CAGLIARI: CAMBIANO I PRESIDI IN CINQUE FACOLTÀ - GELMINI: LA PRIMA SFIDA: NON FARSI IMPALLINARE DAI SENATI ACCADEMICI - GELMINI: CHIAMATA DIRETTA DEI DOCENTI – GELMINI: FINANZIAMENTI LEGATI AI RISULTATI - UNIVERSITÀ: NON SI PUÒ PIÙ PERDERE TEMPO - RICERCA, NIENTE FONDI SENZA BANDO - UNA LAUREA RENDE SOLTANTO 1.600 EURO - UN PEZZO DI CARTA VALE LA CARTA - SCUOLA, METÀ DEGLI ITALIANI HA SOLTANTO LA LICENZA MEDIA - NEGLI ATENEI IN ARRIVO RISORSE PER 7,5 MILIARDI - UNIVERSITÀ, NELLA SCELTA ATTENZIONE AI MASTER - SciVee: UNO YOUTUBE DA LABORATORI - LABORATORI, POCHI E INUTILIZZATI - LA DISFATTA DEI LABORATORI SCOLASTICI - PRECARI ALLA STABILIZZAZIONE - ITALIANI E WEB, RAPPORTO DIFFICILE PIÙ DELLA METÀ NON USA INTERNET - ======================================================= SANITÀ: NON POSSONO ESISTERE MODELLI UGUALI PER TUTTI - SARDEGNA: RETE REGIONALE DELLE MALATTIE RARE, NEL PORTALE - NUORO: AL VIA PROJECT FINANCING DA 60 MILIONI PER LA CITTADELLA SANITARIA - SASSARI L’AZIENDA MISTA NON DECOLLA - SANITÀ ANCORA SENZA DIRIGENTE: I SINDACATI PROTESTANO - BERLUSCONI: «SAN RAFFAELE» DA ESPORTAZIONE - MACCHINARI ASL, IL LEASING CONVIENE - INDUSTRIE FARMACEUTICHE MANIPOLANO GLI STUDI CLINICI - LE NOVITÀ DEL DECRETO CHE HA RIDEFINITO LE PRESTAZIONI - SANGUE: DEBITO D'EFFICIENZA - GENERALISTI A TUTTA E-HEALTH - SANITÀ, IN AUMENTO LE PATOLOGIE DI MEDICI, INFERMIERI E ASSISTENTI - DOTTORI, SMETTETE DI PARLARE IN «MEDICHESE» - FOCUS LEGGE BASAGLIA, 30 ANNI DOPO - PIÙ CURE AI DENTI DEI PICCOLI - ======================================================= ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 mag. ’08 CAGLIARI: CAMBIANO I PRESIDI IN CINQUE FACOLTÀ Possibile qualche riconferma A Ingegneria i candidati sono tre CAGLIARI.Cambio della guardia in cinque facoltà universitarie: per i presidi di Ingegneria, Scienze Politiche, Medicina, Lingue e letterature straniere, Lettere e Filosofia i mandati sono prossimi alla scadenza e da qui a un mese i consigli di facoltà si riuniranno per eleggere i successori. Qualcuno potrebbe essere riconfermato, qualcun altro vedrà la sua esperienza chiudersi qui: dopo le modifiche dell’anno scorso, lo statuto dell’ateneo prevede infatti che l’incarico di preside può essere rinnovato una volta sola. Mentre in qualche facoltà, come Ingegneria, le carte sono già state scoperte, con l’indicazione dei candidati, in qualcun altra si lavora ancora per trovare un nome condiviso, mentre in altre è ancora buio fitto. E’ notizia dell’altro ieri la presentazione dei tre candidati nella facoltà di Ingegneria che venerdì si sfideranno per succedere a Francesco Ginesu, al suo terzo mandato, il limite previsto prima delle modifiche dello statuto: si tratta di Giacomo Cao, ordinario di Princìpi di ingegneria chimica, Giorgio Massacci, presidente del corso di laurea in Ingegneria per l’ambiente e il territorio, e di Giuseppe Mazzarella, docente del dipartimento di Ingegneria elettrica. Una sfida che potrebbe concludersi anche con un nulla di fatto: per essere eletti al primo turno è necessaria la maggioranza (la metà più uno) degli aventi diritto e dato l’alto profilo di tutti e tre i candidati non è difficile ipotizzare un ritorno alle urne per una seconda votazione - che si terrebbe il 16 maggio - in cui per vincere basterebbe la maggioranza dei votanti. Se anche in questo caso si risolvesse tutto in un nulla di fatto, il 23 maggio si andrebbe al ballottaggio. Situazione ancora da delineare nella facoltà di Lettere e filosofia, dove al timone c’è Giulio Paulis che potrebbe essere rieletto. Per presentare le candidature c’è tempo sino a un momento prima che il consiglio di facoltà si riunisca per votare. In questo caso, si riunirà in prima convocazione il 4 giugno. La seconda votazione potrebbe avvenire l’11 e l’eventuale ballottaggio il 18. Non è uscito alcun nome dal cilindro neppure nella facoltà di Lingue, dove l’attuale preside, Ines Loi Corvetto, al suo secondo mandato, dovrà passare il testimone. Qui i componenti del consiglio di facoltà saranno chiamati a esprimersi il 14 maggio. Passaggio di consegne anche nelle facoltà di Scienze Politiche (si vota al primo turno il 17 giugno) e di Medicina, dove i rispettivi presidi, Raffaele Paci e Gavino Faa, hanno raggiunto i limiti massimi di mandato: «Da noi - spiega Paci - il consiglio di facoltà si riunirà il 20 maggio per un dibattito aperto sulle possibili candidature». Troppo presto però, avverte il preside di Scienze Politiche, per dire quali potranno essere gli eventuali papabili: «L’obiettivo è arrivare a una candidatura condivisa da tutti». Mentre a Medicina il nome di chi succederà a Faa, il cui terzo mandato (ogni mandato dura tre anni) scadrà a ottobre, già esiste: Mario Piga, presidente del corso di laurea in Medicina e chirurgia. Qui il consiglio di facoltà si riunirà a metà giugno. Sabrina Zedda _______________________________________________________________ ItaliaOggi 6 mag. ’08 MINISTRO GELMINI: LA PRIMA SFIDA: NON FARSI IMPALLINARE DAI SENATI ACCADEMICI Il prossimo ministro dell’istruzione e università dovrà rilanciare un sistema fortemente ingessato Che cosa dovrebbe fare un ministro dell'istruzione, in un governo di centro- destra, che si metta alla guida del sistema formativo nazionale? Come evitare di farsi impallinare dai senati accademici e dai collettivi studenteschi di mezz'Italia dopo uno scampolo di legislatura? Innanzitutto non dimenticare l'università italiana è innervata, se non in maniera maggioritaria certo in modo rappresentativo, della cultura di sinistra. Una sinistra sempre meno militante, sempre più pragmatica, certamente depressa dall'esperienza mussiana del Prodi II, ma certo geneticamente distante da chi oggi è stato chiamato a governare. Durante il biennio di Fabio Mussi, rettori, presidi e docenti notoriamente simpatizzanti a sinistra, hanno assistito impassibili alla silenziosa revoca delle dimissioni irrevocabili del ministro, di fronte al Governo inadempiente in tema di risorse. T e serrate minacciate, le cerimonie vietate ai ministri, la sospensioni della didattica e i sigilli ai termosifoni non ci sono stati. Psicologismi da sottogoverno? No, intelligenza di una realtà molto particolare. Non faccia dunque il ministro- in pole c'è la Maria Stella Gelinini - l'errore di abbeverarsi all'ultra liberismo dei Perotti, degli Alesina, dei bocconiani destruttoratori di turno: le misure tranchantes non si sposano con la politica in generale e le riforme, quelle vere, si fanno disarticolando i meccanismi di inefficienza e lavorando sodo su pochi ma realistici punti. Le risorse sono certamente uno di questi. Dopo una riforma a costo zero (quello del 3+2), dopo anni di erosiene continua dei finanziamenti, le università italiane ormai bocheggiamo. Lo 0.8% del Pil che l'Italia investe è una cifra nemmeno paragonabile non tanto agli Usa, ma alle medie europee,fin ministro che voglia essere tale. ne la sua linea del Piave pensando subito a Vittorio Veneto, quand'anche fosse convinto che gli atenei spendono troppo e male. Ciò significa essere disposti a piangere, come fece Letizia Moratti in un consiglio dei ministri, peraltro difendendo la scuola. II depauperamento progressivo degli ultimi otto anni è tale che, se non si rimettono i soldi sul tavolo, qualsiasi idea di riforma, anche la più liberista, risulterà inapplicable. In questo modo, si potrà da subito esigere l'adozione si un serio sistema di valutazione. Potrebbe essere la stessa Agenzia voluta da Mussi, arrivata in Gazzetta proprio mentre il ministero si inabissava. Il progetto ha un senso, pur come molte zone d'ombra: il nuovo Ministro non faccia come quei governanti della Restaurazione, che s'interroga- se abbattere un ponte, per il fatto che l’avesse costruito Napoleone, ma usi intelligentemente l'impianto, lo migliori, lo perfezioni ma poi lo faccia lavorare. Da salvare, dell'era Mussi. anche il freno agli atenei telamatici. E un ministro che voglia durare farà bene a pensare un po' di più agli studenti. Da molti anni il Palazzo si disinteressa di questo milione e mezzo di italiani, confidando sul loro disimpegno. Non un '68 ma neppure una addomesticabile Pantera sono alle porte e la politica ne ha preso atto da tempo. Non commetta questo errore, il ministro, perché i motivi di insoddisfazioni non mancano. Come gli effetti parossistici della riforma: moltiplicazione degli esami, scomparsa delle prove orali, stage curriculari introvabili. O come i tassi di abbandono dopo il primo anno, ancora attestati intorno al20% delle matricole. Dia ad Aquis, il club delle 18 università che si sono autoeertificate d'eccellenza reclamando maggiori finanziamenti, il valore che ha: quello di una sana provocazione sul tema delle risorse e non quello di mia scissione. Gianapaolo Cerri direttore Campus _______________________________________________________________ Repubblica 9 mag. ’08 GELMINI: CHIAMATA DIRETTA DEI DOCENTI - FINANZIAMENTI LEGATI AI RISULTATI Il programma della Gelmini nella sua recente proposta di legge MARIO REGGIO ROMA -Abolizione dei debiti formativi, chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi. E per l'università finanziamenti in base alla valutazione dei risultati da parte di una commissione esterna al mondo accademico, per arrivare alla chiamata diretta dei professori universitari. Ed infine privatizzazione degli enti di ricerca. In base ad un concetto centrale: agevolare la «diffusione e l'attuazione concreta nella società italiana del principio del merito». Questi gli obiettivi cardine della proposta di legge delega depositata dall'allora deputata di Forza Italia Maria Stella Gelmini l’8 febbraio scorso, dopo la caduta del governo Prodi. E proprio l'intero secondo paragrafo della norma è dedicato a università e scuola. I settori di cui ora Gelmini dovrà occuparsi come ministro del IV governo Berlusconi. Ma senza cancellare tutto quel che è stato fatto fino ad ora, e fermo restando i1 principio del confronto con tutte 1e componenti del mondo della scuola. La «riforma» della nuova inquilina di Viale Trastevere, dunque, sarebbe già pronta. O, comunque, sono chiari i principi a cui si ispirerà il neo ministro. Si parte dall'autonomia scolastica: nella proposta di legge Gelmini propone più poteri ai presidi, organizzativi e disciplinari, la promozione della concorrenza tra le istituzioni attraverso la ripartizione dei soldi pubblici in base ai risultati raggiunti, verificati da un organo terzo di valutazione, e il riconoscimento alle famiglie di "voucher" formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private. Per quanto riguarda gli studenti, il neoministro è favorevole alla cancellazione del sistema dei debiti formativi, ma anche all'aumento della selettività anche «attraverso la reintroduzione degli esami di riparazione». Le eventuali insufficienze, comunque, vanno colmate attraverso «appositi moduli integrativi obbligatori» senza «oneri a carico dello studente». Poi ci sono i docenti: Gelmini propone la chiamata diretta da parte dei presidi su liste di idonei, con un periodo di prova di 2 anni scolastici propedeutico all'assunzione a tempo indeterminato. Quanto al sistema universitario, la neoministra nella sua proposta di legge parla di esami preliminari «obbligatori per l'accesso» anche «ove non sia previsto il numero programmato». Ma pensa anche alla «rimodulazione delle tasse, con rafforzamento delle borse di studio destinate agli studenti meritevoli». Rivoluzioni in vista anche per i docenti: la neoministro nella sua pdl di febbraio prospetta una «progressiva abolizione degli incarichi a tempo indeterminato dei docenti» e «l'istituzione progressiva della chiamata nominale da parte delle facoltà. I fondi pubblici, poi, dovrebbero essere ripartiti agli atenei «in misura direttamente proporzionale ai risultati formativi qualitativi certificati da organismi terzi». Per gli enti di ricerca la neoministro è favorevole alla «privatizzazione di tutti gli istituti pubblici». _______________________________________________________________ Il Secolo D’Italia 8 mag. ’08 UNIVERSITÀ: NON SI PUÒ PIÙ PERDERE TEMPO La XVI legislatura deve anche riformare il mondo della ricerca e della cultura Agostzno Carrino Nel suo discorso inaugurale come presidente della Camera Gianfranco Fini ha giustamente definito la XVI legislatura, una legislatura costituente. Si tratterà, infatti, di mettere mano con serietà, intelligenza e umiltà alla riforma di molti istituti, istituzioni, pratiche e procedure e quindi, in sostanza, anche della stessa carta costituzionale, per adeguarla ai mutamenti intervenuti nei bisogni del popolo, alle nuove esigenze e anche ai rinnovati sentimenti degli elettori, che hanno oramai superato vecchi steccati ideologici. Tuttavia questa legislatura dovrà essere non soltanto costituente, ma anche riformatrice. Non tutto passa attraverso il cambiamento del patto associativo. Ci sono molte urgenze che devono essere risolte nella quotidianità, pur avendo, spesso, un impatto altrettanto decisivo della riforma costituzionale. Talvolta anche più profondo. Penso, qui, per fare un esempio, alla riforma dell'università. L'efficienza e il livello qualitativo dell'educazione universitaria, che si associa alla funzione di ricerca scientifica e di innovazione tecnologica, rappresentano la scommessa che ogni paese moderno fa sul proprio futuro. Senza una università adeguata alle necessità di questo mondo sempre più complesso, nel quale 'si chiede alla scienza e alla tecnica di offrire soluzioni, talvolta ai problemi che esse stesse hanno creato, nessun paese può guardare al futuro con speranza e ottimismo. E da questo punto di vista la crisi dell'università italiana è indubbiamente grave e pesante. E si trascina da troppo tempo. Non intendo parlare delle patologie più note, sulle quali i giornali spesso indulgono senza una precisa conoscenza dei meccanismi della vita universitaria. II punto dal quale bisognerebbe partire è la constatazione che l'università italiana è morta. Lo aveva già detto Pietro Piovani molti anni fa in un aureo libretto (Morte (e trasfigurazione? ] dell'università, 1969, ristampa Napoli, Guida, 2000). Perché nella storia europea di università ce ne sono state diverse e differenti, succedutesi l'una all'altra. Nessuno potrebbe pensare che l'università morta negli anni Sessanta del secolo scorso fosse la stessa Universitas magistrorum et scholarum del Medio Evo, quando fiorivano da Bologna a Parigi forme di trasmissione del sapere assolutamente non confrontabili con quelle organizzatesi a partire dal Quattro - Cinquecento, durate fino al XVIII secolo e sostituite poi con quel tipo di università al quale ancora pensiamo e che invece è anch'esso finito da tempo senza, purtroppo, che sia stato ancora sostituito da una nuova università. II Sessantotto fu in questo caso un'illusione: si pensò di aver travolto un'istituzione superata, classista, ingiusta, mentre in realtà quella istituzione era già crollata per i fatti suoi. Sicché ci si accani contro le macerie lasciando intatte le pareti pericolanti, ma ancora in piedi, tutto sommato allora come oggi. Lo stesso vale per coloro che, dalla parte dei docenti, si sforzavano di difendere ciò che difendibile non era. L'università "humboldtiana" già non esisteva più e meglio si sarebbe fatto a prenderne atto per porre le basi di una nuova università. Scriveva Piovani: «Hanno avvenire solo le civiltà che sanno formare le loro forme, sostituendole ex novo alle cadenti e cadute, cioè inventandole con adeguata fantasia, con raddoppiato sforzo creativo». Una civiltà nella storia si trasforma, spesso crolla. Ma non crolla la dimensione di civiltà che è connaturata all'essere umano. Così la vocazione culturale non muore certo con la morte di una forma storica di università: ha solo bisogno di trovare nuove forme di espressione e di organizzazione. Ancora Piovani scriveva che «l'organizzazione della ricerca dipende dalla ricerca», per dire che c'è una spontaneità che bisognerebbe non solo incoraggiare, ma anche semplicemente assecondare. II punto è che, come osservava già Martin Heidegger negli anni Trenta, «è morta la radice comune delle scienze come fondamento essenziale». Tradotto in soldoni, una nuova università non può più mettere insieme come se stessimo ancora nel Medio Evo le facoltà di fisica e di medicina con quelle di lettere e di scienze politiche. Si rischia così di restare nel «bazar di saperi di cui parlava Karl Jaspers, concretamente disconoscendo le esigenze differenti di un politecnico e di una facoltà di giurisprudenza. L'universalità dei saperi di tipo classico non esiste più e l'università nuova dovrebbe adeguarsi a questa perdita, che può essere giudicata triste, ma che è una realtà oggettiva. È auspicabile che il nuovo governo e il nuovo ministro dell'istruzione e dell'università sappiano promuovere direttamente la cultura e la ricerca, affinché queste stesse possano aiutare a trovare le nuove forme ad esse adeguate nel XXI secolo, a creare informazione e chiarificazione in un legame oramai imprescindibile con il mondo della produzione, dove, per la verità, perfino la filosofia potrebbe trovare un suo spazio, una volta catapultata nel mondo concreto e sottratta alle sterili ripetizioni professorali. Con un'avvertenza: la ricerca e la cultura sono attività impegnative, che chiedono dedizione e sforzo. Le nuove istituzioni dovranno adeguarsi a queste caratteristiche. Le nuove forme dovranno rispondere al principio della efficienza, della trasparenza, della qualità, della gerarchia. Ma innanzi tutto della responsabilità: abolizione del valore legale del titolo di studio; riforma del corpo insegnante; distinzione tra università di pura ricerca e università miste (insegnamento e ricerca); creazioni di scuole di alta formazione; retribuzione adeguata ai livelli europei per i professori; strutture adeguate; formazione telematica di qualità, associata ad una riduzione del numero abnorme di atenei. Insomma, c'è molto da fare; il punto è che non c'è più tempo. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 mag. ’08 RICERCA, NIENTE FONDI SENZA BANDO di Paolo Bianco* ed Elena Cattaneo** Ci sono cose che diventano luoghi comuni prima di diventare senso comune. La necessità di rilanciare la ricerca in Italia, il suo imprescindibile valore per la crescita economica e civile di un Paese, i rischi per lo sviluppo possibile e per il suo ancor più possibile arresto, il salmodiare unanime in difesa del merito. A leggere commenti e dichiarazioni, tale è l'unanimità, e tale l'autorevolezza degli unanimi, nel mondo politico come in quello accademico, che se ne potrebbe dedurre che si può dormire tranquilli. Invece le lamentazioni sui cervelli in fuga, sui cervelli rientrati e su quelli riusciti, sui giovani da finanziare a tutti costi (e in quanto tali) e le giaculatorie sul merito calpestato, ci risvegliano dal sonno, senza mai tuttavia accompagnarci nello stato di veglia. Accedendo al quale, dovremmo, aperti gli occhi, riconoscere alcune semplicissime e macroscopiche verità. Che ci spiegano come mai accade, quanto di male accade. La prima è che l'Italia non ha organi centrali adeguati che definiscano le scelte strategiche in tema di scienza e tecnologia. Scelte strategiche sono quelle che identificano i grandi settori (per esempio, energia, salute, elettronica) nei quali il Paese può ambire a posizioni di leadership internazionale, e quelli su cui il. Paese ha necessità di puntare in base alle sue caratteristiche e necessità di sviluppo economico. Mentre il problema è probabilmente generalizzato a tutti (o quasi tutti) gli ambiti specifici della ricerca scientifica (si veda l'intervento di Andrea Ichino sul Sole 24 Ore del 12 aprile), in alcuni settori chiave, come quello della ricerca biomedica, 'e così grave da essere immediatamente visibile. Riconosciuto il valore strategico della ricerca sulle cellule staminali, ad esempio, il ministero della Salute, vara (2007) "progetti speciali" di interesse "strategico" che durano due (due, non ao) anni, e nei quali investe tre (tre, non 300) milioni di euro in base a un articolo di Finanziaria (2007). E identifica come destinatari istituzionali dei fondi che amministra, non già i destinatari naturali- ricercatori e laboratori che lavorano sul tema strategico - ma le istituzioni che ricadono nella giurisdizione ministeriale. Così, in un Paese in cui il ioo% degli studiosi in tema di cellule staminali sono professori universitari, gli atenei dai progetti speciali cellule staminali sono esclusi, mentre istituti zooprofilattici e l'Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro (sic) sono ammessi ai finanziamenti (per ricerche che verosimilmente non sono attrezzati scientificamente a svolgere), insieme a un arcipelago di Irccs nel quale coesistono isole di ottima produttività scientifica, isole di impressionante improduttività, e perfino galleggianti pneumatici ingurgite vasto. Ma se Atene piange, Sparta non ride. Il Miur ha destinato negli anni parte delle risorse per la ricerca scientifica secondo un modello top-down. Vuol dire finanziare temi (e ricercatori) scelti dal ministero, limitando accesso, competizione, originalità e libertà scientifica, e incoraggiando il negoziato diretto tra ricercatori h organi ministeriali, e ogni sua possibile degradazione lobbistica. Se si volesse indicare il più vistoso esempio della distanza tra il sistema di finanziamento negli Stati Uniti e quello italiano, sarebbe forse proprio questo. Dunque, in un Paese che non compie scelte strategiche se non quella di limitare l'accesso ai finanziamenti e la libera innovatività, scelte vincolanti sono tuttavia lasciate alla politica. Scelte magari definite pomposamente «strategiche» a loro volta, ma estemporanee quanto temporanei sono gli orientamenti politici e lo stesso personale politico di un ministero. Strategiche le cellule staminali un anno, saranno dunque strategiche le nanotecnologie l'anno dopo, e ogni strategica strategia, definita non si sa dove né da chi, durerà non più di anni tre. Così, la politica (minuscola) occupa il vuoto determinato dall'assenza di una politica (maiuscola) scientifica stabile e di respiro, ma non lo colma. La seconda è che l'Italia, nonostante la pletora di soggetti pubblici che distribuiscono denaro, non ha organi adeguati per l'amministrazione della scienza. Ridotto all'asfissia il Cnr, che nella concezione e nel rapporto con gli organi dello Stato era ispirato a un principio moderno e funzionale, il denaro per la ricerca biomedica prende almeno 22 strade diverse (due ministeri almeno, più 20 Regioni) tra il governo e i laboratori di ricerca. Lungo ognuna delle 22, il codice della strada (le scelte e le regole in base alle quali i finanziamenti sono determinati ed erogati) è diverso. E lungo ognuna delle strade, il codice cambia col cambiare degli uomini. Tutto questo è possibile se mancano, come mancano, un orientamento strategico e un principio comune. È possibile se manca, come manca, un organo centrale con compiti di direzione strategica della ricerca nel Paese, e che rappresenti la vera (e unica) e necessaria interfaccia tra politica e scienza, che non deve essere invasivamente dispersa e atomizzata, come è in Italia, entro il territorio autonomo della ricerca. La terza è che in Italia sono sconosciute le procedure di valutazione anonima, terza, competente e indipendente in base alle quali la scienza va finanziata. Troppo spesso confusa con il semplice ricorso a revisori anonimi, e troppo spesso confusa con lo strumento con il quale difendere il merito (come se fosse interesse dello Stato tutelare i "bravi", e non tutelare se stesso attraverso la promozione della migliore scienza possibile), la peer review (il sistema di valutazione autonoma, competente e indipendente, della scienza da parte della scienza) è insieme un principio di autonomia della scienza che ne assicura il successo, una garanzia di trasparenza per la pubblica amministrazione, e un sistema di procedure e norme definite nel dettaglio, che si incarnano in organismi e strutture per la loro corretta e vigilata applicazione. Senza le quali, nessuna valutazione anonima di progetti e studi si salva dal rischio di ridursi a una nostrana "anonima valutazioni". L'assenza di norme che vietino ad esempio di erogare finanziamenti pubblici per la ricerca senza bando pubblico e in modo diretto basterebbe da sé a indicare l'urgenza di correttivi. La molteplicità di sorgenti di finanziamento e la difforme arbitrarietà delle modalità di amministrazione rendono il quadro ancora più complicato. È urgente uniformare regole e procedure, ridurre il numero di organi che finanziano la ricerca, introdurre e sancire sul piano normativo i principi di autonomia e libertà della ricerca e riconoscere l'interesse dello Stato (e non dei ricercatori) allo sviluppo scientifico. Ci sono politici all'altezza del compito? "Università La Sapienza di Roma pao(o.bianco@uniromai.it **Università di Milano elena.cottanep@unimi.it Il Paese non ha enti centrali adeguati per definire le priorità su cui investire Istituzioni chiamate a intervenire con regole per l'autonomia e la trasparenza Gli atenei sono esclusi dai progetti speciali sulle cellule staminali: eppure il 100% degli studiosi sono professori universitari Canali diversi Le strade di finanziamento della ricerca biomedicale in Italia passano attraverso almeno 22 canali diversi (due ministeri e 20 Regioni) Fondi pubblici in rapporto al Pii Francia e Germania investono di più per la ricerca: entrambe l0 0,7 per cento Ricercatori in Italia Sono 100mi1a in Spagna, 200mi1a in Francia e circa 270mi1a in Germania _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 mag. ’08 UNA LAUREA RENDE SOLTANTO 1.600 EURO Frequentare l'Università è inutile o quasi. E in questo caso senza alcuna distinzione di facoltà, almeno a livello di retribuzione lavorative. In busta paga, infatti, il valore (lordo) di un diploma di laurea è pari a izo curo, una soddisfazione decisamente grama per chi ha deciso di investire tempo e denaro negli studi superiori. La differenza di retribuzione tra un impiegato diplomato o laureato e un lavoratore non qualificato con la licenza media è infatti di circa 1.6oo euro l'anno, poco più appunto di 1.600 euro lordi al mese. Secondo Unioncamere, autore dello studio; si tratta di un «appiattimento» dei salari italiani verso il basso: un fatto che testimonia la scarsa attenzione al merito che caratterizza il mercato del lavoro in Italia. _______________________________________________________________ Il Foglio 10 mag. ’08 UN PEZZO DI CARTA VALE LA CARTA La laurea ha solo un valore legale, quindi non ne ha sul mercato Da un interpretazione, per la verità un po'spregiudicata, dei dati contenuti nel Rapporto 200B di Unioncamere, la Stampa ha dedotto che la distanza salariale tra chi detiene una laurea e chi non ce l'ha si aggira solo sui 120 euro al mese. Insomma il "pezzo di carta" non vale quasi niente. In compenso costa sempre di più, visto l'aumento delle tasse universitarie, che restano comunque più a buon mercato di quelle degli altri grandi paesi industrializzati. Non è chiaro come siano stati fatti i calcoli, ma pare evidente che la statistica anche in questo caso ha effetti trilussiani. Un laureato in Economia alla Bocconi o un ingegnere hanno, per esempio, in genere un che riconosce la qualità della loro formazione. Lo stesso non vale per lo stuolo di laureati in Giurisprudenza o altre discipline umanistiche o sociologiche. Anche per le lauree l'equiparazione burocratica, figlia del "valore legale" del titolo di studio, ha l'effetto deprimente di tutte le pratiche infondatamente egualitarie, Il fatto è che se la fondazione ha un valore 1egale" finisce col non averne quasi nessuno sul mercato, a eccezione naturalmente di quello dei concorsi pubblici, dove l'immobilismo della casta universitaria si rispecchia in quello della casta burocratica. Professori burocrati, perché non sottoposti alla regola del rendimento, producono altri burocrati, dal valore professionale puramente "legale", E' la spirale che sta strangolando l'Italia e che si può arrestare solo abolendo il valore legale del titolo di studio, in modo da farne emergere quello reale. _______________________________________________________________ Il Giornale 8 mag. ’08 SCUOLA, METÀ DEGLI ITALIANI HA SOLTANTO LA LICENZA MEDIA Fanalino di coda dell'Ue: più di uno studente su dieci rinuncia agli studi al primo anno delle superiori Enza Cusmai *Italiani, popolo di ignoranti. Un'accusa per nulla campata per aria. È l’Istat, nella prima edizione del rapporto «Cento statistiche per il Paese», a snocciolare dati desolanti. E rivelano, prima di tutto, che la metà degli italiani ha in tasca solo la licenza media. Nel 2007 infatti il 48,2% della popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni si è conquistato, come titolo di studio più elevato, solo la licenza di scuola media inferiore. Con qualche punta ancora più negativa in Sardegna, Sicilia, Campania e Puglia dove quasi sci abitanti su dieci (il 57%) sono fermi alle medie. Una situazione che piazza l'Italia in fondo alla graduatoria dei paesi Ue insieme a Spagna, Portogallo e Malta. Tra gli stati più virtuosi, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l'Estonia dove solo il 10% della popolazione adulta è poco istruita. Nel nostro Paese, invece, la carenza scolastica non dilaga solo tra gli adulti, ma colpisce pesantemente anche i giovani. Nell'anno scolastico 2005-06 si assiste a una vera e propria fuga dai banchi di scuola: l’11,1% dei ragazzi, cioè oltre uno studente su dieci, ha lasciato gli studi al primo anno delle superiori, senza completare dunque neppure l'obbligo formativo. Ancora una volta la frattura tra Nord e Sud è evidente. È il Friuli-Venezia Giulia la regione con la quota di abbandoni più contenuta (6,2%) mentre i valori più elevati si trovano in Sicilia e in Campania> dove> rispettivamente, 15 e 14 studenti su 100 decidono di abbandonare le aule prima del tempo. Chi prosegue gli studi non sempre li porta a termine. Solo il 75% dei giovani riesce a ottenere un diploma. Con la conseguenza che il nostro tasso di scolarizzazione è inferiore a quello della media Ue (77,8%). Un timido miglioramento, comunque, c'è stato: +2,6% al Sud tra il 2004 e i12007 e +4% al Nord. Il passaggio all'università resta comunque ancora appannaggio di pochi. Si iscrivono a un corso poco più di 4 giovani su 10 diplomati (41,2%). Dal pubblico al privato. Anche l’Istat conferma che la gente, con o senza titolo di studio, si sente insicura perfino in casa propria. In particolare la criminalità è considerata tra i problemi prioritari per più della metà degli italiani (58,7%), secondo solo alla disoccupazione (70°l°). AI Nord il disagio è invece più radicato. La preoccupazione per rapine, delitti e reati di vario genere supera addirittura la questione del lavoro sicuro. Non a caso crescono i delitti denunciati all'autorità giudiziaria: nel 2005 sono stati segnalati circa 44 delitti per 1.000 abitanti, con un incremento del 15,6% rispetto al 2002. Con poco più di 2,5 milioni di denunce, l'Italia è al quarto posto nella graduatoria europea, dietro Germania, Regno Unito e Francia. L'unica nota positiva nel quadro della criminalità è la flessione dei delitti contro la persona: omicidi, scippi, furti di auto e nelle abitazioni. Gli omicidi, in particolare, sono passati dai 13,1 per milione di abitanti nel 2000 ai 10,3 del 2005, al di sotto della media europea. Dati che attribuiscono all'Italia il titolo di Paese più sicuro d'Europa. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. ’08 NEGLI ATENEI IN ARRIVO RISORSE PER 7,5 MILIARDI Via libera ufficiale per il fondo di finanziamento ordinario delle Università, che per il 2008 potranno contare su 7,5 miliardi di curo, cioè circa5oo milioni in più rispetto all'anno scorso. Il decreto che assegna le risorse è stato firmato ieri dal ministro dell'Università Fabio Mussi e, sottolineano dal ministero, «prevede un fondo straordinario di Sso milioni di euro, di cui 20o distribuiti su criteri qualitativi stabiliti dai Comitati di Valutazione». Completa il quadro uno stanziamento di 4o milioni per consentire la rivalutazione ioo8 delle borse di studio destinate ai dottorandi di ricerca. Ma del «Patto per l'Università» firmato nell'agosto 2007 da Mussi, dal titolare dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa e dai rettori per avviare in grande stile il finanziamento «competitivo» degli atenei, pensato per premiare le performance migliori, rimane in realtà una pallida traccia. Il Patto originario, infatti, prevedeva che almeno 350 milioni (e non 200) fossero distribuiti in base alla capacità di attrazione degli studenti ai loro successi occupazionali e ai risultati della ricerca conseguiti da ogni ateneo; e che una «quota significativa» si questa dote fosse riservata alle università «sotto finanziate», cioè quelle che ricevono meno di quanto dovrebbero secondo il modello di valutazione. A queste ultime, invece, il decreto per l’Ffo 2008 riserva solo le briciole, cioè qualcosa meno di 40 milioni: in pratica, meno del 5 per mille del Fondo ordinario. La sola Università di Torino, per esempio, ha registrato nel 2007una differenza in negativo di 47 milioni di curo, al Politecnico di Milano la forbice è di 42 milioni e a Roma Tor Vergata di 35. In tutto, gli atenei sotto finanziati sono una trentina, ed è ovvio che uno stanziamento di 40 milioni non è in grado di cambiare in modo apprezzabile questo panorama. Le previsioni del Patto di agosto, nate dopo che la commissione tecnica perla Finanza pubblica guidata da Gilberto Muraro aveva lanciato l'allarme sulla sostenibilità dei conti di alcuni atenei, dovevano rappresentare solo l'inizio di un cammino destinato a far crescere negli anni la quota premiale, ma a conti fatti l'esordio si è rivelato un mezzo flop. Contestato anche da una parte del mondo universitario, che nella riunione in cui la Conferenza dei rettori ha esaminato il decreto (si veda «Il Sole 24 Ore» del 9 aprile) ha visto sei importanti atenei dare parere negativo proprio per il "tradimento" dello spirito originario del Patto. G.Tr. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. ’08 UNIVERSITÀ, NELLA SCELTA ATTENZIONE AI MASTER di Walter Passerini A poche settimane dalla maturità, i45omila giovani coinvolti con le loro famiglie si interrogano sul loro futuro. Il 70% si iscriverà all'università, il solo a corsi di formazione professionale avanzata e il 25% si metterà alla ricerca del lavoro. Tra i 3ismila che diventeranno matricole alcuni hanno le idee chiare, molti sono preda dell'incertezza. Che cosa scegliere? Quale facoltà preferire? Quali corsi di laurea saranno i più promettenti? Il modello del "3 + 2" per la verità non aiuta, anzi disorienta: con i suoi 5.400 corsi tra triennali e specialistici, l'università assomiglia a un supermercato, in cui al prevalere dell'offerta non corrisponde un'efficace soddisfazione della domanda. Molti scelgono a pacchetto la laurea triennale pensando anche alla specialistica, ma non è detto che questa sia la strada giusta. Sono molti coloro che, ravvisando la relativa debolezza della laurea di primo livello, si iscrivono al biennio successivo, che diventa più un parcheggio di lusso che una strategia consapevole. Uno dei criteri di scelta; anziché il "3 + 2" potrebbe essere quello del "3 + i". Si tratta in sostanza di aggiungere un master professionalizzante alla laurea triennale, scegliendola in sè, ma anche in funzione della presenza di master di buon livello che avvicinano alla professione. I giovani italiani si laureano troppo tardi rispetto ai loro colleghi europei, la specialistica rischia soltanto di contribuire al ritardo e di deludere le aspettative. L'indicatore dell'offerta di master universitari dopo la laurea triennale rivela una relativa, ancorché debole, propensione dei giovani verso i master di primo livello. Sono ormai quasi 3omila i giovani che vi si sono iscritti, mentre la metà sono quelli che si iscrivono ai master di secondo livello dopo la specialistica: E oltre agli universitari potrebbero essere scelti anche i master promossi dalle imprese sul territorio. Non si tratta di ripristinare il quadriennio del vecchio ordinamento, ma di prendere atto della genericità di troppe lauree triennali. www.walterpasserini.com _______________________________________________________________ TST 7 mag. ’08 SciVee: UNO YOUTUBE DA LABORATORI Internet Filmati, Pubcast, Chat: E'un Successo La Nuova Piattaforma Per Divulgare Con I Media Piu'avanzati Chi dice che la scienza annoia? Su SciVee le scoperte sono uno show e NICLAPANCHERA Piace agli scienziati, che sperano così di dare visibilità ai propri risultati, ma anche di accrescere la propria fama, e alla gente comune sempre più curiosa di gettare lo sguardo (tetro le quinte della ricerca scientifica. E'il sito «SciVee» (www. scivee.org), ribattezzato da subito lo «YouTube della scienza», una piattaforma cross-mediale per la condivisione delle ricerche che era stata pensata inizialmente come strumento di visibilità e aggiornamento per gli scienziati, ma che immediatamente è stata affollata anche dai non specialisti, come insegnanti, studenti, giornalisti e gente comune. Usciti dai loro laboratori, a loro agio davanti alle telecamere, ricercatori e ricercatrici ci mettono la faccia: acconciature perfette e camicie stirate, si improvvisano divulgatori e sperimentano nuove forme di comunicazione: pubeast, open source, condivisione delle informazioni e reti di relazioni, che spesso diventano relazioni interpersonali sono le parole d'ordine di questa iniziativa nata da un anno e già diventata risorsa irrinunciabile per migliaia di studiosi e appassionati di tutto il inondo. «Abbiamo iniziato ad accettare video e articoli da pubblicare il l' agosto dell'anno scorso e dopo sole due settimane ci siamo trovati a dover rispondere a migliaia di mail di commenti e suggerimenti», racconta Apryl Bailey, produetion manager di «SciVee», il sito nato in California grazie alla Publie Library of Scienee (PLoS), alla National Scienee Foundation e al San Diego Supercomputer Center. «Non avevamo ancora lanciato la versione alplia, quando, dopo un articolo apparso on-line, le visite hanno raggiunto quota sei milioni. Per noi fa uno shock vero e proprio. Un'esplosione inaspettata. In dicembre, lo stesso giorno in cui rilasciammo la versione beta, CNN e Usa Today parlarono di noi e "SciVee" registrò oltre otto milioni di contatti, soprattutto da parte del vasto pubblico di non scienziati». Eppure l'inizio era stato in sordina. «Avevamo contattato gli autori degli articoli in uscita su Plos e un team di ricercatori della California, invitandoli a registrare i pubeast, brevi video di spiegazione delle ricerche con il testo dell'articolo che scorre a fianco. Non potevamo prevedere la reazione all'iniziativa, che è stata entusiastica. Con naturalezza, lasciati in laboratorio i tecnicismi, gli scienziati hanno raccontato davanti alla telecamera i risultati dei loro studi con creatività e anche con stile». Oggi gli utenti sono soprattutto i ricercatori delle grandi università statunitensi e canadesi, ma si trovano anche gruppi in lingua spagnola e una rivista on-line italiana, «Le Scienze Web News». Di colpo, si spalanca un nuovo modo di comunicare. E infatti solo una piccola percentuale sembra non amare il progetto, turbata dall'idea che un filmato rimpiazzi un articolo. «Non è così - precisa Apryl -. I video su "SeeVee" intendono coinvolgere, suscitare interesse e voglia di approfondire una ricerca, che, forse, sarebbe passata inosservata tra migliaia di pubblicazioni: permettono di comunicare in modo diverso, svincolato dalle necessità del linguaggio specialistico tipiche degli articoli, che sono comunque disponibili on line e che vengono ledi di più, se accompagnati dalle immagini». Un'accoglienza inaspettata, quindi, per un'iniziativa che per prima ha intercettato il bisogno di condivisione del sapere e di abbattimento delle distanze. «Non a caso "SeiVee" ha attivato delle sezioni dedicate a temi particolari e gruppi di discussione, che liberamente si formano, crescono e accolgono anche molti non scienziati. C'è un interesse davvero forte tra la gente, che vuole conoscere anche il "backstage" della ricerca, il dietro-le- quinte che spesso non si racconta. In tanti vogliono andare direttamente alle fonti, dialogando con gli scienziati e saltando la mediazione dei giornalisti». Oltre all'inattesa ed enorme visibilità per le proprie ricerche, gli scienziati possono sfruttare le opportunità della condivisione del sapere, inserendo informazioni relative ai propri interessi di ricerca e creando comunità virtuali. Ottanta canali spaziano dai temi caldi delle neuroscienze a quelli della computer scienze, fino al rapporto scienza, arte e tecnologia. Tra gli utenti, ci sono professori, associazioni e anche uno dei grandi laboratori della Nasa, il Jet Propulsion Lab. E non basta. «SciVee» ospita materiale non direttamente collegato alla pubblicazione in una rivista scientifica. Aluppi di studenti possono mettere in Rete i loro progetti scolastici, guidati dai docenti, e formare gruppi di discussione!», continua la Bailey, diventata lei stessa una star (è stata tra gli ospiti della manifestazione «Fest» a Trieste). Il passo successivo è il coinvolgimento dei giornalisti scientifici, che, «avendo una maggior conoscenza del mondo della divulgazione, possono indicarci come fare meglio, comunicando la scienza nel modo più efficace possibile». L'avventura è alla vigilia di un nuovo inizio e «SciVee» è inondata dai curricula delle nuove generazioni dei comunicatori. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 mag. ’08 LABORATORI, POCHI E INUTILIZZATI Poco numerosi, mal utilizzati e spesso organizzati con allestimenti di fortuna. È desolante il panorama dei laboratori nelle scuole italiane secondo il Gruppo di lavoro interministeriale per lo sviluppo della cultura scientifica guidato dall'ex ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer. La ricerca, commissionata al Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, svela che i laboratori sono carenti alle elementari e alle medie, pochissimi nei licei classici e scarsi negli scientifici. Solo negli istituti tecnici la situazione appare migliore; ma in buona parte dei casi a manipolare gli strumenti presenti nei laboratori sono solo i docenti. E, più generale, le strutture sono poco frequentate e accessibili, anche se con sensibili differenze tra Nord e Sud del Paese. Secondo il Cnr, poi, risulta scarsa anche la presenza di personale esperto di supporto alla didattica: nel 39% delle scuole primarie non c'è mai un addetto, così come nel 49% delle medie e del 22% delle superiori. E il 22°I° dei prof delle elementari dichiara di non andare «mai» in laboratorio con la classe. LA DISFATTA DEI LABORATORI SCOLASTICI Dossier presentato dal Gruppo per lo sviluppo della cultura scientifica DI GIUSEPPE PICCIANO Sono pochi, sotto utilizzati e spesso a manipolare gli strumenti di cui dispongono sono solo i docenti, mentre gli alunni stanno a guardare. È questa, in sintesi, la fotografia sull'uso dei laboratori nelle scuole italiane scattata dal Gruppo di lavoro interministeriale per lo sviluppo della cultura scientifica. Per la prima volta un gruppo di autorevoli esperti, guidati dall'ex ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer, ha analizzato il fenomeno commissionando una ricerca, presentata al Cnr, che ha fornito esiti poco incoraggianti. I laboratori sono carenti alle elementari e alle medie, scarsi nei licei scientifici, pochissimi nei classici. Solo in alcuni istituti tecnici la situazione è migliore. Ma in genere le strutture sono poco frequentate e accessibili. Tutti indicatori che variano, naturalmente, da zona a zona e che risentono del cronico andamento decrescente dal Nord al Sud del Paese. Le cifre sono eloquenti. Nella prima parte della ricerca (censuaria) sono raccolte le risposte di 11mila scuole sulla generica disponibilità di laboratori scientifici (esclusi quelli di informatica). Sono presenti solo nel 27% degli istituti primari e nel 63% delle scuole medie. La percentuale sale alle superiori, con l’80% (anche se a volte ce n'è solo uno). Nella seconda parte del dossier prendono la parola i docenti di 1.400 scuole scelte come campione e il quadro diventa desolante: alle elementari si può accedere ai laboratori quando si vuole solo nel 22% dei casi, alle medie nel 38%, alle superiori nel 49 per cento. Le aule attrezzate per la didattica sono pochissime: i laboratori "puri" sono solo il 18% alle elementari, il 29% alle medie e alle superiori. A volte (11% dei casi nelle primarie) ci si attrezza in spazi ricavati nei corridoi. Altre (49% dei casi alla primaria, 47% alle medie, 32% alle superiori) gli esperimenti si fanno direttamente in classe. Quanto ai materiali di consumo, sono scarsi nel primo ciclo di istruzione, sufficienti nel secondo. Le attrezzature, invece, sono obsolete e inutilizzabili nel 18% dei casi alle elementari, nel 13% alle medie, nell'8% alle superiori. In media, solo un istituto su 3 (di ogni ordine e grado) vanta strumenti veramente adeguati. Scarsa, poi, la presenza di personale esperto di supporto alla didattica: nel 39% delle scuole primarie non c'è mai un addetto, così come nel 49% delle medie e nel 22% delle superiori. Quanto alla frequenza di accesso nei laboratori di scienze, i122% dei docenti delle elementari rivela di non andarci "mai" con nessuna delle sue classi. La percentuale scende al 16% alle medie e al 10% alle superiori. Tra i ragazzi più grandi le speranze di vedere una provetta sono più alte nei técnici (il 65% ci va una volta al mese o a settimana) scarsissime al liceo pedagogico (si scende al 15%). Infine, quasi sempre è l'insegnante a eseguire gli esperimenti (73% delle volte alle elementari, 61% alle medie e superiori) mentre i ragazzi sono semplici osservatori. Peccato perché gli alunni (oltre i140%) mostrano sincero interesse verso queste attività. «Chiederemo al prossimo Governo - spiega l'ex ministro Berlinguer - di introdurre il voto specifico per lo studio in laboratorio, la scuola italiana è ancora troppo caratterizzata da lezioni frontali: l'insegnate spiega e gli alunni ascoltano senza avere la possibilità di mettere qualcosa in pratica. E anche in laboratorio la realtà non cambia. Se vogliamo diffondere meglio queste attività dobbiamo anche valutarle, come succede già in alcuni istituti tecnici. È auspicabile un voto specifico agli scrutini con esami finali». INSEGNANTI POCO PREPARATI E ATTREZZATURE SUPERATE L’analisi della ricerca commissionata dal gruppo interministeriale di esperti reclama una svolta: realizzare nelle scuole una sintesi tra teoria e sperimentazione. L'attuale situazione impone perciò un cambio di passo, come emerge dalle risposte fornite dai docenti di 1.400 scuole campione. Sulle strutture di laboratorio disponibili per l'insegnamento della disciplina, nel 57% dei casi, nella scuola elementare, è il laboratorio di informatica a prestarsi all'uso, soltanto nel 13% i docenti hanno una struttura specifica. Nell'l l% dei casi si è costretti ad allestire "laboratori" in androni o corridoi. Anche nella scuola media il laboratorio di informatica arriva in soccorso nel 66% dei casi mentre il laboratorio specifico per la materia è disponibile nel 23% dei casi. Quattro volte su 10 il laboratorio "spunta" in un corridoio. Nella scuola superiore le percentuali sono un po' più incoraggianti. La disponibilità di laboratori attrezzati per la disciplina è pari al 63% ma permane un preoccupante 9% secondo il quale un laboratorio è attrezzato con mezzi di fortuna. In quanto all'accessibilità effettiva degli spazi attrezzati nella scuola elementare è pari al 22%, nella scuola media è del 38%, nella superiore è al 49 per cento. Il quadro è abbastanza avvilente anche per ciò che concerne la qualità della strumentazione a disposizione dei docenti. Nella scuola elementare sono disponibili attrezzature antiche ma utilizzabili nel 33% dei casi, moderne ed efficienti nel 27% e inutilizzabili al 18 per cento. Nella scuola media sono reperibili strumenti moderni ed efficienti solo nel 23% dei casi. La percentuale migliora (si fa per dire) nella scuola superiore: le attrezzature moderne si trovano nel 34% dei casi mentre permane un 8% che riguarda gli strumenti inutilizzabili. ____________________________________________________________ Repubblica 4 mag. ’08 ITALIANI E WEB, RAPPORTO DIFFICILE PIÙ DELLA METÀ NON USA INTERNET ROMA — Ancora pochi italiani usano Internet e il rapporto con il Web resta difficile: meno di uno su due naviga on line. Gli altri, la maggioranza, preferiscono acquistare la tv piuttosto che il computer, e informarsi attraverso il piccolo schermo invece che leggere i giornali. È la fotografia del rapporto tra gli italiani e i media, sia vecchi che nuovi, che emerge da uno studio della Banca Mondiale. Per vedere come ancora Internet sia poco diffuso nel nostro Paese basta un confronto con quello che accade nel resto d’Europa. Due Paesi, Olanda e Norvegia, guidano la classifica mondiale degli appassionati della Rete. Nel primo l’89% della popolazione usa normalmente Internet, nell’altro l’87,4%. In Gran Bretagna più della metà della popolazione naviga on line abitualmente (55,4%), in Francia il 49,1%. Dietro di noi ci sono solo tedeschi e spagnoli. Situazione ancora peggiore in Italia se si guarda quanti hanno un computer in casa: solo il 36,7%, cioè un dato superiore solo a quello di greci, portoghesi e spagnoli. Lo studio della Banca Mondiale sottolinea anche che, per quanto riguarda i media tradizionali, gli italiani amano informarsi attraverso la televisione ma non leggono i giornali. Nel periodo 2000-2006 la tiratura media dei quotidiani è stata di 138 copie ogni mille persone, un posto che colloca il nostro Paese all’ultimo posto per la diffusione di quotidiani d’informazione. I lettori più assidui sono i norvegesi per i quali vengono stampati 517 giornali. Seguono gli svedesi (480), gli inglesi (292), i tedeschi (267), i francesi (165) e gli spagnoli (145). Per la televisione accade il contrario: in Italia c’è quasi un apparecchio in ogni casa (96%), media in linea con quella europea. ______________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’08 PRECARI ALLA STABILIZZAZIONE I chiarimenti della Funzione pubblica sull'applicazione della norma della Finanziaria 2008 Troppe aspettative: il meccanismo scatta solo in caso di bisogni reali Pier Paolo Balzamo Il Dipartimento della funzione pubblica, con la circolare n. 5 del 18 aprile 2008, ha chiarito la portata delle disposizioni previste dalla Finanziaria 2008 sulla stabilizzazione dei precari. La circolare si prefigge di fornire delle linee di indirizzo a tutte le Amministrazioni pubbliche affinché applichino in maniera uniforme tali disposizioni. Oggetto e natura della stabilizzazione. La ratio perseguita dal legislatore con le disposizioni sulla stabilizzazione non è quella di realizzare una mera sanatoria di tutte le situazioni di precarietà, bensì è quella di concedere la possibilità alle Pa, non l'obbligo, di assumere con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato solo quei lavoratori precari assunti in modo irregolare. La volontà è pertanto quella di porre rimedio alle situazioni irregolari in cui si sono utilizzati lavoratori con lavoro flessibile per esigenze permanenti legate al fabbisogno ordinario. Possibili usi degenerativi. La precisazione della Funzione pubblica si è resa necessaria per ovviare alla situazione di forti aspettative generate dalla disciplina in capo agli interessati e alla constatazione che le Pa stanno subendo un condizionamento sulle proprie scelte organizzative e gestionali. Non sono poche, infatti, anche le aziende sanitarie e gli altri enti del Ssn che stanno procedendo alla stabilizzazione, elaborando il loro fabbisogno di personale talvolta più per rispondere a pressioni interne, che la Funzione pubblica ha individuato anche da parte dei sindacati, piuttosto che per esigenze reali. Il principio previsto dalla Costituzione dell'accesso nella Pa attraverso un concorso pubblico non è venuto meno con le disposizioni sulla stabilizzazione, che rimangono speciali, anzi, la Funzione pubblica raccomanda nella circolare la necessità di orientare le scelte occupazionali e la programmazione triennale dei fabbisogni verso la disciplina ordinaria del reclutamento attraverso appunto i concorsi pubblici. Il regime ordinario del reclutamento. La possibilità di ammettere a procedure di stabilizzazione il personale in possesso dei prescritti requisiti è circoscritta agli anni 2008 e 2009; pertanto, è ben delimitato l'arco temporale della disposizione speciale dell'art. 3, co. 90, della legge 244/2007. Anche il nuovo art. 36 del Dlgs 165/2001 come modificato dalla legge 244/2007, sancisce il principio che le pubbliche amministrazioni effettuano assunzioni esclusivamente secondo il modello standard del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La previsione di assunzioni dall'esterno. La Funzione pubblica nella circolare stabilisce che a fronte di procedure di reclutamento riservate, le procedure di stabilizzazione possono essere avviate dalle amministrazioni purché nella programmazione triennale del fabbisogno siano previste forme di assunzione che tendano a garantire l'adeguato accesso dall'esterno in misura non inferiore al 50% dei posti da coprire. A tal fine la mobilità di personale va computata in maniera neutra. Conclusioni. La Funzione pubblica stabilisce che le norme sulla stabilizzazione delle Finanziarie 2007 e 2008 dettano un percorso per un reclutamento speciale che le pubbliche amministrazioni, Asl e altri enti del Ssn possono porre in essere, come per tutti i reclutamenti, nei limiti delle dotazioni organiche, in base al loro effettivo fabbisogno e compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili. Le modifiche alle dotazioni organiche, senza incidere sulla spesa, sono ammesse solo se funzionali al reale fabbisogno e non per rispondere alle aspettative dei lavoratori in possesso dei requisiti. pagina a cura di Pier Paolo Balzamo LA NATURA NON VINCOLANTE DELLA STABILIZZAZIONE Circolare n. 5 del 18 aprile 2008 della Funzione pubblica: le disposizioni sulla stabilizzazione non hanno in nessun caso una portata vincolante e non determinano, pertanto, in capo ai possibili destinatari un diritto soggettivo alla assunzione TAR VENETO, SEZ. II, DEL 19 OTTOBRE 2007, N. 3342 «La stabilizzazione del personale non costituisce affatto un obbligo per l'amministrazione ed essendo una facoltà discrezionale correlativamente non esiste alcun diritto dell'interessato a ottenere la stabilizzazione, ma unicamente un'aspettativa di mero fatto» I limiti ======================================================= ______________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’08 SANITÀ: NON POSSONO ESISTERE MODELLI UGUALI PER TUTTI» Si allarga la forbice tra le Regioni Si parla di "lombardizzazione" dei Ssr, cogliendo in tale modello la più decisa adesione alla logica della sussidiarietà del nuovo Governo. Federalismo istituzionale e fiscale rappresentano esempi di applicazione del principio di sussidiarietà verticale; senza dimenticare la componente orizzontale (rapporto pubblico/privato, profit/non profit ecc.), da tempo in Lombardia al centro delle politiche regionali. Il potenziamento del federalismo in Sanità potrebbe concretizzarsi nella riproposizione del superamento della legislazione concorrente visto che già da tempo non si legifera centralmente senza accordo delle Regioni. Se poi il potenziamento del federalismo dovesse riguardare l'adozione di un reale federalismo fiscale, altro non si farebbe che dare seguito al Dlgs 56/2000, in larga misura inapplicato. Ma le questioni irrisolte restano tutte sul tavolo. La prima riguarda la reale efficienza del decentramento, minata dal fatto che le Regioni hanno caratteristiche diverse. Basti pensare alle dimensioni: alcune sono più piccole di un'Asl metropolitana. La questione della dimensione ottimale per un'efficiente ed efficace gestione è sempre stata al centro della programmazione sanitaria, ma non sembra avere avuto peso nella decisione di assegnare la responsabilità alle Regioni. L'unica soluzione coerente con il modello federalista potrebbe essere basata su "consorzi" sovraregionali, ma è un'ipotesi azzardata. Una seconda questione irrisolta riguarda il federalismo fiscale. Non si è riusciti ad applicarlo, malgrado prevedesse una perequazione superiore al 90%, per le enormi differenze economiche tra Regioni: anche piccoli scarti (di perequazione) finiscono per incidere troppo sulle risorse a disposizione delle più povere. Il Dlgs 56/2000 aveva previsto una gradualità di applicazione (12 anni), nella speranza si potessero intanto ridurre le sperequazioni economiche: sono passati 7 dei 12 anni, ma le sperequazioni restano immutate. L'unica speranza di una evoluzione condivisa è in un aumento del livello assoluto delle risorse che compensi le perdite delle Regioni più povere. L'aumento può derivare dall'assegnazione (improbabile) di risorse aggiuntive per la Sanità, ovvero da ingenti recuperi di inefficienze. Ma il rischio concreto è che si generi una progressiva forbice tra Regioni ricche e povere, senza un limite alla sperequazione. Il federalismo fiscale richiede una società con disuguaglianze limitate (non è il caso dell'Italia), da affrontare a livelli superiori di politiche economiche. Questo porta a un'altra questione irrisolta: la valutazione della correttezza del riparto delle risorse. I criteri risalgono a fine anni '90 con una dubbia correttezza alla luce dei nuovi assetti. A esempio oggi il riparto avviene in larga misura in base all'età, nell'ipotesi accettabile che gli anziani consumino più dei giovani. Finché al Fondo di parte corrente se ne affiancava uno in conto capitale, il ragionamento poteva essere sostenibile. Nel federalismo fiscale la fonte di finanziamento è unica e fa fronte alle spese correnti. La formula adottata non sembra tenere conto del cambio di prospettiva: chi è in (colpevole) ritardo nel ri-adeguamento dell'offerta avrà più difficoltà a risalire la china. La soluzione potrebbe essere in fondi speciali centrali mirati: sono stati fatti sforzi per l'edilizia sanitaria , ma la questione è ancora irrisolta in generale. Un ulteriore problema irrisolto è la valutazione. Anche con risorse aggiuntive, si è in grado di evitare sprechi? I cittadini dovranno abituarsi a non essere trattati tutti uguali, ma quali strumenti hanno per giudicare il rapporto tra prelievo subìto e servizi ricevuti? Quali strumenti abbiamo per verificare il rispetto dei Lea nelle Regioni? Un federalismo senza controllo centrale nel rispetto dei diritti di cittadinanza e qualità dei servizi, degenererebbe presto nell'anarchia. Possiamo allora tornare al modello della Lombardia: va subito detto che è certamente tra quelli efficienti. Le informazioni disponibili su livelli di integrazione sociosanitaria, appropriatezza degli interventi, avvenuto riadeguamento dell'offerta ecc., dicono che siamo in presenza di una Regione virtuosa. Anche dal punto di vista finanziario: tutto è avvenuto in concomitanza di un risanamento dei conti. Più che in altre Regioni, la Lombardia, ha scelto di applicare alla lettera il principio di sussidiarietà orizzontale, con l'effetto di un decremento del numero di strutture pubbliche (chiusura di quelle più inefficaci/inefficienti) e crescita del privato accreditato. La pressione finanziaria derivante da una tendenza all'aumento della quantità di prestazioni, tipica dei modelli ad accreditamento ______________________________________________________ MArketpress 8 mag. ’08 SARDEGNA: RETE REGIONALE DELLE MALATTIE RARE, NEL PORTALE SARDEGNASALUTE TUTTE LE INFORMAZIONI Cagliari, 6 Maggio 2008 - E' consultabile dal 6 maggio, nel portale della Regione Sardegnasalute, una sezione dedicata alle malattie rare e ai Centri di riferimento che se ne occupano in Sardegna. La disposizione è parte integrante della delibera di riorganizzazione della Rete regionale delle malattie rare, approvata oggi dalla Giunta regionale, e che conferma l´ospedale Microcitemico di Cagliari quale Centro di riferimento regionale, con il coordinamento della sua Clinica Pediatrica. Le malattie rare - secondo la definizione del Ministero della Salute - sono un ampio gruppo di affezioni (5-6 mila), definite dalla bassa prevalenza nella popolazione. A livello europeo, in base alle indicazioni del "Programma d´azione comunitario sulle malattie rare 1999 2003", si definisce "rara" una malattia che colpisce non più di 5 pazienti su 10. 000 abitanti. Come riportato nel Piano sanitario regionale, pur essendo singolarmente rare, l´elevato numero delle forme possibili determina una incidenza rilevante: si stima che circa il 4-5 per mille dei neonati sia affetto da malattia rara. Il Servizio sanitario prevede particolari forme di tutela per le persone che ne sono affette:tra queste, l´ esenzione dalla partecipazione al costo di tutte le prestazioni sanitarie, incluse nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), necessarie per la diagnosi e il trattamento e la creazione di una rete di presidi sanitari per l´assistenza. Il lavoro di riorganizzazione approvato oggi dalla Giunta ha avuto il supporto di un Comitato tecnico scientifico - composto da rappresentati dell´assessorato, delle aziende sanitarie, delle Università di Cagliari e Sassari, delle associazioni dei pazienti- che ha operato da luglio 2006 ad oggi, partendo dalla ricognizione tra i presidi regionali considerati Centri di riferimento. Sulla base di questa indagine, sono state individuate tre tipologie di Centri, con differenti funzioni: Centri di riferimento per patologia; Centri assistenziali; Centri correlati. Per ogni malattia è stato individuato un unico Centro, tenendo conto dell´attività clinica e scientifica, della dotazione strumentale e del personale. Verranno seguite in due Centri differenti quelle malattie che insorgono in età pediatrica e accompagnano il paziente nell´età adulta (per esempio la talassemia, che avrà un Centro per i bambini ed un altro per gli adulti). Nel caso di malattie molto rare e senza casistica l´unico Centro di riferimento regionale sarà la Clinica pediatrica del Microcitemico di Cagliari. La Rete approvata oggi potrà essere integrata e modificata, così come l´elenco delle malattie rare, alla luce della pubblicazione dei nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) fissati dal Governo. Con una delibera successiva verranno, inoltre, precisate le procedure di erogazione delle prestazioni sanitarie, di assistenza farmaceutica e di rilascio degli attestati di esenzione per i cittadini affetti da malattie rare. "La pubblicazione nel portale della Regione dell´elenco delle malattie rare, con relativo Centro e specialista di riferimento - ha dichiarato l´assessore Dirindin - permetterà ai pazienti e alle loro famiglie di avere immediato accesso a quelle informazioni primarie ed indispensabili per prendere contatto con le strutture e i medici". . ______________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’08 NUORO: AL VIA PROJECT FINANCING DA 60 MILIONI PER LA NUOVA CITTADELLA SANITARIA Nuoro a nozze con i francesi Patto con Gaz de France per gestire i servizi non medici: 800 milioni in 27 anni Manuela Perrone Si rinnova il polo sanitario di Nuoro. E punta a diventare una vera e propria cittadella della salute, con cinque ospedali e oltre 600 posti letto. Giocando una doppia carta: un project financing da 60 milioni di euro e un contratto da 800 milioni per l'esternalizzazione della gestione di tutti i servizi non medici per i prossimi 27 anni. «Chiavi in mano » e «full service». Protagonisti dell'intesa sono l'Asl nuorese e Cofathec, società del gruppo Gaz de France, il colosso francese dell'energia, in Ati (consorzio temporaneo d'impresa) con Inso, Spa di Firenze specializzata nei sistemi per le infrastrutture sociali. Obiettivo: l'ampliamento, la ristrutturazione e la gestione totale dei servizi di tre nosocomi e due presìdi distrettuali. Un progetto a due teste. Il valore dell'investimento per la finanza di progetto - ratificata il 31 marzo scorso con la delibera n. 463 del direttore generale dell'Asl, Franco Mariano Mulas, resa esecutiva il 22 aprile dall'assessorato alla Sanità guidato da Nerina Dirindin - è così ripartito: 40 milioni arrivano da Cofathec, 12 da Inso e 8 dalla Asl, che ha attinto ai fondi per la realizzazione della radioterapia e ai finanziamenti per l'edilizia sanitaria. I lavori, che cominceranno entro la metà del 2008, dovrebbero durare circa tre anni. E portare alla ristrutturazione e al completamento di cinque strutture: gli ospedali San Francesco e Cesare Zonchello di Nuoro (il primo destinato all'acuzie, il secondo alla riabilitazione alla post-acuzie), il San Camillo di Sorgono e i presìdi sanitari distrettuali di Macomer e Siniscola. Ventisette anni durerà invece l'"appalto" dei servizi non medici, dall'energia alla ristorazione, dalle tecnologie alla lavanderia, dal Cup al portierato, dalla gestione dei rifiuti speciali alla manutenzione dell'intero patrimonio immobiliare aziendale (si veda la tabella in pagina), per il quale Cofathec incasserà 600 milioni. Il canone annuo lordo è stato fissato in 24,2 milioni di euro, come corrispettivo degli effettivi volumi prestazionali resi per la gestione dei servizi (la somma sarà rivalutata del 5% ogni tre anni), più 5,1 milioni lordi come corrispettivo fisso a copertura dei costi di costruzione per 25 anni e 4 mesi. Si tratta del primo esperimento integrato in Italia di progettazione, riqualificazione e gestione di un intero polo sanitario. Un'area che comprende 350mila metri quadrati di strutture di primo soccorso, cure intensive e degenza al servizio di un bacino di utenza di 100mila persone e 52 Comuni dell'area centroorientale dell'Isola. Innovazione fa rima con risparmio. La scommessa è aperta. Disponendo di un fornitore unico per tutti i servizi no- core e delegando la gestione e il rinnovamento di tutte le apparecchiature diagnostiche, la Asl conta di risparmiare un milione di euro l'anno per l'intera durata del contratto. E di ritrovarsi, al termine dei 27 anni, con nuove attrezzature dal valore di 90 milioni di euro. Compreso un reparto di radioterapia e medicina nucleare nuovo di zecca all'ospedale centrale di Nuoro, il San Francesco, e un day hospital oncologico presso il presidio di Macomer. Lo slogan è semplice: «Massima garanzia di qualità al minor costo». «È un nuovo approccio che garantisce flessibilità operativa, altissimi livelli di qualità, soluzioni all'avanguardia tecnologica e reperimento di ingenti risorse finanziarie», spiega Jean Pierre Monéger, amministratore delegato di Cofathec in Italia. Gli elementi di innovazione non mancano. Sarà sperimentata un'organizzazione gestionale basata non sulla divisione per unità terapeutiche, ma sull'intensità delle cure (intensive, sub-intensive, degenza ordinaria, day surgery, post-acuzie), sulla scia di quanto già testato all' ospedale Morgagni- Pierantoni di Forlì, all'Asl 3 di Perugia e al nosocomio di Pontedera. Sarà inoltre posto l'accento sull'efficienza energetica, sfruttando il know-how della "casa madre" francese: sempre al San Francesco verranno realizzati una centrale di trigenerazione abilitata all'alimentazione a metano e un impianto di pannelli fotovoltaici per soddisfare in parte le esigenze energetiche della struttura e renderla autonoma in caso di black-out. Si stima che soltanto la centrale, producendo contemporaneamente elettricità, calore ed energia frigorifera, permetterà di risparmiare circa 200mila euro l'anno sulle bollette energetiche. Largo al comfort. Sulla carta, le novità riguarderanno anche il rapporto con i pazienti. Sono previsti interventi specifici sul fronte del soggiorno e dell'accoglienza: menu personalizzati, camere con bagni, condizionamento centralizzato dell'aria, cartellonistica e guardiole informative in ogni reparto, ludoteche, bar, parrucchiere, banca ed edicole. In cantiere anche l'allestimento di una mostra di archeologia sanitaria e di una biblioteca, nonché la sistemazione di aree verdi sul modello "campus". Un occhio di riguardo sarà riservato alla comunicazione interna ed esterna: in programma ci sono la posta pneumatica e la comunicazione telefonica su Internet. La Asl lo scrive chiaro e tondo: «Il project financing è lo strumento per realizzare un grande progetto: migliorare le strutture riconducendo a un quadro unitario e a un sol tempo gli interventi in corso e programmati; ammodernare le tecnologie sanitarie nei tempi programmati superando il circuito non sempre virtuoso acquisto- obsolescenza- acquisto; migliorare i servizi generali riducendo il numero dei gestori; completare le strutture e accorpare i servizi della rete dei presìdi di Sorgono, Macomer e Siniscola ». I precedenti. La ricetta nuorese ricalca in grande le orme di altri ospedali. Quello di Mestre, a esempio, interamente realizzato in project financing, sempre con lo zampino di Cofathec: una struttura all'avanguardia, con 619mila metri cubi inseriti in 26 ettari di verde, 380 posti letto e 21 sale operatorie. La società di Gaz de France gestisce tutti i servizi tecnologici ed energetici del presidio. Non sono numeri da poco: ogni giorno l'energia distribuita è pari a quella che alimenta un Comune di 10mila abitanti. Cofatech ha inoltre realizzato, sempre grazie alla finanza di progetto, la nuova Unità spinale del Cto di Torino, di cui gestisce i servizi energetici, la manutenzione delle apparecchiature medicali e la lavanderia. E ha messo a punto al Policlinico Gemelli di Roma un impianto di cogenerazione da 5,2 Mwe e 9,7 Mwt in grado di garantire all'intera struttura un approvvigionamento energetico costante. Nel 2006, il Gemelli ha risparmiato così oltre 4 milioni di euro. La strada del project financing in Sanità continua insomma a mietere consensi. Secondo l'Osservatorio ad hoc istituito da Finlombarda, gli interventi rilevati a maggio 2007 erano 74 (di cui 16 messi in pista lo scorso anno), per un valore di 3,8 miliardi di euro. Delle 74 iniziative censite, 32 erano i progetti aggiudicati per un valore di 1,9 miliardi di euro (-106 milioni di euro rispetto al maggio del 2006). I più recenti riguardano la realizzazione del "centro servizi territoriali" presso l'Ospedale psichiatrico di Novara, del parcheggio pubblico presso l'Ospedale Riuniti di Trieste nonché degli ospedali di Legnano e del Niguarda di Milano. Ma anche in Sardegna le esperienze sono tante: se ne è avvalsa l'Asl di Cagliari; Sassari la segue. Tutti progetti milionari. Tutte scommesse aperte. I numero dell'accordo 60 mln L'investimento in euro per l'ampliamento e la riqualificazione delle strutture: 40 mln di euro rappresentano l'investimento da parte di Cofathec, 12 mln da parte di Inso e 8 milioni di euro di finanziamento da parte della Asl di Nuoro, in project financing 2,5 Gli anni previsti per il completamento dei lavori, che dovranno iniziare nel primo semestre 2008, contemporaneamente alla fornitura dei servizi 800 mln Il valore complessivo del contratto per la creazione di un polo sanitario d'eccellenza: 600 milioni rappresentano la quota che spetta a Cofathec. Il contratto prevede la realizzazione dei lavori di ampliamento e ristrutturazione, la manutenzione di tutti gli impianti e la gestione globale dei servizi energetici e ausiliari, ossia non prettamente medici, per 27 anni 5 Gli ospedali del polo sanitario nuorese, con 350mila metri quadrati di strutture di primo soccorso, cure intensive e degenza e oltre 600 posti letto 52 I Comuni dell'area centro- orientale della Sardegna, per un bacino di utenza di 100mila persone Codice Descrizione Offerta project (€) Lavori A.1 Importo lavori 36.524.662,49 A.2 Iva 10% di A.1 3.652.466,25 A.3 Spese generali 5.652.922,01 A Totale 45.830.050,75 di cui Inv. privato 37.571.151,80 Inv. pubblico 8.258.898,95 Amm.to tecnologico B.1 Importo fornitura 11.841.000,00 B.2 Iva su B.1 2.368.200,00 B=B.1+B.2 Totale fornitura 14.209.200,00 di cui Inv. privato 14.209.200,00 Inv. pubblico - A+B Totale generale 60.039.250,75 La finanza di progetto Descrizione servizio Canone annuo (€) Manutenzione e gestione edifici aziendali 4.170.000,00 Servizio energia 2.738.000,00 Pulizie e ausiliariato 4.564.435,68 Ristorazione degenti e dipendenti 2.116.958,00 Raccolta e smaltimento rifiuti 1.440.000,00 Cup 626.400,00 Portierato 775.200,00 Ingegneria clinica 5.989.200,00 Servizio gestione reti e fornitura hw&sw 1.095.600,00 Gestione Spv 803.400,00 Totale 24.319.193,68 Il canone annuo lordo per la gestione 1 Benessere del paziente: interventi finalizzati al miglioramento del sistema di soggiorno e accoglienza (menu personalizzato; servizi igienici nelle camere di degenza; condizionamento centralizzato dell'aria; cartellonistica di pregio; guardiole informative baricentriche per reparto) 2 Cultura sanitaria: realizzazione di spazi di apertura al territorio e di cultura sanitaria (mostra di archeologia sanitaria, biblioteca sanitaria) 3 Comunicazione: miglioramento del sistema di comunicazione interna ed esterna (posta pneumatica, rete Internet, Voip - comunicazione telefonica su Internet) 4 Valorizzazione interni: ristrutturazione interna e fornitura degli arredi per tutti i reparti e servizi 5 Valorizzazione esterno: sistemazione delle aree verdi sul modello "campus" nella prospettiva della realizzazione della grande area sanitaria, contenente tutti i presìdi sanitari ospedalieri e territoriali a dimensione urbana e aziendale 6 Efficienza energetica: ? realizzazione di una centrale di rigenerazione da 0,5Mwein grado di produrre contemporaneamente energia elettrica, calore e freddo in grado di assicurare il fabbisogno energetico dell'ospedale in caso di black out; ? realizzazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica dal sole; ? realizzazione di un involucro esterno per la coibentazione dell'ospedale San Francesco (diminuzione della dispersione esterna) 7 Eccellenza tecnologica: ? costruzione del reparto di Radioterapia e Medicina nucleare presso l'ospedale San Francesco; ? costruzione nuovoDh oncologico presso il presidio sanitario di Macomer 8 Innovazione gestionale: nuova organizzazione gestionale basata sull'intensità delle cure (intensive, sub-intensive, degenza ordinaria, day surgery, post-acuzie) e non strutturata per unità terapeutiche 9 Risparmi economici: un milione di euro l'anno di risparmio nella gestione ordinaria e straordinaria dell'intero Polo sanitaro 10 Accoglienza: realizzazione di servizi di accoglienza e ristorazione (ristoranti, bar, edicole ecc.) ______________________________________________________ L’Unione Sarda 5 mag. ’08 SASSARI L’AZIENDA MISTA NON DECOLLA Incertezze e sprechi: rivolta in corsia Sindacati ed Rsu del settore sanità chiedono interventi per nomine ed organici nell’ambito dell’azienda ospedaliero universitaria, minacciando in caso contrario ogni forma di protesta. Cgil, Cisl, Uil, Fsi, Fials e Nursind unitamente alla segreteria territoriale Rsu hanno inviato una dura nota al presidente della Regione e all’assessore alla Sanità in cui si chiede «la nomina definitiva e regolare degli organismi preposti a gestire l’Azienda ospedaliero universitaria sassarese», come già richiesto in un’altra nota dello scorso 2 aprile. Si descrivono situazioni limite in due reparti: «La ginecologia, dove in un unico reparto vi sono due primari e due équipe mediche che, in orari diversi passano nelle stanze di degenza chiedendo alle pazienti se sono seguite dalla clinica o dalla divisione»; quindi la radioterapia con la gestione del nuovo acceleratore lineare che permette di incrementare i trattamenti a un numero di pazienti da 40 a 50 nell’arco delle 12 ore giornaliere. Per mancanza di tecnici sanitari di radiologia medica viene utilizzato solo la mattina e per lo stesso motivo il vecchio acceleratore lineare non opera a pieno ritmo». Riguardo le nomine nella nota congiunta i sindacati affermano che «nessuna risposta è stata data sulla gestione di una parte importantissima della sanità sassarese che doveva armonizzare didattica, ricerca e assistenza. Infatti , nonostante la legge 502 stabilisca che la nomina deve essere effettuata nel termine perentorio di 60 giorni dalla data di vacanza di ufficio ad oggi non si intravede alcuna volontà politica di dare una guida certa e legittima alla costituenda Azienda se non quella di una incomprensibile ostinazione su un unico nominativo che non potrebbe neanche essere inserito nell’elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale delle Aziende sanitarie. I sindacati hanno la percezione che l’attuale dirigenza non abbia non solo le idee ma neanche gli strumenti per rendere operativa una norma di riordino del Sistema sanitario Nazionale quale è la costituita azienda. Le poche scelte di riorganizzazione sono state fatte non con logiche di razionalizzazione ed integrazione delle due anime (ospedaliera ed universitaria) ma tenendole ben distinte in modo da non scontentare nessuno». P. P. ______________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 mag. ’08 SANITÀ ANCORA SENZA DIRIGENTE: I SINDACATI PROTESTANO «La Regione dia risposte, l’azienda unica mostra tutti i suoi limiti e non si può parlare del necessario rilancio» SASSARI. Un’azienda unica che mostra tutti i suoi limiti: è la considerazione delle segreterie territoriali Rsu dell’Azienda ospedaliera universitaria che hanno deciso di avviare ogni forma di protesta se l’assessore regionale alla Sanità non deciderà subito sulla «nomina definitiva e regolare degli organismi preposti a gestire l’Aou sassarese», scrivono Cgil-Fp, Cisl-Fp, Uil-Fpl, Fsi- Fials e Nursind. I sindacati aveva inviato a metà aprile una nota alla Regione, ma «a circa un mese di distanza tale richiesta è stata elusa e nessuna risposta è stata ancora data sulla gestione di una parte importantissima della sanità sassarese che doveva armonizzare didattica, ricerca e assistenza». La legge 502 stabilisce che la nomina debba essere effettuata nel “termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza dell’ufficio” ma finora «non si intravede alcuna volontà politica di dare una guida certa e legittima alla costituenda azienda se non quella di una incomprensibile ostinazione su un unico nominativo che non sarebbe, a quanto pare, neppure essere inserito nell’elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie». Questo ritardo nella definizione dei vertici aziendali e la denunciata mancanza di requisiti dei direttori amministrativo e sanitario pone problemi di legittimità sugli atti deliberativi adottati e sulle somme a qualunque titolo impegnate. «Esclusa la breve esperienza del compianto dottor Cherchi, che ben ci aveva fatto sperare in un reale rilancio della sanità e in un’organizzazione volta al miglioramento della qualità delle prestazioni e dell’offerta in quanto profondo conoscitore dell’organizzazione sanitaria - si legge ancora nel documento sindacale -, l’azienda ospedaliero universitaria sta mostrando tutti i suoi limiti e inadeguatezze primo fra tutti la consapevolezza di far parte di un un’unica azienda». I sindacati hanno la percezione che l’attuale dirigenza non abbia non solo le idee ma neanche gli strumenti per rendere operativa una norma di riordino del Servizio sanitario nazionale quale è la costituita azienda. «Le poche scelte di riorganizzazione sono state fatte non con logiche di razionalizzazione e integrazione delle due anime (ospedaliera-universitaria) ma tenendole ben distinte in modo da non scontentare nessuno». Per le segreterie è emblematica la riorganizzazione della ginecologia dove in un unico reparto vi sono due primari e due equipe mediche che in orari diversi passano nelle stanze di degenza chiedendo alle pazienti se sono seguite dalla clinica o dalla divisione. Altra inadeguatezza organizzativa è quella relativa alla radioterapia e specificatamente alla gestione del nuovo acceleratore lineare che permette di incrementare i trattamenti a un numero di pazienti da 40 a 50 nell’arco delle 12 ore giornaliere. Per mancanza di tecnici sanitari di radiologia medica, l’apparecchio viene utilizzato esclusivamente la mattina e per lo stesso motivo il vecchio acceleratore lineare non opera a pieno ritmo. E la dirigenza «continua ad assumere da graduatorie e agenzie interinali, senza focalizzare al meglio il bisogno del personale necessario». Da qui, la decisione di avviare forme di protesta finchè non verrà garantito il rispetto di un assetto gestionale e organizzativo del secondo braccio del sistema sanitario volto a garantire assistenza, didattica e ricerca, con ricadute importanti sul personale dipendente. ______________________________________________________ Il sole24Ore 8 mag. ’08 BERLUSCONI: «SAN RAFFAELE» DA ESPORTAZIONE Il piano per la sanità pubblica. Il Cavaliere attratto dall'efficienza dell'istituto fondato da Don Verzè Roberto Turno La ricerca al top, la clinica d'avanguardia, la didattica d'eccellenza. È lo schema a tre punte, non solo applicato al pallone, che tanto piace a Silvio Berlusconi. Al punto che il Cavaliere lo applicherebbe subito alla Sanità pubblica. Fosse possibile. Riuscirci dappertutto poi, che impresa. Certo è che le tre punte che dal 1971 hanno fatto un esempio della «Fondazione San Raffaele Monte Tabor», la creatura di don Luigi Verzé, sono diventate per il premier la stella polare per le sorti magnifiche e progressive del Servizio sanitario nazionale che ha in testa. È il suo modello. Tanto che il suo (vice)ministro della Salute ideale era da tempo Ferruccio Fazio, medico, scienziato, grande organizzatore. E "donverzista" di ferro. Un omaggio all'88enne don Verzé, dicevano i maligni. Al San Raffaele negano: una leggenda metropolitana, di quelle fiorite nei decenni. Invece. Come al Conclave, «chi entra papa, esce cardinale». E così il professor Fazio è stato sorpassato dalla rossa (di capelli) Michela Vittoria Brambilla. Questioni di partito. Lunedì l'ufficializzazione. Il Cavaliere ha dovuto capitolare; una donna in più, poi. Intanto la Salute sarà solo un vice ministero sotto il Welfare. Ma Berlusconi in cuor suo non avrebbe dubbi. Quel "modello don Verzé" lo vorrebbe esportare comunque: alle Regioni piacendo, Tremonti potendo e tutto l'universo del Ssn permettendo. Ma con Fazio forse solo sottosegretario. Il "modello San Raffaele", dunque. Un sistema integrato di vasi comunicanti: ospedalità, R&S e Università. Con l'assistenza che vede nel «San Raffaele», dietro al quale è sorta la Milano 2 del Cavaliere, a Segrate in "provincia di Berlusconi", la punta di diamante. Con numeri da primato: istituto scientifico universitario (Irccs), 1.083 posti letto, stanze al massimo di 3, sette piani fuori terra e due sottosuolo. Lavora in accreditamento col Ssn in una Lombardia generosa coi privati, nel 2007 ha realizzato 58.200 ricoveri, 7 milioni di prestazioni, 25.700 interventi chirurgici, 57.900 accessi al pronto soccorso. Poi anche fuori Italia sono sorti i "piccoli San Raffaele", non quello di Roma abbandonato dopo lo scontro con l'allora ministro Rosy Bindi: il San Raffaele Turro, il Cardinal Schuster, i punti Raf a Milano. E ancora una galassia di società controllate (medicina di laboratorio, poliambulatori, casa editrice), il patto col parco Biomedico romano, l'ospedale di San Salvador de Bahia, ancora in Brasile l'ospedale di Barra, quello di New Dehli e il progetto di Kampala (Uganda). Una galassia dell'assistenza. Che nel 2007, tra clinica e ricerca, ha fatturato 498 milioni (456 nel 2006). Tutti reinvestiti, è la parola d'onore. Sennò, che no profit sarebbe? Nel Cda, accanto al padre fondatore, siedono Mario Cal, Gianna Zoppei, Raffaella Voltolini (tutti del San Raffaele), Roberto Cusin (socio di minoranza del gruppo francese Accord, catena di hotel), Ennio Doris (Mediolanum), Antonio Brambilla (commercialista). E poi l'orgoglio della ricerca: conta il 12% dell'intera produzione scientifica nazionale. La leadership italiana, insomma. Che si riassume nel Dibit 1 (dipartimento di biotecnologie), 40mila metri quadrati di laboratori con 550 tra ricercatori e borsisti in funzione dal 1993, il più grande parco scientifico biotecnologico in Italia, con una sfilza di scoperte nel palmares. Entro l'anno sarà in funzione il Dibit 2, 150 milioni di investimento, 75mila mq, 20mila per laboratori e industriale già aperti, che a regime accoglierà altri 500 nuovi ricercatori. Un ciclo integrato. Grazie al quale, mentre l'Università dal 1996 cresce con l'ambizione di creare talenti, l'obiettivo è una cittadella dell'innovazione. Da alcuni anni è nata la Fondazione Areté Onlus per sostenere progetti di R&S, di cui è presidente la prossima leader di Confindustria, Emma Marcegaglia. La ricerca e il trasferimento industriale sono la scommessa. Non mancano casi di successo. Come «Mol Med», spa per la medicina molecolare, matricola quotata in Borsa da gennaio, con Fininvest, Del Vecchio (Luxottica, con la finanziaria) e Doris (Mediolanum, finanziaria Dolphins). O «Telbios» spa, primo grande provider italiano di telemedicina con Telecom e Telespazio (Finmeccanica). Un ritratto "buonista", quello del San Raffaele, che in 37 anni s'è guadagnato anche contestazioni. Per gli scempi edilizi sulla collina di Lavagno, gli affari e le intese, la presunta contiguità con Cl e Compagnia delle opere, il sostegno di Berlusconi. Si narra che il cardinal Montini (poi Paolo VI) rimproverò a don Verzè di voler «fare i soldi». «Forse oggi non direbbe quelle parole: i soldi, noi, non li abbiamo mai fatti», rispose a «Panorama» nel 1996. Insomma: tutte leggende metropolitane. Una bufala la vicinanza a Cl, solo perché al San Raffaele venne curato don Giussani. Un falso le «donazioni enormi» dai privati: 3 milioni nel 2007 da 100 benefattori. E Berlusconi big sponsor? Cattiverie: l'unico contributo del Cavaliere è arrivato mesi fa per l'ospedale di Barra. E del resto: non ha detto Berlusconi che in un'altra vita si occuperebbe degli ospedali nel terzo Mondo? «Berlusconi? Un dono di Dio», avrebbe detto nel 1994 don Verzé. Ne divenne «amico» dopo che gli fece allacciare le fogne a Milano 2, ha raccontato di recente al Corriere. Solo carità, al motto «guarite gli infermi». Anche perché, ama dire, «solo l'Onnipotente è il top manager». E anche con la Brambilla, Fazio o meno, Berlusconi pensa comunque a quel modello. Ma con un vice ministro. Tanto dall'Economia ci penserà Tremonti. Foto: LAPRESSE Don Luigi Verzé L'ISTITUTO IN CIFRE La fondazione La Fondazione «San Raffaele Monte Tabor» è stata fondata da Don Luigi Verzè nel 1971 Numeri da primato I posti letto sono 1.083, stanze al massimo di 3, sette piani fuori terreno e 2 sotto il suolo. Lavora in accreditamento col Servizio sanitario nazionale e nel 2007 ha realizzato 58.200 ricoveri, oltre 7 milioni di prestazioni, 25.700 interventi chirurgici e 57.900 accessi al pronto soccorso Don Luigi Verzé ______________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’08 MACCHINARI ASL, IL LEASING CONVIENE B.Gob. L'acquisto a titolo definitivo di beni strumentali al servizio della salute e della Sanità non va certo a braccetto con le esigenze di continuo e sempre più rapido ricambio delle tecnologie. Eppure, si stima che nel 2006 in Europa, nel settore sanitario, siano stati "congelati" 13,1 miliardi di euro; un aumento del 19% rispetto agli 11,1 miliardi del 2005. A pesare sull'incremento sarebbe la crescita di investimenti per apparecchiature medicali, con una media del 20 per cento. Ma è proprio il "capitale congelato", cioè il finanziamento vincolato in beni patrimoniali, acquisiti a titolo definitivo nonostante l'aspetto negativo insito nella proprietà di apparecchiature e tecnologie a rapido deprezzamento, a fare da zavorra al ricambio tecnologico. La "denuncia" arriva da Siemens Finanziaria Spa, società italiana del gruppo Siemens Financial Services specializzata nel leasing di beni strumentali, che in una ricerca ha evidenziato come il settore sanitario non sfrutti al meglio gli strumenti di finanziamento disponibili. Secondo la società, a esempio, nel 2006 la Sanità italiana ha "congelato" 1,9 miliardi di euro perché non investiti adeguatamente, registrando un incremento del 17% sull'anno precedente. La ricetta alternativa? Starebbe nell'utilizzo della locazione finanziaria (leasing e altro). Parzialmente sfruttata nel nostro Paese ma ancora, nel complesso, chance tutta da cogliere. «È ovvio - spiega Marco Valerio Fosso , amministratore delegato di Siemens Finanziaria Spa - che non è possibile sbloccare per intero 1,9 miliardi da destinare ad altri fini, ma l'inefficienza insita nell'acquisto definitivo di beni può essere decisamente migliorata. La Sanità pubblica deve considerare tecniche già collaudate e utilizzate nel settore privato. Sostituendo il capitale impiegato in modo inefficiente con un piano di finanziamenti onnicomprensivo, si può avere una visione più trasparente e precisa del costo reale dei cespiti e dei servizi nel tempo. Mettendo in correlazione i costi dell'"asset finance" con il volume dei pazienti trattati, si può calcolare un costo per utilizzo, che rispecchia più da vicino il trend verso un pagamento per trattamento». Nel frattempo, ricorda la ricerca, i Paesi alle strette sul fronte della spesa sanitaria hanno l'esigenza di coniugare il sempre più rapido rinnovamento tecnologico (alcune apparecchiature diventano obsolete nell'arco di 12-18 mesi) - che procura benefici in termini di salute e di afflusso di pazienti nelle strutture - e le continue "strette" sulla spesa. Come dire: spendere in maniera più flessibile per poter spendere (magari di più, perché l'hi-tech costa) e meglio. Il capitale "congelato" andrebbe quindi rimpiazzato con un piano di "asset financing". Fino a oggi, sottolinea ancora lo studio, l'incremento del 19% nella crescita del capitale congelato si spiega con il fatto che mentre il ricorso al leasing è aumentato in media del 6,4% all'anno, in media nei sei Paesi europei considerati (Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna e Gran Bretagna) la spesa per apparecchiature sanitarie è cresciuta del 20 per cento. Se l'Italia occupa, con la Spagna, una posizione di mezzo "in classifica" (si veda la tabella in pagina), ciò si spiega soprattutto con la minore spesa sanitaria pro capite registrata nei due Paesi. Spesa che però, anche con le dinamiche di invecchiamento della popolazione, è destinata secondo parte degli esperti a salire. E anche per questo, a dover essere meglio governata e gestita anche sul fronte del rinnovamento del parco tecnologico. Spesa sanitaria pro capite ($) Capitale congelato nei principali Paesi europei Milioni di euro 2005 2006 % incremento Francia 2.419 3.173 31% Germania 3.669 3.983 9% Italia 1.663 1.940 17% Paesi Bassi 714 808 13% Spagna 838 976 16% Regno Unito 1.759 2.252 28% Totale 11.062 13.132 19% Nota: La formula usata per calcolare il "capitale congelato" è la seguente: - La spesa annua per apparecchiature sanitarie viene ridotta alla proporzione ritenuta "locabile" (valutazione prudente, 50%) - La rimanente somma viene poi ridotta del tasso di penetrazione del leasing per tutti i settori del Paese in questione (anche questo stimato in modo prudente, poiché il settore sanitario pratica leasing/noleggio in misura inferiore rispetto al mondo commerciale) - La somma restante viene considerata in gran parte "congelata" in quanto è stata bloccata sotto forma di acquisti definitivi mentre si sarebbero potuti prolungare i pagamenti - a esempio su base mensile - nell'arco della vita utile del bene acquistato _______________________________________________________________ L’Unità 5 mag. ’08 COSÌ LE INDUSTRIE FARMACEUTICHE MANIPOLANO GLI STUDI CLINICI (CON L'AIUTO DEI RICERCATORI) L'ACCUSA Una serie di articoli su Jama analizza le carte dei processi intentati alla Merck per il farmaco Vioxx Articoli scritti da dipendenti dell'azienda ma firmati da docenti pagati Così le industrie farmaceutiche manipolano gli studi clinici (con l'aiuto dei ricercatori) di Cristiana Pwlcinelli Il quotidiano americano ' Wall Sireet journal ha scritto pochi gioml fa che l'industria farmaceutica Pfizer sta cercando un accordo con i pazienti che le hanno fatto causa. Al centro della questione ci sono due farmaci prodotti dall'azienda (L Oelebrex e i1 Bextra) accusati di aver causato in alcuni pazienti infarti e ictus. Si tratta di due antidolorifici appartenenti alla classe degli inibitori della cox 2. Qualche anno fa sembrava che questi farmaci avessero aperto una nuova frontiera nella medicina: antinfiammatori in grado di trattare dolori acuti e condizioni come l'artrite reumatoide e l'artrosi senza, peraltro, dare i disturbi gastro-intestinali dei normali antinfiammatori. A questa classe apparteneva anche un altro farmaco, il Vioxx, prodotto dalla multinazionale Merck & co e ritirato dal mercato alla fine del 2004 perché faceva aumentare T rischi di malattie cardiocircolatorie. Già nel 2005 era nata una polemica perché sembrava che la Merck, pur sapendo che il suo farmaco aveva effetti collaterali di non lieve entità, avesse taciuto fino a che la verità non era venuta a galla. Ora, la rivista journal o f American Medical Association (fama) ha riaperto la questione con due articoli e un editoriale pubblicati sul numero del 16 aprile scorso. Il primo articolo, firmato da J.S. Ross e colleghi, contiene accuse pesanti che mettono in discussione l'indipendenza e l'etica del ricercatori medici. Sostengono infatti gli autori, basandosi sulle carte dei processi, che gli articoli sulle sperimentazioni cliniche del rofecoxib (la molecola chiamata commercialmente VToxx) erano quasi tutti scritti da impiegati dell'industria che produceva il farmaco. Tuttavia, questi autori non comparivano con il loro nome: gli studi erano invece firmati da docenti universitari che avevano poco o niente a che fare con la ricerca di cui scrivevano. Si trattava per lo più di medici che naturalmente prestavano il loro nome in cambio di un compenso finanziario. Peraltro, in molti casi, questi stessi medici nascondevano il fatto di aver ricevuto finanziamenti e compensi per consulenze dalla Merck. Il secondo articolo, firmato da B.M. Patsy e da R.A.KronmaT, racconta invece come faceva la Merck a dare un'immagine erronea del rapporto tra rischi e benefici del rofecoxib nelle sperimentazioni cliniche. L'azienda cercava di minimizzare il rischio di mortalità utilizzando un'analisi chiamata «as treated», ovvero che considera solo i partecipanti allo studio che hanno portato a termine la cura. Dall'analisi dei dati venivano eliminati quindi tutti coloro che non avevano effettuato il trattamento fino in fondo. In questo modo però si rischia di escludere dall'analisi le persone che non finiscono il trattamento perché hanno effetti collaterali pesanti, oppure quelle che muoiono. Alcuni mesi prima di condurre queste sperimentazioni cliniche, dicono gli autori dello studio, la Merck aveva condotto un altro tipo di analisi chiamato « intention to treat». In sostanza, si prendeva in considerazione tutto il gruppo dei pazienti a cui era stato assegnato il trattamento con il farmaco. Da questa analisi sembra emergesse con chiarezza un aumento del rischio di mortalità tra i pazienti che prendevano il Vioxx. Qual è la lezione che possiamo trarre da questi due articoli? L'editoriale di fama si pone questa domanda e cerca anche di rispondere. In primo luogo, la manipolazione e il riportare in modo distorto i risultati delle ricerche non possono avvenire senza la cooperazione (attiva e tacite) dei ricercatori clinici, degli altri autori, delle riviste, dei revisori e persino della Food and Dnzg Administration. In secondo luogo, la fiducia nella ricerca clinica sta vacillando anche perché la manipolazione degli studi da parte dell'industria farmaceutica sta aumentando o comunque sta venendo sempre più allo scoperto. ______________________________________________________ Il sole24Ore 5 mag. ’08 LE NOVITÀ DEL DECRETO CHE HA RIDEFINITO LE PRESTAZIONI Sanità. Prevenzione, day hospital, esami, disabilità: ecco le novità del decreto che ha ridefinito le prestazioni incluse nei Lea Il «paniere della salute» per tutti Meno interventi con ricovero - Ampliata l'assistenza specialistica e protesica Paolo Del Bufalo Cure omogenee da Nord a Sud, con la garanzia di prestazioni uguali per tutti da parte del Servizio sanitario nazionale in tutte le Regioni. Poi tanta prevenzione e un occhio di riguardo ai "fragili" come anziani, non autosufficienti, soggetti affetti da malattie rare o croniche. Non «tutto a tutti» però, ma solo quello che è davvero efficace e appropriato. Il resto le Regioni potranno decidere se erogarlo con risorse proprie. È questo lo spirito dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) appena varati con l'accordo delle Regioni e che dopo sette anni sostituiscono il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 2001 e ridisegnano il vademecum delle prestazioni che i cittadini otterranno di diritto in Asl e ospedali. Le novità sono in tutti i settori dell'assistenza. Dalle vaccinazioni all'igiene Anzitutto la prevenzione, che si occuperà della profilassi delle malattie infettive, dei programmi di vaccinazione, di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, negli ambienti aperti, nella sanità animale e nell'igiene urbana e veterinaria. Ma entrano nei Lea anche la promozione di stili di vita sani e gli interventi di prevenzione nutrizionale, screening e prestazioni per la valutazione medico legale della disabilità. La novità di maggior rilievo in questo ambito è la vaccinazione antipapillomavirus umano (Hpv), il virus responsabile del cancro alla cervice uterina, che sarà gratuito per tutte le ragazze tra 11 e 12 anni (circa 280mila l'anno). L'«inappropriatezza» Si ridisegna poi l'assistenza ospedaliera , da cui arrivano anche i maggiori risparmi. Le prestazioni erogate in ricovero considerate inappropriate e che, per questo, dovranno essere trasferite in day hospital e day surgery, passano dalle 43 del 2001 a 108. Praticamente tutti gli interventi sulle articolazioni, dialisi, assistenza ai malati di Hiv non saranno più effettuati in ricovero. In day hospital e day surgery si assisteranno anche arteriosclerosi, aritmia, malattie del fegato (ma non le più gravi come la cirrosi), problemi di prostata e degli apparati genitali. E senza ricovero si interverrà su tonsille, occhi, denti, fratture, calcoli, fino ai trapianti di pelle. Ci sono poi anche 24 prestazioni che oggi sono erogate in day surgery che passaranno all'assistenza ambulatoriale. Tra queste: l'operazione di cataratta, la sostituzione del cristallino, le artroscopie, alcuni interventi di ernia e la litotripsia (scioglimento di calcoli renali con gli ultrasuoni). Ma per queste, come per tutte le prestazioni specialistiche in genere erogate negli ambulatori, i cittadini dovranno pagare il ticket. Parti Sotto maggior controllo finiscono anche i parti cesarei, in eccesso in tutte le Regioni, che con i Lea dovranno prevedere appositi programmi per la loro riduzione, dando maggior spazio al parto naturale per il quale sono previsti interventi contro il dolore come l'anestesia epidurale. Prevista anche la diagnosi neonatale della sordità congenita e della cataratta congenita sul nascituro. Oltre a migliorare il livello d'assistenza, il rilancio dell'appropriatezza nel settore consentirà un risparmio di circa un miliardo per le Regioni. Ausili e tecnologie Un incasso che servirà a coprire aumenti di spesa in altri settori, come quello dell'assistenza protesica in cui il nuovo "nomenclatore" (l'elenco degli ausili che il Ssn concederà gratuitamente) assieme a quello delle prestazioni specialistiche, potrebbero far lievitare i costi. Ed è anche per questo che i due "nomenclatori" entreranno in vigore non subito, ma solo una volta definite le nuove tariffe. Molte prestazioni "vecchie" infatti se ne vanno da quelle a carico del Servizio pubblico e fanno il loro ingresso sulla scena dell'assistenza numerose novità. Tra queste, ad esempio, per i portatori di gravi disabilità sono previsti nuovi ausili informatici di comunicazione e di controllo ambientale (come comunicatori a sintesi vocale o a display, sensori di comando, sistemi di riconoscimento vocale), ausili per la mobilità personale (sollevatori mobili e fissi) e per la cura e l'adattamento della casa (stoviglie adattate, maniglie e braccioli di supporto), apparecchi acustici di ultima generazione per le persone con sordità preverbale e periverbale. E la tecnologia entra a pieno titolo anche nella diagnosi: quando dovesse essere difficile esplorare l'intestino e gli esami tradizionali non dovessero aver dato risultati positivi, si utilizzerà grazie ai nuovi Lea l'«enteroscopia con microcamera ingeribile» grazie alla quale a monitorare il tratto intestinale ci penserà una videocapsula monouso che, ingerita, trasmetterà le informazioni all'esterno. ______________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’08 SANGUE: DEBITO D'EFFICIENZA Le strategie del programma nazionale 2008 puntano a migliorare qualità e consumi Sistema nazionale in equilibrio - Carenze croniche nel Centro-Sud S.Tod. Si stema trasfusionale in equilibrio e a tutta ristrutturazione, nel 2008, anche se restano profonde carenze nelle Regioni del Centro-Sud, mentre in tutta Italia va incrementato l'utilizzo prioritario degli emoderivati da plasma nazionale rispetto agli analoghi commerciali. Bilancio, suggerimenti e obiettivi per il "pianeta sangue" sono contenuti nel Dm Salute recante il Programma di autosufficienza nazionale nazionale 2008, approvato in Conferenza Stato-Regioni del 20 marzo. Il documento - dettagliatissimo - fa il punto sulla situazione del comparto appena ridisegnato con l'insediamento del Centro nazionale sangue e l'istituzione del Sistema informativo dei servizi trasfusionali (Sistra) nella seconda metà del 2007. I dati generali documentano a livello nazionale un pool di 1.539.454 donatori registrati presso i centri trasfusionali (4% della popolazione tra 18 e 65 anni; 40/1.000): considerando tutta la popolazione residente l'indice si colloca intorno a 26 donatori per mille residenti, con una variabilità regionale che va da un minimo di 18 in Campania a un massimo di 40 in Friuli. I consumi quotidiani quotano invece a 6.500 le unità di globuli rossi trasfusi, mentre si somministrano in media circa 9mila flaconi di albumina; 1.700 di immunoglobulìne aspecifiche; 350 di antitrombina III; 250 di fattore VIII antiemofilico plasmaderivato. Allo stato attuale, insomma, il sistema garantisce una autosufficienza differenziata e senz'altro migliorabile sia sotto il profilo del quantità che della qualità dei consumi. Globuli rossi: Centro-Sud in affanno. Per quanto riguarda produzione e consumo di globuli rossi, la rilevazione valida fino ai primi 9 mesi del 2007 conferma gravi carenze in 3 Regioni (Lazio, Sicilia, Sardegna ), grande eccedenza di produzione in altre 5 Regioni (Piemonte, Lombardia, Friuli, Veneto, Emilia Romagna) e da parte dei servizi trasfusionali militari, sostanziale equilibrio in tutte le altre aree del Paese, per un bilancio nazionale che nel 2007 si è chiuso con un delta positivo di 6.660 unità. In linea con i dati dei Paesi europei più avanzati sia l'indice di produzione di globuli rossi (41,5 per 1.000 residenti), che quello di consumo (41,4) e di unità non utilizzate (5,1% delle unità consumate), l'oroscopo per il 2008 lascia però capire che esistono significativi margini di miglioramento per ridurre il mancato utilizzo di unità di globuli rossi e recuperarne una quota utile ai fini dell'autosufficienza: il bilancio produzione-consumo sarà mantenuto in equilibrio con un delta positivo di 7.436 unità, superiore al 2007 dell'11,5%. Ciò avverrà anche grazie all'ingresso di una Regione in più - le Marche - nella lista di quelle con produzione eccedente, mentre restano confermate le situazioni di carenza: Lazio e Sicilia anche nel 2008 presentano indici di produzione (rispettivamente 32,3 e 34,6 unità/1.000 abitanti) nettamente al di sotto della media nazionale prevista per il 2008 (42,5). Diversa la situazione della Sardegna, per l'elevatissima presenza di pazienti affetti da emopatie congenite trasfusionedipendenti che determina il più elevato indice di consumo (64 unità per mille abitanti/anno) a livello nazionale e dove tuttavia l'indice di produzione di globuli rossi (42,9) è superiore alla media nazionale, nonostante l'ampia popolazione autoctona di portatori "sani" di emopatie congenite, automaticamente esclusi dalla donazione. In recupero anche l'indice di eliminazione, che nel 2008 si collocherà al di sotto dell'analogo indice del 2007 (4,3% vs. 5,1%) Plasma avviato alla lavorazione industriale: debito grosso per 11 Regioni. A tutta disomogeneità locale anche il bilancio relativo all'avvio del plasma alla lavorazione industriale per la produzione di plasmaderivati. Nel 2007 la media nazionale è stata di 10,34 Kg ogni mille abitanti, ma in linea generale, a eccezione della Provincia autonoma di Trento, tutte le Regioni e Pa del Nord, assieme a Toscana e Marche, si collocano al di sopra della media nazionale, mentre le altre sono al di sotto, con 2 grandi Regioni (Lazio e Campania: 18% della popolazione nazionale), con scostamenti molto importanti e con un "debito" rispetto alla media nazionale di oltre 82mila Kg di plasma l'anno su un totale di 136mila Kg l'anno per le 11 Regioni al di sotto della media nazionale. Sul fronte della qualità, il documento diagnostica un consumo altamente inappropriato di albumina, un consumo di antitrombina superiore ai reali fabbisogni e un consumo di immunoglobuline aspecifiche in probabile aumento a causa delle nuove indicazioni cliniche emergenti per questi prodotti. Per quanto riguarda il fattore VIII plasmaderivato, invece, studi recenti indicano la possibilità di una rivalutazione del suo utilizzo rispetto al fattore VIII ricombinante (di sintesi). Per il 2008 le previsioni indicano comunque un incremento significativo dell'invio di plasma rispetto al 2007 (40.000 Kg; +6,5%), con una crescita dell'indice Kg di plasma/mille abitanti/ anno da 10,3 a 11. Confermata anche per l'anno in corso la disomogeneità tra Regioni, anche se è atteso un recupero nel Centro-Sud (+3,3% in Sardegna; +58% della Campania), mentre si registrano obiettivi di incremento significativi in quelle sopra la media (dal 2,5% del Friuli Venezia Giulia al 17% della Valle d'Aosta). Il restyling per il 2008. Ricchissimo oltre che di dati di azioni programmate, il programma indica alcune priorità cui tutte le Regioni dovranno attenersi. In particolare, quelle che non vi hanno ancora provveduto, dovranno attivare accordi per la gestione dell'avvio del plasma alla lavorazione industriale e la contrattualizzazione dei servizi di " contract manufacturing " (solo 14 i Governi locali in regola) e tutte dovranno garantire l'acquisizione e l'utilizzo prioritario di emoderivati da plasma nazionale rispetto agli analoghi commerciali. A supportare la razionalizzazione del settore, le attività che vedranno al timone il Cns, che nel 2008 promuoverà nell'ordine: l'adozione delle linee guida nazionali per l'uso clinico appropriato di emocomponenti e plasmaderivati; la formulazione di standard tecnico-professionali di medicina trasfusionale da applicare su tutto il territorio nazionale; l'emanazione di linee guida per il funzionamento dei comitati per il buon uso del sangue (Cobus) che dal 2009 sarà sottoposta a monitoraggio; la ricognizione sul territorio nazionale delle banche di globuli rossi congelati di fenotipi rari e per le emergenze, nonché i registri e database di donatori tipizzati estesamente per i sistemi ematici eritrocitari. In più: un piano nazionale per la gestione di situazioni straordinarie di carenza; la creazione dell'anagrafe degli accordi di scambio interregionali; la modifica delle relazioni compensative economico-finanziarie interregionali per la cessione/acquisizione di emocomponenti ed emoderivati da inserire nella compensazione della mobilità sanitaria. Previsioni plasma (Kg) da avviare alla lavorazione industriale nel 2008 Regioni e P.A. Plasma 2007* Plasma 2008 Kg/1.000 ab.2007 Kg/1.000 ab. 2008 Popolazione Incremento % 2007-2008 % pop. regione/ pop. totale Valle d'Aosta 123.978 0,21 1.710 2.000 16,96 13,79 16,13 Piemonte 4.341.733 7,39 59.496 63.500 6,73 13,70 14,63 Liguria 1.610.134 2,74 17.978 18.500 2,90 11,17 11,49 Lombardia 9.475.202 16,13 123.877 131.000 5,75 13,07 13,83 Pa Trento 502.478 0,86 5.008 5.300 5,83 9,97 10,55 Pa Bolzano 482.650 0,82 5.686 6.100 7,28 11,78 12,64 Friuli V.G. 1.208.278 2,06 23.900 24.500 2,51 19,78 20,28 Veneto 4.738.313 8,06 74.692 77.000 3,09 15,76 16,25 Emilia R. 4.187.557 7,13 72.749 75.000 3,09 17,37 17,91 Toscana 3.619.872 6,16 57.963 60.300 4,03 16,01 16,66 Umbria 867.878 1,48 7.393 8.100 9,56 8,52 9,33 Marche 1.528.809 2,60 20.935 22.000 5,09 13,69 14,39 Lazio 5.304.778 9,03 19.600 23.000 17,35 3,69 4,34 Sardegna 1.655.677 2,82 9.775 10.100 3,32 5,90 6,10 Abruzzo 1.305.307 2,22 12.840 13.600 5,92 9,84 10,42 Campania 5.790.929 9,86 12.643 20.000 58,19 2,18 3,45 Molise 320.907 0,55 2.340 3.000 28,21 7,29 9,35 Puglia 4.071.518 6,93 28.359 30.000 5,79 6,97 7,37 Basilicata 594.086 1,01 4.136 4.500 8,80 6,96 7,57 Calabria 2.004.415 3,41 10.479 11.500 9,74 5,23 5,74 Sicilia 5.017.212 8,54 34.919 37.000 5,96 6,96 7,37 Forze Armate - - 812 850 4,68 – Italia 58.751.711 100,00 607.290 646.850 6,51 10,34 11,01 (*) Dati consuntivi 2007 in corso di validazione Comparazione stime 2007 e previsioni 2008 di produzione e consumo unità di globuli rossi (Gr) Regioni e P.A. Produzione Unità di globuli rossi Consumo Bilancio prod./consumo 2007 2008 Incr. % 2007 2008 Incr. % 2007 2008 Valle d'Aosta 5.867 5.984 2,0 4.818 4.896 1,6 1.049 1.088 Piemonte 223.000 225.305 1,0 195.122 198.900 1,9 27.878 26.405 Liguria 71.439 73.250 2,5 70.097 72.000 2,7 1.342 1.250 Lombardia 441.500 442.000 0,1 428.168 428.000 0,0 13.332 14.000 Pa Trento 19.390 19.500 0,6 19.071 19.150 0,4 319 350 Pa Bolzano 24.186 24.200 0,1 23.295 23.295 0,0 891 905 Friuli V.G. 67.346 68.000 1,0 63.076 63.700 1,0 4.270 4.300 Veneto 243.317 248.000 1,9 225.957 230.581 2,0 17.360 17.419 Emilia R. 245.224 254.000 3,6 240.000 246.000 2,5 5.224 8.000 Toscana 159.418 164.201 3,0 159.660 164.450 3,0 -242 -249 Umbria 39.663 41.249 4,0 39.360 40.602 3,2 303 647 Marche 67.950 70.000 3,0 65.401 66.000 0,9 2.549 4.000 Lazio 166.316 173.400 4,3 195.346 196.898 0,8 -29.030 -23.498 Sardegna 69.500 71.000 2,2 105.700 106.000 0,3 -36.200 -35.000 Abruzzo 47.800 49.200 2,9 48.150 49.400 2,6 -350 -200 Campania 143.000 150.000 4,9 141.790 150.000 5,8 1.210 0 Molise 13.423 14.348 6,9 12.891 13.582 5,4 532 766 Puglia 136.000 145.000 6,6 135.000 143.000 5,9 1.000 2.000 Basilicata 21.750 22.750 4,6 20.250 21.250 4,9 1.500 1.500 Calabria 60.402 62.000 2,6 59.800 61.000 2,0 602 1.000 Sicilia 170.000 173.400 2,0 180.000 192.000 6,7 -10.000 -18.600 Forze Armate 3.988 4.180 4,8 867 795 -8,3 3.121 3.385 Italia 2.440.479 2.500.967 2,5 2.433.819 2.491.499 2,4 6.660 9.468 Il consumo nazionale di plasma derivati (2007) 6 6 ) 6 ) 6 ) 6 ) abitanti/2007 Albumina umana (Kg) Antitrombina (Ulx10 Fattore IX antiemofilico (Ulx10 Complesso protrombinico (Ulx10 Immunoglobuline aspecifiche ev (Kg) Fattore VIII antiemofilico (1) (Ulx10 510-545 51-54 2,2-2,3 1,5-1,6 0,08-0,1 0,2 Consumo 2007 30.000-32.000 3.000-3.100 130-135 90-93 5,0-6,0 13-14 Consumo/10 Prod. plasma naz.'07 15.100-15.500 2.000-2.400 (2) 100-105 53-55 (3) Oltre domanda Oltre domanda % autosuff. attuale ~50% ~67% ~45% (4) ~60% 100% 100% (1) I consumi stimati comprendono tutte le tipologie di Fattore VIII plasmaderivato in commercio; (2) rese varinti con il grado di purezza del prodotto; (3) rese criticamente dipendenti dalla qualità del plasma; (4) quota legata alle attuali limitazioni produttive ______________________________________________________ Il sole24Ore 12 mag. ’08 GENERALISTI A TUTTA E-HEALTH Studio della Commissione Ue: i servizi digitali di assistenza prendono piede in Europa Italia nella media ma la trasmissione dei dati non è ancora diffusa Giuseppe Di Marco La Sanità europea diventa sempre più digitale ed "elettronica" e l'Italia sembra mantenere il passo. La fotografia sull'uso dei servizi elettronici di assistenza sanitaria da parte dei medici di base del Vecchio continente è stata scattata dalla società tedesca "empirica", con la collaborazione di Ipsos, per conto del Direttorato generale della Società dell'informazione e dei media della Commissione europea. Grazie alla diffusione di queste applicazioni, la qualità dell'assistenza, secondo la Commissione, è migliorata, e i tempi d'attesa si sono ridotti. Dal sondaggio, somministrato a 6.800 generalisti dei 27 Paesi della Ue più Norvegia e Islanda, risulta che negli scorsi cinque anni il progresso dell'e-health in Europa è stato rapido e i Mmg hanno saputo sfruttare le nuove tecnologie a disposizione. L'87% dei medici europei usa il computer (l'86% in Italia), il 69% è connesso a Internet (71% il dato italiano), mentre il 48% dispone di una connessione a banda larga (il 49% nel nostro Paese). Permangono però ampi divari tra i diversi Stati: per esempio le connessioni ad alta velocità sono presenti nel 91% degli studi danesi e soltanto nel 5% di quelli rumeni. Sempre in Danimarca il 60% dei generalisti comunica con i pazienti via mail, contro una media del 4 per cento. Esiste poi un altro tipo di gap, quello tra la disponibilità degli strumenti e il loro effettivo utilizzo. Nel 12% degli studi il Pc, pur essendo presente, non viene usato al momento della visita. Tra i settori che hanno fatto registrare passi da gigante c'è quello dell'archiviazione elettronica dei dati. Le informazioni di carattere amministrativo vengono conservate sotto forma di bit nell'80% degli studi medici; di questi il 92% archivia elettronicamente anche i dati relativi a diagnosi e terapie e il 35% a radiografie. Riguardo alla trasmissione dei dati, le informazioni che vengono scambiate per via elettronica sono innanzitutto analisi di laboratorio (nel 40% dei casi), dati amministrativi per i soggetti tenuti ai rimborsi (15%) e dati clinici rivolti ad altri operatori sanitari (10%). Questi ultimi dati sono spesso indirizzati agli ospedali (in un caso su cinque), mentre vengono trasferiti agli specialisti solo in un caso su 10. In Italia, nonostante siano molto sviluppate le infrastrutture per l'Ict (Pc, Internet), la trasmissione delle informazioni non è ancora una realtà consolidata. Solo il 3% dei medici scambia dati amministrativi contro una media Ue del 10%. I Mmg che ricevono i risultati di laboratorio per via elettronica sono solo l'8%. Va ricordato comunque che, al di là della trasmissione di dati sui pazienti, le connessioni telematiche vengono spesso usate dai medici di famiglia per ricercare informazioni mediche, ordinare forniture, scambiare email con i pazienti. Le nuove tecnologie sono poi molto sfruttate per l'Educazione continua in medicina: l'82% dei generalisti si aggiorna attraverso l'e-learning. Il sondaggio evidenzia anche le aree che si prestano a ulteriori progressi come quella delle ricette elettroniche, prescritte solo dal 6% dei Mmg; in Italia sono soltanto l'1% i medici che vi fanno ricorso. La prescrizione telematica si può considerare una realtà soltanto in tre Paesi: Danimarca (dove è usata dal 97% dei generalisti), Svezia (81%) e Paesi Bassi (71%). Un altro settore da sviluppare è quello della telesorveglianza, il sistema che consente ai medici di seguire a distanza il decorso di una malattia o di tenere sotto osservazione i pazienti affetti da disturbi cronici. Questo tipo di monitoraggio delle condizioni di salute è praticato solo in Svezia (9%), Paesi Bassi e Islanda (3% in entrambi i Paesi). Molto rari sono anche gli scambi di informazioni sui pazienti da un Paese all'altro, praticati solo dall'1% dei medici, con una punta del 5% nei Paesi Bassi. Su questi aspetti la Commissione presenterà nel corso dell'anno una relazione sulle potenzialità e sullo sviluppo della telemedicina e raccomandazioni sull'interoperabilità transfrontaliera dei sistemi di cartella clinica elettronica. Verrà inoltre dato avvio, assieme a vari Paesi, a un progetto di servizi sanitari elettronici transfrontalieri per i pazienti che viaggiano all'interno dell'Unione. Paese Conservazione dati Uso Pc nelle visite Trasferimento elettronico dei dati Uso dell'e-health Conservazione elettronica dei dati amministrativi Conservazione elettronica dei dati clinici Uso del computer durante le visite Uso di un Decision support system Trasferimento dei risultati da un laboratorio Trasferimento dei dati amministrativi del paziente Trasferimento dei dati clinici del paziente Ricetta elettronica Punteggio medio complessivo Livello d'uso Ue 27 4,0 3,7 3,3 2,3 2,0 0,6 0,5 0,3 2,1 Ue 27+2 4,0 3,7 3,3 2,3 2,0 0,6 0,5 0,3 2,1 Danimarca 4,8 4,8 4,6 3,8 4,8 3,0 3,7 4,9 4,3 Paesi capofila Olanda 4,9 4,5 4,7 3,7 4,2 1,8 1,3 3,5 3,6 Finlandia 5,0 4,7 5,0 4,3 4,5 0,7 2,7 0,0 3,4 Svezia 4,8 4,1 2,4 4,1 4,1 0,6 0,7 4,0 3,1 Regno Unito 4,8 4,3 4,7 3,1 4,2 1,9 1,3 0,3 3,1 Belgio 4,2 4,3 3,8 2,5 3,7 0,4 0,6 0,1 2,4 Paesi con performance nella media Germania 4,6 3,2 3,6 3,2 3,2 0,2 0,2 0,0 2,3 Estonia 4,9 3,0 4,7 3,6 2,0 0,2 0,1 0,0 2,3 Ungheria 5,0 4,6 3,2 3,8 0,6 0,1 0,1 0,0 2,2 Bulgaria 4,7 4,2 3,8 2,1 0,3 0,4 0,2 0,1 2,0 Francia 3,7 4,1 3,6 1,5 1,6 0,7 0,2 0,1 2,0 Austria 4,0 3,7 2,7 2,1 1,9 0,7 0,6 0,1 2,0 Spagna 3,4 4,1 3,3 2,1 1,5 0,2 0,6 0,2 1,9 Italia 4,2 3,4 4,1 2,4 0,4 0,1 0,4 0,0 1,9 Irlanda 3,2 3,6 2,8 1,9 2,0 0,5 0,1 0,0 1,8 Slovacchia 4,5 2,6 3,6 3,2 0,2 0,1 0,1 0,0 1,8 Rep. Ceca 3,4 3,4 3,0 2,3 1,2 0,5 0,3 0,0 1,7 Portogallo 3,7 3,2 3,2 2,3 0,1 0,3 0,4 0,1 1,7 Lussemburgo 3,5 3,7 2,9 1,2 1,4 0,0 0,0 0,0 1,6 Cipro 2,8 3,8 1,6 0,5 0,5 0,1 0,1 0,0 1,2 Malta 2,5 3,3 1,4 0,5 0,5 0,2 0,3 0,0 1,1 Slovenia 4,3 1,4 0,9 1,4 0,5 0,4 0,0 0,1 1,1 Grecia 2,5 3,2 1,0 0,4 0,2 0,2 0,2 0,1 1,0 Paesi in ritardo Polonia 2,7 2,4 0,5 0,6 0,5 0,7 0,1 0,0 1,0 Romania 2,3 2,2 1,1 0,3 0,2 0,2 0,1 0,0 0,8 Lituania 1,9 1,0 0,4 0,4 0,4 0,8 0,1 0,1 0,6 Lettonia 1,3 2,3 0,1 0,1 0,1 0,0 0,0 0,0 0,5 Norvegia 4,9 4,5 4,7 4,1 4,4 1,1 1,7 0,1 3,2 Islanda 5,0 4,6 4,2 3,2 2,6 0,3 0,9 0,9 2,7 Nota: I punteggi vanno da 0 (non usato affatto, cella celeste chiara) a 5 (usato da tutti imedici di famiglia del Paese, cella blu scuro). I valori relativi a Ue 27+2, consistono nella media dei punteggi di tutti i Paesi dell'Unione europea assieme a quelli di Norvegia Islanda. Fonte: empirica, Pilot on e-health indicators, 2007 Uso dell'e-health nella Ue: punteggi per singolo Paese Uso dei servizi di e-health: confronto Italia-Ue Scopi dell'uso della telematica Uso dell'Ict per l'Ecm Paese % Paese % Ue 27 81,6 Ue 27+2 81,5 Belgio 71,5 Bulgaria 73,0 Rep. Ceca 91,2 Danimarca 61,2 Germania 78,7 Estonia 78,5 Grecia 91,2 Spagna 91,6 Francia 74,7 Irlanda 81,5 Italia 78,8 Cipro 92,0 Lettonia 82,7 Lituania 93,2 Lussemburgo 76,0 Ungheria 63,7 Malta 98,3 Olanda 65,1 Austria 84,4 Polonia 88,4 Portogallo 89,2 Romania 62,5 Slovenia 80,0 Slovacchia 81,6 Finlandia 98,8 Svezia 81,9 Regno Unito 95,6 Islanda 97,1 Norvegia 70,2 Fonte: empirica, Pilot on e-health indicators, 2007 ______________________________________________________ L’Unità 8 mag. ’08 SANITÀ, IN AUMENTO LE PATOLOGIE DI MEDICI, INFERMIERI E ASSISTENTI di Massimiliano Di Dio Quasi sette infortuni su cento del settore sanitario italiano avvengono nei reparti di un ospedale laziale. Oltre 2400 casi registrati nel 2006, più 9,2 per cento rispetto all'anno precedente. Di questi l'85,1 per cento si concentra nella sola capitale. Problemi agli occhi e alla pelle, mal di schiena, stress, mobbing e insonnia. Ma anche malattie infettive. Eppure non tutti i lavoratori sanitari hanno la stessa percezione dei rischi. È abbastanza alta per i dipendenti a tempo indeterminato. Mentre per atipici ed esterni il pericolo sembra essere sconosciuto. Con gravi conseguenze per la loro salute e per la sicurezza sul lavoro. È quanto emerge dal rapporto realizzato dall'Ires Cgil con l'Inail e condotto presso l'Istituto dermatologico San Gallicano e l'Istituto nazionale tumori Regina Elena dove quasi un medico su due ha un contratto di collaborazione. «I professionisti del settore sanitario - ha commentato l'assessore regionale alla Sanità, Augusto Battaglia - pur coscienti dei rischi relativi al lavoro svolto devono essere messi in grado di non dimenticarlo. Occorre una grande attenzione ai percorsi formativi». Informare per prevenire dunque. Soprattutto negli ospedali dov'è in ballo anche la salute dei pazienti. «La questione della sicurezza sul lavoro - spiega il presidente dell'Ires, Antonio Megale - non può essere né di destra né di sinistra. La nostra sfida è quella di ridurre al minimo gli elementi di rischio». I numeri parlano chiaro anche fuori dal Lazio: 35.302 infortuni nel settore sanitario nazionale. Il 3,8 per cento del totale complessivo. Più 0,6% rispetto al 2005. Guidano la classifica di chi denuncia gli infermieri (35,2 per cento). Il 73 per cento degli infortuni è denunciato dalle donne, il 9,1 per cento coinvolge lavoratori extracomunitari. Diversi i pericoli percepiti dai lavoratori e messi in luce dalla ricerca diretta dalla responsabile Ambiente Ires, Elena Battaglini: manipolazione dei farmaci, aspirazione insufficiente, presenza di campi elettromagnetici e di polveri nell'aria, alta temperatura, pesi rilevanti. Il 67 per cento ha costanti contatti con il paziente. Manipola e trasporta materiale biologico il 40 per cento, utilizza aghi il 35,5 per cento. Guanti in lattice e detergenti spesso causano irritazioni alla pelle mentre le malattie infettive colpiscono più di un lavoratore su cinque. «Se si migliora la loro vita si potenzia la qualità dei servizi degli ospedali» ribadisce Daniele Di Nunzio, uno dei ricercatori. Infine due elementi: superano le 41 ore settimanali soprattutto i lavoratori atipici (29,6 per cento) e tra gli iscritti al sindacato (il 37 per cento degli intervistati) prevalgono quelli a tempo indeterminato con il 58,3 per cento contro in media il 7,1% di chi ha un'altra tipologia contrattuale. ______________________________________________________ Corriere della Sera 5 mag. ’08 DOTTORI, SMETTETE DI PARLARE IN «MEDICHESE» COMUNICAZIONE È POCO CHIARA PER IL 70% DEI PAZIENTI Appello per abolire tutti i termini dotti A metà del Seicento Molière prendeva in giro la spocchia e la magniloquenza dei medici che parlavano in latinorum. Quasi cinquecento anni dopo siamo ancora a lamentarci di quanto sia incomprensibile il linguaggio dei dottori: sulla rivista Lancet è appena uscito un appello alla semplificazione del «medichese» in cui si punta il dito sulla derivazione greca di molti termini che, di fatto, rendono oscuri i discorsi dei medici. Perché la tachicardia magari non è un mistero per nessuno, ma a sentir parlare di bradipnea pochi capiscono di che si tratta. E quanti sanno la differenza fra ipocalemia e ipernatriemia? Ma le frasi piene di parole arcaiche, altisonanti o ambigue possono danneggiare i pazienti, sottolinea la rivista inglese, perché riducono la possibilità di capire e, quindi, di seguire le prescrizioni. Una tesi che si rafforza leggendo i sondaggi di Il linguaggio della salute, libro a cura di Alessandro Lucchini (Ed. Sperling & Kupfer, in uscita a maggio): oltre il 70 per cento dei pazienti trova poco chiare le informazioni fornite dai medici e quasi uno su tre è in difficoltà durante i colloqui per colpa dei tecnicismi. Elementi più connessi fra loro di quanto sembri a prima vista spiega il bioeticista Sandro Spinsanti, direttore dell' Istituto Giano di Roma: «Non è una semplice questione di linguaggio; è in gioco il rapporto di potere fra medico e paziente. Il latino del passato non serviva a comunicare, ma a trasmettere al malato una sensazione di asimmetria della conoscenza per ottenerne la resa di fronte alle decisioni del medico. Lo stesso oggi: il linguaggio può comunicare, dando al paziente le informazioni per scelte partecipate e consapevoli, oppure può servire solo a porre il medico su un gradino più alto». Le parole come feticci, insomma: un esibizionismo linguistico per intimidire e anche mostrare l' appartenenza ad una «casta». «I medici però non sono sempre compiaciuti e autoreferenziali - interviene Stefano Inglese, che nel 2005 ha contribuito alla stesura della Carta di Firenze sul rapporto medico-paziente -. Il problema maggiore è forse la scarsità di tempo: nei pochi minuti della visita il medico usa più facilmente la terminologia a lui più consueta». «L' impatto psicologico del linguaggio scelto però non è irrilevante - aggiunge Omar Calabrese, semiologo dell' Università di Siena - tanto che anche il paziente, se si sente allontanato e non all' altezza, può finire per comunicare male i suoi disturbi». Tutto vero: un medico di base si occupa di circa 1.500 persone. Ogni anno fa 10.000 visite e in ciascuna gli vengono sottoposti in media tre problemi: il tempo scarseggia e il medico interrompe il racconto del paziente dopo appena 18 secondi. Numeri raccolti dal CSeRMEG (Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale) che la dicono lunga sulle difficoltà di comunicazione nello studio del dottore. «Nonostante ciò i pazienti sentono i medici di base meno lontani degli specialisti, proprio perché con gli anni molti "perdono" il gergo medico - dice Sergio Bernabè del CSeRMEG - . La relazione linguistica medico-paziente però è più articolata: il linguaggio è espressione della coscienza di sé dell' individuo e ha basi neurofisiologiche precise. Un medico dovrebbe esserne consapevole, sapere che ciascuno racconta la realtà da un suo punto di vista ed essere capace di modificare il proprio per condividerlo col paziente. Solo se c' è questo riconoscimento, si comunica davvero». Che poi significa, ad esempio, cambiare parole e toni per adattarsi alla capacità di comprensione dell' altro. «Attenzione però, a volte manca la volontà di comprensione: alcuni non vogliono essere informati e desiderano un medico che li guidi e scelga per loro con autorità indiscussa - riprende Spinsanti -. In questi casi un linguaggio inequivocabile e comunicativo può essere una violenza, così come lo sono le parole incomprensibili con chi vuole partecipare alle decisioni. Prima ancora di informare, quindi, bisogna ascoltare, capire quanto e come il paziente vuole comunicare e rispettarlo, qualunque sia il suo sentire». Meli Elena ______________________________________________________ Corriere della Sera 6 mag. ’08 FOCUS LEGGE BASAGLIA, 30 ANNI DOPO Le corsie diventano manicomi Pochi servizi, ricoveri in ospedali e cliniche Oltre due milioni i malati di mente gravi So no passati trent'anni da quel 13 maggio 1978 che portò tra mille polemiche alla chiusura dei manicomi. Ma solo otto dalla dismissione dell'ultimo, il Santa Maria della Pietà di Roma. Fallimento? Riforma incompiuta? Superate le barricate tra psichiatria tradizionale e antipsichiatria, il mondo della medicina concorda su un unico punto: indietro non si torna. Su come migliorare la situazione, invece, molti hanno le loro ricette. Ma il ministero della Salute avverte: il rischio è un ritorno al manicomio con altro nome. La data di chiusura del Santa Maria della Pietà mostra la forza e i limiti della 180, che tutti ricordano come legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che incarnò la battaglia contro l'«istituzione negata». La rivoluzione sta nell'avere riconosciuto al malato di mente dei diritti, togliendogli l'etichetta di pericolo per la società, e nell'avere introdotto il principio di volontarietà della cura; i limiti sono legati ai ritardi e alla disomogeneità di applicazione della 180, derivanti dalla sua natura di legge quadro, che lascia alle Regioni la responsabilità di organizzarne l'applicazione. Resta il fatto che l'Italia è l'unico paese al mondo senza manicomi e i principi ispiratori della Basaglia sono gli stessi alla base del Green paper sulla salute mentale approvato dall'Unione europea nel 2005. Nel nostro paese i pazienti affetti da malattie mentali gravi sono circa 2 milioni e 200 mila. In Europa 93 milioni. «Si ritiene che il tasso di incidenza sia di un malato ogni 10 mila persone all'anno: ad esempio, in una regione come la Lombardia, che ha circa 10 milioni di abitanti, l'insorgenza è di 1.000 nuovi casi all'anno. Che se non curati adeguatamente diventano cronici, in genere a carico delle famiglie» spiega Ernesto Muggia, presidente onorario dell'Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale (Unasam), che riunisce 160 organizzazioni. L'aspetto sociale, dunque, è tutt'altro che secondario visto che la 180, in un certo senso, ha rimandato in famiglia i pazienti, prevedendo solo per i casi acuti il ricovero nei reparti di psichiatria degli ospedali, limitando i trattamenti sanitari obbligatori, privilegiando la riabilitazione e il reinserimento nella società. Insomma, sulla carta tutto bene. Ma la fotografia del territorio mostra molte luci e ombre. Come denunciato dal ministero della Salute nelle Linee di indirizzo nazionali per la salute mentale, approvate il 20 marzo scorso e recepite dalla Conferenza delle Regioni: sono aumentate molto le differenze tra Nord e Sud, tra regione e regione, tra ambiti urbani e rurali; destano preoccupazione alcuni segnali di arretramento rispetto ai livelli di deistituzionalizzazione raggiunti. Il ministero manifesta il timore di un «maggiore ricorso all'obbligatorietà dei trattamenti, a pratiche estese di privazione della libertà e di contenzione, a inserimenti su vasta scala in strutture a tempo indeterminato». L'anello debole nell'applicazione della Bisaglia sono quei servizi sul territorio che avrebbero dovuto fare prevenzione, cura e riabilitazione e che invece non sono stati adeguatamente potenziati. Per cui spesso il ricovero rappresenta l'unica soluzione per un malato grave, che nel migliore dei casi entra ed esce dall'ospedale, nel peggiore resta a vita in una clinica magari privata. Gisella Trincas, ora alla guida dell'Unasam, mette a fuoco il problema: «Dipende dalle Regioni fare una scelta anziché un'altra, privilegiare i centri di salute mentale oppure i posti letto nelle cliniche private. I dati per valutare però ci sono. Un posto in clinica privata costa al giorno 400/500 euro, in una struttura residenziale 250/300 euro, in una casa normale organizzata 120 euro». Per la salute mentale pesa, forse più che in altri campi, l'intreccio tra politica sociale, investimenti e scelte terapeutiche. Un esempio? «In Lombardia i servizi psichiatrici non sono all'avanguardia come magari ci si potrebbe aspettare» spiega lo psichiatra Arcadio Erlicher, primario all'ospedale Niguarda di Milano: «C'è stata una restrizione della spesa sanitaria, che rende impensabile un miglioramento. È ovvio però che la situazione di oggi non è paragonabile a quella del '78». «La Lombardia - per la Trincas - ha un problema di fondo: ha privilegiato la sanità privata». Per Erlicher resta «la necessità di servizi territoriali più consistenti: spesso sono stati trasformati in ambulatori specialistici. Aspettano il malato e sono meno attivi verso il disagio del paziente e della famiglia che lo ha in carico. C'è stata una frattura - conclude - tra una generazione di operatori psichiatrici impegnati nel superamento del manicomio e una generazione medicalizzata e orientata sull'uso dei farmaci: serve una maggiore integrazione». Ci sono anche realtà che funzionano bene. Trieste, ad esempio, è uno dei centri d'eccellenza per la salute mentale. Del resto è da qui che partì la rivoluzione di Franco Basaglia. Il risultato è 6/7 casi di trattamenti sanitari obbligatori su 100 mila abitanti, 4 volte meno della media nazionale. Il direttore del Dipartimento di salute mentale, Giuseppe Dell'Acqua, spiega il successo: «Abbiamo centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, un servizio che in molte parti del paese non è così esteso. Stiamo anche sperimentando il "Budget di salute": costruiamo un progetto di cura e di riabilitazione individuale. Altrove, magari, si preferisce mandare il malato in comunità, ma non è detto che poi riesca a emanciparsi e a reinserirsi». In Italia in genere il problema è che da una parte ci sono gli acuti e dall'altra i cronici, ma in mezzo non c'è quasi nulla. «I servizi di prossimità sono estremamente fragili - continua Dell'Acqua -. C'è una sorta di contraddizione tra le indicazioni dichiarate di attenzione alla persona e alla famiglia e il modello medico che persiste e vede solo la malattia e non le persone». Difende il modello medico Giovanni Battista Cassano, direttore del Dipartimento di psichiatria dell'Università di Pisa, che nel '78 contestò la legge 180 «perché ritenevamo che fosse necessario un passaggio graduale e disapprovavamo il modello basagliano che negava la clinicità della malattia mentale», ma che oggi definisce «la terapia di comunità un bene prezioso da far evolvere». «Ora che abbiamo pagato costi altissimi - conclude - non ha senso tornare indietro». Francesca Basso LA MAPPA DELL'ASSISTENZA La legge 180 I manicomi La legge 180, promossa dallo psichiatra Franco Basaglia (nella foto), fu approvata il 13 maggio 1978. È una legge quadro che stabilì la chiusura dei manicomi, sancì la volontarietà della cura e istituì il trattamento sanitario obbligatorio (imposizione di determinate cure ai malati di mente gravi) ______________________________________________________ Il sole24Ore5 mag. ’08 PIÙ CURE AI DENTI DEI PICCOLI Odontoiatria. Check e urgenze garantiti, ulteriori tutele per under 14 e soggetti fragili Barbara Gobbi Da sempre "cenerentola" tra le cure erogate dal servizio pubblico, l'assistenza odontoiatrica Ssn è stata completamente riscritta dai nuovi Lea. Che hanno preso atto della realtà: ai cittadini oggi costretti per oltre il 90% a rivolgersi al dentista privato, a costi non di rado insostenibili, si promette una svolta. D'ora in poi cade la finzione del "tutto a tutti". Ma quanto garantito dovrebbe essere effettivamente erogato. Per il resto, le cure dentarie sono affidate al "secondo pilastro" dell'assistenza sanitaria: i fondi integrativi rilanciati a fine marzo, dopo anni di oblio, da un decreto dell'ex ministro della Salute Livia Turco. È in essi che confluiranno tutte le prestazioni lasciate fuori dai Lea, cure ai denti comprese. Ma vediamo nel dettaglio cosa cambia per l'assistenza offerta in ambito Ssn. Alla popolazione generale sono garantite visita odontoiatrica di controllo e trattamento immediato delle urgenze. La restante offerta Ssn è limitata a tre categorie: giovanissimi tra 0 e 14 anni e pazienti fragili, di salute e socialmente. I criteri di erogazione vanno fissati, in ogni Regione, tenendo conto delle migliori performance realizzate tra pubblico e privato. Bambini Il programma prevede: monitoraggio di carie e malocclusioni; trattamento della carie; correzione delle patologie ortognatodontiche a maggiore rischio. Le prestazioni: visita a tutti senza limitazione di frequenza; estrazioni, chirurgia parodontale, chirurgia orale ricostruttiva, ablazione del tartaro e così via. Vulnerabilità sanitaria Lo standard nazionale per la selezione delle prestazioni incluse nei Lea terrà per lo meno conto del criterio "discendente" già utilizzato in alcune Regioni: l'offerta pubblica è garantita nel caso di malattie o condizioni nelle quali la salute potrebbe aggravarsi o risultare pregiudicata da patologie odontoiatriche concomitanti. I cittadini affetti da altre malattie o in condizioni a cui sono associate complicanze di natura odontoiatrica (criterio "ascendente") potranno accedere alle cure dentali Ssn soltanto se la patologia stessa risulta associata a una concomitante condizione di vulnerabilità sociale. Ai destinatari andranno garantite tutte le prestazioni previste dal piano sanitario individuale e incluse nel nomenclatore generale, esclusi protesi e interventi estetici. Questi i beneficiari: pazienti in attesa o post trapianto; portatori di immunodeficienza grave, di cardiopatie congenite cianogene, di patologie oncoematologiche infantili; persone sottoposte a trattamento radioterapico per neoplasie della testa e malati di emofilia grave. Restano ancora da definire il periodo di concessione del beneficio e le modalità di individuazione dei destinatari. Vulnerabilità sociale I nuovi Lea suggeriscono di utilizzare l'indicatore Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) o altri parametri simili, per individuare gruppi di cittadini che sommino difficoltà economiche a vulnerabilità sanitaria. L'obiettivo è selezionare i destinatari cui garantire una parte di prestazioni totalmente gratuite e una a compartecipazione crescente, in funzione del reddito. A tutti andranno comunque garantite: visita, estrazioni dentarie, otturazione e terapie canalari, applicazione di protesi rimovibili; applicazione di apparecchi ortodontici ai pazienti da 0 a 14 anni con Indice di necessità di trattamento ortodontico pari a 5 (escluso il costo del manufatto), apicificazione (tecnica necessaria per conservare un dente non più vitale).