RASSEGNA 12 APRILE 2009 CAGLIARI, CINQUE IN LIZZA PER SOSTITUIRE MISTRETTA - IL CAMPUS? AL SAN GIOVANNI DI DIO - AGLI ATENEI SARDI 700MILA EURO IN MENO (PER ORA) - UNIVERSITÀ USCITA DAL LETARGO? - NUOVA SCUOLA? GUARDATE A LONDRA - DI CHIARA:UNIVERSITÀ SENZA SOLDI MA QUANTI DOCENTI - FABIANI: BUONI SEGNALI PER L'UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ, CHIUSI I RUBINETTI - RETTORI A VITA ADDIO, ATENEI APERTI - CONCORSI PER PROF SÌ ALLA LISTA NAZIONALE FONDI A CHI MERITA - LA GELMINI IL PROF MASIA E LA MISSIONE SALVA-BARONI - PARIGI: SALE LA PROTESTA NELLE UNIVERSITÀ - PARENTI IN CATTEDRA, ATENEI DA VERGOGNA - L'AUSTERITY RILANCIA GLI ATENEI - CON IL PC A CACCIA DI PLAGI - I NUMERI SARANNO LA SALVEZZA DEL MONDO - ======================================================= DIRINDIN: SANITÀ A SASSARI PENALIZZATA DALL’UNIVERSITA’ - ROSATI: LA SANITÀ A SASSARI PENALIZZATA DALLE SCELTE DELLA DIRINDIN - MAIDA: LE RESPONSABILITÀ DELL’EX ASSESSORE DIRINDIN - GB MELIS: DIRINDIN E LA SUA GESTIONE? FALLIMENTARE - OBAMA: CURE PER TUTTI GLI AMERICANI - GUMIRATO: LA "BUFALA" DEL LIBERO MERCATO SANITARIO - AMMISSIONI MEDICINA, NON PUNIRE I MIGLIORI - MEDICINA, SASSARI PERDE LA GESTIONE DI 13 SCUOLE PER SPECIALIZZANDI - ROSATI: COSÌ AIUTIAMO GLI STUDENTI - TERREMOTO ASL, I MANAGER IN PARTENZA - MANAGER AL BROTZU, MARTELLI TRA I PAPABILI - SARDEGNA/ LA REGIONE ADOTTA UN SISTEMA INFORMATICO PER MIGLIORARE IL PROGRAMMA - ARTRITE REUMATOIDE: MALATTIA A FORTE IMPATTO SOCIALE MA CON SCARSA PRIORITÀ - VATICANO E MALASANITÀ - ANDARE IN MOTOCICLETTA STIMOLA LE CAPACITÀ MNEMONICHE - L'OSPEDALE IL SUO TERRITORIO - PIU POTERE AL PAZIENTE - DIVENTA HI-TECH LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI - DORMIRE: L’ARTE DI CANCELLARE L’INUTILE DAL CERVELLO - II GENE-GUIDA CONTRO IL CANCRO AL COLON - MISCONOSCIUTO .DAGLI ITALIANI IL TUMORE AL COLON - NUORO: TROVATO IL GENE DELLA SCLEROSI MULTIPLA - DENTISTI, SOLO IL 6 PER CENTO È PUBBLICO - SPESA PER FARMACI RIDOTTA IN TRE ANNI DI UN MILIARDO - E-HEALTH: MIGLIORARE LA SANITÀ CONTECNOLOGIE INFORMATICHE E TELEMATICHE - FSE & PRIVACY. LE LINEE GUIDA DEL GARANTE - OBIETTIVO CARTELLA ELETTRONICA - PRIVACY: OSPEDALI SOTTO ACCUSA - ======================================================= ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 mar. ’09 CAGLIARI, CINQUE IN LIZZA PER SOSTITUIRE MISTRETTA In pista Faa, Del Zompo, Paci, Sassu e Giovannino Melis CAGLIARI. Diciott’anni dopo la nascita dell’impero (leggi Pasquale Mistretta, rettore incontrastato dal 1991 fino ai giorni nostri) sono 5 i candidati, a Cagliari, per il prestigioso, potente e illustre incarico di Magnifico. Potevano essere addirittura sette ma due (Francesco Sitzia e Giuseppe Santa Cruz) hanno rinunciato alla corsa elettorale, per non finire schiacciati nello scontro titanico fra le facoltà di Medicina e quelle del Polo economico- giuridico che si scatenerà dal 21 maggio in poi, data delle elezioni, per la succcessione di Mistretta. Dei cinque aspiranti rimasti, due arrivano appunto da Medicina, l’ex preside Gavino Faa e la farmacologa Maria Del Zompo, tre dal raggruppamento fra Scienze politiche-Giurisprudenza-Economia e sono: Raffaele Paci, cattedra di Economia applicata e fondatore del Crenos, istituto di ricerche economiche inter-universitario fra Cagliari e Sassari, Antonio Sassu, docente di Politica economica europea e già presidente del Banco di Sardegna, e Giovannino Melis, l’unico che proviene dalla facoltà di Economia, dove insegna Economia aziendale. Questo è lo schieramento: cinque candidati per un posto solo, quello di rettore. Di sicuro la sfida nelle urne sarà in almeno due turni, previsto anche un terzo, perché è davvero difficile che l’elezione avvenga alla prima tornata. Adesso nessun concorrente sembra in grado di avere in tasca quei mille voti (su 1500 elettori) necessari per entrare subito in rettorato. Dunque sarà necessario il ballottaggio fra i due candidati che, in primavera, otterranno più voti. A due mesi dall’apertura dei seggi, è davvero difficile dire chi di questi tempi fra Gavino Faa, Maria Del Zompo, Raffaele Paci, Antonio Sassu e Giovannino Melis sia avanti una o più lunghezze rispetto agli avversari. In questa lunga campagna elettorale, è cominciata l’anno scorso e durerà altri sessanta giorni, sembrano partire tutti alla pari o quasi all’interno di uno scenario reso ancora più complicato dalla sconfitta del centrosinistra guidato da Soru e dal ritorno del centrodestra al governo della Regione. Quanto la politica c’entri nell’università lo ha fatto capire, con eleganza, il neo assessore alla Sanità Antonello Liori, cardiologo, area An nel Pdl, che in un’intervista ha detto: «Spero che il nuovo rettore arrivi da Medicina». E se lo dice l’assessore vuol dire che altri palazzi del potere (giunta e consiglio regionale) guardano da tempo, con molta attenzione, a quanto accadrà nel settecentesco palazzo di via Università. L’appartenza di ciascun candidato a questa o quell’area politica può diventare determinante, così come il programma elettorale che i cinque fanno girare da tempo da un capo all’altro dell’ateneo, ma lo saranno anche le decisive alleanze interfacoltà, per adesso ancora segrete. All’area di sinistra fanno riferimento Raffaele Paci e Maria del Zompo, con il primo molto vicino all’ex assessore alla Programmazione della giunta Soru-uno, Francesco Pigliaru, mentre la professoressa ha confermato la sua appartenenza culturale citando una frase di Antonio Gramsci nelle ultime righe della sua lettera aperta all’ateneo, nei fatti la spiegazione del perché s’è candidata. Gli altri. Antonio Sassu alla presidenza del Banco fu inserito dall’allora Pds in una rosa di nomi, ma i ben informati dicono che i suoi rapporti col partito, diventato nel frattempo Pd, si sarebbero raffreddati negli ultimi cinque anni. Anche Giovannino Melis ha un passato da banchiere, al Credito industriale Sardo, e da sempre è indicato vicino all’area socialista, che però nel tempo s’è dispersa in varie sigle. Il quinto candidato è Gavino Faa: chi lo conosce bene, parla dell’ex preside come di un centrista trasversale, dagli ottimi contatti sia a sinistra che a destra, con le migliori amicizie nel Pdl. Detto della politica, i cinque dovranno confrontarsi anche su: tagli alle risorse, aumento delle tasse universitarie, costruzione del campus, miglioramento della qualità didattica, risalita dell’università verso i piani più alti della classifica nazionale. Basta e avanza, per scrivere: i prossimi saranno sessanta giorni di fuoco. (ua) ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 apr. 09 IL CAMPUS? AL SAN GIOVANNI DI DIO Comune. Proposta per la casa dello studente legata alla dismissione dell'ospedale L'ipotesi è stata discussa ieri nel vertice tra sindaco e Regione L'ipotesi è compresa in un'ampia proposta di riqualificazione che riguarda l'area tra il carcere di Buoncammino e l'ospedale San Giovanni di Dio. Resta l'alternativa di viale La Playa. La prima novità è di non poco conto e di sicuro è stata uno dei temi sul tavolo durante il vertice di ieri in Comune. Regione e amministrazione locale pensano, infatti, di localizzare il nuovo campus universitario al centro della città, a un passo dall'anfiteatro romano e dall'orto botanico. Molto più precisamente nei locali di un ospedale San Giovanni di Dio da ristrutturare dopo la dismissione già avviata dalla precedente Giunta regionale e confermata da quella attuale. Dell'ipotesi (ma anche di tanto altro) hanno parlato ieri il sindaco Emilio Floris e l'assessore regionale all'Urbanistica e agli Enti locali Gabriele Asunis, in un vertice che è stato allargato anche agli assessori comunali all'Urbanistica Gianni Campus e ai Lavori pubblici Raffaele Lorrai. Riunione andata avanti a oltranza, fino a tarda ora. «Anche se non è corretto dire che si è deciso di realizzare esclusivamente delle residenze in quell'area - precisa il sindaco - bisognerà sentire anche l'università, si tratta di un progetto ancora molto aperto». LA NOVITÀ La nuova localizzazione del campus universitario (anche se la sua eventuale realizzazione non esclude che il progetto di casa dello studente in viale La Playa possa essere comunque recuperato) sarebbe inquadrata in una rivisitazione complessiva del comparto che unisce il carcere di Buoncammino e lo stesso ospedale civile San Giovanni di Dio. Ipotesi già presente nel nuovo piano regolatore, nel quale (nello stesso circuito) è previsto anche un recupero del vecchio ospedale militare. La residenza per studenti sarebbe solo una delle novità, che andrebbe a inserirsi in un comparto dove è anche prevista la realizzazione di alcune strutture ricettive, finalizzate all'aumento della capacità di accoglienza dei turisti. Nel corso del vertice, che è durato fino a tarda serata, si è parlato anche delle altre questioni che da anni tormentano l'amministrazione Floris, che ha realizzato i progetti e non ha potuto tradurli in pratica anche a causa dei rapporti non sempre idilliaci con la precedente Giunta regionale guidata dal presidente Renato Soru: su tutti il piano di riqualificazione del Poetto (marciapiedi, piste ciclabili, parcheggi), la pista ciclabile all'interno del tessuto urbano e, più in generale, Marina piccola, il porto e nuove residenze a Sant'Elia, insieme alla riqualificazione dell'area del parco di San Paolo. Senza scordare la questione dei beni identitari che insistono all'interno del tessuto urbano, recentemente riesaminata in commissione Urbanistica. BILANCIO Nel corso della seduta di Consiglio comunale in programma stasera, il sindaco Emilio Floris (che dall'indomani delle dimissioni del neo-presidente della Regione Ugo Cappellacci regge, ad interim, l'assessorato alla Programmazione) esporrà all'assemblea civica il bilancio di previsione per il 2009. Un'esposizione che non sarà seguita dalla discussione, visto che la commissione Finanze non ha ancora terminato l'esame del documento contabile, presentato alla sua attenzione solo lo scorso 30 marzo. VERDE PUBBLICO Nella seduta di ieri i commissari hanno discusso la parte relativa ad Ambiente e Urbanistica, con un'audizione dell'assessore Gianni Campus. Si è parlato anche e soprattutto di verde pubblico e della gestione dei fondi concessi per l'anno in corso, praticamente gli stessi del 2008. Ormai saltata l'ipotesi di uno sforamento del Patto di stabilità, la discussione sul bilancio dovrebbe approdare in una delle sedute della fine di aprile. ANTHONY MURONI ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 mar. ’09 AGLI ATENEI SARDI 700MILA EURO IN MENO (PER ORA) Rischio di altre sforbiciate con le misure al vaglio del governo in questi giorni PIER GIORGIO PINNA SASSARI. Rivoluzione nei finanziamenti agli atenei. Con tante sorprese. Eccole. Più euro per premiare il merito. Crescita delle quote da ripartire con valutazioni sulla qualità. Modelli innovativi sui criteri di assegnazione dei premi per la didattica e per la ricerca. In teoria, un passo avanti. Ma nei fatti le università del Meridione, e quindi Cagliari e Sassari, rischiano di vedersi tagliare consistenti risorse. Il sistema infatti tiene conto di parametri non sempre in linea nella rappresentazione dei valori (e dei disvalori) delle realtà accademiche del Centro-Sud. Vediamo perché. Gli sviluppi. Negli ultimi anni la dinamica del fondo ordinario statale a disposizione degli atenei sardi ha subìto un andamento costante. Su scala nazionale dal 2002 al 2009 il suo intero ammontare è passato da poco più di 6mila milioni a 7mila e 250. All’interno di questa montagna di soldi l’attribuzione dei denari a ciascuna università è sempre stata fatta su base storica, incentivando chi ha dato garanzie sulle maggiori spese sostenute. Ma adesso il sistema per il calcolo dei fondi cambierà. La nuova ripartizione meritocratica, con un meccanismo progressivo, prevede distribuzioni di tipo premiale su una fetta molto più consistente della torta: 525 milioni, e non più 159 come nel 2008. In questo senso ci sarebbero atenei che vedrebbero aumentare di molto le loro risorse, come Padova e Torino. Mentre altri (e fra loro appunto Cagliari e Sassari) conoscerebbero tagli ulteriori, in qualche caso addirittura paralizzanti. L’analisi. Da una tabella di stima su questo processo elaborata nei giorni scorsi dal quotidiano economico «Il Sole 24 Ore» gli effetti risultano chiarissimi. Maggiori benefici nelle università del Settentrione. Contraccolpi negativi nel Centro, al Sud e nelle isole. La graduatoria, per il momento, è virtuale, naturalmente. Si fonda su una simulazione parametrata in rapporto a proposte di riforme che non è detto vengano poi realizzate sul piano normativo esattamente come sono state annnunciate. Ma la classifica è in ogni modo interessante, molto indicativa. Prende in considerazione tutte e 58 le università pubbliche italiane. In vetta c’è Bologna. Nella prima metà della tabella, tra le sedi meridionali, figurano soltanto le università della Calabria, di Bari e Catania. Problematiche le posizioni di Cagliari (quarantesima) e di Sassari (addirittura penultima, seguita solo dal fanalino di coda Messina). La paura. I timori per il futuro, nell’isola, risultano così più che reali, fondati. Preoccupano, in quest’elenco certamente in divenire ma di sicuro rigoroso nei suoi presupposti e sviluppi logico-matematici, alcuni dati sui divari tra oggi e domani. Le differenze nel finanziamento ipotizzato per il 2009 rispetto all’anno scorso si basano sull’incremento della quota d’incentivi dal 2,2% al 7%, tutto alla luce dei criteri e dei valori utilizzati nel 2008 e nel 2007. Se Cagliari nel 2008 ha così strappato al fondo ordinario statale 139 milioni e 428mila euro, nel 2009 rischia di ottenere come quota-incentivi poco meno di 9 milioni. Un taglio netto rispetto al passato di quasi mezzo milione. Sassari ha avuto nel 2008 circa 83 milioni. Ora, con la nuova suddivisione, potrebbe ricevere come plafond-premialità soltanto 4 milioni e 462mila euro, 308mila in meno rispetto all’anno precedente. Differenze di rilievo, quindi: in grado d’incidere in maniera negativa su bilanci già all’osso. E con un gap proporzionale, nei piani del governo, destinato ad accentuarsi nel tempo. Gli indicatori. Se non interverranno mutamenti d’indirizzo, infatti, il ministro Mariastella Gelmini andrà avanti a tappe forzate. Tre i livelli di riferimento per la rivoluzione. Il primo riguarda la ricerca: la distribuzione degli incentivi sarà fatta misurando i punteggi positivi ottenuti da ogni ateneo nei Progetti d’indagine scientifica Prin e sulla qualità dei prodotti presentati al Comitato di valutazione Civr relativi al 2001-2003. Ma il peso di questo parametro (che oggi incide per un terzo del totale) crescerà. E parecchio: pare in una forbice compresa tra il 50 e il 66%. La forza degli altri indicatori, invece, è data in flessione. Il secondo si riferisce alla «domanda»: e cioè al numero degli iscritti in un dato ateneo (senza conteggiare i neo-immatricolati). L’ultimo parametro si fonda sulla didattica: misura il numero dei crediti attribuiti agli studenti (ossia i punteggi determinanti per il curriculum) e il numero degli universitari valutati in relazione ai tempi per il conseguimento della laurea. Criteri in parte noti che adesso cambiano. Quanto influiranno con precisione sugli stanziamenti per gli atenei sardi lo stabiliranno esattamente solo le scelte finali del governo. ______________________________________________________ Avvenire 9 apr. ’09 UNIVERSITÀ USCITA DAL LETARGO? Una proposta di legge promette di migliorare i meccanismi nella nomina dei docenti. Ma restano intatti molti nodi: dalla scarsità di alloggi al mancato rilevamento dell'inserimento degli studenti nel mondo del lavoro e soprattutto all’assenza di competizione fra gli atenei. Parla il filosofo Dario Antiseri Di ENMco LENMZI Competitività. Ecco la «parola chiave per dare una svolta al nostro sistema universitario». Ne è pienamente convinto Dario Antiseri, filosofo e docente della Luiss di Roma. «Che la nostra università non goda di buona salute è sotto gli occhi di tutti, anche se esistono isole felici, con docenti di grande spessore, che all'estero ci invidiano, come era la compianta Marta Sordi, scomparsa qualche giorno fa, o è il fisico Nicola Cabibbo» sottolinea Antiseri. Lei parla di sistema malato. Quali i sintomi che considera più gravi? «Penso al meccanismo del 3+2, cioè la laurea triennale e quella specialistica, la cui applicazione meccanica e non oggettiva, ha provocato danni alla struttura universitaria. Altro elemento negativo è la scarsa disponibilità di posti letto per gli studenti all'interno delle università, che di fatto rende limitata e onerosa la mobilità degli universitari, che al contrario in altri Paesi europei è invece sostenuta, dati per esempio i 90mila posti letto e i 220mila della Germania. E, non ultimo, il meccanismo di reclutamento dei docenti universitari». Il ministero dell'Università ha introdotto qualche modifica al meccanismo di composizione delle commissioni esaminatrici. Secondo lei si va nella direzione giusta? «II disegno di legge - primo firmatario il senatore Valditara - presentato in Parlamento mi pare in gran parte condivisibile. Innanzitutto, ritengo molto importante che si separi il giudizio di idoneità all'insegnamento e l'inserimento nell'organico docente di un'Università. La commissione nazionale deve valutare l'idoneità scientifica dei candidati, da inserire in una lista aperta, a cui i singoli atenei in seguito potranno attingere i loro nuovi docenti. Qualche perplessità l'ho nei confronti del fatto che i membri della commissione, secondo il disegno di legge, debbano giudicare i candidati in base a criteri fissati dal ministero. Credo che sarebbe meglio delegare i criteri ai commissari stessi, gli unici ad avere titolo nella valutazione dell'idoneità. E insostenibile, a mio avviso, è comunque che la lista degli eventuali idonei possa raggiungere il doppio dei posti messi a concorso. Se questi saranno per esempio 2, il numero massimo degli idonei potrà essere di 6. Ma, per esempio ancora, se su 50 candidati ce ne fossero 10 ottimi, perché la commissione dovrebbe dichiararne idonei solo 4 e umiliare gli altri 6?». Trovata, dunque, la soluzione? «Il meccanismo è positivo, ma è altrettanto necessario inserire forti linee di competitività all'interno delle università stesse. Infatti il nuovo sistema da solo non impedisce che si possa chiamare l'amico o il parente. Se invece gli atenei sono sottoposti a un sano clima di competizione saranno spinti a scegliere i docenti migliori. P dall'interesse che sboccia la virtù: solo la competizione introduce meccanismi virtuosi». Il termine "competizione però, nell'immaginario collettivo è spesso associato al voler sopraffare l'altro nel mondo del lavoro. «Per una errata interpretazione. Competere significa, come dice il termine latino cum petere, cioè cercare insieme la soluzione migliore, in modo agonistico. Nessuno deve sopraffare nessuno. Se all'interno del mio lavoro universitario riesco a dare vita a un buon progetto, non solo devo essere messo nella condizione di poterlo portare avanti, ma il suo successo è un patrimonio per tutti. Pensi alla scoperta di un medicinale: la sua produzione va a vantaggio di tutti e non solo di chi l'ha scoperto. In questo clima anche chi non ha raggiunto per primo l'obiettivo, non si sentirà umiliato da un sistema che privilegia i servi e garantisce i malfattori». Torniamo alla valutazione, che dovrebbe essere lo strumento per rendere più virtuosi i meccanismi accademici. Ma quali criteri immagina? «Oggi si valutano le università anche per il tasso di successo nel percorso formativo, cioè sul numero dei laureati, del loro voto e del tempo impiegato. Credo che tra i nuovi criteri vi potrebbe essere invece quello di verificare la collocazione lavorativa di questi laureati nell'arco dei tre anni successivi: un buon tasso di occupazione potrebbe essere letto come una capacità di quell'ateneo di formare professionisti ricercati dal mercato del lavoro. Forse questo ci permetterebbe di riequilibrare alcune situazioni con corsi di laurea strapieni, ma con scarse prospettive d'impiego, e altri meno frequentati, ma decisamente più funzionale». Ma il raccordo con il mondo del lavoro potrebbe penalizzare i percorsi formativi umanistici. «Avvicinare l'università al mondo del lavoro è importante, ma ovviamente occorrono azioni proprio per non mortificare questi percorsi, perché non rappresentano affatto un lusso per l'università, ma sono e costituiscono la memoria storica della nostra cultura». Nuove regole sul reclutamento potrebbero essere l'arma per combattere, quella che viene chiamata la 'Tuga dei cervelli"? «Oggi abbiamo circa 21mila ricercatori con un’età media di 50 anni. Sono frustrati e con poche prospettive. Ovvio che, chi può, cerchi altrove fortuna e possibilità professionali. Competizione vera e leale, ma anche possibilità di fare ricerca senza essere travolti dalla didattica e dalla burocrazia, possono rappresentare la strada giusta». Lista aperta nell’idoneità scientifica, valutazione, competizione. Ma davvero l'uniwversità è pronta a queste novità? «Pronta o no, credo che l'abbinamento di questi elementi rappresenti l'occasione per una buona terapia per curare gli attuali mali che affliggono il nostro sistema universitario». «Abbiamo 21mila ricercatori con wTetà met a di 50 anni. Frustrati e con poche ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 8 apr. 09 NUOVA SCUOLA? GUARDATE A LONDRA di ROGER ABRAVANEL L’emergenza educativa della scuola italiana è sotto gli occhi di tutti, ma pochi sembrano preoccuparsene. La scuola italiana è spaventosamente iniqua come testimoniano i test PISA che evidenziano un gap spaventoso tra Sud e Nord. Le ricerche dell'OCSE sulle «competenze della vita» che si dovrebbero imparare a scuola (per esempio la capacità di comprendere e interpretare ciò che si legge sui giornali) dicono che solo il 20% degli italiani è al livello 3 (quello considerato accettabile in una società moderna) contro percentuali triple degli altri Paesi sviluppati. Senza tali competenze un Paese non progredisce e non nasce la coscienza civile. Il dibattito degli ultimi mesi sulla scuola si è concentrato interamente sulle risorse e non su come migliorare il livello della qualità dell’insegnamento. Eppure cosa fare è abbastanza chiaro: basta osservare ciò che ha fatto l’Inghilterra negli ultimi 10 anni. Le leve da utilizzare sono quattro. La prima è la possibilità di avere esami nazionali e test standard che possano misurare obbiettivamente gli apprendimenti degli studenti in modo da rendere trasparente e responsabile la qualità dell'insegnamento che è l'unica vera variabile che conta, come dimostrano alcuni studi quali «how the best schooling systems come on top» («come si spiega la eccellenza dei migliori sistemi educativi») della Mckinsey. Ebbene noi siamo uno dei pochi Paesi sviluppati dove tali esami e test standard non esistono e la valutazione degli apprendimenti è lasciata unicamente alle scuole con criteri spaventosamente soggettivi (i PISA del Sud sono a livello dell’Uruguay e della Tailandia ma i voti degli insegnanti sono buoni, a livello di quelli del Nord). L'Invalsi, la struttura che dovrebbe concepire questi test sta faticosamente tentando di uscire dal commissariamento. Secondo, è essenziale la capacità di formare la maggioranza degli insegnanti sulla didattica, fornendo loro un feedback sulle loro esigenze di miglioramento e l'accesso «sul campo» ai colleghi migliori. Da noi questa possibilità praticamente non esiste anche perché molti insegnanti non accettano aiuti sulla qualità della loro didattica da altri insegnanti migliori di loro. L'organo preposto a tale fine, l'Anasa sta anche esso tentando di uscire anche esso dal commissariamento e di ristrutturarsi. Terzo è necessaria una classe eccellente di ispettori che, in maniera indipendente, visitino le scuole periodicamente per rendersi conto della qualità e definiscano con i presidi i programmi di miglioramento e li controllino. In Inghilterra ci sono 1500 «ispettori di Sua Maestà» e in Francia 3000 ispettori del Ministero. Da noi sono solo 300 e non possono più ispezionare ma intervenire solo nei casi più gravi soprattutto quelli di tipo disciplinare. Quarto è essenziale rifondare la selezione degli insegnanti: in Finlandia e a Singapore dove ci sono le migliori scuole del mondo, gli insegnanti vengono scelti tra il 5% dei migliori laureati. Da noi passeranno 10 anni tra l'ultimo e il prossimo concorso che vedrà comunque una massiccia assunzione di «precari» e la creazione di uno spaventoso gap generazionale tra insegnanti. In conseguenza di tutto ciò, il sano principio della «autonomia della scuola» è una chimera: un preside non ha alcun potere nei confronti degli insegnanti e nessuna responsabilità perché non si può valutare obiettivamente la qualità dell’insegnamento nella sua scuola. Comunque, i finanziamenti pubblici arrivano indipendentemente dai risultati. Recuperare terreno è possibile ma le riforme della istruzione pubblica sono le più difficili. Le opposizioni sono enormi e di solito provengono in gran parte dai sindacati degli insegnanti che resistono a qualunque tentativo di misurazione obbiettiva della qualità dell’insegnamento e di inserimento di meccanismi di premi e punizioni. Eppure alcune riforme hanno avuto successo, come per esempio quella di Tony Blair che aveva come obbiettivi del proprio governo «education, education, education». Blair è riuscito a vincere le enormi resistenze perché aveva l'appoggio dei cittadini inglesi, soprattutto dei genitori degli studenti, stanchi di vedere il declino della qualità del proprio sistema educativo. In Europa la sensibilità dei cittadini sulla qualità della scuola sta crescendo: quando gli ultimi risultati PISA sono stati pubblicati sulla stampa, le mamme tedesche hanno iniziato a telefonare in Finlandia per capire le cause del gap con la Germania e il sito in francese dell’OCSE ha oscurato i mediocri risultati della Francia per timore di tensioni sociali. Da noi invece questa coscienza civile è spaventosamente assente. Manca all'appello proprio la maggioranza degli italiani, quelli delle fasce sociali meno privilegiate che perdono le opportunità che la scuola offre ai loro figli di avere un futuro migliore del loro e la mettono all’ultimo posto tra le priorità. La preoccupazione principale è invece che i figli possano stare a scuola anche il pomeriggio e abbiano buoni voti, anche se questi ultimi non riflettono le reali capacità degli studenti. Quando l'attuale governo ha affrontato il problema degli sprechi della scuola, milioni di genitori hanno protestato contro il rischio di vedere sottrarre risorse con un danno alla «qualità». Ma, purtroppo, questa qualità, come abbiamo visto, oggi non è misurabile obbiettivamente data l'assenza di sistemi moderni di valutazione degli apprendimenti degli studenti. Nei Paesi come l'Inghilterra, che hanno affrontato seriamente le riforme dell’insegnamento, si è invece passati da una mentalità che dice «qui non funziona nulla, ma dateci le risorse e se abbiamo fortuna miglioreremo» a «le risorse arriveranno se ce le meritiamo, dimostrando che possiamo migliorare con misure obbiettive e trasparenti». Pochi peraltro sanno che non riusciamo a spendere tre miliardi di euro della UE a nostra disposizione per migliorare l’insegnamento soprattutto al Sud. Se gli italiani prenderanno coscienza dell’importanza di una scuola equa e di qualità, troveranno un potente alleato: una buona parte degli 800.000 insegnanti italiani che sono frustrati dalla mancanza di merito e dal declino della propria professione. Allora forse la politica si muoverà con il coraggio e l'impegno necessario. Meritocrazia.corriere.itartico ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 mar. ’09 DI CHIARA:UNIVERSITÀ SENZA SOLDI MA QUANTI DOCENTI Manifestazioni e conti in rosso di Gaetano Di Chiara Per il 4 aprile la sezione della Cgil che raccoglie i "Lavoratori della Conoscenza" (cioè i docenti universitari e i ricercatori degli Enti di ricerca pubblici), ha indetto una manifestazione di protesta contro le politiche governative sulla ricerca, l'università, il pubblico impiego, la crisi economica, il diritto di sciopero. In pratica una manifestazione contro la politica del governo nella sua globalità. Perciò, nonostante il relativo appello sia stato firmato da studiosi italiani di livello internazionale, è difficile non attribuire alla manifestazione un significato strumentale di natura politica. La manifestazione del 4 aprile rischia così di asservire i problemi della ricerca e dell'università a una generica logica di opposizione. Il pericolo di questa strategia è che qualsiasi proposta, pur buona e ragionevole, sia bollata come strumentale e -conseguentemente - cassata. Il fatto è che l'abbraccio all'università da parte della Cgil rischia di essere mortale. Difficilmente la logica del posto fisso della Cgil potrà portare qualcosa di buono all'Università. Il problema centrale è infatti che il corpo docente di ruolo è assolutamente elefantiaco. Quirino Paris, economista americano, ha paragonato le università della California a quelle dell'Italia. L'Italia, pur avendo meno studenti a tempo pieno (670 mila) rispetto alla California (940 mila) ha il doppio (in economia, fisica, matematica) e fino a 5 volte (economia agraria) dei docenti universitari di ruolo della California. Quindi non è vero che l'università italiana ha il più basso rapporto docenti/studenti del mondo. In realtà ci chiediamo da dove venga questa leggenda. Probabilmente dall'utilizzazione a fini statistici del totale degli studenti iscritti. Ma gli iscritti alle università italiane non sono equivalenti agli iscritti alle università straniere, dato che in queste università non sono ammessi i fuori corso. Grazie al connubio tra politica e autoreferenzialità universitaria, il corpo docente di ruolo delle nostre università è lievitato in seguito a due leggi, la 210/1998, che ha decentrato i concorsi e introdotto la tripla idoneità, e la 509/1999, che ha istituito le lauree triennali e specialistiche (il 3+2). Queste leggi hanno creato aspettative (gli idonei) e aumentato l'offerta formativa, determinando una immissione in ruolo di docenti e lo sfondamento del tetto del 90% dei fondi statali destinati al pagamento di stipendi. Il risultato è stato, per università come quella di Cagliari prive di finanziamenti aggiuntivi a quelli statali, l'impossibilità di una politica che non fosse quella di pagare stipendi e distribuire posti di lavoro, un risultato soddisfacente per il sindacato ma non certo per l'università. Per questo, la saldatura tra gli interessi dei docenti universitari e quelli di un sindacato come la Cgil non può che suonare come un campanello d'allarme. Tanto più che, in contraddizione con la necessità di contenere la spesa per stipendi, la doppia idoneità concorsuale è prevista anche dal ddl 1387 sull'università che prossimamente approderà in Senato. Che dire: è proprio vero che l'autoreferenzialità universitaria sopravvive a qualsiasi cambio di governo. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 8 Apr. ‘09 FABIANI: BUONI SEGNALI PER L'UNIVERSITÀ ISTRUZIONE VERSO LA PIFORMA il corpo accademico pronto a superare le chiusure corporative per riportare merito e competizione negli atenei - Indispensabile l'Agenzia di valutazione di Guido Fabiani * n contrasto con tanti segnali negativi> oggi si stanno forse creando le ~ condizioni perché si affermi la convinzione che una nuova università non sia solo necessaria ma anche possibile. Una nuova università è necessaria per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, perché alla fine di questa crisi non tutto sarà uguale all'oggi, e non ci sarà alcuno spazio per un sistema Paese che non abbia saputo fare del capitale umano la leva fondamentale dello sviluppo. In secondo luogo perché bisogna dare una risposta alle richieste che vengono da un pezzo importante della società, dagli studenti; da coloro che dovranno gestirne le sorti future. Per chi vive l'università e sperimenta il rapporto quotidiano con gli studenti, è nettamente palpabile il senso di angoscia, di sfiducia e di rabbia che attanaglia tanti giovani, al di là delle differenziazioni ideali o politiche. Nella maggior parte dell'attuale movimento degli studenti non c'è il rifiuto del rigore e della serietà negli studi. AL contrario, essi stanno denunciando che il proprio impegno nel processo formativo è reso vano da una prospettiva di precarietà assoluta nella società che viene. L'ultima indagine di AlmaLaurea, analizzando le prospettive di lavoro di quasi i due terzi dei laureati post riforma ha sostenuto che «una generazione di giovani fra i meglio preparati, e quelle che seguiranno, rischiano di rimanere schiacciate fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca privo di mezzi per valorizzarle». Siamo di fronte aun possibile dramma generazionale che esige una risposta seria e immediata sia del sistema universitario che del sistema politico. Il sistema universitario non può sfuggire alle proprie responsabilità. Esso, non sempre a torto, viene percepito come un sistema di poteri e competenze autoreferenziali, poco finalizzati alle aspettative dei giovani e alle esigenze del Paese. Ma si sbaglierebbe a credere che nel mondo accademico non sia cresciuta la sensibilità a queste critiche, assieme alla diffusa convinzione della necessità di una profonda azione di riforma e autoriforma. C'è sicuramente fastidio e scoramento per il ripetersi di attacchi indistinti e per la recita di ricette fondate sulla scarsa conoscenza del sistema o su concezioni punitive, ma è ben percepibile nei singoli atenei la volontà di impegnarsi affinché l'università non sia più vista come luogo di chiusure corporative e di difesa di interessi di settore e"castali": Si è fatta strada e si sta consolidando la convinzione per cui la valutazione del merito è necessaria per determinare l'accesso e le carriere dei docenti. Viene richiesto, soprattutto da parte dei più giovani, un saldo collegamento tra didattica e ricerca, accompagnato da un radicamento della cultura della valutazione, della efficienza e della efficacia dei servizi per sostenere la pratica di un'autonomia responsabile. Si è ben compreso che solo con una determinata e visibile azione in queste direzioni l’universitas studiorum può rimanere il luogo riconosciuto dell'accumulazione e della diffusione della conoscenza; il luogo designato alla formazione della classe colta e dirigente del Paese; il luogo che non prevede barriere di nazionalità. Ma l'università da sola, con risorse insufficienti e ulteriormente ridotte, senza una garanzia sulle prospettive, non può farcela. Come non riconoscere che il mondo della politica, nella sua interezza e senza distinzioni, si è da tempo dimostrato estraneo alla visione di una politica mirata alla tutela e allo sviluppo del capitale umano del Paese? Si deve però registrare che nelle ultime settimane si è realizzato un fatto molto positivo: lo scorso 24 marzo si è svolto un seminario promosso dal ministro Mariastella Gelmini con tema «Un patto virtuoso tra università e istituzioni». In quella sede è stato distribuito un serio documento introduttivo denso di problemi da affrontare sulla governance e sul reclutamento. È stato un impor tante momento di confronto, di ascolto e diproposte che è stato successivamente ripetuto con discrezione, avviando una costruttiva fase di lavoro. Si prospettano, quindi, interventi sulla governance degli atenei, sui meccanismi di accesso e di progressione nella carriera accademica, norme che indichino doveri e diritti dei docenti e che rimodulino le funzioni degli organi di governo delle università. Questo è veramente un buon segnale. Ora c'è da augurarsi che le norme che seguiranno definiscano un quadro di principi e non gabbie rigide che rischierebbero di non essere adeguate all'articolazione e complessità del sistema universitario nazionale. I megatenei, le piccole e medie università, gli atenei con facoltà di medicina e quelli senza> quelli che operano da soli nel territorio di riferimento e quelli che convivono con altre importanti realtà universitarie nelle grandi città, i politecnici e le università generaliste, quelli più giovani e quelli di tradizione plurisecolare: tutto questo rappresenta una ricchezza di risorse e di specificità territoriali da mettere a valore attraverso un sistema di regole fondamentali comuni e un esercizio di autonomia responsabile rigorosamente monitorata dal centro. Tre condizioni sono però irrinunciabili per rendere sostenibile un quadro di questa valenza. In primo luogo va avviata una Agenzia di valutazione del sistema universitario che sia realmente autonoma. In secondo luogo all'intervento di riforma deve corrispondere un impegno programmatico di risorse definito su scala pluriennale e mirato al raggiungimento di obiettivi di sistema e di ateneo. In terzo luogo, sui terna che riguarda lo sviluppo e la tutela del capitale umano l'intero mondo politico deve lavorare con una visione comune. I giovani debbono percepire chiaramente che ci si sta tutti impegnando in una azione per costruire e preparare il loro futuro. Il loro contributo è essenziale. Non sarà facile, ma bisogna provarci. Rettore Università Romei Tre ___________________________________________________________________ Italia Oggi 8 Apr. ‘09 UNIVERSITÀ, CHIUSI I RUBINETTI Documento Miur con i bilanci degli atenei. Italia0ggi ha calcolato le conseguenze Il ministero stila l’elenco di chi puó assumere Siena, l'Orientale di Napoli, Trieste e Firenze. Per ora sono queste le quattro università italiane che, per questo 2009, non potranno indire concorsi, assumere personale, dar seguito al reclutamento del piano straordinario dei ricercatori e saranno escluse anche da quei fondi in più destinati dalla finanziaria 2007. Ma se, per la prima volta, non dovessero arrivare i consueti sconti ai criteri di calcolo, il numero degli atenei che incapperanno nella rete stoppa-concorsi si allargherà a dismisura arrivando a quota 26. Sono queste le indicazioni contenute in un documento del Miur che mette nero su bianco gli atenei in sofferenza e non. La norma. Del resto la legge n. 1 del 2009, con cui il ministro dell'istruzione e dell'università Mariastella Gelmini ha voluto sciogliere i nodi più critici del sistema universitario parla chiaro: le università statali che entro il31 dicembre di ogni anno hanno superato il tetto del 90% del Fondo di finanziamento ordinario non possono «procedere all'indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, né all'assunzione di personale». Con questo provvedimento il governo riprende alcune norme che già esistevano nel panorama universitario ma che, di fatto, non erano mai state applicate. Fino a oggi, per chi superava la soglia fatidica del 90% nel rapporto tra buste paga e assegno statale il turn over era solo rallentato, ora invece sarà reso stringente dalla legge. Le università. Nella situazione attuale il blocco è già scattato per quattro atenei che, dati ministeriali alla mano, nel 2008 hanno presentato bilanci in rosso. La più lontana dal tetto è l'università di Siena che per buste paga dei docenti spende il 94,14 % dei finanziamenti provenienti da Roma: La seguono l'università di Napoli l'Orientale e quella di Trieste rispettivamente con uno sforamento del 92,54% e del 92,59%. Nella rete finisce anche l'università di Firenze che supera il tetto solo di uno 0,12% ma che se non potesse godere degli sconti annuali arriverebbe ad oltre il97%: E non solo lei. Perché se non dovessero arrivare i consueti sconti ai criteri di calcolo le università bloccate salirebbero in un attimo a 26, cioè circa 40% su 58 atenei statali presenti. Gli sconti. Il conteggio del rapporto tra spese di personale e fondo statale è infatti alleggerito ogni anno da tre correttivi in favore degli atenei. Uno è determinato sottraendo dalle spese di personale (fisse e inderogabili) l’ammontare complessivo degli aumenti stipendiali maturati nell'anno precedente, il secondo sottrae alla massa stipendiale le retribuzioni dei docenti assunti a seguito di stipula di convenzione con enti esterni, l’ultimo invece impone di conteggiare per due terzi e non per intero, il personale impegnato in attività assistenziale convenzionato con il servizio sanitario nazionale nelle facoltà di medicina. Senza "sconti" la maglia degli atenei si allarga sempre di più. E investirebbe immediatamente i due atenei partenopei: la Seconda università di Napoli e la Federico II che sfiorano quasi il 100% dell'Ffo. Subito dopo secondo i dati ministeriali si colloca la città di Pisa che per le buste paga ha staccato nel 2008 oltre il 96% dei fondi statali, mentre quella di Udine circa il 95%. UNIVERSITA’ in SOFFERENZA Università Ffo Puro Ffo con Correttivi Siena 107,88% 94,14% Napoli l'Orientale 95,43% 92,94% Trieste 96,50% 92,59% Firenze 97,33% 90,12% Napoli sec univ 99,08% 73,27% Napoli Federico II 98,57% 85,53% Pisa 96,03% 88,79% Udine 95,43% 86,66% Roma La Sapienza 95,41% 81,74% Cagliari 95,02% 84,22% Fonte: ministero dell'istruzione e dell'università ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 Apr. ‘09 RETTORI A VITA ADDIO, ATENEI APERTI RIFORME DIFFICILI LA NUOVA UNIVERSITA Nel disegno di legge del Governo previsto un limite mandati - I manager esterni entrano nel consiglio o scelti da una lista nazionale aggiornata ogni quattro anni - Stop ai concorsi locali di Marzio BartaEoni Stop allo scandalo dei concorsi locali truccati per docenti e ricercatori. Ma anche al fenomeno dei rettori "a vita" che non potranno conquistare più di due mandati e saranno affiancati nella gestione degli atenei da Cda composti non solo da "colleghi", ma a maggioranza da membri esterni che faranno sentire la loro voce quando si dovranno spendere i fondi: nei consigli di amministrazione, accanto al "Magnifico", si potranno sedere imprenditori, finanziatori, ex studenti in carriera e chiunque abbia «comprovate competenze gestionali» ed «esperienze professionali di alto livello». La lotta agli sprechi e la caccia all'efficienza passerà anche dalla nomina di un manager («direttore generale») con grandi capacità gestionali a cui affidare il compito delicato di far funzionare al meglio i complicati ingranaggi accademici. Mentre un «difensore degli studenti» - nominato dal rettore su designazione del consiglio dei studenti - farà da "cane da guardia" puntando il dito contro ogni anomalia e avanzando proposte per migliorare il volto dell'università. Infine per i "fannulloni" in cattedra, scoperti da verifiche cicliche, non ci saranno più aumenti automatici in busta paga (gli scatti biennali). La rivoluzione fortemente voluta dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmiti per ridare smalto al pianeta degli atenei nel segno della trasparenza e del merito è quasi pronta. In queste ore i tecnici stanno limando la bozza di is articoli del Ddl quadro sulla governance universitaria che contiene anche la delega sui nuovi concorsi per docenti e ricercatori. E che, salvo altre priorità (si veda soprattutto l'emergenza del terremoto, in Abruzzo) potrebbe andare in Consiglio dei ministri prima di Pasqua insieme al regolamento che disegna l’identikit di un altro atteso protagonista: l'Agenzia di valutazione nazionale del sistema universitario e della ricerca. Per curare l’univérsità dalla piaga dei concorsi banditi localmente e pilotati a favore dei candidati "protetti" dai soliti baroni nascerà una lista nazionale da cui ogni ateneo potrà scegliere il docente o il ricercatore da assumere. Per entrarci si dovrà superare un'«abilitazione scientifica» nazionale, prevista ogni anno a settembre, basata su titoli e pubblicazioni, che durerà non più di quattro anni. Passati i -quali scatterà una verifica. Saranno delle commissioni per ogni settore scientifico composte di nove membri -sorteggiati da apposite liste -a valutare i titoli dei candidati. Clzi entrerà in questa lista nazionale di docenti abilitati potrà partecipare ai bandi delle università che dovranno assumere almeno un quarto dei candidati dall'esterno, mentre gli altri potranno arrivare dall'interno dell'ateneo da progressioni di carriera. Ma su questo punto i tecnici del ministero dovranno chiarire meglio le modalità di reclutamento. Sarà comunque uno o più Dlgs a scrivere le regole del reclutamento nel dettaglio. L'obiettivo, comunque, resta quello , di scardinare il meccanismo attuale dei ' concorsi locali (voluti dall'allora ministro Berlinguer) che in pratica consente di nominare una commissione amica, tagliando fuori gli outsider scomodi. E portando in cattedra, grazie a bandi precofenzionati a misura, i candidati "protetti". Le università potranno insomma assumere chi vogliono nella massima trasparenza, ma poi dovranno risponde;re delle loro scelte. Per dare un nuovo volto agli atenei italiani il Ddl interviene direttamente sugli organi di governo. I obbliga le università a rivedere i propri statuti entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge. Tra le novità previste dalla bozza del Miur c'è un tetto ai mandati dei rettori: non potranno essere più di due per un totale di otto anni in carica, oppure un solo mandato per sei anni. Il Cda sarà potenziato con «funzioni di programmazione strategica finanziaria e contabile» e composto da non oltre nove membri. E la maggioranza dei consiglieri non dovranno appartenere «aì ruoli dell'università a decorrere dai tre anni precedenti la designazione e per tutta la durata dell'incarico». Tra le altre novità, la riforma prevede anche la possibilità per le università più vicine di fondersi o aggregarsi in strutture federative in modo da migliorare l '«efficacia e l'efficienza dell'attività didattica, di ricerca e gestionale». _____________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 28 Mar. 09 LA GELMINI IL PROF MASIA E LA MISSIONE SALVA-BARONI di GIAN ANTONIO STELLA Baroni, baronetti e baroncini impicciati in concorsi sospetti comincino a tremare. Il nuovo dominus dell'Università italiana è Antonello Masia. L'uomo che, dovendo azzerare la nomina dei docenti finiti in cattedra dopo una selezione condannata come truffaldina anche in Corte di Cassazione, ha lasciato tutti al loro posto perché «l'annullamento d'un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità». CONTINUA A PAGINA 25 Sintesi burocratica d'un adagio: «chi ha dato ha dato, chi ha avuto avuto». Non poteva scegliere giorno migliore, il ministro Mariastella Gelmini, per nominare il suo nuovo braccio destro. Poche ore prima, l'Ansa aveva informato dell'ennesimo scandalo: «La squadra mobile, su delega del pm di Reggio Calabria Beatrice Ronchi, ha acquisito al Rettorato dell'Università di Messina la documentazione relativa al concorso per due posti di ricercatore alla facoltà di Giurisprudenza. Un esame che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato pilotato per favorire gli unici due candidati, Vitto - ria Berlingò, figlia del preside di Giurisprudenza, e Salvatore Siciliano, figlio del procuratore aggiunto di Messina. Secondo gli inquirenti, gli altri aspiranti concorrenti sarebbero stati "sconsigliati" dal partecipare alla selezione: ipotesi che ha portato già ad alcune iscrizioni nel registro degli indagati per corruzione». I candidati a quel concorso, svoltosi tra il novembre 2006 e il gennaio 2007, erano in realtà cinque. Ma, spiega il verbale, una certa Sebastianella Calandra si era presentata così, come fosse un bando per l'assunzione di segretarie d'azienda, «assolutamente priva di esperienza scientifica e didattica». Un certo Pietro Falletta aveva sì un «curriculum didattico assai buono» e diceva d'avere «pubblicato sette lavori» però, incredibile ma vero, non ne aveva allegato manco uno... Quanto all'ultima incomoda, Aurora Vesto, non aveva «alcun titolo e alcuna pubblicazione, non risultando -utile l'attestato di frequenza di un corso di lingua inglese». Fatto sta che, tolti questi tre che forse non erano figuranti venuti per far numero ma certo ne avevano tutta l'aria, i veri candidati per i due posti risultarono due giovani dai bei natali: Vittoria e Salvatore. Figlia la prima di Salvatore Berlingò, il preside di Giurisprudenza, figlio il secondo del procuratore Pino Siciliano. Una coincidenza? Certamente! L'ateneo messinese, del resto, dimostra una recente inchiesta di Michele Schinella per la rivista «Centonove», trabocca di coincidenze. Soprattutto nei concorsi varati non per tappare i vuoti di organico ma in quelli decisi, citiamo il magnifico rettore Franco Tomasello, «per motivi strategici». Tra i vincitori, ad esempio, Marco Centorrino era casualmente figlio di Mario, il pro rettore. Mario Vermiglio era casualmente fratello di Francesco, ordinario a Economia. Rossana Stancanelli era casualmente figlia di Paola Ficarra (ordinario a Farmacia) nonché nipote di Rita (associato alla stessa facoltà) e del marito di questa Giuseppe Altavilla, associato a Medicina. Antonino Astone era casualmente genero di Raffaele Tommasini, docente e delegato del Rettore per le questioni giuridiche. Massimo Galletti era casualmente il quarto di quattro figli del barone Cosimo, tutti e quattro professori nel solco universitario tracciato da papà... Mettetevi al posto di Mariastella Gelmini: non trovereste intollerabile l’andazzo? E infatti il ministro, fedele alla proposta di legge 3423 presentata nella scorsa legislatura nella quale per 37 volte (trentasette) invocava il ritorno al «merito», l'ha detto e ripetuto: non ne può più: Parole testuali pronunciate qualche settimana fa agli studenti di Galatina: «Non è più possibile andare avanti con una forma di nepotismo dentro le università». Basta! Detto fatto, come dicevamo, ha deciso ieri di nominare Antonello Masia capo Dipartimento per «università, alta formazione artistica, musicale e coreutica e ricerca». Auguri. Il nuovo plenipotenziario chiamato a rinnovare il mondo accademico è imbullonato alle poltrone ministeriali da 38 anni. Teorizza che «i ministri passano, i direttori generali restano». Dice che «non bisogna dare alle baronie un significato così negativo» perché se lui «pensa al barone, pensa al "maestro"». Sbuffa davanti agli allarmi sulle condizioni disastrose dei nostri atenei: «Non credo alle classifiche internazionali». Irride agli scandali e alle inchieste giudiziarie che descrivono decine e decine di concorsi sospetti perché secondo lui i casi di nepotismo in tutti questi anni «saranno stati cinque, sei, sette...». Il suo capolavoro risale a due anni fa, quando si ritrovò sul tavolo, nei giorni in cui la Moratti se n'era già andata e Mussi doveva ancora insediarsi, l'incartamento di un famigerato concorso di Otorinolaringoiatria bandito nel 1988. Un concorso truccato, vinto da sedici figli di papà o raccomandati di ferro. E sanzionato con la condanna dei baroni coinvolti in Assise, in Appello e in Cassazione. E con sentenze che parlavano di «totale assenza di correttezza, di senso etico, di rispetto della legge». Di «plurime e prolungate condotte criminose». Di «profonda e amorale illegalità». Bene: di ricorso in ricorso, di rinvio in rinvio, di ostruzionismo in ostruzionismo, tutti i colpevoli e i beneficiati erano rimasti al loro posto. Finché la pratica finì appunto sul tavolo di Masia. Che ci mise una pietra sopra con le parole citate: «Visto che la sentenza penale non annulla automaticamente l'atto amministrativo senza la pronuncia del giudice amministrativo, mai intervenuta» e che «l'annullamento di un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma deve tener conto della sussistenza di un interesse pubblico», il concorso taroccato «non» andava annullato. Un messaggio davvero «educativo» per i giovani universitari italiani: fatevi furbi, tanto non paga mai nessuno. di GIAN ANTONIO STELLA ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 26 mar. ’09 «CONCORSI PER PROF SÌ ALLA LISTA NAZIONALE FONDI A CHI MERITA» L' intervista Il rettore della Bocconi e il piano Gelmini «Gli atenei che producono di più vanno premiati» Il reclutamento Ma bisogna creare nuovi meccanismi contrattuali e forme alternative di reclutamento ROMA - «Un' innovazione che potrebbe essere importante e che ci avvicinerebbe alle migliori pratiche internazionali». Guido Tabellini, rettore dell' Università Bocconi, con numerose esperienze anche di insegnamento presso università americane, guarda con fiducia al piano del ministro Gelmini per rendere più trasparente il reclutamento dei professori universitari, superando l' attuale organizzazione dei concorsi. Un sistema nazionale di valutazione con il rilascio di un' abilitazione a cui far seguire la chiamata diretta da parte delle singole università. Che ne pensa della riforma dei concorsi? «È senz' altro una novità. L' innovazione consiste nel distinguere tra un momento di reclutamento esterno alle università e uno di promozione interna (l' assunzione da parte del singolo ateneo). Finora il concorso è stato una finzione ipocrita. Le università per promuovere il proprio candidato bandivano un posto. Ma essendo il bando rivolto a tutti, mettevano il docente dell' ateneo in concorrenza con altri docenti, falsando però il concorso stesso perché ciascun ateneo spingeva per il proprio candidato. In futuro le promozioni a ricercatore, associato e ordinario dovrebbero avvenire - i dettagli non li conosciamo ancora - in due fasi separate: prima attraverso l' abilitazione nazionale - che garantisce un livello minimo di qualità - poi con un secondo filtro costituito da regolamenti che ogni università dovrà darsi in cui sono indicati i criteri meritocratici per la promozione. Questo consente all' università di avere dei criteri di merito ancora più stringenti di quelli usati per l' abilitazione nazionale». Funzionerà? «Bisognerebbe conoscere in cosa consiste questo secondo filtro. Se è debole o sbagliato è difficile che il Miur, soltanto con la lista nazionale degli abilitati, possa spingere nella direzione giusta. Può eliminare solo gli abusi peggiori». Cosa suggerirebbe? «La volontà di scegliere i docenti migliori deve essere incentivata attraverso un altro aspetto della riforma di cui si sta discutendo: la valutazione delle università e la distribuzione delle risorse in base al merito. Sono necessarie delle regole che consentano agli atenei, statali e non, con la migliore produttività scientifica di ottenere più risorse. Infatti queste università avrebbero dimostrato di saper fare un miglior uso delle risorse e di avere una maggiore capacità di attrazione dei docenti migliori». Tra le idee per riformare i concorsi c' è anche quella di consentire alle scuole superiori e atenei non statali la possibilità di sperimentare nuove forme di reclutamento. «Il modo cambia, nel business privato cambiano i modi di organizzazione interna, i contratti, le procedure di assunzione. Un' impostazione troppo centralistica, dove tutte le università siano controllate interamente dal Miur, ci costringerebbe a restare indietro rispetto ad altri paesi più facilitati nell' adattarsi ai cambiamenti. Bisogna ricordare che in Italia il titolo di studio ha un valore legale. Nel nostro sistema questo implica anche avere docenti assunti con le procedure previste dal ministero. Oggi, tanto per fare un esempio, io non posso assumere un giovane e promettente docente di Harvard, su una posizione superiore a quella da lui occupata nel suo ateneo, anche se dotato di titoli scientifici, a meno che questi non sia disposto ad affrontare la trafila burocratica e a sottoporsi oggi ai concorsi, speriamo domani alla procedura di abilitazione. Sarebbe invece auspicabile consentire ad alcuni atenei margini di sperimentazione per assumere docenti promettenti anche al di fuori delle procedure ministeriali». Anche a quelli statali? «Questi margini di sperimentazione di nuovi meccanismi contrattuali o di forme alternative di reclutamento potrebbero essere utili anche per le migliori università statali. Oggi ce ne sono molte ben organizzate, con docenti produttivi e capaci di fare buone scelte. Sarebbe importante metterle in condizioni di reclutare docenti con modalità scelte da loro. Eventuali innovazioni introdotte con successo dalle università che hanno la possibilità di sperimentare potrebbero poi essere introdotte in tutto il sistema, garantendone maggior dinamicità e capacità di adattamento». Giulio Benedetti Chi è Guido Tabellini da Stanford a Milano Ha preso il posto di Provasoli Il personaggio Guido Tabellini, 53 anni, laureato in economia all' Università di Torino, ha insegnato alla Stanford University e negli Atenei di Cagliari e Brescia L' università La Bocconi, fondata nel 1902, è un' affermata «business school». L' ultimo rettore era Angelo Provasoli Benedetti Giulio ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 mar. ’09 PARENTI IN CATTEDRA, ATENEI DA VERGOGNA Reportage. Raccolte dal giornalista Nino Luca le segnalazioni inviate al Corriere.it sull' università italiana Favoritismi, corruzione, concorsi truccati: è l' ultimo scandalo Se in vita vostra avete solo collaborato a un lavoro «scientifico» di una pagina (una!) scritto con altre cinque persone e presentato a un convegno ma mai pubblicato su una rivista internazionale, non disperate: potete sempre vincere un concorso universitario. Basta esser nati sotto la giusta congiunzione astrale. Come successe al «professor» Giovanni Lanteri. Che vinse appunto un posto da «associato» all' Università di Messina presentando 2 pubblicazioni. La prima («Studio preliminare sull' espressione immunoistochimica dell' Eritropoietina...») fu subito scartata dagli stessi commissari: «Non venga presa in considerazione ai fini della presente valutazione». La seconda («A new outbreak of photobacteriosis in Sicily») è finita nel fascicolo dell' inchiesta giudiziaria col giudizio del Ministero dell' Università consultato dai magistrati: «Priva di rigore metodologico. Non è possibile individuare il singolo apporto di ciascuno dei sei autori». L' episodio, sconcertante, è uno dei tantissimi raccolti da Nino Luca, un collega del «Corriere.it», in un libro appena uscito da Marsilio: Parentopoli. Quando l' università è affare di famiglia. Un reportage durissimo e spassoso su uno degli aspetti più controversi dell' università, quello dei concorsi sospetti. Che troppo spesso finiscono col consegnare la cattedra a mogli, figli, cognati, amici e amici degli amici. Immaginiamo già l' obiezione: non ci son solo i baroni e le clientele e le apocalittiche classifiche internazionali! Giusto. È vero che la situazione «cambia drasticamente se si concentra l' analisi sulle singole aree disciplinari» (come ricorda Domenico Marinucci, direttore del Dipartimento di Matematica di Tor Vergata, 19° in Europa tra le eccellenze del settore e meno afflitto dalla cronica povertà di docenti stranieri), vero che nelle «hit parade» avulse la «Normale» è stabilmente nelle prime venti al mondo, vero che tanti ragazzi usciti dai nostri atenei vanno alla conquista del mondo. Il reportage di Nino Luca, però, proprio per l' abbondanza di episodi così incredibili da risultare irresistibilmente comici, mette spavento. A partire dalla disinvolta e allegra spudoratezza con cui tanti rettori irridono alle perplessità di chi non riesce a capacitarsi di come, ad esempio, possano essere circondati da tanti parenti. Come Gennaro Ferrara, da 22 anni alla guida della Parthenope di Napoli: «Ma lei vuole fare un articolo serio o un articolo scherzoso? No, perché se lei vuole fare un articolo scherzoso, io ci sto». Come mai ha portato con sé all' università la seconda moglie, il di lei fratello, la figlia e i mariti delle due figlie? La risposta: «Se trattiamo "parentopoli" in termini scandalistici non va bene». Poveri figli, poi...«Devono dimostrare ogni giorno di valere...». Alcuni casi raccontati sono noti, come quello d' una torinese bocciata a un concorso che mesi fa si sfogò con «La Stampa» d' esser stata trombata, scusate il bisticcio, perché non aveva «più voluto compiacere sessualmente» il direttore della scuola di specializzazione. O quello della famiglia Massari che «porta l' Università di Bari nel Guinness dei primati» grazie al piazzamento nei dintorni della facoltà di economia di otto-Massari- otto: Antonella, Fabrizio, Francesco Saverio, Gian Siro, Gilberto, Lanfranco, Manuela e Stefania. O quello del preside di Medicina e rettore della «Sapienza» Luigi Frati («Parentopoli? Voi giornalisti sapete fare solo folclore!», ha urlato a Luca), un uomo tutto casa e ufficio dato che nella sua facoltà lavorano la moglie Luciana Angeletti, il figlio Giacomo e la figlia Paola, che nell' aula magna di Patologia ha fatto la festa di nozze. Altri casi sono meno conosciuti. Come quello di un recentissimo concorso per due posti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Bicocca di Milano con cinque soli concorrenti tra i quali tre figli (due vittoriosi, ovvio) di docenti della stessa Facoltà di Medicina e Chirurgia. O quello della condanna a un anno di reclusione per abuso d' ufficio (pena sospesa) e a uno d' interdizione dai pubblici uffici (per aver danneggiato la professoressa Antonina Alberti durante un concorso) di Fernanda Caizzi Decleva, moglie del presidente in carica della Crui, la conferenza dei rettori. La cosa più interessante del reportage, però, al di là della sottolineatura di certe bizzarrie (come quella che riguarda l' ex rettore di Bologna Fabio Roversi Monaco, che ha incassato 11 lauree honoris causa da vari atenei mondiali distribuendone in parallelo 160 a gente varia, da Madre Teresa di Calcutta a Valentino Rossi), sono le chiacchierate tra l' autore e alcuni dei protagonisti del mondo accademico italiano. Come quella con Augusto Preti, che diventò rettore a Brescia nel lontanissimo 1983, quando erano ancora vivi Garrincha e David Niven, e scherza: «Io sono il potere assoluto». O Pasquale Mistretta, il rettore di Cagliari, secondo il quale «molti figli illustri, proprio a causa dei complessi d' inferiorità verso i padri, a volte si sono smarriti: alcuni sono finiti anche nel tunnel della droga», quindi forse «quando un padre va in pensione, come un tempo succedeva in banca o all' Enel, è logico che ci sia un occhio di riguardo» per i figli. Il meglio, però, lo dà il professore Giuseppe Nicotina spiegando come il suo Ludovico avesse vinto in solitaria un concorso per ricercatore: «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno tutta una "forma mentis" che si crea nell' ambito familiare tipico di noi professori». Insomma: è una questione quasi genetica. Se poi una spintarella aiuta la forma mentis... Il libro La statua della Minerva davanti all' Università La Sapienza di Roma. «Parentopoli. Quando l' università è affare di famiglia» (Marsilio, Gli specchi, pp. 316, 18) di Nino Luca, giornalista di «Corriere.it». Stella Gian Antonio ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Mar. ‘09 L'AUSTERITY RILANCIA GLI ATENEI Aumentano le iscrizioni ai master nelle Università americane e inglesi Dalle rette più introiti che compensano le perdite sui mercati dei derivati di Alessandro Schiesaro Per la seconda volta in meno di vent'anni le università sono alle prese con una recessione globale. Rispetto ai primi anni 9o il quadro presenta alcune caratteristiche peculiari, sia per la forte connotazione finanziaria della crisi, che dispiega effetti talora drammatici sui conti di molti atenei-soprattutto nel mondo anglosassone - sia per l'accentuarsi della dimensione globale di alcuni sistemi universitari cui si è assistito nel frattempo. Ma, come in passato, la recessione costituisce insieme un problema e un'opportunità. Nelle università Usa e in quelle britanniche la prima preoccupazione, la più immediata, riguarda la performance dei capitali investiti. Moltissime università Usa, soprattutto quelle private e di ricerca, hanno accumulato nei secoli vasti endowments la cui rendita, pur usata con grande parsimonia per preservare nel tempo il capitale, è essenziale per colmare il divario tra entrate e uscite e far fronte a investimenti strutturali. Si tratta di fondi a volte enormi che però, impegnati largamente in titoli, hanno subito perdite secche, in media del 25 per cento. Il più grande, quello di Harvard, valeva più di 36 miliardi di dollari prima della crisi, ma si stima che almeno un terzo sia evaporato in derivati. Anche peggio è andata a istituzioni colpite dal ciclone Madoff, che ha messo in ginocchio la Yeshiva University e assestato un duro colpo alla New York University. Il settore degli atenei pubblici, poi, è esposto a un doppio rischio: da un lato perde sugli endowments, quando esistono (l'Università del Texas ha lasciato sul campo 1,6 miliardi di dollari), dall'altro subisce tagli da parte delle legislature statali alle prese con il calo delle entrate. Il Nevada ha tagliato di oltre un terzo i fondi per l'università, ma segni di disagio si stanno moltiplicando. Ucla, North Carolina e Maryland, per esempio, hanno imposto riduzioni dell'orario lavorativo con conseguenti perdite di salario; il sistema californiano, finanziato il larga misura da uno stato oggi in grave crisi economica, è particolarmente a rischio. Con tutti gli atenei costretti a rivedere i conti al ribasso, la stagione del reclutamento dei docenti, che negli Usa impegna soprattutto i mesi invernali, è all'insegna del risparmio, con blocchi o riduzioni del turnover molto diffuse. Il quadro è simile, ma meno drammatico, in Gran Bretagna, dove ai capitali investiti non è andata meglio, ma dove il loro apporto incide meno sul conto economico. Tutti gli endowments hanno segno negativo, anche se Cambridge sta portando a termine una campagna di raccolta fondi di un miliardo di sterline, per ora secondo i programmi. Il rischio più forte, in questo caso, è legato agli effetti della recessione sui rapporti università-impresa, grazie ai quali gli atenei inglesi, all'avanguardia nel trasferimento tecnologico, contano ogni anno su 2,6 miliardi di fondi di ricerca, oggi inevitabilmente a rischio. Anche in questa prima recessione del nuovo secolo, peraltro, i segnali non sono solo negativi. In;entrambi i Paesi si rinnova un fenomeno già ampiamente verificato in passato, cioè la netta crescita della domanda d'istruzione universitaria. Perde smalto, per i brillanti laureati dell'Ivy League, l'idea di affrettarsi a iniziare una carriera a Wall Street, a tutto vantaggio dei programmi di master e dottorato. I diplomati britannici hanno dato l'assalto ai corsi di laurea, con una crescita delle domande d'immatricolazione per il a009- io pari al 7,8%, addirittura del 12% per gli studenti maggiori di zi anni che avevano in prima battuta optato per l'ingresso nel mondo del lavoro. La sterlina debole, poi, accresce l’attrattività internazionale di un sistema universitario d'alto livello: le domande provenienti dall'Unione Europea segnano un rialzo di quasi il 16%, quelle da altri Paesi del 9 per cento. In generale, è l'immagine stessa dell'università come depositaria di saperi potenzialmente preziosi, o invece "disinteressati", a uscire rafforzata da crisi di queste dimensioni, e sta al mondo accademico saper cogliere le opportunità che si possono aprire in questa nuova fase, nonostante il dazio che in qualche misura dovrà essere pagato alla recessione. I sistemi più agili e da tempo meta privilegiata avranno maggiore facilità nel rafforzare la propria leadership, ma anche per i sistemi continentali si aprono scenari interessanti. L'Europa può mettere a frutto le sue grandi tradizioni e i bassi costi di frequenza per divenire più attraente agli occhi dei molti studenti che cercano opportunità di studio senza vincoli geografici. Non si tratta solo di conquistare nuovi clienti, ma di ampliare la dimensione internazionale degli atenei, d'instaurare rapporti culturali duraturi, soprattutto di attrarre docenti grazie al rafforzamento dell’euro. Anche l'Italia deve fare la sua parte per inserirsi a pieno titolò fra i Paesi che competono a livello globale per i migliori talenti, siano essi studenti o professori. Le potenzialità ci sono, ma bisogna sforzarsi di ragionare in termini innovativi e convincersi che aprire davvero le porte delle nostre università al mondo è ormai, più che opportuno, indispensabile. L'Europa e l'Italia hanno l'occasione di attrarre gli studenti: necessario intervenire sulla dimensione internazionale delle facoltà ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Apr. ‘09 PARIGI: SALE LA PROTESTA NELLE UNIVERSITÀ Docenti e studenti in piazza contro la riforma delle facoltà PARIGI. Dal nostro corrispondente Si radicalizza la protesta nelle università francesi. Contro le riforme volute da Nicolas 5arlcozy hanno sfilato ieri decine di migliaia di persone in tutto il Paese mentre altre manifestazioni sono previste per il 28 aprile e il 1 maggio. Epicentro dell'agitazione è il mondo accademico, con l'appoggio degli studenti. I docenti ricercatori - contrari alla riforma del loro statuto e alle modifiche nella formazione dei professori incaricati così come sono state presentate in ottobre dal ministro della Ricerca e dell'insegnamento superiore Valérie Pécresse - bloccano da due mesi e mezzo corsi ed esami in molti atenei francesi. Martedì il presidente della Repubblica è intervenuto sulla questione affermando che il Governo non può e non vuole fare marcia indietro sull'autonomia delle università, introdotta per la prima volta nell'agosto del 2007- Oltre a questo, vi è il braccio di ferro su una serie di cambiamenti proposti dal ministro Pecresse nell'educazione superiore: accesso all'insegnamento con un diploma più cinque anni Corsi ed esami sospesi in molti atenei da due mesi e mezzo, E si moltiplicano gli episodi di rettori bloccati dai ragazzi nei loro uffici di studi universitari, il che equivarrebbe alla frequenza di un master; diversa ripartizione per i docenti ricercatori tra ricerca, insegnamento e compiti amministrativi; tagli al personale. Nonostante alcuni punti siano stati modificati dal governo e i tagli siano stati congelati per i prossimi due anni, la protesta non rientra. La mancanza di un accordo nelle prossime due settimane comporterebbe, di fatto, la perdita del semestre. Negli ultimi giorni, inoltre, si sono moltiplicati nei campus gli episodi di tensione, con i rettori di alcune università (Rennes II e Orléans) bloccati dagli studenti nei loro uffici. A.Ger. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 mar. ’09 CON IL PC A CACCIA DI PLAGI Non ho la minima idea del perché questi due testi siano simili». A pronunciare questa scusa non sono due studenti "beccati" dal professore, ma un ricercatore di medicina che aveva copiato un articolo scientifico. Un gruppo di studiosi del Southwestern medical center dell'Università del Texas ha applicato l'informatica per studiare la diffusione del plagio tra gli scienziati: un fenomeno meno raro di quanto si penserebbe. I ricercatori, coordinati da Harold Garner, hanno elaborato un software che ha analizzato milioni di brani estratti a caso da Medline. La ricerca ha evidenziato 70.000 coincidenze sospette. I ricercatori si sono focalizzati su un campione di 212 coppie di articoli che presentavano «segni di plagio potenziale», come hanno spiegato su «Science». Da segnalare che solo il 22% dei "copianti" citava l'articolo dal quale si erano "ispirati". Con un pizzico di perfidia, l'Università del Texas ha inviato le sue conclusioni agli editori e agli autori di tutte le 212 coppie di articoli, domandando a chi era stato copiato se ne era a conoscenza e a chi aveva copiato il motivo di quelle coincidenze strane. I ricercatori, anche se colti sul fatto, hanno collaborato e 8 questionari siamo sono stati compilati correttamente. In 83 casi sono state aperte indagini interne che hanno portato a46 ritrattazioni. Lo studio dimostra la necessità di adottare software anti-plagio e la-necessità che le università trasmettano il valore della correttezza e integrità scientifica. Valore che andrebbe insegnato anche al ricercatore che, dopo aver copiato f85% di un articolo, ha detto di averlo redatto «per diffondere la conoscenza». Andrea Carobene ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 mar. ’09 I NUMERI SARANNO LA SALVEZZA DEL MONDO Oggi si apre a Roma il festival della matematica Quattro giorni di dibattiti all’Auditorium Parco della musica che ospiterà prestigiosi studiosi provenienti da tutto il mondo ROBERTO PARACCHINI Evariste Galois quella mattina del 30 maggio del 1832, prima di andare all’appuntamento lasciò sulla scrivania del suo piccolo appartamento di Parigi un insieme di fogli un po’ stropicciati: appunti vari e alcune lettere. La sera del giorno prima e l’intera notte Evariste l’aveva passata scrivendo. Era un ragazzo di vent’anni e sette mesi, e dalla sua penna erano uscite sette paginette fitte fitte che avrebbero rivoluzionato la matematica. In tredici ore di scrittura frenetica Evariste sintetizzò il risultato delle sue riflessioni: due scritti sulla teoria delle equazioni e uno sulle funzioni integrali. Quel ragazzo aveva impostato il problema dei problemi dell’algebra, la questione della soluzione (e non soluzione) delle equazioni superiori al quarto grado. E contribuito in modo determinante all’elaborazione del concetto di gruppo in matematica: un lavoro oggi indispensabile in tante scienze, come nella teoria cosmologica del modello standard (per i gruppi di Lie) e nelle strutture cristalline in chimica, solo per citare due esempi. Oggi con una lectio magistralis su “L’ultima notte di Evariste Galois” del fisico e scrittore Paolo Giordano «premio Strega con “La solitudine dei numeri primi”), si apre a Roma, alle 10,30 nell’Auditorium Parco della musica, la terza edizione del Festival della matematica, diretto da Piergiorgio Odifreddi, dal titolo «Salvare il mondo con i numeri». Repubblicano convinto, Galois si era guadagnato l’inimicizia dell’uomo più potente del tempo, il re Luigi Filippo. E così nelle stanze della polizia del re venne ideato un modo per far tacere per sempre quel «rivoluzionario»: una trappola, classica per quei tempi, realizzata con la complicità di una donna di cui il giovane matematico si era innamorato e del di lei amante, che lo sfidò a duello. «Addio! - scrisse Evariste nell’ultima lettera, consapevole che non sarebbe uscito vivo dal confronto a fuoco col suo avversario - avrei voluto dare la vita per la causa comune. Perdonate coloro che mi uccidono. Essi sono in buona fede». Invece era tutto un tranello. Questa mattina Giordano ripercorrerà la notte insonne di quel ragazzo due volte ribelle: sia perché repubblicano, sia perché matematico innovativo. E forse non fu un caso che un grande della matematica di allora, Augustin-Louis Chauchy, perse o cestinò un lavoro che il giovane studioso gli aveva consegnato. Ma Galois può essere anche visto come la metafora del Festival di Odifreddi: giovane (alla terza edizione), rivoluzionario (nella patria di Benedetto Croce una manifestazione che è un tributo alla matematica...) e trasgressivo in quanto i dibattiti che si protrarranno sino al 22, saranno non solo un’occasione per stimolare l’interesse per quella che viene chiamata «la regina delle scienze», ma anche per divertirsi e intrigarsi. Come quando si va al cinema non è necessario conoscere la storia della settima arte per gustare una bella pellicola, così al Festival della matematica non è affatto indispensabile conoscere la topologia o la teoria dei gruppi per godere di uno spettacolo culturale fatto di meravigliose scommesse intellettuali, passione per gli enigmi e oggetti che stupiscono. La manifestazione è cominciata quest’anno con una anticipazione, svoltasi tra il 10 e l’11 di questo mese a New York nell’Istituto Italiano di Cultura e nella Italian Academy alla Columbia University. Alla sessione romana del Festival sarà presente l’eccellenza del pensiero scientifico internazionale: tra gli altri le medaglie Fields (il massimo riconoscimento per la matematica) Edward Witten, Timothy Gowers, Vaughan Jones, il premio Nobel per la fisica Arno Penzias, i Nobel per la chimica Roald Hoffmann e Richard Ernst, i quelli per l’economia Robert Mundell, John Nash e Thomas Schelling. Tra i tanti incontri anche uno dal titolo apparentemente spiazzante, «Da Goedel a Dylan Dog»: il primo è considerato il maggiore logico dopo Aristotele, padre dei teoremi di incompletezza (nell’aritmetica esistono proposizioni di cui non possiamo dire né che siano vere, né che siano false), il secondo è l’indagatore dell’incubo e del paranormale, noto personaggio dei fumetti, inventato di Tiziano Sclavi. Mariano Tomatis, ricercatore di statistica medica ma anche prestigiatore del Circolo Amici della Magia di Torino, terrà una conferenza spettacolo rivelando anche gli schemi matematici che si nascondono in molti dei principali temi della parapsicologia e dei fenomeni misteriosi - dalle previsioni del futuro alla numerologia biblica. A volte anche la regina delle scienze può essere furtivamente piegata per creare l’illusione del paranormale. L’investigare dell’incubo sarà poi presente a Roma anche con la mostra «La matematica di Dylan Dog», che ripercorre il fascicolo «Tre per Zero» in cui si cita l’effetto farfalla dei sistemi dinamici caotici, usualmente descritto come l’evento grazie al quale «il battito d’ali di una farfalla in Sudamerica può provocare un tifone nel nord della Cina». E nelle prime pagine del citato fumetto, il rinvio dell’acquisto di un frigorifero causa, grazie al suddetto effetto farfalla, un clamoroso crollo dei mercati finanziari mondiali... Tra i tanti argomenti del Festival, le suggestioni di «Flatlandia», il racconto fantastico di Edwin Abbott (scritto nel 1882) in cui un mondo a due dimensioni viene stravolto dall’arrivo di una sfera e le letture matematiche (a cura di Claudio Bartocchi) che coinvolgono Paul Valéry, Robert Musil, Luis Borges e tanti altri maestri. Poi incursioni negli scacchi, nel bridge, nel computer quantico, nelle tecniche matematiche della memoria, nelle figure impossibili di Oscar Reutersvard, nei labirinti, ecc. ecc... Un Festival, insomma, da gustare in tutti, e con tutti, i sensi. ======================================================= ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 mar. ’09 DIRINDIN: SANITÀ A SASSARI PENALIZZATA DALL’UNIVERSITA’ C'È IL RISCHIO CHE L'ISOLA RIDIVENTI UNA REGIONE CANAGLIA di Alessandra Sallemi Mi hanno attaccata perché piemontese: era il segno che avevano difficoltà a fare opposizione nel merito CAGLIARI. Per Nerina Dirindin ex assessore alla Sanità ormai la Sardegna non è soltanto la casa delle Ferrovie a Cagliari comprata «in corsia preferenziale», accusava l'opposizione, in un'asta delle stesse Ferrovie su internet, spiegò lei. Sono gli amici che ha trovato e che non intende perdere. E' la isponibilità a tornare se qualcuno vorrà discutere delle politiche sanitarie dell'isola. La nostalgia e anche l'amarezza per gli attacchi mai risparmiati racconta che sono «molto compensate» dal ritorno a casa a Torino, in famiglia, all'università dove insegna Economia pubblica (l'ex Scienza delle finanze) e dove l'anno prossimo spera di riattivare l'insegnamento di Economia sanitaria che nessuno ha ripreso durante la sua assenza sarda. Il nuovo assessore Liori si è piacevolmente stupito per la cortesia con la quale lei ha fatto il passaggio delle consegne. «Non c'era nessuna ragione per avere atteggiamenti polemici». Liori ha lamentato che la stessa cortesia non l'ha avuta da assessore perché lei, un tecnico, non è stata rispettosa della politica. «Sono loro che non mi hanno rispettato come tecnico. La valutazione su di me, anche solo del mio arrivo, è stata non tecnica, ma di campanile». Un episodio sgradevole? «Mah, ho voltato pagina...». I ricordi però restano, qual'è la cosa che la colpiva di più? «Forse... gli attacchi in quanto piemontese. Era il segno che avevano difficoltà a fare opposizione nel merito, cosa che mi sarebbe piaciuta. Era un Consiglio che non sapeva svolgere il suo ruolo, la funzione politica veniva meno, sovrastata da una contrapposizione inutile: ai microfoni si è dibattuto continuamente, fino all'ultimo giorno, soltanto sulla mia carta d'identità. Intelligenze sprecate, direi». Un bel ricordo? «Il giardino del reparto di psichiatria di Is Mirrionis. Una piccola cosa, ma significativa. Andai in visita al reparto, c'era un giovane che voleva avvicinarsi, i medici cercavano di proteggermi, io chiesi che lo lasciassero avvicinare: «Dica che ci facciano uscire...». Era estate, molto caldo, l'aria chiusa, si fumava, e là fuori c'era un giardino incolto. Domandai perché non cercassero di utilizzarlo, mi dissero che c'erano molte difficoltà. Al nuovo direttore generale Gumirato chiesi subito di aprire quel giardino e lo fece, mi sembrò di buon auspicio: ce l'avremmo fatta a cambiare qualcosa. Quando invitai i volontari dell'Avo a entrare nel reparto di psichiatria si spaventarono, poi riconobbero che faceva parte della loro missione, si sono formati e oggi dicono che è stata una grande crescita». Cos'ha trovato, al suo arrivo, di funzionante? «L'impegno degli operatori in generale. Nella maggior parte ho incontrato senso del dovere, attaccamento al paziente, volontà di supplire alla carenze mettendoci l'anima. Poi quando ho visto quel che fanno al Microcitemico. E i trapianti di fegato: tante piccole realtà molto positive. In generale c'è un mondo sanitario meno inquinato che altrove, più legato ai valori della sanità tradizionale. Altrove è più diffusa la capacità di negoziare su tutto, di contrastare un cambiamento se non adeguatamente incentivato. Qui c'è una maggiore partecipazione. E anche le associazioni dei malati e dei familiari non sono ancora inquinate». Inquinate? «Spesso in altre regioni d'Italia le associazioni sono condizionate dalle industrie farmaceutiche o dalle lobby di professionisti. Qui c'è maggiore indipendenza. Le abbiamo coinvolte molto nelle scelte. All'inizio i medici storcevano il naso, poi si sono abituati». I sindacati invece l'hanno accusata ripetutamente di non coinvolgere le categorie nelle sedi di valutazione dei problemi e delle scelte finali. «Abbiamo fatto una quantità enorme di incontri, ma spesso i sindacati dei singoli settori professionali difendono i professionisti e non il ruolo del servizio sanitario». Ha saputo che il centrodestra non farà il nuovo ospedale dell'area di Cagliari? «Con un accenno vago l'ha detto l'assessore Liori al passaggio di consegne. Ha spiegato che per loro alcuni ospedali vanno bene così. Non so da cosa dipenda questa scelta. Cagliari ha tanti ospedali, accorparne due in uno era efficace per l'ottimizzazione delle risorse e qualificante per l'uso delle tecnologie. Vogliono farlo a Is Mirrionis: già in consiglio regionale tanti, in modo trasversale, volevano tenere quell'ospedale. Ricordo come alcuni temessero la perdita di valore degli immobili attorno... Ormai gli ospedali dentro le città non si fanno più e anche l'ospedale a padiglioni non si fa più perché è inefficiente, fa aumentare i costi del personale e della logistica. Spostare il Marino: ancora tanti ospedali anziché integrarli e allestire un polo di altissimo livello. Noi ultimamente si pensava di farlo a Monserrato, avevamo messo 200 milioni di euro di risorse che dovevamo ancora chiudere col ministero». Un favore all'ospedalità privata? «Liori e parte di An hanno detto di non avere legami con i privati. Ma io penso che se non si vuole un ospedale pubblico alla fine si lascia spazio ai privati. E poi c'è anche il personale che non desidera spostarsi da quella zona». Un'accusa costante nei suoi confronti è stata quella di ragionierismo sanitario: prima i conti, poi la salute delle persone. «E' di nuovo un modo qualunquistico di guardare le cose. E di non voler vedere ciò che si è fatto. Noi abbiamo trovato una situazione in cui la spesa era fuori controllo e i soldi si sprecavano. In un anno soltanto abbiamo risparmiato circa 40 milioni di euro per la spesa farmaceutica: mettere a posto i conti è doveroso verso il contribuente. A casa loro vorrei vedere se spendono senza guardare. Torno a dire che non c'era opposizione nei contenuti». Ma anche la maggioranza a volte è stata aspra con lei. «Già. Ricordo la prima volta che entrai in consiglio regionale. L'onorevole Paolo Fadda si avvicinò al tavolo e mi disse 'io sono il diavolo'. Io gli chiesi chi fosse, lui rispose 'l'ex assessore'. Feci memoria: io ero a Roma al ministero quando lui era assessore. Non riuscivamo a chiudere un accordo di programma con la Regione perché l'assessorato era praticamente assente. Quando Soru arrivò al tavolo, Fadda ripetè: io sono il diavolo». E Soru? «Disse che lui aveva portato l'acquasanta. Uno scambio di battute segno della guerra preconcetta che si stava combattendo. Credo che loro stessi si sentissero percepiti come antagonisti. Debbo dire comunque che nel centrosinistra in generale ci sono spesso posizioni non uniformi, a volte si tratta di sfumature, altre di divergenze sostanziali. Come sui modelli organizzativi, sulla modalità di controllo della spesa farmaceutica o sui sistemi di finanziamento». Professoressa, se si vuole guardare alle 'cose fatte', la scelta del manager Zanaroli per la Asl di Sassari è da considerare un errore? «Zanaroli era un manager rigoroso e inflessibile e questo ha creato tensioni. Ma di tutta la Sardegna, Sassari è il territorio più difficile. E' vero che non ha gli interessi economici e professionali di Cagliari, ma ha una latente decadenza di cui tutti si sentono vittime e invece sono partecipi, una perdita di prestigio dilagante, una tendenza all'individualismo ancora più marcata di altri territori e una università poco capace di alzare il tono della professione, del modo di agire». Un giudizio severo. «Non dimenticherò mai il rettore quando riprendemmo i discorsi sulle ristrutturazioni delle cliniche e scoprimmo che lui aveva circa 15 milioni di euro fermi, nonostante le condizioni del tutto inadeguate del materno-infantile, per esempio. Io gli dissi che avrebbe dovuto averli già spesi e lui risposte che invece dovevo ringraziarlo per aver conservato questi soldi. Sassari ha dato all'Italia grandi nomi, ma il livello medio non è elevato. Si lamentano su tutto, c'è un privato parcellizzato che rende difficile il funzionamento del pubblico. Zanaroli trovò al Santissima Annunziata 3 milioni di euro di cucine comprate e mai usate, tante irregolarità dappertutto che, scoperte, ovviamente provocarono critiche pretestuose, anche sul colore dei suoi calzini». Contro Zanaroli ci sono cause in corso, però. «Si riferisce agli interinali. Nella Asl ce n'erano tantissimi, decidemmo di congedarli con gradualità e Zanaroli fu denunciato per questo alla procura della Repubblica. Curioso che chi in passato aveva usato gli interinali per tutto non sia mai stato denunciato. Ripeto: forse Zanaroli poteva essere più diplomatico». Insomma, non è stato un errore. Secondo lei quali sono stati i suoi errori? «Certo sulle questioni di metodo. Bisognava accompagnare di più le cose programmate. Io ho chiesto ai miei collaboratori di andare a vedere nel territorio l'applicazione delle delibere e di parlare con gli operatori. Molte delibere sono state applicate solo in parte perché se non si coinvolge la gente e non si fa capire l'importanza di una scelta è chiaro che vengono trascurate. Un'altra cosa che non ho capito è stata la difficoltà degli operatori a lavorare in gruppo. Abbiamo fatto tante commissioni, ma ci voleva un continuo intervento dell'assessorato per mandare avanti i lavori. Anche sull'oncologia abbiamo lavorato troppo poco, la commissione si è impantanata in problemi interni, siamo riusciti solo nella radioterapia. E poi ho un cruccio quasi personale». Dica. «Sono un docente universitario e mi dispiace molto non aver lavorato abbastanza sulla formazione. Non ho neppure ricevuto proposte, ma probabilmente se le aspettavano da me. Tante volte mi sono ripromessa di dedicarmi al tema, sono riuscita soltanto a promuovere il corso Ippocrate, ottimo, sulla programmazione e vari temi sanitari, ma ancora poco». Per alcuni progetti l'accusa nei suoi confronti è di non aver accolto le osservazioni degli operatori tutti i giorni sul campo. «Se parliamo di programmazione sanitaria, una cosa che non ci può essere rimproverata è proprio quella di non aver ascoltato, di non aver promosso incontri e momenti di partecipazione con gli enti locali, gli operatori, i territori. Molte osservazioni interessanti ci sono arrivate e le abbiamo accolte. Altre volte devo dire però che gli stessi operatori non riuscivano a produrre una proposta condivisa tra loro stessi. Per esempio con la neuropsichiatria infantile è successo un fatto incredibile: dalla commissione non sono riuscita ad avere un documento unitario. Quando ho sollecitato me ne hanno mandato due, uno contrapposto all'altro». Professoressa, i privati l'hanno accusata di voler ridurre i posti letto a loro per far spazio a potentati quali il San Raffaele di Milano. «Senta, in Italia la sanità privata, tranne poche eccezioni, è di basso livello. Non ce l'ho coi privati: è che sono per la sanità pubblica. Il privato tende a dire 'faccio quello che voglio io e non quello che serve a te'. La Regione ha sempre acquistato quello che il privato offriva, invece adesso ha cominciato ad analizzare i bisogni dei pazienti e chiede alla sanità pubblica e a quella privata di strutturarsi per soddisfare queste necessità». Torniamo al San Raffaele. «Quando sono arrivata l'ipotesi era in ballo da circa 15 anni, anche per accordi poco chiari del passato. A Olbia ci chiedevano di aprirlo. Il San Raffaele ha punte di eccellenza e abbiamo cercato di fare un accordo perché a Olbia portasse una sanità di qualità. Il San Raffaele, qui, ha dato fastidio ai privati per un possibile confronto, al sistema pubblico perché alla fine lo avrebbe costretto a confrontarsi. Anche l'università di Sassari esprimeva perplessità. Sa qual è invece il vero problema?». Dica. «Che il San Raffaele rispetti le regole, altrimenti diventerà una struttura mangiasoldi. Il piano sanitario prevede ad esempio che non possa aprire ambulatori delle specialità per le quali non sia possibile ricoverare le persone a Olbia. Per evitare che i primari visitassero in Sardegna e si portassero i pazienti a Milano». Quello che avete fatto ora è passato in mano all'ex opposizione. Cosa teme? «In primo luogo che non controllino la spesa. Mantenere il livello non è facile, ma se la Sardegna esce dal controllo della spesa rientra nel vortice delle regioni-canaglia. Il bilancio 2008 si è chiuso nel rispetto delle previsioni, le Asl avranno un residuo di spesa di 30, 35 milioni di euro che si potrà coprire con i 54 milioni di euro recuperati e tenuti apposta per far fronte ai piccoli eccessi di spesa. Un'altra cosa che spero non buttino via è il progetto di mobilità sociale. L'Aias un anno fa disse che il servizio trasporto disabili costava troppo e avrebbe licenziato circa 110 persone. Mi resi conto che nell'isola non c'era un servizio di trasporto pubblico per disabili. Abbiamo fatto una società con l'Arst e chiesto che l'Aias ci trasferisse gli esuberi. Poi abbiamo scoperto che in realtà il problema dell'Aias era ricevere più soldi». La casa delle Ferrovie è in vendita? «No, la tengo, spero di affittarla. Sono due miniappartamenti, in tutto saranno 100, 120 metri quadri. E c'è un bellissimo terrazzo». ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 mar. ’09 ROSATI: LA SANITÀ A SASSARI PENALIZZATA DALLE SCELTE DELLA DIRINDIN di Giulio Rosati * Nella sua replica alle dichiarazioni dell’ex assessore alla Sanità Nerina Dirindin, il Rettore Maida dice che «la responsabilità della verità dovrebbe essere il primo compito del politico e che questa non è stata la prassi dell’ex assessore, non aiutata da un carattere spigoloso e da una scarsa capacità di mediazione». Per esperienza diretta, non posso che condividere tale giudizio. Nei vari incontri che, in qualità di preside, ho avuto con la Dirindin ho constatato anche una scarsa competenza nel settore vitale della formazione sanitaria, dovuta forse a una preparazione più proiettata verso «l’economia sanitaria» che verso i problemi di salute. La verità è che l’ex assessore ha costantemente inibito e contrastato le proposte avanzate dalle Facoltà mediche isolane per accreditare i corsi di laurea e le scuole di specializzazione di area sanitaria. Al riguardo, mi limito a richiamare alcuni macroscopici esempi. Nell’aprile 2005 il dottor Zanaroli, direttore generale dell’Asl 1, viene incaricato dall’ex assessore di definire l’assetto della costituenda AOU di Sassari. In contrasto con le norme di legge e senza consultare l’Università, egli prevede la soppressione di 8 strutture assistenziali (ortopedia, urologia, pneumologia, anestesia e rianimazione, dermatologia, oncologia, cardiologia, endocrinologia) «essenziali» per la formazione del medico, con la motivazione che si tratta di «duplicazioni non motivate». Viene così prefigurata la disattivazione del corso di laurea in Medicina per mancanza dei requisiti assistenziali minimi stabiliti dalle norme. In un burrascoso incontro col presidente Soru e l’assessore, si arriva ad un compromesso: saranno soppresse «soltanto» le strutture di dermatologia e di oncologia. Altro esempio: nel Piano Regionale dei Servizi Sanitari 2006-2008 non vengono recepite le proposte di modifica ed integrazione deliberate dalla Facoltà di Medicina finalizzate a sanare il degrado edilizio degli edifici concessi in uso all’AOU e a colmare le gravi carenze tecnologiche delle cliniche. Non viene recepita neppure la richiesta di prevedere la presenza di rappresentanti delle Università nella consulta regionale per la formazione sanitaria. Il degrado edilizio e la mancanza di attrezzature indispensabili per l’assistenza è a tutt’oggi il maggior problema dell’AOU di Sassari. Dal momento che l’AOU è azienda di riferimento per lo svolgimento dei compiti della Facoltà medica (l’integrazione di didattica, ricerca e assistenza è, non a caso, la missione che la legge assegna alle AOU), la mancanza di risorse finanziarie adeguate a risolvere questo grave problema è un macigno che, se non rimosso, impedirà alla Facoltà medica di perseguire i propri obiettivi didattico-scientifici. Soltanto di recente, in clima elettorale, si è preso atto della grave situazione dell’AOU di Sassari. La deliberazione di Giutnta n. 58/25 del 20.10.2008 ha previsto un finanziamento per risolvere i problemi dell’AOU, nell’ambito del «Progetto salute, sviluppo e sicurezza del Mezzogiorno». Si tratta tuttavia di un programma in via di definizione, che potrebbe portare alla Sardegna risorse intorno a 190 milioni. Terzo esempio: la deliberazione di Giunta n. 52/16 del 3.10.2008, che ha definito il fabbisogno tendenziale di posti letto per acuti delle aziende sanitarie isolane, ha fortemente penalizzato l’AOU di Sassari nel settore cruciale della terapia intensiva. Sono stati attribuiti soltanto 4 posti letto di rianimazione e nessun posto letto di terapia intensiva pediatrica (indispensabili per garantire il funzionamento di Chirurgia pediatrica). La situazione di rischio connessa a questo dimensionamento della terapia intensiva è stata illustrata all’ex assessore e alla commissione VII del Consiglio regionale, ma la richiesta di adeguare il numero dei posti letto ai bisogni reali non è stata recepita. Comprendere i motivi di tanta rigidità nei riguardi di un settore di rilevanza primaria qual è la rianimazione, è davvero arduo. Il «cahier de doleances» è molto più lungo, ma mi fermo qui. Questa Facoltà ha formato generazioni di medici in più di tre secoli di storia. L’indefessa attività demolitoria della Dirindin non è comunque riuscita a produrre danni irreversibili. Nell’ultima valutazione comparativa Censis-Repubblica la Facoltà medica di Sassari ha ottenuto un punteggio di 105 nella voce «Didattica», collocandosi tra le prime cinque Facoltà mediche del Paese per la qualità della didattica. Continueremo nel nostro lavoro, consapevoli del ruolo determinante della ricerca e della formazione nel miglioramento della qualità dell’assistenza. * Preside di Medicina Università di Sassari ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 mar. ’09 MAIDA: LA GESTIONE DELLA SANITÀ A SASSARI, LE RESPONSABILITÀ DELL’EX ASSESSORE DIRINDIN Nella recente intervista alla «Nuova Sardegna» accuse generiche e infondate verso l’Università di Sassari di Alessandro Maida Il lupo perde il pelo ma non il vizio, recita un vecchio adagio. Questa volta il lupo è l’ex assessore regionale della Sanità Nerina Dirindin; il vizio è quello di ritenere di poter dire quello che crede a proposito della Sardegna, dei sardi, delle istituzioni di questa Regione, di chi nelle suddette istituzioni opera. E’ un vizio talmente radicato che sopravvive anche adesso che Nerina Dirindin non è più sul soglio dal quale promulgava editti per la sanità sarda. Mi riferisco alle affermazioni, che giudico persino offensive, presenti nell’intervista rilasciata a questo giornale, sotto il significativo titolo «Sanità, c’è il rischio che l’isola ridiventi una regione canaglia». Ce n’è per tutti nel contesto sassarese: «Territorio difficile», «latente decadenza di cui tutti si sentono vittime e invece sono partecipi». Inoltre: «perdita di prestigio dilagante», «tendenza all’individualismo più marcata che in altri territori», «una università poco capace di alzare il tono della professione». In questo fosco quadro, lascio la possibilità di replicare, ciascuno per la propria parte, agli altri attori istituzionali del territorio. Pertanto, mi limiterò a rispondere al punto in cui lei cerca di addossare all’Università le responsabilità nella ristrutturazione del palazzo materno- infantile, nonché a fare qualche ulteriore considerazione. L’Università di Sassari era riuscita ad ottenere per la facoltà di Medicina un finanziamento dal ministero della Sanità di circa cinque milioni di euro finalizzato ad una parziale ristrutturazione della stessa; attingendo anche ad altri finanziamenti ministeriali l’Università di Sassari aveva racimolato ulteriori sette milioni di euro da finalizzare, in parte, per ristrutturare gli istituti di Neurologia e di Scienze radiologiche e la restante quota per vari lavori nel palazzo della Medicina interna, nel Clemente, in Pneumologia, etc.. Dell’insieme dei lavori l’Università provvide a far redigere i progetti, avviò le relative gare per l’affidamento ad imprese edili. Alcuni interventi sono già stati completati. Per il primo lotto dei lavori nel materno-infantile venne stipulato in data 13 luglio 2007 il contratto di appalto con l’impresa aggiudicataria (A.T.I. Zaccaria impianti-Elettroclima) ed altrettanto avvenne per l’intervento in Neurologia e in Radiologia. Su quest’ultimo è nata una controversia giudiziaria con l’impresa, mentre per i lavori del materno-infantile, l’assessore Dirindin si oppose all’apertura del cantiere, ritenendo che fosse preferibile impiegare l’intero finanziamento di cinque milioni di euro (che si offrì di far liberare dal ministero della Salute) per lavori nelle strutture a valle di viale San Pietro. E ciò malgrado l’Università sostenesse che non si poteva lasciare l’opera in quelle precarie condizioni, correndo anche il rischio reale di perdere il finanziamento a causa della variazione della destinazione d’uso, nonché di dovere comunque risarcire l’ATI affidataria dei lavori. Il suddetto atteggiamento di rifiuto da parte dell’assessore, ha portato a scadenza la concessione edificatoria, rendendone adesso indispensabile il rinnovo da parte dell’azienda Opera Universitaria subentrata all’ateneo nella responsabilità degli immobili universitari, sedi di attività assistenziali. La responsabilità della verità dovrebbe essere il primo compito del politico. Purtroppo questa non è stata la prassi dell’ex assessore, non aiutata da un carattere spigoloso e da una scarsa capacità di mediazione. Mi limiterò a citare alcuni punti di frizione. Se si eccettua la promessa in sede di campagna elettorale, c’è da dire che in quasi cinque anni non un euro è stato destinato all’edilizia sanitaria universitaria. Il secondo punto riguarda la mancata concessione (eccettuato un nuovo acceleratore lineare) di attrezzature diagnostiche e/o terapeutiche di un certo valore, capaci di elevare la qualità dei servizi offerti nell’interesse della salute dei cittadini, che, a parole, l’assessore continuava ispiratamente ad affermare essere l’unico scopo della sua attività politica. Faceva forse riferimento a questa realtà, almeno sassarese, l’intervistatrice, ricordandole che la principale accusa rivoltale era quella di «ragionierismo sanitario: prima i conti, poi la salute delle persone». Un altro punto cruciale è quello della rigida chiusura ad ogni richiesta - da parte dei due atenei sardi - di un sostegno finanziario nella formazione delle professioni sanitarie. Qui siamo al limite dell’assurdo, perché l’assessore ci ha fornito un risibile finanziamento prelevato dal fondo unico, già destinato alle Università. Per non parlare del ridimensionamento delle borse di studio per specializzandi dell’area medica e lo sprezzante atteggiamento riservato alla facoltà di Veterinaria di fronte alla richiesta di supportare le due scuole di specializzazione in ambito di Sanità animale: la superficialità di tale presa si posizione si giudica da sola, se si considera che l’economia di questa regione si basa, per buona parte, sul patrimonio zootecnico. Operare fattivamente, nel settore cruciale della Sanità, in una regione come la Sardegna, era una sfida e un’occasione preziosa per qualsiasi politico. Posso dire che l’assessore Dirindin le ha perdute entrambe? * Rettore della Università di Sassari ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 apr. 09 GB MELIS: DIRINDIN E LA SUA GESTIONE? FALLIMENTARE» SANITÀ Intervista al professor Melis ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Tocca l'università, anzi, la facoltà di Medicina, e muori. Se poi le facoltà di un'isola come la Sardegna sono due e le scontenti tutt'e due, muori di sicuro. Si parla di politica, naturalmente, e del risultato delle elezioni dove Soru sarebbe stato sconfitto in larga parte a causa della gestione della sanità e anche dei torti subiti dalle facoltà di Medicina. Lo afferma Giambenedetto Melis, il direttore della clinica ginecologica e ostetrica dell'università di Cagliari, in replica all'ex assessore Nerina Dirindin che sulla Nuova Sardegna ha accettato di raccontare fatti vissuti e opinioni maturate durante il suo mandato nell'isola. E' drastico, Melis: «Quello che ha fatto l'assessore Dirindin è stato un fallimento». Tutto? Anche le leggi che hanno reso possibile l'attuazione di qualunque piano sanitario la Sardegna vorrà darsi? «Io non sono un esperto di leggi. Ma mi sono accorto di quello che è successo nella psichiatria: un sistema di cura è stato sostituito con un altro, forse più moderno, ma che è rimasto a metà, che i colleghi non hanno accettato, che ha dovuto utilizzare consulenze costose per introdurre un approccio alla malattia mentale che sia a Trieste (dove è stato realizzato in modo compiuto) sia in Sardegna ha fatto aumentare i suicidi. E questo perché è stata abbandonata un'intera fascia di malati a favore di un'assistenza molto costosa per alcuni tipi di pazienti soltanto». Perché lei, o altri, non avete cercato il dialogo con l'assessore? «Perché è stato impossibile. E' venuta qui in visita nella clinica, di per sé aveva un atteggiamento indisponente, quando le ho fatto presente che metà reparto era ristrutturato e metà no, mi ha risposto ma secondo lei per le donne sarde è meglio avere un reparto mezzo ristrutturato o nessuno?. Ecco, ha sempre affrontato le cose in modo aggressivo». Gli eventuali modi non sono necessariamente sostanza: la Dirindin è arrivata con un'esperienza e un curriculum. «Ne siete sicuri? Il curriculum della dottoressa Dirindin è abbastanza relativo: in una facoltà dove si diventa ordinari piuttosto giovani lei sarà al massimo un associato». E la direzione generale del ministero della sanità? «Un incarico politico. Ma il problema non è se la Dirindin avesse titoli per fare l'assessore, bensì il risultato del suo operato. Tanto è vero che non ha certo contribuito al successo elettorale del centrosinistra. Sa quanto ha contato il suo essere piemontese?». Lo dica lei. «Nulla. Ma alla prova dei fatti l'assessore Dirindin ha saputo solo comprare modelli e importarli. Parliamo di primari, dei corsi Ippocrate, di consulenze, dello stesso piano sanitario. A me, in Toscana, nessuno ha mai rimproverato di essere sardo, qui le si è rimproverato non di essere piemontese, ma filocontinentale: avevamo gente che poteva essere preparata». E' un fatto che la Dirindin appena arrivata sia riuscita subito a comporre le aziende miste. «Certo i suoi predecessori hanno perduto una grande occasione. Ma in un anno ha fatto il protocollo per le aziende miste e poi ce sono voluti quattro perché venissero istituite». Lei sarà al corrente delle resistenze incontrate a Sassari. «Sì, ma l'assessore poteva procedere ben prima con l'azienda di Cagliari. La cosa non fu fatta perché la Regione avrebbe dovuto stanziare denari che Dirindin ha preferito destinare all'Asl 8 di Cagliari. Poi l'hanno creata, ma come una costola dell'Asl 8. E comunque c'è stata difficoltà a far nascere anche quella di Cagliari Sì, per le trattative con gli universitari. «No, perché il direttore generale dell'Asl 8, Gumirato, non gli dava un euro. Il San Giovanni, che si sapeva sarebbe andato nell'azienda mista, ci è arrivato svuotato. E posso affermare che nei quattro anni di gestione Gumirato-Dirindin c'è stata una discriminazione nei confronti della nostra e di quasi tutte le altre cliniche». Perché? «L'università è meno facile da controllare: non si è soli, ci sono i consigli di facoltà, i presidi, i rettori. Più semplice manipolare un'azienda dove basta nominare un manager per fare quel che si vuole. Anche costruire un ospedale nuovo da 700 posti letto anziché finire il policlinico universitario e creare il vero ospedale dell'area di Cagliari. E infatti il nuovo assessore ha subito preso in mano il problema». Suscitando perplessità: il policlinico universitario ha una missione diversa da un ospedale e basta. Magari agli universitari può piacere che tutto debba passare dall'università. O che tutto si accentri nell'università. «No, se si parla di economia sanitaria bisogna guardare ai costi: un ospedale nuovo da 500 milioni di euro deve venire dopo un completamento, come quello che serve al policlinico, per il quale ne bastano 100. La Regione attraverso i direttori generali ha fatto guerra alle strutture universitarie: guardi Sassari». Guardiamo. «L'assessore Dirindin chiese alla facoltà di Medicina di Sassari quali fossero i problemi organizzativi, logistici ecc, il direttore della clinica ginecologica Salvatore Dessole presentò un elenco scritto: è una clinica che fa parti quasi quanto noi (che siamo a 1.600 l'anno), buona chirurgia, ma nel nido continua a pioverci dentro. Quella clinica è stata depauperata del personale: Dessole è dovuto andare alla procura della Repubblica, ha dovuto minacciare di chiudere il servizio. Non veniva neppure ricevuto dal manager Zanaroli. Poi fu ricevuto, e da quel momento ottenne anche di meno». Professore, forse al sistema non piace che la Dirindin e i «suoi» manager abbiano eliminato le clientele tra assessore, direttori generali, primari e direttori di clinica. «La Dirindin non ha eliminato affatto le clientele. Prima gli assessori ricevevano chiunque lo chiedesse. E così i manager. Primari e direttori di clinica hanno il diritto di andare a chiedere ciò che serve ai reparti: è questo diritto che è stato cancellato da Dirindin e dai manager di sua nomina. A favore di una metodica a senso unico nella distribuzione dei fondi per il giusto apporto che la Regione deve dare alla ricerca e al miglioramento dell'assistenza». Cioè cosa è successo? «Che i finanziamenti sono andati solo al gruppo del professor Gessa e al Microcitemico, col professor Cao e il dottor Monni. Bene che venga riconosciuto il lavoro clinico dei colleghi, ma io credo che un assessore alla sanità dovrebbe finanziare non solo la ricerca di base, che dà risultati utili alla salute delle persone vent'anni dopo». Forse ha voluto incoraggiare le eccellenze. «Le eccellenze in Sardegna non sono soltanto queste. Cao e Gessa è da molti anni che gestiscono fondi per la ricerca e poi i tempi sono cambiati. La talassemia oggi per esempio si affronta bene con trapianti di midollo mentre qui si continua a puntare sulla diagnosi prenatale. In ogni caso io credo che premiare le eccellenze non debba significare l'abbandono degli altri o, peggio, la loro diffamazione quando si dice che i sardi non sanno lavorare assieme. Molti sardi di valore non sono stati scelti nelle commissioni perché avevano le loro idee e non si facevano convincere da affermazioni sbagliate. La commissione per la riduzione dei tagli cesarei era composta da operatori che, al 90 per cento, non ne avevano mai visto uno. Oppure: come si pretendeva che venisse accettato il fatto che, nella commissione oncologica, non dovesse esserci il preside della facoltà di Medicina, Gavino Faa, che è un anatomo patologo? Faa a suo tempo s'era impegnato per realizzare il protocollo d'intesa dell'azienda mista, mentre Dirindin e Gumirato volevano fargli accettare tagli su tutto ciò che riguardava l'università: fondi, posti letto, strutture». Professore, possiamo parlare un momento dell'arroganza degli universitari che decidono insindacabilmente chi vincerà una cattedra, fosse pure un asino il prescelto? «Adesso quest'arroganza è passata ai politici. Sono stati nominati primari senza casistica in un campo come la chirurgia oncologica, quando c'era un collega che aveva davvero un mare di titoli in più». Qualcosa di buono che l'ex assessore ha lasciato? «Io analizzo quello che ha fatto nel mio campo e posso citare solo scelte negative. Si è camuffato un vecchio ambulatorio di diagnosi preventiva e cambiandogli il nome lo si è trasformato in un Centro donna che, per essere tale, avrebbe dovuto offrire ben altri servizi e non lo si è fatto perché ci si è guardati dall'utilizzare quel che la nostra clinica poteva dare. Per non parlare dell'assenza di iniziative nel campo della diagnosi precoce del tumore alla mammella». Citi almeno un merito della professoressa Dirindin. «Non ne ha». ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 apr. 09 MELONI: DOBBIAMO SEGUIRE IL MODELLO LOMBARDO» Sanità. Franco Meloni (Riformatori) propone di abbandonare la gestione centralista dei servizi per un sistema basato sulla concorrenza Il piano sanitario sta per essere riscritto. L'annuncio dell'assessore Antonello Liori ha messo in moto i meccanismi per fissare paletti e punti fermi di un sistema che il centrodestra, in campagna elettorale, ha definito allo sfascio: «Ereditiamo un buco di 100 milioni, ma bisogna ricreare un clima di fiducia attorno alla Sanità sarda». Franco Meloni, ex manager dell'Azienda Brotzu, eletto nel listino in quota ai Riformatori sardi e componente della commissione Sanità, ha in mente una riforma che riporti l'offerta su standard di qualità ed efficienza. Onorevole Meloni, la sanità sarda è da ricostruire? «Da zero no, ma c'è molto da fare». C'è una priorità? «Urge una scelta di fondo. Cioè se vogliamo mantenere un sistema fortemente centralistico, in cui non c'è spazio per l'autonomia delle aziende e tutto dipende dall'assessore di turno. Oppure, se vogliamo realizzare un sistema più aperto, che dia spazio alle idee e alla domanda di prestazioni che arrivano dal territorio, con strutture pubbliche e private in competizione tra loro». Questo è liberismo. «Sì, ma impuro, perché regolato e controllato dal pubblico. La competizione è necessaria: fa migliorare i servizi. I cittadini devono poter scegliere dove curarsi». Facile parlare così, da presidente dell'associazione delle case di cura private. «Dall'Aiob mi sono dimesso. Ma il punto è che occorre portare su standard di efficienza non solo il privato, ma anche il pubblico». Quali ospedali bisogna "salvare"? «Tutti. Certamente alcune proposte della Giunta Soru non erano male. Riproporrei, se si trovassero i fondi, quella di unificare il Santissima Trinità e il Marino a Cagliari. Vedo invece che l'assessore Liori ha un'idea diversa sul Marino: vuole spostarlo a Margine Rosso. Ne parleremo». E se dovesse tagliarne qualcuno? «Non sono per i tagli, ma per accorpare i servizi. Non abbiamo le risorse per distribuire eccessivamente le prestazioni nei territori. È l'errore che la Giunta Soru, nel vecchio piano sanitario, ha commesso». Fissi i punti della riforma sanitaria del centrodestra. «Mi ispirerei al modello lombardo, con poche Asl e molti ospedali e studi professionali in competizione tra loro». Sono stati annunciati interventi sulla psichiatria pubblica. Che cosa non va? «È stato adottato ciecamente un modello che altrove non ha dato grandi risultati. Per giunta, è stato imposto brutalmente, senza rispetto per la dignità e la professionalità delle persone. Bene ha fatto l'assessore a dire che è un settore su cui si deve intervenire a tutti i costi». Le liste di attesa sono lunghissime. Che fare? «Bisogna trovare le risorse, visto che dobbiamo fare i conti con un buco di cento milioni. E coinvolgere soggetti pubblici e privati per ridurle. So che l'assessorato sta già elaborando soluzioni». Nel piano sanitario si potrà fare qualcosa anche per azzerare i viaggi della speranza? «Indirettamente. Se il sistema funziona, se si costruisce un clima positivo, penso che si ridurranno da sole». L'applicazione del nuovo piano non può prescindere dal ruolo delle Asl. «Le aziende devono poter programmare il loro futuro in modo flessibile». Cioè? «Il manager deve poter organizzare la sua azienda nell'ambito di una programmazione generale, non sotto diktat ferrei dell'assessore o dei funzionari». Salteranno molte teste nelle Asl sarde? «Chissà». I cambiamenti sono necessari dappertutto? «Molti manager sono scadenti e vanno sostituiti. Ma ci sono anche professionalità importanti su cui la Giunta e la maggioranza ragioneranno». LORENZO PIRAS ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 mar. ’09 SORU: «LE ISTITUZIONI NON SONO UN TAXI» POLITICO E IMPRENDITORE DOPO LA SCONFITTA ALLE ELEZIONI REGIONALI «Non ho mai favorito nessuno, ma il rigore dei bilanci comporta perdita di consensi» LA TASSA SUL LUSSO «Molte delle polemiche legate a quel provvedimento derivano dalla definizione data dal Corriere della Sera» IL CONFLITTO D'INTERESSE «In questi cinque anni ho avuto un problema all'incontrario: non ho mai avvantaggiato la mia azienda e la mia famiglia» di Paolo Madron Uno entra in casa Soru, una casa museo che Aldo Rossi sembra avergli cucito addosso enfatizzando alla perfezione il dolente razionalismo del suo carattere, e subito si trova a tu per tu con l'inquietante Figura femminile di Costantino Nivola, il più grande sculture sardo («Se n'è andato presto in America, ma ogni anno tornava nella sua terra», dice di lui il fondatore di Tiscali quasi a diradare il sospetto che qualcuno possa disconoscere la sarditudine), e resta un po' basito di vedersela lì invece che a illustrare la biografia del maestro, dove la trovano i patiti di Wikipedia. Si aspetta che Soru rientri dopo aver ascoltato il discorso programmatico di Ugo Cappellacci, colui che lo ha sostituito alla guida della Regione, ancora più dolente e intristito del solito, quasi come la luce che entra diafana dalla vetrata in un giorno che sembra non aver ancora scelto tra la pioggia e il sole. Oltre la vetrata c'è il mare, l'ampio specchio d'acqua che fa da ingresso alla città. Al di qua ora c'è lui, Renato Soru, nato 52 anni fa a Sanluri, Comune famoso per la dedizione al lavoro dei suoi abitanti e il pane civraxiu, pronto a farsi intervistare per la prima volta dopo aver perso la poltrona di governatore. Giovedì ha debuttato come consigliere dell'opposizione. Com'è andata? Certo governare è più gratificante, però va bene anche fare un'esperienza dall'altra parte. Il potere logora chi non ce l'ha. Quanto pensa di resistere? La voglia è grande almeno quanto l'impegno che ho preso con chi mi ha eletto. In compenso stare all'opposizione le consente di ricominciare con Tiscali. Da venerdì è di nuovo consigliere. Ma è tornato per voglia o necessità? Per senso del dovere e anche necessità. Non lo avrei fatto se la situazione dell'azienda non fosse stata così difficile. Credo di poter dare una mano a superare le difficoltà del momento. Da quanto manca? Manco dal 2004, cinque anni. E si sarebbe mai immaginato di ritrovarla così malmessa? Francamente no. Tiscali è sopravvissuta allo sgonfiamento della bolla internettiana e all'11 settembre, e nel panorama europeo delle nuove aziende di settore era innovativa e con una solida presenza sul mercato. Aveva il maggior numero di utenti, un margine operativo positivo, e soprattutto non aveva i debiti di oggi. Ma ha ancora importanti asset. In tutto questo tempo non ci ha mai buttato un occhio? Avevo promesso di dedicarmi a tempo pieno all'amministrazione pubblica, e l'ho fatto sacrificando anche il mio ruolo di azionista. Magari avrei dovuto vendere allora. Almeno ne è valsa la pena? Credo di sì. In Regione ho risanato i conti, dimezzato i debiti, e negli ultimi due anni chiuso i bilanci in pareggio. Non a caso la nostra sanità è l'unica del Centro-Sud che non è stata di fatto commissariata. Abbiamo risanato i conti del trasporto pubblico locale, investito nella solidarietà verso i più deboli e nella scuola. Non abbastanza per impedirle di perdere le elezioni. I sardi non l'hanno capita o è lei che non è stato convincente? Il rigore dei bilanci comporta inevitabilmente una perdita di consenso. Ricordo i mugugni quando feci bloccare l'ennesimo provvedimento che promuoveva indiscriminatamente tutto il personale della Regione. Non contava il merito, ma solo l'anzianità. Pensi che per la prima volta in sessant'anni abbiamo fatto dei concorsi pubblici per assumere i dirigenti dall'esterno, e contemporaneamente abbiamo ridotto il personale dei 12 assessorati di circa il 30 per cento. Brunetta sarebbe contentissimo... Forse, ma così non ti fai certo degli amici. Negli anni precedenti la Regione era un grande elemosiniere, dava soldi a tutti, persino ai sindacati di cui era uno dei più importanti finanziatori. Un milione di euro a Cisl e Uil. Niente alla Cgil? No, la Cgil ci aveva rinunciato di suo. Sul continente si chiama clientelismo. Direi consociativismo. Le entrate della Regione erano appena inferiori alle spese obbligatorie, non c'era un euro per fare qualsivoglia nuova iniziativa. Non si vincono le elezioni puntando sul rigore. Il tema non è seducente, specie in tempi di spesa pubblica espansiva. Abbiamo tagliato le spese e cercato nuove entrate, ne avevamo bisogno. C'era un'industria turistica fatta in gran parte di seconde case, spesso affittate in nero, che non portava entrate in termini di gettito fiscale. Oggi la ritirerebbe fuori la storia della tassa sul lusso? Molte di quelle polemiche dipesero dal fatto che il Corriere della Sera la definì così. E da allora io sono l'emblema della tassa sul lusso. E fu così suo malgrado. In un'Italia che si proclama sempre più federalista, sostenere a livello regionale che chi usufruisce del patrimonio ambientale della fascia costiera debba pagare qualcosa mi sembrava sacrosanto. O secondo lei era accettabile che una casa di 100 metri quadrati sul mare pagasse meno imposte di quanto costa una bottiglia di champagne in una discoteca di Porto Cervo, consumando un bene ambientale scarso? Se non ricordo male Berlusconi ha pagato. Ed è stato rimborsato quando la Corte costituzionale decise che la tassa, così com'era stata disegnata, non andava bene perché non applicata ai residenti. In realtà penso sia più facile conquistare il consenso sciupando denaro pubblico che non risparmiandolo. È difficile accettare una penalizzazione personale, anche piccola, in cambio di una grande opportunità per tutti sul lungo termine. Suvvia, non si abbatta. In fondo ha perso contro Berlusconi. In Italia solo Prodi è riuscito a batterlo. Io non ho perso contro Berlusconi, ma contro le sue televisioni, contro la Rai di Berlusconi, contro i giornali di Berlusconi, contro il presidente del Consiglio che ha fatto la campagna elettorale con le risorse che il ruolo gli assegnava e con una totale discrezionalità. Lei aveva dalla sua la Nuova Sardegna. Non mi risulta. Mi sembra che abbia svolto in maniera equilibrata il suo lavoro. Certamente in cinque anni qualche volta mi ha intervistato, diversamente dall'Unione Sarda che non lo ha mai fatto. Chi perde ha torto. Solo se ci si è battuti con l'avversario ad armi pari e dentro le regole. Nel 2004 Francesco Cossiga la salutò come un nuovo Agnelli. In quest'ultima campagna elettorale l'ha definita come speculare a Berlusconi, espressione dello stesso gusto e della stessa casta. Della mia storia imprenditoriale Cossiga ha spesso parlato bene, mi riferì anche alcuni commenti positivi del suo amico Cuccia. Per queste elezioni aveva dichiarato che avrei vinto io. Non ricordo mi avesse omologato a Berlusconi. Ha detto solo che gli davo del tu, cosa non vera. C'è una sua biografia, Il quinto moro, che ha un sottotitolo ammiccante: «Soru e il sorismo». Il suo personaggio contempla già degli epigoni? Il libro è stato scritto senza parlare con me. "Sorismo" è anche un termine infelice, cacofonico. Penso si riferisca a un'idea di Sardegna che abbiamo portato avanti in questi anni e a una discontinuità nel gestire la politica di questa Regione. Nel popolo dei blog lei è un personaggio che suscita stati d'animo ferocemente contrapposti: la amano o la odiano. Vero, e non saprei spiegare perché. Ho cercato di applicare le regole di buon governo, e a molti non sarà piaciuto. C'è un blog in particolare, si chiama www.peggiosuru.it, che le rovescia addosso grandinate di accuse. Per esempio? Per esempio che nel mentre vara la legge salva-coste consente a Tom Barrack di cementificare Caprera. È un'evidente bugia: Barrack non ha investimenti a Caprera, e non gli abbiamo consentito nulla. A Caprera c'è solo la riqualificazione di un vecchio villaggio del Club Mediterranée che si ridimensiona e migliora il contesto ambientale. E con questa pratica Barrack non c'entra nulla. Per esempio che a Cagliari sulle energie rinnovabili avrebbe smaccatamente favorito Sorgenia, quindi De Benedetti. Non ho favorito nessuno. In Sardegna con Carlo Rubbia si sono portate avanti ricerche nel campo del solare termodinamico. Quando se ne parlò ai tempi del Governo Prodi, il ministero dell'Ambiente promosse la convenzione con quattro Regioni, compresa la nostra. Sorgenia ha presentato un progetto e abbiamo dato parere favorevole. Ma l'abbiamo fatto con Enel, E.on, Endesa e tanti altri. Dicono che nella sua sconfitta c'entri anche una ferrea alleanza tra Berlusconi e la Curia. Lo stretto legame tra Berlusconi e una parte importante della Curia è lampante. Era proprio qui con il Papa davanti alla Chiesa della Bonaria (giusto di fronte a casa sua, ndr) quando è iniziata la campagna elettorale. Berlusconi non era qui solo per il Papa, viene ogni fine settimana e tutte le vacanze. Dopo Arcore, la Sardegna è la sua seconda terra... Lui va a Villa Certosa, che è altra cosa rispetto alla Sardegna. Io in giro per l'isola o in Regione non l'ho mai incontrato. Il Cavaliere dice che lei è torvo. Perché non ho sempre il sorriso stampato in faccia e non racconto barzellette? Quando Berlusconi le ha detto che è un fallito, qualche suo collega industriale le ha telefonato per dissociarsi? Neanche uno. Ma quella fu l'escalation di una campagna elettorale combattuta senza esclusione di colpi. Non potendomi attaccare sul bilancio della Regione, ha scelto l'insulto personale. Oggettivamente la situazione di Tiscali gliene offriva il destro. Forse. Ma uno che ha la più alta responsabilità di governo non si rende conto che dicendo così si mettono in difficoltà le aziende? Lo sa che in quei giorni il call center di Tiscali fu intasato da telefonate di persone che volevano disdire l'abbonamento e che abbiamo dovuto rassicurare? Invece io resto orgoglioso del fatto che, in un'Italia all'epoca in ritardo rispetto alla diffusione di internet, una piccola azienda della Sardegna lo abbia lanciato gratuitamente con un modello di business profittevole, contribuendo in maniera importante alla sua diffusione. In effetti l'internet italiano è made in Sardegna. L'antesignano era Video on Line di Nichi Grauso. Si faceva un numero, il modem cominciava a gracchiare, e c'era il tempo di farsi un caffè in attesa che comparisse faticosamente l'home page. È sardo perché al Cern di Ginevra dove fu presentato internet c'era Rubbia, che poi venne a fare il presidente di un centro di ricerca qui a Cagliari. Fu lui a suggerirci d'investire in due direttrici: la simulazione matematica e il web. La prima web mail pensata per essere spedita da un utente è stata fatta in Sardegna con Video on Line da un giovane che adesso lavora a Tiscali. Però, dopo la sconfitta ha confidato ai suoi che internet non bastava, che bisognava costruire le case del popolo. Ha detto del o per il popolo? Ho detto che c'è bisogno di luoghi dove ci si potesse riunire, dibattere, confrontarsi, anche socializzare. Qualcuno ha ricordato che una volta c'erano le case del popolo. Il web non è una casa abbastanza grande? Se guardassimo al web avremmo stravinto, avevamo migliaia di post contro le loro poche decine. Su Facebook una marea di gente si è registrata sul mio profilo. Evidentemente però internet non basta a vincere le elezioni. Forse neanche le televisioni. La Repubblica, un giornale che l'ha sempre trattata bene, il giorno che ha rimesso piede in Tiscali ha sollevato il problema del conflitto d'interesse. In questi cinque anni ho avuto un conflitto all'incontrario: non ho fatto gli interessi della mia famiglia e dell'azienda. Il conflitto d'interesse nazionale nasce dal fatto che chi ha concessioni da parte dello Stato non può fare il presidente del Consiglio. E tutto questo non riguarda né me né Tiscali, che peraltro non è detentore di alcuna concessione dello Stato o della Regione. Che errore quando ha indicato suo fratello come possibile intestatario delle quote dell'Unità. Venne subito da fare il paragone con un altro fratello... Lo so, ma è un paragone sbagliato perché nell'altro caso si deve arginare contemporaneamente la possibilità di controllare reti televisive e carta stampata. Io invece non dovevo risolvere un conflitto di questo tipo, ma semplicemente essere aiutato a gestire un investimento di 23 milioni, non 2 come ho visto scritto su qualche giornale. Dunque mi sembrava giusto proteggere l'investimento. E allora, a che cosa serviva il blind trust? In Sardegna, in questi anni, abbiamo approvato una legge statutaria che rende incompatibile la candidatura alla presidenza della Regione con il controllo di mezzi di comunicazione. Ma nonostante questa norma non sia ancora operante, io ho volontariamente trasferito la gestione delle azioni a un blind trust. Perché ha deciso di comprare l'Unità e quando si è pentito di averlo fatto? L'ho fatto in omaggio a una storia e convinto che ciò servisse a migliorare la qualità del dibattito dentro il centro-sinistra. Non mi sono pentito, anche se chiaramente oggi soffro per quella scelta. D'altronde ho affrontato l'investimento convinto che di lì a poco avrei venduto Tiscali. Però forse ha ragione lei. Su cosa? Sul fatto che io spacco in due l'opinione pubblica. Da una parte chi mi ama, dall'altra chi mi odia e mi insulta. Anche se, francamente, certi improperi mi sono sembrati ingiustificati Berlusconi vive serenamente da anni con un'industria dell'improperio che quotidianamente lo prende di mira. Lui le direbbe: caro Soru, se ne fotta. In questi giorni sto leggendo i Pensieri di Marco Aurelio, là dove dice che non bisogna lasciarsi ferire dai cattivi giudizi degli altri. Si vede che non ho ancora raggiunto quel livello di saggezza e distacco. Torniamo all'Unità. È in vendita? Diciamo che per diversi motivi non posso più portare avanti da solo questa esperienza. Ho bisogno di altri che mi diano una mano. E questi altri ci sono, oltre alle boutade di qualche sedicente industriale? Ce ne sono alcuni con cui sto discutendo. E contemporaneamente si procede con il piano di rilancio e ristrutturazione della testata. È vero che ha chiesto a Carlo De Benedetti di aiutarla? No. Confessi che c'è stato un momento in cui faceva le prove da leader del Pd nazionale. No, credo anzi che questa voce abbia danneggiato la mia campagna in Sardegna. I ruoli istituzionali non sono un taxi dove si monta e si scende a piacimento. Se uno si candida a guidare una Regione per cinque anni non può di punto in bianco abbandonare. Si aspettava che la sua sconfitta sarebbe stata la pietra tombale di Veltroni? Francamente no. Ha condiviso la sua decisione di ritirarsi? Evidentemente l'ha ritenuto necessario per lui e utile al Partito. Ma certamente non è una scelta attribuibile al voto regionale. Franceschini è un segretario stanziale o di passo? Non lo so, ma mi pare stia facendo bene. Meglio un Pd che corre da solo o che allarga a sinistra? In Sardegna ci siamo presentati con una coalizione allargata che ha condiviso la necessità di portare avanti un processo di cambiamento e un progetto di rinnovamento della politica. Massimo due legislature e poi spazio ad altri. Invece la seduta inaugurale del consiglio regionale sembrava un cinegiornale dell'Istituto Luce. E si sorprende? Questo è un Paese per vecchi. A guidare l'assemblea c'era un notaio di 82 anni che è stato presidente del Consiglio regionale a metà degli anni 60. Poi c'era un altro presidente della Regione della fine degli anni 70 e una quantità innumerevole di consiglieri che sono in politica da decenni. Mi sorprende che dopo tanto parlare di rinnovamento un elettore voti un candidato per la sesta o la settima volta. Quando ha perso, dall'altra parte si è fatto cavallerescamente vivo nessuno? Mi ha telefonato il ministro Calderoli, e ho apprezzato. Voi sardi spesso cominciate bene e poi vi perdete per strada. Prima Grauso, poi lei. Inconcludenza o "sardomasochismo"? In questo momento potrei anche condividere il suo giudizio, ma a guardar bene in realtà non è così. In effetti sono partito bene, e bene ho fatto fino a quando mi sono occupato dell'azienda. Poi ho smesso di occuparmi di un progetto imprenditoriale per dedicarmi completamente a un progetto collettivo, e credo di aver fatto bene anche in politica. Così ha perso il governatorato e rischia di perdere anche l'azienda. Intanto sto tornando a impegnarmi in azienda e quindi spero di no. Ma soprattutto credo di poter dire di non aver sciupato la mia vita fino ad ora. Rimane il percorso delle cose fatte nell'impresa e delle cose fatte nella politica. Inizia un nuovo percorso con tante cose ancora da fare. ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’09 OBAMA: CURE PER TUTTI GLI AMERICANI USA/ Il piano di Obama da 634 miliardi in dieci anni per la copertura universale Assicurazione obbligatoria e aiuti alle imprese - Nel 2018 ricette on line Le prime mosse sono di questi giorni. Nel piano di bilancio per il 2010 presentato dal neo-presidente Usa, Barack Obama , sono previsti 6 miliardi di dollari per dare nuova linfa alla ricerca anti-cancro e un programma per inviare infermiere a casa delle neo-mamme per un controllo dei bebè. Ma anche 13,5 miliardi di dollari per la digitalizzazione delle cartelle cliniche e delle prescrizioni e il contenimento del costo dei farmaci. Solo un piccolo assaggio di quello che verrà. E cioè una vera rivoluzione per gli Usa: la "copertura universale" sanitaria di tutti gli americani. La riforma che sarà presentata entro un anno è enorme, anche se i programmi di Obama non prevedono una Sanità pubblica all'europea, bensì l'obbligo di sottoscrivere una polizza privata per tutti i bambini, e aiuti da parte del Governo alle imprese per assicurare i dipendenti, come anche ai privati che non hanno i soldi, per consentire a tutti gli adulti di assicurarsi, tagliando i costi delle polizze fino a 2.500 dollari annui. A questo scopo, il presidente intende tassare gli americani più ricchi per mettere da parte la bellezza di 634 miliardi in dieci anni. Il piano dovrebbe anche sollevare il pesantissimo carico di Medicaid e Medicare - i due programmi governativi destinati a bambini e anziani indigenti -, invogliando anche i più poveri a sottoscrivere una polizza e garantirsi assistenza migliore. Clinton ci provò 15 anni fa e fallì. Oggi Obama ci riprova con una soluzione a tre punte: dare un'assicurazione a circa 48 milioni di americani che sono senza; migliorare le cure mediche; diminuire i costi per le medicine e gli ospedali che salgono vertiginosamente. Obama ha cercato di rassicurare chi oggi già paga la sua polizza: «Se vogliamo coprire tutti gli americani non possiamo rompere un meccanismo che funziona. Perciò, se avete un'assicurazione che vi va bene, la potete tenere. Se avete un dottore che vi va bene, lo terrete». «Ma se vogliamo creare nuovi posti di lavoro e ricostruire la nostra economia - ha aggiunto Obama - dobbiamo ridurre la spesa sanitaria». Il costo sanitario in America è in effetti fuori controllo. Gli Usa spendono quasi il doppio dell'Italia in Sanità senza avere la copertura universale. La stima degli esborsi sanitari è di circa 2.500 miliardi di dollari per il 2009, pari a circa 8.000 dollari per americano, il 17,6% del Pil. E senza un intervento adeguato, le stime degli economisti indicano che nel 2018 la spesa sanitaria americana potrà toccare il 20% del Pil. Tra gli interventi già messi in cantiere da Obama c'è anche quello che punta a far sì che il 75% dei medici americani firmi solo ricette elettroniche entro cinque anni. Oggi "solo" il 13% dei camici bianchi d'Oltreoceano è solito scrivere la sua ricetta utilizzando il pc. Ma grazie agli incentivi di Obama questa percentuale potrebbe salire al 90% entro il 2018, con un risparmio di oltre 22 miliardi di dollari, cifra che coprirà abbondantemente il finanziamento iniziale di una decina di miliardi. L'uso più ampio delle ricette elettroniche potrebbe evitare inoltre 3,5 milioni di errori medici e 585mila ospedalizzazioni entro il 2018. Le farmacie sono in prima fila: il 66% è in grado di gestire le prescrizioni elettroniche. Mentre Medicare, da gennaio, ha già iniziato a concedere bonus ai medici che usano le ricette elettroniche. Marzio Bartoloni ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’09 GUMIRATO: LA "BUFALA" DEL LIBERO MERCATO SANITARIO L'ESPERTO ITALIANO CHIAMATO DAL PRESIDENTE «I pregi e i difetti del nostro Ssn per consigliare meglio Barack» DI GINO GUMIRATO * Mi è stato chiesto di far parte di una Commissione di 10 membri non americani che avrà il compito di supportare il ministero della Sanità e l'ufficio management and budget (Mbo) nel definire le linee guida per la riforma sanitaria americana. L'Mbo è l'organo governativo che definisce l'impatto economico delle leggi del congresso americano, dunque la loro reale sostenibilità. Naturalmente anche le riforme previste dal presidente dovranno previamente essere valutate sotto il profilo della sostenibilità nel medio e lungo periodo. Il Direttore dell'Mbo è Peter Orszag, 41enne neo-nominato dal presidente Obama: entrambi abbiamo frequentato la «London School of Economics» di Londra nel 1991 ed è in quel periodo che sono state piantate comuni radici culturali sull'economia e il management nelle pubbliche amministrazioni. La Sanità americana. È fantastica da un lato, tremenda dall'altro. È la migliore Sanità del mondo in quanto a profondità specialistiche e ricerca scientifica (anche in termini di ricerca applicata). Viceversa dimostra limiti enormi sulla capacità di assicurare a tutti i cittadini il diritto alla salute; le possibilità di accesso alle cure e all'assistenza sono fortemente compromesse dal reddito, dal grado di istruzione, dalla provenienza geografica ecc. Come noto nonostante i piani pubblici di assistenza, il Medicaid per persone indigenti e ai margini e il Medicare (sostanzialmente per le persone anziane non autosufficienti) non consentono ancora oggi a un numero enorme di persone (circa 55 milioni su 250 dell'intera popolazione) di poter usufruire dei servizi sanitari. In caso di emergenza (emergenza vera, per la vita) gli ospedali sono comunque tenuti a salvare la vita della persona, stabilizzando i parametri vitali; un minuto dopo, se non ha assicurazione, quella persona esce immediatamente dall'ospedale. Le assicurazioni sono anch'esse un tasto dolentissimo; la più grande criticità è che una persona è assicurata per un certo numero di malattie e non per tutte; che molte assicurazioni non ti riassicurano più se hai avuto dei problemi importanti di salute, che le clausole assicurative possono essere piene di insidie. Il sistema assicurativo trova le sue radici culturali su un modello che anche in Italia, per qualche periodo in alcune Regioni, si è cercato di mettere in campo: la cosiddetta «libera scelta del cittadino nel mercato sanitario». L'ipotesi di fondo è che il cittadino è libero di scegliere la miglior cura sanitaria agendo come qualsiasi consumatore di un qualsiasi mercato (cioè massimizzando l'utilità marginale); in relazione alle sue scelte (i singoli ospedali o le singole case di cura a esempio) l'incontro tra domanda e offerta determinano un prezzo che tende nel lungo periodo a scendere, facendo fallire i peggiori erogatori e premiando i migliori. La Sanità italiana. Tra i tanti difetti, ha dimostrato ampiamente che la teoria del libero mercato in Sanità è semplicemente una "bufala", peraltro costosa, per varie ragioni: 1) il cittadino ancora oggi vive un'enorme asimmetria informativa rispetto ai singoli medici e ai sistemi sanitari; 2) dunque è l'offerta di servizi a determinare la domanda; 3) la domanda di servizi va regolata e pianificata in base a princìpi tecnicoscientifici che portino a offrire servizi e cure appropriate e di qualità; 4) la sfida del futuro non si baserà solo sulla capacità di dare buone cure nei pronto soccorso e negli ospedali, ma sulla capacità di prendersi carico del cittadino all'interno di una molteplicità di reti interconnesse di assistenza; 5) il libero mercato in Sanità ha aumentato enormemente i costi, non li ha mai diminuiti. Come tutti sanno negli Usa i costi per la spesa sanitaria rappresentano circa il 17% del Pil, in Italia la spesa rappresenta l'8% del Pil; in Gran Bretagna e Germania si spende qualche percentuale di punto in più dei livelli italiani, in Francia circa il 10% del Pil. Sempre tra i tanti difetti, la Sanità italiana ha anche dimostrato che nessun Paese al mondo, soprattutto tra i Paesi industrializzati, può permettersi di non fare prevenzione od occuparsi degli stili di vita dei cittadini (si pensi al tema dell'obesità, anche infantile, negli Usa). In Italia mediamente si spende tra il 4 e il 5% dell'intera spesa sanitaria in prevenzione; tale spesa è stata qualificata e integrata con i costi delle Arpa (Agenzie regionali protezione ambiente), che possono rappresentare uno strumento straordinario per uno sviluppo sostenibile. Più che di libero mercato abbiamo bisogno di una solida governance del sistema nonché ovviamente di un'accountability (capacità di prendersi la responsabilità delle scelte) di alto profilo della classe dirigente. * Membro della Commissione di supporto all'ufficio management e budget del ministero della Sanità Usa ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 Mar. ‘09 MEDICINA, NON PUNIRE I MIGLIORI Oggi le classifiche sono legate ai test negli atenei: con la lista unica degli idonei, gli studenti meritevoli avrebbero più chance e potrebbero scegliere anche la sede di Andrea Ichino * e Ignazio Marino ** Nel prossimo mese di settembre i giovani italiani che vorranno iscriversi alla facoltà di Medicina e chirurgia dovranno sostenere il test d'ammissione in uno degli atenei del Paese che offrono questa possibilità. Tutti risponderanno alle stesse domande nello stesso giorno, seppure in sedi diverse, ma non verrà predisposta un'unica classifica nazionale dei candidati in base alle loro risposte. Le classifiche saranno separate per ateneo e il numero di risposte esatte necessarie per l'ammissione sarà determinato dal rapporto tra candidati e posti disponibili in ciascuna sede. In questo modo accadrà che studenti esclusi per poco dalla facoltà in cui hanno sostenuto l'esame, rispondano con un numero di risposte esatte che sarebbe sufficiente per entrare in un'altra sede. Ma a quel punto nessun'altra facoltà potrà ammetterli e dovranno attendere un anno per riprovare, mentre studenti anche meno preparati di loro potranno iniziare subito. In altre parole, questo sistema determina quasi certamente l'esclusione di studenti che invece meriterebbero di entrare. Di per sé, un meccanismo esclusivamente basato su domande a risposta multipla è economico e funzionale, ma non è il migliore per selezionare studenti in nessuna disciplina ed è ancora più problematico in un contesto, quello medico, dove oltre alla conoscenza conta anche la solidarietà, la disponibilità e una personalità incline al rapporto con gli altri. È per questo che in altre nazioni il colloquio con i candidati è considerato imprescindibile nel processo di selezione. E può servire anche agli studenti stessi per scegliere meglio dove iscriversi. In Italia, si è escluso il colloquio perché si teme di più la sua discrezionalità che la sua efficacia. Insomma, non ci si fida. Ma indipendentemente dall'opportunità e dalla possibilità di aggiungere un colloquio, il test continuerà a essere una componente essenziale del processo di selezione. Cerchiamo allora di renderlo più utile e informativo con pochi cambiamenti facilmente realizzabili e senza costi significativi. Se la classifica dei candidati fosse unica a livello nazionale, indipendentemente dalla sede in cui il test è stato sostenuto, diventerebbe possibile definire un'unica lista degli studenti idonei per l'ammissione, costituita da tutti i migliori, a partire dal primo classificato fino a completare i posti disponibili nel complesso degli atenei. A quel punto, gli studenti potrebbero scegliere la facoltà preferita con un diritto di priorità determinato dalla posizione in classifica: al migliore la prima scelta e cosi via fino all'ultimo ammesso. In questo modo, a parità di altre caratteristiche, le facoltà migliori attirerebbero gli studenti migliori, compatibilmente con i posti disponibili, e tutti i candidati che meritano l'ammissione avrebbero un posto. I vantaggi sono evidenti per gli studenti, che verrebbero scelti con uniformità ed equità maggiori, e per gli atenei, che potrebbero mettere in evidenza le proprie qualità attraendo anno dopo anno gli studenti più capaci. In realtà si fa fatica a capire perché un sistema come questo, che tra l'altro è la norma in molti altri Paesi, non sia già stato da tempo adottato in Italia. Il nostro dubbio è che qualcuno abbia paura di mettere in luce le differenze di qualità tra i diversi atenei, differenze che il meccanismo da noi proposto inevitabilmente evidenzierebbe. Ma perché questa paura? Pensiamo veramente che il valore legale della laurea in Medicina possa garantire un'istruzione medica identica per tutti e quindi produrre medici tutti ugualmente bravi quasi fossero robot programmabili? Lo Stato deve giustamente garantire un livello minimo di qualità degli atenei e degli studenti che ad essi accedono per iniziare una carriera cosi importante per i cittadini. Ma, al di sopra della soglia minima, non si capisce perché debba costituire un problema l'inevitabile esistenza di differenze di qualità tra le università che preparano i futuri medici. Anche perché proprio l'emergere di queste differenze stimolerebbe le diverse facoltà a competere per migliorarsi. Già adesso, in realtà, circolano informazioni su quali siano le facoltà di Medicina e chirurgia migliori, ma ogni candidato si trova di fronte a un'assurda lotteria: puntare a una facoltà prestigiosa, che tipicamente offre meno posti ed è più richiesta ma nella quale il rischio di non essere ammesso è maggiore, oppure tentare il test dove le chance sono più favorevoli ma la qualità degli studi sarà probabilmente inferiore? Non riusciamo a trovare motivi validi per mantenere invita questo sistema. Ministro Gelmini, la piccola riforma che proponiamo è semplice, utile e non ci sembra abbia controindicazioni. Perché non metterla rapidamente in atto? *Università di Bologna, andrea.ichino@unibo.it **Jefferson medica( colleqe, Philadelphia; presidente Commissione parlamentare d'inchiesta sull'Ssn ignazio. marino@senato. ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 apr. 09 MEDICINA, SASSARI PERDE LA GESTIONE DI TREDICI SCUOLE PER SPECIALIZZANDI Tutto accentrato a Cagliari e anche i test d'ammissione si svolgeranno nel capoluogo DANIELA SCANO SASSARI. La sorpresa è arrivata prima di Pasqua e non è stata piacevole per gli aspiranti specializzandi delle scuole sassaresi di Medicina. Il Miur - ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca - ha reciso e ricucito, accorpato e federato i centri di formazione postlaurea. Il decreto, firmato il 31 marzo, segue la logica del risparmio e della razionalizzazione. Il chirurgo ministeriale ha operato in tutta Italia, tagliando tra le altre cose complessivamente 3.848 posti, ma in Sardegna l'intervento fa sentire i suoi effetti soprattutto nell'ateneo sassarese al quale il ministero retto da Maria Stella Gelmini ha sottratto la gestione di tredici scuole di specializzazione a favore di Cagliari. La filosofia è unificare le scuole con pochi allievi. Le «vittime» sono eccellenti e alcune hanno fatto la scuola della formazione medica: dermatologia, ematologia, endocrinologia, gastroenterologia, neurologia, scienze dell'alimentazione, medicina legale, medicina dello sport, chirurgia vascolare, urologia. Sono le principali scuole della Medicina sassarese assegnate alle competenze gestionali e amministrative dell'ateneo cagliaritano. A Sassari resta la gestione di Anatomia patologica, Malattie infettive, Patologia clinica e Chirurgia toracica. Cagliari «batte» Sassari tredici a quattro. Nel nord dell'isola gli aspiranti specializzandi sentono odore di bruciato. Non è guerra di campanile solo perché, tra poche settimane, i giovani medici sassaresi dovranno presentarsi a Cagliari per sostenere i test di ammissione. Da una lettera firmata da ventitre neolaureati, però, emergono timori che la diplomazia preconcorsuale sconsiglia di esplicitare. Il punto dolente, per il momento, sono solo gli esami di ammissione. Si parla di «disagi» e di «grossi problemi» logistici perché i candidati dovranno sobbarcarsi il lungo viaggio per Cagliari e perché, essendo gli esami concentrati nella stessa giornata, chi volesse affrontare una prova doppia a Sassari e a Cagliari «dovrebbe percorrere duecento chilometri nel giro di poche ore, sempre che gli orari dei test glielo permettano». L'aspirante specialista sarà perciò costretto a scegliere, per fare un esempio, tra un futuro da gastroenterologo e uno da infettivologo. Un bel busillis, ma non è l'unico problema. La limitazione delle opportunità formative è il grimaldello per sollevare la vera questione. «Chiediamo commissioni paritetiche - scrivono i medici - composte da un ugual numero di professori di Cagliari e di Sassari». Segue l'affondo finale, che poi è il vero nodo: «in tal modo si garantirà parità di giudizio e di condizioni agli studenti sassaresi rispetto a quelli cagliaritani». Traduzione: i giovani medici sassaresi temono di essere penalizzati a favore dei loro colleghi del capoluogo. Se gli specializzandi non si fidano della imparzialità di esaminatori sconosciuti, a Sassari il malumore serpeggia anche tra i docenti. L'immagine dell'ateneo esce appannata dagli accorpamenti ministeriali, così come prestigiose carriere. Questa storia dell'accorpamento non piace a nessuno. Poco importa se, dopo avere superato l'esame di ammissione, i vincitori dei contratti banditi dal Miur potranno formarsi nelle cliniche in città. A risolvere salomonicamente la situazione, almeno per il momento, ci hanno pensato i presidi delle facoltà di Medicina di Cagliari e di Sassari. I professori Mario Piga e Giulio Rosati si sono incontrati mercoledì scorso e hanno raggiunto un accordo che nelle prossime ore diventerà una convenzione tra le due Università. La federazione tra le scuole di specializzazione di Medicina decisa dal ministero non è in discussione, ma in Sardegna l'applicazione del nuovo sistema lascia le mani libere ai due atenei. I contratti ministeriali di specializzazione andranno alla federazione, quindi in tredici casi a Cagliari e in quattro a Sassari, ma saranno subito suddivisi nelle scuole delle due Medicine che saranno articolate in «sezioni». Cagliari e Sassari continueranno a formare i rispettivi specializzandi e il direttore sarà unico, ma nominerà subito un vicario che sarà un docente dell'ateneo «federato». La programmazione dell'attività didattica sarà decisa, all'inizio di ogni anno, dai docenti delle due sezioni. Alla fine gli specializzandi sosterranno gli esami finali nella sede della scuola. E per finire, l'assessore regionale alla Sanità Antonello Liori ha accolto l'invito dei presidi di Medicina di incrementare del dieci per cento i contratti regionali che integrano ogni anno le scuole di specializzazione medica. Anche la suddivisione dei posti nelle scuole seguirà una logica territoriale e sarà decisa da una commissione paritetica, come hanno chiesto i medici sassaresi. L'accorpamento c'è ma solo sulla carta. Miracoli della medicina. ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 apr. 09 ROSATI: COSÌ AIUTIAMO GLI STUDENTI» Il preside Rosati assicura che si cercherà di accontentarli nella scelta della sede Il rettore Maida: accorpati i corsi con pochi allievi - L'assessore alla Sanità incrementerà i contratti regionali per neolaureati SASSARI. Alessandro Maida, rettore dell'ateneo sassarese, guarda il bicchiere pieno a metà e considera il «mezzo vantaggio». Se in Sardegna l'accorpamento delle scuole di specializzazione di Medicina ha premiato Cagliari e mortificato Sassari, ma è rimasto circoscritto nell'isola, nella penisola il decreto che ha federato le scuole di specializzazione ha riunito anche scuole di regioni diverse. «Il principio - spiega il rettore - è federare le scuole di specializzazione che hanno meno di tre allievi. Questo però comporta problemi per la gestione delle scuole ed evidenti disagi per gli specializzandi. I presidi di Medicina si sono incontrati a Cagliari per esaminare la questione e hanno trovato una soluzione». Il rettore Maida parla di «accorpamento discutibile», ma getta acqua sul fuoco dei timori dei giovani laureati sassaresi sulla imparzialità delle commissioni. «Non è detto - scherza il rettore - che ogni volta che una squadra gioca fuori casa l'arbitro debba essere venduto». La convenzione tra facoltà di Medicina, un piccolo capolavoro di diplomazia accademica, è stato raggiunto dai presidi Giulio Rosati e da Mario Piga. Il professor Rosati, maestro della Neurologia sassarese, ha un atteggiamento propositivo e tuttavia non nasconde di considerare «paradossali» certi provvedimenti ministeriali. «Si tratta - entra nel merito Rosati - di un decreto che va in controtendenza con il resto del mondo e che la conferenza nazionale dei presidi di facoltà aveva criticato». «Da una parte ci chiedono di incrementare gli iscritti in Medicina, per rimpiazzare i medici che nei prossimi anni andranno in pensione, e contestualmente tendono a ridurre l'accesso alle scuole - commenta il professor Rosati -. Quest'anno, comunque, l'offerta formativa delle scuole di specializzazione non è cambiata». L'insularità, spiega Giulio Rosati, comporta un disagio enorme per gli specializzandi (soprattutto per quelli sassaresi) che dovranno affrontare lunghi viaggi per sostenere gli esami di ammissione e di fine corso. La convenzione stipulata a Cagliari è stata studiata proprio per i futuri specialisti della medicina. «Con la soluzione delle sue sezioni a Cagliari e a Sassari abbiamo cercato - informa il preside Rosati - di non rendere difficile la vita degli specializzandi. Una volta fatte le graduatorie, li sentiremo e cercheremo di accontentarli per quanto riguarda la sede». Il preside di Medicina è certo che molti cagliaritani vorranno specializzarsi a Sassari. L'accordo tra atenei risponde a molti interrogativi, ma è a tempo (un anno) e non risolve tutti i problemi. E se il fine del decreto ministeriale era quello di tagliare i costi, secondo il preside di Medicina c'è il rischio concreto di moltiplicarli proprio con la federazione. «Con questo sistema i conti aumentano - dice il neurologo -. Qualcuno al ministero ha pensato a chi dovrebbe pagare le trasferte dei docenti?».(d.s.) ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 apr. 09 TERREMOTO ASL, I MANAGER IN PARTENZA L'assessore Liori: si cambia, ce lo hanno chiesto i nostri elettori. Fra i papabili l'assessore Simeone e il direttore sanitario Storelli ENRICO PILIA I manager della sanità regionale si preparino al trasloco. Tutti. Chiamatelo spoil system, o tradizione consolidata e trasversale, ma chi vince le elezioni colloca sempre i propri dirigenti sulle poltrone più importanti. «La volontà politica c'è, ma soprattutto abbiamo ricevuto un mandato popolare, sono stati i nostri elettori - dice Antonello Liori, assessore regionale alla Sanità - a chiederci un'inversione di tendenza soprattutto nella sanità». Liori non aggiunge altro, ma le voci parlano di consulenti legali in grande fermento, questi giorni, per allestire un piano d'azione a prova di ricorso. In base alla legge nazionale 502 del 1992, e a quella regionale 10 del 2006, si può dichiarare decaduto il contratto del direttore generale «quando ricorrano gravi motivi, la gestione presenti una situazione di grave disavanzo, o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione ». In assenza di mandati riconsegnati al mittente, o di dimissioni solo ventilate, la Giunta potrebbe operare proprio in base a quanto stabilisce la legge per cambiare i vertici delle asl e dei grandi ospedali. IL TOTO-NOMINE. Intanto, fra le indiscrezioni raccolte in questi giorni, una riguarda il ricorso al Tar di un anonimo aspirante manager, rimasto senza poltrona, contro i direttori generali dell'Asl 8, Benedetto Barranu, e Antonio Palmas,Asl 5, perché i due - secondo il ricorrente - non avrebbero i titoli per quella nomina. Fra i papabili, invece, circola il nome dell'attuale assessore all'Ambiente, Emilio Simeone, che lascerebbe la Giunta per accomodarsi su una poltrona da lui gradita. Fra i possibili direttori amministrativi o sanitari, si fa il nome di Maurizio Calamida, ex direttore amministrativo del " Brotzu", e di Ugo Storelli, attuale direttore sanitario dello stesso ospedale, consigliere comunale a Cagliari e vicino al presidente Ugo Cappellacci. LE SCADENZE. Ecco chi sono i manager della sanità regionale, dove svolgono il loro mandato e la scadenza del loro contratto. Giovanni Battista Mele, direttore generale dell'Asl n°1 di Sassari: la nomina scade il 4 luglio 2010 (deliberazione n°25/49 del 3 luglio 2007). Giorgio Lenzotti, direttore generale dell'Asl n°2 di Olbia: la nomina scade il 5 agosto 2010 (deliberazione n°30/5 del 2 agosto 2007). Franco Mariano Mulas, direttore generale dell'Asl n°3 di Nuoro: la nomina scade il 15 settembre 2011 (deliberazione n°50/10 del 16 settembre 2008). Antonio Onnis, direttore generale dell'Asl n°4 di Lanusei: la nomina scade il 6 agosto 2011 (deliberazione n°44/38 del 6 agosto 2008). Antonio Palmas, direttore generale dell'Asl n°5 di Oristano: la nomina scade il 6 agosto 2013 (deliberazione n°44/37 del 6 agosto 2008). Savina Ortu, direttore generale dell'Asl n°6 di Sanluri: la nomina scade il 16 dicembre 2011 (deliberazione n°70/2 del 15 dicembre 2008). Pietro Chessa, direttore generale dell'Asl n°7 di Carbonia: la nomina scade il 27 dicembre 2011 (deliberazione n°71/38 del 16 dicembre 2008). Benedetto Barranu, direttore generale dell'Asl n°8 di Cagliari: la nomina scade il 27 dicembre 2011 (deliberazione n°70/3 del 15 dicembre 2008). Giorgio Sorrentino, direttore generale dell'Azienda ospedaliera Brotzu: la nomina scade il 16 dicembre 2011 (deliberazione n°70/1 del 15 dicembre 2008). Pietro Paolo Murru, direttore generale dell'Azienda ospedalierouniversitaria di Cagliari: la nomina scade nel maggio 2010 (decreto n°45 del 7 maggio 2007). Renato Mura, direttore generale dell'Azienda ospedaliero- universitaria di Sassari: la nomina scade nel settembre 2011 (decreto n°100 del 3 settembre 2008). Per tutti, sarebbe pronta una lettera di saluto. Con un'inevitabile scia di ricorsi. ______________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 3 apr. 09 MANAGER AL BROTZU, MARTELLI TRA I PAPABILI Tramontata la candidatura di Farris, ora all'Industria - Al cardiochirurgo fu chiesto di andare all'azienda mista di Sassari, disse di no ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. Anche il cardiochirurgo Valentino Martelli entra nel toto-nomine per la direzione generale del Brotzu se la giunta Cappellacci vorrà rimuovere Giorgio Sorrentino, «allevato» a suo tempo proprio al Brotzu da Franco Meloni e qui ritornato in qualità di tecnico dopo la tempesta provocata dall'ex Mario Selis. Due anni fa Martelli rischiò di andare a fare il manager all'azienda mista di Sassari. Glielo chiese Soru, lui rispose di no per i legami con Cagliari, ma forse anche perché l'azienda mista sassarese appariva un traghetto riottoso a farsi portare verso sponde governabili. Adesso Martelli risulta tornato in pista: la sua domanda riposa fra le altre, i titoli professionali certo non gli mancano, i rapporti con Alleanza Nazionale sono rimasti nonostante l'intemperanza (perdonata?) di essere andato a fare il sottosegretario agli Esteri nel governo D'Alema. E poi è sempre figlio di Cossiga che ci mette poco a telefonare a Beppe Pisanu: due sassaresi, anche se su fronti opposti, tra di loro si parlano sempre volentieri. Ugo Storelli è l'altro presunto candidato alla poltrona del Brotzu: in Forza Italia da anni, consigliere comunale ormai importante, direttore di dipartimento, cresciuto al Brotzu, in ospedale ormai è considerato «una meteora che arriva, brilla e se ne va». La politica, infatti, lo assorbe parecchio. Per la verità la prima candidatura associata al nome di Storelli era stata quella per l'Asl 8, ma la voce era presto rientrata. Forse nasceva più da un'equazione grossolana (vince il centrodestra, ecco Storelli) che da un'effettiva valutazione sua (di Storelli) e degli altri (la giunta Cappellacci) sull'avvicendamento alla «8». Ancora sul Brotzu: un nome tramontato è quello di Andreina Farris, viceprefetto che aveva presentato il curriculum per entrare nella rosa dei manager nominabili, ma che è diventata assessore all'Industria. Circolano altri nomi, superati dall'invalicabile ostacolo dei «raggiunti limiti di età». L'avvicendamento all'Asl 8. Da quando Cappellacci ha spedito la lettera in cui invita i manager ad attenersi all'ordinaria amministrazione, non ce n'è uno che abbia trasgredito. Per ogni cosa che eccede l'ordinario, si chiede l'autorizzazione in assessorato e fin quando non arriva il benestare niente si muove. Naturalmente, sia alla Asl che all'incandescente Brotzu primari e dirigenti medici si lamentano già un po'. Per la Asl 8 resiste la voce sull'avvicendamento con Chicchi Trincas ex manager di Sanluri. Il direttore generale Benedetto Barranu lavora e tace. Forse presto gli arriverà una patata bollente: dovrà decidere se reintegrare o meno nel servizio i primari Gian Paolo Turri e Antonello Maccioni sospesi dalla direzione Gumirato perché sotto accusa per omicidio colposo il primo e per la sparizione di reperti anatomici il secondo. I reperti erano legati all'inchiesta sulla morte dell'ambulante Giuseppe Casu ricoverato nel servizio psichiatrico allora diretto da Turri. La decisione di Gumirato fece scalpore sia nel caso di Turri che in quello di Maccioni. La legge assegna al manager la possibilità di una scelta del genere, anche se a carico dell'accusato c'è soltanto l'iscrizione nel registro degli indagati: Gumirato decise, molti medici e non solo si rivoltarono. Cambiato lo scenario politico, sulla Asl sarebbero in atto pressioni per annullare la sospensione. ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 mar. ’09 SARDEGNA/ LA REGIONE ADOTTA UN SISTEMA INFORMATICO PER MIGLIORARE IL PROGRAMMA La formazione Ecm è hi-tech Il software consente di gestire l'anagrafe crediti e monitorare le attività Tracciabile l'iter di ogni dipendente Duecentocinquanta progetti approvati e settantacinquemila euro di risparmio in poco più di un anno e mezzo, una rete di 12 provider pubblici locali che erogano attività formativa e attribuiscono crediti sulla base delle valutazioni espresse da un apposito Comitato tecnico regionale, tempi d'accreditamento non superiori ai 30 giorni. Sono questi i primi risultati del sistema di educazione continua in medicina in Sardegna, unica Regione del Centro-Sud a essersi dotata, dal marzo 2007, di un proprio sistema di accreditamento autonomo rispetto a quello nazionale e che ora si appresta a migliorare ulteriormente le performances di processo grazie all'acquisizione, pochi giorni fa, di un software informatico per la gestione dell'anagrafe crediti e per il monitoraggio delle attività formative. Il software, italiano, si chiama Nbs ed è per ora in dotazione in Piemonte, Marche, Val d'Aosta e presso la Provincia autonoma di Trento. Un significativo passo avanti, se si pensa che finora il sistema è stato gestito interamente su supporto cartaceo, affidato prevalentemente a operatori delle aziende sanitarie distaccati presso l'assessorato. «I vantaggi saranno enormi, sotto il profilo dei tempi, della verifica delle attività e della gestione dei crediti per ogni singolo partecipante», dice Simonetta Dettori , coordinatrice del gruppo regionale Ecm e da un anno rappresentante della Sardegna nel comitato tecnico Stato-Regioni. «Le nostre aspettative sono ottime, perché oltre l'accreditamento automatico delle attività proposte dai provider, il software garantirà il monitoraggio periodico delle attività formative elaborate dagli uffici di formazione accreditati presso le Asl, le aziende autonome e miste e l'Istituto zooprofilattico regionale, registrando i costi sostenuti e le attività svolte, con indubbi vantaggi sul piano della programmazione e del follow up. Inoltre conclude Dettori - sarà possibile tracciare il percorso formativo di ciascun dipendente con la costruzione di un dossier formativo individuale e con la creazione di un'anagrafe regionale dei crediti, funzionale alla programmazione delle attività». Queste e altre novità, come la creazione di un Osservatorio regionale sulla qualità della formazione, recepiscono le indicazioni nazionali in tema di riordino del Sistema Ecm dell'agosto 2007, fatte proprie dalla Regione con la delibera 72/23 del dicembre 2008. Il sistema di educazione continua in medicina in Sardegna prevede tre organismi: oltre al già citato comitato tecnico-regionale, una Consulta con funzioni di rappresentanza degli ordini, dei collegi e delle associazioni professonali, e una Commissione regionale per la formazione in Sanità, che definisce gli obiettivi formativi regionali, individua le linee di indirizzo per la realizzazione di piani formativi aziendali, sostiene e coordina le attività tramite una rete regionale di uffici aziendali dedicati alla formazione. Paola Pintus ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 mar. ’09 ARTRITE REUMATOIDE: MALATTIA A FORTE IMPATTO SOCIALE MA CON SCARSA PRIORITÀ nei Piani Socio Sanitari Sintesi del Quaderno "II Sole 24 Ore Sanità - Marzo 2009", allegato alla pubblicazione e realizzato in collaborazione con Economia Sanitaria Quattrocentodieci Deputati del Parlamento Europeo hanno sottoscritto, in data 8 maggio 2008, una dichiarazione sulle malattie reumatiche, che ha un valore sempre più attuale. I firmatari hanno sottolineato come tali patologie croniche, dolorose e invalidanti, rappresentino la principale causa di invalidità e di pensionamento anticipato dei lavoratori, e come i disturbi muscolo-scheletrici colpiscano oltre 100 milioni di persone in Europa, numero di pazienti destinato a crescere con l'invecchiamento della popolazione. I Parlamentari Europei hanno inoltre evidenziato l'elevato impatto socioeconomico correlato a tali patologie, pari ali' 1-1,5% del PIL nei paesi sviluppati. Il Quaderno allegato a questo numero della pubblicazione, ha voluto definire lo stato dell'arte di una specifica patologia reumatica, l'Artrite Reumatoide (AR), con il contributo di qualificati esperti. L'attenzione sulle malattie reumatiche come prima causa di dolore e disabilità in Europa era già stata posta qualche tempo fa dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, che aveva ricordato che queste patologie, da sole, rappresentano la metà delle malattie croniche che colpiscono la popolazione al di sopra di 65 anni. L'AR è tra le patologie reumatiche una delle più invalidanti con una progressiva distruzione delle articolazioni che porta alla perdita di funzionalità fisica e a una forte riduzione della qualità di vita dei pazienti. Il Presidente della Società Italiana di Reumatologia, Carlomaurizio Montecucco, ha sottolineato nell'introduzione del Quaderno che la gestione dell'artrite reumatoide è un problema medico e sociale di grande rilevanza. I fattori determinanti per la prevenzione dell'invalidità sono la diagnosi ed il trattamento precoci ma questo approccio necessita di un adeguato supporto culturale e organizzativo che in larga misura ancora manca nel nostro Paese. Sono circa 3 milioni i pazienti con AR nel vecchio continente, di cui 2,3 milioni nella sola Europa occidentale, e 300.000 circa i casi nel nostro Paese. Per questi pazienti, durante le fasi acute della malattia - come ricordato da Antonella Celano, Presidente ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici - gesti semplici come alzarsi dal letto, sollevare un bicchiere e salire le scale possono diventare estremamente difficili e dolorosi. Infatti, la qualità di vita di queste persone è tra le più basse, come evidenziato da una recente analisi che ha confrontato diversi studi sul tema: l'AR ha registrato valori inferiori alla sclerosi multipla e alla cardiopatia ischemica cronica. E' soprattutto la disabilità funzionale, misurata con HAQ (Health Assessment Questionnaire), che caratterizza la patologia: molti pazienti sono costretti ad abbandonare l'attività lavorativa a soli 3 anni dall'insorgenza della malattia; i tassi di pre-pensionamento variano (a seconda dei Paesi, dell'anno dello studio e del campione incluso nell'analisi) tra il 30 e il 50 per cento. Uno studio francese ha evidenziato come tra i pazienti con età inferiore ai 60 anni (età per accedere alla pensione in Francia), solo il 15% di quelli affetti da grave disabilità funzionale (HAQ >2) svolge attività lavorativa, rispetto al 55-60% della popolazione complessiva tra i 50 e i 60 anni (Figura I). Come nelle altre malattie croniche progressive, la gravita della malattia è correlata all'incremento dei costi della patologia. Un Report pubblicato su European Journal of Health Economics - la cui edizione italiana è stata curata da Claudio Jommi, Cergas-Univ. Bocconi - ha stimato il costo medio complessivo annuo per paziente nei paesi dell'Europa occidentale pari a 18.262 euro: 15.417 in Spagna, 16.441 in Italia, 16.502 nel Regno Unito, 21.908 in Francia e 22.458 in Germania. Sulla base di tali dati, il costo complessivo dell'AR è stato pari nel 2006 a 45,3 miliardi di euro in tutta Europa e a 41,8 miliardi di euro nell'Europa occidentale. In particolare per quest'ultima area i costi diretti sanitari (prestazioni sanitarie di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione) sono stimati in 12,6 miliardi di euro all'anno, di cui 4,1 miliardi di euro per farmaci. I costi diretti non sanitari (che considerano in questo caso i costi dei dispositivi medici, dei trasporti sostenuti dai pazienti, ecc.) sono stimati in circa 4,8 miliardi di euro; quelli per l'assistenza informale (prestata dai familiari, conoscenti e volontari) in 8,6 miliardi di euro e quelli collegati alle perdite di produttività (che rappresentano il mancato reddito generato dall'assenza dal lavoro) in 15,9 miliardi di euro l'anno. Il totale dei costi annuali complessivi per l'AR in Italia indicato nel Report, pari a 4,4 miliardi di euro (in figura 2 la composizione percentuale dei costi della patologia nel nostro Paese), coincide con la stima desumibile dai dati della "Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2005- 2006", curata dal Ministero della Salute. I Parlamentari Europei invitano quindi la Commissione e il Consiglio dell'UE ad incoraggiare gli Stati membri a istituire e promuovere l'attuazione di piani nazionali per lottare contro le malattie reumatiche. A tale riguardo dall'analisi del Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 e dei Piani Sanitari Regionali vigenti o in corso di approvazione risulta una ridotta attenzione verso l'artrite reumatoide e le altre patologie reumatiche, come evidenziato da Ugo Luigi Aparo, Direttore Sanitario dell'Istituto Dermopatico dell'Immacolata, IRCCS Roma. A livello nazionale non vi è cenno alcuno nel Piano Sanitario vigente, mentre nel Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 le patologie reumatiche erano invece riconosciute tra gli obiettivi di salute. Di conseguenza la maggior parte delle Regioni non le ha recepite nei propri Piani Sanitari. Ad oggi solo quattro Regioni (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna e Toscana) considerano le patologie reumatiche di rilevanza sociale. Maggior attenzione a tali patologie viene dedicata dal Piano Socio-Sanitario Regionale 2006-2008 del Friuli Venezia Giulia, in virtù anche del fatto che tali malattie costringono il paziente a frequenti assenze dal lavoro e sono responsabili del 27% delle pensioni di invalidità. Nel piano - come sottolineato da Giuseppe Tonutti, Direttore Medico dell'Ospedale S. Maria della Misericordia di Udine - vengono individuati i principali problemi che derivano dalla convivenza cronica con le malattie reumatiche: appropriatezza, variabilità della tipologia dei professionisti coinvolti, diversità nella modalità di erogazione delle prestazioni, continuità delle cure e prevenzione della disabilità. In particolare, relativamente all'appropriatezza, si sono riscontrate differenze nelle prestazioni diagnostiche richieste e dispensate a seconda del centro di erogazione, e nella terapia prescritta. Grande variabilità di comportamenti si è registrata anche per le visite di controllo dei pazienti, nella loro frequenza e nelle tipologie di esami richiesti. Diversi erano invece i professionisti che trattavano la malattia: reumatologi, ma anche internisti ospedalieri, medici di medicina generale, specialisti in riabilitazione e qualche ortopedico. Tale variabilità non era correlata all'offerta sanitaria locale, ma piuttosto alla casualità. Il Piano della Regione Friuli Venezia Giulia sottolinea inoltre la necessità di dotarsi di un'organizzazione che tenda a superare i numerosi problemi aperti per riuscire a garantire livelli omogenei di risposta su tutto il territorio regionale. I Parlamentari Europei, inoltre, invitano a sviluppare una strategia comunitaria per le malattie reumatiche ed elaborare una raccomandazione del Consiglio sulla diagnosi precoce e il trattamento di tali patologie. II decorso dell'AR presenta un periodo di tempo, una sorta di "finestra delle opportunità", tra l'insorgere della sintomatologia e l'inizio del danno articolare, come evidenziato da Giovanni Triolo, della Università degli Studi di Palermo. E' quindi fondamentale che il medico di medicina generale invii subito il paziente con sospetta malattia al reumatologo per la conferma della diagnosi. In questa strategia, è di rilevante importanza la creazione di strutture chiamate "Early Arthritis Clinics" per la diagnosi e la terapia precoci delle artriti, nelle quali sia possibile, attraverso un contatto diretto tra il medico di medicina generale e il clinico reumatologo, attivare entro 72 ore un iter diagnostico, in Day Service o Day Hospital, che preveda visita specialistica, ecografia e risonanza magnetica nucleare (fondamentali per la diagnosi delle sinoviti e dell'edema osseo, predittivo quest'ultimo della successiva comparsa dell'erosione) per la vantazione precoce del danno strutturale. Per il trattamento della malattia, i farmaci biologici introdotti nell'ultimo decennio sono in grado di migliorare, così come le terapie tradizionali, i segni e i sintomi dell'AR, ma con un'attività terapeutica molto più rapida. I biologici, in particolare, appaiono in grado di bloccare la progressione del danno strutturale, permettendo in caso di trattamento precoce di raggiungere una condizione di remissione di malattia. Però, secondo le linee guida internazionali, la terapia con farmaci biologici può essere iniziata solo nei pazienti con AR diagnosticata sulla base dei criteri dell'American College of Rheumatology (1987), pazienti nei quali l'esordio della malattia risalga ad almeno sei mesi prima, e quindi in pazienti con danno articolare già permanente. Inoltre, si deve essere in presenza di una malattia particolarmente attiva e del fallimento di una terapia convenzionale che sia stata somministrata per almeno sei mesi. Utilizzando queste indicazioni appare chiaro come non sia possibile trattare il paziente all'esordio dell'AR, in quel periodo definito "finestra delle opportunità". Per quanto riguarda l'accesso in Italia ai farmaci biologici si registrano forti diversità tra le Regioni: in determinate realtà la prescrizione è possibile solo in alcuni centri, in altre - come in Piemonte e in Sardegna - è stata estesa agli specialisti ambulatoriali.Tali diversità di accesso si registrano anche tra ASL della stessa Regione, come accade per esempio in Puglia. Relativamente all'accesso alle terapie a livello internazionale, il Report pubblicato su European Journal of Health Economics ha evidenziato il maggiore e più rapido tasso di penetrazione degli inibitori del TNF (i primi farmaci biologici per l'AR immessi sul mercato) negli Stati Uniti, circa tre volte la media dell'Europa occidentale e Canada, ed un accesso decisamente più difficoltoso nell'Europa orientale e centrale. Tali differenze possono essere spiegate da alcune variabili economiche più basse, quali il reddito e la spesa sanitaria procapite. Per quanto riguarda le 5 maggiori nazioni europee, Francia, Spagna e Regno Unito sono vicine alla media EI3 (che fa riferimento ai paesi EU15, esclusi Portogallo, Irlanda, Grecia e Lussemburgo, con l'aggiunta di Norvegia e Svizzera) mentre Germania e, in particolare, Italia presentano, almeno fino a fine 2006, dati inferiori. Dati di utilizzo che non sono correlati in modo sistematico al livello dei prezzi dei farmaci, in quanto le due nazioni sopraindicate hanno rispettivamente il prezzo più alto e più basso dei primi 5 mercati europei. Il Report evidenzia inoltre che valutazioni di Health Technology Assessment (HTA), comprendenti anche le vantazioni economiche, stanno assumendo sempre più importanza nell'allocazione delle risorse sanitarie. Ha anche osservato che nei paesi in cui esiste una solida tradizione in materia di valutazioni di HTA - in genere basate sulla prospettiva sociale (come in Svezia e Norvegia) - la diffusione dei farmaci biologici per l'AR è maggiore rispetto alle nazioni in cui tali valutazioni vengono effettuate utilizzando il punto di vista del sistema sanitario (Regno Unito e Danimarca). La Dichiarazione europea - che prevede la trasmissione della stessa ai Parlamenti degli Stati Membri - conclude invitando a sviluppare una strategia intesa a migliorare l'accesso alle informazioni e alle cure mediche. Oggi, troppo spesso, il medico - come sottolineato da Antonella Celano - è portato a dare peso solo al "problema malattia", senza prestare troppa attenzione agli aspetti psicologici del paziente. Per la gestione del programma terapeutico, sia il medico di medicina generale sia lo specialista (che decide la terapia) devono collaborare con il paziente, l'unico a possedere un bagaglio di informazioni utili da fornire per la comprensione della propria malattia, il solo a dover fare i conti con i "cambiamenti" che essa provocherà nel proprio futuro. Dichiarazione del Parlamento Europeo sulle malattie reumatiche II Parlamento Europeo, - visto l'articolo I 16 del suo regolamento, A. considerando che le malattie reumatiche sono patologie croniche dolorose e invalidanti, B. considerando che una percentuale della popolazione, compresa tra il 30 e il 40%, presenta sintomi di disturbi muscolo-scheletrici che colpiscono oltre 100 milioni di persone in Europa, C. considerando che le malattie reumatiche rappresentano la principale causa di invalidità e di pensionamento anticipato dei lavoratori, D. considerando che, in base alle stime, nel 2030 le persone con più di 65 anni rappresenteranno un quarto della popolazione europea e che la maggioranza delle persone con più di 70 anni presenta sintomi reumatici cronici o ricorrenti, E. considerando che l'adozione di politiche sociali e sanitarie basate sull'analisi delle esigenze delle persone che soffrono di malattie reumatiche ridurrebbe i costi socioeconomici correlati a tali patologie (dell'1- 1,5% del PIL nei paesi sviluppati), 1. invita la Commissione e il Consiglio a: • attribuire maggiore rilievo alle malattie reumatiche nella nuova strategia comunitaria in materia di salute, considerati i notevoli costi socioeconomici che esse comportano; • incoraggiare gli Stati membri a istituire e promuovere l'attuazione di piani nazionali per lottare contro le malattie reumatiche; • sviluppare una strategia comunitaria per le malattie reumatiche ed elaborare una raccomandazione del Consiglio sulla diagnosi precoce e il trattamento di tali patologie; • sviluppare una strategia intesa a migliorare l'accesso alle informazioni e alle cure mediche; 2. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente dichiarazione, con l'indicazione dei nomi dei firmatari, al Consiglio, alla Commissione e ai Parlamenti degli Stati membri. Dichiarazione n. 000812008 del 08.05.2008 Lettera aperta Società Italiana di Reumatologia In merito ad episodi di non somministrazione o di somministrazione a dosaggio ridotto di farmaci biologici da parte di alcune aziende sanitarie pubbliche la Società Italiana di Reumatologia sente il dovere di sottolineare alcuni punti, sulla base delle attuali evidenze scientifiche. Nella cura dell'artrite reumatoide e delle spondiloartriti da circa 10 anni sono disponibili farmaci biotecnologici, la cui efficacia si è dimostrata impareggiabile nei pazienti che non rispondono favorevolmente alle cure tradizionali. In particolare, l'aggiunta di questi farmaci arresta di fatto la progressione del danno articolare nell'artrite reumatoide e dell'invalidità nella maggior parte dei casi, consentendo di continuare tra l'altro la propria attività lavorativa. La distribuzione di questi farmaci è regolamentata ed affidata, in genere, a centri specialistici selezionati. Questi farmaci, sono indicati solo in alcuni casi, con particolari caratteristiche di gravita e mancata risposta alle cure tradizionali, secondo linee-guida codificate a livello nazionale ed internazionale. La Società Italiana di Reumatologia ribadisce la sua totale disponibilità a discutere con le competenti autorità, nazionali e regionali, criteri di prescrizione e modalità di controllo; tuttavia quando l'indicazione è corretta, la somministrazione di tali farmaci deve essere effettuata e supportata finanziariamente. I dosaggi attualmente approvati sono quelli che, nel corso di studi clinici controllati, hanno dimostrato il miglior rapporto tra rischi (effetti collaterali) e benefìci (efficacia clinica) e sono pertanto quelli più appropriati per la salute del paziente. L'impiego sistematico di dosi o tempi di somministrazione diversi non trova alcuna giustificazione scientifica ed anzi configura un uso improprio del farmaco, non approvato e potenzialmente rischioso. La riduzione delle cure è di per sé un atto grave, ma ancor più intollerabile, per chi soffre, è vedere scelte di carattere economico mascherate con motivazioni pseudo-scientifiche o sperimentazioni caserecce ed estemporanee fuori da ogni regola di buona pratica clinica. In conclusione, la Società Italiana di Reumatologia ribadisce che l'efficacia dei farmaci attualmente in uso per le artriti è legata al loro corretto utilizzo. L'impiego di dosaggi incongrui espone il paziente ad inutili rischi ed il sistema sanitario ad inutili spese. Il Consiglio Direttivo della Società Italiana di Reumatologia ______________________________________________________________________ L’Espresso 20 mar. ’09 VATICANO E MALASANITÀ Le privatizzazioni della Lombardia. Gli sprechi della Sicilia. I privilegi del Vaticano nel Lazio. In un libro la radiografia del nostro sistema sanitario GIANLUCA DI FEO Ricordate Lady Asl? La regina degli abbordaggi ai fondi della sanità, con prestazioni inventate e tangenti concrete che hanno fatto perdere ai contribuenti 80 milioni di euro? Nella leggendaria suite dello Sheraton che ospitava il suo quartiere generale, Anna Iannuzzi, Lady Asl, dava udienza sotto una bandiera con le chiavi di San Pietro. «E lei era devotissima a Sant'Antonio: ragione per la quale consegnava agli uomini di Dio buste piene di contanti da dare in beneficenza. I prelati, dai cardinali Bertone e Ruini al vescovo Apicella accettano la beneficenza e si fanno fotografare insieme a lei. Ma è la donna ad essere conscia che la vicinanza ai monsignori e un viatico per chi vuole fare affari in sanità ». C'è ancora il Papa re? Sì, a Roma esiste un regno pontificio. Che agisce per opere di bene e realizza spesso buone operazioni chirurgiche ma viene finanziato con denaro pubblico. •Tra gli stakeholder della sanità romana, il numero uno è il Vaticano. E il più grande imprenditore medico della regione e drena somme ingentissime, a fuori da ogni regola, che vanno | ad alimentare otto ospedali ge" stiti direttamente dalle strurtu| re religiose, due policlinici uni" versitari e una pletora di case di 5 cura. Oltre a due istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, di cui uno di diritto internazionale: il pediatrico Bambin Gesù che è addirittura territorio del Vaticano, quindi del tutto autonomo dallo Stato italiano ancorché generosamente finanziato con la nostra fiscalità generale, e l'Idi (Istituto dermopatico dell'Immacolata)». La prima radiografia completa della presenza pontificia nella pubblica assistenza viene presentata da Daniela Minerva nel suo libro-inchiesta "La fiera delle Sanità": un volume che in dieci capitoli traccia la deriva del settore in Italia, dalla Lombardia delle privatizzazioni alla Campania dello sfascio, dagli infermieri calabresi a mano armata alla lottizzazione dei baroni, dalla Sicilia degli sprechi al modello emiliano. Quello di Daniela Minerva, giornalista de "L'espresso", è un atto d'amore verso il Servizio sanitario nazionale, il sogno di eguaglianza davanti alla malattia sancito dalla Costituzione e cavalcato da Barack Obama nella campagna che lo ha portato alla Casa Bianca. In Italia invece le cure pubbliche stanno sprofondando nel baratro nei buchi di bilancio, tradite da una classe politica che alimenta l'inefficienza e determina la sfiducia dei cittadini: «Cancellare i diritti per mettere le mani su una torta da 100 miliardi di euro». In questa slavina, il Lazio presenta l'anomalia più macroscopica con uno Stato estero che fornisce assistenza, spesso di ottimo livello, per conto dello Stato italiano. Il volume setaccia la situazione del Gemelli, del Campus biomedico realizzato dall'Opus Dei (32 milioni annui, con un costo per ricovero passato dai 2483 euro del 2005 a 2910 del 2007), del Bambin Gesù (50 milioni dalla Regione e altrettanti dalla Finanziaria), dell'Istituto dermatologico Idi (30 milioni l'anno dalla Regione per 300 letti). E ricorda: «Più di un cattolico ha sentito una fitta al cuore quando all'inizio del 2008, proprio all'indomani della pubblicazione del primo piano di rientro del deficit sanitario programmato dalla giunta Marrazzo che taglia i budget di tutti i nosocomi capitolini, Benedetto XVI, parlando agli amministratori locali, ha chiosato: "Sappiamo bene quanto siano gravi le difficoltà che deve affrontare nell'ambito della sanità la Regione Lazio, ma dobbiamo ugualmente constatare come sia non di rado drammatica la situazione delle strutture sanitarie cattoliche, anche assai prestigiose e di riconosciuta eccellenza internazionale"». Il risultato? «Fatto sta, però, che alla fine di maggio 2008 il piano di rientro è ancora lettera morta, ma è pronta la delibera che assegna 71 milioni per il campus dell'Opus Dei (a fronte dei 32 destinati inizialmente nel 2007) e 550 al Policlinico Gemelli (204 erano stati destinati nel 2007)». • Foto: "La fiera della Sanità" di Daniela Minerva, responsabile delle pagine Salute de "L'espresso", è edito da Rcs (pp. 373, euro 12,50). L'inchiesta si chiude con un colloquio con Ignazio Marino sulle sorti del Servizio sanitario nazionale ___________________________________________________________________ Libero 5 Apr. ‘09 ANDARE IN MOTOCICLETTA STIMOLA LE CAPACITÀ MNEMONICHE g.g.) Andare in moto per diventare più intelligenti. È la proposta di un team di studiosi giapponesi. Gli scienziati hanno condotto una ricerca su 22 uomini di età compresa fra i 40 e i 50 anni che non andavano in moto da dieci anni. A metà dei partecipanti al test è stato chiesto di riprendere ad andare in moto per due mesi, agli altri di continuare a usare i mezzi pubblici per gli spostamenti. Risultato: le capacità mnemoniche e cognitive dei primi - dopo il test - erano decisamente migliori dei secondi. Il motivo? Probabilmente l'ebbrezza della velocità associato all'alto livello di attenzione necessario ai motociclisti per non cadere, aiuta il cervello a mantenersi giovane ed efficiente. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Apr. ‘09 L'OSPEDALE IL SUO TERRITORIO La vera rivoluzione é rendere le strutture trasparenti e vicine alla popolazione Di LUCA TREMOLADA Visto con l'occhio del tecnologo un ospedale è un territorio tutto da colonizzare. Non tanto per la diagnostica e le strumentazioni di carattere medicale quanto per i processi di funzionamento al suo interno (e al suo esterno). «Spesso sono mondi a sè, distanti dal territorio e dai pazienti. Poco inclini a sperimentare nuove forme di comunicazione con la comunità e anche solo tra dipartimenti». Haim Nelken, 52 anni,è il capo del team di tecnologie integrate nel laboratorio di Ilma ad Haifa in Israele. Non sa molto dell'Italia ne dell'organizzazione della sanità nel nostro Paese, ma conosce molto bene l'industria della sanità nel mondo: «Il mio team - racconta - si occupa di concepire servizi hi-tech dedicate alle strutture sanitarie. In particolare, studiamo come gestire le informazioni e i dati medici nell'ambito del processo di digitalizzazione». Lo specialista Ibm spiega come un po' in tutto il mondo l’ospedale risenta degli stessi mali. «Non è concepito in modo razionale e connesso con l'ambiente che lo circonda, E dire che le tecnologie per avvicinare l'interno con l'esterno ci sono da tempo. Basta solo integrare più media e monitorare i servizi e i processi all'interno dell'ospedale». L'immagine che le parole di Nelken evocano è quella di un organismo che vive a stretto contatto con la sua comunità. «Le inefficienze delle strutture sanitarie sono legate a errori umani, processi burocratici inadeguati o antiquati. Oggi disponiamo di cellulari, Pda, dispositivi che si collegano a internet e consentono di inviare in ospedale dati sensibili che possono per esempio velocizzare le procedure di ricovero o anche aggiornare la propria cartella clinica elettronica. Eppure l'ingresso dell’IT nell'industria dell’healt care va a rilento». Complice la concezione della sanità che in Italia, come peraltro anche in altri Paesi, sconta una interpretazione affatto legata all’efficienze e all’applicazione intelligente delle tecnologie. «Un esempio: abbiamo provato a monitorare il flusso di pazienti al pronto soccorso nell'arco di 24 ore. Così come abbiamo provato a registrare i tempi di utilizzo delle sale chirurgiche. Per farlo abbiamo utilizzato etichette RBd, codice a barre, tecnologie assolutamente mature. L'analisi dei dati a disposizione ci ha permesso di studiare come organizzare in modo più efficiente i servizi. Ma soprattutto ci ha consentito di misurare la sanità». Del resto, c'è poco da stupirsi: l'applicazione dell'informatica alle aziende è materia antica concettualmente, ma assolutamente moderna quando si studiano ambiti applicativi legati ai sevizi sanitari. Non tanto perché le strutture della Pa sono storicamente vissute come lontane dalle logiche d'impresa,quanto perché privacy, impatto delle tecnologie sulla salute delle persone e bassa dotazione tecnologica rappresentano e hanno rappresentato da sempre una barriera molto reale. Nelken apre il suo portatile e mostra un cruscotto web che sta sperimentando l'ospedale di Haifa. Sullo schermo compaiono cinque finestre in stile widget da cui si accede ai servizi dell'ospedale. Funzionalmente appare come uno sportello telematico in ottica 2.0 per aiutare il paziente a comunicare in modo diretto con il medico. In prospettiva potrebbe diventare il punto d'incontro dei dati clinici provenienti da più strutture. «Il nodo da sciogliere è la privacy- riflette il tecnologo di Big Blue - ma solo sulla carta. Perché è più un tema di regole che di tecnologie. Quelle già ci sono». Sanità, un volano per l'economia L'It nell’industria health care. La digitalizzazione della salute significa trasparenza, condivisione, accessibilità, ottimizzazione, uguaglianza, informazione. L'investimento in sistemi informatici per la salute, nel lungo termine, non è un vincolo, ma un volano per l'economia. Che sostiene anche un indotto di qualità. ALLA SALUTE DELLA CARTA Dal New England: Obama ha visto giusto, perchè solo il 2 % degli ospedali Usa ha abbandonato la carta a favore dell'elettronica. C'è ancora parecchio da fare. DONATORI ANCHE IN PENSIONE Ricercatori del Mario Negri in collaborazione con l'Ospedale di Bergamo hanno confermato che si può essere donatori di reni anche se si ha più di 70 anni. E i costi per il Ssn si riducono. ATTENTI AL CANE E... ANCHE AL GATTO Dai Cdc: negli Stati Uniti i cani e i gatti sono responsabili di 86.000 traumi all'anno, ossia costituiscono la causa dell'88% degli incidenti per i quali siva in Pronto soccorso. 3,5 milioni ALZHEIMER, QUANTO MI COSTI Gli americani con l'Alzheimer, ognuno dei quali costa al sistema sanitario il triplo rispetto ai pari età non malati. Nel mondo, il costo annuale è di 375 miliardi di dollari. OMEOPATIA DI QUALITÀ Pubblicato da parte dell'Agenzia italiana del farmaco il modulo qualità, che prevede la possibilità di presentare nuovi farmaci omeopatici. Esiste un'alternativa. ___________________________________________________________________ Il Sole24Ore 2 Apr. ‘09 PIU POTERE AL PAZIENTE informazione >controllo>standardizzazione DI FRANCESCA CERATI Si chiama "empowerment del paziente" ed è l'approccio più nuovo nel settore dell'innovazione tecnolo gica. Finora, fIt negli ospedali è stata pensata in una logica di supporto al back-office, all'organizzazione, mentre è stata poco correlata al sistema paziente. Il dibattito su questo tema è forte in ambito sia scientifico sia politico nei diversi paesi, e parte dall'idea che si debba dare concretezza a uno slogan che aleggia nell'aria da tempo, cioè mettere il paziente al centro del servizio sanitario. Già, ma in concreto cosa vuol dire? «La strategia verte su 3 parole chiave: informazione, controllo e standardizzazione - spiega Luca Buccoliero, ricercatore e docente di Management all'Università Bocconi di Milano; che ha sviluppato un progetto proprio sull'impatto dell'Ict nelle aziende sanitarie e le nuove sfide». Il tema dell'informazione sanitaria online, oggi già abbondante, è il secondo motivo di ricerca su internet. II problema di fondo è chi si fa carico di erogare l'informazione certificata al paziente? «Da questo punto di vista, un buon esempio di progetto di innovazione è quello che sta realizzando l’Nhs britannico (l’equivalente del nostro Ssn, ndr), che si basa su call center e linee dedicate, dove i pazienti possono avere consigli e informazioni. Certo è molto ambizioso come costi, perchè significa strutturare i cosiddetti touch-point multicanale, ma si tratta di un percorso ormai irrinunciabile: una parte viaggia su telefono, centralini, risponditori avanzati, e per le persone più propense c'è internet, che guida a capire il proprio bisogno di salute». Il secondo elemento d'innovazione è la capacità del paziente di esercitare un maggior controllo. Che si esprime nella scelta della struttura sanitaria e del medico, ma che si esercita anche lungo il percorso di cura e di diagnosi. «E questo vuol dire logiche di "personal health record" (fascicoli sanitari elettronici, ndr), un repository di dati clinici a cui il paziente può accedere direttamente - continua Buccoliero -. È un altro elemento che differenzia l'Italia dagli altri paesi. Negli Stati Uniti, per esempio, questo modello d'innovazione si è sviluppato in chiave di business: sia Microsoft che Google hanno avviato un mercato di servizi di health record, in cui il paziente crea una sua posizione, se la gestisce e decide i diritti di accesso». Il terzo punto è la definizione dei percorsi diagnostici-terapeutici, che significa trovare livelli di standardizzazione accettabili. «Nell'ospedale gestire l'assistenza per percorsi vuole dire dotarsi di sistemi informatici che governano i processi dal momento in cui il paziente prenota una visita fino a quando non viene dimesso. La logica è che ci siano linee guida vincolanti, ma flessibili, rispetto all'assistenza sanitaria. E poi, l'idea di strutturare il percorso consente un controllo di gestione trasversale non più costruito sulla figura di uno specialista, ma su un bisogno di salute che è longitudinale all'ospedale». Il che significa fare un salto culturale importante in termini di digitalizzazione, trasparenza e condivisione da parte di professionisti diversi. Ma anche da parte dei pazienti. http://www.nhsdirect.nhs.uk ___________________________________________________________________ Repubblica 6 Apr. ‘09 DIVENTA HI-TECH LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Ecografie e Tac di nuova generazione: una migliore e più tempestiva diagnosi dei mali più nascosti FRANCESCA TARISSI Tecnologie più evolute, Tprecise e rapide, per una diagnostica di nuova generazione. Sono molte le novità nel settore medico che, grazie aun migliore utilizzo degli ultrasuoni, rendono possibile un miglioramento nell'individuazione e nella tempestiva cura delle patologie. Se in Italia ogni anno si effettuano 15 milioni di ecografie, è nell'ambito della diagnostica per immagini che ci si è concentrati per ottenere apparecchi in grado di rilevare le forme tumorali già nei primi stadi. L'ultima frontiera si chiama elastosonografia, un'ecografia 2.0 che contribuisce in maniera significativa a far chiarezza sulle diagnosi dubbie di neoplasie del seno e della tiroide. «Le ricerche hanno evidenziato che nella tiroide i noduli non palpabili hanno una incidenza molto elevata», spiega il presidente della Società di ultrasonologia in medicina, Leopoldo Rubaltelli dell'Università di Padova. «L'elastosonografia rispetto all'ecografia tradizionale, permette di eseguire una diagnosi differenziale tra forme benigne e maligne, riducendo il numero dei pazienti da sottoporre ad agobiopsia e i costi per indagini non indispensabili». La tecnica opera fornendo informazioni utili sull'elasticità dei tessuti e si basa La svolta è un più appropriata utilizzo delle onde acustiche nell'organismo umano sul presupposto che patologie come il cancro inducono modificazioni delle caratteristiche fisiche dei tessuti malati. «Sono incorso studi per verificare le possibili applicazioni della tecnica ad altri organi come fegato e prostata». La seconda novità che vede protagoniste le onde acustiche combattere contro i tumori si chiama Hifu, High intensity focused ultrasound. Al momento in fase sperimentale presso l'Istituto europeo oncologico e l'ospedale di Cisanello di Pisa, nel reparto del professor Giulio Di Candio, si tratta di una macchina terapica ad alta precisione che, sfruttando gli ultrasuoni focalizzati da una lente in un punto dove l'energia può superare i 10milawatt/ cm2, senza bisogno di bisturi, radiazioni o aghi, è in grado di distruggere il tessuto. malato, inducendo con il calore la necrosi delle cellule che lo compongono. Composta da un alloggiamento per il paziente, con al centro una piccola vasca contenente acqua purificata, la macchina emette gli ultrasuoni tramite un trasduttore, un dispositivo posizionato al fondo della vasca, e li propaga attraverso la pelle e i tessuti, fino a raggiungere in modo preciso la zona del corpo da trattare. «L'Hifu è un bisturi invisibile che elimina solo ciò che vogliamo, generalmente è sufficiente una sola seduta anche se le dimensioni del tumore sono grandi o si trova in profondità», dice Di Candio. «In più necessita di una ospedalizzazione di 24 ore e consente un facile recupero delle funzioni giornaliere e dell'attività lavorativa». ________________________________________________________ l’Unità 5 apr. ’09 DORMIRE: L’ARTE DI CANCELLARE L’INUTILE DAL CERVELLO Due nuovi studi sui moscerini dimostrano che il sonno ha più funzioni: da un lato fa recuperare l'energia, dall'altro cancella in modo selettivo le sinapsi create di giorno per evitare che il cervello si sovraccarichi. PIETRO GRECO A che serve dormire? Perché l'evoluzione biologica a un certo punto ha scoperto il sonno e lo ha premiato, assicurando il successo riproduttivo alle specie animali che si abbandonano nella braccia di Morfeo? A queste domande i biologi hanno dato, nel tempo, due diversi ordini di risposte. Ciascuna con diverse subordinate. Nessuna definitiva. Il primo e il più antico ordine di risposte riguarda l'energia: il sonno serve per recuperare l'energia spesa durante la veglia. Il secondo ordine di risposte chiama in causa la struttura cerebrale: il sonno serve per rimettere ordine nel cervello iperstimolato durante la veglia. Per esempio, sostengono alcuni, il sonno serve per consolidare la memoria degli eventi significativi registrati durante la giornata e cancellare le registrazioni cerebrali degli eventi meno significativi. Cinque anni fa Giulio Tononi e Chiara Cirelli, due ricercatori italiani dell'università americana del Wisconsin, proposero una teoria suggestiva: quella della «omeostasi sinaptica». Il sonno serve per cancellare il numero di connessioni sinaptiche in eccesso che si sono create nel corso della veglia e impedire che esse crescano a dismisura portando a saturazione il cervello. Il sonno, dunque, farebbe un po' come Penelope, disfarrebbe di notte la tela cerebrale costruita di giorno. Due studi pubblicati venerdì scorso su Science sembrano dare ragione a entrambe le ipotesi: il sonno serve sia per recuperare energia, sia per conservare l’omeostasi sinaptica. Entrambi gli studi sono stati realizzati osservando il cervello dei moscerini della frutta durante il sonno. Uno, realizzato proprio da Tononi e Cirelli insieme a un altro giovane ricercatore italiano, Giorgio Gilestro, mostra che nel cervello dei moscerini tenuti svegli aumenta la quantità di proteine sinaptiche, quelle che regolano le connessioni tra i neuroni. Quando i moscerini ritornano finalmente a dormire, la concentrazione di queste proteine diminuisce e con essa diminuisce la spesa energetica del cervello. In un altro studio, Paul Shaw e i suoi collaboratori della Washington University di St. Louis mostrano che durante il sonno dei moscerini diminuisce proprio il numero delle sinapsi, proprio come previsto dalla teoria di Tononi e Cirelli. Ma, si potrebbe obiettare, ciò non contraddice le evidenze pregresse sul sonno come momento di rinforzo della memoria e, quindi, come momento in cui aumento le connessioni sinaptiche relative ai ricordi? No. Non necessariamente, almeno. Il sonno farebbe sì come Penelope, ma in maniera più selettiva. Disfarebbe durante la notte quello che ha tessuto di giorno, ma lascerebbe intatto e anzi renderebbe più robusto l'ordito più significativo. A che serve, dunque, il sonno? Beh, la risposta data dal neurologo tedesco Jan Born, su Science, è forse la più giusta: il sonno è un'invenzione multi-tasking. Una volta scoperto, è stato utilizzato dalla creatività dell'evoluzione per diversi scopi..:. ___________________________________________________________ Repubblica 13 mar. ’09 II GENE-GUIDA CONTRO IL CANCRO AL COLON di Carlo Barone, * Antonio Gasbarrini, * Gian Lodovico Rapaccini * unione fa la forza. L'antico motto non vale solo per lo sport. Si applica anche alla lotta contro il cancro. Solo mettendo insieme le forze e gli strumenti di diverse competenze potremo trovare un modo per affrontare tura malattia cosi `1r e complessa. Nel meeting multidisciplinare dell'Associazione europea per la gastroenterologia e l'endoscopia -EAGE tenuto nei giorni scorsi all'Università Cattolica di Roma si sono confrontate competenze ed esperienze terapeutiche integrate per combattere le neoplasie che colpiscono gli organi dell'apparato digerente. sI sentieri che stiamo battendo sono diversi, proprio come le forme che il tumore può assumere, e alcuni sono molto promettenti. Uno degli alleati più affidabili degli oncologi che combattono il cancro al colon, ad esempio, si è rivelato negli ultimi anni l’oncogene KRAS. Finora solo nel cancro alla mammella disponevamo di un marcatore biologico (i recettori estrogenici) capace di predire con buona affidabilità se la terapia avrebbe funzionato o no. Oggi, grazie a KRAS. anche nel cancro al colon possiamo predire l'efficacia della terapia. KRAS si rivela particolarmente utile quando vengono impiegati i farmaci di nuova generazione, i cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare. AL contrario dei farmaci citotossici (che avevano cioè l'obiettivo di uccidere le cellule malate). i farmaci di nuova generazione colpiscono tiri bersaglio biologico specifico, come un particolare recettore sulla superficie della cellula che le ordina di proliferare in maniera incontrollata (EGFR, recettore del fattore di crescita epidermico), o intervengono sulla formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) che nutrono il riunore. Quando il gene è non mutato la probabilità che il tumore risponda alla terapia mti-EGFR è molto alta. AL contrario di quello che accadeva fino a qualche anno fa, inoltre, oggi sappiamo che la strategia più pagante nel caso dei tumori gastrici è quella di iniziare a somministrare la terapia prima e non dopo l'operazione. KRAS ci sta anche aiutando a comprendere meglio come funziona la resistenza del cancro. II tumore epatico Anche nel tumore al fegato o epatocarcinoma, uno dei tumori più diffirsi al mondo e al quarto posto della triste graduatoria del numero di morti per tumore in Italia. l'arsenale terapeutico degli oncologi si arricchisce di due nuove tecniche di trattamento cosiddetto loco regionale, concentrato cioè sulla zona di organismo affetta dalla malattia. Il primo metodo è quello dell'inoculazione all'interno del riunore di alcol al 98°%, sotto guida ecografica per essere sicuri di centrare il bersaglio. Il secondo metodo utilizza onde elettromagnetiche e prende il nome di termoablazione a radiofrequenza, che consiste nell'impiego di agli che emettono onde radio a una particolare lunghezza d'onda che provoca, sempre sotto guida ecografica, la necrosi, cioè la morte, delle cellule interessate dal tumore. Entrambi i metodi hanno la caratteristica di essere percutanei: ad addome chiuso e in anestesia locale. I trattamenti locoregionali determinano un rallentamento significativo della crescita tumorale nei pazienti di e non possono essere sottoposti a trapianto. Ari - che i pazienti in lista d'attesa possono però giovarsene. Se il tumore compare durante questa attesa. infatti. si riesce a bloccarne la progressione e a non far peggiorare le condizioni del paziente, permettendo il suo mantenimento nella lista. Il numero di pazienti colpiti da cirrosi epatica sta aumentando: ecco perché negli ultimi 30 anni l'incidenza di tumori del fegato ha visto un costante aumento. Più del 95% dei malati di tumore al fegato è cirrotico, e circa nel 5% dei casi di cirrosi il decorso della malattia porta inevitabilmente al tumore. In più della metà dei casi la cirrosi si sviluppa a causa del virus dell'epatite B o dell'epatite C (il resto è dovuto soprattutto ad abuso di alcol). In Italia i portatori divinis dell'epatite B sono circa un milione, mentre sono circa un milione e dei soggetti con tumore al fegato aveva già una cirrosi epatica causata, nella maggior parte dei casi, da epatite di tipo B oditipo C indubbiamente per fermare questa endemia di cirrosi bisogna soprattutto agire sul fronte della prevenzione, bloccando a monte lo sviluppo della cirrosi. A parte il tradizionale strumento preventivo della vaccinazione (obbligatoria dal rgy), di questo compito si sta incaricando un nuovo tipo di fannaci antivirali. Fino apochi anni fa, contro il virus dell'epatite B si era praticamente impotenti. Ma oggi. grazie a farmaci simili a quelli che si usano contro il virus dell'Hiv, si riesce a bloccare la replicazione del virus in più del 95% dei casi. __________________________________________________ il Giornale 17 mar. ’09 MISCONOSCIUTO .DAGLI ITALIANI IL TUMORE AL COLON CHE IN 90 CASI SU TENTO PUÒ ESSERE BEN CURATO UN INDAGiNE DELL’ UNIVERSITA Di MODENA Gli italiani hanno le idee piuttosto confuse, sui tumori. Lo conferma uno studio condotto su cinquemila soggetti, maschi e femmine, di età superiore ai cinquant'anni, dal professor fonz de Leon, cattedratico a Modena. Questo studio ha accertato che l'ottanta per cento dei soggetti esaminati è «informato> dell'esistenza dei carcinomi del polmone, della prostata, della cervice uterina, della mammella; ma non sa che esiste il tumore del colon retto e che è possibile prevenirne lo sviluppo. Per questo è stato deciso di dedicare il mese di marzo ad una maggiore conoscenza (a livello mondiale) di questa patologia, che solo in Italia fa, ogni armo, quindicimila vittime ma che, affrontata in tempo, può dare risultati molto positivi in novanta casi su cento. Un rapporto della London School af Economics ha messo a confronto il diverso atteggiamento di 17 Paesi europei (prevenzione, screening, diagnosi, terapie, ricoveri ospedalieri, risorse impiegate) nei confronti dei carcinoma rettale. Anche a livello europeo sono stati riscontrati molti ritardi. L'Italia non è ai primi posti tra le cosiddette nazioni virtuose, ma neppure agli ultimi; presenta però differenze abissali tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Nelle prime si hanno buoni risultati sui programmi di screening (specialmente in Emilia- Romagna, Toscana, Umbria. Veneto, Lombardia, Trentino-Alto Adige). AL Sud, invece, con la sola eccezione della provincia di Avellino, tutto è fermo. Due noti oncologi -. il professor Francesco Di Costanzo di Firenze e il professor Roberto La Bianca di Bergamo - hanno definito preoccupante questa situazione: preoccupante e pericolosa insieme perché, hanno spiegato, oggi è possibile bloccare questo tumore. Sul piano terapeutico, la novità più interessante è l'impiego del bevacizumap, un anticorpo monoclonale che è in grado di arrestare la crescita dei vasi sanguigni che nutrono la massa tumorale, con grandi risultati in termini di sopravvivenza, Questo farmaco, come ha ricordato il professor Di Costanzo, può risultare più efficace se somministrato in combinazione con capecitabina, un chemioterapico che colpisce in maniera selettiva le cellule tumorali, intaccandone il DNA ed estendendo il profilo di sicurezza. Da poco più di un anno (febbraio 2008) la Commissione Europea ha approvato l'impiego di capecitabina per il trattamento del carcinoma colon rettale in combinazione con altre strategie terapeutiche. Ma il miglior rimedio resta, come sempre, la prevenzione: dopo i 50 anni almeno un esame specialistico l'anno. ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 apr. 09 NUORO: TROVATO IL GENE DELLA SCLEROSI MULTIPLA È il primo passo verso l'individuazione della cura della terribile malattia, che nel Nuorese incide più che in Italia Eccezionale scoperta dei ricercatori del San Francesco Lo studio, avviato a metà degli anni Novanta nel reparto di neurologia, è stato presentato ufficialmente ieri agli ammalati ed ai loro familiari che in questo modo possono riacquistare la speranza. Si accende una piccola luce di speranza nel buio inferno di una terribile malattia che colpisce i nuoresi più che il resto degli italiani e dei sardi. I ricercatori dell'ospedale San Francesco hanno scoperto che alla sclerosi multipla, malattia devastante per il sistema nervoso, è sempre associato un particolare gene, l'Accn1, presente spesso non solo negli ammalati ma anche nei loro familiari. Se le future ricerche scientifiche riusciranno a trovare la sostanza che inibisce l'attività di questo gene, sarà compiuto un enorme passo in avanti nella lotta questa terribile patologia, che colpisce circa 400 persone in provincia (quella coi vecchi confini) con una media di 157 ammalati ogni 100 mila abitanti, mentre quella nazionale è di poco superiore al 90 per 100 mila. LA RICERCA L'importante risultato della scoperta del gene che si associa alla sclerosi multipla risale al maggio del 2007, ma solo adesso, ultimate tutte le verifiche del caso, è stato ufficializzato. I primi a saperlo, dopo i medici protagonisti dello studio, sono stati ovviamente gli ammalati e i loro familiari, convocati ieri pomeriggio nella sala conferenze dell'ospedale San Francesco per apprendere dalla viva voce dei ricercatori l'importante passo avanti nello studio delle cause della malattia. Inoltre è stato distribuito loro un efficace riassunto dei risultati ottenuti. Nessuna inutile illusione, ma solo la conferma del fatto che il mondo scientifico non è disposto ad arrendersi alla devastante malattia. L'ÉQUIPE La divisione di neurologia dell'ospedale San Francesco (allora diretta da Bruno Murgia, andato in pensione e sostituito nell'incarico da Anna Ticca) ha iniziato lo studio a metà degli anni Novanta, quando fu istituito il registro provinciale dei casi di sclerosi multipla. Il passo successivo è stato quello quello di instaurare una stretta collaborazione con il centro di tipizzazione tessutale, l'associazione Donata Marchi e l'Università di Pavia al fine di avviare uno studio genetico mirato ad individuare i geni responsabili della suscettibilità alla sclerosi multipla. Il registro è stato via via arricchito con l'inserimento dei dati relativi all'albero genealogico di ciascun paziente e contemporaneamente è stata creata una banca dati biologica che custodisce Dna, cellule e plasma dei pazienti e dei loro familiari. LE ANALOGIE Lo stesso risultato ottenuto a Nuoro è stato riscontrato analizzando i dati presenti nello studio della popolazione inglese e di quella finlandese. «Per ora - precisano i ricercatori - si tratta di una evidenza soltanto statistica, cioè basata sull'analisi di dati genetici, mentre la conferma biologica di tale associazione si otterrà solo effettuando esperimenti sul modello animale della sclerosi multipla e su cellule di tessuto nervoso. Tuttavia le possibilità che questa eventualità si realizzi sono buone perché il gene Accn1 è coinvolto in processi di neurodegenerazione e di infiammazione, aspetti caratteristici della sclerosi multipla. Se l'ipotesi sarà verificata, si aprirebbe la possibilità di studiare nuovi tipi di farmaci neuroprotettori ed allo stesso tempo efficaci contro il dolore neuropatico». Fra l'altro le analogie fra Sardegna, Inghilterra e Finlandia sull'incidenza della sclerosi riguardano anche altre patologie, fra le quali la principale è il diabete giovanile. LO STUDIO Per portare a termine la ricerca i medici nuoresi e quelli dell'Università di Pavia hanno preso in esame, nell'intera provincia, 78 nuclei familiari mettendo sotto analisi gli ammalati, i loro genitori ed i fratelli. «Si tratta di un campione molto selezionato - affermano i ricercatori - costituito soprattutto da famiglie con più casi di sclerosi multipla. È infatti probabile che in questo tipo di famiglie esista una componente genetica più forte responsabile della malattia». Il fatto stesso che, comunque, qualcosa si muova in senso positivo nello studio delle misure di contrasto alla sclerosi multipla, serve di conforto a quanti soffrono di questa malattia. Una sofferenza spesso equamente distribuita anche fra i familiari e gli amici, che adesso però possono cominciare a intravedere una luce di concreta speranza. ANGELO ALTEA ______________________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 apr. 09 DENTISTI, SOLO IL 6 PER CENTO È PUBBLICO La denuncia della Cisl: «Asl e Regione devono intervenire per potenziare l'odontoiatria» Mancano piani di prevenzione e cura per bambini e disabili In città la carenza di strutture Asl rappresenta uno dei limiti del servizio odontoiatrico. Curarsi i denti è un lusso anche per i sardi: il Servizio sanitario nazionale fa pochissimo e il 92 per cento delle visite odontoiatriche è a carico dei cittadini. Così non sorprende scoprire - come rivela l'ultimo Rapporto Ceis - che quella odontoiatrica è la spesa sanitaria che più impoverisce i bilanci familiari. Va da sé che chi non può permettersi di spendere, dal dentista non ci va per nulla: secondo l'Istat oltre la metà degli italiani sfugge a ogni tipo di controllo sulla salute della propria bocca. L'insufficiente offerta pubblica (il 6% delle prestazioni) pesa anche a Cagliari, dove il sistema odontoiatrico si regge sui privati, fior fiore di professionisti che soddisfano quasi il 94 per cento della domanda, naturalmente a pagamento. In città esiste una sola struttura della Asl (in viale Trieste, in tutta la provincia sono una decina), oltre a qualche ambulatorio convenzionato. Un punto di riferimento pubblico per i cagliaritani è anche il Policlinico universitario e in campo ospedaliero il Santissima Trinità, unica "unità" complessa di chirurgia maxillo facciale a livello regionale. SOGGETTI DEBOLI Di fronte a questo quadro, gli odontoiatri cagliaritani (762 iscritti all'albo) lanciano l'allarme con particolare riguardo ai bambini e adolescenti, la fascia di popolazione da cui deve iniziare la prevenzione. Sono loro i pazienti più a rischio e con poche difese: uno su 4 a quattro anni ha già i denti cariati, ben la metà a 12 anni. Eppure di odontoiatria infantile pubblica non esiste praticamente nulla. «La carie è una malattia infettiva a carattere cronico-degenerativo - spiega Luciana Cois, segretario dei medici Cisl e pedodontista - bocca e denti possono rappresentare il punto di partenza di importanti patologie che danneggiano organi e apparati di primaria importanza». Se qualcosa si è fatto, soprattutto grazie a iniziative private occasionali (come il Mese della prevenzione dentale, promossa da ditte di prodotti per l'igiene orale), molto deve fare la sanità pubblica. «Bisogna potenziare il servizio cagliaritano per attuare programmi di tutela della salute orale di bambini e adolescenti - è la richiesta fatta alla Asl 8 e alla Regione - manca un'odontoiatria di comunità per un'efficace prevenzione anche su bambini portatori di handicap, particolarmente esposti al rischio di carie e parodontopatie, e che per le loro speciali esigenze hanno più difficoltà a sottoporsi a cure appropriate». Purtroppo per questi pazienti che non sono in grado di collaborare col medico manca una struttura adeguata: qualche intervento in narcosi viene fatto all'ex Diran. «Il Piano sanitario regionale 2006-2008 che - aggiunge Cois - cominciava sulla carta a fare i primi passi in questa direzione è rimasto lettera morta: perciò è importante che si attivi subito un tavolo regionale». OSPEDALI In compenso il reparto di Is Mirrionis è un centro di eccellenza per la terapia e diagnosi delle malformazioni dentoscheletriche. «Facciamo un intervento a settimana», dice il chirurgo maxillo facciale Maurizio Foresti, responsabile del gruppo di studio composto da ospedalieri e universitari «uniti dal desiderio di collaborare nella terapia multidisciplinare: chiediamo alla Asl e all'assessorato alla Sanità di metterci nelle condizioni di migliorare il servizio potenziando i rapporti col territorio». ANDI Nel coro la voce dell'Andi, con i suoi 151 dentisti cagliaritani. «Ai pazienti - dice Severino Mei - bisogna insegnare che la salute della bocca comporta un impegno quotidiano che dura tutta la vita: perciò è necessario lavorare in équipe, affiancando nei gabinetti pubblici e privati, figure come l'igienista, la pedodontista, l'ortodontista, i pediatri: a Cagliari esiste una buona professionalità odontoiatrica, basterebbe un'integrazione fra tutte le figure per ottenere l'eccellenza». CARLA RAGGIO ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 mar. ’09 SPESA PER FARMACI RIDOTTA IN TRE ANNI DI UN MILIARDO Sanità. Il «piano» 2009-2012 Roberto Turno ROMA Una manovra da quasi un miliardo di euro in tre anni. Per abbassare gradualmente il tetto di spesa per la farmaceutica convenzionata - i medicinali venduti in farmacia e a carico dello Stato - dall'attuale 14 al 13,2% dell'intera spesa sanitaria del Ssn a partire dal 2012, ma con effetti sensibili e concreti già dal 2009. Il confronto Cresce il tono del confronto sulla spesa sanitaria in coincidenza con l'avvio del tavolo sul «Patto» 2010-2012 per la salute tra Governo e Regioni. E non esattamente a latere del dibattito sul «Patto» prossimo venturo, ecco che il capitolo-farmaci sta pian piano acquistando uno spazio specifico, col rischio di innescare nuove polemiche tra l'Economia e i governatori, ma anche di riaprire fibrillazioni, polemiche e ragioni di scontro con le industrie farmaceutiche. La nuova contesa sulla spesa farmaceutica pubblica è fin qui rimasta sotto traccia, o quasi. A riaprire il confronto è stata dapprima la questione degli extrasconti ai farmaci sui generici. Il decreto legge, che a dicembre sembrava cosa fatta, è invece rimasto in naftalina. La versione proposta dal Governo scompaginava infatti i giochi e le attese sottoscritte da tutte le parti in causa. Fatto sta che da una parte le Regioni contano di destinare i maggiori risparmi per ripianare almeno in parte l'extradeficit della spesa farmaceutica ospedaliera, quantificato dall'Aifa in 1,3 miliardi a novembre scorso, e dunque destinato a crescere col consuntivo 2008. Risparmio che invece qualcuno contava di destinare ai farmaci innovativi. E che l'Economia ha poi cominciato ad accarezzare pensando in qualche modo di accaparrarselo, vuoi per trattare con un gruzzoletto in più la partita del fondi al Ssn dal 2010 in poi, vuoi come mini tesoretto sempre utile in tempi di crisi e di finanza pubblica che deve grattare il fondo del barile per far tornare i conti. Una partita ingarbugliata A questo punto però la partita s'è ingarbugliata ancora di più. Del decreto sugli extrasconti si sono perse le tracce, salvo i rumors che puntualmente ogni settimana si ripetono su un suo possibile sbarco in Consiglio dei ministri. Con il «Patto» per la salute sempre in sospeso, però, finora niente è accaduto. E a questo punto dal ministero dell'Economia sono spuntate nuove ipotesi, scritte nero su bianco su una bozza di provvedimento. Per la spesa farmaceutica convenzionata territoriale, così, il tetto del 14% scenderebbe già nel 2009 al 13,6%, nel 2010 al 13,4 e nel 2011 al 13,2 per cento. Da notare che nel 2008, stando ai dati Aifa di novembre la spesa sarebbe stata sotto il tetto del 14% per 160 milioni. E che dal 2003 al 2007 la farmaceutica convenzionata ha fatto segnare un calo del 4,8%, a fronte di un consistente aumento di tutte le altre voci di spesa sanitaria. Va da sé che l'Economia punta a incassare i risparmi, o quanto meno di utilizzarli nel finanziamento della spesa sanitaria dal 2010 in poi. Mentre le Regioni non ci stanno. E le industrie neppure. Insomma, la partita è apertissima. ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 mar. ’09 E-HEALTH: MIGLIORARE LA SANITÀ E L'ASSISTENZA SANITARIA ATTRAVERSO LE TECNOLOGIE INFORMATICHE E TELEMATICHE Da qualche anno si registra a livello europeo una crescente domanda di servizi sociali e sanitari, determinata dall'invecchiamento della popolazione e dall'incremento del livello di reddito, cui si contrappone una limitazione dei mezzi finanziari destinati a tali servizi. Parallelamente, crescono le aspettative dei cittadini e la mobilità sia dei pazienti sia degli operatori sanitari. Le amministrazioni pubbliche hanno cosi difficoltà a gestire i servizi a causa anche della vasta mole di informazioni mediche. Il Piano d'azione e- health, prospetta le possibilità d'impiego delle tecnologie informatiche e telematiche (ICT) al fine di migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria in tutta Europa, mantenendo i costi stabili o riducendoli, abbreviando i tempi di attesa e diminuendo gli errori. Il piano d'azione ha per obiettivo la creazione di uno «spazio europeo della sanità elettronica» ed indica misure concrete per la sua realizzazione, puntando sull'applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche per le ricette, le cartelle mediche, l'identificazione dei pazienti e le tessere sanitarie , attraverso una più rapida installazione di reti Internet a banda larga destinate ai sistemi sanitari. L'obiettivo ultimo è far sì che, entro la fine del decennio, la sanità in rete entri nella quotidianità degli operatori della sanità, dei pazienti e dei cittadini. Obiettivo principale dell'e-health è quindi, il poter sfruttare il potenziale dei sistemi e dei servizi della sanità in rete nell'ambito di uno spazio europeo della sanità elettronica. Un aspetto interessante è dato dalla possibile interoperabilità dei sistemi di informazione sanitari, dettata dalla necessità di identificare i. pazienti e di trasmettere delle informazioni sanitarie che siano uniformi in tutti i paesi europei. Questo può avvenire tramite modalità uniformi atte all'identificazione dei pazienti e di interoperabilità ai fini dello scambio per via telematica di dati clinici e cartelle mediche informatiche, tenendo conto delle migliori prassi e degli sviluppi nel campo della normalizzazione, in ambiti quali quello della carta europea di assicurazione sanitaria e della gestione dell'identità dei cittadini europei. Lo sviluppo di sistemi e servizi online in definitiva è mirato a consentire un maggior contenimento dei costi, l'incremento della produttività nel campo della fatturazione e dell'archiviazione, la diminuzione degli errori medici, la riduzione delle prestazioni non giustificate, nonché una migliore qualità dell'assistenza sanitaria. ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mar. ’09 FSE & PRIVACY. LE LINEE GUIDA DEL GARANTE Fascicolo sanitario, nella Rete solo con il consenso I PALETTI Il paziente potrà indicare il personale autorizzato alla consultazione di documenti e referti per un periodo limitato Antonello Cherchi ROMA La storia sanitaria personale contenuta in un documento informatico, che i medici potranno scambiarsi e leggere prima di decidere come intervenire. È il progetto del fascicolo sanitario elettronico (Fse), per il quale il piano di e- government del Governo prevede l'attivazione entro il 2012, con un costo di 90 milioni. Intanto, però, è iniziata la sperimentazione e il Garante della privacy ha deciso di indicare alcuni principi in modo che la novità tecnologica sia in linea con la protezione della riservatezza dei dati. Si tratta, per il momento, di linee guida interlocutorie, perché l'Authority, seguendo una procedura già adottata in altre occasioni, ha deciso di aprire un dibattito sul documento. La consultazione pubblica è rivolta agli esperti del settore (organismi e professionisti sanitari pubblici e privati, medici di medicina generali, pediatri di libera scelta, organismi rappresentativi di operatori sanitari, associazioni di pazienti) che entro il 31 maggio prossimo potranno inviare le loro osservazioni per lettera o servendosi dell'indirizzo mail fse@garanteprivacy.it. Le indicazioni dell'Authority si rivolgono sia al Fse sia al dossier sanitario. La differenza tra i due consiste nel fatto che il primo è formato dagli eventi clinici (referti, documentazione su ricoveri, accessi al pronto soccorso , eccetera) occorsi a una persona ma con riferimento a medici e strutture sanitarie differenti. Insomma, è la vera memoria storica dello stato di salute di ciascuno di noi. Il dossier, invece, è costituito dai documenti custoditi da un solo organismo sanitario (per esempio, un ospedale, una clinica privata, un laboratorio di analisi). Per le strutture sanitarie non esiste, al momento, un obbligo di predisporre né il Fse né il dossier. Per questo il Garante insiste sul fatto che, laddove si decida di passare all'azione, venga data al paziente, attraverso un'informativa chiara, la possibilità di scegliere se essere inserito nel dossier o nel fascicolo elettronico. Specificando che un eventuale rifiuto non pregiudica le cure da parte del sistema sanitario. Nel caso il paziente dica "sì", deve avere la possibilità di esprimere un consenso modulare: può decidere di oscurare (anche temporaneamente) alcuni eventi clinici così come consentire l'accesso al Fse solo a determinate figure sanitarie (per esempio, il medico di famiglia e il farmacista). La consultazione dovrebbe, comunque, essere circoscritta nel tempo e riferita al solo momento delle cure ed essere limitata alle informazioni di pertinenza di chi accede al Fse. Al dossier e al Fse può accedere anche il diretto interessato, per esempio attraverso una smart card, ma con le dovute cautele (si pensi ai referti o agli esiti di consulti che, in situazioni normali, è necessario siano comunicati da un medico). Altra raccomandazione è che i soggetti abilitati a consultare i nuovi documenti elettronici siano identificati con chiarezza. Poiché il progetto ha finalità esclusivamente di cura e riabilitazione, l'accesso al dossier o al Fse deve essere precluso a periti, compagnie di assicurazione, datori di lavoro, associazioni o organizzazioni scientifiche, organismi amministrativi, personale del settore medico-legale. ______________________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 apr. ’09 OBIETTIVO CARTELLA ELETTRONICA Il Politecnico di Milano analizza le strategie di sviluppo dei Chief information officer II 75% investe sulla dematerializzazione, il 60% sulla sicurezza dei pazienti Paolo Locatelli, Cristina Masella, Paolo Trucco L'Information & communication technology, nel settore della Sanità italiana, ricopre un ruolo sempre più rilevante a livello strategico e acquisisce i contorni di uno strumento con grandi potenzialità di supporto all'efficacia ed efficienza dei servizi sanitari. Questo è lo scenario emerso dalla ricerca effettuata dall'Osservatorio Ict& Ciò in Sanità, che ha coinvolto oltre cento Chief information officer (Ciò) di altrettante aziende sanitarie italiane, pubbliche e private. Gli ambiti applicativi strategici, in termini di priori!, nell'innovazione delle strutture sanitarie, intensità di investimento e impatto sui processi aziendali, sono tre: • la cartella clinica elettronica; le applicazioni per la sicurezza del paziente (gestione del rischio clinico); la telemedicina. I Ciò che hanno partecipato alla ricerca, hanno indicato il livello di investimenti pianificati nel prossimo futuro per questi tre ambiti. I maggiori investimenti si focalizzano sulla cartella clinica elettronica: solo un quarto del campione non prevede investimenti rilevanti su questo ambito. Le applicazioni a supporto della gestione del rischio clinico sono un'area di investimento medio-alto per quasi il 60 per cento delle strutture analizzate, mentre la telemedicina risulta essere un tema ancora piuttosto prematuro (oltre la metà del campione infatti non prevede che ci saranno investimenti significativi nel prossimo futuro in questa area). La Cartella clinica elettronica Nella corso della ricerca condotta dall'Osservatorio, sono state identificate con l'accezione di cartella clinica elettronica tutte le soluzioni Ict a supporto della relazione tra il personale medico-infermieristico e il paziente, in ambito di reparto ospedaliere ambulatoriale o domiciliare. Tra i possibili applicativi che possono essere implementati in una cartella clinica elettronica, l'analisi mostra la maggiore diffusione delle soluzioni a supporto della gestione dei dati amministrativi (dati del paziente, legati all'evento di ricovero o visita ambulatoriale) e delle applicazioni di gestione delle informazioni diagnostiche (immagini e dati di laboratorio), con presenza di sistemi esecutivi in tutta la struttura rispettivamente nel 70 per cento e nel 62 per cento dei casi. La situazione è molto diversa invece per le funzionalità di gestione dei dati medici e infermieristici e, soprattutto, per la gestione della prescrizione e somministrazione dei farmaci: sono molte le realtà che non hanno ancora attivato sperimentazioni in questi ambiti (28 per cento e 38 per cento rispettivamente) e solo in pochi casi sono presenti strumenti esecutivi a livello di intera azienda o di reparto (22 per cento e 16 per cento rispettivamente). Gli sponsor aziendali che promuovono più frequentemente lo sviluppo di progetti di cartella clinica elettronica sono la Direzione generale e la Direzione sanitaria, seguiti dai Ciò e dai pri mari. Il ruolo dei dipartimenti diagnostici è rilevante nella promozione delle applicazioni che supportano la gestione informatizzata di referti e immagini diagnostiche, mentre il Servizio infermieristico è attivo nel promuovere gli strumenti che supportano la gestione dei dati clinici. Dal punto di vista delle soluzioni tecnologiche utilizzate per realizzare la cartella clinica elettronica, dalla ricerca è emerso che i sistemi informatici in uso sono eterogenei e compositi: tipicamente viene realizzato un applicativo di cartella clinica elettronica integrando prodotti specialistici acquisiti sul mercato, componenti fornite dalle strutture regionali e componenti sviluppate ad hoc dai Sistemi informativi interni all'azienda o da fornitori esterni. Le applicazioni per la sicurezza del paziente... Gli eventi clinici avversi sono responsabili dell'invalidità o della morte di migliaia di persone ogni anno e hanno anche un significativo impatto sui costi del sistema sanitario. La sicurezza del paziente, quindi, rappresenta un indicatore della capacità di progettare e gestire organizzazioni sanitarie in grado di perseguire al tempo stesso obiettivi di miglioramento dell'efficienza e di innalzamento degli standard di qualità delle cure prestate. La ricerca ha esplorato, nell'ambito della gestione del rischio clinico, il grado di maturità delle soluzioni Ict per la sicurezza del paziente nelle strutture sanitarie italiane. I risultati mostrano che, fino a oggi, c'è una scarsa diffusione di soluzioni già operative (mai superiore al 40 per cento). Le aree in cui si registra un maggior grado di consolidamento sono quelle che insistono sui processi trasfusionali e gestione del farmaco. Le applicazioni a supporto della sicurezza dei processi e dei dispositivi medici sono ancora poco diffuse, mentre l'ambito del controllo e tracciamento dei processi clinici è quello maggiormente considerato nelle valutazioni di futuri sviluppi applicativi (39 per cento sul totale delle applicazioni di segnalazione e controllo di sicurezza del paziente). A una ridotta maturità delle soluzioni, si affianca anche una scarsa considerazione da parte delle direzioni: più del 75 per cento delle attuali applicazioni in uno stadio esecutivo sono state realizzate in strutture in cui l'area della sicurezza del paziente è considerata a bassa priorità di investimenti in Jet. LA TELEMEDICINA L'applicazione di telemedicina più diffusa è il teleconsulto, che risulta essere operativo a regime - in tutta la struttura o in alcuni reparti - in quasi un terzo dei casi studiati (30 per cento), e in sperimentazione in circa il 25 per cento delle aziende incluse nel campione dell'analisi condotta dall'Osservatorio. Risulta, invece, ancora molto di frontiera il servizio di telesurgery, del tutto assente nell'87 per cento delle strutture analizzate, mentre i servizi di telemonitoraggio e di teleformazione sono in una fase di sperimentazione e di introduzione avanzata, rispettivamente nel 27 per cento e nel 25 per cento delle strutture analizzate. Dall'analisi dei dati emerge che un ruolo decisivo nella sponsorship delle innovazioni di telemedicina è svolto dalla direzione strategica, principale promotore dell'introduzione di queste applicazioni in oltre i due terzi delle strutture analizzate (63 per cento), mentre il Ciò si limita ad avere prevalentemente un ruolo di supporto, ricoprendo il ruolo di sponsor dei progetti solo nel 22 per cento dei casi. Paolo Locatelli, Cristina Masella, Paolo Trucco School of Management Politecnico di Milano (Quarto di una serie di articoli. I precedenti sono stati pubblicati su «II Sole-24 Ore Sanità» nn. 42 e 4712008 e 4/2009) Livello di investimenti pianificato nel prossimo futuro Esempi di progetti aziendali : Niguarda Ca* Granda Cartella elettronica) L'Ao Niguarda di Milano è una struttura sanitaria di rilievo nazionale. Al suo interno i Sistemi informativi si occupano di gestione, ricerca e sviluppo di numerosi progetti informatici. Tra i progetti relativi al 2008 spiccano il potenziamento del dossier clinico di reparto, con la sua attivazione anche in terapia intensiva, e la diffusione dell'utilizzo del dossier clinico ambulatoriale, con l'utilizzo anche di palmari per il supporto delle attività di accettazione del paziente. Il dossier clinico è il cuore delle soluzioni informatiche per l'area clinica in Niguarda. Questo sistema è nato come portale operativo di reparto e si è evoluto in seguito con l'obiettivo di gestire il fascicolo sanitario, anche in mobilità, nei reparti. Il dossier clinico integra gli applicativi già in uso in reparto (richiesta e consultazione degli esiti di diagnostica di laboratorio e radiologica, gestione amministrativa del paziente, lettera di dimissione ecc.) con una nuova modalità di registrazione delle annotazioni mediche e infermieristiche (diario clinico), con particolare attenzione alla comunicabilità del dato clinico, per una facile e veloce consultazione, anche in mobilità con Pc Tablet connessi alla rete Wireless. Il dossier clinico è stato esteso secondo due dimensioni nell'ultimo anno: da un lato il supporto dei processi clinici in reparti più complessi, come la Terapia intensiva, con integrazione con gli apparati di monitoraggio dei parametri vitali del paziente; dall'altro l'integrazione con le reti di patologia regionali, con meccanismi che permettono di condividere automaticamente informazioni strutturate relative a visite o degenze svolte negli ambulatori e nei reparti Niguarda con altre strutture sanitarie sul territorio. Azienda ospedaiiera "Ospedaii Riuniti" dt Bergamo \ {Gestione del tixbioi \ II progetto Farmasafe@, implementato a partire dall'inizio del 2005 nell'Azienda ospedaliera di Bergamo, ha consentito ai pazienti che ricevono cure e sono sottoposti a interventi chirurgici di ricevere terapie farmacologiche erogate con maggiore sicurezza, senza consumo di carta per la prescrizione, evitando problemi di trascrizione e interpretazione delle stesse, e una tempestività di allestimento della terapia resa possibile dall'informatica. Partito per essere un progetto di informatizzazione del ciclo del farmaco, con l'obiettivo di riduzione dei costi di gestione (una delie voci di spesa più significative per le strutture sanitarie), il progetto Farmasafe@ è diventato presto uno strumento di punta per il controllo del rischio clinico, catalizzando una quota rilevante degli investimenti in tecnologie Ict dell'Azienda ospedaliera. La sicurezza del paziente è un requisito essenziale, ed è stata ottenuta attraverso il supporto alla prescrizione medica e il controllo delle attività di approvvigionamento, preparazione e somministrazione dei farmaci. Al momento 27 dei 42 reparti dell'AO hanno il ciclo del farmaco completamente informatizzato e si prevede l'entrata a regime dell'applicazione sull'intera struttura entro il giugno del 2009. La crescente attenzione ai temi della sicurezza da parte della Direzione strategica ha portato la Direzione dei Si a migliorare la propria capacità di supporto alle attività di reparto e a incrementare l'integrazione di molteplici aspetti di sicurezza, dal controllo degli accessi alle funzioni di warning e verifica della corretta esecuzione delle attività cliniche. Asl Vallecamonica Sebino (Telemedicina) A causa delle difficoltà di collegamento nel territorio, dovute alla tortuosità dei percorsi montani, l'Asl Vallecamonica-Sebino ha deciso di ricorrere all'utilizzo di applicazioni di telemedicina. Finora la più rilevante applicazione attiva nel territorio è il progetto Telemaco (Telemedicina Ai piccoli Comuni lombardi), che si pone l'obiettivo di offrire adeguati livelli di assistenza sanitaria ai cittadini residenti nei piccoli comuni della Lombardia. L'Asl Vallecamonica- Sebino aderisce, a partire dal 2006, a tutti i servizi offerti da Telemaco, ovvero i percorsi di telesorveglianza domiciliare (per pazienti affetti da Scompenso cardiaco cronico - Scc - e Broncopneumopatia cronica ostruttiva Bpco), Teleconsulto specialistico al medico di famiglia (per problemi nelle specialità di cardiologia, dermatologia, diabetologia e pneumologia) e il Teleconsulto su immagini (per casi di ictus e trauma cranico). A oggi, il servizio maggiormente diffuso è il Teleconsulto specialistico cardiologico che prevede la trasmissione di un Ecg e un consulto telefonico con un cardiologo di riferimento. È stato infine predisposto un servizio di Teleconsulto su immagini che può essere utilizzato per la trasmissione tra diversi ospedali di immagini Tac relative a pazienti che necessitano di tempestivo intervento. Grazie a tali esperienze, l'AsI Vallecamonica-Sebino è oggi un'azienda che ha le potenzialità per sviluppare ulteriormente i servizi offerti dalla Telemedicina, anche grazie all'esistenza di una buona rete territoriale che nel futuro potrebbe diventare ancora più vasta. ______________________________________________________________________ Corriere della Sera 6 apr. ’09 PRIVACY: OSPEDALI SOTTO ACCUSA Riservatezza La punta dell'iceberg sono le settanta denunce nel 2008 per violazione della protezione dei dati personali Online Risonanze magnetiche, analisi del sangue, risultati di sperimentazioni cliniche possono essere «intercettati» su Internet Ospedali: addio alla privacy Si moltiplicano gli esposti al Garante: troppo «in vista» malattie, esami, farmaci Simona Ravizza Nell'ascensore del Brigham and Women's Hospital di Boston è appeso un cartello rivolto a medici e infermieri: «The elevator is a public area, do not make any comments on your patients while you are here». («L'ascensore è un luogo pubblico, non fate commenti sui vostri ammalati»). Una prova di sensibilità ancora inesistente in Italia. Qui troppo spesso gli ospedali si trasformano nella casa del Grande Fratello. Lo confermano i reclami arrivati nel 2008 al Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti. Settanta esposti (praticamente il doppio rispetto al 2007) che rappresentano la punta dell'iceberg del diritto alla riservatezza, calpestato quasi quotidianamente in corsia. Il Corriere della Sera è riuscito ad ottenerli (senza però il nome dei pazienti per rispetto, ovvio, della privacy). Nella top ten dei casi più frequenti nell'ultimo anno: (1) malati chiamati per nome in sala d'aspetto; (2) studi medici non insonorizzati che permettono di seguire in diretta le visite a chi è in attesa; (3) risultati degli esami consegnati sotto gli occhi dei pazienti in fila o (4) previa firma di un registro con altri nomi di malati; (5) raccolta in un luogo pubblico di informazioni sulle proprie malattie e su quelle sofferte in famiglia; (6) moduli da consegnare al datore di lavoro con il dettaglio delle cure ricevute; (7) pacchi portati a casa con il nome del farmaco ordinato in bella vista; (8) assegni per invalidità con stampato a grandi lettere «Liquidazione pagamento malati di mente»; (9) radiografie digitali visibili online dai medici dell'ospedale; (10) dati di cittadini che si sono sottoposti a sperimentazioni farmaceutiche diffusi senza il loro consenso. Ospedali sotto accusa, insomma, per violazione della privacy. Il 2009 è iniziato con lo scandalo dei malati ripresi all'ospedale Molinette di Torino da infermieri del Pronto soccorso e messi su Facebook. Ma l'elenco dei diritti negati è lungo. In gioco c'è la dignità dei pazienti, tutelata tra l'altro da un provvedimento del Garante del 9 novembre 2005 (www.garanteprivacy.it, documento web numero 119/411). «In materia di trattamento dei dati personali in ambito medico gli organismi sanitari devono adottare misure di carattere supplementare - dice l'Autorità per la privacy -. Vanno presi tutti gli accorgimenti opportuni per garantire il più ampio rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità degli interessati, nonché del segreto professionale». Disposizioni troppe volte trascurate. Lamenta un utente del servizio di audiologia di un policlinico siciliano: «Quando viene fatto l'appello dei pazienti in attesa, i nomi non vengono pronunciati a breve distanza, né tantomeno associati a un codice alfanumerico. Medici e infermieri spesso li urlano sguaiatamente». In un ospedale universitario dell'Emilia Romagna è andata su tutte le furie una neomamma che al momento del ritiro della mammografia si è vista consegnare la cartella sanitaria sul banco della reception con i risultati ben visibili ai presenti: «In alto a destra, in grassetto e ulteriormente evidenziato con un cerchio, c'era la sigla Hiv+ assieme ai dati anagrafici». Il ritiro dell'esito del test per l'Hiv è contestato anche da un uomo costretto a firmare un registro: «Che fine ha fatto la privacy? - domanda al Garante -. Io ho potuto tranquillamente leggere il nome di chi ha firmato prima di me, altri lo faranno con il mio». A Milano una malata di diabete è stata messa in imbarazzo da un'infermiera che ha reso pubblica la sua malattia: «Mi ha chiesto a voce molto alta come mai avevo indicato sul modulo sanitario che ero portatrice di un microinfusore di insulina. Tutti hanno conosciuto il mio stato di salute». Sbagliato rassegnarsi. Le disposizioni dell'Autorità per la privacy sono chiare. Nello svolgimento dei colloqui e nei casi di raccolta della documentazione di anamnesi, è prevista l'adozione delle misure necessarie a evitare che le informazioni sulla salute possano essere conosciute da altri. Gli interessati in sala d'aspetto devono essere chiamati in modo da non essere resi riconoscibili (per esempio, attribuendo loro un codice numerico o alfanumerico fornito al momento della prenotazione o dell'accettazione). Ma non finisce qui. Il cahier de doléance non racconta solo di malati messi alla berlina. Nel mirino dei cittadini sono finiti anche certificati per assenza dal lavoro e assegni d'invalidità considerati lesivi della privacy. «Mi è stato consegnato un documento che contiene dati sensibili come il reparto in cui sono stato curato e la specializzazione del medico che mi ha seguito», denuncia un lavoratore che si è rivolto a un'Asl veneta. Il recapito a domicilio di medicine contro l'incontinenza ha messo a disagio un invalido Inail: «Chiunque veda il pacco può facilmente conoscere il disagio fisico di cui sono affetto - ha scritto -. Il tutto senza il mio consenso». Ha spinto a chiedere più tutele al Garante anche l'accesso, ritenuto troppo semplice, ai risultati di risonanze magnetiche (messe online sui Pc di un ospedale di Milano) e a quelli di analisi del sangue raccolte all'interno di sperimentazioni cliniche. Mai arrendersi. Per presentare un esposto basta scrivere al Garante senza particolari formalità, anche via mail (piazza di Monte Citorio 121, 00186 Roma, garante@garanteprivacy.it). Con il suo intervento, solo nel 2008, l'Autorità per la privacy ha fatto trasferire negli ospedali denunciati gli ambulatori dedicati alle visite (per non fare ascoltare i colloqui con il medico a chi è in attesa), introdurre codici alfanumerici al posto della chiamata nominativa dei pazienti, inserire le cartelle ambulatoriali in un contenitore con una finestrella trasparente, in modo tale da rendere visibili all'esterno solo i dati indispensabili al ritiro del referto, eliminare dai moduli utilizzati per fini amministrativi il riferimento ai reparti. La ditta che fornisce prodotti per l'incontinenza ha dovuto cambiare le etichette sui pacchi postali; dagli assegni destinati ai giovani con problemi psicologici è stato eliminato ogni riferimento alla malattia sofferta. A Milano medici e infermieri hanno dovuto seguire un corso di formazione sulla raccolta dei dati di anamnesi tra i malati. Spesso è solo questione di educazione. sravizza@corriere.it