LAUREE FINTE E ATENEI IN DECLINA - CAGLIARI: ISTRUZIONI PER L'USO DI UNA NUOVA UNIVERSITÀ - UNA AGENZIA PER IL MERITO - MERITOCRAZIA: LA SOCIETÀ DEI MIGLIORI - INVALSI: L' ISTITUTO FANTASMA CHE VALUTA LA SCUOLA - IL PROBLEMA ITALIANO SI CHIAMA PRODUTTIVITÀ DELLA CONOSCENZA - INTEGRAZIONE, CONOSCENZA, SVILUPPO L'EUROPA SI APRE AL RESTO DEL MONDO - UN GENE ACCADEMICO CHE CONTIENE LO SCIBILE - UMBERTO ECO, LE ARTICOLESSE E L' IDENTIKIT DI PIETRO CITATI - RINVIO PER I TEST UNIVERSITARI - È L’ORA DEI GAOKAO, IL TEST PER L’UNIVERSITÀ CINESE - AUMENTANO LE SORPRESE POSITIVE PER LA RICERCA SCIENTIFICA ITALIANA - CHI TROVA CERCA - GLI STUDENTI ERASMUS FANNO RETE IN 34 STATI - FACOLTÀ DI LETTERE, CORONEO NUOVO PRESIDE - LA GERMANIA PREMIA L’EOLICO E TAGLIA GLI INCENTIVI AL SOLARE - ======================================================= SISAR, IL PRONUNCIAMENTO DEL TAR SCIOGLIE TUTTI I DUBBI - SI AGLI OSPEDALI SPA - WELFARE: UTILE UN VICE-MINISTRO PER UN SETTORE TRASVERSALE - CAMICI ROSA, MARATONA PER LE PARI OPPORTUNITÀ - RICETTA ANTI-FANNULLONI DEI MMG - CURA TREMONTI PER LA SALUTE - CON GOOGLE LA SALUTE È A PORTATA DI CLICK - LA MEDICINA È QUESTIONE D'ETICHETTA - MEDICI, RICETTA UGUALE PER TUTTI - NE CURA PIÙ IL MIELE CHE CERTE MEDICINE - PIÙ SICUREZZA NEI TRAPIANTI - FECONDAZIONE: NASCE IL MERCATO DEGLI OVOCITI DALL'EST - LA COLONSCOPIA SOLTANTO VIRTUALE: UN NUOVO STUDIO NE PROVA L' EFFICACIA - ======================================================= _______________________________________________________ La Repubblica 02 Giu.’08 LAUREE FINTE E ATENEI IN DECLINA Ho conversato solo per telefono con Mariastella Gelmini, la giovane ministro della Istruzione pubblica, dell'Università e della Ricerca e mi è parsa una gentilissima persona. Di professione avvocato, con due mandati parlamentari alle spalle e, come unica esperienza pubblica, quella di coordinatrice di Forza Italia in Lombardia, ricopre la poltrona dove sedettero Benedetto Croce, Giovanni Gentile ed altri illustri nomi della cultura italiana, oggi, peraltro, senza emuli o eredi. Non si lasci, però, intimidire: il passato recente è assai mena fulgido di quello remoto e l'on. Gelmini può confortarsi tuffandosi nell’analisi dei disastri compiuti da alcuni dei suoi predecessori di vario colore politico. Fra i disastri va ricordato, in primo luogo, il ricorrente terremoto che scardina periodicamente il ministero, spacchettato e rimpacchettata tre volte dal 1989 ad oggi, con l'Università e la Ricerca in trasloco armi e bagagli, con biglietto andata ritorno da viale Trastevere ad un altro indirizzo. Oggi siamo all'ennesima riunificazione, si spera definitiva, anche se sappiamo per esperienza che il motore d'avvio agli spacchettamenti e sempre acceso e pronto a ripartire. Non starò, comunque, ad esporre il quaderno delle doglianze che affliggono il nostro sistema educativo limitandomi questa volta a riepilogare qualche punto che traggo dalla recentissima "Indagine sul declino dell'Università" curata dal prof. Alessandro Monti (Cangemi editore), già autore nel 2002 del "Rapporto sull'istruzione universitaria in Italia" (Franco Angeli ed.). Una lettura utile perla neoministro. Tra gli altri mi ha colpito il punto sul permanere delle "lauree precoci", che avevo denunciato su queste colonne all'inizio della passata legislatura. Smisi di occuparmene quando l'allora ministro Mussi emanò un decreto che sembrava porre termine agli aspetti più clamorosi del fenomeno. Si trattava come qualche lettore ricorderà - della possibilità dei più svariati enti- dal ministero dell'Interno all'Ordine dei giornalisti, dal Collegio dei ragionieri alla Guardia di Finanza - di firmare convenzioni, a favore dei propri dipendenti a associati, con una università che in cambio della quota di iscrizione avrebbe riconosciuto un alto numero di crediti d'ingresso (con una media di 90 e punte fino a 180, paria quelli occorrenti per conseguire la laurea) sia come corrispettivo dell'attività lavorativa svolta (con lo slogan "laureare l'esperienza") sia anche come equivalenti ai corsi interni di formazione. Furono coinvolti oltre 40 atenei privati e pubblici, alla caccia di nuove iscrizioni e relative quote; centinaia di convenzioni vennero firmate; migliaia di aspiranti laureandi ne profittarono. I già laureati (specie nei ministeri) e gli studenti regolari protestarono invano fino a quando intervenne Mussi togliendo il riconoscimento a numerose università più o meno fasulle, in ispecie quelle telematiche e fissando ad un massimo di 60 i crediti d'ingresso fruibili, corrispondenti ad esperienze e corsi di lavoro, sulla base di criteri predeterminati. Il corposo e documentato lavoro del prof. Manti, però, non solo fornisce i dati disaggregati per facoltà delle "lauree precoci" ma rivela che il fenomeno non si è arrestato. Sulla base del falso principio che i diritti acquisiti prevarrebbero anche sui decreti ministeriali (e, cioè, sulla legge) molti atenei hanno seguitato ad applicare l'inconsulta pratica, tanto che il ministro nel 2007 ha presentato un esposto alla Procura di Roma per accertare le responsabilità penali di chi insiste nel rilasciare titoli di studio, ormai non riconosciuti. Se questa è una magagna abnorme, se pur macroscopica, l’Indagine sul declino" ne elenca ben altre di ordinaria "normalità" che non posso neppur elencare. Cito a caso: il turbillon burocratico e didattico derivante dalle varie riforme sovrapposte per cui oggi siamo in presenza di ben quattro modelli diversi di corsi di laurea; i sotterfugi per sfuggire al limite di 20 esami per corso di laurea che hanno portata a concentrarne alcuni sotto un'unica dizione; l'incertezza normativa tra autonomia dei rettori e il centralismo dell'ultima Finanziaria 2008 che ha cercato di stringere i freni di fronte a 19 università con i bilanci dissestati, di cui 4 ai limiti del fallimento. Compiango la Gelmini che, peraltro, non potrà attendersi un grande apporto tecnico dal suo sottosegretario, Giuseppe Pizza, quel vecchio dc, titolare del marchio dello Scudo crociato, che ottenne da Berlusconi la promessa di un incarico di governo a titolo di riconoscenza per la sua rinuncia a ricorrere dopo l'esclusione dalle liste elettorali. _______________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Giu.’08 CAGLIARI: ISTRUZIONI PER L'USO DI UNA NUOVA UNIVERSITÀ Democratica, pluralista, cosmopolita, aperta L’ Università di Cagliari non ha più sogno di essere gestita, come in passato, con paternalismo e bonarietà. Se anche si sono raggiunti risultati importanti, il sistema non appare attuale e in grado di "reggere" per il futuro. L'Università ha necessità di recuperare o finalmente acquistare efficienza nei campi istituzionali. Oggi è una necessità dettata dall'emergenza nella quale tutta l'Università italiana è stata portata negli ultimi 10 ami. La promulgazione di una legge quadro per risolvere i problemi dei docenti, ma soprattutto per rispondere alle esigenze del territorio e dare prospettive ai giovani, è oggi impellente e improcrastinabile. In Sardegna, l'abitudine all'assistenzialismo,l'assenza di meritocrazia, la mortificazione di qualsiasi percorso virtuoso, l'attenzione solo a logiche politiche, il ricorso a vecchie logiche di consociativismo politico perpetrato nel tempo hanno strozzato iniziative di valore. L’Università di Cagliari va ridisegnata sia nelle strutture centrali che in quelle periferiche. Occorre innanzitutto proporre una semplificazione dell'Amministrazione Centrale, valorizzando le capacità degli operatori e proponendo un disegno nuovo degli organi decisionali che sono oggi pletorici e pesanti. Contestualmente occorre trovare un assetto nuovo del percorso di formazione e di quello di ricerca, magari evitando le distinzioni, perché il sapere si trasmetta più velocemente, perché l'Università torni ad essere il punto di riferimento del vivere civile, della gente, del territorio e, perché no, anche della classe politica. Un'Università non partecipativa e limitata alle scelte di altri, ma trainante: il luogo dove si possa sviluppare il pensiero, coordinare le azioni, "progettare" il futuro. La nostra Università ha bisogno di confrontarsi con il mondo esterno e non solo con la gente comune, ma anche con aziende, fabbriche e tutti gli operatori sul territorio. Ha bisogno di recuperare la sua missione nell'alta formazione, di acquistare la leadership nella formazione e nella ricerca, di promuovere e veicolare le idee nuove, di "istigare" i giovani a pensare, di risvegliare le intelligenze ed esaltare le più brillanti. L’Università dovrà quindi presentarsi al mondo esterno, a quello socialmente più debole come a quello più ricco, come un'attrattiva, un'amica, e dovrà esserlo realmente; dovrà essere perciò giusta, democratica, pluralista, cosmopolita e aperta a nuovi mondi. Essa ha bisogno di raccogliere le forze, tutte: dei docenti, degli amministrativi, dei tecnici, per "giocare in squadra", con il rispetto dei ruoli e con convinzione e coraggio. L'Università di Cagliari ha i mezzi e gli uomini per fare questo salto di qualità e gli strumenti per questo cambiamento sono forse più semplici di quello che sembra. Il nuovo Rettore dovrà trovarli e perseguirli. GAETANO RANIERI (Università di Cagliari) _______________________________________________________ Il Sole24Ore 07 Giu.’08 UNA AGENZIA PER IL MERITO Esperti stranieri nella commissione di valutazione per ostacolare accordi collusivi - Necessari investimenti sul fattore conoscenza Il ministero chiamato a intervenire contro la proliferazione delle sedi e dei corsi universitari e a potenziare le risorse dei licei Per o fondi alla ricerca serve un sistema di deterrenza verso gli atenei di Francesco Boldizzoni Tra le ricette che vengono prospettate in questi giorni per risollevare la situazione economica del Paese, forse varrebbe la pena di contemplarne qualcuna di carattere strutturale a sostegno di una crescita di lungo termine, le cui premesse risiedono nella creazione di conoscenze e capitale umano. La scarsa sensibilità tradizionalmente dimostrata dall’Italia per questa causa (i dati sugli investimenti nella ricerca scientifica sono tristemente noti), a prescindere dal colore delle maggioranze avvicendatesi al governo, indurrebbe allo scetticismo. E tuttavia occorre ribadirne con forza l’importanza e l’urgenza. Il ministro Mariastella Gelmini, approdata alla guida di un dicastero particolarmente complesso, su cui convergono deleghe relative all’intero sistema istruzione-università- ricerca, ha ora l’opportunità di lavorare in prima persona per restituire competitività al Paese. Procediamo con ordine richiamando l’attenzione su alcune possibili linee di intervento. A proposito di istruzione superiore, è auspicabile ché siano destinate risorse al potenziamento dell’istituto liceale tradizionalmente inteso, vero punto di forza nel panorama educativo internazionale, a oggi ingiustamente penalizzato. Occorre ribadire con gesti concreti l’importanza della cultura umanistica e scientifica, l’imprescindibile contributo formativo delle lingue antiche e del ragionamento filosofico per la formazione dei ceti dirigenti di domani. Chiunque abbia insegnato negli ultimi anni nelle università della penisola ha dovuto prendere atto del continuo calo nel livello culturale degli studenti in ingresso, a cominciare - ed è forse questo il segnale più allarmante - dalla padronanza dell’italiano scritto e parlato. Il liceo non deve preoccuparsi di fornire nozioni tecniche (per acquisire le quali c'è sempre tempo) ma piuttosto mettere gli adolescenti in grado di poter apprendere in autonomia, sviluppando attitudini al rigore analitico, capacità di sintesi e maturità critica. Il nostro sistema universitario, a sua volta, non potrà modernizzarsi se non accetterà di fare i conti cori la questione morale: E bisogna che tale consapevolezza sia raggiunta attraverso un dialogo aperto tra le istituzioni dello Stato e quelle parti ancora sane ed eticamente integre del sistema. Sarebbe infatti utopistico pensare di risolvere il problema della dilagante assenza di meritocrazia a colpi di decreto. L’esperienza del dicastero Mussi (e il prevedibile epilogo dell’annunciato regolamento sui concorsi per ricercatore) ha dimostrato che ogni tentativo di riforma radicale, il quale non tenga conto delle condizioni storico-ambientali ove ci si trovi a operare, è destinato al fallimento. In tema di reclutamento conviene guardare con grande attenzione ad altre realtà dell’Europa continentale come la Francia che, in presenza di vincoli simili a quelli impostici dal dettato costituzionale, dispone di una macchina accademica ben più efficiente. Uno sguardo Oltralpe risulterebbe particolarmente utile qualora si trattasse di tradurre in dispositivi attuativi la legge Moratti, che da due anni giace inapplicata. Ma il nodo centrale resta il finanziamento e la valutazione della ricerca, poiché senza l’introduzione di precisi criteri e paletti non v'è incentivo a porre in essere comportamenti virtuosi. Credo che tanto la maggioranza quanto l’opposizione possano convenire su un'esigenza già emersa con chiarezza nella scorsa legislatura: superare la logica del finanziamento a pioggia. Ben venga l’istituzione di un'agenzia ad hoc, col coinvolgimento di valutatori stranieri, dotata di ', effettivi poteri di deterrenza nei confronti degli atenei: è giusto che comportamenti irresponsabili da parte dì questi ultimi siano i sanzionati con la sottrazione di risorse. Ciò ', che va chiarito è il modus operandi di tale ', organismo. Esso dovrebbe evitare di seguire criteri grossolanamente meccanicistici come quelli previsti, per alcune aree, dall’attuale Civr, e giudicare i prodotti di ricerca dal contenuto anziché dal contenitore. Il panel dei revisori potrebbe essere co5tituito prendendo à modello il Rae (Research assessment exercise) britannico. Ciò garantirebbe la formazione di commissioni sufficientemente competenti da valutare nel merito l’output scientifico (ciascuna entro un ventaglio di discipline caratterizzate da affinità metodologiche) ma che siano al tempo stesso espressione di comunità più vaste dei singoli microsettori, così da ostacolare accordi e pratiche collusive. I membri del panel- studiosi distintisi per autorevolezza scientifica e visione interdisciplinare - si avvarrebbero di volta in volta della collaborazione di specialisti, richiesti di esprimere pareri sulle singole pubblicazioni presentate. Rispetto al Regno Unito, dove l’esame del Rae è circoscritto al livello aggregato di facoltà e dipartimenti (riuscendo comunque a condizionarne positivamente le scelte di reclutamento), potrebbe essere dèsiderabile un'estensione di competenze, che lo chiami a decidere sulla conferma in ruolo dei docenti neo-assunti o promossi. Sarà poi opportuno proseguire nell’impegno di frenare la dannosa proliferazione delle sedi e dei corsi univèrsitari sia di base che specialistici. Dal 1999 a questa parte, un sostanziale travisamento dello spirito del Processo di Bologna ha portato in taluni casi (estremi sì, ma neppure troppo rari) all’istituzionalizzazione di curricula cui è lecito chiedersi se possa essere ragionevolmente riconosciuta dignità accademica. Non si tratta di coltivare velleità puristiche. La confusione nell’offerta didattica e l’impossibilità di identificare effettive competenze professionali che ne è scaturita disorienta il mercato del lavoro e contribuisce alla dequalificazione dei titoli di studio. I nessi tra questo tipo di fenomeno e l’ingraescente piaga della disoccupazione intellettuale sono fin troppo evidenti. In sostanza, al nuovo Governo si richiede la saggezza necessaria a evitare di incorrere in due opposti errori: gettare a mare insieme alla zavorra, nell’impeto di riformismo, ciò che di buono e distintivo c'è nel nostro humus o, al contrario, illudersi che la politica della scienza e dell’istruzione non rappresenti una priorità. Il gap che ci separa dagli altri partner dell’Unione si divarica, in questo campo, a una velocità ancor maggiore della differenza fra i tassi di crescita del Pil. Il treno dell’Europa non aspetterà. In assenza di una visione strategica e lungimirante, il Paese rischia di pagare un prezzo altissimo. SANDRA FRANCHINO _______________________________________________________ La Repubblica 06 Giu.’08 MERITOCRAZIA: LA SOCIETÀ DEI MIGLIORI INTERVISTA/ ROGER ABRAVANEL LA FILOSOFIA DELL’EFFICIENZA LEOPOLDO FABIANI Tra i mali che affliggono la società italiana ce n'è uno, cronico, pervasivo, dalle origini lontane e ben radicate. E l’autentica zavorra che impedisce all’Italia di confrontarsi alla pari con gli altri paesi avanzati (e forse anche qualcuno di sviluppo più recente): la mancanza di meritocrazia. Assenza che non significa solamente burocrazia inefficiente o impiegati "fannulloni", ma una classe dirigente vecchia e inadeguata, giovani talenti sacrificati, un'economia ferma, mobilità sociale pietrificata: insomma un paese destinato al declino. Questa è la tesi di fondo di un libro che porta appunto il titolo di Meritocrazia (Garzanti, pagg. 382, euro 16, 50, con una prefazione di Francesco Giavazzi), in libreria da pochi giorni, ma già oggetto di discussioni e convegni e che sta in bella mostra sulla scrivania di un paio di ministri che dicono di volerne seguire le ricette per portare cambiamenti profondi in settori cruciali della pubblica amministrazione. L’autore è un ingegnere nato a Tripoli poco più di sessant'anni fa, Roger Abravanel, che ha lavorato per oltre trent'anni nella consulenza aziendale ai massimi livelli, per la McKinsey. La sua idea di meritocrazia, che ha alla base l’eccellenza negli studi, gli deriva anche dalle sue esperienze personali. Quando si stava laureando al Politecnico di Milano i suoi familiari vennero cacciati dalla Libia di Gheddafi, perché italiani e perché ebrei, perdendo tutti i loro beni. «Solo l’insistenza di mio padre, che pure si era costruito una fortuna notevole, perché io prendessi un'ottima laurea mi ha consentito di trovare lavoro e l’autosufficienza economica». Ingegner Abravanel cos'è la "meritocrazia"? «Non ne darei un'idea riduttiva, come pensare che tutto si riduca a combattere fenomeni quali "i fannulloni" o le raccomandazioni (che tra l’altro sono diffusissime anche negli Stati Uniti). E' un concetto molto più profondo che dovrebbe muovere tutto il meccanismo sociale. Io lo definisco così: meritocrazia è un sistema di valori che promuove l’eccellenza delle persone indipendentemente dalla loro provenienza, sociale, etnica, politica, ecc. In Italia il gruppo sociale su cui si basa il potere è la famiglia. Una famiglia allargata i cui interessi prevalgono su tutti gli altri, fenomeno ben conosciuto dai sociologi che lo hanno studiato e battezzato "familismo amorale"». Come spiega che in Italia, rispetto agli altri paesi, il merito sia così poco apprezzato? «Non è certo una questione genetica, né antropologica o culturale. Credo che ci sia una profonda ragione storica: in Italia la debolezza dello Stato non ha mai saputo creare fiducia nelle istituzioni. Così si crede solo alla famiglia e alle relazioni personali. E si crea un circolo vizioso micidiale: si fa carriera per conoscenze o per anzianità (l’unica caratteristica misurabile); si crea una leadership anziana e immeritevole che pone le condizioni per perpetuare il proprio status; si generala sfiducia nel merito; i giovani non si impegnano e si comincia da capo». Sappiamo bene che tutto questo è diffuso nel settore pubblico, ma in quello privato? «Purtroppo anche nell’economia privata il merito fatica a farsi strada. Siamo un paese di piccole e medie industrie molto dinamiche, a controllo familiare. L’impresa familiare esiste anche altrove nel mondo, ma in Italia conosce problemi del tutto originali. Il momento critico è quando si passa dalla prima alla seconda generazione di imprenditori, e allora l’obiettivo di mantenere il controllo nelle mani della famiglia sacrifica lo stesso sviluppo aziendale. L’impresa passa di padre in figlio come la terra nella società feudale. Va a finire che le società non sono guidate dalle persone migliori, ma da quelle più fedeli. Anche se esistono eccezioni di grande qualità, come nei casi della Luxottica di Del Vecchio 0 della famiglia Merloni, le aziende italiane per queste ragioni spesso non riescono ad adeguarsi alla sfida della globalizzazione». Quali sono le conseguenze sulla crescita dell’economia in crisi «Se non crescono le aziende, non cresce l’economia, è ovvio. Non abbiamo imprese che siano leader globali, le nostre aziende non sono abituate a competere, piuttosto a farsi proteggere con sussidi o, in passato, con le svalutazioni. Le nostre associazioni, Confindustria, Confcommercio, ecc. sono oggetto di studio in tutto il mondo perché altrove non ne esistono di così potenti. Il risultato è che manca la concorrenza, specie nel settore dei servizi che è di gran lunga il più importante. E quello dove più conta il capitale umano. Dunque, meno concorrenza, meno opportunità per tutti». Lei dà grande importanza al merito nell’educazione e l’istruzione, ma come pensa di poter vincere una diffidenza antica che vede nella scuola selettiva uno strumento delle classi privilegiate? «Questa è un'idea sbagliata, ma dura a morire. Il paradosso è che a credere che la meritocrazia produca diseguaglianza sono proprio coloro che invece ne beneficerebbero. La prova è che l’Italia è uno dei paesi più "diseguali" al mondo. Dal punto di vista statico, cioè delle differenze tra le fasce più ricche e quelle più povere della popolazione. Ma anche da quello dinamico, cioè della mobilità sociale, che in Italia è la più bassa del mondo fra le economie avanzate. In pratica, gli Stati Uniti sono un paese dove l’ineguaglianza è alta, ma anche la mobilità: chi sta in basso può salire e chi sta in alto può regredire. Il nostro è un paese diseguale, ma immobile. Ognuno resta dove si trova». E la scuola come può rimediare? «E una questione di pari opportunità. L’equazione del merito è intelligenza più impegno. La scuola e l’università devono premiare gli studenti migliori. Se i risultati sono uguali per tutti, saranno sempre i figli dei privilegiati a prevalere. E il nostro sistema educativo è un disastro. Nei test condotti fra gli studenti dei paesi Ocse i nostri ragazzi sono in posizioni bassissime. La cosa peggiore è che nel centro nord i risultati sono nella media, e poi precipitano al sud. La pari opportunità si ferma a Roma. E non perché gli studenti meridionali siano meno intelligenti, anzi. E' il sistema che li non funziona, e li condanna». Lei avanza una proposta per cambiare il sistema e la definisce rivoluzionaria. Di che si tratta? «Bisogna creare alcune Università di eccellenza che figurino tra le prime cinquanta del mondo. Non come oggi che ne abbiamo una settantina ai livelli medi. Queste "fabbriche di eccellenza" faranno didattica e ricerca di alto livello, le altre si dedicheranno solamente all’insegnamento. Gli studenti meritevoli meno abbienti avranno borse di studio o prestiti d'onore. Un altro strumento è un test nazionale standard, come esistono in altri paesi, che misuri la capacità degli studenti e quindi dei loro insegnanti, perché sono i bravi maestri a formare i bravi allievi. Con il sistema dei voucher le famiglie sceglieranno e finanzieranno le scuole migliori. É facile capire che l’idea di misurare oggettivamente non solo le capacità degli studenti, ma anche quelle degli insegnanti e delle scuole porterebbe a un cambiamento epocale di mentalità». Malgrado il quadro disastroso della società italiana che lei traccia e le difficoltà che potrebbero incontrare le sue proposte, lei è ottimista. Come mai? «Perché la società italiana non ne può più. E perché il movimento a favore del merito non può che nascere dal basso, in modo caotico ma spontaneo. E già si vedono quelli che chiamo i "semi del merito", non solo nell’impresa privata o nella ricerca ma anche dove il compito sembra impossibile. Nel libro racconto l’esperienza del tribunale di Torino, dove il presidente Mario Barbuto è riuscito a dimezzare l’arretrato delle cause civili e contenerne i tempi entro tre anni. Questo senza poter disporre di incentivi economici, ma facendo ricorso a qualche soluzione tecnica ben studiata e soprattutto a una grande capacità di dialogo e di motivazione dei suoi collaboratori. Sono le doti di un vero leader. Quando all’università Bocconi si è dibattuto del libro, c'erano manager e professori illustri, eppure a ricevere una "standing ovation" è stato proprio l’intervento di Barbuto». IL nostro é un paese pietrificato e come tale destinato al declino: i giovani talenti sono sacrificati _______________________________________________________ Corriere della Sera 5 giu. ’08 INVALSI: L' ISTITUTO FANTASMA CHE VALUTA LA SCUOLA IL CASO SI CHIAMA «INVALSI»: NOMINE A TEMPO DI RECORD. POI IL NULLA ROMA - L' hanno battezzato, poco felicemente, «Invalsi». E ora si è perso nelle nebbie. È l' Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell' istruzione, ossia la struttura che dovrebbe misurare l' efficienza del nostro sistema scolastico, che finora è stato un buco nell' acqua. L' Invalsi viene creato nel 1999, con poche risorse e poco personale. I progetti pilota avviati procedono a corrente alternata e i risultati raccolgono meno consensi che critiche. Finché arriva il governo di Romano Prodi e il ministro dell' Istruzione Giuseppe Fioroni decide di afferrare il toro per le corna. Per prima cosa commissaria l' istituto con una terna di esperti: Piero Cipollone, proveniente dalla Banca d' Italia, la direttrice della Fondazione Marco Biagi, Paola Germana Reggiani Gelmini, e Elena Ugolini, preside di liceo, molto vicina a Comunione e Liberazione, che aveva già un posto nel comitato direttivo dell' Invalsi al tempo di Letizia Moratti. Poi si cerca di avviare una specie di riforma, affidando all' Invalsi anche il compito di definire un sistema per la valutazione dei diecimila dirigenti scolastici. Com' è ovvio, non senza problemi. Secondo il Quaderno bianco sulla scuola di Fabrizio Barca per svolgere i compiti che gli sono affidati l' Invalsi dovrebbe diventare un' authority, avere 400 esperti (oggi ha 48 dipendenti) e almeno 20 milioni (attualmente ha un budget di 6 milioni). Insomma, una Smart che dovrebbe andare come una Ferrari. Passa un anno e Fioroni decide comunque di mettere fine al commissariamento, ricostituendo gli organi. Ma riducendo all' osso la struttura: da otto a tre membri. Perché l' operazione sia inattaccabile si stabilisce di far selezionare i componenti dell' Invalsi a una commissione di tre persone: due alti dirigenti del ministero, Giuseppe Cosentino e Lucrezia Stellacci, e Ugo Trivellato, ordinario di statistica all' Università di Padova. L' avviso si pubblica sulla Gazzetta Ufficiale del 21 dicembre 2007. La scadenza per le domande è fissata per il 21 gennaio. Fa fede il timbro postale, ma con una velocità sorprendente anche per dei postini supermen, il giorno dopo, alle tre del pomeriggio, la commissione inizia a esaminare le domande: ne sono arrivate una cinquantina. Neanche 48 ore e il 24 gennaio, alle 18, è tutto finito. Con una rapidità supersonica quella stessa sera Fioroni firma il decreto di nomina dei tre componenti del comitato direttivo dell' Invalsi. E la mattina seguente, 25 gennaio, il consiglio dei ministri ratifica a razzo. Perché tanta fretta? Chissà. Ma il 25 gennaio non è un venerdì qualsiasi. Quel giorno il governo Prodi si riunisce dopo le dimissioni del suo premier. Il 24 gennaio, mentre freneticamente si completano le selezioni per l' Invalsi, il Senato sta negando la fiducia all' esecutivo di centrosinistra. I tre prescelti sono Cipollone, Elena Ugolini e Claudio Giovanni Demartini, del Politecnico di Torino, al posto di Reggiani Gelmini. Il consiglio dei ministri designa pure il presidente, nella persona di Cipollone. Il giudizio degli esperti non è vincolante. Ma chi si ritrova in mano l' elenco degli idonei stilato dalla commissione non può non notare che fra i tre nominati dal governo manca proprio quello che aveva ottenuto il punteggio più alto. È Giorgio Allulli, ex direttore del settore istruzione del Censis, da molti anni dirigente dell' Isfol. Gli hanno dato 81 punti, contro 80 di Elena Ugolini, e 73 di Cipollone e Demartini. Eppure nella lista di quelli che dovrebbero rilanciare il merito nella scuola italiana il suo nome non c' è. Dopo la nomina da parte del governo, la procedura prevedeva un passaggio alle commissione parlamentari, ma con il caos che c' era le commissioni non si sono riunite ed è scattato il silenzio assenso. A quel punto serviva soltanto il decreto di nomina del presidente, ma dopo le elezioni tutto si è bloccato di nuovo. Sono passati quattro mesi e nessuno sa dire quando e se l' Invalsi riemergerà dalle sabbie mobili del ministero e dalle insidie dello spoils system. Alla faccia dell' urgenza, di una scuola che va a rotoli, e anche del merito. L' istituto sui colli romani L' Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione; sopra, il logo) è l' ente di ricerca che dal 1999 ha raccolto l' eredità del Centro europeo dell' educazione (Cede) istituito nei primi anni 70; è ospitato nella storica Villa Falconieri di Frascati, realizzata intorno al 1520 da Alessandro Farnese (il futuro Paolo III). Tra le sue aree di ricerca, la valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti. Oggi ha 48 dipendenti e un budget da 6 milioni di euro Rizzo Sergio _______________________________________________________ MF 03 Giu.’08 IL PROBLEMA ITALIANO SI CHIAMA PRODUTTIVITÀ DELLA CONOSCENZA La nomina di Vittorio Colao ad amministratore delegato di Vodafone .testimonia che in Italia non c'è soltanto pioggia e maltempo. II capitale umano esprime ancora un'eccellenza di livello globale. Indubbiamente il Belpaese ha accumulato e continua ad accumulare ritardo nella competitività della conoscenza, ma qualcosa di buono comunque ancora si produce. II vero problema italiano è la crisi della produttività Da un decennio non cresce, come ha ricordato il governatore della Banca d'Italia, nella sua relazione annuale. Un ciclo insolito per durata e persistenza negativa, unico nella storia industriale dell'Italia moderna e pericoloso per il benessere e gli stipendi reali. Ma perché la produttività è al palo? Sono possibili, ovviamente, varie risposte. L'interpretazione che suggeriamo è in parte originale. Esistono oggi tre distinte produttività che impattano sulla crescita economica, e sulla competitività di un sistema La produttività tradizionale, intesa come valore della produzione finale per fattore utilizzato; la produttività della conoscenza, che definiamo come la capacità di valorizzare la conoscenza da parte dei professionisti trasformandola in valore economica; la produttività della conoscenza creativa, cioè la predisposizione a produrre nuove idee imprenditoriali o di business muovendo da originali valorizzazioni della tecnologia Dove l'Italia è assolutamente in ritardo è nella capacità di accrescere la produttività della conoscenza e della conoscenza creativa La conoscenza si forma, si accumula e si trasmette secondo meccanismi originali nell'economia contemporanea Scuola, sistema formativo, investimenti in ricerca e in tecnologie dell'informazione sono i principali misuratori della conoscenza prodotta. Se, come accade in Italia, si hanno pochi laureati, scarsi ricercatori e investimenti al di sotto della media Ocse in lei è ovvio che si sta generando un ammontare non ottimale di conoscenza, cioè del principale fattore produttivo e competitivo. Meno specializzati e meno dotati di tecnologie sono i professionisti della conoscenza e meno produttivo diventa il loro lavoro. Ancora meno esaltante è la situazione della produttività della conoscenza creativa Questa è misurata dal numero di brevetti, di nuove imprese tecnologiche e di innovazioni economicamente valorizzabili che vengono annualmente generati da un'economia In pratica, è il misuratore del livello di innovatività di frontiera di un paese. In questo caso entrano in ballo la numerosità delle start-up tecnologiche, la capacità di trasferire conoscenza dai laboratori al mercato e l'imprenditorialità, ela propensione al rischio del capitale umano specialistico. Molti campi nei quali l’Italia è iperdeficitaria Poche imprese tecnologiche e pochi brevetti sfruttabili sul mercato. La produttività della conoscenza creativa italiana è sicuramente da peggiore della classe del capitalismo avanzato. Ovviamente l’indicatore non è direttamente misurato ma 0 indici indiretti esprimono il ritardo accumulato senza alcuna incertezza Abbiamo meno imprenditori dell'innovazione e scaisa capacità di produrre valore aggiunto economico da questa tipologia di conoscenza. Ecco spiegato perché, mentre nell'ultimo trimestre, nonostante la crisi economica, la produttività Usa è cresciuta del 2,2%, quella italiana è stata di fatto pari a zero. Negli Stati Uniti, come nei principali mercati moderni, la produttività della conoscenza e quella della conoscenza creativa «galoppano». Sono in qualche modo perfino anticicliche, perché la conoscenza è valorizzabile a livello globale nel business contemporaneo a prescindere dal ciclo del singolo mercato. Per riprendere slancio nella crescita e uscire dal tunnel della produttività stagnante c'è bisogno di politiche mirate e di azioni puntuali Si deve favorire la formazione di conoscenza a livello collettivo e agevolare le forme organizzative che ne massimizzano l'impiego. Devono poi essere spinte culturalmente la ricerca e l'innovazione di frontiera e la nascita di imprese immateriali di ultima generazione. II capitale umano è teoricamente adeguato, la cultura dominante nel paese no. _______________________________________________________ La Repubblica 0 Giu.’08 INTEGRAZIONE, CONOSCENZA, SVILUPPO L'EUROPA SI APRE AL RESTO DEL MONDO Al via la seconda fase del programma di scambi culturali tra istituti universitari europei e paesi terzi VALENTINA BERNABEI In Africa, in Asia, in America Latina, in montagna, nei campi e nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano di essere fatti uguali»: così scriveva nel '67 Don Milani, nel suo libro Lettera a una professoressa. Oggi a ricordare le sue parole è Stefania Giannini, rettore dal 2004 dell'Università per Stranieri di Perugia, città che ospita dal 5 al 7 giugno StudyBox, il primo Forum europeo di diritto allo studio e formazione universitaria. Un evento con un calendario fitto di interventi di docenti illustri, dibattiti sullo stato dell'arte della formazione, momenti di studio e confronto e appuntamenti culturali, musicali e conviviali. «Don Milani non si riferiva all'università ma alla scuola e all'istruzione in generale, ma credo che spostando la riflessione al rapporto tra l'Europa e il resto del mondo, questa riflessione sia ancora di grande attualità. Per questo è necessaria una prima grande occasione per ripensare al diritto allo studio nella società europea internazionale, soprattutto dando voce agli studenti universitari» spiega il rettore. Sono tre le tematiche principali affrontate dal Forum: le città sedi universitarie, la ricerca scientifica, e la mobilità internazionale, in cui ha molta importanza il progetto Erasmus Mundus. Nell'ampia cornice dell'evento si inserisce, infatti, il quarto Erasmus Mundus Student Seminar, iniziativa curata proprio dall'Università per Stranieri di Perugia, che in linea con la sua vocazione di apertura nei confronti degli studenti stranieri, continua a impegnarsi nella dimensione internazionale dell'istruzione superiore. Molti i corsi e le iniziative ideate dall'ateneo nei settori della mobilità e dell'internazionalizzazione. L'ultimo in ordine di tempo, presentato nel mese di maggio, il progetto Meridium: prevede la costituzione di un network di università dell'area mediterranea che, coinvolgendo i Paesi direttamente interessati dai fenomeni migratori, si propone di favorire l'integrazione linguistica dell'immigrazione. Anche il principio a cui si ispira l’Erasmus Mundus è quello di agevolare i processi di integrazione, tanto più che le giornate del forum di Perugia avvengono nell'anno europeo del dialogo interculturale. L'ideazione deil’Erasmus Mundus risale al 2001, quando è stata presentata dalla Commissione europea una richiesta di rafforzamento della cooperazione con i paesi terzi nel campo dell'istruzione superiore. Il documento fu accolto positivamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio e nel luglio 2002 arrivò la proposta di istituire l'Erasmus Mundus, inizialmente denominato Erasmus World. Bisognerà aspettare la Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea de131 dicembre2003 e un mese dopo l'attivazione. Da allora sono iniziati gli scambi internazionali, prima garantiti dall'Erasmus, che prevede però esperienze di studio all'interno dei confini dell'Europa: dal 2004 a oggi (intervallo che coincide con la prima fase quinquennale del pro gramma Erasmus Mundus) il programma ha selezionato corsi e master di alta qualità permettendo a studenti, ricercatori e professori provenienti da tutto il mondo di poter accedere alle università europee e rafforzando nello stesso tempo la mobilità di studenti, ricercatori e professori europei in direzione dei paesi terzi. «Un esempio concreto di come l’Europa universitaria abbia finalmente capito che la vera competitività risiede nel campo della conoscenza» sottolinea la professoressa Giannini, che dal 2005 è anche membro della Commissione di Selezione dell'Erasmus Mundus presso la Commissione europea. «Nel corso della sua prima fase - continua il rettore - sono stati stanziati 230 milioni di euro per finanziare un centinaio di master integrati tra università europee e di paesi terzi, finanziando 7 mila borse di studio per studenti e studiosi di paesi terzi e 4.440 borse di studio per studenti europei che si recano in un paese terzo nell'ambito della mobilità esterna». Se la prima fase del progetto chiude con bilancio positivo, la seconda, quella che andrà dal 2009 al 2013, è già pronta per essere avviata, con molte novità.La più importante è l'estensione dei corsi Erasmus Mundus ai dottorati di ricerca, finora esclusi. «Questo fa siche la mobilità si apra a tutti i livelli di formazione superiore - ha aggiunto il rettore, anticipando anche la proposta di aumentare il budget a un miliardo di euro sarà il Parlamento europeo che dovrà accogliere la richiesta. Di sicuro il progetto ha un'ambizione e un respiro più ampio rispetto a quello avuto nella prima fase». _______________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Mag.’08 UN GENE ACCADEMICO CHE CONTIENE LO SCIBILE SE avevano sospetti. E stato confermato da studi genetici all'Università di Cagliari. Il gene "accademico" esiste: è localizzato nel braccio corto del cromosoma 21. Gli studi sarebbero confermati dall'alta frequenza dello stesso gene nell'Accademia cagliaritana, ma non solo, lo è anche in molti altri Atenei italiani. È un gene "stanziale", è difficile che possa esprimersi in altri Atenei diversi dall'Università d'origine. Gli stessi studi suggerirebbero che nel futuro, per una carriera accademica, debba essere richiesta la mappa genetica del candidato. Sembrerebbe che siano portatori dello stesso gene anche illustri clinici ospedalieri, che giustamente reclamano per la propria prole una carriera accademica: sarebbe un atto dovuto. La novità sconvolgente, rivoluzionaria, è che gli stessi studi dimostrerebbero che il "gene dell'accademia" può essere trasmesso fenotipicamente per semplice contatto fisico, nella società degli amici, fra compagni, fra consanguinei. Dagli stessi studi risulterebbe che nel "gene accademico" sia anche compreso "tutto lo scibile". Diventerebbe perciò risibile e del tutto inutile ogni verifica curriculare di un candidato portatore del gene, come è invece d'uso, ingiustamente, in altri Atenei non italiani. Può succedere, per mero accidente, che a un candidato portatore del gene venga negata ingiustamente la carriera accademica. È fatto grave che penalizzerebbe oltre misura il candidato, soprattutto dal punto di vista psicologico. È una situazione che deve essere recuperata, come suggerisce giustamente anche il nostro stesso Ateneo nelle sue massime cariche. Gli studi cagliaritani sarebbero in linea con la moderna genetica: i nostri tempi (passato, presente e futuro) possono essere letti nel genoma. Non è più necessario consultare gli astri o leggere nei quotidiani gli oroscopi: la moderna scienza ha sconfitto le nostre antiche superstizioni. Il giovane candidato portatore del gene non ha perciò di che preoccuparsi, ha la carriera accademica assicurata, per grazia genetica. Sbagliò pure Padoa Schioppa quando parlò di "bamboccioni". Sorgono però anche i problemi. Al solito è la Comunità europea a interferire con gli affari italiani, in modo del tutto inopportuno: vorrebbe una verifica delle ricerche dell'Ateneo cagliaritano. La risposta deve essere solamente la difesa del rigore scientifico e accademico dell'Università italiana e la denuncia di ingiuste ingerenze europee. Rimane l'auspicio che l'Europa si adegui all'antica saggezza dell'accademia italiana (anche per meriti anagrafici). MARIA MURGIA _______________________________________________________ Corriere della Sera 2 giu. ’08 UMBERTO ECO, LE ARTICOLESSE E L' IDENTIKIT DI PIETRO CITATI CASO LA CRISI DELL' UNIVERSITÀ, IL SEMIOLOGO ATTACCA «I RAFFINATI INTELLETTUALI CHE NON SI SPORCANO LE MANI» Tantissimi anni fa, in una delle sue Bustine su L' Espresso, Umberto Eco stigmatizzava il fatto che la critica letteraria avesse lasciato il campo già allora alle ragioni della polemica gratuita. E parodiava un' ipotetica intervista in cui un certo Manzoni spiegava come mai, dopo testi teatrali di successo tipo Adelchi e Inni sacri profondi come La Pentecoste, aveva deciso di darsi al romanzo con questi Promessi sposi. L' intervista, sorrideva Eco con ironia più realistica che mai, sarebbe uscita con questo titolo: «La svolta di Manzoni, basta con la Pentecoste!». Il ricordo serve solo a introdurre la riflessione suggerita da un' altra Bustina, di tre giorni fa. In cui i punti affrontati da Eco sono la crisi dell' università italiana e chi ora critica le lauree brevi: «Il problema - scrive il semiologo - non è la brevità della laurea bensì l' intensità della frequenza». Pensiero come altri se non fosse per la premessa curiosa: peccato, lamenta infatti Eco, che su questa materia «certi articoli siano poco attendibili perché scritti da raffinati intellettuali che non fanno lo sporco mestiere di insegnare, e quindi parlano di un universo che gli è estraneo, ma cosa non si fa per farsi pagare un' articolessa». Urca. E siccome uno parte dal presupposto che Eco è Eco, non uno di quelli che polemizzano a caso, magari ecco, sarà anche vero che il lettore medio se ne frega, ma almeno il lettore interessato se lo chiede: oddio, ma di chi parla? E allora uno torna ai giornali dei giorni scorsi, guarda cos' è uscito, e l' unico nome che trova nel caso specifico è Pietro Citati su la Repubblica di martedì scorso: non è un docente, ma parla di università. Sarà lui? Chissenefrega, direbbe il lettore medio, dimmi quel che Eco e Citati scrivono. Giusto. Dunque Citati, sull' università, scrive che «la colpa gravissima della Riforma Berlinguer è stata quella di trasformare l' Università in un cattivo liceo di provincia». Eco scrive che oggi «un triennio universitario americano» è «meglio di una nostra laurea breve» ma «poco più che un buon liceo italiano di una volta». Citati lamenta che non si leggono più Dante e Omero, sostituiti da «librettucoli che sintetizzano in duecento pagine i moralisti classici», e aggiunge che «per chi studia letteratura greca o storia del pensiero economico o della filosofia tremila (non duecento) pagine sono appena sufficienti». Eco rimpiange gli anni Cinquanta in cui uno studente di Filosofia «dopo diciotto esami aveva lavorato su almeno dodicimila pagine»: e «nessuno è mai morto» per questo. In più Eco aggiunge: quel che serve è la «frequenza obbligatoria delle lezioni». Ma non è che Citati dica il contrario: semplicemente non tocca questo punto. Cioè: forse un lettore normale direbbe che questi due dicono la stessa cosa. E forse chiederebbe a Eco: scusa, ma con chi ce l' avevi? Foschini Paolo _______________________________________________________ Il Sole24Ore 04 Giu.’08 RINVIO PER I TEST UNIVERSITARI Le altre indicazioni. Tribunali militari, resta la cancellazione Slitta al 2009/2010 il nuovo meccanismo di valutazione per gli studenti che affrontano il test d'ingresso per le facoltà a numero chiuso, e che dal prossimo anno accademico avrebbe dovuto riservare il25% del punteggio ai voti ottenuti negli ultimi tre anni delle superiori e all'esame di maturità. Il nuovo sistema è stato introdotto a gennaio dal decreto legislativo 21, ma la mancanza di una banca dati sistematica e di un sistema per equiparare il nuovo « 100 e lode» ai vecchi voti di maturità ha reso inevitabile la proroga. Non c'è, invece, traccia, nell'ultima versione del testo del Dl inviato per la pubblicazione in «Gazzetta», di altri due rinvii attesi dal mondo accademico: quello al 30 novembre dei concorsi per ordinari e associati e quello relativo al Comitato di valutazione del sistema universitario, ancora in regime di prorogatio. Il provvedimento offre, invece, sei mesi in più, fino a fine anno, a Regioni ed enti locali che devono limitare l'attività delle società strumentali entro i confini dell'ente di appartenenza, come previsto dal Dl Bersani. Il primo termine (luglio 2007) era già stato prorogato dalla Finanziaria 2007 (comma 72o della legge 296/2006). Nel Dl inviato alla «Gazzetta» trova spazio anche un nuovo termine per la razionalizzazione dei tribunali militari prevista dalla Finanziaria 2007 (articolo 2, commi 603 e seguenti della legge 24/2007). La versione finale fissa a ottobre i nuovi termini, che secondo una prima bozza sarebbero dovuti slittare fino a gennaio 2009. Ma la previsione contenuta nel provvedimento appare già superata dalle dichiarazioni del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il quale assicura che per l'accorpamento «non ci sarà alcun rinvio, per evitare qualsiasi aumento di spesa». L'intervento di La Russa raccoglie il plauso di Michele Vietti (Udc) e di Roberta Pinotti (ministro ombra della Difesa nel Pd). Dal canto suo il Csm assicura di essere pronto ad accogliere nella magistratura ordinaria gli oltre 3omagistrati militari interessati dalla riforma. G.Tr. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 07 Giu.’08 È L’ORA DEI GAOKAO, IL TEST PER L’UNIVERSITÀ CINESE Da oggi a lunedì oltre 10 milioni di studenti cinesi affronteranno il Gaokao; il temibile esame statale di ammissione all’università. In palio, 5,9 milioni di posti universitari, i[ 5% in più rispetto al 2007 e i l numero più alto mai raggiunto. Maggiore è il punteggio raggiunto, migliore è l’università a cui si ha accesso (di primo o secondo livello). Il Gaokao è considerato un esame molto competitivo e determinante peri( futuro professionale dei giovani cinesi. In tutta la Cina ci sono 755 università e oltre 1.500 istituti professionali. Peri quasi 100mila studenti delle 4o contee della provincia del Sichuan colpite dal terremoto detto scorso 12 maggio i l Gaokao sarà posticipato di u n mese. (Netta foto uno studente prega in un tempio di Guangzhou) _______________________________________________________ La Repubblica 02 Giu.’08 AUMENTANO LE SORPRESE POSITIVE PER LA RICERCA SCIENTIFICA ITALIANA La percentuale di investimenti sul Pii è ancora fra le più basse del mondo, ma sono sempre di più i distretti d'avanguardia EUGENIO OCCORSIO Roma 1 confronto è avvilente: non più ~ dell' 1,16 per cento del Pil italiano viene destinato alla ricerca scientifica, all'incirca per metà pubblica e per metà privata. In Giappone questa percentuale è del 3,15, in America del 2,7, in Svezia addirittura del 4, e gli obiettivi fissati all'inizio del decennio a Lisbona per tutti i paesi dell'Ue parlavano del 3%. Insomma, un gap che si fa sempre più grave, visibile in tutti i campi a partire dalla ricerca medica. Eppure, anche nel nostro paese è possibile identificare qua e là dei casi d'eccellenza, a partire proprio dal settore medico ma non so lo. Aziende piccole e grandi, nelle aree più diverse, "salvano" la nostra reputazione e fanno ben sperare per il futuro. Distretti piccoli e in collocazioni spesso impensate: a Frascati, il cuore dei castelli romani, nel giro di poche centinaia di metri si trovano i centri di ricerca dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell'Agenzia Spaziale Italiana, del Cnr, del progetto europeo Galileo: in tutti e quattro i centri si svolgono progetti di caratura internazionale in stretto collegamento con referenti internazionali a partire dal Cern di Ginevra. A Siena sulle ceneri dell'ex Sclavo è nato un centro vaccini dove la svizzera Novartis ha concentrato la ricerca nel comparto a livello mondiale. Di nuovo nel Lazio, a sud di Roma c'è un notevole polo farmaceutico con le filiazioni italiane della Wyeth e della Pfizer e poi i centri di ricerca dell'ex-Farmitalia, della Sigma- Tau e un nugolo di piccole aziende anch'esse dello stesso comparto. Alle porte di Milano, un gruppo di medici ha rilevato nel 2002 un laboratorio che la Roche aveva deciso di dismettere dando vita alla Bioxell, oggi quotata in Borsa a Zurigo e piazzata ottimamente sull'innovativo fronte delle biotecnologie. L'eccellenza si trova poi in diverse università: dalla Sant'Anna di Pisa nelle scienze applicate (economiche, giuridiche, sociali, agrarie, mediche) alla Sissa di Trieste nelle tecniche ambientali ed ecologiche. Collocata nel parco scientifico di Miramare a fianco dell'Ictp (International Center for Theoretical Physics), la Sissa ha il non trascurabile merito di aver trasformato Trieste nella città europea con il più alto numero di ricercatori per mille abitanti, il 37,1%. Dove la scienza medica trova le punte più avanzate è comunque a Milano, grazie a due istituzioni prestigiose: l'Istituto Europeo dei Tumori, creato negli anni '80 da Umberto Veronesi, sede di essenziali scoperte e polo d'attrazione di scienziati di tutto il mondo, e l'Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, fondato nel 1971 da Don Luigi Verzè, che comprende attività cliniche, di ricerca e didattiche, e annovera tra l'altro un dipartimento di biotecnologie (creato nel 1992) fra i più importanti d'Europa, con 40mila metri quadri di laboratori e 550 fra ricercatori e borsisti. AL San Raffaele prendono vita in continuazione progetti innovativi che coinvolgono scienziati di tutto il mondo. La settimana scorsa, che era dedicata alla prevenzione del diabete, è stato lanciato da un team di ingegneri, medici e psicologi del San Raffaele un programma che prevede l'integrazione di strumenti tecnologici (telefonino, pedometro, software in cui inserire tutti i propri dati sanitari e abitudini alimentari) per incentivare i pazienti diabetici (ma non solo) ad una maggiore e più efficace attività fisica, per prevenire le malattie e tenere sotto controllo la glicemia. Attraverso l'utilizzo di cellulare, sms motivazionali e uno speciale contapassi, il sistema monitora e pianifica qualsiasi esercizio fisico svolto durante la giornata a parte dal camminare, e lo trasforma in un vero allenamento personalizzato. Dopo una visita con questionari per definire abitudini di vita e preferenze della persona, viene stabilito un obiettivo individuale da raggiungere (totale di passi giornalieri, periodo di cammino rapido quotidiano e il consumo calorico della giornata) che evolve nel tempo sulla base dei risultati ottenuti. Il paziente inizia quindi il suo "allenamento", continuamente monitorato attraverso un contapassi che, attraverso un collegamento bluetooth, invia i dati al cellulare che li trasmette al sistema. Il controllo sanitario è costante: il medico, attraverso un portale web, valuta l'andamento del programma e può consultare in ogni momento i risultati ottenuti dalla persona. Insieme a queste informazioni, il paziente può inviare parametri vitali, comepressione sanguigna, glicemia e peso, molto importanti nel controllo della terapia del diabete. E' anche grazie a progetti come questo che si recupera la fiducia verso il mondo della ricerca scientifica italiana. _______________________________________________________ Il Sole24Ore 04 Giu.’08 CHI TROVA CERCA DI SANDRO MANGIATERRA Eppur si muove. Le difficoltà sono conosciute: gli investimenti in ricerca modesti, un sistema finanziario con scarsa propensione al rischio, le università ancora troppo distanti dalla concretezza dell'industria. Soprattutto, l'incapacità di fare squadra, di muoversi in rete per reperire competenze qualificate e cogliere opportunità di mercato. Tutto vero. Ma l'Italia dell'innovazione va. Gli imprenditori hanno ormai la piena consapevolezza di come proprio l'innovazione sia la carta vincente nella competizione globale. E magari in modo spontaneistico, più intuitivo che pianificato, stanno sperimentando modelli organizzativi, processi produttivi, tecnologie che possano tradursi in prodotti e servizi ad alto valore aggiunto. Bando alla retorica del declino. Se c'era bisogno di una conferma, di vedere che il Paese non ha intenzione di arretrare, ecco due studi appena sfornati: il Rapporto 2008 sull'innovazione della Fondazione Cotec di Torino e il Check-up dell'innovazione promosso dalla Sda Bocconi. Due fotografie che mostrano il medesimo soggetto: un tessuto industriale e imprenditoriale in movimento, scosso dai fermenti dell’information technology, alla ricerca di un posizionamento migliore nella scala competitiva. Certo, rimane un'immagine a macchia di leopardo. Con il Sud in forte ritardo rispetto al Nord: è sufficiente guardare la differenza nella spesa in ricerca e sviluppo. E con alcune aree particolarmente virtuose, quelle dove, sotto la spinta delle amministrazioni pubbliche, si è realizzata per la prima volta un'alleanza strategica tra imprese e atenei per la nascita di incubatori di start-up e di centri di studi avanzati. È il caso di Torino e di Milano, che hanno riscoperto il ruolo propulsore dei politecnici. Di Trento, dove la provincia si è lanciata in un'autentica politica dell'innovazione. Di Trieste, con il suo Science Park meta di decine di premi Nobel. Della Sardegna, che Renato Soru, fondatore di Tiscali e oggi presidente regionale, vorrebbe fare diventare il cuore dello sviluppo delle tecnologie dell'informazione. Ma il problema non è mostrare come un fiore all'occhiello le esperienze d'eccellenza p puntare l'indice contro chi è fermo al palo. Il nodo è il salto di qualità complessivo del Paese. Bene, è qui che si osservano le note più confortanti. Dal Rapporto del Cotec risulta che le imprese, dal 2000 al 2005, hanno aumentato del 6% gli investimenti in R&S. Ancora più marcata, sempre rimanendo nel campo della R&S, la crescita per quanto riguarda il numero di addetti: più 18,6 per cento. In particolare, si evidenzia il dinamismo delle piccole e medie imprese: il 71% (contro una media europea del 64%) ha cercato maggiore competitività sugli scenari internazionali con un incremento della qualità dei prodotti. Inoltre, il 12% del loro fatturato deriva da prodotti e servizi innovativi: un dato in media con l'Europa, ma superiore; a quelli di Germania, Francia e Spagna. Significativi anche i risultati che affiorano dal Check-up dell'innovazione lanciato dalla Sda Bocconi. Un questionario proposto via internet. Obiettivo: intrecciare la propensione generale all'innovazione con la capacità di sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle tecnologie informatiche. Le risposte, finora, sono state 1.300. Emerge che il 36% delle imprese si colloca in una situazione di stasi, ma d'altro canto è estremamente positivo constatare che il 34% agisce in un terreno di trasformazione continua e che il restante 30% è comunque in movimento. Tutto bene, dunque? Nemmeno per sogno. Perché poi bisogna fare i conti con i limiti strutturali del sistema Italia e con la nostra proverbiale incapacità di fare sistema. «Siamo un popolo di inventori» sorride Paolo Pasini, il professore dell'area Management information systems della Bocconi che con il collega Gianluca Salviotti ha elaborato il Check-up. «Le idee non mancano di sicuro - continua -. Le difficoltà saltano fuori nei passaggi successivi: lo sviluppo, l'industrializzazione, il lancio sul mercato». Forse gli imprenditori continuano a pensare di potere gestire la complessità dell'innovazione esclusivamente all'interno, mentre dovrebbero ricorrere con decisione all’outsourcing. Ma il punto è che ci vorrebbero strutture ad boe facilmente accessibili, luoghi in cui esporre i problemi e cercare soluzioni: «Non manca tanto l'innovazione, piuttosto un network per l'innovazione» aggiunge Salviotti. Che non risparmia critiche all'università: «Dovrebbe essere la funzione ricerca e sviluppa di un territorio - spiega -. Invece rimane chiusa. nei rituali accademici. É le relazioni con il mando industriale sono in un'ottica contingente anziché sistemica». Come dire che l'imprenditore si appoggia all'università per risolvere questioni specifiche, spesso di natura tecnica, e non riesce a vederla come motore per nuove opportunità di business. Lo stesso Rapporto del Cotec non nasconde che molta strada deve ancora essere fatta. $ mette in evidenza una serie di debolezze. In primo luogo l'accesso al credito. «Persino i fondi di venture capital - sostiene Riccarda Viale, direttore generale e consigliere delegata del Catec - sana ben paca disponibili a finanziare le idee. Insomma, partire è difficilissimo. Infatti, il più delle volte ci si ferma già al primo scoglio: la brevettazione». Secondo il Rapporto, tuttavia, la vera debolezza riguarda il capitale umano. Solo il 12,2% della popolazione italiana possiede una laurea, la metà rispetto alla Francia e alla Spagna. E appena il 51% dispone di un diploma, contro il -70% della media dell'Europa a 27 Paesi. Il risultato è che, specie nella piccola e media impresa, viene impiegata una quota di manodopera qualificata molto inferiore che nelle aziende concorrenti internazionali. «L'innovazione conclude Viale - passa obbligatoriamente dalla riscoperta del merito». Tema assai caldo:in questi giorni. La parala merito richiama immediatamente il pubblico impiego, Ma farebbe sempre più comodo anche nelle fabbriche della Brianza o del Nordest _______________________________________________________ Il Sole24Ore 02 Giu.’08 GLI STUDENTI ERASMUS FANNO RETE IN 34 STATI L'obiettivo del network é promuovere la mobilità e supportare i partecipanti al programma Llp Sono l'attrattività, l'internazionalità, la circolazione del talento, le parole chiave dello sviluppo auspicato del nostro Paese. Dagli imprenditori, ai politici, passando per scienziati ed economisti, la partita della crescita italiana cammina sulle gambe delle generazioni giovani, degli intraprendenti e disposti al cambiamento. Per lo scambio interculturale è importante la costruzione di social network: una rete in Italia (e in Europa) che abbia, almeno sulla carta queste potenzialità c'è, conta oltre 12mila laureati, con 34 punti di riferimenti nel territorio, Soo volontari che lavorano con 34 Paesi europei, che si relazionano con 150mila studenti internazionali. È Erasmus student network (Esn) Italia, nasce dall'Erasmu5 student network international, rete paneuropea sorta a Copenaghen nel i99o per iniziativa della Commissione europea e di un gruppo di studenti pionieri del programma Erasmus. L'obiettivo è promuovere la mobilità studentesca e creare un servizio di informazione e sostegno dato da studenti e rivolto a studenti, in partenza o in arrivo con una borsa di studio Llp/Erasmus, oppure con qualunque altro progetto di interscambio. Una rete potente, che ha tutte le caratteristiche per lavorare con i governi, con le istituzioni, e scuotere certi immobilismi, creare un terreno fertile per la crescita di una nuova classe dirigente. Eppure Esn Italia, non nasconde di far fatica nei rapporti con le università, ad avere peso nelle decisioni degli atenei nelle politiche d'internazionalizzazione, nell'accoglienza degli studenti stranieri. Di tutto questo si è parlato all'Evento nazionale Erasmus, che ha riunito a Marinella di Cutro, in provincia di Crotone, dal 22 al 25 maggio oltre mille giovani provenienti da tutta Europa (studenti che stanno svolgendo un Programma Erasmus in Italia). I presidenti, i rappresentanti delle sezioni italiane del network, seduti intorno a un tavolo, hanno espresso idee, perplessità, messo in evidenza gli ostacoli, ma anche la buona pratica, e le potenzialità di una rete che vorrebbero contasse di più. Mission: promuovere l’attrazione e l'integrazione accademica e socio-culturale degli studenti stranieri, proponendo tour del Paese, eventi, feste, incontri, cineforum nella lingua del Paese ospitante e favorendo l'incontro di persone che parlano una diversa lingua. «Siamo noi i primi interlocutori degli studenti internazionali, spesso li aiutiamo a trovare alloggio, facciamo un lavoro di mediazione con il territorio; per esempio dialogando con chi affitta le case agli studenti a non avere pregiudizi, e accettare lo straniero come una risorsa» racconta Salvo Rinciari di Esn Messina. L'associazione degli studenti potrebbe poi far parte attivamente dei Consortia placement; quei consorzi dove organizzazioni pubbliche e private si mettono insieme per identificare occasioni di stage in Europa, come previsto dal Longlife learning programme. «Quest'anno siamo arrivati tardi, a ao giorni dalla chiusura del bando, abbiamo avuto difficoltà ad inserirci, e qualche ostacolo burocratico», dice Nicola Avaro, coordinatore Esn Italia. Ma dall'Agenzia nazionale arriva un invito al network: «Siate più presenti, non lasciate liberi spazi che occuperanno altri enti, state dentro queste opportunità che sono rivolte a voi». L'Agenzia nazionale Llp Erasmus finanzia i consorzi che svolgono l'attività di collocamento per stage, con 29mila euro fanno, una buona occasione per una sezione Esn che voglia mettersi in gioco. Tra i prossimi obiettivi c'è il riconoscimento dei crediti formativi per le attività associative. Il progetto si sta sviluppando con successo: le sezioni pioniere di Milano Statale e Messina hanno già ottenuto il riconoscimento della possibilità di conseguire crediti tramite l'attività svolta con Esn Italia. Un progetto che ha visto questa pratica di riconoscimento avviarsi in quasi tutte le sezioni. «Piattaforme informatiche di ultima generazione e strumenti del web 2.0 sono già a servizio della social community degli studenti Erasmus» annuncia Aurelio Finelli, tesoriere nazionale, impegnato nella sezione di Rimini. Si lavora alla comunità virtuale dove tutti i soci potranno creare il loro blog personale ma, cosa più importante, potranno interagire tra loro mediante diversi strumenti (chat, forum) aumentando i rapporti tra gli studenti delle diverse città universitarie italiane. www.esn.org Gli studenti italiani nel loro periodo Erasmus, possono contattare le sezioni Esn (scaricabili dal sito) del paese di destinazione _______________________________________________________ L’Unione Sarda 5 Giu.’08 FACOLTÀ DI LETTERE, CORONEO NUOVO PRESIDE È Roberto Coroneo il nuovo preside della facoltà di Lettere e filosofia. Cinquant'anni, cagliaritano, Coroneo insegna Storia dell'arte medioevale e dirige da un anno e mezzo il Dipartimento di scienze archeologiche e storico artistiche. L'elezione ieri in aula magna in presenza del decano Francesco Cesare Casula. Coroneo succede a Giulio Paulis che ha diretto la facoltà per due mandati. «Sono felice per la fiducia che mi è stata accordata dai colleghi - ha commentato il neopreside - la mia conduzione sarà all'insegna della continuità». Coroneo entrerà ufficialmente in carica a ottobre, in coincidenza dell'apertura del nuovo anno accademico. (p. l.) _______________________________________________________ Il Sole24Ore 07 Giu.’08 LA GERMANIA PREMIA L’EOLICO E TAGLIA GLI INCENTIVI AL SOLARE Beffino. Approvato il pacchetto sulle fonti rinnovabili Beda Romano FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente II Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco, ha approvato ieri un primo pacchetto di misure a favore dell’ambiente e delle energie rinnovabili. L’obiettivo ambizioso è quello di diminuire le emissioni nocive di CO2 del 40% entro il 2020 , aumentando il risparmio energetico e riducendo la dipendenza dal petrolio. Il pacchetto, presentato a grandi linee già nel 2007 ma messo a punto dalla grande coalizione socialdemocratica - democristiana dopo mesi di trattative, prevede prima di tutto di raddoppiare la produzione elèttrica derivante dalle fonti rinnovabili di energia, dal 14% del 2007 al 3o% nel 2020. L’Europa si è data l’obiettivo del 12% entro il 2010. A contribuire all’aumento sarà soprattutto l’energia eolica, in forte crescita. Sul fronte del solare, invece, il Governo federale ha deciso, per scelta della Cdu, di ridurre i sussidi che dal 2000 stanno aiutando questa fonte energetica. Il calo sarà dell’8% nel 2009 e nel 2010, e del 9% nel 2011. Un altro settore nel quale l’establishment politico tedesco vuole fare uno sforzo maggiore è quello degli impianti di cogenerazione che consentono di produrre contemporaneamente energia elettrica e termica, così da evitare sprechi. L’elettricità prodotta da queste centrali dovrebbe passare dal 12 al 18% entro il 2020, grazie ad aiuti pubblici per circa 750 milioni di euro all’anno. Il pacchetto, che deve passare anche al vaglio del Bundestat, stabilisce poi che i nuovi edifici costruiti dopo il 1° gennaio 2009 dovranno utilizzare in parte energie rinnovabili (in particolare le biomasse e il solare). Parlando al Bundestag, il ministro dell’Ambiente Sigmar Gabriel ha detto che le misure legislative approvate ieri rappresentano «un grande passo avanti». La Germania, che a meno di cambiamenti abbandonerà il nucleare entro il 2020, sta cavalcando la lotta all’inquinamento RADDOPPIO L’obiettivo del Governo: diminuire le emissioni del 40% entro i[2020 L’elettricità pulita passerà dal14 al30% e alla dipendenza dal petrolio. Il grande settore dell’industria ecologica è diventato un pilastro dell’economia, tanto che il Paese è già riuscito a ridurre del 10% le emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990. Il pacchetto dovrebbe contribuire a un nuovo calo del io per cento. beda.romano ======================================================= _______________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 giu. ’08 SISAR, IL PRONUNCIAMENTO DEL TAR SCIOGLIE TUTTI I DUBBI Il ricorso per l'appalto del Sistema informativo sanitario integrato regionale «Validi i criteri della gara» CAGLIARI. Sembrava la classica gara d'appalto colabrodo, che persino il consulente legale della Regione aveva proposto di bocciare. Invece per il Tar le procedure per assegnare alla 'Engineering Sanità enti locali spa' e alla Telecom Italia il Sisar - sistema informativo sanitario integrato regionale - sono risultate a prova di ricorso. I giudici amministrativi Paolo Numerico (presidente) e Sandro Maggio (relatore) hanno respinto tutti e sette i motivi di gravame avanzati dalla 'Replay spa', che si era rivolta al tribunale dopo che la commissione di gara l'aveva relegata soltanto al terzo posto. Per la Regione - rappresentata dagli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli, Giampiero Contu, Roberto Murroni e Giuseppe Martelli - e per Engineering e Telecom, difese dagli avvocati Stefano Vinti, Elia Barbieri e Roberto Uras, è una vittoria su tutta la linea: i giudici hanno ritenuto validi i criteri stabiliti per l'aggiudicazione dell'appalto dalla commissione, così come i punteggi attribuiti alle imprese in gara e il meccanismo seguito per valutare l'importanza dell'elemento prezzo. Per i legali della Replay - gli avvocati Federico Tedeschini e Mauro Barberio - era palesemente illegittima anche la composizione della commissione di gara (Raffaellina Sica, Pierfranco Noli, Anna Tramontano e Giorgio Giacinto) perchè i quattro componenti non risultavano competenti nei settori della sanità e dell'organizzazione amministrativa, vale a dire quelli al centro della gara d'appalto: il Tar, sulla base della documentazione prodotta dai legali della Regione, ha accertato il contrario. La Replay peraltro non aveva chiesto che il Tar dichiarasse decaduta dall'aggiudicazione l'associazione di imprese Engineering e Telecom, ma l'annullamento dell'intera gara e di conseguenza la sua ripetizione. Ora invece la Regione potrà andare avanti: è tutto regolare. L'appalto Sisar sembrava nato malissimo. Prima un parere legale negativo, in base al quale la procedura selettiva era viziata da profili di illegittimità. Parere decisivo, perchè in seguito a quello il dirigente del servizio affari generali aveva deciso di avviare il procedimento di annullamento d'ufficio della gara. Poi un altro parere, di segno opposto (26 settembre 2007) grazie al quale la procedura era finita in archivio. Ma i problemi non erano finiti con quella decisione, perchè una volta aggiudicato l'appalto da venti milioni di euro è partito inevitabile il ricorso al Tar. Non dalla seconda classificata fra le imprese concorrenti, ma dalla terza: sei motivi per dimostrare che le modalità di valutazione delle offerte erano illegittime, più un settimo aggiunto nel finale della causa amministrativa. Sembrava che il ricorso potesse arenarsi a causa di un possibile difetto d'interesse, considerato che Replay si era piazzata terza. Invece i giudici del Tar sono andati a fondo, esaminando e bocciando uno per uno tutti e sette i gravami. A questo punto l'Ati esclusa - che è composta da Hewlett Packard Italiana spa, Kpmg Advisory, Faticoni e Teleco - potrebbe rivolgersi in appello al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensiva dell'aggiudicazione. Ma questo è un capitolo che non si è ancora aperto e che dipende dalle valutazioni dei legali impegnati nella controversia. Sulla regolarità della gara Sisar pende però un altro giudizio, quello della magistratura penale: il procuratore aggiunto Mario Marchetti ha acquisito tutti gli atti, che sono ora all'esame della Procura. (m.l) _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 SI AGLI OSPEDALI SPA Conti pubblici IL DOSSIER DEL WELFARE Sacconi: tocca alle Regioni decidere - Rafforzare il patto-salute L'EFFICIENZA «Le sanzioni non sono un deterrente credibile. Servono stumenti per seguire chi è indietro» Roberto Turno Un Patto per la salute da applicare fino in fondo, con sanzioni sicure per le Regioni che sgarrano. Ma anche una cabina di regia per fare uscire il Sud dal baratro dei conti e della qualità del Ssn. Maurizio Sacconi, ministro del super Welfare, parla per la prima volta da responsabile della sanità pubblica. Col federalismo fiscale, avverte, ci saranno dure penalità: il «fallimento politico» con commissariamento, rielezioni, ineleggibilità degli amministratori in rosso. Largo al privato di qualità e ai Fondi integrativi, annuncia ancora Sacconi, che lascia alle Regioni la possibilità di scegliere se costituire gli ospedali in spa. «I contratti dei medici vanno fatti», ammette, ma non si sbilancia sui tempi. Oggi Sacconi annuncerà il suo programma al Senato. Ministro Sacconi, ci sono state molte polemiche sull'accorpamento della Salute nel Welfare: non crede che possa essere davvero un rischio? Considero stucchevoli le critiche dell'opposizione. L'accorpamento è quello della riforma Bassanini: una decisione del centrosinistra, riproposta da loro l'anno scorso. In ogni caso ha un senso un ministero "della coesione sociale" quando in tutta Europa il tradizionale modello di welfare è in discussione. Noi pensiamo a un welfare delle opportunità, che intervenga nel ciclo di vita complessivo delle persone. In Italia, più che altrove, è indispensabile per coniugare questo modello a una rigorosa attenzione al rapporto costi-benefici. Anche per superare lo squilibrio della spesa sociale che per il 60%, al netto dell'istruzione, è destinata alla previdenza. Ma senza scordare che la spesa sanitaria senza correzioni nel 2050 raddoppierà. La sanità nel nuovo Welfare, una scommessa... Questo è l'obiettivo e il mio compito è oggi di predisporre una nuova visione complessiva della politica sociale. Entro fine mese presenterò un libro verde, scarno, una quindicina di pagine. Sarà proposto al confronto con attori sociali e professionali, all'opposizione e al Parlamento nella sua interezza. Una proposta aperta al contributo di tutti, perché sia largamente condiviso nel Paese. Intanto arriva una manovra da 30 miliardi in 3 anni. E la sanità farà la sua parte. La spesa sanitaria è caratterizzata da un grave dualismo in termini di "resa" con una profonda frattura Nord-Sud. Abbiamo il meglio e il peggio che si possa trovare in un Paese industrializzato. Il problema è di razionalizzare questa spesa. Serve assolutamente un benchmark di quantità e qualità dei servizi da garantire omogeneamente in tutto il Paese. Per questo intendo rafforzare la governance del Ssn. A cosa pensa? Penso a un metodo di coordinamento aperto, col contributo delle Regioni più efficienti. I Lea non possono essere una scusante per ottenere ripiani a piè di lista: devono essere un benchmark qualiquantitativo dei servizi. Pensa a un nuovo Patto per la salute? Penso che il Patto attuale va applicato interamente, come finora non è accaduto: le sanzioni non sono un credibile deterrente. Nessuno vuole fare il ragioniere. Non penso solo alla deterrenza, ma anche a strumenti di accompagnamento più robusti alle Regioni che sono indietro. Con un cabina di regia quotidiana, le Regioni più efficienti accanto al Governo, che si avvale di advisor sull'andamento della spesa e monitora l'andamento della qualità dei servizi. Intanto incalza il federalismo fiscale, che per il Ssn avrà un ruolo decisivo. Proprio perché siamo alla vigilia del federalismo fiscale è necessario fare chiarezza nei conti della sanità. Il federalismo fiscale non sarà punitivo verso i più deboli, non arriverà dall'oggi al domani e garantirà a tutti la copertura dei livelli di assistenza. Ma sarà un federalismo che vuole responsabilizzare le Regioni più deboli. E a maggior ragione per la sanità, che rappresenta i tre quarti della riforma, serve un percorso virtuoso di crescita. Federalismo fiscale significa sanzioni pesantissime. Le sanzioni del federalismo fiscale saranno forse ben più robuste di quelle del Patto per la salute. La sanzione fiscale ha un limite, dopo il quale dev'esserci il fallimento politico, analogo a quello civilistico. Se si superano gli indicatori di bilancio, gli amministratori regionali devono portare i libri al popolo agli elettori. Col commissariamento, le elezioni e l'ineleggibilità degli amministratori falliti. Il Governo pensa a dare più spazio al privato nel Ssn? Il problema è la maggior qualità del concorso dei privati, che talvolta ha assunto le stesse caratteristiche di inefficienza del pubblico. La collaborazione del privato, l'outsourcing, il project financing, devono essere funzionali alla creazione di qualità. Che ne pensa della trasformazione in spa degli ospedali? Penso che in una logica federalista sia giusto riconoscere alle autonomie regionali modelli flessibili di auto organizzazione. Fondazioni, società per azioni...Dipende dagli attori e dalla caratteristiche del territorio. I medici aspettano i contratti: quando li farete? So bene quanto siano ingiusti i ritardi per i contratti collettivi. Non a caso ho già indicato il sottosegretario Martini per il comitato di settore. È chiaro che prima si fanno, meglio è. Diciamo che in questa luna di miele del Governo, mi permetto il lusso di non darmi una scadenza. Cambierete le regole sulle nomine dei manager Asl? La figura monocratica dei direttori generali s'è rivelata in sé positiva. Ma credo che insieme alle Regioni dovremo cambiare i criteri di nomina. Il problema non è chi li nomina, cioè i governatori, ma la rigorosa selezione di criteri e requisiti per evitare discrezionalità eccessiva. Rilancerete i Fondi sanitari integrativi? Siamo assolutamente favorevoli allo sviluppo della mutualità e degli strumenti di integrazione della spesa sanitaria. Del resto, non a caso, queste forme sempre più spesso rientrano nella contrattazione di categoria. Foto: Welfare. Il ministro Maurizio Sacconi spiega la sua ricetta per la Sanità _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 WELFARE: UTILE UN VICE-MINISTRO PER UN SETTORE TRASVERSALE UNA VISIONE OLISTICA Il Welfare curi le politiche di settore, ma dei singoli progetti si occupino gli altri dicasteri I VANTAGGI Senza amministrazione ad hoc sarebbe più facile guardare dentro gli sprechi della spesa e rilanciare l'efficienza di Giuseppe Rotelli* Molti temono che senza un ministero della Sanità questo settore non goda della dovuta considerazione, e quindi possano essere trascurate le tante emergenze (liste di attesa) o dipendenze (alcolismo, droga, tabagismo) che affliggono i cittadini, come ha ricordato opportunamente Guido Gentili sul Sole-24 Ore del 27 maggio 2008. Io vorrei affrontare l'argomento da un'ottica diversa e più generale. Forse che da quando l'Alto Commissariato alla Sanità è stato eretto in ministero, e cioè negli ultimi cinquant'anni, questo settore è stato interpretato e governato come merita? Il fatturato della filiera della sanità contribuisce al Pil per oltre il 12%, oltre la metà dell'intero settore manifatturiero, e la spesa sanitaria è circa un quarto dell'intera spesa pubblica. Forse che ghettizzato in un ministero ad hoc, si è capito lo straordinario impatto di questo settore sulla società italiana? Io credo invece che l'assenza di un ministero possa costituire l'occasione irripetibile perché la presidenza del Consiglio ed il Governo, nella sua collegialità, possano finalmente comprendere le molteplici valenze politiche, economiche e sociali di questo settore. Politiche anzitutto. Perché il suo oggetto, la salute, riguarda tutta la popolazione, in tutte le Regioni d'Italia, e non soltanto una categoria di cittadini elettori. Il degrado e l'inefficienza di molti ospedali sono sotto gli occhi di tutti, e gli ospedali sono la più estesa rete di grandi infrastrutture del Paese, che potrebbe essere ammodernata, addirittura senza spesa per lo Stato, se si adottassero procedure semplificate per l'erogazione dei fondi Ue e Bei, o il project financing con garanzia dello Stato. Servono poche norme di legge ed i capitali affluirebbero copiosi, pur in un periodo di crisi del credito. Il Governo e le Regioni che adottassero ed applicassero le nuove procedure avrebbero un immediato ritorno di popolarità (e di consenso elettorale) a causa della visibilità della loro azione ovunque esista un ospedale da rifare. Poi l'efficienza. Con una sola norma di legge si potrebbero trasformare gli ospedali in Spa, pur mantenendone la proprietà pubblica e farne delle gestioni trasparenti, e con il project financing si passerebbe ad una gestione imprenditoriale di alcuni di essi, che potrebbe costituire un utile esempio di conduzione virtuosa. Ricadute economiche. L'attenzione della presidenza del Consiglio e la collegialità del Governo potrebbero consentire di valutare le ricadute economiche della spesa sanitaria, affrancandola dalla visione compiacente di spesa improduttiva. Il contributo che ospedali efficienti ed efficaci darebbero alla produzione per addetto (ore lavorate anziché giorni di degenza inutili) è di tutta evidenza. L'altro grande vantaggio della assenza di un ministero di settore risiede nella attitudine a guardare dentro la spesa sanitaria per cogliere le sacche di spreco, che Luca Ricolfi, sulla base della best practice delle Regioni virtuose, ha calcolato intorno al 20-25% e oltre in alcune Regioni che presentano insieme i livelli di qualità più bassi e gli sprechi più elevati. Non è accettabile che tutti i cittadini italiani paghino per gli sprechi eccezionali di pochi sistemi sanitari regionali. E non è più accettabile che la classe politica faccia pagare ai cittadini, tramite esclusione di prestazioni o concorso alla spesa, il denaro che viene sottratto con i tagli di spesa pubblica. Prima bisogna aggredire la rendita politica nella gestione degli ospedali e delle Asl e poi chiedere ai cittadini di mettere mano al portafoglio per mantenere universalità e generalità del sistema. Ma di un sistema efficiente ed efficace. I soldi per la sanità in Italia sono meno di quelli spesi in quasi tutti gli altri Paesi d'Europa, sia in valore assoluto che in percentuale del Pil. Bisogna che non siano dissipati. I rimedi ci sono: il monitoraggio della spesa e la trasparenza della gestione. I dati statistici da confrontare ci sono tutti nel Sistema Informativo Sanitario (SIS) del Governo e delle Regioni, e, ove per alcune Regioni non fossero affidabili, si potrebbero distribuire i finanziamenti pubblici sulla scorta di parametri desunti dalla media delle altre Regioni. La trasparenza deriva soltanto dalla sottoposizione delle aziende sanitarie, ospedaliere in particolare, alla disciplina del Codice civile. Così facendo i risparmi potrebbero essere devoluti o a riduzione della spesa o al miglioramento della qualità delle prestazioni. E questa sì che è scelta politica! Infine, ricaduta sociale. Nella sanità ci sono oltre un milione di addetti, con un formidabile indotto, che sostiene l'occupazione produttiva in migliaia di aziende, che costituiscono quel comparto avanzato fatto di prodotti di consumo e di investimento ad alta tecnologia che si possono esportare o vanno a ridurre le importazioni dall'estero, di ricerca scientifica e servizi essenziali, perché diretti alla tutela della salute, che cominciano a fare del nostro paese un riferimento per i malati dei Paesi del Mediteranno e dell'Est Europa. Come non capire che, oltre al turismo, al manifatturiero di nicchia e alla moda, la sanità è la vocazione di un paese senza materie prime, ma ricco di talenti da valorizzare e di doti umane da spendere? Se l'assenza di un ministero della Sanità fosse l'occasione per la presa di coscienza che la Sanità è materia di competenza trasversale, che interessa dicasteri diversi, dove un sottosegretario o, meglio, un vice-ministro, nell'ambito del ministero del Welfare, cura le politiche di settore, ma il Tesoro, le Infrastrutture, lo Sviluppo economico, gli Esteri, l'Università e la Ricerca e qualche altro ministero ancora adottano i progetti di specifica competenza nell'ambito di un Comitato interministeriale dello Sviluppo e della Salute, si avrebbe quella visione olistica della Sanità che è finora del tutto mancata. Per fare che cosa? Per condurre l'Italia, che ha del tutto perduto il primato in quasi tutti i settori ad alto contenuto tecnologico, alla conquista di quel settore emergente, nell'economia globale e immateriale, che è costituito dai servizi di qualità alla persona, dove la salute la fa da padrona, e per non affidarsi soltanto all'abilità dei nostri marchi dei prodotti del lusso. *Ha ricoperto la prima cattedra in Italia di Organizzazione e legislazione sanitaria all'Università statale di Milano, fondatore e presidente del Gruppo ospedaliero San Donato _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 CAMICI ROSA, MARATONA PER LE PARI OPPORTUNITÀ Gli ultimi dati della Fnomceo rivelano: le donne sono la maggioranza nelle fasce d'età "under 40" ma restano escluse dai ruoli di vertice Amedeo Bianco: «Per la nostra professione futuro declinato al femminile Organizzazione del lavoro da rivedere» Barbara Gobbi B rillano per rapidità e qualità negli studi, stanno superando per numero i colleghi maschi e sono sempre più presenti negli organici aziendali. Eppure, restano eterne seconde rispetto agli uomini. Sono le donne medico, verso cui la Fnomceo mostra crescente attenzione. Non a caso: «Nei prossimi anni - annuncia il presidente, Amedeo Bianco - la professione non solo ringiovanirà grazie ai pensionamenti e all'accesso delle nuove leve, ma "cambierà sesso". Ci attendiamo che entro il 2024 almeno 183mila professionisti vadano in pensione, rimpiazzati da un numero inferiore, circa 110 mila unità, di nuove leve. E di queste, stando al trend delle iscrizioni alla facoltà, la gran parte saranno donne. Una novità cui bisognerà far fronte, anche e soprattutto dal punto di vista organizzativo e formativo». Per il momento però il pianeta medico resta saldamente in mano agli uomini. Oggi, a esempio, la scelta della specialità a cui indirizzarsi per le donne è quasi obbligata. Le dottoresse sono costrette a orientarsi verso le branche più "gestibili" per flessibilità lavorativa. «La rinuncia alla chirurgia generale - continua Bianco - deriva dall'estrema difficoltà di conciliare vita privata e ritmi organizzativi. Con l'ingresso massiccio delle donne nella professione, però, questa anomalia non potrà più reggere: vanno rivisti i tempi di lavoro, specialmente negli ospedali, dove i turni viaggeranno presto sulle 24 ore». Ma per modificare uno status quo consolidato, specchio del resto di una "esclusione di genere" diffusa in quasi tutti gli ambiti lavorativi, serve soprattutto una rivoluzione culturale. A partire dagli organismi di rappresentanza. Lo dimostrano le ultime statistiche, ampiamente riportate in queste pagine, prodotte dal Centro elaborazione dati (Ced) Fnom e dal vicepresidente Maurizio Benato, che Il Sole-24Ore Sanità è in grado di anticipare. Un solo presidente di Ordine su 103 (Roberta Chersevani, di Gorizia), cinque vicepresidenti; una manciata gli Omceo dove si registrano presenze femminili (con Sassari al top della classifica). Per il resto, un deserto. «Eppure - ricorda Antonella Agnello, vicepresidente Omceo Padova - le donne sono oltre 1/3 dei professionisti attivi in Italia e la maggioranza, dai 29 ai 40 anni, rispetto ai colleghi maschi. Nell'anno accademico in corso rappresentavano il 55% degli immatricolati a Medicina e chirurgia; sono specializzate per il 47% (pediatria, ginecologia, odontoiatria, per ultime la chirurgia e l'oncologia). Ma continuano a essere poco presenti nei luoghi di decisione». Appena l'11,7% delle donne medico sono a capo di strutture complesse con rapporto esclusivo, mentre i camici rosa a capo di strutture semplici raggiungono il 26%; va meglio per gli odontoiatri, anche considerando la minore presenza al femminile negli ambulatori dentistici del servizio pubblico. Negli Atenei si ripropone l'anomalia: uno sparuto gruppo di professori ordinari donne, crescita esponenziale tra i ricercatori. La penalizzazione ai vertici e l'essersi "auto-confinate" nelle specialità in cui è meno complicato conciliare vita e lavoro (si veda l'intervento a fianco) non comporta un prezzo più basso in termini di sacrifici personali. «Le dottoresse - continua Agnello - sono penalizzate anche nell'ambito della famiglia e della procreazione. Il 44% delle "under 35" risultano non sposate; lo stesso accade per il 17,1% di dottoresse tra i 36 e i 50 anni. Gli uomini non sposati, nello stesso range d'età, sono pochissimi. Ancora, le donne medico sposate e con un figlio sono il 73,6%, contro il 90,5% dei colleghi maschi; con 2 figli la percentuale scende bruscamente al 45%, contro il 73,6 per cento registrato tra gli uomini. L'identikit generale. L'aggiornamento a settembre 2007 del Ced Fnomceo racconta di 359.035 medici iscritti all'albo: 233.252 uomini e 125.783 donne. Gli odontoiatri sono in tutto 54.201, di cui 12.286 donne e 41.915 uomini. La distribuzione regionale conferma una sostanziale uniformità nella percentuale di donne medico sul totale, con l'eccezione della Sardegna, dove i camici rosa raggiungono il 45,5% dei professionisti. Si conferma tra i più alti d'Europa il rapporto medico/ paziente, pari a 1:163. Anche se, avvertono dalla Federazione, la famosa pletora si "asciuga" se solo, guardando alle iscrizioni agli albi, si tiene conto del fatto che in essi compaiono anche i medici che non esercitano più. E circa 38mila tra i medici registrati negli elenchi della Federazione sarebbero "over 65". «Se poi - tiene a precisare Bianco - teniamo fuori dal calcolo i 30mila specializzandi - di fatto ancora in formazione - e gli altrettanti odontoiatri, la popolazione medica attiva esce profondamente ridimensionata, avvicinandosi al rapporto 1:200». Dalla Fnom arriva anche l'aggiornamento sulle specialità, con l'avvertenza che i dati sono parziali, dal momento che i medici non hanno l'obbligo di comunicare agli ordini le specializzazioni conseguite né l'attività esercitata. Tra le più "gettonate" in assoluto, odontostomatologia, pediatria, cardiologia, chirurgia generale e ginecologia. Con il 48% di specializzate, la pediatria con la neuropsichiatria infantile (ben 58,6%) sono tra le branche preferite dalle donne medico. Ma qui, ricordano dalla Federazione, oltre al fascino della materia conta anche il peso del "soffitto di vetro". Grafici e tabelle La distribuzione regionale Medici e dentisti dipendenti del Ssn I professionisti per genere e specialità Specializzazione Totale Donne % donne Allergologia e immunologia clinica 1.673 643 38,4 Anatomia patologica 1.249 446 35,7 Anestesia e rianimazione 10.043 2.880 28,7 Biochimica clinica 368 167 45,4 Cardiochirurgia 550 25 4,5 Cardiologia 13.931 2.292 16,5 Chirurgia dell'apparato digestivo 2.085 257 12,3 Chirurgia generale 13.277 1.246 9,4 Chirurgia maxillo facciale 683 45 6,6 Chirurgia pediatrica 719 138 19,2 Chirurigia plastica e riscostruttiva 1.213 169 13,9 Chirurgia toracica 1.172 68 5,8 Chirurgia vascolare 1.858 177 9,5 Dermatologia e venerologia 4.659 1.604 34,4 Ematologia 4.141 1.416 34,2 Endocrinologia e mal. del ricambio 6.175 2.201 35,6 Farmacologia 616 169 27,4 Gastroenterologia 6.200 1.300 21,0 Genetica medica 193 94 48,7 Geriatria 4.255 1.278 30,0 Ginecologia e ostetricia 12.758 4.585 35,9 Igiene e medicina preventiva 11.382 3.319 29,2 Malattie dell'apparato respiratorio 6.512 1.271 19,5 Malattie infettive 2.699 788 29,2 Medicina del lavoro 6.430 1.371 21,3 Medicina dello sport Specializzazione Totale Donne % donne Medicina di comunità 17 2 11,8 Medicina fisica e riabilitazione 4.789 1.312 27,4 Medicina interna 8.890 2.015 22,7 Medicina legale 624 113 18,1 Medicina nucleare 1.026 243 23,7 Medicina tropicale 343 63 18,4 Microbiologia e virologia 650 239 36,8 Nefrologia 2.869 895 31,2 Neurochirurgia 770 57 7,4 Neurologia 6.498 2.149 33,1 Neuropsichiatria infantile 2.368 1.387 58,6 Odontostomatologia 20.841 3.596 17,3 Oftalmologia 6.025 1.659 27,5 Oncologia 3.755 1.090 29,0 Ortopedia e traumatologia 7.219 369 5,1 Otorinolaringoiatria 5.925 955 16,1 Patologia clinica 2.419 864 35,7 Pediatria 18.846 9.044 48,0 Psichiatria 7.408 2.663 35,9 Radiodiagnostica 7.175 1.284 17,9 Radioterapia 280 87 31,1 Reumatologia 1.835 131 7,1 Scienza dell'alimentazione 1.678 483 28,8 Tossicologia medica 851 207 24,3 Urologia 3.809 159 4,2 Totale 235.900 60.188 25,5 Fonte: Centro elaborazione dati Fnomceo Tutti Donne % donne Totale medici 110.943 37.397 33,71 ? Dirigente medico con incarico di struttura complessa (rapporto esclusivo) 10.054 1.179 11,73 ? Dirigente medico con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) 221 5 2,26 ? Dirigente medico con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) 17.731 4.618 26,04 ? Dirigente medico con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) 362 23 6,35 ? Dirigenti medici con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) 77.216 30.533 39,54 ? Dirigenti medici con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) 4.322 660 15,27 ? Dirigenti medici a tempo determinato 1.037 379 36,55 Totale odontoiatri 164 41 25,00 ? Odontoiatri con incarico di struttura complessa (rapporto esclusivo) 10 1 10,00 ? Odontoiatri con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) 3 1 33,33 ? Odontoiatri con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) 19 4 21,05 ? Odontoiatri con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) 1 0 0,00 ? Odontoiatri con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) 89 29 32,58 ? Odontoiatri con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) 41 6 14,63 ? Odontoiatri a tempo determinato 1 0 0,00 Totale 111.107 37.438 33,70 Fonte: Ragioneria generale dello Stato - Conto annuale 2006 Donne nella politica professionale Ordine Consiglieri Ordine e Cao Consiglieri donne -medici e odontoiatri % Sassari 24 13 54 Ravenna 24 11 46 Nuoro 18 8 44 Pescara 24 9 38 Bologna 24 8 33 Asti 18 5 28 Padova 22 5 23 Sondrio 18 4 22 Rieti 18 4 22 Cuneo 24 4 17 Totale 2.282 361 16 Tra vita pubblica e privacy PROFESSIONE E FIGLI ? Donne medico con 1 figlio = 73,6% ? Colleghi maschi con 1 figlio = 90,5% ? Donne medico con 2 figli = 45,0% ? Colleghi maschi con 2 figli = 73,6% PROFESSIONE E STATO CIVILE ? Donne medico non sposate Professori ordinari a medicina e chirurgia 2.018 ? di cui donne: 167 8,3% Professori ordinari a odontoiatria (donne) 9% Consiglio direttivo ? Presidente 1 ? Vice presidente 5 ? Segretario 13 ? Tesoriere 11 ? Consigliere 145 ? Revisore dei conti 108 Comm.ni albo odontoiatri ? Presidente 3 ? Consigliere 39 Donne ai vertici Fnom Ai vertici in Università _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 RICETTA ANTI-FANNULLONI DEI MMG Autocertificazione, sinonimo di trasparenza Oltre al carico di lavoro si rischia anche il danno di falso ideologico Niente attestazioni sottoscritte in base all'indicazione del paziente Contro i fannulloni il "trucco" è l'autocertificazione che salva il medico non in grado di controllare malattie brevi e responsabilizza direttamente il cittadino e il suo datoe di lavoro. Un paziente che dice al medico di essere rimasto a casa per una cefalea non può non essere creduto dal suo "medico di fiducia" che però non può verifcare. Altro sarebbe se il paziente autocertificasse la malattia per i primi tre giorni, cosa che avviene in tutto il mondo. Dal medico si ricorrerebbe dal quarto giorno in poi, per problemi seri di salute. Ma per far questo non bastano le intenzioni, bisogna a questo punto intervenire per aggirare gli intoppi. Nel 2006 l'Inps con una sua circolare aveva precisato che il lavoratore ha l'obbligo di trasmettere il certificato di malattia all'Istituto, oltre che al proprio datore di lavoro, anche se la malattia abbia durata inferiore ai quattro giorni, pur essendo i primi 3 giorni il periodo in cui il trattamento economico è interamente a carico del datore di lavoro. In questo modo si è riaffermato l'obbligo del certificato medico per assenza dal lavoro dipendente dovuta a malattia breve. In realtà, le richieste di questo certificato per malattia fino a 3 giorni per patologie minori, perlopiù a risoluzione spontanea, comportano un carico di lavoro costoso e inutile poiché costringono il medico curante a numerose visite non necessarie, spesso concluse con attestazioni di riferite sintomatologie non obiettivabili che, in quanto tali, di fatto non sono poi neppure escludibili e contestabili dal medico fiscale. L'art. 5 della legge 20 maggio 1970 n. 300 afferma: «Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente (ora vietati anche dal Dlgs n. 196/2003). Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda». È auspicabile che il Governo promuova una nuova normativa per introdurre l'autocertificazione per malattia breve fino ai tre giorni. Così l'Inps potrebbe con uguale efficacia, già ai sensi dell'articolo 5 della legge 300/1970, disporre visite mediche fiscali a campione o su richiesta del datore di lavoro al fine di controllare la veridicità dei contenuti delle autocertificazioni redatte direttamente dai lavoratori per assenze fino ai 3 giorni di malattia. Va rilevato che per il medico di famiglia il rilascio del certificato di malattia è oggi un dovere contrattuale previsto dall'art. 52 dell'Acn 2005. Ma l'Inps accetta anche certificati di malattia redatti su ricettario personale da medici diversi dal proprio medico di medicina generale, purché completi dei dati richiesti, ai sensi della circolare Inps 99/96 - n. 26.104 del 13 maggio 1996. Così i medici fiscali dell'Inps potrebbero allo stesso tempo certificare a campione direttamente le malattie brevi e verificare le autocertificazioni dei lavoratori assenti, evitando allo Stato i maggiori oneri amministrativi della gestione delle prime certificazioni del medico curante e i maggiori oneri sanitari di una doppia visita medica per la stessa assenza per malattia. Secondo il Codice deontologico il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute (art. 24) e inoltre ha un prioritario dovere di garantire la sicurezza del cittadino e prevenirne il rischio clinico (art. 14). Ciò comprende anche il dovere di non sottovalutare le dichiarazioni dell'ammalato riguardo a sindromi non obiettivabili e quindi di credere fino a prova contraria e attestare in buona fede quanto rilevato all'anamnesi. Non sussiste il reato di falso ideologico quando il medico di medicina generale certifica in buona fede una sindrome non obiettivabile sulla base dell'anamnesi fornita con inganno dal paziente al fine del rilascio del certificato di malattia, secondo la sentenza n. 5923 del 20 giugno 1994 della Cassazione sez. 2 (in Riv. It. Med. Leg. 1995, 255). L'art. 48 CP esclude la punibilità del medico quando si prova che l'errore è stato determinato dall'altrui inganno. Il paziente che dichiara consapevolmente il falso commette invece un reato perseguibile d'ufficio (false dichiarazioni : artt. 495-496 Cp). L'ipotesi di falso ideologico (in atto pubblico art.479 Cp o in certificazione amministrativa art. 480 Cp o in scrittura privata art. 481 Cp), si c o n f i g u r a quando il giudizio diagnostico espresso nel certificato medico si fonda su fatti non corrispondenti al vero, esplicitamente dichiarati o implicitamente contenuti nel giudizio stesso, e chi ne fa attestazione sia consapevole di ciò, secondo la sentenza n. 11482 del 24/5/1977 della Cass. Penale sez. VI e n. 149762/1992 della Cass. Pen. sez. V. In sintesi, sussiste il reato solo quando si prova con certezza che è stata condotta intenzionale (art. 43 Cp) del medico certificare il falso. Si stima che i medici di medicina generale effettuino circa 80 milioni di visite domiciliari all'anno in Italia. Questi numeri possono già spiegare le difficoltà obiettive dei medici di far fronte alla gestione delle numerose richieste di consulti per sintomi temporanei non obiettivabili e di visite domiciliari ad assistiti che, pur non avendo i requisiti di intrasportabilità e urgenza, richiedono comunque il consulto domiciliare quando dovrebbero invece recarsi in studio per la visita, secondo l'Acn misconosciuto agli utenti e non adeguatamente pubblicizzato dalle Asl. Oltre a questo carico di lavoro spesso indebito, è giusto che il medico debba anche subire il danno morale e d'immagine per l'accusa di rilascio ingiustificato dei certificati di malattia mossa dalla stampa scandalistica? Ancora una volta dispiace il silenzio degli onesti e dei rappresentanti delle istituzioni pubbliche. Mauro Marin _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 CURA TREMONTI PER LA SALUTE Il cantiere della manovra a pieno ritmo: razionalizzazioni e punizioni per chi sfora Federalismo: malessere trasversale - Ministero verso il recupero Un piano triennale da 30 miliardi, puntando al bersaglio del pareggio di bilancio nel 2011 concordato con l'Ue dal Governo Prodi. Un decreto veloce, atteso per metà giugno, per tagliar via 8-10 miliardi dalla spesa pubblica, mettendo subito mano alla riforma della Pa, limando le spese per beni e servizi, ampliando il drenaggio fiscale a carico di banche e assicurazioni. Il cantiere Tremonti va a pieno ritmo, mantenendo la promessa di una manovra anticipata, i cui obiettivi sono verosimilmente quelli accennati dal presidente della commissione Bilancio della Camera, il segretario della Lega Nord Giancarlo Giorgetti : «Una Finanziaria di tre anni, che dia un quadro di certezza e stabilità agli imprenditori che vogliono investire in Italia, con l'obiettivo di far ripartire l'economia, aiutare il Nord, rilanciare il Sud». Il foglio di via per il "medico pietoso" è d'obbligo, anche in campo sanitario. Lo ha detto tra le righe il leader della lega Umberto Bossi ; ne ha fatto grancassa il sottosegretario alla Salute Francesca Martini : «I bilanci di Regioni e Stato sono assorbiti per due terzi proprio dalla spesa sanitaria: la razionalizzazione è inevitabile». Altrettanto inevitabile il riferimento alle Regioni "in rosso", quelle che «non producono qualità, spendono tanto e sono state anche rimpinguate dai fondi per i Piani di rientro dal deficit». Situazioni notoriamente in bilico, ancora al centro di vorticosi e per ora non risolutivi incontri (cfr. pag. 6) e che pure restano nel mirino della maggioranza e del Welfare, come ha lasciato chiaramente intendere il ministro Sacconi : «Per promuovere una diffusa garanzia dei livelli essenziali di assistenza è necessario introdurre sanzioni oltre che regole nella gestione della spesa sanitaria: in caso di fallimento politico i cittadini delle Regioni interessate non possono subire incrementi della pressione fiscale locale all'infinito. Oltre a una certa soglia non può che esserci una sanzione più drastica: la gestione va commissariata. E mi auguro che si arrivi presto a giudicare non rieleggibili gli amministratori che hanno sbagliato». Parole pesanti che fanno da viatico anche alle scelte che dovranno essere compiute a breve, tra Dpef e manovra. Intanto il suo "piccolo" contributo la Sanità è già stata chiamata a darlo per la copertura del Dl sulla «salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie» varato dal primo Cdm del Berlusconi quater: 14 milioni di risparmio sul fondo per le Regioni a disavanzi elevati, 15 sull'esternalizzazione dei servizi di Asl e ospedali (altri 72 per il 2009 e 2010). Il vero giro di vite ci sarà dopo. E tutto andrà armonizzato col programmino di rilancio raccontato nell'unica uscita pubblica dall'altro sottosegretario alla Salute, Ferruccio Fazio , intenzionato a rimanere chiuso in casa a studiare senza parlare con la stampa per qualche mese, ma certamente dotato del know how che serve a tracciare le linee di sviluppo della Sanità marca Berlusconi. Tutto in 8 punti scolpiti nella pietra: Sanità per tutti; lotta alle liste di attesa (con nuova commissione sui Cup); integrazione pubblico-privato (con diffusione delle aziende miste); "bollino d'oro" di accreditamento (selezione delle eccellenze abilitate a lavorare per il Ssn); sanità digitale; incentivi-disincentivi per i direttori generali; affiancamento delle Regioni in difficoltà (che potranno anche godere del supporto extra derivante dai fondi Ue, ma saranno vegliate a vista, per evitare altri sbandamenti); potenziamento della ricerca (concedendo finalmente detrazioni fiscali, riduzioni di oneri sociali e investimenti a credito agevolato da tempo reclamati dalle imprese farma e bio, ma inventando magari anche per la ricerca biomedica cogestito col ministero della Ricerca). Tanta carne al fuoco per la Salute, attorno alla quale ancora ribollono i pronostici sul "ripristino": «Pochi mesi», ha anticipato il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta , per tranquillizzare gli animi, mentre proseguivano i dibattiti a distanza (Sacconi vs. Marino, Pd: «Il senatore del Pd, Ignazio Marino, insiste nell'attacco alla riforma dei ministeri voluta dal ministro Bassanini e dal centrosinistra») e i tentativi d'autocrititica ( Gero Grassi , Pd: «Il ministero della Salute va reso autonomo, modificando la Finanziaria 2008: è stato un errore del Governo Prodi, non ci deve essere nessuna difficoltà ad ammetterlo»). Quasi pacifico il recupero. Mentre sul tappeto (della Welfare, della Salute, o di entrambi) si affastellano richieste e pressioni che richiedono una risposta quanto mai "urgente": contratti e convenzioni languono ancora; l'opposizione lancia strali sulla sbandierata portabilità dei mutui («spiazzata» dall'accordo benedetto da Tremonti, secondo l'"equivalente ombra" del Pd, Pierluigi Bersani ); l'Udc di Rocco Buttiglione chiede che il Governo dia un segnale forte alle famiglie («rischiamo di diventare il Messico d'Europa», rincara nello stesso solco l'ex ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero , Prc, mentre Tremonti, d'accordo con Scajola , promette «tavoli su bollette e benzina»); il coordinatore degli assessori alla Sanità, Enrico Rossi, si appella a Sacconi e al Governo tutto per chiedere «la detassazione degli straordinari anche nel pubblico impiego, Sanità compresa («col blocco delle assunzioni, senza straordinari sarebbe stato impossibile garantire i servizi essenziali»); l'Aifa resta in attesa di giudizio. Ma su tutto e prima di tutto "pesa" il macigno del federalismo fiscale («ineludibile», dice il presidente Napolitano ). La Lombardia festeggia l'intenzione del Governo di riaprire un tavolo dedicato («ne deriverà un bene per tutta l'Italia», dice convinto il presidente Formigoni ). Le Regioni del Sud fanno barriera. In Parlamento si affilano le lame in vista di un confronto che ragionevolmente si preannuncia durissimo. Il problema - poco filosofico - lo riassume per tutti il ministro ombra per le riforme Sergio Chiamparino: «Non è un problema di modello, ma di soldi: col federalismo fiscale alla lombarda solo 3-6 Regioni sarebbero in grado di gestire i servizi. E le altre?». Basterebbe questa domanda a riempire gli spazi vuoti della Legislatura, caso mai ce ne dovessero essere. Sara Todaro _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 CON GOOGLE LA SALUTE È A PORTATA DI CLICK Basta un click per controllare il proprio stato di salute e conoscere la propria storia clinica. E sempre utilizzando il mouse è diventato possibile anche cercare uno specialista, scambiare dati con la propria farmacia di fiducia o ricercare informazioni sulla patologia di cui si soffre. Il servizio si chiama "Google health" ed è stato lanciato in versione beta (non definitiva) dal motore di ricerca numero uno al mondo. Attualmente è disponibile soltanto in inglese negli Stati Uniti, ma l'intenzione è quella di sviluppare il progetto anche in altri Paesi e altre lingue. Google Health è nato grazie a una partnership con la Cleveland clinic, una delle istituzioni sanitarie più importanti degli Stati Uniti. E sono proprio le partnership a giocare un ruolo chiave nel funzionamento del servizio. Sono loro a mettere a disposizione i medici che forniscono consigli sulla salute on line o addirittura strumenti per calcolare il rischio di un infarto. Altri "tool" invece, sempre sviluppati da società terze, sono in grado di ricercare notizie, blog e articoli medici ritenuti significativi per il paziente. L'interesse degli internauti per la salute è molto forte. Secondo iCrossing, compagnia di marketing digitale statunitense, il 66% degli adulti che navigano su Internet ha ricercato informazioni sulla salute e il benessere negli ultimi 12 mesi. Ora, con Google health le ricerche non si limiteranno alle informazioni su malattie e terapie, ma si amplieranno a medici e ospedali la cui posizione sarà visualizzata attraverso "Google maps", l'applicazione web che mostra le mappe delle città. La parte più innovativa del servizio è però quella che consente di inserire i propri dati clinici: radiografie, risultati di laboratorio, diagnosi, medicinali assunti ecc. Dati che possono anche essere inseriti da operatori sanitari autorizzati. «Quanti di noi possono visionare i propri dati sulla salute? - chiede Marissa Mayer , dirigente del gruppo nel suo blog -. Non è assurdo - aggiunge - che nell'era dell'informazione non abbiamo una copia della nostra cartella clinica a disposizione?». Informazioni che, scommette Mayer, serviranno a conoscere meglio il proprio stato di salute e a migliorare le cure. I dati saranno sempre a disposizione, anche quando si viaggia o si decide di cambiare medico. Ma la vera sfida per Google è quella di riuscire a garantire la tutela della privacy. Eric Schmidt , amministratore delegato della società è sicuro che la società riuscirà a garantire la riservatezza degli utenti: «Solo il proprietario dei dati - ha detto Schmidt - avrà il controllo diretto su chi può vedere o non vedere le informazioni». Allo stesso modo sarà l'utente a scegliere il tipo e la quantità di dati clinici da conservare e/o condividere. Giuseppe Di Marco _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 LA MEDICINA È QUESTIONE D'ETICHETTA Un articolo del «New England Journal of Medicine» lancia l'idea di un galateo del buon medico L'«etiquette-based medicine» in sei regole per migliorare i rapporti con i pazienti Medici sì, ma prima di tutto gentiluomini. Con un provocatorio quanto spiritoso articolo, appena pubblicato sul prestigioso «New england journal of medicine», Michael W. Kahn , docente di Psichiatria alla Harward Medical School, lancia l'idea di un galateo per i camici bianchi. Con sei semplici regolette che ogni medico d' ospedale dovrebbe seguire alla lettera. Certo questo mini-codice del "bon ton", se applicato in ogni corsia, probabilmente non riuscirebbe nell'impresa impossibile di umanizzare le cure, ma almeno potrebbe garantire le buone maniere e far sentire più a suo agio il paziente durante la sua degenza. Perché secondo Kahn la maggior parte dei pazienti quando si lamenta del proprio dottore non lo fa perché si è sentita incompresa o ha percepito poca empatia, quanto piuttosto per alcuni comportamenti sgradevoli. Le frasi che si sentono di più sulla bocca dei pazienti suonano, secondo Khan, più o meno così: «Si è limitato a fissare lo schermo del suo computer» o «non sorride mai» e ancora «non sapevo con chi stavo parlando». Lo psichiatra americano racconta poi un'esperienza personale, durante un suo ricovero in ospedale, quando è rimasto piacevolmente impressionato dai modi educati di un chirurgo di origine europea: «Indipendentemente da che cosa egli stesse provando al momento, il suo comportamento (abbigliamento, maniere, linguaggio del corpo, contatto visivo) era impeccabile». Un comportamento che ha fatto pensare a Khan di trovarsi di fronte a un vero «professionista» e soprattutto a un grande «gentleman». Ma quali sono le regole d'oro del galateo in camice bianco? Khan ne individua sei, molto semplici. E cioè: bussare e chiedere il permesso prima di entrare nella stanza dove è ricoverato il paziente; presentarsi esibendo il proprio tesserino e dicendo il proprio nome e cognome; stringere sempre la mano al paziente (ma lasciando i guanti se necessario); sedersi di fronte al paziente e avere un viso rilassato e sorridente, se il contesto lo permette. E poi spiegare brevemente al paziente le caratteristiche del reparto e del gruppo di medici e infermieri che si prenderanno cura di lui. Chiedere, infine, al paziente come si sente all'idea di essere ricoverato in ospedale e cercare di metterlo a proprio agio. Queste le leggi base, secondo Michael W. Kahn, di quello che lui stesso ha definito nel suo articolo l'«etiquette-based medicine». Osservare questi semplici princìpi della buona educazione migliorerebbe molto il rapporto medico-paziente a tutto vantaggio della soddisfazione di entrambi e senza far perdere tanto tempo a nessuno: «Negli ultimi anni ci sono stati numerosi tentativi di insegnare ai nostri giovani durante il corso di medicina a essere empatici, curiosi rispetto alla storia del malato, a sviluppare la compassione - spiega Kahn dalle pagine del «New england journal of medicine» -, sembra però che nessuno abbia insegnato a questi giovani una cosa fondamentale: i princìpi di base dell'educazione». Secondo lo psichiatra d'Oltreoceano insegnare a uno studente a essere comprensivo, attento, e a saper ascoltare un malato potrebbe essere una sfida quasi impossibile. Perché ci sono delle qualità che le persone possono anche non avere e non per questo sono condannate a diventare pessimi medici. Mentre, al contrario, non deve essere troppo complicato stabilire delle regole di buona educazione che tutti sono in grado di seguire. «Modificare il carattere di una persona e il modo in cui pensa è molto più difficile che modificare dei comportamenti», conclude Kahn, che propone di integrare la formazione postuniversitaria dei futuri medici con un corso di buone maniere. Marzio Bartoloni Il «bon ton» del dottore _______________________________________________________ Il Sole24Ore 4 giu. ’08 MEDICI, RICETTA UGUALE PER TUTTI Limiti possibili, ma non nella scelta terapeutica - L'esempio degli anti-acne La continuità spetta al dottore di famiglia Si sceglie secondo scienza e coscienza Imedici sono abilitati all'esercizio della professione dalla legge che li legittima a praticare in libera attività qualsiasi atto di diagnosi e cura senza la necessità di una specializzazione, con l'eccezione particolare della radiologia e anestesia e rianimazione. L'articolo 4 del Codice civile, delle fonti del diritto, afferma che i regolamenti non possono contenere norme in contrasto con le disposizioni di legge. Invece l'Aifa continua a pubblicare determinazioni limitative che escludono i medici di medicina generale dalla prescrizione di alcuni farmaci riservandoli agli specialisti, anche se questi farmaci vengono prescritti con onere a carico degli stessi assistiti invece che del Ssn e con appropriatezza di cura per la diagnosi documentata. A esempio, la commissione tecnicoscientifica dell'Aifa con una determinazione di fine 2007 (in Gazzetta Ufficiale n. 280 del 1 dicembre 2007) ha stabilito che la prescrizione di isotretinoina orale per la cura dell'acne debba essere redatta su ricetta non ripetibile e «riservata soltanto agli specialisti dermatologi». È comprensibile la preoccupazione che per l'isotretinoina vengano rispettate le due condizioni essenziali di prescrivibilità: la certificazione datata in ricetta dell'assenza di gravidanza in atto, documentata con test di gravidanza, e la presenza contemporanea di copertura contraccettiva dell'assistita per la prevenzione di effetti teratogeni dovuti al farmaco. Forse l'Aifa sottointende che un medico senza specializzazione non sia in grado di assumersi diligentemente questa responsabilità di corretta prescrizione al pari di uno specialista dermatologo? Seguendo questa logica, perché allora non riservare solo agli specialisti anche i molti altri farmaci con possibili effetti teratogeni? Certo l'atteggiamento dell'Aifa quando si chiamava Cuf non è solo una questione di possesso del titolo di specializzazione: allora, a esempio, il ferro per via endovenosa (sodio ferrigluconato) utilizzato per la cura dell'anemia da carenza di ferro nei pazienti intolleranti all'assunzione orale di ferro era stato riservato al solo uso ospedaliero impedendo illegittimamente ai medici operanti sul territorio, anche se specialisti in ematologia, di continuare a curare i loro assistiti fuori dall'ospedale. In questo modo i pazienti sono stati obbligati a rivolgersi ai servizi ospedalieri, violando il loro diritto di scelta del medico curante. L'Antitrust potrebbe avere qualche rilievo da fare in proposito. Al di fuori dei provvedimenti restrittivi previsti dalle note Aifa e dai piani terapeutici giustificati dalla necessità di contenimento della spesa farmaceutica a carico del Ssn, quando non si pongono oneri a carico del Ssn per le prescrizioni farmaceutiche, non è chiara la legittimità di questi provvedimenti dell'Aifa incidenti sul diritto a svolgere l'attività libero professionale e quindi a prescrivere cure per ogni malattia. I provvedimenti regolatori disposti dall'Aifa al fine di garantire un corretto utilizzo dei farmaci dovrebbero essere assunti equamente nei confronti di "tutti" i medici prescrittori, senza incoerenti esclusioni discriminanti che appaiono come un eccesso di potere e disuguaglianze di dubbia legittimità anche ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione: oggi infatti la prescrizione dello stesso farmaco fuori dalle indicazioni delle note Aifa è considerata un'illecito sanzionabile se redatta da un medico di medicina generale sul ricettario regionale, mentre invece è tollerata e mai sanzionata se effettuata da un medico ospedaliero durante il ricovero e documentata sulle cartelle cliniche che sono atti pubblici riportanti nelle lettere di dimissioni prescrizioni non approvate nelle schede ministeriali per le indicazioni cliniche certificate nelle diagnosi di dimissione. L'Aifa ha il potere di regolamentare la prescrizione dei farmaci e non il profilo professionale dei medici non specializzati, limitandone il campo di esercizio della professione, che è invece compito esclusivo dello Stato ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera q), della legge 833/1978. Va inoltre rilevato che i medici di medicina generale si trovano anche nella situazione di dover garantire la dovuta continuità di cura agli assistiti del Ssn, trascrivendo su ricettario regionale prescrizioni di isotretinoina redatte sul ricettario personale da specialisti dermatologici che comunque quando operano in libera professione non hanno titolo per usare il ricettario regionale anche se sono dipendenti del Ssn . L'Acn 2005 per la medicina generale all'articolo 30, comma 1, afferma che non possono essere oggetto di contestazioni a carico del medico di famiglia le inosservanze derivanti da comportamenti omissivi di altri operatori delle aziende sanitarie e al comma 4 afferma che le inosservanze occasionali danno luogo solo alla sanzione del richiamo. Comunque l'articolo 27, comma 7, dell'Acn 2005 afferma che le prescrizioni devono essere valutate in ragione del loro carattere occasionale e della novità della norma. Gli assistiti del Ssn hanno in ogni caso un diritto perfetto alla necessaria assistenza farmaceutica con onere a carico del Ssn , ai sensi dell'articolo 28, comma 2, della legge 833/1978, come ha stabilito già la Cassazione penale a Sezioni unite con sentenza n. 6752 del 7 giugno 1988 per la quale tale diritto perfetto sussiste «indipendentemente dalla condotta del soggetto prescrittore». Quindi se la prescrizione di farmaci risulta appropriata, non può essere sanzionata solo perché redatta da un medico generico invece che specialista, essendo entrambi abilitati all'uso del ricettario regionale. Questo orientamento è stato recepito anche dalla Corte dei conti che, in tema di Piani terapeutici, ha affermato che la prescrizione di farmaci idonea alle reali necessità degli assistiti e conforme alle indicazioni cliniche riconosciute con onere a carico del Ssn è appropriata e non costituisce danno erariale da parte del medico, indipendentemente dal rinnovo formale del piano terapeutico da parte dello specialista (sentenze n. 281 del 30 maggio 2006, n. 1486 del 6 dicembre 2005, n. 705 del 19 magio 2005 della Corte dei conti, sezione Liguria). Mauro Marin _______________________________________________________ Panorama 4 Giu.’08 NE CURA PIÙ IL MIELE CHE CERTE MEDICINE Nuove terapie Gli scienziati sperimentano in laboratorio i principi attivi di questo alimento, ricco di sostanze antiossidanti e antibatteriche. dl KAREN Rl1BIN Quando spariranno le api, all'umanità resteranno 4 anni di vita». La frase viene attribuita ad Albert Einstein ma, al di là della sua effettiva origine, riflette un dato di fatto: l'impollinazione, dovuta alle api e ad altri insetti, rende possibile la riproduzione del 75 per cento delle specie vegetali. La progressiva scomparsa delle api, in Europa e Stati Uniti, mette intanto a rischio la produzione di miele, proprio mentre studi scientifici ne dimostrano le proprietà curative. Se ne parla dall’ 8 al 12 giugno al Forum apimedica e apiquality organizzato da Università di Tor Vergata e Federazione apicoltori italiani. «II miele è formato da zuccheri e altri 180 composti, tra cui polifenoli e acidi fenolici, antiossidanti. Venti grammi ne contengono la stessa quantità di un bicchiere di vino rosso» calcola Antonella Canini, del Centro ricerca miele al dipartimento di biologia di Tor Vergata. I mieli più ricchi in polifenoli sono quelli prodotti dalle api che prelevano nettare da piante spontanee. «Hanno un contenuto di antiossidanti da 2 a 10 volte quello di prodotti commerciali» prosegue Canini. «In laboratorio abbiamo immerso cellule di melanoma umano in un liquido di conservazione, aggiungendovi un principio attivo estratto dal miele: la crescita delle cellule tumorali si è dimezzata» riferisce Roberto Bei, docente di patologia generale a Tor Vergata (l'esperimento è apparso sull'International joarnal of oncology). L'effetto antiproliferativo è dovuto alle alte concentrazioni di 5,7-dimetossicumarina: composto polifenolico presente nel miele di castagno, acacia, santoreggia. «È impensabile» precisa Bei «somministrarne dosi così elevate a un paziente, sarebbero tossiche. I polifenoli devono essere assunti, a bassi dosaggi e in modo prolungato, nella dieta» . Le proprietà terapeutiche del miele vengono studiate un pó in tutto il mondo. In Nuova Zelanda le api, raccogliendo nettare da particolari cespugli (Leptosperum scoparium), producono il miele di Manuka: da un suo enzima si ricava perossido di idrogeno, antisettico con proprietà antibiotiche. «Il principio attivo di questo miele è un medicinale certificato, lo utilizziamo negli ospedali pubblici, ne fanno largo uso anche gli inglesi. Negli Stati Uniti ha ottenuto l'approvazione dalla Fda» racconta Peter Molan, ricercatore all'Università di Waikato, Nuova Zelanda. Agisce a contatto con i batteri, su ferite aperte e congiuntiviti, e funziona bene dove falliscono i comuni antibiotici. «In Italia c'è ancora l'idea che le sostanze ricavate dalle api si riducano al miele da sciogliere nel latte per il mal di gola» dice Raffaele Cirone della Federazione apicoltori. «Invece i benefici dei prodotti apistici sono numerosi: la pappa reale ha proprietà immunostimolanti; i propoli hanno funzione battericida; e il veleno del pungiglione viene usato come terapia nelle malattie reumatiche». AL Forum presenterà i risultati di una ricerca anche Ugo De Paula, dell'unità di radioterapia oncologica all'ospedale San Pietro di Roma: «Sciamo somministrando a un gruppo di pazienti un preparato a base di propoli in gel, per lenire alcune delle conseguenze della radioterapia, come mucositi ed eritemi. Non ci aspettiamo miracoli, la speranza è quella di migliorare la qualità della vita dei malati». _______________________________________________________ Il Giornale 6 Giu.’08 PIÙ SICUREZZA NEI TRAPIANTI Imazio Mormino Dopo le incertezze degli anni Ottanta, i trapianti d'organo hanno avuto in Italia un fortissimo rilancio. Oggi siamo al secondo posto in Europa, dopo la Spagna, con numeri di tutto rispetto. Nel corso del 2007, infatti, sono stati compiuti 1573 trapianti di rene, 1035 di fegato, 308 di cuore, 76 di pancreas ed oltre dodicimila trapianti di tessuti (cornea, cute, ossa). La Società italiana per la sicurezza e la qualità dei trapianti - presentata nei giorni scorsi a Roma - non si ripromette di incrementare questa rispettabile casistica ma di arricchirne i livelli di sicurezza e di qualità. con strategie che permettano di soddisfare le necessità dei pazienti in maniera ancora più efficace, con la collaborazione di associazioni attive nel settore come i donatori di sangue e di organi. Come ha spiegato il presidente della nuova società, Francesco Filippini, dell’università di Pisa, bisogna ridurre il più possibile tanto la frequenza quanto la gravità di eventi avversi che possano complicare quegli interventi. Il sistema trapianti, infatti, è un sistema ad alto rischio durante tutte le sue fasi: la scelta di un potenziale donatore, la valutazione di idoneità d'organo, il suo prelievo e la delicata operazione che ne assicura il reimpianto con i minori rischi possibili. Una ricerca dell’Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ha accertato nel 2007 che molti medici che operano in quest'area hanno avuto «eventi avversi». Per il professor Filippini bisogna quindi correggere alcune procedure, certificare l’intero processo assistenziale, valutare le diverse tecnologie, promuovere nuovi strumenti di formazione che permettano una più attenta valutazione dei rischi. L’integrazione tra l’attività, di ricerca sperimentale e la pratica clinica è indispensabile per migliorare qualità e sicurezza. Nel corso del suo primo convegno nazionale, che si terrà nella primavera del 2009, la nuova Società scientifica presenterà un Libro Bianco in cui proporrà un nuovo protocollo trapiantologico, più rigoroso di quello attuale, redatto con la collaborazione del Centro Nazionale Trapianti: protocollo che si ripromette di diffondere «una nuova pratica e una nuova cultura della sicurezza». Bisognerà anche potenziare l’attività di donazione. Oggi ci sono diecimila pazienti in attesa di un trapianto d'organo, ma gli interventi - nel corso di quest'anno - saranno poco più di tremila. Superando anche questa sfida, sarà possibile conquistare un prezioso traguardo fondamentale per la medicina e la società. _______________________________________________________ Repubblica 7 giu. ’08 FECONDAZIONE: NASCE IL MERCATO DEGLI OVOCITI DALL'EST IN VIAGGIO PER UN FIGLIO. E NASCE IL MERCATO DEGLI OVOCITI DALL'EST VLADIMIRO POLCHI ROMA. «AAA, ovocita vendesi a 200 euro». Un nuovo business si aggira per l'Europa: è quello del turismo procreativo e del mercato delle ovodonazioni a basso costo. Per le offerte più economiche, oggi si vola nei Paesi dell'Est. Ma la nuova frontiera delle terapie «low cost» è l'Africa: a Khartoum e a Cape Town con 200 dollari si fa una fecondazione in vitro. Per ora è un servizio pilota rivolto solo alle popolazioni locali. Eccoli dunque gli effetti collaterali della legge 4 0 del 2004. Eppure, a volte si va all'estero senza motivo: un terzo delle coppie «in viaggio» cerca infatti fuori confine quello che potrebbe fare legalmente in Italia. La colpa? Una legge confusa, il marketing aggressivo di molte cliniche straniere, ma anche gli accordi tra ginecologi italiani e laboratori esteri. Pochi dati bastano a fotografare il fenomeno: in Italia, circa il 10 d per cento della popolazione in età fertile ha un problema di salute riproduttiva. Trentamila coppie ricorrono dalle due alle quattro volte l'anno alla procreazione medicalmente assistita (Pma). Un bimbo su cento nasce proprio grazie a questa tecnica, tanto che oggi nel mondo sono oltre un milione di «figli della provetta». E ancora: almeno 60 mila coppie italiane si rivolgono ogni anno alle strutture sanitarie per diagnosi e cura della sterilità. Proprio di questa «dimensione popolare della riproduzione assistita» si occuperà un convegno internazionale (dal titolo Pop Art), che si terrà a Roma domani, 7 giugno. «Oggi si vanno a fare all'estero molti trattamenti consentiti e disponibili anche da noi» spiega Mauro Sehimberni, organizzatore del convegno e docente alla II facoltà di Medicina e chinirgia di Roma. «Circa il 33 per cento dei viaggi all'estero è immotivato: in Italia ci sono molti centri d'eccellenza nella riproduzione assistita, sia nel pubblico sia nel privato. Il problema è che mancano informazioni adeguate sulla legge 40, che vieta molto, ma non tutto. Certo, è proibita la donazione di ovociti e spermatozoi, così come il congelamento degli embrioni. Ma la fecondazione in vitro è consentita, così come la diagnosi preimpianto dell'embrione, grazie alle nuove linee guida approvate dall'ex ministro Livia Turco». Eppure sempre più coppie vanno all'estero: nel 2006, secondo l'Osservatorio sul turismo procreativo sono state 4.173. Prima della legge 40, erano in media mille l'anno. E così, nel 2007, oltre quaranta cliniche straniere hanno aperto sul web i loro siti in lingua italiana. In Spagna, oltre il 25 per cento delle strutture ha creato un sito nella nostra lingua. Le mete più ambite dalle coppie italiane? Spagna, Belgio, Grecia, Austria. Ma il «borsino» delle cliniche estere è in perenne oscillazione e molti sono i siti internet che forniscono consigli e indirizzi {www.cercounbimbo.net, oppure www.lucacoscioni.it). Non è tutto. Dietro al turismo procreativo si trovano sì un marketing efficiente e una legge confusa, ma «in forma minore» ammette Schimberni «anche accordi tra ginecologi italiani e centri esteri». E i costi? In Italia, come all'estero, il prezzo medio di una fecondazione in vitro è di 4/5 mila euro, ma almeno si risparmia sulle spese di viaggio. Capitolo a parte meritano invece i nuovi mercati dell'Est Europa, dove si assiste anche alla vendita di ovociti per 200 euro. «Formalmente sono donazioni » avverte Schimberni. Connesso alle tecniche di procreazione assistita è il problema dei parti gemellari e trigemellari •sul totale delle nascite dei figli in provetta (passati dal 22,7 per cento del 2003 al 24,3 del 2005), visto che in Italia, in base alla legge 40, c'è l'obbligo di impiantare tutti e tre gli embrioni fecondati. Le conseguenze? Nei parti trigemellari il 90 per cento dei nati pesa meno di tre chili e mezzo e più del 30 per cento pesa meno di un chilo e mezzo. Per questo, in Belgio il governo ha deciso di rimborsare i costi della fecondazione assistita alle coppie che accettano di trasferire un solo embrione. Come negli Usa, dove viene raccomandato ai medici di impiantare un solo embrione nelle mamme sotto i 35 anni d'età. Ma chi sono le coppie italiane che ricorrono alle tecniche riproduttive? L'identikit non è facile. «È in corso un cambiamento culturale» spiega la professoressa Monica Toraldo Di Francia, membro del comitato nazionale di Bioetica, «con un accesso di fasce sempre più ampie della popolazione alle tecniche di procreazione. Non solo coppie sterili, infatti, ma anche chi vuole evitare di trasmettere ai figli malattie genetiche gravi, ricorre oggi ai trattamenti». Secondo la Toraldo Di Francia, docente di bioetica a Firenze, inoltre, «la contraccezione prima e la fecondazione assistita poi, hanno ridefinito il confine tra caso e scelta. Ciò vuoi dire che la riproduzione non è più vissuta come un destino ineluttabile. La conseguenza positiva è il maturare di una maggiore responsabilità dei genitori e proprio per questo le leggi proibitive sono pericolosamente distruttive». Più in particolare la legge 40, «oltre a provocare un calo delle gravidanze dalla sua entrata in vigore (meno 3,6per cento, ndr), discrimina le coppie senza mezzi economici, che non possono volare all'estero. Oltretutto» conclude la Toraldo Di Francia «una visione strettamente proibizionista delle nuove tecniche delegittima la stessa legge, incentivando oggi chi vuole aggirarla». Foto: INCONTRO Sopra, l'ex ministro della Salute Livia Turco. Sotto, il manifesto del convegno sulla procreazione assistita, domani presso la Casa del cinema di Roma POP A.R.T. _______________________________________________________ Corriere della Sera 1 giu. ’08 LA COLONSCOPIA SOLTANTO VIRTUALE: UN NUOVO STUDIO NE PROVA L' EFFICACIA TUMORI IL NUOVO METODO, GIÀ PROMOSSO IN USA, ORA È STATO CONFERMATO DA UNA RICERCA ITALIANA L' esame forse più "temuto" da uomini e donne, che causa imbarazzi e fastidi tali da indurre molti pazienti a evitarlo o ritardarlo si è finalmente trasformato "ufficialmente": la colonscopia diventata virtuale è ora entrata, a tutti gli effetti, nell' elenco delle metodiche utili per la diagnosi di un tumore che in Italia ogni anno colpisce circa 17 mila persone. È stata infatti inserita nell' elenco del Cancer Institute americano e questa sorta di promozione ha dato all' indagine la piena cittadinanza tra i metodi diagnostici raccomandati. La colonscopia virtuale è una tecnica radiologica non invasiva che permette di visualizzare l' intero colon attraverso una Tac dell' addome dopo aver introdotto aria o anidride carbonica nell' intestino tramite una sottile sonda rettale. Le immagini vengono elaborate da un software che consente la ricostruzione del colon in 2 o 3 dimensioni. Il radiologo può così navigare alla ricerca di eventuali lesioni lungo le pareti. Polipi e tumori vengono individuati perché sporgono o riducono l' ampiezza della cavità e l' esame può essere determinante per scoprire in fase precoce un polipo che negli anni può trasformarsi in qualcosa di più pericoloso. Alfredo Siani, nuovo presidente della Società italiana di radiologia medica, la Sirm, che ha concluso a Roma il 47 congresso nazionale, ritiene che grazie a questa tecnica sarà possibile convincere quanti finora hanno nascosto la testa sotto la sabbia: «Chi ha familiarità con le poliposi, è già stato operato una prima volta o comunque desidera eseguire un controllo, ora può richiedere un tipo di esame meno invasivo, con le stesse potenzialità diagnostiche delle tecniche tradizionali». La colonscopia virtuale non è nuova, da diversi anni viene offerta come alternativa anche in Italia. Adesso ottiene la legittimazione anche grazie ad uno studio presentato al congresso romano, presieduto da Pasquale Marano, a capo del Comitato scientifico Lorenzo Bonomo. Lo studio Impact (Italian multicentre polyp accuracy Ctc study), patrocinato alla Sirm e dalla Sige (Società italiana di gastroenterologia), coordinato da Daniele Regge dell' Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo (Torino) e Giovanni Gandini dell' Università di Torino, ha coinvolto circa 930 volontari. Il sistema virtuale, è la conclusione, ha un' elevata accuratezza e potrebbe rappresentare una valida alternativa ai test proposti abitualmente nei progetti di screening (esame del sangue occulto, colonscopia tradizionale). Lo studio Impact ha dimostrato che viene individuato il 91 per cento dei tumori con diametro di almeno un centimetro. E in Piemonte, a partire dal prossimo anno, l' esame verrà proposto in alternativa alla tradizionale colonscopia negli screening della popolazione a rischio. De Bac Margherita