti e dei costi per il Servizio Sanitario. Per quanto concerne il progetto "CytoCare", primo robot in grado di preparare automaticamente in ambiente sterile i farmaci oncologici> veniamo informati direttamente da Andrea Mason, il responsabile dell'area innovazione e marketing della società. «Dopo anni di esperienza, è emersa questa nuova tecnologia che permette, tramite un robot e dei sistemi automatizzati, di preparare i radiofarmaci monodose per la radioterapia, in un ambiente sicuro per l'operatore econuollato in modo da poter risparmiare la quantità d'uso del radiofarmaco. Si tratta di lavorare con preparati molto costosi che non possono essere sprecati. Queste modalità sono interessanti per riuscire ad essere costantemente presenti nel mondo dell'innovazione tecnologica e nei servizi di Sanità». ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 apr. ’08 ANESTESIA, DODICI ALLIEVI SUPERANO IL LORO MAESTRO Sanità. Concorso al Policlinico, medico del Brotzu battuto dagli specializzati L’allievo supera il maestro. Anzi, gli allievi, ben dodici, battono il loro ex professore. Un caso che fa scoppiare la polemica tra l’azienda Brotzu e la facoltà di Medicina. O meglio tra il primario ospedaliero del reparto di Anestesiologia, Giovanni Manduco, e il direttore della scuola di specializzazione di Anestesia dell’Università, Gabriele Finco. La materia del contendere è il recente concorso per l’assunzione di anestesisti al Policlinico universitario. Avanza la candidatura, tra i numerosi giovani specializzati, anche Maurizio Cocco, medico del Brotzu dove svolge, tra le altre funzioni, anche il compito di insegnare agli specializzandi in Anestesia provenienti dalla facoltà di Medicina, come previsto da un protocollo d’intesa siglato alcuni anni fa tra l’ospedale e l’Università. Una candidatura strana perché un dirigente ospedaliero può semplicemente chiedere il trasferimento da una struttura a un’altra, anche se universitaria. Fatto sta che Cocco svolge il concorso e dopo la prova scritta viene giudicato in termini di mediocrità e superato da alcuni ex allievi. La polemica, con tanto di lettera inviata da Manduco a Finco e al preside di Medicina, Gavino Faa, s’infiamma a concorso ultimato: il medico, definito dal suo primario il più incline all’insegnamento, il più universitario, stimato e autore di lavori scientifici accreditati a livello nazionale , finisce al tredicesimo posto dietro quelli che sono stati i suoi allievi. Manduco nella lettera sbotta: «Non sarà che una cupola abbia taroccato il concorso?» Poi fa retromarcia: «Il pensiero si è dissolto subito dalla mia mente lasciando spazio all’unica verità: il servizio di Anestesia del Brotzu e il dottor Cocco sono mediocri. Quindi», conclude il primario rivolto a Finco, «per evitare di annacquare la preparazione degli specializzandi, la prego di astenersi di mandarli a frequentare le sale operatorie del nostro ospedale». Dalla facoltà di Medicina la replica è pacata: «Sono molto dispiaciuto», dice il preside Gavino Faa, anche presidente nazionale del collegio dei professori ordinari di Anatomia patologica, «perché non mi aspettavo questo fulmine a ciel sereno. È una lettera spiacevole e indelicata. Spero che il dottor Manduco abbia perso per un attimo il controllo di sé stesso. Se così fosse siamo pronti a chiarire tutto e a dimenticare l’episodio. Se invece è cambiato qualcosa nei rapporti con l’azienda, ipotesi che scarterei vista la grande collaborazione con la direzione del Brotzu, ce lo faranno sapere». MATTEO VERCELLI ___________________________________________________________________ L’Altra Voce 11 apr. ’08 CONCORSO-BEFFA PER ANESTESISTI: BOCCIATO AL POLICLINICO "PROFESSORE" DEL BROTZU PROMOSSI TUTTI I SUOI ALLIEVI SPECIALIZZANDI Al “Brotzu” ma anche all'Università, ben oltre la Facoltà medica, non si parla d'altro. Da anni, i medici specializzandi in anestesiologia operano nel grande nosocomio potendo contare su un “terreno di gioco” di 13 sale operatorie, al fianco di 32 anestesisti, molti dei quali in veste di tutor per le “reclute”: su richiesta e in collaborazione con l'Università. A capo del “servizio istruzione reclute”, il primario del Brotzu, Nanni Manduco, ha da tempo indicato Maurizio Cocco, per la sua particolare attitudine “universitaria”, la preparazione e l'esperienza testimoniata da molti riconoscimenti e numerose pubblicazioni scientifiche. Apprezzato anche dagli allievi e naturalmente a livello universitario, come coordinatore dell' ”istruzione” specifica. En passant, coinvolto nelle tesi di molti degli stessi specializzandi. Qualche tempo fa, Cocco annuncia a Manduco l'intenzione di partecipare a un concorso per l'assunzione di anestesisti per il Policlinico Universitario, diretto dal prof. Raffaele Finco. Una scelta di vita e professionale, che il primario non ostacola. Cocco affronta il concorso e si trova fianco a fianco con gli specializzandi suoi allievi al Brotzu. Nelle prove scritte, non ottiene più di un giudizio di mediocrità. Ma alla fine del concorso, con relativa graduatoria, viene fuori un risultato a dir poco grottesco. Il “professore” è appena 13º: escluso, perché i posti da assegnare sono undici. L'aspetto incredibile è che è classificato dietro tutti o quasi i suoi “allievi” che ha appena formato al “Brotzu”. Qualche allievo eccezionale che superi il maestro non è infrequente. Ma che tutti, freschi di studi e preparazione, risultino più preparati teoricamente e nelle prove pratiche di un professionista con lunghi anni di studi e di attività sul campo, anche come loro “docente”, è una faccenda che mette sotto accusa non Cocco bensì il sistema dei concorsi medici, le selezioni spesso pilotate, magari taroccate se non, come frequentemente si è accertato, proprio oggetto di veri falsi. La vicenda è talmente scandalosa da non poter passare sotto silenzio nonostante le consuete coperture corporative. Intanto per i paradossali effetti esterni. Se “il professore” è talmente scadente da finire agli ultimi posti, escluso dalla graduatoria degli assunti, cosa mai potranno valere gli “allievi” istruiti da lui, benché vincitori in danno del “maestro”? Quale serietà si può attribuire ai corsi, o meglio, al concorso con questi risultati grotteschi? C'è anche un punto d'orgoglio professionale e per conto del “Brotzu”. E' l'intero ospedale, anche oltre il settore anestesiologico, a beccarsi un ceffone ridicolo ma bruciante. Prima e da sempre richiesto di essere la qualificata “palestra” per gli specializzandi che l'Università non può formare sul campo. Poi, quando il responsabile della struttura si propone per il Policlinico di cui specializza i futuri anestesisti, viene bocciato: come un pivello. Una vicenda tragicomica che viene giustamente denunciata dal responsabile del “Brotzu”, Nanni Manduco, con una lettera puntuta e graffiante al suo omologo del Policlinico, al preside della Facolta di medicina Gavino Faa e naturalmente al manager dell'ospedale, Mario Selis. Superfluo dire che l'intero nosocomio si riconosce con forza dietro la denuncia e non solo per la notoria insofferenza tra universitari e ospedalieri: stavolta c'entra fino a un certo punto. La commissione “bocciante” non era (non poteva essere) presieduta da un universitario. Sotto accusa, fatto a pezzi nella credibilità di un caso concretissimo, è il sistema dei concorsi e gli strani giochi tra, pro-contro, i camici bianchi. Ovviamente il giudizio della commissione nulla toglie al prestigio professionale di Maurizio Cocco. Semmai demolisce il suo e del sistema. Una storia così penosa che non può restare sotto silenzio. Richiede che si esprimano il preside di Medicina, i responsabili sanitari del Policlinico, il manager dell'Azienda mista Ninni Murru. Senza buttare la polvere sotto il tappeto. È tossica, va portata allo scoperto, spazzata via. Per non farci ridere dietro in tutta Italia (AV) ___________________________________________________________________ L’Altra Voce 11 apr. ’08 BASTA CON GLI SPECIALIZZANDI AL BROTZU: SIAMO INCAPACI, ISTRUITELI ALL'UNIVERSITÀ" Ecco il testo della lettera inviata dal dott. Giovanni Battista Manduco, responsabile di Anestesiologia e del Dipartimento di emergenza del “Brotzu”, al prof. Gabriele Finco, direttore della Scuola di specializzazione di anestesia e rianimazione dell'Università, al preside della Facoltà di medicina prof. Gavino Faa e al direttore generale dell'Azienda Brotzu, dott. Mario Selis. Egregio professor Finco, con la presente intendo ammettere la mia incapacità e conseguente impossibilità e indisponibilità ad onorare l'offerta di collaborazione da Lei fattami riguardo la partecipazione alla formazione teorico-pratica degli specializzandi da realizzarsi presso il Servizio di Anestesia dell'Azienda Ospedaliera Brotzu da me diretto. Sia Lei che i suoi predecessori mi avete generosamente coinvolto nel programma formativo forse influenzati e condizionati dal luccicante teatro che vi ho messo a disposizione: 13 sale operatorie dotate di tecnologie avanzate dove 32 anestesisti operano su pazienti affetti da patologie riferibili alla Chirurgia d'Urgenza, Ortopedia e Traumatologia, Ginecologia, Ostetricia e Analgesia del Parto, Cardiochirurgia, Cardiologia Pediatrica, Emodinamica; Chirurgia Toraco Vascolare, Epatica, Oculistica, Maxillo Facciale, Plastica, Urologia, nonché trapianti di cuore, rene, fegato, pancreas, cornee e un Centro di Terapia Antalgica. L'accoglienza e l'inserimento degli specializzandi dei 4 anni di corso, la loro assegnazione alle diverse specialità chirurgiche, la scelta degli anestesisti tutor, la verifica del grado di apprendimento, veniva fatta seguendo un programma formativo teorico-pratico che vedeva come figura di riferimento e di coordinamento il Dott. Maurizio Cocco. Perché il Dott. Cocco? Perché, a mio giudizio, è il più incline all'insegnamento, il più “universitario”. Brillantemente laureato e specializzato, lavora da più di 10 anni al Brotzu ricevendo attestati di stima per le sue capacità professionali sia da parte del sottoscritto che dei colleghi anestesisti e chirurghi tutti; ha pubblicato su riviste nazionali accreditate 20 lavori scientifici; ha organizzato, partecipato, in veste di relatore, a numerosi meeting, congressi e incontri scientifici; ha, da molti anni, incarichi di insegnamento presso la scuola di specializzazione; si occupa con impegno e competenza dell'iter formativo teorico-pratico degli specializzandi da Lei destinati alla frequenza nel nostro ospedale; ha compilato, come Lei ben sa, numerose tesi di laurea e di specializzazione. Bene, il Dott. Cocco, qualche tempo fa, mi comunica la sua intenzione di voler partecipare al concorso per l'assunzione di anestesisti destinati al Servizio di Anestesia del Policlinico Universitario che Lei dirige: una scelta di vita, la sua, che io non ho contrastato. Si arriva dunque al concorso e i risultati non sono proprio brillanti: giudicato alla prova scritta in termini di mediocrità e quindi superato nella graduatoria provvisoria da alcuni dei suoi ex allievi; bene, penso io, probabilmente è vero che, a volte, un buon maestro forgia allievi destinati a superarlo. Però in questo caso Giotto non docet, perché a concorso ultimato in tutte le sue varie prove, giovani e inesperti neospecialisti che superano in graduatoria l'ex maestro sono ben 12, in barba ai titoli scientifici, di carriera, e validità delle prove concorsuali sostenute, assolutamente non conosciute preventivamente. Sconsolatamente tredicesimo. In me si realizza repentinamente un pensiero maligno: non sarà che questa società bacata, dove hanno diritto di alloggio e potere decisionale, figure squallide, nani focomelici di cultura asinina andati avanti per soli accozzi e intrallazzi, non sarà che tale sistema abbia qualche sua metastasi anche e persino in campo medico? Sarà mai possibile che una cupola miserabile abbia taroccato il concorso e per lerci motivi di interesse e di invidia abbia voluto umiliare un medico puro, capace, onesto ed entusiasta del suo lavoro e contemporaneamente gettare una palettata di merda sul Servizio di Anestesia dell'Ospedale n. 1 della Sardegna, sul suo Direttore e quindi sull'intero Brotzu? Le assicuro però che questo ignobile pensiero ha avuto la durata di un flash e si è immediatamente dissolto quando mi è stata resa nota la composizione della Commissione di concorso, segnatamente nella figura del presidente che, uomo di spiccata e riconosciuta dirittura morale ed intellettuale, ancorché strutturato su solide basi scientifiche e pratiche, è garante integerrimo della validità e correttezza delle valutazioni e conseguente graduatoria dei candidati. Quindi l'iniziale sospetto ha lasciato il posto all'unica, seppur sconsolante, amara verità: il Dott. Cocco e l'ambiente che lo ha espresso, il Servizio di Anestesia e tutto l'Ospedale Brotzu, meritano quel giudizio di mediocrità e quindi la conseguente posizione in graduatoria se, come è vero, la Commissione giudicatrice è, come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto. Prendendo, quindi, atto della nostra condizione di acclarata e manifesta incapacità didattica e formativa che vede allievi incomparabilmente più preparati degli insegnanti, per non rischiare di inficiare e di annacquare la preparazione dei suoi specializzandi, La prego di astenersi dal mandarli a frequentare le sale operatorie del nostro ospedale, i nostri anestesisti, compreso il loro Direttore”. Giovanni Manduco __________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Aprile LA GESTIONE DELLE SCORTE BASATA SUL CONSUMO REALE «Basta fare un Kanban per realizzare risparmi del 25%» Serve il giusto livello di tecnologia - Ingegneri clinici sempre più coinvolti Il consiglio: sfruttare le metodiche giapponesi di lean production C. Raf. L'idea per lo sviluppo di una logistica intelligente è dunque semplificare i processi, in un'ottica di razionalizzazione. La comparazione con altri Paesi è importante. Le logiche sanitarie, le normative, le disponibilità economiche sono diverse tra le nazioni occidentali, ma in tutte esiste un fattore comune: il paziente. Già nell'anno 1202, quando gli ospedali nascevano solo per iniziativa degli ordini religiosi, Papa Innocenzo III poteva scrivere nella bolla istitutiva dell'Ospedale Santo Spirito a Roma una frase di straordinaria modernità e valore: «I veri padroni dell'ospedale sono i malati». Oggi, l'espressione si tradurrebbe nella formula della «centralità del paziente». E quindi certe metodiche possono essere rese comuni. L'analisi eseguita dal nostro gruppo, in molte realtà ospedaliere pubbliche e private in Europa e Usa, indica come l'approccio tecnologico sia un utile supporto a una corretta organizzazione e non viceversa. In questo senso, la motivazione e il coinvolgimento del personale - come già avvenuto nelle grandi aziende internazionali - nel processo di cambiamento è indispensabile. L'approccio che riteniamo più efficace per attuare i processi di re-engineering in ospedale è a due step: un primo approccio top-down in cui la Direzione Ospedaliera deve fornire le linee guida e garantire, per tutta la durata del percorso, il sostegno; un secondo momento, ben più esteso in termini di impegno e durata, di tipo bottom up in cui il personale costruisce il modello più consono alla realtà in questione. Un aiuto a questo processo giunge dalle metodiche giapponesi, dette di lean production, che mirano alla semplificazione delle procedure e alla riduzione delle attività, eliminando tutto ciò che non apporta valore, cioè non è riconosciuto, dal "cliente finale", ovvero dal paziente. Per quanto concerne il tema del ciclo del farmaco, occorre intervenire sulla duplicazione delle informazioni, sulla continuità e reperibilità delle stesse lungo la catena, sulla gestione delle scorte, secondo dati reali e non sulla base di improvvisazioni personali. Per farlo è necessario cambiare prospettiva e "avvicinare" la Farmacia ospedaliera al reparto. L'integrazione può avvenire in due modi diversi. Il primo consiste nell'introdurre la figura del farmacista di reparto. Il suo compito è verificare i consumi, dialogare con i medici e operare un processo di razionalizzazione locale. È una soluzione auspicabile, ma spesso poco praticabile, per carenza di risorse. C'è poi un altro sistema, empirico, molto semplice, ma efficace: si tratta del carrello Kanban. È un termine giapponese, che letteralmente significa cartellino e che si riferisce a una particolare logica produttiva di origine giapponese. Questo sistema prevede che il ripristino di una scorta possa avvenire solo se si è in grado di dimostrare di averla consumata. Il sistema Kanban permette di passare da una gestione delle scorte basata sulla previsione, a una gestione fondata sul consumo reale. Ciò garantisce che venga rifornito solo quello che serve davvero. Il modello prevede la creazione di un flusso teso tra la Farmacia e i reparti. Interventi di questo genere hanno comportato, dove applicati, riduzioni dei consumi di farmaci di oltre il 25 per cento. Qualsiasi altra innovazione volta all'automazione, a nostro avviso, dovrebbe conformarsi a questa logica. Quattro livelli di complessità. L'introduzione della gestione dei farmaci basata sul consumo reale rappresenta le fondamenta di una costruzione molto più complessa. Il farmacista di reparto o il carrello armadio "kanban", sono il primo passo per avere il controllo sui consumi dei farmaci all'interno di un reparto. Il secondo livello evolutivo del modello proposto, prevede l'introduzione di un sistema automatizzato in grado di rilevare, attraverso la lettura di un codice a barre (o in futuro tramite un tag Rfid), il passaggio del farmaco dall'armadio di reparto al carrello della terapia. Ciò permette di risolvere un problema importante riferito a percentuali rilevanti di farmaci che prendono altre strade e di cui non si ha più traccia. L'individuazione del paziente poi e la verifica della corretta corrispondenza con il farmaco prescritto, consente l'acquisizione di un ulteriore informazione e consente di ridurre il rischio di incorrere nell'errore. Il processo di informatizzazione, a questo punto, prevede che l'acquisizione dei dati riferiti al paziente e alla sua terapia farmacologica, avvenga sin dall'inizio, cioè a partire dalla prescrizione al letto del malato. Le soluzioni a disposizione sono diverse. Quelle più praticabili sono la cartella clinica informatizzata e la penna digitale, un sistema che già consente di decodificare e registrare le prescrizioni scritte dal medico in modo tradizionale. Il terzo stadio del modello è dato dall'introduzione degli armadi intelligenti che permettono di gestire in modo automatizzato le scorte dei farmaci presenti in reparto. Infine, il quarto e ultimo livello evolutivo del sistema proposto dal team di ricerca del Politecnico, è la monodose: un traguardo ottimale che implica grandi investimenti e lo sviluppo di nuovi compiti nella filiera. È il punto d'arrivo che la maggior parte degli ospedali italiani, purtroppo, non è ancora in grado di supportare. Richiede l'informatizzazione di tutto il processo e un'adeguata formazione del personale medico e infermieristico. In termini tecnologici, le soluzioni disponibili sono molte e tutte a portata di mano. Il problema è ancora una volta saper inserire il giusto livello tecnologico nello specifico contesto organizzativo. Gli ingegneri in Sanità. Il sistema sanitario è divenuto sempre più complesso e gli operatori sanitari sono sottoposti a forti pressioni esterne. Gli utenti, infatti, richiedono sempre più efficienza e non tollerano più sprechi e errori: sembra ormai giunto il tempo di diffondere nuove logiche gestionali e organizzative, già in uso in alcune realtà sanitarie straniere. Gli ospedali non sono perlopiù disposti ad accogliere il contributo e le competenze provenienti dal mondo esterno, in particolare non di derivazione sanitaria. Oggi, qualcosa sta mutando. Alcune Regioni, come la Lombardia, la Toscana e l'Emilia Romagna, si sono mostrate più sensibili di altre alle innovazioni nell'ambito della logistica. La tecnologia negli ospedali è entrata pesantemente grazie all'ingegneria clinica. Sarà ancora compito dell'ingegnere, questa volta gestionale e con specializzazione sanitaria, introdurre le innovazioni nell'ambito dell'organizzazione e della logistica ospedaliera. In altri Paesi non è infrequente incontrare ingegneri tra il personale delle Farmacie. Naturalmente l'ingegnere non potrà operare da solo: avrà bisogno del contributo delle figure sanitarie. Solo un lavoro di squadra può progettare e gestire al meglio l'ospedale del futuro. In quest'ottica, la competenza medica, lungi dall'essere ridimensionata, può guadagnare in efficienza grazie a un sistema che ne soddisfa al meglio le necessità. C. Raf. Politecnico Torino __________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Aprile QUANDO LA CURA È "NASCOSTA" TECNOLOGIE/ Ecco i sistemi «embedded» per misurare anche la salute a distanza Sensori integrati nell'ambiente consentono di rilevare i parametri vitali Lo strumento agisce da "ponte" Il programma vale 4 milioni di euro Franco Fummi Sviluppare metodi e strumenti per la costruzione di sistemi "embedded" di rete, cioè "nascosti" nell'ambiente circostante, per monitorare e migliorare la qualità della vita in habitat comuni, quali casa, automobile e ambiente urbano. È questo l'obiettivo di Angel (acronimo di "Advanced Networked embedded platform as a Gateway to Enhance quality of Life"), un progetto europeo cui sta lavorando il Dipartimento di Informatica dell'Università di Verona e che ha messo a punto, con riferimento al settore socio-sanitario, due applicazioni realizzate e basate sullo sviluppo di sistemi embedded all'interno di strumenti medici di largo consumo (vedi articoli in pagina). Da un lato, un prototipo per il controllo della luce in ambienti chiusi, in linea con gli studi sulla "light therapy", dall'altro un'applicazione orientata al monitoraggio a distanza dei parametri vitali dell'utente durante l'attività fisica o nel normale svolgimento delle azioni quotidiane. "Immersi" in tecnologie di uso quotidiano, i sistemi embedded sono sistemi informatici che permettono il dialogo con altri dispositivi attraverso la connessione alla rete. Costituiscono il cuore di molte tecnologie e sono progettati ad hoc per una funzione specifica. Esempi evidenti ci vengono dal settore dell'elettronica di consumo: dal telefono cellulare al lettore Mp3. Pur assemblati con gli stessi componenti di un sistema di calcolo di uso generale come il personal computer - ossia l'hardware, il sistema operativo, il software e le interfacce - queste tecnologie sono state infatti ridotte alle sole funzionalità specifiche. Con grandi vantaggi in termini di ridotto ingombro, basso costo, basso consumo energetico, alta robustezza di funzionamento e facilità di utilizzo. Tutti i sistemi embedded sono ormai connessi a una rete di comunicazione, al punto che si è arrivati a considerare Internet un grande sistema embedded di rete che funziona grazie alla presenza di apparati embedded di rete (switch, router), cui si accede sempre più in mobilità attraverso terminali mobili embedded (cellulari, palmari, interfacce) e che permette di controllare apparati embedded distribuiti in edifici (telecamere, sensori) e di comunicare mediante apparati embedded interconnessi (fax, telefoni VoIP). Un'importante specializzazione dei sistemi embedded di rete è rappresentata dalle reti di sensori (Wsn - Wireless Sensor Network), cioè dispositivi elettronici alimentati a batteria, che ospitano al loro interno sensori in grado di prelevare informazioni dall'ambiente circostante. Dall'integrazione di queste reti di sensori e dei servizi forniti via Internet è possibile ottenere interessanti benefici per la salute e il benessere della popolazione, in particolar modo nel contesto riguardante il monitoraggio a distanza da parte di centri mediciospedalieri. L'obiettivo principale di Angel è trasmettere in modo sicuro, affidabile e intelligente i valori sensoriali registrati da un dispositivo intermedio, denominato gateway, che funge da ponte tra la tecnologia usata per le Wsn e quella della tradizionale rete di telecomunicazione già utilizzata dai normali servizi medici esistenti. Questo gateway può essere implementato o in un dispositivo embedded fisso (router Adsl, set-top box televisivo) oppure in un dispositivo mobile (telefono cellulare o palmare) per abilitare la trasmissione dei dati delle Wsn in qualsiasi condizione operativa. L'accesso alle reti di sensori è mediato dal protocollo di comunicazione ZigBee, una tecnologia simile al Bluetooth e caratterizzato da un bassissimo consumo energetico, fondamentale per un sensore alimentato a batteria. Il progetto Angel ha un valore complessivo di 4 milioni di euro, di cui 2,5 finanziati dalla Commissione Europea nel 2006. Il progetto coordina 8 partner di 5 paesi europei specializzati nel mondo delle infrastrutture di telecomunicazione (Telecom Italia), nei dispositivi embedded di rete (Nxp e Philips Research), nella ricerca sui sistemi embedded di rete e su Wsn (Università di Verona e Politecnico di Berlino), sulla sicurezza di reti (Università di Danzica), la realizzazione di software per centri servizi (Sesa), e servizi innovativi alla persona per la qualità della vita (Fondazione Centro San Raffaele). Il progetto è condotto da più di cinquanta ricercatori e ha superato brillantemente le due verifiche intermedie di evoluzione, apprestandosi a concludere le attività per la fine del 2008. La soluzione al problema dell'elaborazione automatica delle informazioni è passata per decenni attraverso la realizzazione di sistemi di calcolo di uso generale (general purpose) adattati a una particolare esigenza mediante software e interfacce specifiche. Il personal computer è stato, a partire dagli anni '80, l'incontrastato dominatore del mercato dei sistemi general purpose. Quasi tutti gli apparati medicali sono ancora costruiti seguendo questo schema: c'è un personal computer, più o meno nascosto all'interno di un cabinet (consolle) che funziona da interfaccia verso lo specifico apparato medicale, programmandone il funzionamento e raccogliendo i dati. Spesso, le funzionalità più avanzate dell'apparato sono demandate al software che realizza analisi, sopperisce alle limitazioni di misura dell'apparato, corregge errori, diagnostica possibili malfunzionamenti. L'apparato medicale senza il sistema general purpose collegato è spesso poco più di un ammasso di metallo molto simile per funzionalità allo stesso apparato analogico di decenni fa. A questo modello si contrappongono i vantaggi apportati dalle tecnologie embedded in grado di motivare la crescita mondiale del mercato dei sistemi embedded, che negli ultimi anni ha tenuto il ritmo del 14% annuo passando dai 46 miliardi di dollari nel 2004, a 68 miliardi del 2007, con una stima di 88 miliardi nel 2009, secondo i dati diffusi da Bcc Research Group. Questo mercato è quindi ormai ampiamente superiore a quello dei sistemi general purpose. Ulteriori informazioni possono essere trovate sul sito del progetto http://www. ist-angel-project.eu e sul sito dei dimostratori del progetto http://www.edalab.it. Franco Fummi Ordinario Sistemi di elaborazione delle informazioni Università di Verona ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 apr. ’08 ALLARME DIABETE: IN SARDEGNA È EPIDEMIA Medicina. I massimi esperti a confronto nella tavola rotonda che si è svolta ieri a Cagliari Ha un tasso sei volte più alto rispetto alla media, ma questa malattia autoimmune si può curare Se in una regione, negli ultimi 60 anni, una malattia cresce di oltre 15 volte all’anno e presenta un tasso sei volte più alto rispetto alla media nazionale, di cosa si può che parlare se non di epidemia? La malattia è il diabete mellito di tipo 1 e la regione è la Sardegna. Per questo l’interesse degli esperti di malattie metaboliche, di genetica e di immunologia è da tempo puntato sull’isola. I risultati della ricerca e dell’innovazione diagnostica e terapeutica sono stati gli argomenti del convegno Il Diabete mellito di tipo 1, oltre il futuro , che si è svolto ieri a Cagliari. Al simposio, organizzato dall’associazione Diabete mellito e celiachia Sardegna (Adms) con la supervisione scientifica di Marco Songini, direttore della Struttura Complessa di Diabetologia dell’azienda ospedaliera Brotzu, hanno partecipato alcuni esperti di rilievo internazionale, di fronte a un pubblico numeroso e attento. «La Sardegna», ha spiegato Marco Songini, «non solo si conferma una delle aree con la più elevata frequenza di diabete di tipo 1 a livello mondiale, ma dimostra anche un elevato rischio per altre patologie autoimmuni, in particolare la malattia celiaca e la sclerosi multipla. Questa situazione rende la Sardegna un osservatorio epidemiologico unico per comprendere le dinamiche alla base dell’autoimmunità. Lo sviluppo di strategie di prevenzione, che avranno lo scopo di impedire l’inizio dell’aggressione autoimmune o di interrompere la sua progressione verso la malattia conclamata, sono l’obiettivo delle ricerche più avanzate.» Ma cosa significa malattia autoimmune e qual è il ruolo dei genetisti in questo campo? Lo ha spiegato Francesco Cucca, docente di Genetica Medica all’Università di Sassari e responsabile del Laboratorio di Immunogenetica di Sardegna Ricerche a Pula: «Il diabete di tipo 1 si definisce malattia autoimmune in quanto è lo stesso organismo a distruggere le proprie betacellule pancreatiche, determinando una seria carenza di insulina. Il diabete è comune nelle popolazioni europee e di origine europea e mostra la più alta incidenza al mondo in Sardegna e in Finlandia. Il rischio di malattia è determinato dall’azione congiunta di più varianti genetiche predisponenti, in parte identificate, in presenza di fattori ambientali permissivi ancora del tutto sconosciuti». E proprio il fatto che il diabete non è causato da un gene solo rende particolarmente impegnativo lo studio degli aspetti predisponenti e di quelli protettivi: «In collaborazione con il Centro Sclerosi Multipla dell’Università di Cagliari, guidato da Maria Giovanna Marrosu, del progetto Progenia dell’Inn- Cnr, della Clinica Neurologia di Sassari e dei Centri di cura del diabete», ha spiegato Cucca, «stiamo analizzando 2 mila diabetici e altrettante persone affette da sclerosi multipla. Questo sforzo senza precedenti punta all’identificazione dei fattori genetici di rischio». Massimo Pietropaolo (direttore del laboratorio di immunogenetica e del Centro di ricerca del diabete di tipo 1 di Ann Arbor, Michigan) ha sottolineato l’importanza della diagnosi precoce della malattia: «In Europa e negli Usa stiamo iniziando a usare marcatori che ci consentono di identificare l’80 per cento dei soggetti a rischio per poi sottoporli a strategie in grado di bloccare l’insorgenza della fase acuta della malattia». Luca Inverardi (direttore del Centro di trapianto cellulare e del Centro di ricerca sul diabete della Miller School of Medicine, Miami, Florida) ha illustrato il trapianto di isole di Langerhans o isole pancreatiche: gruppi di cellule, presenti nel pancreas, specializzate nella produzione di ormoni, fra cui l’insulina. «Oggi», ha spiegato Inverardi, «effettuiamo i trapianti su persone con severe e frequenti ipoglicemie. Alcuni pazienti dopo il trapianto stanno benissimo, altri manifestano effetti indesiderati: i nostri sforzi sono rivolti alla riduzione delle complicazioni». Ma la cura del futuro, per Massimo Trucco (direttore della Divisione di immunogenetica al Children’s Hospital di Pittsburgh, Pennsylvania), risiede nel potenziare le naturali capacità di risanamento: «Stiamo cercando di fare in modo che anche nel pancreas malato si possano generare quantità di insulina sufficienti. Siamo già al trial clinico». Queste sono le frontiere più avanzate. Ma il presente, come sottolinea Per Paolo Pusceddu, Direttore della Struttura Complessa di Pediatria del Brotzu, è fatto ancora di scarsa informazione: «Se in famiglia si prestasse attenzione ai segni premonitori, come aumento della diuresi, crescita dell’appetito e della sete, dimagrimento, il riconoscimento della malattia sarebbe molto più precoce: servirebbe una grande campagna di educazione sanitaria e alimentare». Parere condiviso dal presidente dell’Adms, Francesco Pili: «Le difficoltà che si manifestano quando il bambino va a scuola dimostrano l’importanza della preparazione e dell’informazione: ci sarebbe bisogno di una campagna informativa, come fu fatto con successo anni fa per il favismo e la talassemia. La Sardegna può e deve essere in questo una regione pilota». Osservazioni raccolte dal direttore del Servizio assistenza ospedaliera e Osservatorio Epidemiologico Regionale, Giuseppe Sechi, il quale ha ricordato la recente introduzione, nel contratto dei medici di base, dell’assistenza integrata ai diabetici. ANDREA MAMELI __________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Aprile IL PAZIENTE SI MONITORA DA CASA DISPOSITIVI WIRELESS I dati sono inviati a un centro servizi Giovanni Perbellini Gli "ambienti intelligenti" sono sistemi hardware e software costituiti da dispositivi informatici integrati nell'ambiente umano, il cui scopo è migliorare la qualità della vita sulla base delle esigenze personali. Una chiave di sviluppo per questi "ambienti intelligenti" è stata la nascita delle reti di sensori (wireless sensor network). Il benessere e la qualità della vita (wellness e health-care) della popolazione possono trarre beneficio dall'utilizzo di questi ambienti intelligenti, in particolar modo se questi sono integrati in un contesto più ampio che riguarda il monitoraggio a distanza da parte di centri mediciospedalieri. La piattaforma embedded del progetto Angel si adatta a un gran numero di ambiti applicativi legati alla salute e al benessere della persona. Una tipica situazione di impiego riguarda la possibilità di effettuare un monitoraggio dei parametri vitali, opportunamente prelevati attraverso una rete wireless di sensori, durante una sessione di attività fisica/sportiva (training). A volte l'attività fisica, più che una forma di prevenzione o un passatempo, è richiesta come metodo di riabilitazione da interventi chirurgici e da patologie ortopediche e cardiovascolari. Inoltre la presenza di una patologia rende necessaria la possibilità di generare allarmi a distanza in conseguenza di situazioni anomale e pericolose. Nello specifico i sensori vengono utilizzati direttamente sul corpo umano oppure sugli abiti della persona che effettua l'attività fisica. Questa particolare rete di sensori, denominata Body Sensor Network (Bsn), è costituita da diverse tipologie di sensori, come accelerometri (per misurare il valore di accelerazione su tre assi al fine di valutare lo spostamento fisico), misuratori della temperatura del corpo, del battito cardiaco e della pressione sanguigna. Si tratta di sensori alimentati da batterie, progettati per consumare pochissima energia e di dimensioni molto ridotte, tanto da poter essere integrati in oggetti quali orologi e cinture, perciò facilmente indossabili. La memorizzazione delle sequenze di valori acquisiti da queste reti di sensori e la loro correlazione con il profilo sanitario della persona in allenamento, deve essere effettuata da un sistema elettronico che abbia la particolarità di essere facilmente correlabile a una identità anagrafica. Il telefono cellulare risulta essere il candidato ideale in quanto è utilizzabile anche in situazioni di movimento all'aria aperta. Angel prevede tuttavia anche l'uso di apparati fissi quando lo scenario è residenziale. Il cellulare o l'apparato di casa funzionerà come un gateway collegato, da un lato, con la rete di sensori e, dall'altro, con un centro servizi remoto in grado di seguire l'attività e lo stato fisico dell'utente tenendo conto del profilo sanitario. Attraverso la piattaforma Angel, prima di iniziare la quotidiana attività di jogging, l'utente può, per esempio, usare il proprio telefono cellulare (gateway mobile) per prelevare dal centro servizi (ospedale, medico curante, centro benessere ecc.) il piano di attività fisica opportunamente preparato dal proprio personal trainer o fisioterapista. A questo punto tutti gli sforzi effettuati dall'utente durante l'attività fisica vengono monitorati dal dispositivo mobile in costante comunicazione con i sensori presenti sul corpo. Il piano di attività fisica, installato sul dispositivo mobile, mantiene monitorati i dati sensibili dell'utente e in tempo reale invia i risultati, o eventuali allarmi dovuti al superamento di soglie, al centro servizi. Allo stesso modo, un utente affetto da una malattia muscolare può effettuare un esercizio di riabilitazione fisica utilizzando una cyclette o un tapis-roulant nella propria casa. E, se dotato della piattaforma, opportunamente integrata nella rete di sensori presente nella casa o sul corpo del malato, può verificare lo stato di avanzamento dell'attività riabilitativa direttamente dalla tv di casa, monitorando i battiti cardiaci e la pression e arteriosa e trasmettendo i dati al centro di cura. Giovanni Perbellini Dottorando di Informatica Dipartimento di Informatica Università di Verona ______________________________________________________________ il Giornale 5 Apr. ‘08 L'IGIENE ORALE PUÒ EVITARE GRAVI CONSEGUENZE È una malattia subdola, che, dopo i 40 anni, colpisce in maniera più o meno accentuata, gran parte della popolazione: «Col termine di malattia, parodontale si intendono diverse affezioni del parodonto, cioè del tessuto che circonda il dente (gengiva aderente, legamento parodontale, cemento radicolare, osso alveolare)», affermano i dottori Gregorio e Vittorio Redaelli, specialisti in odontoiatria e protesi dentaria ad Arese, Milano (www.st-redaelli.it). «All'origine è, sostanzialmente, l'a,ccumulo di placca batterica che, a lungo andare; può determinare una gengivite irreversibile». Molteplici i sintomi: alito cattivo, sanguinamento delle gengive, sensazione, nel chiudere la bocca, che il posizionamento dei denti non sia più lo stesso (guardandosi allo specchio, capita di notare un certo sventagliamento degli incisivi superiori, oppure l'apertura di spazi interdentali che prima non c'erano). La tempestività della diagnosi è fondamentale per evitare l'aggravarsi della situazione. «La terapia prevede sedute di igiene per la, rimozione del tartaro e trattamenti di "courettage" in alcuni casi interventi di correzione chirurgica del tessuto paradontale danneggiato (arretramento della gengiva., formazione di "tasche" gengivali, riassorbimento osseo)», spiega lo specialista. Nelle forme più accentuate, la stabilità dei denti è, talvolta, compromessa da rendere necessaria l'estrazione anche di denti sani. In questi casi, l’implantolagia è oggi sempre più proposta tra le possibilità terapeutiche: «Svolgendo il ruolo di una radice alternativa, gli impianti - realizzati in titanio, un materiale altamente bio-compatibile - costituiscono la base su cui "costruire" un nuovo dente, andando così a sostituire gli elementi mancanti», spiega il dottor Vittorio Redaelli. «Naturalmente, sarà necessario effettuare prima un'operazione che noi tecnici definiamo di "bonifica" del cavo orale. È indispensabile, infatti, che le condizioni del parodonto siano giudicate ottimali per garantire la stabilità dell'impianto». E qualora ad ostacolare il posizionamento dell'impianto fosse un'insufficienza dell'osso? «Ormai anche questo è un problema risolvibile. Dopo aver analizzato con precisione la situazione attraverso specifici esami radiologici per valutare la quantità di tessuto osseo da reintegrare, si può ricorrere a una metodica di rigenerazione ossea». Oggi è possibile l'utilizzo di materiali diversi, a seconda del grado di atrofia del tessuto: si va dall'osso asportato al paziente stesso (anche in diversa sede rispetto al cavo orale), a tessuti di origine animale, alla possibilità di prelievo dalla cosiddetta banca dell'osso. «Anche quelle persone che hanno una quantità, di osso veramente scarsa, possono tornare a sorridere senza problemi», commenta il dottor Redaelli sottolineando i passi avanti compiuti dall’ortodonzia che in questi ultimi anni ha raggiunto traguardi impensabili pochi anni orsono. «L'accumulo di placca batterica può determinare una gengivite irreversibile. La diagnosi deve essere tempestiva», afferma il dottor Gregorio Redaelli Cuore, ecco le nuove frontiere ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Apr. ‘08 LOTTE INTESTINE NEL DNA Diverse componenti genetiche entrano.in conflitto tra loro. In gioco vi è la loro sopravvivenza, e non quella dell'individuo che le ospita Austin Burt,genetista di Londra e coautore con Robert Trivers di Geni in conflitto. La biologia degli elementi genetici egoisti (di cui pubblichiamo un estratto) ha partecipato ieri al festival di Siena «La danza delle molecole. Biotecnologie e salute al microscopio»,che si chiude oggi al Complesso mussale Santa Maria della Scala. L'edizione italiana, in uscita per Codice (Torino,pagg.s9o, €45,00), è a cura di Edoardo Boncinelli, che parteciperà oggi (con Barni, Neri; Remuzzi, Massarenti) all'incontro su «Bioetica e ricerca medica». di Austin Burt e Robert Trivers I geni di un organismo talvolta "discordano" in merito a ciò che I dovrebbe accadere. Vale a dire, sembrano avere effetti contrastanti. Negli animali, ad esempio, alcuni geni possono volere (o agire come se volessero) che un maschio produca una grande quantità di spermatozoi sani, mentre altri geni del medesimo individuo desiderano che la metà degli spermatozoi sia difettosa. Alcuni dei geni presenti in una femmina vogliono che questa nutra tutti gli embrioni; altri desiderano che abortisca là metà di essi. Alcuni geni in un feto vogliono che esso cresca velocemente, altri lentamente e altri ancora a un ritmo intermedio. Alcuni geni desiderano che il feto diventi un maschiò, altri una femmina- e la ragione per cui vogliono che sia una femmina è che un quarto delle sue uova fecondate sia difettoso! Anche nelle piante possono verificarsi conflitti interni. Alcuni geni vogliono che una pianta produca sia polline che semi, altri solo semi. Certi geni vogliono che la pianta consenta a un particolare granulo di polline di fecondare un ovulo, mentre altri vogliono inattivare quel granulo di polline. E in che modo un organismo dovrebbe gestire il proprio DNA? Alcuni geni desiderano proteggere i cromosomi dal danneggiamento, mentre altri vogliono romperli. Certi geni vogliono che l'organismo tagli frammenti di DNA e li inserisca in altri punti del genoma; altri geni desiderano arrestare questo processo. Alcuni geni vogliono attivare un particolare gene, mentre altri desiderano renderlo silente. Invero, nel caso estremo, certi geni vogliono inattivare metà del genoma, mentre la parte interessata preferisce rimanere attiva. Alcuni di questi geni si osservano solo in un limitato numero di specie, altri sono presenti praticamente in tutte. Inoltre, vi sono geni la cui esistenza è prevista, ma non ancora confermata, come ad esempio. geni paterni che favoriscono i figli maschi in opposizione a geni che favoriscono la prole femminile. Oppure geni che vogliono che una femmina giudichi il proprio partner sessuale più attraente di quanto non sia in realtà in opposizione a geni che desiderano l’effetto contrario. E così via. Tali conflitti sorgono perché i geni sono in grado di diffondersi in una popolazione pur essendo dannosi per l'organismo su scala più vasta. Questi geni procurano a se stessi un vantaggio ma normalmente hanno effetti negativi su altri geni non collegati del medesimo individuo. In tal senso, essi sono egoisti. Di fatto, possiamo definire gli elementi genetici egoisti come tratti di DNA (geni, pezzi di geni, frammenti di DNA non codificante, porzioni di cromosomi, cromosomi interi o insiemi di cromosomi) che agiscono prettamente per perseguire il proprio interesse personale - nella fattispecie, la replicazione alle spese dell'organismo su scala più vasta. Al livello degli organismi, conseguentemente, avverrà la selezione di geni non collegati in grado di sopprimere la loro attività e, in tal modo, di contenere il danno. Ciò significa che l'evoluzione degli elementi genetici egoisti porta inevitabilménte al conflitto intra individuale, o intra genomico. Questo si verifica nel corso del tempo evolutivo, via via che geni situati in differenti punti del genoma vengono selezionati per avere effetti contrastanti. Ciò avviene anche nel corso del tempo di.sviluppo allorché gli organismi sperimentano questi effetti conflittuali. In tal senso, parliamo di "geni in conflitto", vale a dire geni all'interno di un singolo corpo che sono in conflitto in merito all'appropriato sviluppo o azione da intraprendere. _________________________________________________ SALUTE OGGI apr. ’08 Rivalutati i radicali liberi Una nuova funzione Secondo una ricerca del Cnr, i radicali liberi non sarebbero i tanto temuti responsabili dell'invecchiamento e delle malattie degenerative come si è pensato fino a questo momento. Anzi, forse giocano un ruolo positivo per la nostra salute. a tutti noto che i radicali liberi sono responsabili dell'invecchiamento e dell'insorgenza di patologie degenerative e/o proliferative, come il cancro. Una nuova funzione (benefica) nella regolazione ~ della normale espressione genica rivelata da una ricerca di base dell'Isa-Cnr. Una recente scoperta effettuata presso l'istituto di Scienze dell'Alimentazione (Isa) del Cm- di Avellino, diretto da Antonio Molorni, ha scardinato questa consolidata immagine deleteria. Lo studio pubblicato sul secondo numero del 2008 della rivista «Science» assegna ai radicali liberi un ruolo di regolazione dell'espressione genica, processo attraverso cui l'informazione contenuta in un gene viene convertita in una macromolecola funzionale (molecola di dimensioni e peso più elevati). II nostro DNA, una molecola di circa due metri di lunghezza, è contenuto nel nucleo delle cellule, che ha un diametro medio di 5-7 milionesimi di metro. Ciò è possibile grazie ad una specifica classe di proteine nucleari, gli istoni, che lo 'impacchettano'. Tuttavia, sia nel processo di duplicazione cellulare che di trascrizione, necessario per il normale funzionamento della cellula, il DNA deve essere 'srotolato': anche questo secondo compito è svolto dagli istoni, grazie a specifici processi chimici. I ricercafori del Cnr, hanno scoperto che l'acqua ossigenata, uno dei radicali liberi più temuti nel sistema biologico preso in esame, svolge il suo ruolo mutageno, cioè altera il DNA, ma è proprio tale mutazione in specifici siti che consente la normale espressione dei geni contigui. Infatti, spiega la nota del Cnr "i siti mutati vengono riconosciuti dagli enzimi preposti al riparo del DNA, i quali, rimuovendoli, creano nel DNA dei buchi che consentono lo srotolamento della specifica regione che deve essere letta per essere trascritta". "Tale scoperta - spiega Bruno Perillo dell'Isa-Cnr-oltre a rivalutare gli effetti dei radicali liberi sulle cellule umane, assegna un nuovo ed inatteso ruolo agli enzimi di riparo del DNA, che non hanno, quindi, la sola funzione di correggere gli errori presenti nel nostro patrimonio genetico", ma, conclude Perillo, "rappresentano anche parte integrante dell'apparato di trascrizione, che consente l'espressione dei geni e, di conseguenza, la sintesi delle proteine". I risultati pubblicati dal gruppo dell'Isa-Cnr sono importanti perché identificano nuovi attori nella regolazione dell'espressione genica, gli enzimi di riparo appunto, che potrebbero pertanto costituire il bersaglio di nuove terapie molecolari. Questa ricerca consente, inoltre, di muovere un passo in avanti verso la comprensione delle risposte cellulari ormono-dipendenti e di stabilire nuove correlazioni molecolari con fenotipi tumorali, come il carcinoma mammario. ______________________________________________________________ MF 8 Apr. ‘08 PREVENIRE PRIMA DI CURARE Salute Dall'ateroclerosi all'edema, le ultime tecnologie per la diagnostica predicono in anticipo l'insorgenza delle malattie una tecnologia in grado di misurare l'elasticità dei vasi arteriosi e quindi predire il rischio di sviluppare aterosclerosi, un sistema che unisce, in tempo reale, le immagini ecografiche e quelle delle Tac o della risonanza magnetica. Ma anche una macchina per l’Rm che permette di stare in piedi e così diagnosticare patologie altrimenti non identificabili e un sistema di monitoraggio a distanza delle condizioni cardiache che evita al paziente di recarsi in ospedale per le visite di controllo. Si è appena conclusa, a Cremona, Tgo, la prima manifestazione dedicata alla tecnologia e gestione ospedaliera che si è posta l'obiettivo di indagare l'efficacia delle nuove tecnologie applicate all'ambito sanitario e la loro convenienza anche attraverso l'Health Technology Assessment, ossia la valutazione appropriata dei dispositivi da parte delle diverse professionalità che operano nel settore. Ridurre la quantità di esami e indagini diagnostiche e migliorare l'accuratezza delle stesse è il fine della nuovissima tecnologia messa a punto da Aloka per predire il rischio di sviluppare una malattia complessa come l’aterosclerosi. Il sistema eTracking, introdotto sugli eco grafi di ultima generazione, permette di ottenere, in modo non invasivo e innocuo per il paziente, un'informazione importante per effettuare una diagnosi precoce, ossia il grado di rigidità arteriosa, prima condizione fondamentale per la formazione di placche. «Con le apparecchiature ecografiche di ultima generazione sono stati fatti ottimi progressi e ora è possibile individuare l’ateroma (ossia la formazione sulle pareti delle arterie, ndr) quando è solo di pochi millimetri. È una tecnica sicuramente utile ma rileva il danno quando è già in atto» ha commentato Carlo Filice, direttore della scuola di ecografia a indirizzo internistico della Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia, «la nuova tecnologia che stiamo sperimentando misura invece l’elastanza del vaso; quando questa diminuisce il rischio di depositi aumenta. Le implicazioni sono straordinarie perché in questo modo il paziente può essere seguito in modo differente e le cure farmacologiche studiate in modo ottimale». L'esame è innocuo e ripetibile anche quotidianamente e l'obiettivo finale è quello di ottenere una casistica significativa che permetta di adattare i parametri a tutta la popolazione. I test al momento sono eseguiti sui pazienti a rischio dal punto di vista cardiologico e sui giovani malati di Aids che hanno effetti collaterali derivati dai farmaci che si ripercuotono sul sistema cardiovascolare. La fase sperimentale durerà almeno 24 mesi e prevede il reclutamento di circa 100 pazienti. «Anticipare l'insorgenza dell'aterosclerosi ci permette di limitare il numero delle indagini, talvolta anche invasive e di ridurre significativamente i costi sociali derivati da malattie come l’ictos e l'infarto, di cui possono essere vittime questi pazienti», ha concluso Filice. Il sistema si basa sulla rilevazione dei dati di distensione della carotide, della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. «La macchina a ultrasuoni effettua una lettura interna che consente di analizzare in modo accurato i movimenti delle pareti» ha spiegato Roberto Regnis, responsabile della divisione cardiovascolare di Aloka, «il costo di circa 100 mila euro è identico a quello di un ecografo di fascia alta, quindi non ci sono maggiorazioni dovute alla tecnologia eTracIung inserita al suo interno». Appena presentato ufficialmente a Tgo e a Genova, in occasione del congresso nazionale dell'Associazione italiana aritmologia e cardio stimolazione, Carelink di Medtronic è invece un sistema di monitoraggio via internet delle condizioni cardiache dei pazienti con scompenso che permette di evitare le visite periodi che di controllo. La tecnologia, che utilizza un particolare algoritmo, controlla l'accumulo di liquidi nella cavità toracica responsabile dell'insorgenza di edemi polmonari e riesce quindi ad anticiparne l'insorgenza di un paio di settimane, evitando quindi l'ospedalizzazione. Il sistema, collegato al defibrillatore, è stato testato con successo in un progetto pilota che ha coinvolto circa 150 pazienti, tra cui il Policlinico San Matteo di Pavia e ora sta per essere implementato in numerosi ospedali, primo fra tutti quello di ('rema. «II progetto ha coinvolto pazienti con scompenso che hanno ricevuto il defibrillatore per trattare o prevenire un'aritmia», ha precisato Maurizio Landolina, responsabile della struttura semplice di elettrofisiologia ed elettrostimolazione del dipartimento di cardiologia della Fondazione Policlinico San Matteo Irccs di Pavia, «il sistema è in grado di trasmettere i dati su richiesta del paziente e in automatico e dà informazioni sia sul funzionamento del device stesso, sia sulla clinica del paziente». La trasmissione avviene tramite monitor connesso a internet e provvisto di antenna che riceve i dati dal defibrillatore. «Sono stati quantificati i risparmi di tempo per il paziente, da 120 minuti sesi deve recare in ospedale a 4-5 per il controllo, e per il medico, da 15 a 4 minuti. Questo tipo di monitoraggio, che rappresenta il futuro per questi pazienti necessita però di un nuovo modello organizzativo dell'ospedale perché se la trasmissione avviene mentre il dipartimento è chiuso, anche se il medico riceve un sms di alert ci dev'essere un tecnico di cardiologia in grado di leggere i dati e avvertire il dottore se c'è una reale emergenza. Inoltre è da chiarire il valore medico-legale del controllo a di stanza». Patologie non individuablli durante un normale esame di risonanza magnetica o complicanze di una patologia a carico della colonna vertebrale altrimenti difficili da diagnosticare. A Cremona è stata presentata anche G-Scan, l'ultima risonanza magnetica a magnete rotante di Esaote a basso campo studiata per la diagnosi delle patologie vertebrali. Questa macchina consente infatti di porre il paziente in posizione verticale e di conferire quindi il carico gravitazionale. «Molte malattie si manifestano proprio in questa condizione che quindi uno strumento importante per studiare gli aspetti che prima non era possibile analizzare. Inoltre con questa macchina è possibile effettuare piccole manovre funzionali come semiflessioni e contrazioni», ha spiegato Carlo Masciocchi, ordinario di radiologia e direttore del Dipartimento di diagnostica per immagini dell'Ospedale San Salvatore de L'Aquila, I settori dove G-Scan si è dimostrato più utile dopo una lunga sperimentazione sono la patologia artrosica che si fonda su due principi, la sofferenza discovertebrale e del sistema articolare e la patologia vertebrale del rachide che si manifesta proprio quando il sistema è sottoposto al carico gravitazionale. «Altre applicazioni interessanti sono quella del ginocchio, come quella femororotulea che si manifesta solo quando il paziente è in piedi in posizione di iniziale flessione», ha aggiunto Masciocchi. Sempre Esaote ha messo a punto, in collaborazione con l'Ospedale di Busto Arsizio, Virtual Navigator, un sistema di fusion imaging che permette di visualizzare sia le immagini ecografiche sia quelle derivate dalla Tac o dall'Rm. «Dalle macchine vengono prelevate le immagini volumetriche e il volume viene inserito all'interno dell'ecografo. Qui si realizza la fusione tra le immagini dell'ecografo in tempo reale e quelle già acquisite. Mentre si muove la sonda ecografica la corrispondente sezione di Tac o Rm si muove allo stesso tempo», ha spiegato Luigi Solbiati, primario di Radiologia dell'Ospedale di Busto Arsizio, «I vantaggi sono molti, primo fra tutti il fatto che queste informazioni convogliano In un ecografo e quindi non è necessario bloccare una macchina costosa come l’Rm per procedere con l'analisi e inoltre il campo magnetico necessario è minimo e del tutto innocuo per il paziente, mentre se si lavorasse sotto Tac le radiazioni sarebbero alte». Presso l'ospedale di Busto Arsizio sono stati trattati con questa tecnica circa 250 pazienti in fase di ablazione di tumori o biopsia diagnostica. «Abbiamo trattato circa 50 tumori del fegato che non erano visibili alla sola ecografia. Inoltre da quando è stata introdotto Virtual Navigator non ci sono state più complicanze successive al trattamento di ablazione». (riproduzione riservata) In alto a destra Carelink di Medtranic, sotto a sinistra il sistema eTrackin9 inserito negli ecografi Aloka e a destra G-scan, la risonanza a magnete rotante di Esaote ______________________________________________________________ MF 8 Apr. ‘08 GRAZIE AI NUOVI IMPIANTI DENTALI RITORNA IL SORRISO IN POCHE ORE Salute AI centro di implantologia del Galeazzi tempi ridotti e disagi post- operatori minimizzati di Elisa Martelli una riabilitazione estetico funzionale rapida per chi soffre di edentulia„ ossia la mancanza totale o parziale degli elementi dentali. Per questo scopo è stato appena inaugurato il nuovo Centro per la ricerca in implantologia orale dell'Università degli studi di Milano, presso l’Irces Istituto ortopedico Galeazzi di Milano dove. «Dopo un intervento in anestesia locale nell'arco di otto ore o due giorni nei casi particolarmente difficili, il paziente può tornare a sorridere, parlare e mangiare», spiega Luca Francetti, professore di malattie odontostomatologiche all'Università degli studi di Milano e direttore dell'Istituto Galeazzi. «Sulle viti in titanio degli impianti, che fungono da radici dentarie, vengono avvitate protesi provvisorie in resina, evitando al paziente il disagio di portare strutture mobili per molti mesi, come si verificava negli impianti tradizionali», continua Francetti. Dopo 4-6 mesi, quando il processo di osteointegrazione dell'impianto è ultimato, le pro tesi vengono sostituite da quelle definitive. «Un altro vantaggio del carico immediato in implantologia orale è l'opportunità di intervenire immediatamente sull'osso disponibile», puntualizza Francetti Un'altra possibilità che minimizza i disagi post-operatori è invece l'applicazione di una mascherina chirurgica da inserire nei buchi applicati fra gengiva e osso, senza l'incisione delle gengive tipica dell'impianto. «Questo tipo di intervento è però eseguiblle solo in pazienti edentuli che presentano una buona dose di quota residua di osso e gengiva, il 20-25% dei casi», puntualizza Francetti. Gli impianti hanno una percentuale di sopravvivenza del 95-98% ma richiedono una manutenzione pari a quella dei denti sani per preservare gengive e osso. II costo di un impianto con protesi per un'arcata completa si aggira, intorno ai 12 mila euro. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Apr. ‘08 LA CANNABIS CONTRO LA SCLEROSI MULTIPLA . Il Governo regionale della Catalogna, la Generalitat, ha aperto all'uso terapeutico, in forma ancora sperimentale, di un derivato della cannabis per il trattamento degli effetti della chemioterapia nella cura del cancro al seno e dei dolori neuropatici da sclerosi multipla: lo riferisce l'edizione elettronica del quotidiano El Pais. ______________________________________________________________ Repubblica 10 Apr. ‘08 II CORPO SVELATO DAL NUCLEARE di Annamaria Messa Permettono di capire prima se si tratta di infarto o no, se un ictus cerebrale è emorragico, se un tumore è maligno o meno. Sono solo alcuni dei vantaggi che la diagnostica trae dai zjg centri di medicina nucleare italiani Co dotati anche della PET), sfruttati spesso anche da pazienti di altri paesi. Ma la medicina nucleare continua a essere vista con una certa paura. È il "nucleare" che spaventa. Si pensa alle radiazioni, a Hiroshima ò Cernobil. invece». spiega Diana Salvo, presidente dell'Associazione Italiana Medicina Nucleare ed Imaging Aolecolase. AIMN, «I'irradiazione del corpo è limitata anche rispetto a una semplice lastra al torace. Gli isotopi. Atomi che emettono radiazioni somministrati per eseguire l'indagine. rapidamente perdono la loro radioattività e escono dal corpo». Non sono mezzi di contrasto ma «radiotraccianti», servono a inarcare - bastano micro quantità - diversi tipi di molecole presenti nel corpo e a seguirle nei loro trasferimenti. Cosi svelano se e dove in un organo, in un tessuto, c'è una parte patologica. «L'alterazione della funzione è precoce, quindi svela prima ciò che sarà evidente con le indagini radiologiche solo quando ormai ci sono alterazioni anatomiche». spiega Luigi Mansi, università di Napoli. coordinatore gruppi studio AIMN. La scintigrafia è un esame abbastanza noto, la PET meno. «Proiettata sulle immagini della TAC fa vedere dove si localizza l'isotopo. quindi la malattia e la perfetta collocazione spaziale delle lesioni», spiega Salvo. Tra due tumori simili alla TAC «si vede che uno è differenziato, non si allontana molto dalle caratteristiche del tessuto normale ed è quindi benigno oppure è indifferenziato. quindi molto maligno e bisogna essere tempestivi ed aggressivi nella terapia». Tante e importanti le potenzialità della medicina nucleare sfruttate poco e male. Potrebbe diminuire il numero dei tanti pazienti che venzono ricoverati per infarto ma non lo hanno». conclude Mansi. «In Italia però la medicina nucleare e un’eccezione in un dipartimento di emergenza. Invece. una razionale distribuzione dei reparti di medicina nucleare sul territorio potrebbe diventare economicamente molto conveniente. Politici e amministratori non lo hanno ,)ero ancora compreso». È energia naturale simile alla luce visibile, ma in una forma che le permette di attraversare la materia. A seconda delle caratteristiche prende il nome di raggi X, raggi gamma, ecc che, nell'attraversare la materia, vi lascia una parte dell'energia che trasporta. Ed è proprio tale quota di energia assorbita a determinare, nel caso che la materia sia un tessuto vivente, quelle lesioni del Dna che possono accendere patologie rischiose. Una SPECT-CT, apparecchiatura che unisce un rilevatore delle radiazioni emesse dal tracciante somministrato al paziente con una tomografia assiale computerizzata ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Apr. ‘08 CONSAPEVOLI MA ANESTETIZZATI LE INVENZIONI PASSATE ALLA STOrIA DI FRANCESCA CERATI Sembrava un settore "narcotizzato", invece è bastata la pubblicazione di uno studio sul New england journal of medicine per scatenare un turbinio di polemiche tra gli anestesiti. Secondo i risultati della ricerca, un dispositivo usato comunemente per prevenire la "consapevolezza" durante l'anestesia, si è dimostrato inefficace. Ma ancor più, i dati hanno evidenziato quanto poco si conosce sui cambiamenti neurali che stanno alla base dell'anestesia. «La vera sfida è capire la fisiologia e la farmacologia che porta al blocco della memoria indotta dalla narcosi-commenta Beverly Orser, anestesista all’ Università di Toronto; autore dell'editoriale che accompagna lo studio-. Se comprendiamo i circuiti e le regioni cerebrali coinvolte nella complessa formazione della memoria, potremo sviluppare strumenti migliori». Chi si è preso questo compito è Emery Brown, neuroscienziato al Massachusetts general hospital. I dati preliminari della sua ricerca indicano che la misurazione dell'attività superficiale del cervello non . può essere un indicatore affidabile di ciò che accade nella zona più profonda, dove i circuiti della memoria possono essere attivi, creando spaventosi ricordi dell'operazione subita. Ogni anno, un piccolo numero (0,1-0,2 %) di coloro che si opera in anestesia generale ha un'esperienza di consapevolezza, un range che va da innocui incidenti, tipo ricordare i dialoghi tra medici e infermieri, fino a dolori insopportabili mentre si è completamente paralizzati. Ma il problema del sentire/capire sotto anestesia sembra essere aumentato negli ultimi anni, tanto quanto il mercato dei device sviluppati per impedire che ciò avvenga. E i monitor in commercio si basano su un concetto semplice: il rilassamento della corteccia può essere misurata con l'elettroencefalogramma (Eeg), che registra la frequenza delle onde cerebrali. II tracciato Eeg, in teoria, permette di valutare il livello di consapevolezza del paziente. Ma per Brown questo sistema è rudimentale e non rileva ciò che accade nel cervello. Così sta sperimentando una nuova tecnologia che attraverso la risonanza magnetica funzionale misura in maniera indiretta fattività cerebrale. I dati preliminari indicano che alcune aree del cervello sono effettivamente più attive in corso di anestesia. Morale della storia? Se l’Eeg non è in grado di "leggere" le strutture più profonde del cervello, vuol dire che non è la soluzione del problema. Eppure il numero di interventi in anestesia generale che si praticano ogni anno nel mondo sono un numero spropositato... da quando dal ciclopropano si è passati all'alotano, anestetico non infiammabile che ha rivoluzionato l'anestesia moderna. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Apr. ‘08 SI APRE L'ERA DEI RAGGI T Quattro milioni di euro, tre anni di lavoro e sei partner: sono i numeri del progetto scientifico Opther, un programma di ricerca sui raggi T coordinato dall'Università Roma Tor Vergata. Obiettivo del progetto, finanziato dalla Ue nell'ambito del VII Programma Quadro, è quello di sviluppare una tecnologia che consenta di migliorare in maniera significativa la produzione delle radiazioni T: onde elettromagnetiche nella fascia dei Terahertz che oscillano fra 300 e 10mila miliardi di volte al secondo. Queste radiazioni sono più corte e vibrano molto più rapidamente delle microonde utilizzate per telefoni cellulari, radar e forni per cucinare. A causa della loro elevata energia e della loro lunghezza, le radiazioni T possiedono un campo di applicazione estremamente vasto; Ampie applicazioni in campo medico ma anche artistico a partire dalla scienza dei materiali e dalla medicina dove possono essere utilizzati per la diagnosi precoce di alcuni tumori. Queste radiazioni trovano anche applicazione in campo artistico, in quanto rivelano gli schizzi originali di un artista o le pitture coperte da strati di intonaco. Produrre queste onde non è semplice; e lo scopo di Opther è quello di superare l'attuale "Terahertz gap", riuscendo a generare fasci di radiazioni sufficientemente intensi per le applicazioni pratiche. Come spiega Aldo Di Carlo, docente di Opto elettronica alla facoltà Tor Vergata, i ricercatori di Opther - acronimo di Optically driven terahertz amplifiers - svilupperanno, «un componente fondamentale per la generazione della radiazione TH z», ossia un nuovo tipo di amplificatore a vuoto capace di accoppiarsi in maniera efficiente con le sorgenti di raggi T oggi esistenti come i laser a cascata quantica. Al progetto partecipano l'Università tecnica Danese, il Cnrs di Parigi, due industrie francesi e l'italiana Selex Sistemi Integrati. Il coordinamento è affidato al dipartimento di Ingegneria elettronica di "Tor Vergata": un risultato che testimonia, secondo le parole di Di Carlo «l'eccellenza maturata nell'ambito dei dispositivi optoelettronici e di altissima frequenza». ANDREA CAROBENE ___________________________________________________________________ Repubblica 10 apr. ’08 ECCO I FARMACI SUPER-INTELLIGENTI SE SI CONFERMERANNO i risultati incoraggianti che stanno emergendo da alcuni studi clinici su 2.500 malati, altre importanti patologie tumorali potranno beneficiare degli effetti di uno dei pionieri dei farmaci "intelligenti", il cetuximab. Se ne è parlato di recente nell'incontro scientifico "EGRF Inhibitors in Metastatic Colorectal Cancer", presieduto da Fortunato Ciardiello, professore di Oncologia Medica e responsabile del Laboratorio di Terapie Oncologiche Molecolari della Seconda Università degli Studi di Napoli. Il protagonista dell'incontro, l'EGFR (epidermal growth factor receptor o recettore per il fattore di crescita epidermico) è un "interruttore" presente normalmente sulla superficie cellulare. Quando attivato dal corrispondente fattore di crescita, mette in moto la proliferazione cellulare che poi si ferma quando non vi è più bisogno. Invece, le cellule neoplastiche producono spontaneamente e senza freni i fattori di crescita auto-stimolando il recettore e quindi la propria moltiplicazione. Di qui l'idea, avanzata all'inizio degli anni '80 da John Mendelsohn, attuale presidente dello MD Anderson Cancer Center dell'Università del Texas a Houston, di mettere a punto anticorpi che andassero a colpire, "spegnendoli", questi recettori, in particolare lo EGFR, spezzando il circuito patologico dell'autostimolazione della crescita tumorale. Dal suo laboratorio nel 1983 le prime conferme sperimentale dell'efficacia della strategia che portarono numerosi gruppi di ricerca nel mondo a cercare altri recettori e a mettere a punto i relativi anticorpi. Oggi l'anticorpo cetuximab viene usato in associazione con irinotecan contro la neoplasia colorettale metastatica se refrattaria alla chemioterapia e nelle neoplasie cervico-facciali localmente avanzate in combinazione con la radioterapia o in fase metastatica insieme alla chemioterapia. Nell'ultimo anno i primi risultati di sperimentazioni umane portano a sperare che sia possibile usare l'associazione cetuximab-chemioterapia già nel trattamento iniziale del cancro del colon-retto metastatico. Inoltre si stanno mettendo a punto semplici test di laboratorio che individuano prima del trattamento i pazienti più sensibili al trattamento con cetuximab. La percentuale sembra per ora aggirarsi sul 60% dei casi. L'obbiettivo è rendere ancora più precisa l'azione di un farmaco "intelligente" (a bersaglio molecolare), come già avviene nel cancro al seno con l'ormonoterapia e altri anticorpi monoclonali. ______________________________________________________________ il Giornale 12 Apr. ‘08 I CINQUE CIBI CATTIVI CHE ORA FANNO BENE Una ricerca inglese riabilita carne rossa, burro, uova, pane bianco e gelato, finora snobbati dai nutrizionisti Matthias Pfaender Obesità. Bulimia. Anoressia. Sovrappeso. Scompensi vitaminici; e la lista potrebbe andare avanti ancora molto: in poco meno di sessant'anni l'uomo ha coniato decine di termini per descrivere i disturbi, o vere e proprie patologie, legati all'alimentazione. Considerando che i nostri nonni da giovani non hanno mai sentito la mamma raccomandare loro di non mangiare «schifezze piene di coloranti», né di non assumere troppi grassi saturi (in effetti di tredicenni di 90 chili fino agli anni ' 50 ce ne erano ben pochi) non resta che prendere atto che l'uomo, entrando nella società del benessere, parallelamente sviluppa un rapporto conflittuale col cibo. Un fenomeno che non ha barriere territoriali. Dagli Stati Uniti, dove l'obesità e i conseguenti problemi cardiovascolari sono un vero flagello, le alimentazioni ipercaloriche sono in breve tempo sbarcate anche in Italia. Anzi. «Il nostro Paese è fra le nazioni con il tasso più elevato di obesità infantile e adolescenziale», ha affermato Massimo Cuzzolaro, docente di psichiatria all'università la Sapienza di Roma e presidente della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare. «Le malattie legate ai disturbi alimentari hanno costi molto elevati sul piano fisico, psichico, economico, tanto per il soggetto che ne soffre quanto per la sua famiglia e per la società». Molti i motivi a monte di questa situazione> che ci costa tanto in salute quanto in termini di portafoglio. Uno fra i tanti, ma certamente fra i principali, la confusione. Siamo quotidianamente bombardati da informazioni, sui giornali, riviste e internet, su pregi e difetti degli alimenti. Migliaia di ore di trasmissione sulle tv generaliste in cui dottori in camice bianco ci spiegano cosa, come e quanto mangiare. Peccato che però l'autorevole dottor A, che ha appena decretato l'alimentazione perfetta, sarà presto corretto dal professor B, che a sua volta sarà smentito dall'accademico C. Pensiamo solo all'olio o al vino. Questi due alimenti, presenti su tutte le tavole italiane> sono stati centinaia di volte innalzati allo status di toccasana o additati come dannosi. Ora, un'ennesima ricerca, pubblicata sul quotidiano inglese Guardian, ribalta ancora una volta quelle poche nozioni che anche gli italiani avevano assimilato, riabilitando la carne rossa, il burro, le uova, il pane bianco e il gelato. Alla ricerca della forma perfetta, nulla vi vieta di gustare uri buon gelato, soprattutto se alla frutta. I gelati, anche se a base di latte (creme), sono alimenti molto meno calorici di torte o pasticcini. Sono oltretutto di lenta assimilazione: ovvero rilasciano gli zuccheri nel sangue molto lentamente. Questo dà senso di sazietà per diverso tempo, inibendo il desiderio di mangiare ancora. Che sia artigianale o no, alla frutta o al cioccolato, il gelato resta un alimento decisamente calorico: una porzione media (una coppetta da due-tre palline) contiene dalle 250 alle 500 calorie. Per gustarlo senza appesantirsi troppo, basterebbe a esempio fare un pasto ipocalorico a base di proteine (150 g di carne con una insalata) e solo dopo concludere con un piccolo gelato. Soprattutto se crude o sode, le uova sono un'ottima fonte proteica (ogni uovo contiene circa 7 grammi di proteine, di cui 5 nell'albume e 2 nel tuorlo). I grassi nell'uovo sono per la maggior parte monoinsaturi e polinsaturi, equindi benefici per la salute. Hanno un indice di sazietà elevato, grazie al loro basso apporto di calorie (solo circa 80 per ogni uovo di media grandezza). Dopo anni di campagne martellanti in favore degli alimenti integrali; molti hanno lasciato il pane bianco per i più ricchi di fibre pani neri. Ma a livello di sali minerali, il pane bianco trionfa: contenendo meno fibre, il pane bianco è un ottimo veicolo per il calcio, la cui digestione, non essendo intralciata dalle fibre (che non sono digeribili) avviene in quantità maggiore. ______________________________________________________________ il Giornale 12 Apr. ‘08 CRESCONO IN EUROPA I PAZIENTI CON ULCERE DIFFICILI SONO SEI MILIONI OGNI ANNO Matteo Di Paolo Antonio Un bisturi «gentile» ad ultrasuoni che rispetta i tessuti, un liquido «nascondi- cicatrici» da applicare dopo la rimozione dei punti di sutura, un metodo «sottovuoto» per stimolare la guarigione delle ferite. Sono le principali novità che gli specialisti italiani hanno presentato nel congresso nazionale della Conferenza italiana per lo studio e la ricerca sulle ulcere, piaghe, ferite e la riparazione tissutale (Corte), tenutosi a Roma. Il problema delle ulcere, delle ferite difficili e delle cicatrici patologiche è in costante aumento a causa dell'invecchiamento della popolazione. In Europa oltre 6 milioni di pazienti all'anno hanno bisogno di cure per queste patologie e le spese che ne derivano hanno un impatto importante per il Servizio sanitario nazionale. Il costo medio per il trattamento di una ferita difficile si aggira sui mille dollari, mentre quello per un'ulcera del piede diabetico supera i 18mila euro per paziente. In Italia, ogni anno, in chirurgia plastica vengono eseguiti oltre 70mila interventi che comportano incisioni di lunghe dimensioni: nel 46 per cento casi di ricostruzione del seno e nel 33 per cento di mastoplastîca riduttiva. Ma oggi le cicatrici si possono nascondere. «Le ferite si possono medicare con l'acqua e il sapone - afferma Nicolò Scuderi, direttore della cattedra di Chirurgia plastica dell'università di Roma La Sapienza -, oppure con medicazioni tecnologiche, sicuramente più costose all'inizio ma in grado di portare a guarigione in tempi più rapidi e con minore sofferenza per il paziente e chi lo assiste». II servizio sanitario, denuncia Corte, da questo punto di vista è però fermo, se non addirittura «in regresso», visto che grandi strutture come i Centri traumatologici sono in crisi perché l'assistenza ha costi alti. Le cose possono cambiare anche grazie a strumenti all'avanguardia per evitare evidenti ferite, gonfiori, rossori e solchi. Tra le tecniche presentate al Congresso la Npwt (Negative Pressure Wound Therapy) è una delle piu innovative: è la terapia locale delle lesioni della pelle che stimola il processo di guarigione mantenendo sotto pressione costante e diffusa 1$ ferita, con materiali di riempimento, come il poliuretano. In anteprima assoluta per un Congresso di chirurgia plastica italiano è stato presentato il nuovo bisturi ad ultrasuoni; uno strumento che rispetta i tessuti senza bruciarli. È monouso e destinato a soppiantare il bisturi elettrico, utilizza energia meccanica a velocità ultrasonica. Terza novità: il «nascondi-cicatrici». È un liquido che viene applicato dopo la rimozione dei punti di sutura e si indurisce creando un microambiente favorevole per la cicatrizzazione e per il miglioramento estetico della ferita. Il professor Scuderi ha anche parlato di un altro prodotto della ricerca italiana: il «sostituto» della pelle, un tessuto a base di acido ialuronico che, attraverso il rilascio prolungato della sostanza attiva, favorisce la rigenerazione naturale dei tessuti.