IL PAPA:L’UNIVERSITÀ NON SIA ASSERVITA AI POTERI ECONOMICI - DECRETO GELMINI, SPUNTA UNA NORMA ANTI-BARONI - ATENEI, FONDI ANCHE SENZA ESAMI - TAGLI SOLTANTO TAGLI, PAROLA DI MISTRETTA - PRIVILEGI E SPRECHI DA TAGLIARE - LIBERTÀ E RIGORE PER L'UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ: MA SÌ, BUTTIAMO VIA BIMBO E ACQUA SPORCA - LA MALATTIA DEI CONCORSI - LA CLASSIFICA DEI SISTEMI UNIVERSITARI: IL BUONO DA CONSERVARE - CULTURA IBRIDA: LA FORMAZIONE OLTRE. I CONFINI DELLE DISCIPLINE - CERVELLI IN FUGA RICHIAMATI SENZA CONCORSO - CGIL: LA RICERCA CONTRO LA CRISI - IL DOSSIER DEI PROFESSORI: NON SIAMO PEGGIO DEGLI ALTRI - RICERCA BIOMEDICA, DAL 2009 FONDI SOLO A CHI LI MERITA - CASCIELLO: COSÌ LA SCIENZA. VALUTERÀ. LA SCIENZA - GIORNI CONTATI PER IL CNIPA? - LA DONNA CHE INVENTO’ IL TERGICRISTALLO - PRIVACY: NEI CERTIFICATI MEDICI NON DEVE ESSERCI DIAGNOSI - FERIE, CHI DECIDE TRA DIPENDENTE E CAPO UFFICIO - CINQUEMILA COLPI DI MOUSE E LA STORIA PRENDE CORPUS - ======================================================= OSPEDALI, LA RAZIONALIZZAZIONE «TAGLIA» I PRIMARI - PSN: 60 MILIONI PER I PROGETTI - SACCONI: «STOP ALL'OSPEDALE GENERALISTA» - ECCO LA «TORRE DI BABELE» DELLE CURE ON LINE - IL MIRACOLO WEB 2.0 DECLINATO IN 30 BEST PRACTICE INTERNAZIONALI - LE NUOVE SFIDE PER LE AZIENDE SANITARIE - PUBBLICATO UN MANUALE PER ELABORARE GLI INDICATORI SULLE DEGENZE - LA CIVILTÀ BIOMEDICA - TROPPI GLI STANDARD, INTEROPERABILITÀ DIFFICILE - HUB&SPOKE: LUCI E OMBRE DEI SISTEMI OSPEDALIERI IN NETWORK - CANCRO DEL COLON RETTO, NUOVE SPERANZE DI CURA DALLA RICERCA ITALIANA - PER SEQUENZIARE IL GENOMA BASTANO 30 MINUTI E 1.000 DOLLARI - TEST SUI FARMACI: TROPPI RISCHI SULLE DONNE - LE DONNE SI AMMALANO DI PIÙ, LINEE GUIDA PER CURE E MEDICINE GIUSTE - UNA RICERCA, ITALIANA SU COME SI DIFFONDONO LE CELLULE TUMORALI DEL PANCREAS - EMORROIDI: SPAZIO ALLA CHIRURGIA AMBULATORIALE - ATEROSCLEROSI, NUOVE ARMI PER VINCERLA - ECCO IL "CODICE A BARRE" DEL DNA - QUANTO RISCHIA IL CUORE DEI SARDI - SOLE ANTI-CANCRO - DEPENALIZZARE GLI ERRORI MEDICI? - COLESTEROLO ALTO? DIETA CON PECORINO - SIEROPOSITIVI A SETTANT'ANNI - ======================================================= ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Dic. ‘08 IL PAPA:L’UNIVERSITÀ NON SIA ASSERVITA AI POTERI ECONOMICI La riforma universitaria . deve garantire la libertà di insegnamento, della ricerca, e l'in dipendenza da «poteri economici e politici». Lo ha detto ieri Benedetto XVI parlando in Vaticano a un gruppo di studenti e docenti dell'ateneo di Parma, precisando che l'università non deve «perseguire interessi privati approfittando di risorse pubbliche». A pochi giorni dall'approvazione della riforma Gelmini al Senato il Pontefice ha affermato che «la validità di una riforma universitaria non può che avere come riscontro la sua libertà: libertà di insegnamento, libertà di ricerca, libertà dell'istruzione accademica nei confronti dei poteri economici e politici». Questo non significa «isolamento dell'Università dalla società, né autoreferenzialità, né tanto meno perseguimento di interessi privati approfittando di risorse pubbliche. Non è certo questa la libertà cristiana!», ha aggiunto con enfasi il pontefice, citando più volte l'esempio di San Pier Damiani, teologo e riformatore vissuto nell'anno mille. «Veramente libera, secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa, è quella persona, quella istituzione che risponde pienamente alla propria natura e al proprio fine». Sempre ieri è stato inaugurato a Loppiano; vicino Firenze, il nuovo centro accademico del Movimento dei Focolari, l'Istituto Universitario "Sophia". In un telegramma il Papa ha auspicato che la struttura promuova «l'autentico pensiero cristiano' capace di coniugare fede e ragione; favorisca una visione più ampia e integrata del sapere tesa al dialogo con le altre religioni e culture, e alla crescita intellettuale e interiore delle giovani generazioni». Alla cerimonia erano presenti la presidente dei Focolari, Emmaus Maria Voce, e il nuovo arcivescovo di Firenze; Giuseppe Betori. ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 nov. ’08 DECRETO GELMINI, SPUNTA UNA NORMA ANTI-BARONI La carriera dei prof legata alle pubblicazioni, fondi alle università virtuose ROMA. Il Senato ha approvato tutti gli articoli del decreto Gelmini, il decreto cioè che contiene norme considerate urgenti sul diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario, e che è stato salutato dal ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, intervenuta in Aula, come «il primo passo verso la rivoluzione di un sistema paralizzato». Il voto finale sul provvedimento, emendato con il contributo dell’opposizione (ringraziata in Aula dallo stesso ministro) slitta a stamani. Assunzioni. Blocco delle assunzioni nelle università che, al 31 dicembre di ciascun anno, sono in deficit. Gli atenei indebitati sono esclusi per il 2008-2009 dai fondi straordinari per il reclutamento dei ricercatori. Gli atenei virtuosi, invece, avranno lo sblocco parziale del turn over (che passa dal 20% al 50%) a patto che il 60% dei soldi sia speso per reclutare i giovani. Concorsi. Cambiano le regole per la composizione delle commissioni. Per la selezione dei docenti sono previsti un ordinario nominato dalla facoltà che bandisce il posto e quattro professori ordinari sorteggiati su una lista di dodici persone da cui sono esclusi i docenti dell’università che assume. Riaperti i termini. Le nuove commissioni valgono anche per i concorsi già banditi ma sono stati riaperti i termini per partecipare ai concorsi in atto. C’è tempo fino al 31 gennaio 2009 per le domande. Norme antibaroni. Un emendamento approvato prevede la costituzione di una «Anagrafe nazionale dei professori ordinari, associati e dei ricercatori» aggiornata annualmente che contiene per ciascun nome l’elenco delle pubblicazioni scientifiche. Per ottenere gli scatti biennali di stipendio i docenti dovranno provare di aver fatto ricerca e ottenuto pubblicazioni. Trasparenza. Gli atenei dovranno anche garantire trasparenza nei bilanci e far sapere agli studenti come vengono spesi i finanziamenti pubblici. Università virtuose. Almeno il 7% del Fondo di finanziamento ordinario sarà distribuito, già dal 2009 alle università virtuose per migliorare la qualità della ricerca. Dirito allo studio. Nel decreto ci sono 65 milioni di euro per nuovi alloggi e 135 milioni per le borse di studio destinate ai meritevoli. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Dic. ‘08 ATENEI, FONDI ANCHE SENZA ESAMI GLI INCENTIVI Al MIGLIORI Gianni Trovati RIFORMA GELMiNi Il finanziamento competitivo vuole premiare le strutture più produttive ma il sistema va depurato anche dagli studenti inattivi Dopo tanti annunci senza seguito, il finanziamento delle università dovrebbe cominciare davvero a cambiare pelle e iniziare dall'anno prossimo a premiare i risultati dei singoli atenei, abbandonando la base storica che finora ha guidato l'assegno statale: Il decreto Gelmini, appena votato dal Senato e ora alla Camera, prevede nel 20o8 di dedicare agli incentivi poco più di S00 milioni, cioè il 7% del Fondo ordinario, ma nei prossimi anni la quota dei premi dovrebbe salire fino al 30 per cento. Se non si raffinano gli indicatori, però, gli incentivi potrebbero finire nelle mani sbagliate. Perché il modello attuale per l'attribuzione dei fondi competitivi ha dei difetti che finora solo l'esiguità di questi incentivi ha reso ininfluenti: Domani; però, la situazione potrebbe cambiare. Nell'università italiana, infatti, spesso i numeri non sono ciò che sembrano. I erediti assegnati nel corso di un anno, ad esempio, sono un indicatore di «produttività» degli atenei, e il modello per il finanziamento competitivo li premia. Giustamente, ma solo fino a un certo punto. Perché in un anno l'università distribuisce circa 900mila crediti che non nascono dagli esami: sono quelli riconosciuti a chi si immatricola in base alla «esperienza» professionale che il neo-studente può vantare, e che viene trasformata in esami "abbuonati" senza un criterio uniforme. Un provvedimento del 2007 ha vietato le convenzioni, ché erano fiorite fra università e ordini, realtà professionali e addirittura ministeri e sindacati per l’attrattiva delle lauree facili, e ha fissato un tetto massimo di 60 crediti riconoscibili all'immatricolazione, ma nonostante tutto la pioggia di crediti è continuata. Il picco della generosità si incontra negli atenei telematici, in cui nel 2006/07 sono stati abbuonati tra i 200 e i 750 crediti ogni mille (per qualcuno il dato dei crediti totali non è disponibile per errori nella compilazione dei "form" inviati al ministero), mentre tra le università tradizionali il primato è a Chieti (su cui si veda l’articolo in basso) ed Enna: «Con la stretta del 2007 - spiega il direttore amministrativo dèll’ateneo siciliano - abbiamo cancellato tutte le convenzioni, che avevamo stretto soprattutto con la Pa. Anche oggi il riconoscimento riguarda in genere dipendenti pubblici, e si attesta intorno ai 30 crediti»: In qualche caso, poi, la generosità della spinta iniziale ai libretti può cercare una spiegazione delle caratteristiche dei singoli atenei: «I nostri iscritti sono tutti lavoratori- spiegano ad esempio dalla Mercatorum, emanazione delle Camere di commercio, e concediamo crediti solo per attività formative riconosciute, respingendo anche molte delle richieste che ci arrivano». La chimera dei crediti senza libri, infatti, ha fatto presa in molti, creando una spinta che spesso le università hanno assecondato per guadagnare iscritti (con le relative tasse). Non tutte, ovviamente, visto che la pioggia di riconoscimenti non ha toccato molti atenei, dai Ppiité4ztiei alla Sapienza di Roma, dalla Cattolica o dalla Bocconi di Milano, a Padova e alla Calabria. Accanto a chi ne ha troppi, un altro nodo dell'università (e dei tentativi di finanziare il merito) è rappresentato dà chi di crediti ne ha troppo pochi. Sono gli studenti "inattivi", cioè quelli che pagano le tasse ma in un intero anno accademico non si sono nemmeno avvicinati a un esame o a una verifica parziale e hanno lasciato inalterato il libretto. In Italia, sono in questa condizione 376mila studenti, uno su cinque. Il problema scompare solo nelle principali università non statali (anche perché le rette sono un ottimo argomento per accelerare gli studi) é negli atenei monosettoriali, soprattutto di area medica, ma accomuna la maggior parte delle realtà statali, dal Nord al Sud. «Si tratta di un difetto strutturale - conferma Marco Pasquali, rettore a Pisa - che i nuovi ordinamenti non hanno risolto perché le università non hanno messo in atto un'efficace attività di orientamento». Nel caso degli studenti inattivi il valore aggiunto offerto dall'ateneo è pari a zero, ma il loro numero gonfiai criteri sui quali attribuire i premi. «Il modello - spiega Pasquali - va ripensato: la ricerca deve pesare almeno per il So% (oggi è al 3o%, ndr), e va misurata in base alle valutazioni del Civre alla capacità di attrarre fondi di ricerca istituzionali. L'altro So% va attribuito in base alla qualità della struttura didattica, da valutare, almeno all'inizio, in base al rapporto fra i docenti di ruolo e gli studenti, con criteri diversi a seconda delle aree di studio». gianni.trovati@ilsole24ore.com Franco Cuccurullo Rettore a Chieti «PER I PROFILI SANITARI IL TITOLO È UN DIRITTO» «L'idea di abolire la possibilità di riconoscere crediti all'esperienza mi troverebbe assoluta mente d'accordo». Franco Cuccurullo è il rettore dell'Università di Chieti, che da anni ha il record dei crediti erogati senza passare dagli esami. Come si spiega il primato? Con l'incidenza delle professioni sanitarie, che coprono la stragrande maggioranza dei casi e non c'entrano nulla con il progetto «laureare l'esperienza». Si tratta di persone che hanno seguito i corsi regionali per le professioni sanitarie (che però sono stati sostituiti da diplomi universitari nel lontano 1993, ndr), e che hanno diritto al riconoscimento del titolo. Per loro,quindi,non vige nemmeno il tetto dei 60 crediti? No. Anzi, c'è un tetto minimo di 170 crediti da riconoscere, definito dal ministero. Il ministero, cioè, ha stabilito un riconoscimento «automatico» di 170 crediti? Esatto. I corsi regionali c'erano in tutta Italia; come si spiega la particolarità di Chieti? Con il fatto, ad esempio, che siamo stati pionieri nella richiesta di creare le lauree sanitarie, quindi molti si sono rivolti a noi. E poi interviene un problema di contabilizzazione: noi gli esami per i io crediti di informatica, inglese ed economia sanitaria li facciamo fare davvero. Che cosa intende dire? Che può darsi che altri atenei portino direttamente alla laurea queste figure, che di conseguenza sfuggono al conteggio sugli immatricolati. Ci sono anche, però, grandi atenei che non riconoscono crediti a nessuno. È vero, ma il riconoscimento è un diritto che ciascuno può far valere. E il risultato è che gli aspiranti si rivolgono ad altre sedi. E poi ci sono le spinte del territorio. In che senso? Ora, ad esempio, c'è il problema di un istituto privato di Avezzano che ha rilasciato titoli sanitari non riconosciuti a 600 persone. Verranno tutti a Chieti? Non è possibile. Per questo abbiamo chiesto al Cun di contingentarne il numero. G.Tr. ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 Dic. ’08 TAGLI SOLTANTO TAGLI, PAROLA DI MISTRETTA Il bilancio di previsione è stato presentato agli studenti SABRINA ZEDDA CAGLIARI. Altro che potenziamento della mensa di Monserrato o della biblioteca della facoltà di Lingue: nel bilancio di previsione per il 2009 ci sono a malapena i mezzi per far sopravvivere l’università. È più o meno questa l’impressione degli universitari davanti al documento contabile presentato al Consiglio degli studenti dal rettore. Un documento in cui ogni voce risente del colpo di scure del Governo. Dopo il passaggio martedì davanti al Senato accademico, la bozza di bilancio è finita così all’esame dell’organo per eccellenza rappresentativo degli studenti. Stavolta allargato - data l’eccezionale situazione di sofferenza causata dai provvedimenti governativi - a tutti i giovani che hanno avuto voglia di non mancare all’appuntamento. Le speranze covate all’inizio dell’anno, grazie al protocollo d’intesa tra studenti e rettore per assicurare ai ragazzi che i soldi in più dopo l’aumento delle tasse sarebbero stati spesi per dare maggiori servizi, sono di colpo quasi scemate. ‹‹Stavolta - racconta il presidente del Consiglio degli studenti, Lorenzo Espa - davanti a ogni voce c’era un segno meno e quel meno non può che preoccuparci››. Difficile al momento, data l’alta quantità di voci e numeri, stabilire esattamente a quanto ammontino i tagli. C’è però un dato che da solo dà la misura della situazione: se per il 2008 il “fondo per i servizi agli studenti” ammontava a 765 mila euro, le previsioni per il prossimo anno parlano di appena 473 mila euro. Un fatto che preoccupa non poco il Consiglio degli studenti: ‹‹In questo modo - dice Lorenzo Espa - quella che si porta avanti non è una politica di sviluppo dell’università, ma una politica di sostentamento che ci lascia molto perplessi››. Da qui la presa di posizione dei giovani, che hanno ribadito le richieste presentate all’inizio dell’anno: dal potenziamento della mensa nella cittadella di Monserrato a una biblioteca per la facoltà di Farmacia, nel Palazzo delle Scienze, sino a un potenziamento dei servizi per gli studenti portatori di handicap. Ma tutto rischia di restare fermo al palo. Oggi il rettore presenterà il bilancio al Consiglio d’amministrazione, mercoledì incontrerà di nuovo il Consiglio degli studenti, fiducioso nella possibilità che qualcosa possa cambiare. Intanto, va avanti il progetto Itaca dell’università per il trasferimento di abilità e competenze ambientali. Oggi alle 21.30 sull’emittente Tcs sarà trasmessa la prima delle tre puntate sul seminario svoltosi ad aprile, organizzato dall’ateneo cagliaritano, sul tema: “Partecipazione e comunicazione nelle nuove forme del piano urbanistico: esperti a confronto”. ___________________________________________________________________ Unione Sarda 1 Dic. ’08 PRIVILEGI E SPRECHI DA TAGLIARE Università e ricerca, un'occasione storica di Gaetano Di Chiara L'università è in trincea. La protesta degli studenti per i tagli, se ha posto il problema dell'università all'attenzione del paese, ha finito per scoperchiare la pentola. Il resto lo hanno fatto i mass-media, che hanno amplificato, e anche esagerato, i mali della nostra università. Adesso anche gli studenti hanno capito che non basta eliminare i tagli e che è necessario cambiare. Così, paradossalmente, l'attuale crisi si è tramutata nell'opportunità unica di far cadere antichi privilegi e consolidate abitudini e attuare finalmente una riforma profonda dell'università e del finanziamento della ricerca. Questo è ciò che ha sostenuto, all'incontro sulla ricerca scientifica organizzato dal Gruppo 2003, un'associazione tra i più citati ricercatori italiani, il rettore Decleva, presidente della conferenza dei rettori (CRUI). «Ora o mai più», ha detto Decleva: bisogna sfruttare questo momento, in cui la crisi ha indebolito il potere delle corporazioni, per cambiare l'università. Anche gli studenti hanno chiesto una riforma profonda: l'attribuzione dei finanziamenti direttamente ai gruppi che se li meritano; l'abolizione del sistema dei crediti e del 3+2, cioè, delle lauree brevi. Questo sistema, inteso ad allineare l'Italia con il resto dell'Europa, non è necessariamente migliore del vecchio sistema a ciclo unico ed è significativo il fatto che proprio le lauree professionalizzanti a circolazione europea, come quelle in Medicina, Farmacia e Ingegneria edile, sono a ciclo unico. Ma il nodo centrale rimane quello del merito ed è straordinario che proprio Decleva, il rappresentante dell'organismo, la CRUI, che più d'ogni altro ha avversato riforme volte a legare i finanziamenti alla valutazione della ricerca, si sia ora detto pronto ad introdurre tutto ciò che possa servire ad imprimere una svolta meritocratica all'università. Nel sistema italiano, a differenza di altri sistemi, come quello francese, è l'università la sede primaria della ricerca. In Italia infatti non esiste quella divisione di compiti per cui la didattica è dell'università e la ricerca di enti statali (CNRS, INSERM). In Italia il docente universitario è anche, e soprattutto, un ricercatore. Questo non vale solo per i docenti delle discipline scientifiche e letterarie, ma anche per quelle dichiaratamente professionalizzanti. Ciò pone la valutazione individuale e collettiva della ricerca al centro di qualsiasi riforma dell'università italiana, da quella del reclutamento e selezione dei docenti, a quella della cosidetta offerta formativa , cioè dei corsi di laurea, dei dottorati di ricerca, dei master e delle scuole di specializzazione. Per esempio, logica vorrebbe che le risorse e le borse di studio per i dottorati di ricerca siano attribuiti non a pioggia ma sulla base di una valutazione di aspetti sostanziali, come la presenza di un corpo docente in numero adeguato e scientificamente valido. Succede invece che certi dottorati di ricerca siano tenuti da docenti che non fanno ricerca. L'Università di Cagliari, per esempio, non possiede un razionale sistema di valutazione dei dottorati. Ciò dimostra che in attesa di una riforma nazionale, esiste la possibilità concreta e immediata di una riforma locale che instauri il principio del merito, valutato attraverso parametri bibliometrici, integrati dalla peer review, cioè dal giudizio di una commissione di esperti esterni e indipendenti. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 3 Dic. ’08 LIBERTÀ E RIGORE PER L'UNIVERSITÀ LA RIFORMA POSSIBILE di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA - Più di un segnale lascia credere che oggi è forse diventato possibile per l'Università italiana aprire una pagina nuova. C'è finalmente un ministro determinato, incline a scelte di razionalità e di buon senso, capace di non farsi intimidire dalle solite sparute minoranze protestatarie. C'è anche un'opposizione che sembra aver capito l'errore della politica del rifiuto, che appare saggiamente riluttante a sposare le agitazioni delle minoranze di cui sopra, e anzi è forse pronta a dialogare con la maggioranza. La spinta riformatrice è oggi aiutata, infine, da un'opinione pubblica che si è massicciamente convinta che l'Università così com'è non può andare avanti, che bisogna che cambi e subito. Questa opinione pubblica ha in gran parte capito che la questione dei «tagli» di bilancio, sebbene cruciale, non può tuttavia essere disgiunta da una contemporanea, profonda, revisione dell'istituzione universitaria. Sono ormai chiare, e largamente condivise sia dentro che fuori l'Università, le quattro direzioni in cui il ministro Gelmini intende molto verosimilmente andare: a) una drastica riduzione del numero dei corsi di laurea e del numero degli esami necessari per ogni corso di laurea, cresciuti oltre ogni ragionevolezza (per una tesi triennale si può arrivare attualmente a dover sostenere trenta esami!), nonché della possibilità per gli Atenei di aprire sedi distaccate; b) prevedere per il reclutamento dei docenti universitari l'istituzione di un concorso d'idoneità nazionale, facendola finita con il localismo degli ultimi 15 anni che tanti danni ha fatto; al tempo stesso, per ciò che riguarda il reclutamento dei ricercatori, destinato a subire senz'altro un notevole incremento, far precedere il loro ingresso in ruolo da un periodo di prova di 4-5 anni; c) impedire che, come accade adesso, all'interno dei singoli atenei le stesse persone occupino per anni e anni i posti di governo, ma contemporaneamente dotare i rettori di strumenti più efficaci di gestione; d) accorpare infine i dottorati di ricerca post-laurea, oggi disseminati in pratica in ogni dipartimento, e spesso dotati di non più di due- tre posti, riqualificandone la funzione soprattutto attraverso l'obbligo di impartire una docenza vera e non fittizia come in troppi casi è quella attuale. Si tratta, ripeto, di provvedimenti che oggi possono raccogliere un consenso vastissimo. Che vanno accompagnati da uno spirito nuovo che il ministro deve riuscire a immettere nella politica universitaria: uno spirito di libertà e insieme di rigore. Perché ad esempio non lasciare ogni facoltà libera di insegnare Diritto o Filosofia o Chimica nel numero d'anni che essa ritiene idoneo e impartendo gli insegnamenti che essa giudica necessari, fatti salvi alcuni pochi stabiliti dal Ministero? Non sarebbe questo un modo di cominciare a introdurre un po' di sana competitività nel sistema? Il rigore deve invece riguardare il fondo di finanziamento annuale dello Stato alle varie Università, il quale deve dipendere in misura crescente da accertati criteri di sana gestione e da altrettanto accertati risultati nell'ambito della ricerca scientifica. Basterebbero questi provvedimenti a migliorare in misura significativa la condizione dell'Università italiana: se il ministro Gelmini li adotterà sarà riuscita in un'impresa che, è bene ricordarlo, negli ultimi trent'anni non è riuscita a nessuno dei suoi predecessori. ___________________________________________________________________ Repubblica 1 Dic. ’08 UNIVERSITÀ: MA SÌ, BUTTIAMO VIA BIMBO E ACQUA SPORCA Vi sono alcuni modi di dire che andrebbero proibiti per pubblica decenza come, ad esempio: «Si tratta di alcune mele marce ma vanno individuate, senza fare di ogni erba un fascio», dove fili d’erba e pomi col baco appaiono fenomeni così marginali da indurre a benevola compassione nei loro confronti. Peggio l’altro assioma che viene sparato ad ogni pié sospinto quando si azzarda una critica: «Stai rischiando di buttar via il bambino con l’acqua sporca!». Al che vengo ormai colto dall’irrefrenabile impulso di rispondere: «Ma buttiamolo una buona volta via questo mitico bambino; che finisca anche lui con la sporcizia che si è appena tolta di dosso!». Scherzi a parte, questo è stato l’argomento che taluni autorevoli ambienti accademici hanno opposto al mio ultimo articolo sulla Università (“Repubblica” del 22 novembre) per sostenere, in sostanza, che le critiche potevano anche esser giuste, a condizione che non si traducessero in «una rozza campagna denigratoria nei riguardi dei docenti universitari, indicati come persone di basso profilo culturale, inclini al tradimento dei loro doveri, dedite all’intrigo, votate alla difesa di privilegi e al presidio del provincialismo che li alimenta» (dal Manifesto in difesa della dignità dell’Università di un gruppo di Direttori di Dipartimento della Sapienza). Potrei rispondere citando messaggi altrettanto autorevoli di appoggio alla mia analisi ma preferisco entrare nel merito, premettendo che non ho mai pensato di mettere in dubbio l’affermazione dei firmatari circa il fatto che «svolgono con passione e affetto per gli studenti le lezioni, alle quali non arrivano mai in ritardo e durante le quali espongono quanto di meglio si incontri allo stato attuale delle conoscenze grazie al continuo aggiornamento dovuto alla ricerca scientifica». Non c’è alcun dubbio che quasi ovunque ci siano oasi di eccellenza, professori meritevoli, ricercatori bravissimi. Lo prova, ad esempio, la lettera che abbiamo pubblicato del prof. Marinucci, direttore del Dipartimento di Matematica a Tor Vergata, sui successi di livello internazionale raggiunti nella sua Facoltà. Ma la questione da me sollevata è un’altra: le condizioni globali della nostra Università presentano caratteristiche negative talmente incardinate nelle sue strutture che, ferme restando le molte eccezioni positive, denunciano la impermeabilità di una degradazione sistemica considerata ineluttabile, dovuta a una collusione di interessi tra mondo accademico, classe politica e sindacalismo di categorie. Indicavo quattro punti decisivi: I) il reclutamento e la promozione clientelare, familiare, partitocratica e, infine, anagrafica (vince il più vecchio) del corpo docente realizzato attraverso «chiamate» e concorsi pilotati, il cui esito è scontato in partenza e le qualifiche scientifiche classificate internazionalmente, tenute in non cale. II) La moltiplicazione patologica delle sedi universitarie, delle filiali distaccate, delle materie di insegnamento (180.000), dei corsi di laurea (5.500), delle cosiddette università telematiche e delle molte private, senza qualificazione scientifica ma egualmente dotate della possibilità di mettere in cattedra personaggi del mondo partitico e della Amministrazione, prive di curriculum accademico. III) Il permanere della pratica delle convenzioni per consentire il rilascio di lauree con lo sconto grazie alla concessione di crediti cui non corrispondono esami superati. L’elenco potrebbe proseguire ma mi fermo qui perché la materia del contendere mi sembra comunque chiarissima. Si tratta di capire perché, di fronte ad un simile scandalo, le proteste di studenti e docenti si appuntino attorno ad altri temi e non entrino mai nel merito. Se questa volta alla gogna sono i tagli di bilancio si potrebbe almeno eccepire che essi andrebbero eseguiti con la precisione della micro chirurgia per estirpare i nodi metodologici della corruttela. Non difendendo i finanziamenti a pioggia per numero di iscritti. Comunque andrebbero sostenuti i segni di cambiamento che sotto il peso delle manifestazioni, ma anche delle critiche dei mass-media, sono stati introdotti al decreto Gelmini. Soprattutto non credo che i docenti bravi, le oasi di eccellenza, le «mele senza baco», che hanno subito finora senza fiatare le vergogne in atto, possano ritenersi esenti da responsabilità, così come il movimento studentesco e sindacale che oggi se la prende con la Gelmini ma nel 1997 e ’98, col centro sinistra al governo bloccava le piazze e occupava le scuole, per impedire al ministro Berlinguer di riformare gli esami e di introdurre un po’ di meritocrazia nel giudizio sugli insegnanti. ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 1 Dic. ’08 LA MALATTIA DEI CONCORSI di GIAN ANTONIO STELLA U no pari. Se era questo l’obiettivo che si proponeva rifiutando perfino l’astensione alla riforma universitaria di Mariastella Gelmini, la sinistra (con l’eccezione di Nicola Rossi) può dirsi soddisfatta: un dispetto a testa. Quasi un decennio dopo la scelta sventurata della destra di mettersi di traverso al tentativo di Luigi Berlinguer di introdurre nella scuola il merito attraverso il «concorsone », bollato come il «concorsaccio » e accanitamente osteggiato da Forza Italia, An e Ccd perché non si poteva «stabilire per legge che il 20% è bravo e gli altri no», l’opposizione ha reso pan per focaccia. Con una serie di motivazioni (si può fare di meglio, i criteri sono discutibili, si rischiano ingiustizie, ci vuole ben altro...) non dissimili da quelle usate a suo tempo dagli avversari. Certo, chi da anni si batte contro le storture del mondo universitario vede nella svolta di oggi, insieme a cose da verificare nella pratica ma sulla carta positive e agognate come l’aumento dei finanziamenti agli atenei virtuosi e il taglio di risorse a quelli spendaccioni (è inammissibile che l’indennità di assistenza ospedaliera vada allo 0,1% dei dipendenti dell’Università di Trieste e all’83% di quelli della Seconda Università di Napoli, bidelli e bibliotecari compresi) diverse incognite. È possibile, ad esempio, che l’«anagrafe delle pubblicazioni » che dovrebbe servire a valutare i docenti si risolva in una furbata burocratica con la moltiplicazione di libri mai editati, mai stampati e mai letti ma solo timbrati in Questura. Ed è possibile che certe cordate di baroni che oggi pilotano i concorsi, sconvolte dal sorteggio, continuino come prima con la semplice variante che i patti scellerati saranno stretti «dopo» invece che «prima». Può darsi. E sarà bene stare in guardia. Ma di sicuro, come dice un antico adagio popolare valido oggi esattamente come nel caso del «concorsone» berlingueriano, piuttosto che niente è meglio il piuttosto. C’è di meglio? Sicuro. Finché non sarà fatta la scelta netta di abolire il valore legale del titolo di studio nei concorsi pubblici, il rettore della più scalcagnata università del pianeta sarà autorizzato a ripetere, senza arrossire, quanto sosteneva Francesco Ranieri, un professore di ragioneria che a Villa San Giovanni aveva intitolato un ateneo a se stesso: «Perché uno dovrebbe andare a studiare alla Bocconi quando con 15 euro al giorno può ottenere una laurea qui?». Senza un colpo di scopa che spazzi via il ridicolo egualitarismo delle lauree, ogni riforma è monca. Ma nella situazione data, in cui perfino un concorso truccato sanzionato fino in Cassazione non è stato annullato dal ministero perché «l’annullamento di un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità», dire di no e basta non ha senso.Alla polemica sui concorsi universitari si è accavallata quella sulla prova d’accesso alla magistratura svolta alla Fiera di Rho perché nessun’altra sede era in grado di accogliere migliaia di aspiranti giudici. Denunce a raffica. Blog strapieni di racconti sconcertanti. Imbarazzi ministeriali. Sospetti. Come nel ’92 quando ogni compito fu «corretto» in 111 secondi: surreale. O come nel 2003, quando una commissaria d’esame affaccendata ad aiutare una raccomandata fu tradita dalla fotocopiatrice che vomitò centinaia di copie della sua marachella e in più saltò fuori che un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli orali (al di là di errori da somari come «risquotere» o «l’addove») venivano come gran parte degli esaminatori dall’area della Corte d’Appello di Napoli ed erano 8 volte più di quelli del Nordest. Nessuno dei principi della Costituzione è stato tradito quanto l’art. 97: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». «Serio», intendeva il legislatore. Non addomesticato: serio. Non succede da tempo nella scuola, dove la prima sanatoria «in eccezione alla regola del concorso» fu firmata da Vittorio Emanuele II nel 1859. Non succede nei comuni, nelle regioni, nei ministeri pieni zeppi di precari via via stabilizzati. Non succede al Quirinale, dove Napolitano si è impegnato al ripristino d’un principio non più rispettato dal 1963, quando erano ancora vivi Churchill e Harpo Marx. Non succede talvolta nei Tar, dove i trombati in un concorso sospetto potrebbero finire davanti a giudici promossi da un concorso sospetto. Non succede negli ospedali, dove il peso dei partiti è ammorbante e la cronaca registra episodi esilaranti quali quello di tre chirurghi che, chiamati a dimostrare a Genova la loro perizia col bisturi simulando un’operazione su una donna, fecero la loro prova sul cadavere di un uomo. Dicono tutti, oggi, davanti agli scandali, che «non succederà più». Già sentita. Ma c’è da sperarlo lo stesso. Da dove può partire la ricostruzione di uno Stato se non dalla selezione di chi deve ricostruirlo? ___________________________________________________________________ Corriere della Sera 3 Dic. ’08 LA CLASSIFICA DEI SISTEMI UNIVERSITARI: IL BUONO DA CONSERVARE Ai tanti scritti sull' inadeguatezza delle università italiane e sui loro difetti si è aggiunta recentemente una voce «fuori dal coro». È stata pubblicata la prima classifica internazionale dei sistemi universitari nazionali (http://www. touniversities.com - University Rankings - QSSAFE National System Strength Rankings) che mette in fila, non i singoli Atenei del mondo, bensì i sistemi di alta formazione di 40 Paesi. L' Italia ne esce abbastanza bene: è al 12° posto con un valore dell' indice globale pari al 76% di quello degli Stati Uniti. E' preceduta da Usa, Gran Bretagna, Australia, Germania, Canada, Giappone, Francia, Olanda, Corea del Sud, Svezia e Svizzera. E' dunque settima in Europa tallonata da Belgio, Irlanda, Finlandia, Austria e Danimarca; precede decisamente Spagna, Grecia, Norvegia, Russia, Repubblica Ceca, Polonia e Turchia. Per comprendere il «miracolo» si devono analizzare i quattro indicatori parziali assunti nella formulazione della classifica. L' indicatore di «sistema» considera il numero di Atenei compresi nella lista delle prime 500 università del mondo. L' indicatore di «accesso» correla il numero di studenti frequentanti tali università alla popolazione della nazione. L' indicatore di «eccellenza» evidenzia se i criteri di attribuzione del finanziamento pubblico valorizzano il migliore Ateneo. Infine l' indicatore «economico» riconosce il livello e l' efficacia del finanziamento che la collettività dedica al sistema universitario nazionale. Per l' Italia i valori degli indicatori di «sistema» e quello «economico» sono sostanzialmente allineati al valore dell' indice globale. Non ci dobbiamo sorprendere se l' Italia è fra le ultime al mondo per la capacità di investire selettivamente negli Atenei meglio posizionati nelle classifiche internazionali: tutto il mondo sa che, negli ultimi 12 anni, soltanto il 2% del finanziamento statale italiano è stato ripartito tra gli Atenei in base a parametri vagamente meritocratici. Costituisce invece una sorpresa decisamente positiva constatare che l' Italia è in terza posizione al mondo, dopo Usa e Australia, per numerosità di allievi iscritti in una delle università presenti nella lista delle prime 500 nel mondo. Due semplici osservazioni. Più di trent' anni fa venne deciso di liberalizzare gli accessi alle Università per elevare il livello culturale del nostro Paese. All' Università per pochi venne chiesto di trasformarsi in una buona Università per molti. Oggi gli studenti universitari sono circa 1.800.00, pari al 22% della popolazione di età compresa tra i 19 e 30 anni; per il 94% frequentano Atenei statali; il loro numero è stazionario da qualche anno. Coniugare università di «massa» con università di «élite» è stata una sfida tutta italiana, che non ha similitudini in altri Paesi. Questa classifica conferma che il sistema universitario statale italiano è stato capace di accogliere la sfida e di raggiungere l' obiettivo che la società gli aveva assegnato. Dopo trent' anni bisogna avere il coraggio di ridefinire gli obbiettivi dell' Università italiana. Si vuole un «buon sistema omogeneo» di formazione e ricerca, oppure si vuole imitare le altre nazioni promuovendo la competizione internazionale di alcuni Atenei? Si vuole «certificare» centralmente i percorsi formativi offerti dai diversi Atenei o si vuole incentivare orientamento e mobilità degli studenti in funzione dei loro desideri e dei bisogni della collettività? Queste risposte non toccano ai docenti, al singolo ateneo, alla Crui. Sono la società, le istituzioni, in primo luogo il governo, a dover definire gli obbiettivi mettendo a disposizione le risorse necessarie per raggiungerli. Solo a valle di queste decisioni si potrà discutere in modo costruttivo sul mantenimento del valore legale del titolo di studio, su come impostare il sistema di accreditamento, di controllo e di valutazione delle attività dei singoli atenei, sui sistemi più adatti della loro «governance», sulla compartecipazione degli allievi al finanziamento delle università, sulla molteplicità delle loro sedi territoriali e della loro offerta formativa e di ricerca, sulle modalità di acquisizione di risorse umane. Limitarsi al taglio di qualche ramo inutile e alla definizione di norme sempre più «centralistiche» non può migliorare il nostro sistema universitario, ma gli farà perdere anche quelle qualità che oggi la classifica internazionale gli riconosce. Abbandoniamo le facili nostalgie del passato, accorgiamoci che le esigenze della nostra società sono radicalmente cambiate rispetto a quarant' anni fa, ragioniamo sulle nostre specificità. Solo così il nostro Paese potrà realizzare il sogno di avere un sistema universitario sempre più competitivo e adeguato alle esigenze della nostra collettività. Rettore del Politecnico di Milano ___________________________________________________________________ Repubblica 28 nov. ’08 CERVELLI IN FUGA RICHIAMATI SENZA CONCORSO Per le università sarà più facile farli rientrare dall’estero MARIO REGGIO ROMA — Chiamata diretta, senza concorso, per professori ordinari, associati e ricercatori che insegnano all’estero: un modo per far tornare i “cervelli” fuggiti dall’Italia. Dal 2009 vedrà la luce l’anagrafe nazionale nominativa dei docenti universitari, con l’elenco delle loro pubblicazioni scientifiche. L’anagrafe verrà aggiornata ogni anno. A partire dal 2011, gli scatti biennali automatici, saranno condizionati dalla valutazione della produzione scientifica di ogni docente nel corso degli ultimi due anni, in base ai parametri internazionali. In assenza di pubblicazioni lo scatto biennale viene dimezzato. Ordinari, associati e ricercatori, che nel corso degli ultimi tre anni non hanno prodotto lavori scientifici validi a livello internazionale non potranno usufruire dei Fondi destinati alla ricerca e partecipare alle commissioni di valutazione per l’assegnazione delle nuove cattedre a concorso. Il Consiglio universitario nazionale vigilerà sulla correttezza dei concorsi attraverso una commissione formata da 7 professori ordinari. L’elenco dei docenti esclusi sarà pubblico. E per finire: ogni anno i rettori dovranno presentare al Consiglio d’amministrazione ed al Senato accademico una relazione sui risultati delle attività di ricerca, formazione e incidenza delle ricerche sull’attività didattica, assieme al bilancio dei finanziamenti ottenuti da soggetti pubblici e privati. Questi, in sintesi, gli emendamenti al decreto Gelmini sull’università, licenziato dal Consiglio dei ministri lo scorso 10 novembre, approvati ieri dalla maggioranza al termine della seduta della Commissione Cultura del Senato. La prossima settimana il testo modificato del decreto verrà discusso dall’assemblea di Palazzo Madama e dovrà essere approvato entro l’11 dicembre. «Per la prima volta — commenta il ministro Mariastella Gelmini — le carriere dei docenti non saranno legate agli scatti automatici ma al merito ed alla ricerca effettivamente svolta. Il 20-30 per cento dei corsi universitari va eliminato senza impoverire l’offerta formativa — conclude — entro il 2010 intendo varare un piano di rientro per le sedi distaccate delle università perché sono troppe». Secondo Mariapia Garavaglia, ministro ombra dell’Istruzione, «il decreto non sconfigge il malcostume dei concorsi, dà solo in pasto ai cittadini soluzioni che non sono tali. In realtà il merito non viene valorizzato, perché l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, lo strumento attraverso il quale già adesso si potrebbero dare valutazioni fondate e, appunto, di merito, non è stato attivato dal ministro. ». Giuseppe Valditara, relatore del decreto al Senato, commenta: «Si tratta di un provvedimento straordinariamente importante per l’Università che avvia quel percorso di risanamento indi- nostri atenei. I principali provvedimenti contenuti nel Decreto sono all’insegna dei valori della responsabilità, della trasparenza e del merito». E ieri la Commissione Cultura della Camera ha espresso il suo parere sul piano programmatico per la scuola. Un via libera che però lega il maestro unico “in ragione della domanda delle famiglie”. E oggi cinque cortei di studenti attraverseranno il centro di Roma, per protestare contro i tagli e la mancata sicurezza degli istituti scolastici. Tre partiranno dagli atenei romani per confluire in quello degli studenti delle scuole superiori. Obiettivo in ministero della Pubblica Istruzione a viale Trastevere. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 4 Dic. ‘08 CULTURA IBRIDA: LA FORMAZIONE OLTRE. I CONFINI DELLE DISCIPLINE È possibile educare a pensare insieme le soluzioni e favorire l’interscambio con le imprese DI CARLO ALBERTO PRATESI Gli ingredienti La regola fondamentale dell'innovazione l'aveva scoperta la famiglia fiorentina de' Medici che, circondandosi dei migliori artisti e scienziati, era riuscita a favorire quella intersezione tra concetti, culture e stimoli differenti che sono stati la base del Rinascimento (vedi il Uestséller «Effetto Medici» di F. Johansson). Un approccio davvero rivoluzionario che nel tempo, presi dalla necessità di specializzarsi, le università (e in fondo anche le aziende) hanno perso. «Tutto il sistema accademico è assolutamente inadeguato a generare creatività -ha sottolineato polemicamente Edward; de Bono, intervenuto all'incontro «Innovazione e creatività» organizzato da Hsm -. I professori pensano solo all'analisi e al trasferimento delle informazioni: un tipo di esigenza del tutto superata dall'economia digitale. Dovrebbero invece educare le persone a pensare insieme le soluzioni ai problemi». Per fortuna qualcosa sta cambiando, per esempio in Finlandia dove il governo sta investendo per accorpare facoltà diverse, nell'ottica della cross fertilization tra centri di ricerca e aziende. E anche in Italia qualcosa si muove, oltre ad alcune università private, e ai piccoli centri di eccellenza nel sistema pubblico (per esempio il Sant'Anna e la Normale di Pisa) esistono atenei che si impegnano verso la convergenza. «Guardiamo con grande interesse al sistema finlandese, e cerchiamo di adottare quello'stesso approccio, nei limiti consentiti dal nostro statuto-conferma Paolo Collini, preside della facoltà di Economia di Trento-. Se rimaniamo ancora distanti da quel benchmark è anche per la rigidità delle nostre strutture organizzative accademiche, impostate su facoltà e dipartimenti, che non riescono a creare le necessarie sinergie». Tuttavia, il Trentino, con un investimento in ricerca doppio rispetto alla media nazionale, e con diversi progetti che nascono dalla c00perazione tra istituzioni, aziende e università, rappresenta un ottimo terreno per l'innovazione. «L'esperienza forse più interessante è proprio quella dell'area Ict, che avendo spostato la didattica tra Scienze e Ingegneria, mantiene ricercatori e docenti anche nella nostra facoltà (dove era nata); e che grazie a questa sua cultura ibrida, oggi riesce a operare come una scuola multidisciplinare, conciliando esigenze didattiche, di ricerca e di business». E poi c'è il recente progetto «Trentino as a LaU» nato dalla convergenza tra aziende, provincia e università con l’intento di utilizzare il territorio come laboratorio per l'innovazione e il trasferimento tecnologico. I primi risultati di questi sforzi si iniziano a vedere «in fondo non è un caso se Microsoft ha scelto il nostro ateneo come partner per il Centre for Computational and Systems Biology» conclude Collini. «Nel complesso direi però che le università italiane sono ben poco propense a favorire l'interscambio con il mondo imprenditoriale, rinunciando di fatto a sfruttare a fondo le notevoli opportunità offerte dai finanziamenti privati (ed europei) - ribatte Goffredo Russo Walti, consulente esperto nel seguire progetti di start up e spin off accademici-. Oltre a un atteggiamento un po' miope da parte dei ricercatori; c'è un complesso di norme che rende difficile generare valore dalla creatività dei ricercatori. Mi è capitato che un direttore amministrativo si raccomandasse che da una certa operazione non si determinassero utili per non avere eccessive complicazioni contabili!». Peccato, perché invece i ricercatori italiani sono molto spesso di livello eccellente: lo sanno bene le università straniere che guardano ai nostri dipartimenti per attirare giovani in cerca di sbocchi all'altezza delle loro aspettative. «Le università italiane, specialmente quelle pubbliche, dovrebbero aprirsi di più c00perando tra loro e, soprattutto, con il mondo industriale sul versante della ricerca e della innovazione, commenta Francesco de Seta, responsabile Clinic and business development per il sud europa di Medtronic, multinazionale leader del settore delle tecnologie biomediche. «Potrebbero raccogliere maggiori risorse e raggiungere migliori risultati se, come avviene in altri paesi (per esempio la Spagna), fossero flessibili nell'adattare i loro percorsi di ricerca alle esigenze delle aziende. Oltretutto, anche i neo laureati sarebbero più pronti a inserirsi nel mondo del lavoro; senza necessariamente dover investire altro tempo in lunghi training interni, come invece avviene adesso». Più in generale, per avere un'università che favorisca l'innovazione, occorre abbandonare la propensione all'isolamento e l’autoreferenzialità. Questo richiede prima di tutto fuso della lingua inglese, senza la quale è difficile che un indiano, un canadese o un messicano possa pensare di studiare e fare ricerca da noi. E poi, più in generale, occorre un atteggiamento positivo nei confronti del valore della "diversity", cosa nient'affatto scontata. Anzi, è facile notare come alcune discipline, per esempio l'economia, la politica, la stessa organizzazione aziendale, tendano più o meno esplicitamente a puntare verso la massima omogeneità possibile. In fondo, per un qualunque manager o direttore di dipartimento avere collaboratori molti simili tra loro, che condividono cultura, valori e-comportamenti è un buon risultato. Invece, occorre prendere spunto dall'ecologia, la scienza che spiega quanto sia importante la varietà delle specie presenti nell'ambiente. Un bosco che ha centinaia di alberi e artisti diversi (come avviene alle nostre latitudini) o qualche migliaio (come nelle foreste tropicali) vale infinitamente di più di un pioppeto dove le specie sono poche decine o addirittura poche unità. Lo stesso vale per un gruppo di lavoro, un laboratorio o una facoltà. La convergenza tra culture differenti consente diversi tipi di relazioni, stimolando la creatività e il processo di innovazione. I Medici lo avevano già capito nel XV secolo, e noi purtroppo ce lo siamo dimenticati. Carlo Alberto Pratesi è professore di Marketingpresso la facoltà di Economia all'Università Roma Tre __________________________________________________________________ il manifesto 4 dic. ’08 CGIL: LA RICERCA CONTRO LA CRISI UNIVERSITÀ • La Cgil presenta la sua riforma. In vista dello sciopero generale del 12 Le proposte alternative: fondi all édilizia, ricambio generazionale Eleonora Martini ROMA La formazione come tema centrale dello sciopero generale indetto da CO, Cobas, Cub e Sdl intercategoriale, per il prossimo 12 dicembre. Perché «è del tutto evidente la relazione tra la necessità di investire sui sistemi della conoscenza e i modi con cui si può uscire dalla crisi economica e sociale». Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-CO, introduce così la grande convention ospitata ieri nell'aula magna della facoltà di Lettere dell’università Roma Tre e organizzata dal suo sindacato per presentare alcune proposte concrete alternative ai tanto contestati provvedimenti governativi su scuola, università, ricerca e Afam (Alta formazione artistica e musicale). Un programma di lavoro che prevede «una svolta radicale e non aggiustamenti a interventi già varati», e che accoglie le istanze rivendicate nelle piazze dal movimento degli studenti, dei maestri e dei docenti - prime tra tutte, le grandi manifestazioni della scuola dei 30 ottobre e degli universitarì del 14 novembre ma che è comunque «una base di partenza da cui aprire una grande campagna di ascolto». Dialogo, dunque, a trecentosessanta gradi. Ma, come dice a conclusione dei lavori Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil, «se restano 8 miliardi di tagli, di cosa si vuole dialogare?». Perciò, prima di tutto l’Flc chiede che venga «sospesa l'attuazione dei provvedimenti approvati e si ritirino quelli in via di approvazione». Fare carta straccia dunque della legge 133/08, del decreto 112, meglio conosciuto come 1"ammazza precari" di Brunetta, e la legge Gelmini sulla scuola. Da qui in poi si può cominciare a ragionare, sempre che siano tenuti ben fermi alcuni capisaldi. Pantaleo li riassume così: ogni euro risparmiato dislocando meglio le risorse va reinvestito nell'istruzione; occorre un piano straordinario pluriennale che stanzi fondi certi sull'edilizia scolastica; bisogna puntare ad un «serio ricambio generazionale di tutto il corpo docente e non solo nella prospettiva di stabilizzazione dei precari, ma con l'ampliamento massimo del turnover». In particolare, per la scuola, «l’idea del maestro unico è inaccettabile». Anzi, la programmazione didattica necessita di un «profondo e strutturale cambiamento» che ricollochi l'istituzione a contatto con la realtà sociale, liberandola da «nozionismo e burocrazia». Perciò va «salvaguardato il tempo pieno, ridotta la didattica frontale, potenziati i laboratori e favorita la valutazione». E come obiettivo da perseguire, l'obbligo scolastico a 18 anni: «Quello fino a 16 anni sia privato degli equivoci che ancora gli gravano addosso con la riconferma del canale di serie B della formazione professionale». Per il sistema universitario invece al primo punto c'è la salvaguardia della sua natura pubblica, lasciando al privato «un ruolo di utile integrazione, uno stimolo e una risorsa». L'abolizione graduale del numero chiuso garantisce il diritto allo studio universale. Per spalancare poi le porte ai giovani docenti, servono nuove regole per il reclutamento: un contratto triennale retribuito, con garanzie sul rapporto di lavoro, al termine del quale una «valutazione seria della qualità e della produzione scientifica del candidato dà luogo all'accesso al ruolo di ricercatore». I finti concorsi per i passaggi di fascia vanno eliminati. Mentre l'Agenzia nazionale di valutazione voluta dall'ex ministro Fabio Mussi e mai avviata, giudicherà la qualità degli atenei per una distribuzione «giusta» dei fondi. «Perché crediamo - sottolinea Pantaleo - che la meritocrazia sia effettivamente l'unico riferimento». Ma «un ruolo forte nella definizione del merito e degli obiettivi deve essere restituito agli studenti, a chi l'università la vive». Infine, la ricerca, il cui «Programma nazionale deve diventare, uno strumento essenziale per la definizione del Dpef con l'obiettivo di superare la frammentazione degli interventi e c00rdinare le politiche per la ricerca scientifica e tecnologica, anche per sostenere i progetti d'innovazione industriale». Vanno istituiti inoltre «uno o più fondi specifici, distinti da quelli ordinari e alimentati da risorse aggiuntive». Con queste proposte, insomma, l’FlcCgil risponde a chi l'accusa di essere il sindacato del no. Alle altre sigle tende ancora una mano, ponendo sul tavolo tre questioni aperte: contratti, regolamenti attuativi della legge Gelmini sulla scuola, e riforma di università e ricerca. «Se riusciamo a trovare una sintesi su questi punti, bene. Altrimenti - conclude Pantaleo - andremo ai tavoli con le nostre opinioni e soprattutto proseguiremo il nostro percorso di lotta». _________________________________________________________________________ Corriere della Sera 29 nov. ’08 IL DOSSIER DEI PROFESSORI: NON SIAMO PEGGIO DEGLI ALTRI LA RICERCA IL CONFRONTO DI SEI DOCENTI MILANESI: IN GERMANIA MOLTI PIÙ CORSI E ITALIA DAVANTI ALLA SPAGNA NELLE CLASSIFICHE MILANO - È vero, nelle università italiane i corsi di laurea sono oltre 5.500. Ma la Germania ne ha 8.955. Per non parlare dell' Olanda, che vanta il migliore sistema accademico europeo nonostante i 12 indirizzi con un solo iscritto. E i nostri 23.571 dottori di ricerca? Pochi, rispetto ai 37.489 francesi. Questione di numeri. E di classifiche. Sei professori della Statale di Milano le hanno studiate, scandagliate, comparate. E in un mese - indignati dalla «parzialità dei dati sbandierati» e da «discorsi strumentali a una volontà di governo di operare tagli indiscriminati» - le hanno raccolte. Risultato, un pamphlet che vuole raccontare gli atenei italiani «senza chiedere attenuanti». Si intitola così: «L' università malata e denigrata, un confronto con l' Europa». Ottanta pagine di «carenze reali e difetti inventati». Per far capire che sì, il sistema universitario italiano è lontano dal top, ma non è nemmeno quel disastro di cui si parla da mesi. Un' ammissione di responsabilità. E un secco no alla vis denigratoria «tanto di moda di questi tempi». È questo il senso del lavoro condotto dal team di Marino Regini, prorettore dell' ateneo milanese. Un' indagine che doveva diventare una pubblicazione accademica. E invece no, ecco il pamphlet (per informazioni marino.regini@unimi.it), cucinato di corsa, «nato dalla rabbia». Perché se l' università è malata, certi «discorsi pubblici non si sono preoccupati di distinguere gli organi sani da quelli in difficoltà». La ricerca, partita un anno fa, mette a confronto i sistemi universitari di Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Olanda e Italia. Prima osservazione: «All' estero, appena ci si accorge che qualcosa non va nel settore dell' alta istruzione, si pone rimedio investendovi più risorse. Il contrario di quanto avviene da noi, dove le pecche talvolta gravi sono usate per giustificare un' ulteriore diminuzione dei fondi». Dunque i numeri: 68,4 corsi di studio per ateneo (86,1 in Germania), 320 sedi distaccate «per colpa in parte della classe politica, in parte degli enti locali e dunque non dell' università», 668 mila fuoricorso, il 20 per cento di abbandoni tra primo e secondo anno, l' 80 per cento di studenti senza borse di studio (4% nei Paesi Bassi). Dati che ci fanno scendere nelle valutazioni internazionali. Eppure, nonostante tutto, le università italiane presenti nelle quattro principali classifiche sono più numerose di quelle spagnole. Saper leggere i dati. Senza strumentalizzarli. Su questo punta il professore Regini. Invitando a riflettere su quanti «lavorano con serietà e passione negli atenei». Lo chiede anche Enrico Decleva, rettore della Statale e presidente della Crui: «La documentazione offerta da questo opuscolo dimostra che l' università merita interventi in positivo e non continui attacchi. E che vale ancora la pena investire nella ricerca». Annachiara Sacchi * * * I Paesi europei a confronto 113.980 In Italia il numero di docenti, di cui 52 mila a contratto. Ci sono 87 università (1,5 atenei per ogni milione di abitanti). 5.960 sono i corsi offerti ogni anno * * * 4.878 In Francia il numero di corsi è inferiore a quello italiano: 4.878, appunto. Gli atenei sono solo 83 (1,3 ogni milione di abitanti), mentre le Grandes Écoles 444. I docenti sono 89.698 * * * 104 In Germania 104 atenei (il rapporto è 1,3 ogni milione di abitanti), 184 le Fachhochschulen, 103 gli altri istituti. Oltre 12 mila i corsi universitari, 248.938 i docenti * * * 169.995 Il Regno Unito vanta 169.995 docenti, ma il numero di corsi è inferiore (5.009). Gli atenei sono 117 (1,9 ogni milione di abitanti) e 24 i Colleges of Higher Education * * * 1,7 In Spagna solo 75 atenei (25 privati): 1,7 ogni milione di abitanti. Il numero di docenti è simile a quello italiano: 102.300 di cui 42.247 a contratto. Il numero di corsi è 3.184 ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 Dic. ‘08 RICERCA BIOMEDICA, DAL 2009 FONDI SOLO A CHI LI MERITA Il ministero del Welfare cambia le procedure per assegnare le risorse: il prossimo anno 100 milioni distribuiti con valutazioni indipendenti e in base al merito Anche gli Irccs in "gara" per gli stanziamenti - Pronto il nuovo bando per i giovani scienziati: scade a febbraio, in palio 28 milioni Niente trucchi, selezioni "pilotate" e raccomandazioni: solo ricercatori che giudicano ricercatorì. Nella massima trasparenza e con la promessa che i fondi per studiare nuove cure, magari per i tumori o per le demenze, li vinceranno solo ì migliori. Quelli, insomma, che si meritano di fare la ricerca biomedica d'avanguardia. Attenzione: non ci troviamo negli Usa e nemmeno in Inghilterra. Ma in Italia. Il ministero del Welfare giura, infatti, che dal prossimo anno tutti i fondi per la ricerca biomedica "libera" (quella cosiddetta "finalizzata") saranno distribuiti solo e unicamente con criteri trasparenti e all'insegna della tanto invocata meritocrazia («peer review»). Addirittura, è un'ipotesi concreta allo studio dei tecnici del ministero, appaltando tutta l'attività di valutazione al prestigioso National institute of health d'Oltreoceano. L'idea è quella di dare vita a un bando unico del Welfare (dovrebbe essere pronto in primavera) del valore di 100 milioni con una serie di priorità (oncologia, malattie cardiovascolari e neuroscienze in prima fila) a cui potranno partecipare gli scienziati impegnati nella ricerca biomedica: referee stranieri e un panel di esperti metterà a punto un "listone" unico in base à( merito e da lì si "pescheranno" i progetti e i nomi dei ricercatori da finanziare. Non è tutto. La meritocrazia è pronta a bussare sempre dì più anche alla porta degli Imcs: il ministero del Welfare sta infatti studiando la possibilità che il 20-30% dei fondi destinati agli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico - una torta di 40-50 milioni sui 200 totali della cosiddetta «ricerca corrente» - siano messi in "palio" con le nuove procedure di valutazione. Si vedrà. Intanto un primo assaggio ci sarà già nei prossimi giorni quando sarà pubblicato l'atteso bando 2008 da 28 milioni del ministero del Welfare per i ricercatori under-40. Un secondo round dopo il successo del bando 2007 che ha finanziato con 15 milioni 26 giovani cervelli italiani. Le nuove procedure. Il ministero del Welfare - come ha anticipato più volte il sottosegretario Ferruccio Fazio - punta a esportare il modello americano del National institute of health» abituato a distribuire miliardi di fondi ogni anno per la ricerca biomedica. Tanto che si sta pensando - per un periodo di un paio d'anni - di appaltare gran parte dell'attività di valutazione allo stesso «Nih» americano. L'idea centrale del nuovo meccanismo di valutazione è quella di affidare tutto il procedimento di valutazione a referee indipendenti (minimo tre), meglio se ricercatori stranieri. Ai referee spetta il compito di esprimere un giudizio qualitativo che poi sarà consegnato a un panel di 12 esperti di chiara fama nella ricerca. A questo panel che si riunisce una volta l’anno spetta il compito di predisporre una graduatoria dei progetti basata esclusivamente sul valore scientifico, così come presentato dai referee. Un Comitato di controllo - che c00rdina e controlla la correttezza dì tutta l'attività dì revisione senza però entrare nel merito della "graduatoria" - riceve i progetti classificati secondo le priorità di merito dal panel di esperti. E poi estrae da questa graduatoria generale (una sorta dì listone unico) i progetti finanziabili in base alle priorità che., saranno prestabilite dal bando. E quindi: a esempio, saranno estratti i migliori progetti in oncologia se si punta a finanziare la ricerca sui tumori oppure i migliori progetti presentati da giovani scienziati se si vuole scommettere sullo - svecchiamento" della ricerca ecc. Spetterà; infine, alla Commissione per la ricerca sanitaria certificare e pubblicare i risultati del bando, informando i vincitori e procedendo alla distribuzione dei fondi. L'intenzione del ministero del Welfare è di estendere questa procedura, che sarà applicata nel 2009 per la ricerca biomedica (con circa 100 milioni in palio), anche a parte della ricerca "intramurale" degli Irccs mettendoli in gara gli uni contro gli altri per aggiudicarsi una quota dei fondi (si pensa, per iniziare, al 20 per cento) della «ricerca corrente» che ne finanzia ogni armo l'attività. II nuovo bando per gli under-40. A giorni il ministero pubblicherà il nuovo bando da 28 milioni per i giovani scienziati, dopo aver chiuso nei giorni scorsi quello del 2001. La scadenza per presentare le domande per tutti i cervelli rigorosamente sotto i 40 anni sarà all'incirca fine febbraio. A selezionare i progetti saranno altri giovani scienziati sempre con il sistema del «peer reveiew». Tutto parte dalla Finanziaria dell'anno scorso, varata dal precedente Governo Prodi, che ha previsto di destinare una quota (a salire dal 5 al 10%} delle risorse della ricerca biomedica a progetti presentati da giovani ricercatori. E valutati - ecco l'altra novità - da un team di 10 ricercatori (5 italiani e 5 stranieri) anch'essi sotto i quarant'anni. Sono stati 1.500 in tutta i progetti arrivati al ministero del Welfare per il bando appena chiuso, di questi ne so~ no stati selezionati 40, di cui 26 finanziabili: 2(1 progetti riguardano la ricerca medica innovativa, sei quella sul fonte delle sperimentazioni socio- sanitarie. Marzio Bartoloni ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Dic. ‘08 CASCIELLO: COSÌ LA SCIENZA. VALUTERÀ. LA SCIENZA» I canali di finanziamento della ricerca dell'ex ministero della Salute sono stati e sono quello della ricerca corrente, destinata alla sovvenzione della ricerca intramurale degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) e quello della ricerca finalizzata utilizzata per i progetti presentati dai destinatari istituzionali («Di»): Regioni, Irccs, Iss, Ispesl, lzs, Assr. L'ammontare del finanziamento complessivo è, mediamente, intorno ai 250 milioni di curo all'anno, di cui 213 destinati alla ricerca corrente. Per la selezione dei progetti la Commissione nazionale della ricerca sanitaria (Cnrs) ha sempre operato (anche se qualcuno in un recente passato ha dichiarato che le risorse non fossero mai state messe a bando) attraverso un avviso pubblico. I progetti presentati dai «Di» sono inviati a valutatoti (referee) esterni (nella stragrande maggioranza dei casi italiani e scelti dalla stessa Cnrs) e l'associazione progetto-referee è operata da alcuni membri, delegati, della stessa commissione. Le valutazioni sono raccolte dalla Commissione che opera l'assegnazione ai progetti dei finanziamento secondo la graduatoria scaturita dal giudizio dei valutatori. Le critiche da patte della comunità scientifica, al sistema di valutazione dei progetti sono state sempre vivaci. La maggiore di queste si concentra sull'uso dei valutatoti italiani, e sull'imparzialità di chi partecipa all'estensione del bando e alla verifica finale. D punto centrale è quello della sovraesposizione della Cnrs che detta le regole, sceglie i referee, li associa ai progetti e decide alla fine l’ entità del finanziamento. Per tali motivi la Cnrs, che ha sempre operato cercando l'equità e la trasparenza, ha introdotto negli anni numerosi correttivi (come l'introduzione delle «study sections», i valutatori s'incontrano e stilano un giudizio f male) eppure, nonostante tutto, il sospetto della poca trasparenza è rimasto. Pur riconoscendo l'ottimo lavoro della Cnrs ma, nello stesso tempo, non essendo insensibile alle critiche della comunità scientifica il sottosegretario al Welfare, Ferruccio Fazio, ha ritenuto di avvalersi dell'esperienza, ormai pluridecennale, del «National istitut of health» che ha perfezionato la metodologia di selezione basata sulla «peer review». Per illustrare il sistema è stato invitato Antonio Scarpa, direttore del Center for scientitic review (Csr), istituto del Nilt, che ha come missione quasi esclusiva la selezione dei progetti di ricerca. Da questo. incontro sono emersi tre elementi rilevanti. II primo è che l'affiliazione dei progetti ai valutatori è fatta da una struttura interna al Csr-Nih. Il suo solo compito è di trovare i migliori referee per quel progetto (giudizio tra pari); i referee sono ricercatori nazionali e internazionali e sono scelti consultando un data base forte di decine di migliaia dì specialisti. Il secondo elemento è che i valutatori riferiscono a un panel di esperti nominato dal Csr-Nih, ma da questo autonomo. In definitiva il Csr-Nih non conosce il risultato delle valutazioni dei referee e il panel di competenti funge da camera di compensazione per quei progetti che hanno valutazioni troppo dissimili. II Csr-Nih riceve la lista dal panel di esperti secondo il valore scientifico dei progetti. Tutti quelli che sono impegnati nella fase valutativa sono scienziati. Il loro compito è di giudicare nel nùglior modo possibile il valore scientifico del progetto (scienza per la scienza). Il terzo elemento è che attraverso diversi panel di specialisti è predisposto un unico elenco di progetti potenzialmente da finanziare. A questo punto s'introducono le "priority" previste nel bando che possono essere le tematiche, il finanziamento massimo per tematica e altri elementi. A esempio il Nih riserva una percentuale del finanziamento complessivo ai giovani ricercatoti; un'altra quota ai progetti assolutamente innovativi (e per questo molto rischiosi). Pertanto se devono essere finanziati per 3 milioni di curo progetti per le malattie oncologiche, si scorre la lista partendo dai progetti eccellenti e via verso il basso fino a quando s'individuano tutti i progetti sull'oncologia da finanziare. II compito del Csr-Nih è solo quello di applicare le priorità, prestabilite nel bando e pertanto conosciute da tutti, senza alcun intervento manipolativo sui progetti (a esempio una riduzione del finanziamento o mia parzializzazione del progetto). Come trasferire questo modello per i progetti dell'ex ministero della Salute soprattutto in questa fase di scarse disponibilità economiche`? Per il primo punto è necessario individuare la struttura di c00rdìnamento, che dovrà operare le associazioni progetto referee; si è ipotizzata una struttura funzionale formata da almeno tre, quattro consulenti di sicura fama ed esperti sia di scienza sia della metodica di valutazione. Un'ipotesi, in fase di stima, è di prendere sotto contratto il c00rdinatore del gruppo e fare segnalare gli altri nomi da altre Agenzie europee per la ricerca (a esempio: l’Inserm francese, il Max Planck tedesco 0 dal Karolinska institutet svedese); insieme a queste istituzioni e al Csr-Nih si potrebbe costituire una data base dei referee da utilizzare per le valutazioni di tutte le Agenzie iinamlattici europee (comunque tutti stranieri per i progetti italiani). Alla Cnrs oltre alla predisposizione del bando e all'individuazione delle priorità, alla fine delle procedure di valutazione, spetta quel ruolo di garanzia (audit) delle decisioni del gruppo dì esperti e di stilare l'elenco dei progetti finanziati, senza alterare in alcun modo l'elenco predisposto dal gruppo di c00rdinamento, ma semplicemente applicando le priorità da lei stessa individuate. Inoltre i membri del gruppo di c00rdinamento e del panel devono rilasciare una liberatoria, dove garantiscono riservatezza e di non aver alcun rapporto con chi presenta i progetti. Il panel dì esperti (non più di 10 -12) scelto dalla struttura di c00rdinamento è fori- nato da ricercatori stranieri, individuati per la loro competenza («impact facto» o altri indici di valutazione); il o i panel di esperti nei loro nominativi vengono resi nati all'inizio della fase valutativa (ricezione delle valutazioni da parte dei referee). Il panel di esperti non deve avere nessun contatto con la struttura di c00rdinamento, ma solo con i referee. In una piìma fase di attuazione potrebbero essere utilizzati i referee del Csr-Nih (tre per progetto) che come già detto ha decine di migliaia di valutatori sia statunitensi sia internazionali. Il panel dopo aver predisposto la graduatoria, la invia al gruppo di c00rdinamento. L'estrazione dalla graduatoria, applicando le priorità del bando, dei progetti finanziabili è fatta dalla struttura di c00rdinatnento. A termine del lavoro la struttura di c00rdinamento si presenta davanti alla Cnrs, illustra tutta la procedura e informa di eventuali problematiche emerse. Alla fine dell'audit la Cnrs approva la lista dei progetti finanziati. Tutta la procedura sarà messa in atto per i progetti del 2009 e anche parte della ricerca intramurale degli Irccs poti-ebbe essere messa in concorso tra gli stessi Istituti (iniziando gradualmente con un 20% massimo). ________________________________________________________________ Il Mondo 1 Dic. ‘08 GIORNI CONTATI PER IL CNIPA? Dopo il ministero dell'Innovazione anche il Cnipa sarebbe destinato alla soppressione. La Finanziaria 2009 ha dotato il Centro nazionale per l'informatica nella Pubblica amministrazione di appena 13 milioni, 5 in meno del 2008, insufficienti perfino a pagare gli stipendi ai 50 dipendenti a tempo indeterminato, i compensi agli oltre 110 collaboratori e comandati da altre amministrazioni e il fitto della sede romana di via Isonzo, che da solo costa 1,2 milioni l'anno. Entro la fine del 2009, secondo quanto risulta al Mondo, le competenze e i dipendenti a tempo indeterminato dell'organismo guidato da Fabio Pistella, già presidente del Cnr, dovrebbero passare al dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, che dipende dal ministero della Funzione pubblica e attualmente dispone solo di personale amministrativo e non tecnico. Sarebbe questa la prima fase di un progetto destinato a riunire sotto le dirette competenze del dicastero di Renato Brunetta tutte le strutture che si occupano di innovazione nella Pubblica amministrazione, compreso il Formez. Pietro Romano ________________________________________________________________ Repubblica 1 Dic. ‘08 LA DONNA CHE INVENTO’ IL TERGICRISTALLO VALERIO BERRUTI Dell' auto si dice che negli ultimi cent'anni sia cambiato tutto meno il motore che è ancora quello a scoppio alimentato a carburante. Per quelli elettrici bisognerà attendere ancora un po'. È cambiato molto, invece, sul fronte delle tecnologie. L'elettronica, per esempio, oggi sempre più padrona. È lei che governa tutto, dai freni alla trazione, dal cambio allo sterzo: decine e decine di centraline regolano ogni funzione della macchina: E tra queste, naturalmente, ce n'è una anche per i tergicristalli. Sono lontani anni luce i tempi delle spazzole che all'improvviso si bloccavano e pensavi subito che dipendesse da un fusibile. E lontano è anche il rumore della gomma che sfregava sul vetro. E quei fastidiosi saltellamenti sul parabrezza. Oggi tutto questo è un ricordo, dolce come molte delle cose travolte dall'elettronica. Dolci ma anche sorprendenti sono le origini di questo ingegnoso marchingegno chiamato tergicristallo che ha la bellezza di oltre cent'anni. La prima sorpresa arriva dal nome dell'inventore, Mary. Proprio così, una donna. Cosa a dir poco sbalorditiva dato che il tutto accadeva nel 1903 e riguardava l'automobile, oggetto maschilista per antonomasia. Comunque le cronache raccontano (e i documenti confermano) che fu una certa miss Anderson, americana dalla testa ai piedi, che nel 1903 concepì l'idea dei tergicristalli. La signora, ovviamente senza patente, era appena arrivata a New York proveniente dall'Alabama. Per il suo lavoro aveva bisogno di spostarsi continuamente e lo faceva con un comodo taxi. Ma le bastò poco per scoprire che tanto comodo non era e che quando pioveva, o peggio ancora nevicava, il tassametro saliva alle stelle. Il motivo? Semplice, il conducente era costretto ogni dieci metri a scendere dall'auto per pulire il vetro dai fiocchi di neve che altrimenti si ghiacciavano e impedivano di vedere la strada. Un vero e proprio incubo mai affrontato fino a quel momento da nessun uomo che allora come oggi si vanta di guidare cento volte meglio di qualsiasi donna. Per fortuna la tranquilla signora Anderson, preoccupata per il suo portafoglio e soprattutto dall'immensa fatica del guidatore i cui sforzi per ritagliarsi un piccolo riquadro pulito erano puntualmente vanificati dai primi fiocchi di neve che continuavano a scendere, ebbe un'idea folgorante. Semplice, quasi banale. Perché non sostituire quell'inutile lavoro umano con una macchinetta? Pensa e ripensa alla fine Mary Anderson giunse alla conclusione che per risolvere il problema bastava applicare al parabrezza un braccio meccanico ricoperto da una spugnetta per spazzare via neve e pioggia. Bella scoperta verrebbe da dire. Allora sì che lo era veramente! E che fantasia. Ma la signora era andata così avanti che per vedere realizzata la sua idea dovette aspettare un bel po' di anni. Esattamente fino al 1916 quando l'intraprendente signora decise finalmente di recarsi all'ufficio brevetti di New York e depositare la sua invenzione. Potete immaginare la perplessità e le prese in giro dei tecnici di allora, accaniti maschilisti davanti a quello strano marchingegno presentato da una donna. In effetti il meccanismo brevettato dalla signora dell'Alabama era un vero e proprio corpo estraneo piazzato sul parabrezza. Lei, forse per ragioni estetiche o chissà per quali altri motivi, aveva pensato che "il meccanismo" dovesse essere sganciato quando non serviva. Insomma perché esporlo inutilmente all'usura del bel tempo? Così il primo brevetto depositato prevedeva un tergicristallo "removibile". Punto e basta. Ci volle un bel po' di tempo per mettere tutti d'accordo e riconoscere la genialità dell'invenzione della signora Mary Anderson. Ma dieci anni dopo il tergicristallo era montato su tutte le auto di fabbricazione americana. Da allora in poi, quell'accessorio indispensabile per guidare con la pioggia, la neve, l'umidità e il fango è stato travolto da un'eccezionale evoluzione tecnologica. Oggi i tergicristalli sono diventati addirittura tre: quello classico davanti, uno dietro (tergilavalunotto) e uno pure per i fari. Si muovono in perfetta sintonia e scompaiono nella carrozzeria quando sono spenti. Su alcuni modelli sono installati addirittura dei sensori in grado di attivarli automaticamente. Basta qualche goccia che sfiora il parabrezza ed ecco partire le spazzole. E se la piaggia aumenta cresce anche la loro velocità. Ma non finisce qui. Sulle auto più lussuose i tergicristalli sono mossi da motorini che provvedono a cambiare direzione elettronicamente evitando qualsiasi rumore e consentendo un movimento preciso come quello di un orologio. Hanno almeno quattro velocità e varie possibilità di intermittenza. Ogni tre, quattro giorni, poi, le spazzole in posizione di riposo si muovono di qualche millimetro per evitare che la gomma stia sempre piegata su un lato e provochi quei fastidiosi saltellamenti sui vetri. Insomma di più non si può immaginare. O forse sì perché qualcuno grazie alla "nanotecnologia" ha appena presentato un rivestimento che applicato sul parabrezza fa scorrere via le gocce d'acqua, lo sporco, l'olio e perfino i residui d'insetti. E con loro anche il nostro caro, vecchio tergicristallo. Ma nessuno si sogni di farci una risata sopra. Avete visto come è andata a finire con chi ha provato a farlo con la signora Anderson? ___________________________________________________________________ ItaliaOggi 26 nov. ’08 PRIVACY: NEI CERTIFICATI MEDICI NON DEVE ESSERCI DIAGNOSI Garante privacy: i giustificativi devono indicare solo la prognosi Nei certificati sanitari dei dipendenti giustificativi della malattia non può essere inserita la diagnosi. Al datore di lavoro deve essere consegnato un certificato contenente esclusivamente la prognosi, e cioè la durata dell'assenza.Il principio è stato espresso dal Garante, in un proprio provvedimento, di cui ha dato notizia la newsletter dell'authority n. 315 del 25 novembre 2008, con riferimento al ministero della giustizia-Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), ma vale anche per il settore privato. Con riferimento ai dati sanitari il principio deriva da una espressa prescrizione del codice della privacy, che impone di rispettare i limiti della indispensabilità. Pertanto in relazione ai certificati medici trattati dai datori di lavoro le finalità amministrative possono essere soddisfatte a prescindere dalla acquisizione e dalla conservazione del dato personale riferito alla particolare tipologia di cui è affetto il lavoratore.Anche il datore di lavoro pubblico, dunque, non è legittimato a raccogliere certificati di malattia dei dipendenti con l'indicazione della diagnosi. E in assenza di specifiche disposizioni, il lavoratore assente per malattia deve fornire un certificato contenente esclusivamente la prognosi con la sola indicazione dell'inizio e della durata dell'infermità.Nel provvedimento in commento, il garante ha sottolineato anche che, ai fini del riconoscimento dei congedi di malattia, non risulta indispensabile trattare il dato personale relativo alla diagnosi. Contestualmente al divieto di trattamento dei dati, il Garante ha prescritto al ministero della giustizia di impartire le disposizioni opportune al fine di conformare il trattamento dei dati alle vigenti disposizioni in materia di protezione dei dati personali.Sul punto va ricordato che, nel caso fosse il lavoratore a far pervenire un certificato contenente la diagnosi e non fosse possibile per il datore di lavoro ottenere la copia senza diagnosi, dovranno essere messe in atto cautele per schermare il dato e impedire che sia accessibile e intelligibile anche dagli incaricati del trattamento autorizzati a trattare le informazioni sulla malattia. Ovviamente il certificato dovrà rimanere integro, anche se la parte relativa alla diagnosi non dovrà essere resa visibile.Cartelle cliniche dei defuntiCon altro provvedimento il Garante ha stabilito che i dati contenuti all'interno delle cartelle cliniche dei defunti e di eventuali verbali dell' autopsia devono essere accessibili ai familiari.Lo ha deciso accogliendo il ricorso di un uomo che, a seguito dell'improvvisa scomparsa della sorella, aveva più volte richiesto all'azienda ospedaliera presso la quale era deceduta, la comunicazione dei dati personali contenuti in una cartella clinica e nel verbale dell'autopsia. L'interessato ha sostenuto il suo interesse affettivo e anche ragioni di prevenzione sanitaria (per la diagnosi di mali ereditari o genetici). Tutte ragioni riconosciute valide dal Garante, dal momento che il codice della privacy tutela l'interesse dei familiari ad accedere alle documentazioni contenenti i dati personali di persone decedute. Informative complete su internetNelle informative in genere e anche in quelle rese sui internet devono essere indicati in maniera completa le modalità del trattamento e i soggetti ai quali possono essere comunicati i dati. Lo ha ribadito il Garante privacy che ha ingiunto ad una società il pagamento di seimila euro. La società, tramite il proprio sito web, offre l'assistenza allo studio e la preparazione agli esami universitari. Agli interessati, però, non era specificato nulla in merito né le modalità del trattamento dei propri dati, né i soggetti ai quali potessero essere comunicati. Il Garante nel comminare la sanzione pecuniaria ha messo in evidenza che la società raccoglieva anche il numero dell'utenza mobile, senza dare spiegazioni specifiche dell'utilizzo e inoltre non erano nemmeno chiari gli estremi identificativi del titolare del trattamento. _________________________________________________________________________ Corriere della Sera 28 nov. ’08 FERIE, CHI DECIDE TRA DIPENDENTE E CAPO UFFICIO Ferie, quali sono le regole? Cominciamo dalla durata minima: quattro settimane (di cui due ininterrotte) se il contratto collettivo non decide un periodo più lungo. Non meno importante è che spetta al datore di lavoro scegliere quando "collocarle" nell' anno. Ma il punto più cruciale è l' irrinunciabilità. «Significa - spiega Oronzo Mazzotta, ordinario di diritto del lavoro presso la facoltà di Giurisprudenza dell' università di Pisa - che il mese di ferie non può essere monetizzato, ma è necessario goderlo entro l' anno o, eventualmente, entro i 18 mesi successivi». Ma cosa succede se questo non avviene? A quel punto è il lavoratore che decide. «Ancora non si è formato sul punto un orientamento giurisprudenziale, ma la nuova legge autorizza a ritenere che, decorso il termine annuale e i diciotto mesi successivi, il lavoratore possa autoassegnarsi le ferie, senza che tale comportamento costituisca inadempimento contrattuale - conferma Mazzotta - oppure possa accordarsi con l' azienda per farsele pagare». Iolanda Barera Barera Iolanda ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 nov. ’08 CINQUEMILA COLPI DI MOUSE E LA STORIA PRENDE CORPUS Antichità sarde, il catalogo è questo. Ci vorrà un certo tempo - e soprattutto molto lavoro - ma ora sappiamo che questa frase verrà pronunciata, o meglio annunciata su internet: saranno pubblicate sulla digital library le schede scientifiche e le immagini di circa cinquemila testimonianze della storia di Sardegna, dal mesolitico all'alto medioevo. «Non un banale lavoro di schedatura - ha puntualizzato ieri l'assessore regionale alla Cultura Maria Antonietta Mongiu presentando il progetto - ma un corpus, un modo di rappresentarsi al mondo attraverso materiali di alto valore estetico e culturale contenuti nei musei e negli antiquaria». E anche nelle chiese e nelle sagrestie, visto che «vorremmo riprendere un rapporto pattizio con la Conferenza episcopale sarda» e che «anche la Chiesa investe molto in restauri, e quindi è bene che intensifichiamo i rapporti anche per evitare doppioni». Per ora i rapporti ci sono, e stretti, con le due università sarde, pienamente coinvolte nel progetto. La Regione lo finanzierà, inizialmente con 750 mila euro già previsti in bilancio - poi altre erogazioni arriveranno con il procedere del lavoro di catalogazione - e gli garantirà la vetrina della digital library. Agli atenei spetterà invece il compito di realizzarlo, come spiegavano ieri il prorettore dell'Università di Sassari, Attilio Mastino, e il preside della facoltà cagliaritana di Lettere e Filosofia, Roberto Coroneo. Le tre aree del corpus (quella delle antichità nuragiche, le antichità fenicie e puniche e quelle romane e altomedievali) saranno coordinate dai docenti di Sassari e Cagliari, che daranno il loro apporto senza compensi aggiuntivi («i baroni lavorano gratis» è la sintesi scherzosa di ieri mattina): i finanziamenti serviranno a compensare i fotografi e i cinquanta giovani dottorandi che i due atenei schierano per la redazione del corpus, ma anche gli studiosi eminenti - in maggioranza sardi - che firmeranno i grandi articoli di sintesi previsti che introdurranno - e circostanzieranno - i reperti offerti alla consultazione digitale. È con queste truppe e con questi mezzi che comincia una «grandissima impresa» (Mastino), deliberata dalla Giunta Soru circa un anno fa, quando venne conferita all'accademico dei Lincei Giovanni Lilliu l'onorificenza “Sardus Pater”. Un'iniziativa che - spiegava Coroneo - vedrà le università rinnovare e allacciare contatti con gli enti locali e mobilitare risorse umane di cui - preziose quanto quelle economiche, soprattutto in tempi di profonda crisi per l'istruzione. La scommessa è ambiziosa: per valutarla - aggiungeva Mastino - basta pensare che ancora oggi non c'è un catalogo accessibile di tutti i nostri bronzetto, o delle iscrizioni latine. Quindi, sia pure con un nome di sapore ottocentesco, il corpus si propone come strumento pionieristico culturalmente e avanzato tecnologicamente: «Se è vero che l'Irlanda ha conquistato il posto attuale sulla scena europea e mondiale grazie alla tecnologia - ha detto l'assessore - è chiaro quanto il collegamento del web tra Sardegna e mondo sia determinante per aumentare la capacità di attrazione dell'Isola». Un'accoppiata, quella tra l'antichistica e l'informatica, che sono a uno sguardo distratto può apparire bizzarra, e invece «dimostra come settori della cultura a lungo e a torto considerati residuali possono garantire prospettive nuove e molto interessanti». E il momento più stimolante - ma di gran lunga il più complesso e impegnativo - arriverà con la seconda fase, cioè il censimento, la catalogazione e la “narrazione” su internet di tutto il patrimonio architettonico. Sarà un grande atlante - ha concluso la Mongiu - che andrà dal nuraghe all'archeologia industriale. La mappa di un tesoro di siti e monumenti «che attende di essere gestito un po' meglio, rinforzando con figure specializzate la rete - pur ottima - che oggi gestisce circa 150 luoghi della nostra cultura». CELESTINO TABASSO ======================================================= ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 nov. ’08 OSPEDALI, LA RAZIONALIZZAZIONE «TAGLIA» I PRIMARI CONTO ANNUALE 2007/ Gli effetti delle manovre regionali sulla rete dei ricoveri riducono il numero dei reparti e i responsabili perdono la funzione In due anni 662 dirigenti di struttura complessa in meno di cui 557 tra i medici - In aumento la scelta dell'esclusiva In crescita solo gli apicali in rosa Pe r i medici un calo netto del 5,5% nel numero dei primari tra il 2005 e il 2007: 557 dirigenti di struttura complessa in meno. I veterinari perdono 43 poltrone. I dirigenti non medici (farmacisti, biologi, chimici, psicologi) lasciano sul campo 64 primari. In tutto 664 dirigenti di struttura complessa in meno in soli due anni con medie che nelle varie categorie non scendono mai al di sotto del - 4% (tranne per fisici che non si riducono, ma sono in totale solo 88) e che raggiunge punte anche oltre il -11% tra i primari psicologi. Un "taglio" di funzioni apicali del 5,6% medio (la struttura complessa è una funzione e quindi è legata all'incarico) dovuto soprattutto alla razionalizzazione degli ospedali. Quella che in molte Regioni ha portato ad accorpamenti e riorganizzazioni e che ha ridotto in media in Italia del 10% i reparti. Non eliminandoli, ma trasformandoli con diverse connotazioni. E ha tagliato negli stessi due anni quasi 20 strutture pubbliche di ricovero nel Ssn (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 35 e 36/2008). Fatto sta che di primari ce ne sono un piccolo esercito in meno. Tutti professionisti con la funzione di direzione di struttura complessa che secondo i dati ufficiali del Conto annuale 2007 appena pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 45/2008) l'hanno persa nel nome anche del risparmio di spesa. La maggior parte dei tagli di funzione sono stati fatti corrispondere a pensionamenti o prepensionamenti a cui poi è seguita la soppressione del reparto, assicurano i sindacati, ma nei (rari, sempre secondo i sindacati) casi in cui la razionalizzazione ha colpito chi aveva ancora anni da lavorare, questi per legge sono stati retrocessi a dirigente di struttura semplice con la retribuzione invariata, tranne che per l'indennità di struttura complessa che non possono più avere: circa 9.500 euro l'anno, poco meno di 800 euro al mese. Un risparmio che per le aziende, tra primariati e varie indennità legate alla retribuzione di anzianità di chi va in pensione, valgono in tutto circa 10 milioni ogni anno. Controprova delle manovre di risparmio: il calo maggiore si registra tra il 2006 e il 2007 (solo i primari medici si riducono di 415 unità su 557), quando cioè in alcune Regioni dove si sono operate manovre più pesanti per contenere la spesa o anche per il rispetto dei Piani di rientro dal deficit. Ma per i professionisti la riduzione significa "amputare" le possibilità di carriera. I medici infatti non diminuiscono, anzi aumentano, fanno notare i sindacati. E i dati parlano chiaro visto che nel 2007 rispetto al 2005 ce ne sono in media, nonostante i tagli, 1.098 in più. Ma tra i soli medici, quelli con incarichi professionali e i dirigenti di struttura semplice rigorosamente sempre di più in esclusiva, registrano nel 2007 rispetto a due anni prima 1.757 unità in più, mentre a ridursi di 230 unità sono i medici con incarichi professionali non in esclusiva. Resta invariato invece il numero di primari non in esclusiva: 212 in tutto, il 2% del totale che tuttavia sembrano essere "a esaurimento" visto l'esercito in crescita di chi giura fedeltà al Ssn. Diversa sorte tra i dirigenti non medici, invece, che comunque registrano un calo numerico assoluto di -358 unità, il -2,4 per cento. Così, per tutti i dottori in più che lavorano nel Ssn, il collo dell'imbuto si stringe e sarà sempre più difficile poter ambire alle funzioni di primario. Ma se i primari diminuiscono numericamente in senso assoluto, aumentano per la prima volta i direttori di struttura complessa donne: +2,9%. La presenza femminile aumenta in tutti i settori della dirigenza, tranne in quelli non esclusivi dove calano proprio tra i primari e tra gli odontoiatri e anche tra la maggior parte dei dirigenti non medici in cui comunque la riduzione media è appena dello 0,4%. Riduzioni tra gli incarichi di struttura complessa tra le donne si hanno tra i farmacisti, biologi, chimici e fisici e psicologi. Per il resto l'orizzonte rosa registra quasi tutti segni più. Paolo Del Bufalo Confronto 2005-2007 di medici e dirigenti sanitari a cui spetta l'opzione Totale 2007 Diff. su 2005 Diff. % Di cui donne Diff. % donne su 2005 Totale 2007 Diff. su 2005 Diff. % Di cui donne Diff. % donne su 2005 Qualifica Qualifica Totale medici Totale veterinari Totale odontoiatri Dirigenti medici con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Odontoiatri con incarico di struttura complessa (rapporto esclusivo) Odontoiatri con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) Dirigenti medici con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Dirigente medico con incarico struttura semplice (rapporto non esclusivo) Dirigente medico con incarico struttura complessa (rapporto esclusivo) Veterinari con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Veterinari con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Dirigente medico con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) Dirigente medico con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) Odontoiatri con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Odontoiatri con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Fisici con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Fisici con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Biologi con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Biologi con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Chimici con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Chimici con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Fisici con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) Fisici con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) Psicologi con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Psicologi con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Fisici con incarico di struttura complessa (rapporto esclusivo) Fisici con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) Farmacisti con altri incarichi professionali (rapporto esclusivo) Farmacisti con altri incarichi professionali (rapporto non esclusivo) Biologi con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) Biologi con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) Chimici con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) Chimici con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) Biologi con incarico di struttura complessa (rapporto esclusivo) Biologi con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) Psicologi con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) Psicologi con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) Veterinari con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) Veterinari con incarico di struttura semplice (rapporto non esclusivo) Veterinari con incarico di struttura complessa (rapportoesclusivo) Veterinari con incarico di struttura complessa (rapporto non esclusivo) Odontoiatri con incarico di struttura semplice (rapporto esclusivo) ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 nov. ’08 PSN: 60 MILIONI PER I PROGETTI Intesa Stato-Regioni sul finanziamento delle sperimentazioni di assistenza territoriale Alle malattie rare 30 milioni - Immigrati: 2,5 milioni per la formazione Case della salute in sedici Regioni, progetti sulla salute della donna in undici Regioni, unità spinali unipolari in undici Regioni. E sulle malattie rare interventi a tutto campo in tutte le Regioni. Questo il bilancio dell'applicazione delle sperimentazioni previste tra gli obiettivi prioritari del Psn per lo scorso anno. E il riparto dei fondi relativi è stato approvato la scorsa settimana dalla Conferenza Stato-Regioni. Sulle Case della salute l'accordo Stato-Regioni del 1 agosto 2007 aveva previsto che le Regioni potessero varare progetti per la sperimentazione secondo il modello indicato nella Finanziaria 2007. Per le sedici Regioni che hanno presentato i progetti e tra le quali sono stati ripartiti i 10 milioni previsti, l'incasso dei fondi è ora subordinato alla presentazione di un cronoprogramma attuativo e di una griglia dei risultati ottenuti per ogni progetto e all'approvazione in Giunta dei progetti. La somma maggiore va a Piemonte e Toscana (1,276 milioni), quella più bassa a Bolzano (poco più di 49mila euro), ma cinque Regioni (Trento, Veneto, Umbria, Campania e Calabria) non hanno presentato progetti per l'assegnazione. Per le iniziative sulla salute della donna e del neonato, lo stesso accordo Stato-Regioni del 1 agosto 2007 prevedeva una serie di azioni messe in atto da undici Regioni. In particolare per la donna si tratta dell'educazione alla salute degli adolescenti, della presa in carico da parte dei servizi territoriali delle patologie oncologiche, dell'informazione e sensibilizzazione sull'endometriosi, di azioni di prevenzione dell'osteoporosi soprattutto in menopausa, dell'accesso ai programmi di screening e prevenzioni per le donne immigrate. Per partorienti, gestanti e neonati sono previste campagne di informazione sui problemi di questo periodo, campagne per limitare i cesarei e favori il parto naturale, miglioramento dell'assistenza ostetricia e pediatrico-neonatologica (parto indolore, allattamento materno precoce ecc.), formazione degli operatori per promuovere l'allattamento al seno e sul controllo del dolore durante il travaglio e la riorganizzazione del trasporto neonatale. La somma maggiore tra quelle ripartite (30 milioni) riguarda le sviluppo della rete per le malattie rare per la quale i progetti devono individuare nodi, percorsi e procedure per i collegamenti, strumenti hardware e software per lo scambio di informazioni e protocolli diagnostico-terapeutici , meccanismi per la presa in carico del malato e programmi di monitoraggio delle attività formative di Mmg e operatori dei servizi territoriali su sospetto diagnostico e per l'attivazione dei registri regionali o interregionali. Infine le unità spinali. I progetti devono prevedere le stesse caratteristiche previste per le malattie rare, considerando anche che si tratta di disabilità che richiedono il supporto di psicologi e neuropsichiatri, specie in età pediatrica. Ma le indicazioni sono che le unità spinali abbiano a disposizione tutte le consulenze necessarie alla riabilitazione, con il loro conseguente inserimento nella rete riabilitativa di primo e di secondo livello e in quella di riabilitazione sociale. Assistenza agli immigrati. La Stato-Regioni ha anche ripartito 2,5 milioni per il 2008 per la formazione del personale sanitario e di altre figure professionali che operano con le comunità di immigrati in cui sono frequenti pratiche di mutilazioni genitali femminili e che secondo i dati riportati sono 102.754. Obiettivo sono le attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine sottoposte a queste pratiche. Il riparto 2007 per gli obiettivi del Psn Regioni Salute donna Casa della salute Malattie rare Unità spinali unipolari Piemonte 1.276.095 800.009 2.019.886 270.806 Valle d'Aosta 265.310 404.622 Lombardia 263.643 1.420.009 3.985.838 600.000 Bolzano 49.475 541.818 Trento 348.009 549.740 Veneto 2.171.763 Friuli 1.063.412 819.874 Liguria 255.220 973.772 2.256.700 Emilia Romagna 127.610 1.891.899 1.960.841 284.059 Toscana 1.276.094 300.009 1.743.436 785.334 Umbria 689.512 1.999.346 Marche 253.518 1.488.584 942.627 1.186.124 Lazio 319.024 325.009 2.388.701 1.191.538 Abruzzo 254.368 857.033 Molise 191.415 480.040 Campania 2.574.881 Puglia 969.996 1.043.131 1.916.402 1.039.352 Basilicata 850.731 718.323 584.659 300.000 Calabria 1.124.769 Sicilia 1.499.410 1.500.009 2.278.572 Sardegna 1.084.680 165.009 991.213 586.742 Totale 10.000.000 10.000.000 30.000.000 10.500.000 Obiettivo «gestione strategica» ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Dic. ’08 SACCONI: «STOP ALL'OSPEDALE GENERALISTA» Il costi della Sanità italiana sono destinati ad aumentare di circa 4 miliardi tra il 2010 e il 2011: per questo è necessario «frenare la dinamica della spesa ma non tagliarla», razionalizzando il settore e realizzando «obiettivi più ambiziosi nel rapporto costi-benefici», per uscire dalla crisi «più forti di prima». Così il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha inaugurato i lavori del terzo Forum sul Risk management svoltosi la settimana scorsa ad Arezzo, affermando che «è sul tema della sicurezza e della qualità delle cure che misuriamo il nostro Sistema sanitario» e additando nella spaccatura tra Nord e Sud del Paese la principale tara della Sanità pubblica. «Non si discutono le eccellenze, ma c'è una profonda differenza sulla qualità totale tra Nord e Centro-Sud del Paese», ha detto. «Ancora troppe realtà sono tarate sul modello generalista dell' ospedale: occorre accelerarne la riconversione verso modelli territoriali». Secondo Sacconi l'information communication technology è tra le armi giuste per favorire la presa in carico dei cittadini e in quest'ottica, l'Osservatorio nazionale delle reti e-Care (che presentiamo in queste due pagine) promosso dal Welfare e realizzato dalla società «Cup 2000» e dalle Regioni Emilia Romagna, Campania, Liguria, Marche, Toscana - rappresenta «il miglior esempio di buone pratiche per fare evolvere i modelli più arretrati». L'osservatorio - che ha censito 712 reti, di cui 464 attive nel territorio nazionale si trova all'indirizzo http://www.onecare. cup2000.it e presto sarà accessibile anche attraverso i portali del ministero e delle Regioni. (S.Tod.) ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Dic. ’08 ECCO LA «TORRE DI BABELE» DELLE CURE ON LINE RISK MANAGEMENT 2008/ Il ministero del Welfare ha presentato ad Arezzo il primo Nel setaccio di «Cup 2000» 712 iniziative, di cui 464 attive in Italia: c'è Coi fondi Ue più test che servizi Per la prima volta in Italia con il progetto Osservatorio nazionale delle reti eCare del ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali e delle Regioni - presentato ad Arezzo dal ministro Sacconi, viene svelata quella porzione di mondo Internet che comunica per la Sanità e la salute. Con le reti e-Health ed e-Care la Sanità, le organizzazioni del Welfare italiano si avvalgono sempre più della comunicazione elettronica e multimediale per far funzionare i servizi, parlare con gli assistiti, riorganizzare il settore. Ma anche i cittadini usano la rete per comunicare tra loro, come accade nei socialnetwork e nei blog dedicati alla medicina e alle malattie. Certo, le reti Internet per la Sanità sono cresciute anche in Italia, ma in modo insufficiente e disordinato. Questo dato risulta evidentissimo dai primi risultati dell'indagine che l'Osservatorio ha condotto vivisezionando gli oltre 712 progetti di rete del mondo e-Health, di cui 464 operanti sul territorio nazionale o in lingua italiana. La ricerca si è poi soffermata su una particolare categoria di reti e-Health, quelle cosiddette e- Care (307 progetti), cioè in grado di fornire dati-informazioni (e-Services) particolarmente complessi e strutturati per l'assistenza home care: reti aperte ai cittadini di telemedicina, telesoccorso, teleassistenza, telecompagnia. Servizi che necessitano di dossier socio-sanitari, sistemi di monitoraggio clinico on line, fascicoli sanitari elettronici personali (Fasp). Ma anche qui emerge un dato promettente e preoccupante allo stesso tempo: una forte vitalità del fenomeno che alimenta grande interesse sulle sue potenzialità, accompagnato, però, da una specie di "sindrome della torre di Babele" . Una eccessiva diversificazione di architetture informatiche e di forme di gestione di rete, che portano spesso a una "e-Health/e-Care fantasiosa", scarsamente interoperabile e distratta rispetto a standard internazionali; che parla più lingue e non possiede quindi una semantica condivisa. A questo si aggiungono grandi difficoltà nel passaggio da reti chiuse, autoreferenziali,costruite in funzione della sola organizzazione sanitaria (Asl, Regioni), a reti aperte ai cittadini e in funzione delle cure home care. Alla base c'è un difficile superamento della vecchia cultura dell'informatizzazione, incardinata sul business della fornitura tecnologica di Sw, Hw e connettività; una difficoltà a percorrere la next economy di Internet: reti aperte e web collaborativo e cooperativo con i cittadini. Si avverte una debole presenza nei progetti di rete del livello pubblico-istituzionale come soggetto di orientamento e stabilizzazione delle esperienze. Ma anche una presenza di imprese private dell'Ict che puntano più alla sperimentazione di prodotti hitech che non alla diffusione di servizi on line territorialmente e socialmente stabili. Accade quindi, con grande frequenza, che numerosi progetti di telemedicina e di teleassistenza, finanziati dalla Comunità europea, dalle Regioni o da altri enti pubblici, si concludono "positivamente" dopo uno-due anni di sperimentazione con l'immissione di nuovi prodotti Hw Sw sul mercato e senza lasciare traccia di reti assistenziali per i cittadini sul territorio. Questo fenomeno allontana il punto di incontro tra diffusione delle reti e-Health/e-Care e il fascicolo (elettronico) personale del cittadino. Il ventennio della informatizzazione della Sanità italiana - anni '80 e '90 - si è concluso con risultati deludenti (a esempio, rispetto ad altri settori come i trasporti, le banche, la finanza e la stessa industria) e con un "vestito di Arlecchino" della Asl e delle Regioni italiane, con bassissimi livelli di interoperabilità e reti chiuse al cittadino (tante "zone bianche"). Il primo decennio dell'era Internet ci dà un quadro tutt'altro che rassicurante: il passaggio dalla vecchia informatizzazione (sistemi informativi aziendali) all'era delle reti (forme organizzative più complesse e parte del mondo globalizzato di Internet) avviene in una situazione caotica, scarsamente indirizzata e regolata, in assenza di buone pratiche conosciute e condivise. Il censimento dell'Osservatorio è penetrato anche nel mondo dei social network per la salute (24 casi di eccellenza in lingua italiana). Ha inoltre analizzato reti Internet strutturate per la Sanità in alcuni Paesi che hanno ormai una consolidata tradizione di comunicazione elettronica (tra cui 140 reti operanti in Gran Bretagna e perfino la promettente esperienza indiana). Si è potuto osservare, dai dati di confronto, che nel web 2.0 la cooperazione, la coproduzione (tra soggetti organizzativi diversi, ma anche tra le strutture e gli utenti) e la condivisione in forma strutturale delle informazioni (tra medico e medico, ma anche tra medico e paziente) sono ormai un dato culturale e comportamentale in costante crescita a livello europeo e perfino mondiale. I due fenomeni fanno assumere alle reti e-Health/e-Care una particolare rilevanza strategica nell'ambito dei progetti di qualificazione e riorganizzazione del sistema sanitario e, in generale, del Welfare europeo e italiano. Il raggiungimento di nuovi traguardi di efficacia ed efficienza per l'assistenza al cittadino - ma anche di condivisione e personalizzazione del servizio - non potrà prescindere da una politica di conoscenza, valorizzazione e indirizzo di queste reti e di apertura alle potenzialità della meta rete Internet. Ciò è indispensabile per riorganizzare la Sanità attraverso processi di deospedalizzazione, valorizzazione delle cure primarie e del ruolo dei medici di famiglia, di scelta dell'abitazione e dell'ambiente di vita come luogo privilegiato per l'assistenza alle persone anziane o portatrici di malattie croniche e invalidanti, alle famiglie con particolari problemi assistenziali. Il fascicolo sanitario (elettronico) personale, i sistemi Cup per l'accesso alle prestazioni, le reti di condivisione del dato clinico tra i medici e, infine, l'e-Care per l'assistenza domiciliare - assieme alla diffusione dell'uso di Internet per condividere informazioni - sono le tappe di una crescita impetuosa ma essenziale del mondo e-Health. Non di secondaria importanza è, poi, la messa a punto di un complesso di indicatori (tecnologici, organizzativi, economici, di processo e clinici) per una valutazione comparata delle reti e dei progetti. È la prima tappa per arrivare alla definizioni di buone pratiche condivise e per una "semantica delle reti e-Health e e-Care", che assume valore scientifico nella condivisione di una moderna terminologia di catalogazione e indicazione dei fenomeni di rete (il grafo, i nodi e gli hub, le forme hub and spoke, le reti tecno-sociali e tecno-organizzative, i social network ecc.). L'Osservatorio nazionale delle reti e-Care costituisce, quindi, un approccio originale per introdurre innovazione nella Sanità e nel Welfare italiano. Ma soprattutto per affermare, con la socializzazione del dato-informazione di salute, un rapporto più diretto tra medico e cittadino a danno delle vecchie pratiche e strutture burocratiche. Mauro Moruzzi Direttore generale Cup2000 L'identikit del portale La rete delle reti e-Care. Il portale si caratterizza come una rete delle reti: un sito collaborativo che con tecnologia Wiki si autoalimenta, nell'ambito di una regia collaborativa istituzionale (ministero, Regioni, board scientifico), in piena coerenza con la cultura del web 2.0 L'accesso. Gli enti, le amministrazioni e gli operatori del settore possono inserire e condividere i progetti per fare conoscere le esperienze del loro territorio. I cittadini hanno a disposizione una mappa esclusiva per orientarsi sull'utilizzo delle reti di assistenza sanitaria e socio-sanitaria home care. Il profilo di operatività viene assegnato secondo il ruolo dell'utente Il sistema di ricerca dei progetti. Rapido e preciso grazie alle molteplici possibilità di scelta: dai "più visti" ai "più votati", dai "più commentati" alla "suddivisione geografica" per Regioni. La nuvola dei tag permette di individuare facilmente i progetti correlati a una determinata parola chiave La consultazione. La navigazione a schede permette di visualizzare rapidamente le esperienze inserite. I dati di ogni progetto sono organizzati per essere consultabili con un semplice click Il censimento delle reti aperte al cittadino Reti Totale nazionale Telemedicina Totale internazionale 84 50 Teleassistenza/Telecomp. 82 26 Emergenza caldo 34 0 Telesoccorso 107 137 E-information 85 0 Altre reti (*) 48 19 Social network 24 16 (*) Sono state censite anche 27 reti di e-data a livello nazionale e 6 a livello internazionale; 21 reti di e-booking a livello nazionale e 13 a livello internazionale. Tali reti sono rilevanti in quanto reti "aperte", a cui i cittadini possono accedere direttamente www.onecare.cup2000.it ? ? ? ? Strumenti tecnologici a disposizione della comunità dei knowledge worker. Wiki glossario: ogni voce può essere migliorata, modificata, approfondita dagli utenti registrati My e-Care: una pagina personalizzata dove organizzare e condividere i propri progetti e comunicare con i membri della community Feed rss: i membri della community sono costantemente informati sulle novità del mondo e-Care Accessibilità: il portale è stato realizzato secondo i criteri di accessibilità rispettando le normative della legge Stanca Social book marking. Un tool per la condivisione e segnalazione nei maggiori media sociali in circolazione Open source. Verrà messa a disposizione l'infrastruttura necessaria alla gestione di software in modalità open source per fornire a tutti gli enti e le amministrazioni interessati alcuni strumenti già testati per la gestione dei progetti e-Care Il portale dell'Osservatorio è stato ideato come work in progress. Continuerà a crescere grazie alla formula del web 2.0 ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Dic. ’08 IL MIRACOLO WEB 2.0 DECLINATO IN 30 BEST PRACTICE INTERNAZIONALI L'ANALISI SUI CASI La parte di studio sulle esperienze internazionali di reti e-care supportate dalle logiche del web 2.0 ha individuato 30 casi di studio rappresentativi delle realtà di Stati Uniti, Uk, Germania, India. I casi studiati possono essere ricondotti a tre grandi categorie: i sistemi di on line health record, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line e i siti di social network tematici. Gli on line health record sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica in un ambiente web. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati possono essere salvati in rete e gestiti, condivisi, consultati o integrati. I vantaggi sono dettati dall'estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall'elevata possibilità di interazione tra medico e paziente. Quest'ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando, dove e con chi condividere i suoi dati, quali utenti autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico "luogo", consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo. È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l'aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l'uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell'on line health record. All'estrema flessibilità di gestione e accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server dei fornitori delle soluzioni tecnologiche permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google health e Microsoft healthvault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali. In altri casi, le applicazioni supportate dal web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che, in un'ottica di domiciliarità, consentono agli utenti di scegliere in modo innovativo i medici, le strutture ospedaliere, gli esami clinici (es. Vitals, American well, Healthgrades). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, a esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant'altro. In alcuni casi l'utente individua, coadiuvato on line da un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato come avviene dopo le transazioni effettuate sul popolare sito di aste e-Bay. È il caso di Carol.com, un sistema che consente all'utente di scegliere e prenotare l'esame clinico più adatto alle proprie esigenze attraverso una ricerca fatta per parole chiave o per categorie. L'applicazione permette di comparare una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura. La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la Sanità è costituita dai siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo a patologie o a situazioni specifiche con l'intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle eventuali carenze del sistema sanitario con specifico riferimento alla gestione degli aspetti psico-sociali più che clinici della malattia. DailyStrenght, a esempio, ospita attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie. Esiste una sezione in cui è possibile creare un profilo personale, analogamente a quanto avviene con il più popolare Facebook, che fornisce una descrizione di base dell'utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all'interno dei forum di discussione. Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative. Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della Sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti. Sarà in grado il mondo della Sanità di ascoltare queste conversazioni? Fabio Giglietto Ricercatore LaRiCa Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" Giulia Gabbianelli Dottorando di ricerca, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Dic. ’08 LE NUOVE SFIDE PER LE AZIENDE SANITARIE Obiettivo «gestione strategica» Due le fasi dell'innovazione tecnologica in Sanità secondo Luca Buccoliero , professore dell'Università Bocconi di Milano, intervenuto al 3 e-health Forum de Il Sole-24 Ore. La prima è quella dell'Ict per il contenimento della spesa e la gestione dell'equilibrio economico del sistema di offerta, la seconda è la gestione "strategica" dell'Ict. «Il processo tecnologico - ha detto - sembra operare in varie direzioni sul livello della spesa sanitaria: alla sostituzione delle vecchie modalità di cura (con presumibili effetti di contenimento delle spese) si aggiunge il progresso scientifico generalizzato con effetti incrementativi della spesa per l'allungamento delle aree di intervento, gli effetti del progresso scientifico e tecnologico sono evidenziati da numerosi indicatori tra i quali il più immediato è l'allungamento della vita media, le Ict applicate nei sistemi informativi di aziende e sistemi sanitari consentono di implementare alcune azioni per l'equilibrio strutturale». La prima fase dell'informatizzazione della Sanità, ha spiegato Buccoliero, si è avviata in una prospettiva di tipo "amministrativo" e di "controllo", ha scelto e iniziato a utilizzare le Ict come strumenti per obiettivi legati all'efficienza, ha sviluppato grandi progetti regionali secondo un approccio top down realizzando infrastrutture finalizzate essenzialmente al governo del sistema seguendo un principio ispiratore secondo cui "l'informatizzazione fa risparmiare risorse". Solo in una seconda fase ha abbracciato anche l'area clinica privilegiando un'impostazione di "gestione documentale elettronica" (paperless, filmless ecc.). «Gli obiettivi sono stati in parte raggiunti - aggiunge - soprattutto se è stato enfatizzato il concetto di "integrazione" del sistema informativo. A esempio l'adozione di un sistema Erp in alcuni casi ha determinato un ritorno in termini finanziari misurabile in un valore globale del progetto fino a 1,8 milioni in contesti particolarmente attenti alla componente di "change management". L'integrazione dell'area clinica sembra positivamente correlata ad alcune perfomance aziendali e un progetto di digitalizzazione (gestione documentale) accompagnato da interventi organizzativi idonei può rappresentare un importante fattore di efficienza della struttura». Il problema però, secondo Buccoliero, è che spesso, a esempio, si informatizzano "pezzi" di ospedale (resta debole l'attenzione al tema dell'integrazione), spesso la cultura aziendale non supporta l'innovazione, solo in rari casi l'informatizzazione è davvero centrata sul paziente, alcune innovazioni generano consumi impropri e non si presta una vera attenzione dalla domanda del paziente. E qui entra in gioco la seconda fase dell'informatizzazione della Sanità, con la gestione strategica delle Ict che presuppone l'attenzione al "percorso integrato" del paziente, l'analisi degli impatti delle Ict in termini di outcome clinico (qualità delle cure, rischio clinico ecc.), l'empowerment del paziente. Per questo, è necessaria una strategia che attraverso l'educazione sanitaria e la promozione dei comportamenti favorevoli alla salute, fornisca alle persone gli strumenti critici per prendere le decisioni migliori per il loro benessere, riducendo le disuguaglianze culturali e sociali. Per l'empowerment del paziente tre quindi sono le dimensioni: partecipazione, controllo, educazione. L'e-health quindi secondo Buccoliero richiede «non solo sviluppo tecnologico, ma anche una filosofia, un atteggiamento, una vocazione, un modo di pensare nuovo, in rete e globale, per migliorare l'erogazione di assistenza sanitaria al paziente-cliente in una logica di processo integrato». L'agenda dell'e-health, ha concluso Buccoliero, prevede sei azioni: migliorare la cultura e la sensibilità informatica degli operatori delle aziende del Ssn; intervenire sulla cultura aziendale; ripensare il rapporto con il fornitore It trasformandolo da fornitore in partner; accelerare la prima fase di digitalizzazione aziendale (documenti e immagini) e la realizzazione dei sistemi di governo fondamentali; pianificare la realizzazione Ehr; approfondire tutte le implicazioni dell'empowerment del paziente e utilizzarlo come nuovo driver fondamentale della seconda fase. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 nov. ’08 PUBBLICATO UN MANUALE PER ELABORARE GLI INDICATORI SULLE DEGENZE Costi standard, prove generali per i ricoveri ospedalieri I metodi inseriti nel libro sono stati sperimentati al «Galliera» È uno strumento per ripartire le risorse, ma anche per programmare DI DOMENICO CUPRI * ADRIANO LAGOSTENA ** ALBERTO PASDERA *** Il manuale «Costi standard ricoveri» (un «Manuale per elaborare e utilizzare in un'ottica strategica gli indicatori gestionali relativi alla degenza ospedaliera», a cura di Domenico Crupi, Adriano Lagostena, Alberto Pasdera e appena pubblicato da Franco Angeli), rappresenta una risposta concreta all'esigenza, messa in luce dalla recente legge 133/2008, di definire i costi standard in Sanità. Sette sono i punti fondamentali del manuale: l'allocazione delle risorse in Sanità; la programmazione delle attività e delle risorse; l'esigenza di coniugare economia ed etica; il fatto di porre l'utente quale punto di riferimento per la determinazione degli standard; la definizione dei costi effettivi per ricovero; il calcolo dei costi standard quale sintesi dei relativi costi effettivi; la realizzazione di un sistema di indicatori basati sul confronto tra standard e costi effettivi. Il manuale permette di affrontare la problematica dei costi standard (o benchmark come vengono definiti in altri Paesi) in modo che rappresentino uno «strumento» non solo per allocare le risorse fra Regioni e fra aziende di una data Regione (ovvero per rispondere al quesito: «Quante risorse spettano a una data Regione o a un dato ospedale?»), ma anche per programmare il futuro («Quali attività verranno svolte e da quali enti?»). Il punto fondamentale e caratterizzante del manuale risiede nel fatto che permette di elaborare dei costi standard che non rivestono solo un'importanza economica, ma che ricoprono anche una rilevanza etico-sociale, poiché possono permettere, se correttamente formulati, di individuare quanto è necessario dare agli utenti, in relazione ai loro effettivi bisogni socio-sanitari. Il manuale quindi fornisce una metodologia per coniugare le indispensabili esigenze connesse con la scarsità delle risorse con le istanze socio-sanitarie, in modo da "calamitare" le risorse verso gli utenti che necessitano di cure qualitativamente e quantitativamente più «intense» e non verso i casi più «convenienti». Il costo standard così definito mette al centro dell'attenzione l'utente, innescando una rivoluzione "copernicana", in quanto le risorse vengono commisurate in funzione dei bisogni socio-sanitari degli utenti e non delle richieste o delle "rendite di posizione" degli enti. Una volta stabilito che cosa si intende per costo standard e il relativo contenuto, il manuale concentra l'attenzione su come realizzare i costi standard, con specifico riferimento alla realtà dei ricoveri ospedalieri. A tal fine, per definire dei costi standard che pongano veramente come riferimento le esigenze degli utenti, ne deriva gioco forza che è indispensabile in primo luogo conoscere quante e quali risorse sono realmente consumate per ogni tipologia di degente, ovvero determinare come i costi effettivi di un ospedale sono ripartiti tra gli effettivi ricoveri di un dato periodo, in relazione ai fattori produttivi impiegati (personale, farmaci, presìdi ecc.) e alle attività sostenute (degenza, sala operatoria, radiologia, laboratorio ecc.). Tutto ciò anche in ragione del fatto che è indispensabile conoscere i costi effettivi per rendere operativi i costi standard; infatti, costi standard e costi effettivi sono "reciprocamente" indispensabili poiché solo da un loro confronto nasce la valutazione; i costi standard senza i costi effettivi sono "inutili/ vuoti", i costi effettivi senza i costi standard sono "ciechi". In secondo luogo, il manuale presenta le tecniche necessarie per tradurre i costi effettivi in costi standard, in modo che questi ultimi nascano dalla realtà, non siano definiti a tavolino, e rappresentino dei pragmatici e validi valori di riferimento per la gestione degli ospedali: a tal fine il manuale spiega dettagliatamente i metodi e i relativi algoritmi per stabilire correttamente i costi standard per Drg/tipologia di ricovero relativamente a ogni disciplina (ortopedia, chirurgia generale, cardiochirurgia, cardiologia, neurologia ecc.). Infine, il manuale concentra l'attenzione su come utilizzare correttamente i costi standard e i costi effettivi, ovvero su come realizzare e impiegare un sistema organico e personalizzato di indicatori che permetta al decisore (sia esso ministero, Regione, direzione d'azienda o primario ospedaliero) di addivenire a scelte che siano coerenti sia dal lato economico che da quello socio-sanitario; per raggiungere tali scopi nel manuale vengono tradotti in strumenti operativi i concetti di livello minimo di assistenza e livelli massimi delle risorse mediante il processo di produttività economicosociale. E poi, a garanzia dell'operatività del manuale, è importante sottolineare che le metodologie e le tecniche analizzate nel testo sono state da noi applicate nel reale contesto lavorativo, manageriale e consulenziale. Il manuale quindi rappresenta una soluzione per il futuro che trae spunto dal vissuto professionale degli autori, sviluppatosi in un arco di tempo di oltre dieci anni (dal 1995 a oggi) e in contesti molto diversificati (dalle Asl alle aziende ospedaliere fino agli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico). Si è voluto così offrire un contributo che fosse utile ai tanti che operano nella galassia Sanità, in modo che i contenuti di sofisticate tecniche economiche si coagulino con i valori di eticità e di equità e comunque a servizio della persona. Il manuale è stato presentato nel corso di un convegno che si è tenuto a Genova, il 6 e 7 novembre, presso gli «Ospedali Galliera» di Genova, che ha visto protagonisti, oltre lo stesso ente, l'Irccs «Casa Sollievo della Sofferenza» di San Giovanni Rotondo e l'Ulss di Rovigo. * Direttore generale dell'Irccs «Casa Sollievo della Sofferenza» ** Direttore generale degli Ospedali Galliera di Genova *** Docente e consulente di Economia sanitariaùù ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Nov. ‘08 LA CIVILTÀ BIOMEDICA Dalla replicazione del Dna al Progetto Genoma; dalla nascita delle neuroscienze alle controversie sul darwinismo: tutti i fronti caldi della ricerca che hanno alimentato il dibattito delle idee e diviso le coscienze di Gilberto Corbellini Accelerazione imprevista, articolazione. capillare e socializzazione problematica dei processi di produzione delle conoscenze e delle innovazioni in ambito biologico e medico, sono i tratti peculiari di un quarto di secolo tra i più entusiasmanti, ma anche controversi per la biomedicina e le sue dimensioni culturali. Quando nasceva questo supplemento germogliavano, dai semi gettati nei decenni precedenti, gli strumenti e gli obiettivi della rivoluzione genomica e della terza rivoluzione verde. Nel 1983 KaryMullis concepiva la reazione a catena della polimerasi, grazie a cui diventava possibile replicare a volontà e rapidamente il Dna. Nello stesso anno nasceva la tecnologia per trasformare geneticamente le piante in modo mirato, ovvero per superare i metodi tradizionali di incroci e mutagenesi, che ricombinano o alterano a caso interi genomi. La possibilità di sfruttamento economico delle innovazioni biotecnologiche, cioè la brevettabilità dei metodi di estrazione e modificazione del materiale genetico, favorì l'arrivo di ingenti finanziamenti e consentì formidabili avanzamenti tecnologici e conoscitivi. Nel i99o sarebbe stato varato il Progetto Genoma Umano, di cui su queste pagine sono stati raccontati gli avanzamenti, discusse le implicazioni etiche e analizzate le ricadute epistemologiche. L'Italia, purtroppo, rimase fuori dà quel processo per scarsa lungimiranza della sua classe politica. Inoltre, da noi prevalse una categorizzazione culturale fuorviante circa la natura e la funzione del genoma. Così come siamo rimasti tagliati fuori, da quando esiste la legge 4o del 2004 sulla procreazione assistita dagli sviluppi dell'ingegneria cellulare e della medicina rigenerativa. Proprio venticinque anni fa nasceva la rivista «Stem Cells» e l'ultimo quarto ha registrato la clonazione del primo mammifero (Dolly a997), nonché l'invenzione di tecnologie,di manipolazione staminali embrionali e adulte estremamente promettenti per la cura delle malattie cronico-degenerative. Naturalmente gli sviluppi della genetica e della biologia cellulare hanno sollevato accese controversie etiche. Nonostante siano state lanciate dalle pagine di questo supplemento proposte utili per instaurare'un dialogo basato sul rispetto del pluralismo etico e della libertà individuale, come ad esempio il Manifesto di bioetica laica (1996), il dibattito bioetico ha avuto un'evoluzione affatto-non incoraggiante. Lungi dal gettare un ponte verso il futuro, la riflessione bioetica ha prevalentemente alimentato sospetti e paure nei riguardi della scienza, nonché favorito i tentativi di manipolazione ideologica o confessionale delle conoscenze, e la censura della libertà di ricerca. In Italia questi esiti sono stati decisamente più negativi che altrove. Un quarto di secolo fa S. Ljunggren e D.B. Tweig mettevano a punto il formalismo per elaborare i dati della risonanza magnetica. La nuova tecnologia per la visualizzazione delle strutture biologiche, la cui invenzione è stata premiata con il Nobel nel 2003, ha avuto una diffusione impressionante. Soprattutto per lo studio del cervello. Nei primi anni Ottanta nascevano le neuroscienze cognitive; e gli anni Novanta furono proclamati dall'amministrazione statunitense il Decennio del Cervello. Le pagine di questo supplemento hanno costantemente riportato le scoperte e le discussioni scaturite dagli avanzamenti nel campo delle neuroscienze, con particolare riguardo per le implicazioni filosofiche ed epistemologiche. Venticinque anni fa veniva scoperto dal gruppo francese di Lue Montagier e Francoise Barré Sinoussi il virus responsabile dell'Aids, scoperta per cui i due ricercatori francesi hanno ricevuto quest'anno il Nobel. Al di là della storia de1l’Aids in particolare, si entrava in quegli anni nell'età delle malattie infettive emergenti, e prendeva forma uri nuovo concetto dell'epidemiologia, inspirato da una prospettiva evoluzionistica. Nel 1983 il premio Nobel per la chimica Glenn Seaborg pubblicava il rapporto Una nazione a rischio, prodotto da una commissione istituita dalla presidenza degli Stati Unitiper analizzare e modificare lo stato miserevole dell'istruzione in quel paese. Si trattò di un evento rivoluzionario per pedagogia occidentale, che ispirò un decennio di riforme dell'istruzione negli Stati Uniti a ingenti investimenti per migliorare, tra l'altro soprattutto il curriculum scientifico in quel paese: Diversi altri paesi occidentali, non l'Italia purtroppo, seguirono l'esempio degli Stati Uniti sul piano dei metodi.di riforma del sistema dell'istruzione, e la conseguenza è stata lo sviluppo di un'economia sempre più fondata sulla conoscenza. Gerard Putz e jack Cairn lanciavano nel 1083 l'Olimpiade della Scienza per stimolare l'interesse per la scienza e contrastare le paure che cominciavano a circolare nelle società occidentali. Di li a due anni la Royal Society di Londra pubblicava il Rapporto Bodmer sul Public Ilnderstanding of Science. Era l'inizio di una campagna perla diffusione della cultura scientifica che si affermava un po' in tutto l'occidente. Ancora una volta l'Italia è rimasta indietro, nonostante l'iniziale richiamo di Antonio Ruberti a seguire l'onda internazionale; un'onda che portava alla realizzazione di decine di musei della scienza e di iniziative volte a costruire contesti per far dialogare scienza e società. Che cosa accadeva 25 anni fa nel mondo degli studi evoluzionistici? In quegli anni la teoria neodarwiniana era sotto attacco da più fronti, e lo testimonia l’accoglienza entusiasta della pubblicazione, nel 1983, del libro di Moto Kimura sulla teoria neutrale dell'evoluzione. Trascorso il tempo di una generazione, si può dire che 1e idee di Kimuxa e di molti fautori del superamento del selezionismo darwiniano (qualcuno ricorda lo strutturalismo biologico di Brian G00drin?) si sono rivelate del tutto sterili. Lo studio dell'evoluzione biologica non è rimasta fermo, così come non si sono attenuate le idiosincrasie ideologiche nei riguardi della teoria formalmente enunciata da Darwin. Il centenario darwiniano che si celebrerà l’anno prossimo sarà l'occasione per una approfondita e critica analisi degli studi evoluzionistici, cosi come delle ragioni per cui suscitano in alcuni ambienti tante apprensioni. Le sfide e le potenzialità della ricerca e dell'innovazione in ambito biologico e medico continueranno ancora per diversi decenni a creare stimoli intellettuali e ad alimentare accesi dibattiti culturali. Fornen do a queste pagine sempre nuove occasioni per valorizzare le qualità morali e civili dell'impresa scientifica. ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Dic. ‘08 TROPPI GLI STANDARD, INTEROPERABILITÀ DIFFICILE HL7, Cen, IS0, DICOM , Ihe, Snomed», LOINC, Lcd, Cda, Ccd ecc. Ma quanti sono gli standard nella Sanità elettronica? Quanto vengono realmente usati? La Commissione europea ha da poco affidato uno studio sull'argomento a «Empirica», una società di ricerca molto nota nell'ambiente. Adesso un rapporto riassume la problematica, vista da 94 esperti del settore. In parallelo, la Commissione aveva emesso un mandato per gli enti normatori europei («Mandate 4Q3»), per predisporre un nuovo metodo per affrontare il problema e mettere a punto un piano pluriennale per coprire i settori più carenti. Un rapporto preliminare è stato appena messo a disposizione degli addetti ai lavori per i necessari commenti. Certo, il problema degli standard nella Sanità elettronica è enorme. Dopo circa 20 anni di intenso lavoro, alcuni settori sono coperti da molti standard anche in conflitto tra loro, altri rimangono scoperti. «È bene che ci siano molti standard: così ognuno può scegliere quello che gli piace di più»: è uno dei commenti ironici che spesso viene ricordato, per descrivere lo stato dell'arte nel settore. Se gli standard sono prodotti da organizzazioni diverse, ci sono sovrapposizioni e carenze significative; ma soprattutto si allontana l'obiettivo dell'interoperabilità tra i sistemi informativi, con forti conseguenze economiche dirette e indirette per le aziende sanitarie: il mercato è debole e molto frammentato, e ne risentono la qualità dei prodotti e lo sviluppo industriale del settore. «Se hai visto un'applicazione di Hl7, ne hai vista una (tra tante)», è l'altra battuta che gira tra gli addetti ai lavori. Gli standard sono fatti per durare nel tempo e per soddisfare i contesti più vari, per cui sono abbastanza generici e lasciano molte opzioni. Per risolvere questi problemi, in diversi Paesi, le istituzioni hanno adottato un insieme di standard accuratamente selezionati e hanno favorito la loro introduzione, anche rendendoli obbligatori nei bandi di gara pubblici. Inoltre un'iniziativa di successo, « Ihe», ha definito alcuni «profili» per mettere insieme standard diversi e fissare i vincoli necessari per ottenere una vera interoperabilità, per gli scenari più significativi. Gli standard relativi a prescrizioni, laboratorio e immagini sono usati correntemente in tutto il mondo. Questo risultato è stato possibile perché tali campi per loro natura erano già ragionevolmente sistematizzati. Diverso è il caso della comunicazione tra operatori sanitari: come armonizzare il linguaggio medico, come stabilire a priori quali dati devono essere comunicati a una collega in una delle migliaia di situazioni cliniche possibili? La cartella clinica e il fascicolo sanitario sono per tanto due campi più difficili da affrontare, perché molto vasti, nonché meno formalizzati e strutturati. Gli standard per alcuni compiti importanti sono ancora carenti. Occorre un maggiore coinvolgimento dell'industria e degli operatori sanitari, con incentivi adeguati da parte delle istituzioni. Angelo Rossi Mori Unità di Sonità elettronico Istituto tecnologie biomediche – Cnr ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 nov. ’08 HUB&SPOKE: LUCI E OMBRE DEI SISTEMI OSPEDALIERI IN NETWORK Quel modello «hub&spoke» che negli Usa fa la differenza Migliora la qualità ma non sempre efficienza e spese sostenute DI GLORIA BAZZOLI Alcune Regioni, come Toscana, Emilia Romagna, Marche, Sardegna hanno proposto modelli a rete per l'organizzazione dell'assistenza ospedaliera regionale. Negli Stati Uniti le reti multiospedaliere esistono sin dagli anni '60 ma si sono sviluppate e diffuse capillarmente alla fine dei Novanta. Gli ospedali hanno cominciato a integrarsi tra di loro a causa delle pressioni economiche dovute ai cambiamenti che a quel tempo si sono verificati negli Stati Uniti. Il dato più recente sulla diffusione di questo modello organizzativo è del 2006: quasi l'80% degli ospedali americani appartiene a una qualche forma di rete. Negli Usa si distinguono due tipi principali di reti: gli "health network" e gli "health system". I primi sono composti da ospedali che collaborano sulla base di una qualche forma di contratto. I network generalmente hanno accordi anche con altri erogatori come ambulatori, medici di medicina generale, case di riposo. Gli "health system" hanno la stessa funzione ma presuppongono anche l'esistenza di una struttura centrale proprietaria degli ospedali che ne fanno parte. Ne sono esempio l'Hospital corporation of America (sistema for-profit) e Bon secours health system (sistema not-for-profit). A seconda di quanti servizi sono centralizzati possiamo parlare di network e system altamente o moderatamente centralizzati. Il modello "Hub& Spoke" è un modello a centralizzazione media, dove alcuni servizi complessi (come la cardiochirurgia) sono concentrati in pochi nodi della rete mentre gli altri nodi forniscono servizi di base in ciascuna specialità medica e trasferiscono i pazienti a più alta intensità di cure ai nodi centrali. Altri network o system invece centralizzano pochi servizi clinici e si concentrano sull'accentramento delle funzioni amministrative, come gli acquisti, per risparmiare attraverso le economie di scala. Oppure fanno leva sull'immagine forte di un brand per aumentare le opportunità di business. Negli Stati Uniti medici e manager ospedalieri sono stati spesso di ostacolo all'adozione di un Il tema dei modelli e delle performance delle reti multi- ospedaliere sarà discusso dalla prof.ssa Bazzoli insieme con il prof. Marco Meneguzzo di Tor Vergata in occasione di un convegno il 3 dicembre presso la Luiss Business school di Roma. simile modello. I chirurghi e gli specialisti che lavorano negli ospedali americani sono perlopiù lavoratori autonomi pagati a cottimo. Vedersi spostare i servizi che svolgono dall'ospedale in cui lavorano verso un ospedale più lontano comporta per i medici sia maggiore stress (necessità di inserimento in una nuova realtà lavorativa) sia maggiori tempi e costi di trasporto. Questo impatta sulla loro capacità di visitare più pazienti e quindi di guadagnare. I manager degli ospedali trasformati in "spoke", dall'altro lato, percepiscono il cambiamento come una perdita di prestigio delle loro organizzazioni. Può sembrare infatti che l'ospedale non fosse abbastanza buono per offrire il servizio che è stato centralizzato. Infine anche le comunità locali o i loro amministratori possono resistere alla centralizzazione dei servizi in ospedali lontani. Per quanto riguarda le performance, alcuni studi hanno evidenziato che le reti altamente centralizzate hanno risultati migliori in termini di qualità di alcuni servizi clinici, forse grazie alla concentrazione di grossi volumi di attività in pochi ospedali. In termini di efficienza e di riduzione dei costi, però, i risultati sono ambivalenti e variano a seconda del modello di rete adottato. * Phd - Professoressa di gestione sanitaria Department of Health administration Virginia Commonwealth University, Richmond - Usa Docente di Economia sanitaria all'Executive master in Healthcare and pharmaceutical administration Luiss Business School ________________________________________________________________ Avvenire 27 nov. ‘08 CANCRO DEL COLON RETTO, NUOVE SPERANZE DI CURA DALLA RICERCA ITALIANA I toni trionfalistici sana ancora vietati ma le novità annunciate nei corso dell'ultima Simposio internazionale della chirurgia conservativa per i tumori del retto svoltosi a Milano, l'autorizzano a parlare «di una pietra miliare nella storia della latta a questa patologia». E se le parole sono di Ermanno Leo, uno dei più accreditati specialisti del settore, dal 1998 direttore della chirurgia colon rettale dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano e fondatore di Areco-onlus (Associazione per la Ricerca europea in chirurgia oncologica), allora è lecito nutrire più di una speranza. La novità sostanziale sta tutta in un vaccino. È stato sperimentato su 14 pazienti affetti dal tumore del colon retto trattati all'Istituto nazionale dei tumori, tutti in uno stadio assai avanzato della malattia: i primi risultati sono definiti «molto incoraggianti». Questo tipo di tumore è il secondo big killer dopo il cancro del polmone. Dal punto di vista terapeutico, il vaccino «apre una strada fina a pachi anni fa impensabile. C'è infatti una parte cospicua di malati - spiega il professor Leo - che non riesce a guarire quando non la fa con la chirurgia, che resta il primo presidia terapeutica». osi il chirurgo spiega come si è arrivati a sperimentare un vaccino che verrà perfezionato nei prossimi due 9 anni: «Tutto è nato dall'osservazione di numerosi gruppi di pazienti in cui abbiamo notata che la stessa malattia aveva due esiti diversi. In un caso i malati si salvavano, nell'altro andavano incontro a ricadute. Abbiamo scoperta, nei pazienti in cui il male ricompariva, la presenza di una proteina, la survivina, che permette alle cellule tumorali di sopravvivere e proliferare». Da qui il passo successivo. «Data che le proteine si prestano alla realizzazione di un vaccino, ne abbiamo fatto realizzare uno antisurvivina, da provare, can altre sostanze, sui primi pazienti. Il tipo di risposta - evidenzia il professar Leo - è stata decisamente favorevole. Come tutte le sperimentazioni, è stata eseguita su pazienti che avevano avuto ricadute del male e che erano stati sottoposti a tutte 1e terapie tradizionali senza effetti. Il vaccina infatti non è preventivo ma curativa». Così Lea illustra gli esiti: «Nella maggior parte dei casi il vaccino ha dato risultati positivi, nel senso che il sistema immunitario del paziente lo ha riconosciuto. Abbiamo avuta la non progressione della malattia durante il trattamento per 12 pazienti su 14. Altro risultato importante: il vaccina è stata ben tollerato, non ha dato cioè effetti collaterali, anzi ha migliorato la qualità di vita dei pazienti rispetto alla sala chemioterapia». C on questi risultati in mano gli specialisti dell'Istituto nazionale dei tumori si preparano alla seconda fase - partirà tra pochi mesi -, quella cioè di evoluzione del vaccino. «Allargheremo la sperimentazione - dice Leo - estendendo le indicazioni, migliorando il pacchetto terapeutico can l'aggiunta di nuove sostanze e aprendo anche una linea di sperimentazione in associazione alla chemioterapia. Ci varranno due anni per attenere, è nostra convinzione, risultati sicuramente migliorativi. Di frante ai progressi terapeutici, però, non ci stancheremo mai di indicare alla gente l'importanza della prevenzione a della diagnosi precoce». Leo indica quella che per lui deve essere la strada maestra per arrivare a vincere la malattia: «Se i medici che hanno possibilità di fare ricerca non saranno più succubi delle multinazionali, quasi sempre legate alla realizzazione dell'utile che può anche condizionare un risultato, se cioè riacquisteranno la loro indipendenza culturale nello sperimentare, i tempi per arrivare al risultata finale da tutti auspicato si accorceranno». Vito Salinaro ________________________________________________________________ Libero 3 Dic. ‘08 PER SEQUENZIARE IL GENOMA BASTANO 30 MINUTI E 1.000 DOLLARI Ricercatori Usa della Pacific BioSciences hanno messo a punto una tecnica che consentirà di sequenziare il genoma di una persona in mezz'ora e per meno di mille dollari. Il Dna è composto da due filamenti intrecciati, costituiti da quattro diverse molecole che si alternano più volte formando i geni. Il metodo consiste nel prendere due filamenti completi del Dna di una persona e nell'intrecciarli (fino a formare la "doppia elica") in un microscopico contenitore assieme a 4 tinture fluorescenti diverse (una per ognuna delle 4 molecole). Monitorando questo processo e i bagliori fluorescenti è possibile mappare rapidamente la sequenza di un genoma completo. La tecnica dovrebbe essere pronta nel 2013. ________________________________________________________________ Avvenire 3 Dic. ‘08 TEST SUI FARMACI: TROPPI RISCHI SULLE DONNE ROMA. Incentivare le aziende farmaceutiche a sostenere una sperimentazione dei medicinali distinta per sesso, anche se poco redditizia. È quanto propone il Comitato Nazionale di Bioetica (Cnb) nel documento "La sperimentazione farmacologica sulle donne" in cui si denuncia che sebbene il gentil sesso sia il maggior consumatore di farmaci, i trials clinici «tendono a non tenere in sufficiente considerazione la specificità e il cambiamento delle condizioni di salute femminile, con un conseguente incremento di effetti collaterali». II problema della medicina di genere è sentito da tempo: le donne infatti ricevono farmaci fatti "su misura" pe gli uomini». Lo stesso problema riguarda anche i bambini tanto che l'Agenzia Italiana del Farmaco ha deciso di istituire un gruppo di lavoro per esaminare il delicato tema scientifico. «In genere - spiega Laura Palazzani, vice presidente Cnb - i farmaci vengono sperimentati su uomini giovani, in salute, di circa 70 kg di peso. Ma le donne, oltre ad avere una corporatura in media decisamente inferiore, assorbono i medicinali e li eliminano dal corpo in maniera diversa a causa delle variazioni ormonali legate al ciclo 0 alle gravidanze». Di qui la richiesta di una farmacologia che segua le diverse specificità innanzitutto tra i due sessi e poi anche in base all'età (bambini e anziani), per evitare effetti collaterali anche seri, visto che «negli Usa - denuncia Palazzani - per questo motivo sono stati ritirati dal commercio alcuni medicinali». «Occorre garantire - afferma Silvio T Garattini che ha contribuito alla stesura del documento - una maggiore presenza delle donne come sperimentatori e come componenti i Comitati etici». Ma l'assenza delle donne nei trial clinici, oltre a essere legata ai problemi di costi e di tempi dovuti al Pa necessità di arruolare un numero superiore di soggetti divisi tra i due sessi e all'elaborazione distinta dei casi dipende anche da problemi etici. «Le donne che partecipano alla sperimentazione - continua Garattini - sono in età fertile e questo comporta dei rischi nel caso in cui restano incinte». Di qui la spaccatura tra i bioetici stessi, divisi tra chi propone di far assumere un farmaco anticoncezionale e chi ritiene che l'azienda farmaceutica non debba neanche proporre l'utilizzo dei contraccettivo orale. ___________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 nov. ’08 LE DONNE SI AMMALANO DI PIÙ, LINEE GUIDA PER CURE E MEDICINE GIUSTE Farmaci, rivoluzione al femminile Le due università sarde coinvolte nel progetto nazionale avviato per tarare le medicine sulla salute della donna CAGLIARI. I bambini da portare a scuola. Il pranzo da preparare. La casa da seguire. E poi la carriera, anche se spesso si ferma là, un gradino prima di quel collega che invece è riuscito ad arrivare. Per una donna il peso da portare sulle spalle è troppo grande, con una conseguenza per alcuni quasi inimaginabile: il gentil sesso si ammala più spesso degli uomini e prende più farmaci, ma questi non sempre sono adatti alla natura femminile. Un dato di fatto che la medicina ha sempre tenuto in poco conto e su cui ora s’accinge a porre rimedio un progetto che in Sardegna vede coinvolte le università di Cagliari e Sassari. Il progetto è stato, nei giorni scorsi, al centro di “Foeminae salus”, convegno organizzato nel Palazzo Regio dalla facoltà di Scienze politiche di Cagliari, in collaborazione con la Consigliera regionale di parità, per illustrare il punto d’arrivo cui gli studi dovrebbero portare, partendo da un assunto semplice quanto poco noto: «Nella salute di una donna - dice la Consigliera regionale di parità, Luisa Marilotti - la parte medica dovrebbe essere associata a quella sociale. La medicina dovrebbe cioè prendere coscienza del fatto che la salute di una donna riflette anche lo stress e le frustrazioni derivanti dal carico sociale che le si attribuisce». Adottare dunque un’ottica di genere anche in questo contesto: ecco la frontiera che la ricerca, ribaltando gli stereotipi tradizionali secondo cui il corpo femminile è una “versione ridotta” di quello dell’uomo, intende esplorare. Che ve ne sia un gran bisogno lo dice anche Flavia Franconi, coordinatrice del progetto e grande esperta di farmacologia di genere, che per far capire l’importanza della ricerca parte con un esempio: «Tutti i farmaci usati per il diabete non vanno bene per le donne, e quindi ne andrebbero studiati degli altri». Un modo per sottolineare come non sempre i medicinali che vanno bene per gli uomini hanno lo stesso beneficio per le donne. Non solo: «Le reazioni avverse ai farmaci - fa sapere Franconi - nelle donne si manifestano il 2,5 per cento in più rispetto agli uomini: vuol dire che se non si comincia a creare i farmaci giusti, si va a creare un’altra malattia». Quasi un’emergenza di cui non si può non tener conto, anche perché le donne, per via del troppo carico che la società attribuisce loro, si ammalano molto più dei maschietti. A dirlo sono anche i dati: le donne soffrono di pressione alta il 30 per cento in più rispetto agli uomini, ma soffrono anche il 9 per cento in più di diabete, il 500 per cento in più di tiroide, l’80 per cento in più di cataratta, il 49 per cento in più di artrite deformante e il 100 per cento in più e il 138 per cento in più rispettivamente di Alzheimer e depressione. Numeri del ministero della Salute, illustrati dall’economista Antonio Sassu che all’interno del progetto, insieme a una squadra formata da esperti della facoltà di Scienze politiche come la sociologa Anna Oppo o la docente di diritto Paola Piras, e quelli dell’università di Modena, punta a ricercare l’evidenza empirica di quelle che sono le relazioni tra malattie della donna, occupazione e mercato del lavoro. «Spesso - afferma Sassu - nel mondo del lavoro esistono discriminazioni legate non solo al sesso ma anche al genere. Diseguaglianze che hanno influenza sulla salute femminile». E’ in quest’ottica che il progetto (diviso in cinque unità di ricerca che coinvolgono anche le università di Roma e Modena, e parte del più ampio progetto strategico nazionale “Salute della donna” elaborato dall’Istituto superiore della sanità e partico lo scorso anno con l’allora ministro della Salute Livia Turco), dovrebbe muoversi, per arrivare, alla fine, a elaborare delle linee guida. «Perché tutti siamo uguali - dice Flavia Franconi - ma tutti siamo diversi: l’Unione europea se ne è accorta, ponendo il problema come prioritario». Sabrina Zedda _________________________________________________________ il Giornale 6 dic. ’08 UNA RICERCA, ITALIANA SU COME SI DIFFONDONO LE CELLULE TUMORALI DEL PANCREAS Raro (colpisce circa 6mila italiani), ma mortale (solo il 5% dei pazienti operati può sperare oggi nella guarigione): il cancro del pancreas è considerato un vero e proprio =big killer=, la quarta causa di morte per tumore nel mondo occidentale. Negli ultimi decenni la sua incidenza è sensibilmente aumentata, sia in seguito al miglioramento delle tecniche diagnostiche, sia per un aumento generalizzato dell'età media. Questo tumore colpisce infatti maggiormente la popolazione anziana, per lo più di sesso maschile. Fino a qualche tempo fa il paziente era quasi sempre considerato inoperabile; nel 75% dei casi la neoplasia al momento della diagnosi è già in fase avanzata. Oggi invece, grazie a farmaci mirati ed a tecniche chirurgiche più avanzate, le chances sono aumentate. La chirurgia comunque rappresenta ancora il solo mezzo in grado di offrire una possibilità di guarigione. Ma anche la ricerca ha fatto un passo avanti. Per la prima volta è stata scoperta una delle basi molecolari che guida il cancro del pancreas a diffondersi invadendo i nervi che lo circondano: si tratta di una chemochina. È il risultato di uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori di Fondazione Humanitas guidati dalla dottoressa Paola Allavena e dal professor Alberto Mantovani, in collaborazione con i ricercatoti dell'Istituto Scientifico San Raffaele, c00rdinati da Lorenzo Piemonfi. Questa scoperta potrebbe avere una grande importanza: la diffusione della malattia attraverso i nervi infatti è uno dei motivi per cui i tumori, anche se asportati chirurgicamente, ricompaiono nelle vicinanze o in altre parti dell'organismo, ossia metastatizzano. «Invasione e metastasi, cellule maligne che lasciano il tumore d'origine per migrare lontano, colonizzare altri organi, riprodursi e formare altri tumori, sono - spiega Mantovani - uno dei principali problemi legati al cancro. Se il tumore fosse solo una malattia locale sarebbe più semplice sconfiggerlo, rimuovendolo chirurgicamente e con la radioterapia. Oggi il tasso di guarigione nei tumori individuati precocemente è altissimo e la battaglia si concentra sulle metastasi. Prevedere, al momento della diagnosi, se e dove queste si svilupperanno, è determinante. È molto importante capire con quale meccanismo i tumori invadono e metastatizzano. Una via è quella nervosa: alcuni tipi di tumori, primi fra tutti quello del pancreas e del colon, invadono i nervi e li utilizzano come una vera e propria autostrada per diffondersi. gloriasj@unipr.it _________________________________________________________ il Giornale 29 Nov. ’08 EMORROIDI: SPAZIO ALLA CHIRURGIA AMBULATORIALE L'intervento traumatico tradizionale con pinze ad ultrasuoni va riservato ai casi più gravi Una nuova metodica mininvasiva come THD evita il dolore e conquista i colonproctologi Luigi Cucchi In Italia, per molte patologie si registra un eccesso di interventi chirurgici. Si abusa della chirurgia che potrebbe essere in molti casi sostituita da trattamenti ambulatoriali meno traumatici e meno costosi. La Società italiana di chirurgia colorettale (Siccr) ne è convinta ed allarmata per la grande crescita degli interventi sulle emorroidi (circa 40mila) che sono eseguiti sul 35 per cento dei pazienti con questa patologia, mentre negli Stati Uniti solo sul 10 per cento. Si calcola che il 40% delle persone adulte e il 60% delle donne in gravidanza ne soffre. «Le cure dovrebbero essere effettuate in base alla tipologia del prolasso. L'intervento chirurgico, punto di riferimento della terapia radicale, va limitato ai casi più gravi, quando il prolasso non rientra spontaneamente. Fino al 90% delle emorroidi può essere trattato ambulatorialmente», afferma il professor Aldo Infantino, segretario della Società italiana di chirurgia colorettale, ricordando che occorre correggere cattive abitudini non solo alimentari, ma anche diarrea e prolungate letture in bagno. Infantino, siciliano dì nascita (è nato a Grotte di Agrigento), è veneto di adozione: si è laureato all'università di Padova, dove ora insegna alla scuola di specializzazione ed è responsabile dell'unità di chirurgia generale all'ospedale di San Vito al Tagliamento (Pordenone), «L'intervento chirurgico Milligan Morgan per meglio ridurre il dolore utilizza oggi pinze ad ultrasuoni o a radiofrequenza, Il trattamento ambulatoriale prevede la legatura del tessuto emorroidario in aree prive di terminazioni dolorifiche. Le emorroidi - ricorda infantino - non sono varici, ma cuscinetti vascolari, cioè corpi cavernosi che hanno le funzioni del completamento della continenza. Diventano malattia se sanguinano, aumentano di volume, danno origine al prolasso. Rinviare la visita medica significa ritardare i trattamenti e in molti casi rischiare di peggiorare la gravità della patologia». Le terapie a disposizione sono numerose. Già nell'antichità gli egiziani curavano malattie ano-rettali, i greci fermavano l'emorragia con il fuoco e cauterizzavano i corpi cavernosi. I romani impiegavano le prime specule in metallo. A fine Ottocento si usava, per una azione sclerosante, fenolo su olio minerale. A Londra, al Saint Mark's hospital, centro di eccellenza per questa patologia, si sono sviluppate molte nuove metodiche. L'inglese Barron per primo effettuò la legatura di una parte della mucosa rettale contenente- emorroidi, priva di terminazioni nervose, provocandone la necrosi. Milligyn e Morgan, proprio al SaintMark's; evitarono l'incontinenza e la riduzione di sensibilità con la escissione dei tre pelluncoli principali. Negli anni Sessanta il chirurgo inglese Alan Park riuscì a ridurre le ferite aperte e, per il suo contributo allo sviluppo della scienza, fu nominato Sir. Nel passato più recente la sala operatoria era richiesta solo per il 20 per cento dei pazienti. Poi, anno dopo anno, la chirurgia ha preso il sopravvento. «Crescono così anche i dubbi sulla corretta indicazione chirurgica di questo intervento», dichiara il professor Infantino. Per evitare l'asportazione chirurgica delle emorroidi vi sono oggi numerose metodiche innovative. La emorroidopessi, con suturatrice circolare proposta dall'italiano Longo, riporta i cuscinetti prolassanti all'interno con una sutura-sezione di una zona circolare di mucosa rettale. I risultati sono lusinghieri per quel che riguarda il dolore post-operatorio. La degenza ospedaliera è in genere di un solo giorno e veloce la ripresa lavorativa. Deludente è invece il tasso di recidive che arriva, secondo alcune pubblicazioni, fino al 25 per cento ad un anno dall'intervento. Alcune complicanze, poco frequenti, possono inoltre risultare gravi o invalidanti. Il dolore post operatorio cronico può essere dovuto alla ritenzione delle agraffes della suturatrice e ad una sutura in zona sensibile. Per evitare le emorragie, altra complicanza, occorre suturare la ferita interna, e in casi rarissimi risulta necessario realizzare un ano artificiale. Complicanze inaccettabili se si pensa che si tratta di una malattia benigna. Una nuova tecnologia ancora meno invasiva è data dalla legatura dei vasi arteriosi emorroidari terminali individuati con un Doppler endoanale, in inglese THD da Transanal Hemorrhoidal Dòppler ligation (www.thdlab.it). La tecnica, in uso dal 1995, è effettuabile in Day Hospital con anestesia locale e sedazione. In questi 13 anni è risultata di elevata efficacia. Uno studio multicentrico condotto su pazienti con emorroidi di II grado, in cui non era possibile un trattamento ambulatoriale, e di III grado, ha rivelato che il 71% dei pazienti non ha fatto uso di analgesici dopo l'intervento. Inoltre il sanguinamento è stato risolto in più dell'80% dei casi, mentre il dolore era scomparso nel 92%. L'85.7% dei pazienti si dichiarava guarito. I centri di colonproctologia accreditati dalla Siccr sono presenti nel portale www.siccr.org. _________________________________________________________ Repubblica 4 dic. ’08 ATEROSCLEROSI, NUOVE ARMI PER VINCERLA di Maria Rita Montehelli L’aterosclerosi? Oggi é possibile non solo combatterla sul nascere, ma anche farla regredire. A sostenerlo è il professor Cesare Sirtori, direttore del Centro per le Dislipidemie dell'Ospedale Niguarda e preside della facoltà di Farmacia di Milano. intervenuto al XXII congresso nazionale della Sisa (Società italiana per lo studio dell'aterosclerosi): «Abbassando il colesterolo cattivo (Ldl) e aumentando il colesterolo buono (Hdl) con i farmaci oggi a disposizione, ci sono buone probabilità di assistere a una regressione delle placche aterosclerotiche». Studi recenti dimostrano inoltre che anche la riduzione dei trigliceridi, ad esempio attraverso gli oli di pesce, può essere utile. Di armi contro l’aterosclerosi il medico ne ha già molte: statine, acido nicotinico. fibrati (farmaci che oltre ad abbassare i trigliceridi fanno aumentare le lipoproteine Hdl). Sdoganata anche l'associazione statine-fibratì: tra qualche mese uscirà in Usa una pillola con l'associazione rosuvastatina- fibrati. Ma la grande speranza del futuro è riposta nei cosiddetti "Hdl-tnimetici" (il più noto è l’Ar-Milano), prodotti che assomigliano alle Hdl e che negli studi sperimentali hanno prodotto un'importante riduzione delle placche, con trattamenti brevissimi. Ma come si fa a controllare che la famigerata placca (in pratica un accumulo di colesterolo, tessuto fibroso, cellule e calcio, che sporge come un foruncolo all'interno delle arterie, ostacolando il passaggio del sangue) si stia effettivamente sciogliendo? «Fino ad oggi - spiega Sirtori - con le tecniche angiografiche classiche, come la coronarografia, vedevamo solo l’interno dell'arteria. Oggi finalmente siamo in grado di vedere anche la parete dei vasi e la placca aterosderotica, che può avere diversi spessori e caratteristiche. La tecnica più importante è la misura dello spessore intimamedia (Imt) della parete delle carotidi (le arterie del collo che portano il sangue al cervello) mediante eco-doppler, una metodica messa a punto zz anni fa proprio da noi al Niguarda di Milano e che oggi rappresenta la tecnica più usata al mondo nel campo della diagnostica vascolare. Grazie all'eco-doppler e ad altre tecniche un po' più indaginose e sofisticate (Tac e I2mn, che entro dieci anni soppianteranno le angiografie), siamo riusciti a dimostrare che i trattamenti che fanno regredire le placche, riducono anche gli eventi cardiovascolari (ictus e infarti)». E non è tutto. «Per la prima volta oggi», aggiunge Sirtori, «attraverso la misurazione dell'Imt carotideo, con un eco-doppler che dura una ventina di minuti. possiamo dire al malato se ha delle placche, se possono regredire e quali probabilità ha di presentare lesioni aterosclerotiche anche in altri distretti dell'organismo, ad esempio nelle coronarie». Un bel vantaggio anche perché la carotide è grande come una penna stilografica, mentre le coronarie hanno un diametro di qualche millimetro. Ma non tutte le placche si comportano allo stesso modo, anche di fronte alle terapie. «Stando alle conoscenze attuali - aggiunge il professor Sirtori - le placche che non possono regredire sono quelle calcifiche, tipiche dell'anziano e a basso rischio di rottura e dunque di trombosi. Ma anche ù1 questo caso ci sono delle novità. Proprio il mese scorso, uno studio sperimentale condotto con un Ar mimetico, ha dimostrato la regressione delle calcificazioni in un modello sperimentale di stenosi aortica. Cosa voglia dire e a cosa possa servire è ancora presto per dirlo, ma si comincia già a ipotizzarne l’impiego nelle malattie delle valvole cardiache, dove questi farmaci potrebbero far regredire le calcificazioni; obiettivo fallito con altri trattamenti anti-colesterolo». Infine una nota beaiiy. Le persone con colesterolo elevato presentano a volte degli antiestetici accumuli di colesterolo a livello delle palpebre, detti xantelasmi. II probucol, un farmaco in grado di mobilizzare il colesterolo dai tessuti, li può eliminare. Ma solo finché lo si prende. -Uniti contro il rischio DEI 150.000 infarti che colpiscono ogni anno gli italiani, più della metà sono evitabili con la prevenzione. Per questo è nata, ed è stata presentata a Milano, la Consulta delle Società Scientifiche per la Riduzione dei Rischio Cardiovascolare, c00rdinata dai professor Giuseppe Mancia. L'idea-cardine è stata quella di pensare la prevenzione come il terreno di incontro di discipline mediche diverse, nella convinzione condivisa che sia uno strumento di grande efficacia per la riduzione del rischio. «Non va dimenticato - spiegano i promotori - che le malattie cardiovascolari rappresentano la più importante causa di morte al mondo e la loro crescente prevalenza incide, anche nel nostro Paese, in modo sostanziale sulla salute pubblica e sulle risorse sanitarie». Così dieci Società Scientifiche, che da anni offrono significativi contributi alla ricerca biomedica internazionale del settore, hanno deciso di allearsi. _________________________________________________________ Repubblica 6 dic. ’08 ECCO IL "CODICE A BARRE" DEL DNA Il DNA nel nucleo delle nostre cellule non è libero, ma avvolto su "perle" di proteine chiamate nucleosomi: la posizione del Dna rispetto ai nucleosomi é diversa per ogni individuo e può essere letta come un codice a barre unico per ogni individuo e indicatore dello stato di funzionamento del suo genoma. Ricercatori italiani hanno ideato un lettore per questo "codice a barre", il "Multi Layer Model". Il sistema è stato sviluppato all'Università di Palermo da Vito di Gesù con Davide Corona, ricercatore dell'Istituto Telethon Dulbecco, che lavora grazie ai finanziamenti di Telethon e Fondazione Giovanni Armenise- Harvard. Il lavoro è pubblicato su Genomics. Il sistema permetterà lo studio di numerose malattie umane (dal cancro a svariate patologie neurodegenerative) dovute a difetti nell'impacchettamento del DNA. «Inoltre», spiega Corona, «il lettore potrà essere usato per confrontare il "codice a barre" di individui sani e malati e scoprire differenze tra I'impacchettamento del Dna alla base di certe malattie». Una molecola di Dna è lunga circa due metri ma riesce a stare nei pochi millesimi di millimetro del nucleo della cellula perché si impacchetta sui nucleosomi. L'effetto visivo è quello di una collana di perle dove le perie sono i nucleosomi e il filo è il Dna. Maggiore è il grado di impacchettamento del Dna sui nucleosomi, più i geni restano inaccessibili e dunque "spenti", per cui conoscere la posizione dei nucleosomi é importantissimo. Molte malattie genetiche potrebbero in realtà essere riconducibili non a una mutazione dei geni ma a un difetto di posizionamento dei nucleosomi su geni sani. Ricercatori di Harvard avevano scovato un modo per "fotografare" la collana di perle, ma questo non consente di dedurre la posizione dei nucleosomi. Il Multi Layer Model invece legge in tempi rapidissimi il gran numero di informazioni contenute in questa fotografia e rilascia il corrispondente "codice a barre" del genoma. Infine questo lettore potrebbe essere utilizzato anche in altri ambiti scientifici in cui si devono leggere segnali complessi biologici e non, come i segnali di un elettroencefalogramma o i quelli di una stella, aumentando la risoluzione degli strumenti oggi in uso. ___________________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 nov. ’08 QUANTO RISCHIA IL CUORE DEI SARDI Come sono cambiati in trent'anni i fattori che provocano le malattie del sistema cardiocircolatorio Il medico: «Non controllate solo il colesterolo» Una ricerca svela come sono cambiati in trent'anni i fattori di rischio cardiovascolare nei sardi. di LUCIO SALIS Sardi, attenti, non bisogna controllare solo il colesterolo. Sono tanti i fattori che mettono a rischio la salute e soprattutto in età matura possono riservare amare sorprese. Le più recenti ricerche dicono che negli ultimi trent'anni la popolazione isolana si è un po' trascurata, sulla scia di stili di vita in voga nel resto del mondo. Da qui la possibilità di incorrere in patologie direttamente collegate all'apparato circolatorio, come infarto, ictus, ma anche diabete. Le malattie cardiovascolari sono considerate la prima causa di morte e invalidità nel mondo occidentale. «Per i sardi il rischio un tempo era minore, ma ora le cose sono cambiate - spiega il professor Sergio Muntoni, già primario all'ospedale Brotzu di Cagliari -. Aumentano, anche da noi, alcuni fattori e soprattutto l'obesità dell'addome, implicata pesantemente nell'origine del diabete e delle malattie cardiovascolari». Temi che saranno al centro del prossimo congresso della sezione sarda della Sisa (Società italiana per lo studio dell'arteriosclerosi) organizzato in collaborazione con la onlus Me.Di.Co. che fa capo ai professori Sergio e Sandro Muntoni (sabato, alle 8,30, aula magna della Cittadella universitaria di Monserrato). «Sarà un'occasione per discutere sulle strategie, adottate a livello mondiale, per fronteggiare le patologie cardiovascolari -dice Sandro Muntoni, professore associato presso il dipartimento di Tossicologia dell'università di Cagliari -. Si parlerà di fattori di rischio, della Carta del rischio, delle conseguenze dell'ipertensione arteriosa, come l'ictus e l'aneurisma . Al centro dei lavori anche i danni del fumo e tanti altri argomenti». Sergio Muntoni aggiunge che «per alcuni fattori, l'aumento fra i sardi è addirittura superiore a quello che si registra in altre regioni italiane. Questo anche a causa dell'interruzione dalla campagna di prevenzione ATSSardegna condotta negli anni Novanta». L'équipe che la realizzò ha però continuato il proprio lavoro d'indagine su migliaia di pazienti. I risultati sono condensati in uno studio pubblicato sull'autorevole rivista internazionale European journal of internal medicine . Lo hanno firmato Sandro Muntoni, Luigi Atzori, Roberto Mereu, Antonio Manca, Graziella Satta, Alessandro Gentilini, Paola Bianco, Antonio Baule, Giovanni Maria Baule e Sergio Muntoni. Dall'articolo emerge che la Colesterolemia media dei sardi, che nel 1978 era la più bassa d'Italia (189 nei maschi e 184 nelle femmine) nel 2008 è arrivata a quota 220 (i valori normali devono essere inferiori a 200). «Ma non bisogna fermarsi al Colesterolo - ammonisce Sergio Muntoni -: esistono fattori di rischio di arteriosclerosi come la Lipoproteina (a) che nei sardi raggiunge tassi ben superiori ai limiti massimi. Il valore di riferimento deve essere inferiore a 30, ma da noi si arriva a quota 31 e anche 32. Come media, il che significa che molti hanno anche 40 e 50, mentre in altre regioni ci si ferma a 10 - 15». Dai dati dello studio emerge una sorta di radiografia della salute dei sardi un po' fuori controllo. Come capita quando molta gente vive alla giornata, evitando, a volte per scaramanzia, controlli periodici. Così sfuggono gli allarmi che arrivano da fattori di rischio come la Apoproteina B , veicolo del cosiddetto colesterolo cattivo (LDL). Nei sardi i valori sono oggi 122 per i maschi e 120 per le femmine, mentre la normalità dovrebbe essere inferiore a 115. Indicazioni preoccupanti (come emerge nella tabella) si notano anche nei dati sulla Pressione massima e minima . Il tutto aggravato dal Fumo . Nel 1978 la prevalenza dei fumatori, in Sardegna, era del 58 per cento fra i maschi e solo del 14 per cento fra le femmine. Nel corso degli anni, si è poi registrato un calo progressivo fra gli uomini, oggi a quota 23 per cento, a fronte di un aumento fra le donne, arrivate al 20 per cento. Anche se, fra queste ultime, alcuni segnali sembrano individuare un'inversione di tendenza. «Insieme all' Ipertensione e alla Dislipidemia , il fumo rappresenta uno dei principali fattori di rischio - spiega il professor Carlo Lai, primario cardiologo all'ospedale Santissima Trinità di Cagliari. La mortalità causata da queste patologie è proporzionale al numero delle sigarette fumate». In soldoni: più si fuma, più si rischiano infarto e ictus. Il discorso riguarda, in particolare, le donne. «Quelle che fumano, vanno incontro a eventi cardiovascolari in misura più elevata rispetto agli uomini. Perché si controllano meno, tendono cioè a eseguire più esami sul seno e sull'apparato riproduttivo che sulla pressione e il colesterolo». Un atteggiamento, quello femminile, forse legato alle campagne di prevenzione sui tumori, abbastanza frequenti negli ultimi tempi, mentre sui problemi dell'apparato circolatorio si è un po' abbassata la guardia. Anche nell'Isola. Mentre avvengono significativi mutamenti nella salute dei sardi. Così, l' Indice di massa corporea , parametro di riferimento per l'obesità, che nel 1978 era 25 per i maschi e 27 per le femmine, nel 2008 è passato a 27,5 e 26 (valore normale inferiore a 25). Lo studio ha inoltre rilevato che nelle donne sarde con oltre 60 anni l'indice raggiunge quota 31, (in pratica, sono obese), con valori medi di Glicemia piuttosto elevati: fino a 116. «I valori medi glicemici - spiega Sandro Muntoni - aumentano con l'età. Abbiamo così registrato che, oltre i 60 anni, il 20 per cento delle donne e il 15 per cento degli uomini presentano oggi valori glicemici alterati, superiori a 126». Oltre questa soglia si è in pieno Diabete . ___________________________________________________________________ Repubblica 4 Dic. ’08 SOLE ANTI-CANCRO Ci fa produrre vitamina D che previene alcuni tumori Adriana Albini WASHINGTON - Il fatto che i raggi ultravioletti siano annoverati tra i cancerogeni e che alcuni tumori, come i melanomi e i carcinomi a cellule basali, aumentino con una prolungata esposizione al sole, ci hanno fatto spesso classificare il sole come un nemico in oncologia. Alla conferenza mondiale dell'Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro (ÀACR) "Frontiere nella prevenzione del Cancro", che si è appena conclusa a Washington, il sole è stato "riabilitato" ed è stato rilanciato il concetto che i raggi solari possano essere alleati per la salute. In alcune malattie, a dire il vero le più disparate, i raggi ultravioletti svolgono uriazione preventiva o addirittura terapeutica. Un tempo i benefìci del sole erano noti in modo empirico e l'elioterapia ha avuto periodi storici di gran moda. Tra leggenda, superstizione e realtà si sa sicuramente die il rachitismo, un tempo diffuso tra i bambini indigenti, era correlato all'assenza di esposizione a sole ed aria aperta e alla dieta povera. Effetti antinfiammatori L'esposizione della pelle ai raggi solari non ha solo proprietà antisettiche ed antinfiammatorie ma è la principale fonte di induzione di vitamina D nel nostro organismo; la deficienza di vitamina D è la causa principale del rachitismo. Al convegno internazionale è stato sottolineato come nel terzo millennio vi sia una situazione crescente di ipovitaminosi D. Studi epidemiologici associano un minor contenuto di vitamina D nell'organismo umano alle basse latitudini, dove i raggi solari arrivano più indiretti, e d'inverno. L'associazione tra raggi solari, vitamina D e prevenzione del cancro (non cutaneo) e altre malattie non è ancora ben definita statisticamente, quindi tutto va preso con la dorata cautela, ma ha aspetti interessanti. Ad esempio, circolano ipotesi che bassi livelli di vitamina D possano aumentare il rischio di artrite reumatoide. sclerosi multipla, e addirittura malattie cardiovascolari. Inoltre la capacità della vitamina D di fissare il calcio alle ossa si rivela un'arma possibile anche contro l'osteoporosi. Apparentemente, in alcuni casi il rischio di cancro è associato a livelli di vitamina D inferiori a 25mcg nel nostro organismo. Per superarli, dovremmo prendere 1.000 IU al giorno, 0 prendere regolarmente il sole. Intendiamoci: la prolungata esposizione, magari alla ricerca dell'abbronzatura super, fa male e, ripetiamo, aumenta i tumori della pelle. Per avere una buona produzione di vitamina D endogena però bastano da 5 a io minuti, sulle braccia e gambe, almeno tre volte alla settimana. Questo è vero d'estate e nei paesi del sud, perché se il sole ci arriva solo...di striscio, la vitamina D si produce meno, tanto è vero che l'ipovitaminosi è più diffusa nei paesi nordici. Precursori della D 8II sistema della vitamina D è complesso. Intanto ne esistono diverse forme e metaboliti. La Vitamina D3 o Colecalciferolo viene prodotta per il 90% nella pelle colpita dagli UV solari e solo il 10% deriva dalla dieta. Il Colecalciferolo deve subire delle modificazioni prima di essere attivo. A livello del fegato avviene uriidrossilazione in posizione 25 da parte di una idrossilasi epatica. Il prodotto è una 25OH-vitamina D3 che controlla a sua volta la 25-idrossilasi epatica. Questo permette di regolare le quantità circolanti di 25- OH-vitamina D3 indipendentemente dalla disponibilità di Vit D3, rendendo diffìcile un' "intossicazione" da vitamina D se non a livelli alti. La 25-OH-vitamina D3 viene a sua volta idrossilata in posizione 1 da una alfa idrossilasi renale e trasformata in i,25-(OH)2-D3 o calcitriolo, il metabolita attivo della vitamina D3. Questo metabolita facilita l'assorbimento intestinale di calcio e la fissazione di calcio e fosfati nell'osso. Il risultato è un aumento della calcemia, che può essere a celti livelli negativa, e quindi va sorvegliata. La quantità di calcitriolo prodotta è regolamentata dal paratormone (PTH). L'aumento della calcemia indotto dal calcitriolo inibisce a sua volta la produzione del PTH, in un circuito autoregolatorio. Il metabolita attivo esercita la sua azione attraverso un recettore specifico, noto con la sigla VDR (Vitamin D receptor). Questo recettore regola la funzione della vitamina D. Si è scoperto che esistono dei polimorfismi di questo recettore nella popolazione. E' dunque importante, neli studi clinici riguardanti a vitamina D, associare la conoscenza dello status del recettore. Metabolismo del calcio Un'indagine su 16.818 partecipanti di 17 anni e più. seguiti dal 1988-1994 al 2000 nel terzo "National Health and Nutrition Examination Survey" è stato da poco pubblicata da Freedman DM, e altri del National Cancer Institute americano. Lo studio suggerisce che la mortalità per cancro colorettale sia inversamente correlata ai livelli serici di 25(OH) vitamina D. Livelli di 80 nmol/L o più alti erano associati con una riduzione del rischio del 72% se confrontati a quelli inferiori a 50 nmol/L. Simili risultati sono stati ottenuti per il cancro al colon sulla popolazione giapponese. Finora i dati relativi ai tumori di prostata e seno sono invece preliminari. Carlo LaVecchia e collaboratori hanno riportato su Annals of Oncology uno studio su 2.569 donne che dimostra che per livelli di vitamina D superiori al settimo decile di una scala di concentrazioni. vi era una correlazione inversa al cancro (ovvero, più vitamina D=meno cancro). LIntemational Journal of Cancer ha pubblicato a novembre dati più complessi dal punto di \ista molecolare nell analisi di incidenza di tumore colorettale, che uniscono all'assunzione di vitamina D e calcio con la dieta l'analisi di 4 polimorfismi del recettore VDR. Al sole con prudenza La vitamina D, ricordiamolo, è presente anche nella dieta: latte, burro, tonno, salmone, fegato, olio di fegato di pesce (un tempo usato come medicina), ostriche e tuorlo d'uovo, alimenti spesso ricchi di colesterolo. Dunque le conclusioni sono: il sole fa bene, ma se preso a piccole dosi. Per indurre la vitamina D necessaria bastano braccia e gambe e per una decina di minuti al giorno: il sole estivo diretto è più attivo. Evitare la lunga esposizione e le scottature per il rischio di melanomi e basoteliomi. -'Resp. Ricerca Oìwologica IRCCS Multimedica Sesto San Giovanni, Milano 1.000 unità internazionali (Ul) è la dose quotidiana di vitamina D 10 minuti al giorno di sole su gambe e braccia sono sufficienti per produrre la dose quotidiana di vitamina D 2.569 le donne su cui una ricerca ha dimostrato gli effetti protettivi della vitamina D contro il cancro del colon Foto: USA, CANCRO IN CALO Negli Usa non soli le morti di tumori (dal 1998) sono in calo, ma ci si ammala meno: i il calo è su uomin (-1,6%) e donne (0,8%). Meno 1,9% di casi di tumore al polmor (effetto antifumo) e al seno; -2,1% colon retto e -1,1 prostata ___________________________________________________________________ Repubblica 4 Dic. ’08 DEPENALIZZARE GLI ERRORI MEDICI? PRO&CONTRO - ALL'ESAME I DISEGNI DI LEGGE CHE RIDEFINISCONQ I MECCANISMI DEL NESSO DI CAUSALITÀ Anna Rita Cillis Risponde a favore Giorgio Vittori ginecologo pres.Sigo, Dal primo gennaio del 2008 è il presidente della Sigo, la Società italiana di Ginecologia e ostetrica. Attualmente è il primario della Divisione di Ginecologia dell'Ospedale San Carlo di Nancy • Idi di Roma. Riorganizzare tutta l'attività ottor Giorgio Vittori, come presidente della Sigo si sentirà alleggerito dall'idea che una proposta di legge, appena depositata, vorrebbe introdurre nel codice penale e civile nuovi articoli che definiscono la colpa professionale in ambito medico... «Sono d'accordo per la definizione e quindi la depenalizzazione delle colpe lievi, quelle dove il dolo non c'è. Perché così potremo snellire i tribunali da cause infinite che durano anni e anni e creano non pochi problemi psicologici e finanziari sia al paziente die al medico. Per quel tipo dì errori l'unica strada è la transazione fuori dalle aule». Un esempio di colpa lieve? «Nel caso di un ginecologo una cicatrice non concordata, ad esempio». Però la transazione tra le parti in aldine aziende sanitarie già esiste. «Sì, ma gli esempi sono troppo pochi e sono gestiti, come ad esempio lo sportello Accordìa dell'Ordine dei medici di Roma, da organismi che il cittadino sente estranei. Voglio dire die bisognerebbe sì depenalizzare la colpa medica lieve, ma nello stesso tempo riorganizzare le strutture sanitarie intervenendo con azioni positive». Il risk management è questo, in sostanza. E gli ospedali che hanno al proprio interno strutture che analizzano gli errori iniziano a non essere pochi. Cosa significa allora azioni positive? «Risk management non vuoi dire nulla se non si interviene sull'attività medica e sull'evento die può determinare un errore. Bisogna formare il personale rielaborando il concetto stesso di professione medica. Ben vengano disegni di legge o simili che traccino i perimetri nei quali potersi muovere, ma la riorganizzazione dell'intero sistema è un punto impresdndibile». Risponde contro Teresa Petrangolini segr. gen. Cittadinaniattiva Dal 1988 al 2002 è stata segretario del Tribunale per i diritti del malato. Ha promosso la costituzione del servizio di tutela Pit salute, è tra gli ideatori dell'Audit civico, sistema di salutazione dei servizi sanitari. Meglio premiare i virtuosi Petrangolini, Cittadinanzattiva - Tribunale per i diritti del malato, è sempre stata contro eventuali leggi che depenalizzino l'errore medico perché? «Sono discriminanti: ci sembra curioso che solo una tipologia di reato contro la persona, come l'atto medico, venga estrapolato dal resto». Anche voi chiedete, però, nuove regole in materia. «Certamente, ma cosa serve depenalizzare l'errore medico se prima non viene riorganizzato l'intero sistema? In realtà si tratta di proposte che non tutelano affatto il paziente: bisognerebbe lavorare tutti insieme affinchè l'errore non si riproduca». Non crede che possa essere utile anche ai cittadini delineare il significato di colpa professionale in un ambito così difficile come quello medico-sanitario? «No. Credo semmai che una eventuale legge dovrebbe rendere obbligatorie negli ospedali delle unità di gestione del risdiio, e che bisognerebbe lavorare su altri ambiti. Guardi che i dttadini non sono contenti che l'errore medico possa essere depenalizzato». Chiarire i meccanismi di nesso- causalità e definirli sarebbe più utile anche agli utenti... «Certo. Ma non dovrebbe essere il primo atto, semmai la condusione di un cammino». Ad esempio? «Bisognerebbe prima di tutto lavorare sull'accreditamento delle aziende sanitarie: penso alla creazione di strutture in grado di valutare l'operato degli ospedali. E bisognerebbe prevedere agevolazioni per quelli più virtuosi». A che tipo di agevolazioni si riferisce? «Agli sconti da parte delle assicurazioni. E i soldi risparmiati potrebbero essere investiti in servizi ai cittadini ___________________________________________________________________ Unione Sarda 4 Dic. ’08 COLESTEROLO ALTO? DIETA CON PECORINO Pula. Un'importante scoperta dei ricercatori di Nutrisearch del Parco tecnologico Se il pascolo è naturale scende il tasso di LDL nel sangue I test all'ospedale Brotzu hanno confermato gli esami di laboratorio. Una società olandese è interessata all'acquisto del brevetto. DAL NOSTRO INVIATO PAOLO CARTA PULA Quando il medico di famiglia legge i nostri esami del sangue, appena scopre che il colesterolo "cattivo" LDL supera i valori normali, immediatamente fa scattare il divieto assoluto: «Niente formaggi». Nessuna deroga, men che meno per il più amato alle nostre latitudini: il pecorino. Il protocollo medico probabilmente è da aggiornare. Grazie a una scoperta è di assoluto rilievo scientifico e soprattutto rivoluzionaria. Avvenuta nei laboratori della Nutrisearch, prima società di tipo "spin off" costituita in Sardegna, sorta nel parco tecnologico di Pula dall'idea di dare una ricaduta aziendale e produttiva ad un'ipotesi scientifica nata dal contesto della ricerca tecnologica universitaria. LA RIVOLUZIONE «I nostri studi - spiega Sebastiano Banni, 48enne docente nella facoltà di Scienze dell'Ateneo cagliaritano - hanno provato che il formaggio pecorino è in grado di abbassare il tasso di colesterolo nel sangue. Che è l'ideale per le diete di chi deve fare i conti con il grasso in eccesso nel sangue. A patto che sia arricchito con acido linoleico coniugato». Niente di sofisticato, artificiale, geneticamente modificato: «Più le pecore e le capre si nutrono al pascolo con erba naturale .- spiega il professor Banni - maggiore è nel loro sangue il tasso di questo acido grasso consigliato nelle diete». AL BROTZU La sperimentazione scientifica è stata svolta in collaborazione con un reparto ospedaliero il centro per lo studio delle malattie dismetaboliche del Brotzu di Cagliari. «In una serie di pazienti che presentavano problemi di ipercolesteromia - prosegue Sebastiano Banni - è stato suggerito di adottare nelle diete il formaggio pecorino arricchito nel nostro laboratorio con questo particolare acido presente in natura». I risultati sono stati straordinari: «La riduzione del tasso di LDL nel sangue è stata riscontrata in tutti i casi in cui è stata inserita nella dieta una quantità variabile da paziente a paziente di pecorino o caprino». IL BREVETTO La Nutrisearch ha cercato di coinvolgere in questa iniziativa anche le aziende sarde che producono pecorino e che lo esportano un po' in tutto il mondo. Obiettivo: produrre su scala industriale il formaggio in grado di abbassare il colesterolo. Ma nessun caseificio isolano ha dimostrato interesse verso questo brevetto che invece potrebbe finire nel patrimonio di una società olandese, capace in questi anni di stringere importanti rapporti di collaborazione con la Nutrisearch del Parco tecnologico di Pula. L'équipe del professor Banni (sette ricercatori nei laboratori del quinto edificio di Piscina manna a Pula) è impegnata anche in altre ricerche. «Sulle proprietà benefiche dei grassi acidi essenziali "omega tre" contenuti nelle carni dei pesci - spiega il docente universitario - si sa tutto. Noi stiamo cercando di creare integratori speciali che possano essere inseriti all'interno di altri cibi. Questo perché è stato scientificamente dimostrato che i pazienti sono poco disposti ad assumere pillole, anche se non si tratta di farmaci ma soltanto di arricchimenti per compensare meglio la dieta». OMEGA TRE Anche in questo caso le attenzioni dei ricercatori universitari cagliaritani disposti a proporsi al mercato dell'industria internazionale si sono rivolte ai formaggi. «Creare integratori con "omega tre" da inserire nei prodotti caseari - dichiara il professor Sebastiano Banni - è un passo in avanti perché ne facilita l'assunzione da parte soprattutto dei malati anziani». Perché il pasto a base di pillole ipotizzato nei romanzi di fantascienza non incontra il gusto dei pazienti. Meglio il pecorino. Magari propri quello prodotto dagli animali al pascolo. Più buono. Più sano. ___________________________________________________________________ Unione Sarda 2 Dic. ’08 SIEROPOSITIVI A SETTANT'ANNI Cagliari, meno morti ma crescono i casi di Hiv Migliorano i medicinali e migliora la qualità della vita. Però diminuiscono le precauzioni. E i farmaci salvavita fanno illudere qualcuno che la grande paura dell'Aids sia passata. Ma non è vero. di LORENZO PAOLINI Il nonno ha la tosse stizzosa di chi ha fumato tanto, bruciori di stomaco ma nella norma, doloretti d'artrosi. E ha l'Aids. Eppure conta di sopravvivere gagliardamente. Facendo i conti con i suoi settantasette anni, s'intende. Rispetta rigorosamente le consegne, prende i medicinali, fa i controlli, le visite dall'infettivologo e il counseling con lo psicologo casomai ce ne sia bisogno. È incappato nel virus durante un rapporto sessuale non protetto, quando glielo hanno detto sembrava più incredulo che disperato, più perplesso che sconvolto. Poi ha deciso di farsene una ragione e di provare a conviverci. Non è un ragazzino ma gli hanno detto che si può fare. INVECCHIARE Si cresce con l'Aids, appunto. Oggi ce lo si porta dietro, come un ingombrantissimo bagaglio a mano, per un numero di anni su cui si possono fare previsioni, corrette finora sempre al rialzo. Ieri al THotel - nel convegno organizzato dalla Divisione malattie infettive del SS. Trinità di Cagliari, dall'Istituto di malattie infettive dell'Università di Sassari e dall'Associazione dei medici ospedalieri sardi - di parlava di questo. Nuovi medicinali, qualità della vita, dati. Nella giornata mondiale contro l'Aids, un gruppo di medici provava a spiegarlo: chi si infettasse oggi ha in media un'attesa di vita superiore ai trent'anni. E non un'esistenza residuale e teterrima, di quelle che obbligano a riflettere se sia meglio andare o restare. Una vita decorosa, appunto, con una buona qualità e taluni precetti inderogabili da mandare a memoria. «La terapia antiretrovirale - dice Giuseppe Angioni, capo della Divisione cagliaritana - è molto efficace, nascono ogni giorno nuovi farmaci, meno tossici di quelli che vanno a sostituire. Persone sieropositive da più di vent'anni campano e bene». Il timore dei medici è di cavalcare l'onda dell'ottimismo, in sala due genitori di un ragazzino contagiato prendono attentamente appunti. È già successo d'altronde e le statistiche hanno registrato il cambio di atteggiamento. Non si muore più? Crescono i rapporti promiscui e non protetti. Peccato che l'infezione riparta. Francesca Atzeni è un giovane medico di Is Mirrionis. Con un gruppo di colleghi, ha costruito uno studio sul malato tipo di Campidano e dintorni, un identikit aspro e disarmante come sa esserlo la statistica quand'è applicata alla medicina. «Il dramma è che la maggior parte continua a utilizzare il criterio più sciocco per scegliere i partner: se uno, o una, ha l'hiv, me ne accorgo . Oppure ma figurati se questa è ammalata di Aids .E invece magari ce l'ha. Oggi sei infetto e spesso non lo sai. Se hai fatto il test e sei informato, ti stai curando, stai bene, sei in forma. E sei un serbatoio virale. Spesso con la coscienza di te e degli altri. Talvolta no». LA RICONOSCIBILITÀ Democratico e trasversale. Angioni pensa ai palazzi della politica per dare l'idea di un virus che in trent'anni ha messo radici in ogni salotto, buono o no. «Ho pazienti in Consiglio regionale, in Consiglio comunale, qualcuno famoso, professionisti che fanno le visite quando non c'è nessuno perché temono l'identificazione». L'argomento riservatezza, spiegano gli infettivologi, è di quelli che possono mettere in discussione tutto. Per ragioni di famiglia e lavoro, condominio e circolo sportivo. «I test sono gratuiti e anonimi, i dati codici criptati. Quando qualcuno risulta sieropositivo, cerchiamo di convincerlo a parlarne a casa, a far venire i familiari con lui per una visita. Spesso ci riusciamo, talvolta no. E allora che fare? Bisogna dirlo oppure no al coniuge? I genitori devono sapere dei figli?». Il terrore del marchio, oggi come trent'anni fa, fa sì che ci si faccia chiamare anonimo dall'infermiere dell'accettazione. E che in tanti scelgano la via della chirurgia estetica per liberarsi dei segni che paiono più visibili. «Uno degli effetti secondari dei farmaci antiretrovirali è la lipodistrofia - dice Angioni - che asciuga il volto fino a dargli quel senso di smunto così tipico e fa spuntare una sorta di gobba sulla schiena e un salvagente intorno alla pancia». In tanti da Cagliari nell'ultimo periodo sono partiti per Modena (centro all'avanguardia) dove hanno prenotato un folto carnet di interventi: si fanno riempire le rughe scavate nel viso, il grasso aspirato dall'addome viene iniettato nella fronte, i fianchi si assottigliano. LE ONDATE Paolo Emilio Manconi, immunologo di fama e direttore di Medicina interna II al Policlinico di Monserrato, ha una sua esemplificazione quasi grafica e plastica della malattia. «Anni '80, i tossici. Anni '90, le fidanzate dei tossici. Oggi, tutti quelli che hanno rapporti promiscui non protetti». L'argomento del preservativo resta uno snodo. «Etero o gay, giovanissimi o di mezza età, in troppi volano alto, sottovalutano, dimenticano. Non lo si dice abbastanza: i retrovirali non sono rose e fiori, oggi si sopravvive ma questi medicinali non sono propriamente un sorso d'acqua fresca. E non c'è nulla, ma proprio nulla, che ti tolga l'Aids». Eppure la corda della sorveglianza talora si allenta, le difese traballano. «Tempo fa avevo lanciato un vero e proprio allarme, andavano di moda orge di sesso e droga di ragazzi della Cagliari bene, tutto rigorosamente senza preservativo. Sapete quante di quelle persone oggi sono sieropositive, ammalate? E i giovinotti e le giovinotte che dimenticano farebbero bene a ricordare». Un sospetto che ha anche Angioni: «Temo che a Cagliari in questo momento, specie fra i gay, ci sia qualcuno che sta facendo un gioco sporco. Uno che sa di essere infetto ma non usa precauzioni». Lo dicono i numeri, piccoli ma significativi: i sieropositivi aumentano. E pazienza se il virus indossa giacca di buon taglio e scarpe a tiratura limitata: infetta lo stesso.