ATENEI E MIUR AI FERRI CORTI - UN ANNO DIFFICILE», PAROLA DI MISTRETTA - MISTRETTA: UN’UNIVERSITÀ FORTE NONOSTANTE I TAGLI - SI AL RECLUTAMENTO IN 2 FASI, PIÙ POTERE AI SINGOLI ATENEI - LE RIFORME CHE SERVONO - DIFFICILE VALUTARE I RISULTATI DELLE RICERCHE - ATENEI, ISOLDI NON C'ENTRANO - RETTORI DA BARRICATA - LA DOCENZA VA SEPARATA DALLA GESTIONE - GRASSINI: MENTONO PER DIFENDERE I PRIVILEGI - IN CALO LA SPESA PER L’ISTRUZIONE - ARRIVA IL COMITATO UNICO PER LA VALUTAZIONE SCIENTIFICA - PER LE LAUREE ONLINE IL «PUBBLICO» DOVE È? - ATENEI TELEMATICI IL MINISTERO NE VERIFICA L'IDONEITÀ - LA SAPIENZA ELEGGE FRATI, NUOVO RETTORE POCO MAGNIFICO - LA PROF CHE NON PUBBLICÒ UNA RIGA - ANALFABETA UN SARDO SU NOVE - IL PANE PER LA RICERCA - CONOSCENZA SINONIMO DI DEMOCRAZIA - IL DIRITTO E LA DIGNITÀ - LA NUOVA ERA DELL'OSSERVAZIONE - AURICOLARE DA «007» AGLI ESAMI GLI ATENEI: SCHERMARE LE AULE - SIENA, BUCO DI 80 MILIONI: L' UNIVERSITÀ ORA RISCHIA IL CRAC - ======================================================= ECCO IL PIANO PER PRIVATIZZARE LA SANITÀ - SANITÀ: LA SARDEGNA SPENDE PIÙ DELLA LOMBARDIA - INTRAMOENIA SELVAGGIA E TROPPI PRIMARI - SDO 2007: TROPPI RICOVERI ANCORA INAPPROPRIATI - TAR BARI:STIPENDI, DOCENTI «PARIFICATI» OSPEDALIERI - Aou: ORANO: LA MANAGER DELLA MEDIAZIONE - MONSERRATO: SALTA IL VETO SUL METRÒ PER GLI OSPEDALI - CURE SU MISURA SI CAMBIERÀ COSÌ - SIAMO TUTTI PAZIENTI DI INTERNET IL MEDICO VIRTUALE PIACE DI PIÙ - FARMACI RICERCHE TRUCCATE. PARAMETRI CAMBIATI. MALATTIE INVENTATE - LA MATEMATICA IN OSPEDALE - L'EFFICACIA DEI TRATTAMENTI CONTRO LA PSORIASI - SFIDA CONTINUA ALL'EPATITE - QUANDO FARE CILECCA A LETTO DIVENTA UNA FORTUNA - PSICHIATRIA COME SPERANZA - ARTRITE REUMATOIDE, IL PRIMATO DELLA SARDEGNA - LE CAUSE DEI CALCOLI ALLA CISTIFELLEA - VERSO LA SCONFITTA DELLA MENINGITE - ======================================================= ___________________________________________________________ ItaliaOggi 1 Ott. ‘08 ATENEI E MIUR AI FERRI CORTI Dopo il blocco delle lezioni, il sottosegretario Pizza non trova la mediazione Sui tagli ai finanziamenti è muro contro muro DI BENEDETTA P PACELLI Università e governo parlano due lingue diverse. Per il sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca scientifica Giuseppe Pizza la norma contenuta nella manovra economica che prevede la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato sarà la panacea di tutti i mali. Per i rettori, non solo la previsione è inutile ma, così come è formulata, servirà solo a disimpegnare progressivamente lo stato nei confronti del sistema pubblicò universitario. E mentre la protesta dilaga tra gli atenei che sono arrivati anche a bloccare le attività didattiche (si veda ItaliaOggi di ieri), si sta consumando un doppio strappo: da una parte il mondo accademico contro il governo, che a tratti conserva ancora l'appoggio dei rettori (o almeno di una parte), dall'altra, gli stessi magnifici accusati, invece, dagli organi di ateneo di tenere una linea troppo morbida nei confronti dei provvedimenti previsti per l'università. Nessuno nega, da parte del Miur, che i tagli ci sono stati e saranno pesanti per una realtà già priva di risorse, ma la risposta al problema è semplice per il sottosegretario Giuseppe Pizza, ed è contenuta appunto in quella norma, oggetto del contendere, che prevede che gli atenei possano trasformarsi in fondazioni di diritto privato acquisendo la proprietà dei beni immobili in uso dall'Agenzia del demanio e con una totale autonomia gestionale, organizzativa e contabile. Una strada questa che per Pizza potrebbe rimettere veramente in pista il sistema universitario e restituirgli competitività. E a chi invece ritiene che questo penalizzerebbe le università del Sud rispetto a quelle del Nord inserite in un tessuto economico produttivo dove la fondazione potrebbe attingere a piene mani, Pizza risponde che il Mezzogiorno può rispondere con la carta della ricerca: «Il Mezzogiorno dovrebbe essere riqualificato e ritornare al centro, soprattutto nel settore del la ricerca dove si investe solo l’1,16% del pil». Insomma per il sottosegretario di Piazzale Kennedy qualcosa deve essere modificato per costruire una nuova università, rivolta a premiare le eccellenze e favorire la ricerca. È inutile negarlo: la situazione è estremamente grave e molti atenei dovranno fare i conti con i tagli di bilancio. Prendere coscienza del problema non vuol dire, però, per Pizza, penalizzare tutte le università, ma ridistribuire in maniera oculata i fondi. E qui rientra in gioco il problema della valutazione che, fa sapere, è tra le priorità del ministero. Ma è lo stesso sistema universitario ad essere profondamente in crisi: «Il problema», ha spiegato ancora, «è anche capire se vogliamo un'università per gli studenti o per i professori. Oggi in Italia c'è un proliferare di piccoli atenei, per non parlare dei corsi di laurea dai nomi più stravaganti e inutili. Ormai ogni città, piccola o grande che sia, ha la sua università. Io credo, invece, che le facoltà servano a preparare gli studenti e debbano essere fortemente formative. Per questo, d'ora in poi, verranno premiate solo le eccellenze e le università che si trasformeranno in fondazioni per costruire un nuovo rapporto con i privati». ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 Sett. ‘08 UN ANNO DIFFICILE», PAROLA DI MISTRETTA Nel messaggio agli studenti, il rettore critica il taglio dei finanziamenti di Sabrina Zedda CAGLIARI. ‹‹Io vi do lingua e sapienza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere››. Ha scelto una frase dell’evanagelista Luca, il rettore Pasquale Mistretta per aprire il suo discorso di saluto agli studenti alla vigilia del nuovo anno accademico. È un discorso improntato all’ottimismo, ma in cui il rettore, al suo ultimo mandato, non ha potuto fare a meno di ricordare le difficoltà attuali. Sarà un anno difficile dopo i tagli decisi dal governo Berlusconi. ‹‹Se la scelta della facoltà e del corso di laurea che avete fatto è ponderata - scrive Mistretta - sarà gratificante immergervi in questa difficile ma affascinante scommessa. Un viaggio che farete guardando a voi stessi e a quanti dividono con voi momenti di felicità e dipreoccupazione per il vostro futuro inserimento nel mondo del lavoro. A tal punto, tutti gli “avversari”, virtuali e reali che vi contrastano, potranno essere sconfitti per consentirvi di affrontare con maggiori certezze le complessità della vita››. Dopo aver sottolineato come il momento dei saluti debba essere una ‹‹occasione che invita all’ottimismo, fondato sulla concretezza e positività della nostra Università››, Pasquale Mistretta ha voluto sottolineare come stavolta sia presente un’ombra. Si tratta dei ‹‹fattori che interagiscono e condizionano le attività della didattica, della ricerca e dei servizi››. Un condizionamento, ha spiegato il rettore, ‹‹dovuto al contesto legislativo e alle esigue risorse finanziarie di cui disponiamo››. Lo scenario descritto è quello che ormai tutti conoscono, frutto di un lavoro di demolizione della cultura fatto dall’attuale governo per stringere i cordoni della spesa: programmi di ridimensionamento dell’offerta formativa, di contrazione del corpo docente e dei ricercatori, di riduzione del personale tecnico e amministrativo. ‹‹Tutto ciò avrà senza dubbio una seria ricaduta sul numero dei corsi attivati››, ammette Pasquale Mistretta. Aggiungendo come tuttavia nonostante le evidenti difficioltà ‹‹dobbiamo e vogliamo garantire la qualità e l’efficacia finalizzate al conseguimento di una laurea che continui ad avere alto valore aggiunto in Italia e all’estero››. Per finire, un’altra citazione che forse non è indirizzata soltanto agli studenti ma anche a chi governa. La frase è di Martin Luther King: ‹‹Intelligenza e personalità, questo è lo scopo della vera istruzione››. Poche parole, ma impregante di significati profondi. L’anno accademico sta per cominciare e sarà - dicono le previsioni - uno dei più difficili. Con pochi soldi in cassa, sarà davvero difficile andare lontano. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Sett. ‘08 MISTRETTA: UN’UNIVERSITÀ FORTE NONOSTANTE I TAGLI PASQUALE MISTRETTA *WW Colgo l’occasione dell’inizio dell’anno accademico 2008/2009 per salutare voi studenti con una frase dell’Evangelista Luca particolarmente significativa: «Io vi dò lingua e sapienza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere». È una frase che consente molte chiavi di lettura su cui riflettere: Sapienza come grande scienza, dottrina, profondo sapere. Sapienza come saggezza, prudenza, senso dell’operare sul piano etico. Sapienza come perfezione intellettuale e comportamento. Di fatto, una sapienza trasversale e strettamente integrata con la Lingua che costituisce la missione centrale dell’Università intesa quale istituto di alta formazione. Alcune di queste interpretazioni, se riferite a voi giovani studenti, forse possono apparire premature, troppo impegnative o astrattamente scontate. Ma non è così. Infatti, il riflettere su questi temi aiuta a capire in che modo la scelta universitaria e gli obiettivi a cui tendete possono essere coerenti con la vostra identità e con i percorsi formativi che avete finora costruito. Inoltre, potrete focalizzare meglio la vera essenza della formazione universitaria pur senza sottovalutare altri aspetti, altrettanto importanti sotto il profilo culturale e intellettuale. Dunque, se la scelta della Facoltà e del Corso di laurea che avete fatto è ponderata, sarà gratificante immergervi in questa difficile ma affascinante scommessa. Un viaggio che farete guardando a voi stessi e a quanti dividono con voi momenti di felicità e di preoccupazione per il vostro futuro inserimento nel mondo del lavoro.A tal punto, tutti gli “avversari”, virtuali e reali che vi contrastano potranno essere sconfitti per consentirvi di affrontare con maggiori certezze le complessità della vita. In questa piacevole occasione che invita all’ottimismo, fondato sulla concretezza e positività della nostra Università, devo tuttavia accennare ai fattori che interagiscono e condizionano le attività della didattica, della ricerca e dei servizi. Un condizionamento dovuto al contesto legislativo e alle esigue risorse finanziarie di cui disponiamo. Come ormai tutti sanno, e voi studenti in modo particolare, il quadro che si prospetta per l’Università italiana è molto critico, perché presenta scenari con programmi di ridimensionamento dell’offerta formativa, di contrazione del corpo docente e dei ricercatori, di riduzione del personale tecnico e amministrativo. Tutto ciò avrà senza dubbio una seria ricaduta sul numero dei corsi attivati che, tuttavia, dobbiamo e vogliamo garantire confermandone la qualità e l’efficacia finalizzate al conseguimento di una laurea con alto valore aggiunto in Italia e all’estero. Sotto questo aspetto alcune significative esperienze, sempre più consolidate, che vedono i nostri laureati inseriti in laboratori di ricerca, in aziende private, in enti pubblici nell’Europa e nel mondo, ci confortano. Così come ci rendono merito i risultati che il nostro Ateneo sta conquistando sul piano internazionale, attraendo ricercatori di altri Paesi, compresi la Cina e l’India. Tralascio volutamente di soffermarmi sulle raccomandazioni che vengono fatte agli studenti all’inizio di una nuova esperienza. Avrete modo di fare amicizia con i vostri colleghi più anziani e di valutare la disponibilità e l’impegno dei Presidi di facoltà, dei Professori, del Personale che garantisce i servizi delle presidenze, delle segreterie studenti, delle biblioteche. In altri termini, di sentirvi subito parte integrante e vitale delle Facoltà e di cogliere la positività delle relazioni umane che possono arricchire di contenuti lo studio e l’apprendimento. Mi piace concludere questo messaggio augurale con una frase di Martin Luther King: “Intelligenza e personalità, questo è lo scopo della vera istruzione”. Non credo sia necessario, a questo punto, che mi soffermi sul valore del messaggio che esprime. Sono parole talmente chiare, e nella loro sintesi significativamente incisive, perché ognuno di voi studenti, nel leggerle, possa ritrovarsi pienamente. Sono certo infatti del vostro acume intellettuale. Ed altrettanto della capacità della nostra Università di imprimervi quella compiuta formazione, necessaria per consentire ad ognuno di voi di esprimere una personalità vincente di cui la nostra Isola ha assolutamente bisogno. * Rettore dell’Università ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Sett. ‘08 SI AL RECLUTAMENTO IN 2 FASI, PIÙ POTERE AI SINGOLI ATENEI Alessia Tripodi ROMA Il meccanismo dei concorsi per i professori universitari è da rifare. E per garantire la trasparenza è necessario dare più potere agli atenei. È la ricetta per il cambiamento secondo Renato Lauro, preside della facoltà di Medicina dell'università di Roma "Tor Vergata", il quale giudica "tempestiva" la proposta di riforma del sistema di reclutamento avanzata dalia Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) nella mozione approvata giovedì scorso: «Il suggerimento dei rettori della Crui di istituire un sistema di reclutamento in due fasi è assolutamente tempestivo - spiega il preside Lauro- e il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini dovrebbe,intervenire il più velocemente possibile per risolvere una situazione che appare molto,confusa». Lauro fa notare, infatti, che attualmente le università sono costrette a bandire i concorsi secondo una vecchia normativa «che è stata abrogata e poi ripristinata e che, soprattutto, è stata condannata da tutti». La confusione nella quale gli atenei italiani sono ora costretti a lavorare nasce dalla mancata attuazione della legge Moratti (n. 230 del 2005), che riformò lo stato giuridico dei professori universitari. «Sebbène ancora in vigore - dice Lauro - la legge Moratti non è applicata e la proposta di riforma elaborata successivamente dall'ex ministro, Fabio Mussi non ha passato il vaglio della Corte dei Conti. Attualmente, quindi, i concorsi si svolgono ancora a livello locale, con una commissione nazionale e un membro interno»: Una situazione che, seconda il preside, «determina irritazione e disorientamento, sia tra quelli che aspettano di sottoporsi alle prove di valutazione, sia tra gli stessi docenti. Non ci sono regole - ha aggiunto - e quando mancano le regole nascono i problemi». Il reclutamento in due fasi - un livello nazionale e uno locale - appare; secondo Lauro, la soluzione più giusta, anche perché «la valutazione locale rappresenta un valido strumento per responsabilizzare l'ateneo e garantire, quindi, la trasparenza dei concorsi». La proposta avanzata dai rettori prevede un sistema articolato in due tempi: un primo step di valutazione e abilitazione scientifica a livello nazionale è un secondo attribuito alla responsabilità della sede universitaria che bandisce il concorso, secondo «comportamenti vincolati a regole di trasparenza e irreprensibilità», si legge nel testo della Crui. A queste regole, però, vanno affiancate - osserva Lauro -, «azioni'di valutazione delle scelte fatte dagli atenei e conseguenti sanzioni di carattere finanziario in caso di giudizi negativi», perché solo «se c'è la penalizzazione delle scelte negative si può combattere la mancanza di trasparenza nelle selezioni». Lauro ricorda, a questo proposito, la proposta avanzata da Mussi, che nel testo di riforma dei concorsi per i ricercatori - presentato nel 2007 - aveva previsto verifiche della qualità del reclutamento e, in caso di esito negativo, la sottrazione all'ateneo dell'ammontare dello stipendio del docente. Un avalutazione che, nello schema elaborato dall'ex ministro, doveva essere affidata all'Anvur, l'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca più volte annunciata e mai attivata. Anche l'idea di creare una figura di ricercatore a tempo de terminato è per Lauro «una proposta valida, una soluzione per tutti coloro che hanno concluse il dottorato e che, attualmente, non sono gratificati né dal punto di vista normativo né sul piano della retribuzione».'L'introduzione di questa figura garantirebbe; dunque, un trattamento più adeguato, per portare poi i giovani verso l’inquadramento a tempo indeterminato. “È giusto che ci sia una fase transitoria preliminare all'entrata in pieno titolo», sottolinea il preside, aggiungendo che «in passate esisteva la possibilità di trasferire in altre posizioni, seppur con pari dignità di inquadramento e di stipendio, gli assistenti universitari che avessero ricevute una valutazione negativa de: proprio lavoro». io la mozione approvata dalla Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) il 25 settembre propone per i professori universitari uno schema di reclutamento in due tempi: una prima fase di abilitazione scientifica dei candidati a livello nazionale e una seconda fase a livello locale. Modello da estendere anche ai ricercatori, peri quali andrà definita un'ulteriore figura a tempo determinato «sostitutiva delle attuali posizioni post doc». * I rettori chiedono inoltre di rivedere la Finanziaria (che per il2010 prevede una diminuzione del Fondo di finanziamento ordinario di 700 milioni): vanno garantite «la copertura degli incrementi retributivi automatici del personale» e la «restituzione progressiva al sistema universitario delle risorse ricavate dai tagli previsti». ___________________________________________________________ Libero 3 ott. ’08 LE RIFORME CHE SERVONO Valore legale del titolo di studio, docenti vecchi e poco merito: gli atenei in ritardo di decenni CLAUDIOANTONELLI I dati Ocse mostrano che la crisi dell'università italiana è strutturale e non solo congiunturale. Ha origini lontane. A volte sembra quasi miracoloso che questa stessa università abbia continuato a sopravvivere nonostante le confusioni legislative, la riforma Berlinguer e i problemi che si trascina da oltre 25 anni. BILANCIO Se si misura la spesa totale per la formazione universitaria rispetto al Pil, si vede che il nostro Paese occupa l'ultimo posto con l0 0,9% a fronte di un valore medio dell' 1,3% nei 19 Paesi Ue. In termini assoluti la differenza tra la media europea e il dato italiano corrisponde a circa 5,5 miliardi di euro mancanti sui bilanci delle università, a fronte dei 7,4 miliardi dell'intero finanziamento ordinario statale annuo. Il problema sta nel fatto che questi soldi vengono spesi molto male. VALORE LEGALE Oggi un'università vale l'altra: i fondi arrivano in base al numero di studenti iscritti e non alla qualità del servizio e dell'istruzione. Abolendo il valore legale del titolo di studio si spingerebbe le università a farsi concorrenza tra loro e migliorare la qualità dei corsi. Senza il valore legale non si è più dottori qualunque, ma laureati presso una determinata università e questo potrebbe valere ai fini delle opportunità lavorative. I singoli atenei dovrebbero quindi essere lasciati liberi: di stabilire con larga discrezionalità i contenuti dei corsi di laurea; di fissare l'importo delle proprie tasse d'iscrizione; di modulare opportunamente le retribuzioni dei docenti sulla base del loro valore nonché delle proprie necessità e dei propri obiettiva, restando beninteso stabilito un plafond minimo nazionale; disporre dei fondi del diritto allo studio che attualmente sono gestiti dalle Regioni e che gravano sui bilanci. MERITOCRAZIA Gli atenei hanno bisogno di elaborare strategie complesse che l’attuale sistema di governo accademico, a causa della sua debolezza e limitatezza, ben difficilmente è in grado di assicurare. Un potere debole è un potere costretto continuamente a contrattare, a cercare di soddisfare tutti gli interessi, dunque incapace di allocare efficacemente le risorse. E di promuovere in base ai meriti. DOCENTI ANZIANI Gli italiani diventano invece docenti per anzianità e quando ormai sono vicini alla pensione. 36.633 sono i docenti di ruolo; 21.000 sono i ricercatori. Di questi più di mille sono ultra sessantenni. 7.600 ultracinquantenni. 6.500 sono tra i quaranta e i cinquanta anni. solo 200 sono sotto i trent'anni. Entro il2020 andranno in pensione, raggiunti i 70 anni, circa23.000 docenti di ruolo- e, precisamente, 13.977 ordinari e 9.977 associati. Di conseguenza, il problema di trovare un buon sistema per il reclutamento dei docenti è fondamentale per il futuro dell'università. Questa vetus6tà rallenta invece l’intero sistema e lo allontana sempre più dalle università americane o della Gran Bretagna. Numerosi docenti e anche molti studenti italiani chiedono da tempo interventi di modernizzazione nella speranza di guadagnare un po' del terreno perduto nei confronti dell'Europa. E i tempi sono drammaticamente maturi per fornire a tutti lezioni in inglese come succede negli altri Paesi Ue. EUROPALONTANA Ultima questione che si dibatte da oltre 10 anni: privato o pubblico? Feroci detrattori si scagliano contro le università private eppure in termini di qualità e riconoscimenti sono sempre qualche passo avanti a quelle pubbliche. In materie economiche, Bocconi e Luiss sono capofila. La Luiss risulta essere il miglior ateneo per quanto riguarda giurisprudenza e scienze politiche. AI secondo posto, per giurisprudenza, c'è la Cattolica di Milano, che fra le università private è quella forse con la tradizione più lunga, e che si aggiudica altri ottimi piazzamenti: lettere, medicina, lingue. E i dati sono del Censis. Forse la riforma universitaria dovrebbe partire proprio da questi dati. COMPARTO A RISCHIO L'università italiana è in pesante sottofinanziamento rispetto alla media degli Stati europei. I nostri atenei soffrono sia per quanto riguarda il finanziamento pubblico sia per quanto riguarda le sovvenzioni private alle università. Tremonti e Gelmini hanno avviato la possibilità di trasformare gli atenei in Fondazioni per agevolare i finanziamenti. La proposta però non ha trovato l'assenso della Conferenza dei Rettori italiani. Chi guida gli atenei non ritiene questa possibilità compatibile con l'ordinamento italiano. LA PROTESTA DEI BARONI «Contro il governo fermiamo l’universitàh ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 ott. ’08 ATENEI, ISOLDI NON C'ENTRANO I rettori lamentano di essere sottofinanziati, invece spendono male La qualità dell'insegnamento favorita solo dalla concorrenza Un libro-analisi di Roberto Perotti sul malcostume accademico Azione dei migliori centri di eccellenza passaggi obbligati restituire competitività al sistema italiano - L'esempio Usa di Alberto Alesina E’ difficile trovare nello stesso libro un giornalismo investigativo, un'analisi rigorosa di un'istituzione complessa come l'università e delle proposte concrete per riformarla. È quello che riesce a fare Roberto Perotti con il suo agile e leggibilissimo volume L'università truccata. Le tesi del libro sono forti. Prima di tutto l'università pubblica in Italia è in condizioni pessime, ancora peggiori di quanto si creda comunemente. L'autore presenta una valanga di dati e descrive dei casi clamorosi. Non vi racconto del Dipartimento di economia dell'Università di Bari per non rovinarvi il piacere (si fa per dire) della lettura. La mancanza di meritocrazia è il colpevole. Risultato: concorsi che premiano non i migliori ma i più "introdotti" e i più vicini alle commissioni. Ricorsi al tribunale, blocchi di assunzioni, corsi e ricorsi, concorsi annullati. Con una tenacia straordinaria fautore ricostruisce le più complicate connessioni tra commissioni, premiati, bocciati e promossi. Certe vicende fanno rabbrividire il lettore. La prima tesi del libro è che si continua a pensare a come riformare gli atenei nel modo sbagliato, ovvero in termini di più regole e più soldi. Un ministro dopo l’altro hanno fatto varie riforme dell'università senza intaccarne minimamente i problemi. Prima i concorsi nazionali, poi quelli locali, poi nazionali ancora. Due o tre idoneità per ogni concorso, il 3 più 2 o il 4 più 0. Tutto inutile, dice Perotti, e ha ragione. Ogni regola può esser aggirata se l'obiettivo non è la meritocrazia ma il "trucco". La buona ricerca e il buon insegnamento non s'impongono con delle regole ma con la concorrenza fra gli atenei e premiando quelli migliori. Il secondo punto ancora più controverso è che la mancanza di soldi non è un vero problema. I rettori, appena possono, lamentano di essere sottofinanziati ma, dati alla mano, fautore dimostra che i fondi delle università inglesi, le migliori d'Europa, sono circa uguali a quelle delle università italiane, che secondo le classifiche sono tra le peggiori. Il fatto è che i soldi in Italia sono spesi male per seguire le regole, non il merito. Per esempio, ci sono ricercatori bravi che pubblicano e insegnano pagati pochissimo, e professori anziani che non pubblicano una ricerca da decenni e assenteisti pagati con salari simili a quelli di molte università inglesi o americane. Il tutto in relazione all'anzianità, nulla o quasi al merito. Differenze salariali anche molto forti basate sul merito a parità di anzianità? Esattamente ciò che avviene nelle università americane: un'eresia nel sistema italiano. Certo, c'è chi fa buona ' ricerca in questo sistema, ma perché non premiarlo? Parafrasando Galileo, perché l'università ha ancora bisogno di eroi? Le proposte per una riforma ne conseguono logicamente. Favorire la concorrenza fra le università. Spostare il finanziamento dal contribuente all'utente cosicché quest'ultimo esiga un servizio adeguato e paghi le rette agli atenei che offrono un servizio e una ricerca migliori. Favorire la formazione di centri d'eccellenza, che per definizione non possono essere decine, ma si devono contare sulla punta di una o due mani al massimo. Borse di studio,basate su merito e reddito che possano garantire anche ai meno abbienti l'accesso all'università. Invece il sistema attuale, come dimostra Perotti, non produce né eccellenza né uguaglianza perché sono sempre i più ricchi a frequentare gli atenei. Che cosa manca nel libro? Forse un riconoscimento di come si possa sopravvivere e fare buona ricerca anche oggi, di come non tutti i dipartimenti siano "truccati", come si legge nel titolo del volume. Presentare un caso opposto a quello di Bari sarebbe stato utile e anche qualche suggerimento più concreto per gestire la transizione dal vecchio di oggi al nuovo di domani. Ma sono peccati veniali, il libro va letto da chiunque abbia a cuore il futuro del capitale umano di questo Paese. È un momento importante per la scuola e le università in Italia. Se ne parla e se ne scrive molto. È nato a Genova l'Istituto italiano di tecnologia che sta andando a gonfie vele. La Bocconi sta facendo grossi progressi e alcuni dei suoi centri, come l’Igier, sono ormai saldamente inseriti nel panorama internazionale delle eccellenze. L'Istituto Carlo Alberto di Torino, fImt di Lucca, l'Ente Einaudi di Roma sono altri ottimi esempi nel campo dell'economia, quello che conosco meglio. Che sia la volta buona per metter davvero le mani nel cuore del problema? Forse sì, perché l'opinione pubblica sta cominciando davvero a rendersi conto della gravità del sistema universitario, grazie anche al lavoro di Roberto Perotti. aalesina@harvard.edu ____________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 4 ott. ’08 DIFFICILE VALUTARE I RISULTATI DELLE RICERCHE Sul Corriere del 1 ottobre Federico Fubini inchioda, con arguta spietatezza, alcuni acclamati premi Nobel per l'Economia alle loro cantonate scientifiche _ in merito alle metodologie finanziarie di triste attualità, grazie alle quali, peraltro, hanno ricevuto negli anni scorsi l'ambito riconoscimento (con annesso premio in denaro, poca roba per gli habitué delle stock option, ma non per la sottopagata categoria degli scienziati). La panoramica di Fubini potrebbe essere forse completata con l'altra metà della storia, andando a riscoprire le analisi (magari pubblicate su riviste scientifiche di scarso impatto) dei foro colleghi che allora andavano controcorrente rispetto agli orientamenti prevalenti. Come ricercatore, non fio potuto non collegare questa divertita e divertente analisi alle crescenti pretese dì agganciare meccanicamente le carriere e i livelli salariali dei docenti e dei ricercatori accademici alla «qualità» dei risultati conseguiti nelle loro ricerche. I sostenitori di questo orientamento dovrebbero cogliere occasioni come questa per riflettere sul fato che valutare ì risultati della ricerca scientifica è operazione difficile, se non impossibile, soprattutto nel breve termine. E se lo è per i paludati membri della Reale Accademia delle Scienze svedese, non dubiterei che lo sia anche per commissioni o sub commissioni ministeriali o accademiche_ II successo immediato di un «prodotto scientifico» è spesso legato a fattori ideologici o di moda (non solo nelle discipline economiche, dove la cosa è più evidente, ma anche in quelle fisiche e naturali), oltre che, e non secondariamente, alla capacità o volontà dell'autore di saperlo vendere, E quando, alla distanza, magari emerge la reale portata di una analisi, di una teoria o di una scoperta, è spesso troppo tardi per ristabilire meriti e valori relativi. Andrea Ciocioli Dipàrtimento di Chimica, Università Sapienza di Roma - ___________________________________________________________ Libero 3 ott. ’08 RETTORI DA BARRICATA Niente lezioni né corsi. Tutti a protestare contro il governo. Applausi dai soliti firmaioli di sinistra di OSCAR GIANNINO A che cosa servono, scuola e università? Una persona di modesto buon senso risponde: a formare al meglio gli studenti. In Italia la risposta è un'altra: servono a chi vi ha un impiego. Sono un ammortizzatore sociale. Da quando nelle scuole primarie è proliferata la moltiplicazione dei maestri. E da quando, decenni prima, per consenso politico e sindacale nelle università italiane furono inventate figure che altrove non erano mai esistite, come i borsisti e i contrattisti. Da inserire in cattedra ope legis e non per merito, ogni fine legislatura per lucrarne i voti, dopo anni di precariato a quattro soldi. Si può immaginare con quali risultati, sull'offerta educativa. Quelli attestati da tutte le graduatorie internazionali di qualità comparata dei titoli di studio, nelle quali la nostra scuola e università sono in posizioni esecrabili. Ho premesso l'elementare considerazione perché, appunto; è di buon senso. La possono comprendere e condividere tutti. Anche se magari l'università non l'hanno frequentata, visto che restiamo il Paese avanzato col più basso numero di laureati. Invece il rettore di Padova, il professor Umberto Curi, e i firmatari del suo appello diffuso da Repubblica come Alberto Asor Rosa e Gianni Vattimo, propongono che i rettori non inaugurino l'anno accademico. Stop. Niente lezioni, né corsi. Tutti sulle barricate, contro il governo Berlusconi. Non bastavano maestri e maestre che si fanno scudo di incolpevoli ragazzini, e li fanno sfilare come scudi umani contro il ministro Gelmini. Largo al rettore barricadero. (...) Ci mancava anche questa, nella pittoresca galleria della militanza politica che travalica e calpesta ogni senso delle istituzioni e dello Stato. Per ora siamo sole a un appello, di arcinoti accademicì che non hanno mai fatto mistero della propria fiera natura "antagonista", rispetto all'Italia moderata che ha il torto di ben sopportare Berlusconi. Ma le Università nella storia si sono rivelate spesso ambienti infiammabili, in cui una protesta isolata diventa movimento prima, poi talora moto di piazza. Per questo abbiamo deciso di prendere l'appello dei barricaderi sul serio. Non ci interessa qui armare un contrasto aspro e diretto con i firmatari, perché tanto non li convinceremmo, delle buone intenzioni di Berlusconi e della Gelmini, di Tremonti e di Brunetta, i responsabili dei provvedimenti contro i quali essi invocano la sospensione dell'anno accademico. Preferiamo invece rivolgerci al grande corpo dei 36 mila docenti universitari italiani, metà ordinari e metà associati. La stragrande maggioranza di loro ha ottime ragioni, per essere insoddisfatta dei mezzi didattici a disposizione, della fatiscenza delle strutture, dell'affollamento delle sedi malgrado la loro folle moltiplicazione sull'intero territorio italiano, anch'essa avvenuta per moltiplicare insegnamenti e corsi, dunque posti dì lavoro. I concorsi Moltissimi di loro considerano scandaloso il meccanismo con cui dal 1999 a oggi sono stati banditi i concorsi, con il meccanismo delle terne di idoneità a prevalenza "locale", che non solo ha accresciuto di oltre il50% il numero degli ordinari ma ha soprattutto favorito non certo il merito, male "cordate" locali sostenute da quelli che un tempo si sarebbero chiamate baronie accademiche, e che oggi a mala pena sono valvassori e valvassini. È possibile mai che la stragrande maggioranza di tali docenti continui a restare in silenzio, a fronte delle fughe in avanti barricadere di minoranze di agitatori organizzati? Purtroppo, la prassi dice che è così. Quest'estate, per esempio, la Crui, la Conferenza dei rettori di tutte le università italiane, ha bocciato all'unanimità la facoltà offerta di trasformare le università in fondazioni di diritto privato. Ripeto: facoltà, non obbligo. Secondo il decreto legge 112/2008, quello che ha anticipato la finanziaria, ogni università pubblica a maggioranza assoluta del Senato accademico potrà deliberare la propria trasformazione in fondazione di diritto privato. Senza far decadere in nulla il principio costituzionale del finanziamento pubblico. Ma, come fondazione, accrescendo verticalmente la propria autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria. Acquisendo il diritto a contributi e liberalità private sulle quali è stata prevista la totale esenzione fiscale, da tasse, imposte e diritti dovuti a qualunque titolo da parte dei soggetti eroganti, con piena deducibilità dalle dichiarazioni dei redditi. Fondazioni? No grazie Senonché a tale opportunità - offerta a tutti coloro che vogliano accettare la sfida di una maggior qualità - la Conferenza dei rettori ha detto "no grazie". Questo è l'orrendo modello americano, hanno detto. Noi siamo per l'omogeneità di inquadramento e per retribuzioni eguali per tutti. E per più risorse del contribuente per tutti. A chi fa presente che la festa è finita e la spesa pubblica va tagliata, a maggior ragione se offre servizi tanto inadeguati, la risposta è «siete come Goebbels e Goering, se sentite odor d'intellettuale mettete mano alle pistole». Non voglio credere che possa avvenire anche per sospendere l'anno accademico. Ma il rischio c'è. Solo se altre voci di docenti si faranno sentire con forza, potremo un giorno interrompere la lunga deriva che confonde una cattedra con un palco da comizio. Ma chissà, forse sbagliamo noi. I rettori barricaderi non fanno leva su leninismi di ritorno. Più semplicemente sul "tengo famiglia", l’eterno particolarismo di chi, pensando a se stesso, respinge l'efficienza come fine generale. E il tengo famiglia è maggioritario eccome, nel nostro Paese. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 ott. ’08 LA DOCENZA VA SEPARATA DALLA GESTIONE Nuova governance di Giovanni Puglisi * Un tema di università occorre fare un po' di chiarezza su almeno due questioni nodali. L'università non è e non può essere materia di scontro politico fra parti o, peggio fazioni, trattandosi di qualcosa di strategico, a livello istituzionale, per lo sviluppo sociale ed economico del Paese. Un po' come dovrebbero essere la cultura, la giustizia o l'ambiente. Qualunque iniziativa riformatrice dell'università deve essere rigorosamente separata dalle questioni di carriera del personale, sia in servizio, che da reclutare. Ha ragione il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a richiamare oggi al senso di responsabilità tutte le forze politiche e sociali, ribadendo la necessità di costruire percorsi condivisi, oltre le barriere delle ideologie e degli schieramenti, su alcuni temi, come proprio la scuola, l'università e la ricerca È giunto il momento di scegliere, in termini etici, la dimensione da dare alle politiche universitarie e di ricerca nel nostro Paese. E questa scelta spetta per intero al Governo e al Parlamento. Un esempio per comprendere a pieno il senso di questa affermazione. La Finlandia, alcuni anni fa, sulla soglia dell'azzeramento delle possibilità di sviluppo della sua economia, scelse la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica come grimaldello per la crescita e lo sviluppo sostenibile, in un momento vitale per la sua sopravvivenza. Fu una scelta strategica e vincente: ricerca e innovazione diventarono la cifra dell'economia e degli investimenti della Finlandia, sia per l'incidenza sul Pil, sia per la lungimiranza dell'intuizione politica. Una piccola azienda di provincia divenne, poco alla volta, un brande una strategia vincente del e per il Paese: l'economia volò, la ricchezza pure e ciò che prima era un'attività margìnale di provincia divenne l’icona del prestigio e della ricchezza nazionale. L'università e la scuola in Finlandia sono oggi un luogo privilegiato per valore e prestigio, fiore all'occhiello del Governo e del Parlamento, orgoglio dei giovani e della società. In Finlandia, la spesa per l'istruzione e la ricerca è diventata il principale investimento. Nel nostro Paese fare qualcosa di simile e sembra ad oggi impossibile: una cosa è però certa, un'azione del genere passa attraverso una piena presa di coscienza e di responsabilità di tutti i protagonisti, politici e accademici. Non è, infatti, pensabile mescolare la necessaria spinta riformatrice, di cui l'università italiana ha bisogno, con le questioni del suo personale. Le riforme di questi decenni, in verità più tentate ché fatte, si sono bruciate tutte sulle questioni riguardanti i temi del reclutamento, del,precariato e dello sviluppo di carriera del personale, soprattutto docente. La provocazione di Giuliano Amato, nel '93, di concedere l'autonomia anche finanziaria agli atenei ha mostrato la corda quando si è incrociata con la delega agli stessi destinatari delle risorse del potere di deciderne sia l'allocazione, sia la gestione quotidiana, senza rischi o penalità. Qualunque riforma deve essere separata rigorosamente dalle questioni del personale docente, anzi, fra le sue prime aree di intervento, deve considerare la revisione della governance degli atenei, liberando i docenti da oneri di gestione amministrativa e attribuendo alla valutazione, anche dei risultati dell'attività didattica e di ricerca, una valenza discriminante per l’allocazione delle risorse future, avvalendosi perciò di una struttura del tutto indipendente dall'accademia e soprattutto dai suoi "baroni", dichiarati o travestiti. Il resto segue, anche se con molta fatica. Sarà capace questa classe politica di sopravanzare il secolare potere accademico? t questa la posta in gioco. * Rettore dello lulm di Milano ___________________________________________________________ Libero 3 ott. ’08 GRASSINI: MENTONO PER DIFENDERE I PRIVILEGI MA TAGLIARE É L'UNICA SOLUZIONE» LESSANDRO GNOCCHI Maurizio Grassini insegna Economia politica alla facoltà di Scienze politiche dell'università di Firenze. Da anni si occupa dei problemi dell'università. A lui chiediamo di commentare l'appello ai Rettori dei docenti contrari alle novità introdotte dal governo. Tra i firmatari, nomi molto noti come Gianni Vattimo, Alberto Asor Rosa, Umberto Curi, Angelo D'Orsi. Professore, sbagliano i suoi colleghi a battersi contro la privatizzazione degli atenei? «Mentono sapendo di mentire. Questo appello vergognoso nasconde il vero oggetto della contesa: il modello di governo da adottare negli atenei. I professori sono abituati a fare il brutto e il cattivo tempo a spese dei contribuenti, e hanno paura di perdere questo potere». Ma l'appello dice che la costituzione delle università in Fondazioni è un modo di spalancare la porta ai privati... «Questa gente gioca con le parole e cerca di creare un caso intorno alla parola Fondazione, che è una opzione, ripeto: opzione, offerta agli atenei. In realtà hanno il timore che introdurre una struttura privatistica faccia crollare l'attuale regime assembleare. E il regime assembleare non solo deresponsabilizza chi deve decidere ma è anche il modo migliore per campare all'infinito con i soldi pubblici, spendendoli male. In America, le università pubbliche...». Scusi, nell'appello c'è scritto che il governo vuole imitare il fallimentare sistema privatistico americano... «Balle ideologiche. In America le università sono per la maggioranza pubbliche, e formano premi Nobel, altro che fallimento. Solo che da loro le decisioni non le prendono i professori, le prende chi mette i soldi, attraverso istituzioni che rendono conto al contribuente della destinazione delle sue tasse». Non è giusto che siano i professori a decidere? «I professori alla Vattimo e alla Asor Rosa non sanno distinguere l'istituzione, che è di tutti, dalle maestranze. Secondo loro le maestranze, cioè i professori, dovrebbero essere padroni assoluti, tendenza che occultano rivendicando maggiore "autonomia". I risultati penosi li abbiamo davanti agli occhi. Il disastro dell'università è colpa loro, che sprecano le risorse». Dicono di non averne. Anzi, dicono che con questi tagli spariranno intere discipline specialistiche che sono il fiore all'occhiello della nostra università. «Le discipline spariscono per colpa loro. Si sono inventati decine e decine di cattedre completamente inutili per piazzare allievi inutili che fanno ricerche inutili, quando le fanno. E una volta che un "inutile" è stato piazzato, il guaio è fatto. Rimane una palla al piede che l'istituzione dovrà sopportare per una quarantina d'anni. In `questo modo si crea una situazione paradossale: l'organico è pletorico ma distribuito male. Alcune discipline muoiono perché le risorse sono state divorate dagli "inutili". Chi ha tagliato le gambe ai giovani meritevoli è chi ha gonfiato a dismisura l'organico per rafforzare il proprio potere accademico. Una dieta dimagrante è quello che civuole». ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 ott. ’08 IN CALO LA SPESA PER L’ISTRUZIONE L'Italia è l'unico Paese ad aver ridotto gli investimenti - Ancora pochi laureati Stafano Salis ROMA L'Italia non è un Paese per giovani. AL contrario: «Pare un Paese vecchio, che ha rinunciato ad investire in cultura, che sembra rassegnato al declino». Con queste premesse a tinte scure, che risultano però nitidamente dalla relazione illustrata da Antonio De Lillo dello Iard, sono partiti ieri gli Stati generali dell'editoria, le assise nelle quali il mondo del libro (radunato a Roma, fino a oggi, dall'Associazione Italiana Editori) riflette su come allargare il proprio mercato. E non basta appellarsi ai progressi che, in termini assoluti, si sono registrati negli ultimi anni: nonostante l'aumento dei laureati, l'Italia, infatti, ha perso terreno nei confronti degli altri Paesi europei. È l'unico Paese che ha ridotto gli investimenti in istruzione, la quota di laureati resta tra le più basse, ha una spesa familiare minima per attività culturali, ha un popolo che legge meno libri che altrove in Europa. '`Nonostante questi dati desolanti gli editori credono ancora , che sia l'investimento nei giovani la chiave per ribaltare la situazione. Non solo della lettura, perché a indici di lettura più alti - lo dicono gli studi, tra gli altri di Bankitalia - corrispondono migliori risultati economici. Non le ha mandate a dire il presidente degli editori, Federico Motta, nell'aprire i lavori della due giorni, denunciando aspramente lo stato delle cose. «A due anni dall'emanazione delle norme e l'assegnazione di fondi per sostenere la lettura, nulla è diventato operativo. II centro per il Libro non ha disponibilità, del Progetto Industria 2015 sui beni culturali si sono perse le tracce, i decreti ministeriali che consentono di sbloccare il diritto di prestito non sono stati ancora preparati», ha detto, ma soprattutto, ha aggiunto, «siamo stati travolti da provvedimenti illogici e contraddittori sui libri destinati alla scuola». Motta se la prende anche con Confindustria, accusandola di «mancare qui, come altre volte». Nel pomeriggio il ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini ha ricordato agli editori di fare dei sacrifici sui libri scolastici, aprendo, però, alla possibilità, suggerita dagli stessi editori di redistribuire il fondo libri per le elementari (circa 65 milioni di curo): non più gratis per tutti, ma scaglionamenti a seconda della possibilità economica delle famiglie. L'indagine Iard, comunque, può aprire timidi spiragli di speranza. Non solo leggere più libri migliora i risultati scolastici (ogni io libri letti in più in 6 mesi crescono di mezzo voto i voti a scuola), ma una maggiore dimestichezza con il consumo culturale, favorito da un background familiare elevato, si accompagna a maggiore partecipazione sociale e impegno politico, ossia a una maggiore vivacità sociale. Perdurano gli ostacoli di natura sociale e geografica che spaccano tuttora il Paese. Se nel 2007 più di un giovane su due (6-y anni), dichiarava di aver letto almeno un libro negli ultimi dodici mesi (il 53,8% contro il 43,1% della media nazionale), a influire ci sono poi differenze territoriali, corrispondenti a is- 2o punti percentuali tra regioni del Nord e del Sud. Confrontando le abitudini di lettura dei nostri ragazzi con quelle dei loro coetanei europei, risulta che gli italiani occupano le posizioni più basse, con il53,8% contro il 6o% della Francia, il 73,3% della Spagna. Oggi la seconda giornata. Tra i temi in discussione la meritocrazia, una tavola rotonda su quanto vale l'istruzione, l'intervento del ministro dei Beni culturali e l'appello finale di Federico Motta. ___________________________________________________________ ItaliaOggi 2 Ott. ‘08 ARRIVA IL COMITATO UNICO PER LA VALUTAZIONE SCIENTIFICA Ricerca, fondi mirati Procedure e standard più trasparenti DI BENEDETTA P PACELLT Meritocrazia,trasparenza e standard internazionali di valutazione. Cambiano così, almeno sulla carta, le procedure per assegnare i fondi della ricerca biomedica, che d'ora in poi saranno valutate da un Comitato unico di valutazione scientifica (che verrà nominato a breve) frutto dell'intesa tra ì ministeri del lavoro, della salute e delle politiche sociale e dell'istruzione, università e ricerca. Nuove regole che, come ha annunciato il sottosegretario al welfare Ferruccio Fazio, alla conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa, saranno applicate già per assegnare i fondi 2009. Il comitato sarà costituito da uno staff scientifico di quattro esperti, presumibilmente ex ricercatori impegnati ora nei due ministeri, con il compito di individuare, ogni biennio, uno o più gruppi (panel) di esperti di livello internazionale (ogni panel di circa 12 persone) e di affidare la valutazione di ciascun progetto a referee indipendenti (minimo tre). A questi spetterà invece un giudizio qualitativo che poi sarà consegnato al panel di esperti a cui spetterà il compito di predisporre una graduatoria dei progetti basata esclusivamente sul valore scientifico. Ci sarà insomma una lista unica dei progetti, in base al loro valore scientifico che, ha precisato ancora Fazio, saranno finanziati dal primo a scendere, in base alle disponibilità finanziarie. Si otterranno così graduatorie finanziate fino all'esaurimento dei fondi (circa il 30% delle richieste). Lo staff scientifico del Comitato, infatti, riceverà i progetti classificati secondo le priorità di merito del panel di esperti ed estrarrà dalla graduatoria generale i progetti finanziabili applicando le priorità prestabilite da ciascun ente in base alle proprie competenze tematiche. Il tutto partendo da un dato: in Italia, i progetti di ricerca vengono finanziati da diverse istituzioni ed enti secondo sistemi di valutazione eterogenei, non trasparenti e meccanismi complicati. Metodi sui quali- la comunità scientifica chiedeva da tempo una riorganizzazione del sistema, sia per quanto riguarda i criteri di valutazione dei progetti che l'erogazione dei finanziamenti. Per cercare di delineare un sistema aggiornato e competitivo, i due ministeri hanno mutuato il sistema di valutazione sulla base di quello messo in campo dallo statunitense Center for scientific review (Csr) dei National institutes of health (Nih). Insomma un sistema «trasparente ed efficiente» anche per il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Luciano Maiani; «di cui avevamo veramente bisogno»: ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 ott. ’08 PER LE LAUREE ONLINE IL «PUBBLICO» DOVE È? L’Italia registra un ritardo di decenni nel cogliere le opportunità offerte dall'università a distanza, pur essendo il Paese in cui maggiore ne sarebbe la necessità pervenire incontro alle esigenze degli studenti che lavorano e sopperire almeno in parte alla mancanza di collegi residenziali. Le ragioni del ritardo offrono uno spaccato istruttivo di eccessi e rigidità di segno opposto. Nel '97 fu formata una commissione ministeriale incaricata di esaminare il problema (ne faceva parte anche chi scrive). Era chiaro già allora che l'unica soluzione praticabile se si voleva dare spazio a questa importantissima modalità di insegnamento - che rappresenta tra l'altro un'ottima alternativa alla proliferazione delle sedi universitarie "bonsai" - era quella di istituire un'università, pubblica ma autonoma, com'era per esempio accaduto con ottimi risultati in Gran Bretagna e in Spagna. Era necessario un investimento cospicuo, perché la formazione a distanza consente forti economie di costo solo una volta a regime. Si trattava insomma di superare il farraginoso modello del Consorzio Nettuno, un ibrido le cui potenzialità di sviluppo erano tarpate dagli interessi dei consorziati stessi (le università tradizionali), per concentrare le risorse su un "campione nazionale". Non se ne fece nulla. Alle università, in fondo, non conveniva perdere i fuori corso e i non frequentanti, che pagano pur sempre le loro tasse, e il sistema era nel complesso poco sensibile alle-potenzialità di un oggetto che, da noi, sembrava ancora un po' esotico se non proprio inaffidabile. Nella legislatura successiva il pendolo virò invece bruscamente dall'altra parte, consentendo d'istituire un numero record di università telematiche, addirittura u, che però oggi totalizzano solo i3mila iscritti, e che peraltro possono contare, nonostante i numerosi concorsi che continuano a bandire, su un numero davvero esiguo, o nullo, di docenti di ruolo. Ci ritroviamo così senza una Open University come quella inglese, che registra i oltre yomila iscritti e da più di 4o anni risponde con successo alle esigenze degli studenti che lavorano, degli occupati in cerea di formazione continua, dei disoccupati, e di chi semplicemente vuole continuare a imparare: In Italia la novità di questi giorni é il lancio in grande stile di una nuova università ' telematica strettamente collegata con il Cepu.Il fiorire di società private che forniscono o assistenza agli universitari è di per se ! stesso indice che qualcosa non funziona come dovrebbe. E infatti, in meno di vent'anni l'università italiana ha quasi raddoppiato gli iscritti, ha da tempo liberalizzato gli accessi senza offrire corsi integrativi, ha moltiplicato l’offerta formativa, ma non ha messo in campo gli strumenti indispensabili I per gestire il salto a università di massa, primi fra tutti una strategia incisiva per affrontare il problema degli studenti non frequentanti e un serio sistema di tutoraggio. Restando fermo il cardine del valore legale e del titolo di studio, ne risulta una situazione fortemente anomala: centinaia ' di migliaia di studenti che pagano le tasse , ma mettono piede in università per poche ore all'anno pur di ottenere il pezzo di carta; altri (o gli stessi) che si laureano in tempi biblici; battaglioni di corsi di laurea di dubbia consistenza scientifica che però hanno il pregio di richiedere una frequenza minima o nulla. In un contesto tanto insolito, il Cepu, e con esso altre organizzazioni simili, hanno occupato, peraltro legittimamente, uno spazio aperto, proponendosi di assistere gli studenti che le università accolgono in nome di una democrazia di facciata, ma ai quali si guardano bene dall'offrire concrete possibilità di successo. Ora però il Cepu si è messo in proprio. L'università telematica e- Campus, di cui, come dichiara la pubblicità; è socio fondatore il proprietario di Cepu, offre corsi di laurea organizzati in cinque facoltà, ma soprattutto interseca la rete dei 120 centri sparsi per l'Italia con le potenzialità della formazione a distanza. Anche in questo, tutto alla luce del sole, e tutto a norma di legge. Ma l'anomalia resta, anzi si accentua. Un istituto che nasce per aiutare a superare gli esami diventa oggi in grado di far sostenere "in casa" quegli esami stessi, che saranno anzi somministrati da docenti i quali dipendono, in fondo, dalla stessa proprietà. ___________________________________________________________ IL Mondo 10 ott. ’08 ATENEI TELEMATICI IL MINISTERO NE VERIFICA L'IDONEITÀ A TRE ANNI DALL'INIZIO DELLE LEZIONI E’ tempo di esami per le università telematiche. Ma a sostenerli saranno gli stessi atenei, non i loro allievi. Tra ottobre e dicembre il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), organo del ministero (Miur), avvierà le verifiche previste per i primi quattro atenei ori line italiani. Partendo dalla Guglielmo Marconi, la prima a nascere a marzo 2004, che da sola raccoglie oltre 8.500 dei quasi 13 mila iscritti agli 11 campus virtuali, autorizzati tutti nell'era dell'allora ministro Letizia Moratti. Poi toccherà alla Telma, alla Leonardo da Vinci e alla Uninettuno. E se i detrattori sostengono che le scuole senza aule rilasciano lauree facili, anche la verifica cui saranno sottoposte non appare delle più rigide: le norme di riferimento, infatti, sono sempre quelle del decreto istitutivo (Moratti 2003) e sono molto più blande di quelle fissate per tutti gli altri atenei, nel 2007, dal decreto dell'allora ministro Fabio Mussi. «Noi avevamo proposto requisiti più stringenti per l'autorizzazione», spiega Giovanni Azzone, prorettore vicario del Politecnico di Milano e vice presidente del Cnvsu. «Avevamo espresso anche parere contrario in singoli casi, come quello di e-Campus (università on line riconducibile al Cepu). Ma la scelta del ministero è stata diversa». Che cosa valuteranno gli uomini del ministro Mariastella Gelmini? Intanto il numero dei docenti, che è inferiore a quello degli atenei tradizionali: mentre questi ultimi, statali o non statali, devono avere per ogni corso di laurea almeno quattro docenti di ruolo per ciascuna annualità (una laurea triennale deve quindi avere 12 professori di ruolo) alle telematiche bastano tre professori, anche non di ruolo, per un intero corso di laurea. E nel computo dei docenti rientrano anche i concorsi banditi dall'ateneo e ancora non conclusi. I risultati si vedono. Secondo gli ultimi dati del Cnvsu, su 52 corsi attivi negli atenei virtuali, i docenti di ruolo sono appena 20. «Quello del corpo docente è uno dei punti critici», sostiene Mimmo Pantaleo, neosegretario generale della Flc Cgil, «perché i concorsi sono spesso un escamotage per aggirare la normativa. Mentre gli atenei tradizionali non hanno soldi e quindi non possono bandire concorsi, quelli a distanza lo fanno, ma spesso i professori considerati idonei vengono assorbiti da altre università». Secondo Pantaleo, per esempio, la Guglielmo Marconi, su 55 vincitori di concorso, ne ha chiamati 7. Molti idonei sono andati all'Università di Perugia. Altro punto all'esame è la solidità della società. Le università telematiche autorizzate sono oggi 11, con poco meno di 13 mila iscritti complessivi (anno accademico 2007/2008, anagrafe Miur). Una goccia nel mare degli studenti universitari italiani, che sono quasi 1,4 milioni. La parte del leone, come si è detto, la fa la Guglielmo Marconi, guidata da Alessandra Briganti, promossa da Wind e alcune banche, con 8.558 iscritti, di cui 328 matricole (tabella in basso a sinistra). Numeri discreti anche per Unisu (legata a Universitalia, istituto romano privato per la preparazione di esami), 1.429 iscritti ma solo 89 matricole, e Uninettuno (fa capo a un consorzio di atenei ed è guidata da Maria Amata Garito), 1.299 iscritti di cui ben 527 matricole. In coda ci sono l’Universitas Mercatorum, promossa da Unioncamere e presieduta da Andrea Mondello, con 153 iscritti di cui sette matricole, e-Campus (89 iscritti e 29 matricole) e Unitel (Tosinvest, Fininvest e Mediolanum oltre alla fondazione del Nobel per la medicina Renato Dulbecco), con appena 64 iscritti e 13 matricole. Più difficile risalire al numero di laureati, anche perché molte sono partite da meno di tre anni. Sull'anagrafe del ministero, per l'anno accademico 200G/2007, figurano solo 1390 della Marconi, i 142 della Telma e gli appena sei della Leonardo da Vinci. Eppure le 11 realtà italiane rappresentano un record nel panorama europeo, dove di università telematiche ne esistono una o due per Paese. Fenomeno sostenuto a suo tempo dal ministero Moratti, cui risalgono tutte le autorizzazioni. E poi stoppato da Mussi, che ha sospeso le pratiche in corso e ha messo mano a una ridefinizione dei requisiti minimi. Operazione arrivata solo a un passo dal successo: il decreto infatti, firmato dallo stesso Mussi e dal collega Luigi Nicolais, è approdato al Consiglio GIOVANNI AZZONE "Prorettore Politecnico di Milano __________________________________________________ il manifesto 4 ott. ’08 LA SAPIENZA ELEGGE FRATI, NUOVO RETTORE POCO «MAGNIFICO>} S. MII. ROMA Nessun colpo di scena. L'elezione del nuovo rettore della Sapienza è andata liscia e senza intoppi. Chi doveva essere eletto è stato eletto. ll nuovo Magnifico è dunque il favoritissimo Pier Luigi Frati (con il 53% dei voti) che guiderà il più grande ateneo d'Europa, 145mila studenti, fino al 2012. Succede a Renato Guarini, al quale nelle scorse elezioni aveva conteso la carica e di cui era stato provicario dal 2005 a quest'anno. Re indiscusso per 18 anni della I facoltà di Medicina e chirurgia Frati, 65 anni da Siena, è stato prima assistente ordinario e professare incaricato all'università di Perugia (facoltà di Medicina e di Scienze), poi a quella di Roma (facoltà di Farmacia e di Medicina e chirurgia). Professore ordinario di patologia generale e medicina molecolare dal 1980 alla Sapienza, ha diretto il dipartimento di Medicina sperimentale dal 1985 al 1992. È stato tra l'altro presidente della Conferenza dei presidi delle facoltà di - Medicina e chirurgia e componente del Consiglio universitario nazionale dal 1979 al 1998. Ma più dei titoli accademici sembrano essere altri i meriti grazie ai quali é riuscito a scalare la Minerva. «II barone Frati}> titolava l’Espresso un anno e mezzo fa. Appoggio dei politici (da destra a sinistra senza sostanziali differenze), cattedre facili, concorsi sospetti, fondi alle società farmaceutiche amiche, tanti i «buchi neri» che girano sul conto del neo rettore. Per non parlare poi di parentopoli dalla quale si è sempre dichiarato estraneo, anche se i fatti sembrano smentirlo. Sua moglie da docente di lettere in una scuola superiore si è ritrovata con un contratto da professore ordinario alla cattedra di storia della Medicina. Stessa sorte per i suoi due figli. II maschio, laureato in medicina, ha vinto il concorso da ricercatore nella facoltà patema La femmina, laureata in legge, è diventata professore ordinario di medicina legale alla Seconda facoltà. Sempre L'Espresso andò a curiosare alla Camera di commercio scoprendo che Frati risulta essere socio della Fonun Service, società che dal 2003 al 2005 ha fatturato ben 8 milioni e mezzo di euro, Ne basterebbero molti di meno per cominciare a risistemare i disastrati conti di un'università in questi giorni in agitazione contro i tagli decisi dal governo. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 30 Sett. ‘08 LA PROF CHE NON PUBBLICÒ UNA RIGA Università malata. La denuncia di Roberto Perotti: clientelismo e sprechi GIAN ANTONIO STELLA I l bello del calcio è che, qualche volta, può accadere l’impossibile: la Corea del Nord che batte l’Italia, l’Algeria che batte la Germania, Israele che batte la Russia. Il brutto dell’università italiana è che troppo spesso accade l’impossibile. Come all’Università di Bari, dove un concorso del 2002 dichiarò idonea alla cattedra l’aspirante docente Fabrizia Lapecorella, che aveva zero pubblicazioni nelle quattro categorie delle 160 riviste più importanti del mondo, zero nelle prime venti riviste italiane, zero in tutte le altre, zero libri firmati come autore, zero libri come curatrice, zero libri come collaboratrice. E ovviamente zero citazioni fatte dei suoi lavori: come potevano citarla altri studiosi, se non risulta aver mai scritto una riga? Eppure, battendo una concorrente che aveva un dottorato alla London School of Economics, 10 pubblicazioni e 31 citazioni sulle riviste nazionali e internazionali più importanti, vinse lei. Destinata a essere promossa poco più di tre anni dopo, dal terzo governo Berlusconi, direttore del Secit per diventare col secondo governo Prodi esperto del Servizio consultivo e ispettivo tributario e infine, di nuovo con Tremonti, direttore generale delle Finanze. Una carriera formidabile. Durante la quale, stando alla banca dati centrale di tutte le biblioteche italiane, non ha trovato il tempo per scrivere una riga. Sia chiaro: magari è un genio. E forse dovremo essere grati a chi l’ha scoperta nonostante difettasse di quei lavori che all’estero sono indispensabili per diventare ordinari. Ma resta il tema: con quali criteri vengono distribuite le cattedre nella università italiana? Roberto Perotti, PhD in Economia al Mit di Boston, dieci anni di docenza alla Columbia University di New York dove ha la cattedra a vita, professore alla Bocconi, se lo chiede in un libro ustionante che non fa sconti fin dal titolo: L’università truccata. Gli scandali del malcostume accademico. Le ricette per rilanciare l’università (Einaudi). Un’analisi spietata. A partire, appunto, dal sistema di assegnazione delle cattedre. Dove i casi di persone benedette dalla nomina a «ordinario » con 12 «zero» su 12 in tutte le tabelle delle pubblicazioni e delle citazioni, a partire da quelle del «Social Science Citation Index», sono assai più frequenti di quanto si immagini, visto che Perotti ne ha scovati almeno cinque. Dove capita che il rettore di Modena Giancarlo Pellicani indica una gara vinta dal figlio Giovanni anche grazie alla scelta di non presentarsi di 26 associati su 26. Dove succede che il preside di Medicina a Roma, Luigi Frati, possa vincere la solitudine avendo al fianco come docenti la moglie Luciana, il figlio Giacomo, la figlia Paola. Un uomo tutto casa e facoltà. Che probabilmente diventerà rettore della Sapienza. Superato solo da certi colleghi baresi come i leggendari Giovanni Girone, Lanfranco Massari o Giovanni Tatarano, negli anni circondati da nugoli di figli, mogli, nipoti, generi... Il familismo è però solo una delle piaghe nelle quali il professore bocconiano (che ha l’onestà di toccare perfino il suo ateneo, rivelando che «l’ufficio relazioni esterne della Bocconi impiega circa 100 persone e ha un bilancio di 13 milioni di euro» che basterebbero ad assumere «i migliori docenti di economia degli Usa») affonda il bisturi. A parte quello che «il clientelismo e la corruzione esistono, ma sono tutto sommato circoscritti», Perotti fa a pezzi almeno altri tre miti. Uno è che «il vero problema dell’università italiana è la mancanza di fondi». Non è vero. Meglio: è vero che «le cifre assai citate della pubblicazione dell’Ocse "Education at a Glance" danno per il 2004 una spesa annuale in istruzione terziaria di 7.723 dollari per studente» appena superiore ad esempio a quella della Slovacchia o del Messico. Ma se si tiene conto che metà degli iscritti è fuori corso e si converte più correttamente «il numero di studenti iscritti nel numero di studenti equivalenti a tempo pieno», la spesa italiana per studente «diventa 16.027 dollari, la più alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia ». Quanto agli stipendi dei docenti, è verissimo che all’inizio sono pagati pochissimo, ma da quel momento un meccanismo perverso premia l’anzianità (mai il merito: l’anzianità) fino al punto che un professore con 25 anni di servizio da ordinario non solo prende quattro volte e mezzo un ricercatore neoassunto ma «può raggiungere uno stipendio superiore a quello del 95 percento dei professori ordinari americani (...) indipendentemente dalla produzione scientifica». Altro mito: nonostante tutto, «l’università italiana è eroicamente all’avanguardia mondiale della ricerca in molti settori». Magari! Spiega Perotti che in realtà, al di là della propaganda autoconsolatoria, fra i primi 500 atenei del mondo, secondo la classifica stilata dall’università cinese Jiao Tong di Shanghai, quelli italiani sono 20 e «la prima (la Statale di Milano) è 136ª, dietro istituzioni quali l’Università delle Hawaii a Manoa ». Certo, sia questa sia la classifica dTeiml es (dove la prima è Bologna al 173?posto) sono fortemente influenzate dalle dimensioni dell’ateneo. Infatti nella «hit parade» pro capite della Jiao Tong 2008 possiamo trovare al 19?posto la Normale di Pisa. Ma a quel punto le grandi università italiane slittano ancora più indietro: la Statale milanese al 211?,Bologna al 351?,la Sapienza addirittura a un traumatico 401?posto. Da incubo. Quanto al quarto mito, quello secondo cui «l’università gratuita è una irrinunciabile conquista di civiltà, perché promuove l’equità e la mobilità sociale consentendo a tutti l’accesso all’istruzione terziaria», l’economista lo smonta pezzo per pezzo. I dati Bankitalia mostrano che nel Sud (dove il fenomeno è più vistoso) dal 20% più ricco della società viene il 28% degli studenti e dal 20% più povero soltanto il 4%. Un settimo. In America, dove l’università si paga, i poveri che frequentano sono il triplo: 13%. Come mai? Perché al di là della demagogia, spiega l’autore, l’università italiana è «un Robin Hood a rovescio, in cui le tasse di tutti, inclusi i meno abbienti, finanziano gli studi gratuiti dei più ricchi ». Rimedi? «Basta introdurre il principio che l’investimento in capitale umano, come tutti gli investimenti, va pagato; chi non può permetterselo, beneficia di un sistema di borse di studio e prestiti finanziato esattamente da coloro che possono permetterselo». Non sarebbe difficile. Come non sarebbe difficile introdurre dei sistemi in base ai quali il rettore che «fa assumere la nuora incapace subisca su se stesso le conseguenze negative di questa azione e chi fa assumere il futuro premio Nobel benefici delle conseguenze positive». Tutte cose di buon senso. Ma che presuppongono una scelta: puntare sul merito. Accettando «che un giovane fisico di 25 anni che promette di vincere il premio Nobel venga pagato tre volte di più dell’ordinario a fine carriera che non ha mai scritto una riga». Ma quanti sono disposti davvero a giocarsela? ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 Sett. ‘08 ANALFABETA UN SARDO SU NOVE La giornata della Società di San Vincenzo De Paoli CAGLIARI. Un sardo su nove non ha alcun titolo di studio e tra questi meno della metà (73.861) ha più di 65 anni. Secondo i dati dell’ultimo censimento della popolazione, gli analfabeti in Sardegna sono 30.096 di cui 21.900 over sessantacinque. L’isola dà quindi un notevole contributo alla quota di circa sei milioni di analfabeti o con competenza alfabetica modesta censiti in Italia. Non è dunque anacronistica e fuori luogo lo slogan “Fatemi studiare, conviene a tutti” della giornata nazionale 2008 della società di San Vincenzo De Paoli in programma per oggi. Per il terzo anno consecutivo il mondo del volontariato vincenziano promuove una campagna di prevenzione dell’analfabetismo nella convinzione che questo problema sia un male sociale moderno capace di creare esclusione ed emarginazione: «Nella società di oggi - dicono gli organizzatori dell’iniziativa - chi non ha un titolo di studio o non possiede una sufficiente preparazione ha enormi difficoltà a farvi parte e nella stragrande maggioranza dei casi è un escluso e un condannato a vivere ai margini». Un destino che sembra caratterizzare 8,3 sardi su mille oltre 65 anni e complessivamente 19 persone ogni mille residenti in Sardegna. L’individuo non sufficientemente istruito ha enormi difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro ed è maggiormente esposto al rischio del malaffare e della malavita. L’istruzione è quindi il fondamento per acquisire gli strumenti utili ad una vita dignitosa. Se è vero che per la povertà non si va a scuola, è altrettanto vero che non andare a scuola porta alla povertà. La società di San Vincenzo De Paoli svolge in Italia varie iniziative di accompagnamento e di supporto scolastico mentre nei paesi in via di sviluppo, attraverso le adozioni a distanza, assicura l’istruzione di base a molte migliaia di bambini (oltre 7000 nel 2007). In occasione della giornata nazionale in città saranno allestite due postazioni informative: una in piazza Giovanni XXIII e una nel parco di Monte Claro. Altre postazioni saranno predisposte a Quartu, Monserrato e Elmas. I volontari inviteranno alla riflessione sul problema dell’analfabetismo e sulle conseguenze che questa povertà ha sulla vita di ciascuno. La società di San Vincenzo De Paoli è un’organizzazione di laici cattolici che ha per obiettivo la promozione dell’individuo attraverso il rapporto personale attuato con la visita a domicilio. Oltre che a Cagliari le conferenze (così si chiamano le articolazioni della società) sono presenti a Quartu, Monserrato, Elmas e Assemini. Attraverso le opere speciali la società gestisce in città il centro di accoglienza notturno per persone senza fissa dimora, a Quartu la mensa del viandante che il sabato, la domenica e i giorni festivi, offre un pasto caldo alle persone in difficoltà. (m.g) ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 Sett. ‘08 IL PANE PER LA RICERCA di Guido Barbujani Nel suo bel libro L'ombra della guerra (Donzelli, zoa7), Guido Crainz racconta come nel grande rivolgimento postbellico i braccianti agricoli avessero strappato salari più dignitosi. Dall'organo dei possidenti terrieri bergamaschi, Terra Orobica, sale un grido di dolore: «Un tempo la mercede oraria dei contadini era pari al valore di un chilogrammo di pane. Non sarebbe opportuno ed equo che si ripristinasse questa unità di misura?». AL panificio Orsatti di Ferrara un chilo di pane costa 6,50 euro. Moltiplicato per 40 ore la settimana e per 4 settimane fa 1.040 euro al mese. È quanto guadagnano oggi (1.047 euro al mese, per l'esattezza) i dottorandi,cioè i laureati che lavorano a tempo pieno su un progetto scientifico che li porterà al più alto titolo universitario, il dottorato di ricerca. Studia; se sarai bravo ti laureerai; e se sarai bravissimo potrai aspirare a uno stipendio pari a quello che, nel '46, i braccianti di Bergamo non erano più disposti ad accettare. Questo è il messaggio che mandiamo agli studenti che puntano a ottenere la massima qualificazione accademica, alla futura classe dirigente del Paese. È frustrante parlare dello stato di abbandono in cui versano Università e ricerca nel nostro Paese. Le cifre sono grottesche, nessuno ci fa più caso. Tanto per dirne una: per i diritti degli highlights della serie A, la Rai ha speso più di quanto nel 2oo8 l’Italiaha investito nella ricerca di base, i cosiddetti progetti Prin. Lo conferma il rapporto zoo8 dell’Ocse; Education at a glance (lo trovate al sito http://caliban.sourceoecd.org/upload/9608041etemp.pdf). In media, nei Paesi dell’Ocse si spende per l'Università 11,5% del prodotto interno lordo; in Italia, lo 0,9 per cento. Dietro di noi c'è solo la Slovacchia, per un pelo. Gli Stati Uniti investono nelle istituzioni universitarie il 2,9% del loro prodotto lordo, il Canada il 2,6 per cento. Grecia, Messico, Polonia, Israele, Portogallo, Turchia, Estonia, Cile: sono tutti davanti a noi, alcuni di un bel po'. Va bene, dirà qualcuno, ma negli Usa i privati sono molto più generosi. Vero, i privati americani lo sono sei volte più dei nostri (l’1,9% contro lo 0,3%). Ma negli Stati Uniti di George W. Bush i finanziamenti pubblici dell'Università sono il doppio che in Italia. " Presto rimpiangeremo i tempi in cui potevamo giocarci con la Slovacchia il penultimo posto: A giugno, infatti, con il decreto legge 112/08, inserito nella manovra finanziaria per il 2009 («Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria») l’Università italiana è stata rivoltata come un calzino. Per cominciare, dovrà dimagrire: sarà assunto un nuovo dipendente solo ogni cinque pensionamenti. Ne deriveranno crescenti economie per il bilancio dello Stato, da 456 milioni di euro nel 2009 fino a 3.188 milioni nel 2012. Sembrerebbe insomma che per garantire lo sviluppo economico e la competitività il nostro Governo abbia scoperto l'uovo di Colombo. Niente nuove risorse, anzi, noi faremo il contrario di quello che fanno gli altri: disinvestire, disinvestire Barack Obama promette un milione di nuovi insegnanti? Che fesseria: noi, invece, per essere più competitivi, ce ne sbarazzeremo: dalla scuola elementare in su. A colpi di un'assunzione ogni cinque pensionamenti, c'è poco da fare: presto i docenti non basteranno più. Chiuderanno i corsi di laurea, poi le facoltà, poi interi atenei. Il decreto legge 112/08 offre però una scappatoia. Le università non vogliono chiudere? Si trasformino in fondazioni di diritto privato: Non è ancora ben chiaro cosa questo comporti; ma è chiaro come andrà a finire. Chi non ce la fa muore, chi ce la fa le università che troveranno uno sponsor – si privatizza. Anche così, però, i fondi per sopravvivere (e non parliamo di crescere) saranno scarsissimi. Oggi le tasse nelle università private sono dieci volte più alte che in quelle pubbliche. Prima di mettersi a licenziare i dipendenti, le università superstiti si adegueranno. Quando nel nostro Paese l'università sarà solo privata ci si laureerà a prezzo di mercato. Potremmo non preoccuparcene. All'università, si sente dire, non si lavora; i professori non ci sono mai e quando ci sono battono là fiacca. Venite a controllare; non è così. Ma qualcosa di vero c'è: non tutte le sedi, non tutti 'i corsi, sono all'altezza del loro compito. Che fare, allora? Altrove si valuta la produzione scientifica; si premia chi lo merita, si penalizzano gli altri. Da noi, invece, si spara nel mucchio. I professori vogliono soldi? Che se li trovino. E la ricerca di base, l’alta formazione post laurea. E chi se ne frega. La pensano cosi in molti: il decreto 102/08 ricalca una proposta di legge presentata nella scorsa legislatura da Nicola Rossi; allora deputato Ds, oggi senatore del Pd: «L'Italia ha bisogno di un soffio di libertà. Libertà di competere, libertà di rischiare, libertà di inventare, libertà di scommettere sul proprio talento» scrive Rossi al proprio sito web. «Non crediamo», continua, «che la giustizia sociale si misuri in quantità di spesa pubblica». Giusto. Resta da capire come potranno scommettere sul proprio talento i nostri migliori laureati, senza investimenti nella ricerca, senza borse di studio, senza futuro nel sistema accademico. E soprattutto come potrà il Paese, liquidate università e ricerca pubbliche, restare a,galla in una competizione internazionale che si gioca sempre più sulle conoscenze e sull'innovazione. Perché di questo si tratta. Dei tagli forsennati alla spesa per l'università soffrirà inizialmente solo chi ci lavora. Sarà sempre più difficile fare ricerca, e senza ricerca si sforneranno laureati sempre più scadenti. Ma lì per lì se ne accorgeranno in pochi: ci sarà qualche disoccupato intellettuale in più, e sui giornali compariranno sempre meno titoli del tipo: "Scienziato italiano scopre questo o quello". Ma quando avremo definitivamente scassato il nostro sistema di istruzione superiore ci vorranno decenni per ricostruirlo. Per decenni saremo privi di personale qualificato, di ricerca di base, di progetti innovativi, di strutture per l'alta formazione: di tutta quella paccottiglia su cui, chissà perché, insistono a spendere denaro pubblico gli americani e i loro compari canadesi, tedeschi, inglesi. Vogliamo che vada a finire così? Sembra proprio di sentir echeggiare dal Parlamento un bel "Sì" bipartisan. Fra qualche anno magari gli storici distingueranno fra chi quel sì lo ha pronunciato implicitamente non mantenendo le promesse elettorali, e chi lo ha esplicitato con atti vandalici contro il sistema universitario. Ma oggi non importa. Importa che, in controtendenza con tutto il mondo civile, stiamo gettando nel cesso un patrimonio culturale accumulato attraverso secoli. Presto per le menti migliori delle nuove generazioni non ci sarà nemmeno quel chilo di pane all'ora che un'Italia enormemente più povera della nostra destinava ai suoi contadini senza terra. ___________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 4 ott. ’08 CONOSCENZA SINONIMO DI DEMOCRAZIA Convegno alla Bicocca Il dato è sorprendente. La diffusione di atteggiamenti antiscientifici sembra avere motivazioni che vanno ben oltre le manifestazioni di integralismo religioso e le contingenze politiche. Il caso degli Stati Uniti è emblematico. In un Paese dove si trovano i migliori centri di ricerca in campo evoluzionistico, il creazionismo riscuote un vasto successo popolare. E non più soltanto fra le sette fondamentaliste protestanti: è un atteggiamento che attraversa confessioni diverse, fa breccia nei giovani, persino nei campus universitari. Il fenomeno ha indotto alcuni psicologi cognitivi a ipotizzare che la facilità spontanea con cui fraintendiamo la complessità delta teoria dell'evoluzione abbia ragioni profonde, connesse ai vincoli adattativi sedimentati nell'evoluzione biologica e culturale della mente umana. Preferiamo spiegazioni più sbrigative, basate su progetti nascosti e scopi, anche laddove le evidenze empiriche suggeriscono il contrario. Questo pensiero semplificante spiegherebbe perché molti cercano nella scienza quelle certezze che essa non può offrire. Le scoperte scientifiche sono spesso lontane dal senso comune e contraddicono le nostre intuizioni. Per evitare la fatica di un lungo ragionamento, preferiamo allora affidarci acriticamente agli esperti, anche quando decidono su questioni che ci riguardano. Altre volte, presi dalla paura per ciò che non comprendiamo, poniamo invece limiti alla ricerca in modo arbitrario e poco informato. Fra scienza e democrazia si instaura un legame delicato e prezioso: entrambe si basano sulla libertà e al contempo sulla responsabilità. La sfida di chi deve educare alla scienza e comunicarne con chiarezza i risultati è dunque impegnativa e necessaria, soprattutto in un paese come il nostro che ancora mostra poca dimestichezza con la cultura scientifica. Di questi temi cruciali, e di molti altri connessi ai rapporti più generali fra «democrazia e conoscenza», si occuperà un importante convegno organizzato dall'Università degli studi di Milano Bicocca il g e lo ottobre prossimi, in occasione del decennale di fondazione dell'Ateneo ____________________________________________________________ La Repubblica 1 Ott. ‘08 IL DIRITTO E LA DIGNITÀ STEFANO RODOTÀ Sulla copertina del primo numero del 2007 della rivista Time , dedicato secondo tradizione alla “persona dell’anno”, compariva a grandi lettere la parola “You”. Era dunque la sterminata platea degli individui ad essere eletta a protagonista. Ciascuno, però, nella sua irripetibile singolarità, perché in quella copertina era inserito un materiale riflettente che consentiva a chiunque la guardasse di riconoscersi come in uno specchio. Il mondo sei tu. Ma, osservando meglio, quello specchio si rivelava come lo schermo di un computer, disegnato sulla copertina sopra la parola “You”. Il messaggio assumeva così un particolare significato. Ti riconosco come persona dell’anno perché ormai sei entrato a far parte di quell’apparato tecnologico. L’ordine uomo- macchina è rovesciato. Sei protagonista, e forse signore dell’ambiente che ti circonda, solo se ti fai macchina tu stesso, se in definitiva diventi una componente di quell’apparato. Attraversiamo l’Atlantico e approdiamo, un anno dopo, in Germania, dove la Corte costituzionale, alla fine del febbraio 2008 decide sull’articolo di una legge che autorizzava la “perquisizione” dei personal computer da parte delle autorità di polizia, per investigarne i contenuti anche all’insaputa dell’interessato. I giudici tedeschi hanno dichiarato incostituzionale quella norma. Affermando che esiste un nuovo diritto fondamentale della personalità, che consiste nella “libertà e riservatezza dell’apparato informativo” di cui ciascuno dispone. L’impostazione di Time viene completamente rovesciata. È l’umano che ingloba in sé la macchina, non il contrario, e il diritto ne riafferma la priorità. Ma ci dice soprattutto che nel mondo esiste una nuova entità, e così ci consegna una nuova antropologia. Una versione tecnologicamente aggiornata dell’ homme machine , unica via per riconciliarlo con gli apparati tecnici che progressivamente lo accompagnano, lo ristrutturano, lo invadono? Ma l’immagine che, nel modo più eloquente, ci introduce in questa dimensione è forse quella di Oscar Pistorius, un corridore sudafricano che, privo della parte inferiore delle gambe, le ha sostituite con impianti in fibra di carbonio e si è visto riconoscere il diritto di partecipare alle Olimpiadi. Cade così la barriera tra “normodotati” e portatori di protesi, e anzi si prospetta una nuova nozione di normalità, che non è più soltanto quella naturalmente determinata, ma pure quella artificialmente costruita. Prendendo spunto proprio dalla conclusione di questa vicenda, un’altra atleta paraolimpica, Aimée Mullins, ha affermato che “modificare il proprio corpo con la tecnologia non è un vantaggio, ma un diritto. Sia per chi fa sport a livello professionistico che per l’uomo comune”. La nuova dimensione dell’umano esige una nuova misura giuridica, che dilata l’ambito dei diritti fondamentali della persona. E al diritto viene affidato il compito di garantire la più ampia e paritaria possibilità di accesso alle opportunità crescenti offerte dall’innovazione scientifica e tecnologica. Due grandi principi s’incontrano e si intrecciano. Quello di dignità, che si manifesta come il criterio di valutazione delle modalità e degli esiti della costruzione artificiale del corpo. E quello dell’eguaglianza che, una volta riconosciuta la legittimità della specifica costruzione artificiale, deve evitare che da ciò possano nascere discriminazioni, sia nella fase dell’accesso, sia in quella successiva della vita della persona che ha utilizzato gli impianti tecnologici. Altre immagini ci accompagnano, quotidiane e inquietanti. Il braccialetto al piede del detenuto agli arresti domiciliari, ma anche al polso dell’anziano per fornirgli assistenza; il “computer indossabile” al polso dei lavoratori, perché l’imprenditore possa “guidarlo” da lontano; i microchip sotto la pelle leggibili con la tecnologia delle radiofrequenze. Qui la mutazione dell’umano è evidente, e la prima riflessione riguarda la trasformazione della persona in oggetto continuamente controllabile a distanza, come un Tir o la mucca d’un grande gregge. Di nuovo, davanti a noi sono mutamenti che toccano l’antropologia stessa delle persone. Siamo di fronte a slittamenti progressivi: dalla persona “scrutata” attraverso la videosorveglianza e le tecniche biometriche si può passare ad una persona “modificata” dall’inserimento di chip ed etichette “intelligenti”, in un contesto che sempre più nettamente ci individua appunto come “networked persons”, persone perennemente in rete, via via configurate in modo da emettere e ricevere impulsi che consentono di rintracciare e ricostruire movimenti, abitudini, contatti, modificando così senso e contenuti dell’autonomia delle persone. Che cosa è divenuta l’umanità dei molti lavoratori ai quali è già stato imposto di portare al polso un piccolo computer, che consente all’imprenditore di dirigere via satellite il loro lavoro, indirizzarli verso i prodotti da prelevare, indicare i percorsi da seguire e le attività da svolgere, controllare ogni loro movimento, individuare in ogni momento dove si trovano, in sintesi di controllarli implacabilmente? Le conclusioni di una ricerca inglese sono state nette: così si trasformano i luoghi di lavoro in “battery farms”, si creano le condizioni di una “prison surveillance”. Siamo di fronte ad un Panopticon su scala ridotta, che tuttavia anticipa e annuncia la possibilità di diffondere su scala sempre maggiore queste forme di sorveglianza sociale. Ma che cosa diventa una società nella quale è normale che cresca il numero delle persone “tagged and tracked”, etichettate e perennemente seguite? Le risposte a questi interrogativi devono venire anche dal diritto, dunque da principi e regole. Il rispetto della dignità in primo luogo, che impone di non ridurre la persona ad oggetto, giungendo così a quella “degradazione dell’individuo” più volte richiamata dai giudici costituzionali italiani. Ma la dignità è anche misura della logica economica: dotare gli anziani di strumenti di controllo a distanza, per meglio salvaguardarne la salute, non può trasformarsi in abbandono sociale, considerando la tecnologia un mezzo meno costoso delle visite domiciliari. E il rispetto dell’autonomia della persona, dunque il diritto di decidere liberamente sul se e come utilizzare i nuovi strumenti. E l’eguaglianza nell’accesso alle opportunità grandi offerte dall’innovazione scientifica e tecnologica. Il vero problema culturale e istituzionale è quello di valutare fino a che punto si è di fronte a vere discontinuità, che segnano un congedo da un altro mondo, e dove, invece, è possibile e necessario mantenere una continuità che consenta quel trascendere dell’umano di cui parlava Julian Huxley, impedendo così la nascita di un “doppio standard” nella considerazione dell’umano e del postumano. Si manifesta la preoccupazione di chi segnala il rischio di una svalutazione dell’umano per effetto di una percezione del postumano come portatore di un valore più forte, aprendo la via ad un conflitto, addirittura ad una “guerra”, tra umani e post- umani. Un conflitto, evidentemente, che nasce sul terreno dei valori di riferimento e che può essere evitato solo se si ha la capacità di mantenere fermi, e di proiettare nel futuro, i principi prima ricordati di dignità, eguaglianza, autonomia. Ma l’umano non è sfidato solo dalla tecnoscienza. Viene negato e violato nella vita d’ogni giorno. Dobbiamo sempre chiederci, seguendo Primo Levi, “se questo è un uomo” davanti all’immagine terribile di uomini che, lungo “il cammino della speranza” verso terre che pensano accoglienti, cercano di sopravvivere in mare attaccati ad una tonnara; davanti al bambino rom sbattuto sulla copertina di un settimanale e etichettato con le parole “Nato per rubare”; davanti alle foto dei torturati di Abu Ghraib; davanti alle manifestazioni di disprezzo razzista verso l’“altro”; davanti ai fondamentalismi che cancellano la stessa identità femminile. A questo inumano il diritto cerca di opporre i suoi strumenti, troppe volte ignorati. E spesso i giuristi sono “senza cuore”. E i politici sono distratti o “realisti”. E’ compito di ciascuno di noi salvaguardare l’umano dal quale non possiamo separarci. (L’articolo è una sintesi della lezione tenuta da Stefano Rodotà al Festival del diritto di Piacenza, intitolata “Umano, poco umano”) ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 ott. ’08 LA NUOVA ERA DELL'OSSERVAZIONE DI SIMONE Arcagni - Critico cinematografico Sono in molti ad aver commentato l'editoriale di Chris Anderson su "Wired" sulla fine delle teorie per una scienza che ha ormai a disposizione una quantità di dati impressionanti solo da analizzare. Mi riconduco a questa contrastata affermazione aggiungendo che la scienza contemporanea ha nelle tecnologie scopi che il più grande alleato: una nuova era dell'osservazione (digitale) che permette l’immagazzinamento di una notevole mole di dati. La scienza, cioè, entrati ormai in un universo visivo davvero futuristico, con l'inclusione del mondo in dati computazionali (si legga in questo senso Lev Manovich) sempre più perfettibili, pone molta attenzione sui meccanismi visivi; e intreccia i propri destini con il cinema, i nuovi media e l'arte, proprio per perfezionare, da una parte, le tecnologie scopiche, dall'altra le capacità,tutte digitali, delle nuove tecnologie di rielaborare i media visivi. La scienza dunque, in una "fratellanza" con i meccanismi visivi che si può riscontrare, di questa intensità, solo nell'800, focalizza la sua attenzione sul visibile, spingendo questa "volontà di potenza" dello sguardo fino all'impercettibilmente piccolo (le nanotecnologie) o all'incommensurabilmente lontano (i nuovi telescopi spaziali),arrivando a sfidare l’invisibile. Dall'altra elabora i dati visibili resi computazionali, per elaborare nuove potenzialità dell'immagine (la ricostruzione 3D e su scanner 3D, le immagini delle Sense Cam, la ricostruzione di immagini rilevate da microscopi digitali di nuova generazione): un mondo invisibile si anima attraverso le nuove sfide oculari e le nuove potenzialità ricostruttive del digitale, Vedere e ricomporre il visibile... é evidente come si crei una empatia con cinema e arte. I segreti dell'universo e le più recondite sfide della fisica e del corpo umano divengono luoghi di elaborazione formale e persino spettacolare. Lo dimostra, ancora una volta, una mostra, The Big Bang, curata da Gianni Mercurio presso il Museo Carlo Bilotri (fino al 29 ottobre) a Roma. James Turrell, Robert Longo, Ross Bleckner, Peter Halley, Alberto Di Fabio, Domenico Bianchi, Shahzia Kikander e Mario Della vedova espongono le proprie personali visioni cosmologiche in una ideale sfida con la scienza nel creare modelli visivi dell'universo. James Turrell, con il supporto dello scienziato della Nasa Edward Wortz e dello studio di architettura Som di New York, realizza visioni spettacolari del mondo e del cosmo, mentre Robert Longo, propone immagini newtoniane del cosmo e Peter Halley un'1conografia" che nasce da percorsi alternativi, ed eretici, della matematica. Anche Domenico Bianchi, con S.T., costruisce visioni fluttuanti, impianti geometrici arditi avvalendosi di calcoli computazioriali. Insomma: nonostante la grande quantità di dati e la perfezione dei meccanismi divisione, il punto è interpretare questi dati, proporre un punto di vista, situarsi nelle forme e magari giocare con esse, intrecciare forme scientifiche e forme ludiche di interpretazione del visibile. Potrebbe trattarsi davvero di un atto rivoluzionario, coniugare visione e visionarietà, calcoli e percorsi irrazionali. In ogni caso sappiamo che l'arte dei nostri giorni non vuole restare al di fuori dei mondo é dei calcoli per posizionarlo, scandagliarlo e interpretarlo_:. di contro la scienza sembra ben lieta di collaborare: nuove forme espressive ci attendono, quindi> da questo connubio. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 30 Sett. ‘08 AURICOLARE DA «007» AGLI ESAMI GLI ATENEI: SCHERMARE LE AULE INVISIBILE COSTA 500 EURO: GLI STUDENTI LO ACQUISTANO E POI LO AFFITTANO PER RIENTRARE NELLA SPESA Complici all' esterno per le risposte. Gli universitari: così 30 garantito Appena entrato nella stanza la voce nell' auricolare è sparita e le interferenze hanno reso impossibile la comunicazione. E' successo ad uno studente dell' Università Cattolica. Francesco, 23 anni aveva «affittato» un auricolare che, nascosto all' interno dell' orecchio, diventa invisibile. Obiettivo? Farsi dare «un aiutino» per passare l' esame. Una pratica che sta diventando consueta. Tanto che l' ateneo «nell' ambito di un adeguamento infrastrutturale delle aule di lezione», ha deciso di schermarle. Cioè ha reso impossibile l' utilizzo di «strumentazioni o tecnologie volte a comunicare con l' esterno». Sono lontani i tempi in cui si passavano gli esami grazie a bigliettini infilati nelle calze. Oppure appunti minuscoli nella penna. Oggi ci si affida alla tecnologia. L' auricolare in questione è grande come una monetina e comprende anche un microfono che si appende al collo e si nasconde sotto i vestiti. Grazie a un sistema bluetooth trasmette a un altro congegno che può rispondere. «E' semplicissimo. Basta avere un compagno che ti aiuta nelle risposte», spiega Alessandra che l' ha usato per alzare la media. Già perché assicura: «Il 30 è garantito». Ma i ragazzi si spingono più in là. «I vantaggi veri si vedono agli orali», sottolinea Lucia. Nessuna paura, «tanto non si vede. Il complice è in grado di sentire le domande del professore. Ed è anche meglio perché negli scritti c' è sempre il problema del parlare a bassa voce». I docenti, a quanto pare, «non si accorgono di nulla». Anche perché «possono scambiare le esitazioni mentre si attende la risposta, con l' emozione o il nervosismo». Una trovata che è diventata subito un giro di affari. «Questa apparecchiatura costa intorno ai 500 euro ed è arrivato sul mercato circa quattro anni fa», spiega Alessandro, titolare di Tecnologie investigative, in via California. Il negozio è specializzato in congegni per ogni ricerca in incognito. A causa del prezzo elevato, i ragazzi lo acquistano in gruppo e poi lo affittano. Così possono rifarsi della spesa. «Per un esame chiedono fino a 50 euro. Ma dato che il risultato è garantito, sono soldi spesi bene», sostiene Lorenzo. Il vento, però, sta cambiando. All' Università Cattolica sono riusciti a schermare alcune aule. Mario Anolli, preside della Facoltà di Scienze Bancarie, spiega che «il problema è noto. I professori hanno già preso i dovuti accorgimenti». E ricorda che è una una questione di moralità. «L' onestà intellettuale è un valore importante. In futuro i ragazzi si rincontreranno sul lavoro e sarà difficile fidarsi di chi ha imbrogliato». Benedetta Argentieri I trucchi Tatuaggi Il sistema più «artigianale»: scrivere formule e date sul palmo della mano o sulle braccia, a portata di sbirciatina Bigliettini Ripiegato e infilato in tasche, maniche, libri o dizionari: il bigliettino è un altro classico fra gli «aiutini» Il bagno Il consulto collettivo in bagno con i compagni è vecchio almeno quanto i compiti in classe Il cellulare Un po' come nei quiz televisivi: se non si sa la risposta, perché non provare con la telefonata a casa? Argentieri Benedetta ____________________________________________________________ Corriere della Sera 30 Sett. ‘08 SIENA, BUCO DI 80 MILIONI: L' UNIVERSITÀ ORA RISCHIA IL CRAC DEFICIT RIMOSSO IL CAPO DELLA RAGIONERIA. IL RETTORE AL PERSONALE: SITUAZIONE DIFFICILE L' Inpdap chiede due anni di contributi non versati. Stipendi a rischio. L' ateneo ha anche debiti nei confronti della Cassa depositi e prestiti e del Monte dei Paschi per 180 milioni Tra i banchi e in cattedra 20.000 I conti DAL NOSTRO INVIATO SIENA - Otto secoli di sapere che rischiano di fare crac. Di essere inghiottiti in una voragine di bilancio da far venire le vertigini. Si parla di 80 milioni di euro, ma potrebbero essere anche 100. Una montagna di debiti, un bilancio groviera. Numeri da far saltare il banco, e pure qualche testa illustre. La Siena del Palio, del Monte dei Paschi e dei turisti a bocca aperta scopre di avere qualcosa di malato nel grembo. La sua università. Un gioiellino che arriva direttamente dalla notte dei tempi: 1240, pieno Medioevo. Che ha gareggiato con Bologna in una sfida del sapere che ha attraversato i secoli. E che ora, con quasi 20 mila studenti e una raggiera di facoltà che va da medicina a scienze matematiche, passando per lettere e ingegneria, si colloca per qualità accademica tra i top degli atenei italiani. Senza considerare l' indotto in termini economici: tra studenti in trasferta, affitti e movimento commerciale, la sola presenza dell' ateneo muove a Siena alcuni punti del Pil locale. Un ben di dio a rischio, adesso che i conti sono rotolati giù dalle scale. Al punto che ieri, quando sono arrivati gli stipendi per i 2.300 dipendenti, qualcuno ha brindato, forse non sperandoci più. Lo stesso rettore, Silvano Focardi, 62 anni, alla guida dell' istituzione dal 2006, pur garantendo sulla «stabilità» dell' ateneo e sulla tenuta dell' attività «di ricerca e formazione», è stato costretto a riconoscere in una lettera inviata al personale che «la situazione è difficile», arrivando ad augurarsi «di poter fugare ogni timore sul futuro della nostra università». Non è ancora chiaro da dove nasca il profondo rosso. Anche perché a Siena, a parte qualche isolata voce, l' argomento è stato a lungo tabù. Pare che una delle cause principali sia il mancato versamento all' ente previdenziale Inpdap dei contributi per i dipendenti. Quasi due anni senza pagare («L' alternativa - è scritto in una relazione al bilancio 2005 - era non dare gli stipendi»), con il risultato che ora l' ateneo si trova costretto a restituire la bellezza di 80 milioni rateizzati in 10 anni. A ciò si aggiungerebbe anche una situazione debitoria nei confronti della Cassa depositi e prestiti e del Monte dei Paschi per 180 milioni scaglionati fino al 2016. Domani si riunirà il Cda dell' ateneo, poi toccherà al Senato accademico e solo dopo il rettore potrà fornire le prime risposte al personale. Grandi vie di fuga non se ne vedono. L' ipotesi che va per la maggiore è quella di ricorrere all' ingente patrimonio immobiliare dell' ateneo (circa un miliardo di euro), vendendone o affittandone parte. Intanto rotolano le prime teste. E affiorano veleni. Il responsabile della ragioneria è stato sollevato dall' incarico e il suo posto è stato preso dal direttore amministrativo in persona, Loriano Bigi. I sindacati sono sul piede di guerra e hanno chiesto «un tavolo permanente di negoziato». Il Pd, che esprime il sindaco Maurizio Cenni, si chiede il perché di un simile buco «considerando che la nostra università, a differenza delle altre, riceve risorse dalla Fondazione Monte dei Paschi», circa 9 milioni l' anno. La Lega chiede il commissariamento. L' ex preside di ingegneria Antonio Vicino, che si candidò per il posto di rettore alle ultime elezioni, si domanda sul Corriere di Siena «come sia possibile che una situazione così sia sfuggita al controllo dell' amministrazione e quali sono le responsabilità». E Luigi Berlinguer, ex ministro ed ex rettore a Siena tra l' 85 e il ' 94, si dice «sconcertato dall' ammontare del disavanzo». C' è chi parla di assunzioni di massa per motivi politici. Chi di eccesso di personale. Esce di tutto, ora. Ma solo un anno e mezzo fa il rettore Focardi aveva reso pubblica la situazione di bilancio lasciata dal suo predecessore (Piero Tosi, uscito di scena per un' inchiesta relativa ad un concorso). I numeri dicevano che, dal 2002 al 2006, il disavanzo era passato da 7 a 49 milioni di euro. La corsa verso il burrone era già iniziata. * * * * * * 20.000 Gli studenti iscritti nelle varie facoltà dell' Università di Siena *** 2.300 *** I dipendenti dell' ateneo tra docenti e amministrativi * * * I conti La storia L' Università di Siena è nata nel 1240 e conta 20.000 studenti tra facoltà scientifiche e umanistiche I debiti L' Ateneo ha un debito che va dagli 80 ai 100 milioni di euro. Pare che una delle cause del rosso sia il mancato versamento all' ente previdenziale Inpdap dei contributi per i dipendenti. Ci sarebbe inoltre un debito nei confronti dei Monte dei Paschi per 180 milioni scaglionati fino al 2016 Alberti Francesco ======================================================= ____________________________________________________________ L’Unità 28 Sett. ‘08 ECCO IL PIANO PER PRIVATIZZARE LA SANITÀ Il sottosegretario Fazio: «Per fare gli ospedali soldi a fondo perduto e project financing» di Anna Tarquini / Roma «SANITÀ per tutti significa avere un Servizio sanitario nazionale efficiente per ogni cittadino in ogni regione ». Il principio è ineccepibile. La sua traduzione pratica un po' meno. Cosa intende fare il governo Berlusconi? Nessun investimento straordinario, magari per porre fine al turismo sanitario che costringe migliaia di malati gravi a migrare nei centri di eccellenza del Nord. Meglio privatizzare. Ma privatizzare a metà: «gli ospedali saranno in parte pubblici in parte privati» spiega il sottosegretario ferruccio Fazio. Magari con un reparto affidato al privato e un altro reparto al pubblico. Con una parte degli investimenti governativi che andranno a finanziare il privato e l'altra parte il pubblico. Una specie di memento, per la povera sanità pubblica. «Non si tratterà di una contrapposizione pubblico-privato - spiega Fazio - ma di una realtà virtuosa contro una non virtuosa». POSTI LETTO AI PRIVATI Il piano del governo è stato annunciato ieri dal sottosegretario al Welfare presente ieri a un convegno a Viareggio. Incalzato, dopo l'annuncio della soluzione-Berlusconi per risanare una Sanità in rosso, privatizzare gli ospedali pubblici. «Rispetto al Veneto e alla Lombardia - aveva annunciato il premier - , in Sicilia e in Sardegna le spese sanitarie sono del 40% più alte». «Dati che sono un imbroglio» aveva stigmatizzato ieri il governatore della Sardegna Soru. «In Sardegna noi spendiamo pro capite quello che si spende sia nella Lombardia che nel Veneto. Stiamo dentro le famose quote capitarie, cioè quanto ad ogni cittadino italiano viene destinato per il servizio sanitario. Perché la Sardegna è l'unica Regione che, diversi anni fa, ha affrontato il piano di rientro del Ministero dell'Economia ed è l'unica Regione che ha rispettato in pieno tutti gli obiettivi». Ma poi Berlusconi ha maldestramente rimediato. «È vero - è stato costretto a riprendere il premier - Sicilia e Campania e non la Sardegna, come qualcuno ha scritto, sono le regioni con la spesa sanitaria più alta. Lo dico perché so che il presidente Soru è uscito pazzo. Ho presentissimo l'elenco, la Sicilia è ultima e la Campania è sopra». Il presidente Soru prendendo «atto della retifica» si rammarica di quella che spera sia stata solo un'infelice battuta («è uscito pazzo»), perché «altrimenti c'è da preoccuparsi». Dopo i tagli annunciati in Finanziaria, un regalo ai padroni della Sanità privata. Il piano di privatizzazione è dunque qualcosa di più di un annuncio ad effetto. Le nuove joint-venture tra pubblico e privato sono nel programma di Governo. «C'è l'idea di attivare i fondi strutturali per finanziare le opere di riqualificazione degli ospedali con il 50% di finanziamento a fondo perduto e il 50% di project financig», ha spiegato Fazio. «All'interno degli ospedali pubblici, ci saranno delle unità gestite privatamente. Pensiamo che l'ospedale possa diventare una joint venture tra pubblico e privato ed è verosimile che questo possa accadere in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, ma non è detto che non possa avvenire anche in Lombardia». E per giustificare il piano, fango sui nostri ospedali. TANTI I NO Ma contro il piano privatizzazione è già rivolta. A cominciare da Bersani, ministro ombra dell'Economia «Se veramente il premier vorrà intraprendere la strada della privatizzazione degli ospedali pubblici, vi garantisco che su questo tema si romperà le ossa». D'Alema: «La sanità italiana è una delle migliori del mondo e lo testimoniano organizzazioni internazionali come l'Oms e tutto sommato avviene con costi abbastanza contenuti: spendiamo quasi il 7% del Pil mentre Germania e Francia poco più dell'8%». Meno sorpresa Livia Turco, ex ministro della Sanità: «Che la politica del Governo Berlusconi fosse la privatizzazione della sanità, lo sapevamo. D'altra parte è quanto scritto pure nel Libro verde sul Welfare del ministro Sacconi, dove ci sono tanti concetti condivisibili, ma la sostanza di quelle belle parole è che bisogna ridurre la sanità pubblica. Non è che Berlusconi ha annunciato: Berlusconi ha fatto. Con il decreto legislativo 112, infatti, si è già imposto alle Regioni di tagliare posti letto e ridurre personale. Un decreto che prevede il taglio di 5 miliardi di euro per i prossimi anni nella sanità. Così Guglielmo Epifani: «Paghiamo di più per avere di meno e favorire la sanità e la scuola privata» e il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: «Bah, bah...mi sembra un po' così, siamo all'improvvisazione». ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Sett. ‘08 SANITÀ: LA SARDEGNA SPENDE PIÙ DELLA LOMBARDIA» «Rispetto al Veneto e alla Lombardia in Sicilia e in Sardegna si spende più del 40 per cento in più. La soluzione è il federalismo fiscale e anche la privatizzazione di molti ospedali pubblici ». È il passaggio dell’intervento del premier Silvio Berlusconi ad un incontro organizzato dai «Liberali popolarì di Carlo Giovanardi a Todi. Il presidente del Consiglio, che è inaspettatamente intervenuto durante una visita privata alla cittadina umbra, ha difeso il federalismo sostenendo che è una riforma in cui la maggioranza conta» e grazie alla quale «si potranno abbassare le imposte. Non si fa attendere la replica del presidente della Regione Renato Soru: «Berlusconi citando la Sardegna sbaglia di grosso perchè l’isola spende per la sanità esattamente quanto stabilito dal fondo sanitario nazionale». Il governatore chiarisce che «al quarto anno di questa legislatura regionale siamo rientrati nelle cifre stabilite dai piani di spesa fissati nella conferenza Stato- Regioni. E la circostanza è stata riconosciuta dallo stesso ministero dell’Economia che ha posto la Sardegna tra le Regioni che hanno rispettato in pieno le previsioni di spesa». Intanto dal Festival della salute di Viareggio interviene anche il senatore del Pd Ignazio Marino per replicare alle parole di Berlusconi: «Il problema della sanità siciliana non è il fatto che sia pubblica, ma che non sia mai stata controllata e gestita da amministratori e politici capaci». Per il parlamentare «la sanità siciliana è stata per anni terra di conquista da parte della criminalità organizzata che ha avuto sempre grandi interessi economici in un settore che controlla l’80 per cento del budget della Regione. Pensare di affidare la sanità ai privati non è la soluzione per migliorarla, è semmai una rinuncia da parte dello Stato. Significa ammettere di non essere in grado di contrastare la criminalità ». ____________________________________________________________ IlSOle24Ore 3 Ott. ‘08 INTRAMOENIA SELVAGGIA E TROPPI PRIMARI ISPETTORATO GENERALE DI FINANZA Niente controlli sull'iperprescrizione Macchinari al passo, liste d'attesa lunghe Intramoenia, iperprescrizioni, eccesso di spesa per gli stipendi ed eccesso di primariati, consulenze, appalti, forniture, sottoutilizzazione delle apparecchiature diagnostiche. Sono tante e quasi tutte concentrate sul personale le irregolarità e le carenze rilevate nel 2007 dall'Ispettorato generale di finanza nel rapporto 2007, appena pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato. Tre i filoni di indagine: verifiche ad ampio raggio ad Asl e Ao, "Progetto salute", prosecuzione degli accertamenti sulle strutture periferiche della Croce Rossa italiana. Il tutto nel 2007 con 45 ispezioni. Il Progetto salute, come nel 2006 ha messo nel mirino la libera professione intramoenia dei medici del Ssn, le liste d'attesa, visite, esami ecc. e prescrizioni dei medici di base. E il risultato non cambia rispetto alle osservazioni fatte per il 2006. Per l'intramoenia si continua a bypassare il Cup nelle prenotazioni, non si programmano gli spazi interni all'azienda né si costituiscono i servizi ispettivi per il controllo dell'esclusività, non si vigila sulle tariffe di chi è autorizzato alla libera professione e la quota di riparto degli incassi tra professionisti e servizio pubblico non copre nemmeno le spese per l'Irap a carico dell'azienda. Sulle liste d'attesa, invece, l'Ispettorato rileva che per alcune specialità l'allungamento dei tempi è dovuto a una sottoutilizzazione dei macchinari diagnostici e spesso anche all'assenza di informazioni al pubblico dell'esistenza di soluzioni alternative come a esempio la possibilità di rivolgersi ad altre strutture pagando il solo ticket. Altra irregolarità è poi la scarsissima o del tutto assente attività di monitoraggio delle prescrizioni dei medici di famiglia e l'azione verso i medici individuati come iperprescrittori. Altra critica il costo del personale dipendente: nel 2007 è aumentato «in violazione della norma della legge Finanziaria 2007 che prevede una diminuzione dell'1,4% rispetto alla spesa del 2004». E un altro tipo di irregolarità fa parte del carnet dell'Ispettorato per il 2007: l'affidamento di incarichi temporanei di direzione di struttura complessa oltre il limite del 2% dell'organico dirigenziale. Troppi primari quindi. Irregolare anche il ricorso a incarichi di consulenza che spesso avviene senza l'attivazione di procedure comparative di selezione. Naturalmente non ci sono solo i professionisti nel mirino e altre cose che proprio non vanno nel Ssn sono da parte degli istituti tesorieri la contabilizzazione «a danno delle aziende» degli interessi passivi sulle anticipazioni «in misura superiore a quanto previsto dalle convenzioni di tesoreria» e da parte delle aziende le irregolarità nelle procedure di affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture. E quest'ultimo caso è particolarmente pesante nelle aziende ospedaliere per servizi ricorrenti come mensa, lava-nolo ecc., tanto che l'Ispettorato sottolinea che in alcuni casi si è arrivati a ipotizzare danni erariali di notevole entità (milioni di euro). Infine i controlli sulla Croce Rossa italiana. La gestione contabile dei Comitati periferici (ne sono stati verificati 14 nel 2007, completando il ciclo iniziato nel 2004), presenta una serie di criticità causate soprattutto dall'assenza di una adeguata struttura amministrativa. In particolare l'Ispettorato ha registrato: diffuse carenze (ritardi-omissioni) nella riscossione dei compensi per servizi ai privati; indebito pagamento di maggiori spese alle banche tesoriere, rispetto a quanto previsto nelle convenzioni; omesse ritenute fiscali e previdenziali sulla quota del valore dei buoni pasto oltre il tetto non tassabile. P.D.B. ____________________________________________________________ IlSOle24Ore 3 Ott. ‘08 SDO 2007: TROPPI RICOVERI ANCORA INAPPROPRIATI AGENAS/ Secondo lo studio Remolet su sei Regioni campione sono in eccesso le degenze a rischio - L'ambulatorio migliora le prestazioni Considerando l'elenco dei Lea 2008 i Drg impropri aumentano del 30% - La soluzione: riorganizzare gli ospedali Nei primi sei mesi del 2007 sono ancora troppi i ricoveri a rischio di inappropriatezza, ma si accorciano alcune degenze e i day hospital assieme agli ambulatori prendono sempre più piede nell'assistenza ospedaliera. A scattare la fotografia anticipando le Sdo 2007 per il primo semestre dello scorso anno in sei Regioni, è lo studio Remolet, rete di monitoraggio dei Lea tempestiva, attivata sperimentalmente dall'Agenzia nazionale dei servizi sanitari. Le Regioni che hanno trasmesso i dati sono: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Umbria e Sicilia. I risultati dell'analisi sottolineano che dopo alcuni anni di crescita costante, i ricoveri in day hospital tra il 2006 e il 2007 rallentano. Ma non in due Regioni: Lombardia e Lazio, dove cataratta e tunnel carpale si fanno ormai solo a livello ambulatoriale. Le riduzioni maggiori dei ricoveri nelle sei Regioni campione sono per le malattie e disturbi del sistema nervoso (-10%), per le malattie dell'occhio (- 32%) e per i disturbi di pelle, tessuto sotto-cutaneo e mammella (-9%). Si viene ricoverati nel 40% dei casi in queste Regioni per interventi chirurgici, tranne in Sicilia dove la proporzione scende al 29%. E i casi chirurgici risolti con degenza breve da due giorni sono per ora prerogativa del Nord: 26% in Lombardia e in Emilia e solo 6-8% in Sicilia e Lazio. I Drg più frequenti. I primi 30 Drg per numero di casi trattati assorbono un terzo di tutti i ricoveri delle sei Regioni. Tra i più frequenti c'è il Drg "altri fattori che influenzano lo stato di salute" e, sottolinea Remolet, ben sette Drg a rischio di inappropriatezza secondo i Lea 2001. Le principali variazioni tra il 2006 e il 2007 sono quelle di riduzione dei ricoveri a rischio di inappropriatezza (-13.396 ricoveri nelle sei Regioni). Tralasciando questi, lo studio mette in evidenza che le variazioni maggiori si sono avute per il Drg "Interventi sul sistema cardiovascolare per via percutanea con inserzione di stent nell'arteria coronarica senza Ima") che, rispetto a variazioni minime nelle altre Regioni, in Umbria presenta un incremento del 54% e in Sicilia una riduzione del 24%, e per il Drg "Chemioterapia", che in tutte le Regioni registra riduzioni dei ricoveri ordinari e aumento di quelli in day hospital, tranne che in Umbria, in cui aumentano entrambi. I primi 10 Drg chirurgici per numero di dimissioni sono anche quelli che comprendono il 48% dei ricoveri di breve durata (meno di due giorni) e tra questi ce ne sono 5 a rischio di inappropriatezza secondo i Lea 2001 che sarebbero ben 9 se fosse stato approvato il Dpcm 2008. Tra il 2006 e il 2007, nelle sei Regioni per i Drg più numerosi si osservano riduzioni, mentre per gli altri aumenti generalmente di modesta entità, tranne che per il Drg "Interventi sul piede", per il quale l'incremento è del 10 per cento. Tra i primi 10 Drg medici per numerosità della casistica (27% dei ricoveri medici brevi) ci sono 3 Drg a rischio di inappropriatezza secondo i Lea 2001 e 8 secondo la bozza non approvata del 2008. Le variazioni tra il 2006 e il 2007 sono diverse tra i singoli Drg; cresce di 1.650 casi (+181%) il Drg "Altre malattie dell'occhio in età inferiore a 17 anni senza complicazioni". I Drg a rischio di inappropriatezza. Nel gruppo delle sei Regioni i ricoveri ordinari per Drg a rischio di inappropriatezza rappresentano ancora nel I semestre 2007 tra il 12 e il 18% di tutti i ricoveri ordinari. Le modalità di trattamento di questi Drg sono differenti tra le Regioni e variano tra il 2006 e il 2007. Il più frequente è quello per "Interventi sul ginocchio senza diagnosi principale di infezione" con variazioni diverse tra Regioni. Il numero di ricoveri in regime ordinario si riduce ovunque, a eccezione della Lombardia. In Piemonte, invece, a esempio, i ricoveri ordinari si riducono per la concomitanza tra contrazione dei ricoveri con durata della degenza superiore a un giorno e incremento dei ricoveri di meno di 2 giorni. Tra i Drg a rischio di inappropriatezza le variazioni maggiori sono per il Drg "Decompressione del tunnel carpale" e per il Drg "Interventi sul cristallino con o senza vitrectomia", che registrano forti riduzioni dei ricoveri ordinari e day hospital in tutte le Regioni. Non ovunque però la riduzione è uguale. A esempio l'elevatissima riduzione dei ricoveri in Lombardia e Lazio è conseguenza del livello raggiunto tra il 2006 e il 2007 di orientamento delle prestazioni verso il regime ambulatoriale, mentre in altre questo è avvenuto precedentemente come in Emilia Romagna e in altre è ancora in corso. Per il Drg "Legatura e stripping di vene" la riduzione dei ricoveri è modesta e diversa tra le Regioni: per tutte si riducono quelli ordinari e aumentano in genere i ricoveri in day hospital a eccezione dell'Umbria, unica tra le Regioni esaminate, dove si incrementa il volume di ricoveri ordinari con durata superiore a un giorno. Remolet poi simula l'applicazione del nuovo elenco di Drg a rischio di inappropriatezza previsto nel Dpcm 2008 mai approvato e in fase di revisione. In questo caso l'incidenza di tali Drg aumenta fino quasi a raddoppiare, arrivando a rappresentare oltre il 30% dei ricoveri in regime ordinario nel I semestre 2007. La proporzione di ricoveri ordinari a rischio di inappropriatezza è diversa tra le singole Regioni. Tra i primi 10 Drg a rischio per numerosità della casistica si trovano 4 Drg introdotti dall'elenco 2008: "Chemioterapia non associata a diagnosi secondaria di leucemia acuta", "Malattia polmonare cronica ostruttiva", "Aritmia e alterazioni della conduzione cardiaca senza complicazioni", "Aborto con dilatazione e raschiamento, mediante aspirazione o isterotomia", che rappresentano il 14% dei ricoveri ordinari di Drg a rischio di inappropriatezza (il 4,3% del complesso dei ricoveri ordinari). Se si considerano poi i primi 20 Drg a rischio di inappropriatezza, quelli previsti nel 2008 sarebbero stati 10, il 27% dei ricoveri a rischio (l'8,8% del complesso dei ricoveri ordinari). Si aggiungono alla lista i Drg "Tonsillectomia e/o adenoidectomia in età inferiore ai 18 anni", "Otite media e infezioni alte vie respiratorie in età inferiore ai 18 anni", "Interventi sui tessuti molli senza complicazioni", "Interventi su mano o polso eccetto interventi maggiori sulle articolazioni senza complicazioni", "Escissione locale e rimozione di mezzi di fissaggio intramidollare eccetto anca e femore", "Calcolosi urinaria con complicazioni e/o litotripsia mediante ultrasuoni". E visto che i nuovi Drg previsti tra quelli a rischio di inappropriatezza sono una quota consistente dei ricoveri ordinari, Remolet conclude che le Regioni «dovranno incentivare definite e adeguate soglie di ammissibilità e lo spostamento verso il regime di day hospital». Questo con una inevitabile riorganizzazione della rete ospedaliera «prevalentemente strutturata per la gestione di ricoveri ordinari, garantendo comunque adeguati livelli di offerta in regime ambulatoriale». Paolo Del Bufalo Variazione del numero di ricoveri tra i primi se Variazione percentuale dei ricoveri relativi a Drg a ris Ricoveri per acuti. Distribuzione secondo la Mdc (classe di diagnosi principale) 2006-200 ____________________________________________________________ IlSOle24Ore 3 Ott. ‘08 TAR BARI:STIPENDI, DOCENTI «PARIFICATI» OSPEDALIERI TAR BARI/ Diritto di parità dei livelli retributivi tra medici universitari e ospedalieri Ai prof spetterebbero anche altre indennità oltre alla equiparativa www.24oresanità. ON LINE I testi delle sentenze Gli stipendi dei medici universitari devono essere equiparati a quelli degli ospedalieri. Il Tribunale amministrativo di Bari ( sentenza 2139/2008 ) ha accolto il ricorso di una dottoressa dipendente dell'ateneo per la mancata risposta del rettore a una richiesta di rideterminazione del trattamento economico e alla conseguente corresponsione delle differenze spettanti ai fini del ricalcolo della indennità di buonuscita. Un comportamento bollato dai giudici che nel ribadire il diritto alla risposta hanno precisato che «L'Università è, infatti, direttamente tenuta a corrispondere ai medici universitari, che prestano attività assistenziale nelle strutture ospedaliere, i compensi previsti dalle disposizioni in materia, indipendentemente dalla provvista delle relative somme da parte dell'amministrazione sanitaria». Del resto, questo è un orientamento consolidato su cui il Consiglio di Stato aveva sentenziato più volte (4 maggio 2005, n. 2171; 18 aprile 2003, n. 2098; 13 novembre 2001, n. 5809): «L'equiparazione economica fra il docente universitario (...) e il personale delle Asl di pari funzione, mansioni e anzianità di servizio, costituisce un preciso obbligo per l'amministrazione universitaria, indipendentemente dalla stipulazione delle convenzioni, le quali intercorrono tra Università e Regioni e attengono esclusivamente alla provvista dei mezzi finanziari necessari per assicurare tale equiparazione». Fin qui tutto già noto. La professoressa avrà quanto le spetta. I giudici, tuttavia, si spingono oltre e attraverso una puntuale ricostruzione della giurisprudenza e della normativa, si inerpicano lungo un sentiero scivoloso per il Ssn. Il nodo è rappresentato dalle indennità e dall'interpretazione del Dlgs 517/1999. «Le indennità di posizione e di risultato di cui al primo comma dell'art. 6, Dlgs n. 517 del 1999, quindi, non sono previste in sostituzione dell'indennità equiparativa, ma in aggiunta alla stessa. Esse, infatti, non sono fungibili tra loro assolvendo ciascuna a una propria specifica funzione». Nella ricostruzione barese, tali indennità vanno sommate per livellare quanto disposto dopo l'applicazione del Ccnl 1994-'97 che ha «provveduto a ricostruire la retribuzione spettante ai dirigenti medici di I e II livello, la quale non viene più determinata in relazione alla posizione funzionale, al profilo professionale (assistente - aiuto - dirigente) e al corrispondente livello retributivo (IX - X XI), ma in relazione alla posizione ricoperta, tenuto conto anche dell'anzianità di servizio, e ai risultati raggiunti. Infatti il trattamento economico del personale medico ospedaliero attualmente si compone di uno stipendio tabellare determinato in misura fissa dallo stesso contratto collettivo nazionale di lavoro e di una serie di indennità aventi la funzione di "individualizzare" il trattamento economico di ciascun dirigente in funzione dei compiti assistenziali svolti, della posizione e degli incarichi ricevuti in funzione dell'anzianità di servizio e dei risultati raggiunti». Se prevalesse questa dottrina il peso ricadrebbe sul Ssr e i docenti oltre all'adeguamento avrebbero compensi molto maggiori dei colleghi ospedalieri. Lucilla Vazza ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 2 Ott. ‘08 Aou: ORANO: LA MANAGER DELLA MEDIAZIONE Orano è la direttrice sanitaria dell'azienda ospedale-università - «Bisognerà fare in tempi brevissimi l'atto aziendale e per crescere tutti insieme com'è necessario» CAGLIARI. La direttrice sanitaria dell'azienda mista Regione-Università Maria Teresa Orano professionalmente è nata in una direzione sanitaria: cominciò al San Giovanni come vicedirettore. Cioè è diventata il capo di un ambiente suo e in una materia sua. Non era scontato, però, e quindi è contenta e non lo nasconde. Il fatto di essere donna è una notizia soltanto per gli altri e forse anche un pretesto per le frasi di auguri che da un paio di giorni la raggiungono via sms, mail oppure nei biglietti degli omaggi floreali. Orano è stata chiamata il 16 luglio, ha preso servizio il 17 ma la presentazione ufficiale è avvenuta solo nei giorni scorsi. E' stata in quasi tutti gli ospedali dell'Asl 8, le hanno telefonato da tutti gli uffici in cui ha lavorato: «Ho ricevuto molte testimonianze d'affetto, a me piace lavorare con tutti, condividere le scelte, naturalmente ci sono i limiti imposti dalle normative e quando c'è da assumersi le responsabilità bisogna farlo». Insomma, ogni volta che può, Maria Teresa Orano media: «Sì. L'imposizione non può piacere a nessuno. Basta non fare agli altri quel che non si vuole venga fatto a noi: a chi piace subìre un'imposizione? Io dico sempre: siamo una catena, dalla direzione all'usciere, ed è bene che non si interrompa». C'è un luogo comune: che le donne non lavorino bene insieme: «Noooo. Le donne lavorano insieme benissimo, io - continua Orano - ho sempre lavorato con donne e non ho mai avuto problemi». Esiste una verità: per le donne resta difficile conciliare lavoro e il resto della vita. «E' un po' più difficile, forse. Per me non lo è stato particolarmente, ho cresciuto i miei figli, in casa mia madre lavorava, sono abituata al lavoro. Direi che conta molto la divisione dei compiti in famiglia e anche l'entusiasmo». Per troppe donne, però, lavorare è una corsa a ostacoli, la manager che non ha avuto molte difficoltà con quale sensibilità accoglie eventuali problemi di altre? «Sono sempre andata incontro a chi si è trovato in difficoltà - risponde - l'equilibrio psicofisico di una persona è fondamentale, è sbagliato non mettere le persone nella condizione di dare il meglio». L'azienda mista è un animale nuovo: «Non c'è dubbio, bisogna darsi da fare per preparare l'atto aziendale in tempi brevissimi, è un lavoro importante che coinvolgerà tutta la direzione e che dovrà essere condiviso quanto più possibile e capisco che non tutto sarà pienamente condivisibile». Forse le richieste degli universitari non saranno del tutto esaudibili? «Non è questa la discussione, il tema deve essere diverso, ricerca e didattica sono fondamentali e per preparare i nuovi medici ci vuole anche un'assistenza di alto livello, dovremo capire che, per crescere tutti, bisognerà condividere le scelte. Ma io sono ottimista: a Monserrato ho trovato una grande voglia di crescere». (a. s.) ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 Set. ‘08 MONSERRATO: SALTA IL VETO SUL METRÒ PER GLI OSPEDALI Nuovo accordo sui 12 chilometri dal Brotzu a Pitz’e serra, mentre si progetta l’intera rete CAGLIARI. Un altro fondamentale tassello della rete di metropolitana leggera si aggiunge in questi giorni con l’accordo finalmente trovato tra il comune di Cagliari e lo staff di progettisti Regione-Arst (gli ex Fds che hanno sempre gestito l’ipotesi metropolitana). Il troncone della disputa sono i 12 chilometri e 400 metri tra via Peretti dove c’è l’ospedale Brotzu e il quartiere di Pitz’e serra passando dalla via Vesalio. Dodici fermate che formano un asse tra l’ovest e l’est dell’area cagliaritana, ritenuto un asse portante per sostenere il traffico dei pendolari che si muovono ogni giorno a migliaia lungo l’asse mediano e anche per rendere un servizio al cittadino dell’area est, dove negli ultimi anni c’è stata la maggior espansione residenziale. Questi ormai 120 mila abitanti quasi non dispongono di mezzi pubblici in grado di portarlo nella zona degli ospedali. Questa linea che si chiama «3» nella mappa del progetto per una metropolitana dell’area vasta era stata addirittura accantonata: il Comune del capoluogo non vedeva bene il passaggio dei binari nella via Vesalio. All’intesa si è giunti con alcune modifiche della prima ipotesi e nelle prossime settimane l’accordo verrà formalizzato. Si tratta di un passo importante perché, in assenza del consenso cagliaritano, il troncone sarebbe partito dalla via Vesalio per raggiungere Pitz’e serra passando da Is Pontis Paris, via Fiume, piazza 4 Novembre, piazza Principessa Iolanda e Pitz’e serra, lasciando fuori la tappa forse più necessaria, quella del complesso ospedaliero Brotzu, Microcitemico, Oncologico. Resta ancora saldo il no del capoluogo al passaggio della metropolitana in via Roma. E’ un punto delicato che in passato aveva del tutto bloccato il progetto del trenino. Adesso, con l’ipotesi lanciata dalla Regione, l’anello che si chiuderebbe a Cagliari grazie al tratto di via Roma è una delle linee dell’area vasta, non l’unica, quindi, non necessariamente la più importante. E’ documentato dagli studi di settore che gli spostamenti sono aumentati notevolmente tra le periferie del capoluogo e i centri dell’area vasta, una metropolitana leggera serve anche se Cagliari taglia fuori mezza città. E infatti il resto della progettazione procede. Vanno avanti i lavori per collegare la stazione di Monserrato-Gottardo al Policlinico universitario, si marcia verso l’elettrificazione della linea ferroviaria per Settimo San Pietro. Ma alla Regione si susseguono le riunioni per rispettare il cosiddetto cronogramma per arrivare all’appalto dell’intera opera. I progetti sono in dirittura d’arrivo, «si sta tentando di rispettare i tempi che ci eravamo dati - spiega l’assessore regionale ai trasporti Sandro Broccia - si sta lavorando alla definizione dei progetti per arrivare all’appalto, l’impegno è di bandire la gara entro il primo semestre dell’anno prossimo». Il primo troncone di Metrocagliari è stato inaugurato il 7 marzo 2008 dall’ex ministro dei trasporti Alessandro Bianchi, che definì la piccola opera «il primo tassello di una grande rete di metropolitana leggera». (a. s.) ____________________________________________________________ Tst tutto Scienze e tecnologia 1 ott. ’08 "CURE SU MISURA SI CAMBIERÀ COSÌ" Leonardo Santi Un giorno sì potrà dire che la medicina non è uguale per tutti. Ecco la nuova frontiera della genetica e della biotecnologia: cucire addosso al paziente una cura adeguata sia alla patologia sia al profilo genetico. I progressi in questo campo, tra sperimentazioni e scenari futuri, saranno al centro del convegno «New large scale approaches to drug discovery», organizzato oggi a «Bioforum», l'expo-conference sul biotech di Milano. «Secondo uno studio Usa, ogni anno 100 mila persone muoiono per reazione a un farmaco durante un ricovero», spiega Leonardo Santi, relatore del convegno e presidente del «Comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita». Professore, i farmaci personalizzati annullerano i rischi? «Ricerca e sperimentazione si muovono in questo senso. Anche se affetti dalla stessa patologia, infatti, non tutti i pazienti rispondono nello stesso modo a una cura». A che punto sono gli studi? «Ci sono due obiettivi. Identificare proteine mirate per ogni patologia e trovare farmaci adatti per ogni tipo di malato. Mentre su questo secondo aspetto i risultati pratici sono, per ora, limitati, i farmaci biologici sono già in commercio. Alcune forme leucemiche, per esempio, vengono contrastate con queste medicine, che distruggono le cellule alterate senza però intaccare quelle sane». Come cambiano i nuovi metodi di «drug discovery» - lo studio dì nuovi farmaci - rispetto a quelli tradizionali? «La via tradizionale è quella della sintesi chimica, mentre ora si punta sulla biotecnologia: i nuovi metodi si basano su una combinazione di studi sperimentali ("discovery-driven") e analisi computazionale ("hypothesis- driven")». I sistemi sanitari potranno sostenere il peso economico di una sofisticazione così spinta? «E' presto per dirlo, perché dai test iniziali all'immissione sul mercato di solito passano almeno 12 anni. Penso, comunque, che il vero problema sia la razionalizzazione delle risorse. Se i farmaci biologici sono più costosi di quelli tradizionali, l'importante è evitare gli sprechi. Per esempio, per il tumore alla mammella c'è già in terapia un farmaco che si basa su una proteina che agisce su un "target" specifico. L'errore sarebbe usarlo in maniera non mirata. Se, invece, viene prescritto solo nei casi in cui dà risposta positiva, offre garanzie di risparmio, perché più è efficace più si riduce il tempo della cura. Bisognerebbe studiare di più la farmacoeconomia e metterla in pratica». I prezzi più alti dei farmaci biologici sono davvero giustificati? «Ora sono giustificati dal peso della ricerca scientifica e dal costo di test sofisticati, ma in futuro dovrà esserci una maggiore vicinanza tra quelli tradizionali (basati sulla sintesi chimica) e quelli biologici (che usano le proteine prodotte dai geni). Nel prossimo G8 si parlerà del tentativo di crearli usando le piante come bioreattori. Questo potrebbe abbassare notevolmente i costi». A che punto è la ricerca da noi? «L'Italia è molto qualificata:sul fronte delle nuove prospettive farmaceutiche siamo avanti. Il problema è un altro: siamo carenti quando si deve passare dal laboratorio al mercato. Siamo tagliati fuori dalla produzione di farmaci in grandi quantità». RUOLO: E' PRESIDENTE DELCENTRO PER LE BIOTECNOLOGIE AVANZATE DI GENOVA E DEL «COMITATO PER LA BIOSICUREZZA, LE BIOTECNOLOGIE E LE SCIENZE DELLAVITA» RICERCHE: NUOVI FARMACI ____________________________________________________________ La Repubblica 1 Ott. ‘08 SIAMO TUTTI PAZIENTI DI INTERNET IL MEDICO VIRTUALE PIACE DI PIÙ Boom dei siti dedicati alla salute, nel mondo sarebbero 100mila. Un italiano su otto si fida delle informazioni Google e Microsoft si adeguano e lanciano motori di ricerca al servizio della ricerca della cura specialistica Alcune istituzioni super partes si occupano di valutarne l'affidabilità ELENA DUSI L'ultimo posto dove la speranza muore è Internet. Non esiste malattia incurabile, né diagnosi indecifrabile nel non-luogo della rete, dove persino una medicina come il "calcinato di diamante" è venduta a caro prezzoa chiè tanto ingenuo da credere alla sua esistenza. Secondo una stima probabilmente difettosai siti che si occupano di salute sono 100mila nel mondo. Un italiano su otto (in maggioranza giovanie colti) si fida delle informazioni trovate in rete più del proprio medico di famiglia, ha calcolato il Censis. E perfino due giganti come Microsoft e Google, in stretta successione, tra la fine dell'anno scorso e l'inizio del 2008 si sono gettati sull'affare, mettendo i loro motori alla ricerca di una cura. In "Google Health" si inserisconoi propri dati clinici in cambio di informazioni su medici specialisti e ultime novità della ricerca. Ma il limite più estremo cui l'abbraccio fra Internet e salute si è spinto riguarda il "dicloroacetato", un farmaco per uso veterinario che secondo voci mai confermate avrebbe il potere di curare il cancro. Tramite la rete questo preparato viene venduto, e i risultati della sperimentazione fai-date sono condivisi dai pazienti sempre su Internet, al di fuori di qualsiasi controlloe nella speranza di trovare al di fuori dei circuiti della medicina ufficiale la pietra filosofale contro la malattia più temuta. Non tutto quel che transita per la rete è tuttavia da buttare. «Siti come l'americano www.clinicaltrials.gov contengono informazioni sulle nuove cure in corso di sperimentazione. E i progressi della ricerca medica sono sempre in rete, nell'enorme database di "Medline"» spiega Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di informatica medica dell'Istituto Mario Negri di Milano, uno dei principali osservatori del fenomeno della salute online. E se in Italiai pochi esperimenti di classifiche di medici e ospedali hanno provocato più polemiche che altro, la Gran Bretagna è riuscita a rompere il tabù del confronto per trovare chi è lo specialista "più bravo". Il sito del National Health System (www.nhs. uk) seleziona le strutture del sistema sanitario nazionale che hanno più esperienza nel trattare varie patologie. «Ed esiste anche una sezione - prosegue Santoro - in cui i pazienti possono lasciarei loro commenti sull'attenzione che hanno ricevuto dai medici, la sollecitudine degli infermieri e il trattamento umano in generale». Alcune istituzioni super partes si occupano di valutare l'affidabilità dei siti che spuntano nella rete comei funghi. "Health on the net" per esempioè una fondazione nata a Ginevra nel 1995, su iniziativa fra gli altri di Organizzazione mondiale della sanità, Commissione europea, Cern e Unione internazionale per le telecomunicazioni. Misura indipendenza e correttezza dei siti che si occupano di salute e poi gli assegna un "bollino" di certificazione: quell'"Hon code" che si incontra anche visitando molte pagine italiane, in maggior parte gestite da enti pubblici e organizzazioni non profit. Per quanto riguarda i camici bianchi, spiega Santoro, «l'ultima revisione del codice deontologico è stata molto severa con l'uso di Internet. A parte curriculume specializzazioni, c'è poco da inventare per i medici che si vogliono far conoscere in rete». Nessun divieto (e neanche limiti) si registrano invece per le informazioni che i pazienti decidono di scambiarsi in rete. «L'esplosione dei social networksè la vera novità di Internet. Blog, forum di pazienti, perfino siti di informazione autogestita come wikipedia per loro natura sfuggono a tutti i controlli.Ea volte la battaglia fra le case farmaceutiche finisce proprio lì, in siti come wikipedia che sono sempre i primi a comparire nei motori di ricerca».E finiscono con l'essere un passaggio obbligato nella caccia di informazioni sulla salute tramite la rete. ___________________________________________________________ Repubblica (Io Donna) 4 ott. ’08 FARMACI RICERCHE TRUCCATE. PARAMETRI CAMBIATI. MALATTIE INVENTATE O DRAMMATIZZATE. II diktat dell'industria è: trasformare tutti in pazienti di Daniela Condorelli a multa per i danni causati da un farmaco nocivo? Corrisponde a meno di quanto l'azienda guadagna nel periodo in cui il prodotto rimane sul mercato prima che se ne scoprano gli effetti collaterali». La cinica confessione viene da Shahram Ahari, un informatore scientifico pentito; la si trova su Youtube. insieme ad altre simili ( http//pharmedout.org). II comparto farmaceutico vale 400 miliardi di dollari. Che qualche farmaco uccida è un incidente di percorso. Ma gli incidenti sono sempre di più. Tanto che la Food and Drug Administration (Fda), l'ente americano che regola i medicinali, ha pensato di mettere in rete una lista di sorvegliati speciali (www.fda.gov), da tenere d'occhio per accorgersi tempestivamente di nuovi effetti collaterali e prendere provvedimenti. Provvedimenti a volte drastici, com'è accaduto per la cerivastatina della Bayer (Lipobay): è stata ritirata dal mercato perché causava importanti danni muscolari. Un altro caso riguarda alcuni antinfiammatori (Vioxx della Merck e Bextra della Pfizer), che per proteggere lo stomaco danneggiavano il cuore. Fino all'infarto. Sono migliaia le cause in corso legate ai danni da Vioxx, mentre resta nelle farmacie il celecoxib (Celebrex, sempre Pfizer), della stessa famiglia, con l'indicazione sull'aumento dei rischi cardiocircolatori. Una class action, cioè una causa collettiva intentata da migliaia di persone, è in corso contro la Eli Lilly per lo Zyprexa, usato contro la schizofrenia e ritenuto colpevole di causare diabete, ictus e obesità (www.lawyersandsettlements.com). «Da questi eventi dovremmo trarre una lezione», afferma Nicola Magrini, responsabile del Centro per la valutazione dell'efficacia dell'assistenza sanitaria di Modena. «Perché usare un analgesico come il Vioxx per mesi a fronte di un rischio, anche basso, di infarto? 0 perché, come è accaduto per la cerivastatina, aumentare le dosi o accontentarsi di studi di registrazione limitati per tipo di popolazione e tempo di esposizione?». II problema non è solamente nella fretta di commercializzare il prodotto. A volte, non tutte le informazioni vengono date subito. Un report apparso sul New England Journal of Medicine rivela che la differenza tra placebo e alcuni antidepressivi come Prozac e Paxil è minima. Secondo la prestigiosa rivista inglese, un terzo degli studi non era stato pubblicato. Un'altra doccia fredda, dopo l'allarme sull'aumento di suicidi nei giovani collegato all'assunzione di questi farmaci. E, a proposito di aumentati istinti suicidi, è sotto stretta sorveglianza lo Champix della Pfizer; usato da oltre cinque milioni di pazienti per smettere di fumare, dovrà essere venduto con maggiori avvertimenti in merito agli effetti collaterali (www.aifa.it). FIBROMALGIA OVVERO DOLORE DIFFUSO: FORSE NEPPURE ESISTE MA E UN BUSINESS ENORME Anche l'acclamato vaccino contro il papilloma virus (Gardasil, della Merck) è strettamente monitorato dall’'Emea (www.emea.europa.eu), l'ente europeo che si occupa dei medicinali, dopo che sono stati segnalati alcuni decessi successivi alla somministrazione. Un'analisi dei casi si trova sul numero dello scorso 9 settembre della rivista dell'associazione medica canadese ( www.cmaj.ca). Altro tema: a volte i benefici dei prodotti non sono del tutto chiari. All'inizio del 2008 lo studio Enhance sull'ezetimibe (Merck e Schering Plough), farmaco per abbassare il colesterolo, ha rilevato che non rallenta l'accumulo di placche nelle arterie. Prima di parlare di fallimento, però, occorrono altri studi. Anche perché si tratta di medicinali che, sul mercato statunitense, hanno fatto guadagnare ai produttori cinque miliardi di dollari. Quante volte è stata annunciata la scoperta del secolo, per fare marcia indietro dopo pochi anni? Viene da chiedersi come sia possibile che gli enti responsabili diano il via libera a prodotti che poi si rivelano inutili o persino nocivi. Tra le possibili risposte ci sono i trial truccati perché sponsorizzati dalla sola industria, e le azioni di lobby su politici, medici e persino associazioni di pazienti. A rivelarlo è Marcia Angeli, per anni direttore del New England Journal of Medicine, che ha appena pubblicato su Jama, la rivista dell'American Medicai Association, un articolo dal titolo eloquente: Industry-Sponsored Clinical Research, ovvero "la ricerca clinica sponsorizzata dall'industria". Già nel suo illuminante Farma & Co. (II Saggiatore), Angeli aveva denunciato alcuni trucchi per pilotare i risultati degli studi: comparare i nuovi farmaci con placebo invece che con altri già sul mercato: scegliere campioni selezionati, per esempio arruolando solo giovani anche se i farmaci sono destinati agli anziani. Oppure presentare solo i risultati favorevoli. «È quanto avvenuto per l'antinfiammatorio rofecoxib della Merck», segnala Angeli su Jama. Com'è possibile tutto questo? Da uno studio del Center for Public Integrity risulta che le industrie del farmaco hanno speso, dal gennaio 2005 al giugno 2006, quasi 182 milioni di dollari in attività di lobby per influenzare la legiferazione degli Stati Uniti. Per esempio per proteggere i brevetti, o per vietare l'importazione di prodotti meno costosi dal Canada. Oltre cento milioni dal 1998 al 2006 sarebbero stati dati dalle case farmaceutiche a sostegno alle campagne federali (www.publicintegrity.orglrxlreport.aspx?aid=823). II problema maggiore del sistema di sorveglianza sulla sicurezza dei farmaci è che le aziende sono spesso responsabili della raccolta, valutazione e divulgazione dei dati sul proprio prodotto. Inoltre, dal '92 le case farmaceutiche pagano una tassa per finanziare I'Fda: 825 milioni di dollari tra il 1993 e il 2001. Nello stesso periodo, il tempo medio di approvazione dei farmaci è passato da 27 a 14 mesi. A volte i farmaci dannosi sono anche superflui. È il disease mongering, letteralmente "commercializzazione delle malattie". Ovvero: creare il fabbisogno, inventando e vendendo patologie; trasformare i sani in malati per ampliare il mercato. Sono le accuse rivolte a Big Pharma nella coraggiosa inchiesta di Ray Moynihan e Alan Cassels, Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti (Nuovi Mondi Media). Già nel 2002 il 8ritish Medical Journal aveva identificato alcune malattie "spinte" dalle case farmaceutiche: dalla depressione alla patologizzazione della menopausa, dal colon irritabile all'osteoporosi, dal deficit di attenzione nei bambini alla disfunzione erettile. L'ultima sarà la fibromialgia? È quanto si chiede il New York Times di fronte alla pubblicità del primo farmaco approvato, il Lyrica della Pfizer. Secondo l'azienda la fibromialgia, un inspiegabile dolore diffuso, colpisce dieci milioni di americani, ma c'è chi ne mette addirittura in dubbio l'esistenza. Eppure, da quando il prodotto è stato approvato per questa indicazione, le vendite sono aumentate del 50 per cento, raggiungendo 1,8 miliardi di dollari nel 2007. e patologie si creano anche abbassando le soglie d'intervento sui fattori di rischio, come pressione o colesterolo. Basta modificare le linee guida. È il caso dell'ipertensione: in passato era degna di essere trattata solo se i livelli erano superiori a 160 per la IL 70% DEGLI INCARICATI DEI DOCUMENTI SULL'IPERTENSIONE HA CONFLITTI D'INTERESSE La massima e 90 per la minima. Ora sono stati abbassati a 140/90 (Journal of Hypertension). Secondo Nature, però, che ha esaminato oltre 200 linee guida, almeno un terzo degli autori e fino al 70 per cento degli esperti incaricati della stesura dei documenti ha conflitti d'interesse. Lo riferisce, nel suo Malati di farmaci (Editori Riuniti), Mauro Di Leo, internista al reparto di medicina d'Urgenza del Policlinico Gemelli di Roma. Trasformare i sani in pazienti è una questione di marketing, cui l'industria dedica gran parte delle risorse. A gennaio i ricercatori canadesi Marc-André Gagnon e Joel Lexchin hanno confermato, dalle pagine di Public Library of Sciences-Medicine ( http:llmedicine.plosjournals.org) che le case farmaceutiche spendono il doppio in marketing e pubblicità rispetto a quanto non facciano per ricerca e sviluppo: 57.5 miliardi di dollari contro 31,5 nel 2004. Quattrini usati in gran parte per medicalizzare il ricco e sano Occidente a discapito del povero e malato Sud del mondo. Verrebbe da stare alla larga dalle farmacie. Ma non si può negare il valore della penicillina o del cortisone, degli antibiotici o degli antitumorali. Dell'insulina, degli anticoagulanti, dei vaccini. della morfina. I farmaci veri, quelli che servono, ci sono. Sono però pochi quelli di nuova registrazione, se si pensa che, in media, solo il 14 per cento dei prodotti approvati dal 1998 al 2002 porta un reale progresso terapeutico. Dei 113 farmaci approvati nel 2004, solo 25 erano migliori rispetto ai precedenti ( www.fda.govlcderlrdmtl pstable.htm). Ma il modo per identificare i medicinali davvero utili c'è. Passa per I'informazione indipendente (vedi box). Spesso si tratta dei prodotti più consolidati, sul mercato da più tempo, vagliati ormai da anni su un'ampia popolazione. Più il farmaco è datato, infatti, maggiori sono le probabilità che la documentazione sulla sicurezza sia migliore. Come per la cara, vecchia aspirina. II suggerimento è di fare al medico domande precise: dosaggio, effetti collaterali, interazioni con altri farmaci o cibi, durata della cura. C'è la prova che quello sia il farmaco migliore? È uscita su riviste accreditate? I benefici giustificano gli effetti collaterali? Sul portale www.partecipasalute.it si trovano altri spunti. Infine, in Inventori di malattie di Jorg Blech (Lindau) c'è un bel test per riconoscere una sindrome immaginaria. Se la malattia è inventata non ha senso rischiare gli effetti collaterali. Le medicine non sono caramelle. ___________________________________________________________ Repubblica 2 ott. ’08 LA MATEMATICA IN OSPEDALE di Alessandro Veneziani * Ettore Vitali ** Le prescrivo un esame del sangue, una risonanza magnetica e... un'analisi numerica!" In un futuro non lontano questa potrebbe essere la risposta di un medico. L'uso di strumenti matematici sofisticati, infatti, si presta ad un numero sempre maggiore di applicazioni. Un modello matematico - infatti, non è altro che un modo per descrivere fenomeni complessi con una capacità "predittiva": basti pensare alle previsioni del tempo, per le quali si utilizzano potenti calcolatori, o alle analisi finanziarie per lo studio delle dinamiche di borsa. Anche in campo medico l’utilizzo della matematica sta prendendo sempre più piede, ad esempio per verificare le complesse dinamiche fisiopatologiche del sistema circolatorio azionando "semplicemente" un programma di calcolo. In questo modo è possibile indagare come un sistema circolatorio allenato sia più pulito ed efficiente, prevedere come possa andare un intervento chirurgico prima che esso venga effettuato, "chiedere" ad un modello matematico suggerimenti circa la modalità ottimale di effettuare un intervento. Viaggio attorno al cuore Di questo si parlerà nel convegno di venerdì prossimo, 10 ottobre, presso il Centro Congressi Giovanni XXIII di Bergamo, nell'ambito della Rassegna Bergamo Scienza, a cui è legata anche una mostra-laboratorio allestita presso l'ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo dal 5 al y ottobre. Questo percorso didattico, frutto del prezioso impegno di esperti die hanno lavorato per mostrare agli studenti come il cuore nel corso dei secoli è stato studiato e rappresentato, è intitolato "HE-ART, il cuore tra arte e scienza " e permette di compiere un viaggio attorno al cuore con l'esposizione di materiali scientifici, simulatori, installazioni e video. Gli studenti potranno sperimentare, attraverso alcuni casi semplificati, la potenza dei modelli matematici. Sarà possibile verificare sul computer gli effetti di una sutura sulla propagazione del potenziale elettrico d[le cuore, le conseguenze della forma dei vasi sulla velocità del sangue e sulla formazione di placche arteriosclerotiche, gli esiti della forma di un by-pass sulla dinamica ematica e i frutti di un buon allenamento sul flusso sanguigno in carotide. Le simulazioni guidate poggiano su una matematica potente e sofisticata che richiede tante conoscenze, ma alla base di tutto ciò c'è la matematica insegnata alle superiori. Sono davvero entusiasmanti le prospettive della cosiddetta "matematica cardiovascolare" e grazie ai progressi del calcolo scientifico e delle immagini diagnostiche, un chirurgo cardiovascolare potrà preparare un intervento in modo più mirato, attraverso simulazioni numeriche che possano anticiparne gli esiti senza un rischio per il paziente. E' il caso dì patologie che richiedono interventi di passaggio in attesa di un trapianto cardiaco (dimensionare e posizionare un vaso artificiale "shunt" che permette la sopravvivenza di bambini in attesa di trapianto cardiaco) oppure prevedere le evoluzioni ed il rischio di rottura di aneurismi celebrali. Dal 1999 infatti si parla di "chirurgia predittiva", proprio per indicare questo approccio "matematico" a supporto della medicina. Come fa Ferrari o la Ducati Ma le applicazioni non si limitano alla medicina, nell'industria è un modo di procedere usuale: la Ferrari di Massa, la Ducati di Capirossi vengono progettate simulando, mediante modelli matematici, il comportamento del veicolo (e delle sue mille varianti) prima di decidere quale prototipo andrà in produzione. Lo stesso approccio può essere adottato nello studio di dinamiche ambientali: dalla gestione delle risorse naturali rinnovabili, all'analisi dinamica delle polveri sottili nell'aria, il mondo virtuale basato su modelli matematici può fornire un ambito di studio efficace, versatile e - perché no? - poco costoso. Si scoprirà anche come studiando il sistema circolatorio con strumenti matematici si possa finire per progettare anche... una motocicletta! Responsabile del Dipartimento Cardiovascolare, Numanitas Gavazzeni, Bergamo ___________________________________________________________ il Giornale 27 Sett. ‘08 A PARIGI SI CONFERMA L'EFFICACIA DEI TRATTAMENTI CONTRO LA PSORIASI AL congresso europeo di dermatologia (EADV) svoltosi a Parigi dal 17 al 21 settembre sono stati presentati i dati più recenti per la cura della psoriasi, frutto di uno studio durato dieci anni. Si è confermata l'efficacia e la sicurezza di Efalizumab - Raptiva - nel trattamento della psoriasi nel lungo termine. Questo farmaco è un anticorpo terapeutico umanizzato, sviluppato per bloccare in modo selettivo e reversibile l'attivazione ed il ricircolo delle cellule T, che sono coinvolte nell'infiamma zione della pelle con psoriasi. Una patologia cronica che colpisce dall'1 al3% della popolazione europea (almeno 5,7 milioni di persone). Può insorgere in varie forme; la psoriasi a placche è la più diffusa e interessa fino all'80% dei casi (le altre forme includono la psoriasi pustolosa, quelle eritrodermica, guttata e inversa). Può essere classificata come lieve, moderata o grave a seconda della percentuale del corpo colpita e dell'impatto sulla qualità di vita. La terapia con questo anticorpo monoclonale messo a punto dai ricercatori californiani di Genentech, è l'unica per cui siano state dimostrate efficacia continua e sicurezza nei responder per un periodo di tre anni. Il 20 settembre 2004 Raptiva ha ricevuto l'approvazione dell'Unione Europea. Nel passato esistevano tre trattamenti per la psoriasi: pomate per la psoriasi lieve; Fototerapia (luce ultravioletta sulla pelle); sistemico (metotrexate, retinoidi, ciclosporina). L'uso prolungato di queste terapie è però limitato a causa della loro tossicità. ___________________________________________________________ il Giornale 27 Sett. ‘08 SFIDA CONTINUA ALL'EPATITE LA SOLA FASE CRONICA COLPISCE PIU DI CENTOMILA ITALIANI Ignazio Mormino L'epatite, una malattia subdola, più grave di quanto si creda. Solo in Italia, la fase cronica colpisce più di centomila persone (i,portatori sani sono novecentomila), ma solo ventimila sono in cura. Coloro che non si curano vanno incontro a grossi rischi: il più frequente è la cirrosi epatica, che spesso degenera verso una forma tumorale. Questa patologia è cento volte più contagiosa dell'Aids. Nell'80% dei casi il contagio avviene per via sessuale. Il professor Antonio Craxì, cattedratico dell'università di Palermo e direttore dell'unità operativa di gastroenterologia (una delle prime sorte in Italia) parla di ««sfida continua» e sottolinea la necessità di ridurre l'azione del virus dell'epatite e di impedirne la replicazione. «Solo così - afferma - è possibile evitare cirrosi e tumori». Negli ultimi anni, la ricerca farmacologica ha offerto importanti contributi alla terapia dell'epatite B cronica: Il rimedio più recente (nome clinico: telbivudina) ha dimostrato una maggiore potenza e rapidità nel ridurre la carica virale, stronca il virus in meno di trenta giorni e - come ha accertato lo studio Globe - ha un'azione a lungo termine. Non dà tossicità e per questo è ben tollerato dai pazienti. Il professor Craxì raccomanda comunque di fare i controlli necessari, specialmente nei soggetti a rischio con familiari affetti da epatite, e ricorda che la malattia si contrae non solo sessualmente (80 casi su 100) ma anche attraverso scambi di sangue da strumenti non sterilizzati e perfino attraverso piercing e tatuaggi. Oggi esistono nuovi metodi diagnostici, oltre al classico esame delle transaminasi. Il più sicuro e al tempo stesso il meno invasivo è l'elastografia, che permette di misurare la consistenza del fegato: più è duro, più è malato. Quest'esame oggi affianca e spesso sostituisce la biopsia epatica, che per la sua carica invasiva è sgradita ai pazienti. Ad oggi, in Italia, la disponibilità di questi apparecchi è ancora limitata: dal Nord al Sud presto si moltiplicheranno. «Speriamo - conclude il professor Craxi - che questa opzione induca gli italiani specialmente se hanno superato i quarant'anni, a controllare il fegato. A tutti voglio ricordare che ci si può vaccinare a qualunque età, anche a settant'anni. E stato intanto annunciato che partirà presto lo studio multicentrico Iceberg, supportato da Novartis e coordinato dal professor Mario Rizzetto dell'università di Torino, uno dei pionieri degli studi,sull'epatite. L'elastografia è un esame diagnostico che consente di misurare la consistenza del fegato: più è duro, più è malato Questa malattia è cento volte più contagiosa dell'Aids Con facilità si può trasformare in cirrosi ed informe tumorali ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 Ott. ‘08 QUANDO FARE CILECCA A LETTO DIVENTA UNA FORTUNA Salute. Le disfunzioni erettili spesso sono la spia di altre patologie da curare subito Non sempre fare cilecca a letto è una disgrazia, a patto di non limitarsi ad arrossire. Chi mette da parte l'orgoglio e ne parla con un medico, spesso si sente rispondere con non merita un "due" in virilità, ma in trascuratezza. Già, perché l'impotenza molte volte è la spia di altre patologie: pochi lo sanno, ma può essere il campanello d'allarme di un diabete o un'ischemia coronarica, oppure di ipogonadismo o altre malattie endocrinologiche e metaboliche. «Partendo da una disfunzione erettile», spiega Alessandro Oppo, endocrinologo del Policlinico universitario di Monserrato e segretario regionale della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità, «si possono scoprire, e quindi combattere efficacemente, patologie che non si dovrebbero trascurare». Il risultato è che la salute generale del paziente migliora, e si recupera la potenza sessuale di un tempo: quella che si credeva persa per sempre. Ecco perché il primo corso regionale della Siams s'intitola "Impotenza, che fortuna!": perché chi non si lascia sopraffare da un incidente sul talamo può scoprire, assieme al medico di base, che nel suo corpo c'è qualcosa (qualcos'altro) che non va, e che invece laggiù tutto funziona bene. I lavori del corso in programma nella sala convegni dell'hotel Mediterraneo, presieduti dal professore ordinario di Endocrinologia dell'Ateneo cagliaritano Stefano Mariotti, inizieranno domani alle 9,30 per proseguire fino alle 18. È un corso, quindi un'iniziativa che ha come destinatari i medici: «La disfunzione erettile», spiega Oppo, «è una patologia spesso sottodiagnosticata, eppure riguarda il dodici per cento della popolazione maschile. L'ipogonadismo, invece, colpisce il cinque per cento della popolazione dello stesso sesso». Numeri di tutto rispetto, proprio in considerazione del fatto che le disfunzioni sono spesso causate da patologie ben più importanti, da curare al più presto. Non aiuta, poi, la ritrosia di molti uomini, che non confidano al medico di famiglia le proprie difficoltà amatorie e, in questo modo, lasciano progredire la malattia (spesso, di tutt'altro genere) che le provocano. «Questo corso», commenta Stefano Serra, endocrinologo della casa di cura Sant'Elena di Quartu e coordinatore regionale della Siams, «è importante perché per la prima volta collaborano la Società e la cattedra di Endocrinologia dell'Università di Cagliari. Il prossimo incontro sarà dedicato all'impatto endocrinologico e andrologico su patologie frequenti in Sardegna, come il diabete e la talassemia». LUIGI ALMIENTO ____________________________________________________________ IlSOle24Ore 28 Sett. ‘08 PSICHIATRIA COME SPERANZA Curare le menti come arte e come scienza La sintesi equilibrata di Tom Burns al di là degli opposti approcci ideologici di Alessandro Pagnini Più di trent'anni or sono Giovanni Jervis, nel suo Manuale critico di psichiatria, auspicava che si passasse da una critica (in quegli anni più che altro politica e ideologica) alla psichiatria a una «psichiatria critica». Il suo intento era quello di far convergere i due paradigmi storici della psichiatria, quello neuroscientifico e quello psicosociale, partendo dalla "pratica" di cura e facendosi carico delle contraddizioni, forse insanabili, interne a una disciplina essenzialmente divisa tra istanze umane e sociali e istanze "mediche". Erano gli anni in cui la psichiatria si dichiarava in "crisi" e ripensava le sue ragioni e la sua dimensione istituzionale. Cos'è cambiato da allora? Esiste oggi una fase acquisita di "scienza normale" della psichiatria? Oppure permane la crisi, appunto nel senso di una perenne, essenziale, presa di coscienza critica dei propri limiti, delle proprie possibilità e del proprio status? E inoltre, si è mai risolta quella tensione tra «prendersi cura del singolo paziente e proteggere la società» dalla quale hanno tratto alimento anche le più radicali posizioni antipsichiatriche? Dall'equilibrata disamina che di tali problemi fa Tom Burns in questo agile libretto (il primo di una nuova promettente e elegante collana delle Edizioni Codice), pare proprio che la psichiatria oggi sia disposta ad accogliere, in un atto inteso come virtuoso, le più diverse istanze e i più diversi metodi, soprattutto per quanto riguarda la terapia. Come del resto tutta la medicina, la psichiatria è «allo stesso tempo un'arte e una scienza»; ma soprattutto, potremmo dire interpretando i fatti, è una branca della medicina basata sul rapporto medico-paziente, in essa particolarmente centrale e imprescindibile. Se infatti una visita internistica o ginecologica dura in media dieci minuti, una visita psichiatrica ne dura più di quaranta; durante i quali gli psichiatri, a differenza dei loro colleghi psicologi e neurologi, fanno in genere due cose: "offrono" una psicoterapia (cosa che i neurologi non fanno; e le loro visite durano circa mezz'ora solo perché gli esami che richiedono prendono più tempo) e prescrivono farmaci (cosa che i non medici non possono fare). Si sa da controlli sperimentali che tale terapia combinata rappresenta, in termini di esiti di cura, qualcosa di assai più soddisfacente dell'effetto sommatorio dei due trattamenti; anche se è bene considerare le differenti tipologie di sintomi e le differenti "dosi" dei due ingredienti che possono influire sul risultato. Ma detto questo, ci suggerisce Burns, abbiamo detto ben poco. Intanto c'è il problema della diagnosi psichiatrica e di quanto la psichiatria debba assumersi come carico. Qualcuno riterrebbe di limitare alla schizofrenia, all'anoressia nervosa e alla depressione l'ambito di competenza psichiatrica e accettare (o delegare a attenzioni diverse) l'esistenza di tante altre cause di infelicità che esulano dalle malattie mentali. Anche Burns sottolinea il rischio «che la psichiatria possa invadere ogni aspetto della nostra esistenza e trasformare ogni condizione umana nell'oggetto di una cura medica». Questo, nella pur neutrale presentazione di tutte le posizioni rilevanti all'interno della psichiatria, lo fa propendere più verso soluzioni scientifiche che non esistenziali-fenomenologiche. Il che non vuol dire, però, accettare forme di riduzionismo "neuropsichiatrico" (giacché «la mente non coincide con il cervello»), ma vuol dire sostanzialmente questo: se il nostro senso di identità e la intrinseca natura relazionale della nostra persona devono essere tenuti sempre in conto, potremmo dire deontologico, dagli psichiatri, i "progressi" della psichiatria si aspettano dalle neuroscienze, dalle teorie dell'evoluzione («la psicologia evoluzionistica influenzerà sempre di più la teoria psichiatrica»), dalla ricerca genetica; anche se restano aperti gli interrogativi etici che comportano le prospettive di cyborg con microchip cerebrali che ne controllano il comportamento o di individui trattati preventivamente in base alle predisposizioni indicate dal genoma. Di scientifico, soprattutto, deve essere salvato il modo di controllare l'efficacia terapeutica e di incoraggiare le ricerche epidemiologiche e i test comparativi. È davvero ammirevole come Burns concentri in poche pagine la quasi totalità dei problemi della psichiatria e ne faccia anche una essenziale storia. Il tutto all'insegna della chiarezza e dell'obiettività. Mi è particolarmente piaciuto, a un certo punto, il suo richiamo alla speranza come valore terapeutico. Ne parla mentre espone l'esito del trial controllato che portò a smentire l'efficacia del coma insulinico nel trattamento di casi di schizofrenia. Si scoprì che più che l'insulina, a fare la differenza, era la dedizione degli infermieri e la speranza che il trattamento funzionasse. Da allora si chiama "effetto Hawthorn" quello determinato dal l'entusiasmo. Il quale però, come osserva Burns, «non dovrebbe mai essere escluso dalla psichiatria». 1 Tom Burns, «Psichiatria», Codice, Torino, pagg. 172, € 13,00. Foto: Tutti pazzi per la scienza. La retrocopertina del volume «Psichiatria» è composta dai ritratti di tutti coloro che hanno collaborato con Codice edizioni. In alto, il fondatore della Casa editrice Vittorio Bo nelle vesti di scolaro ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 Sett. ‘08 ARTRITE REUMATOIDE, IL PRIMATO DELLA SARDEGNA Primo posto in Italia come incidenza della malattia CAGLIARI. L’articolazione s’irrigidisce, si fa dolorante e appare gonfia? Attenzione a non sottovalutare i segnali, perchè potrebbe trattarsi di artrite reumatoide, una patologia che per diffusione vede la Sardegna, con i suoi diecimila malati, prima in Italia, e che se trascurata potrebbe portare a una pesante invalidità. L’argomento è stato ieri al centro di un incontro promosso, in un hotel cittadino, dall’Associazione sarda malati reumatici, in collaborazione con l’Associazione nazionale malati reumatici. A dispetto dei numeri sulla diffusione della malattia, l’isola è ancora poco attrezzata a trattarla nel modo giusto. Spiega Enrico Cacace, ricercatore di reumatologia nell’Azienda mista Università-Regione: «Se, secondo l’Istat, per le malattie reumatiche la Sardegna è in linea con il resto d’Italia, con un’incidenza sul 10-12 per cento della popolazione, sul fronte dell’artrite reumatoide i numeri salgono, portandola al primo posto». Un dato che analizzato più in dettaglio dice anche: si ammalano più le donne degli uomini (il 75 per cento del gentil sesso si ammala nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 50 anni) e il 60% delle diagnosi è fatto quando sono già trascorsi uno o due anni dalla comparsa della malattia. «Un fatto - continua Cacace- che ci fa capire come in realtà la diffusione della patologia sia molto sottostimata». Per il futuro le previsioni non sono rosee: «Dato che - fa sapere il ricercatore dell’Azienda mista - dai 65 anni in su l’incidenza dell’artrite reumatoide arriva anche al 30-35 per cento e la popolazione è sempre più vecchia». I sintomi della malattia sono diversi: dolore, rigidità e tumefazione delle articolazioni, coinvolgimento simmetrico delle parti malate. Se non curata, la patologia può portare a una seria comprossione della qualità della vita perchè provoca difficoltà anche nel compiere i gesti più naturali: dal vestirsi al mangiare, sino alla vita di relazione. Eppure, spesso si tende a sottovalutare segnali che sono invece campanelli d’allarme, così quando si arriva dal medico può essere molto tardi. «E’ importante invece fare una diagnosi precoce - avverte Giuseppe Nuvoli, specialista ambulatoriale in reumatologia nelle Asl di Sassari e Olbia - Perchè è da questa che dipende la possibilità di bloccare la progressione della malattia, impostando una corretta terapia che preveda l’uso di farmaci biologici». Farmaci, cioè, prodotti con molecole ottenute tramite l’ingegneria genetica, e in grado di legare e neutralizzare l’azione di alcune proteine che favoriscono l’infiammazione. Tuttavia nell’isola curarsi per molti è ancora difficilissimo: non solo perchè la figura del reumatologo è poco diffusa, ma anche perchè, nonostante la situazione dei malati sia stata posta al centro del Piano sanitario regionale, le risorse sono carenti, così come la rete assistenziale. Eppure qualcosa sembra muoversi: «Pochi giorni fa - assicura Giuseppe Sechi, direttore del servizio Assistenza ospedaliera dell’assessorato alla Sanità - abbiamo convocato per la prima volta la Commissione per l’assistenza reumatologica». ____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 Sett. ‘08 LE CAUSE DEI CALCOLI ALLA CISTIFELLEA Si stima che più del 14% degli adulti soffra o abbia avuto calcoli alla cistifellea. Ora uno studio italiano dell' Università di Bologna, pubblicato sul World Journal of Gastroenterology, chiarisce quali sono le cause, indica i sintomi tipici e fornisce indicazioni utili per la terapia. Qual è la causa di questi calcoli? I calcoli nella cistifellea sono fatti per l' 80% di colesterolo e sono una delle espressioni (assieme a diabete, fegato grasso, obesità e dislipidemie) della cosiddetta sindrome metabolica. Il loro sviluppo è legato allo stile di vita e i principali fattori di rischio sono l' obesità e l' alimentazione ipercalorica. Le donne sono più soggette a causa di una sorta di â pigriziaâ della colecisti legata a gravidanze e cicli mestruali. Quali sono i sintomi? Nell' 80% dei casi non danno sintomi. Ci sono alcuni disturbi come bruciore di stomaco, gonfiore e difficoltà a digerire, che però hanno una frequenza uguale in chi non li ha. La colica è invece caratterizzata da dolore alla bocca dello stomaco o al fianco destro che dura per mezz' ora o un' ora e non scompare con l' evacuazione. Questo evento spinge a fare l' ecografia e a diagnosticare i calcoli. Che cosa si può fare? Non è detto che dopo una colica l' unica strategia terapeutica debba essere la rimozione chirurgica della cistifellea. Il rischio di avere altre coliche è del 50%, ma ad oggi non abbiamo elementi per sapere chi le avrà e chi no. Se non ci sono rischi di complicazioni, si può evitare la colecistectomia e adottare una strategia di attesa vigile, con controlli periodici e suggerimenti sul corretto stile di vita. A cura di Antonella Sparvoli Sparvoli Antonella ____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 Sett. ‘08 VERSO LA SCONFITTA DELLA MENINGITE Una temibile forma di infezione delle meningi, le membrane che rivestono il cervello e il midollo spinale, è spesso fatale o in grado di provocare sordità e ritardo mentale. La meningite da meningococco colpisce per lo più bambini e giovani adulti ed è ancora oggi un problema serio in tutto il mondo. Ad essa è legata una drammatica scia di mortalità e disabilità: spesso infatti questa malattia causa danni neurologici e cerebrali permanenti, fino alla paralisi. Nei paesi sviluppati, ad esempio in Italia, quando si verifica un caso nelle scuole si diffonde il panico, ma l' infezione viene subito arginata. Nei paesi poveri il problema assume invece dimensioni devastanti, in particolare nella parte sub- sahariana dell' Africa chiamata "Fascia della meningite" (meningitis belt), che comprende vari Stati nelle aree della savana dal Mali all' Etiopia, dove le epidemie sono ricorrenti. Vaccini e ricerca scientifica possono cambiare la situazione, trasformando la meningite in un killer non più imbattibile. Fondamentale il ruolo di GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunization), una partnership che riunisce i principali attori pubblici e privati nel campo delle vaccinazioni: governi donatori tra cui l' Italia, paesi poveri, Organizzazione Mondiale della Sanità, UNICEF, Banca Mondiale, produttori di vaccini degli Stati industrializzati e in via di sviluppo, istituzioni tecniche e di ricerca, ONG e Fondazione Bill & Melinda Gates. GAVI ha di recente stanziato 55 milioni di dollari (ai quali se ne aggiungeranno altri 370 entro l' anno) per fornire le quantità di vaccino necessarie ai paesi poveri. Una soluzione-tampone che sarà affiancata dall' introduzione di un vaccino di nuova generazione, capace di stimolare la memoria del sistema immunitario, che nel giro qualche anno ci aspettiamo permetta di cancellare la Fascia della meningite. Ma, ancora, abbiamo bisogno di vaccini sempre più efficaci, sia per i nostri Paesi sia per quelli in via di sviluppo. Le speranze di armi migliori nei confronti dei diversi ceppi di meningococco sono affidate alla ricerca scientifica: un settore in cui l' Italia sta dando un contributo fondamentale, su diversi fronti. Scienziati della Fondazione Humanitas per la Ricerca, ad esempio, sono impegnati nell' individuazione di nuove molecole dell' immunità in grado di aggredire il meningococco e nell' identificazione di ulteriori strumenti diagnostici. Assolutamente pionieristico, poi, il ruolo di Rino Rappuoli (Siena), che ha utilizzato un approccio di "Reverse Vaccinology": per primo è partito non dalla superficie ma dal DNA del meningococco, ovvero dal sequenziamento del suo genoma, per identificare il bersaglio contro cui mirare il vaccino. Dalla ricerca, dunque, sono venute e verranno nuove armi. Dalla loro condivisione e dalla solidarietà deve venire la possibilità di debellare questo flagello in tutto il mondo. *Direttore Scientifico Ist.Clinico Humanitas-IRCCS e docente Università degli Studi di Milano Mantovani Alberto