CONCORSI PER DOCENTI, CAOS SULLE NUOVE REGOLE - GELMINI E L'IDEOLOGIA DELLA MERITOCRAZIA - UNIVERSITÀ NEL CAOS LA METÀ DEGLI ATENEI È SOTTO INCHIESTA - IL MERCATO DEI GRANDI CERVELLI - UNIVERSITÀ, NEPOTISMO E CLIENTELE LA POLEMICA SI SPOSTA IN SARDEGNA - UNIVERSITÀ, SE LA RICERCA DIVENTA UN NON-IMPIEGO - QUEI FONDI EUROPEI BUTTATI NEL CESTINO - PROFESSIONE RICERCATORE - CAGLIARI: JOB PLACEMENT UN TRAMPOLINO PER IL LAVORO - I NUOVI ARCHIMEDE AL LAVORO IN SARDEGNA - IL COMPUTER QUANTICO È PIÙ VICINO - LA RIVOLTA DEL LAVORO COGNITIVO - ======================================================= ATLANTE «ERA 2008»: CENTRO-SUD A TUTTO OSPEDALE - L'ITALIA SPACCATA DEI RICOVERI: IL TOP A LANUSEI - MELONI:MEGLIO TORNARE A SU CONNOTTU - STUDIO SULLA SANITÀ: AL CENTRO-SUD PIÙ RICOVERI - L'ERRORE NON SARÀ PIÙ REATO: PRONTA LA LEGGE PER I DOTTORI - SANITA’ e ICT: L'INNOVAZIONE SECONDO I DG - FSE: UN PERCORSO CONDIVISO PER LA DEFINIZIONE DI STANDARD NAZIONALI - LA SALUTE SCRITTA IN UN FILE - CON L'E-HEALTH NON SI FANNO DIAGNOSI - ODONTOIATRIA DI QUALITÀ PER GLI ITALIANI - LA REUMATOLOGIA VERSO TERAPIE RIVOLUZIONARIE - ADDIO ALL'INCUBO DEL PRELIEVO DI SANGUE - FASCI DI IONI CONTRO I TUMORI - LE NUOVE CONQUISTE DELLA CARDIOLOGIA - PREVENZIONE DELLO SCOMPENSO CARDIACO - CAGLIARI: AUTISMO, IL SEGRETO È NELLA SALIVA - CANCRO AL SENO: PIÙ CASI, PIÙ CURE - ======================================================= ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 nov. ’08 CONCORSI PER DOCENTI, CAOS SULLE NUOVE REGOLE i tempi del decreto. Audizioni da martedì, in Aula nella prima settimana di dicembre Professori insufficienti per formare le commissioni Alessia Tripodi ROMA Decreto Gelmini in Aula entro la prima settimana di dicembre. Ma sull'attuazione delle linee guida per gli atenei il ministro dell'Istruzione non avrebbe ancora deciso se partire dalla riforma del reclutamento o dalla governance. Intanto, i concorsi per docenti restano sospesi in attesa che le commissioni vengano composte secondo le nuove regole. Regole che, per certi settori disciplinari, potrebbero risultare difficili da applicare. In un clima surriscaldato dalla protesta degli studenti contro i tagli previsti dalla legge 133/08 - la manovra finanziaria d'estate -prosegue l’iter del decreto legge n. 180 approvato 10 scorso 6 novembre dal Consiglio dei ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 263 del 10 novembre, che prevede quasi 550 milioni di euro per le università più virtuose, divieto di assunzioni per gli atenei con i bilanci in rosso, riduzione del blocco del turn over e nuove disposizioni per i concorsi per docenti e ricercatori. Oltre a 135 milioni di euro per borse di studio e 65 milioni per l'edilizia universitaria. Mercoledì scorso il testo è arrivato in commissione Istruzione al Senato, dove martedì prossimo dovrebbero iniziare le audizioni. Il termine per la presentazione degli emendamenti, poi, dovrebbe essere fissato per la fine della prossima settimana, in modo da procedere al voto e «far approdare il decreto in Aula - ha detto il senatore Giuseppe Valditara (Pdl), relatore del testo in commissione - intorno alla prima settimana di dicembre». Il decreto - che ha incassato i giudizi positivi della Crui, la Conferenza dei rettori, e di Cisl, Ugl e Snals soddisfatti per «i segnali di apertura da parte del ministro» -mette in campo misure che permetteranno, secondo le stime del ministero, l'assunzione di qmila nuovi ricercatori. Innanzitutto, l'allentamento del blocco del turn over, che passa dal 20% (limite stabilito nella manovra finanziaria) al 50%, con l'obbligo di destinare il 600io della spesa all'ingresso di giovani ricercatori e il i00io all'assunzione di ordinari. Trattandosi, poi, di un vincolo di spesa, gli atenei potranno anche assumere, per esempio, due ricercatori per ogni ordinario in pensione. Dal blocco del turn over, inoltre, saranno esclusi i 2.300 posti da ricercatori già banditi, così come gli enti di ricerca, anch'essi esentati dalla stretta sulle assunzioni. Divieto di assumere, invece; per quelle università che spendono per il personale più del 9obio del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) per il personale e che saranno anche escluse dal fondo straordinario per i nuovi ricercatori, pari a 40 milioni di euro per il 2008 e 40 milioni per il 2009. Ma sono le regole sulla composizione delle commissioni per i concorsi che suscitano qualche perplessità tra i docenti. Il decreto stabilisce che - per il reclutamento dei professori di prima e seconda fascia - le commissioni siano composte da i membro interno alla facoltà che ha bandito il concorso e da quattro membri sorteggiati da un elenco di commissari eletti dalla comunità scientifica, in numero triplo rispetto a quelli da sorteggiare. Ciò significa che sarà necessario eleggere il triplo dei 4 membri moltiplicato per il numero dei concorsi banditi. Un numero che, per alcuni settori disciplinari, potrebbe non essere raggiunto per una concreta mancanza di docenti, rendendo necessario, così, il ricorso a settori disciplinari affini. Proprio dal reclutamento, dunque, potrebbe partire la riforma del ministro Mariastella Gelmini, che nelle linee guida per l'università - presentate lo scorso 6 novembre insìeme al decreto - ha ipotizzato un meccanismo basato sul merito e sulla distinzione tra reclutamento e promozione per gli ordinari e gli associati. ______________________________________________________________ Il Manifesto 18 nov. ’08 L'IDEOLOGIA DELLA MERITOCRAZIA Giuseppe Calicetl Da una parte c'è la meritocrazia, dall'altra l'egualitarismo: voi da che parte state? Questa è la subdola domandina che la Gelmini sta ponendo da giorni all'opposizione. Come se egualitarismo e meritocrazìa fossero facce di una stessa medaglia. «Noi vogliamo cancellare dalla scuola e dall'università l'ideologia dell’eguatitarismo», ha detto, vogliamo cancellare l'ideologia del 18 o del 6 politico a tutti. E ha aggiunto: «Lo vogliamo fare perché abbiamo fiducia nelle persone e vogliamo premiare il merito». Figurarsi. Di fronte al crescere dell'Onda, appare chiaro che le parale «meritocrazia - declinata ora nella volontà di cancellare una presunta «ideologia dell'egualitarismo» - resta la preferita da Gelmini per tendere una trappola all'opposizione, se è vero che, parlandone, fa «un appello all'opposizione e a una parlamentare che stimo», Mariapia Garavaglia; sua omologa del governo-ombra, a cui chiede «un contributo per migliorare la scuola». A parte che Garavaglia non rappresenta l'Onda, Gelmini non parla comunque a caso di «ideologia dell'egualitarismo». Così facendo, intende tirare in ballo i movimenti del '68 e del '77. Per correttezza, occorrerebbe che ricordasse anche come tutto o quasi quello che di nuovo si è avuto nella scuola pubblica italiana e nell'università negli ultimi 30 anni avvenne proprio in quegli anni. Per esempio, si deve a quegli anni il superamento di un'idea classista e privatistica dell'istruzione e della formazione, troppo simile a quella che propone oggi il governo riportando le lancette della storia della scuola italiana indietro di almeno 40 anni. Un'ulteriore considerazione.- se questa presunta «ideologia dell'egualitarismo» può apparire oggi sorpassata alle superiori e all'università, in cui si propone un modello di formazione per lo più aziendalistica proiettata al raggiungimento del lavoro, la meritocrazia appare invece assai più discutibile nella scuola dell'obbligo e, in particolare, nella scuola primaria. Gelmini non dovrebbe infatti dimenticare l'articolo 3 della Costituzione. Per cui o considera la Carta sorpassata, comunista e troppo egalitaria. O l'uso strumentale di termini come meritocrazio ed «egualitarismo» risultano ridicoli e del tutto fuori luogo. Quando parliamo di scuola, infatti, stiamo parlando di un periodo di formazione, di un processo di crescita di un individuo. Se può avere un senso premiare il merito all'interno di un'azienda o al termine di un processo di apprendimento, ne ha un senso completamente diverso, per non dire opposta, premiare il merito prima o durante un processo formativo. É come sostenere che compito della Repubblica italiana - e in particolare, della Scuola, che ne è una delle istituzioni deputate - non è più cercare di rimuovergli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Sostenendo deliberatamente che la scuola non debba più promuovere il pieno sviluppo della persona e la partecipazione effettiva di tutti alla vita. politica, economica e sociale del Paese. Altro che «ideologia dell’ egualitarismo» la Gelmini propone una inaccettabile «meritocrazia preventiva». ______________________________________________________________ Il Giornale 22 nov. ’08 UNIVERSITÀ NEL CAOS LA METÀ DEGLI ATENEI È SOTTO INCHIESTA DALL'AULA MAGNA AL TRIBUNALE Concorsi farsa, parentopoli scandali sessuali, esami venduti Trenta istituzioni su 66 sono nel mirino dei magistrati Gian Marco Chiocci Luca Rocca Concorsi farsa, parentopoli, baronati, esami venduti, test fantasma, appalti, sesso per un trenta senza lode. Ecco tutte le inchieste avviate sulle università da parte di procure, giudici contabili, tribunali amministrativi. Nonché istruttorie «intemey avviate dagli stessi atenei, rivelazioni degli studenti anti-baroni. Una trentina di fascicoli aperti su un totale di 66 atenei in Italia. Vuol dire che praticamente la metà delle università in un modo o nell'altro è coinvolta in uno scandalo. La maxi-truffa alla Ue. L'ultimo scandalo esplode all'Università della Calabria, a Cosenza, denunciata come persona giuridica nell'inchiesta su una truffa gigantesca ai danni dell'Unione Europea. Coinvolti e indagati anche due docenti. Test farsa ed esami comprati. Indagate 17 persone a giurisprudenza a Catanzaro: un funzionario per aver falsificato i libretti degli esami e 16 ex studenti che hanno pagato per superare l’esame. A medicina inchiesta sui test d'ammissione, con domande suggerite prima ai concorrenti. Sotto indagine a Bergamo Sl persone accusate di aver fotocopiato, a fine di lucro, dispense protette da diritto d'autore. La procura pugliese s'imbatte in alcuni studenti, molti stranieri, concussi da solerti funzionari. Fra i 500 e i 3mila euro per passare l'esame. Arresti domiciliari a Bari per sei persone fra prof e dipendenti. Si è indagato sui test d'ammissione alla facoltà di medicina e chirurgia di Bari, Ancona e Chieti. Reati ipotizzati? Truffa e concorso in corruzione. I candidati ricevevano le risposte prima, sui telefonini. Il prof vince copiando. Sempre a Bari un professore si aggiudica un concorso da associato presentando un libro copiato da un testo francese. Indagato lui e 5 componenti della commissione. Concorso davvero sexy. Scorciatoia a «luci rosse» all'ateneo di Torino per accedere alla scuola di medicina legale. Una delle candidate confessa di non aver superato la prova solo perché aveva troncato, la relazione con il 77enne presidente della commissione. Professore di lingue dell'Unibas (Matera) è stato arrestato perché chiedeva sesso alle studentesse che in cambio superavano l'esame. Con lui indagati altri due docenti. Appalti e malaffare. Il quotidiano la Repubblica svela il malaffare a Messina: concorsi truccati, compravendita di esami, gare truccate. Il rettore viene prima sospeso e poi rinviato a giudizio per abuso d'ufficio, minacce e tentata concussione, insieme ad altri 22 tra docenti e personale amministrativo, Un professore. Cucinotta, denuncia concorsi truccati per favorire figli di docenti e magistrati, A Messina si è indagato sui soldi dati a un artista per ritrarre l'antico terremoto. E la moglie di un prof sarebbe finita sotto inchiesta per un'indagine sulle forniture all'università. Parentopoli alla romana. La procura di Roma ha molti fronti aperti sulla Sapienza e sul Policlinico dagli appalti (forniture di lenzuola e camici ad esempio) ai concorsi pilotati. Sotto inchiesta per abuso d'ufficio era finito l'ex rettore per l'assegnazione di tre incarichi di ricercatore alle due figlie c aduno dei generi. Indagini anche sul parcheggio da 8,8 milioni di curo. Sostanze cancerogene. A Catania sotto sequestro la facoltà di farmacia perché contaminata dalla presenza di sostanze pericolose in percentuali elevatissime scaricate nei lavandini. Nove persone nel mirino. Un rosso doc. Buco di 240 milioni di curo a Siena anche a causa di segretarie in soprannumero, 135 bibliotecari, in 7 al sito Internet, 4 all'ufficio stampa, 8 alle relazione esterne. C'è l'ordinario con la figlia ricercatrice nella stessa facoltà; c'è il docente e i due figli che hanno vinto un dottorato nella stessa disciplina; c'è il prof in pensione che ha passato il testimone alla figlia, E che dire dell'ex rettore che insegna anatomia patologica e il figlio è diventato ricercatore di oculistica: sul concorso è stata aperta un'inchiesta. Io pago, tu mi promuovi. La procura di Napoli indaga per corruzione e falso per esami venduti al Federico II. AL «Barone daye; ideato dagli studenti, è emerso che ci sarebbero 105 rasi di «legami di sangue fra docenti, 32 solo ad economia, molti a medicina. L'albero genealogico. È lunghissima l'elenco di cognomi che si ripetono al policlinico Gemelli di Roma. Il professore che nello stesso istituto lavora accanto al figlio; il dottore che presiede il corso di laurea dove la moglie è docente; il papà che dirige la scuola di specializzazione della materia di cui è titolare la figlia, eccetera. A Udine un professore ha 12 parenti in una sola facoltà, altrove c'è chi ne racimola solo quattro. A Palermo sono 230 i docenti legati da vincoli di parentela: 58 a medicina, 23 ad agraria, 21 a giurisprudenza. Il figlio del rettore di Firenze e la figlia del prorettore conquistano due cattedre a medicina vincendo due concorsi per due insegnamenti che prima d'allora non esistevano. Indaga la magistratura. Parentopoli lucana(denunciata dai sindacati) di professori e impiegati amministrativi. Circa 50 i casi. Dieci unioni coniugali, 18 i fratelli, e poi figli, cognati e conviventi. A Tor Vergata il rettore tiene famiglia: ordinario di biochimica ha in facoltà figlio e due nipoti. Poi c'è un preside con il figlio ordinario nello stesso dipartimento. A Bologna sotto inchiesta decine di professori e la preside di medicina, Il rettore denunciato» in un'interrogazione parlamentare perché il figlio è professore di economia, la nuora associata, la cognata insegna psicologia. È di Padova, figlio di un barone, il medico sotto inchiesta per essersi fatto pagare un cesareo nella città di Sant'Antonio quando, in realtà, era a Shanghai. Sospeso. Le poltrone del Magnifico. Rettore stocanovista, quello di Chieti, Presidente del Consiglio superiore di sanità, presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, presidente della Commissione per l'aggiornamento delle linee guida della legge 40/2004 sulla procreazione assistita, presidente del c00rdinamento delle università abruzzesi, presidente della Fondazione universitaria d'Annunzio e quant'altro. La procura vuole vederci chiaro. Sviste umane. L'inchiesta sulla selezione dei docenti al Sum (Istituto Scienze Umane) ha visto indagati sei professori nel filone tra Firenze e Napoli. È come un supermarket. Parliamo di Lecce, in questo caso l'indagine interna avviata dal rettore per valutare la legittimità dei cosiddetti =esami accorpati nella facoltà di scienze sociali. Alcuni studenti hanno denunciato -la svendita di esami come al supermercato». Ricercopoli a buon mercato. Peculato e truffa i reati ipotizzati per il responsabile di gastroenterologia, arrestato e poi rimesso in libertà. Per la procura di Perugia avrebbe utilizzato fondi pubblici per realizzare falsi lavori scientifici pubblicati su prestigiose riviste internazionali. Farmacî troppo generici. Bufera sul dipartimento di anatomia a Torino. Nei guai un accademico di spicco del p00l di farmacologia che avrebbe falsificato uno studio sui farmaci generici. Da qui un secondo filone d'indagine per disastro colposo. Altre inchieste per irregolarità nei concorsi (indagato un primarìo) per raccomandazioni a giovani laureati. Primario condannato. Ospedale Careggi di Firenze: un prof ha favorito una collega per un posto, ed è stato condannato a 9 mesi di reclusione per abuso d'ufficio insieme alla dottoressa, diventata sua compagna. L'autogol della prof. Nel 2006 arriva un esposto in procura dove una prof ipotizza reati commessi all'università della Basilicata. Due anni dopo, però, finisce lei in carcere per peculato e concussione, Sospesa, urla al complotto, alla fine viene reintegrata. Il bando da rifare. Interrogazioni parlamentari e inchieste sul posto per cardiochirurgo all'ospedale Goretti di Latina. Nell'inchiesta nomi eccellenti. Stesso sangue del rettore. A Salerno, al concorso, si presenta solo il figlio del Magnifico quando i partecipanti dovevano essere sei. l commissari ammettono che il giovane non aveva fatto nessuna pubblicazione, ma affermano che però aveva svolto delle ottime ricerche. Di padre in figlio. In quel di Foggia il Rettore assume il figlio come docente il giorno prima di lasciare l'incarico. Col figlio c'è l'altra figlia, dirigente, come prima sua madre, del personale tecnico amministrativo. Impiegati in Ateneo anche una nipote, una nuora e il marito della figlia. CATANIA Nove persone nel mirino: gettavano sostanze cancerogene nei lavandini TORINO Per le aspiranti specializzande c'era una scorciatoia a luci rosse FAMIGLIE A Palermo il record di docenti legati tra foro da parentela: sono 230 TRUCCHI Arrestate s persone che vendevano i test agli studenti _ _ di medicina REGGIO CALABRIA Maxi truffa ai danni deil'Ue CATANZARO Esami comprati BERGAMO le fotocopie d'oro BARI Esami comprati ANCONA Test d'ammissione fantasma CHIETI Test d'ammissione fantasma BARI Test d'ammissione fantasma BARI I prof vince copiando TORINO Sexy concorso MESSINA Mafia e appalti ROMA Parentopoli CATANIA Sostanze cancerogene in facoltà SIENA Sprofondo rosso NAPOLI Esami a pagamento CHIETI Parentopoli ______________________________________________________________ La Repubblica 22 nov. ’08 IL MERCATO DEI GRANDI CERVELLI Il sintomo del nostro declino è. nel mancato richiamo delle intelligenze dagli altri paesi., visto che la capacità di attrattiva dei nostri atenei è ridotta al minimo Un saldo decisamente passivo SIMONETTA FIORI Prima esportavamo camerieri e pizzaioli, oggi fisici nucleari ed economisti, premi Nobel e studiosi di fama mondiale. Nell'arco di pochi decenni è radicalmente mutata la qualità dell'emigrazione italiana, fino a disegnare una piramide sociale rovesciata e una geografia culturale irriconoscibile. Dagli Appennini alle Ande riscritto oggi narrerebbe le gesta invece del bambino derelitto in cerca della povera madre emigrata a Buenos Aires di un dignitoso quanto anonimo signore che da un paese del Nord d'Italia va a trovare il figlio acclamato genietto delle nano-tecnologie. Le testimonianze raccolte in questi giorni dal sito di Repubblica restituiscono paradossi e lacerazioni di un fenomeno che i sociologi chiamano brain drain (emigrazione altamente qualificata), più espressivamente «fuga dei cervelli». Una tendenza che è andata sensibilmente crescendo a partire dagli anni Novanta, consegnando all'Italia una sorta di primato: nessun paese dell'Oecd (Organisatian for Bconomic Cooperation and Development) esporta tanti laureati come il nostro paese. In soli sette anni (dal 1990 al 1997) il numero di laureati destinati all'estero è aumentato di cinque volte, fenomeno che nel decennio successivo è cresciuto proporzionalmente al voto di laurea e al prestigio dell'università frequentata. Più sono bravi e accademicamente blasonati, più sono orientati a varcare i confini. Una recente ricerca della Facoltà di Sociologia di Trento documenta l'alta percentuale di italiani impegnati nel mondo accademico americano. Una tendenza solo negativa? Più che di fuga, pretenderei parlare di mobilità di cervelli e conoscenze», dice Enrico Todisco, economista della Sapienza e autore di studi sul brain-movement. Siamo o non siamo un paese di antica tradizione cosmopolita, fucina di talenti esportati sin dai Cinquecento in tutto il mondo? Secondo Aldo Schiavone, direttore del Sum, l'Istituto italiano di scienze umane (network che comprende scuole di eccellenza in diverse città), il problema non è rappresentato dall'emigrazione delle intelligenze italiane, segno comunque d'una vitalità nel solco tracciato dal Rinascimento. Il sintomo del nostro declino è invece da rintracciare nel primato opposto, ossia nel mancato richiamo delle intelligenze dagli altri paesi. «Il saldo è decisamente passivo», dice Schiavone. «La capacità di attrattiva dei nostri atenei è ridotta al minimo», e i tagli annunciati dal governo certo non aiutano. Un quadro ben fotografato dal grafico fornito da Vision, équipe di giovani studiosi per larga parte impegnati presso università straniere (vision.website.eu) : il colonnino italiano dei laureati emigrati nel 2004 si staglia come una guglia gotica sul colonnino che quantifica gli immigrati, disegnando un primato italiano sia nella straordinaria esportazione sia nella quasi nulla importazione. Anche i numeri resi pubblici sul sito del Miur, Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, quantificano l'irrilevanza degli stranieri nei dottorati di ricerca (dal Duemila tra il 2 e 3 per cento rispetto al totale degli iscritti). «Che i nostri giovani studiosi siano ospitati in Nord America o in Canada, in Francia o in Inghilterra», interviene il demografo Massimo Livi Sacci, «è un fattore di per sé positivo. Preoccupa di più la nostra incapacità di ricambiare». Esigue le risorse economiche, e ancora inferiori le prospettive di carriera. Se il problema affligge soprattutto l'Italia, l'Europa non se la passa bene. Dice Daniele Archibugi, economista allievo di Federico Caffè, professore a Londra presso il Birbeck College. «Ho presieduto di recente un gruppo di esperti della Commissione Europea sulla c00perazione internazionale nella scienza e nella tecnologia. La conclusione è assai semplice: visto il declino demografico europeo, abbiamo bisogno di importare nei prossimi venticinque anni almeno due milioni di cervelli dai paesi in via di sviluppo per continuare a sostenere il nostro livello di vita. La situazione è ovviamente più grave nei paesi con maggiore declino demografico, e l'Italia figura tra questi». Nel "sequestro" dei talenti, veri maestri sono gli americani, che con borse di studio, incentivi e accordi di collaborazione attraggono intelligenze da ogni angolo del pianeta. «Ma se non riusciamo a sistemare i no stri ragazzi, come sarà possibile sistemare tutti gli altri?». Un elemento su cui conviene soffermarsi è l'assenza in Italia d'una mappatura completa dei ricercatori che operino all'estero. Il Miur non prevede questa servizio e qualche anno fa il Cnr ha chiuso l'istituto che si occupava di politica della scienza e della tecnologia. Spiega Archibugi: «Il compito dell'Istituto era quello di produrre ogni anno una relazione sullo stato di scienza e tecnologia nel nostro paese: quanti ricercatori operano all'estero, il lavoro svolto, l'impatto nelle rassegne internazionali, l'invecchiamento del personale italiano, i1 numero dei dottori di ricerca. In sostanza, una radiografia sullo stato della ricerca in Italia, commisurato con la situazione degli altri paesi. Ora questo non si fa più». Forse per evitare di documentare il declino italiano? Se non regge l'ipotesi maliziosa, rimane il sintomo di un preoccupante disinteresse. La mancata fotografia nazionale dei cervelli in fuga restituisce anche 1a dispersione di queste energie. Non solo è remota la possibilità che facciano rientro in Italia, ma non esiste neppure una rete rete che raccolga gli studiosi in un proficuo scambio con il paese d'origine. Un'eccezione è rappresentata dalia rete creata l'anno scorsa da Schiavane, la Nisa (Network of Italian Scholar Abroad), che mette insieme gli oltre trecento professori italiani impegnati stabilmente nelle università nordamericane nel campo delle scienze umane (dall'economia alla sociologia, dalla filosofia alla letteratura). Il proposito è proprio quello di sottrarre gli accademici italiani da una sorta di "esilio culturale", sottolineando il nostro contributo nell'organizzazione scientifica dei paesi più avanzati. «Una pila elettrica», la definisce Remo Bodei, insigne filosofo che insegna da tempo all'Università della California. Un alimentatore capace di accendere contatti previsti. Ma che rischia di rimanere una luce solitaria nel buio dell'università italiana. Nel suo libro su L'università truccata, Roberto Perotti - oggi professore alla Bocconi dopo aver ottenuto una «cattedra avita» alla Columbia University - lamenta "distrazione" anche in un contesto d'eccellenza come quello in cui opera. «Tra gli atenei italiani la Bocconi è uno dei più internazionalizzati, con un nucleo consistente di professori che hanno studiato e insegnato all'estero. Eppure, nonostante le numerose iniziative, le risorse destinate a questo scopo rimangono irrisorie rispetto a quelle spese per intrattenere giornalisti o per organizzare incontri e convegni di grande richiamo mediatica ma di basso contenuto scientifico». Gli atenei statunitensi e d europei, aggiunge Perotti nel saggio einaudiano , abbondano di studiosi italiani di fama mondiale, molti dei quali sarebbero disposti a tornare se fossero assicurate condizioni economiche accettabili. «Calcolando che i migliori docenti di economia degli Usa possono costare circa trecento-quattrocento mila dollari, con un terzo della spesa per le relazioni esterne - circa tredici milioni di euro - la Bocconi potrebbe costruire il migliore dipartimento di economia in Europa». I nostri primati in negativo non si fermano qui. Tra i membri dell’Oecd siamo l'unico paese che esporta studenti più che importarli. Secondo i dati forniti dal Miur, nel 2004 nelle università italiane risultavano iscritti 29.000 studenti stranieri contro i 40.000 in Spagna, i 226.000 in Gran Bretagna e 475.000 negli Stati Uniti. Un'occhiata alla tabella elaborata da Visian ci mostra concretamente il nostro primato negativo. Mentre Francia, Germania e Regno Unito sono abituati ad avere più del 10% di studenti stranieri, la media italiana è del 2%. «La grande maggioranza degli studenti stranieri», dice Francesco Grillo, direttore di Vision e ricercatore presso la London School of Economics, «provengono dai paesi del Mediterraneo. La comunità più grande è quella albanese, che risulta dieci volte più ampia di quella francese e venti volte più della spagnola». Intanto cresce l'emorragia dei nostri universitari iscritti all'estero. Un fenomeno confermato da una recente indagine di Alma Università, laboratorio del Mulino che collega università e impresa. «Tra i1 2006 e il 2007», spiega il direttore Andrea Cammelli, «quarantamila studenti italiani risultavano iscritti in altri paesi, con un flusso prevalente verso Germania, Austria e Svizzera. Anche se il dato deve essere ridimensionata - le università scelte spesso non sono distanti dai nostri confini - è un numero che colpisce. Se prima era un fenomeno d'élite, circoscritto alle "famiglie bene", oggi il movimento coinvolge un numero crescente di persone, che preferisce investire in università straniere e guarda con maggiore attenzione ad altri mercati della ricerca e dell'industria». Magari sono i figli di quella stessa classe politica che taglia i fondi alle università italiane. La sfiducia nei no stri atenei appare peraltro ingiustificata. Sempre Cammelli racconta d'aver ceduto lo scorso anno ad imprese straniere circa quattrocentosessanta mila curricoli di laureati italiani. «Il prodotto che esce dalle nostre università è di qualità eccellente. Se poi i ragazzi faticano a trovare una collocazione in Italia non è certo colpa loro, la nostra è una classe dirigente scarsamente scolarizzata, incapace di valorizzare il capitale umano. I nostri piccoli e medi imprenditori temono i laureati. Si vogliono oggi aiutare le aziende ad avere accesso al credito? Ma le si aiuti, ancor prima, ad avere accesso al capitale umano. L'intelligenza è una materia prima fondamentale, di cui l'Italia dispone senza rendersene conto». Bizzarro il paese che esporta senza darsene affanno pezzi importanti della futura classe dirigente. Il caso della Normale è emblematico. Scuola d'eccellenza di antica tradizione, fucina di presidenti della Repubblica e di primi ministri, di premi Nobel e studiosi celebrati nel mondo, ogni anno sforna un alto numero di genietti destinati all'estero. Non sempre per scelta. «Sono frequenti», dice Salvatore Settis, «i casi di ricercatori bravissimi, condannati ad arrivare eternamente secondi nei concorsi universitari e poi contesi dalle facoltà americane». Una tendenza, questa all'espatrio, che è andata sensibilmente crescendo nei decenni, come dimostra la mappatura effettuata sui 1.600 allievi che hanno frequentato la Normale tra gli anni Sessanta all'inizio del Duemila. L'indagine riguarda sia i laureati che i dottori di ricerca. Se per i nati fino al1949, il lavora all'estero coinvolge l’8,7 percento, peri nati nei Sessanta la cifra balza al 17,6 per cento, per quelli nati nei Settanta saliamo al 23,5 per cento. Detto in altri termini, la più illustre tra le nostre scuole d'eccellenza regala un quarto dei propri talenti alle classi dirigenti di altri paesi, i quali ricambiano con parsimonia nei confronti del nostro paese (un'eccezione naturalmente è rappresentata sempre dalla Normale, che ospita un'alta percentuale di stranieri). «Il mercato del lavoro intellettuale in Italia», sintetizza Settis, «appare sempre più fermo e sclerotizzato. E risorse all'orizzonte non sene vedono». Solo la possibilità di riscrivere l'epopea italiana dell'emigrazione. A dire il vero malinconica consolazione. _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 nov. ’08 UNIVERSITÀ, NEPOTISMO E CLIENTELE LA POLEMICA SI SPOSTA IN SARDEGNA di Pier Giorgio Pinna SASSARI. Università truccata? Non solo. Corruzioni nelle facoltà. Malcostume diffuso nei concorsi. Nepotismi nelle carriere. Familismo nell’assegnazione delle cattedre. In un convegno a Sassari si sviscerano i mali dilaganti in molti atenei. Le polemiche nazionali si spostano nell’isola e si propongono contromisure nuove. Sulle analisi dei gravi fatti paramafiosi che scuotono l’accademia italiana tutti si dicono più o meno d’accordo. Ma sulle soluzioni più appropriate per dimenticare un passato e un presente inquietanti divampano opinioni divergenti, scontri accesi, animate discussioni. L’occasione per il dibattito? La presentazione del libro-inchiesta del bocconiano Roberto Perotti intitolato «L’università truccata». Saggio divenuto già un best seller, centrato sulle parentopoli che dominano parecchie sedi accademiche e sui disservizi tipicamente nostrani. Guai molto seri. Dall’autore attribuiti, fra l’altro, a quelli che lui stesso definisce «falsi miti. Come l’asserita scarsità delle risorse finanziarie destinate agli atenei. O il fatto che i ricercatori italiani siano «poveri ma bravi». Oppure la dichiarata limitatezza dei fenomeni di clientelismo. E, infine, l’equazione ateneo-gratuito = ateneo egualitario. Incontro a più voci. Sempre approfondito, comunque. Uno scambio di vedute promosso volutamente «all’interno dell’università». «Perché - si sottolinea - non è giusto che di questi temi si parli nei talk show o sui giornali, e non nelle nostre aule». Pamphlet e dibattito arrivano nel momento di più forte contestazione degli ultimi provvedimenti voluti dal governo, sia nella scuola sia nelle facoltà e nei dipartimenti. Organizzato dal Deir sassarese (dipartimento di Economia, impresa, regolamentazione guidato da Marco Vannini), il confronto vede la partecipazione di centinaia di docenti e ricercatori. Meno consistente la presenza degli studenti, che tuttavia intervengono e criticano sotto diversi profili l’impostazione data dall’autore alle questioni chiave e gli strumenti proposti per lasciarsi alle spalle la crisi. Due, nella sostanza, i rimedi di Perotti: «Prima di tutto, valutare i risultati della ricerca dando più soldi a chi la fa bene e meno soldi a chi la fa male. In secondo luogo, assicurare agli studenti la possibilità di cambiare sede, con contributi per vitto e alloggio altrove, nel caso il loro ateneo non si riveli adeguato». Durante i lavori, moderati dall’economista Francesco Lippi, si dicono largamente d’accordo sulle tesi del bocconiano, con qualche distinguo, lo stesso Vannini e un altro dei relatori, Daniele Checchi, della Statale di Milano. Nel successivo dibattito si sprecano le citazioni di episodi di malcostume e clientelismo nei concorsi per le cattedre. Fioccano poi rilievi critici sulle linee guida della riforma Gelmini. Si segnala il pericolo che le università dell’isola e del Meridione, se si dovessero accogliere gli inviti perché gli atenei operino in una chiave federalista, verrebbero pesantemente penalizzate, con allarmanti rischi di cancellazioni e accentramenti di facoltà. Alcuni docenti, estendendo il metodo proposto per l’erogazione dei fondi dal professore della Bocconi, che per dieci anni ha insegnato macroeconomia alla Columbia University, rimarcano l’esigenza di procedere a valutazioni integrative sulla didattica, e non solo sulle indagini scientifiche. Più d’uno, poi, rileva carenze nelle parametrazioni con università straniere che Perotti introduce per dimostrare come i finanziamenti riservati agli atenei italiani non siano così esigui come in genere si è portati a credere. È però sui provvedimenti per riformare dalle fondamenta l’accademia che si divide la platea dei docenti allargata alla delegazione di studenti. In premessa, Perotti chiarisce che in tutti questi mesi di conferenze in Italia mai i ragazzi gli hanno dato ragione sulle sue indicazioni tese a valorizzare la meritocrazia nei dipartimenti e nelle facoltà. Succede così anche a Sassari. Ma per ragioni forse diverse da quelle immaginate dal protagonista dell’incontro. Nell’aula magna del Quadrilatero sono infatti tanti a richiamare il contesto sociale ed economico debolissimo nel quale le due università sarde si trovano a operare. E ancora Marco Vannini osserva che una transizione gestita con una rottura troppo netta rispetto al passato potrebbe rivelarsi fonte di preoccupanti distorsioni: non certo per il timore della fine dei casi di clientelismo o, peggio, di corruzione, ma proprio sulle valutazioni dei risultati della ricerca e sui conseguenti stanziamenti di denaro da parte statale. Prendendo spunto dalla netta opposizione del movimento degli studenti, dei sindacati e di tanti professori verso le ultime scelte del ministro Gelmini, la discussione si sposta quindi sui temi caldi del momento. Con proposte, suggerimenti, nuove analisi. Intanto, sull’esame degli strumenti migliori per rendere ottimale la mediazione con un governo che oggi si dichiara aperto al dialogo. E poi sui mezzi per far passare una strategia tesa a valorizzare sì le eccellenze, ma senza trascurare le potenzialità presenti in tanti atenei, compresi Cagliari e Sassari. La discussione voleva naturalmente sollevare soltanto interrogativi, lanciare proposte per affrontare problemi cruciali. Nessuno, insomma, si attendeva ricette definitive. Il dibattito è di sicuro servito per richiamare, quantificandoli con precisione, i costi pagati dalla comunità a causa di sistemi fondati sul nepotismo. Ma alla fine almeno una domanda importante è rimasta senza risposta: fatti i conti in tasca all’«università corrotta», quale economista riuscirà a pesare con la stessa bilancia i condizionamenti che la politica continuerà a imporre con criteri analogamente clientelari e paramafiosi nel processo di riforma degli atenei? _______________________________________________________________ Corriere della Sera 21 nov. ’08 UNIVERSITÀ, SE LA RICERCA DIVENTA UN NON-IMPIEGO Di questi tempi il tema è caldissimo. Cosa succede se l' Università o più in generale i percorsi di ricerca si trasformano in percorsi di non-lavoro? È l' esperienza di Fabio Augusto Mencarelli (nella foto). E, probabilmente, di molti altri. «Ho 32 anni con una laurea in Scienze Naturali, un titolo di Master universitario sull' Ambiente, due pubblicazioni, una menzione speciale da parte del CNR di Roma, corsi di perfezionamento e sono attualmente alla ricerca, ormai disperata, di un lavoro, ovviamente, anche non inerente agli studi compiuti». La storia di Fabio Augusto è emblematica: con i tagli alla ricerca che il governo vorrebbe attuare si potrebbe venire a creare una nuova area di tensione sociale. Un nuovo tipo di concorrenza tra chi, non trovando più sbocco nel campo della ricerca, si trova costretto a rivolgersi ad «altri» lavori. «La mia colpa - racconta Fabio Augusto - è quella di avere intrapreso gli studi seguendo le mie passioni e i miei interessi senza tenere conto del lavoro e mi trovo ora a non "avere i requisiti" (così mi viene detto regolarmente ad ogni colloquio) per lavorare. Il mercato del lavoro richiede prevalentemente lauree tecniche in Ingegneria, Economia, oppure figure di venditori o agenti che sono ben lontane dalla mia indole. Laddove si richiede un Diploma di Scuola Media Superiore mi viene risposto che il mio curriculum è troppo qualificato». A tutto questo si aggiunge quasi sempre la richiesta di un' esperienza lavorativa che lui non ha. «Ho partecipato a concorsi pubblici ma per un posto si presentano decine, a volte centinaia di candidati e la probabilità di vincerli è molto bassa. Quando sento parlare di precariato, di part-time, di contratti a progetto, vorrei tanto essere io al posto di questi precari che hanno almeno la possibilità di fare un' esperienza che io non ho ancora avuto la fortuna di fare». Racconta la tua storia a illavorochecambia@corriere.it Sideri Massimo _______________________________________________________________ Corriere della Sera 21 nov. ’08 QUEI FONDI EUROPEI BUTTATI NEL CESTINO È stato bello vedere il Paese intero unirsi intorno al mondo della ricerca. Bello, ma poco credibile: i tagli che tanto scandalizzano sono pari a circa 700 milioni. Perché invece nessuno batte ciglio sui 3 miliardi di euro provenienti da Bruxelles e già sprecati? Caro Direttore, è stato bello, nelle settimane passate, vedere il Paese intero unirsi intorno al mondo dell' università e della ricerca e riconoscerne la centralità. È stato bello vedere le voci più autorevoli ricordare a noi tutti che nell' università e nella ricerca c' è il futuro stesso del paese. È stato bello vedere studenti e docenti scendere insieme in piazza e manifestare civilmente per difendere la possibilità stessa per quel mondo di sopravvivere dal punto di vista finanziario. È stato bello vedere le parti sociali unirsi - nei limiti in cui l' unione sia un concetto applicabile alle stesse - a studenti e docenti nel ribadire che non si può confondere «una politica di soli tagli che lascia intatti privilegi e storture» con una riforma. È stato bello vedere i rettori assumere tutte le proprie responsabilità ed arrivare ad ipotizzare la chiusura stessa degli atenei in assenza di una quadro di certezze anche finanziarie. Ed è stato ancora più bello vedere i rettori meridionali ricordare a noi tutti che le università rappresentano - nel Mezzogiorno forse più che altrove - un presidio democratico e culturale e chiedere che vengano «salvati gli atenei che vivono già in territori difficili e depressi». È stato bello ma, francamente, non molto credibile. L' intero sistema italiano dell' istruzione superiore e della ricerca - in gran parte delle sue articolazioni e delle sue rappresentanze - considera oggi insostenibili tagli di spesa che colpiranno i bilanci degli atenei italiani a partire dal 2010 e per circa 700 milioni. È probabile che ciò sia vero. Ma allora, di grazia, sarebbe utile capire perché lo stesso sistema non ha manifestato la minima perplessità, non ha mosso un dito, non ha battuto ciglio quando - fra il 2000 ed il 2006 - si è trattato di buttare nel cestino (pardon, di usare spesso in maniera piuttosto inefficiente) poco più di 3 miliardi di euro di fondi comunitari da destinare alla ricerca, gestiti per i tre quarti dallo stesso ministero dell' Istruzione, dell' Università e della Ricerca e destinati in prevalenza al Mezzogiorno ma in misura non trascurabile anche alle regioni centro-settentrionali. La prova? È semplice. Gli obiettivi europei (il Quadro Comunitario di Sostegno, per la precisione) prevedevano che le regioni del Mezzogiorno raggiungessero nel 2006 una incidenza della spesa in R&S (Ricerca e Sviluppo) sul prodotto pari all' 1,3% (rispetto ad un valore prossimo allo 0,76% nel 2000). Sfortunatamente, nel 2006 il rapporto era rimasto praticamente inalterato rispetto al 2000 attestandosi in prossimità dello 0,8% (e - per chi si diverte con le statistiche - il numero di brevetti per milione di abitanti era passato da 12,16 a 12,11). Nello stesso anno, la media italiana della spesa in R&S rispetto al prodotto (pari all' 1,1%) era peraltro anch' essa al di sotto degli obbiettivi europei per le sole regioni in ritardo di sviluppo. Né pare che lo stesso sistema italiano dell' istruzione e della ricerca stia oggi facendo alcunché per evitare che non già 3 miliardi ma quasi 9 miliardi di fondi comunitari (più di quanto spenda oggi l' intera università italiana!) destinati alla ricerca facciano, per il periodo 2007-2013, praticamente la stessa fine. Anzi, non è da escludere che alcuni dei rettori italiani così come alcuni rappresentanti delle parti sociali abbiano intervallato, in queste ultime settimane, le manifestazioni contro i tagli alle riunioni ministeriali e/o regionali per la definizione del programmi di spesa dei citati fondi comunitari. Programmi che tendono a presentare - la strategia del trial and error è ancora estranea alle nostre pubbliche amministrazioni - in non pochi casi gli stessi limiti e le stesse mancanze che hanno condotto agli sprechi del passato. Programmi che sembrano non capire come gli investimenti in ricerca e sviluppo producono effetti solo in presenza di una determinata massa critica, richiedono nella fase di valutazione e gestione competenze specifiche elevate e - ultimo ma non meno importante - sfuggono per loro natura ad un' ottica tanto «locale» quanto standardizzata. Quando questi elementi sono assenti, gli investimenti in ricerca e sviluppo si trasformano - come è accaduto negli anni passati - in pura e semplice spesa corrente per lo più improduttiva se non in vera e propria assistenza. C' è chi intravede una qualche somiglianza fra le scelte in tema di spesa dei fondi comunitari nel campo della ricerca e le tendenze evolutive dell' università italiana negli ultimi decenni? Forse non è poi così sbagliato pensare che la protesta nei confronti dei tagli nasconda spesso e volentieri la volontà di difendere le modalità con cui oggi si finanzia l' istruzione superiore. E sarebbe opportuno che, più di altri, gli studenti ci riflettano. Rossi Nicola ______________________________________________________________ Il Manifesto 15 nov. ’08 PROFESSIONE RICERCATORE Eleonora Martini ROMA Fisici, biologi, filosofi, chimici, statistici Fa una strana impressione vederli sfilare insieme nelle strade di Roma, abituati come sono più agli angusti laboratori nostrani che alle manifestazioni di piazza. Eppure si sono armati di striscioni megafoni e volantini dove hanno spiegato per filo e per segno i motivi della loro protesta. Indossano magliette bianche dell'Istituto nazionale di fisica nucleare, o arancione con su scritto «+tagli -precari -ricerca = zero futuro». Concreti, sobri, razionali. Sana i cervelli italiani, non quelli in fuga ma quelli schiacciati dallo stivale italico. Scienziati, docenti e ricercatori, quasi tutti precari. Non hanno certo l'entusiasmo trascinante dell'Onda studentesca che anche ieri ha invaso la capitale, perché la loro angoscia ha il respiro corto: non guarda al futuro, si ferma al presente. I tagli della legge 133 e l'ormai famigerato decreta Brunetta non lasciano loro alcuno scampo: il limite dei tre contratti da precario in cinque anni lo hanno superato quasi tutti da un pezzo. Hanno belle idee e si sentono cittadini d'Europa, ma di serie B. Davanti a loro c'è solo delusione, oltre alla disoccupazione. In tanti hanno aderito ieri allo sciopero nazionale indetto da Cgll e Uil (ma forse sola oggi si sapranno i dati di astensione dal lavoro), e in diecimila, forse più, provenienti dalle tante università e da ogni ente di ricerca, d'Italia, hanno sfilato da Bocca della Verità fino a piazza Navona, dietro lo striscione d'apertura «Flc-Cgil, Uil Università Afam e ricerca, insieme per il futuro del paese». Non solo docenti e ricercatori, ma anche personale tecnico amministrativo, pochi però gli studenti. Molti, i più giovani, hanno preferito infatti l'altro corteo, magari solo per partecipare alla grande festa dell'Onda. Ma chi ha scelto di sfilare tra le bandiere rosse e azzur re dei sindacati (quasi tutta Cgil) non a caso ha lasciato la testa della manifestazione ai precari degli enti pubblici di ricerca con il loro striscione unitario. Infrl, Ingv, Inaf, Ispra, Isfol, Cnr, Istat, Enea: dietro anonime sigle ci sono migliaia di giovani e non più giovani ricercatori grazie ai quali, per dirla con una battuta in voga, «Berlusconi pub permettersi i capelli». Ma se fosse solo per questo, si potrebbe anche fare a meno della ricerca. Le conseguenze ben più serie dei provvedimenti governativi invece si capiscono meglio se ci si addentra nei laboratori del Centro di ricerca sperimentale del Regina Elena di Roma. Dove decine di ragazze, che ieri sfilavano in camice bianco, si occupano di «onconagenesi molecolare». Grazie a queste biologhe, tra i 25 e i 40 anni, progredisce nel nastro paese la ricerca contro il cancro. Annalisa, che ha 39 anni ed è precaria da dieci, studia il tumore alla prostata. Sembra quasi una beffa, ma il suo staff è composto solo da donne. E nessuna, tranne la capogruppo, è assunta a tempo indeterminato. Con contratti a progetto o borse di studio, i loro stipendi variano da 700 a 1.100 euro al mese, senza copertura per malattie e ferie, senza Tfr e senza contributi per la pensione. E per comprarsi un'auto a rate hanno ancora bisogno della garanzia finanziaria dei genitori. «Se mi venisse un cancro, o se aspettassi un figlio - racconta Francesca, 37 anni e borsista da 12 - perderei la borsa di studio senza alcuna possibilità di recuperarla». Racconta di aver cambiato nella sua lunga carriera precaria cinque laboratori e tutti «fatiscenti, con i topi, con strumenti vecchi di vent'anni, senza stampantî o un buon collegamento internet, assolutamente inutili per la ricerca e poco sicuri per noi». Eppure la sua capogruppo ha vinto il premio Nusug, molto ambito e assegnato ai migliori ricercatori del mondo. «Con quei soldi ci ha pagato i nostri stipendi, i computer, le sedie e la cancelleria». Nessuno di loro ha mai potuto accedere ai concorsi, anche perché l'ultimo, «che risale a dieci anni fa, l'ha vinto la mia direttrice, l'unica. che aveva i requisiti legali per farlo, e non è stato facile nemmeno per lei». «Con questi tagli, la ricerca la faremo...su G00gle», è scritto su un lenzuolone. A Autonomia universitaria è sapere e democrazia», è invece il contributo della II Università di Napoli. A chiedere autonomia finanziaria sono anche i fisici dell'Infn, «perché si possano stabilizzare i 600 precari senza più limiti e poter finalmente far progredire i progetti di ricerca», «È assurdo - spiega Tommaso Spadaro - che si regali ad altri paesi l'esperienza unica di quei giovani che sanno far funzionare, ad esempio, le strutture del Cern di Ginevra. Dobbiamo a tutti i costi evitare che i criteri di valutazione siano come quelli scelti per l'università, che sono definite virtuose solo in base al bilancio». Doppiamente colpiti dal decreto Brunetta e dalla legge Gelmini sulle scuole, i «precari da sempre» dell'Agenzia nazionale per la sviluppo dell'autonomia scolastica (ex Indire) fanno sapere che il contratto della maggior parte dei loro 154 lavoratori è in scadenza a fine anno. E poco importa che tra i loro compiti ci sia l'innovazione tecnologica delle scuole, «come ad esempio l'introduzione delle lavagne interattive multimediali}>, fiore all'occhiello della ministra dell'Istruzione. 1 giovani dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr portano per cappello la sagoma di uno scarpone- Italia che schiaccia cervelli. «Quelli che non sono fuggiti e soffrono in patria». Fanno parte di uno staff di cui nemmeno il capogruppo è assunto regolarmente e che è appena riuscito a farsi finanziare un progetto con fondi europei, «È incredibile che Brunetta metta un limite ai contratti a tempo determinato, che di solito durano non più di un anno, senza sapere che un progetto ha una durata standard di 4 anni e non è pensabile cambiare ricercatori a metà percorso - spiega Gianluca Baldassarre - e tra l'altro il Dl del ministro non considera i contratti di assegno dì ricerca e i co.co.co come forma di precariato». «Ma ricordate - è l'augurio scandito in uno slogan - pestare cervelli non porta fortuna». _______________________________________________________________ Unione Sarda 18 nov. ’08 CAGLIARI: JOB PLACEMENT UN TRAMPOLINO PER IL LAVORO L'Università di Cagliari ha attivato il servizio di “job placement” per venire incontro ai neo laureati Lo sportello potrà essere utile anche alle aziende Ampia gamma di interventi e tirocini a cui possono accedere anche i laureandi. Possibile candidarsi entro il 10 dicembre prossimo. Prevista l'erogazione di 250 borse di studio Un trampolino di lancio dopo la laurea: questo il ruolo dello sportello lavoro (all'inglese job placement) attivato nei giorni scorsi dall'Università di Cagliari. L'obiettivo è duplice: da una parte quello di facilitare l'ingresso nel mondo del lavoro di laureandi e laureati e dall'altra quello di favorire la soddisfazione dei fabbisogni professionali delle aziende locali. La direzione “Orientamento e comunicazione” dell'Ateneo ha attivato il servizio seguendo il programma Fixo (Formazione e innovazione per l'occupazione) promosso e sostenuto dalla direzione generale per le politiche per l'Orientamento e la formazione del ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali. Il programma è stato infine realizzato con la collaborazione tecnica di Italia Lavoro Spa. SERVIZI Lo sportello offre un'ampia gamma di servizi tra cui informazioni ai laureati e ai laureandi sui contratti di lavoro e sulle pari opportunità, assistenza nella redazione del proprio progetto professionale e nei percorsi di inserimento lavorativo, attivazione e gestione dei tirocini, modulistica e pratiche amministrative dei profili professionali e delucidazioni sui servizi erogati. Fornisce infine supporto alle aziende del territorio nella ricerca di personale utilizzando la banca dati laureandi-laureati, pubblicando annunci di lavoro e analizzando i fabbisogni professionali. TIROCINI Lo sportello lavoro consentirà a giovani e aziende di attivare tirocini fino al 10 dicembre prossimo. Per candidarsi è necessario essere laureati all'Università di Cagliari da non oltre 18 mesi o laureandi a cui sia stato assegnato il titolo della tesi o abbiano maturato 150 crediti formativi per le lauree di primo livello e 100 per quelle di secondo livello. Il programma prevede l'erogazione di 250 borse del valore di 200 euro lordi mensili per tre mesi e di 55 rimborsi dell'importo massimo di 2.300 euro a favore delle strutture ospitanti che procedano all'inserimento lavorativo del tirocinante con un contratto della durata di almeno un anno. L'attribuzione delle borse per i tirocinanti avverrà in base all'ordine di attivazione del tirocinio e, per l'azienda, in base all'ordine di inserimento lavorativo del tirocinante. Il servizio fornisce alle imprese l'opportunità di individuare i neolaureati più vicini alle figure professionali richieste attraverso: informazioni sull'istituto dello stage; pubblicazione delle offerte di tirocinio; gestione amministrativa; assistenza in itinere; preselezione dei candidati attraverso estrazione dei curricula dalla banca dati laureandi-laureati; valutazione successiva dei percorsi formativi. INFORMAZIONI Per saperne di più è possibile rivolgersi allo Sportello Lavoro “Job Placement” della direzione orientamento e comunicazione, in via Ospedale 121 a Cagliari, il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10 alle 12.30 o telefonare il martedì e giovedì dalle 10.30 alle 13 ai numeri 070.6758749 e 070.6758772. Il numero di fax è 070.6758402 (sito internet http: //www.unica.it sezione orientamento e occupazione ; indirizzo e-mail: orientamento@amm.unica.it ). ALESSIA CORBU _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 nov. ’08 I NUOVI ARCHIMEDE AL LAVORO IN SARDEGNA Stanziati 10 milioni per il progetto del Crs4 e dell’Università di Cagliari Specchi ad altissima tecnologia concentreranno il calore del sole ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. Con l’ausilio di un enorme specchio concavo Archimede distrusse la flotta Romana che assediava Siracusa. Allora, era il 213 avanti Cristo, il grande scienziato bruciò le navi nemiche concentrandovi sopra il calore del sole. Oltre duemila anni dopo il Crs4 (il centro di calcolo avanzato del parco scientifico Polaris), il dipartimento di ingegneria meccanica ed elettronica dell’Università di Cagliari e due imprese hanno messo a punto un progetto operativo che si basa sullo stesso principio: la concentrazione del calore del sole con l’utilizzo di speciali specchi. In questo caso però si arriva a moltiplicare per 80/100 volte il calore naturale e anche a conservarlo. L’idea partì da Carlo Rubbia, il premio Nobel già presidente del Crs4, che pensò di sviluppare l’energia solare attraverso un sistema termodinamico (che concentra l’energia attraverso degli specchi, appunto). Poi Rubbia, grande scienziato ma carattere non facile, andò via dalla Sardegna perché stanco di aspettare i finanziamenti. Ma il fisico Bruno D’Aguanno, responsabile del settore energie rinnovabili del centro di calcolo, e la sua équipe sono andati testardamente avanti sino a ottenere un finanziamento di nove milioni e 700mila euro dal ministero della Ricerca (dal Miur). In questi giorni, poi, c’è stato l’atto conclusivo: nella sede romana del Medio Credito è stato firmato il contratto per il progetto, chiamato «Estate Lab», più estesamente «Laboratorio per lo sviluppo di tecnologie solari termiche a concentrazione». Come dire: i finanziamenti sono, ora, pronta cassa. Lo stabilimento sarà realizzato nella zona indutriale di Cagliari di Macchiareddu. Oltre al Crs4 e all’università, sono coinvolte anche le imprese Rtm (per lo sviluppo degli specchi) e la Sapio (per la gestione dei fluidi utilizzati nel processo). «Il nostro obiettivo è quello di realizzare una struttura dimostratore - spiega D’Aguanno - si tratta di creare un laboratorio di ricerca e sviluppo che ci permetta di possedere la tecnologia». A livello di Comunità europea esiste un progetto che, in collaborazione con «alcuni istituti di ricerca tedeschi - continua D’Aguanno - e il Club di Roma ipotizza la realizzazione di una serie di grossi impianti nell’Africa del sud, tali da poter fornire energia a tutto il vecchio continente». Il termodinamico, proprio per il sistema di concentrazione dei raggi solari, permette la produzione di grandi quantità di energia. Secondo Rubbia un ipotetico quadrato di specchi di 40mila chilometri quadrati (duecento per duecento) potrebbe alimentare tutto il pianeta. Mentre per il fabbisogno italiano basterebbe utilizzare un’area equivalente a quella che normalmente occorre per quindici centrali nucleari. Inoltre il vantaggio di questa tecnologia, rispetto a un impianto fotovoltaico, è che permette una produzione energetica ininterrotta. Il che significa anche di notte e pure in caso di cattivo tempo. E questo grazie al particolare fluido utilizzato che, una volta riscaldato (dalla concentrazione dei raggi solari), mantiene la sua temperatura (oltre 500 gradi) per alcuni giorni. In Sardegna, precisa D’Aguanno, «queste strutture potrebbero essere realizzate da Ottana in giù in quanto richiedono punte elevate di riscaldamento solare. Ma quello che a noi più interessa è che si tratta di un qualcosa che si sta sviluppando in tempi molto rapidi in tutto il mondo». E quindi chi ne possiederà il know how completo (e ottimale) potrà entrare in un giro d’affari di decine di miliardi di euro. ______________________________________________________________ TST 19 nov. ’08 IL COMPUTER QUANTICO È PIÙ VICINO Ricerca italiana rivoluziona le conoscenze sugli anyoili, le quasi-particelle che permetteranno calcoli super veloci "Nel nostro circuito si spostano agglomerati a 2 dimensioni che hanno proprietà diverse da quelle finora teorizzate" MARCO PSVATO Il prossimo decennio potrebbe ; dare alla luce il primo computer quantistico. Ci separa - giurano alcuni studiosi soltanto una manciata d'anni da una delle più grandi rivoluzioni informatiche e globali. Merito di un nuovo passo appena compiuto: le ultimissime scoperte sugli anyoni: Spiega Alessandro Braggio dell’Infm-Cnr: «Se qualcuno, negli Anni 50, si fosse chiesto che cosa avrebbe comportato il passaggio dalle valvole ai transistor si sarebbe immaginato al massimo radia miniaturizzate e amplificatori maneggevoli»: E invece oggi siamo sommersi da computer, cellulari, satelliti, microspie; chirurgia laser e, naturalmente, da Internet. A pensarci adesso è una rivoluzione stupefacente. «Ma quando la "quanto computazione" si trasformerà in realtà – aggiunge - il salto tecnologico per l’umanità sarà di centinaia e centinaia di volte superiore». Il calcolo basato sui fenomeni quantistici permetterà. di trattare ed elaborare le informazioni a velocità immensamente superiori a quelle tradizionali. Invece di misurare i dati in bit, si sfrutteranno le proprietà quantistiche delle particelle subatomiche con una «unità di misura» tutta nuova: il «qubit», oltre che discernere alternativamente tra due possibilità come il bit, sarà capace di sovrapporle in contemporanea. Di computazione quantistica, in realtà, si parla già dal 1982, da quando, per primo, à esporre l'idea fu uno dei fisici più eccentrici e geniali del XX secolo, l'americano Richard Feynman. Ma adesso, se la teoria si trasformerà in realtà, lo si dovrà un po' anche a un team made in Italy. Tra bosoni e ferrittioni I laboratori «Lamia» («Laboratory of innovative and artificial materials») dell’Infm-Cnr, dell’Infn e del Dipartimento di Fisica dell'Università di Genova, infatti, hanno appena pubblicato sulla «Physical Review Letters» uno studio che è già considerato fondamentale. Il contributo dei ricercatori chiarisce il comportamento degli anyoni, le più probabili componenti elementari delle supermacchine futuribili: gli anyioni sono «quasi-particelle», vale a dire - spiega il team - «particelle a statistica frazionaria e a carica inferiore a quella de1felettrone». Cercando di tradurre, si tratta di oggetti microscopici dalle proprietà intermedie tra bosoni e fermioni, i due grandi gruppi fondamentali in cui si dividono le particelle subatomiche, vale à dire i mattoni ultimi della materia. Ma che cosa hanno scoperto i ricercatori di Genova? «L'immagine di ciò che abbiamo raccontato finora con formule e gergo da fisici - continua Braggio - è un piccolo circuito elettrico. Ma, e qui sta la novità, è molto particolare- è immerso in un campo magnetico, a temperature prossime allo zero assoluto e presenta una sorta dì "strozzatura", un restringimento». È in queste condizioni che gli elettroni, fatti scorrere nel circuito, si comportano come in un mondo a due dimensioni e sono-descrivibili come se fossero anyoni. Le precedenti teorie predicevano che il passaggio degli anyoni attraverso la «strozzatura» di un circuito elettrico avvenisse in modo indipendente, una particella alla -volta. Questa scoperta, al contrario, dimostra che - contro ogni aspettativa - il passaggio avviene per agglomerati. «La novità, quindi, - consiste nell'aver compreso come gli anyoni possano essere indirizzati, e quindi utilizzati, per costruire nuo coli: dispositivi così sofisticati da mantenere queste'particel1e -negli stati opportuni per l'esecuzione di operazioni velocissime». Si tratta - spiegano gli studiosi -' di condizioni esotiche della materia. Ma che cosa c'è di meglio della meccanica quantistica per rappresentare le crescenti sovrapposizioni tra scienza e fantascienza? Se ' la scienza 'e sinonimo di rigore e riproducibilità, la teoria dei quanti è il regno della probabilità e dell’indeterminazione; mandando all'aria la visione del mondo come un insieme lineare di cause ed effetti. Una realtà parallela, che irritò addirittura Albert Einstein e che in una lettera a Niels Bohr sulla meccanica quantistica sbottò nella famosa e abusata frase: «Dio non gioca a dadi con l'Universo». Ma a 80 anni da quella lettera, forse, dalla teoria ci si sta avvicinando alle applicazioni. Braggio, del team genovese, è prudente sui tempi, salvo lasciarsi scappare un lapsus: «Chissà che già tra un decennio un calcolatore quantistico non sia realtà!»: Lapsus ò meno, il resto del mondo ci credé, perché investe tempo e denaro a pieno ritmo. «La Microsoft ha deciso di aprire un istituto di ricerca dedicato esclusivamente alla computazione quantistica e, dall'America alla Cina, chi ha settori sufficientemente avanzanti nell’hi-tech sta mobilitando laboratori specializzati che investono in queste ricerche di frontiera: studi al limite tra la ricerca di base e la sperimentazione che saranno presto tecnologia». La Difesa Usa Molti fondi stanno arrivando anche dal dipartimento della Difesa americano. Un utilizzo - spiegano all’Infm e al Cnr - legato agli straordinari progressi che il calcolo quantistico offrirà nei campi della decodifica e del criptaggio delle informazioni. lVIa non solo. Qualsiasi operazione di calcolo sarà velocizzata: «E' come passare senza soluzioni di continuità dalla carrozza a cavalli a un Boeing»: a essere trasformati saranno i modelli delle-:previsioni atmosferiche e le simulazioni finanziarie e del rischio in generale, oltre alle bio applicazioni, da quelle chirurgiche fino a quelle che analizzano le ricerche sui fenomeni evoluti Insomma, parafrasando il senso fisico di «quanto», si potranno avere informazioni alla velocità della luce. «Nessuno vuole farsi sfuggire l'opportunità di avere una fetta della torta». È questa la ragione degli investimenti crescenti in un settore che, comunque, è uno dei più avanzati e difficili. «E' probabile che l'Italia pagherà lo scotto di non avere i mezzi economici sufficienti per conquistare un ruolo centrale e la conseguenza sarà inevitabile: diventeremo una "colonia tecnologica". Dai noi le idee, dagli altri le applicazioni». II futuro si colora di tinte un po' fosche, ma intanto, nel nostro Paese, restano alcuni forti «presidi» di computazione quantistica: tra i più attivi il gruppo di Genova, un team all'Università di Catania e quelli a Pisa e a Milano. ______________________________________________________________ Il Manifesto 16 nov. ’08 LA RIVOLTA DEL LAVORO COGNITIVO Marco Bascetta F orse i media non se ne sono ancora resi conto fino in fondo. Sicuramente il governo, l'opposizione parlamentare e perfino i sindacati sono ben lontani dal percepire quale sia la reale portata di questo movimento, Basterebbe ascoltare, in una qualsiasi delle sue articolazioni, l'assemblea nazionale degli studenti ancora in corso all'Università di Roma per capire che si tratta di una rivolta generale del lavoro cognitivo contro i dispositivi di sfruttamento subiti nei due decenni trascorsi. Contro quella condizione di frammentazione e ricattabilità imposta dall'ideologia e dalla pratica coatta del «capitale umano».Contro quell'idea gerarchica, piramidale, anacronistica della produzione e trasmissione del sapere che l'abusato termine di «meritocrazia» contiene già nella sua etimologia. Sono, quelle che abbiamo sentito riecheggiare nelle aule della Sapienza, le rivendicazioni e il programma di un soggetto che si sente pienamente forza produttiva e non, come lo si vorrebbe, una clientela chiamata all'acquisto della merce formazione. Si chiedono reddito, risorse, potere di decidere collettivamente sugli orientamenti, le forme, l'organizzazione del tempo. Si chiede che l'accesso all'istruzione sia dettato dai desideri e dai bisogni dei singoli e non da un patteggiamento tra stato e imprese. Si chiede la soppressione di quella madre di tutte le false promesse e di tutte le vere discriminazioni che è stata la laurea triennale. Tanto sono concreti e circostanziati gli obiettivi del movimento degli studenti, tanto sono generali e rivolti all'intera società i contenuti che veicolano. Dall'equità fiscale, alle pari opportunità, dalla difesa del bene comune contro le strategie di appropriazione che lo minacciano all'autorganizzazione di una sfera pubblica al riparo dalla rapacità del capitale privato come dalle pretese dirigiste dello stato. La coscienza di questa portata generale, orgogliosamente rivendicata, è divenuta senso comune, motivo ispiratore di innumerevoli interventi. L'università è un detonatore, sa di esserlo e forse, nelle stanze del patere, qualcuno sta cominciando ad accorgersene. L'onda si aspetta che molte altre onde la seguano, ingrossando la mareggiata sotto il cielo plumbeo della crisi. II variegato mondo del lavoro precario, la marea montante dei licenziati e dei cassintegrati, il lavoro autonomo taglieggiato, i soggetti deboli e meno deboli chiamati a pagare i costi della crisi. Sta già accadendo. Ma dall'università parte anche un doppio avvertimento rivolto a quella «cosa» che va sotto il nome di sinistra. Non solo il «non ci rappresentate», gridato venerdì a piena voce sotto l'obelisco di Montecitorio, ma anche una diffida a non pensare nemmeno lontanamente di raccogliere, come suggerisce Napolitano, quella bandiera dell'austerità e dei sacrifici che il Pci degli anni '7D impugnò (opportunamente rievocata da Filippo Ceccarelli su La Repubblica di ieri), rompendo in maniera definitiva con le giovani generazioni e con la comprensione stessa della contemporaneità. «Non pagheremo la vostra crisi» è una parola d'ordine da prendere molto sul serio. È la legittima convinzione che la ricchezza prodotta dalla c00perazione sociale, dal lavoro cognitivo e dall'intelligenza collettiva sia stata espropriata, resa artificiosamente un bene scarso e trasformata, infine, attraverso una mostruosa metamorfosi speculativa, in debito e in componente della crisi finanziaria. Nulla è più odioso agli occhi di questo movimento che la riproposta del «debito d'onore», che subordina a un processo di indebitamento la crescita culturale di una società. La «casta» dei politici, il sistema dei partiti è solito, di fronte alla crescente impopolarità, giustificare le proprie spese e i propri privilegi, con l'argomento del «costo della democrazia». Orbene, se c'è qualcosa che legittimamente potrebbe definirsi come «costo della democrazia» o addirittura come «costo della civiltà» questo è il sistema della formazione, dalle elementari all'università e oltre. Chiedere agli studenti e alle loro famiglie di pagarselo, sarebbe come chiedere ai politici di pagare i loro incarichi e cioè di tornare all'antica oligarchia censitaria. Perché gli studenti dovrebbero tornare alla vecchia scuola di classe? ======================================================= _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’08 ATLANTE «ERA 2008»: CENTRO-SUD A TUTTO OSPEDALE ATLANTE «ERA 2008»/ La mappa del rischio di ospedalizzazione nelle 166 Asl italiane Iss e Welfare: check sulle Sdo 2005 - Guida per il decisore pubblico Sono 15,3 milioni, fra maschi e femmine, gli italiani a maggior rischio di passare un giorno in ospedale (in arancione e in rosso nelle cartine) e 18,4 milioni quelli a minor rischio (in blu e in verde nelle cartine). Dei 15,3 milioni ad alto rischio 15 risiedono al CentroSud mentre tutti i 18,4 milioni a basso rischio sono residenti nel Centro-Nord. Dall'Atlante per Usl «Era 2008», quest'anno dedicato alle schede di dimissione ospedaliera, emerge una Italia praticamente divisa in due: un Centro-Nord dove dell'ospedale, in termini standardizzati pro capite, si fa un uso diffusamente meno intenso, e un Centro-Sud, dal Lazio (esclusa Viterbo) in giù, dove invece l'ospedale risulta evidentemente più privilegiato. Perché questa disparità di utilizzo del segmento dell'assistenza sanitaria che assorbe la quota più rilevante di risorse umane, tecnologiche e organizzative dedicate alla cura della salute? Le due mappe generali del rischio di passare un giorno in ospedale per le 166 microaree in questione disegnano un inedito panorama dell'assistenza ospedaliera che consente di comprendere su basi scientificamente fondate dove sono più accentuate le criticità e dove le situazioni positive. Un uso più intenso dell'ospedale può derivare tanto dal fronte della domanda (più incidenti, più problemi cardio-circolatori, più tumori eccetera) quanto dalla risposta messa in atto dalle diverse strutture sanitarie. «Era 2008» analizza le caratteristiche di ospedalizzazione di ciascuna popolazione, a prescindere dalla, peraltro libera, scelta del luogo di cura e disegna, distintamente per maschi e femmine, le mappe del rischio di passare un giorno in ospedale per ciascuna popolazione. Le mappe sono di semplice lettura: il giallo indica un rischio vicino alla media nazionale, in un intorno del più o meno 10%; l'arancione e il verde rispettivamente un rischio medio-alto e medio- basso, cioè distante tra il 10 e il 20% dalla media nazionale; infine il rosso indica livelli di rischio alto, superiori di almeno il 20% della media nazionale e il blu livelli di rischio basso, cioè almeno inferiori al 20% della media nazionale. Il passaggio conoscitivo successivo, una volta appurato che tutte le aree verdi e blu si collocano nella metà superiore dell'Italia e pressoché tutte le aree arancioni e rosse in quella inferiore, è stato di suddividere il quadro generale in 10 gruppi di diagnosi, appositamente elaborati da «Era» a partire dalla International shortlist for hospital morbidity tabulation messa a punto dall'Oms, dall'EuroStat e dall'Ocse. Questo ha consentito di individuare due grandi tipologie di mappe: quelle che denotano una minore variabilità e vedono un maggiore addensamento intorno ai valori della media nazionale e quelle caratterizzate da una elevata polarizzazione Nord-Sud. La prime - tipico è il caso dei tumori - approssimano molto figurativamente una curva normale, con il maggiore addensamento nei valori di rischio vicini alla media nazionale (31 milioni di abitanti) e quindi valori decrescenti per le classi di rischio medio- basso (13,3 milioni di abitanti) e basso (2,1 milioni) da un lato, e quasi decrescenti per il rischio medio-alto (5,7 milioni) e alto rischio (5,8 milioni), dall'altro. Le seconde, a esempio le diagnosi di malattie del sistema genito-urinario, si disegnano come una sorta di cappello a tre punte, 16,3 milioni di abitanti a rischio basso, 15,2 a rischio vicino alla media nazionale e 13,4 ad alto rischio, contro solo 6-7 milioni di abitanti a rischio rispettivamente medio-basso e medio-alto. La definizione di queste due tipologie è finalizzata a consentire al decisore delle politiche sanitarie sia nazionale che locale di graduare approfondimenti e interventi per contrastare, dove necessario, gli stati di salute individuati come più a rischio ovvero di selezionare protocolli e assetti organizzativi più appropriati, nel caso in cui le evidenze dovessero risultare dovute a differenti modalità di risposta sanitaria, a parità di stato di salute. Nel primo caso - tipicamente quello dei tumori - appare possibile concentrare l'attenzione nelle specifiche e comunque limitate aree rispettivamente a maggiore e a minore rischio. Nel secondo - rappresentato dalle diagnosi relative al sistema genito-urinario - la non normalità della distribuzione del rischio induce a concentrare l'attenzione, in primo luogo, sui protocolli e sulle le differenze nella risposta sanitaria. Nel grafico a barre si rintraccia l'estrema sintesi delle mappe riferite ai 10 grandi gruppi di diagnosi approfonditi nell'Atlante, esponendo in termini di popolazione e distintamente per le due Italie in cui è idealmente suddiviso il Paese nella ricerca, unicamente i casi a basso rischio (in blu) e ad alto rischio (in rosso). L'immagine che ne emerge è particolarmente nitida in termini di polarizzazione: le barre in blu sono nettamente prevalenti al Centro-Nord (dai 16,2 milioni di abitanti a basso rischio di ospedalizzazione per il sistema genito-urinario agli 1,4 milioni per i tumori) mentre, specularmente, risultano ad alto rischio, in rosso, le popolazioni centro-meridionali, in particolare in relazione ai gruppi di diagnosi delle malattie legate all'apparato digerente e al sistema genito-urinario (13-14 milioni di abitanti) e ai circa 10 milioni di abitanti ad alto rischio delle malattie legate al sistema osteo-muscolare e al sistema nervoso e organi dei sensi ma anche, sia pure con qualche necessità di approfondimento, alle complicanze legate al ciclo della nascita (cioè gravidanza, parto e puerperio). Il filo di Arianna conoscitivo proposto da «Era» si sviluppa tradizionalmente con la presentazione della classifica per Usl che aggiunge una ulteriore ottica, dettagliando le diverse situazioni di rischio negli specifici valori assunti in ciascuna delle 166 unità territoriali prese in considerazione. La classifica offre un livello di dettaglio più ravvicinato e ricco di un semplice ma scientificamente fondato posizionamento relativo, cioè un concreto e articolato esempio di benchmark. Questo strumento si inserisce organicamente nella articolata "valigetta degli attrezzi conoscitivi" messa a punto da «Era» che si conclude con sezioni di approfondimento per ciascuna Regione e, nell'ambito di queste, articolate schede di posizionamento relativo a livello di singola Usl. Natalia Buzzi Giuseppe Cananzi Coordinatori del Gruppo di lavoro di «Era 2008» Il rischio relativo di ospedalizzazione: la mappa dell'Italia* Popolazioni a più alto/più basso rischio di ricovero (milioni ab., per gruppo di diagnosi, 2005) Il gruppo di lavoro di Era Atlante 2008 DIREZIONE STRATEGICA: Natalia Buzzi (Nebo Ricerche Pa); Giuseppe Cananzi (Ufficio Studi Aran; Cattedra di Igiene Università di Roma Tor Vergata); Susanna Conti (Ufficio di Statistica Istituto superiore di Sanità); Roberta Crialesi (Servizio Sanità e assistenza Istat); Augusto Panà (Cattedra di Igiene Università di Roma Tor Vergata) COORDINAMENTO E REDAZIONE: Natalia Buzzi,Giuseppe Cananzi SUPERVISIONE SCIENTIFICA: Augusto Panà, Viviana Egidi (Facoltà di Scienze statistiche, Università di Roma La Sapienza) REALIZZAZIONE: Iolanda Mozzetta e Monia D'Alessandro (Nebo Ricerche Pa) CONTRIBUTI SPECIALISTICI: Luisa Frova, Alessandra Burgio e Silvia Bruzzone (Servizio Sanità e assistenza Istat); Marco Marsili (Servizio popolazione, istruzione e cultura Istat); Massimo Maurici (Cattedra di Igiene Università di Roma Tor Vergata); Maria Masocco (Ufficio di statistica Istituto superiore di Sanità); Elio Tondo (Nebo Ricerche Pa) Progetto realizzato con il finanziamento di: Istituto Superiore di Sanità (Ufficio di statistica); Ministero del Welfare (Centro nazionale prevenzione e controllo malattie) (Il testo integrale della ricerca su www.atlantesanitario. it) _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’08 L'ITALIA SPACCATA DEI RICOVERI: IL TOP A LANUSEI ATLANTE «ERA 2008»/ Carrellata delle Regioni dove il posto letto non riposa mai - Umbria, Toscana, Friuli ed Emilia più parsimoniose Perché curare gli acciacchi cardiovascolari a Cosenza o Adria piuttosto che a Forlì? E se uno si ritrova col mal di pancia come fa a non augurarsi di essere nato a Bressanone o nella Bassa Friulana invece che a Lanusei? Se il problema sono vescica e prostata, poi, una cosa è certa: meglio girare al largo da Crotone. In linea generale c'è una popolazione di quindici milioni di italiani che in caso di malattia preferirebbe trovarsi fuori Regione: sono quelli che a parità di diagnosi corrono un rischio anche tre/quattro volte più alto rispetto al resto d'Italia di trascorrere un giorno in ospedale. A tracciare la mappa del rischio relativo di ospedalizzazione a valere sulle Sdo 2005 è il Rapporto «Era 2008», presentato lunedì 17 a Roma, che descrive un'Italia spaccata a metà, col Centro-Sud che ricovera assai più del Nord. Messa a punto come ogni anno con il finanziamento dell'Istituto superiore di Sanità e del ministero del Welfare e la collaborazione di esperti provenienti anche dall'Istat e dagli Atenei capitolini La Sapienza e Tor Vergata, l'ultima edizione di «Era» passa al setaccio quasi 12 milioni di Sdo (Schede di dimissione ospedaliera) per acuti, corrispondenti a oltre 53 milioni di giornate di degenza ordinaria e 10 milioni e mezzo di accessi in day-hospital. Obiettivo: "misurare" quanto e come lavorano gli ospedali nei diversi territori ovvero misurare la febbre dell'ospedalizzazione da Nord a Sud Italia. Nella classifica che ne deriva, quattro Regioni spiccano in cima alla lista delle più capaci nell'evitare il ricovero: Umbria, Toscana, Friuli ed Emilia Romagna, variamente alternate a seconda che si tratti di pazienti di sesso maschile o femminile. Quattro Regioni - Sardegna, Abruzzo, Lazio e Molise - detengono altrettanto saldamente gli ultimi posti in classifica, con 20-30 punti in più oltre media. Stesso andazzo per la classifica delle 166 Aziende sanitarie locali presenti nel territorio: tenendo conto di tutte le diagnosi registrate Pistoia (Toscana) e Isontina (Friuli) occupano una delle prime tre postazioni sia per i pazienti di sesso maschile che femminile, con un valore del rischio inferiore a 80. Primato opposto per l'Azienda sanitaria locale di Lanusei (Sardegna), ultima in classifica in entrambi i casi e "tallonata" da realtà disparate come Roma, Teramo, Crotone e Foggia. Le disparità più inquietanti emergono però dall'analisi della casistica riferita ai raggruppamenti per diagnosi: come meglio illustrato dai coordinatori della ricerca, ciascun territorio e ciascuna patologia fa caso a sé. Il vademecum fai- da-te che si ricava dai dati segnala che Forlì è la Asl che ricovera meno in assoluto per le questioni cardiovascolari; che due Asl del Veneto - Rovigo e Arzignago - se la cavano meglio di tutte a risolvere traumatismi e avvelenamenti senza letti in corsia; che Marche, Toscana e Friuli hanno una marcia in più sulle malattie del sistema nervoso. Ancora Emilia (Cesena), Friuli (Bassa friulana) e Piemonte (Verbano) le più abili con le complicanze da sala parto. Mentre in coda alla coda ci sono Puglia (Foggia), Sicilia (Caltanissetta) e Sardegna (Olbia). Per un sud più allettato (e peggio servito?) che mai. S.Tod. _______________________________________________________________ Unione Sarda21 nov. ’08 MEGLIO TORNARE A SU CONNOTTU di Franco Meloni Pochi giorni fa la Giunta regionale ha annunciato un costoso programma di rinnovamento strutturale e tecnologico diretto a cambiare il volto della sanità sarda, quasi a confermare le accuse per le quali in questi anni si è preoccupata solo di contenere le spese. Stiamo parlando della bellezza di 855 milioni, una cifra immensa che sembra troppo bella per essere vera e purtroppo è proprio così. L'assessore nella sua conferenza stampa si è vantata che nel quadriennio di sua competenza gli investimenti in sanità saranno oltre il doppio di quelli del quadriennio precedente, 1067 milioni contro 516. Però i 516 milioni del 2000-2004 sono stati effettivamente spesi mentre dei milioni della Dirindin ne sono stati assegnati e spesi forse un centinaio, gli altri solo promessi. D'altra parte un giro negli ospedali dell'Isola mostra che di soldi ne sono stati spesi davvero pochi negli ultimi anni, degrado e obsolescenza sono lamentele comuni. L'assessore sostiene che la spesa nel passato era inefficace a causa della carenza di programmazione e della frammentarietà degli interventi (clientelismo?). Però anche gli atti della Dirindin appaiono come una serie di provvedimenti che lasciano molte perplessità, appiccicati fra loro da un generico richiamo al Piano sanitario che funge da coperchio a tutto. Ci sono decine di interventi di entità economica molto ridotta, tanto che il piano investimenti del 2006 divide 70 milioni in ben 63 voci differenti che assomigliano molto da vicino a una pioggia tesa ad accontentare più gente possibile. Davvero c'e bisogno di una programmazione strategica per assegnare 40.000 euro per realizzare la "rete perimetrale" di un eliporto? O per comprare 60.000 euro di arredi di un ambulatorio di Oristano? Qualcuno può spiegare perché prima si trattava di bieco clientelismo mentre adesso si tratta di sana e lungimirante programmazione? Già dagli anni '90, l'assessore Fadda aveva posto fine al malvezzo della Regione di assegnare finanziamenti ai singoli primari e aveva deciso di destinare invece le risorse alle aziende sulla base di un programma di massima, proprio per ridurre le intromissioni della politica nella gestione ordinaria della sanità. Le cose sono andate avanti così per un decennio fino a quando si è reintrodotto il vecchio sistema: in poche parole deve essere chiaro a quale porta deve bussare chi vuole soldi. Insomma l'impressione è che siamo tornati alle peggiori abitudini del passato, alla faccia delle dichiarazioni di principio sulla programmazione sanitaria, sulla lotta ai poteri forti e il clientelismo. Fine dei proclami, tristemente si torna agli arredi per l'ambulatorio di Oristano... Inoltre l'assessore ha dimenticato che il 25 settembre del 2007, casualmente pochi giorni prima delle elezioni primarie per il segretario del Pd, aveva già assegnato (sulla carta) buona parte delle stesse risorse contenute nella delibera dei giorni scorsi. Un anno fa venivano programmati al suono delle fanfare 300 milioni per la realizzazione di quattro nuovi ospedali, da completare in parte con finanziamenti privati. Ora quella sontuosa programmazione viene buttata nel cestino e, senza una sola riga di spiegazione, si cambia tutto e gli ospedali vengono interamente finanziati con fondi pubblici, senza intervento dei privati. Così, con una delibera della Giunta, senza che il Consiglio ci metta naso, una decina di persone (o forse solo due) decidono come spendere mille milioni di euro che sono dei sardi, non loro. Se questo è il nuovo modello di programmazione e di gestione delle risorse pubbliche, per favore torniamo a su connottu . Infine, last but not least , anzi è la cosa più importante, i soldi non ci sono! Nella delibera della Giunta i soldi disponibili sono circa 37 milioni; tutti gli altri sono speranze e stime della Regione e vaghe promesse dello Stato, peraltro spalmati nel periodo 2007- 2013 e tutt'altro che sicuri. Basterebbe ricordare che - ad agosto - la Legge 133 ha cancellato tutta la programmazione dei fondi FAS 2000-2006, fondi già assegnati e non solo promessi. E allora perché tanta fretta? Come fa la Giunta a essere così ottimista da programmare la spesa di quattrini che sono poco più di speranze? È forte il rischio che - anche questa volta - gli annunci trionfali si rivelino vuote promesse senza sostanza e che i nuovi ospedali promessi restino solo fantasie e illusioni. Assessore, dev'esserci stato un fraintendimento che le ha creato confusione. Noi sardi siamo solo sardi. Mica anche scemi. _______________________________________________________________ Repubblica 17 nov. ’08 STUDIO SULLA SANITÀ: AL CENTRO-SUD PIÙ RICOVERI L’altro record: un giorno all’anno passato in ospedale ALBERTO CUSTODERO ROMA — Ogni italiano passa in media un giorno all’anno in ospedale. Le giornate di degenza ospedaliera sono infatti ogni 12 mesi circa 53,2 milioni, quasi quanto gli italiani. Ma al Centro Sud il “rischio” di essere ricoverati in un nosocomio è maggiore che al Nord, in particolare per le complicanze da parto e per le patologie dell’apparato digerente. I dati emergono da uno studio elaborato dal gruppo di lavoro Era 2008 (epidemiologia e ricerca applicata), del quale fanno parte l’Istat, l’Ateneo romano Tor Vergata, l’Istituto superiore di sanità, il ministero del Welfare e “Nebo ricerche- pa”. L’analisi su 12 milioni di schede di dimissioni ospedaliere per patologie acute, suddivise per le 166 Usl presenti in Italia, ha consentito di delineare un vero e proprio “atlante” nazionale del rischio ospedalizzazione. I numeri confermano che, ad eccezione della Basilicata che presenta statistiche simili al Settentrione, al Nord c’è meno rischio di finire in ospedale che al Sud. Questo dato ci dice in modo indiretto non solo che chi abita nelle regioni settentrionali potrebbe ammalarsi di meno che in quelle meridionali. Ma anche che la Sanità nel Paese non è strutturata in modo equilibrato. Come spiegare questa forbice? O non funziona bene il filtro dei medici di famiglia. Oppure, come spiega Susanna Conti, epidemiologa dell’Iss e della direzione strategica di “Era 2008”, «al Sud potrebbero esserci meno strutture alternative territoriali, come ad esempio gli ambulatori. E così la gente ad ogni malanno è costretta a finire in un letto d’ospedale, anche per un ricovero improprio». Questo trend potrebbe giustificare anche il maggiore deficit sanitario di cui soffrono le Regioni del Centro Sud visto che il ricovero ospedaliero “improprio” è una delle cause più importanti dei disavanzi di bilancio. Se si vuole stilare la classifica delle Usl con il maggior rischio di ricovero ospedaliero, al primo posto svetta, per gli uomini, quella di Lanusei, un comune di 5.722 abitanti capoluogo della Provincia dell’Ogliastra. Là c’è l’osservatorio astronomico pubblico più grande d’Italia, ma c’è anche l’ospedale a più alto rischio di ricovero. Seguono, per gli uomini, Roma (area metropolitana), e Teramo. Per le donne, dopo il comune sardo ci sono Foggia e Crotone. Al contrario, l’Usl nella quale è più basso il tasso di ospedalizzazione, si trova per gli uomini in Umbria, a Foligno, seguita da Pistoia e Gorizia, in Friuli. Per le donne, invece, la Usl col più basso rischio di ospedalizzazione è al Nord Est, ed è quella della Bassa Friulana, la sezione più orientale della Pianura Padana. Analizzando, invece, i dati per Regione, gli uomini hanno più probabilità di finire in ospedale in Molise, in Lazio e in Abruzzo, ne hanno di meno in Umbria, Toscana e Friuli. Per le donne, maggior rischio in Molise, Abruzzo, Lazio, minor rischio in Friuli, Umbria e Toscana. Nella media nazionale, si ricoverano più le donne che gli uomini. Ma se si disaggregano i dati delle schede di dimissioni ospedaliere per sesso e per età, si ricavano altre strane forbici sanitarie fra maschi e femmine, fra Nord e Sud. Per le malattie del sistema circolatorio, ad esempio, al di sotto dei 75 anni sono più a rischio di ospedale gli uomini, ma il trend si ribalta con una prevalenza femminile tra le persone anziane, oltre i 75 anni. Nel caso, invece, dei traumatismi, hanno maggiore probabilità di finire in nosocomio i maschi della fascia di età compresa fra i 15 e i 44 anni (maggiormente coinvolti in incidenti stradali e sportivi). E le donne tra i 75 e gli 84 anni, essendo più esposte — in quanto più colpite dall’osteoporosi — alle fratture da cadute. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 16 nov. ’08 L'ERRORE NON SARÀ PIÙ REATO: PRONTA LA LEGGE PER I DOTTORI La proposta Per i cittadini sarà meno automatico poter citare i medici in giudizio Santelli: depenalizziamo. Ma imperizia e negligenza resteranno punite Specialisti a rischio Tra gli specialisti che risultano più a rischio di denunce ci sono i ginecologi Al termine delle battaglie giudiziarie nove casi su dieci si concludono con l'assoluzione ROMA — Destino inesorabile per otto su dieci. Denunciati e trascinati in tribunale per sospetta malpractice. Accusati di aver sbagliato. Un rischio che i chirurghi devono mettere in preventivo e dal quale cercano di difendersi con tutte le armi. Ricorrendo ad esempio alla cosiddetta medicina difensiva, cioè prescrivendo al paziente cure, ricoveri, esami che in cuor loro ritengono superflui ma che risulterebbero solidi scudi in caso di processo. Ogni anno il sistema sanitario pubblico sborsa tra 12 e 20 miliardi per analisi di tipo precauzionale. Una proposta di legge appena depositata ha l'obiettivo di alleggerire «il disagio di fronte alla crescita prepotente del contenzioso medico legale e alla richiesta di risarcimento a tutti i costi ». Un progetto di depenalizzazione dell'errore medico annunciato già a giugno dal sottosegretario al Welfare Fazio, e auspicato dalle categorie dei camici bianchi, chiamati da famiglie e pazienti a sostenere battaglie giudiziarie infinite che in quasi 9 casi su 10 si concludono con l'assoluzione. Primi firmatari Iole Santelli (vicepresidente commissione Affari Costituzionali) e Giuseppe Palumbo (presidente Affari sociali), entrambi Pdl, il provvedimento introduce nel codice penale e civile una serie di aggiunte e nuovi articoli che definiscono la colpa professionale legata ad un atto medico e chiariscono i meccanismi del nesso di causalità. «Ora la giurisprudenza non dà margini di certezza, i tribunali decidono in modo discrezionale, non c'è uniformità e i cittadini possono fare causa contro tutti e tutto», spiega la Santelli. «Un conto sono imperizia e negligenza che continueranno ad essere punite e resteranno nell'ambito penale — aggiunge Palumbo —. Un altro sono gli errori che non derivano da omissioni o superficialità tecnico scientifica. E allora la causa è civile». Insomma, sarà meno automatico per i cittadini citare il dottore in giudizio. La legge si affianca a quella già in discussione al Senato, avviata da Antonio Tomassini. Obiettivi «modesti», si spiega nella premessa: «Alleggerire la pressione psicologica sul medico e l'animo a volte vendicativo del paziente nei confronti dei sanitari, accelerare la soluzione delle vertenze giudiziarie». Particolare importanza viene attribuita alle caratteristiche dei periti, al ruolo delle assicurazioni e al consenso informato. Un anno di carcere per chi «sottopone una persona contro la sua volontà a un trattamento arbitrario». «Siamo il Paese col maggior numero di denunce contro la categoria, assieme al Messico — lamenta Rocco Bellantone, segretario della società italiana di chirurgia —. Solo in Italia i reati medici vengono puniti penalmente, altrove si dà per scontato che chi opera o prescrive una cura non ha un atteggiamento lesivo. Quando sbagliamo siamo accomunati a chi commette un omicidio in stato di ubriachezza». Tra gli specialisti più tartassati, i ginecologi-ostetrici, su cui pesa la doppia responsabilità di mamma e bambino. Tra le contestazioni più frequenti, il ritardato cesareo. Margherita De Bac _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’08 ICT: L'INNOVAZIONE SECONDO I DG INFORMATION TECHNOLOGY/ Da Federsanità Anci un tavolo dei manager sull'Ict L'obiettivo: creare «livelli essenziali di informatizzazione» per il Ssn Basta col fai da te. E con le iniziative spot che non portano da nessuna parte. Per avere una Sanità elettronica che funzioni davvero nelle corsie degli ospedali italiani facendoli anche comunicare tra di loro servono standard comuni. In tre parole per il Ssn servono i «livelli essenziali di informatizzazione». A chiederlo a gran voce al Governo e alle Regioni sono i manager delle strutture sanitarie alle prese, in prima persona, con investimenti in Ict e "e-health" (più precisamente dallo 0,5% all'1,5% del budget annuale). Una sessantina di direttori generali all'interno di Federsanità Anci e con la benedizione del ministero del Welfare hanno appena creato un tavolo permanente per l'innovazione in Sanità. Con una serie di proposte operative che il ministero della Funzione pubblica ha subito promesso di prendere sul serio. Il tavolo - che si è riunito a Venezia il 7 e 8 novembre scorsi - ha puntato, innanzitutto, il dito contro i punti più problematici e una situazione attuale caratterizzata da «best practice» sul territorio che risultano però «iniziative parcellizzate, frutto dell'azione locale di manager innovatori, e rimangono confinate nelle aree in cui sono nate». E ancora: evidente divario nei livelli di informatizzazione delle singole aziende e nei servizi on line garantiti ai cittadini; ridotta interoperabilità tra le diverse strutture sanitarie; assenza di standard necessari per l'interoperabilità. Da qui l'idea di un pacchetto di «proposte operative» contenute in manifesto dell'innovazione in Sanità. A cominciare dall'individuazione di «modalità di prescrizione di standard nazionali e internazionali che favoriscano l'interoperabilità tra i sistemi» in modo da offrire «servizi omogenei» ai cittadini. E poi: creare un inventario di «best practice organizzative» da poter trasferire; focalizzarsi sulla «dimensione regionale» costruendo una cornice nazionale che stabilisca requisiti e livelli minimi di informatizzazione. Da qui il tavolo permanente vuole partire con «l'obiettivo di presentarsi come interlocutore autorevole e stabile del Governo centrale sul tema dell'innovazione in Sanità». Anche perché - come rivela l'indagine a cui hanno risposto 57 manager sanitari - la situazione attuale dell'Ict sanitario è più frastagliata che mai. A partire dagli investimenti: il 48% dei Dg dichiara che nello scorso anno la propria Asl ha investito in progetti di innovazione tecnologica più di 1,6 milioni di euro. Rispetto al bilancio gli investimenti in progetti di innovazione non superano la percentuale dell'1,5% nel 33% delle aziende e, addirittura, sono inferiori allo 0,50% nel 29% delle Asl e Ao campione. In più: nel 48% delle Asl la Direzione sistemi informativi risponde al Dg. Nel 10% dei casi a un organo complesso che è la Direzione strategica. Secondo l'indagine le resistenze del personale costituiscono l'ostacolo più importante per un maggiore e migliore uso delle Ict. Tra gli altri ostacoli, hanno la stessa rilevanza la mancanza di risorse economiche e le competenze del personale interno. Infine nel 22% delle Asl l'iniziativa più significativa in corso è la realizzazione del sistema Ris-Pacs. In un altro 22%, l'iniziativa più significativa in corso è relativa ai servizi on line, in particolare Cup, refertazione, cartella clinica. E il 14% delle Asl è impegnato nel collegare i Mmg con il sistema informativo ospedaliero e territoriale. Marzio Bartoloni Le proposte operative del tavolo permanente Passare dalla cultura dell'atto alla cultura del progetto, attraverso figure professionali adeguate che non abbiano paura di prendere decisioni Individuare modalità di prescrizione di standard nazionali e internazionali che favoriscano l'interoperabilità tra i sistemi al fine di offrire servizi omogenei ai cittadini sull'intero territorio nazionale Creare un inventario di best practice organizzative che mirino alla trasferibilità dei processi nell'ottica non solo della "premialità" ma della soluzione a problemi comuni definiti Sviluppare capacità di misurazione e valutazione, legando obiettivi, risorse e risultati Rendere omogenee a livello nazionale un set minimo di informazioni per rispondere alle esigenze di appropriatezza Stabilire ambiti ottimali di gestione delle risorse ipotizzando alcune funzioni di livello sovraziendale (Area vasta) prima di focalizzarsi su livello nazionale Focalizzarsi sulla dimensione regionale. I progetti Paese trovano infatti nella dimensione regionale la dimensione chiave. Compito del livello nazionale è fornire una cornice minima di riferimento e un glossario che stabilisca cosa le Regioni facciano. Compito delle Regioni è portare a regime di programmazione le best practice, mettendole, comunque, a disposizione come patrimonio di conoscenza comune Definire una serie di obiettivi misurabili e coordinati che consentano di declinare requisiti minimi (livelli di informatizzazione e servizi informativi essenziali per il cittadino) _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’08 FASCICOLO SANITARIO/ UN PERCORSO CONDIVISO PER LA DEFINIZIONE DI STANDARD NAZIONALI Asl e Regioni, a ognuno il suo Le scelte locali devono coordinarsi con le altre attività istituzionali Ogni giurisdizione (Regione, Area vasta, azienda sanitaria ecc.) definisce le proprie politiche di impianto e gestione dell'infrastruttura del fascicolo nel proprio territorio di competenza, in armonia con l'insieme delle attività svolte negli ambiti a lei sovraordinati (a esempio, nazionale ed europeo) e subordinati (a esempio, locale), attraverso azioni che si articolano sugli aspetti normativi, culturali (sensibilizzazione e formazione), clinici, economici, organizzativi e tecnologici. La realizzazione del fascicolo prevede anche attività di sensibilizzazione e di educazione dei cittadini all'uso del fascicolo, rivolta sia verso tutti i cittadini indistintamente, sia verso gli individui per i quali si possono attendere i benefici maggiori (come malati cronici, neonati, anziani), nonché verso i loro coadiutori informali (parenti, vicini, badanti, volontari). Il fascicolo non è assimilabile alla cartella clinica abituale, ma è uno strumento innovativo e a sé stante, che ha bisogno di linee guida e regolamentazione specifici sugli aspetti organizzativi, legislativi, economici e implementativi, riguardo a esempio * le responsabilità di gestione, * i diritti di accesso, * i criteri per alimentarlo * le specifiche politiche di sicurezza. Per garantire livelli adeguati di interoperabilità in ambito nazionale, è opportuno che le Regioni concordino tra loro e con le istituzioni nazionali l'adozione di una regolamentazione di base del fascicolo e di standard internazionali, opportunamente calati nella realtà italiana. Ogni Regione ha comunque una propria sfera di autonomia rispetto alla regolamentazione del fascicolo, entro i limiti prefissati consensualmente tra le Regioni medesime e con le istituzioni nazionali (ed eventualmente in futuro concordati a livello europeo). Finché non verrà raggiunto un accordo a livello complessivo interregionale, ogni giurisdizione (Regione o insieme di aziende sanitarie) può decidere di adottare proprie regole e guide all'implementazione degli standard internazionali, con opportuni accordi con le relative organizzazioni, per l'utilizzo di materiali coperti da copyright. Il fascicolo permette alle persone autorizzate di visualizzare una replica fedele delle informazioni sanitarie e sociali rilevanti generate e strettamente collegate alla propria attività, in ogni momento e in ogni luogo dove possano essere necessarie, indipendentemente da quale struttura e per quale scopo siano state generate. La documentazione originale, nella sua completezza, viene comunque conservata dall'organizzazione in cui è stata generata, secondo la normativa vigente; la presenza del fascicolo non solleva tali organizzazioni dagli obblighi legali sulla conservazione dei documenti originali. Proposta di decalogo sui concetti generali * Il fascicolo è un contenitore sicuro di documenti sugli aspetti sanitari e sociali che riguardano tutta la vita di un individuo * Il fascicolo contribuisce a gestire i processi di continuità di cura e favorisce la qualità dell'assistenza, a beneficio diretto dell'interessato * La realizzazione del fascicolo richiede linee guida e un'apposita regolamentazione in ambito nazionale. * L'autonomia regionale sul fascicolo si sviluppa nell'ambito di accordi interregionali * La documentazione raccolta nel fascicolo non sostituisce la documentazione originale, conservata anche per motivi legali presso l'organizzazione che l'ha generata * In ogni giurisdizione le fasi di implementazione del fascicolo avvengono secondo un programma pluriennale esplicito, che comprende anche aspetti di formazione, ricerca e promozione * L'avvio del fascicolo può essere graduale, a partire da sottoinsiemi mirati di popolazione, da alcune tipologie di contatti o di documenti * Il sistema tiene traccia dettagliata di tutti gli accessi effettuati a un fascicolo, e l'interessato può consultare tale traccia in ogni momento * All'interno del fascicolo è prevista un'Area riservata, con accesso circoscritto a particolari situazioni dettagliatamente regolamentate, in cui vengono custodite le informazioni particolarmente sensibili L'utilizzo ottimale del fascicolo richiede l'adozione di standard internazionali e la predisposizione di una "infostruttura" sui contenuti da memorizzare e scambiare, in particolare riguardo ai principali percorsi assistenziali Il fascicolo rispetta le normative vigenti sulla protezione dei dati personali. L'interessato può rifiutarne il consenso all'attivazione e controllare chi può avere accesso e a quali gruppi di informazioni può accedere, senza pregiudizio per il godimento delle prestazioni Le finalità Il fascicolo raccoglie e conserva in modo sicuro documenti selezionati, relativi agli aspetti sanitari e sociali generati durante tutto l'arco della vita di un individuo, in corrispondenza dei contatti con qualsiasi struttura sanitaria e sociale (cure primarie, secondarie e terziarie; strutture pubbliche e private). L'interessato può accedere al fascicolo e produrre annotazioni o propri documenti, resi opportunamente riconoscibili come tali, ma non può alterare il contenuto della documentazione prodotta e firmata dagli operatori sanitari e sociali. Il fascicolo ha lo scopo primario di contribuire a gestire i processi di continuità di cura e di favorire la qualità dell'assistenza per prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, in ambito sociale e sanitario. L'obiettivo principale è il beneficio dell'interessato, anche se il fascicolo è soprattutto uno strumento di lavoro a uso dei professionisti sanitari. Il fascicolo si inserisce nelle normali modalità informatizzate di trattamento delle informazioni sociali e sanitarie, e costituisce lo strumento ottimale per l'indicizzazione e la ricerca delle stesse, quando sono coinvolte diverse strutture sanitarie. Una roadmap verso la realizzazione ? La realizzazione piena del fascicolo avviene per fasi annuali successive; ogni giurisdizione rende esplicito il proprio programma pluriennale per la realizzazione del fascicolo e lo aggiorna periodicamente. Tale programma è parte integrante di piani più generali per lo sviluppo della "Salute in rete". Ogni giurisdizione confronta e armonizza il proprio Programma pluriennale con i piani delle giurisdizioni superordinate e subordinate. Ogni giurisdizione definisce una propria tattica per l'avvio graduale dei fascicoli, considerando uno o più criteri: i sottoinsiemi di popolazione da soddisfare con priorità, o per fasce di età (a esempio neonati, anziani) o per problematica di salute (es. malattie croniche); le tipologie di contatti ritenute prioritarie (a esempio, visite al medico di medicina generale); le tipologie di documenti più adatte ad alimentare inizialmente il fascicolo, come le prescrizioni, i referti, nonché un inquadramento sintetico dell'interessato, prodotto dal Mmg/Pls (un tipo di "Patient summary"). Lo sviluppo e l'armonizzazione delle infrastrutture a livello regionale e nazionale sono coordinati da opportune strutture di supporto, che coinvolgono anche i rappresentanti di tutti gli attori interessati, sotto il controllo delle rispettive autorità nazionali e regionali. Un organo tecnico di livello interregionale definisce, con il supporto delle istituzioni nazionali, le specifiche dettagliate di funzionamento del fascicolo e cura tra l'altro la validazione e l'aggiornamento dei concetti sottostanti, nonché le guide all'implementazione per gli standard internazionali adottati e la definizione di terminologie cliniche, codifiche e dataset (info-struttura) necessari per assicurare l'interoperabilità semantica. Tale organo garantisce che le soluzioni locali del fascicolo siano compatibili con le specifiche nazionali e siano coerenti con le necessità di evoluzione tecnologica. La realizzazione del fascicolo è accompagnata da un adeguato programma di ricerca e sperimentazione. Inoltre ogni piano per la realizzazione del fascicolo prevede una attività permanente di valutazione degli interventi effettuati, dei costi e dei benefici raggiunti, sia diretti che indiretti, nonché dell'impatto sui modelli organizzativi. I relativi rapporti dovrebbero essere redatti secondo modalità uniformi, in modo da facilitare lo scambio di esperienze tra le regioni e a livello internazionale. Integrazione clinico- tecnologica Il fascicolo può essere implementato con soluzioni applicative diverse, purché rispondenti alle indicazioni tecniche specificate a livello regionale e nazionale e compatibili con i piani di sviluppo della "Salute in rete". Il fascicolo si integra con forme di condivisione di dati clinici più specializzate o rivolte a gruppi mirati, quali i registri di malattia (soprattutto per malattie croniche) e i libretti sanitari personali (per esempio il libretto pediatrico). Le soluzioni tecnologiche, gli standard e i profili utilizzati devono poter evolvere secondo le necessità future del sistema, mantenendo per quanto possibile la compatibilità e l'integrità dei dati rispetto alle soluzioni precedenti. Stato e Regioni promuovono una armonizzazione dell'infostruttura, cioè delle terminologie cliniche e delle relative codifiche tra i diversi campi di applicazione, sia riguardo alle proprietà dei dati clinici (cioè delle variabili utilizzate nei documenti, a esempio, nomenclatura Loinc per i risultati di laboratorio), sia riguardo alle espressioni ammesse nei singoli campi strutturati (a esempio, i sottoinsiemi di specifici valori estratti da una nomenclatura clinica di riferimento come Snomed). Promuovono inoltre, in accordo con le Società scientifiche, la definizione dei dataset clinici e degli indicatori utili a gestire e valutare i principali percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali. Un'area speciale per i dati sensibili? Il fascicolo contiene dati sensibili relativi alla salute. Alcune di queste informazioni (si pensi ai dati relativi a condizioni come l'Aids) necessitano di maggiore protezione rispetto alle altre, soprattutto per quanto attiene alla loro riservatezza. La definizione di una scala di confidenzialità delle informazioni del fascicolo è stabilita in modo uniforme sul territorio nazionale. A esempio, le informazioni possono essere catalogate in categorie a cui possono corrispondere diversi livelli di accesso di default: * informazioni di base (a esempio, anagrafiche e amministrative, esenzioni) e di emergenza (a esempio, allergie); * informazioni sanitarie ordinarie (a esempio, sui ricoveri e sulla storia clinica); possono essere semplici notifiche sul verificarsi di un evento, oppure documenti che descrivono l'evento stesso e le osservazioni sul paziente; * informazioni particolarmente sensibili, su particolari aspetti (a esempio, mentali, sessuali, tossicodipendenze, interruzioni di gravidanza). Queste informazioni devono essere "racchiuse" dal punto di vista logico in un'area riservata del fascicolo ("sealed envelope"), sottoposta a particolari procedure. L'accesso all'area riservata può avvenire solo con esplicito consenso di volta in volta dell'interessato o in casi eccezionali, opportunamente regolamentati con modalità ancora più severe dei casi di emergenza già citati. Il sistema gestisce la traccia degli accessi all'area riservata del fascicolo secondo una regolamentazione specifica, definita a livello nazionale. Privacy: aspetti di base L'infrastruttura del fascicolo rispetta le normative vigenti sulla protezione dei dati personali (direttive comunitarie, leggi nazionali, regolamenti attuativi e documenti dei garanti). La scorsa settimana proprio il Garante per la privacy ha sollecitato ad «accelerare la discussione per cercare di individuare standard comuni anche per consentire l'inter-operabilità, perché è inutile spendere tante risorse per l'informatizzazione se poi non c'è dialogo tra strutture». Un'accelerazione necessaria anche a evitare di procedere «a macchia di leopardo » come oggi. Nell'attesa di un provvedimento specifico, in via di emanazione, vengono qui riportati alcuni punti salienti. 1. Prima dell'apertura del fascicolo, è necessario che l'interessato sia informato sui trattamenti effettuabili ed esprima un consenso valido. 2. Il rifiuto al consenso non influisce sulle prestazioni. 3. L'interessato ha il controllo su chi può avere accesso al proprio fascicolo e a quali gruppi di informazioni può accedere, e può modificare le sue scelte in qualsiasi momento, senza pregiudizio per il godimento delle prestazioni. 4. Un'apposita regolamentazione prevede le modalità in cui può essere autorizzato un accesso al fascicolo, in casi di emergenza (a esempio senza consenso esplicito). 5. Gli accessi d'emergenza al fascicolo sono sottoposti a uno stretto controllo, secondo procedure predisposte, che possono prevedere a esempio richieste preventive di autorizzazione oppure notifiche contestuali all'accesso, con sms, e-mail o fax a indirizzi predisposti. 6. La gestione dei documenti prima dell'invio al fascicolo, e il trattamento ulteriore delle informazioni dopo una consultazione del fascicolo, non costituiscono un trattamento del fascicolo e ricadono sotto la piena responsabilità dei rispettivi utenti. 7. L'interessato non può modificare i documenti firmati dagli operatori, ma può fornire annotazioni a questi, oppure generare nuovi documenti, opportunamente segnalati come propri. 8. Un operatore sanitario, se autorizzato ad accedere al fascicolo, può accedere solo alle informazioni a cui è stato abilitato. 9. Il sistema garantisce la trasparenza, tenendo una traccia ("file di log") di tutti gli accessi da chiunque effettuati, che riporta: chi ha avuto accesso al fascicolo, quale ruolo riveste rispetto all'interessato, quali informazioni ha visto (e, se permesso, ha copiato), quali operazioni ha effettuato e in quale contesto clinico e organizzativo. 10. L'interessato deve poter accedere in ogni momento alla traccia degli accessi effettuati. 11. I documenti sanitari (o le singole informazioni) contenuti nel fascicolo possono essere memorizzati (importati in formato elettronico, "downloaded") in un sistema informativo locale di una struttura sanitaria o di un Mmg/Pls, solo con un ulteriore consenso esplicito dell'interessato. 12. Le copie di documenti, una volta importate dal fascicolo seguono le regole valide per il sistema informativo in cui sono state importate, relativamente alla riservatezza, integrità e disponibilità. _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’08 TUTTA LA VITA DEL «PATIENT FILE» FASCICOLO SANITARIO/ La documentazione parte al momento dell'iscrizione al Ssn Il dossier individuale ideale è unico, gratuito e fornito dall'Asl di residenza Il possesso di un fascicolo è un diritto per ogni individuo che abbia accesso alle prestazioni: cittadini italiani, stranieri temporaneamente presenti, tutti coloro che accedono anche in modo occasionale ai Servizi sanitari. Ogni individuo possiede un solo fascicolo istituzionale. Dal punto di vista fisico, il fascicolo è gestito tramite una "Infrastruttura di base", cioè un sistema federato costituito da una rete di componenti organizzate principalmente in ambito regionale, secondo principi uniformi a livello nazionale. La realizzazione dell'Infrastruttura di base è a carico di Regioni, Asl, aziende ospedaliere o loro aggregazioni con il supporto dello Stato, in termini di co- finanziamento e di infrastrutture. Ogni Asl offre gratuitamente il servizio di gestione del fascicolo nel suo complesso ai propri assistiti. Dal punto di vista tecnologico, alcune infrastrutture possono essere gestite da un insieme di aziende o in ambito regionale; comunque la responsabilità diretta del servizio verso ogni individuo rimane dell'Asl di residenza. L'attivazione del fascicolo è a cura dell'Asl di residenza o per i non residenti in Italia, dell'Asl in cui avviene la prima prestazione sanitaria. Il fascicolo è accessibile agli attori autorizzati, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. L'indice di tutti i documenti contenuti nel fascicolo è disponibile 24 ore su 24, sette giorni su sette. Gli operatori professionali hanno il diritto e il dovere di utilizzare il fascicolo nei processi di assistenza, secondo le autorizzazioni concesse. Il sistema prevede l'accesso dell'interessato al fascicolo, per consultarlo e - se previsto dalle regole regionali o locali - per riempire questionari sullo stato di salute, inviare dati, o inserire commenti e informazioni (riconoscibili come tali). L'accesso avviene tramite qualsiasi strumento disponibile (personal computer, internet point ecc.), inclusi punti pubblici di accesso al fascicolo nelle Asl. Un'Asl può predisporre un servizio per copiare, a richiesta dell'interessato, tutto o parte del fascicolo su un supporto portatile, da consegnare all'interessato. L'interessato può delegare (e revocare) altre persone di fiducia (parenti, badanti, volontari ...) ad accedere per proprio conto al suo fascicolo e alla traccia degli accessi effettuati. La delega può essere vincolata a un periodo temporale o a specifiche funzioni. Il delegato utilizza il proprio nome e proprie modalità d'accesso, diverse dal titolare. Attivazione e alimentazione del fascicolo. Esaurita una fase di avvio, l'attivazione di un nuovo fascicolo è formalizzata al momento dell'iscrizione all'Asl (per nascita, trasferimento, straniero che accede ai servizi ecc.). La documentazione sanitaria e sociale, prodotta secondo procedure omologate, è caricata in modo sistematico nel fascicolo e non sostituisce l'uso corrente delle applicazioni e della documentazione originale gestita nei sistemi informativi locali. In caso venissero generati accidentalmente più fascicoli, deve essere possibile ricondurli tutti a un unico fascicolo (con traccia dell'operazione), secondo procedure sicure predefinite. Il sistema permette la disattivazione dell'accesso al fascicolo, su richiesta dell'interessato. Le informazioni presenti in un fascicolo disattivato non sono cancellate fisicamente, ma rese inaccessibili perché per motivi legali deve essere possibile ricostruire il contenuto di un fascicolo nel corso di un accesso passato. Un fascicolo per cui è stato disattivato l'accesso a tutti gli utenti continua a ricevere e conservare informazioni, senza condividerle e può essere consultato in casi d'emergenza, regolamentati secondo procedure che comportano, tra l'altro, una tempestiva notifica a indirizzi predefiniti dall'interessato. I dati provenienti dalla strumentazione (anche domiciliare) sono inviati ai sistemi informativi locali e arrivano poi al fascicolo sotto forma di documenti opportunamente elaborati. L'interessato può rivolgersi agli «sportelli per la gestione del fascicolo», portando o inviando la propria documentazione in formato cartaceo o elettronico perché venga caricata nel fascicolo. Gli operatori che non sono ancora coinvolti direttamente nella rete tra le infrastrutture locali del fascicolo possono comunque inviare la documentazione in modo estemporaneo, secondo procedure da stabilire. Se l'utente utilizza i servizi aggiuntivi per inserire i dati direttamente nel fascicolo, senza passare attraverso sistemi informativi locali, l'infrastruttura deve garantire la conservazione della documentazione ai fini legali. Il sistema ammette anche la naturale presenza di informazione contraddittoria, in corrispondenza di diversi autori, oppure prodotta in momenti diversi in seguito alla disponibilità di ulteriori informazioni. Proposta di decalogo sulla gestione vincoli di tempo o di funzioni 1. Per ogni individuo esiste un solo fascicolo 2. Il possesso del fascicolo è un diritto di tutti gli individui 3. Il servizio di gestione del fascicolo è offerto gratuitamente dalla Azienda sanitaria locale di residenza, anche se può essere realizzato tecnicamente in collaborazione con altre aziende 4. Gli operatori professionali hanno il diritto e il dovere di utilizzare il fascicolo nell'ambito dei processi di assistenza 5. L'interessato può consultare il proprio fascicolo, copiarlo su un supporto portatile in suo possesso, e inserire propri contributi (dati sulla propria salute, questionari, annotazioni), riconoscibili come tali 6. L'interessato può delegare persone di sua fiducia a operare sul fascicolo, con eventuali 7. Il fascicolo viene alimentato tramite i sistemi informativi locali, che conservano la documentazione originale secondo la vigente normativa 8. Il fascicolo tollera la naturale presenza di informazioni cliniche contraddittorie, in corrispondenza di diversi autori e tra i servizi di base non è previsto un riconoscimento "automatico" di relazioni o anomalie nei dati 9. L'interessato può rivolgersi ad appositi sportelli delle Aziende sanitarie per far caricare nel fascicolo la documentazione clinica cartacea o elettronica in suo possesso 10. L'interessato può chiedere di disattivare il proprio fascicolo, senza cancellarne il contenuto, e renderlo inaccessibile ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 nov. ’08 LA SALUTE SCRITTA IN UN FILE FASCICOLO SANITARIO: Vademecum Cnr per avviare il dibattito sulla gestione dei dati Criteri uniformi per verificare referti, prescrizioni e profili di patologia Prima tappa 31 dicembre 2009, quando arriverà «la totale sostituzione del certificato di malattia cartaceo con quello digitale». L'annuncio sull'avvio ufficiale dell'era della Sanità digitale lo ha dato proprio la scorsa settimana il ministro dell'Innovazione, Renato Brunetta, secondo il quale alla fine del prossimo anno anche le ricette saranno in formato digitale e tutti i controlli si faranno online, certificati compresi. Poi, seconda tappa: giugno 2010, quando nei progetti tutti i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta saranno in rete. L'ultima rivoluzione annunciata da Brunetta riguarda la «graduale introduzione del fascicolo sanitario elettronico, caratterizzato da uno standard condiviso tra il 2009 e il 2010». Il risparmio immediato (al 2011) previsto è di circa l’8% della spesa; quello a lungo termine (2025) circa il 15%. E partendo da lontano (2005), proprio in questa ottica, l'Unità di Sanità elettronica dell'Istituto tecnologie biomediche del Cnr ha messo a punto un progetto sul fascicolo sanitario, appena concluso e presentato in queste pagine. II fascicolo sanitario cerca un proprio ruolo tra le diverse soluzioni per la gestione in rete della documentazione clinica, oggi disponibili accanto alla cartella clinica del singolo operatore o del reparto ospedaliero. In Italia il fascicolo è inteso come una raccolta dei documenti clinici (rilevanti), con accesso sicuro da parte dei professionisti autorizzati. Può essere prevista la raccolta anche dei documenti sugli aspetti sociali. Di solito l'interessato può accedere solo in lettura sia ai documenti che alla traccia (log) degli accessi. Una versione "estesa" del fascicolo (Libretto sanitario) prevede che l'interessato e i suoi coadiutori possano inviare commenti, questionari, appunti (non necessariamente firmati elettronicamente). Altri approcci invece che gestire documenti, prevedono l'accesso remoto dai diversi presìdi della stessa organizzazione, per gestire in modo nativo i dati clinici dettagliati. Gli esempi possono essere i sistemi informativi clinici e organizzativi integrati di Kaiser Permanente negli Usa o di Maccabi in Israele, che gestisce in modo uniforme cure primarie e degenze ospedaliere. Gli operatori introducono i propri dati direttamente nella cartella clinica condivisa, con un atto professionale e la responsabilità delle informazioni immesse. In alternativa, i dati clinici rilevanti possono essere estratti "automaticamente" dai documenti contenuti nel fascicolo e poi organizzati in database clinico, senza un esplicito intervento clinico- professionale (e la relativa assunzione di responsabilità). Infatti occorre che i dati siano strutturati e codificati in modo coerente, per esempio a partire da documenti operativi standardizzati (prescrizioni, prenotazioni, referti). È difficile individuare un responsabile per il risultato di questo tipo di elaborazione, a meno di non prevedere un mandato esplicito a un care manager, che ne curi validazione e manutenzione. Ma molti documenti clinici risultano disomogenei: spesso non ci sono direttive sui dati da catturare e su come rappresentare in modo coerente nome del dato e valori (unità di misura, codifiche). L'approccio potrebbe essere circoscritto a dati essenziali prelevati da documenti generati ad hoc (basati su percorsi assistenziali autorevoli) su patologie rilevanti. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 nov. ’08 CON L'E-HEALTH NON SI FANNO DIAGNOSI L’infrastruttura di base del fascicolo è un mezzo, non un fine; si limita raccogliere e restituire i documenti, ma di norma non ne interpreta il contenuto. Essa si pone all’interno di un vasto panorama di soluzioni per la salute in rete, accanto a diversi altri servizi per il professionista e per il cittadino, per esempio: * solleciti e preavvisi di scadenze predisposte (agenda); * segnalazione di anormalità riscontrate * di allarmi, in base ai dati clinici strutturati * regole e conoscenze generali * pagine gialle sui servizi socio-sanitari offerti dalle Asl o dalla regione, * istruzioni per l'uso dei servizi e sulle pratiche da fare e istruzioni sul comportamento (es. per il miglioramento degli stili di vita) * sulle attività sanitarie da compiere da parte dell'interessato e dei suoi coadiutori; * accesso a conoscenze autorevoli sulle malattie, sui rischi, sulla prevenzione; e gestione di apparecchiature domiciliari, in grado di dialogare in rete secondo standard "plug-and-play"; * accesso a contact center e servizi di telemedicina (teleconsulto), con o senza consultazione del fascicolo da parte dei consulenti o operatori. Si può anche pensare in futuro a una navigazione nel fascicolo adattata alle caratteristiche dell'interessato o al contesto d'uso, per guidare nella ricerca dei documenti rilevanti. Infine sono appena apparsi altri strumenti, che mettono in contatto tra loro gli utenti della rete (social networking): il cittadino costruisce insieme ad altri cittadini una nuova tipologia di strumenti, scambiando reciprocamente le loro esperienze verso il sistema. Le soluzioni descritte in precedenza eran tutte relative a servizi molto "controllati", che riguardano l'interessato e i "suoi" professionisti, più risorse informative (istruzioni e conoscenze) predisposte. Sta invece sorgendo un fenomeno di massa, spontaneo, non controllato a priori (tutt'al più calmierato). Si può applicare a molti tipi di risorse informative, a esempio: * condivisione di esperienze di malattia, * approfondimenti sulla natura della patologia e sulla sua evoluzione; * assistenza reciproca sulle pratiche e le procedure da seguire; * valutazione delle singole strutture e degli operatori (esperienze positive e negative di assistenza, servizi alberghieri e logistici, decoro, attenzione al cliente ecc.), con eventuale dialogo con le strutture sanitarie (Urp "esteso"); * valutazione delle procedure e apparecchiature (efficacia percepita, effetti collaterali, sensazioni, confronti, costi, strutture consigliate ...); * incontro domanda-offerta di personale più o meno specializzato (infermieri, o badanti) con pratica su specifiche problematiche di salute; * coordinamento sui diritti e sulle azioni comuni per il miglioramento dei servizi. Questo tipo di strumenti completa il fascicolo/libretto e rappresenta un elemento caratterizzante del "Personal healt record" più evoluto, al servizio del ; cittadino. ______________________________________________________________ Il Giornale 15 nov. ’08 ODONTOIATRIA DI QUALITÀ PER GLI ITALIANI A Riccione presenti oltre 1500 odontoiatri per partecipare al «Nobel Biocare World Tour» Soluzioni innovative offrono al paziente più sicurezza e tempi ridotti per il trattamento Luigi Cucchi Oltre 1500 professionisti hanno partecipato a Riccione al Nobel Biocare World Tour svoltosi dal 6 all’8 novembre. È l'evento internazionale itinerante, che riunisce ogni due anni i maggiori esperti mondiali del settore odontoiatrico; una occasione di aggiornamento e di formazione. Oltre alle relazioni che presentano i reali progressi dell'implantologia si può conoscere l'impiego degli strumenti e delle tecnologie più sofisticate che migliorano la qualità e la durata degli impianti. Lo stesso rapporto con il paziente, si è positivamente modificato grazie alle tecniche chirurgiche minimamente invasive, definite senza lembo, perché non richiedono lo scollamento delle gengive, riducono l'uso del bisturi e l'inserimento di punti. Il risultato è una notevole riduzione del gonfiore e del dolore. Le nuove metodiche consentono di effettuate interventi a carico immediato con l'inserimento in tempi rapidi, dal dente singolo alle protesi fisse, risolvendo così il problema dell'edentulia ed evitando i disagi legati alla mancanza di uno o più denti o alla classica dentiera. L'intervento puo’ durare meno di un'ora e il paziente può tornare a parlare, mangiare e sorridere subito dopo. A Riccione gli odontoiatri hanno potuto assistere a nove interventi dal vivo eseguiti in diretta via satellite presso la nuova clinica dei dottori Merli a Rimini, Tutti gli interventi hanno riscosso grande interesse, citiamo in particolare quello eseguito dal dottor Giovanni Polizzi, chirurgo e ricercatore di Verona riconosciuto a livello internazionale e dal suo protesista dottor Tommaso Cantoni. Con l'utilizzo della metodica Nobel Guide è stata effettuata la riabilitazione di una arcata con il posizionamento di sette impianti in siti post estrattivi. L'intervento e durato meno di una ora, il paziente ha poi ricevuto una protesi provvisoria fissa che assicura la completa funzionalità in attesa di quella definitiva che verrà posizionata dopo circa due-tre mesi. La tecnica Nobel Guide, utilizzata dal dottor Polizzi rappresenta l'ultima frontiera dell'odontoiatria digitale. Si tratta di un programma integrato che, grazie al supporto delle tecniche computerizzate CAD-CAM, permette una completa, «pianificazione e personalizzazione del trattamento». Assiste i professionisti dentali dall'ideazione all'inserimento dell'impianto, facilitandone notevolmente il lavoro e riducendo sia il numero delle visite sia i tempi di seduta per il paziente. Così l’implantologia risponde al progressivo innalzamento dell'aspettativa di vita della popolazione mondiale e alla sempre maggiore rilevanza dei problemi legati alla mancanza di denti, o edentulia, che si avvia ad essere una questione sociale di primo piano. Sono circa 28 milioni gli italiani senza uno 0 più denti. Si manifesta quindi il bisogno di soluzioni implantologiche per soddisfare le esigenze dei pazienti. Questi traguardi sono stati raggiunti grazie alla ricerca e all'innovazione tecnologica sviluppata in Centri di eccellenza come quelli di Nobel Biocare, un gruppo industriale svizzero - svedese attivo nell'ambito dei dispositivi medicali e leader mondiale nelle soluzioni dentali estetiche innovative e scientificamente validate. Il Gruppo conta circa 2.500 dipendenti, investe annualmente in ricerca 25 milioni di euro ed ha registrato un fatturato di circa 700 milioni di curo nel 2007. Con sede in Svizzera, a Zurigo, ha propri stabilimenti in cinque sedi: Svezia, Stati Uniti e Giappone. Nobel Biocare ha organizzazioni di vendita diretta in 37 paesi e raggiunge un totale di oltre 70 paesi attraverso la sua rete di distributori. Da anni questa società ha realizzato un programma di formazione universitaria in collaborazione con 24 tra le università più prestigiose a livello mondiale, come la University of Toronto, la University of Freiburg in Germania e la New York University. Anche in Italia Nobel Biocare è impegnata in programmi di partnership innovativi con università e centri di ricerca, tra cui l'università degli studi di Verona e l'università degli Studi di Milano, dove è stato recentemente inaugurato il nuovo Centro di ricerca in implantologia orale, con sede presso I'IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi. «Le problematiche dentali si possono considerare oggi un vero e proprio problema di sanità pubblica a causa del notevole carico sociale ed economico che la cura comporta», dichiara il professor Gian Antonio Favero, direttore e primario della clinica odontoiatrica dell'università di Padova. Si calcola infatti che nel 2007, nella sola Italia, il valore del mercato implantologico sia stato di 292,5 milioni di curo. L'Italia è tra i primi Paesi al mondo per numero di impianti posizionati: ogni paziente ha una media di 2,4 impianti. L'implantologia ha registrato un tasso di crescita del 12% nel 2007. A Riccione gli esperti hanno sottolineato l'importanza della qualità e dell'attenzione al paziente. «Il risparmio - afferma il professor Favero - non deve mai essere privilegiato a scapito della qualità e sicurezza». ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 nov. ’08 LA REUMATOLOGIA VERSO TERAPIE RIVOLUZIONARIE Tanto meglio se le malattie reumatiche costano sempre più care!». Xavier Le Louhet, primario alla clinica universitaria di Rouen si compiace delle sue battute provocatorie ma, dietro il gusto per le frasi a effetto, si nasconde una rivoluzione terapeutica. Si tratta di cure innovative abbinate a biofarmaci che cambieranno radicalmente l'approccio con una malattia vecchia quanto l'umanità: i reumatismi. Questa malattia si manifesta con numerose affezioni: artrosi, poliartrite reumatoide, gotta, artrite giovanile, fibromialgia... Le malattie delle articolazioni, talvolta invalidanti e sempre dolorose, colpiscono milioni di francesi ce non solo fra gli anziani. I nuovi farmaci, illustrati a San Francisco durante il congresso degli specialisti del settore, interagiscono con quelli tradizionali. L'artrosi riguarda circa sei milioni di persone. «È la prima causa di handicap. Si pensava che fosse dovuta al logorio naturale dei tessuti, invece è la cartilagine che si autodistrugge», afferma il dottor Berenbaum, dell'ospedale Sant'Antonio di Parigi. Infatti, l'artrosi è dovuta all'eliminazione di cellule che si autodistruggono quando sono sottoposte a uria pressione troppo forte. Negli Stati Uniti, è stato dimostrato il nesso tra obesità e artrosi e ciò prova l'origine meccanica della malattia. Ma l'artrosi è anche una malattia infiammatoria. Quando una cellula della cartilagine è soffocata da ciò che la circonda, emette un segnale che si propaga e finisce con il provocare un gonfiore, poi,una deformazione dell'articolazione. «Una cellula aggredita reagisce con un segnale infiammatorio», sintetizza il dottor Berenbaum. Con l'andare del tempo, le articolazioni si bloccano in modo irreversibile, come esito di un circolo vizioso in cui l'infiammazione della membrana sinoviale causa la distruzione progressiva delle cartilagini. L'insieme dei segnali biochimici è il terreno ideale per le bioterapie. Esse sono appositamente studiate per intercettare le informazioni emesse da una cellula sofferente. Possono introdursi in una cellula per impedirle di comunicare con quelle vicine, bloccando così il dialogo intercellulare. La famiglia delle citochine svolge il ruolo più importante. Ognuna di esse è un farmaco potenziale. I ricercatori tentano di decifrare la serie di messaggi presieduti dal metabolismo cellulare. Interrompendo la catena in un punto accessibile a un farmaco "intelligente", si può sperare di rallentare o fermare il processo evolutivo di una malattia. Risultato: la caccia alle citochine è diventata l'attività preferita dell'industria farmaceutica. Grazie a queste ricerche avanzate, la reumatologia sta diventando un settore di punta della medicina, meglio attrezzata per affrontare le malattie multiformi ed evolutive. «Il nostro obiettivo è di somministrare la molecola giusta, al malato giusto e al momento giusto», conferma il dottor Sibiliah. Le case farmaceutiche dichiarano senza mezzi termini che la reumatologia è tra le priorità delle loro ricerche, al pari dell'oncologia. Rovesciò della medaglia: come si è già costatato per le malattie tumorali, il costo delle biomolecole non ha paragoni rispetto alle terapie tradizionali. «Si passa da 3o- So curo al mese a i.00o-i.s00», precisa il dottor Bernard Combe, immunoreumatologo a Montpellier. ______________________________________________________________ Il Giornale 18 nov. ’08 ADDIO ALL'INCUBO DEL PRELIEVO DI SANGUE LE NUOVE FRONTIERE DELLA SCIENZA Per scoprire le malattie ne basta una goccia Ricercatori americani hanno utilizzato il principio scoperto dal Nobel per la, fisica Abert Fert. Un biochip consentirà di esaminare il quadro clinico in tempo reale Antonio Lucano Mai più stesi su un lettino in attesa del prelievo, con la testa girata per non vedere l'ago che entra in vena. E quei lunghi minuti di «apnea» che sembrano ore. Da oggi basterà una sola goccia di sangue emmicrochip - anzi, un biochip - per una diagnosi veloce e sicura. E, soprattutto, senza patemi d'animo. La buona notizia arriva dagli Usa dove un'équipe di ricercatori americani ha utilizzato il principio della «magnetoresistenza gigante», scoperto da Albert Fert (premio Nobel per la fisica 2007) e Peter Grunberg, per concepire un nuovo prototipo di biochip capace di individuare diverse malattie semplicemente con l'utilizzo di una goccia di sangue o di urina. Una sorta di «guardiano elettronico» in grado di registrare le anomalie del nostro corpo, suonando come campanello di allarme per eventuali patologie. Un meccanismo che qualche hanno fa è stato già sperimentato a Mosca; con una particolarità: a fare da cavia non sono stati gli animali, ma le piante. Esattamente alcune centinaia di alberi secolari di Mosca per la cui tutela il Comune della capitale russa ha elaborato un progetto per dotare ogni singolo fusto di un microchip «in grado di dare l'allarme in caso di danni». Esattamente ciò che accadrà adesso per i pazienti in carne e ossa. Lo speciale biochip, oltre a garantire il prelievo in tempo reale e con il minimo sforzo, fornirà ai medici anche informazioni sull'intero quadro clinico del paziente. I1 microchip sottocutaneo per uso medico è stato permesso negli Stati Uniti dopo una lunga e scrupolosa indagine compiuta dalla F00d and drug administration. L'ente statunitense per il controllo di alimenti e farmaci, ha dato infatti il suo sì dopo aver verificato che il nuovo dispositivo «può effettivamente salvare vite umane». Il biochip è grande quanto un granello di riso e viene inserito sotto la pelle del braccio o della mano con una siringa. Non contiene dati, ma soltanto un numero. Una cifra personale che permette ai dottori di identificare la persona e risalire alla scheda medica che contiene tutti i dati su diagnosi, malattie e trattamenti di cura. Pazienti con patologie gravi o croniche sarebbero quindi i primi utilizzatori del chip. L'apertura della F00d and drug administration verso l'utilizzo di uno strumento considerato invasivo non placa però i timori e la diffusa resistenza all'utilizzo di un oggetto che evoca scenari «cupamente orwelliani». Sta di fatto che la società che ci attende, sarà una società a misura di microchip. Per favorire l'utilizzo umano e medico del biochip negli Usa la Applied digital ha annunciato che fornirà gratis a più di 200 ospedali e istituti gli scanner per leggere i dispostivi sottocutanei. Una realtà che però ha già varcato i confini degli Stati Uniti: in Messico, ad esempio, migliaia di persone vivono con il loro microchip sotto pelle. Nel Paese centro americano il microchip viene utilizzato anche dal procuratore generale della Repubblica, Rafael Macedo de la Concha: in questo caso non per motivi di salute ma per avere accesso a una stanza dove sono nascosti documenti riservatissimi sul traffico di droga. Il dispositivo è arrivato anche in Europa: un esclusivo locale di Barcellona ha dotato i clienti del microchip per evitare loro code all'entrata. In Italia è invece in corso una valutazione sull'opportunità del suo uso. Intanto dal nostro Paese arriva un'altra buona notizia in chiave di prevenzione sanitaria: un test innovativo per una diagnosi in meno di due ore di meningite e polmonite è stato messo a punto a Firenze grazie alla collaborazione tra Università e ospedale pediatrico Meyer. Il test, realizzato dal laboratorio di immunologia della clinica pediatrica dell'Università di Firenze, si basa sulla biologia molecolare e presenta una sensibilità molto più elevata delle indagini utilizzate finora per diagnosticare molte malattie infettive. Un ottimo punto di partenza. SPEEDY TEST In meno di due ore si potrà accertare se si è affetti da meningite o polmonite ______________________________________________________________ TST 18 nov. ’08 FASCI DI IONI CONTRO I TUMORI A Pavia nascerà il centro italiano di adroterapia "Precisione millimetrica per i casi più difficili" Atomi, ioni, fasci di particelle sparate alla velocità della luce contro corpi umani: sembra una scena da «Guerre Stellari» e, invece, è uno dei trattamenti più promettenti per tumori finora incurabili. Si chiama «adroterapia» e consiste nell'utilizzare le particelle per colpire e «bruciare» i tumori profondi e situati in prossimità di organi vitali. Nata direttamente dalle tecniche di accelerazione delle particelle per la ricerca fondamentale, l'adroterapia richiede strutture sofisticate e competenze molto specialistiche. Ugo Amaldi è il padre fondatore dell'adroterapia italiana. Dopo aver passato molti anni al Cern di Ginevra a cercare le risposte ai misteri più profondi dell'Universo, nel `93 i1 professore e la Fondazione Tera (Fondazione per la Radioterapia con Adroni) da lui creata iniziarono un percorso che nel 2001 ha portato all'approvazione da parte del ministero della Salute del progetto del Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO). La costruzione del Centro, che sta nascendo in prossimità del Policlinico San Matteo di Pavia, è stata affidata alla Fondazione CNAO ed è finanziata soprattutto con fondi del ministero della Salute. Oltre alle strutture ospedaliere in cui verranno effettuati i trattamenti, si prevede anche la realizzazione di una struttura dedicata alla ricerca e alla radiobiologica. 'Al progetto contribuiscono molti istituti e università, italiani e stranieri, oltre al Cern. Il contributo più importante in mezzi e personale è fornito dall'Istituto Nazionale di Fisica- Nucleare, che assicura anche la co-direzione tecnica. Gli scienziati e tecnici che lavorano alla costruzione del CNAO hanno terminato proprio in questi giorni al Cern la fase di test dei magneti utilizzati per guidare i fasci di particelle nella fase di accelerazione. Una volta raggiunta l'energia necessaria, le particelle verranno guidate da altri magneti verso le tre sale di trattamento dei pazienti. La radioterapia che si utilizza oggi in Italia su 120 mila pazienti ogni anno impiega raggi X prodotti da elettroni accelerati da campi elettrici. Tuttavia, i raggi X depositano la loro energia lungo tutto il percorso nel corpo del paziente e, in alcuni casi, non è possibile evitare l'irradiamento ;degli organi sani circostanti. AL contrario, i protoni e gli ioni,carbonio che saranno accelerati nelle strutture del CNAO, seppur tecnicamente molto più difficili da maneggiare, depositano l'energia in modo più localizzato: In particolare, gli ioni carbonio permettono il trattamento dei tumori che non possono essere controllati né con raggi X né con protoni: Il sin crotrone, cuore del CNAO, ha un diametro di 25 metri e accelererà gli ioni carbonio fino a 4.800 MeV, permettendo così di irradiare, in circa due minuti, tumori anche profondi con precisione millimetrica: Professor Amaldi, come mai si è dovuto aspettare fino ad oggi per realizzare un centro adroterapico di eccellenza in Italia? «La realizzazione del Centro arriva a conclusione di un iter lunghissimo, perché lunga è la sperimentazione e lunghi sono stati anche i tempi di approvazione dei finanziamenti ministeriali. Il primo finanziamento ministeriale è arrivato soltanto nel 2002. Tuttavia, seppure in ritardo rispetto ad altri centri di adroterapia sparsi nel mondo, il CNAO utilizzerà tecniche innovative ed originali, che oggi sono state riprese da altri centri adroterapici in costruzione, per esempio in Austria». Per quali tumori e per quante persone sarà utile un centro dì questo tipo? «L'adroterapia è stata utile finora a 60 mila pazienti nel mondo. Si stima che in Italia ogni anno potrebbero beneficiarne circa 15 mila persone: In un suo recente rapporto l'Associazione Italiana di Radioterapia Oncologica (AIRO) indica che, sui circa 120 mila pazienti trattati in Italia con raggi X di alta energia ogni anno, circa 1000 (l’1%) dovrebbero essere trattati senza dubbio con protoni (pazienti appartenenti alla «categoria A»), mentre 12mila (l’11%) trarrebbero profitto dalla terapia con protoni (è la «categoria B») e circa 3600 (il 3%) si potrebbero avvantaggiare della terapia con ioni carbonio. Le esperienze di Giappone e Germania hanno dimostrato un'efficacia terapeutica degli ioni carbonio anche nel trattamento di tumori a grande diffusione e attualmente a scarsa possibilità terapeutica, come i tumori al polmone». Quali sono gli altri centri adroterapici presenti in Italia? «Al momento nel nostro Paese esiste soltanto un centro a Catania. Qui, nel 2001, i Laboratori Nazionali del Sud dell'INFN - hanno messo in - funzione un fascio di protoni capace di penetrare nei tessuti per circa 3 centimetri. Questo permette un trattamento molto efficace di melanomi oculari e di altri tumori poco profondi. L'AIRO ha stimato che per rispondere alle esigenze di tutti i malati italiani sarebbero necessari dai 4 ai 5 centri di protonterapia, dislocati lungo l'intero Paese, e almeno un centro nazionale di eccellenza per ioni carbonio, che è quello in fase di costruzione a Pavia. E' noto che le infrastrutture per fare protonterapia si possono ormai "comprare": e, infatti, quest'anno la Provincia di Trento ha ordinato alla ditta belga, IBA il primo centro di protonterapia italiano, che dovrebbe entrare in funzione tra tre anni». L'adroterapia deve molto alla ricerca fondamentale e agli studi con gli acceleratori di particelle: c'è bisogno di altre dimostrazioni che non si possono fare tagli indiscriminati ai laboratori? «L'adroterapia è un'eccellente dimostrazione di come la ricerca di' base, nel caso particolare quella sulle particelle fondamentali, consenta delle ricadute applicative in grado di migliorare la vita di tutti noi. Inoltre, costituisce un buon esempio dell'eccellenza della ricerca italiana in Europa. Naturalmente, ciò è vero non solo in fisica fondamentale e in oncologia, ma in molti altri campi come la biologia molecolare. Una ragione in più per sostenere la ricerca e i ricercatori nel nostro Paese». ______________________________________________________________ Il Giornale 22 nov. ’08 LE NUOVE CONQUISTE DELLA CARDIOLOGIA Con la terapia endovascolare si possono oggi trattare tutti i principali distretti arteriosi La mininvasività di questa metodica diffonde l'uso anche per le complicanze del diabete Luigi Cucchi La terapia endovascolare ha già rivoluzionato la cura delle malattie cardiovascolari. -Fino ai primi anni Ottanta - afferma il dottor Maurizio Tespili, direttore a Bergamo della unità operativa dì cardiologia dell'ospedale Bolognini di Seriate, dove vengono ricoverati oltre duemila pazienti all'anno per problemi cardiovascolari - si ricorreva alla terapia medica e, quando necessario, a quella chirurgica. Oggi tutti i distretti arteriosi del nostro sistema circolatorio possono essere trattati con la terapia endovascolare, che in molti casi non è più da considerare un'alternativa al trattamento chirurgico convenzionale, ma può essere considerata la prima scelta cui riferirsi. II restringimento di una arteria (coronarie, carotidi, femorali, iliache, renali, tibiali) viene curato senza una incisione, ma con cateteri che allargano il punto ristretto con palloncini. Costruiti con tecnologie sofisticate e capaci di arrivare ad alte pressioni di gonfiaggio, anche fino a 10-15 atmosfere, riaprono l’arteria. Sono poi inseriti degli stent, retine metalliche in acciaio 0 altre leghe biocompatibili, che vengono lasciate all'intemo come rinforzo nel punto della dilatazione. In alcuni casi l’ntervento endovascolare è eseguito non per dilatare un punto stretto, ma per sigillare una dilatazione arteriosa (aneurisma) con particolari devices costituiti da metallo e tessuto sintetico». Un grande vantaggio della terapia endovascolare è la mininvasività. Questa tecnica consente di effettuare interventi delicati senza il traumatismo conseguente ad un intervento chirurgico. Spesso sono inoltre eseguiti in anestesia locale. In Italia per dilatare le coronarie si eseguono oltre 130mi1a angioplastiche, di cui quasi 25mila in presenza dl un infarto al miocardio. Tra gli impieghi di queste tecniche endovascolari - spiega il dottor Tespili vi è la rivascolarizzazione coronarica ibrida. Eseguita da cardiologi interventisti (angioplastica) e da cardiochirurghi (con la tecnica di minitoracotomia) in momenti diversi, permette di ridurre il rischio operatorio (la circolazione extra corporea) con un risultato di alta qualità, anche in pazienti a rischio per età o perla presenza di altre malattie. La cardiologia interventistica sta rivoluzionando molte terapie mediche e soprattutto riesce a risolvere problemi che con la terapia tradizionale non erano risolvibili o lo erano solo parzialmente. Oggi in Italia i diabetici sono 1,6 milioni, ma altri 800mi1a lo sono senza sapere di esserlo. Il diabete è una malattia insidiosa, una autentica epidemia sociale. La società italiana di diabetologia è da anni allarmata. Quando appaiono le complicanze, gravi danni sano già stati fatti nel nostro organismo. Il paziente diabetico è a rischio di infarto e ictus, va incontro a cecità (retinopatia), rischia di dover ricorrere alla dialisi per insufficienza renale (nefrologia), accusa progressivi dolori agli arti inferiori (arteriopatie) che possono aggravarsi a tal punto da evolversi in gangrena e rendere necessaria l'amputazione al piede: oltre 20mila casi all'anno. A questa grave situazione si arriva dopo dieci anni di malattia, anni in cui il diabetico, non sapendo di esserlo, non si è mai curato. È vitale il controllo della glicemia per identificare le persone a rischio di diabete. Quando le arteriopatie si manifestano le cure devono essere tempestive, i rischi sono elevati. Le amputazioni sono quindici volte più frequenti nei diabetici, per evitarle si deve aggredire la malattia, curare le ulcere e ricorrere, quando tecnicamente possibile, alla rivascolarizzazione delle arterie degli arti inferiori. La terapia endovascolare ha un ruolo centrale». Tespili (si è specializzato a Londra ed a San Francisco) c00rdina un team di specialisti, tra cui il dottor Antonio Silvestro, che esegue oltre 800 angioplastiche coronariche all'anno e più di 100 procedure endovascolari delle arterie periferiche soprattutto in pazienti affetti da piede diabetico. «La collaborazione tra cardiologi, emodinamisti, diabetologi, chirurghi vascolari, é fondamentale. Le lesioni ulcerative, se ben curate, guariscono. Si possono ottenere risultati eccezionali anche nel 97% dei casi con la scomparsa del dolore lancinante che affligge giorno e notte i pazienti. Un ulteriore obiettivo della rivascolarizzazione è di evitare il grave stato di stress psicologico legato all'amputazione. Si deve agire preventivamente in adeguati Centri antidiabetici, quando poi si manifestano lesioni ulcerative anche se piccole non si deve mai trascurarle, sono una spia di un problema vascolare maggiore. Mai sottovalutarlo. Solo un corretto approccio multidisciplinare (diabetologi, interventisti endovascolari e chirurghi vascolari) consente di formulare le giuste indicazioni sul tipo, modalità e tempi del trattamento. Vanno create reti provinciali per il ricovero dei pazienti diabetici che necessitano di rivascolarizzazione rapida e che vanno poi seguiti in Centri antidiabetici, per il proseguimento e la cura delle lesioni ulcerative,, le nuove conquiste della cardiologia _______________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 nov. ’08 PREVENZIONE DELLO SCOMPENSO CARDIACO Cuore sotto controllo a distanza Sono oltre mezzo milione gli individui che in Italia soffrono di scompenso cardiaco, patologia progressiva per cui il cuore non è in grado di pompare sangue in quantità sufficiente a soddisfare la domanda di energia da parte dell'organismo. Il dato risulta ancora più allarmante se si considera che, a livello mondiale, la patologia interessa 14 milioni di persone, di cui oltre 2 milioni nella sola Europa. Ogni anno in Italia numerose sono le morti imputabili a scompenso cardiaco e 500 sono i pazienti ricoverati ogni giorno, con un costo annuo complessivo di 625 milioni. Gran parte dei decessi per scompenso è attribuibile a un arresto cardiaco improvviso, causato da un'aritmia fatale che provoca il blocco della funzionalità del cuore; in Italia si registrano complessivamente circa 57.000 decessi annui per arresto cardiaco, 1 ogni 9 minuti. Più in generale, nel 2007 erano circa 246.000 gli italiani a rischio di morte improvvisa e, quindi, potenziali candidati all'impianto di un defibrillatore, un dispositivo salva vita in grado di ripristinare la funzionalità elettrica cardiaca tramite l'erogazione di uno shock elettrico. Per i pazienti affetti da scompenso cardiaco e a rischio di morte improvvisa, sono disponibili defibrillatori impiantabili con capacità di resincronizzare il cuore e di aumentarne la funzione di pompa, migliorando la qualità della vita e la tolleranza allo sforzo del paziente. Nonostante numerosi studi abbiano ampiamente dimostrato che l'uso di questi dispositivi diminuisca sensibilmente il rischio di morte (si riduce del 53% il rischio di morte cardiaca improvvisa e del 45% quello di decesso per scompenso cardiaco), l'accesso a questa terapia risulta ancora limitato in Italia se confrontato con gli Stati Uniti, i cui dati epidemiologici su questa patologia sono sovrapponibili a quelli europei. Nel 2007, infatti, negli Stati Uniti sono stati impiantati circa 600 defibrillatori per milione di abitanti contro i circa 260 applicati in Italia (per un totale di 15.000 impianti l'anno), dove si registrano anche significative differenze a livello regionale: si passa infatti dai 340 defibrillatori impiantati in Lombardia per milione di abitanti ai circa 140 della Sicilia, con un conseguente flusso di pazienti che ogni anno si sposta dal Sud al Nord per ottenere un impianto. L'attuale scenario nazionale apre quindi inevitabili interrogativi circa la risposta che il Servizio sanitario nazionale è chiamato a fornire sia per rendere accessibile la terapia salvavita a tutti i pazienti che ne potrebbero beneficiare, sia per far fronte agli ingenti costi causati da tali patologie. Interessanti soluzioni arrivano, a questo proposito, dalla telemedicina che, grazie all'insieme di tecnologie biomedicali e informatiche, consente il monitoraggio e la gestione a distanza del paziente, ottimizzandone la terapia e limitandone gli accessi ospedalieri, con conseguente impatto positivo sui costi sociali e su quelli a carico del Servizio sanitario nazionale. In questa direzione si muove il nuovo sistema di monitoraggio cardiaco CareLink® Network, presentato in Italia nel 2007 da Medtronic, leader mondiale nella ricerca, sviluppo e produzione di tecnologie mediche avanzate. Il CareLink™ Network rappresenta una fondamentale innovazione nella cura dei pazienti portatori di questi dispositivi. Il sistema prevede un apparecchio presso il domicilio del paziente in grado di inviare i dati diagnostici e funzionali ricevuti dal dispositivo impiantato nel paziente, a un server web, attraverso una comune linea telefonica. I dati così inviati saranno interrogabili in modalità sicura dal medico curante. Ciò consente di sostituire le visite alle quali tali pazienti si devono sottoporre periodicamente (o in caso di eventi avversi) presso gli ambulatori ospedalieri, con visite equivalenti ma dal proprio domicilio. Oltre alle visite cosiddette programmate il paziente ha in casa una vera e propria sentinella del cuore: essa è in grado di avvisare il medico con un Sms o un'email, preventivamente rispetto all'insorgenza degli episodi di acutizzazione dello scompenso cardiaco. I dati trasmessi, gli stessi che sono disponibili durante una tradizionale visita specialistica, vengono analizzati dal medico che, eseguendo un "check-up remoto", può valutare la prescrizione di approfondimenti clinici, esami o modifiche specifiche della terapia. Le nuove tecnologie offrono dunque un contributo essenziale al miglioramento della qualità di vita dei pazienti affetti da malattie croniche che possono così evitare spostamenti inutili e limitare gli accessi in ospedale, senza rinunciare all'indispensabile controllo del loro stato di salute, rendendolo più continuo e sicuro. Al tempo stesso, i controlli a distanza delle condizioni cardiache consentono da parte del personale sanitario una migliore e più efficace gestione del paziente. Medtronic CareLink® Network è inoltre il primo e unico sistema a distanza di monitoraggio con notifica dell'accumulo di liquidi nella cavità toracica, responsabile dell'insorgenza di edema polmonare, una delle principali cause di ricovero ospedaliero nello scompenso cardiaco. Il sistema è infatti in grado di anticipare l'evento acuto fino a due settimane, riducendo potenzialmente il rischio di ospedalizzazione del paziente. In Italia CareLink™ Network è stato sperimentato con successo in un progetto pilota che ha coinvolto 137 pazienti di alcuni dei principali ospedali italiani: l' ospedale San Carlo Borromeo, l'Istituto scientifico universitario San Raffaele, l'Istituto auxologico, l'ospedale Niguarda Cà Granda per quanto riguarda Milano. A Pavia è stato coinvolto il Policlinico San Matteo mentre a Roma l'ospedale San Filippo Neri. Nel mondo sono oltre 2.500 gli ospedali che beneficiano attualmente del sistema Medtronic CareLink® Network curando più di 260.000 pazienti: in Italia gli ospedali utilizzatori sono 30 e gestiscono quasi 600 pazienti. In Italia, sebbene siano evidenti i vantaggi economici e clinici, sono ancora notevoli le barriere all'introduzione di sistemi in grado di rendere remota la prestazione di controllo degli stimolatori cardiaci. La principale è senza dubbio la mancanza di una tariffa di rimborso pubblico di tali prestazioni. Nello specifico, un rapido riconoscimento di tali tecnologie da parte del Servizio sanitario nazionale consentirebbe di ridisegnare le strategie assistenziali con la definizione di nuovi percorsi diagnostici e terapeutici volti a innalzare la qualità della cura e a favorire l'accesso alle terapie salva vita. Ugo Ortelli Presidente e Amministratore delegato di Medtronic Italia Spa _______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 nov. ’08 CAGLIARI: AUTISMO, IL SEGRETO È NELLA SALIVA Università di Cagliari e Cattolica di Roma: i risultati di uno studio congiunto BASTA UN TEST PER DIAGNOSTICARE LA MALATTIA NEI BAMBINI PASQUALE PORCU CAGLIARI. C'è anche un pezzo di Sardegna in una importante ricerca sulle cause dell'autismo, una sindrome complessa che molte persone appassionate di cinema hanno cominciato a conoscere col film «Rain Man», interpretato da Dustin Hoffman. La malattia, molto complessa, rende i pazienti che ne sono affetti incapaci di comunicare emozioni, con interazioni sociali compromesse e nella metà dei casi è anche associata a ritardo mentale. Ma dopo otto anni di ricerche ora, finalmente, si vedono i primi risultati. A far fare un salto nella qualità degli studi è stata l'intuizione di andare a cercare nella saliva le tracce per scoprire le cause della malattia. Il merito dell'intuizione e dei primi risultati ottenuti è di due gruppi di ricerca: uno dell'Università Cattolica di Roma, che comprende il prof. Massimo Castagnola (Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica), la prof. Fiorella Gurrieri (Istituto di Genetica medica) e la prof. Maria Giulia Torrioli (Unità di Neuropsichiatria Infantile del Gemelli). E un altro della università di Cagliari, guidato da una biochimica della Facoltà di Farmacia, la prof. Irene Messana (nella foto accanto al titolo). La malattia colpisce lo 0.6 per cento della popolazione (sei casi su mille). «Le cause dell'autismo che diventa evidente intorno ai tre anni di età sono ancora largamente sconosciute», ha spiegato ieri Massimo Castagnola. «Nel 15% dei pazienti si possono far risalire a qualche tipo di mutazione genetica, ma dato l'alto numero di geni coinvolti e la grande complessità di come la malattia si presenta, è sempre stato difficile riconoscerne e studiarne efficacemente le cause». L'obiettivo della ricerca, ora pubblicata sul «Journal of Proteome Research», svolta con il sostegno di Telethon e dell'Istituto Scientifico Internazionale (ISI) Paolo VI, i cui risultati preliminari erano stati anticipati alcuni mesi fa, era dunque quello di passare dal piano della genetica a quello della proteomica, cioè dallo studio dei geni a quello delle migliaia di proteine che ci fanno funzionare. La saliva, una vera e propria miniera di proteine, ha il grande vantaggio che è molto semplice da ottenere senza esami invasivi. I ricercatori hanno studiato 27 bambini, di cui 7 bambine, dato che la malattia colpisce più i maschi che le femmine. «Per ciascuno di loro - spiega ancora Castagnola - abbiamo valutato prima il tipo di autismo di cui erano affetti. E in secondo luogo abbiamo analizzato centinaia di proteine della saliva a caccia di qualche marcatore. Alla fine abbiamo avuto successo: quattro pezzi di proteine (peptidi) si comportano in maniera anomala. Nel 60% dei bambini del nostro campione il processo di fosforilazione (una reazione chimica comune associata alla presenza di fosforo) è molto inferiore rispetto ai bambini sani». Ora si tratta di individuare gli enzimi responsabili dell'anomalia nelle proteine della saliva. «Lo studio - dice la professoressa Irene Messana- è ancora in una fase molto preliminare. Ma sappiamo che c'è una classe di composti- chiamati chinasi - che sono responsabili del processo di fosforilazione alterato. Sappiamo anche che la chinasi riconosce anche una sequenza molecolare specifica presente in alcuni tessuti nervosi» Tutto semplice, dunque? Proprio no, perchè della chinasi si conosce l'attività ma non la struttura tridimensionale. E quindi non si capisce come intervenga nei processi biochimici. «E' un composto sfuggente, difficile da isolare», dice Messama. «Stiamo lavorando sull'ipotesi - precisa Castagnola - che questa anomalia sia legata biologicamente al processo di maturazione dei neuroni: nel gioco di equilibri delicatissimo del nostro organismo, la fosforilazione di queste proteine è legata a molti altri processi che stiamo studiando. Per esempio già sappiamo che questa chinasi non è completamente attiva nei bambini nati prematuri: lavoriamo per comprendere meglio come». Ora la caccia, dunque, è alla chinasi. Nella studio sono impegnati diversi gruppi di ricerca. La speranza è che si arrivi subito a identificarne la formula e i meccanismi d'azione di questa molecola. Solo così si potrà mettere a punto il rimedio per contrastare l'insorgere dell'autismo. _______________________________________________________________ Corriere della Sera 15 nov. ’08 CANCRO AL SENO: PIÙ CASI, PIÙ CURE Focus Il costo della salute Numeri choc In Italia sono quattrocentomila le persone colpite: quattro ogni ora le nuove diagnosi Speranze Oggi l'88 per cento esce dal tunnel del dolore e torna a una vita sana e normale E' in aumento il numero delle donne malate ma grazie alla prevenzione diminuisce la mortalità Le conseguenze Le spese Nei due anni e mezzo di terapia se si calcolano i costi sostenuti e i soldi persi si arriva a 13 mila euro Non basta l'assistenza pubblica: servono più di tremila euro di tasca propria per le cure Simona Ravizza Alla fine dello spettacolo Barbara Mariani, impiegata milanese che s'è trasformata in attrice per raccontare la sua vittoria contro i due tumori al seno che l'hanno colpita a 31 e a 39 anni, getta alle spalle lo scialle nero che s'è tenuta addosso per due ore come simbolo della morte. Lo fa durante la performance teatrale «E ora danzo la vita», portata in giro per l'Europa da dieci malate di cancro per raccontare la loro lotta contro la malattia. Il sipario si chiude, ma giù dal palcoscenico altre 400 mila donne combattono la stessa battaglia. È il numero choc oggi in Italia delle malate di tumore al seno, con giornate divise tra le cure che adesso danno possibilità di guarire fino all'88% dei casi e i conti da fare tornare a fine mese. Curarsi per il cancro al seno, infatti, costa di fatto nove stipendi: per visite specialistiche ed esami utili soprattutto a bypassare le liste d'attesa - sempre più lunghe per l'aumento del numero di pazienti - le donne arrivano a spendere di tasca propria fino a 3.299 euro, altri 8.663 li perdono per la riduzione del reddito causata dalla malattia. Poi ci sono i costi per le trasferte (273 euro) e quelli per gli aiuti domestici (730). Una cifra impegnativa da sostenere per numerose famiglie. Lo denuncia l'ultimo rapporto della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt) che fotografa i dati del cancro femminile più diffuso: solo a livello italiano ogni ora ci sono 4 nuovi casi (quasi 40 mila l'anno). L'incidenza della malattia è in crescita: il tumore al seno rappresenta il 28,9% complessivo delle diagnosi di cancro contro il 26,7% degli Anni Novanta. Le morti, però, sono in diminuzione: 9.045 nel 2007 contro le 11.309 del 2002. «L'arma più efficace per sconfiggerlo è la diagnosi precoce con l'ecografia e soprattutto con la mammografia - spiega Francesco Schittulli, senologo-chirurgo e presidente della Lilt -. Uno studio che abbiamo promosso insieme con il Ministero della Salute, recentemente pubblicato sul British Journal of Cancer, dimostra che la mortalità si dimezza nelle donne che annualmente effettuano gli esami». Per spingere a fare i controlli i medici del Dipartimento oncologico del Policlinico universitario di Modena hanno addirittura dato vita alla fiction dal titolo «La storia di Paula», dove in un cartone animato in 3D di 40 minuti si racconta passo dopo passo il percorso di una donna malata (il dvd è ora distribuito nei reparti d'ospedale e sul web). Chi è costretta a confrontarsi con la malattia a volte incappa anche in difficoltà economiche. Di qui l'indagine della Lilt volta verificare le spese sostenute di tasca propria dalle donne operate di tumore al seno durante i due anni e mezzo in media di cure. Preso in considerazione un campione di 292 pazienti finite sotto i ferri tra il 2003 e il 2008. Anche se l'86% complessivo dei costi è a carico del servizio sanitario nazionale, visite specialistiche, esami, fisioterapia, farmaci, eventuali interventi di chirurgia ricostruttiva e acquisto di parrucche e reggiseni ad hoc mettono a dura prova i risparmi. Soprattutto in tempi di crisi. Tra la diagnosi e l'intervento trascorrono in media quattro settimane. Ma davanti alla malattia anche l'attesa di un minuto sembra insostenibile. Così almeno sei malate su dieci prenotano visite a pagamento (per un totale di 473 euro a testa). Il desiderio è di farsi visitare da un medico di fiducia, magari solo per avere un secondo parere. Non solo: una donna su tre fa Tac, risonanze magnetiche, eccetera, a spese proprie (per complessivamente 537 euro). È un modo per avere un appuntamento in tempi brevi (o percepiti come accettabili dalle malate, pressate dall'angoscia). Bisogna aggiungere, poi, i costi sostenuti per gli spostamenti e gli aiuti domestici. Per la parrucca le donne sborsano anche 330 euro. Ma non finisce qui. Oltre alle spese di tasca propria ci sono i guadagni mancati a causa della malattia: per una lavoratrice su due la busta paga (da 1.425 euro in media) si riduce del 44% (per i cambiamenti dell'orario d'ufficio, le modifiche al ritmo di lavoro o per la necessità di dover cambiare posto). Nei due anni e mezzo di terapie, insomma, tra costi sostenuti e soldi persi si arriva a quota 12.965 euro per chi lavora, 9.264 per le altre. Tra le richieste più diffuse avanzate dalle malate di tumore al seno, quella di avere corsie preferenziali per i controlli medici almeno nella fase della diagnosi. «La principali difficoltà di chi si ammala di tumore oggi è quella di riuscire a portare avanti, insieme, la vita lavorativa e il diritto di accesso alle cure - sottolinea Schittulli -. Anche se il nostro sistema sanitario è tra i migliori del mondo perché gratuito, in troppe devono pagare costi aggiuntivi di tasca propria, altre addirittura rischiano di perdere il lavoro». La cosiddetta legge Biagi prevede quattro importanti facilitazioni: visite mediche senza dover ricorrere a ferie o permessi, trasferimenti in ruoli più adatti al proprio stato di salute, periodi anche lunghi di aspettativa non retribuita, parttime provvisorio. « Ma in molte non conoscono i propri diritti - dice Schittulli -. I centralini della Lilt ricevono centinaia di chiamate in proposito». Nel suo messaggio durante la Giornata nazionale per la ricerca sul cancro il ministro Maurizio Sacconi ha ammesso: «È necessario ridisegnare politiche sociali e del lavoro adeguate ad assicurare effettive condizioni di tutela per i lavoratori affetti da patologie oncologiche». A fine luglio il sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio si è espresso, invece, contro le liste d'attesa: «Per abbatterle concretamente occorrerebbero finanziamenti che non sono disponibili. Ma abbiamo stabilito 4 livelli di priorità per i big killer, come le malattie di cuore e i tumori: prestazioni urgenti da erogare entro 72 ore; prestazioni differibili entro 10 giorni; prestazioni il cui rinvio non interferisce con le necessità di diagnosi e cura da assicurare entro 30 giorni; prestazioni rinviabili entro 60 giorni». Le donne (e non solo) aspettano. Di difficile diagnosi e quindi curabili con difficoltà i cosiddetti tumori rari. A Milano si sono riuniti 200 clinici e specialisti per parlarne, alla presenza del sottosegretario Ferruccio Fazio. «I tumori rari, in realtà, sono molti. Sono pochi i casi per ciascuno, ma sono tanti i tumori rari, e dunque i pazienti sono numerosi globalmente. In pratica, i colpiti possono giungere a un quinto dei casi totali di neoplasia maligna. E il problema è socialmente rilevante, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici perché i pazienti con malattie rare non possono essere discriminati», dice Paolo Casali, responsabile del trattamento medico dei Sarcomi dell'adulto dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano. Altro problema: la definizione. Si utilizza la stessa che vale per le malattie rare, basata sulla prevalenza: sono rare le malattie la cui frequenza nella popolazione è inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti. Perché un problema? «Perché - avverte Casali - in tal modo tra i tumori considerati rari ne sono compresi alcuni che rari non sono. E c'è il rischio di non focalizzarsi su quelli realmente meno frequenti. La definizione va rivista in base all'incidenza». Fondamentale è la creazione della Rete nazionale dei tumori rari, con la collaborazione di specialisti e aziende, come la Novartis, impegnate nello studio di cure adatte a queste malattie. E importante è la circolazione di corrette informazioni, anche via Internet, per un rapporto continuo con i pazienti affetti da tumori rari. sravizza@corriere.it