RASSEGNA 22 FEBBRAIO 2009 LE CAUSE DELL’INARRESTABILE DECLINO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA - DDL BRUNETTA CALA LA SCURE SUGLI ATENEI SPENDACCIONI - I RETTORI RIPENSANO LA GOVERNANCE - I DEMERITI DELL'INUTILE LITURGIA DEL MERITO - MENO ISCRITTI ALL'UNIVERSITÀ: IL VERO SEGNALE DEL DECLINO - ORA I PROF POSSONO RESTARE IN CATTEDRA - EFFETTO BRUNETTA: PIÙ VISITE FISCALI E I LAVORATORI SI AMMALANO MENO - HARVARD OCCUPATA STUDENTI VS OBAMA «RUBA I NOSTRI PROF - OBAMA SCOMMETTE SULLA RICERCA - LE SFUMATURE NEI COLORI E NELL’ANIMA - UNIVERSITÀ TRA GADGET E BRAND - LA RICERCA A CACCIA DI GIOVANI - IL PESO DELLE OLIGARCHIE - ITALIA PIÙ ALL'OBIETTIVO KYOTO - KYOTO, LE AZIENDE BATTONO LA POLITICA - L'ENERGIA CHE VIENE DAL BATTERIO - ARPAIA RACCONTA LA. BELLEZZA DELLE EQUAZIONI - ======================================================= MEDICI, SI PREPARA LA DEREGULATION DELL'«INTRAMOENIA» - L'OSPEDALE A CASA TUA - CURE DOMICILIARI: NON A TUTTI E NON PER TUTTI UGUALE - EPILESSIA, IL CERVELLO SENTE LA MUSICA - GOOGLE: ONLINE LA CARTELLA MEDICA - BELLEZZA: IL GENE CHE COMBATTE LE RUGHE - LA SORDITÀ HA I GENI CONTATI - CARIE ADDIO: DENTI LISCI COME UN CHIP E I BATTERI SCIVOLANO VIA - TENDINITE, NIENTE PIÙ BISTURI ORA LA CURA È NEL "SUPERSANGUE" - E SEMPRE GRANDE L'ENTUSIASMO DEI RICATORL PER I MISTERI DELL'ENDOTELINA - PASSA DALL'OMBELICO LA NUOVA CHIRURGIA SENZA CICATRICI E PRIVA DI TRAUMI - STRESS E SCLEROSI, LE SFIDE DELL' OMEOPATIA - ======================================================= ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 feb. ’09 LE CAUSE DELL’INARRESTABILE DECLINO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA di Manlio Brigaglia Mentre ancora in Italia si sprecano tante parole sull’Università, ecco che arrivano i fatti. Ma una classifica è un fatto o sono soltanto parole? Quando la classifica è fatta da una istituzione di valutazione tra le più prestigiose del mondo, allora questa classifica - la World University Rankings 2008, cioè la graduatoria di tutte le università del mondo - non è né parole né numeri: è fatti. E i fatti, per quanto riguarda l’Italia, sono tre: uno, nelle 400 Università migliori del mondo, italiane ce ne sono soltanto sette; due, le Università italiane hanno perduto, in questa classifica, qualcosa come venti posti, o giù di lì, rispetto all’anno scorso; tre, la migliore Università italiana è al 192º posto, pronta a uscire dalla speciale classifica delle Top 200. E’ l’Università di Bologna, e chi fa l’infausta l’infausta profezia è il suo stesso rettore, Ugo Calzolari, pronto a riconoscere cavallerescamente che forse il ranking sarebbe ancora più basso se l’istituzione universitaria di Bologna la Dotta non godesse di una fama quasi millenaria. Detto rapidamente che tra le prime dieci sei sono Università americane, quattro inglesi, le Università italiane che hanno avuto comunque l’onore di essere incluse nella classifica sono, oltre Bologna, in ordine La Sapienza, il Politecnico di Milano, poi Padova, Pisa, Firenze e la Federico II di Napoli. Tra le prime quattro assolute ci sono le tre Università che vengono considerate, per fama mondiale, le migliori del mondo: Harvard, Cambridge e Oxford (ce n’è un’altra americana, Yale, al secondo posto). Sbrighiamo subito l’obiezione che si portano sempre appresso le classifiche di qualunque tipo: chi le ha fatte, in base a quali criteri sono state stilate. Chi le ha fatte sono 8700 addetti ai lavori, di crediti ineccepibili; i parametri giocano molto a sfavore delle Università italiane, ma hanno una loro ragionevolezza assoluta: la qualità della ricerca e il numero di volte che ogni ricerca è citata nei lavori degli specialisti della disciplina, quanti studenti trovano lavoro dopo la laurea, com’è il rapporto numerico fra docenti e studenti, quanti professori e studenti stranieri ci sono in ogni Università. Sono tutti criteri che ci si rivoltano contro. Il declino dell’Università italiana ha tre cause principali: troppi sprechi, troppi baroni, pochi soldi. Gli sprechi nascono da una cattiva organizzazione degli studi e del lavoro, spesso funzionale al comodo mantemimento dell’esistente; il potere dei baroni impedisce la selezione per merito, o come minimo la limita a casi irrefutabili; i pochi soldi impediscono di fare ricerca, e comunque di farla con la disponibilità di mezzi e la tranquillità sul lavoro che è necessaria. Se dovessimo decidere di attaccare la situazione per cambiarla, da dove bisogna cominciare? In realtà, le tre cause malformanti stanno sullo stesso livello. Delle tre, poi, quella del potere baronale sembra la più difficile da estirpare, quella del deficit di organizzazione che si traduce in mille piccoli e grandi sprechi la più subdola, perché è insita nella stessa legislazione perfino più che nella cattiva volontà degli uomini, quella della ricerca la meno solubile in un momento di triste congiuntura come quello che stiamo vivendo. Se Tremonti dice alla Gelmini che non ci sono soldi per la ricerca, e la Gelmini lo dice ai rettori, e i rettori ai professori, agli studenti, al personale, che cosa si può fare? Si può continuare a ripetere che senza rimettere a posto il sistema istruzione, cioè senza rafforzarlo e soprattutto modernizzarlo, tutto il Paese ne soffrirà, e ne soffrirà non soltanto a breve ma anche nel tempo lungo: nella gradatoria delle Università europee la prima delle italiane (sempre Bologna) è settantottesima e la seconda (ancora La Sapienza) ottantacinquesima. Solo un problema di soldi, allora? No, e per almeno due motivi: il primo è che l’Università aveva già poco da stare allegra anche quando i soldi c’erano (forse non in abbondanza, ma comunque quanti bastavano per sprecarne un bel po’), il secondo è che il problema vero è quello della cultura, cioè del grado di apprezzamento del sapere che c’è in chi governa. E’ possibile che i portatori di una visione consumistica della realtà e della società, in cui il Grande Fratello fa aggio su ogni altra filosofia e alla signora Levi Montalcini toccano le ingiurie dei colleghi senatori, mettano al primo posto, scalzandone il Festival di Sanremo, la cultura, la formazione seria e appassionata dei giovani, il culto del leggere, scrivere e cercare? Qui ci vorrebbe un’allegra digressione su che cosa mettevano i Padri nuragici in quei loro misteriosi magazzini, ma è tempo di piangere: e non solo solo per l’Università. ____________________________________________________________ ItaliaOggi 20 feb. ’09 DDL BRUNETTA CALA LA SCURE SUGLI ATENEI SPENDACCIONI E' finita la pacchia per gli atenei spendaccioni. Che dovranno mettere nn freno alla serie di prepensionamenti a cui avevano dato seguito a partire dall'estate, per fare quadrare i conti. Dopo l’approvazione alla' Camera dell'emendamento al disegno di legge di riforma del pubblico impiego che limita i prepensionamenti obbligati, gli atenei con i bilanci in rosso dovranno trovare qualche altro modo per fare cassa. La norma infatti svuota II provvedimento sui prepensionamenti sostituendo all'anzianità massima contributiva di 40 anni quella massima di servizio effettivo. Un emendamento che di fatto inserisce una modifica al comma 11 dell'articolo 72 della manovra estiva (legge 133/08) che introduceva la possibilità per le pubbliche amministrazioni di disporre, con un preavviso di sei mesi, il pensionamento coatto nel caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente. Il testo prevede invece che affinché se ne possa disporre il pensionamento, non sarà sufficiente il raggiungimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni (compresi quindi gli eventuali anni figurativi e l'eventuale riscatto della laurea), ma bisognerà che sia raggiunta l'anzianità massima di servizio effettivo di 40 anni. Una norma che, in particolare nelle università aveva coinvolto solo i ricercatori essendo i professori universitari esentati (così come i magistrati e le forze di sicurezza). Il risultato é che negli ultimi mesi i rettori di molti atenei poco virtuosi, quelli cioè che sforano il 90°1o del Fondo del finanziamento ordinario per il personale di ruolo, al fine di far quadrare i conti avevano iniziato ad utilizzare al massimo questo strumento. Mandando così anticipatamente in pensione ricercatori che, avendo riscattato gli anni di laurea ed eventuali servizi pre-ruolo, hanno 57-58 anni e risultavano comunque ancora attive sia nella ricerca che nel campo didattico. Ora il testo del provvedimento è tornato a Palazzo Madama, dove le intenzioni sono quelle di farlo uscire blindato senza ulteriori modifiche, per poi proseguire rapidamente l’iter parlamentare. ____________________________________________________________ ItaliaOggi 20 feb. ’09 I RETTORI RIPENSANO LA GOVERNANCE Università: la Crui indica le priorità DI BENEDETl APPACELLI Dottorato di ricerca,ricercatori a tempo determinato, ma soprattutto riforma della governance. La Conferenza dei rettori delle università italiane, riunita ieri a Roma, si interroga su alcuni dei nodi irrisolti del sistema universitario. E, prendendo lo spunto anche dalle linee guida approvate dal ministro dell’università Mariastella Gelmini, tenta di tracciare una rotta, indicando la lista delle priorità. La prima è una riorganizzazione della governance delle università. Che non può che passare attraverso una revisione dei loro organi di vertice. Senato accademico e Consiglio di amministrazione, quindi secondo i rettori dovranno avere compiti distinti: al primo funzioni di rappresentanza della comunità accademica, di indirizzo coordinamento e valorizzazione nel complesso delle attività scientifiche e didattiche oltre che di rappresentanza della comunità accademica. AL secondo, invece, compiti di programmazione amministrativa, finanziaria e patrimoniale ma anche decisioni sull'attivazione o meno dei corsi di studio. Il tutto accompagnato da una decisa sforbiciata dei loro membri. Se infatti, la composizione del senato accademico, potrà rimanere simile all'attuale, la sua numerosità non potrà superare il numero di 30 componenti (ora sono 40) mentre per il senato la quota massima è di 9-10 persone contro le venti attuali. C'è poi il capitolo del dottorato. La strada, per la Crui, potrebbe essere quella di andare verso scuole strutturate e non più corsi parcellizzati, istituite singolarmente ma anche in consorzio tra più sedi universitarie a livello regionale o nazionale. Ognuna di queste per esistere, poi, dovrà essere accreditata da un'Agenzia di valutazione. E poi per rendere più appetibile il dottorato è necessario prevedere "un riconoscimento significativo del titolo di dottore per le professioni cui si accede per concorso pubblico. Meno decisa invece la strada per i ricercatori a tempo determinato su cui la Crui ipotizza due strade: la posizione di ricercatore di tipo junior riservata a giovani appena usciti dal dottorato e della durata di 3 anni rinnovabile fino ad altri 3. In alternativa il ricercatore di tipo senior o, come accade già all'estero, di tenure track. Una strada questa che porterebbe verso la carriera di associato. ____________________________________________________________ Il Riformista 17 feb. ’09 I DEMERITI DELL'INUTILE LITURGIA DEL MERITO di Pier Luigi Colli L'abuso delle parole è un delitto che andrebbe sanzionato pubblicamente prima di legittimarne, anche indirettamente, la pratica. Merito e carriera rientrano, in questa prospettiva, nel novero delle parole abusate, in via di svuotamento. Si tratta, infatti, di termini che, in assenza di una riflessione meno liturgica c rituale di quella a cui sono sottoposti, alla lunga hanno consolidato degli stereotipi: col risultato di farli giocare, nell'immaginario, a detrimento del senso originario delle parole stesse. Se chiediamo a un ragazzo che, dalla sponda universitaria, guarda il versante del lavoro e dell'impiego, quanto lo aiuterà l'essere bravo a far carriera, è probabile che ci risponda che si sentirebbe più tranquillo con una buona raccomandazione, visto come vanno le cose in questo Paese. A meno di non voler subito emigrare, la probabilità di occuparsi bene sulla base del curriculum, o dei meriti scolastici, piuttosto che aumentare sembra infatti ridursi. E le modalità di svolgimento della crisi in atto, col massiccio recupero di terreni di espansione del pubblico sul privato, con tutte le derivate immaginabili, non sembra aiutare un cambio di orientamento. Tanto più perché la questione del merito, posta semplicisticamente sul piano della strumentazione da adottare per favorirlo, sembra concentrata su soluzioni che non hanno alcuna attinenza con (né incidono sui) "modelli" culturali che, dall'alto, inducono invece verso schemi comportamentali totalmente "altri". L'errore di messa a fuoco non è banale. Una visione largamente tecnocratica sembra voler affidare alla bontà e alla sensatezza degli strumenti adottati (test, valutazioni, gruppi di esperti, benefits mirati ...)l'obiettivo di garantire il risultato, trascurando gran parte delle variabili che orientano da troppo tempo in tutt'altra direzione. Come se, considerando in astratto la valutazione di merito un valore oggettivo nella selezione delle persone da collocare nei percorsi di assunzione e di sviluppo di carriera, fosse poi di per sé sufficiente affidarsi all'adozione di idonee misure di monitoraggio, e di semplice filtro dal basso, per affermarlo. Siccome è abbastanza chiaro a tutti che le cose non stanno proprio così, si pensa di fare ricorso a modelli che hanno funzionato altrove (in genere in culture anglosassoni) per suggerire che, in fondo, è solo una questione di "buon metodo": noi ci arriviamo in ritardo ma, con un po' di buona volontà e con qualche giusta consulenza, alla fine ce la faremo anche noi. È singolare la tenacia con cui, parlando per paradigmi ed evocando best pratice, si possa esorcizzare il problema di fondo: che è quello di come sia possibile cambiare una cultura radicata e legittimata da decenni, che alimenta comportamenti largamente avversi. Risulta difficile immaginare che, in un contesto in cui, dall'alto e nei processi pubblici di movimentazione delle risorse, i criteri adottati sono, nella quasi generalità, basati su scelte di altro segno rispetto al merito, possa rendersi credibile la mozione a favorire schemi meritocratici, seppure collaudati scientificamente. C'è una tale sfasatura tra comportamenti pubblici e richiami rituali a valori generalmente disattesi, che non è difficile rendersi conto come, ancorché di disorientamento, si debba più propriamente parlare di convalida, anche indiretta, di prassi del tutto divergenti. E del resto è abbastanza naturale riuscire a comprendere che se i comportamenti sanzionati positivamente sono quelli che si adeguano a logiche di appartenenza o di tipo familistico, le teste prima o poi inglobano il modello, lo fanno proprio, e tenderanno a riprodurlo nelle proprie assunzioni operative. Ora è chiaro che il problema non si risolve semplicemente constatando che la sola insistenza sulla strumentazione non offre di per sé una via di uscita reale. Gli strumenti individuati, da varie parti e in più occasioni, hanno certamente una loro dignità c anche una loro efficacia: aiutano a rendere più seri e misurabili, ad esempio, i processi di formazione e anche quelli di selezione, là dove i risultati e le performance possono contribuire a formulare giudizi di qualità (e a valutare assunzioni di responsabilità) nell'azione professionale di singoli o gruppi. Ma non credo sia eludibile la questione del modello culturale in cui iscriverli: e questo chiama direttamente in causa chi è in posizione di potere e le caratteristiche con cui, dall'alto, vengono selezionati e promossi quelli che occupano posizioni di rilievo. Tl merito si giudica in alto prima che abbia senso esigerlo in basso. Ed è questo lo schema in grado di "fare scuola", con la conseguenza che il valore dell'esempio incide molto più di ogni perorazione. Uscire dalla liturgia, così, significa chiamare in causa attori ben diversi da quelli abitualmente indicati come responsabili del disastro di efficienza e di credibilità di alcune istituzioni: scuola e università in primis. Nel senso, soprattutto, che bisognerebbe avere il coraggio di indicare da dove nasce 1a loro propensione a mal funzionare, chi l'ha legittimata per decenni, chi la usa, impropriamente, per adottare altri criteri di promozione. Corporazioni, connivenze, interessi settoriali e derive relazionali, compongono un cocktail velenoso che intossica 1a vita sociale del Paese, rendendo del tutto aleatorio parlare di buoni strumenti quando sono largamente assenti ragionevoli impegni sui fini. Così che la credibilità degli stessi che offrono esempi divergenti, rispetto alle petizioni di principio, è più che compromessa. Lo slittamento semantico prodotto in una terminologia logorata dal cattivo uso, ha indotto, progressivamente, a confondere, ad esempio, meriti con successo. E dal momento che al successo si può arrivare in tanti modi, spesso puntando ossessivamente sulla sua rappresentazione, non é poi casuale che molti ritengano giustificato cercare scorciatoie che possono legittimare, a posteriori, meriti presunti, sulla base delle posizioni comunque raggiunte. La dose di ipocrisia immessa nei circuiti di fori-nazione sociale da una classe dirigente spesso senza il senso della vergogna, ha attutito pesantemente la sensibilità verso la degenerazione del sistema, dando spazio, in questo campo, ai venditori di ricette che guardano ai sintomi e non hanno il coraggio di nominare i mali. Nascondere le cause, prendendosela con gli effetti, è pratica antica quando non si vuole cambiare veramente. E in questa prospettiva non c'è alcun merito a predicare "il verbo" senza rendere pubblici nomi e meccanismi di ehi, svuotando le parole, si garantisce lo spazio per continuare a prosperare. Servirebbe, questa si, tornare a essere seri e a richiamare la drammatica mancanza di maestri: quelli che le parole le usano per fare cose e non per celebrare i miti di moda. Così come le mode non producono maestri. Mentre dei cloni ne abbiamo, francamente, così tanti che, alle volte, per dirla con Bernard Show, «ci servirebbe un pazzo, visto dove ci hanno condotto i savi». Ora i buoni maestri non sono quasi più di moda. ____________________________________________________________ Il Riformista 17 feb. ’09 MENO ISCRITTI ALL'UNIVERSITÀ: IL VERO SEGNALE DEL DECLINO di Irene Tinagli Ai tanti dati segno negativo di questi ultimi tempi se n’e’ aggiunto un altro: il calo delle immatricolazioni universitarie. Un dato che forse fa meno notizia di un calo del Mibtel, dell'occupazione o dei prezzi delle case, ma che dà indicazioni molto preoccupanti sulla situazione in cui versa il nostro Paese e soprattutto sulle sue prospettive. Secondo i dati recentemente diffusi dal ministero della Università gli iscritti nell'anno 2008-2009 sono diminuiti del 3,3 per cento rispetto all'anno precedente, il 4,4 per cento in meno rispetto a due fa e quasi l’8 per cento rispetto al 2003. Insomma, un trend che va avanti da anni e che si sta rapidamente aggravando. Al di 1à dei soliti commenti sul fallimento della riforma del 2001, questo dato ci dice due cose. Innanzitutto ci mostra che negli ultimi quindici anni mentre l'economia globale é diventata più esigente in termini di competenze e mentre molti paesi hanno quasi raddoppiato il livello di istruzione della popolazione, l'Italia é rimasta pressoché ferma. Seconda cosa, ci dice che gli italiani non credono che questa tendenza si invertirà, non credono che l'economia e il mercato del lavoro in Italia si qualificheranno. Quando c'è crisi nel mercato del lavoro per un diplomato dovrebbe essere più conveniente andare all'università che cercare lavoro: si tira fuori dal mercato quando é debole e vi rientra più formato quando questo ricomincia a crescere, ristrutturato e più esigente. IL fatto che in Italia osserviamo il contrario ci dice sostanzialmente che gli italiani non hanno fiducia nella capacità di rinnovamento e riqualificazione del nostro mercato del lavoro. Questo fenomeno preoccupa perché avrà ripercussioni negative sulla capacità innovativa del nostro Paese e sulla mobilità sociale, le due debolezze principali del nostro sistema socio-economico. È noto infatti che i primi a uscire o a non entrare nel sistema scolastico e universitario sono i giovani provenienti dai ceti medio-bassi, che non possono permettersi di investire anni importanti (gli anni della formazione professionale, in cui si può imparare un mestiere) in percorsi universitari che funzionano sempre meno ascensori sociali. Non è un caso se, all'interno del dato nazionale sul calo degli immatricolati, si vedono enormi differenze tra atenei del Nord, che tengono bene (con Milano che vede un complessivo balzo in avanti) e atenei del Centro-Sud che subiscono i cali maggiori. Ecco, questi sono i dati a cui dovremmo pensare quando vediamo le posizioni disastrose dell'Italia nelle classifiche sulla competitività, non all’Ici o all'imposta di successione. Qualsiasi pacchetto o intervento "anticrisi" dovrebbe affrontare in modo serio questo problema ormai strutturale dell'Italia. Un problema che con 1a crisi non farà altro che aggravarsi. Questo non significa investire in chissà quali alte tecnologie o presunti centri di eccellenza che producano qualche brevetto, ma in massicci interventi che aiutino i tanti ragazzi che a malapena finiscono le scuole dell'obbligo a completare le scuole superiori, e magari 1i portino all'università, e che riportino sui banchi di scuola o all'interno di percorsi formativi adeguati le migliaia di lavoratori scarsamente qualificati che corrono i maggiori rischi di povertà e disoccupazione. Purtroppo non si vede niente di tutto questo. Si parla di incentivi per le lavatrici, i mobili, le ristrutturazioni e le auto, evocando spesso i massicci aiuti varati dal nuovo governo americano. Ma curiosamente ci si scorda che il pacchetto anticrisi di Obama non dispensa solo aiuti a grandi banche e aziende, ma include anche il più grande aumento di spesa in istruzione mai visto in America. IL budget del dipartimento per l'Educazione è passato dai 60 miliardi di dollari del 2008 a 135 miliardi di dollari per il 2009 e circa 146 miliardi per il2010. Altri 20 miliardi di dollari saranno allocati ad agenzie federali per supportare programmi collegati all'istruzione. Il provvedimento è molto variegato, include fondi per l'edilizia scolastica., borse di studio (quasi raddoppiate) e una serie misure per sostenere il mercato dei prestiti studenteschi. Si può discutere sui metodi e i criteri di distribuzione di tali fondi, ma quello che l'Amministrazione Obama sta dando é un segnale molto forte sull'importanza dell'istruzione, sulla volontà di investire nel futuro del Paese, e di fare sì che l'America, nonostante i suoi mille difetti, possa continuare a essere (o tornare a essere) un Paese in cui anche ehi nasce in contesti meno favorevoli possa accedere alle risorse necessarie per crescere e realizzarsi. ____________________________________________________________ Panorama 26 feb. ’09 ORA I PROF POSSONO RESTARE IN CATTEDRA GRAZIE a un emendamento, è stata cancellata la norma che portava al pensionamento d'ufficio nel pubblico impiego. Anche «Panorama » ha un po' di merito. di GIULIANO [AZZQLA* Complimenti, direttore. Panorama e lei avete contribuito a liberare il sistema pensionistico del pubblico impiego di una norma «stupida»: quella (comma 11 dell'articolo 72 del decreto legge n. 112, la manovra preestiva del ministro Giulio Tremonti) che consentiva alle amministrazioni di mandare in pensione d'ufficio, solo con un preavviso di sei mesi, i dipendenti al compimento di 40 anni di anzianità contributiva. Mercoledì 11 febbraio la Camera, durante l'esame del disegno di legge Brunetta (il ministro ha conseguito un ulteriore successo) sulla riforma del pubblico impiego, ha approvato, con l'indispensabile aiuto di alcuni deputati della maggioranza i cui nominativi risultano agli atti, essendo la votazione palese, un emendamento del Pd che ha aggiunto alle parole «anzianità contributiva» l'aggettivo «effettiva». La modifica è tanto rilevante che, in pratica, la norma è diventata inefficace, in quanto dal computo dei 40 anni dovranno essere sottratti non solo i contributi da riscatto (il periodo di laurea, per esempio), ma anche quelli figurativi, come il servizio militare, l'astensione obbligatoria per maternità e quant'altro. Come lei ricorderà, nella mia lettera a Panorama annunciavo che avrei presentato, a scalare, tre emendamenti alla norma tanto criticata: il primo avrebbe riguardato la facoltà del lavoratore di rimanere, a sua richiesta, in servizio fino al raggiungimento dell'età legale di vecchiaia; il secondo sarebbe stato identico a quello che poi è passato; il terzo, quello che maggiormente sì faceva carico delle esigenze di svecchiamento e dì riduzione degli organici pubblici, avrebbe previsto che la norma fosse operante e applicabile limitatamente al prossimo triennio. Fra alterne vicende e colpi di scena quest'ultimo emendamento (che, lo ripeto, prefigurava una scadenza al 3ldicembre 2011 della norma sul pensionamento d'ufficio) era stato persino accolto dalle commissioni e dal governo e quindi approvato dalla Camera dei deputati. Poi è arrivata la «tempesta perfetta» dell'anzianità effettiva. La cosa non è senza problemi, perché, si pensi alla scuola, il governo ha effettivamente bisogno di ridurre il personale. Ma quando l'approccio è sbagliato (quello del succitato comma 11 dell'articolo 72 lo è certamente) è assai difficile trovare rimedi adeguati e tali da non creare problemi. Tanto più che il comma 11 non è la sola norma «stupida» (di cui Renato Brunetta non porta alcuna responsabilità). Si pensi che al comma 1 del medesimo articolo è previsto uno scivolo di un quinquennio per i dipendenti pubblici (con l'eccezione di quelli della sanità) che, maturati 35 anni di servizio, chiedono di ritirarsi dal lavoro. A costoro è pure riconosciuta, per tutto il periodo che li separa dai 40 anni di anzianità, la corresponsione del 50 per cento dello stipendio, che sale al 70 per cento se essi effettuano attività di volontariato. ______________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 17 feb. ’09 EFFETTO BRUNETTA: PIÙ VISITE FISCALI E I LAVORATORI SI AMMALANO MENO La riforma. Aumentano i giri per i medici: controlli a domicilio anche per chi si assenta un solo giorno I dipendenti pubblici si ammalano di meno. Eppure, aumenta il numero di visite che i medici fiscali devono fare ogni giorno. È l'effetto della riforma Brunetta che si fa sentire anche negli uffici cagliaritani. Tra le categorie più "assenteiste" si trovano gli insegnanti, i dipendenti del tribunale e il personale che opera nella cittadella finanziaria. I LSI L I però sono troppo difficili da individuare. Lo assicura chi, ogni giorno, gira di casa in casa per verificare il reale stato di malessere dei lavoratori: «Un dipendente pubblico che sta a casa - spiega il portavoce dei medici fiscali Cesare edda- di solito possiede già un certificato medico. Si dovrebbe quindi verificare se chi dice di stare male prenda davveroi farmaci prescritti. Però è un discorso troppo difficile, basti pensare al caso del mal di testa per cui è impossibile dire che una persona sta fingendo, sempre che non lo si trovi in situazioni particolari, come in camere ad ascoltare musica a volumi altissimi». Un evento, quello di trovarsi davanti una persona che finge palesemente, che ancora nonè capitato ai medici cagliaritani. Nonostante il forte aumento del numero di pazienti visitati. «Le visite si sono ridotte- ha precisato edda- perchè ci sono state meno assenze per malattia, il calo è stato significativo. Ma noi medici fiscali facciamo più visite, perchè adesso dobbiamo andare a controllare anche chi ha chiesto di assentarsi per un solo giorno, mentre prima questo non accadeva». quindi, nel periodo preBrunetta c'era un numero maggiore di assenze per malattia. Ma questa diminuzione non si è tradotto in un minore lavoro per i medici fiscali. Che anzi si sono trovati a dover fare ancora più giri per visitare anche chi ha chiesto il permesso solo per una giornata. Magari proprio per un mal di testa improvviso. Però, a rendere meno attrattivo il ruolo del malato immaginario, c'è il fatto che, con l'ondata Brunetta, i dipendenti devono restare a casa tutto il giorno in attesa della visita del medico fiscale. Che, prima della riforma, poteva arrivare a controllare dalle alle e dalle alle . Adesso invece l'ora "d'aria" si è ridotta solo dalle alle . «Ritengo però che sia sbagliato- ha commentato edda - permettere che le persone escano di casa solo in quell'orario. Perchè in questo modo non possono neppure andare in farmacia per prendere le medicine». Tra le categorie di lavoratori pubblici che impegnano di più i medici fiscali «ci sono gli insegnanti. Ma non solo: riceviamo numerosissime chiamate anche per visitare i dipendenti del tribunale e per quelli della cittadella finanziaria». Anche se si assentano per un solo giorno. Il dato l unto dodici del documento perso la riduzione « Dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare l assenza dovrà essere giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica. Si potranno inoltre disporre visite di controllo dalle alle e dalle 4 alle 20 anche nei giorni festivi». _______________________________________________ LA STAMPA 21 feb. ’09 HARVARD OCCUPATA STUDENTI VS OBAMA «RUBA I NOSTRI PROF» Harvard, studenti in rivolta (foto). Un esodo di luminari verso la Casa Bianca ha scatenato proteste tra gli allievi che si sentono derubati di una parte importante della costosa esperienza accademica. Da quando Obama si é insediato 4 docenti hanno lasciato la Kennedy school of government, causando la cancellazione di 3 corsi. ________________________________________________ Libero Mercato 21 feb. ’09 OBAMA SCOMMETTE SULLA RICERCA L'analisi della Rand di LORENZO VALERI * Il piano anti-crisi di Obama è' stato approvato dal Congresso anche se già si sono levati diversi scetticismi sui suoi effetti macroeconomici nel medio e lungo termine. Secondo il Congressional Budget Office, questi interventi faranno crescere il Pil tra il 1.4% e il 3.8% nel 2009 e tra il 1.1 % ed il3.3% ne12010 creando nel contempo 4 milioni di posti di lavoro. Questi valori potrebbero anche essere rivisti al rialzo nel caso di una rapida partenza dei cantieri per l'edilizia scolastica e perle infrastrutture. Dal 2011 gli effetti positivi dovrebbero attenuarsi visto che il crescente debito pubblico renderà più convenienti agli investitori privati il debito US creando un effetto crowdingoute, soprattutto, richiederà un probabile ritorno verso un maggiore rigore fiscale e una political monetaria più restrittiva. In quel momento, tuttavia, la locomotiva statunitense dovrebbe essersi ripresa ed essere capace di correre da sola senza ulteriori aiuti di stato. Un lettura attenta della boccata d'ossigeno all'economia statunitense, in ogni caso, dimostra come Barak Obama non abbia pensato solo al presente avendo deciso di destinare ulteriori 11 miliardi di dollari alla ricerca. È come se il presidente, almeno in questo specifico ambito, abbia voluto proseguire la strada intrapresa dalla precedente amministrazione che ne120061anciò l’American Competiveness Initiative. Alfine di preservare la leadership scientifica del Paese, si decise di aumentare i fondi perla ricerca di base con particolare attenzione alla medicina, alle energie alternative e alle nanotecnologie. Gli effetti, almeno in termini monetari, si sono visti. Nel 2008, il budget federale per la ricerca è stato di 147 miliardi di dollari, il 61 % in piu'rispetto al2001. La metà di questi fondi è stato destinato alle organizzazioni chiave per la ricerca come la National Science Foundation, la Nasa e il National Institute for Health. Si è anche puntato ad correggere il trend negativo di ricercatori e studenti universitari di materie scientifiche visto che, secondo l'Ocse, nel 2005 solo il 15% dei laureati statunitensi aveva conseguito un diploma universitario scientifico rispetto al 25% in Giappone e al 40% in Corea del Sud e Cina. Partendo già da un'ottima base se paragonata alla situazione europea, nel suo piano anticrisi Barak Obama ha assegnato alla National Science FoundQtion e alla Nasa altri 1.2 miliardi di dollari ciascuno. La prima, con un ricco bilancio di partenza di circa 6 miliardi di dollari, utilizzerà i fondi per finanziare nuovi progetti di ricerca nella matematica, nell'informatica e nelle scienze sociali. La Nasa, invece, potenzierà principalmente la sua partecipazione nel programma della Internatìonal Space Station e continuerà a gestire l'era post-Shuttle. Un'altra organizzazione che beneficia del piano anti-crisi con 250 milioni di dollari è il National Institute for Standard and Technology (Nist), l'organismo federale con compiti di standardizzazione ma anche di ricerca di base. Nel campo delle energie alternative sono stati assegnati ai laboratori di ricerca del Dipartimento dell'Energia altri 4.6 miliardi di dollari. A tutto questo bisogna aggiungere gli altri 2 miliardi di dollari per National Institute of Health, uno dei principali motori della ricerca medica al mondo. Anche in periodo di crisi per Obama la ricerca rimane una priorità. Ma questi interventi vogliono essere anche un segnale forte agli imprenditori che, sebbene sotto forte pressione, devono pensare a mantenere la propria competitività tecnologica nel lungo termine. Infondo, sono stati proprio loro che nel 2007, quando ancora i segnali dell'attuale crisi economica erano deboli, hanno speso circa 208 miliardi di dollari in ricerca applicata facendo degli Stati Uniti un leader mondiale nell'innovazione. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 feb. ’09 LE SFUMATURE NEI COLORI E NELL’ANIMA di Paolo Pani* I colori esprimono le nostre emozioni, ma, contemporaneamente, ne sono anche strumento attivo. È quanto possiamo verificare nella storia dell’arte e nei comportamenti dell’uomo. I colori sono stati sempre associati alla linea, in un continuo confronto, spesso d’alterna prevalenza. In un periodo che in Occidente, a grandi linee (forse grossolanamente), potremmo definire "classico", dalla Grecia al rinascimento, ha prevalso largamente la linea, la razionalità contro le emozioni: è il pericolo che avverte il neuroscienziato Antonio Damasio come "errore di Cartesio", in altri termini l’impraticabilità esistenziale e biologica della sola ragione se non associata alle emozioni. Nel periodo "classico" la linea obbliga i colori entro confini ben netti, ad esclusivo supporto della stessa linea, le emozioni entro i rigidi limiti ben definiti dalla razionalità. È la filosofia greca di Platone a dettare le regole. La stessa separazione e discrezionalità, linea-colori, è evidente in altre manifestazioni artistiche, nelle rappresentazioni teatrali fra palcoscenico e pubblico, nelle stesse rappresentazioni musicali, fra orchestra e pubblico, quasi a tener lontana la partecipazione emotiva degli spettatori, nella discrezionalità dei rispettivi ruoli. La città è, anch’essa, immaginata, oltre la realtà, come "città ideale", d’ordine (possono essere ricordati i molti riferimenti letterari), oltre la complessità emotiva delle sue stratificazioni sociali. Nelle arti visive, nella pittura, il prodotto artistico è rinchiuso nella cornice a segnare una rigida cesura fra l’opera stessa e l’ambiente dell’osservatore. Non sarà sempre così. Il colore irrompe quasi con prepotenza nella linearità rinascimentale, è alle origini il manierismo (è lo stesso Michelangelo a segnare il passaggio), quindi il barocco: è l’inizio della modernità e della sua complessità emotiva. Le opere urbanistiche escono dal loro isolamento e discrezionalità per dare un valore alle stesse contraddizioni della città, la linea curva attenua la rigidità della linea retta. Succede nonostante i nostalgici e frequenti ritorni al classicismo e alla sua rigida e lineare razionalità. Sono le arti visive, con l’irruzione del colore, a segnare il passo e a dettare nuove regole, a rompere l’egemonia della linea. Con il barocco nasce la scenografia moderna, un ambiente immaginato per assecondare lo stato emotivo dello spettatore e rompere la discontinuità fra pubblico e rappresentazione. Nelle "moderne" arti visive è continuo sconvolgimento della linearità della rappresentazione figurativa. Nella più recente modernità, sul piano della teoria, è forse il surrealismo a decretare la fine del classicismo. Per Breton, «la conoscenza scientifica della natura (della nostra razionalità) non può avere alcun pregio a meno che non possa essere ristabilito il contatto con la natura attraverso le vie poetiche e, oserò dire, mitiche (delle nostre emotività esistenziali)». Con l’avvento del nazifascismo, il surrealismo si trasferisce in America, sarà determinante per l’arte moderna statunitense, che esce definitivamente dal suo dignitoso provincialismo per affermarsi con prepotenza sul piano internazionale. È ancora il colore a uscire definitivamente dalle sue chiudende, è "l’espressionismo astratto" nelle sue diverse forme, dalla grande e dirompente energia artistica ed emotiva di Jackson Pollock, al modo più contenuto, quasi rinascimentale, nella composizione dei colori di Mark Rothko. Praticamente scompare la cornice fino ai suoi limiti estremi, dei graffiti dell’afro- americano Jean-Michel Basquiat, il gergo artistico e popolare delle strade di New York. È il gran contributo d’originalità dell’America all’arte occidentale, espressione delle "libertà americane", del suo pragmatismo che si confronta con la "cultura alta" dell’Occidente europeo. All’espressionismo astratto si associa, anch’esso in modo del tutto originale, un altro grande evento americano (afro-americano), l’affermazione del jazz. Nasce come puro stato emotivo, dai postriboli di New Orleans e dai tamburi africani. Rompe la tradizione classica della musica occidentale, è continua improvvisazione, al suo interno e con il suo pubblico, esce dalle sue originarie radici afro-americane per diventare, a pieno titolo, cultura occidentale, insieme non solo popolare ma anche, nella sua specificità, cultura musicale dotta. È evento musicale, ma non solo. Scombina le tradizioni, rompe la discontinuità fra pubblico e rappresentazione artistica, libera gli stati emotivi di quanti partecipano all’evento, in evidente sintonia con le arti visive dell’espressionismo astratto. *Università di Cagliari ______________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’09 UNIVERSITÀ TRA GADGET E BRAND (c.d.c.) L' università si fa il brand. Felpe, magliette, chiavette usb, tazze da caffè oltre agli immancabili strumenti di lavoro. L' ultima frontiera degli atenei italiani sembra essere il merchandising. Perché se al di là dell' oceano cappelli e t-shirt «firmati» Harvard e Oxford sono ormai un «must», da noi la moda universitaria sta cominciato a muovere i primi passi. La Luiss Guido Carli ad esempio, ha da poco creato una collezione comprendente più linee di abbigliamento dedicate al tempo libero. Rigorosamente con marchio «Luiss». Tra i modelli, persino polo «vintage» che tutte le matricole possono comprare da internet. Anche un ateneo storico come quello della Sapienza di Roma ha realizzato un progetto merchandising «pensato per sottolineare il senso di appartenenza alla comunità universitaria di studenti, docenti e personale», si legge in una nota dell' ateneo. In questo caso sono stati coinvolti persino giovani designer dell' università, che hanno realizzato una vera e propria collezione chiamata Urban Student' s Collection. I prodotti? Si va dal kit per gli studenti con pen drive, agenda, quaderno e portapenne con logo Sapienza, fino alle «classiche giacche e felpe. Non mancano gli articoli rivolti ai professori con tanto di foulard in seta e cravatte. Il tutto racchiuso in tre collezioni. Che arrivino o no sulle passerelle della moda, il successo, almeno tra i ragazzi, è assicurato. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 20 feb. ’09 LA RICERCA A CACCIA DI GIOVANI I numeri Assunzioni e borse di studio. E il Miur mette sul piatto 50 milioni Le chance in Procter&Gamble, Aboca e Montana Tra le lauree più gettonate Ingegneria, Chimica e Farmacia Con possibilità di percorsi internazionali Sottovalutati dal mondo accademico e bistrattati molto spesso anche nel lavoro, è un momento in cui per i giovani ricercatori italiani si moltiplicano le possibilità. A partire dal ministero dell' istruzione fino ad arrivare alle aziende che, in alcuni settori particolari, investono in ricerca fior di quattrini. È il caso della Procter&Gamble, 3.500 dipendenti e otto mila ricercatori in Europa, che ogni anno mette sul piatto circa due miliardi di dollari in ricerca e sviluppo a fronte di un fatturato annuo di 83,5 miliardi di dollari. Il colosso dei prodotti di consumo cerca nel nostro Paese ingegneri chimici, laureati in farmacia, chimica e tecnici chimico farmaceutici (www.pg.com). «Il nostro processo di selezione è continuo - precisa Giampaolo Calcari, direttore delle risorse umane di Procter&Gamble - nei curricula cerchiamo di solito un buon punteggio di laurea ma anche una buona dose di leadership e capacità di lavorare in team». Le chance di crescita in P&G sono numerose, anche per i neolaureati, e il processo di selezione è europeo. Che cosa significa? «Che oltre a poter lavorare nello stabilimento di Pomezia e Chieti - spiega Calcari - i candidati possono essere reclutati per i nostri stabilimenti in Europa. Attualmente ad esempio ci sono delle posizioni aperte a Bruxelles e in Germania». Possibilità per ricercatori anche nel gruppo Cremonini, che attraverso Montana alimentari (www.montanafood.it) ha messo a disposizione per il terzo anno consecutivo un premio da 100 mila euro per studiosi under 45. «Oggi fare prodotti alimentari - spiega Mauro Fara, direttore marketing Montana - significa appoggiarsi sempre più alla ricerca e alle nuove tecnologie. Per questo abbiamo istituito questo premio, per restituire ogni giorno alla ricerca ciò che quotidianamente ci dà». Anche Aboca (www.aboca.it), società che si è fatta largo nel settore degli integratori erboristici, sta ampliando il suo campo di attività. «Cerchiamo medici specializzati in clinica farmacologica - dice Valentino Mercati, presidente dell' azienda alle porte di San Sepolcro con un fatturato di 59 milioni di euro - oltre a specialisti in genetica. Ma abbiamo posizioni aperte anche nel settore della biotecnologia no ogm». All' appello non può mancare il ministero dell' istruzione, che con il progetto Firb, «Futuro in ricerca» (www.miur.it) ha messo a disposizione 50 milioni di euro per programmi di ricerca di durata triennale. L' intento è favorire il ricambio generazionale e sostenere le eccellenze scientifiche emergenti. Età massima per partecipare: 39 anni. «Bisogna fermare l' emorragia di ricercatori» è il monito del convegno «Nuove prospettive in chimica farmaceutica». L' evento, organizzato dall' università di Pisa in collaborazione con la Fondazione del gruppo Sanofi-Aventis, si è tenuto lo scorso 14 febbraio e ha riunito circa 500 giovani ricercatori. Corinna De Cesare De Cesare Corinna ______________________________________________________________ Corriere della Sera 18 feb. ’09 IL PESO DELLE OLIGARCHIE LE DIMISSIONI DI VELTRONI E LA CRISI DEL PD UN PAESE A RISCHIO. Il peso delle oligarchie E' stata probabilmente saggia la decisione di Walter Veltroni di dimettersi, dopo la sconfitta in Sardegna, dall' incarico di segretario del Partito democratico. I capi-corrente avrebbero certo preferito che egli rimanesse in carica ancora qualche mese (fino al congresso di ottobre) in modo di avere il tempo di preparare la successione. Veltroni li ha presi in contropiede aprendo una crisi al buio. Ciò però appartiene all' ambito delle schermaglie e delle tattiche della politica. Schermaglie e tattiche che non possono nascondere il vero problema che sta dietro, o sotto, le dimissioni di Veltroni: è già fallito il progetto che diede vita al Partito democratico? Può un partito nato da poco e collocato all' opposizione (privo, quindi, di quel grande collante che è dato dall' occupazione del potere) non solo sopravvivere ma anche rafforzarsi in vista delle competizioni elettorali future se non riesce a darsi un' anima che sia riconosciuta come tale dagli elettori? Il progetto da cui nacque il Partito democratico era, sulla carta almeno, un buon progetto. Si trattava di dar vita a un amalgama (relativamente) nuovo fondendo alcune tradizioni politiche in precedenza importanti ma ormai consumate dalla storia. Una nuova combinazione di vecchi elementi poteva dare luogo, come talvolta accade, a una sintesi originale. Inoltre, quel progetto aveva di valido il fatto di rappresentare una salutare reazione all' eccesso di frammentazione della politica italiana, in particolare nell' area di centrosinistra. Le premesse erano buone. La realizzazione lo è stata assai meno. Per almeno tre ragioni. In primo luogo, a causa di un vizio d' origine. Le primarie mediante le quali venne investito plebiscitariamente della carica di segretario Walter Veltroni non determinarono un indebolimento del «club oligarchico» (i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita) che aveva tenuto a battesimo il partito. Anzi, le stesse primarie furono controllate e gestite da quel club oligarchico. Veltroni si trovò così ad essere, contemporaneamente, il leader legittimato dal voto del suo popolo e un segretario-ostaggio dei capi-corrente. In larga misura, anche l' impossibilità di fare scelte chiare e nette in materia di organizzazione del partito (come hanno mostrato le inconcludenti dispute sul partito leggero o pesante, e sul partito centralizzato o federato) è figlia delle difficoltà generate da queste due diverse, e contraddittorie, fonti di legittimazione del leader. In secondo luogo, ha giocato il fatto che, quale che fosse il progetto iniziale, il Partito democratico è stato concepito da molti dei suoi leader, semplicemente, come un nuovo contenitore entro cui garantire la perpetuazione della propria sopravvivenza politica. Il corollario era che, se le cose fossero andate male, si sarebbe sempre potuto abbandonare la barca alla ricerca di nuovi contenitori. I partiti davvero vitali, evidentemente, non sono questo. Sono gruppi associativi nei quali i leader possono essere sostituiti da leaders nuovi ed emergenti senza che questo ne determini la dissoluzione. Il Partito democratico non può avere alcun futuro se i gruppi dirigenti della antica sinistra italiana, provenienti dal Pci e dalla sinistra democristiana, persevereranno nella ormai ventennale, e maniacale, attività di costruire nuove sigle a getto continuo (il Pds, i Ds, i popolari, la Margherita, il Pd) con il solo scopo di perpetuare se stessi. Il gioco non può continuare all' infinito. In terzo luogo, ha pesato il fatto che, a differenza del centro-destra dove la potente leadership di Berlusconi ha ricreato una forma di primato della politica, il Partito democratico ha dato largamente l' impressione di essere un partito debole e, quindi, etero-diretto, sempre all' inseguimento di istanze provenienti dall' esterno: i sindacati su scuola e Università, il partito dei giudici sulla giustizia, gli umori dei giornali-fiancheggiatori su quasi tutto. Ne è discesa una linea politica ondivaga, oscillante, più farina dei sacchi altrui che del proprio. L' acutizzazione della divisione fra laici e cattolici mi sembra più una conseguenza che una causa della debolezza del partito. Adesso ricostruire sarà difficile e richiederà molti anni. Ma è anche indispensabile. La democrazia necessita di un' opposizione solida e forte, che possa credibilmente aspirare a diventare governo. In Italia, solo il Partito democratico può essere quella opposizione. Devono però darsi due condizioni. Occorre che finisca l' epoca dell' etero-direzione, che si affermi nel partito la piena capacità di elaborare una propria linea politica originale, unita alla volontà di imporla, anche a brutto muso se necessario, alle lobbies che lo circondano. E occorre che il Partito democratico si apra a una vera e libera competizione interna. Affinché le forze nuove, cresciute in questi anni nelle zone periferiche del partito, abbiano, quanto meno, una chance di farsi strada fino al vertice, senza essere preventivamente costrette a inginocchiarsi e a baciare l' anello dell' uno o dell' altro esponente del vecchio club oligarchico. Panebianco Angelo ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 feb. ’09 ITALIA PIÙ ALL'OBIETTIVO KYOTO Dal 2006 emissioni in calo Federico Rendina ROMA Centrare gli obiettivi di Kyoto? Sorpresa: per l'Italia non è impossibile, anche se ci costerà caro. Perché se è vero che i dati delle nostre emissioni nell'ultimo biennio - anticipati dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile- mostrano un'accelerazione addirittura imprevista nella pulizia dello Stivale, ulteriori azioni sono indispensabili. E l'ipotetico risultato sarà comunque accompagnato da una dolosa consapevolezza. Nel pianeta c'è chi annullerà i nostri sforzi. L'America di Obama potrà far molto con al sua tardiva (ma non scontata) adesione ai richiami di Kyoto. Ma a spingere la C02 sono comunque i paesi rampanti, Cina e India in testa. E sarà davvero difficile evitare un ulteriore forte aumento della CO2 che causa il fenomeno del riscaldamento globale. Ecco dunque le luci (per il nostro paese) e le ombre (per l'intero pianeta) nel rapporto della Fondazione guidata da Edo Ronchi, l'ex ministro dell'Ambiente nei governi di centrosinistra che ha materialmente siglato per noi il protocollo di Kyoto. «Dal 2005 il trend in Italia è cambiato. Abbiamo immesso nell'atmosfera 28 milioni di tonnellate di gas serra in meno. Nel 2012 potremmo essere molto vicini all'obiettivo, con una riduzione delle emissioni del 5,4%, a 489 milioni di tonnellate, rispetto al -6,8% previsto dal protocollo» azzarda Ronchi sulla scorta del rapporto. Certo, «la riduzione, iniziata nel 2006, si è rafforzata nel 2007 e 2008 anche a causa del consistente aumento del prezzo del petrolio» che ha contribuito a frenare i consumi e a incentivare l'efficienza. E ora «la recessione sta producendo «un effetto analogo». Sta di fatto che secondo i calcoli effettuati dalla Fondazione sulla base dei nostri consumi petroliferi nel 2008 abbiamo emesso "solo" 550 milioni di tonnellate di CO2, con un ulteriore taglio di 5,8 milioni di tonnellate rispetto al 2007. «Nel 2009le emissioni probabilmente continueranno a diminuire, anche se l'effettivo raggiungimento del target «resta molto impegnativo» precisaRonchi. Che ci invita ad accelerare ma a farci anche un po' furbi. Conlavalidazione ufficiale, ad esempio, degli assorbimenti di carbonio dai "serbatoi" naturali (foreste, territori é altri fenomeni). I fondi per l'operazione -ricorda Ronchi - erano stati stanziati nella Finanziaria 2007. Poi sono stati usati per altri scopi. «Se fossero ripristinati potremmo avere un registro operativo nel 2011, con un costo di due milioni di euro fanno per tre anni. Questo ci permetterebbe di contabilizzare un taglio di oltre 10 milioni di CO2 ad un costo inferiore ai 60 centesimi per tonnellata, a fronte di un prezzo di mercato di 20 euro a tonnellata». Bene, intanto, anche per l'intera Europa. Che «nel 2012 potrebbe addirittura superare gli obiettivi, raggiungendo una riduzione dell'11,3%. Vittoria senz'altro utile ma largamente insufficiente per gli equilibri globali del pianeta, visto che i paesi rampanti (e l'America), hanno spinto le emissioni di CO2 dai 21 miliardi di tonnellate del 1990 ai quasi 28 miliardi del 2006. Coinvolgerli? Un obbligo. www.fondazione svilupposostenibile.org ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 feb. ’09 KYOTO, LE AZIENDE BATTONO LA POLITICA di Jacopo Giliberto Protocollo di Kyoto ha compiuto ieri quattro anni: per convenzione, l'accordo ambientale dell’Onu viene ricordato non con la data della firma (dicembre'97) ma con la sua entrata in vigore il 16 febbraio 2005. In questi quattro anni il mondo ambientale è cambiato e l'industria energetica- quella più coinvolta dalle limitazioni alle emissioni di anidride carbonica -non è più la stessa di qualche anno fa. Qualche elemento di fondo. Il Protocollo di Kyoto rimane un obiettivo condiviso, ma è uno strumento vecchio. Lo confermano le inadeguatezze del piano europeo "20-20-20" (cioè il pacchetto clima-energia) e della direttiva Emissions Trading, i cui obiettivi sono difficili da conseguire e i costi restano alti nonostante che l'Italia sia riuscita ad ammorbidire i vincoli eccessivi. Il nodo negoziale dell'applicazione dei vincoli, degli incentivi e delle sanzioni si è spostato al prossimo negoziato internazionale in programma in dicembre a Copenaghen. Un altro elemento sotteso: l'industria sta cambiando in modo assai veloce e corre più in avanti dei politici di Bruxelles. I dati appena elaborati dall’Istat dicono che nel 2006 le aziende di maggiori dimensioni, con 1.664 milioni di euro, avevano realizzano quasi l’84 per cento del totale degli investimenti in campo ambientale, mentre le piccole e medie imprese erano marginalissime nel mercato verde. Era un altro sistema industriale. Oggi invece vediamo che la piccola e media impresa si affianca ai colossi. La M&G costruisce a Rivalta Scrivia un impianto per produrre benzina vegetale; la Ferrari di Maranello - ha annunciato ieri Luca Cordero di Montezemolo - entro fanno venturo sarà energeticamente autosufficiente; la neonata Mx Group di Villasanta (Milano) ha lanciato i pannelli solari fai-da-te nel comodo kit preconfezionato, E in Brasile per la prima volta nel 2008 le vendite di alcol come carburante hanno superato la benzina. Il cosiddetto "effetto obama" non è all'origine del cambiamento, ma ne è conseguenza: il nuovo presidente degli Stati Uniti, nell'incentivare il nucleare, le nuove tecnologie e una conversione del sistema produttivo verso uno sviluppo sostenibile, ha saputo capire un bisogno dell'industria e dei consumatori. Il mercato c'è: spesso non c'è la politica, quella stessa politica che - rimasta al pliocene dell'ecologia - introduce un incentivo all'auto senza spingere sull'ecologia e l'innovazione, o che dimentica lo sconto fiscale del 55% per chi spende per rendere più efficiente la casa. Nel 2000, quando il mondo del Protocollo di Kyotosi incontrò all'Aia, si capì a che cosa serviva quell'accordo internazionale. Il Protocollo di Kyoto non ha ridotto di nemmeno un grammo le emissioni di anidride carbonica (+33% in 16 anni) ma «è un ottimo termometro della trattativa-ricorda Corrado Clini, direttore generale al ministero dell'Ambiente e uno dei grandi negoziatori internazionali dell'ecologia - ed è uno strumento di lettura delle posizioni: nel 2000 all'Aia l'Europa per la prima volta decise di andare avanti da sola con la sua posizione di imporre vincoli, mentre gli Stati Uniti si rinchiusero nella sottovalutazione degli effetti dei cambiamenti del clima. Posizioni perdenti che solamente oggi si tenta di superare». In questi giorni tra le due rive dell'Atlantico si cerca di delineare, in,vista dell'incontro di Copenaghen, una politica condivisa tra Stati Uniti ed Europa. Si studiano misure comuni sugli standard tecnologici da adottare, sui livelli minimi di efficienza delle centrali elettriche, sulle caratteristiche delle automobili di nuova concezione, sulla struttura degli incentivi che non devono distorcere il mercato. jacopo.qilibertopa ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 feb. ’09 L'ENERGIA CHE VIENE DAL BATTERIO BIOLOGIA SINTETICA ORGANISM Gli scienziati puntano a un biocarburante che non sfrutti cereali o zucchero L a pietra filosofale dell'energia è un batterio. Chi riuscirà a programmarlo per fargli trasformare gli scarti agricoli direttamente in bioetanolo - saltando il passaggio di conversione della cellulosa in glucosio, che rende la catena di produzione troppo lunga e costosa-avrà vinto la scommessa dei biocarburanti e tagliato il nodo gordiano, che oggi li mette inevitabilmente in concorrenza con l'industria alimentare. AL momento attuale, i biocarburanti si ottengono principalmente dalla canna da zucchero o dai cereali, con effetti distorsivi del mercato alimentare, che nei mesi scorsi hanno finito per scatenare vere e proprie rivolte del pane in giro per il mondo. Eliminare questa concorrenza deleteria è la missione di Jay Keasling, un ingegnere chimico dell'Università della California a Berkeley. Keasling proviene dal Lawrence Berkeley Laboratory, il laboratorio diretto dal nuovo ministro Usa dell'Energia, Steven Chu, che lo ha appena chiamato a gestire il Joint BioEnergy Institute, uno dei tre centri di ricerca creati per aiutare l'America a svezzarsi dal petrolio: qui dirigerà un piccolo esercito di 250 scienziati, con cinque anni e 134 milioni di dollari a disposizione, per costruire il batterio giusto, efficiente e di poche pretese: Non sarebbe la prima volta che compie il miracolo. Keasling ha già messo a ,segno un primo successo, che gli è valso un megafinanziamento dalla Fondazione Gates: è riuscito a riprogrammare i geni di un lievito e così ha creato un microrganismo capace di trasformare lo zucchero nel più potente principio attivo antimalarico presente sul mercato, l’artemisinina, riducendo i costi di pro duzione del farmaco a pochi centesimi per dose. Ora che è stato dirottato da Chu sui biocarburanti, ha immediatamente attratto l’attenzione di Bp, che finanzierà il suo lavoro al Jbei (Jay-Bay per gli intimi, data la vicinanza della baia di San Francisco) con 50, milioni all'anno per i prossimi dieci anni. Nell'attuale congiuntura economica, 5,00 milioni di dollari in un colpo solo non li prendono in tanti. E non è l'unico segnale che in quella pentola stia bollendo qualcosa di molto importante. Dai laboratori di ingegneria genetica di Stanford, di Harvard e del Mit, molti scienziati sono impegnati in una serie di nuove startup; che puntano tutte nella medesima direzione: sviluppare un microrganismo capace di trasformare quello che mangia - dagli scarti agricoli ai residui industriali - in idrocarburi utilizzabili come carburanti. Ognuno batte la propria strada. Artiyris, la più avanzata della schiera, sta seguendo il tracciato di Keasling e ha già aperto un impianto-pilota perla produzione di biodiesel a Emeryville, in California. LS9, un'azienda fondata a San Francisco da George Church, professore di genetica ad Harvard, vuole arrivarci modificando i processi metabolici di un altro batterio, l’escherichia Coli. LS9 è finanziata da Vinod Khosla, mitico co- fondatore di Sun Microsystems e uno dei più influenti protagonisti della Silicon Valley. Altre aziende lavorano con le alghe. Ma la più interessante delle start-up californiane è Synthetic Genomics, fondata a La Jolla da Craig Venter, un intraprendente genetista, famoso per essere riuscito a battere sul tempo, negli anni Novanta, un esercito di scienziati governativi impegnati nella prima mappatura del genoma umano. Venter vuole andare ancora più lontano, eliminando la materia prima di partenza: perché sobbarcarsi la fatica di mettere in piedi un processo pianta microbocarburante, quando esistono batteri fotosintetici in grado di elaborare nei loro processi metabolici direttamente il carbonio che c'è nell'aria, utilizzando l'energia La uomo più che ricevono dal solé? In questo modo, Synthetic Genomics riuscirebbe addirittura a prendere due piccioni con una fava: produrre biocarBurante assorbendo anidride carbonica, un pericoloso gas-serra, dall'atmosfera. Dal 2005 Venter, insieme al Premio Nobel Hamilton Srnith, direttore scientifico della sua azienda, ha battuto i sette mari per scovare questo tipo di batteri e adattarli ai suoi scopi. Ora si dice pronto ad avviare un impianto-pilota. I Biocarburanti che Venter e gli altri stanno tentando di produrre rappresentano un salto di qualità epocale nella storia dell'ingegneria genetica. Questa scienza nuova, che non si accontenta più di trasformare l'esistente, ma punta a costruire organismi viventi che prima non esistevano, viene comunemente definita biologia sintetica. Chi la pratica, è convinto che sia destinata a modificare radicalmente le regole del gioco dell'energia. ' Se darà i suoi frutti - come li ha dati l'ingegneria genetica, da cui si è sviluppata negli ultimi vent'anni un'industria biotecnologica da 8o miliardi di dollari - non ci sarà più bisogno di trivellare nelle viscere della terra per estrarre combustibili fossili costosi e inquinanti. Qualsiasi batterio, opportunamente riprogrammato, può diventare una vera e propria raffineria vivente, capace di portare a termine complesse reazioni chimiche, che una fabbrica costruita dall’uomo ò soltanto imitare in maniera molto meno efficiente. Ecco perché i biologi sintetici sono coperti di finanziamenti che nessun altro riesce a ottenere in questo periodo: i loro carburanti, quando arriveranno sul mercato, promettono di diventare più competitivi del petrolio: ELENA COMELLI ___________________________________________________________ CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 20 feb. ’09 ARPAIA RACCONTA LA. BELLEZZA DELLE EQUAZIONI L'incontro Al Cnl di Pozzuoli di LUIGI MOSCA Si dice «ossessionato» dalla fisica, Bruno Aipaia, al punto da «restare sveglio di notte per studiarne le equazioni». Lo scrittore campano sta lavorando a un romanzo che ha al centro il più complesso e immaginifico tra i rami della scienza: oggi alle 12 Aipaia è atteso all'Istituto di Cibemetica del Cnr di Pozzuoli nell'ambito di un seminario dal titolo