TRE PIAGHE: TAGLI, MERCATO E BARONI - ATENEI, CAOS PER UNA NON RIFORMA - I RETTORI: ORA ABBASSARE I TONI - UN PAESE CHE ESILIA I GIOVANI TALENTI DISTRUGGE IL SUO FUTURO - MISTRETTA: SE GLI STUDENTI OCCUPANO IO STARÒ A OSSERVARE - L’UNIVERSITÀ IN RIVOLTA, LE LEZIONI SI FANNO AL BASTIONE - L' INGLESE «QUOTIDIANO» PER ENTRARE IN UNIVERSITÀ - FRATI: DOBBIAMO TAGLIARE I CORSI INUTILI - ECCO I VERI TAGLI DELLA RIFORMA TREMONTI GELMINI - COME SALVARE L’UNIVERSITÀ ITALIANA - PROFESSORI DI INCOMPETENZA - PROFESSORI: LEZIONI DI CRAC - L'ECCELLENZA NON PASSA DAI CONCORSI - ECCO I SETTE ERRORI DEL LIBERISMO - ======================================================= UNA MEDICINA CHIAMATA LAICITÀ - PRESTAZIONI SSN, INTESA PIÙ VICINA - OSPEDALI CON MEDICI MANAGER, PIÙ EFFICIENTI E SENZA DEBITI - CAGLIARI: UN "VACCINO" PER SCONFIGGERE IL DIABETE - LA TALASSEMIA FA MENO PAURA - L'RFID SOTTO LA PELLE CHE DIALOGA COL MEDICO - DAL TÈ VERDE AL CIOCCOLATO FONDENTE I VENTI SUPER CIBI CHE ALLUNGANO LA VITA - THANK YOU FOR SMOKIN - SFIDA ALLA PRIVACY, IL NOSTRO DNA SUL WEB - CERVELLO: LA SUA STAGIONE MIGLIORE? A TRENTANOVE ANNI - LE INSIDIOSE TRAPPOLE DELL' IGIENE - UNA PROTEINA CANCELLA LA MEMORIA - TEST GENETICO SU URINE PER SCOPRIRE IL CANCRO ALLA PROSTATA - TELEMEDICINA - IL TRAPIANTO DI CORNEA SI PUÒ EVITARE - A CAGLIARI UN INCONTRO SULL'ANEMIA MEDITERRANEA - PELLE PIÙ BELLA E GIOVANE CON L’URINOTERAPIA - UN SOLO ESAME «LOW COST» PER TUTTE LE MALATTIE EREDITARI - GEL AL POSTO DELL'INIEZIONE PER LE OPERAZIONI AGLI OCCHI - ======================================================= ______________________________________________________________ il manifesto 25 ott. ’08 TRE PIAGHE: TAGLI, MERCATO E BARONI L'Italia è il paese Ocse che spende meno per l’università. Gli stipendi dei professori, però, salgono automaticamente, senza controlli sulla qualità del loro lavoro. E il sistema produttivo non investe sulla ricerca Giorgao Salvetti Studenti, dottorandi e lavoratori dell'università hanno almeno tre ottime ragioni per protestare. II governo taglia fondi nonostante l'Italia sia il paese Ocse che investe meno nell'università. II sistema non funziona, non produce laureati. in più, è viziato dai privilegi e dal nepotismo dei baroni. E il mercato italiano non investe in ricerca, produce disoccupazione intellettuale e condanna gli studenti alla precarietà. CONTRO IL GOVERNO La spesa totale per le università in Italia nel 2005 ammontava a 16.700 milioni di euro. Lo stato contribuisce per il 673%, le tasse degli studenti per l'11,7%, altri enti pubblici e privati per il35%. Le famiglie investono nell’educazione universitaria 1.379 milioni di euro (+35% dal 2000 al 2005), 380 milioni nel caso delle università private (+40%). La spesa media di iscrizione è 730 euro per le statali e 3 mila per le private. La spesa universitaria in rapporto al PIL è pari allo 0,9%, rispetto a una media dei paesi Ocse dell'u. Si tratta della più bassa d'Europa. Mentre in Corea il rapporto è pari al 2,4%, in Canada al 2,8% e negli Usa al 2,9%. Anche rispetto alla spesa pubblica totale, l'Italia è ultima con solo l’1,6% destinato all'università (media Ue 2,8%). Per ogni studente italiano lo Stato investe 8.026 dollari, contro una media Ocse pari a 11.512. I tagli Tremonti-Gelmini non fanno che aggravare pesantemente la situazione. Solo per il taglio dell'Ici, all'università arriveranno 467 milioni in meno. Nel giro di 5 anni il governo prevede una riduzione del fondo di finanziamento ordinario alle università pari all' 1,5 miliardi su un totale di 7,4 miliardi (- 10,3%). Si passerà da 63,5 milioni di tagli nel 2009 fino a tagli di 455 milioni nel 2013. Inoltre è bloccato il turn over delle assunzioni Solo il 20% del risparmio dovuto ai pensionamenti potrà essere reinvestito in assunzioni: un'assunzione ogni 5 pensionamenti. Eppure in Italia i professori non sono tanti, 29 studenti per ogni docente, contro una media Ue di 16,4. la manovra del governo è una mazzata mortale per gli atenei italiani che rischiano il fallimento. Paradossalmente non basterebbe neppure aumentare le rette. Per legge le tasse non possono superare il 20% del fondo di finanziamento ordinario, e siccome il governo taglia proprio questo fondo, taglia anche il potenziale aumento delle tasse. CONTRO I BARONI Se ne parla pochissimo: i professori universitari hanno un privilegio raro che li accomuna a parlamentari, magistrati e alti gradi dell'esercito (d'altronde in parlamento à sono molti prof). Il loro stipendio non è regolato da un contratto nazionale di lavoro ma aumenta in modo automatico ogni due anni. Non importa se il datore di lavoro, ovvero lo stato, abbia più o meno disponibilità, o se l'università produca bene o male. Loro, comunque, hanno il diritto di guadagnare di più. Un docente dopo 15 anni di carriera guadagna una media di 29.287 euro all'anno contro una media Orse di 37.832 e un media Ue di 38.217 (un prof tedesco arriva fino a 50.119 euro fanno), ma mentre un lavoratore italiano «non accademico», oltre a guadagnare meno di un pari grado tedesco deve sottostare alla contrattazione, gli stipendi dei prof lievitano motu proprio. E' proprio questo meccanismo a far saltare il banco. Gli stipendi infatti costituiscono ben l’88% del fondo ordinario elargito dallo Stato. Con i tagli questa percentuale è destinata ad arrivare fino al 90%-100%. Un docente ordinario della Statale di Milano guadagna in media 3.654 curo al mese, un associato 2.660 euro al mese, un ricercatore 1.838 euro (ma parte da 1.000 euro). Gli scatti per i prof salgono dell'8% ogni due anni nei primi anni di carriera, del 6% dopo qualche anno, e del 2,5% a fine carriera A questi va aggiunto un aumento annuo medio del 2,5-3%. Il governo non intende più farsene carico e li scarica sui bilanci degli atenei. Lo slogan più riuscito degli studenti in protesta è «La vostra crisi non la pagheremo noi»: di certo la crisi non la pagheranno i loro professori. Mentre le retribuzioni dei prof salgono per magia, i lavoratori non docenti solo da un mese possono usufruire del contratto firmato nel 2006 e il governo già gli riduce lo stipendio tagliando i compensi accessori dei 10%. Gelmini, inoltre, ha rinviato sine die la costituzione della «Agenzia nazionale della valutazione dell’università e della ricerca» progettata ma non realizzata dall'ex ministro Mussi. Significa che i prof potranno continuare a lavorare senza controllo, e senza alcun controllo saranno anche le modalità di reclutamento dei giovani in una situazione di concorsi spesso viziati da nepotismo. E i tagli colpiscono in modo indiscriminato senza tenere conto delle differenze tra atenei e senza nessuna valutazione della proliferazione spesso sconsiderata dei corsi. Un ordinario ha l'obbligo di dedicare 350 ore alla didattica all'anno, 250 ore se non è a tempo pieno, ma in questo caso può fare anche altri lavori come professionista. E' vero che poi esiste, o esisterebbe, il lavoro di ricerca (secondo un criterio fissato dalla Ue un prof lavora in tutto fino a 1512 ore fanno) ma, in assenza di meccanismi dl valutazione, tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli. II risultato è che la produttività dell'università italiana è pessima. Nonostante 305 mila nuovi immatricolati, per un totale di 1 milione e 130 mila iscritti, l'Italia è l'ultima in Europa per numero di laureati con solo il 13% nella fascia di età tra 24 e 65 anni (media Ue 24°%; Usa 38%, Giappone 41%). Rispetto all'Europa siamo sotto di 3,5 milioni di laureati. Il 20% degli immatricolati abbandona al primo anno. Il 50% non arriva alla laurea. Anche se da quando esiste la laurea breve le cose sono leggermente migliorate, i fuori corso nel 2006 erano ancora il66% dei laureati. E l’università italiana attrae solo l’1,7% di alunni stranieri (contro l’11% della Gran Bretagna, il 9% della Germania e l’8% della Francia). I sistemi di reclutamento hanno formato una classe docente, vecchia e maschia L'università italiana è l'ultima in Europa per il numero di donne docenti (solo il 32%) che scende fino al 17% nel caso dei professori ordinari. Mentre ben il 55% dei prof ha più dl 50 anni e gli ordinari sopra i 60 anni sono il 45%. E' vero che i nostri laureati sono più bravi degli studenti stranieri e i nostri dottorandi fanno ottima figura all'estero, E anche per quanto la ricerca l'Italia vanta ottimi esempi. Ma il sistema nel suo complesso è in pessime condizioni. il governo se ne fa scudo, non fa nulla per migliorarlo (la riforma annunciata dalla Gelmini finora è un mistero). Il gioco è semplice, accentuare tutti i possibili difetti dell'università pubblica per giustificare il taglio delle risorse e premiare le università private. Studenti, ricercatori e personale tecnico sono circondati da un parte di privilegi della casta e dall'altra dai tagli dei governo. CONTRO IL MERCATO Dietro i difetti degli accademici si nasconde un sistema economico che non obbliga l'università a migliorarsi perché non la ritiene utile. Il mercato italiana non richiede laureati. Il tasso di disoccupazione tra 25 e 64 anni è più alto della media Ue per i laureati mentre è più basso per i diplomati. L’Italia è l'unico paese europeo in cui i disoccupati laureati sono più dei loro pari - età diplomati. A un anno dalla laurea solo il 53% trova lavoro (per un guadagno medio di 1.000 euro) e ben il 48% è precario, mentre a cinque anni dalla laurea trova lavoro l’85%, con un stipendio medio di soli 1.300 euro e ben il 17% è ancora precario. Rimane forte il meccanismo ereditario e classista delle professioni: il 44% degli architetti ha un figlio laureato in architettura, il 42% dei giuristi ha un figlio laureato in giurisprudenza, il 41% vale per i farmacisti, il 39% per medici e ingegneri. Non solo. Il sistema industriale, inoltre, non attrae fondi privati. Si tratta di un sistema di piccole e medie imprese che continua a preferire la produzione di prodotti a basso valore aggiunto che non richiedono sviluppo tecnologico. Si preferisce risparmiare sul costo del lavoro, piuttosto che investire in ricerca, istruzione e università. «Pensane che siano i privati a salvare le casse degli atenei, significa non vedere la realtà del nostro sistema produttivo - spiegano gli amministratori di un ateneo – i privati qui non li vedi neppure in fotografia Significa che per cambiare l’università, non basta opporsi ai tagli di Tremonti e alla casta dei professori, ma addirittura bisogna cambiare il mercato. CONTRO TUTTI Tanti giovani che in questi giorni protestano hanno mille altre ragioni per non gradire il mondo che gli viene servito, dall'ambiente, alla guerra, dalla casa alla famiglia. Che se ne rendano conto o meno, per cambiare l'università bisogna cambiare questo mondo. Il’68 è servito? No, manca lo scontro generazionale. II '68 è un fantasma che aleggia sulle teste degli studenti esponendoli alla sensazione del dejà vu e alla coazione a ripetere gesta di altri tempi. Rimane il feticcio di una generazione che fu ribelle e che ora o è salita sul carro del vincitore o pretende che già a venti anni à si debba sentire vecchi, sconfitti e rassegnati Ma anche le crisi di coscienza del secolo scorso non le dovrebbero pagare gli studenti INSODDISFATTI O EMIGRANTI NON LO RIFARE Dopo un lungo corso di laurea che salo sulla carta dura 3 0 5 anni, non è facile trovare un lavoro soddisfacente. Più del 50% dei laureati di quasi tutte le facoltà due anni dopo la laurea si dichiara insoddisfatto dei successivi sbocchi professionali. a meno soddisfatti sodo gli psicologi, ben l'82,3% non si riscriverebbe allo stesso corso di laurea. Segue Il gruppo geo-biologico con I'80,8%, al terzo posto i letterati con il 79,1%, segue giurisprudenza con il 67,5%. Scendono sotto il 50% solo economia e statistica con il 42% e medicina con il 36,8%. Anche gli ingegneri insoddisfatti sono più della metà con il 51,1%. IN FUGA Nelle accademie e nei laboratori del mondo lavorano tanti ricercatori e prof italiani. Emigrati perchè da noi si spende poco per la ricerca (dichiara il 59,8%), perchè le condizioni economiche di chi deve fare la gavetta all'estero sano migliori (per il 56,6%) e perché la gavetta non é infinita (per il 56,6%). Chi è invischiato nel limbo del precariato dell'università italiana non si sente valorizzato dal nostro sistema e a costo di «rimanere esclusi dai giri che contano» se ne va. Fra questi motti vorrebbero tornare (53,8%) ma fiori riescono perchè hanno «perso il sardo in paradiso» per dirla con le parole semplici di un giovane che non riesce a trovare chi lo fa lavorare da noi dopo aver conseguito un dottorato in Francia. Ecco l'esempio di una ragazza che lavora da anni in una dei laboratori all'avanguardia in Italia per la ricerca sulle cellule staminali. E' laureata in biologia e continua ad essere pagata solo grazie a borse di studio ma, poiché il sua studio di ricerca è all'interno di un ospedale, per essere assunta sale con un contratto a termine deve laurearsi anche in medicina, uno dei corsi di laurea più funghi e difficili; deve studiare nei ritagli di tempo mentre continua a lavorare e pagarsi le rette a proprie spese. Risultato: scappa in Svizzera, e lavora. TASSE Quanto pagano le famiglie Mentre tutti i paesi europei aumentano l’investimento pubblico per le università, l'Italia da anni continua a ridurlo. Si tratta di un trend costante al di là dei governi in carica. Dal 2000 al 2005, la Germania ha aumentato la spesa per ogni studente universitaria di 1086 curo; la Francia di 1903, la Spagna di 1958, l'Irlanda di 363, l'Italia invece, in controtendenza, l'ha ridotta di ben 491 curo per ogni iscritto. E visto che lo stato si tira indietro, parallelamente è dovuta aumentare la spesa delle famiglie che dal 2000 al 2005 è salita dei 35%, fino a raggiungere un miliardo e 370 milioni di curo. I genitori che si possono permettere. di mandare i figli alle università private, par la retta pagano in media quattro volte di più: nel 2005 hanno versato 380 milioni di curo e le loro tasse dal 2000 al 2005 sano aumentate del 213 NEPOTISMO II mestiere del docente universitario è uno di quei lavori al quale si accede solo grazie a una spintarella, non a caso il clientelismo e addirittura la parentela la fanno da padrone, specialmente nelle regioni del sud. Nelle facoltà di medicine della Sicilia ben il 38,8 dei docenti ha lo stesso cognome, in Campania il 34,4%, nel Lazio il 30,3 % in Emilia Romagna i( 20,5%. Una bella inchiesta da la Repubblica ieri descriveva la situazione paradossale delle università di Palermo dove cento famiglie controllano le facoltà e si trasmettono il ruolo di docente per via ereditaria per un totale di 230 prof parenti. A Ingegneria ci sono 10 famiglie e 38 prof parenti, a Scienze compaiono il famiglie e 25 parenti, a lettere 7 famiglie e 18 parenti, ad Architettura 5 famiglie e 12 parenti, in altre facoltà 4 famiglia e 13 parenti. Quando non si è parenti o amici, spesso si è costretti per anni a fare i portaborse del barone di turno o sbrigare le sue scartoffie, Poi si fanno i concorsi, i prof si mettono d'accordo e si promuovono a vicenda, magari in commissioni diverse, i protetti dell'amico e collega. Ovviamente non si può generalizzare, ma in mancanza di un sistema di valutazione queste pratiche restano largamente diffuse. _____________________________________________________ Il Sole24Ore 25 ott. ’08 ATENEI, CAOS PER UNA NON RIFORMA Sistema istruzione gli. Errori e responsabilità del Governo e dell'opposizione di Andrea Ichino Un marziano che, giungendo in Italia,provasse a capire che cosa sta accadendo al nostro sistema universitario farebbe fatica a trovare risposte ragionevoli ad alcune semplici domande. in primo luogo si chiederebbe perché un Governo solido che proclama di voler premiare il merito, prima getti nel buco nero di Alitalia almeno 300 milioni destinati al sistema universitario, e poi, volendo giustamente ridurre gli sprechi, decida però di tagliare indiscriminatamente i fondi per l'istruzione terziaria senza nemmeno provare a distinguere gli atenei, le facoltà e i dipartimenti meritevoli da quelli che invece hanno prevalentemente gettato al vento fondi pubblici. Con il risultato, davvero apprezzabile per un grande comunicatore come Berlusconi, di alienarsi l'appoggio anche di coloro che, all'interno del mondo universitario, si sono impegnati per razionalizzazioni e risparmi e che ora sono accusati dai loro colleghi spreconi di essere "becchi e bastonati". Ancor più sorprendente è la disposizione per cui le università possono assumere un nuovo dipendente solo se cinque vanno in pensione, indipendentemente da qualsiasi altro criterio. Così facendo, il Governo premia le cicale che più hanno gonfiato, magari inutilmente, gli organici nel passato e manda al Paese un messaggio molto chiaro: «Non sono in grado di valutare chi è bravo a insegnare e chi no, chi sa fare buona ricerca e chi non ha mai pubblicato una riga, e quindi posso solo fare di ogni erba un fascio». Anche volendosi tappare il naso sulle altre vergogne di questo Governo, proprio non si riesce a capire la ragione di queste scelte e tanto meno si riesce ad appoggiarle. Ma la sinistra non è da meno. In primo luogo, molti si chiedono sé il Governo ombra e il suo ministro dell'Istruzione Maria Pia Garavaglia siano come l'Araba Fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia - e soprattutto che cosa faccia in tema di istruzione – nessun lo sa In secondo luogo, del popolo di sinistra colpisce il fatto che si senta "più garantito" da un'università interamente pubblica, anche quando chi governa è espressione di una maggioranza di cui non condivide gli ideali e che potrebbe, a buon diritto, trasformare la scuola pubblica in qualcosa di molto diverso da ciò che la sinistra sogna. Questi nipoti del'68 non hanno imparato la lezione guardando a quello che è successo alla televisione pubblica? Come possono rifiutare la scuola privata ma immaginare una scuola pubblica fatta solo come piace a loro? E poi perché gli studenti che si proclamano in lotta per la difesa delle pari opportunità trovano accettabile che le tasse universitarie siano basse per tutti, anche per i ricchi che potrebbero pagare ben di più? Questo davvero non trova spiegazioni: il 24% degli studenti universitari italiani proviene dal 20% delle famiglie più ricche, mentre solo l’8% proviene dal 20% delle famiglie più povere. È la favola di Robin Hood al contrario: i poveri pagano l'università ai ricchi attraverso la fiscalità generale. E il danno per i poveri non si ferma qui. Una scuola pubblica governata centralmente che miri a offrire la stessa istruzione a tutti impedisce al sistema scolastico di compensare e possibilmente annullare le differenze di retroterra familiare. Negli Usa, con un sistema scolastico prevalentemente privato, avere un padre laureato aumenta di sei volte la probabilità relativa di laurearsi, mentre in Italia l'aumento è di 25 volte rispetto al caso in cui il proprio padre non sia laureato. Come mai c'è più mobilità sociale negli Usa che non in Italia? Sempre guardando agli Usa, non si riesce a capire perché l'ingresso di denaro privato nella scuola pubblica sia tanto temuto dalla sinistra italiana, soprattutto nello stesso momento in cui si lamentano carenze di fondi. Si sente dire che i privati ricatterebbero i ricercatori, obbligandoli a fare ricerca solo su ciò che ha interesse commerciale. Tuttavia sembra che lo Stato non sia da meno se si pensa, ad esempio, ai Paesi che finanziano largamente la ricerca sugli armamenti cosa che certo alla sinistra non piace. Chi ci assicura che lo Stato, espressione non di tutti ma di una maggioranza, ricatti meno o meglio dei privati? E poi è bene ricordare che esiste fover head, ossia un prelievo che un ateneo può operare su ogni finanziamento privato o pubblico ottenuto dai suoi ricercatori, e che può essere in vari modi redistribuito. Proprio grazie a questo tipo di redistribuzione anche il Dipartimento di Lettere antiche è felice se quello di Ingegneria elettronica funziona bene e riceve tanti fondi. Solo per citare uno di mille esempi in cui un interesse commerciale privato può utilmente combinarsi con quello collettivo, che male c'è se i privati finanziano progetti come The Harvard-Google project, mediante il quale verranno digitalizzati milioni di libri in numerose biblioteche universitarie per renderli accessibili sul web (http://hul.harvard.edu/hgproject/). Ma ciò che più sorprende l’extraterrestre, mentre risale sulla sua astronave, è che una non riforma fatta di pochi interventi marginali e sconclusionati possa aver suscitato tutto questo marasma. Che cosa succederebbe nel caso di una vera riforma? IL PARADOSSO DELLE TASSE Il taglio indiscriminato ai fondi penalizza le sedi che hanno risparmiato - Non si capisce perché la sinistra tema l'ingresso di capitali privati nel pubblico _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 ott. ’08 I RETTORI: ORA ABBASSARE I TONI Università. La Crui: non si perda di vista il vero obiettivo, la riconsiderazione dei tagli Alessia Tripodi ROMA Puntare alla sostanza e abbassare i toni. Evitando i blocchi della didattica. È l'auspicio della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane che, all'indomani della giornata campale per gli atenei, ha approvato una mozione per sottolineare la necessità che «il tono del confronto non venga esasperato, facendo perdere di vista l'obiettivo del buon funzionamento dell'università e della ricerca, pur in un contesto di grande problematicità». I rettori non hanno intenzione di limitare «gli spazi per il libero confronto con e tra gli studenti», ma sono convinti che ciò debba avvenire «senza interrompere le attività di didattica e ricerca» e sottolineano «l'importanza dell'autorevole presa di posizione del Presidente della Repubblica». Smentite, poi, le voci di possibili scissioni. «Non si sta lavorando per una seconda Crui» ha precisato Enrico Decleva, presidente della Conferenza, riferendosi alla recente proposta di "patti di stabilità" per gli atenei avanzata dai 13 rettori aderenti all'Aquis (Associazione per la qualità delle università italiane statali), un programma «del quale si è parlato in assemblea, ribadendo, però, che la Crui ha la rappresentanza istituzionale unitaria degli atenei». Nella mozione approvata ieri i rettori rinnovano l'impegno per il «rapido avvio di interventi legislativi» rispetto ai temi della valutazione, della governance, del reclutamento e dello stato giuridico dei docenti, del dottorato di ricerca e della formazione degli insegnanti, del diritto allo studio e del trasferimento tecnologico. Questioni già sollevate nel documento Crui del 25 settembre, e che ora attendono il confronto con il piano annunciato dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. «Stiamo aspettando dal ministero le linee guida che dovrebbero arrivare nei prossimi giorni» ha detto Decleva, spiegando che «c'è un problema di provvedimenti legislativi per i quali il ministro deve verificare le condizioni in Parlamento». Non ultimo, poi, il nodo risorse. Il documento ribadisce «l'urgenza» di una «riconsiderazione delle condizioni finanziarie determinate dai provvedimenti del Governo», che «dal 2010 porterebbero a situazioni del tutto insostenibili per il sistema». _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 ott. ’08 UN PAESE CHE ESILIA I GIOVANI TALENTI DISTRUGGE IL SUO FUTURO di Salvatore Settis Nell'autunno 1922 due navi tedesche (poi note come Philosophy Steamers) trasportarono da Pietrogrado alla Germania centinaia di intellettuali, la crema dell'intelligentsia russa pre-rivoluzionaria. «Una deportazione di cervelli senza precedenti» (Heller), che eliminava ogni scomoda opposizione in nome di un obbligato conformismo, e che inferse alla cultura russa un colpo mortale. Non fu un caso isolato. Ci sono ideologie, regimi, situazioni che rigettano gli intellettuali, la ricerca, il pensiero creativo (il caso meglio noto è quello della Germania nazista, ma anche l'Italia fascista fece la sua parte, con intellettuali ebrei e non). Non meno massiccia di quelle è l'emigrazione forzata di giovani talenti dalla prospera e smemorata Italia degli ultimi vent'anni: secondo l'Istituto di ricerca economica di Berlino (febbraio 2008), da anni il nostro Paese esporta migliaia di ricercatori e per ogni dieci che se ne vanno meno di uno viene, o torna, dall'estero. Ma in nome di che cosa i Governi italiani, in ammirevole sintonia bipartisan, s'industriano a favorire la diaspora dei migliori giovani dal Paese? Dietro questa ostinazione c'è un'ideologia, un progetto? C'è un'idea dell'Italia, del suo futuro? I risultati del Consiglio europeo delle ricerche (Erc) sono un'allarmante cartina al tornasole. Erc è la nuova agenzia di ricerca dell'Unione Europea, che per distribuire i suoi 7,5 miliardi ha adottato una metodologia interamente basata sul talento degli studiosi e sul merito delle loro idee. Il primo bando, riservato ai ricercatori più giovani (con un tetto di 2,5 milioni a persona), si è chiuso qualche mese fa; il secondo, per gli studiosi più avanti in carriera (con un tetto di 3,5 milioni) si è chiuso in questi giorni. Quali i risultati italiani? Sia negli starting grants per i più giovani che negli advanced grants, l'Italia è stata prima per numero delle domande (1.760 su 9.167 nel primo caso (19,2%), 327 su 2.167 nel secondo (15%): sicuro indicatore che il Paese abbonda di ricercatori di ogni età, ma anche che essi disperano di trovare in patria i finanziamenti necessari. Ma quante domande hanno avuto successo? Negli starting grants, i vincitori italiani sono 35, al secondo posto dopo la Germania, precedendo Gran Bretagna, Francia e Spagna; è dunque chiaro che l'Italia ha offerto a questi studiosi (età media: 35 anni) adeguata formazione e ambCiente di ricerca. Se però si guarda alle sedi di lavoro scelte dai vincitori, l'Italia precipita al quinto posto. Dei 35 vincitori italiani, solo 23 resteranno in patria, gli altri (coi loro fondi europei) preferiscono altri Paesi con migliori strutture di ricerca; e dall'estero in Italia arrivano solo due polacchi e un norvegese. Al contrario, in Gran Bretagna restano 24 vincitori su 29, ma se ne aggiungono 35 da altri Paesi (6 dall'Italia); in Francia restano 26 vincitori su 32, ma ne arrivano altri 12 (2 dall'Italia). Negli advanced grants, i risultati italiani sono ancor più preoccupanti. Prima come numero di domande, l'Italia è al quarto posto per il successo (23 vincitori), dietro Gran Bretagna (45), Germania (32) Francia (30). Ma dei 23 vincitori italiani, ben 6 portano il proprio grant in altri Paesi, contro un solo non-italiano (un inglese) che ha scelto una sede italiana (Pisa). Al contrario, negli altri Paesi il rapporto fra "uscite" ed "entrate" di vincitori dei grants è molto più favorevole: il saldo netto (contro il totale di 18 grants da spendersi in Italia) è di 56 in Gran Bretagna, 32 in Francia, 26 in Svizzera. Per attrattività l'Italia è dunque all'ultimo posto, anzi sostanzialmente assente. In compenso, il Paese svetta in cima a tutte le classifiche per numero di studiosi che hanno deciso di trasferirsi altrove coi loro cospicui fondi europei. Il bilancio è disastroso: prima per numero di domande (cioè per potenzialità), l'Italia è ultima in Europa per capacità di attrarre studiosi da fuori, ma anche di trattenere i propri cittadini. In nome di che cosa maggioranza e opposizione, ministri e deputati assistono passivamente a questa emorragia di forze intellettuali? Nessuno potrà credere sul serio che alla base vi sia un calcolo economico. È evidente che formare nuove generazioni di ricercatori per poi "regalare" i migliori ad altri Paesi non è un buon investimento. Eppure, nella strettoia che l'università italiana sta attraversando questi dati non sembrano avere alcun peso, quasi per corale cecità di un Paese determinato a indietreggiare. I severi tagli della legge 133/2008 incideranno seriamente sul futuro dell'università. Sarebbe ingiusto non riconoscere le gravi difficoltà economiche del momento, come lo sarebbe non ammettere i troppi casi di cattiva amministrazione delle risorse da parte degli Atenei. Il paradosso è che i finanziamenti per università e ricerca in Italia sono da troppi anni strutturalmente insufficienti (meno di un terzo dell'obiettivo fissato dall'agenda di Lisbona) ma al tempo stesso le scarse risorse vengono spesso sprecate o mal spese. Ma nessuna scure che si abbatta alla cieca ha mai generato nuove forme di virtù: colpendo in misura eguale chi ha gestito malissimo le proprie risorse e chi lo ha fatto al meglio, la legge Tremonti non ha dato all'università italiana il segnale giusto. Il ministro Gelmini ha davanti a sé un compito molto difficile. Dovrà ridare credibilità a università e ricerca, dovrà promuovere l'autonomia degli atenei ma anche una gestione responsabile delle risorse e un'attenta valutazione dei risultati. Dovrà alzare la qualità della formazione anche "tagliando" i corsi più squalificati e il pulviscolo di micro-sedi universitarie proliferate senza controllo; ma anche favorire il principio di eguaglianza e la mobilità sociale con nuove forme di finanziamento per gli studenti meritevoli. Dovrà introdurre massicci incentivi al merito individuale di docenti e studenti, ma anche a quello di dipartimenti, atenei e strutture di ricerca. Dovrà vincere il blocco delle assunzioni di docenti che penalizza i giovani migliori, ed evitare ogni promozione ope legis di precari d'ogni sorta, che punirebbe chi è ancor più precario di loro, e cioè i giovani che stanno per concludere i propri studi. Non dovrà cadere nella trappola di «distinguere fra reclutamento e promozione dei docenti», come voleva il disegno di legge 1439/2007 (Rifondazione comunista), secondo cui la docenza universitaria dovrebbe essere «riorganizzata in un ruolo unico articolato in tre fasce, dove l'accesso alla docenza avviene in via ordinaria mediante concorso per l'assunzione nella terza fascia», con promozioni ad personam alle fasce superiori: sicura ricetta per spedire l'Italia in fondo a tutte le classifiche mondiali. I tagli all'università sono necessari? Prima di rispondere, fermiamoci a pensare che le principali vittime saranno i nostri giovani migliori, condannati al forzato esilio. Crescerà il saldo negativo nel rapporto fra brain drain e brain gain; per giunta, in un Paese che compensa il crescente deficit demografico con l'immigrazione (ormai oltre il 5% dei residenti), la bassissima percentuale d'immigrazione intellettuale (inferiore allo 0,1%) trascina verso il basso il livello culturale medio. Nessuno nega la crisi economica presente, ma ci sono vari modi di reagire ad essa. Nel 1992, Yegor Gaidar (allora primo ministro nella Russia di Eltsin) tagliò duramente i fondi alla ricerca, dichiarando che «questa terapia-shock non può che far bene: i nostri scienziati, se sono davvero bravi, troveranno qualcuno che li finanzi». Come si sa, migliaia di studiosi russi dovettero allora emigrare. Il 4 ottobre 2008, il presidente francese Sarkozy ha dichiarato al contrario che, onde risalire la china della crisi economica, «è necessario accrescere il finanziamento all'università per migliorare lo stipendio dei docenti, rinnovare le sedi, promuovere la ricerca, aiutare gli studenti in difficoltà. Propongo pertanto - continua Sarkozy - che lo sforzo della nazione in favore dell'università aumenti del 50% di qui al 2012, per un aumento complessivo di 5 miliardi». È lecito chiedersi: fra il modello Eltsin (la terapia-shock dei tagli alla cieca) e il modello Sarkozy (la crescita degli investimenti su università e ricerca), qual è, e quale sarà, la scelta di Berlusconi, Tremonti, Gelmini? _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 ott. ’08 MISTRETTA: SE GLI STUDENTI OCCUPANO IO STARÒ A OSSERVARE» Il rettore Pasquale Mistretta si schiera con gli universitari e precisa: «Sarò responsabile di ciò che succede verso la polizia» «Non resta che vedere cosa succederà alle manifestazioni» SABRINA ZEDDA CAGLIARI. L’etichetta di paternalista la rigetta completamente: come potrebbe, lui che è uomo delle istituzioni, schierarsi in modo così plateale a fianco degli studenti? Eppure il colpo di scena dell’altra mattina, durante l’assemblea convocata nella facoltà di Lettere dal preside Roberto Coroneo, è di quelli che ha spiazzato tutti. E sì, Pasquale Mistretta, rettore dell’ateneo cagliaritano, anche se ancora solo per pochi mesi, rivolto agli studenti in lotta contro la legge 133, che prevede nuovi tagli all’università e una sua possibile privatizzazione, ha detto che sì, per protestare vanno bene tutte le iniziative, ‹‹compresa l’occupazione››. - Professor Mistretta, lei ha fatto la gioia degli studenti... ‹‹Forse è così, ma badate bene: io non ho detto “ok, occupate”, ma “vi lascio fare, se volete”. C’è una bella differenza››. - Provi a spiegarla. ‹‹Ho semplicemente riconosciuto agli studenti il loro ruolo all’interno dell’Università. D’altronde in un certo senso sono anche i padroni degli spazi. Io starò a osservare, e sarò anche responsabile di ciò che succederà››. - Ai ragazzi ha anche detto che all’Università difficilmente potrebbe entrare la polizia, perchè voi non l’avete mai fatta entrare. ‹‹Sarò responsabile di ciò che succederà anche davanti alla polizia, che credo farà il suo dovere se ce ne fosse bisogno››. - Condivide quello che ha detto Berlusconi? ‹‹Le parole di Berlusconi si riferivano ai tafferugli. In generale io dico che si dovrebbe fare come negli stadi: se lì dentro quando si creano disordini intervengono le forze dell’ordine, perchè non dovrebbe avvenire lo stesso dentro all’università?››. - Sarebbe però la peggiore delle ipotesi... ‹‹Questo l’ho già detto agli studenti: non voglio vetri e banchi rotti e d’altronde se s’arrivasse a tanto non li considererei più neppure studenti››. - Vicino ai ragazzi ma allo stesso tempo con distacco, dunque? ‹‹Guardi, io sono stato uno, e la mia vita è lunga, che ha sempre partecipato a ciò che accadeva, ma mantenendo il mio ruolo. Sin da quando ero presidente dell’Opera universitaria (l’odierno Ersu) e si assistevano a scene come l’occupazione degli uffici amministrativi anche per 10 giorni, ho vissuto tutti i momenti. Insomma: ne ho visto abbastanza e penso che quando le motivazioni siano serie occorra agire di conseguenza››. - Che cosa non condivide della legge 133? ‹‹Principalmente l’articolo 13, quello che parla della possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato: ne sarebbe lesa la loro autonomia, soprattutto qui in Sardegna dove grandi imprese che potrebbero investire nell’università, se si esclude Tiscali e poco altro, non ce ne sono. Il rischio è che si faccia avanti il settore pubblico.››. - Insomma, lei teme l’ingerenza politica. E le altre componenti dell’Università? ‹‹Della legge 133 gli studenti contestano soprattutto l’articolo 16 ovviamente. E ovviamente lo contestano anche i ricercatori e tutti i precari dell’università››. - Beh, non è certo rassicurante avere come prospettiva nuovi tagli. ‹Già, c’è da dire però che il Consiglio d’amministrazione e il Senato accademcio hanno una certa responsabilità per aver favorito la moltiplicazione dei costi. In questo senso non posso dire che il 20 per cento del turn over prospettato dal governo sia sbagliato››. - Tornando alla lotta sulla 133, come finirà? ‹‹Non resta che vedere cosa accadrà alle manifestazioni. Che avranno tre momenti: il primo domani, con la grande iniziativa organizzata dal Partito democratico. Il secondo il 30 ottobre, con lo sciopero organizzato dai sindacati. Il terzo il 14 novembre, nella nuova manifestazione a favore dell’istruzione››. _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 25 ott. ’08 L’UNIVERSITÀ IN RIVOLTA, LE LEZIONI SI FANNO AL BASTIONE La singolare forma di protesta scelta a Lettere e Filosofia Il calendario sarà presentato stamattina, ma è già sicuro che domani due docenti raduneranno gli studenti al Bastione per parlare di Costituzione, antifascismo, cittadinanza democratica e diritti civili. Lezioni alternative in luoghi lontani dalle aule dell’ateneo al posto delle classiche “frontali”. Al Bastione, ad esempio. Il consiglio di facoltà di Lettere e Filosofia ha deciso di sospendere temporaneamente le lezioni tradizionali. Il calendario sarà presentato stamattina, ma è già sicuro che domani due docenti raduneranno gli studenti sulla terrazza di Saint Remy per spiegare temi sulla Costituzione, l’antifascismo, la cittadinanza democratica e i diritti civili. «Siamo d’accordo nel rimodulare i contenuti delle lezioni», spiega il preside della facoltà Roberto Coroneo, «per aprire dibattiti, laboratori e incontri sui temi della cultura e della società. Sarà comunque attività didattica, anche se non verrà realizzata nelle solite aule. Così fino a giovedì prossimo. Ora ci auguriamo di trovare l’appoggio anche di Scienze della formazione». È d’accordo Claudio Natoli, professore di Storia contemporanea, anch’egli disponibile a incontrare gli alunni sulla terrazza del Bastione. «È un’idea che abbiamo accolto sulla scia di quanto sta già avvenendo anche nel resto della Penisola. Sarà un modo di aprire l’università alla città, rimanendo noi stessi. Ci armeremo di microfono e magari di un tavolino da campeggio». Già da ieri mattina gli studenti del Magistero hanno iniziato a strutturare gruppi di lavoro che organizzeranno i differenti ambiti operativi della protesta. «Stiamo strutturando una gestione orizzontale dei rapporti tra le diverse aree dell’ateneo in vista di eventi comuni, attraverso riunioni quotidiane tra iscritti in tutte le facoltà», spiegano. E precisano di non aver intenzione di interrompere il dibattito sulla legge 133. Sottolineano, piuttosto, che «queste iniziative stanno prendendo forma su proposta e in collaborazione con un alto numero di studenti, secondo modalità che scavalcano completamente ogni principio di delega e rappresentanza ristretta». Intanto anche gli alunni delle superiori iniziano a far sentire sempre più forte la loro voce. È il caso dell’istituto magistrato Eleonora d’Arborea dove per due giorni i giovani hanno attivato un presidio della scuola, occupando il cortile dalla mattina alla sera, ma senza intralciare chi volesse restare in classe a seguire le lezioni. STEFANO CORTIS _______________________________________________________________ Corriere della Sera 24 ott. ’08 L' INGLESE «QUOTIDIANO» PER ENTRARE IN UNIVERSITÀ TEST D' INGRESSO LE CERTIFICAZIONI NECESSARIE PER SUPERARE LA PROVA NEGLI STATI UNITI Per attestare il proprio livello di conoscenza della lingua inglese sono da considerare solo le certificazioni ufficiali Nel Regno Unito Sul sito del British Council si trovano i diversi enti certificatori del Regno Unito «Do you speak english?» «Yes, but only a little bit» è la risposta che stronca sul nascere qualsiasi interessante prospettiva di carriera. Poco importa essere intelligenti e aver conquistato una laurea a pieni voti se non si conosce bene almeno l' inglese. La barriera però non è solo all' ingresso con il mondo del lavoro. È anche all' università. Gli atenei più prestigiosi richiedono un buon livello di conoscenza, quasi tutti rilasciano crediti formativi a chi ha conseguito delle certificazioni e alcuni organizzano già corsi esclusivamente in inglese. Ma, come attestare il proprio livello di conoscenza? Per non perdere la bussola attenzione al proliferare di sigle e riferimenti. E considerate due dati: solo le certificazioni ufficiali (per confrontarle riferitevi al Quadro comune europeo delle lingue che definisce sei livelli di conoscenza in progressione dall' A1 al C2). Sul sito del British Council (www.britishcouncil.it) troverete i diversi enti certificatori del Regno Unito. Non troverete però riferimenti al noto Toefl (Test of english as a foreign language) richiesto per l' ammissione alle università negli Stati Uniti e riconosciuto ovunque, anche in ambito lavorativo. Tornando alle certificazioni britanniche, il sistema di accreditamento più conosciuto è quello dell' università di Cambridge Esol: Ket per il livello elementare, Pet e Fce per i livelli intermedi e Cae e Cpe per i livelli più avanzati. In Italia per esempio, l' università Bocconi richiede il Fce, conosciuto come il First certificate (e altri corrispondenti al B2) per iscriversi a un corso di laurea specialistica o per i corsi in lingua inglese e il Politecnico di Milano richiede come condizione il B1 per la laurea e il B2 o C1 per la laurea magistrale, come da criterio definito dal Common european framework. A queste certificazione, che attestano la conoscenza di un inglese di uso «quotidiano» si affiancano le certificazioni Cambridge specifiche per il mondo del lavoro (che salvo eccezioni si accontenta di quelle generiche). Si tratta del Bec, su tre livelli, e per i linguaggi specifici lo Ilec (International legal english certificate) e il Icfe (International certificate of financial english). Ultimamente sta acquistando sempre maggiore nomea, l' esame Ielts più semplice: le sessioni sono ogni mese, le sedi d' esame distribuite in tutta Italia, i risultati si hanno nel giro di una quindicina di giorni dove il punteggio raggiunto indica il livello di conoscenza dell' inglese. La sua durata è limitata a due anni, mentre i certificati Cambridge Esol per esempio sono validi per sempre. A questo proposito il British Council offre a 30 lettori la possibilità di sostenere gratuitamente l' esame Ielts (il costo è di 175 euro) in una delle 17 sedi (Mi, To, Pd, Tr, Bo, SS, Ca, Pa, Me, Ct, Na, Le, Roma, Fi, Te, Catanzaro, Ba). Inviare richiesta in inglese in 50 parole a Ielts.milan@britishcouncil.it indicando la sede. Luisa Adani Mba a Milano Lunedì 27 ottobre va in scena a Milano (al Palazzo delle Stelline) il Qs World Mba Tour, la vetrina degli Mba più prestigiosi. Il Qs da Londra porta a Milano 80 top business schools internazionali e offre agli aspiranti studenti la possibilità di incontrare i direttori di ammissione e di ottenere informazioni su corsi e opportunità di carriera 6 i livelli di conoscenza definiti dal Quadro comune europeo in progressione dall' A1 al C2 ______________________________________________________________ Il Giornale 24 ott. ’08 FRATI: DOBBIAMO TAGLIARE I CORSI INUTILI» Il neo-rettore della Sapienza: destinare la gran parte dei fondi al reclutamento di giovani ricercatori. Gli atenei si devono guadagnare i soldi che si meritano» Patricia Tagliaferri Roma Afme ottobre, con una cerimonia ufficiale, prenderà formalmente in mano le redini della Sapienza, l'ateneo più grande d'Europa, in un momento in cui scuola ed università sono in agitazione per la riforma del ministro Mariastella Gelmini e per i tagli ai fondi previsti dalla finanziaria. Ma Luigi Frati, 65 anni, neorettore della Sapienza, è pronto a ereditare questa situazione esplosiva e per farlo vuole che l'intero sistema universitario faccia «autocritica» e si metta nelle condizioni di meritare i finanziamenti. Professor Frati, su cosa deve fare autocritica l'università? «Su quelle scelte che non vanno d'accordo con qualità e utilità e sul modo in cui esse vengono percepite dai cittadini. Bisognerà tagliare i corsi di laurea inutili e destinare la maggior parte dei fondi al reclutamento e all'assunzione di giovani ricercatori, piuttosto che affidarsi a scorrimenti verticali da ricercatori ad associati e da associati ad ordinari, magari sfruttando il vantaggio del concorso locale. Saranno queste le sue prime mosse da rettore? -Di sicuro alla Sapienza avverranno questi cambiamenti e con queste credenziali da un lato si dà una prima risposta alle inquietudini del mondo giovanile e dall'altro si è in grado di aprire un confronto con il governo perché siano dati ulteriori finanziamenti su obiettivi condivisi di qualità ed efficacia sia della didattica che della ricerca. È d'accordo con il ministro Gelmini quando dice che è necessario ristabilire la meritocrazia tra i decenti? «La meritocrazia è un tema fondamentale nell'università. Si devono individuare criteri obiettivi e verificabili, come ad esempio le pubblicazioni' internazionali, largamente utilizzate come criterio di merito nelle facoltà scientifiche, ma non ancora in quelle umanistiche e giurisprudenziali. Senza tali criteri per giudicare chi merita e chi no sia nell'erogazione dei fondi che negli avanzamenti di carriera, ogni giudizio è opinabile». Che cosa pensa degli studenti che protestano? «Innanzitutto bisogna dire che appartengono a più categorie, trasversali, non sono soltanto quelli della sinistra non più rappresentata in Parlamento..C'è un senso di insicurezza nel futura che tocca tutti, una crisi di sfiducia nelle istituzioni. Ma per il momento sono proteste sufficientemente pacifiche, che non hanno pregiudicato la didattica. Certo, l'agitazione è stata innescata dal malessere provocato dalla riforma della scuola, ma l’80 per cento degli studenti è preoccupato per il proprio futuro, non si protesta contro il governo ladro di destra». Temono che i tagli previsti incideranno sulla qualità di didattica e ricerca. «Nel 2010 i tagli saranno pesanti e i faccia si attendono che l'università faccia la sua parte ma non sono certi che sarà capace di riformare se stessa e meritarsi i finanziamenti. Come rettore proverò a cambiarla in modo che sia in grado di poter accedere ai fondi del governo, ma non voglio l'elemosina, voglio che l'ateneo si guadagni i soldi che gli spettano. Abbiamo tutto il 2009 per riflettere ed arrivare a questo traguardo. Che cosa pensa dei sudi colleghi rettori che, nonostante i! loro ruolo istituzionale, si sono messi a fomentare la protesta? «Che dovrebbero avere la capacità di riflettere e pensare a cosa fanno per correggere le storture del sistema prima di pretendere i soldi. Di fronte all'attuale congiuntura economica perché l'università deve essere l'unica a non soffermarsi sui propri difetti?.. Ma come è arrivata l'università alla situazione critica di oggi? «La riforma Berlinguer sugli ordinamenti didattici che ha introdotto il tre più due, cioè la laurea triennale più la specializzazione, ha portato a un enorme aumento dei corsi, alcuni dei quali con un numero di studenti assai ridotto. La laurea triennale avrebbe dovuto accorciare i tempi di immissione nel mondo lavorativo, ma questo obiettivo è stato raggiunto sola in alcuni settori, come nelle lauree sanitarie o in informatica, dove il tasso di occupazione adun anno dalla laurea è del 90 per cento. Mentre in altre facoltà molto meno del 50 per cento degli studenti trova un lavoro dopo la laurea. Rispetto a questi problemi non v'è dubbio che la protesta studentesca esprima il disagio di un sistema che non sempre ha saputo interpretare in chiave internazionale le opportunità formative». E il malcontento dei ricercatori è giustificato? La ricerca scientifica è un punta assai dolente del sistema universitario. Per essa l'Italia stanzia ogni anno il 50 per cento in meno dei paesi dell'Unione europea. Salvatore Settis, sul So1e-24 ore, ha rilevato come dato sconfortante per il Paese che un terzo dei giovani ricercatori che ha vinto un contratto su bando del Consiglio europeo delle ricerche ha scelto di portare se stesso e i fondi fuori dall'Italia, ciò significa che il nostro sistema di ricerca attrae meno di altri,. Su questo cosa si aspetta dal governo? Per il momento mi sembra che il ministro Gelmini su questi temi abbia fatto aperture importanti. ______________________________________________________________ ItaliaOggi 24 ott. ’08 ECCO I VERI TAGLI DELLA RIFORMA TREMONTI GELMINI DI ALESSANDRA RICCIARDI E BENEDETTA PACELLI AL di là delle polemiche, c'è anche tanta confusione. Perché, al di là degli slogan, le piazze si sono riempite di studenti di ogni ordine e grado, insegnanti e perfino genitori? Per capire cosa c'è, e quanto c'è di vero, dietro le proteste contro la riforma della scuola e dell'università, bisogna ritornare ai testi della riforma e in particolare al decreto legge n.112/2007, ovvero la manovra estiva, alla Finanziaria 2009, al decreto legge n. 137 su scuola e università, e al piano programmatico Economia-Istruzione a cui la manovra estiva demanda il compito di chiarire dove intervenire per conseguire i risparmi di spesa. Per la scuola si tratta di 456 milioni di euro per il 2009,1,65 miliardi di euro per il 2010, 2,538 miliardi per il2011 e 3,188 mld di euro a decorrere dal 2012 (art.o4 del dl 112). Pena il blocco, alla fonte, di una quota dei finanziamenti pari al risparmio non conseguito. Una clausola di salvaguardia, quella di cui si è servito il ministro dell'economia, Giulio Tremonti, a cui era ricorso anche il suo predecessore, Tommaso Padoa Schioppa, per tentare di blindarsi preventivamente. I risparmi previsti dall'articolo 64 del dl 112 in verità non esauriscono l'operazione sui bilanci dell'Istruzione. Totò avrebbe detto che è la somma che fa il totale e anche in questo caso non si sfugge. Perché, si veda il dossier del Servizio bilancio della camera, un decreto legge 112 ha definitivamente tagliato i 324 milioni di euro che erano stati accantonati dalla Finanziaria Prodi, e ha ridotto i fondi per le spese correnti di altri 447 milioni di euro. Ma non è finita: ci sono, nell'ambito della manovra di bilancio, 50 milioni di euro sottratti alle casse dei singoli istituti scolastici, così come oltre 22 milioni al piano per l’edilizia scolastica, stanziati sempre dal governo guidato da Romano Prodi per la programmazione delle regioni. E poi, ci sono i circa 40 milioni in meno per il diritto allo studio degli studenti universitari. Insomma, se il dicastero guidato da MariaStella Gelmini, prima del- decreto legge 112, poteva contare per il2009 su un bilancio di 57,142 miliardi di euro, ora ce ne saranno 55,349. Una manovra ampia, dunque, per circa 1,7 miliardi in meno di spese, solo nel 2009, per le casse dello stato. Ma, in concreto, cosa cambia per insegnanti e studenti? Nella scuola, che da sola impegna oltre un milione di dipendenti e quasi 8 milioni di alunni, nel gira di tre anni scolastici le piante organiche dovranno essere ridotte di 87.400 cattedre per gli insegnanti e di 44.500 posti per il personale ausiliario, tecnico e amministrativo. Tagli che il governo conta di realizzare accorpando le scuole troppo piccole, razionalizzando le materie di studio, riducendo gli indirizzi delle superiori e le ore di lezione, innalzando il numero di studenti per insegnante, visto che l'Italia detiene il record del numero più basso in Europa. Insomma, ci sarà una scuola più snella e più efficace, ha motivato più volte la Gelmini, visti i bassi rendimenti che il sistema attuale ha conseguito nelle rilevazioni Ocse. Un intervento di razionalizzazione che sarà compiuto senza licenziare nessuno (come del resto prevede la legge), ma agendo su due fronti: da un lato approfittando dei pensionamenti, e dunque delle uscite naturali che liberano cattedre; dall'altro riducendo il tasso di assunzione dei precari. Saranno infatti i supplenti, che ad oggi coprono i posti vuoti in organico, a pagare il prezzo più alto della riforma dal momento in cui i posti saranno cancellati. Tuttavia, è nella definizione stessa del lavoratore precario, il fatto che nessuno possa garantire il posto. Triste realtà. Almeno in attesa che, con i pensionamenti, non si liberino altri posti e riprenda così quota un naturale turnover. Ma cosa succede in concreto a partire dal prossimo anno? Poco o nulla alla scuola dell'infanzia. Dove solo il piano programmatico, e non una norma imperativa di legge, prevede che il servizio possa essere articolato anche solo di mattina, ovvero fino alle 12,30, e non più il pomeriggio. In questo caso, i docenti recuperati andranno ad ampliare l'offerta, con l'apertura di nuove classi e il soddisfacimento così di tutte le richieste delle famiglie. C'è poi il maestro unico, la vera grande novità delle elementari: previsto dal decreto legge sulla scuola, il piano programmatico precisando che potrà esserci anche il maestro prevalente. Alle medie, ci sarà meno tempo prolungato, in continuità con quanto previsto dalla riforma Moratti. E poi riforma alle superiori: poco da segnalare per i licei, che hanno già un orario settimanale a 30 ore, e a cui non si applica dunque la riduzione di orario previsto per tecnici e professionali (tra l'altro già messa in calendario, questa, dal ministro Fioroni). Per tutti i gradi di scuola, invece, opererà la riduzione del 17% complessivo del numero di bidelli, l'accorpamento delle sedi scolastiche troppo piccole e l'innalzamento del numero di alunni per classi. C'è poi la protesta degli universitari. Il nodo centrale attorno al quale si muove la mobilitazione di tutti gli atenei italiani è costituito dai tagli al fondo del finanziamento ordinario (Ffo) e alla correlata limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato. Stando al dl 112, i tagli passano dai 63,5 milioni nel 2009 ai 455 milioni del 2013. Per quanto riguarda invece le assunzioni dei docenti queste ultime dovranno essere contenute fino al 2012 entro il 20% delle cessazioni dal servizio: un assunto ogni 5 pensionati. Un vincolo che, per il mondo accademico, non tiene conto né degli impegni legati alla revisione degli ordinamenti didattici né dei posti già banditi di professore e ricercatore e dei conseguenti impegni di assunzione. Il tutto avrà ricadute e una conseguente penalizzazione delle possibilità di accesso soprattutto dei giovani ricercatori. Ecco ,' perché, in questa , direzione il ministro ha annunciato un disegno di legge per il reclutamento dei ricercatori e dei docenti che punta a privilegiare e favorire l'assunzione di giovani nelle università penalizzati, appunto, dal blocco del turn over. La legge 133 prevede poi la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato acquisendo là proprietà dei beni'immobili in uso dall'Agenzia del demanio e con una totale autonomia gestionale, organizzativa e contabile. Una norma che, secondo i contestatari, ha il solo obiettivo di svincolare via via l'impegno dello stato nei confronti del finanziamento del sistema universitario. I TAGLI AL BILANCIO DELL'ISTRUZIONE Prima della manovra Dopo la manovra 2009 57.142 55.349 (-1793) 2010 56.865 53.657 (-3.208) 2011 56.283. 51.929 (-4.354) I dati sono espressi in milioni di euro ______________________________________________________________ Repubblica 24 ott. ’08 COME SALVARE L’UNIVERSITÀ ITALIANA MASSIMO AMMANITI ASSEMBLEE di studenti, occupazioni, blocco delle lezioni in molti atenei italiani con l'inizio del nuovo anno accademico. Si tratta delle solite ritualità che si ripetano nel corso degli anni per poi spegnersi senza nessun risultato oppure quest'anno ci troviamo di fronte a una situazione di emergenza che aggrava i mali storici dell'Università e che dovrebbe trovare soluzioni alternative? Come è noto l'Università ha rappresentata un organismo fragile nel sistema formativo italiano: leggendo la recente pubblicazione "Uno sguardo all'educazione 2008: Indicatori dell'Ocse" si scopre che gli investimenti economici per l'Università in Italia sano al di sotto della media dei paesi dell'Ocse, l0 0,9% del Pil rispetto all' 1,5 % in media e molta al disotto del 2,9% degli Stati Uniti e del 2,6% del Canada. La quasi totalità dei paesi investe di più, come ad esempio la Grecia, il Portogallo, la Turchia, la Polonia, l'Estonia. Analizzando poi la spesa per ogni singolo studente si spende in Italia 8.026 dollari l'anno, mentre la media dell'Ocse è di 11.521 dollari a studente, più de140%. Perché nella classe politica non c'è mai stata una vera attenzione peri giovani e per l'istruzione universitaria, nonostante ogni ministro dell'Istruzione abbia sempre proposto, soprattutto negli ultimi anni, una propria riforma dell'ordinamento degli studi e delle norme concorsuali per l'ingresso dei docenti. Queste Riforme non hanno certo migliorato il funzionamento universitario, mentre hanno obbligato il carpo docente a ridiscutere e ad elaborare ogni volta schemi didattici farraginosi, in cui vi era maggiore attenzione per la distribuzione dei crediti dei vari insegnamenti e per gli organigrammi dei docenti per rispondere ai vincoli del Ministero, più che definire il profila professionale e le competenze dei futuri laureati in modo da rispondere alle esigenze del mercato del lavoro. Non dobbiamo dimenticare le responsabilità del corpo docente che in molti casi ha privilegiato la logica dell'appartenenza a quella del merito, scoraggiando i giovani, soprattutto quelli meritevoli, spingendoli a rinunciare oppure ad emigrare in altri paesi, a cui abbiamo fornito, senza alcun costo, un capitale umana che ha saputo farsi valere. In questo quadro di responsabilità non dimentichiamo che c'è stata una proliferazione periferica di sedi universitarie, che, oltre a comportare ulteriori costi, non garantiscono inevitabilmente un adeguato livello didattico e ancora di più della ricerca, che non si può improvvisare in mancanza di laboratori, di competenze e di finanziamenti. Se questa è la situazione dell'Università che si è venuta via via sedimentando dopo gli anni '70, oggi can la recente approvazione della legge n. 188, la situazione già cosi precaria delle Università italiane, soprattutto quelle pubbliche, rischia di crollare definitivamente. Vi è un taglio drastico dei finanziamenti all'Università, il Fondo di finanziamento ordinario per il funzionamento universitario sarà ridotto di 1.500 milioni di curo, per cui gli 8.000 dollari a studente verranno ridotti in modo consistente con gravi conseguenze sulla vita e l'organizzazione didattica quotidiana della vita universitaria. Anche l'ingresso, ossia il turn-over di nuovi ricercatori e docenti è gravemente ridimensionato, per cui di fronte al consistente pensionamento di docenti nei prossimi anni solo il20% di questi potrà essere rimpiazzato, praticamente chiudendo le porte dell'Università alle nuove generazioni e abbassando il livello qualitativo della didattica, per cui peggiorerà ancora di più il rapporto docenti studenti. Ma anche la ricerca universitaria ne verrà a soffrire, perché i finanziamenti verranno ugualmente ridotti da 160 milioni di curo a 98 milioni, addirittura dimezzati. Anche la possibilità di trasformare le Università in fondazioni di diritto privato, come e previsto dalla legge, non riguarda la maggior parte delle Università, intanto perché il contesto italiano è molto diverso da quello americano e sicuramente non sarebbe facile attrarre fondi privati, a meno che non si preveda di ottenere maggiori introiti dalle tasse di iscrizione. Motivi di protesta ce ne sono, come avevano fatto presente i rettori delle Università che avevano addirittura minacciato le loro dimissioni. Ma il pericolo oggi è quello di ripercorrere forme di lotta ormai rituali, come le occupazioni o il blocco delle attività didattiche, che dopo una fase di sostegno da parte degli studenti, perlomeno una parte, isolerebbe l'Università che si ripiegherebbe su se stessa senza che l’ opinione pubblica e soprattutto le famiglie degli studenti capirebbero i motivi dell'agitazione. Occorre che gli studenti ma ancora di più i docenti facciano capire i rischi che corrono i giovani oggi con un'Università sempre più dequalificata, ma anche il futuro sviluppo economica del paese che dipende dal capitale umano dei giovani che con le proprie competenze e la propria creatività possono rappresentare un importante stimolo. I tagli all'Università e alla ricerca devono essere rimossi, tuttavia questo non basta, occorre anche riqualificare la spesa tagliando i rami secchi, come Università periferiche poco produttive oppure corsi di laurea con poche iscrizioni. E poi va reintrodotto il merita a tutti i livelli, valutando le capacità didattiche dei docenti e la loro produttività scientifica, ancorando a questo gli stipendi. Qualche parala infine sulle tasse di iscrizione. Anche in questo caso è necessario far pagare di più gli studenti che provengono da famiglie che hanno un reddito superiore, utilizzando gli introiti per creare borse di studio effettive per studenti meritevoli provenienti da famiglie a basso reddito. Non è il libro dei sogni si tratta soltanto di renderci conto che quanto si investe sui bambini e sui giovani ha un ritorno in termini di redditività sociale, come ha dimostrato il Premio Nobel per l'economia James Heckman. ______________________________________________________________ Panorama 30 ott. ’08 PROFESSORI DI INCOMPETENZA Da vent'anni gli atenei sono in mano ai docenti: creano corsi, assumono, spendono. II risultato è un disastro: 20 università su 94 rischiano la bancarotta, la prima è solo al 192° posto nella classifica mondiale. dl MAURIZIO BELPIETRO Alcuni cronisti del Giornale hanno intervistato gli studenti della scuola superiore che contestano la riforma Gelmini, chiedendo di spiegare i motivi della protesta. Ne è venuto fuori che una parte non irrilevante degli scioperanti non sa perché sciopera. Alcuni pensano che il maestro unico voglia dire un docente per ogni alunno, altri che si tratti di un solo insegnante per ogni scuola. Più della metà degli intervistati è convinto che il ministro dell'Istruzione voglia diminuire le ore dedicate all'insegnamento della Costituzione. Insomma, molte idee e ben confuse. La confusione regna sovrana anche tra gli universitari, che manifestano e bloccano gli atenei. Luca, uno dei capi della rivolta dentro la Statale di Milano, senti co dalla Repubblica, assicura che «la protesta non finirà fino a quando il decreto Gelmini non sarà ritirato», senza sapere che non esiste alcun decreto Gelmini che riguarda l'università. Il provvedimento messo a punto dal ministro e in attesa di essere convertito in legge tocca solo le scuole elementari e medie, mentre ciò per cui si agitano docenti e studenti è semmai la Finanziaria che è stata approvata nell'agosto scorso e non può essere ritirata perché è già legge dello Stato. Ma tra mille slogan strampalati, ne ho sentito uno che va al cuore della questione ed è quello che ripete che l'università non è della Gelmini e di Tremonti, ma degli studenti e dei docenti. Ecco, questo è il punto. Da una ventina d'anni gli atenei sono in mano ai docenti. I rettori e il senato accademico hanno un'autonomia che consente loro di organizzare gli studi, creare nuovi insegnamenti e corsi di laurea, fare assunzioni e spendere. II risultato è un disastro finanziario: 20 università su 94 sono sull'orlo della bancarotta, altre sono indebitate. Sono stati gonfiati gli organici, moltiplicate le sedi, sprecate risorse. In alcuni atenei il numero dei professori è arrivato a superare quello degli amministrativi. Solo negli ultimi 6 mesi sono stati banditi concorsi per assumere 2.219 docenti e ricercatori, senza che nella maggior parte dei casi vi fossero i posti disponibili. In due decenni si sono create più di 300 sedi distaccate, alcune anche in comuni di poche decine di migliaia di abitanti, come a San Giovanni Valdarno, un paese di 17 mila persone dove l'Università di Siena ha aperto il suo dipartimento di geotecnologie. In Italia esistono 5.500 corsi di laurea con 170 mila insegnamenti, il doppio che negli altri paesi europei. Più di 300 facoltà non superano i 15 iscritti, molti corsi hanno meno di dieci alunni. In qualche caso, come dimostra l'inchiesta del nostro Antonio Rossitto, si sono lanciati in avventure imprenditoriali assai discutibili, mettendosi a produrre bibite e a imbottigliare vino, oppure fondando radio che diffondono musica. Di fronte a un fallimento di tale proporzioni, invece di dimettersi, molti vertici universitari continuano a salire in cattedra. Accusano il governo di avere tagliato i fondi e di voler privatizzare gli atenei, aizzando gli studenti. In realtà più che i tagli (nel 2009 la riduzione dei fondi è di 63,5 milioni di euro, che non basterebbero a ripianare il deficit di una sola delle università vicine al crac) ciò che duole a questi cattivi maestri è il freno alla loro libertà di spesa. E per capirlo non serve un corso di laurea: basterebbe leggere con attenzione il bilancio di uno di questi istituti e studiare i meccanismi dei concorsi e delle spese universitarie. Forse si comprenderebbe anche perché l'Italia, nonostante investa una cifra analoga a quella della Gran Bretagna, abbia solo un ateneo fra i 200 più importanti del mondo: al centonovantaduesimo posto. Mentre la Gran Bretagna ne ha 29, e quattro sono tra i primi dieci. E Invece «di dimettersi, molti vertici universitari continuano a salire in cattedra. ______________________________________________________________ Panorama 30 ott. ’08 LEZIONI DI CRAC Sprechi Nessun controllo sulle spese, troppo, personale, corsi di laurea con un solo iscritto e sedi distaccate mutili. Così negli atenei si producono deficit abissali, contando sull'aiuto dello, Stato. Mentre i concorsi per le cattedre si moltiplicano. di ANTONIO ROSSITTO 0lio extravergine, Chianti classico, Vinsanto, Rosso toscano e grappa: roba di prima qualità quella con l'etichetta Villa Montepaldi. Prodotta con il sudore di esperti braccianti. E un po' anche con quello di tutti noi. I:azienda agricola, difatti, è foraggiata con generosità dall'Università di Firenze, proprietaria di questi 40 ettari a San Casciano Val di Pesa, una ventina di chilometri dal capoluogo. Tenuta prestigiosa: fu degli Acciaoli, poi dei Medici, successivamente dei Corsini e infine dell'ateneo. Utilità? Discutibile: l'ultimo avvistamento di uno studente alla «fattoria dell'università», come la chiamano vezzosamente i professori, risale a qualche anno fa. E l’azienda è in perenne perdita, nonostante i milioni di euro versati dall'ateneo. Che, tra un buon bicchiere di rosso e un crostino intinto in olio pregiato, ha un deficit di almeno una settantina di milioni di euro. Gorgo che rischia di raddoppiare nel 2010. Nella vicina Siena le cose non vanno diversamente, così come in molti I: ateneo adesso promette rigore. A Firenze si spendono praticamente tutti i finanziamenti statali per pagare il personale. Lo fanno in tanti. Le economie devono partire da li. Eppure quest'anno l'università, nonostante la voragine in cui è cascata, ha già bandito 43 concorsi per ricercatore. Ha eliminato il su perfluo, almeno? Non ' sembrerebbe. A guardare bene gli ultimi dati ministeriali, si scopre che ci sono decine di corsi con meno di 20 iscritti. Un indubitabile primato lo detiene però la laurea in scienza delle religioni: zero iscritti. Seguita a ruota da scienze pedagogiche, dove il volonteroso è uno solo. E dalla scuola per assistenti sociali, bazzicata da altri due stoici. Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss di Roma, è sferzante: «Classi con 20 studenti non potranno mai reggere economicamente: è una moltiplicazione di costi abnorme» dice. «Poi ci sono le sedi decentrate, centri di potere che servono solo a compiacere i politici locali. Il risultato è scon atenei italiani. I bilanci in rosso nascondono spese ormai fuori controllo: troppi dipendenti, corsi di laurea di dubbia utilità, concorsi banditi senza sosta, sprechi che si perpetuano. Mai come adesso l'università italiana sembra allo sfascio. I rettori lanciano furibondi allarmi, per scansare i tagli previsti dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. Gli studenti occupano le aule e sfilano per strada, protestando contro lo smantellamento > > del sistema pubblico. I conti però non tornano più. Come non sono tornati ad Antonio Brancasi, che a Firenze insegna diritto amministrativo. «Caro rettore»: cominciava così la lettera indirizzata al magnifico di Firenze, Augusto Martinelli. Missiva in cui il docente contestava le incongruenze dell'ultimo bilancio. Faceva le pulci Brancasi: dati statistici contraddittori, vendite di immobili fittizie, spese incomprensi bili. Come quella di 1,2 milioni di euro per trasformare la solita Villa Montepaldi in un agritu rismo. Investimento di cui si è persa memoria. forrante: spese enormi, livello dei docenti modesto e studenti abituati a studiare sotto casa». A Siena non sembrano essersi posti il problema. Negli ultimi anni, mentre l'ateneo accumulava passivi, sono stati aperti tre nuovi poli: a Colle Val d'EIsa, San Giovanni Valdarno e Follonica, che si aggiungono alla sede di Grosseto. E a quella di Arezzo: qui brillano i corsi di laurea in storia dell'antichità (tre iscritti) e in società, culture e istituzioni d'Europa (sette allievi). Del resto il vecchio rettore Piero Tosi, in carica fino al2006, è uno che i centesimi non li ha mai guardati. «Una gestione che ha lasciato 160 milioni di debiti solo tra il2002 e il2005, anni in cui i bilanci sono stati chiaramente imbellettati» accusa Giovanni Grasso, professore di anatomia umana e storico antagonista di Tosi. «Hanno trasformato l'Università di Siena in un ente assistenziale ormai alla bancarotta». Le cifre non sembrano dargli torto: i bilanci degli ultimi 6 anni totalizzano perdite per 130 milioni di curo. Periodo in cui il costo per il personale è > > aumentato costantemente, arrivando, tra docenti e amministrativi, a un dipendente ogni 3,9 studenti. Cosa si fa in situazioni del genere? Si taglia allo spasimo, ovvio. Eppure, nell'ultimo anno sono stati stabilizzati 300 amministrativi e sono stati banditi concorsi per 43 ricercatori. A Genova ne hanno assunti 34 di ricercatori, oltre a 17 professori. Peccato che l'anno scorso sia comparso un buco di 15 milioni di curo. La Corte dei conti sta indagando sulle cause. «È chiaro che molti atenei chiudono i bilanci solo con i più spericolati artifici» attacca Roberto Perotti, economista della Bocconi e autore del libro L'università truccata. «Il disavanzo è sempre uguale a zero. Poi, a distanza di anni, vengono fuori i debiti». Alla Sapienza il bilancio del 2007 è stato chiuso con 40 milioni di curo di deficit. L'ex rettore Renato Guarini, in carica fino al mese scorso, aveva dunque annunciato un «notevole contenimento della spesa per il personale». Il proclama si è tradotto in una nuova infornata di cattedre: 186 solo quest'anno. Qualcuno obietterà: su tutto si può lesinare ma non sulla ricerca. Giusto. Però solo in teoria, avverte Ferotti: «La qualità dei professori in Italia è pessima, lavorano poco e guadagnano canto. I concorsi sono una farsa che favorisce solo amici e parenti. Per molti avere il doppio degli insegnanti servirebbe solo moltiplicare le tribù accademiche. D'al tra parte, sono un errore anche i tagli in discriminaci del ministro Gelmini». «Un colpo mortale a coloro che rie scono, nonostante tutto, a fare ricerca di eccellenza» li ha definiti Ferdinando Di Iorio, rettore dell'Università del l'Aquila, in lizza per la candidatura governatore abruzzese con la Sinistra arcobaleno. II suo ateneo, però, dicono 1e statistiche, non riluce di virtù: spende il 95,5 dei finanziamenti statali per i personale e ha un disavanzo di 12 mi lioni di curo. Eppure non centellina vanta un corso per infermieri ad Avezzano, un altro in economia del turism a Sulmona e quello, più disgraziato, i ingegneria agroindustriale a Celano con soli otto iscritti. I bilanci in rosso vengono fuori uno dopo l'altro. Alcuni rettori, sepolti dai debiti, invocano l'intervento dello Stato: «Si rischia una nuova Alitalia» ha detto il ministro Gelmini. Che a Panorama anticipa: «Non ci sarà alcun aiuto pubblico. Gli atenei dovranno predisporre piani di rientro sui quali vigileremo. E la lotta agli sprechi diventerà prioritaria. I: università italiana è indifendibile e chi lo fa danneggia solo i ragazzi. Molti corsi di laurea servono solo a moltiplicare le cattedre: elimineremo quelli non necessari». Proposito, in verità, già annunciato da molti suoi predecessori e mai messo in pratica. Le novità, invece, riguardano soprattutto i bilanci: «A partire dal prossimo anno dovranno essere come quelli delle aziende. Bisogna evitare che siano compilati in modo creativo, cosa che è avvenuta spesso. Saranno poi certificati da società esterne, verificati da una commissione ministeriale e pubblicati su internet» dice il ministro, che ha deciso di inviare ispettori nelle università più a rischio. «Non è tollerabile che alcuni atenei interpretino l'autonomia in modo univoco: spendono senza controllo e sperano poi che arrivi qualcuno a ripianare i debiti». Alla Federico II di Napoli il rettore, Guido Trombetti, ha recentemente annunciato di avercela fatta da solo: «L ultimo bilancio è in perfetto pareggio» ha assicurato. Il penultimo invece era in profondo rosso: 10 milioni di curo. Poi però è cominciata l'era del rigore, che si è tramutata in un aumento delle spese per il personale del 4,5 per cento. Risultato: l'università sborsa per i dipendenti più di quanto gli trasferisca lo Stato. Avanzano 11 milioni: le tasse pagate ogni anno dagli studenti. Ma per - far funzionare il più elefantiaco ateneo - del Meridione sembrano pochini. Invece bastano, addirittura avanzano, tanto - da permettere di bandire quest'anno ben a 37 concorsi per docenti e 54 per ricercatori. E ci sono pure i debiti del Policlinico: si aggirerebbero intorno a 20 milioni di euro. Anche al Policlinico dell'Università di Messina i conti non tornano da anni. Tanto che dal 2004 la Regione Siciliana non approva un bilancio. Il deficit è di 40 milioni di euro. Per metà dovrebbe essere ripianato dall'ateneo, che insiste a non mettere da parte 1 euro, anzi. Il sito dell'università annuncia le selezioni per 90 amministrativi. Per i sindacati, i requisiti sono troppo stringenti: sospettano che siano stati cuciti su misura per parenti e amici. Il rettore, Francesco Tomasello, nega sdegnato. E va avanti a bandire: 74 posti per docenti e ricercatori solo nel 2008. C'è carenza di personale a Messina? AL contrario: per il ministero, solo nella facoltà di medicina ci sono 320 medici di troppo. Non insegnano né fanno ricerca, sono solo inutili, anche se vengono pagati lautamente, e la regione partecipa alle spese. Come accade all'Università di Enna, la Kore, quarto polo siciliano nato grazie all'attivismo del senatore del Partito democratico Mirello Crisafulli, leader elettorale della zona. Tutto privato, promisero i politici quando si trattò, nel 2004, di ottenere le dovute autorizzazioni. Lo Stato non ci metterà un soldo, ribadirono. Ma la regione si: un contributo di 2 milioni l'anno. Poi c'è la provincia, con 800 mila curo. Altri 400 mila arrivano dalle esangui casse dei comuni di uno dei territori più poveri d'Italia. «Quella che è privata è solo la gestione» insinua Massimo Greco, presidente del consiglio provinciale. «il cda della fondazione, composto da cinque politici, tra cui Crisafulli, è stato congelato a vita». E il consorzio universitario ha 14 membri: «Nominari con regole rigidissime» ironizza Greco. «Uno per partito». Sistema che rischia di sfasciarsi a breve. L'Università di Catania ha fatto causa alla Kore chiedendo 20 milioni di curo: 16 per gli stipendi dei docenti mandati a insegnare a Enna. Sarebbe un colpo ferale per il piccolo ateneo siciliano. A meno che da Palermo arrivi un sostanzioso aiuto. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 ott. ’08 L'ECCELLENZA NON PASSA DAI CONCORSI Ricerca. Le risorse migliori del Paese vanno concentrate e incentivate di Gustavo Piga A Norcia, subito dopo l'intervento del ministro Mariastella Gelmini, leggo le tabelle parole dal discorso di Giancarlo Cesana: «educare viene da e-ducere e significa condurre fuori; far emergere la personalità dell'allievo. Non si può fare emergere una personalità senza rivolgersi alla sua libertà. La libertà si manifesta e cresce quando incontra nella realtà una corrispondenza adeguata (destino, scopo, vocazione) per il suo impegno». Ma se a questa libertà non è concesso di manifestarsi e crescere-proprio a causa degli stessi meccanismi educativi? Penso a quella barriera formidabile che ancora esiste in Italia, la mancanza di meritocrazia nelle università, quei meccanismi che non permettono allo studente di trovare un docente capace di far emergere la sua personalità, solo perché non è il miglior docente. Nel discorso del ministro Gelmini, di cui apprezzo perlomeno la pragmaticità rispetto ad altri ministri ideologicizzati del passato, non si menziona la parola "meritocrazia". Nel prolisso programma della coalizione prodiana che vinse le elezioni si riscontrava ugualmente tale mancanza Che distacco con il Paese che la meritocrazia anela a che divenga il centro, la guida della politica. I miei studenti più bravi li trovo in aula con in mano il libro di Roberto Perotti, l’«Unnversità truccata» (Einaudi), un libro eccellente per capire come traghettare in una direzione meritocratica il sistema universitario italiano. Lo tengono in mano come ultima speranza? Il problema si fa pressante e indifferibile. Siamo vicini a una rivoluzione nel vero senso della parola, in cui le Università saranno occupate> finalmente non più dai figli di papà con tatsebao ma dai figli degli operai e dei meno abbienti, seduti per imparare. Parte dalla scuola la richiesta di accesso di una valanga di ragazzi che desiderano entrare all'università. Malgrado la costante lamentela dei diversi docenti elitisti e di analisti superficiali, il livello culturale di questi ragazzi non è infimo, ma migliore di quello di un tempo: da qui, appunto, il fatto che ora possono fare perlomeno domanda di entrare, quando 60 anni fa i loro nonni erano invece vicini all'analfabetismo. Il loro ingresso abbassa ovviamente la qualità media della classe e dunque anche del la formazione iniziale, ma lo stock complessivo di capitale umano a disposizione del Paese aumenterà. Quando entreranno nelle aule dei nostri atenei ci avvicineremo finalmente a statistiche sane in termini di numero di iscrizioni,come quelle degli altri Paesi più avanzati. A questi ragazzi che bussano va dato, e non negato, l'ingresso nell’università del domani. Ed è inutile fasciarsi la testa dicendo che «non c'è domanda di lavoro per questi ragazzi». Non sarà la domanda a creare l'offerta, ma viceversa: la speranza forte, credibile, è che l'accesso a un livello superiore d'istruzione aumenterà il numero di idee e progetti che questi giovani sapranno generare, a tutto vantaggio della crescita del Paese. Ma solo, eccolo snodo, se verranno istruiti appropriatamente, da docenti e in strutture di qualità, anche se differenziata. 5e effettivamente potranno essere condotti fuori, nel mondo globalizzato di oggi, con armi e bagagli che li aiutino a non rimpiangere di aver lasciato i campi e lavori a basso contenuto intellettuale. Come fare? Basta guardare al di fuori dei nostri confini nazionali. Sono tre i modelli che ci offre la realtà dei Paesi occidentali e a cui si può ispirare il ministro Gelmini. II primo, il cui successo è più antico, è quello statunitense. È un modello che si basa su una competizione tra atenei non diretta dall'alto, non centralizzata, basata solo sulla reputazione. Essa genera pochi grandi atenei d'eccellenza - dove è forte e vibrante soprattutto la ricerca e dove l’inserimento è riservato agli studenti che a scuola si sono maggiormente distinti - e tantissimi piccoli atenei dove si fa (spesso ottima) didattica, volti a inserire nel mercato del lavoro milioni di giovani ogni anno. II secondo, nato circa venti anni fa, è quello britannico, in cui la competizione tra atenei è centralizzata da meccanismi di allocazione delle risorse pubbliche -in funzione della qualità della ricerca svolta, misurata con parametri considerati oggettivi come le citazioni, il prestigio dello sbocco scientifico della ricerca, eccetera. Anche qui si creano università di seria A e serie B. Infine, il terzo, più recente, i: un meccanismo dirigista che hanno sviluppato Francia e Germania e che prevede l'individuazione, da parte di commissioni di esperti, delle migliori università alle quali vengono poi riversate ingenti somme di denaro. Questi tre schemi hanno due caratteristiche in comune: promuovono e concentrano i poli di eccellenza nella ricerca in pochi atenei, dove si vengono a ritrovare i "migliori cervelli" del Paese, nella giusta ottica di non disperdere le forze migliori e farle interagire il più possibile insieme. Secondo, prevedono compensi negli atenei d'eccellenza maggiori e più variabili (cioè più legati all'esito della ricerca) che non nelle (essenziali) università più di didattica, in cui viene a essere istruita la gran maggioranza dei laureati del Paese. Per portare a termine questi schemi non c'è bisogno di concorsi, almeno per quanto riguarda la selezione del personale dei poli d'eccellenza che verranno a essere finanziati sulla base dei successi scientifici e letterari dei suoi membri e che quindi avranno tutto l'interesse a selezionare i migliori. Quello che è certo, ministro Gelmini, è che non c'è tempo da perdere. John Fitzgeraid Kennedy disse una volta, «la grande rivoluzione nella storia dell'uomo... è quella dà coloro determinati a essere liberi». I nostri giovani lo sono e meritano di essere compensati con la libertà che solo una università meritocratica può dare loro. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 21 ott. ’08 ECCO I SETTE ERRORI DEL LIBERISMO Samuelson: i sette errori dei liberisti senza regole «La scuola di Chicago? Ho studiato lì, ma per capire bisognava guardare fuori dalle aule» Nel periodo che va dal 1915 al ' 29, gli anni cioè della mia infanzia, imperava il capitalismo «puro». Chi l' ha ucciso? Il presidente Hoover e il suo ministro del Tesoro furono senz' altro istigatori del reato. E chi l' ha fatto risuscitare? Quel compromesso che prende il nome di «New Deal» di Franklin Roosevelt. Per darvi corso, tuttavia, ci vollero ben sette anni a partire dal giorno dell' insediamento del presidente Roosevelt, nel marzo 1933. Scorriamo ora in avanti il nastro della Storia, e arriviamo in un baleno ai giorni nostri, al terremoto finanziario globale. I sistemi di mercato privi di regole sono prima o poi destinati a implodere. Siamo di fronte alla fine del sistema di mercato? Da buon portavoce di «Main Street», spero di no. Mille anni di storia dell' economia costituiscono una prova oggettiva di quanto i sistemi di mercato siano indispensabili. Marx, Lenin e Stalin erano dei poveri sprovveduti in materia di economia. Quanto a Mao, fu ancora peggio. Non parliamo poi di Castro a Cuba, Chávez in Venezuela, e di chiunque abbia stretto la Corea del Nord nella morsa della fame e della stagnazione. Che cos' è stato dunque a innescare, a partire dal 2007, il tracollo del capitalismo di Wall Street? All' origine di quello che risulta essere il peggior terremoto finanziario da un secolo a questa parte, troviamo il capitalismo libertario e all' insegna del laissez-faire di Milton Friedman e Friedrich Hayek, cui è stata permessa una crescita selvaggia e senza il rispetto di alcuna regola. È questa la causa principe delle tribolazioni odierne. Questi signori sono morti entrambi, ma il loro lascito avvelenato sopravvive ancor oggi. Le mie sono parole molto forti, delle quali dovrò fornire una giustificazione. Mi permetto, tuttavia, di premonire il lettore: la lunga e movimentata esperienza nel mondo dell' economia ha fatto del sottoscritto un inguaribile centrista. E, peggio ancora, ho imparato sulla mia pelle a coltivare un incorreggibile eclettismo. Negli anni 1932-35, ero un brillante studente dell' Università di Chicago, notoriamente conservatrice. Adoravo i miei insegnanti di economia, già di fama mondiale, i quali a loro volta mi ricoprivano di voti altissimi. Ma c' è un ma. Bastava che allungassi lo sguardo fuori dalle aule universitarie, infatti, perché balzasse agli occhi un tasso di disoccupazione del 50% circa. (La Germania pre-hitleriana navigava più o meno nelle stesse acque). Tutto ciò non quadrava per nulla con quanto era scritto nei miei libri di testo comandati. Perché, mi domando, durante gli anni dell' Università avevo trascorso tutte e quattro le estati sulle dolci spiagge del lago Michigan? La mia non era una famiglia povera, ma neppure spudoratamente ricca. Non si trovava un lavoro neppure a pagarlo, allora. No, neppure uno. Tutte (o quasi) le banche nel vicino Indiana, in Illinois o nel Wisconsin erano decotte. Come fecero il benevolo presidente Roosevelt, e il perfido Adolf Hitler, a riportare i rispettivi Paesi alla soglia della piena occupazione nei sei lunghi anni dopo i fatti del ' 33? Il grande trucco stava in una colossale spesa in deficit, che fece lievitare il debito pubblico! Ma non troverete alcuna traccia di questa vicenda, così come l' ho appena ricostruita, nella gran parte delle tesi di dottorato targate Ivy League e date alle stampe dopo il 1970. (Evidentemente la scienza può fare passi avanti, ma anche a ritroso). Le mie considerazioni si riallacciano direttamente alle numerose incognite che gravano sulle operazioni di salvataggio messe in campo in tutti e cinque i continenti. Innanzitutto, occorre fare chiarezza sui responsabili della deriva che, dal trend di stabilità e crescita di metà anni ' 90, ci ha fatto scivolare nel caos odierno, destinato a protrarsi ancora per chissà quanto. 1. Mai dimenticare le scelleratezze di George Bush in ambito geopolitico. In futuro la Storia terrà conto di tutto ciò. 2. Dopo l' elezione di Ronald Reagan alla Casa Bianca, nel 1980, l' America è diventata sempre più una nazione di sperperatori di denaro a) a livello familiare, b) a livello di corporation e c) a livello pubblico con i supply-siders, i fautori dell' economia dell' offerta, della destra radicale. In un futuro ancora ignoto, quando scatterà una turbolenta e micidiale corsa contro il dollaro, i trader degli hedge fund superstiti saranno i primi venditori allo scoperto del biglietto verde. Il lascito di Reagan, allora, avrà giocato un ruolo cruciale. 3. Il programma che va sotto il nome di «conservatorismo compassionevole» (sic) promesso da George Bush si è sostanzialmente tradotto in un piano di consistenti sgravi fiscali diretti esclusivamente a gente ricca come i miei vicini. 4. La promozione mirata della sperequazione non è servita a rilanciare la produttività totale dei fattori (Tfp) negli Stati uniti. Piuttosto, la scandalosa impennata delle remunerazioni dei top manager ha compromesso la funzionalità dell' intero sistema di governance aziendale. Spregiudicati Ceo hanno curato soltanto i propri interessi a suon di bugie sugli utili effettivi delle società. E, dopo esser stati colti in castagna, hanno alzato i tacchi e se ne sono andati per la loro strada, brindando alla manna di denaro intascata. In realtà, i vertici della Sec (la Commissione di controllo sui titoli e la Borsa), tra cui l' ex presidente Harvey Pitt, furono designati da Bush soltanto in virtù del fatto che avrebbero promosso la deregulation, anziché seguitare il più che ragionevole modello di regolamentazione centrista. Pitt fu scelto essenzialmente perché aveva prestato servizio come avvocato per le quattro più importanti società di revisione, esse stesse impegnate a congegnare parametri fuorvianti circa l' effettiva redditività. 5. Portiamo i revisori sul banco dei testimoni. Questi signori venivano pagati dalle stesse persone sulle quali avrebbero dovuto vigilare; un caso lampante, questo, in cui monitoraggio e regolamentazione riflettono un' esigenza fondamentale. 6. Facciamo spazio in aula anche per le tre principali agenzie di rating: Fitch, Moody' s e S&P-McGraw Hill. Si presume che esse attribuiscano il voto AAA soltanto a entità più che solide. Se una delle tre si fosse attenuta alla verità oggettiva, tuttavia, le altre due si sarebbero spartite tutto il mercato. C' era puzza di conflitto di interessi. Deputati, prendete pure nota. 7. Per non occupare troppo spazio, passerò direttamente ai nuovi «mostri diabolici alla Frankenstein» della nuova «ingegneria finanziaria». Il sottoscritto e alcuni colleghi del MIT e delle università di Chicago, Wharton, Penn e molte altre, rischiano di subire un assai rude trattamento, quando incontreranno San Pietro alle porte del Paradiso. Qual è il punto? Swap e derivati possono garantire un ragionevole risk-sharing e dunque ridimensionare il rischio totale. D' accordo. Ma possono anche cancellare qualsiasi principio di trasparenza. Collaboro da decenni con organizzazioni non-profit, e con i loro amministratori delegati, da New York alla California. Nessuno di loro ha mai capito un' acca delle formule di Black-Scholes-Merton per valutare gli asset. Sapevano soltanto, o credevano di sapere, che profit center nuovi, formidabili e immuni da qualsiasi tipo di rischio avevano letteralmente invaso i loro uffici. Meglio dell' alchimia che trasforma il letame in oro. Si direbbe che nessuno abbia messo a frutto la lezione del 1998, quando il Long Term Capital Management (Ltcm) sfiorò il collasso e richiese un salvataggio concertato dalla Federal Reserve Bank di New York. L' ingegneria finanziaria consente di passare da un' esposizione finanziaria pari a zero a un leverage 50 a 1. E quando il rischio strutturale che ne risulta esplode, i Ceo e il direttore finanziario generale dell' istituto di turno si fregano le mani e intascano montagne di denaro. Dalla sera alla mattina, la Bear Stearns ha ridotto quelli che erano i suoi miliardari allo status di semplici milionari. E se Nerone suonava mentre Roma bruciava, il gran capo di Bear Stearns si è dato ai tornei di bridge mentre i suoi azionisti abbrustolivano sulla graticola. Trattandosi di una delle società di brokeraggio che avevano gestito gran parte delle transazioni dell' Ltcm, i suoi amministratori non avrebbero dovuto imparare qualcosa dagli effetti micidiali di un leverage a dir poco eccessivo? Tiriamo le somme. La gran parte delle perdite oggi accusate saranno permanenti, come avvenne nel 1929-' 32. Tuttavia, con la creazione di sufficiente denaro da parte della Fed e del Tesoro statunitense, sarà possibile imboccare la via della ripresa e della stabilità. Se si fosse seguita la "via di mezzo" di Roosevelt, Truman, Kennedy e Clinton, si sarebbe forse potuto scongiurare il caos e le bancarotte di queste ore. Nei circoli più eruditi, ancora si discute se sia stato Cristoforo Colombo a portare la sifilide nel Nuovo Mondo o viceversa. È indubbio, tuttavia, che il meltdown globale di questi giorni rechi in bella vista le parole Made in America. Le generazioni future, dall' Islanda all' Antartide, impareranno a rabbrividire al nome di Bush, Greenspan e Pitt. Sto esagerando, naturalmente. Ma non troppo. (traduzione di Enrico Del Sero) Samuelson Paul ======================================================= _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 ott. ’08 UNA MEDICINA CHIAMATA LAICITÀ Maestri del nostro tempo Il carisma di Veronesi dipende dalla sua capacità di difendere con coerenza le libertà individuali. Come nel caso del testamento biologico di Gilberto Corbellini La ripubblicazione, per i tipi di Einaudi, del libro a sfondo autobiografico in cui qualche anno fa l'oncologo Umberto Veronesi esponeva la sua visione laica della vita e della condizione umana, è imprevedibilmente tempestiva. Le riflessioni di Veronesi sono un autentico, nel senso di non politicamente o culturalmente strumentale, manifesto della laicità. E dio solo sa quanto vi sia bisogno oggi, in Italia, non solo e non tanto di rivendicare il valore della laicità come presupposto politico per dotare un paese democratico di sane forme di governo. Ma anche di dimostrare attraverso i propri pensieri e le proprio opere che essere laici e non credenti non è un handicap etico. Anzi. Scrive Veronesi: «Io sono diventato laico anche perché ho scelto di non liberarmi delle mie responsabilità individuali». E si può aggiungere qualcosa. I laici, non credenti e credenti, che rispettano la libertà individuale e non cercano di imporre a tutti una concezione del vivere e del morire che è di parte, che assume ad esempio l'indisponibilità per ciascuno di noi della propria vita, hanno più a cuore il bene delle persone. Chi si schiera a favore di una concezione confessionale della politica o di una concezione etica dello stato, in cui i valori da promuovere sono quelli dettati da una particolare religione, è orientato nella sua azione solo dall'idea che si deve impedire il male, che in ultima istanza viene identificato con la libertà di scelta. Giocando continuamente e sapientemente sulla pluralità semantica del termine "male", Veronesi spiega come, dedicando la sua vita alla lotta contro il male fisico per antonomasia, cioè il cancro e le sofferenze che esso procura al corpo e alla costituzione psicologica individuale, egli di fatto ha sempre cercato, concretamente e non brandendo illusioni, di aiutare le persone nella ricerca del bene. In questo senso Veronesi è certamente spinoziano. E i risultati che egli ha ottenuto sono sotto gli occhi di tutti. Dalla pratica clinica quotidiana come chirurgo che ha avuto il merito di introdurre in Italia le più avanzate tecniche in grado di garantire allo stesso tempo efficacia di trattamento e qualità della vita, per esempio nel caso della quadrectomia come chirurgia conservativa per il cancro del seno, alla creazione di alcuni tra i più importanti istituti italiani per curare e studiare il cancro. Senza dimenticare che quando fu ministro della Sanità, promosse l'introduzione di una legge sulla terapia antidolore per facilitare la prescrizione e l'uso degli oppiacei per i malati terminali. Quanti politici o religiosi possono dire di incarnare il carisma e l'autorevolezza che tutti gli strati sociali e culturali della popolazione hanno riconosciuto, sotto le più diverse forme, a Veronesi negli ultimi decenni? Un seguito che Veronesi non ha cercato solleticando le paure e gli irrazionalismi, ma criticando apertamente le legislazioni proibizioniste in materia di droghe, difendendo l'eutanasia attiva sempre nel nome della libertà individuale di autodeterminarsi e della dignità della persona, affermando il valore culturale e liberale superiore della scienza contro gli oscurantismi delle medicine alternative e delle pratiche esoteriche, diffondendo i dati scientifici che parlano chiaramente a favore della sicurezza e dell'utilità degli ogm e del nucleare. Varie iniziative promosse dalla Fondazione Umberto Veronesi stanno diffondendo la cultura, non solo scientifica, utile per far funzionare in modo efficiente e sano la vita civile del paese. Tra queste spicca il lavoro fatto da Maurizio De Tilla per valorizzare il ruolo del diritto nella promozione di una società in cui la scienza e la medicina rappresentano degli strumenti essenziali per informare le decisioni tecniche e le scelte individuali. L'ultimo prodotto è un libro articolato e comprensivo sullo statuto bioetico e giuridico del consenso informato. Una conquista delle società democratiche e liberali, che non è stata ancora del tutto digerita da chi paventa le peggiore tragedie come conseguenza del riconoscimento che il paziente ha diritto all'autodeterminazione. «Il diritto è laico - essi scrivono -. Ciò non sta a significare che il sistema giuridico è amorale; è sufficiente leggere la prima parte della carta fondamentale per rendersi conto che non è così... Tuttavia, al di là dei principi etici espressamente o tacitamente accolti dalla Costituzione non è consentito andare... Il concetto di laicità è un principio fondamentale che svolge un'essenziale funzione garantista... La laicità, lungi dall'essere sintomatica di una carenza di valori, è invece espressione di grande civiltà e di enorme rispetto della personalità individuale». Che dire di più? 1 Umberto Veronesi, «L'ombra e la luce. La mia lotta contro il male», Einaudi, Torino, pagg. 106, € 10,00; 1 Maurizio De Tilla, Lucio Militerni, Umberto Veronesi, «La parola al paziente. Il consenso informato e il rifiuto delle cure», Sperling & Kupfer, Milano, pagg. 266, € 17,00. Foto: Guarire dall'oscurantismo. Umberto Veronesi, 83 anni. Alcuni suoi articoli apparsi sul «Sole 24 Ore» e il link alla Fondazione che porta il suo nome su www.ilsole24ore.com/cultura _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 ott. ’08 PRESTAZIONI SSN, INTESA PIÙ VICINA Sanità. Fra Governo e Regioni Paolo Del Bufalo Dall'assistenza specialistica a carico del Ssn saranno eliminate 54 prestazioni, per 94 saranno introdotti criteri di "appropriatezza", mentre per altre 13 scatteranno "note" prescrittive che ne limiteranno l'utilizzo solo a determinate malattie. E poi ancora si amplierà la fascia dei ricoveri ospedalieri a rischio di inappropriatezza e sarà prevista "un'espansione governata" di alcuni settori assistenziali. Accordo più vicino, ma con code polemiche, tra ministero del Welfare e Regioni sui livelli essenziali di assistenza (Lea) per le prestazioni specialistiche e di laboratorio. Il ministero ha accolto ieri la proposta delle Regioni di rimodulare tagli e limitazioni ipotizzate per risparmiare gli 800 milioni quantificati dalla Corte dei conti come spese extra: tutto si farà senza tagli, o almeno con meno tagli, ma con verifiche di appropriatezza su prescrizione ed erogazione delle prestazioni. Sul filo di lana dell'intesa la Lombardia ha riacceso il confronto con una richiesta inattesa: limitare l'inappropriatezza alle Regioni in deficit, lasciando libere quelle con i conti a posto di agire secondo la propria volontà. Un'ipotesi su cui non sono d'accordo le altre Regioni, soprattutto quelle impegnate nei piani di rientro per le quali si produrrebbero disavanzi aggiuntivi a quelli programmati. L'accordo quindi resta per ora «un'intesa di massima», come l'ha definita il sottosegretario al Welfare Ferruccio Fazio, con la «maggioranza delle Regioni e il distinguo della Lombardia». «Un passo avanti - è il giudizio del capofila degli assessori alla Sanità, il toscano Enrico Rossi - su cui ora verificheremo anche altri effetti oltre l'impatto economico». Tra le prestazioni eliminate ci sono anche l'ecografia mammaria, il test della secretina, l'elettrolisi e altre depilazioni cutanee. Tra quelle con "note" c'è, ad esempio, la curva da carico del glucosio, gratis solo per i pazienti diabetici. Ai Lea infine si aggiungeranno anche prestazioni nuove come il vaccino contro l'Hpv e il parto indolore. Sempre ieri c'è stata una schiarita sul rinnovo delle convenzioni con gli 80mila medici di famiglia, pediatri e specialisti delle Asl. Sisac - la struttura interregionale incaricata delle trattative - e sindacati hanno raggiunto un accordo per l'utilizzo del 4,85% di aumenti anche per le buste paga 2008 e non solo per il potenziamento dell'integrazione di tutti i convenzionati. E con l'accordo i sindacati prevedono la firma finale entro fine anno. _______________________________________________________________ Il Messaggero 25 ott. ’08 OSPEDALI CON MEDICI MANAGER, PIÙ EFFICIENTI E SENZA DEBITI Parte la rivoluzione sanitaria FRANCESCO PIERANTOZZI PARIGI - Con un buco di oltre 4 miliardi di euro, anche il «sistema sanitario migliore del mondo» è costretto a cambiare. Ieri la Francia ha avviato la riforma di uno dei fiori all'occhiello dello Stato, il sistema ospedaliero, con l'obiettivo, ideale, di migliorare l'accesso alle cure di tutti i francesi e quello, reale, di riportare in pareggio di bilancio tutti gli ospedali del paese entro il 2012. Un vero intervento da pronto soccorso. Il progetto di legge, fortemente voluto, annunciato, promesso dal presidente Nicolas Sarkozy, è stato adottato in Consiglio dei Ministri e arriverà, con procedura d'urgenza, all'inizio dell'anno prossimo davanti al parlamento. Sotto il titolo «Ospedale, pazienti, salute, territori» la ministra della Sanità Roselyne Bachelot ha aperto un «cantiere» che si annuncia «storico» in Francia: gestione «manageriale» degli ospedali, costituzione di grossi poli ospedalieri, incentivazioni ai medici «più bravi» o a chi sceglie le specializzazioni più richieste, direttore sanitario trasformato in amministratore delegato, con obblighi di bilancio e non soltanto di guarigioni. Un paio di settimane fa, il presidente Sarkozy aveva cominciato a preparare la popolazione (nonostante le critiche e le polemiche, il sistema sanitario francese vanta uno dei più alti tassi di popolarità nazionale al mondo) riprendendo parole d'ordine care alla sua visione del mondo: efficacia, meritocrazia. Il presidente non aveva avuto paura a insistere sulla necessità della pubblicazione dei tassi di mortalità e infezioni nosocomiali di ogni istituto sanitario, ospedale o clinica. «Non per stilare una classifica, ma per migliorare le cure prodigate ai pazienti», aveva detto. Via dunque alla sanità «à la Sarkozy». Il progetto di legge passato ieri in Consiglio dei ministri crea le nuove Agenzie regionali di Sanità: ogni ospedale «firmerà» un contratto con l'Agenzia sugli obiettivi e sulla gestione. Il direttore dell'ospedale, che ora potrà arrivare dal privato e dovrà possedere soprattutto doti manageriali, avrà grande libertà di manovra, sia per l'assunzioni dei medici, sia per le retribuzioni (potrà selezionare in base all'attività svolta e ai risultati ottenuti) sia per la gestione finanziaria, ma sarà obbligato a rispettare i termini del contratto, altrimenti potrà incorrere in «penali». Altro obiettivo, la «concentrazione in grandi poli ospedalieri», dove si svolgeranno gli interventi più complessi, e la trasformazione dei «piccoli» istituti in centri di media o lunga degenza per la cura delle persone anziane. Il ministro Bachelot assicura che la preoccupazione principale è garantire a tutti le stesse opportunità di accedere a cure di alto livello e che nessun ospedale verrà chiuso «manu militari», ma i sindacati dei medici e l'opposizione lanciano un grido d'allarme sulla «mercificazione della sanità». Il progetto di legge si chiude su misure di «prevenzione sanitaria»: divieto di vendita di alcolici ai minorenni e divieto delle caramelle alla nicotina, accusate di incitare al fumo. Foto: Il ministro Bachelot Foto: IL PROGETTO DI LEGGE ARRIVERA' IN PARLAMENTO A INIZIO 2009 _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’08 CAGLIARI: UN "VACCINO" PER SCONFIGGERE IL DIABETE Il Policlinico universitario cerca volontari per sperimentare una nuova terapia Baroni: un farmaco per far produrre insulina alle cellule Terapia sperimentale per pazienti con diabete di tipo 1 e con diagnosi inferiore ai 3 mesi. L'Università cerca volontari per la sperimentazione di una terapia che promette di rallentare il diabete mellito di tipo 1. Un nuovo farmaco potrebbe rivoluzionare la vita dei diabetici, aiutando le beta cellule a mantenere la produzione di insulina. Tradotto, significa che questo tipo di malati non saranno più schiavi, o lo saranno in maniera ridotta, delle iniezioni per il controllo del glucosio. Allo studio di quella che sarà una rivoluzione, soprattutto per i sardi, tra i più colpiti dalla malattia, partecipa anche l'Unità di diabetologia dell'Azienda mista (Università - Regione) del Policlinico di Monserrato. IN SARDEGNA Marco Baroni dirige la struttura del Policlinico universitario. «La Sardegna ha il più alto numero percentuale di casi di diabete di tipo 1. Ogni anno registriamo 400 nuovi malati, in sostanza 40 ogni 100 mila abitanti. Valori molto alti -anche se manca il numero assoluto, non avendo un registro statistico - che si riscontrano solo in Finlandia. Per capire l'importanza del fenomeno, che ha costi altissimi dal punto di vista sociale ed economico, basta confrontare le statistiche: il dato nazionale è di 6 casi ogni 100 mila abitanti». LA SPERIMENTAZIONE Ma in cosa consistono queste nuove ricerche e terapie per il diabete di tipo 1? «La nostra Unità partecipa a uno studio internazionale di sperimentazione di una immunoterapia che promette di rallentare la progressione del diabete mellito di tipo 1 attraverso la protezione delle beta cellule del pancreas, le cellule che producono insulina e che vengono distrutte in questa malattia», spiega Baroni. Di cosa si tratta e chi è interessato? «È una terapia sperimentale applicabile ai pazienti con diabete di tipo 1 che hanno una diagnosi inferiore ai 3 mesi». L'APPELLO L'équipe del professor Baroni cerca volontari per testare la nuova terapia. «Ricerchiamo pazienti, di età compresa tra i 16 e i 45 anni, che desiderino partecipare alla sperimentazione. I volontari saranno preliminarmente sottoposti a una visita di screening. Successivamente saranno assegnati al trattamento con il farmaco o con il placebo, e si procederà alla somministrazione sottocutanea ogni tre mesi per una durata totale dello studio di 25 mesi. Tutte le visite (screening e somministrazioni) - precisa Baroni - saranno effettuate nell'unità operativa di Diabetologia del Policlinico di Monserrato, mentre per tutto quello che riguarderà le visite o gli esami che non fanno parte del protocollo, il paziente continuerà a fare riferimento al centro di provenienza». Un appello rivolto non solo ai pazienti, ma anche ai medici. «Chi vuole ci può contattare telefonando allo 070/51096044 o inviando una mail all'indirizzo modysardinia@gmail.com LA MALATTIA Il diabete mellito tipo 1 è una malattia autoimmune dovuta, cioè, alla distruzione delle beta cellule del pancreas a opera di cellule del sistema immunitario (linfociti T). Le cellule beta del pancreas sono deputate alla produzione di insulina, un ormone che regola l'ingresso e l'utilizzazione del glucosio all'interno delle cellule dell'organismo. La distruzione del patrimonio beta cellulare del pancreas, in corso di diabete mellito tipo 1, è sino a oggi irreversibile - le novità potrebbero arrivare dalla sperimentazione al Policlinico - per cui il paziente deve assumere insulina per riuscire a metabolizzare gli zuccheri. «Il sistema immunitario si attiva per motivi genetici - afferma Baroni - e per cause ambientali non scientificamente dimostrate». ANDREA ARTIZZU _______________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’08 LA TALASSEMIA FA MENO PAURA Sono pochi i nuovi casi di una malattia che un tempo era considerata un autentico flagello dell'Isola La vittoria completa solo con la terapia genica Un tempo i talassemici morivano piuttosto giovani, oggi sono quasi tutti adulti, si sposano e hanno figli. di LUCIO SALIS Sino a trent'anni fa la talassemia era un flagello della Sardegna, si registravano dai 100 ai 120 casi all'anno. E i pazienti non avevano una lunga vita: un malato su due moriva prima di arrivare a 12 anni. Con l'avvento di campagne di prevenzione e della diagnosi prenatale il numero dei malati è calato drasticamente a 5-6 l'anno. E i progressi della ricerca hanno fatto sì che la loro vita non avesse un limite particolare. Oggi, il 90 per cento dei 1200 talassemici sardi (800 circa concentrati nelle province di Cagliari, Sulcis e Medio Campidano) ha più di 18 anni. Molti si sposano, hanno figli, conducono una vita normale. E prima i trapianti di midollo, ora gli studi sulla terapia genetica in corso in numerosi paesi lasciano intravedere una speranza di guarigione. La talassemia è una malattia ereditaria del sangue: una forma di anemia cronica, la più diffusa in Italia, legata all'alterazione dell'emoglobina. Sulla sua origine non si hanno notizie storiche certe. Potrebbe essere stata importata nel nostro Paese dall'Asia minore o dalla Grecia. È sicuro invece che in origine fosse particolarmente diffusa nelle aree paludose del Mediterraneo, infestate dalla malaria, che però risparmiava i portatori sani. I quali, grazie a questa forma di selezione, si sono moltiplicati, determinando un maggior numero di malati. In seguito alle migrazioni, dalle aree asiatiche e mediterranee si è diffusa in nazioni che ne erano immuni. L'Italia resta il paese più colpito, ma oggi la talassemia è presente anche in altri, lontanissimi paesi dell'Europa del nord come la Svezia, l'Inghilterra, la Danimarca, e le nazioni dell'Est. I primi a descrivere la malattia sono stati, nel 1925, i pediatri americani Cooley e Lee, in bambini italiani e greci. Da qui i vari nomi: talassemia (dal greco thalassa), anemia mediterranea, morbo di Cooley (ma anche microcitemia). All'origine c'è l'alterazione dei due geni che presiedono alla formazione dell'emoglobina, sostanza del sangue che consente il trasporto dell'ossigeno nei tessuti. Ed è solo attraverso la trasmissione di questi geni dai genitori ai figli che si può contrarre la malattia. Una coppia formata da portatori sani ha una probabilità su quattro di avere figli talassemici. Rischio che si ripresenta invariato in occasione di ogni gravidanza. Due genitori sani potranno invece avere figli anche loro portatori sani ma non talassemici, Se invece un genitore è portatore sano e un altro no, potranno avere un figlio portatore sano ma non talassemico. Questo significa che è possibile prevenire la malattia con alcuni esami di laboratorio prima del concepimento (per accertare la presenza dell'anomalia genetica). Durante la gravidanza, si può invece accertare se il feto è malato attraverso l'esame dell'emoglobina fetale e la diagnosi prenatale. Proprio grazie a una imponente campagna di sensibilizzazione e di prevenzione effettuata dagli anni Settanta in poi, in Sardegna si è riusciti a ridurre al minimo il numero di nuovi casi. Oggi l'unico metodo per guarire dalla talassemia è il trapianto di midollo osseo, che in Sardegna si esegue presso gli ospedali Microcitemico, Binaghi e Businco, di Cagliari. Chi non può essere sottoposto a trapianto deve invece ricevere periodiche trasfusioni di sangue per porre rimedio al grave stato di anemia. Questo provoca un accumulo di ferro che viene ridotto mediante la quotidiana somministrazione di un farmaco, il desferal, attraverso un infusore sistemato all'altezza dell'addome. Pratica che ha consentito di migliorare la qualità e l'aspettativa di vita dei pazienti, ma comporta, specie per i più giovani, disagi di ordine pratico. Che, in parte, sono stati eliminati dall'introduzione di due farmaci da prendere per bocca, il deferisinox e il deferiprone. ______________________________________________________________ Repubblica 20 ott. ’08 L'RFID SOTTO LA PELLE CHE DIALOGA COL MEDICO Nuova frontiera nell'utilizzo del chip intelligente e interattivo: trasmette informazioni dall'interno dell'organismo e a sua volta viene "istruito" su quali stimolazioni dare LAURACERVELLIONE 0nde radio che traghettano informazioni: è la Radio Frequency Identification, la tecnologia per l'identificazione interattiva di oggetti, animali e persone. Fanno parte del sistema il transponder o tag con un chip contenente i dati informativi, antenna e batteria. L'informazione via radiofrequenza è captata dal lettore Rfid che interroga il dispositivo e controlla i dati. Il tag, piccolo fino a pochi millimetri, non solo manderà in pensione il codice a barre perché più rapido e più informativo, ma se ne sperimentano applicazioni futuribili sull'essere umano. Un chip iniettato nella mano può sostituire il bancomat. E l'impianto nella corteccia del cervella di elettrodi Rfid capaci di mettere in collegamento i segnali neuronali col computer apre nuovi scenari per la cura del Parkinson, della paralisi, dell'epilessia. Ci sono poi dispositivi neurostimolatori per persone che soffrono di dolori cronici o incontinenza, e microdosatori di farmaci e insulina per diabetici. Sugli impianti cosiddetti attivi (il primo è stato il pace-maker) ora c'è una direttiva Europea che si estende agli stimolatori cerebrali per pazienti affetti appunto dal Parkinson oppure da depressioni o sindromi ossessive. Tutte tecnologie in cui entra prepotentemente l’Rfid per le insperate doti di interattività e di scambio di informazioni e istruzioni. Massimo Pucci, sodution architect di Alcatel-LLacent, assicura che «l'Rfid potrà fornire un canale comunicativo nuovo a strumenti già esistenti di telediagnostica e telecaring. Sensori a tecnologia Rfid consentono all'utente di condividere con la rete informazioni come la temperatura corporea o la posizione». Le applicazioni in sanità sono tante: per assicurare un monitoraggio in tempo reale del percorso diagnostico-terapeutico del paziente, a Treviglio (Bergamo) il Pronto Soccorso si è dotato di varchi Rfid, e i pazienti dell'ospedale Vittorio Emanuele di Catania vengono forniti di braccialetti taggati. In crescita i chip sottocutanei: incapsulati in una membrana biocompatibile e iniettati nei tessuti grassi del braccio, contengono informazioni digitalizzate del paziente permettendo, in caso di ricovero di emergenza, di attingere alla sua storia. L'americana Fda ha approvato che la Verichip Corporation, costola di Applied Digital Corpopration, vendesse i VeriMed, chip per uso sugli umani che contiene i dati medici del paziente (patologie pregresse, ricoveri precedenti, allergie) per rendere più rapido ed efficiente il pronto soccorso in caso d'emergenza. L'azienda ne ha venduti 7000, di cui mille già impiantati. Stando ai dati dell'Osservatorio Rfid del Policlinico di Milano, sono aumentate rispetto a metà 2007 del 17% le aziende che dichiarano di offrire soluzioni Rfid in Italia. Tra il 2006 e il 2007 il fatturato del settore è aumentato del 27% fino a 240 milioni di curo. Una crescita trainata soprattutto dalle applicazioni nei trasporti e nella logistica del sistema Rfd in banda Uhf (+62%). Un decreto ministeriale del luglio 2007 ha liberalizzato le frequenze 865-868 Mhz per le applicazioni Rfid ad uso civile. l servizi dominano il mercato nel trasporto di persone (passaporti, talepass, bagagli, abbonamenti ai trasporti, titoli di viaggio elettronici) e nella P.A. con applicazioni nell'identificazione personale (badge, tesserini), nel tracciamento delle pratiche negli uffici, nella ricerca d'archivio. Diversi poi i progetti in settori come l’automotive o il patrimonio culturale. Nell'industria, l’Rfid trova applicazioni nel tracciamento di pani di prodotto, nei sottoassemblaggi, nei prodotti: consente l'automazione delle informazioni sulla produzione e l'aggiornamento in tempo reale sulla storia del prodotto lungo la filiera. Un progetto l'hanno varato là Honda e l'Ibin per l'innovazione dei processi logistico- produttivi della fabbrica di Atessa (Chieti). L'Rfid ha prodotto una miglior gestione e garanzia del prodotto, il cui processo viene osservato dai fornitori o dai dipartimenti interni con un'interfaccia web dall'inventario all'after sale. Dice NicolaMarrone, capo dei sistemi informativi Honda Italia: «All'economia globalizzata rispondiamo con una produzione vicina al consumatore grazie all'Rfid che garantisce la tracciabilità dei prodotti. Quanto alla cultura, la Softwork ha dotato di Rfid il comune di Lecce nell'ambito del progetto Castle, per creare un sistema di valorizzazione del circuito fortificato salentino: un palmare, nei pressi di una statua o avvicinato a un quadro munito di tag, mostra con testo e audio ogni dettaglio dell'opera. ______________________________________________________________ Repubblica 21 ott. ’08 DAL TÈ VERDE AL CIOCCOLATO FONDENTE I VENTI SUPER CIBI CHE ALLUNGANO LA VITA Scelti da ricercatori inglesi. In lista anche frutti di bosco e pomodorini LONDRA- Vivere a lungo e in modo sano è possibile grazie a 20 "super-cibi". Il menù della longevità, compilato dall'Università britannica di Leeds, comprende alimenti come il cioccolato fondente, il caffè, il tè verde e i pomodorini ciliegino. Il loro segreto? II polifenolo, ovvero un potentissimo antiossidante naturale. «Questi cibi-ha spiegato il professor Williamson, capo del dipartimento alimentare dell'ateneo inglese -sono stati scelti perché ricchi di polifenolo, che riduce l'incidenza delle malattie cardiovascolari e aiuta a rallentare i processi d'invecchiamento». Il menù è dominato da frutta e verdura locale, disponibili in qualunque supermercato europeo. In testaci sono le classiche mele, ma anche ciliegie, fragole e i frutti di bosco come more, mirtilli, ribes e lamponi. Ciliegie, more e mirtilli, in particolare, sono considerati eccellenti anticancro grazie alle alte concentrazioni di antocianine, i pigmenti che danno il colore alla frutta. Inoltre aiutano a migliorare le prestazioni del cervello. Per quanto riguarda la verdura, un posto in lista spetta ai pomodorini tipo Pachino, cipolla rossa, spinaci e broccoli. Questi ultimi, infatti, sarebbero portentosi nel ridurre le probabilità di cancro alla prostata, a patto però di consumarne almeno cinque porzioni alla settimana. Più inusuale, invece, la presenza nel menù di tè, caffè e cioccolata. Tanto che la British Heart Foundation, pur accogliendo con favore la lista dei super-cibi, si è subito sentita in dovere di raccomandare prudenza quando si viene alla cioccolata. «Mangiarne troppa ha precisato un portavoce - può avere effetti negativi sul peso e sul colesterolo a causa dell'alto contenuti di grassi e zuccheri». Infine, è propria il tè, bevanda simbolo della Gran Bretagna, a rivelare proprietà straordinarie contro il colesterolo e la pressione sanguigna, sia che si tratti di tè nero sia di tè verde. A chiudere la lista dei cibi che promettono salute e longevità, ci sono 1e arance, le pesche, le prugne, l'uva rossa e i cereali. FRUTTA E VERDURA II menú che ci salva la vita è dominato da frutta e verdura. In testa le classiche mele ma anche ciliegie, fragole e frutti di bosco come more, mirtilli, ribes e lamponi. Le ciliegie sono anticancro ______________________________________________________________ Tst tutto Scienze e tecnologia 22 ott. ’08 THANK YOU FOR SMOKIN SOTTO ACCUSA L'AVIDITA' DELLE INDUSTRIE E LA CODARDIA DEI RICERCATORI Devra Davis: perché non abbiamo ancora vinto la guerra al cancro GABRIELE BECCARIA alite sulla macchina del tempo e fatevi accompagnare da Devra Davis: vi porterà a Bruxelles, anno 1936. Era estate e 200 oncologi si riunirono per un congresso che non era un evento qualsiasi. Anzi. «Aveva le caratteristiche di un vero e proprio progetto Manhattan sul cancro: i migliori cervelli disponibili riuniti per creare qualcosa di stupefacente e innovativo». E invece il meeting rimase quasi segreto per oltre 70 anni. «Molti dei vostri e dei miei parenti oggi sarebbero ancora vivi, se ciò che quegli uomini e donne di scienza sapevano nel 1936 fosse stato messo al servizio della medicina». Molti sarebbero vivi se poi la macchina del tempo vi portasse negli Anni 40 e 50 e vi facesse conoscere Robert Kehoe e Wilhelm Hueper. II primo era il capitano dell'esercito Usa che nel 1945 raccolse i documenti degli scienziati nazisti sui legami tra sostanze chimiche e cancro e il secondo è il medico tedesco, naturalizzato americano, che studiò i tumori provocati dai luoghi di lavoro. Purtroppo i loro studi fecero la stessa fine di quelli di chi accorse in Belgio. Dimenticati, come l'Arca dell'Alleanza nel primo Indiana Jones: nascosta in un deposito segreto. L'archeologo di Spielberg si è rifatto, ma l'umanità no: è stata vittima di errori e cospirazioni che Devra Davis ha impiegato anni a ricostruire. Ora la sua verità è in un libro - «La storia segreta della guerra al cancro» - e nelle conferenze che tiene per il mondo (ieri a Cinemambiente, a Torino, e il27 al Festival della Scienza di Genova). Professoressa, lei è direttore dei «Center for Environmental CMcology» dell'Università di Pittsburgh e professore di epidemiologia: perché i dati del '36 scomparvero? «Dice un proverbio cinese: "Se non chiedi, non puoi sapere". Le autorità erano ignoranti e scelsero di esserlo. Era un'epoca senza Internet ed è plausibile che il "report" restasse sconosciuto». Lei sostiene che paghiamo un prezzo spaventoso. C'è voluto mezzo secolo per rimettere insieme i pezzi e intanto, soltanto negli Usa, 10 milioni di persone sono morte. «Allora, e per anni, si pensò che, se il progresso aveva cambiato il mondo, allora si poteva tollerarne il prezzo. Sebbene già nel `36 gli scienziati avessero capito che il tabacco uccide e negli Anni 40 i nazisti avessero dimostrato i danni ai polmoni, i governi non sono intervenuti con le campagne antifumo fino agli Anni 90». E oggi lei accusa: stiamo facendo gli stessi errori. Perché? «Ci sono molte altre cause potenziali come il tabacco: non possiamo ancora definitivamente provare che causino il cancro, ma abbiamo molte ragioni di preoccupazione. E tuttavia vengono sistematicamente ignorate». Un esempio per tutti? «I cellulari. Visitate il nostro sito www.preventingcancernow. org: citiamo il nuovo studio dell’Oms che spiega come siano associati a un incrementato rischio di cancro al cervello, se li si usa per 10 anni o più. Esistono molti studi che negano i pericoli, ma si limitano a periodi più ridotti e nessuno analizza i pericoli per i bambini, anche se è impossibile separarli dai telefonini: un mio video su Youtube rivela come i segnali vadano in profondità nel cervello». Quali soluzioni propone? «Molto semplici: auricolari e altoparlanti e tenerli sempre ad alcuni centimetri dai corpo. Spero che i produttori siano disposti a lavorare con noi. Sarebbe tragico aspettare e considerare come prova definitiva la morte di tanti individui». Anche la storia di due cervelli come Kehoe e Hueper è ricca di luci e ombre: che colpe hanno? «Furono abili, ma ingenui. Pensavano che il grande business avrebbe agito comunque al meglio: bastava fornire le informazioni giuste. Già negli Anni 20 Kehoe inventò una tecnica per inserire il piombo nella benzina senza ammazzare gli operai, ma rifiutò di riconoscere di avere creato una tecnologia che lo diffondeva nell'atmosfera». Hueper, invece, rappresenta un simbolo migliore? «Si. Molto raro. E' stato uno dei fondatori della carcinogenesi ambientale e occupazionale. Ma fu isolato, proprio come accadde in Italia negli Anni 70 a Cesare Maltoni, pioniere degli studi sul cloruro di vinile. E tuttavia l'impostazione di ricerca oncologica rivolta all'opinione pubblica continua alla Fondazione Ramazzini di Bologna ed è a questa che anche noi, a Pittsburgh, ci ispiriamo: la gente ha un diritto fondamentale, quello di sapere». E gli scienziati del XXI secolo? Come si stanno comportando? «Alcuni bene, altri no. Ma il sistema non funziona. E' per questo che propongo una "commissione per la riconciliazione" sul modello di quella del Sud Africa. E' noto che le industrie assumono gli avvocati migliori e tende a vincere chi ha più soldi e, allora, l'idea è un compromesso: obbligarle a pagare le cure mediche dei dipendenti che si sono ammalati e a fornire ogni informazione epidemiologica di cui dispongono senza gravarle di risarcimenti record. Dobbiamo stabilire una collaborazione». Vinceremo la guerra al cancro? «Abbiamo fatto progressi straordinari e le morti diminuiscono. Per due motivi: si controlla di più la diffusione del tabacco e sono migliorate le terapie contro molti tumori, dal seno alla prostata. Però, se si studiano gli altri tumori, quelli che si pensa non siano connessi con questi due aspetti - fumo e cure - si vede che i casi aumentano, anche tenendo conto del fatto che la popolazione invecchia: cresce il numero di chi è colpito al cervello e ai testicoli, per esempio. Ecco perché dobbiamo aprire un nuovo fronte e combattere un altro tipo di guerra: smettiamo di lottare solo contro il male, ma chiediamoci che cosa lo causa e come possiamo ridurre l'esposizione a ciò che scatena i rischi. Solo così c'è speranza». ______________________________________________________________ Repubblica 21 ott. ’08 SFIDA ALLA PRIVACY, IL NOSTRO DNA SUL WEB Polemiche negli Usa per il progetto di mettere online la sequenza genetica di 100mila volontari Gli scienziati di Harvard: "Solo così possiamo aiutare i progressi della ricerca scientifica" AMYHARMON Esther Dyson - la venture capitalist che si prepara a diventare astronauta -è geneticamente predisposta a subire un grave attacca cardiaco? E Steven Pinker, autorevole psicologo, possiede forse una variante del gene responsabile di innalzare di oltre il 50% il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer, di cui soffriva anche sua nonna? E chissà se Misha Angrist, assistente alla Duke University, ha ereditato il rischio di tumore al seno, che a sua volta potrebbe aver tramandato alle giovani figlie? Tra pochi giorni i diretti interessati riceveranno la risposta a queste e altre domande. ma anche chiunque decida di visitare il sito www.personalgenomes.org potrà conoscerle. I tre personaggi che abbiamo citata fanno parte del gruppo di dieci volontari che partecipano al Personal Genome Project, uno studio dell'Harvard University Medical School che si prefigge di sfidare l'opinione comune secondo cui i nostri geni dovrebbero restare una faccenda privata. L'obiettivo dello studio, che punta ad allargarsi sino a comprendere 100mila partecipanti, è quello di accelerare i tempi della ricerca medica superando ogni remora sulla privacy: più i dati genetici saranno resi pubblici e accessibili, più velocemente la ricerca potrà progredire. In cambio della decodificazione del loro Dna, i partecipanti hanno accettato di renderei dati disponibile a tutti insieme a fotografie e a informazioni circa la loro storia medica, le allergie, i medicinali, le origini etniche e una quantità di altri tratti che vanno dalle preferenze alimentari a quelle televisive. Tutti questi dati, compresi i fenotipi, dovrebbero aiutare i ricercatori a scoprire più facilmente il collegamento tra geni e tratti. L'iniziativa rappresenta un esperimento sociale, oltre che scientifico. «Ancora non sappiamo quali conseguenze possano derivare dal rendere pubblico il genoma di un individuo», afferma George M. Church, il genetista di Harvard che è a capo del progetto a cui prende anche parte, «però vale la pena scoprirlo». Assolutamente contrari, invece, scienziati e bioeticisti che mettono in guardia sul rischio che i volontari stessi, benché si tratti di persone molto istruite, non siano in grado di comprendere i rischi pratici e psicologici che derivano dalla divulgazione di informazioni che sono a state a lungo considerate assolutamente private. «Di queste informazioni verrà fatto un utilizzo nuovo, che nessuno può ancora prevedere. E tornare indietro non sarà possibile» dice Kathy Hudson, direttrice del Centro di genetica della Johns Hopkins University. Per ora il "Pgp 10", come viene chiamato il progetto finanziato da fondi privati, sta lavorando solo sul sequenziamento di quei segmenti del genoma dei partecipanti che si ritiene esercitino un'influenza più diretta sulle malattie, sul comportamento e sui tratti fisici. Ma i rapidi progressi delle tecnologie necessarie a ottenere il sequenziamento di tutta il genoma umano, e l'abbattimento dei costi di una tale operazione (circa 5mila dollari) hanno contribuito a rendere più impellente la questione dell'importanza della privacy genetica. Salo due anni fa il sequenziamento di un genoma umana - ovvero dei sei miliardi di lettere del codice genetico che contengono l'intera gamma dei tratti che abbiamo ereditato dai nostri genitori-costava più di un milione di dollari. I due scienziati i cui genomi sono stati interamente sequenziati in nome della ricerca hanno entrambi reso pubblico il loro nome, anche se non sono d'accordo sul fatto che tale prassi sia raccomandabile su larga scala. «Ho rivelato il mio nome, ma ho 80 anni», afferma James D. Watson, uno degli scopritori della struttura del Dna. «Rendere pubblici i genomi di individui giovani potrebbe causare danni personali - se non altro perché conterrebbero moltissimi errori. Non possediamo ancora le conoscenze necessarie ad interpretarli». Da parte sua Craig Venter, pioniere del sequenziamento del genoma umano, ha dichiarato che entro la fine del prossimo anno il suo istituto conta di sequenziare diverse decine di genomi umani, e di rendere di pubblico dominio i dati ottenuti. Venter ha aggiunto di essere già stato contattato da migliaia di volontari. «Se desiderano la privacy, diremo loro di andare da qualche altra parte. Per capire davvero l'uomo abbiamo bisogno di una quantità enorme di informazioni: 10.000 genomi completi. E le informazioni dovranno essere accessibili e a disposizione di chiunque desideri interpretarle». Garantire la privacy potrebbe essere impossibile, considerate le straordinarie proprietà identificatrici del Dna. All'oltre mezzo milione di individui che negli ultimi tre anni hanno partecipato a più di cento studi finanziati da fondi pubblici e volti allo studio di tratti come la schizofrenia e la dipendenza da droghe, era stato promesso l'anonimato. Lo scorso mese però, in seguito alla pubblicazione su una rivista scientifica di un articolo che descriveva il modo in cui il profilo di un individuo può essere identificato anche se è unito a quello di centinaia di altri, gli istituti di ricerca hanno improvvisamente limitato l'accesso alle informazioni. Ma alcuni indizi sembrano suggerire che la tendenza a salvaguardare la privacy sta forse cambiando. Sul sito 23and1Vle (una società che per 400 dollari offre ai propri clienti uno schema riassuntivo di alcuni loro tratti genetici) alcuni discutono dei risultati ottenuti nascondendosi dietro a pseudonimi, mentre altri includono link per essere contattati. E recentemente Sergey Srin, il co-fondatore di Google, ha rivelato sul suo blog di avere appreso di essere considerevolmente più a rischio della media di sviluppare il morbo di Parkinson, il male che diversi anni fa fu diagnosticato a sua madre. (copyright The New York Times. Traduzione di Marzia Porta) ______________________________________________________________ Repubblica 24 ott. ’08 CERVELLO: LA SUA STAGIONE MIGLIORE? A TRENTANOVE ANNI Esperimento negli Usa su un gruppo di uomini che hanno tra 123 e gli 80 anni Il declino dovuto alla perdita di mielina, che isola e protegge le fibre nervose DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ENRICO FRANCESCHINI LONDRA arack Obama l'ha passata da nove anni, Leonardo Di Caprio ci arriverà tra cinque, Michael Schumacher la sta vivendo proprio ora: peccato non siapiù alvolante di una Ferrari. E' l'età in cui il cervello dell'uomo raggiunge il massimo della sua potenza, la stagione in cui funziona meglio, perlmomeno in cui è più rapido, scattante, ricettivo: 39 anni. Lo rivela una nuova ricerca in campo neurobiologico, dopo un esperimento condotto su un campione di uominifrai23 e gli &0 anni; e gli studiosi sono convinti che avrebbe dato risultati analoghi anche fra le donne, mettendo perciò le coetanee della 39enne Reneé Zellweger, l'attrice del «Diario di Bridget Jones», al top della forma cerebrale. Dai 40 anni in avanti, viceversa, le prestazioni del cervello declinano «a un ritmo accelerante», affermano gli autori dell'indagine, provocando reazioni gradualmente sempre più lente, come riduzione della memoria, difficoltà cognitive, erosione di abilità a svolgere determinate funzioni, fino ai casi più gravi di malattie come il morbo di Alzheimer. Il rallentamento avviene a causa della perdita di mielina, una sostanza che costituisce la guaina midollare delle fibre nervose e che ha funzione isolante, oltre che protettiva, nei riguardi della conduzione degli stimoli nervosi. E' questa sorta di membrana a permettere la trasmissione di rapidi segnali ai circuiti del cervello. Ed è essa che, dopo la cosiddetta mezza età, si deteriora, perché il cervello non riesce più a ripararla al punto da riportarla alle sue condizioni ideali. La scoperta, pubblicata su «Neurobiology of Aging», una rivista scientifica online britannica, è il frutto di anni di ricerche da parte di scienziati del Semel Institute for Neuroscience and Human Beahviour della Universiry of California di Los Angeles (Ucla). Una squadra di neurobiologi guidata dal professor George Bartzokis ha esaminato il rapporto tra le capacità motorie di un gruppo di uomini e le condizioni della loro mielina, riscontrando una particolarissima coincidenza: a migliore attività motoria e la più solida membrana di mielina si verificano puntualmente nei soggetti di 39 anni. L'esperimento consisteva nel far picchiare il dito indice su un tavolo il più velocemente possibile ai 72 uomini di età variabile che si sono sottoposti al test, un'attività monitorata ogni 10 secondi attraverso risonanze magnetiche che misuravano l’integrità della mielina nei delicati circuiti dei lobi frontali del cervello. «Ebbene, le due traiettorie sono risultate praticamente indistinguibili», nota il professor Bartzokis nel suo rapporto, «entrambe raggiungono l'apice a 39 anni, entrambe declinano velocemente dopo i 40». Il vecchio detto secondo cui «la vita ricomincia a 40 anni», commenta la stampa inglese, andrebbe dunque modificato: a 40 anni la vita comincia a spegnersi, piuttosto, perlomeno dal punto di vista cerebrale. La ricerca, naturalmente, misura soltanto attività condizionate dalla rapidità delle connessioni cerebrali: perciò non significa che, in assoluto, a39 anni un uorno è più intelligente che a 30 0 50 e oltre. Per chi ha passato i quarant'anni, inoltre, c'è anche una buona notizia: la scoperta fatta dai ricercatori californiani apre la strada alla possibilità in futuro di interventi terapeutici, dice il neurobiologo Bartzokis, «per alterare l'invecchiamento del cervello e ritardare disturbi degenerativi», come l’Alzhcimer. Ma intanto, se ci sembra che un amico o collega di39 anni abbia sempre la risposta pronta e una marcia in più, sappiamo finalmente il perchè: mettersi in gara con lui è come provare a correre dietro a Michael Schumacher. ______________________________________________________________ Repubblica 24 ott. ’08 UNA PROTEINA CANCELLA LA MEMORIA LUIGI BIGNAMI er chi sogna di dimenticare certi fatti dolorosi della propria esistenza per lasciare nella propria me moria solo quelli più belli, la realtà si sta concretizzando. Anzi, ricercatori del Medical College of Georgia in Augusta (Usa) e colleghi dell'Università cinese di Shangai sono già riusciti a rimuovere ricordi spiacevoli dalla memoria di un ratto. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Neuron. Pur conoscendo ancora poco sul funzionamento della memoria gli scienziati sono riusciti a bloccare solo alcuni «ricordi» di un topo e non tutte le sue reminiscenze. Ci sono riusciti utilizzando una proteina in grado di governare l'attività di altre proteine preposte a richiamare la memoria. Modificando chimicamente la proteina iniziale questa ha dato l'ordine alle altre di accendere solo aree specifiche della memoria del topo, obbligandolo così a dimenticare alcuni fatti che aveva vissuto. Spiega Joe Tsien, che ha lavorato alla ricerca: «Nel caso specifico al topo era stato insegnato che entrando in una determinata stanza sarebbe stato colpito da un suono fortissimo, per lui sgradevole. Così egli ha imparato a non entrarvi più. Ma una volta agito sulla memoria il topo dimenticava la connessione stanza-suono sgradevole evi entrava senza alcun problema, ripetendo in continuazione quell'errore. E questo si è ripetuto con differenti cavie». Sullo sviluppo che la ricerca potrebbe portare in futuro Tsien ha così commentato: «Ci rendiamo conto che questi esperimenti sono allo stesso tempo interessanti e terrificanti. Da un lato infatti, potrebbero aiutare certe persone che soffrono di disordini mentali post- traumatici ad eliminare la causa del disordine, ma dall'altro potrebbero aprire la strada alla manipolazione della memoria delle persone». Howard Eichenbaum, neuroscienziato della Boston University (Usa), non è comunque certo che i ricercatori abbiano «cancellato» la memoria. E possibile che essi l'abbiano soltanto alterata e poiché non conosciamo esattamente tutti i meccanismi che la regolano, essa, indeterminate circostanze potrebbe comunque richiamare i ricordi più profondi». _______________________________________________________________ Corriere della Sera 19 ott. ’08 LE INSIDIOSE TRAPPOLE DELL' IGIENE Meno germi, più allergie . ora questa ipotesi si estende al diabete e ai tumori L' «ipotesi igienica» non è più una curiosità come sembrava quando fu proposta, alla fine degli Anni Ottanta, dall' epidemiologo britannico David Strachan, che attribuiva alla minore esposizione ai germi durante l' infanzia l' aumento delle malattie allergiche nei Paesi più ricchi. A conferma della sua teoria diversi studi mostravano come la probabilità di soffrire di eczema, raffreddore da fieno, o asma era più bassa tra chi aveva molti fratelli, aveva frequentato l' asilo nido fin dai primi mesi di vita, o comunque, vivendo in contesti socioeconomici più sfavorevoli, aveva contratto l' epatite A, la salmonellosi o altre malattie che si trasmettono in condizioni igieniche inadeguate. «Oggi a queste prove indirette si sono aggiunti esperimenti di laboratorio e studi su modelli animali - spiega Paolo Maria Matricardi, che attualmente è senior scientist presso il Dipartimento di pneumologia e immunologia pediatrica dell' Università di medicina Charité di Berlino -. Esaminando l' incidenza di allergia nei militari, per esempio, abbiamo dimostrato che l' effetto protettivo, più che dalle infezioni respiratorie, che anzi possono innescare l' asma, viene da germi trasmessi da mani poco pulite e da cibi contaminati». L' ipotesi igienica si è intanto estesa: le difese dell' organismo umano, non dovendosi cimentare con le molteplici infezioni cui è stato esposto per millenni, si rivolgerebbero non solo contro elementi di per sé innocui, come nelle malattie allergiche, ma anche verso tessuti e organi propri, scatenando malattie autoimmuni, come il diabete, la sclerosi multipla o il morbo di Crohn (vedi box). Per studiare l' applicazione della teoria igienica al diabete di tipo 1 l' Unione europea ha stanziato 6 milioni di euro. Si è osservato, infatti, che in Finlandia il diabete è 6 volte più comune che in Russia e che in alcune regioni della Russia sono più frequenti le infezioni intestinali: il progetto Diabimmune, dovrà stabilire, indagando su 7 mila bambini, se c' è un legame tra queste due circostanze. La linea di ricerca più innovativa e di cui si è finora meno sentito parlare, però, è quella che riguarda i tumori, perché anche la loro genesi è tenuta sotto controllo dal sistema immunitario. Si è partiti dall' osservazione che i bambini inseriti al nido nei primi mesi di vita hanno un rischio ridotto di ammalarsi di leucemia infantile, o di sviluppare da grandi il linfoma di Hodgkin, tumore del sistema linfatico che è meno frequente anche nei giovani con più fratelli maggiori. «Anche le difese immunitarie contro i tumori vengono attivate dal contatto con i germi, soprattutto dalle componenti di alcuni batteri, chiamate endotossine, - spiega il professor Giuseppe Mastrangelo, del Dipartimento di medicina ambientale e sanità pubblica dell' Università di Padova - con cui vengono particolarmente a contatto alcune categorie professionali, come gli allevatori e i lavoratori dei cotonifici». «Chi lavora nelle stalle, per esempio, ha cinque volte meno probabilità di avere un cancro al polmone rispetto ai contadini che non allevano animali - prosegue l' epidemiologo padovano - . Il rischio diminuisce quante più sono le mucche da accudire e torna ad aumentare col tempo se gli allevatori cambiano lavoro. In maniera analoga, le addette alla lavorazione del cotone sembrano protette, oltre che nei confronti del tumore al polmone, anche verso il tumore al seno, al fegato, allo stomaco, al pancreas. E pure in questo caso l' effetto protettivo è tanto maggiore quanto più intenso e lungo è stato il contatto con l' endotossina, presente nella polvere di cotone, così come nel letame». Roberta Villa Villa Roberta ______________________________________________________________ Libero 24 ott. ’08 TEST GENETICO SU URINE PER SCOPRIRE IL CANCRO ALLA PROSTATA Sono due gli esami a cui generalmente si sottopongono gli uomini per verificare la presenza di un tumore alla prostata: il Psa e la biopsia. Il primo misura l'attività di una certa proteina nel sangue (tanto maggiore è la sua presenza, tanto maggiore è il rischio di essere ammalati); il secondo - decisamente più invasivo - consente di controllare concretamente la presenza di cellule neoplastiche nell'organo maschile. Di solito si prescrive la biopsia quando il livello del Psa è superiore al valore di 4 nglml.In realtà, in certi casi, è possibile che la malattia si sia già sviluppata anche se il valore del Psa è molto più basso di 4. Il rischio, in questi casi, è quello di intervenire quando è ormai troppo tardi. Ora, però, dopo 15 anni di studi, è stato messo a punto un nuovo tipo di esame - presentato ieri a Milano, alla presenza di Francesco Montorsi del San Raffaele di Milano e Roberto Scarpa dell'azienda ospedaliero universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano - in grado di diagnosticare la malattia anche quando il valore del Psa è nella norma. Si tratta del test molecolare PCA3 che evidenzia un particolare marker tumorale presente nell'urina. Il malato, sottoponendosi a un tradizionale esame digitorettale, consente a eventuali cellule neoplastiche della prostata di scivolare nell'uretra, e da qui all'esterno dell'organismo tramite l'urina. A questo punto il primo getto di urina è pronto per essere analizzato. Se il livello del marker tumorale è compreso fra 4 e 30, i rischi di essere soggetti a tumore alla prostata sono bassi; medi se il valore è intorno a 35; decisamente più alti se il valore è compreso fra 45 e 125. «La diagnosi di tumore alla prostata può essere difficile - dice Francesco Montorsi -. Gli attuali strumenti diagnostici impiegati per questo tipo di tumore, come l'esame del Psa nel sangue, hanno numerosi limiti. Per questo la comparsa sulla scena del test PCA3 è da considerarsi un fatto positivo». Sottolineano però i ricercatori che il nuovo esame delle urine non intende sostituire i test tradizionali, ma solo offrire un'arma in più per una diagnosi corretta della malattia. Attualmente è possibile sottoporsi al test PCA3 presso quattro centri italiani: Azienda ospedaliera universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano, in provincia di Torino; Gradenigo Hospital di Torino; Biodiagnostica Montevergine Malzoni di Mercogliano, Avellino; MultiMedica di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Il tumore alla prostata è il secondo tipo di neoplasia più diffuso fra gli uomini in Italia, secondo solo al tumore al polmone. Nel nostro Paese vengono registrati circa 11mila nuovi casi l'anno. I decessi annui sono circa 6.300 (il7% delle morti per tumore negli uomini). IL60% di questi decessi si riscontra nel Nord Italia, probabilmente a causa delle differenti abitudini alimentari e delle diverse condizioni ambientali. Gli studiosi fanno notare che la possibilità di ammalarsi di tumore alla prostata aumenta con l’età. Nel 70% dei reperti autoptici in uomini con più di 90 anni si riscontra almeno un microfocolaio tumorale. GIANLUCA GROSSI ______________________________________________________________ Managment in Sanità 20 ott. ’08 TELEMEDICINA La mancanza di una visione complessiva e di una programmazione a breve, medio e lungo termine è una delle principali lacune che la Sanità italiana sconta quando si parla di introdurre, nei percorsi assistenziali, la telemedicina, limitata, a oggi, a sporadiche sperimentazioni, non integrabili in un sistema più ampio. Queste problematiche, note agli addetti ai lavori, sono state ribadite con forza da chi da anni crede che la telemedicina possa essere una risposta efficace per aumentare la qualità di vita dei pazienti. Accanto alle riflessioni più "amare" che registrano le molte difficoltà che ancora deve affrontare la cura a distanza, abbiamo proposto alcune esperienze positive, che possono rappresentare i primi tasselli di un puzzle che un giorno, si spera, possa diventare più completo. LA TELEMEDICINA, QUANDO SERVE? - nei casi in cui l'assistenza clinica e sanitaria richiedano consulti esterni e rapide comunicazioni per assumere decisioni; - nei casi di isolamento di cittadini, residenti in aree remote o isolate oppure urbane, in particolar modo nelle grandi aree metropolitane, per i quali si pongono specifiche e particolari esigenze; - per consentire ai diversamente abili di poter accedere e fruire di servizi. AMBITI DOVE SI RISCONTRANO I MAGGIORI BENEFICI - la prevenzione: l'intervento della telemedicina nelle attività di prevenzione è utile soprattutto per le categorie già identificate a rischio o persone già affette da patologie che obbligano a controlli continui; - la diagnosi: le attività di diagnosi sono l'ambito assistenziale in cui le esperienze di telemedicina hanno la maggiore diffusione, grazie alla possibilità di scambiare le informazioni diagnostiche senza la necessità di far muovere il paziente - la riabilitazione: l'ambito dell'assistenza riabilitativa è quello che potrebbe godere dei più ampi benefici socio-economici dall'utilizzo della telemedicina. OSTACOLI ALLA TELEMEDICINA - tecnologico: resistenza all'innovazione; - organizzativo: modalità di organizzazione del lavoro, raccordo con le procedure amministrative; normativo: necessità di regole comuni a livello nazionale e regionale; - strutturale: carenza di infrastrutture di rete sicure, scarsa integrazione dei servizi economico: rapporto costi- benefici dei nuovi servizi; - professionale: condivisione di responsabilità; culturale: formazione e aggiornamento degli operatori sanitari. LE BEST PRACTICE IN ITALIA - il progetto STELE che coinvolge l'intera Regione Campania; e progetti regionali di teleradiologia in Umbria, Aosta, Bolzano e nelle Aree Vaste della Toscana; o i progetti di telecardiologia della Fondazione Maugeri dell'INRCA di Ancona; - i progetti di telelaboratorio dell'AO Niguarda, Baggiovara e i Laboratori dell'Emilia Romagna; o i progetti della Regione Veneta. Qui di seguito interventi di: Stefano Balbo, HCIS Product Manager, Carestream Health Claudio Dario Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria Ulss 9 di Treviso e Coordinatore del progetto Health Optimum, Silvia Giovannetti Responsabile attività amministrative contabili del progetto Health Optimum, Livio Caberlotto Responsabile del Telelaboratorio dell'Azienda Sanitaria Ulss 9 di Treviso, Silvia Valentini Coordinatore tecnico progetto Health Optimum per le province di Belluno, Treviso e Venezia, Mauro Rizzato Coordinamento organizzativo di progetto Gennaro Di Genova, Presidente Socitel, Società Italiana di Telemedicina Lidia Di Minco, Direttore dell'ufficio informatico del Ministero, Rossana Ugenti, Direttore Generale del sistema informativo del Ministero Fabio Faltoni, Presidente dell'associazione servizi medicali e telemedicina di Assobiomedica + Giordano Giordani, Azienda Ulss 9 Treviso, Michela Gabrieli, Arsenàl.lT Giancarmine Russo, Segretario generale Sit, Società Italiana Telemedicina e Sanità elettronica Sono molti gli ostacoli allo sviluppo della telemedicina: organizzativi, tecnologici, normativi, economici e culturali. Per ovviare a ciò, l'ex Ministero della Salute lavora per favorire progetti di eccellenza che favoriscano i pazienti più "isolati". Come ci spiegano Rossana Ugenti, Direttore Generale del sistema informativo e Lidia Di Minco, Direttore dell'ufficio informatico del Ministero Problematiche e prospettive: lo sguardo del Ministero Dott.ssa Ugenti, qual è il valore aggiunto della telemedicina ovvero in che modo può contribuire a migliorare l'offerta dei servizi sanitari? Le Ict rappresentano, per il sistema sanitario, una valida opportunità per definire un migliore trade-off tra la più alta qualità delle prestazioni e l'efficienza nell'impiego delle risorse disponibili, consentendo di spostare in avanti la curva dell'offerta, di fronteggiare, in modo più efficiente ed efficace, la crescita della domanda sanitaria e dei connessi costi di produzione delle prestazioni e di preservare le esigenze d'equità sociale. In particolare, la telemedicina contribuisce a ottimizzare la gestione del settore sanitario, su diversi fronti: può migliorare la qualità di vita dei cittadini-pazienti, consentendo loro di essere assistiti a domicilio o comunque il più possibile vicino alla loro abitazione; garantire la disponibilità di specialisti indipendentemente dal luogo in cui abiti il paziente; accrescere la qualità delle decisioni del medico mettendo a sua disposizione, in modo semplice e veloce, le informazioni esistenti relative al paziente; fornire al paziente un servizio migliore e anche più informazioni sullo stato della propria salute; incrementare l'efficienza e produttività dei servizi sanitari, riducendo il lavoro amministrativo, quale ad esempio l'acquisizione di informazioni già presenti in forma elettronica e distribuendo in modo organico i compiti tra le istituzioni e tra il personale; curare il rispetto del programma terapeutico e rilevare assiduamente ogni variazione d'ordine fisico e clinico che possa richiedere una modifica nella terapia del paziente; garantire una più efficace e tempestiva assistenza diagnostica e terapeutica soprattutto nei casi d'urgenza; infine, consentire l'appropriata flessibilità dell'assistenza sanitaria rispetto alle variazioni di popolazione. Dott.ssa Di Minco, qual è il panorama del mercato della telemedicina in Italia, in termini di investimenti, grado di penetrazione, progetti e risultati? Da un'indagine campionaria di NetConsulting sul secondo semestre 2005 e pubblicata da Assinform, risulta che le aziende ospedaliere pubbliche italiane investono il 24,5% delle risorse sui progetti di telemedicina. Risulta, però, difficile valutare gli effetti economici e i benefici derivanti dall'applicazione della telemedicina, dal momento che è necessario stimare elementi quantitativi e qualitativi di lungo periodo, sia dal lato dei costi (installazione, utilizzo, apprendimento, obsolescenza), che dal lato dei benefici (il miglioramento della qualità della vita del paziente, gli anni di vita guadagnati, l'insieme di effetti "indiretti" e "intangibili", ovvero quelli legati alla valorizzazione del tempo del paziente o dei familiari che lo assistono e alla quantificazione della sofferenza o dello stress legati ai trattamenti clinici applicati). È inoltre da rilevare che, in ambito sanitario, il contenimento dei costi, da un lato, e la parallela crescita della qualità delle prestazioni dall'altro, si sono imposti come obiettivi prioritari, non facilmente conciliabili. Dott.ssa Ugenti quali sono gli ambiti dove si riscontrano i principali benefici derivanti dall'applicazione della telemedicina? Sono tre gli ambiti assistenziali in cui è possibile ravvisare i maggiori benefici derivanti dalla telemedicina: la prevenzione: l'intervento della telemedicina nelle attività di prevenzione è utile soprattutto per le categorie già identificate a rischio o persone già affette da patologie che, pur conducendo una vita normale, devono sottoporsi ad un costante monitoraggio di alcuni parametri vitali, al fine di ridurre il rischio d'insorgenza di complicazioni; la diagnosi: le attività di diagnosi sono l'ambito assistenziale in cui le esperienze di telemedicina hanno la maggiore diffusione, grazie alla possibilità di scambiare le informazioni diagnostiche senza la necessità di far muovere il paziente: basti pensare alla possibilità di effettuare esami diagnostici (ECG, Spirometria, Analisi del sangue) presso l'ambulatorio del medico di base, la farmacia, il domicilio del paziente; o la riabilitazione: l'ambito dell'assistenza riabilitativa è quello che potrebbe godere dei più ampi benefici socio-economici dall'utilizzo della telemedicina. Esistono esperienze per la dimissione protetta (al domicilio o in strutture assistenziali dedicate) di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico, così come per l'assistenza domiciliare a pazienti cronici, anziani, malati terminali. Dott.ssa Di Mico, quali sono i principali ostacoli allo sviluppo della telemedicina? Le recenti esperienze hanno evidenziato che esistono vari tipi d'ostacoli allo sviluppo. Questi vanno dall'aspetto tecnologico (resistenza all'innovazione), a quello organizzativo (modalità di organizzazione del lavoro, raccordo con le procedure amministrative), da quello normativo (necessità di regole comuni a livello nazionale e regionale), a quello strutturale (carenza di infrastrutture di rete sicure, scarsa integrazione dei servizi), nonché a ostacoli di tipo economico (rapporto costi-benefici dei nuovi servizi), di tipo professionale (condivisione di responsabilità) e, infine, di tipo culturale (formazione e aggiornamento degli operatori sanitari). Per quanto riguarda la percezione da parte dei pazienti, alcuni studi dimostrano che anche i soggetti anziani possono apprendere facilmente l'uso degli strumenti di telemedicina e apprezzano con sollievo il fatto di poter essere seguiti e monitorati, vedendo la possibilità di contattare un call centre come un aiuto concreto contro l'ansia del malore improvviso. A titolo di esempio si può citare l'indagine pubblicata nel gennaio 2006 dall'ospedale Niguarda di Milano, a seguito del progetto "Niguarda on line", condotta da aprile a novembre 2004. In particolare, sono stati intervistati telefonicamente, dopo circa un mese dalla dimissione, i pazienti di un gruppo pilota circa il loro grado di soddisfazione del servizio: il 79°/<, degli utenti lo ha giudicato ottimo. Questo dato incoraggiante deve essere considerato anche in rapporto alla percentuale significativa di pazienti con età superiore ai 60 anni (34%°) e al fatto che solo il 52% degli utenti ha un livello di istruzione medio-alto. Quali sono le realtà più avanzate nell'uso della telemedicina? (Ugenti) Per lo sviluppo della telemedicina in sanità, l'ex Ministero della Salute ha dato corso a varie iniziative progettuali, tra le quali si segnalano in particolare i seguenti progetti. e Rete a banda larga per gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico: il progetto riguarda la realizzazione di una rete telematica tra Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico e ha lo scopo di sviluppare, in modo adeguato, la cooperazione fra centri di eccellenza, lo studio di protocolli di ricerca comuni e la condivisione dei risultati delle attività di ricerca. Prevede la creazione di un'infrastruttura di collegamento dei centri di eccellenza in grado di garantire livelli di servizi, performances e sicurezza adeguati all'utilizzo di servizi di telemedicina, teleconsulto, telediagnosi, teleassistenza. Telemedicina piccoli comuni lombardi (Telemaco): il progetto ha l'obiettivo di assicurare l'assistenza sanitaria in loco, alla popolazione residente affetta da patologie croniche, rispettando e garantendo i necessari livelli di qualità e disponibilità del servizio, nonché consentire ai presidi ospedalieri più decentrati e ai medici di medicina generale delle aree montane di disporre di consulenze con specialisti da centri di eccellenza sanitaria per l'emergenza e per patologie specifiche. Nella realizzazione del progetto sono coinvolti gli operatori della sanità pubblici e privati, i produttori di servizi tecnologici e i centri di eccellenza dell'Ict. I servizi previsti ed erogati tramite il progetto sono relativi al teleconsulto specialistico al medico di famiglia, al teleconsulto su immagini, alla telesorveglianza domiciliare e all'emergenza cardiologica. I servizi realizzati attraverso il progetto sono in fase di valutazione da parte di cittadini e operatori sanitari, si potrà quindi valutare se il modello Telemaco sia sostenibile ed esportabile in altre aree del territorio nazionale dove i piccoli comuni sono la maggior parte. o Rete Tumori Rari: prevede la collaborazione permanente tra strutture oncologiche italiane per il miglioramento dell'assistenza ai pazienti con "tumore raro", attraverso la condivisione a distanza di casi clinici, l'assimilazione della diagnosi e delle terapie secondo criteri comuni e il razionale accesso alle risorse di diagnosi e cura. La Rete Tumori Rari rappresenta una cooperazione formalizzata di clinici operanti presso diverse strutture sanitarie italiane, geograficamente diffuse su tutto il territorio nazionale. Tutti gli aspetti organizzativi vengono discussi e decisi per consenso all'interno della Rete, garantendo al paziente un appropriato iter diagnostico-terapeutico. In questo senso, i centri partecipanti aderiscono a linee guida comuni, definite per consenso, nel trattamento dei pazienti e possono condividere casi clinici in rete, secondo modalità concordate. Quale potrebbe essere l'evoluzione del mercato dell'offerta? (Di Minco) Da un'indagine condotta dalla Comunità Europea si evince che il mercato globale della telemedicina possa aumentare dagli attuali 4,7 miliardi di euro agli oltre 11,2 miliardi di curo nel 2012, con una crescita annuale media del 19%. Se questo è visto nell'ottica di una popolazione che invecchia e di una crescita delle malattie croniche, l'implementazione dei servizi di telemedicina potrebbe assumere notevole importanza per tutto il sistema sanitario . Con particolare riguardo alla telecardiologia, telechirurgia, teleassistenza e teleradiologia con evidenti vantaggi in termini di riduzione dei costi, tempestività nell'assistenza, condivisione delle eccellenze sul territorio (e conseguente disponibilità di servizi di consulenza specialistica a distanza), riduzione dei trasferimenti dei pazienti. Qual è il confronto con la situazione estera? (Ugenti) In questi ultimi anni sono stati pubblicati i risultati di numerosi studi sulle esperienze di telemedicina; la maggior parte si riferisce a programmi avviati in paesi di grande estensione e con bassa densità della popolazione, come ad esempio le zone rurali del Nord America, l'Australia, la Finlandia, il Canada e i Paesi scandinavi, realtà dove risulta molto costoso mantenere in funzione piccoli centri ospedalieri, soprattutto per l'elevata incidenza del costo del personale medico. Laura Servidio L'Italia è tra i primi paesi al mondo ad aver sperimentato la telemedicina. Eppure, nonostante si preveda un raddoppio del fatturato nei prossimi anni, le applicazioni sono ancora in fase sperimentale FABIO FALTONI: IL MERCATO CHE NON C'È Un'indagine della Frost & Sullivan stima che il mercato europeo della telemedicina raddoppierà il proprio fatturato nel periodo 2007 - 2014, passando da circa 118 milioni di dollari a oltre 236. In particolare, il nostro Paese risulta, già dal 1992, tra i primi per numero di sperimentazioni. "Nonostante ciò - spiega Fabio Faltoni, Presidente dell'associazione servizi medicali e telemedicina di Assobiomedica - si è verificata una modesta, sporadica e disomogenea diffusione dei sistemi di telemedicina, spesso nell'ambito di progetti speri mentali, difficilmente industrializzabili. Una realtà questa che riguarda anche l'Italia, nonostante il nostro sia uno dei primi Paesi al mondo ad aver sperimentato la telemedicina: a partire dal 1976, con la trasmissione di elettrocardiogrammi a distanza e, negli anni '80, con la più importante esperienza di Telemedicina cardiologica, nata per iniziativa della SIP, che ha consentito la messa a punto di due sistemi per la trasmissione a distanza di tracciati ECG, il "Cardiotelefono", una strumentazione basata sul principio di un elettrocardiografo a 12 derivazioni, associato ad un sistema telefonico ricevente dedicato e il "CardioBip", un sistema portatile a 2 derivazioni." Gli ostacoli allo sviluppo del settore Tra gli ostacoli allo sviluppo del settore, la penuria di finanziamenti, le lacune normative, che non regolamentano la responsabilità nel caso di referti che coinvolgono più di un medico e che non definiscono dei modelli di tariffazione dei servizi erogati, ma soprattutto una scarsa base organizzativa. "In Italia - spiega Falconi - la telemedicina ha seguito direttrici di sviluppo spesso errate: da un lato sono nate molteplici iniziative locali, non supportate adeguatamente da piani di integrazioni con le restanti strutture di erogazione dei servizi socio-sanitari, dall'altro si è fatto uso di dispositivi tecnologici che non sempre hanno garantito efficienza ed efficacia. Viceversa, il Sistema Sanitario deve prevedere una profonda riorganizzazione della propria struttura e dei propri processi, con l'obiettivo di assicurare l'integrazione tra i diversi livelli di cura (medico di Medicina Generale, presidi sanitari, poliambulatori, emergenza, ospedali, centri di riabilitazione, cure domiciliari, etc...), in un quadro di sostenibilità finanziaria, di elevamento delle prestazioni dei servizi offerti e di miglioramento degli standard qualitativi dei pazienti." FORMAZIONE E ORGANIZZAZIONE In questo discorso si inserisce la resistenza al cambiamento e all'innovazione, che sono tanto più forti quanto più sono trasversali all'organizzazione su cui incidono. "La chiave del successo - conferma Falconi - è fare in modo che una struttura sanitaria utilizzi la telemedicina solamente se è pronta per farlo; essa deve assicurarsi che il proprio personale abbia la giusta formazione e il giusto approccio verso le tecnologie di ICT e contemporaneamente verificare che i propri processi organizzativi siano coerenti e compatibili con la telemedicina: inserire dispositivi di telemedicina in un ospedale che ospita un ambulatorio per lo scompenso cardiaco in cui viene effettuato un monitoraggio manuale quotidiano dei parametri di peso e pressione, può portare risultati in termini di efficienza solo se esiste un'organizzazione precedente, altrimenti si genera confusione e spreco di risorse." QUALITÀ DI VITA E RISPARMIO DI RISORSE In termini di risultati, i campi elettivi di applicazione sono le malattie croniche (in particolare per i soggetti anziani), la cardiologia, il diabete e le affezioni respiratorie; oltre a questo, il monitoraggio continuo del decorso post-ospedaliero, lo sviluppo dell'interoperabilità di sistemi diversi, ad esempio integrando la teleradiologia con i sistemi di refertazione di laboratorio. "I benefici - spiega Faltoni - possono essere notevoli, a cominciare dal miglioramento della qualità della vita dei pazienti cronici e degli anziani (riduzione del pendolarismo casa - medico-ospedale) che possono così aumentare la propria indipendenza, fino a un altrettanto significativo risparmio di risorse economiche per il Sistema Sanitario, grazie alla riduzione dei ricoveri ospedalieri (con vantaggi indotti rappresentati dalla maggiore disponibilità di posti letto per pazienti acuti) e ad una migliore individuazione della terapia (per effetto di una più puntuale attività diagnostica e di monitoraggio). II tutto, però, presuppone l'integrazione della telemedicina in un modello sanitario, in cui le iniziative devono essere coordinate sulla base di modelli terapeutici e organizzativi certi, che tengano in conto anche la qualità dei dispositivi utilizzati." LA RISPOSTA DELL'UTENTE Ma, laddove sia presente, qual è l'atteggiamento dell'utente nei confronti della telemedicina? In genere - spiega Falconi - nonostante i principali beneficiari siano pazienti anziani, i dispositivi vengono percepiti come una grossa opportunità per il miglioramento dello stile e della qualità della vita, grazie alla possibilità di essere monitorati e/o curati nella propria abitazione; alla garanzia di un tempestivo intervento nei casi di urgenza; e alla possibilità di disporre di maggiori e frequenti informazioni sul proprio stato di salute. Questa percezione positiva va comunque supportata con adeguate infrastrutture tecnologiche, formative e informative che facilitino l'accessibilità ai servizi offerti. II CONFRONTO CON L'EUROPA Infine, la situazione italiana paragonata a quella estera. "I modello più interessanti di applicazione consolidata della telemedicina - conclude Falconi - sono quello israeliano, cosi come quello norvegese, che interessa oltre 9.000 pazienti ubicati in zone geograficamente disagiate e quello adottato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d'America che consente teleconsulti da tutti i presidi militari." Laura Servidio ALTRI STEP PER LA ROAD MAP DELLA SIT Inserire le applicazioni di telemedicina clinica nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA): questo, secondo la Sit, può essere il volano per lo sviluppo del settore in Italia "II mancato sviluppo della telemedicina nel nostro paese - spiega Giancarmine Russo, Segretario generale della Sit(5ocietà italiana telemedicina e Sanità elettronica) - è soprattutto imputabile al mancato inserimento della telemedicina nei LEA (Livelli Essenziali d'Assistenza). Per questo motivo, la nostra società medico-scientifica si è posta come priorità l'inserimento di alcune prestazioni di telemedicina clinica nei LEA, l'elenco delle prestazioni sanitarie rimborsabili dal SSN, attualmente in fase di revisione dopo la bocciatura del DPCM 23 aprile 2008 (emanato dal precedente Esecutivo) da par-te della Corte dei conti, per mancata copertura finanziaria." UNA ROAD MAP PER LA TELEMEDICINA A tal fine la Sit, in accordo con Medmatic, l'Expo-Forum nazionale sulla telemedicina e l'e-health, ha varato la cosiddetta "Road Map italiana della telemedicina", riunendo a Vicenza il G ottobre dello scorso anno, i rappresentanti dall'intera comunità tecnico-scientifica, che si occupa di telemedicina e Sanità elettronica in Italia ICnr, Iss, Ai sis, Aiim, Aiic, Aitim, Fimmg, Simg, Consorzio Telemedicina Regione Veneto, ISfTeH - International Society for Telemedicine and e-Healthl e replicando l'appuntamento il 15 dicembre 2007 a Bari (VIII Congresso Aitimi) e il 30 maggio a Bologna (Exposanità 2008). "In quella sede -spiega Russo - le maggiori Società scientifiche. Serve una struttura regolamentata II tavolo tecnico della Road Map - continua - non ha mai condiviso l'affermazione dei precedenti dirigenti ministeriali che la telemedicina sia solo'una tecnica di erogazione di una prestazione sanitaria già inserita nei LEA, dato che, per erogare una prestazione di telemedicina clinica, occorre creare centro servizi composto da medici, infermieri e tecnici informatici che si faccia carico di tutte le esigenze connesse. Ed è chiaro che una simile struttura debba essere regolamentata, sia dal punto di vista normativo che economico (linee guida, profili professionali, mansioni, responsabilità medico- legali, tariffario delle prestazioni etc.)".Per sensibilizzare il mondo politico su questo tema, il Presidente nazionale della Sit, Gianfranco Gensini, sottoporrà all'attenzione di Ferrucco Fazio, neo Sottosegretario di Stato alla Salute, un documento, elaborato dai componenti il Tavolo tecnico-scientifico della Road Map, per ribadire le ragioni dell'ineludibilità della richiesta di inserimento di alcune applicazioni di telemedicina clinica nei LEA. "II prossimo appuntamento della Road Map - conclude Russo - sarà a Vicenza il 30 ottobre in occasione di Medmatica 2008, dove sarà presentata una mappa dettagliata delle best practices di telemedicina realizzate nelle varie regioni italiane." L.S. _____________________________________________________ il Giornale 25 ott. ’08 IL TRAPIANTO DI CORNEA SI PUÒ EVITARE Messa a punto da oftalmologi italiani una nuova metodica per la cura del ceheratocono Il professor Caporossi, dell'università di Siena, ha applicato per primo questa procedura Luigi Cucchi Avanza anche nel Mezzogiorno la ricerca in oftalmologia. Ottimi risultati sono stati ottenuti nel combattere le patologie che colpiscono la cornea. La struttura trasparente a forma di cupola, situata nella porzione anteriore dell'occhio, rappresenta un fondamentale strumento per la visione, assieme al cristallino ed al corpo vitreo. Quando si verifica una distrofia, cioè una progressiva deformazione della cornea che tende ad assumere una forma conica, la visione risulta compromessa. Nell'85% dei casi questa patologia, definita cheratocono (cheratos dal greco corneo) colpisce entrambi gli occhi e sviluppa un astigmatismo miopico irregolare. «Questa malattia rappresenta la prima causa di trapianto di cornea in Europa, con circa 6.000 nuovi trapianti l'anno in Italia», ricorda Edoardo Stagni, medico oculista, ricercatore presso il dipartimento di neurofarmacologia dell'Università degli studi di Catania e responsabile del Centro di ricerca sperimentale in oftalmologia della Clinica Di Stefano Velina a Catania (edoardo.stagni@sooft.it). «Con l'evolversi della patologia, il paziente - precisa il dottor Stagni - lamenta una diminuzione progressiva della visione, soprattutto da lontano. Il peggioramento è irreversibile, con sempre maggiori distorsioni delle immagini». L'epidemiologia ci indica che in Italia una persona ogni 600 è affetta da cheratocono. L'occhio diviene più brillante, gli oggetti che si riflettono sulla cornea appaiono deformati, la cornea assume la forma a cono e negli stadi più evoluti si ulcera con comparsa di dolore, lacrimazione e spasmi. «Fino ad oggi-precisa i dottor Stagni - le uniche armi terapeutiche per l'oculista sono state rappresentate dagli occhiali e dalle lenti a contatto rigide, per correggere il difetto visivo nelle fasi più lievi della patologia. In uno stadio intermedio si può cercare di regolarizzare chirurgicamente l'astigmatismo mediante gli anelli intrastromali ottenendo però un risultato solamente refrattivo e non privo di complicanze postoperatorie. Nelle forme più avanzate si può solo intervenire chirurgicamente col trapianto della cornea. Il professor Caporossi, direttore del dipartimento di oculistica del Policlinico Universitario di Siena, ha messo a punto una tecnica denominata «Cross-linking» cioè legami a croce, che rendendo più dura la cornea la fa diventare indeformabile e così si arresta la sua evoluzione patologica. La terapia si attiva instillando delle gocce di un preparato (brevettato con marchio Ce) a base di vitamina B2 (riboflavina) sulla cornea ed esponendo la stessa ad una particolare luce ultravioletta emessa da una apparecchiatura omologata a livello internazionale (Vega). La reazione chimica dei raggi Uva, che stimolano la riboflavina, porta ad un rafforzamento dei legami nel collagene corneale con il loro conseguente indurimento». Questa tecnica sperimentale messa a punto all'Università di Siena nel 2004 (il dottor Stagni 'è stato allievo di Caporossi) è frutto di una ampia ricerca alla quale hanno partecipato più Centri di eccellenza, tra i quali: l'Istituto Humanitas di Milano (professor Paolo Vinciguerrà), la Clinica universitaria di Firenze (Rita Mencucci), l'università dell'Aquila (Leopoldo Spadea),l’università Cattolica di Roma (Emilio Balestrazzi), l'università di Bari (Gianni Alessio), Con questa metodica si riesce abloccare l'evoluzione della malattia ed, in molti casi, si verifica una diminuzione della curvatura della cornea. Il cross-linking è effettuato una sola volta e non sembra necessaria, in base alle conoscenze attuali, una ripetizione del trattamento. «Nel decorso postoperatorio - aggiunge il dottor Stagni - il paziente avverte dolore di lieve o media intensità e sensazione di corpo estraneo per circa tre giorni, fino a riepitelizzazione completata. Il Crosslinking si è dunque dimostrato efficace e, sempre più, viene proposto anche agli adulti con un cheratocono stabilizzato. I miglioramenti iniziano ad essere evidenti dal quarto sesto mese e sono ancora diagnosticati a distanza dall'intervento. In questi anni, il Cross-linking si è rapidamente diffuso in oltre trenta nazioni. In Italia si sono svolti numerosi corsi di abilitazione a questa tecnica e sono più di 800 i medici oculisti abilitati, oltre cento i centri in Italia in cui si pratica questa metodica che evita il trapianto di cornea». «Sono 5mila i trapianti di tornea che si eseguono ogni anno In Italia. il cross linking ne eviterà molti», afferma Edoardo Stagni _____________________________________________________ il Giornale 25 ott. ’08 CAGLIARI: SONO SETTEMILA GLI ITALIANI COLPITI DA TALASSEMIA A CAGLIARI UN INCONTRO SULL'ANEMIA MEDITERRANEA Oggi è più semplice eliminare l'eccesso di ferro Ignazio Mormino I malati italiani di talassemia major, la forma più grave, sono settemila; 3,5 milioni i portatori sani. La Talassemia (nota anche come anemia mediterranea) è una malattia del sangue provocata da un'alterazione della sintesi dei componenti dell'emoglobina. Ha carattere ereditario ma, per fortuna, la sua diffusione è limitata ad alcune aree geografiche del] 'Europa (Italia, Grecia, Turchia) e del sud-est asiatico (India, Cambogia, Vietnam). In Italia le regioni più colpite sono: la Sardegna, la Sicilia, le regioni meridionali e il delta del Po. I malati di talassemia major devono sottoporsi per tutta la vita a trasfusioni di sangue che riforniscono di globuli rossi il loro organismo. Tali trasfusioni sono causa di complicanze, tra cui l'accumulo di ferro in alcuni organi vitali, ferro che deve essere eliminato. A Cagliari, si è parlato per tre giorni di questa malattia, durante il quinto congresso nazionale della Società Italiana per lo studio della talassemia e delle emoglobinopatie. Incontro che ha riunito due cento specialisti italiani e stranieri, affiancati da un folto gruppo di biologi e infermieri, spesso protagonisti in quest'area di ricerca. Alla presidenza del congresso è stata chiamata la professoressa Eliana Lai, cattedratica di medicina interna e direttore del Centro di Studio della talassemia in età post pediatrica. Durante la sua relazione ha precisato che- almeno in Sardegna, la regione italiana più colpita - è già in atto una campagna di prevenzione che si fonda sullo «screening» nell'età scolastica. Questa campagna ha evidenziato che portatori sani di talassemia hanno 25 possibilità su cento di generare figli malati. Grazie alla continua ricerca si stanno inoltre affinando alcune nuove forme di diagnosi prenatale. Il professor Paolo Cianciulli, presidente della Società italiana per lo studio delle talassemie e delle emoglobinoterapie, ha sottolineato il ruolo fondamentale del trapianto di midollo osseo (anche da non consanguinei) nel trattamento della talassemia major ed i progressi della terapia genica i cui risultati appariranno solo tra alcuni anni. Diagnosi e terapia sono destinate nel prossimo futuro ad aumentare di efficacia. Fra i temi in discussione, anche la terapia ferrochelante, che riesce ad eliminare l'eccesso di ferro provocato dalla continue trasfusioni. Oggi in aggiunta alla terapia sottocutanea sono disponibili due farmaci per via orale che si basa su un principio attivo (nome clinico: deferasirox) che basta assumere una volta al giorno, con grande vantaggio anche psicologico. Da Cagliari è stato lanciato anche un appello ai talassemici ed alle loro famiglie: non rifiutate di curarvi. Quelli che l'hanno fatto (adolescenti o giovani sotto i vent'anni) sono andati incontro a gravi complicazioni. Non si deve mai abbassare la guardia, i controlli non vanno evitati. I talassemici- devono ricordarsi precise norme di comportamento, sono fondamentali. _____________________________________________________ Libero 25 ott. ’08 PELLE PIÙ BELLA E GIOVANE CON L’URINOTERAPIA STENO SARI L'urinoterapia è una terapia che suscita una reazione ripugnante, l'argomento è delicato e le persone in genere reagiscono con disgusto all'idea di curarsi con l'urina, «eppure all'interno della disciplina della naturologia, riveste un ruolo interessante sia per la sua diffusione (è praticata da milioni di persone) che efficacia». Me lo dice con convinzione il dott. Pierfrancesco Maria Rovere, scrittore; medico, compositore, autore di vari testi sul benessere. Fondatore del Neo post idealismo, della Neuro metafisica, della CCEA (Azione Coerente Cognitivo Emozionale) e della Teopneutica. Per affrontare un argomento a prima vista a dir poco controverso, lo intervisto a Gargnano, Lago di Garda, al Congresso Mondiale di Kinesiologia dove partecipa come relatore. «Vede, l’urina, oltre che rendere bella e giovane la pelle, ridurre le rughe, la cellulite e fare dimagrire, sembra essere l'unico medicamento del quale non sia stato riportato nessun effetto tossico quando usato correttamente». Mi parli delle origini di questa terapia «La semantica della parola urina conduce a due parti: uri-oro e ina-ana, cioè l'oro di se stessi. Rappresenta l'oro del nostro corpo, il risultato di uri alchimia misteriosa e profonda che racchiude l'elisir di lunga vita. L'origine dell'urinoterapia sembra essere indiana, il damar tantra nel Shivambù Kalpa Vidhi, un antico testo induista di 5.000 anni fa, ne cita l'utilizzo per ritrovare benessere, salute e lungavita. La troviamo anche nel Yoga Ratnakar (Mutrasthakam), nel Susruta (Mutrawarg 228) e in antiche tradizioni tibetane, taoiste e sciamaniche». Come ci si può curare con un prodotto di scarto? «L'urina non è il prodotto di scarto dell'intestino, ma è il risultato della filtrazione del sangue da parte dei reni, è -il distillato fisiologico del sangue. Contiene il surplus delle sostanze presenti nel torrente circolatorio: vitamine, minerali, ormoni, enzimi, anticorpi, sostanze antitumorali (ne sono state identificate oltre 100) e anche i prodotti di scarto presenti nel sangue. Siccome il sangue è normalmente sterile, anche l'urina filtrata dai reni è sterile». Quali effetti produce? «Nutre il corpo con le sostanze presenti nel sangue e stimola la produzione di anticorpi e la disintossicazione tramite la presenza di antigeni. Quando si beve l'urina, questa scorre nel sistema digestivo, la parte utile viene assorbita dall'intestino e quella superflua viene eliminata attraverso le feci. Tramite dei recettori orali; le tonsille, l'anello di Waldayer e le placche linfatiche intestinali, l'organismo viene informato sulla presenza di antigeni scappati all'informazione endovasale del sangue e può attuare nuove strategie di difesa. Questo può spiegare perché l'influenza o altre malattie infettive si risolvono così velocemente con l'assunzione orale e i gargarismi di urina». Ci sono obiezioni di carattere psicologico, suscita repulsione, ha un sapore disgustoso, è contro natura «Chi rifiuta per motivi psicologici l'urina utilizza poi il proprio sangue (da cui deriva l'urina), colture di batteri intestinali, parti di placenta, solo per fare alcuni esempi. Il suo gusto misura la purezza del nostro organismo. Il primo impatto normalmente è di disgusto a causa di un'abitudine comune a pensarlo. In realtà dopo poche assunzioni, fl gusto viene accettato gradevolmente, leggermente salato col sapore di brodo di verdura. Mangiando correttamente, il gusto si trasforma fino ad avere il sapore di succo di frutta. Per quanto riguarda il suo essere "contro natura" ci dimentichiamo che quando eravamo nel ventre di nostra madre abbiamo bevuto l'urina per mesi, infatti il feto svuota regolarmente la propria vescica nel liquido amniotico che beve a piccoli sorsi durante la gestazione». Quali sono le precauzioni da prendere? «Non assumerla durante la chemioterapia, non bere l'inizio e la fine della minzione, non massaggiare ulcere, piaghe, cicatrici, cisti, tumori, ma fare dei veloci impacchi. Non assumere sostanze tossiche, non applicarla su dermatosi senza bollirla, non bere quella altrui, non fare impacchi su ulcere diabetiche, non utilizzare sui problemi dermatologici urina acida (in diabete conclamato, dopo aver assunto latte, carni, ecc). In estate quando c'è molta sudorazione l'urina è molto concentrata e ricca di Sali, la si deve diluire per non procurarsi la diarrea. Con intense reazioni usare diluizioni omeopatiche. Specie nei centri urbanizzati è vietato iniettarla perla presenza di sostanze tossiche legate all'ambiente e al cibo manipolato geneticamente e chimicamente che il mesenchima non riesce a drenare. Sono stati segnalati basiliomi nella sede dell'iniezione e reazioni cardiache. Lo stesso vale per iniezioni endovenose in quanto provoca modificazione dei globuli rossi con perdita della loro forma e degenerazione». Ci sono controindicazioni? «Se la persona ha dei batteri dovuti a problemi vescicali, renali o malattie veneree deve evitare di utilizzarla in quanto porterebbe i batteri in giro per il corpo e diffonderebbe l'infezione. Per praticare l’urinoterapia serve urina sana e questo può esser evidenziato da un normale esame delle urine. Alcuni effetti secondari sono la diarrea, il vomito e il prurito. L'urina è una medicina, deve essere assunta con consapevolezza e conoscenza. L'uso improprio può creare effetti fastidiosi. Per questo ho sviluppato una scuola di Trino helper" per formare persone qualificate». Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. ___________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 25 ott. ’08 UN SOLO ESAME «LOW COST» PER TUTTE LE MALATTIE EREDITARI*( Londra Pronto per la vendita a duemila curo. Sarà vietato in Italia Nuovo test sull'embrione scoverà I S mila difetti genetici MILANO - Un solo test per individuare quasi tutte le malattie genetiche ereditarie conosciute. Con la risposta in due settimane. Si chiama Karyomapping, ed è una tecnica messa a punto da ricercatori britannici. Consente alle coppie affette da malattie ereditarie che ricorrono alla fecondazione assistita di sapere se l'embrione da impiantare in utero è sano oppure no. Una rivoluzione che riapre il dibattito sull'eugenetica. II rischio è che i genitori arrivino a selezionare bimbi perfetti: dal sesso al colore degli occhi. Attualmente, soltanto una minuscola parte delle i5.ooo malattie genetiche (35o al massimo) può essere rilevata. Oltretutto, è possibile individuare un difetto per volta e dover aspettare il responso per mesi. La nuova tecnica, invece, parte dalla mappatura genetica dei genitori e (se ci sono) dei fratellini (basta un tampone di saliva). Poi avviene il confronto con una cellula dell'embrione creato in provetta quando è allo stadio di otto cellule: un paio di giorni di vita. Dopo 2-3 settimane al massimo si ha la risposta. II test è ,stato messo a punto da Alan Handyside del Bridge Centre Hospital di Londra: Potrebbe entrare in commercio il prossimo anno, se ci sarà il via libera delle autorità competenti. Il suo costo all'inizio si aggirerà attorno alle i.5oo sterline (circa duemila curo). L'importanza di Karyomapping peraltro è duplice: può, infatti, rilevare le anomalie cromosomiche che portano a morte gli embrioni impiantati. Dice il genetista inglese: «Il test potrà selezionare gli embrioni con la migliore probabilità di sviluppo, aumentando gli indici di successo della fecondazione artificiale». Vietato l'uso eugenetico e la selezione del sesso, a meno che la malattia ereditaria non sia legata al genere. Handyside presenterà ora la nuova tecnica, sviluppata con il genetista americano Gary Harton (Fairfax, Virginia), al congresso di Hinxton (Cambridge) e il mese prossimo a Sai Francisco, durante l’annuale summit della Società americana di medicina riproduttiva. Ovviamente i centri anti-sterilità italiani non potranno usufruirne: la legge 4o che regola la fecondazione medicalmente assistita impedisce i test preimpianto sugli embrioni. Quindi, probabilmente, le coppie affette da malattie ereditarie emigreranno all'estero. Nel frattempo, la Camera dei Comuni di Londra ha approvato la legge che dà il via libera alla sperimentazione dei cosiddetti «embrioni chimera», composti da Dna umano impiantato in cellule animali. La nuova normativa prevede anche la creazione di embrioni geneticamente manipolati per essere compatibili con fratelli o sorelle portatori di malattia. Mario Pappagallo L'analisi avviene creando embrioni in vitro. Può individuare anche se il nascituro avrà diabete o cancro ________________________________________________________ MILANO FINANZA 25 ott. ’08 GEL AL POSTO DELL'INIEZIONE PER LE OPERAZIONI AGLI OCCHI Anestetizzare l'occhio da sottoporre a ~ un intervento oftalmico applicando, localmente un gel anestetico anziché praticando un'iniezione. Negli Stati Uniti sarà commercializzato a breve un gel anestetico oculare da utilizzare per via topica prodotto dall’azienda statunitense Akorn, che ne ha annunciato di recente l'approvazione da parte della Food and Drug Administration. L'approvazione ha fatto seguito ai risultati positivi di uno studio di fase III condotto su oltre 200 persone. Il gel sarebbe utilizzabile in tutti i casi di interventi oculari che richiedano un'anestesia superficiale dell'occhio come quello di cataratta. In generale l'anestesia topica in ambito oftalmico rappresenta un grande passo in avanti per ridurre il trauma chirurgico, perché non è necessario ricorrere a iniezioni per anestetizzare il bulbo e le palpebre. Nel caso della cataratta per esempio, la facoemulsificazione avanzata ossia l'asportazione del cristallino mediante ultrasuoni, offre il vantaggio di poter essere effettuata con una semplice anestesia superficiale mediante fuso di gocce anestetiche. Si evitano così possibili ematomi, emorragie o fattori irritativi legati all’infiltrazione di anestetici o all'uso contemporaneo di farmaci antiaggreganti o anticoagulanti per malattie generali. L'occhio al termine dell'intervento è normalmente mobile e sensibile; risulta pertanto superfluo il bendaggio oculare, che per molti pazienti comporta un notevole disagio. L'anestesia topica richiede un'ottima preparazione tecnica del chirurgo abbinata a un'adeguata collaborazione da parte del paziente, motivo per cui non è consigliabile in caso di interventi impegnativi su pazienti reattivi o particolarmente sensibili. In questo contesto si inserisce il gel di recente approvazione, un prodotto a base di lidocaina, principio attivo conosciuto da tempo e utilizzato nelle procedure oftalmiche; il gel contiene il3,5 % di principio attivo in un mezzo privo di conservanti e a PH fisiologico e si presenta sottoforma di gel monodose conservabile a temperatura ambiente. Presentandosi come gel viscoso, l'anestetico può garantire un contatto localizzato con l'area da anestetizzare ma prolungato nel tempo. Lo studio multicentrico ha dimostrato che il gel garantisce una comparsa rapida dell'effetto anestetico, tra i 20 e 60 secondi dall’applicazione con una durata variabile tra 5 e 30 minuti, Lo studio di fase III ha coinvolto oltre 200 persone suddivise in quattro gruppi cui è stato somministrato un placebo, oppure il gel oftalmico in tre diversi dosaggi (1,5, 2,5 e 3,5 %). L'anestesia intraoculare è stata raggiunta entro cinque minuti dall'applicazione nel 92% dei pazienti trattati con la dose superiore. Il tempo medio di comparsa dell'anestesia variava da 20 secondi a 5 minuti e non era dipendente dalla dose di principio attivo somministrato. La durata media nel gruppo trattato con la dose maggiore era di 15 minuti e non si è valutato l'effetto di applicazioni ripetute dell'anestetico. Il prodotto non ha particolari controindicazioni, i principali effetti avversi sono la dilatazione dei vasi sanguigni della congiuntiva (iperemia), il danneggiamento dell'epitelio corneale, mal di testa e bruciore in seguito all'applicazione. Alla luce dei risultati ottenuti l’azienda prevede un potenziale utilizzo del gel oftalmico in ogni procedura, ospedaliera o ambulatoriale, che richieda un agente anestetico da applicare sulla superficie oculare per via topica. Le principali applicazioni includono gli interventi di cataratta, la chirurgia refrattiva o le iniezioni intraoculari. (riproduzione riservata)