RASSEGNA 8 MARZO 2009 LAUREE, ECCO LA NUOVA SFORBICIATA - CAGLIARI: CINQUE CORSI CON UN SOLO ISCRITTO - I TAGLI ANTISPRECHI DELLA GELMINI RISCHIANO DI UCCIDERE L'UNIVERSITÀ - SONO I RETTORI A DECIDERE DOVE TAGLIARE GLI SPRECHI - ATENEI & FONDAZIONI, UNA STRADA DA BATTERE - UNIVERSITARI ALLE URNE PER IL DOPO MISTRETTA - L'UNIVERSITÀ A CAGLIARI RISCHIA LA SERIE B - UNIVERSITÀ, FINE DELL’ERA MISTRETTA - UN REGNO LUNGO VENT'ANNI INTERROTTO SOLO DA FLORIS - CAGLIARI: STUDENTI, BOCCIATURA DAL MINISTERO - IL PASSATO DI CUOCERE: CUCINAI» GLI SVARIONI DELLE MATRICOLE - STOP AI CONCORSI IN SEI UNIVERSITÀ - ATENEI IN RIVOLTA PER LA DIFESA DELL'UNIVERSITÀ PUBBLICA - DISTRETTI TECNOLOGICI LA TRINCEA DELLA RICERCA - TEOLOGIA E SCIENZA: IL RUBICONE DELL’UOMO - GLI SCIENZIATI NON CANCELLANO IL SACRO - CERVELLONI IN GUERRA CON I TALEBANI - C'È LA CRISI? PROVATE I FRATTALI - INNOVAZIONE: ITALIA CENERENTOLA - INVESTIRE NELLE RISORSE UMANE - ======================================================= MIUR: AD APRILE SARANNO PUBBLICATI I BANDI DEGLI SPECIALIZZANDI UN MEDICINA - L’ORDINE DEI MEDICI E’ CONTRARIO ALLO SLITTAMENTO SPECIALIZZAZIONI - I CINQUE «PILASTRI» PER L'OBIETTIVO SALUTE - IL LENTO DECLINO DELL'ONCOLOGICO - UN ITALIANO CONTRIBUIRA’ A RIFORMARE LA SANITA AMERICANA - IL RISPETTO DEI PAZIENTI PRIMA DELL'EFFICIENZA - ALLARME RADIOGRAFIE, UNA SU 4 INUTILE "TROPPI ESAMI DANNEGGIANO LA SALUTE" - PILLOLE COME PIXEL - IL SUPER INFERMIERE CON I MEDICI MA PIÙ VICINO AI MALATI - VIZI E VIRTÙ DEL VIAGRA - CURA CHE VIEN DAL MARE - LA DIETA DEL MACHO - CAGLIARI: SCOPERTO IL GENE DELL’ATEROSCLEROSI - COME ABBATTERE LA GLICEMIA COL BISTURI: FUNZIONANO LE TECNICHE ANTI-OBESITÀ - CONSENSO INFORMATO: ECCO LA CHARTA DEGLI ONCOLOGI - SLA, LA SPERANZA SI CHIAMA "SUNC 1" - SARDEGNA RECORD NEL MEDIO CAMPIDANO - CAGLIARI: IPERTESI? LA COLPA È ANCHE DI UN GENE - E I DOLCIFICANTI SENZA CALORIE NON SONO «DIMAGRANTI» - CONTRORDINE: LO ZUCCHERO AIUTA A NON INGRASSARE - ======================================================= __________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 Mar. 09 LAUREE, ECCO LA NUOVA SFORBICIATA Università. L'offerta formativa nel 2010 subirà una riduzione almeno del 10 per cento Pasquale Mistretta: «Tagli e riforma, decisione inevitabile» Il rettore lancia un appello al nuovo presidente della Regione: investa sull'Università diffusa per non abbandonare i territori svantaggiati L'anno scorso la sforbiciata ha riguardato dodici corsi di laurea. Non è bastato. In un periodo di crisi l'Università di Cagliari si prepara a un altro drastico taglio. «L'Ateneo di Palermo», fa sapere il rettore Pasquale Mistretta, «ha ridotto l'offerta formativa del 23 per cento. Anche noi saremo costretti a rivedere il numero dei corsi. Ne abbiamo 92: alcuni non servono perché non garantiscono uno sbocco professionale, altri non potranno sopravvivere perché non avremo il numero di docenti necessario per farli funzionare». I corsi a rischio sarebbero parecchi: ma prima di decretarne la morte si preannuncia una durissima battaglia in senato accademico. Ogni facoltà difenderà con le armi a disposizione i propri corsi: tenerli in piedi significa infatti ricevere finanziamenti. LA CRISI L'appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano («Ripensare e rivedere scelte di bilancio improntante a tagli indiscriminati alle Università», ha detto di recente a Perugia durante le celebrazioni per il settimo centenario di fondazione dell'Università umbra) è piaciuto a Mistretta: «Siamo davanti a una crisi di proporzioni mondiali», evidenzia il rettore, «e tutti siamo chiamati a fare qualcosa per raddrizzare la baracca. Ognuno dovrà fare uno sforzo. Nel nostro caso cercheremo di eliminare le spese superflue: potremmo arrivare anche a una riduzione degli sprechi del quindici per cento». Stare attenti alle spese non significa però attuare tagli indiscriminati: «I giovani studenti», ha spiegato il rettore, «sono il futuro. È un obbligo investire in istruzione e ricerca». OFFERTA FORMATIVA Dopo le parole però bisogna fare quadrare i conti. «Entro aprile», anticipa Mistretta, «manderemo al ministero l'offerta formativa per il 2009/2010. Ci sarà una nuova contrazione. Ovviamente i corsi di laurea principali non verranno toccati, così come quelli con un elevato numero di iscritti. Il problema principale saranno i docenti: con il blocco, o quasi, delle assunzioni alcuni corsi non potranno essere attivati». Nel 2008/2009 i corsi di laurea sono passati da 104 a 92. È probabile che per il prossimo anno accademico ci sarà un'ulteriore riduzione del dieci per cento. LA REGIONE Un ruolo importante per il futuro dell'Università lo potrà recitare la Regione: «Il nuovo governo», auspica il rettore, «deve tenere conto che il nostro Ateneo è nel Mezzogiorno d'Italia e che ha un compito determinante come ammortizzatore culturale e sociale. L'amministrazione regionale non può dimenticare il territorio. Per questo deve investire sull'Università diffusa». RICERCA E BILANCIO Il bilancio dell'ateneo cagliaritano (in tutto circa 300 milioni di euro) è stato approvato a fine anno: «Un bilancio», commenta Mistretta, «in ordine. Qualche mio collega ha parlato di chiusura a causa della riforma? Mi sembra un'esagerazione. Una cosa è certa il mio successore non troverà buchi nel bilancio e non sarà certamente costretto a chiudere i cancelli dell'Università». È previsto un aumento delle tasse studentesche? «Almeno fino a ottobre non verranno toccate. Poi toccherà ad altri rispondere». Il rettore lancia poi un appello: «Sento dire che non ci sono fondi per la ricerca. Abbiamo finanziamenti regionali ed europei in abbondanza: ci vorrebbe un po' più di coraggio da parte dei docenti per ottenerli». MATTEO VERCELLI CAGLIARI: CINQUE CORSI CON UN SOLO ISCRITTO I numeri. Nonostante i pochi studenti restano attivi La lista dei corsi dell'Università di Cagliari è lunghissima. Tra attivi e a esaurimento sono 208. La fetta più grande (116) è quella dei corsi già chiusi ma che fino a quando avranno un iscritto resteranno in vita. In alcuni casi (Ingegneria civile, Ingegneria dell'ambiente, Fisioterapia, Abilitazione alla vigilanza scolastica, Informatica) i corsi esistono grazie alla presenza di un solo iscritto, in altri gli studenti non arrivano alla decina (è il caso di Tecnologia farmaceutica, Lingua e letteratura della Sardegna, Filologie e letterature classiche e moderne, Ortottica, Scienza della natura, Economia e amministrazione delle imprese, Informatore del farmaco e dei prodotti della salute, Lettere-discipline etno-antropologiche, traduzione specialistica dei testi e tecnico sanitario di radiologia medica). I corsi a esaurimento con molti iscritti avranno una vita più lunga gravando ancora sulle casse universitarie. Per la nuova offerta formativa, quella per il prossimo anno accademico, bisogna invece prendere in considerazione i corsi attivi (92). Rischiano la chiusura quelli con meno studenti iscritti. Il ragionamento non è semplice. I presidi delle undici facoltà cercheranno di mantenere in piedi tutti i corsi perché portano soldi. La decisione finale sarà dunque un compromesso, anche se ogni facoltà cercherà di far valere il suo peso. Anche elettorale visto che a maggio si vota per il nuovo rettore. (m. v.) _________________________________________________________________ ItaliaOggi 3 Mar. ’09 I TAGLI ANTISPRECHI DELLA GELMINI RISCHIANO DI UCCIDERE L'UNIVERSITÀ Meglio l'idea di un patto di stabilità Nell’anno prossimo il ministero taglierà circa 700 milioni di euro alle università non ci sarà bisogno, come si ostina a dire il ministro, di eliminare gli sprechi; con un'operazione sola se ne andrà praticamente tutto; sprechi compresi naturalmente. A quel punto, morta:e sepolta l'università pubblica, sarà un risparmio generalizzato ed il settore, nolente o piacente, sarà costretto a privatizzarsi. Ma chi rileverà una situazione tanto onerosa? AL ministro Gelmini bisogna riconoscere il pregio, rispetto ai suoi colleghi di governo, di parlare poco. Quando lo fa, come in Parlamento, ove ogni tanto qualche cosa bisogna dire, appare tirata, impacciata, quasi si trovasse a disagio. Nelle occasioni in cui parla, tuttavia, batte sempre sul solito motivo: tagliare gli sprechi. E' coerente, però. Al presidente della repubblica, che ha chiesto di non procedere ad una riduzione indiscriminata delle risorse, ha ripetuto l'amato ritornello. La questione continua ad essere altra. Sicuramente, come in ogni dove italiano, anche nelle università ci sono sprechi ed un malo utilizzo delle risorse; sicuramente, occorre rivedere il meccanismo dei corsi poiché il tre più due ha portato solo ad un abbassamento del livello di istruzione universitaria; sicuramente, è stata bene rivedere le norme per i concorsi e qui il ministro poteva essere anche più incisiva adottando il sorteggio semplificato; sicuramente, è giusto intervenire su corsi che non hanno ragione di essere; chi non fosse d'accordo sarebbe fuori del reale, ma tutto ciò che c'entra con i tagli indiscriminati? Sinceramente non se ne capisce il nesso. E poi cosa si intende per sprechi? Oramai siamo al punto che, in taluni atenei, manca la carta nei bagni e si organizzano gli orari dei corsi su quanto essi comportano dì luce e di riscaldamento. In molti casi, prima degli sprechi, viene l'essenziale. Si tratta, quindi, di sapere con precisione cosa sì debba intendere per sprechi visto che è giusto eliminarli quanto conoscerli in dettaglio. Vorremmo dare al ministro un suggerimento pratico: intraprendere di persona un viaggio nei vari atenei italiani organizzando delle vere e proprie visite di lavo ro, incontrando chi crede, domandando, vedendo e pure indagando. Crediamo si tratterebbe di un gesto molto apprezzato nonché un modo nuova di esercitare la funzione ministeriale. Recentemente, un'associazione che raccoglie alcuni atenei italiani ha proposto di sostituire i tagli indiscriminati con la stipula di patti di stabilità individuale tramite i quali ogni ateneo concorda con il ministero un piano di risanamento e miglioramento dei conti. Finalmente una proposta sensata. Paolo Bagnoli _________________________________________________________________ ItaliaOggi 3 Mar. ’09 SONO I RETTORI A DECIDERE DOVE TAGLIARE GLI SPRECHI DI PIERLUIGI MAGNASCHI Fino a che era il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a dire che non bisogna tagliare la spesa per le università mi ero impedito di polemizzare su questo auspicio. Ma adesso che il concetto viene ripetuto dall'amico prof. Paolo Bagnoli (su ItaliaOggi di ieri) credo che sia opportuno esprimere una diversa opinione. Bagnoli fa due affermazioni. La prima è che «se l'anno prossimo il ministero della p.i. taglierà 700 milioni di euro alle università non si elimineranno gli sprechi ma anche tutta l’università». La seconda è che si tratta di sapere dove il ministro Gelmini intenda tagliare. Il taglio è una necessità di bilancio. Però definito il limite delle risorse disponibili (che è ovviamente opinabile) «dove» tagliare compete solo alle singole università. Lo Stato, da parte sua, per evitare di essere travolto dal suo debito pubblico, deve fare delle economie. Il problema dei tagli inoltre si acuisce ulteriormente adesso che la spesa per il sostegno del reddito dei disoccupati sta assumendo livelli necessari ma anche preoccupanti. Ai tagli quindi sono chiamati tutti i ministeri fra i quali anche il ministero della p.i. E non si può dire che il sistema universitario brilli per la sua efficienza. . Non si può sostenere cioè che, con i tagli della Gelmini, l'università italiana sarà ridotta a livello da Terzo mondo perché essa, nel suo complesso, c'è già, a questo livello: in una recente graduato ria internazionale la prima università italiana, quella di Bologna, si trova al 184° posto. La Ue inoltre dà dei contributi per docente (dati 2007) in base al valore dell'università. Si parte dai 188 euro dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria (vera junk università) agli 8.758 di Trento e ai 50 mila del Sant'Anna di Pisa. Il range di valore è stupefacente. Così come le spese, ad esempio, per trasferte e gettoni, sono pari ai 2 milioni e 274 mila di Catania e un milione 467 mila della Statale di Milano. Per non parlare della proliferazione metastatica degli atenei. A Cremona c'è un corso di ingegneria per l'ambiente con un solo studente. A Pesche (Molise) non c'è nemmeno una scuola media superiore ma, in compenso, ci sono ben 5 corsi di laurea. A Borgia (Catanzaro, 7.122 abitanti) c'è una facoltà di farmacia. Gli sprechi sono enormi e si risolvono solo se: 1) si affama la bestia (come diceva il Nobel per l'economia Milton Friedman); 2) si premia chi merita (e la Gelmini, per la prima volta, ha cominciato a farlo); 3) se si elimina il valore legale della laurea (che Luigi Einaudi proponeva fin dal 1918). Una cosa è certa: se l'università non viene messa a stecchetto non migliorerà mai come un obeso non calerà se continuerà ad essere alimentato con la Nutella. ________________________________________________________________ Avvenire 8 mar. ’09 ATENEI & FONDAZIONI, UNA STRADA DA BATTERE DA ROMA MARCO IASEVOLI Università che cerca la sua identità ha due strade: da un la to tornare a interrogarsi sul rapporto con la verità, parola quasi messa al bando nel mondo accademico, dall'altro avviare percorsi per una reale autonomia degli atenei. Sono le due proposte rilanciate da Universitas University, associazione di docenti che in questi giorni si è riunita per fare il punto sulla situazione del sistema formativo italiano. Proprio sul secondo punto, il presidente Daniele Bassi, ordinario presso la facoltà di Agraria dell'università di Milano, è molto deciso: «Siamo scettici rispetto al dibattito in corso, il ministro Gelmini deve affrontare le vere questioni che possono sbloccare il mondo universitario: eliminare i concorsi, dare la possibilità agii atenei di selezionare i docenti, reperire fondi. Una libertà che sia esercitata, ovviamente, insieme all'assunzione di responsabilità». Anche l'idea della fondazioni non dispiace: «Non è detto che tutti debbano obbligatoriamente avviare strade del genere, ma occorre che almeno chi si sente pronto possa iniziare a batterie». E ieri mattina, a rafforzare questo concetto, ha preso la parola Alfredo Marra, dell'università di Milano-Bicocca, che ha innanzitutto segnalato, di fronte alla crisi degli atenei, il «procedere a singhiozzo del livello politico legislativo». È una constatazione che fa propria anche Giorgio Vittadini, docente di Statistica alla Bicocca e presidente della Fondazione per la sussidiarietà, secondo il quale «è molto grave che la misurazione dell'efficacia dell'istruzione non sia obiettivo di uno studio sistematico in Italia». Le questioni essenziali, riprende Marra, ruotano sempre «attorno al rapporto tra ministero e autonomie», visto che negli anni l'Italia «ha mantenuto inalterato il suo assetto tradizionale fortemente centralistico». È intervenuto anche Nicola Rossi, senatore del Pd, relatore in passato di una proposta di legge sulle fondazioni: il parlamentare ha ribadito la «profonda convinzione» che esse rappresentino «una grande potenzialità per le università», anche se, nel testo recentemente approvato (che pure «apre una strada») la via delle fondazioni «risulta non ancora pienamente percorribile». Nella sessione di venerdì pomeriggio, al centro della riflessione c'era il rapporto con la verità. Ne ha parlato il matematico francese Laurent Lafforgue, dell'Istituto di studi scientifici di Parigi. Vibrante la sua testimonianza personale sugli effetti del relativismo: «Quando dico la parola "verità" molti miei colleghi restano come scioccati, eppure la matematica è una disciplina dove spesso si usano i termini "vero" e "falso"». L’altro grande tema affrontato dello studioso francese è quello dell'università come luogo dove si vive un legame tra studiosi: «Nel discorso all'università di Ratisbona, Benedetto XVI ha parlato dello sua esperienza da docente e dello stretto rapporto con i colleghi di altre discipline. Quest'idea di comunità oggi si realizza sempre più raramente». _________________________________________________________________ ItaliaOggi 3 Mar. ’09 STOP AI CONCORSI IN SEI UNIVERSITÀ ItaliaOggi ha calcolato gli effetti concreti della legge Gelrnini sul tetto alle spese Potrebbero arrivare a 23 gli atenei con le mani legate nel 2009 DI BENEDETTA P PACELLI Per ora si parla di sei atenei, ma in un attimo arriveranno a superare il numero dì venti. Molti rischiano il dissesto finanziario se non addirittura bancarotta, ma per ora l'effetto più evidente sarà quello di non poter più bandire concorsi. Del resto la legge 1 del 2009, con cui il ministro dell'istruzione e dell'università Mariastella Gelmini ha voluto sciogliere i nodi più critici del sistema universitario parla chiaro: le università statali che entro il 31 dicembre di ogni anno hanno superato il tetto di spesa del 90% del Fondo di finanziamento ordinario non possono indire, nell'anno successivo, concorsi per ricercatori, associati e ordinari. Fino ad oggi, per chi superava questa soglia nel rapporto tra buste paga e assegno statale il turn over era solo rallentato, ma la misura applicata da o1tre dieci anni non ha mai prodotto gli effetti sperati. Ora ci penserà l'effetto Gelmini che ItaliaOggi ha applicato alla situazione attuale in base all'ultimo rapporto sulla valutazione degli Atenei. Le università. Nella situazione attuale il blocco è già scattato per sei atenei che lo scorso anno hanno presentato bilanci non in pareggio. La più lontana dal tetto, secondo l'ultimo rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, è l'Orientale di Napoli che per buste paga dei docenti spende il 95,78% dei finanziamenti provenienti da Roma. La seguono l'università di Firenze con il 92,17%, quella di Trieste con il 91,64% e poi Bari con il suo 91,40%, Cassino con il 91,38%, e Pisa che supera solo di un 10% il tetto stabilito, ma se non ci fossero gli sconti annuali la città della torre arrivare a quasi 97%. E non solo lei. Perché se, per la prima volta, non dovessero arrivare i consueti sconti di fine anno ai criteri di calcolo le università bloccate salirebbero in un attimo a 23, cioè un nutrito 40% su 58 atenei statali presenti. Gli sconti II conteggio del rapporto tra spese di personale e fondo statale è infatti alleggerito ogni anno da una serie di correttivi in favore degli atenei: è stato quindi ridotto il costo del personale, mediante la sottrazione degli incrementi annuali delle retribuzioni, ma anche per un terzo, il personale impegnato in attività assistenziale convenzionato con il servizio sanitario nazionale nelle facoltà di medicina. E senza "sconti" la maglia degli atenei si allarga sempre di più. E investirebbe immediatamente l’università di Siena che proprio in questo senso sta lavorando con la direzione del ministero per chiarire definitivamente la reale situazione economico - finanziaria. In ogni caso stando ai dati del rapporto Cnvsu la città toscana per le buste paga ha staccato nell'ultimo anno il 103,83% dei fondi statali, mentre. l'università di Napoli Federico quasi il 101%. Ma sono in buona compagnia con la Seconda università di Napoli (99,98%), Udine (95,68%), l'Aquila (95,50), solo per citarne alcune ma la lista è ancora molto lunga. Lo scenario. Insomma gli atenei dovranno rimboccarsi le maniche e cercare di fare quadrare i conti, perché d'ora in poi, ogni anno scatterà la verifica sugli ultimi bilanci e il numero delle università che incapperanno nella rete del blocca concorsi sembra destinato ad aumentare sempre di più. Perché se da un lato ci sono le normali spesi di personale soggette ad un aumento naturale dovuto, per esempio, agli scatti di anzianità, dall'altro c'è il drastico taglio del fondo dell'Ffo. Che se per il2009 è quasi irrisorio (63 milioni in meno) farà sentire il suo peso già dal 2010 quando l’Ffo sarà ridotto di circa 660 milioni attestandosi complessivamente intorno ai 6,8 miliardi di euro. Alcuni numeri. Se i tagli della Gelmini non aiutano è pur vero che gli atenei ci hanno pensato da soli ad arrivare a questo tracollo. Basti pensare, dati del Comitato per la valutazione alla mano, che nelle università statali negli ultimi 10 anni i professori ordinari sono aumentati del 50%. E questo si è tradotto in una lievitazione delle spese. A fronte di un incremento complessivo dei costi per assegni fissi al personale dì ruolo di circa il 50% il costo per gli ordinari è infatti aumentato di quasi l'80%. ____________________________________________________ Liberazione 7 mar. ’09 ATENEI IN RIVOLTA PER LA DIFESA DELL'UNIVERSITÀ PUBBLICA Fabio de Nardis* Domenica 1 marzo si è conclusa la due giomi promossa dal coordinamento dei collettivi de La Sapienza di Roma nell'ambito del network nazionale "Atenei in rivolta". Alla discussione hanno partecipato tantissimi studenti provenienti dalle realtà di autorganizzazione di almeno venti università italiane. Scopo dell'assemblea era tracciare un bilancio dei mesi di mobilitazione contro le "riforme" Gelmini e contemporaneamente avviare un percorso collettivo finalizzato alla costruzione democratica di un coordinamento nazionale delle lotte per l'Università pubblica, a partire dalla centralità studentesca. Importante è stato il confronto con gli studenti provenienti dai movimenti in Spagna, Grecia e Francia che hanno arricchito il dibattito socializzando le proprie esperienze di mobilitazione con l'intento, a nostro avviso fondamentale, di unificare le lotte a livello europeo per opporsi al processo continentale di graduale mercificazione della conoscenza attraverso i parametri definiti dalla strategia di Lisbona e, per quanto riguarda l'Università, dal processo di Bologna. Fin da subito è emersa l'esigenza di dare seguito ai mesi di mobilitazione attraverso la costruzione di una rete nazionale in grado di essere col tempo rappresentativa dell'intero movimento nella condivisione di alcuni elementi discriminanti a partire dalla critica all'autonomia finanziaria delle Università che negli anni, attraverso il graduale ma inarrestabile del finanziamento della ricerca pubblica, ha costruito le condizioni di una squalificazione dell'offerta didattica e delle possibilità di fare ricerca liberi dalla morsa corrosiva della precarietà. Nel rapporto finale, che di per sé non vuole essere un documento politico quanto piuttosto una base di ulteriore riflessione da portare all'attenzione dei collettivi di tutta Italia, si rivendica con forza l'esigenza di sostenere l'Università pubblica e al contempo combattere ogni ipotesi di abolizione del valore legale del titolo di studio che rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti verso la definizione di un sistema formativo di classe che impedirebbe alle masse giovanili di emanciparsi attraverso il libero accesso alla conoscenza. Anche per questa ragione la battaglia per il diritto allo studio diventa prioritaria così come il ruolo dello Stato che ha il dovere di garantire una formazione laica, di qualità e gratuita. Solo così il tanto decantato merito potrà essere realmente perseguito. Naturalmente non esiste battaglia che riguardi il mondo della conoscenza che non faccia oggi i conti con la crisi strutturale del sistema capitalistico di produzione che oggi i governi borghesi intendono tutelare anche e soprattutto tagliando risorse all'Università e alla cultura. Attraverso questa chiave di lettura, chiaramente declinata nel rapporto finale della due gioii è possibile trovare la connessione necessaria con il mondo del lavoro oggi duramente colpito dal governo Berlusconi. E da questa consapevolezza gli studenti riuniti nella Facoltà di Psicologia di Roma individuano come prima data di mobilitazione nazionale lo sciopero del 18 marzo indetto dalla Flc-Cgil e quello del 28 marzo dei sindacati di base. Molte altre date intermedie sono state individuate come momenti cruciali di unificazione delle lotte, a partire dal G8 dell'Università previsto a Torino tra il 17 e il 19 maggio fino alla più ampia e condivisa mobilitazione contro il summit degli "otto grandi" che si terrà a luglio alla Maddalena. Insomma, gli studenti dimostrano nuovamente di essere la componente più attiva e vitale del mondo universitario e noi, nel rispetto dell'autonomia di movimento, li sosterremo con forza in questo percorso complesso ma necessario di unificazione e coordinamento delle lotte. Cercheremo poi di sollecitare una nuova alleanza tra studenti e lavoratori della conoscenza attraverso la costruzione di una Rete nazionale di Comitati in difesa dell'Università pubblica. Non un nuovo soggetto, quanto piuttosto una soggettività fluida e plurale che unisca le lotte di studenti, ricercatori e docenti in difesa della Costituzione, per un reale diritto allo studio, per una ricerca libera e mai più precaria e per una Università che sia veramente inclusiva, di massa e di qualità. *responsabile nazionale Università e Ricerca l’rc-Se __________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 Mar. 09 UNIVERSITARI ALLE URNE PER IL DOPO MISTRETTA Votazioni sugli organi d’ateneo mentre il rettore lascia dopo 18 anni SABRINA ZEDDA CAGLIARI. Poco meno di un mese per rifare i giochi e convincere gli studenti universitari a fare la scelta giusta. Dopo la sospensione di novembre, decisa dal Tar, il primo e il due di aprile gli universitari tornano alle urne per scegliere i loro rappresentanti in quattro organi d’ateneo: alle liste che già erano state presentate la prima volta, ora non è escluso se ne possano aggiungere delle altre. A dare il via libera alle elezioni di aprile è un decreto del rettore Pasquale Mistretta del 27 febbraio, con cui di fatto si sblocca una situazione che altrimenti sarebbe potuta andare per le lunghe: dopo un ricorso di alcuni studenti della lista Ichnusa, che avevano messo in dubbio il regolamento elettorale d’ateneo nella parte in cui di fatto li esludeva dall’elettorato passivo, le elezioni erano infatti rimaste congelate, in attesa di una decisione del Tribunale amministrativo regionale. Decisione che sarebbe potuta arrivare troppo tardi, così, già da gennaio, il rettore aveva prospettato la possibilità di elezioni in primavera, che adesso con il suo decreto trovano conferma. La campagna elettorale è aperta dunque, e visto lo slittamento del momento del voto non è escluso che rispetto agli schemi di novembre ora possa cambiare qualcosa. Di certo ci saranno le liste di sempre: UxS (Università per gli studenti), Ichunsa e Unica 2.0, ma qualcuno, tra gli aspiranti candidati, sussurra che forse potrebbe farsi avanti qualche lista nuova, legata magari al movimento Unicamente, nato in autunno per unire le diverse facoltà dell’ateneo nella protesta contro i tagli a scuola e università pensati dal governo Berlusconi. ‹‹Nemmeno per sogno - si affretta a smentire Enrico Puddu, studente di Scienze Politiche e tra i portavoce del movimento - Non ci sarà alcuna lista legata al nostro movimento. Al massimo si farà avanti, ma solo in alcune facoltà, qualche collettivo››. E’ il caso di Entula Arrubia, attivo proprio nella facoltà di Scienze Politiche, che potrebbe proporre suoi esponenti ma limitatamente all’elezione dei rappresentanti nel consiglio di facoltà. La tornata elettorale porterà infatti oltre che all’elezione di cinque studenti nel Consiglio d’amministrazione, cinque nel Senato accademico, cinque nel senato accademico allargato e due nel Cus (Comitato per lo sport universitario) anche a quella dei rappresentanti degli nei singli consigli di facoltà. I mesi passati da quando il Tar ha sospeso le elezioni potrebbero aver provocato altre conseguenze, oltre alla possibilità della nascita di nuove liste. ‹‹Non dimentichiamo che tra novembre e aprile c’è di mezzo una sessione - spiega Andrea Coinu, coordinatore di Unica 2.0 - Significa che chi a novembre per laurearsi doveva dare magari 10 esami oggi ne potrebbe dover dare tre o quattro e quindi potrebbe aver perso interesse nel candidarsi››. Un modo per dire che qualcuno ormai “troppo cresciuto”, perchè con un percorso universitario alla fine, non avrebbe più desiderio di imbattersi in questo percorso e che magari potrebbe aver liberato spazio a qualcun altro. Cosa succederà davvero si saprà dopo il 12 marzo, data entro cui dovranno essere presentate le liste dei candidati. Gli eletti avranno un gran bel daffare, e non solo perché dovranno riuscire a essere propositivi e a mettere al centro i problemi degli studenti in un periodo di grande crisi come quella attuale, ma anche perché, ricorda Lorenzo Espa di UxS, il 21 maggio finisce dopo 18 anni la gestione di Pasquale Mistretta. __________________________________________________________ Sardegna 27 Feb. 09 L’EPOCA MISTRETTA È AGLI SGOCCIOLI, CINQUE PRETENDENTI PER IL RETTORATO UNIVERSITÀ, FINE DELL’ERA MISTRETTA In corsa cinque aspiranti rettori Faa, Del Zompo, Paci, Sassu e Melis sono i possibili successori: ecco i loro programmi Ennio Neri Docenti alla carica per la successione alla poltrona che per più di tre lustri è stata del Magnifico Pasquale Mistretta. Il 21 maggio al via le consultazioni elettorali per il nuovo rettore dell’ateneo cagliaritano. Una svolta epocale dopo l’era del dominio a palazzo Belgrano dell’urbanista Mistretta. Una sfida impegnativa attende il nuovo Magnifico: fare i conti coi tagli del Governo e definire il ruolo dell’Ateneo in città. A pochi mesi dalle elezioni, dopo il ritiro di Francesco Sitzia (professore di Istituzioni di Diritto romano in Giurisprudenza) e Giuseppe Santa Cruz (Anatomia patologica) in corsa restano in cinque: due candidati arrivano dalla facoltà di Medicina e sono il preside della facoltà stessa Gavino Faa e Maria Del Zompo, ordinario di Farmacologia. Gli altri tre arrivano dal polo economico-giuridico di viale Fra' Ignazio: Raffaele Paci e Antonio Sassu della facoltà di Scienze politiche (docenti rispettivamente di Economia applicata e Politica economica europea) e Giovannino Melis, docente di Economia aziendale, della facoltà di Economia. Solo ad elezioni concluse si scoprirà se il polo economico- giuridico avrà sconfitto l’asse fino ad oggi vincente di Medicina e Ingegneria. Il 21 maggio i comizi elettorali saranno convocati al decano dei professori Giovanni Duni. I votanti saranno in tutto 1500 circa: 1200 tra docenti e ricercatori, 180 rappresentanti degli studenti e 120 delegati del personale tecnico e amministrativo. Molti i punti in comune tra i candidati. «Occorre rendere più efficiente la struttura», spiega Raffaele Paci, «attraverso il sistema della valutazione e degli incentivi, premiando la qualità». Paci mira a concludere i lavori al campus di Monserrato e punta sul centro storico. «Abbiamo il campus urbano più bello d’Italia», annuncia, «tra viale Fra Ignazio e l’ex clinica Aresu. Penso all’istituzione di un pro-rettore per la città per avviare un dialogo stabile con il Comune sulla presenza urbanistica Dell’Università nella città ». «Il taglio ai finanziamenti non è coerente con l’esigenza di rafforzare con l’innovazione e la cultura il sistema economico per fronteggiare la crisi in atto », accusa Giovannino Melis, che punta sulla relazione tra finanziamenti e risultati raggiunti da ricerca e didattica. Per quanto riguarda il rapporto con la città anche Melis sposa la proposta del campus urbano di Tramontin, «per un utilizzo coordinato ed integrato con la comunità degli spazi disponibili per l’Ateneo e per attività culturali, a partire dalla ex clinica Aresu fino a Sa Duchessa». “Tra Stampace, Marina e Stampace alto ci sono dai 3 a 4 mila appartamenti sfitti», spiega Gavino Faa, «il progetto mira a realizzare cooperative per assegnare a prezzi agevolati, attraverso un b&b diffuso, questi appartamenti dal 1 ottobre al 30 giugno agli studenti e ai turisti da luglio a settembre. Inoltre va valorizzato il vasto patrimonio universitario da Sa Duchessa all’ospedale Civile». Fissa quattro punti Antonio Sassu: «Sussidiarietà per decentrare le decisioni ai dipartimenti, la valutazione su ricerca e didattica come base per la premialità, l’allocazione del personale nei dipartimenti e il nuovo ruolo dello studente».? Rettorato d'acciaio UN REGNO LUNGO VENT'ANNI INTERROTTO SOLO DA FLORIS Dopo 18 anni di dominio incontrastato Pasquale Mistretta lascia l’Ateneo. Intellettuale dalla battuta pronta e dalla marcata cadenza cagliaritana, Mistretta è Magnifico rettore in via Università dal 1991. Confermato per cinque mandati: possibilità offertagli da una clamorosa sequenza di modifiche ad hoc apportate allo statuto accademico che gli hanno consentito la gestione diretta dei progetti di Polaris, della cittadella di Monserrato e dell’Azienda mista. Laureato in Ingegneria Civile Edile all’università di Cagliari nel 1955, nel 1963 diventa assistente ordinario di Tecnica urbanistica. Ottiene la libera docenza nel ‘71 e dal ‘76 è professore ordinario di Urbanistica della facoltà di Ingegneria, fa capo al dipartimento di Geoingegneria e Tecnologie ambientali. Nel 2001 si candida a sindaco per l’Ulivo, ma viene sconfitto da Emilio Floris. En.ne. La candidata Ricetta anti-crisi Maria Del Zompo: investire sul sapere Secondo il candidato Maria Del Zompo «tutti i paesi occidentali in piena crisi stanno investendo in modo pesante su istruzione e ricerca. Sanno benissimo che un euro investito in questi settori torna indietro quintuplicato in meno di 5 anni». La farmacologa punta «a rilanciare l’offerta culturale dell’Università in base al principio della «formazione permanente». __________________________________________________________ L’Unione Sarda 26 Feb. 09 L'UNIVERSITÀ A CAGLIARI RISCHIA LA SERIE B Il futuro dell'Ateneo di Beniamino Moro Il prossimo 21 maggio l'Università di Cagliari andrà alle urne per eleggere il nuovo Rettore. L'occasione è buona per una riflessione sul ruolo dell'istituzione pubblica più importante dopo la Regione. Nelle classifiche internazionali sull'attività di ricerca scientifica, la nostra università occupa un ruolo di tutto rispetto: intorno al 400° posto a livello mondiale, al 172° posto in Europa e tra le prime 17-20 in Italia. Questo piazzamento è dovuto alla presenza nel nostro Ateneo di punte di eccellenza in vari campi, dove operano ricercatori che competono con successo a livello internazionale. Ciò nonostante, l'Università di Cagliari rischia per il futuro di non essere più in grado di mantenere queste posizioni e di scadere ad Ateneo di servizio dedito prevalentemente all'attività didattica. Ciò può accadere essenzialmente per due motivi. Il primo è dovuto alla carenza di fondi seguita alla stretta finanziaria del governo riguardante l'intera università italiana. Per ovviarvi, la Regione potrebbe integrare il bilancio universitario in maniera sistematica come una delle sue politiche qualificanti per la formazione del capitale umano. Oggi nessuno mette più in dubbio la relazione esistente tra ricerca scientifica e sviluppo economico. La teoria economica dimostra che il processo di crescita endogena di un dato sistema si può sostenere solo se cresce l'accumulazione di capitale umano, che in larga misura corrisponde all'accumulazione di conoscenze scientifiche. Per controllare che i fondi siano spesi nel migliore dei modi, è giusto che del Consiglio di amministrazione dell'Università faccia parte un congruo numero di rappresentanti della stessa Regione. Non va bene, invece, che i finanziamenti regionali alla ricerca siano dati in modo episodico e irrituale come è avvenuto di recente in vista delle ultime elezioni regionali, mettendo in moto, in modo molto pasticciato, un meccanismo di valutazione che la Regione non è in grado di controllare e che si sovrappone agli altri meccanismi già collaudati a livello nazionale (Prin e Firb). Il secondo motivo per cui l'Università di Cagliari rischia di non tenere il passo è tutto interno alla sua organizzazione e alla sua più recente gestione, che di fatto l'hanno già fatta scivolare verso un ruolo di Università di servizio. L'attenzione particolare agli studenti fuori corso invece che a quelli in corso, la diffusione di sedi decentrate poco qualificate sul territorio, la moltiplicazione dei corsi, degli indirizzi e delle discipline d'insegnamento, l'accentramento dei poteri in capo alle Facoltà invece che dei corsi di studio e dei dipartimenti, la discutibile organizzazione e distribuzione del personale tecnico e amministrativo, tutto ciò ha determinato la moltiplicazione dei compiti organizzativi e didattici senza mezzi e strutture di supporto e la nascita di centri magari funzionali alla gestione del potere accademico, ma inefficienti e spesso mortificanti sia per la selezione, l'alta formazione e la sperimentazione scientifica, sia per l'organizzazione efficiente della didattica. Prendere coscienza di questa situazione costituisce la premessa per una opportuna e incisiva azione di correzione. _________________________________________________ Il Sardegna 6 mar. ’09 CAGLIARI: STUDENTI, BOCCIATURA DAL MINISTERO Istruzione. La media dei crediti formativi è migliore solo di quelle dell'Università di Palermo e della Basilicata Il rendimento è tra i più bassi d'Italia Sitzia: “Un giudizio quantitativo non basta, ma è un dato che deve indurre alla riflessione” Rendimento: con le orecchie d'asino e in buona compagnia, gli studenti cagliaritani al terz’ultimo posto in Italia. Con una media di crediti medi per studente pari al 22,09. Peggio dei giovani dell’Ateneo cagliaritano soltanto Palermo (21,9) e la Basilicata (21,43). Davanti ad una media nazionale del 25,61. A dipingere il quadro non proprio incoraggiante per gli studenti cagliaritani il rapporto del Cnvsu (comitato nazionale valutazione sistema universitario) del 2008, redatto dal ministero per l’Università e la ricerca. Quello dei crediti medi acquisiti annualmente per studente è uno degli indicatori presi in considerazione. E la classifica va dalle eccellenze, con il 53, 5 dell’Università di Siena, ai dati meno come confortanti come il 21,4 della Basilicata in coda all’elenco. Al terz’ultimo posto c’è Cagliari. Va un po’ meglio, pur restando al di sotto della media nazionale, Sassari col 23,81. C’è da Preoccuparsi? La riforma ha Fallito? «Il discorso è molto più ampio e complesso», risponde l’ex preside di Giurisprudenza e membro del Senato accademico, dove il rapporto è stato già esaminato, Francesco Sitzia, «e deve indurci a profonde riflessioni. Perché quello del Cnsvu è un dato soltanto quantitativo e non tiene conto dei parametri qualitativi. In primis perché è evidente che è inutile avere una media di crediti alta quando si mantiene un basso livello di conoscenza. Sarebbe opportuno rilevare», aggiunge, «anche il livello qualitativo oltre a quello quantitativo». Secondo Sitzia Cagliari risentirebbe anche del delicato contesto socio economico in cui si trova: handicap comune a tutte le università meridionali rispetto a quelle centrosettentrionali. «È raro che nelle università del Nord Italia si trovino studenti lavoratori, iscritti per anni disertando gli esami», prosegue Sitzia, «a Milano o a Bologna chi si iscrive lo fa per studiare davvero. Al Sud e da noi capita troppo spesso di avere studenti universitari che si rivelano tali solo sulla carta. Questo fenomeno ci falsa le medie e le statistiche». Per il docente di Istituzioni di Diritto romano rispetto a qualche anno fa la situazione vede comunque miglioramenti concreti. Ma resta un dubbio a lacerare il mondo accademico: accelerare il percorso universitario o puntare sulla qualità, magari al rischio di tenere in facoltà gli studenti per qualche anno in più” «Trovare l’equilibrio è difficile», conclude Sitzia, «specie in una realtà come quella sarda. Non è una decisione da prendere a cuor leggero ». Dubbio che ora dovrà sciogliere il successore di Pasquale Mistretta. ? En. Ne. Bassa percentuale di ragazzi stranieri Secondo la valutazione fornita dal ministero, facilmente reperibile anche su internet, l’Ateneo cagliaritano guidato da Pasquale Mistretta, si attesta al di sotto della media anche per la percentuale di iscritti di cittadinanza estera: solo lo 0,2 per cento contro il 2, 6% registrato dalla media nazionale italiana. __________________________________________________________ Corriere della Sera 3 Mar. 09 IL PASSATO DI CUOCERE: CUCINAI» GLI SVARIONI DELLE MATRICOLE Ca' Foscari Il linguista Cortelazzo: indice di scarse competenze profonde Test d' italiano a Venezia, bocciato il 44% degli iscritti Lo scrittore Culicchia: faremo come le compagnie aeree, che traducono le istruzioni con i disegnini MILANO - C' è da riconoscere che, a quelle due matricole capaci di scrivere «io cucinai» come passato remoto di «cuocere», verrebbe quasi da dare un premio alla creatività. Non fosse che l' obiettivo di un test d' italiano sarebbe misurare il rispetto delle regole: grammatica, sintassi. Insieme alla capacità di capire un testo, di analizzarne il contenuto. E invece: facoltà di Lettere di Ca' Foscari, 30 gennaio scorso, 830 matricole affrontano l' esame d' accesso. I bocciati sono il 44%. «Il risultato peggiore in tre anni; nel 2008 eravamo a quota 30%», commenta Lorenzo Tomasin, professore associato di Linguistica presso l' ateneo veneziano e tra gli autori del test. «La sezione di ortografia era zeppa di errori tipici, la confusione tra "dà" e "da", doppie, apostrofi. Ma anche la coniugazione dei verbi ha dato problemi, così come il riconoscimento degli elementi della frase». Per non parlare del settore in cui il crollo è stato più marcato: la comprensione testuale. «Se questi sono i ragazzi che alle superiori andavano meglio nelle materie letterarie, c' è da preoccuparsi... ». Che il problema esista, lo conferma da Padova il linguista Michele Cortelazzo: «Da noi, le domande del test di area logico-linguistica hanno avuto tutte oltre il 25% di risposte sbagliate». Studenti che ignorano il significato di «maliardo», o restano interdetti di fronte a una «questione di lana caprina». «Ecco, io però non mi straccerei le vesti sull' ortografia: la lingua, anche nella scrittura, si sta semplificando... Temo piuttosto che queste lacune siano un indicatore di scarse competenze più profonde». «L' italiano senza dubbio sta cambiando», concorda lo scrittore Giuseppe Culicchia. «Quindici anni fa, i personaggi del mio Tutti giù per terra parlavano in un modo; ora, per Brucia la città, i loro dialoghi sono più influenzati dalle chat, dagli sms. Ma le regole si possono stravolgere se le si conosce; poi magari ci si ritrova con la laurea in tasca e senza saper scrivere un curriculum, o capire un testo. Forse faremo come le compagnie aeree, traducendo le istruzioni in disegnini... », scherza un po' amaro. Perché il problema, a questo punto, è tutto nel recupero. «E l' università non può certo accollarsi un lavoro di alfabetizzazione», chiarisce al Corriere del Veneto il preside della facoltà, Filippo Maria Carinci. «E dire che abbiamo perfino abbassato la soglia della sufficienza, perché più di 10 corsi non li potevamo programmare... », sospira Tomasin. «Il problema - chiude Cortelazzo - è che la scuola non sviluppa più le competenze di riflessione sulla lingua. Tutto si ferma alla terza media. E chi arriva all' università l' ha dimenticato». Gabriela Jacomella Dall' ortografia alla grammatica Tra gli errori più diffusi del test di italiano effettuato dalle matricole di Lettere a Ca' Foscari (foto), il classico «da» (preposizione) che diventa «dà» (voce del verbo dare). Ma c' è spazio anche per i due studenti che, alla richiesta di coniugare al passato remoto il verbo «cuocere», scrivono «io cucinai». In molti, poi, quando hanno dovuto individuare e sottolineare il soggetto di una frase, l' hanno confuso con il complemento d' agente Jacomella Gabriela _________________________________________________________________ Il sole24Ore 1 mar. ’09 DISTRETTI TECNOLOGICI LA TRINCEA DELLA RICERCA Dopo essere entrata nella difficile trincea della scuola e dell'università, con due riforme approvate tra più di una polemica, il ministro Maria Stella Gelmini ha deciso di occuparsi anche in pieno della ricerca. La sfida, come le altre; è difficile e spinosa: da una parte i fondi sono all'osso, dall'altra ci sono gli appelli continui, a cominciare dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, a scommettere sulla ricerca per ridare fiato e assicurare un futuro al Paese. L'intenzione di mettere ordine e ridare lustro al pianeta dei distretti tecnologici (l'alleanza tra pubblico e privato nella ricerca), dopo alcuni anni di dimenticatoio, sembra l'idea giusta. Grandi iniezioni di risorse non ce le possiamo aspettare, ma l'idea di puntare tutto sulla necessità di "fare squadra" -. dalle università agli enti locali fino alle imprese - può essere la strada giusta. Far emergere le "vocazioni" territoriali, con una buona regia nazionale, può finalmente far entrare anche la ricerca nella stagione del federalismo. (mar.b.) _________________________________________________________________ Il sole24Ore 1 mar. ’09 TEOLOGIA E SCIENZA: IL RUBICONE DELL’UOMO Un incontro tra teologi, filosofi e biologi all'Università Gregoriana per discutere di evoluzione. L'obiettivo: individuare insieme cosa ci differenzia dai primati di Gianfranco Ravasi Fede e scienza sono complementari e non opposte e incompatibili». L'ha detto Arno Allan Perizias, Nobel 1978 per la fisica, dialogando col nostro Riccardo Chiaberge. Questa frase la adotterei idealmente come motto per il Convegno internazionale sull'evoluzione biologica che si apre martedì prossimo all'Università Gregoriana e che confesso di aver intensamente sostenuto nella mia funzione di presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Si deve, infatti, lasciare alle spalle l'orgogliosa autosufficienza dello scienziato ché relegava la teologia nel deposito dei relitti di un paleolitico intellettuale, superato da chi correva gloriosamente sul luminoso e progressivo viale della scienza moderna. Ma si deve anche vincere la tentazione del teologo che si illudeva di perimetrare i campi della ricerca scientifica o di finalizzarne i risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi. Come scriveva Schelling, occorre che scienziato e teologo «custodiscano castamente la loro frontiera», rimanendo aderenti ai loro specifici canoni di ricerca, pronti però anche a rispettare e a tenere in considerazione i metodi e i risultati degli ultimi approcci alla realtà umana in esame. Un celebre scienziato come Max Planck (1858-1947), nel suo saggio sulla Conoscenza del mondo fisico, scriveva che «scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell'altra per completarsi nella mente di un uomo che pensa seriamente». Tesi ribadita anche da un Papa come Giovanni Paolo II quando nel discorso conclusivo della «Commissione del Caso Galileo» affermava: «La distinzione tra i due campi del sapere [scienza e fede] non dev'essere intesa come un'opposizione. I due settori non sono estranei l'uno all'altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà». Uno dei più celebrati studiosi di antropologia culturale, Claude Levi Strauss, nella sua opera Il crudo e il cotto, ricordava che «lo scienziato non è l'uomo che fornisce vere risposte, è invece colui che pone le vere domande». Ebbene, riguardo al tema specifico dell'evoluzione umana, una delle questioni capitali che la scienza presenta, ma al cui svelamento contribuiscono in modo determinante sia 3a filosofia sia la teologia, è quella, delicata e fluida, del segnale o degli indizi che mostrano l'emergere dell’ominizzazione lungo la grande e complessa traiettoria evolutiva. In passato ci si appoggiava un po' "quantitativamente" sullo sviluppo della capacità cranica e si parlava appunto di un "Rubicone cerebrale", cioè di una svolta legata alla crescita della massa del cervello. Poi, però, si è preferito puntare più sui "marcatori" culturali, come il primo apparire del linguaggio e dell'attività simbolica, con l'affiorare di una primordiale sensibilità estetica. Si tratterebbe, quindi, del superamento della mera fisicità con le sue pulsioni istintuali e meccaniche per assurgere a espressioni più libere e ''gratuite". Ebbene, è proprio qui che la filosofia e la teologia possono dare un ulteriore contributo di comprensione. Innanzitutto lo può fare la filosofia che ci aiuta a individuare il trapasso dalla pura e semplice biologia, per cui l'organismo funziona secondo regole obbligatorie, all'elaborazione cosciente ché giustifica, controlla e persino muta quei fenomeni primari. L'uomo riesce, allora, a rendersi ragione della sua realtà, a spiegarla e a dominarla, a scoprirne le regole che la reggono e a giustificarle. Ma a questo punto avviene qualcosa di più alto che sconfina nell'etica. Per descriverlo vorremmo ricorrere a quel grande pensatore, scienziato e credente che fu I3laise Pascal. Egli nei suoi Pensieri (n. 829 edizione Chevalier) distingueva un triplice livello progressivo: l'ordine della carne, l'ordine dello spirito e quello della carità. Quest'ultimo livello con la sua gratuità non solo va oltre il meccanismo della carne, ossia della corporeità, già superato dall'ordine dello spirito, ma, come scriveva il filosofo, trascende anche «tutti gli spiriti insieme e tutte le loro produzioni», aprendo l'uomo all'infinito e all'eterno. Lo stesso pensatore, in una celebre battuta; ricordava che «l'uomo supera infinitamente l'uomo» e questo trascendimento lo si scopre, ad esempio, nella gratuità creativa dell’amore, che va oltre ogni rigida connessione biologica e anche contro la stessa logica dello spirito che riflette e argomenta. Si pensi alla grandiosa libertà etica esaltata dal Cristianesimo col perdonare le offese, proteggere gli ultimi, aiutare anche il nemico o l'estraneo, «dare la stessa vita per la persona amata» (Giovanni 15,13). Questo atteggiamento, che fiorisce proprio dall'alta moralità dell'amore e da una scelta libera, smentisce nettamente quell'applicazione rigida e ùnpo' caricaturale della teoria evolutiva nota come «darwinismo sociale»: l'esempio più emblematico di tale concezione è nelle teorie di Herbert Spencer o di William G. Sùmner che giustificarono le disuguaglianze sociali e le ingiustizie come esiti necessari,della selezione naturale e stabilirono un parallelo meccanico tra evoluzione biologica ed evoluzione sociale. La gloriosa e drammatica grandezza etica dell’uomo, intessuto di miseria e di splendore, capace di "bestialità" e di eroismo, è il principale segnale dell’umanità, il Rubicone che lo separa dal primate. Non è possibile ricondurre questa complessità e originalità sconcertante nel bene e nel male, tipica della creatura umana, questo «ordine della carità», affermata o negata, a una mera risultanza biologica, fermo restando che tutto questo non esclude i citati dati scientifici della paleontologia, della sistematica e della biologia molecolare, che confermano l'evoluzione progressiva delle varie forme. strutturali del vivente («l'ordine del corpo», sempre per usare il linguaggio pascaliano). Come è evidente, ormai siamo sul terreno teologico e qui iniziano a germogliare altri interrogativi che ci conducono alla comprensione simbolica, cioè unitaria e piena, della persona umana (si pensi solo al tema della libertà e del peccato). Noi ci fermiamo qui ribadendo che mai come oggi scienza e teologia, sapere e credere devono incrocia-re i loro diversi percorsi con serietà e serenità, senza facili concordismi o istintuali rigetti. Per noi credenti valga, allora, sempre l'appello che ci ha lasciato in una sua lettera sant'Agostino: Intellectum valde amat L'amore appassionato per l'intelligenza, il sapere, il comprendere è fondamentale per la stessa fede che altrimenti si estinguerebbe in sentimentalismo, nella consapevolezza, però, che la verità è un Oltre che ci precedé e ci supera. E agli scienziati può essere ricordato l'invito che Benedetto XVI proponeva per travalicare «la limitazione autoimposta alla ragione solo a ciò che è verificabile nell'esperimento»,, dischiudendosi all'orizzonte più ampio della verità. In questa luce - continuava il Papa - «la teologia vera e propria, come interrogativo sulla ragione della fede e del senso ultimo della realtà, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze». _________________________________________________________________ Repubblica 7 Mar. ’09 GLI SCIENZIATI NON CANCELLANO IL SACRO SCIENZE: IL VICOLO CIECO DEGLI ATEII Di fronte allo spettacolo delle crudeltà perpetrate in nome della fede, Voltaire pronunciò il famoso appello: Ecrasez l’infame!. Numerosi pensatori illuminati lo hanno seguito, affermando che la religione organizzata è il nemico del genere umano, la forza che divide il fedele dall'infedele e che per questo eccita entrambi e autorizza l'omicidio. Richard Dawkins è l'esempio vivente più influente di questa tradizione, e il suo messaggio, echeggiato da Dan Dennett, Sani Harris e Christopher Hitchens, suona forte e chiaro nei media odierni come fece il messaggio di Lutero nelle chiese riformate di Germania. La violenza delle diatribe scaturite da questi atei evangelcal è notevole. Dopo tutto, l'Illuminismo si è verificato tre secoli fa; gli argomenti di Hume, Kant e Voltaire sono stati assorbiti da ogni persona beneducata. Ma cosa si può dire di più? E se lo si deve dire, perché dirlo in maniera così eclatante? Del resta non è forse vero che coloro che si oppongono alla religione in nome della gentilezza hanno il dovere di essere gentili, anche nei confronti - anzi, specialmente - dei loro avversari? Ci sono due ragioni per cui le persane iniziano a gridare contro i propri avversari: o quando pensano che il loro avversario sia talmente forte che bisogna usare contro di lui qualsiasi arma o quando ritengono chela propria argomentazione sia così debole che deve essere rafforzata dal rumore. Dawkins e Hitchens sono inamovibili nel dire che il panorama scientifico ha completamente scalzato le premesse della religione e che solo l’ignoranza può spiegare la persistenza della fede. Ma che cosa ci dice esattamente la scienza moderna, e dove essa contrasta con le premesse del credere religioso? Secondo Dawkins (e qui Hitchens lo segue), gli esseri umani sono «macchine di sopravvivenza» a servizio dei loro geni. Noi, per così dire, siamo dei sottoprodotti di un processo che è completamente disinteressato rispetta al nostro benessere, siamo macchine sviluppate dal nostro materiale genetico in modo da promuovere il suo obiettivo. Gli stessi geni sono molecole complesse, messe insieme secondo le leggi della chimica da parte di una materia che è stata prodotta da un brodo primordiale che un tempo bolliva sulla superficie del nostro pianeta. Non è noto in che modo tale brodo sia arrivato lì: forse alcune scariche elettriche hanno permesso che atomi di azoto, idrogeno e carbone si legassero insieme in catene adeguate fino a quando una di essa raggiunse il notevole risultato di codificare le istruzioni perla sua propria riproduzione. La scienza un giorno potrebbe essere capace di rispondere alla domanda di come tutto ciò sia avvenuto. Ma è la scienza, non la religione che darà una risposta. Sarà sempre spiegata dalla scienza (più dall'astrofisica che dalla biologia) anche l'esistenza di un pianeta in cui gli elementi abbondano nelle quantità osservate sul pianeta Terra. L'esistenza della Terra è parte di un grande processo che si va schiudendo, che sarebbe o non sarebbe potuto iniziare con un Big Bang, e che contiene molti misteri che i fisici esplorano con uno stupore sempre crescente. L'astrofisica ha posto tanti interrogativi quanti è riuscita a risolverne. Ma questi sono interrogativi scientifici, che devono essere risolti scoprendo le leggi del moto che governano i cambiamenti osservabili a ogni livello del mando fisico, dalla galassia alla supernova, dai buchi neri al quark. È il mistero con cui ci confrontiamo quando guardiamo in alto verso la Via Lattea, sapendo che la miriade di stelle responsabile di quella striscia di luce sono solo stelle di una singola galassia, quella che ci contiene, e che oltre i suoi confini una miriade di altre galassie girano lentamente nello spazio, alcune che si stanno spegnendo, altre che stanno emergendo, tutte comunque sempre a noi inaccessibili: ecco, questo mistero non chiede una risposta religiosa. Tale mistero scaturisce dalla nostra conoscenza parziale e può essere risolto solo da una conoscenza ulteriore dello stesso tipo; quella conoscenza che noi chiamiamo scienza. Solo l'ignoranza potrebbe spingerci a negare questa fotografia generale, e gli atei evangelical affermano che la religione è obbligata a negare questa fotografia e perciò deve, in qualche misura, dedicarsi a diffondere l'ignoranza o prevenire in qualsiasi modo la conoscenza. Però tra i miei amici e conoscenti in non conosco una persona religiosa che nega questa fotografia, o che la considera come qualcosa che pone la più minima difficoltà alla sua fede. Dawkins scrive come se la teoria del gene egoista eliminasse una volta per tutte l'idea di un Dio creatore- come se non avessimo più bisogno di tale ipotesi per spiegare come siamo giunti all'esistenza. In un certa senso, questo è vero. E riguardo al gene stesso: come è arrivato a esistere? E il brodo primordiale? Tutti questi interrogativi hanno di certo una risposta se si va un gradino più indietro nella catena delle cause. Ma a ogni gradino incontriamo un mondo con una qualità singolare: cioè, si tratta di un mondo che, lasciato a se stesso, produrrà esseri coscienti, capaci di cercare la ragione e il significato delle cose, e non solo la causa. Ciò che stupisce del nostro universo - che esso contenga la consapevolezza, il giudizio,la conoscenza di cosa è giusto e cosa sbagliato, e tutto quello che rende la condizione umana così singolare-non è reso meno stupefacente dall'ipotesi che questo stato di cose sia emerso lungo il tempo da altre condizioni. Se ciò è vero, tutto questo dimostra solo quanto erano stupefacenti queste altre condizioni. Il gene e il brodo primordiale non possono essere meno stupefacenti del loro prodotto. Inoltre, queste cose potrebbero smettere di stupirci o piuttosto, potrebbero cadere nell'alveo delle cose comprensibili se potessimo trovare un modo per purificarle dalla contingenza. Ciò è quanto la religione promette: non necessariamente una proposta, ma qualcosa che rimuove il paradosso di un mondo interamente governato da una legge, aperto alla consapevolezza, che tuttavia è priva di una spiegazione: tutto qui, per nessuna ragione. Gli atei evangelical sono consapevoli che la loro abdicazione di fronte alla scienza non rende l'universo più intellegibile né offre una risposta alternativa alle nostre indagini metafisiche. Essa semplicemente conduce l'indagine a uno stop. E la persona religiosa sente che questo stop è prematuro e che la ragione ha altri interrogativi da porre, e forse più risposte da attenere di quante gli atei ci permetteranno di avere. (traduzione di Lo renzo Fazzini) ________________________________________________________________ tst Tutto Scienze e tecnologia 4 mar. ’09 CERVELLONI IN GUERRA CON I TALEBANI "Solo il metodo scientifico spezzerà il fanatismo C'è una ricetta, per tornare all'età d'oro dell'Islam" PERVEZHOODBHOY UNIVERSITA' QUAID-I-AZAM DI ISLAMABAD La lezione della tolleranza La domanda che voglio porre è la seguente: con una popolazione di oltre un miliardo di individui di fede musulmana e una quantità ragguardevole di risorse materiali, perché il mondo islamico si è allontanato dalla scienza e dal processo di creazione di conoscenza? Non è andata sempre così. L'Età dell'Oro dell'Islam, tra IX e XIII secolo, ispirò grandi progressi nella matematica, nella scienza e nella medicina. La lingua araba era dominante nell'epoca in cui diede i natali all'algebra, formulò i principi di ottica, scoprì la circolazione del sangue, diede i nomi agli astri e fondò molte università. Ma con la fine di quel periodo la scienza si eclissò. Nessuna invenzione o scoperta significativa è emersa per oltre sette secoli. E' proprio questo progresso interrotto un elemento importante - anche se non l'unico - che contribuisce ad alimentare l'attuale marginalizzazione dei musulmani e il loro crescente senso di ingiustizia. Oggi, i leader islamici hanno capito che potenza militare e crescita economica derivano entrambi dalla tecnologia e, spesso, auspicano un rapido sviluppo scientifico e la creazione di una società basata sulla conoscenza. Ma spesso questo auspicio è solo retorico, anche se in alcuni Paesi islamici - Qatar, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Malesia, Arabia Saudita, Iran - il patrocinio ufficiale della scienza e dell'educazione, assieme al loro finanziamento, sono cresciuti rapidamente. E tuttavia aumentare i fondi può bastare per rivitalizzare la scienza o, forse, non c'è bisogno di cambiamenti più fondamentali? Alcuni studiosi, come Max Weber, hanno sostenuto che l'Islam mancasse di un «sistema di idee» necessario per sostenere una cultura scientifica basata sull'innovazione e sulla verifica empirica. Fatalismo e orientamento al passato - dicevano - rende il progresso difficoltoso e perfino indesiderabile. Al contrario, nel difendere la compatibilità tra scienza e Islam, i musulmani ribattono che proprio l'Islam ha alimentato una cultura vibrante nei secoli bui dell' Europa e quindi, per analogia, è capace di gestire una cultura scientifica moderna. Anche se il passo relativamente lento dello sviluppo scientifico nei Paesi islamici è evidente, ci possono essere diverse spiegazioni e alcune di quelle più comuni sono errate. E' una leggenda, per esempio, il fatto che le donne siano in larga parte escluse dall'istruzione superiore. I numeri, infatti, sono simili a quelli di molti Paesi occidentali. Nel settore delle scienze naturali e dell'ingegneria la proporzione di donne iscritte alle università è quasi la stessa degli Usa. Le restrizioni alla libertà delle donne, d'altra parte, garantiscono possibilità molto minori, sia nella vita privata che nei percorsi professionali. Ma nemmeno la quasi totale mancanza di democrazia nei Paesi islamici costituisce la ragione essenziale di uno sviluppo scientifico rallentato. E' sicuramente vero che i regimi autoritari non riconoscono la libertà di ricerca o di dissenso, minacciano il funzionamento delle università e limitano i contatti con il mondo esterno. Ma nessun governo islamico, oggi, anche se dittatoriale o imperfettamente democratico, si avvicina solo remotamente al terrore praticato da Hitler o da Stalin, sotto i quali, comunque, la scienza poté sopravvivere e perfino progredire. Un altro mito sbagliato è quello secondo cui il mondo islamico rigetterebbe le nuove tecnologie. Non è vero. Nonostante una manciata di questi Paesi sia costituita da ricchi produttori di petrolio con redditi esorbitanti, la maggior parte, invece, è piuttosto povera. E' semmai l'inadeguatezza delle tradizionali lingue islamiche - arabo, persiano, urdu - a costituire un fattore importante. Uno studio dell'Onu rivela che «il mondo arabo traduce circa 330 libri ogni anno, un quinto del numero dei testi tradotti nello stesso arco di tempo dalla Grecia». Ma le ragioni ancora più profonde sono culturali. La scienza è fondamentalmente un sistema di idee cresciuto attorno a una sorta di impalcatura, il metodo scientifico. Il progresso richiede costantemente che i fatti e le ipotesi siano controllati e ri-controllati e per questo non si cura dell'autorità. Ecco perché la scienza trova la strada sbarrata ogni volta che i miracoli sono presi alla lettera e ogni volta che si crede che la parola rivelata fornisca una conoscenza autentica del mondo naturale. Se il metodo scientifico è svilito, nessuna quantità di risorse o nessuna dichiarazione di intenti a favore dello sviluppo possono compensare questa mancanza. Il fondamentalismo è sempre una cattiva notizia per la scienza. Ma che cosa può spiegare la crescita esponenziale del fondamentalismo nell'ultima metà del secolo? Alla metà degli Anni 50 tutti i leader musulmani erano laici e il secolarismo nel mondo islamico stava crescendo. L'Occidente deve accettare la propria dose di responsabilità nell'aver contribuito a invertire questa tendenza. E allora riuscirà mai la scienza a tornare all'interno dell'universo islamico? Oppure il mondo dovrà continuare a essere diviso tra quelli che coltivano la scienza e quelli che non lo fanno? Per. quanto il presente possa apparire desolante, uno scenario del genere è inaccettabile. La storia non conosce la parola «fine» e i musulmani hanno la loro chance. Dobbiamo riuscire ad abbandonare l'agenda che ci viene dettata da strette osservanze nazionalistiche o religiose, in Occidente tanto quanto tra i musulmani. Nel lungo periodo i confini politici dovranno e potranno essere considerati come artificiali e temporanei. Punto altrettanto fondamentale: la religione dev'essere una questione di libera scelta per l'individuo, non un'imposizione dello Stato. Questo fa sì che l'umanesimo laico, basato sul senso comune e i principi della logica, sia la nostra sola opzione ragionevole per il progresso. Essendo scienziati, lo comprendiamo facilmente. Il nostro compito è persuadere quelli che non lo capiscono. ________________________________________________________________ tst Tutto Scienze e tecnologia 4 mar. ’09 C'È LA CRISI? PROVATE I FRATTALI CONTO ALLA ROVESCIA PER L'EDIZIONE A NEW YORK E ROMA Mandelbrot: le teorie economiche convenzionali sono tutte sbagliate GABRIELE BECCARIA All’epoca nessuno mi ascoltò». Seguono sospiro e bonaria risata. E se il padre dei frattali avesse ragione? Non lo sapremo mai. Quasi mezzo secolo fa Benoit Mandelbrot fu il primo a scoprire che i prezzi del cotone violavano le regole classiche dell'economia, perché fluttuavano oltre le curve standard, e cinque anni fa ha pubblicato un saggio - «The Misbehaviour of Markets» - sintetizzato così: «Le teorie finanziarie, quelle insegnate nelle business schools, sono fondamentalmente sbagliate». Intanto è crollato tutto e una chance per ascoltare uno dei maggiori matematici del momento sarà la lezione pubblica del 10 marzo a New York: è uno degli ospiti del «Festival della Matematica», che per 48 ore si trasferisce a Manhattan a interrogarsi sulle alchimie tra numeri ed economia prima di esibirsi a Roma; dal 19 al 22. Professore, la sua «lectio» si intitolerà «II disordine dei mercati. Una visione frattale del rischio»: secondo lei, chi è il colpevole del caos attuale? «Certo, è un pasticcio. E non è nato da solo, è stato creato». Da chi? «Ci sono molte cause. Una, in particolare: tante contrattazioni erano diventate segrete e tante regole per garantire i controlli sono state soppresse dal Congresso di Washington. Non voglio scendere nella polemica politica, ma la situazione è andata fuori controllo». E le responsabilità dei suoi colleghi economisti? Lei non ne salva nessuno,. a cominciare da Louis Bachelier, il padre dei modelli classici del XX secolo, come la Portfolio Theory e I'Efficient Market Hypothesis. «L'economia è un settore che ho cominciato a studiare 50 anni fa e ci sono tornato tante volte: chi avrebbe detto che sarebbe diventato un argomento così popolare? Comunque, è vero che il mio libro è un attacco alla statistica finanziaria convenzionale. Bachelier, in particolare, ha elaborato la teoria di un mercato che non esiste: ecco perché ne ho proposta una alternativa». Quali caratteristiche ha? «Include due caratteristiche chiave del mercato reale. Primo: i mercati sono discontinui. Significa che, quando le condizioni della Borsa cambiano, i prezzi possono oscillare di colpo da un valore iniziale a un altro successivo molto diverso, tra "crashes" e "booms". Bachelier, invece, pensava al progredire di piccoli "steps", il che è sbagliato. Il fatto curioso è che la storia l'ha confermato spesso, già ai tempi dei banchieri della Firenze dei Medici, e che anche la letteratura se n'è accorta, per esempio nel "Mercante di Venezia" di Shakespeare». E la seconda caratteristica? «E' il cosiddetto "clustering": se si osserva la storia di un prezzò, si notano variazioni minime per lunghi periodi e oscillazioni violente e soprattutto improvvise, proprio come in questo momento». La discontinuità economica sembra simile a quella geometrica dei suoi frattali, le formule che permettono di studiare gli uragani o i terremoti: è così? «Quando iniziai le mie ricerche, i frattali non esistevano. Sono arrivati dopo il mio trasferimento a Harvard: nacquero in modo avventuroso e in un contesto più ampio». E così alle sue teorie economiche ha aggiunto il «Flexible time fractal», il tempo flessibile frattale, con cui valutare i rischi di un investimento: lo spiega? «I mercati vengono analizzati in fasi temporali che si deformano. E' un'esperienza che chiunque nota: quante volte, alla fine di una giornata di Borsa, un investitore si lascia andare a un "Oggi non è successo niente!" e in altre si dispera: "Non ho avuto nemmeno un attimo per pensare!". Io ho trasformato questa vaga impressione in un modello matematico: è stata un'innovazione importante, perché permette, con cambiamenti minimi nei parametri, di passare dall'analisi di mercati relativamente stabili ad altri estremamente volatili». Lei sostiene che le bolle speculative sono inevitabili: perché? «In certe condizioni sono perfettamente razionali. Prendiamo il caso di un'azienda che si espande: le azioni salgono sulla base delle attese future di sviluppo e poi, quando irrompe una crisi, gli elementi di previsione su cui si basavano i prezzi crollano: e allora i valori delle azioni non possono che andare in fumo. E' logico: il sistema economico trasforma le informazioni in elementi di discontinuità. C'è molto più della stupidità di cui tanti parlano». Come giudica il pacchetto anticrisi di Barack Obama? «Preferisco non rispondere. Ci vuole tempo per stabilire una politica e anche per valutarla. Ma voglio dire che sono scioccato dalla quantità di individui che si dichiarano specialisti di cose economiche, anche se sono privi di qualunque comprensione dei fatti». RUOLO: E'PROFESSORE DI SCIENZE MATEMATICHE ALLA YALE UNIVERSITY-USA IL LIBRO: «ILDISORDINE DEI MERCATI. UNA VISIONE FRATTALE DI RISCHIO ROVINA E REDDITIVITA'»-EINAUDI La salvezza dai numeri «Creazioni e ricreazioni»: è il titolo della 3a edizione del Festival della Matematica, che avrà 2 sessioni: a New York (10-11 marzo) e a Roma (19-22 marzo). Nella prima sessione Benoit Mandelbrot parlerà del disordine dei mercati, mentre il Nobel Daniel Kanheman affronterà il ragionamento statistico e un altro celebre Nobel, John Nash, insieme con Harold Kuhn ricostruirà la teoria dei giochi. Ad aprire le discussioni sarà il Nobel della Fisica Shelly Glashow, che spiegherà «l'irragionevole efficacia della matematica». Sempre a New York sarà poi la volta di Thomas Banchoff e Achille Varzi, che analizzeranno il mondo di «Flatlandia», mentre Piergiorgio Odifreddi (direttore scientifico del Festival) metterà in scena con Claudio Bartocci un'intervista immaginaria a Galileo Galilei. ________________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 7 mar. ’09 INNOVAZIONE: ITALIA CENERENTOLA Stabili nella negatività, potremmo definire le notizie poco confortanti che emergono dall’annuale rapporto EIS (European Innovation Scoreboard 2008) riguardanti il mondo italiano dell'innovazione. Il documento preparato dal Maastricht Economic and Social Résearch and Training Centre on Innovation and Technology (IJNU-Merit) è frutto di un'elaborazione di numerose indagini condotte nelle varie nazioni (anche dal nostro Consiglio Nazionale delle Ricerche) ed è uno strumento di lavoro dell'Unione Europea perché fotografa la realtà, le capacità é le tendenze dei Paesi membri più Croazia, Turchia, Islanda, Norvegia e Svizzera, facendo un confronto con Stati Uniti e Giappone. Prendendo 29 indicatori che riguardano dai ricercatori impiegati, ai brevetti generati, agli scambi fra ricerca pubblica e privata, agli investimenti, alle società coinvolte e valutando pure, ad esempio, gli effetti economici generati e le aziende che hanno introdotto innovazioni, si è compilata una classifica che misura nel contempo le variazioni rispetto al passato. Ma per la prima volta si è inoltre tenuto conto della creatività interna alle industrie rivelatasi talvolta efficace nel produrre innovazione da risultati già ottenuti e acquisiti in passato. La classifica divide le nazioni in quattro gruppi: Innovation leaders, Innovation followers, Moderate Innovators e Catching-up countries. Noi ci troviamo al ventiduesimo posto su 32, sull'ultimo gradino dei «moderati», alle spalle della Grecia e ben al di sotto della media europea. Dietro di noi c'è solo il gruppetto degli «inseguitori» guidato da Malta. Tra i moderati, che è bene ricordare comprendono Cipro, Estonia, Slovenia, Repubblica Ceca, Spagna, Portogallo, Grecia e Italia, i compilatori del rapporto segnalano il particolare trend a migliorare di Cipro e l'immobilità di Italia e Spagna. Per il nostro Paese si sottolinea qualche segno di tenue miglioramento rispetto al passato nel supporto finanziario e in qualche limitato effetto economico ma contemporaneamente si evidenzia la forte debolezza nella risorse umane, negli investimenti delle aziende e nei collegamenti tra ricerca e attività imprenditoriale. Non bastano, insomma, per produrre cambiamenti gli aumenti negli ultimi cinque anni dei laureati (più 8,8 per cento), dei dottorati (più 22,7 per cento) oppure l'accesso alla banda larga da parte delle industrie (più 18,6 per cento). «Le performance degli investimenti industriali non sono migliorati - si nota - e quelle degli effetti economici dell'innovazione sono peggiorati». A livello europeo, se i campioni in classifica restano più o meno sempre gli stessi (Danimarca, Finlandia, Germania, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna), complessivamente c'è un progresso nei cervelli impiegati, negli investimenti del venture capital e nell'utilizzo della banda larga, testimone concreto di un'attività in crescita. Restano sempre, anche se tende a ridursi lievemente, le differenze negative (il gap) rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. Ed è bene ricordare in proposito che tra il sostegno finanziario straordinario garantito dal presidente Obama per risollevare l'economia americana ci sono forti investimenti dedicati alla ricerca. «La radiografia del rapporto è impietosa ma reale - dice Roberto Cingolani direttore dell'Istituto Italiano di Tecnologia - ed è la conseguenza di una situazione culturale ricerca-impresa che negli ultimi vent'anni si è chiusa su se stessa. Persino la Grecia rivela un trend positivo mentre il nostro si mostra saldamente negativo. Ci immaginiamo avanzati solo perché l'Italia ha il più alto numero di cellulari ma dimentichiamo che, nonostante il numero elevato, abbiamo il loro più basso utilizzo internazionale per la trasmissione di informazioni utili: in altri paesi si impiega come un vero terminale mentre noi ci limitiamo all'uso per la chiacchiera. I problemi - aggiunge Cingolani - sono quelli noti e mai affrontati e risolti. A parte le infrastrutture e la finanza carenti, non esistono standard europei di selezione della ricerca e di valutazione dei risultati, sono protagonisti troppi organismi e una burocrazia paralizzante e ciò non crea le condizioni di responsabilità che un ricercatore deve avere. Tutto da noi è intoccabile. Le sacche di eccellenza presenti qua è la come alcune piccole aziende, ad esempio Ferrar! e Ducati, non essendoci una valutazione precisa su che cosa si vuol fare e dove si intende andare, le sacche non si estendono. infine, si scoraggia il vivaio, per dirla in termini sportivi, cioè si fa di tutto per allontanare i giovani dal fare ricerca mentre si dovrebbe cominciare ad educarli a questa visione a partire già dai sei anni». «Uno dei nostri mali più gravi è la scarsità degli investimenti d'impresa - nota Luigi Paganetto, presidente dell'Enea - e gli unici settori in cui si continua a manifestare un risultato è dove esiste, come per le macchine utensili, una tradizione anche nei consumi. Nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie o nelle tecnologie energetiche manca innovazione anche perché non c'è il trascinamento da parte di piccole e medie aziende. In Italia non c'è tradizione nei settori nuovi che oggi governano il cambiamento, ma per crearla bisogna individuare delle applicazioni da immettere nei processi produttivi. Da queste poi arriveranno altri e continui stimoli all'innovazione. Nella Penisola non esiste una struttura industriale in grado di generare innovazione indipendentemente dai risultati applicativi e c'è inoltre una bassa capacità di interagire con enti e università». Giovanni Caprara _________________________________________________________________ Le Scienze 3 mar. ’09 INVESTIRE NELLE RISORSE UMANE Il settore della ricerca in Italia ha bisogno di più ricercatori, soprattutto di energie giovani, alle quali garantire progressioni di carriera basa te sul merito e la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni in tempi ragionevoli. Si tratta di una richiesta ampiamente condivisa, ma che non sempre viene presentata e dibattuta ponendo sufficiente attenzione alla concreta natura di «risorse» che queste energie umane possono rappresentare per il nostro paese. Facciamo un esempio indicativo. Nel VI Programma Quadro, il principale strumento di finanziamento alla ricerca dell'Unione Europea, l'Italia ha avuto un ritorno di circa il9 per cento rispetto a un contributo alla Comunità intorno al 14 per cento. Tuttavia, le risorse pro capite conquistate dai ricercatori italiani in Europa sono allo stesso livello, se non superiore, della media europea. II problema dunque non è tanto nella qualità, quanto nel volume di ricerca che il nostro sistema è in grado di sviluppare. Paradossalmente, risparmiando sulla spesa per i ricercatori, finiamo per finanziare le ricerche degli altri Stati membri dell'Unione. È una conferma di come il nostro problema stia nella consistenza numerica dei ricercatori. Il personale di ricerca in rapporto alla forza lavoro è di 0,7 per 1.000 da noi, del 2,2 in Finlandia, di 1,6 in Svezia. In termini numerici assoluti, il personale in attività di ricerca impiegato nel nostro paese è di circa 160.000 unità a tempo pieno, di cui poco più di 70.000 ricercatori. La Germania ne conta 270.000: quattro volte l'Italia; gli Stati Uniti 1.335.000 unità. Questo deficit si ripercuote non soltanto sulla minore capacità di attrarre risorse comunitarie ma sulla nostra competitività in generale. Rilanciare il reclutamento dei ricercatori, al contrario, rappresenta un vero «investimento», sia per le maggiori ricadute della ricerca sia per attrarre in misura maggiore i fondi comunitari sul nostro territorio. ======================================================= __________________________________________________________ Sanità New 4 Mar. 09 IL MIUR ANNUNCIA CHE AD APRILE SARANNO PUBBLICATI I BANDI DEGLI SPECIALIZZANDI UN MEDICINA 0001 (Sn) - Roma, 05 mar. - I bandi di concorso per gli specializzandi in medicina saranno pubblicati entro il 10 aprile. Lo hanno assicurato i rappresentanti del ministero dell'Istruzione che stamani hanno ricevuto le associazioni dei futuri specializzandi delle facolta' di medicina, Federspecializzandi e Sims, che chiedevano, appunto, garanzie sulle procedure dei concorsi per l'accesso alle scuole di area sanitaria e sugli accorpamenti delle stesse. Il ministero - informa una nota del dicastero - ha rassicurato gli studenti sulla pubblicazione dei bandi entro la prima decade di aprile 2009 e ha confermato l'impegno del ministro Gelmini a perfezionare questo adempimento nella Conferenza Stato- Regioni del 19 marzo. Sul processo di riordino delle scuole di specializzazione, il Ministero ha poi confermato l'impegno a procedere alla razionalizzazione salvaguardando le eccellenze e considerando le esigenze territoriali. Il Decreto Ministeriale sull'assegnazione dei contratti sara' dunque 'tempestivamente' firmato dal ministro Gelmini dopo l'acquisizione del decreto sui contingenti nazionali delle scuole da parte del ministero della Salute. 'Perche' le legittime aspettative dei medici in formazione vengano garantite pienamente - hanno spiegato i rappresentanti del ministero - occorre ora che la Conferenza Stato-Regioni e i presidi delle facolta' di medicina adempiano alle loro funzioni'. (Sn) L’ORDINE DEI MEDICI E’ CONTRARIO ALLO SLITTAMENTO DEI CONCORSI PER LE SPECIALIZZAZIONI 0001 (Sn) - Roma, 06 mar. - La Federazione Nazionale degli ordini dei medici (FNOMCeO), e' preoccupata per lo slittamento dei concorsi di ammissione alle scuole di specializzazione, visto il mancato accordo sul numero degli specialisti e sul finanziamento dei contratti di formazione specialistica. La Federazione si dichiara, per questo, vicina a quanti, oggi, hanno manifestato presso il MIUR al fine di ottenere 'lo sblocco dei concorsi di ammissione alle Scuole di Specializzazione'. La FNOMCeO ricorda che neppure in sede dell'ultima Conferenza Stato-Regioni del 26 febbraio, si sia giunti ad un accordo riguardo ai fabbisogni triennali dei medici in formazione specialistica: la discussione di questo punto, che era all'Ordine del giorno, e' stata, infatti, rimandata. Episodio che ha comportato un ulteriore slittamento - rispetto al gia' attuale ritardo di quattro mesi - del bando di concorso per l'accesso alle Scuole di Specializzazione. Solo se si arrivera' ad un'intesa entro il 19 marzo - data della prossima Conferenza Stato-Regioni - le prove del concorso potranno svolgersi entro la fine di giugno 2009. La Federazione fa rilevare, ancora una volta, come i bandi, negli ultimi cinque anni, siano stati indetti con un ritardo che oscilla dai cinque ai nove mesi. (Sn) __________________________________________________________ Il sole24Ore 25 Feb. 09 I CINQUE «PILASTRI» PER L'OBIETTIVO SALUTE LE TAPPE DEL PROGRAMMA Connessione in rete di tutti i medici di medicina generale e dei pediatri, digitalizzazione di ricette e certificati, realizzazione del fascicolo sanitario elettronico del cittadino, messa in rete dei centri unici di prenotazione (Cup), innovazione delle aziende sanitarie. Questi i cinque pilastri su cui poggia il progetto per la Sanità digitale annunciato in tandem dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal ministro per l'Innovazione e la Pa Renato Brunetta. La sfida fa capo al «Piano e-gov 2012» che nei prossimi quattro anni mira a trasformare la Pubblica amministrazione in una macchina efficiente grazie all'adozione delle tecnologie digitali. La tabella di marcia messa nero su bianco dal governo fissa a fine 2010 la piena attuazione dei progetti medici in rete e digitalizzazione del ciclo prescrittivo, mentre bisognerà aspettare il 2011 per la fase avanzata delle altre tre iniziative. Medici in rete - che prevede un investimento di circa 20 milioni l'anno - fissa a metà 2009 la presenza on-line del 50% del personale per raggiungere quota 60% a fine anno e completarsi entro il 2010. A oggi in Italia sui 48mila medici di base e i 7.200 pediatri del Ssn l'80% è dotato di computer e il 40% di connessione in rete. Il progetto medici in rete fa il paio con quello sulla digitalizzazione del ciclo prescrittivo: a fine 2010 gli oltre 55mila medici destinatari delle iniziative saranno abilitati per l'emissione delle ricette e dei certificati di malattia digitali (lo sviluppo delle linee guida sarà completato entro il 2009). «La prescrizione medica elettronica può portare a una riduzione del 30% delle spese nell'ambito sanitario per un risparmio stimato fra i due e i sei miliardi di euro calcolando che normalmente per le prescrizioni mediche si spendono dai 15 ai 20 miliardi l'anno», ha sottolineato Brunetta. Il costo totale della manovra è di 4,4 milioni per lo sviluppo e la manutenzione del software presso studi medici e farmacie e di 77 milioni per le attività di assistenza e supporto (formazione esclusa). Vale 90 milioni la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico (Fse) che fissa a fine 2009 la messa a punto delle linee guida e l'operatività del 15% delle Asl per arrivare a quota 40% a fine 2010, 75% entro il 2011 e 100% al 2012. Attualmente il Dit (Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie) in collaborazione con il ministero del Lavoro, salute e politiche sociali, è impegnato nel coordinamento di progetti regionali per garantire interoperabilità del Fse. «A oggi la situazione sul territorio è ancora frammentata, anche se oltre 15 Regioni sono impegnate a sviluppare soluzioni condivise», ha puntualizzato il ministro. Si toccheranno con mano l'anno prossimo i primi concreti risultati del progetto Rete centri di prenotazione che vale 44 milioni di euro (formazione esclusa): a fine 2009 è prevista l'emanazione delle linee guida per poi partire con il progetto vero e proprio che stabilisce l'obiettivo del 40% dei centri regionali "on-line" a fine 2010 (saranno il 60% nel 2011 e il 100% nel 2012). Più lungo e complesso il percorso dell'Innovazione delle aziende sanitarie. «Pur essendo al centro dell'erogazione dei servizi sanitari per i cittadini, il tasso di innovazione digitale delle 254 aziende sanitarie, di cui 157 locali e 97 ospedaliere è alquanto disomogeneo - si legge sul "Piano e-gov 2012" - con un terzo circa delle strutture che si attestano a un buon livello e un terzo che si presenta abbastanza arretrato». Il Piano prevede la migrazione al digitale per l'80% delle strutture entro il 2012 (dal 15% di fine 2009 passando per il 30% del 2010 e il 50% del 2011). Un'operazione da 90 milioni di euro. Mila Fiordalisi __________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Feb. 09 IL LENTO DECLINO DELL'ONCOLOGICO Dopo 10 anni di tagli Le tante lettere di malati che raccontano disagi nell'ospedale oncologico di Cagliari sono la spia di una insoddisfazione profonda. Più spesso del solito giungono osservazioni critiche da pazienti e da loro parenti ed amici, dai loro medici di base e da altri colleghi, anche non sardi. A queste si aggiungono le notizie di tanti validissimi operatori sanitari dell'ospedale che, dopo avervi lavorato tanti anni con gratificazione ed orgoglio, sono ora insoddisfatti. Al punto che non pochi si sono trasferiti altrove o sono andati in pensione anzitempo. Si sono così perse tante preziose professionalità. Nel complesso, si ha l'impressione che l'Oncologico non sia più quello di una volta, che faceva della soddisfazione dei malati e degli operatori sanitari l'obiettivo principale. È con questo modo di operare, pienamente condiviso da chi allora amministrava, che dagli anni '70 l'ospedale è riuscito finalmente a dare ai malati oncologici della Sardegna una assistenza sanitaria adeguata. Esso rappresentava, pur non avendone la "targa", un centro di eccellenza. L'attuale declino, le cui prime avvisaglie si sono notate poco più di dieci anni fa, dipende anche dalle sbagliate applicazioni della pur buona Legge 502 del 1992 e delle successive riforme. Cercando di migliorare l'efficienza, l'efficacia e l'economicità (peraltro già esistenti nell'ospedale oncologico) queste leggi hanno peggiorato la qualità dell'assistenza, non legato certamente alla qualità degli operatori sanitari. Citiamo, fra le varie decisioni risultate nel tempo nocive, le riduzioni dei posti letto, decretate mal valutandone le conseguenze, i limiti aprioristicamente posti alla attività dei reparti, le riduzioni di personale, il mancato o tardivo rinnovo delle attrezzature, le mortificanti scelte di amministratori ed operatori sanitari non sardi, risultati anche non sufficientemente validi o inadatti etc. Riteniamo che tante conseguenze negative si sarebbero potute evitare se politici ed amministratori avessero rivolto maggiore attenzione alle osservazioni degli operatori sanitari e dei malati che, invece, troppo spesso e con supponenza, non si sono voluti neanche ascoltare. È necessario intervenire rapidamente, per non perdere definitivamente un patrimonio della Sanità sarda. Invitiamo i pazienti, le loro associazioni e tutti gli operatori sanitari a fare sentire la loro voce, agendo compatti in quanto hanno interessi comuni. Essi devono convincere amministratori e politici a prestare una maggiore attenzione ai loro problemi ed alle loro necessità, a correggere il più possibile le scelte sbagliate ed a coinvolgerli nelle scelte future. Avranno al loro fianco quanti hanno a cuore l'assistenza sanitaria nella isola e tutti i cittadini, a prescindere dalla loro appartenenza politica. GIORGIO BROCCIA Già primario di Ematologia Centro trapianti midollo Osp. oncologico – Cagliari __________________________________________________________ Sanità New 4 Mar. 09 UN ITALIANO CONTRIBUIRA’ A RIFORMARE LA SANITA AMERICANA Si tratta di Gino Gumirato, già direttore della ASL8 di Cagliari Ci sara' anche un italiano tra gli esperti impegnati nel progetto di riforma della sanità statunitense. Gino Gumirato, padovano di 43 anni, direttore generale uscente della Asl 8 di Cagliari, e' infatti entrato a far parte della Commissione di supporto all'ufficio management e budget del ministero della Sanita' Usa, che si insediera' ufficialmente il 24 marzo. Il nuovo ufficio governativo e' composto da dieci esperti stranieri provenienti da sistemi sanitari universalistici e solidali, che avranno il compito di fornire supporto per la definizione delle possibili strategie di rinnovo del sistema sanitario statunitense. A guidare la Commissione saranno il ministro della Sanita', Kathleen Sebelius, e il responsabile del Bilancio della Casa Bianca, Peter Orszag. Gumirato dovra' riunirsi tre giorni al mese con il pool in una sede dell'Organizzazione mondiale della Sanita' (Oms) e lavorera' una settimana al mese direttamente negli Usa. Nel piano di bilancio per l'anno fiscale 2010 presentato in questi giorni dal presidente Usa sono previsti 6 miliardi di dollari destinati a dare nuova linfa alla ricerca anti-cancro made in Usa e un programma per inviare infermiere a casa delle neomamme per un controllo dei bebe'. __________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 Feb. 09 IL RISPETTO DEI PAZIENTI PRIMA DELL'EFFICIENZA Sono un medico, ma per mia fortuna non ho mai avuto occasione sino ad oggi, alle soglie dei 60 anni, di dovermi rivolgere alla sanità pubblica per problemi che mi riguardassero personalmente. Però, attraverso le peripezie dei miei pazienti - che per 33 anni ho accompagnato lungo le impervie strade delle loro sofferenze - ho avuto purtroppo la piena consapevolezza delle innumerevoli difficoltà che rendono spesso più irto l'avventurarsi nei meandri delle Asl alla ricerca della guarigione o, quanto meno, delle cure appropriate. La disorganizzazione, le lungaggini di una burocrazia insulsa e vessatoria nei confronti di pazienti già fiaccati dai loro mali fisici, non meno che nei confronti dei medici e degli operatori che loro malgrado le devono applicare, mi hanno indotto ad anticipare il mio pensionamento, approfittando della prima "finestra utile" che mi si è presentata, non appena conseguiti i requisiti di legge. È stato un passo sofferto, perché a me piaceva fare il medico (e infatti continuo a esercitare privatamente la mia professione), a condizione di poterlo fare secondo scienza e coscienza, e non secondo ignoranza e arroganza dell'assessore o del manager di turno. Risparmiare e razionalizzare le risorse per render più efficaci gli investimenti nella sanità è sacrosanto, ma imporre ai medici la rinuncia a prescrivere farmaci ed esami, sulla pelle dei pazienti, non per reinvestire tale risparmio a vantaggio di questi ultimi ma per conseguire super-gratifiche a favore di assessore e manager, no, non va bene. Durante un pubblico dibattito ho chiesto a un magistrato presente se la dichiarazione rilasciata alla stampa dal manager della Asl 8 Gumirato, di essersi autoliquidato un superpremio di 30.000 euro per aver eliminato le lista d'attesa (come obiettivo prefissatosi) potesse essere ritenuta alla stregua di una autodenuncia per appropriazione indebita, considerando che le liste d'attesa, ben lungi dall'essere state eliminate, al contrario sono aumentate a dismisura. Non ho ricevuto risposta. È anche per questi motivi che ho declinato l'invito a candidarmi alle ultime elezioni nella lista cui vanno peraltro le mie simpatie, quella dei Sardisti Rossomori: come avrei potuto coerentemente difendere le mie idee sostenendo indirettamente gli interpreti della sanità che mi hanno indotto al prepensionamento? Ma ho rifiutato analoga proposta rivoltami da uno schieramento della coalizione che poi ha vinto: come dimenticare infatti che la filosofia che ha trasformato le vecchie Usl in Asl, spostando cioè al centro della politica sanitaria la salute dei conti pubblici in luogo della salute dei cittadini, è stata avviata dalla destra Berlusconiana? Voglio concludere augurandomi che il prossimo assessore sappia essere capace di coniugare l'efficacia degli interventi con il rispetto della dignità di chi soffre. RICCARDO LARIA _________________________________________________________________ Repubblica 3 Mar. ’09 ALLARME RADIOGRAFIE, UNA SU 4 INUTILE "TROPPI ESAMI DANNEGGIANO LA SALUTE" Ne scrive il New York Times e i radiologi italiani confermano:"In Italia abuso di diagnostica per immagini" Il nostro sistema sanitario sopporta un costo di 4,5 miliardi di euro all'anno. Per prestazioni spesso nocive ELENA DUSI I due miliardi di esami radiologici effettuati nel 1991 nel mondo sono diventati oggi 5 miliardi. La potenza di fuoco degli apparecchi diagnostici è cresciuta tanto che nei paesi occidentali ciascun individuo, sano o malato che sia, riceve ogni anno una quantità di radiazioni pari a 150 delle vecchie radiografie al torace. Di fronte a Tac di ultima generazione, scintigrafie, tomografie a emissione di positroni e tecniche di chirurgia in cui la mano del medico è guidata dagli apparecchi radiologici, il rischio cancerogeno delle radiazioni non può più essere trascurato. «Siamo rimasti molto colpiti da uno studio scientifico che recentemente ha dimostrato che l'1,5 - 2 per cento di tutti i tumori è probabilmente causato dagli esami di tomografia computerizzata» dice Eugenio Picano, direttore dell'Istituto di fisiologia clinica del Cnr a Pisa. Tanto più che - secondo i dati della Federazione dei tecnici sanitari di radiologia medica (Tsrm) - un esame su 4 fra i 50 milioni all'anno che in Italia sfruttano le radiazioni sarebbe inutile. AL boom di prescrizioni radiologiche inappropriate dedica un servizio il New York Times, secondo cui dei 95 milioni di esami effettuati ogni anno negli Usa con apparecchi all'avanguardia della tecnologia, una quota variabile tra il 20 e il 40 per cento si rivela del tutto inutile per formulare la diagnosi. «Il sistema è rotto, completamente rotto» afferma al quotidiano la dottoressa Vijay Rao, segretaria del dipartimento di radiologia all'ospedale della Thamas Jefferson University, riferendosi a un'industria da l00 miliardi di dollari all'anno sola negli Usa. In Italia il sistema sanitario nazionale spende 4,5 miliardi di euro all'anno per radiografie, risonanze magnetiche, tac e altre tecniche radiologiche. E secondo Picano, cardiologa e ricercatore specializzato in diagnostica per immagini, i casi di prescrizioni scorrette o inutili sarebbero ancora più alte del 25 per cento denunciato dalla Tsrm. «Tra il 30 e il 50 per cento degli esami sono prescritti o eseguiti in maniera inappropriata». E i rischi che ne seguono non sono uguali per tutti. Nei bambini per esempio le cellule si moltiplicano a ritmo più rapido, e la probabilità che le radiazioni provochino un'alterazione del Dna è più alta. «I pediatri dovrebbero fare molta più attenzione del normale» spiega il ricercatore. « A età inferiori di un anno il rischio cancerogeno è quadruplo rispetto a un adulto di 50 anni. Il rischio si dimezza invece negli ottantenni». Per ragioni non del tutto chiare, a risentire di più delle radiazioni sono le donne. «Esistono degli organi particolarmente sensibili, come la mammella». In entrambi i sessi, le forme di cancro maggiormente sollecitate dalle radiazioni dei laboratori medici sono leucemie, cancro del polmone e della tiroide. Alla base di quella che Picano chiama "obesità diagnostica" c'è il boom della tecnologia nelle apparecchiature mediche. «Can questi strumenti riusciamo a esplorare gli organi interni con una risoluzione impensabile fino a pochi anni fa. E possiamo anche osservare più organi contemporaneamente, risparmiando per esempio tempo prezioso al pronto soccorso» conferma Lorenzo Bonomo, ex presidente della Società italiana di radiologia medica e direttore del dipartimento di bioimmagini e scienze radiologiche all'Università Cattolica di Roma e al Policlinico Gemelli. E di fronte alle spettacolari immagini a colori assemblate dal computer, anche la vecchia radiografia su lastra non dovrebbe perdere il suo ruolo. «Per ogni problema esiste un'indagine specifica. Solo così elimineremo gli esami inappropriati» prosegue Bonomo. «Per esempio una sospetta frattura può benissimo essere diagnosticata con una radiografia. La lastra ai torace rimane un test di routine per ogni paziente ricoverato in ospedale insieme all'elettrocardiogramma. Non c'è nessun bisogno in questi casi di ricorrere a tecniche più complesse e con maggior dosaggio di radiazioni. Quando ciò avviene, può essere perché il paziente fa pressione sul medico o perché quest'ultimo vuol mettersi al riparo da possibili azioni legali». Di questo passo, si rischia di arrivare agli eccessi denunciati negli Stati Uniti. «Dove è possibile vedere cartelloni - dice ancora Picano - che pubblicizzano le cardiotac da regalare alla festa del papà. Nessuno scrive che questo esame somministra le stesse radiazioni di 750 radiografie al torace. Sottoporvi 50 milioni di americani, statistiche alla mano, vuol dire provocare Esami radiologici svolti in Italia: 45milioni Esami Appropriati: 75% Esami che potrebbero essere evitati: 25% (Fonte: Società italiana radiologia medica, 2007) Il casto per il sistema sanitario nazionale 75mila nuovi casi di cancro». I RISCHI DI UN'ECCESSIVA ESPOSIZIONE 1 - 3% I tumori probabilmente causati da eccessiva esposizione a radiazioni per esami diagnostici I TEMPI DI ASSORBIMENTO DELLE RADIAZIONI RADIOGRAFIA (L'esame con il minor dosaggio di raggi X) Torace: 3 giorni Cranio: 11 giorni Lombare: 7 mesi TAC (La tomografia usa i raggi X per "fotografare" delle sezioni del corpo, e ricostruire un'immagine a 3 dimensioni) Cranica: 1 anno Toracica: 3,6 anni Angiotac cororanica: 6 anni ABUSO Nel nastro paese viene registrato un abuso di esami radiografici. Con possibili danni per la salute dei pazienti. L'allarme è degli stessi radiologi italiani ________________________________________________________________ Repubblica 7 mar. ’09 PILLOLE COME PIXEL TELEMEDICINA Farmaci intelligenti, controlli tramite software, esami via sms: la salute punterà su dottori a distanza di monitor di Monica Marelli Prego, si accomodi, il medico è online: inserisca la password. Preferisce ricevere la visita in campagna o si troverà in città? L'importante è che ci sia una connessione Internet ad alta velocità. E non dimentichi di prendere la nanomedicina: il suo cervello mostra affaticamento". Un discorso fantascientifico, che però può diventare routine. La telemedicina, la chirurgia robotizzata e i farmaci progettati con le nanotecnologie sono già una realtà, destinata a rivoluzionare la figura e la preparazione del medico. A patto di superare qualche banale intoppo organizzativo e tecnologico. Con la telechirurgia i medici operano a distanza, manovrando un robot, che può essere, per esempio, una sonda collegata a un computer. Per ora il limite di queste operazioni è legato al costo di avere a disposizione una linea superveloce di trasmissione dati, che permetta al medico di avere un feedback in tempo reale fra la sua decisione e la manovra, come spiega il professor Eugenio Quaini. cardiochirurgo e consulente scientifico del Dipartimento cardiovascolare degli Ospedali Riuniti di Bergamo: «Per poter garantire affidabilità e sicurezza è necessario lavorare con una banda che possa trasmettere almeno 10 Mbits al secondo - effettivi e continui - e che garantisca un ritardo di trasmissione non superiore a 165 millisecondi. Chiaramente l'utilizzo di questo tipo di connessioni, già disponibili, comporta un costo proibitivo che al momento attuale non giustifica l'utilizzo diffuso della tecnica». Ma la chirurgia a distanza ha aperto un nuovo filone di ricerche: sarà sempre meno necessario "aprire" il paziente, limitando così il rischio di infezioni ed errori, come accenna il professor Pier Cristoforo Giulianotti, chirurgo e direttore della divisione di chirurgia generale e robotica dell'Università dell'Illinois di Chicago: «I campi di innovazione più attivi in questo momento sono la miniaturizzazione degli strumenti e lo sviluppo di software complessi per l'acquisizione di immagini in modo che la base dell'atto chirurgico di "guardare" con i nostri occhi, che richiede ovviamente l'apertura del corpo, possa essere sostituita da immagini ricostruite al computer utilizzando gli ultrasuoni. Questa è la base della robotica minimamente invasiva». E se il paziente avesse qualche timore? «Non c'è alcun rischio, nella peggiore delle ipotesi l'intervento può essere immediatamente convertito in tradizionale», rassicura Giulianotti. Purtroppo la telemedicina sta avanzando molto lentamente, spiega il dottor Remo Bedini, responsabile del laboratorio di telemedicina ed elettronica medica all'Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa: «Esistono tecnologie sofisticate che potrebbero permettere una telemedicina effettiva, ma questo non accade per un semplice e banale problema di organizzazione. Un'unica eccezione su tutti: Israele. Paradossalmente le problematiche socio-economiche di questo Paese hanno stimolato e diffuso ampiamente quello che per noi è ancora un approccio futuristico. Eppure l'Italia potrebbe non essere seconda a nessuno: risale addirittura al 1984 il primo progetto di telemedicina per cardiopatici». Ci sono persone che hanno bisogno di un "occhio vigile" in modo costante: è il caso dei diabetici. GIucoTel è sul mercato dallo scorso novembre: un piccolo apparecchio elettronico che consente di monitorare la glicemia e spedire i dati direttamente al database del medico attraverso il cellulare. Lo usano molti diabetici tedeschi, olandesi e quelli degli Emirati Arabi Uniti, ma anche svedesi, austriaci e perfino turchi. È un'idea dell'azienda BodyTel e, come spiega il suo direttore marketing, Michaela Klinger, rende più facile anche il lavoro del medico: «I dati sono trasmessi in tempo reale, il monitoraggio da parte dello specialista è continuo e aggiornato e ci sono funzioni di allarme che tramite sms o e-mail avvisano il medico se i valori registrati escono dai range. Vogliamo avviare un sistema analogo per monitorare peso e pressione, che sarà disponibile alla fine dell'anno». Le nanotecnologie permettono di smontare e rimontare gli atomi come se fossero pezzi di Lego: ottenere in questo modo nuove molecole funzionali è lo scopo dei "designer" di nanofarmaci. Una delle ultime notizie in questo campo è la realizzazione di una specie di "micro-sommergibile" per la consegna di principi attivi distruttivi alle singole cellule tumorali, risparmiando così il tessuto sano. Il leader di ricerca si chiama Dan Peer, è Direttore del Laboratorio di Nanomedicina del dipartimento di Ricerca cellulare e immunologia e del Centro per le Nanoscienze e Nanotecnologie dell'Università di Tel Aviv e dice: «Abbiamo impiegato circa quattro anni per mettere a punto questo nanodispositivo e continuiamo a perfezionarlo. Per ora gli esperimenti condotti sui topi non hanno evidenziato effetti collaterali, ma per affermare la stessa cosa sugli umani dobbiamo aspettare i risultati delle prime prove, che prevediamo inizieranno fra due anni. II nostro sistema è come se fosse "invisibile" al sistema immunitario ed è completamente digeribile». Anche in Europa è iniziato uno studio di nanomedicina: riguarda !a cura e la diagnosi dell'Alzheimer. II progetto si chiama NAD (Nanoparticles for therapy and diagnosis of Alzheimer Disease). è finanziato dal Settimo Programma Quadro del]'Unione Europea, avrà un costo totale di 14,6 milioni di euro, di cui 3,8 destinati all'Università di Milano Bicocca, a cui appartiene il direttore scientifico del progetto, il professor Massimo Masserini che spiega: «Stiamo realizzando nanoparticelle multifunzione: a esse saranno legate molecole in grado di riconoscere (diagnosi) e distruggere (terapia) le placche amiloidi che si depositano nel cervello. La parte più difficile è far passare questi nanofarmaci attraverso la barriera emato-encefalica, il sistema di protezione del cervello che blocca le sostanze nocive presenti nel sangue e purtroppo anche i farmaci. Per ora le prove sono state eseguite in vitro ma entro quest'estate inizieranno le prove sui topi». DIAGNOSI A 2.680 KM Cartelle cliniche elettroniche consultabili a distanza e comunicazioni via satellite per chiedere consulti medici da tutto il mondo: questo é, in poche parole, il `Progetto Tristan", dal nome dell'isola considerata uno degli insediamenti umani più remoti al mondo: Tristan da Cunha, situata a circa 2.680 chilometri a ovest di Città del Capo. Ora i pazienti e ì medici di questa città possono accedere a teleassistenza medica avanzata. grazie a servizi e supporto offerti da un team di alta tecnologia, guidato da IBM e Seacon Equity Partners, sotto la guida del Medicai Center dell'Università di Pittsburgh e la consulenza del dottor Richard Bakalar, Chief Medicai Offìcer per IBM, che ha creato anche il primo Ufficio di Telemedicina (Telemedicine Office) integrato della Marina Militare statunitense. Racconta Paul Grundy. uno degli ideatori del progetto: fino a poco tempo fa l'unico medico dell'isola, il dottor Carel Van der Merwe. poteva affidarsi a una tecnologia minima e a un supporto medico limitato. Lavorando da un ospedale senza nemmeno un telefono per fornire assistenza ai pazienti. Spesso ha eseguito diagnosi e procedure salvavita senza apparecchiature adeguate o competenza specialistica. Data l'assenza di un sistema dì comunicazioni in grado di accettare allegati di posta elettronica e aiutare a interpretare le radiografie o gli elettrocardiogrammi. il medico si affidava a immagini digitali scansite, stampate e mandate via fax a specialisti a migliaia di chilometri di distanza. ritardando le diagnosi di giorni,. Ora il medico locale acquisisce elettronicamente e condivide dati e informazioni con il resto del mondo, oltre a dialogare con i colleghi mediante videocamera. ________________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 8 mar. ’09 IL SUPER INFERMIERE CON I MEDICI MA PIÙ VICINO AI MALATI Dalla «nursery» al laboratorio Ricerche cliniche: ora ci vuole Lontani i tempi del mansionario: ora tra i compiti dell'«infermiere di ricerca» l'attuazione dei protocolli di studio La dottoressa? È impegnata con dei pazienti. La professoressa? La richiamerà a breve ...Credete che a risponderci siano medici? Sbagliato si tratta dei "nuovi" infermieri che si sono laureati, e quindi sono "dottori" (vedi box), o che insegnano in università (anche ai medici) e quindi professori. Sono sempre più lontani i tempi in cui infermiere e infermieri avevano un rigido mansionario da seguire,