RASSEGNA 19 APRILE 2009 UNIVERSITÀ MAI OSTAGGIO DEI PRIVATI - ATENEI, COSÌ SARANNO PREMIATI I VIRTUOSI - «BENE, MA I DOCENTI ORA REAGIRANNO» - RICERCATORI, CONCORSI AL PALO - ATENEI, CONCORSI DIFFICILI IN AREE CON MENO DOCENTI - RICERCA, I FONDI NON PREMIANO CHI FA L'ECCELLENZA - DELLA LOGGIA: L'EGUALITARISMO HA ROVINATO L’ISTRUZIONE - L'ITALIA CHE NON PREMIA IL MERITO CI COSTA 2.500 EURO A PERSONA - QUANTO COSTANO I RACCOMANDATI - MILIONARI DA NUMERI PRIMI - SCIENZIATO E GENTILUOMO - SE LA RICERCA È CREATIVA - UNIVERSITÀ, L'ITALIA IMPORTA CERVELLI - MA IN EUROPA SIAMO ANCORA GLI ULTIMI - NEGLI ATENEI VIRTUALI L'UNICA COSA REALE È LA RETTA DA PAGARE - BUROCRAZIA BATTE INTERNET - COPIATA UNA TESI SU DUE - ======================================================= OSPEDALI, TAGLIO PER 27MILA POSTI LETTO - IL GOVERNO TAGLIA I POSTI LETTO, LA REGIONE NON CI STA - SPERIMENTATO NUOVO FARMACO CHE CANCELLA LE CICATRICI - CON LE PIASTRINE SI RIGENERANO I TENDINI INFIAMMATI - COME RECUPERARE IL RITMO CARDIACO - PAPILLOMA VIRUS AL TAPPETO - LA PSORIASI E I PROBLEMI DEI PAZIENTI IN PRIMAVERA - LA MAPPA DEL GENOMA E LE MALATTIE IMPREVEDIBILI - IL MELANOMA È LA QUARTA NEOPLASIA IN AUSTRALIA, la sesta negli Stati Uniti - BOTULIONO_ E’ ANCHE UNA VERA CURA - DA ARMA BIOLOGICA «MANCATA» AD ELISIR - VENT'ANNI DI SUCCESSI, MA ANCORA NON SI SA QUANTO SIA SICURO - I GENI A SOSTEGNO DELL' AYURVEDICA - ======================================================= ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 apr. ’09 UNIVERSITÀ MAI OSTAGGIO DEI PRIVATI I cinque candidati a confronto con il personale amministrativo MARIO GIRAU CAGLIARI. Cinque professori contemporaneamente sotto esame era da un po’ che non si vedevano. C’è voluta la corsa, ormai lanciata, alla successione di Pasquale Mistretta per sottoporre Maria Del Zompo, Gavino Faa, Giovanni Melis, Raffaele Paci e Antonio Sassu alla valutazione di una commissione esigente: il personale dell’Università convocato da Cgil, Cisl e Uil per “interrogare i futuri rettori”. Risultato? Giudizio sospeso, niente standing ovation, l’applausometro è schizzato in alto solamente quando Sassu ha dichiarato che “la politica del personale non si può fare con la circolare Brunetta”. Per il resto battimani da bon ton del galateo. Banditi i toni da campagna elettorale, molto soft i riferimenti al curriculum individuale, indicato come unica stella polare per non sbagliare nella scelta del rettore. «Anche se bisogna riconoscere - ha aggiunto la Del Zompo - che non sono indifferenti carattere e personalità per un ruolo di coordinamento e confronto». S’è parlato molto di ricerca, organizzazione, personale, rapporti col territorio e governance. Solenne la promessa corale davanti ai rappresentanti di 1190 amministrativi e tecnici: l’Università di Cagliari dovrà rimanere totalmente pubblica, autonoma, a finanziamento statale, perché le “Fondazioni non risolvono i problemi”, ha chiarito Giovanni Melis. Contro la politica dei tagli annunciata dal “decreto Gelmini”, l’unica strada percorribile è il potenziamento della ricerca, unità di misura per attrarre fondi pubblici. Gavino Faa ha promesso che uno dei suoi primi atti sarà l’apertura di un ufficio europeo, “per portare fondi comunitari” sotto la torre dell’Elefante. Raffaele Paci ha già individuato le direttrici: riorganizzazione, premialità, merito e valutazione. Il futuro rettore, qualunque sia il suo nome, teme il rischio dell’autoreferenzialità, che l’Ateneo si chiuda in una torre d’avorio avulsa dalla città e dalla regione. «Con la ricerca si fa la fertilizzazione del territorio», ha spiegato efficacemente Antonio Sassu, che invita i 1200 docenti (compresi 540 ricercatori) a potenziare il connubio università- territorio. «Il servizio più richiesto dagli studenti - ha detto Gavino Faa - è farci carico dei loro problemi ordinari: casa e trasporti prima di tutto». Con un appello-critico alla città: «Cagliari non ha capito l’importanza dell’Università». Neppure quella economica. È stato calcolato che ciascuno dei 20 mila studenti fuori sede spende ogni mese 1000 euro e un assegno mensile di 20 milioni merita maggior attenzione e sensibilità, forse addirittura un vero quartiere universitario da Castello all’Orto botanico, da piazza Yenne a piazza d’Armi. Ricerca e didattica in cima alle preoccupazioni dei futuri rettori, ma supportate da una macchina amministrativa e tecnica oliata, ancor meglio se decentrata - secondo Melis - “per dare più potere a facoltà e dipartimenti”. Qualche brusco colpo di timone e cambiamento di rotta immediato l’Universià cagliaritana se lo deve aspettare. Per risolvere il precariato: alcuni ricercatori da ben 16 anni lasciati “tra coloro che son sospesi”. Per scorporare dall’Università le 130 persone che fanno parte dell’azienda mista. Per risolvere i conflitti di competenza tra Senato accademico e Consiglio di Amministrazione. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 16 apr. ’09 ATENEI, COSÌ SARANNO PREMIATI I VIRTUOSI Università Snellita la struttura introdotta dal precedente governo. Al via dopo l' estate Pronta la riforma dell' Agenzia di valutazione: stabilirà i parametri per assegnare i fondi A disposizione un fondo annuale di 7,5 miliardi: il 7% è riservato ai centri di maggiore qualità ROMA - Il progetto risale al precedente governo: un' agenzia che valuta l' operato di atenei e enti di ricerca, dà i voti e premia quelli che si distinguono con maggiori fondi. Ma l' Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e delle ricerca (Anvur), ridisegnata dal ministro dell' Istruzione Mariastella Gelmini, in approvazione al prossimo consiglio dei ministri, punta a semplificare la creatura messa in campo nel 2006 dall' esecutivo di Prodi e a renderla finalmente operativa. L' Agenzia avrà tre compiti: fare una valutazione esterna della qualità delle attività di università e enti di ricerca pubblici e privati cui vanno i finanziamenti pubblici; coordinare l' operato dei nuclei di valutazione interni agli stessi soggetti valutati; passare in esame i programmi statali di finanziamento e incentivazione della ricerca e dell' innovazione. Tra l' altro sarà sempre l' Anvur a stabilire i requisiti per aprire nuovi atenei, sedi distaccate o corsi di studio. I risultati di questi esami giocheranno un ruolo importante nella ripartizione dei fondi statali, in particolare di quella parte destinata a sostenere le situazioni di maggiore qualità, pari al 7% dei complessivi 7,5 miliardi annui del Fondo di finanziamento ordinario. L' assegnazione delle risorse spetterà sempre al ministero, ma l' Agenzia dovrà proporgli i parametri di ripartizione in base alla qualità dei risultati. Tutto questo dovrà avvenire nel rispetto della massima trasparenza: l' Agenzia è tenuta a rendere pubblici i risultati delle proprie analisi, che saranno quindi consultabili dai cittadini. Le istituzioni esaminate avranno la possibilità, per una sola volta, di ottenere il riesame della valutazione. Ogni due anni l' Agenzia, che potrà avvalersi delle banche dati ministeriali, stilerà un rapporto che riguarderà l' intero sistema dell' università e della ricerca. L' Anvur, che avrà sede a Roma, sarà guidata da un presidente scelto dal ministro tra i sette membri del Consiglio direttivo, affiancato da un Comitato esecutivo, che a sua volta sarà nominato dal ministro attraverso comitati di selezione internazionali. A gestire la parte amministrativa dell' agenzia sarà chiamato un direttore generale. Il nuovo regolamento dell' Anvur tiene conto delle osservazioni formulate dal Consiglio di Stato sul precedente provvedimento, snellendo la struttura dirigenziale con un risparmio di 400 mila euro, e ispirandosi all' Aeres, l' agenzia francese istituita nel 2007. La dotazione iniziale sarà di 5 milioni annui integrabili dal ministero competente. L' obiettivo è quello di fare entrare in funzione l' organismo al più presto, già dopo l' estate. A questo scopo è stato consentito, in attesa della costituzione dell' organico, l' utilizzo di forme contrattuali flessibili. Antonella Baccaro * * * Il modello e le nuove modifiche Con Mussi Durante il governo Prodi fu concepita l' Anvur, l' Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. La legge istitutiva entrò in vigore il 29 novembre 2006, ma di fatto non fu mai attuata Con Gelmini La nuova agenzia, così come è stata ripensata, ha una struttura semplificata. Valuterà le eccellenze universitarie alle quali sarà poi distribuito il 7% dei 7,5 miliardi annui del Fondo di finanziamento ordinario Baccaro Antonella ______________________________________________________________ Corriere della Sera 16 apr. ’09 «BENE, MA I DOCENTI ORA REAGIRANNO» ROMA - «È importante che si sia fatto un altro passo verso la valutazione. L' università è sotto attacco ogni giorno». L' ex ministro Luigi Berlinguer apprezza la decisione del governo di far decollare l' agenzia di valutazione. Servirà a rendere l' università più virtuosa? «Sì. Il cammino è difficile. Solo una convergenza delle forze politiche può assicurare il successo perché la reazione di una parte del mondo universitario non sarà pacifica». Ci aveva già provato Mussi. «È importante che si stia attuando una legge del governo Prodi. La Gelmini non pratica lo sport di cancellare quello che è stato fatto prima. Si è perso un anno. Ora bisogna procedere rapidamente: la valutazione è urgente». La convince il nuovo testo? «Il presidente del comitato di valutazione sarebbe nominato dal governo. Nel testo di Mussi era eletto dal comitato stesso. Spero in un ripensamento». G. Ben . Benedetti Giulio _____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Apr. ‘09 RICERCATORI, CONCORSI AL PALO Università. Dopo cinque mesi ancora inattuata la riforma -Stretta del ministero sulle promozioni Mancano i criteri per valutare titoli e pubblicazioni dei candidati Gianni Trovati MILANO Dal decreto Gelmini sull'università sono passati più di cinque mesi, ma delle regole ministeriali per valutare titoli e pubblicazioni nei concorsi da ricercatore non c'è traccia. È solo l'ultimo tassello mancante all'attuazione delle nuove regole scritte a novembre con decretazione d'urgenza per riformare i concorsi e tagliare le combine baronali, mala sua assenza si fa sentire. «Senza il provvedimento - ha scritto l’associazione dei precari della ricerca in una lettera indirizzata al ministro Mariastella Gelmini -i posti da ricercatore rimangono bloccati, e il decreto legge 280 rimane una bella promessa, non mantenuta». L'impasse coinvolge i concorsi da ricercatore banditi dopo il 10 novembre scorso, data di entrata in vigore del decreto. Entro 30 giorni (termine fissato dall'articolo i, comma 7) il ministero avrebbe dovuto individuare «parametri riconosciuti anche in ambito internazionale» con cui valutare i titoli e le pubblicazioni dei candidati, tesi di dottorato compresa. Ma mentre tutte le attenzioni (e le pressioni) si concentravano sui meccanismi di sorteggio delle nuove commissioni, indispensabili per i bandi dei futuri associati e ordinari, le bozze del regolamento destinato ai ricercatori sono rimaste ferme sui tavoli ministeriali. Ma l'incertezza sui criteri va ben oltre i nuovi concorsi. Di fatto, lamentano i precari, sono fermi anche i 1,050 posti pronti per essere banditi nella seconda tranche del «reclutamento straordinario» del 2007, cofinanziato dal ministero proprio per favorire l'ingresso di nuove leve in una docenza universitaria sempre più anziana e spostata verso i gradini più alti della carriera. Il reclutamento ordinario, infatti, è diventato nel tempo sempre più avaro con i ricercatori: nel z00ó/2008 sono stati banditi in media 1,305 posti l'anno (esclusi quelli cofinanziati), contro i 2.811 del z00o/z00z, e fanno scorso si è raggiunto il minimo storico di 344 posti, che quasi scompaiono se paragonati ai 1,871 riservati agli aspiranti associati e ordinari. La preferenza riservata dagli atenei a1.le promozioni anziché alle nuove assunzioni, oltre che con la maggiore capacità di pressione di chi già occupa i ruoli universitari, si spiegava fino a ieri anche con una regola contabile che nei fatti disincentivava il reclutamento dei giovani. Nei primi anni, infatti, la promozione costa poco o nulla all'università, perché l’anzianità maturata nel vecchio ruolo aveva porta già lo stipendio oltre i livelli iniziali del grado successivo. I costi esplodono dopo, ma la contabilità finanziaria degli atenei all'inizio non se ne accorge. Questo meccanismo avrebbe potuto vanificare anche la stretta introdotta a novembre dal decreto Gelmini, che permette di destinare al reclutamento solo il _^ delle risorse liberate dal turn over. Calcolando solo i costi iniziali, la nuova regola non avrebbe bloccato nemmeno una promozione, ma a cancellare l’escamotage interviene ora una circolare del ministero, concordata con l'Economia, che impone dì contabilizzare i passaggi in termini di retribuzioni medie, calcolati come «punti organico». Secondo questo sistema, un ordinario vale un punto, un associato 0,7 e un ricercatore 03. Per rispettare il limite del 50% delle risorse liberate, fissato dalla norma, il pensionamento di due ordinari "liberano" il posto a due ricercatori, mentre per assumere tre associati servono almeno quattro ordinari che abbandonano la cattedra In prospettiva, questa sistema dovrebbe alzare un argine più consistente all'esplosione della spesa di personale che ha caratterizzato gli atenei italiani negli ultimi anni. Gli assegni fissi al personale pesano ormai per oltre l’89% sul fondo di finanziamento ordinario, che nel 2009 si è attestato a quota7,3 miliardi. Per fanno prossimo, però, la manovra dell'estate scorsa ha messo in calendario un taglio consistente, che dovrebbe portare l'assegno statale verso quota 6,5 miliardi proiettando molti atenei fuori dai limiti dell'equilibrio finanziario. Anche questo spiegala frenata generalizzata sul reclutamento, che non si concentrerà solo sui ricercatori. Con questi chiari di luna, molti rettori preferiscono evitare di mettere in agenda nuovi aumenti dei costi e molti dei bandi già avviati, ora in attesa della formazione delle nuove commissioni sorteggiate, produrranno posti solo sulla carta. Sempre che il meccanismo dei sorteggi funzioni a dovere, perché l’accorpamento fra settori disciplinari indispensabile per formare molte delle liste ha già messo in agitazione alcuni settori. _____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 Apr. ‘09 ATENEI, CONCORSI DIFFICILI IN AREE CON MENO DOCENTI Università. Il nuovo regolamento per selezionare professori e ricercatori il sorteggio degli esaminatori presuppone molte cattedre Federica Micardi La riapertura dei concorsi per i ruoli di docenti e ricercatori nelle università con le nuove regole volute dal ministro Mariastella Gelmini potrebbe rivelarsi un boomerang.Il decreto ministeriale del 27 marzo sulle «Modalità di svolgimento delle eleziononi per la costituzione delle commissioni giudicatrici di valutazione comparativa per il reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari», che promette una valutazione trasparente dei candidati con il sorteggio degli esaminatori, potrebbe incepparsi nei settori dove i docenti sono pochi. E questo rischia dl alimentare i ricorsi al Tar, complicando l'accesso di docenti e ricercatori. Il sistema I nuovi criteri di reclutamento prevedono che le commissioni che giudicheranno gli aspiranti docenti avranno cinque componenti: quattro saranno sorteggiati da un elenco di docenti "eleggibili" votato dai professori ordinari del settore scientifico - disciplinare oggetto del bando e uno sarà scelto dalla facoltà che ha indetto il concorso. Per i ricercatori, invece la commissione sarà composta da due professori sorteggiati e da un ordinario o un associato della facoltà che ha richiesto il bando. Una commissione, composta da sette professori ordinari designati dal Cun (Consiglio universitario nazionale), sovraintenderà alle operazioni di votazione e di sorteggio. I punti critici Con questi criteri, però, rischiano di mancare i numeri per formare delle commissioni super partes in molte aree scientifico disciplinari. La garanzia di evitare influenze baronali" dovrebbe essere data dal sorteggio, ma quando i docenti di un'area disciplinare sono pochi, il Dm del 27 marzo prevede che nella lista dei nomi da cui saranno estratti ì nominativi dei commissari saranno compresi «tutti i professori ordinari del settore scientifico disciplinare oggetto del bando, e del settore o dei settori affini». In Italia ci sono 370 settori scientifico-disciplinari, alcuni, circa il 5o%, hanno i numeri per consentire commissioni trasparenti, per esempio «chirurgia generale» o «economia applicata»; ci sono però anche settori che difficilmente possono trovare aree affini come «topografia antica» o «etnomusicologia». Per queste micro-aree si alza il rischio di ricorsi da parte dei bocciati che si vedranno giudicare con un criterio meno."oggettivo" rispetto ai colleghi che vengono selezionati in materie con un alto numero di professori, e in base a una selezione non «trasparente» come è nelle intenzioni del Ministero. Il pericolo è che eventuali ricorsi- soprattutto se si spande ranno a macchia d'olio-blocchino, di fatto, l'accesso in Università soprattutto dei ricercatori, complicando la gestione della didattica e rischiando di tenere fuori le nuove leve. Va ricordato che dal 1998 al 2007 entravano, ogni anno, in Università dai 1500 ai 2.500 ricercatori. Nel 2008 c'è stato il blocco e nonostante la legge Mussi per favorire l'accesso dei ricercatori lo scorso anno ne sono entrati so l0 352, ) minore il pericolo per chi aspira a diventare docente, infatti, nella maggioranza dei casi si tratta di soggetti che già lavorano in università. Ancora da chiarire il Ministero intanto deve ancora decidere due scadenze importanti: la data dei concorsi da bandire, in pratica quanti saranno i posti per docenti e ricercatori, e la data della nomina delle commissioni; anche il Cun con la mozione 733 del 9 aprile sollecita il ministero, su questo fronte «in niodo da poter effettuare i sorteggi entro luglio». _____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Apr. ‘09 RICERCA, I FONDI NON PREMIANO CHI FA L'ECCELLENZA Uno studio del Cergas Bocconi mostra che i finanziamenti pubblici del ministero non vengono assegnati in base alla produttività scientifica I sette Irccs con più punti di «impact factor> incassano in proporzione meno degli altri - Fazio: «Ora si cambia» Era sicuramente un segreto di Pulcinella. Ma ora, scorrendo i dati messi in fila dallo studio del Cergas Bocconi («Analisi del sistema di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia») è una solida certezza: i pochi fondi per la ricerca sanitaria in Italia non premiano chi fa la ricerca migliore. Anzi, in diversi casi finanziano a pioggia realtà e strutture che non portano innovazione. Come dire: nel Ssn l'eccellenza non paga. Sécondo l'indagine presentata la settimana scorsa - elaborata con Assolombarda e Aiop Lombardia - i sette Irccs migliori del nostro Paese (in base ai punti di impact factor conquistati sulle più importanti pubblicazioni scientifiche) ricevono meno finanziamenti, in proporzione, rispetto agli altri. Una situazione, questa, che in futuro cambierà, anche se gradualmente: «Già nel 2009 la ricerca corrente - promette il sottosegretario al Welfare, Ferruccio Fazio - subirà un taglio dell'80% e quei foridi saranno spostati su progetti a bando che premieranno chi fa la ricerca migliore». Nel 2007 il ministero della Salute ha stanziato fondi per la ricerca sanitaria per un totale di 301 milioni di curo: 224 milioni per quella corrente (che finanzia praticamente tutti i protagonisti della ricerca nel Ssn) e oltre 77 per quella finalizzata, cioè a bando. I maggiori beneficiari di quella corrente sono stati i 42 Irccs, sulla base di alcuni criteri tra i quali anche la produttività scientifica. Per fissare tale valore si usa l'impact factor normalizzato (Ifn). «Nel 2006, anno in base al quale vengono stabiliti i finanziamenti per il 2007 - ha spiegato Fabrizio Tediosi, che ha curato l'indagine insieme ad Amelia Compagni - i 42 Irccs hanno totalizzato punteggi di impact factor compresi tra 86 (Bietti) e 3.398 (San Raffaele)». A fronte però di una distribuzione media di 7.136 euro per punto di impact factor, «le strutture - spiegano i ricercatori - hanno visto valutata la propria produttività scientifica in maniera piuttosto diversificata, con valori tra i 1.792 e i 15.287 euro per punto». E così, a esempio, l’Irccs San Raffaele di Milano che ha una produzione scientifica da primato ha ricevuto, a esempio, solo 5.137 euro di finanziamento di ricerca corrente per ognuno dei 3.398 punti di impact factor totalizzati. Contro i circa 13mila euro di finanziamento per ogni punto di impact factor (86 in tutto) dell’Irccs Bietti di Roma specializzato nell'oftalmologia. «Il sistema di finanziamento della ricerca corrente si basa su criteri oggettivi - ha continuato l'esperto - ma è ancora troppo complesso e prevede meccanismi che si prestano ad aggiustamenti discrezionali, di fatto sterilizzando la portata del sistema e non premiando a sufficienza le strutture che, da un anno all'altro, hanno migliorato la propria produttività scientifica». C'è poi un altro problema: gli Irccs sono molto diversi tra loro sia per dimensione, e quindi per capacità di fare ricerca, sia per mix di finanziamenti che sono capaci di attrarre. «Sono dunque strutture diversificate tra loro - avverte ancora lo studioso -, mentre il sistema di valutazione e di finanziamento sembra pensato per strutture simili». Quali, dunque, per il Cergas Bocconi le soluzioni per rendere ancora più oggettivo e premiante il sistema di finanziamento da-parte del ministero? Focalizzando maggiormente l'attenzione sulla quota di finanziamenti a bando su base competitiva, ossia sulla ricerca finalizzata. E allungando la durata dei bandi, che dovrebbero essere di almeno 3-5 anni. Inoltre, dal confronto con Germania, Francia e Inghilterra, «risulta evidente anche l'assenza di coordinamento tra i diversi finanziatori della ricerca - ha proseguito Francesco Longo, direttore del Cergas - e la carenza di sistemi informativi che permettano di monitorare il totale dei finanziamenti. Altri Paesi, come Germania e Inghilterra, sono più avanti e si sono dotati o si stanno dotando di specifici strumenti di coordinamento, come un'Agenzia nazionale per la ricerca». Un'idea che il sottosegretario al Welfare, Ferruccio Fazio, ha dichiarato di «tenere in considerazione, anche se si potrebbe pensare in alternativa di rafforzare il ruolo di cabina di regia della già esistente Commissione nazionale ricerca sanitaria». Piace anche l'idea di creare delle reti tra Irccs (su oncologia, cardiologia e neurologia) per aiutare anche i centri più piccoli: «Ma no a cordate o a unioni solo sulla carta, per entrare in queste reti - spiega Fazio - bisognerà dimostrare di saper fare ricerca». Marzio Bartoloni Grandi novità Oltremanica per la ricerca sanitaria negli ultimi anni dove si spendono circa 5 miliardi all'anno (3 dalle industrie, 1 miliardo dal pubblico e 500 milioni dalle donazioni). II finanziamento su base storica sta diventando gradualmente tutto a bando. In più sta nascendo il National institute for health research» con compiti di coordinamento della ricerca sanitaria in tutto il Paese. È previsto un programma specifico per finanziare i 12 ospedali più importanti nella ricerca («biomedical research centres») a cui si affiancano gli altri («Unit») che possono collaborare. II finanziamento è per cinque anni e prevede una valutazione finale. I sistema di finanziamento della ricerca sanitaria è ovviamente influenzato dalla struttura federale tedesca. Ed è delineato su quattro livelli: innanzitutto quello istituzionale rivolto a centri nazionali del calibro del Max Plank (vale circa 200 milioni). Poi è previsto un Piano nazionale della ricerca sanitaria che il ministero gestisce a bando (107 milioni). Poi c'è il finanziamento, sempre a bando, gestito dall'Agenzia nazionale (da 500 milioni). E infine il finanziamento (basato più sulla spesa storica) delle università e dei 36 centri ospedalieri associati. Qui è cruciale il ruolo svolto dai Lander. I n Francia il finanziamento della ricerca sanitaria segue un sistema più "bottom-down". È previsto, prima di tutto, un finanziamento istituzionale da parte ministeriale dei centri di ricerca (per circa I miliardo) per una durata di 4 anni. C'è poi il finanziamento a programma attraverso l'Agenzia nazionale della ricerca (130 milioni sono per quella sanitaria) e quello del ministero della Sanità destinato ai 29 ospedali universitari (per 800 milioni). Infine c'è I'Inserm, l'unica ente pubblico francese interamente dedicato alla ricerca biologica e medica. Dal 2004 esiste anche un'Agenzia che si occupa della valutazione delle attività di ricerca. _______________________________________________________ il Giornale 16 apr. ’09 DELLA LOGGIA: L'EGUALITARISMO HA ROVINATO L’ISTRUZIONE Quindici anni fa non si sarebbe potuta trovare una casa editrice che volesse fare una riedizione di “La chiusura della mente americana”. Probabilmente è un segno dei tempi». Così Ernesto Galli della Loggia commenta la ripubblicazione del saggio di Allan Bloom, a vent'anni dalla prima. «Oggi - prosegue - potrebbe sembrare un libro conservatore, ma all'epoca era invece quasi eversivo, rivoluzionario, tutto teso contro l'ordine esistente e contro le dinamiche dell'istruzione anche universitaria - come le "quote" - che fanno passare in secondo piano il merito». Ma per quale strada il merito è finito così a margine dell'istruzione scolastica? «Si è cominciato col pensare che in ogni individuo ci sono potenzialità che adeguatamente sviluppate daranno i loro frutti. Il passaggio successivo è stato dare una maggiore importanza ai meccanismi dell'insegnamento che non ai reali contenuti del sapere. È questa, comunque, un'istanza democratica che è iscritta nel Dna della pedagogia occidentale, anzi, è il suo inevitabile destino. Il merito tende a gerarchizzare proprio mentre questa pedagogia tende a essere universalistica. Tuttavia su tale strada ci siamo spinti un po' troppo in là: in omaggio alla promozione "democratica" si è creata una concreta crisi dell'educazione, fino ad arrivare nei casi più gravi a un analfabetismo di fatto negli allievin. E il ruolo dei professori? Aver alla lunga dimenticato di porre l'accento sul merito ha demotivato anche loro, non solo gli allievi. L'insegnante è diventato soltanto l'amministratore della socializzazione democratica, vista come premessa dell'educazione alla cittadinanza. Tutto il contrario del rapporto tra maestro e allievo che cercava Allan Bloom». II quale sosteneva invece un insegnamento a partire dai grandi e impegnativi, diciamolo - libri della cultura occidentale. «L'educazione che avveniva sulla base dello studio del canone letterario e filosofico occidentale alla fine sboccava in un sapere molto orientato ai valori, ed era un'educazione fortemente morale e sentimentale: Colpire lo studio del canone, come è stato fatto negli ultimi decenni, ha voluto dire colpire al cuore la formazione stessa della soggettività di un individuo. Quando l'istruzione - stranamente promossa da governi vicini al conservatorismo - si concentra troppo sullo sviluppo di alcune capacità, come il saper usare il computer, diventa più difficile avere una soggettività complessivamente formata. Sono scelte pedagogiche, e si può sempre dire che molto lo si imparerà poi, fuori dall'aula. Sta di fatto che c'è stato un mutamento a 360 gradi nella visione pedagogica occidentale». Forse in direzione di un certo relativismo... «Sarebbe come dire che la cultura classica era dogmatica. E io non credo che ci sia uno scontro fra dogmatismo e relativismo, ma fra relativismo buono - dove il conflitto fra le posizioni viene visto come un problema morale che obbliga a scelte alte, ed è la visione di Bloom - e relativismo cattivo, in cui si pensa che siccome ci sono innumerevoli punti di vista è inutile averne uno. Occorre dire, però, che quella cercata da Bloom era una formazione élitaria: Portarla a livello di massa pone problemi enormi». La promozione per tutti ha creato un vero analfabetismo ____________________________________________________ la Repubblica 18 apr. ’09 L'ITALIA CHE NON PREMIA IL MERITO CI COSTA 2.500 EURO A PERSONA LUCA IEZZI ROMA- Ogni italiano paga trai 1.080 e 2.671 euro l'insieme delle pratiche e delle politiche che non premiano îl talento, la capacità, il valore delle persone. Vale adire il 3% e il7,5% del Pil nazionale. La stima dell'impatto "macroeconomico del non merito" è contenuto nel terzo rapporto 2009 "Generare classe dirigente" realizzato dalla Luiss Guido Carli e da Fondirigenti (Fondazione per la cultura d'impresa promossa da Confindustria e Federrnanager) presentato ieri. Il calcolo prova a quantificare l'effetto negativo di una scuola che non funziona e non incentiva la ricerca, di una pubblica amministrazione che non differenzia tra bravi e mediocri, di una politica e di un mondo delle professioni che si "protegge" piuttosto che "promuovere". La simulazione prende alcuni indicatori internazionali sulla qualità dell'istruzione secondaria e universitaria, ma anche quelli sull'attività dei ricercatori e i brevetti ottenuti. I ricercatori hanno calcolato quanto potrebbe crescere in più la nostra economia se avessimo in quei campi performance pari alla media Ue o addirittura alla stregua del miglior paese europeo nel settore. Dalle risposte date dagli studenti e manager sui temi del valore e del merito emerge anche un messaggio positivo: «Si sta profilando una saldatura tra gestione della crisi e disponibilità del Paese a misurare se stesso sul piano dei comportamenti» si legge nel rapporto. Un po' a sorpresa, gli studenti chiedono maggiore severità da parte dei professori, i manager riscoprono il valore pubblico della propria funzione e non considerano più il successo professionale come sola occasione di arricchimento individuale. Un parallelo più volte evocato è quello del ritorno ai valori concreti dell'economia reale dopo gli eccessi del predominio della finanza. Non vale per tutti, il rapporto individua quattro net-elites (politici, giornalisti, dirigenti pubblici e professori universitari) che fanno delle relazioni, spesso incrociate, la loro unica forza e non a caso sono quelle più impermeabili al ricambio generazionale. Il presidente della Luiss, Luca di Montezemolo, sel'è presa con la politica: «Vedo con dispiacere un continuo proliferare dell'invadenza politica. Anche per fare il primario in un ospedale serve l'appoggio e poi vedo un proliferare di aziende fatte con denaro pubblico, che fanno concorrenza alle aziende private e di aziende che servono come discariche per politici trombati» citando poi Sergio Marchionne come esempio virtuoso: «Non è certamente stato scelto perché era figlio di qualcuna o della zia di qualcuno». PROFESSIONI Artigiani e professionisti sana i più valutati in base al merita ___________________________________________ LA STAMPA 18 apr. ’09 QUANTO COSTANO I RACCOMANDATI IL CONVEGNO «CREARE CLASSE DIRIGENTE» ALLA LUISS L’inefficienza pesa tra il 3% e il 7% del prodotto interno lordo ROBERTO GIOVANNINI ROMA Tutti sappiamo quanto sia seccante vedere i «figli di» farsi strada nella vita e nel lavoro. Sappiamo anche che nonostante i fiumi di parole e di inchiostro sprecati per esaltare la meritocrazia e condannare il nepotismo, alla fine troppe volte quelli bravi ma sconosciuti arriveranno sempre dopo i portatori sani di un cognome eccellente. Del «costo del non merito» si è parlato ieri a un convegno organizzato dalla Luis, l'università privata di Confindustria, dall'impegnativo titolo «Creare classe dirigente». Un costo che all'interno del Rapporto 2009 - anche se probabilmente molti economisti arricceranno il naso - si prova persino a quantificare in termini macroeconomici: secondo lo studio realizzato dall'Associazione Management Club (Ame), il «non merito» costa tra il 3% e il 7,5% del prodotto interno lordo. A questo risultato i ricercatori dell'Ame ci arrivano considerando le inefficienze presenti nel mondo dell'istruzione secondaria e universitaria e nella ricerca, e quindi assimilando il merito alla qualità degli esiti conseguiti in questi comparti. Prendendo per buono questo metodo di stimare l'impatto economico del «non merito” a leggere il Rapporto 2009 si può anche calcolare l'effetto sulla pro-capite, ovvero 2.300 euro a testa in dieci anni di minor reddito personale. Che si voglia credere a questi numeri o meno, poco conta: in Italia le cose vanno così. E del resto - per fare un esempio eccellente - nessuno realisticamente scommetterebbe un soldo bucato sul ripetersi del fenomeno Barack Obama in Italia. Sconosciuto, nero, umili origini, bravissimo? Sicuramente il Barack di casa nostra verrebbe surclassato nel suo tentativo di guidare la politica italiana da concorrenti dotati di uno splendido cognome o di moltissimi soldi. 0 da ex veline. 0 da ex partecipanti al Grande Fratello, chissà. L'esempio degli Stati Uniti e della grandiosa mobilità sociale che ha portato alla Casa Bianca Obama è stato ricordato anche da Luca Cordero di Montezemolo, che in qualità di presidente della Luiss ha concluso ieri il confronto al Parco della Musica a Roma. «Non voglio parlare della politica perché si rischia di cadere in uno sport tutto italiano - ha detto -. In nessun Paese del mondo c'è una politica così dibattuta e così parlata. Vedo un continuo proliferare dell'invadenza della politica», ha aggiunto. E così le nomine per molti posti di responsabilità rischiano di diventare «una discarica per politici trombati». Tra l'altro, se si vuole uscire con qualche speranza dalla crisi economica che ci attanaglia, ognuno «deve fare bene il proprio mestiere ed essere giudicato per quello che fa e come lo fa». Insomma, bisogna puntare sul merito e le capacità personali, come ha fatto la Fiat - ha spiegato il presidente del gruppo automobilistico - affidando il ruolo di amministratore delegato a Sergio Marchionne: «Non è certamente stato scelto perché era figlio di qualcuno o della zia di qualcuno». _____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 Apr. ‘09 MILIONARI DA NUMERI PRIMI L'ipotesi di Riemann, formulata 150 anni fa, è il più appassionante enigma matematico del millennio: per chi lo risolve, il Clay Institute ha messo in palio un milione di dollari. La caccia è aperta, e uno studioso promette di svelare il segreto in m convegno a Verbania di Umberto Bottani o la dimostrazione dell'ipotesi di Riemamn. La cartolina è troppo piccola per la dimostrazione». Quella cartolina, che il matematico inglese Hazdy, dopo una visita a Copenhagen, inviò uma volta ad Harold Bohr, teorico dei numeri e fratello del fisico Niels, ricordava le parole che Fermat aveva scritto a proposito del suo celebre l'ultimo" teorema: il margine del libro è troppo stretto per contenere la dimostrazione. Ma, contrariamente a Fermat, Hardy sapeva bene di non possedere alcuna dimostrazione. Ateo dichiarato, con quella cartolina stava solo sottoscrivendo una specie di polizza di assicurazione col Padreterno. Quando si era imbarcato alla volta dell'Inghilterra il mare era molto agitato. Per paura di un naufragio aveva scritto quella cartolina, contando sul fatto che Dio non avrebbe certo consentito alla nave di affondare, lasciandogli così la gloria di una dimostrazione che i più grandi matematici ricercavano invano da tempo. Insomma, era solo uno scherzo. Come l’email di Bombicri che, una diecina d'anni fa, mise a rumore il mondo dei matematici annunciando «sviluppi fantastici alla conferenza che Alain Connes ha tenuto all’Institute for Advanced Study». Professore al prestigioso Institute di Princeton, e come Connes vincitore di Medaglia Fields, Enrico Bombieri è uno dei massimi esperti mondiali di teoria dei numeri: La notizia era clamorosa: un giovane fisico che assisteva alla conferenza aveva visto «come in un lampo» nelle teorie di Connes un modo per dimostrare l'ipotesi di Riemami. Nell'eccitazione generale era sfuggito il fatto che l'e-niail era datata primo aprile. Anche stavolta si trattava di uno scherzo. Chi era Riemann, e perché la sua "ipotesi" è tanto importante? Allievo di Gauss a Gottiuzga, Bernhard Riemann ha attraversato le regioni della matematica come una meteora, illuminando nuovi territori sconosciuti, per poi sparire repentinamente lasciando dietro di sé una traccia incancellabile. Attivo nel mondo della ricerca per poco più di dieci anni, la sua influenza sulla matematica moderna è stata enorme e vasti campi sono stati posti su nuove basi, se non creati ex novo> dai suoi lavori. Ammalatosi di tubercolosi, R.icmamn trascorse lunghi periodi Del nostro Paese alla ricerca di un clima più mite di quello di Gottinga. Nel suo ultimo viaggio verso l'Italia nel 1866 si fermò presso Verbania, sulle sponde del lago Maggiore, dove si spense a soli 3q anni L'ipotesi che porta il suo nome, che egli formulò nel 1880, ha a che fare con la distribuzione dei numeri primi, numeri come 2,33,7,11,13, e così via, che non hanno altri divisori al di fuori di se stessi c dell'unità. Quei numeri da sempre hanno affascinato dilettanti e matematici. «Ogni sciocco può porre questioni sui numeri primi alle quali il più saggio degli uomini non sa rispondere», amava dire Hau-dy. Con una semplice dimostrazione Euclide ha provato che i numeri primi sono infiniti. Ma nell'ordinato insieme dei numeri naturali gli infiniti numeri primi si susseguono seguendo uno schema inafferrabile, come se fossero disposti a caso. È possibile individuare una qualche struttura che permetta di prevederne l'andamento? Riemann aveva osservato che la frequenza con cui occorrono i numeri, primi è intimamente correlata al comportamento di una certa funzione, la cosiddetta funzione zeta. E aveva congetturato come «molto probabile» che gli zeri "ìnteressanti" di quella funzione, i punti in cui si annulla, fossero tutti allineati su una retta, la «retta critica» come la chiamano i matematici. t questa l’«ipotesi di 1Zieznann». «Sarebbe certo auspicabile averne una dimostrazione, rigorosa, ma per il momento ne ho accantonato la ricerca dopo alcuni rapidi tentativi infruttuosi - confessava Riemann - poiché essa non sembra necessaria per lo scopo immediato della mia ricerca». Secondo David I3ilbert, la dimostrazione di quell'«ipotesi» rappresentava il problema più importante «non soltanto in matematica, ma il più importante in assoluto». Hilbert lo annoverò tra i23 problemi per i matematici delle "generazioni future" che egli presentò a Parigi nel xgoo, al secondo Congresso internazionale dei matematici. Da allora è iniziata la caccia alla dimostrazione, una storia affascinante che arriva fino ai nostri giorni. Con moderni computer la verità dell'ipotesi è stata verificata per un numero estremamente grande, circa un miliardo e mezzo, di zeri "interessanti" della funzione. Ma le verifiche numeriche sono una cosa, le dimostrazioni un'altra, e i matematici richiedono una dimostrazione rigorosa dei loro enunciati. La dimostrazione dell'ipotesi di Kiemanu servirà a chiarire molti dei misteri che ancora avvolgono la distribuzione dei numeri primi, con conseguenze enormi non solo per molti problemi matematici, ma anche perle numerose applicazioni pratiche della teoria dei numeri. Ecco perché, a cent'anni di distanza dalla conferenza di Hilbert, l'ipotesi di Riemann è stata annoverata dal Clay Institute tra le sfide matematiche del nuovo millennio. Una sfida da un milione di dollari, destinato a chi ne darà la dimostrazione. Certo, una cifra considerevole. Ma, come ha affermato Alain Connes, «l’inestimabile valore della matematica sta soprattutto nei suoi problemi più incredibilmente difficili, che sono un po' i suoi ottomila». Come la dimostrazione dell'ipotesi di Riemann, appunto. «Raggiungere la vetta sarà estremamente difficile» ma, una volta raggiunta, «potremo ammirare un paesaggio stupendo». Anche Hardy paragonava fattività del matematico, la scoperta e la dimostrazione di teoremi, al lavoro di un esploratore di territori sconosciuti o a quello di un cartografo, che descrive paesaggi e terre lontane. Il paesaggio che si nasconde dietro l'ipotesi di Riemann aspetta ancora di essere svelato. In occasione del Centocinquantesimo anniversario dell'articolo in cui Riemann formulò la sua celebre ipotesi si inaugura oggi a Verbania la Riemann International School of Mathematics promossa dalle università milanesi, la Statale, la Bicocca, e il Politecnico, col patrocinio delle istituzioni locali. Sotto la direzione di Bombieri, per tutta la settimana la scuola vedrà all'opera alcuni tra i più autorevoli esperti in campo internazionale, che terranno lezioni e conferenze sui più recenti progressi in teoria dei numeri e geometria ispirati alla celebre ipotesi, ancora indimostrata. Nessuno si azzarda a dirlo, ma qualcuno spera che stavolta lo scherzo si traduca in realtà. _____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 Apr. ‘09 SCIENZIATO E GENTILUOMO Integrità, onestà e apertura mentale restano le virtù più diffuse nella categoria. Tanto nell'accademia quanto nell'industria di Gilberto COrbellini Chi è il cittadino scienziato? È socialmente affidabile? O dobbiamo averne timore? Nel caso, quali capacità e virtù lo rendono affidabile? E in che misura il suo sta tus sociale e morale, nonché i contesti in cui può svolgersi la sua attività sono condizionati da, e condizionano i modi e i prodotti del suo lavoro? Si tratta di questioni su cui i sociologi hanno a lungo scritto, anche richiamandosi al famoso saggio di Mas Wcber nel 1917, La scienza come professione (o vocazione, come in alcune traduzioni in inglese del tedesco Beruf ?). Lo storico della scienza Steven Shapin, oggi a Hanard, è tornato sull'argomento con un libro sull'evoluzione della carriera degli scienziati e dei tecnologi. Shapinè un notissimo storico sociale della rivoluzione scientifica, che ha studiato il profilo personale dello scienziato agli inizi dell'età moderna, cioè le caratteristiche sociali e morali dei filosofi naturali che contribuirono ad accreditare la scienza allora nella sua infanzia. In questo caso analizza come è cambiato lo statuto morale dello scienziato nel corso della tarda età moderna. In particolare, nel Novecento e nel Paese dove la scienza si è più radicata, cioè gli Stati Uniti. Il libro ricostruisce con notevoli dettagli descrittivi in che misura e attraverso quali dinamiche le dimensioni personali e impersonali della pratica scientifica hanno concorso, nel processo che ha visto emergere la big science fino al presente, a far apparire socialmente affidabili gli scienziati. Le conclusioni a cui giunge Shapin sono molto interessanti. E piaceranno alla recente generazione di sociologi della scienza che, anche richiamandosi ai suoi lavori, si sono fatti ma reputazione attaccando pretestuosamente lo statuto epistemologico e politico-morale della scienza e degli scienziati. Shapin sostiene che nell'attuale condizione di "incertezza normativa", cioè di diffusa indeterminatezza circa i criteri e le conoscenze che si possono ritenere indiscutibilmente garantiti, le virtù morali e le capacità personali dello scienziato sono ritornate a contare, anche se in modo diverso da come contavano agli albori dell'età moderna. Lo scienziato è stato considerato una persona in qualche modo speciale, sul piano morale, rispetto agli uomini ordinari, lino alla fine dell'Ottocento. L'immagine dello scienziato, che doveva essere un «gentiluomo», cioè una persona affidabile e irreprensibile, una sorta di «prete della natura», favori l'accettazione delle novità che il metodo scientifico portava alla luce sul piano conoscitivo. A un certo punto, come rilevò Weber, la scienza smise però di essere una vocazione, e divenne una professione. Nel corso degli ultimi decenni dell'Ottocento e fino alla Seconda guerra mondiale> gli scienziati e i sociologi hanno insistentemente affermato che sul piano morale lo scienziato equivale a qualunque altro uomo, che la scienza non è altro che senso comune meglio affinato e che è la dimensione sociale dell'impresa scientifica, cioè il carattere impersonale della scienza, a creare una distinzione tra gli scienziati e le altre persone. Di conseguenza, le condizioni necessarie per fondare la conoscenza scientifica, ovvero per darle obiettività, e che sono riconducibili alla sua autonomia, devono essere salvaguardate da qualunque interferenza dovuta a interessi personali. L'originalità dello scienziato, sul piano delle sue qualità individuali, sarebbe quindi l'effetto dell'esercizio imposto dal lavoro scientifico, che tenderebbe a renderlo piuttosto individualista. L'emergere della big sciencé, che introduceva il lavoro di squadra come contesto praticamente inevitabile per fare scienza e innovazione, lo sviluppo dei laboratori di ricerca industriali e il crescente coinvolgimento degli scienziati come consulenti del mondo politico in qualità di esperti, indusse a temere o presagire la fine della libertà e dell'indipendenza della scienza. Shapin dimostra che, in realtà, gli scienziati portarono all'interno dei centri di ricerca privati i valori morali tipici dell'ambiente accademico, cioè valori come integrità, onestà e apertura mentale. Inoltre, nell'organizzazione del lavoro di squadra furono soprattutto le capacità e le virtù personali a far ritenere affidabili gli scienziati che partecipavano alle nuove dinamiche di produzione della conoscenza. Shapizz esamina alcune biografe esemplari, che illustrano le qualità emergenti degli scienziati che hanno fatto carriera e imposto un modello nell'ambito della ricerca industriale, da quella di GE. Kenneth Moses, il fondatore dell’Eastman Kodak Research Laboratozy, a quella di Craig Venter, il fondatore di Celera Genomics. Non meno importanti, sostiene Shapin in modo convincente, risultano essere le qualità morali dello scienziato anche quando, negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, si trasforma talvolta in imprenditore. Insomma, l'idea che la pratica scientifica non abbia per sua natura alcunché a che fare con la dimensione morale e personale del comportamento vene messa in discussione proprio dalle caratteristiche degli scienziati che emergono e diventano anche figure pubbliche attraverso un diretto coinvolgimento con le dimensioni politiche e imprenditoriali della ricerca. Nel XVII secolo le tesi che uno scienziato sosteneva venivano credute anche tenendo conto del fatto che avesse una buona reputazione, cioè sulla base delle sue frequentazioni e abitudini sociali. Oggi la reputazione di uno scienziato si costruisce attraverso le manifestazioni concrete delle sue competenze scientifiche e tecniche, validate dall'approvazione e dai riconoscimenti che riscuote tra i colleghi. Il carisma personale dello scienziato, che Weber aveva dichiarato perduto, torna a svolgere un ruolo nella attuale situazione, caratterizzata da una forte componente di incertezza circa la portata delle pratiche attraverso cui le società ed economie fondate sulla conoscenza progettano il loro futuro. _____________________________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Apr. ‘09 SE LA RICERCA È CREATIVA Nano - setole che si attorcigliano cambiando colore e studi per il mantello dell'invisibilità DI GUIDO RONEO Con 91 elementi disponibili in natura non dovrebbe mancare che l'imbarazzo della scelta per creare nuovi materiali, ma designer e ricercatori hanno capito che la creatività va ben oltre la tavola periodica di Mendelev. Oggi l'ultimo grido sono materiali inconcepibili per prestazioni solo un decennio fa come la Roica, un tricot elastico molto più resistente alla trazione della normale gomma consistente nella fibra elastica in poliuretano, o la Torayca, una superfibra ottenuta dalla carbonizzazione ad alta temperatura. di materia-. le acrilico che, grazie alla resistenza e alla leggerezza superiore all'acciaio, dà corpo a canne da pesca come a satelliti e componenti aerospaziali. Le prestazioni di questi materiali in termini di leggerezza, elasticità e capacità di riflettere la luce hanno prodotto meraviglie nelle mani dei talenti del design, la cui creatività sembra però destinata a esplodere nei prossimi anni grazie a materiali di nuova generazione destinati a innescare un'era di innovazioni, comparabile, se non superiore a quella prodotta dalla plastica inventata da Giulio Natta nei laboratori della Statale di Milano. Oltre che dalla natura dei suoi atomi, i ricercatori hanno compreso che le caratteristiche di un materiale dipendono soprattutto dalla loro organizzazione spaziale aprendo la strada a quelle nuove scienze dei materiali che sono le nanotecnologie. All'Università di Harvard, Joanna Aizenberg ha recentemente messo a punto un substrato composto da setole invisibili a occhio nudo del diametro di 30o nanometri e lunghe appena nove millesimi di millimetro che, a seconda del grado di umidità, si attorcigliano o meno in ciuffi che ricordano la struttura della Tour Eiffel. «Si tratta di un comportamento che era stato osservato su scala microscopica, ma finora mai a livello nanometrico» sottolinea la scienziata. A seconda di come si attorcigliano le nano setole, la superficie cambia colore perché la luce viene rifratta diversamente. Sulle interazioni con la luce ha lavorato anche Ul leonardt, della National University di Singapore, che insieme a Tomas Tyc, ha dimostrato la possibilità di produrre un mantello dell'invisibilità grazie ai "metamateriali" i cui atomi hanno una disposizione geometrica definita a tavolino che gli permette di catturare e manipolare la luce. «Le stesse conoscenze che permettono di produrre invisibilità si possono però applicare per sviluppare materiali in grado di rendere gli oggetti particolarmente visibili anche quando esposti a pochissima luce - osserva Leonardt, una caratteristica che sarebbe apprezzata dai ciclisti che circolano nel traffico, ma anche in molti settori del designer il risparmio energetico _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Apr. ‘09 UNIVERSITÀ, L'ITALIA IMPORTA CERVELLI rapporto sulla «guerra globale per i talenti». Più della lingua a frenare la corsa é la burocrazia Gli studenti dall'estero crescono del 20°: sorpasso su quelli in fuga Dal 2004 al 2006, gli studenti di altre nazionalità sono passati da 4o mila a 48 mila, più venti per cento ROMA - Tra il 2004 e il 2006 i corsi delle nostre università, spesso al centro di polemiche e di analisi impietose, hanno attratto un 2o per cento in più di studenti di altre nazionalità: da 4o mila a 48 mila. II 2006, per quanto riguarda la capacità del nostro sistema universitario di richiamare iscritti d'oltrefrontiera, è stato un anno di svolta. II numero dei giovani stranieri che hanno deciso di formarsi in Italia ha superato quello degli italiani che si sono iscritti ad un ateneo d'oltre conflne. Nel 2004 infatti il numero dei nostri ragazzi che emigravano per ragioni di studio superava di 4.251 unità quello degli stranieri che frequentavano le nostre università. In buona sostanza eravamo fuori dal novero dei Paesi sviluppati: nell'Ocse solo Italia attirava meno studenti di quanti ne uscivano. Nel 2oo6 gli arrivi hanno oltrepassato di 8.501 unità le partenze. Numeri molto piccoli se si tiene conto di un flusso mondiale di due milioni e 700.000 studenti universitari che studiano all'estero e che valgono 3o miliardi di euro. O se si guarda a quanto accade in Europa. Ma quei dati segnano un'inversione di tendenza. Nella «guerra globale per i talenti» qualcosa si sta muovendo anche nei nostri atenei? È quanto sembra emergere da un'indagine sulle università italiane nel mercato globale dell'innovazione condotta da «Vision», un «pensatoios> indipendente che produce ricerche sociali e politiche (il rapporto sarà presentato il 2o alla Camera, Palazzo Marini, alla presenza del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini). L'aumento delle iscrizioni di studenti stranieri non è solo una curiosità statistica, un motivo di orgoglio per il nostro mondo accademico che all'improvviso si scopre un po' più competitivo. Quei laureati, una volta tornati a casa, manterranno vivo per molti anni un legame con la cultura, le competenze e le capacità produttive del nostro Paese. Nei primi dieci posti per la presenza di studenti stranieri(in rapporto agli iscritti e non in valore assoluto) troviamo il Politecnico di Torino seguito da Bocconi, Trieste, Politecnico di Milano, Urbino, Bologna, Trento, Genova, Camerino, Brescia, Verona e Firenze. II saldo tra studenti universitari stranieri in arrivo e in uscita - 8.5oi giovani immigrati nel 2006 - è poca cosa se paragonato a quello degli Stati Uniti (535.492) dove tuttavia tra il 200o e il 2006 si nota un calo pari a15 per cento. Ma le distanze restano forti anche se ci confrontiamo con i nostri diretti competitori europei: Regno Unito (305.050), Germania (183.122), Francia (181.730), Belgio (35.469) o Spagna (24.138). «Vision» giunge alla seguente conclusione: «Mentre Francia, Germania e Regno Unito sono abituati ad avere più del io per cento dei propri studenti che sono stranieri, la media italiana è del 2 per cento». C'è la difficoltà della lingua. L'Italiano non è un idioma veicolare, anche se nei migliori atenei sta aumentando l'offerta di corsi in lingua inglese. La maggiore difficoltà sembra però essere un'altra, almeno secondo l'indagine condotta da «V siom> nel Politecnico di Torino tra ricercatori e studenti di master per lo più colombiani e cinesi: il 6o per cento ha espresso un giudizio negativo sulla nostra burocrazia e il32 per cento sulle normative in merito agli immigrati. «Una sorta di selezione al contrario - conclude lo studio - attraverso la quale riduciamo l'emigrazione togliendo la parte migliore». Giulio Benedetti Negli atenei _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Apr. ‘09 MA IN EUROPA SIAMO ANCORA GLI ULTIMI di GIORGIO DE RIENZO C’è una notizia buona .. (apparentemente) in quella che gli specialisti chiamano «guerra globale per i talenti». Gli studenti stranieri iscritti in Università italiane sono aumentati del venti per cento e il trend positivo sembra proseguire. La notizia meno buona è che se passiamo a un esame più generale, rispetto agli altri Paesi europei, con il nostro povero 1,67%, stiamo sotto non solo al Regno Unito (ix,3io), alla Germania (S,g) e alla Francia (8,,), ma siamo superati dalla Spagna (i,74) che tende a crescere. Le cattive notizie sono di più. Prima di tutto il «saldo» tra studenti in arrivo e in partenza (o fuga?), che nel 2004 era addirittura in passivo, nel 2006 ha raggiunto un risicato attivo che ci lascia comunque in coda agli altri Paesi europei più importanti. Non basta. Nonostante il nostro bel clima e le attrattive artistiche, ambientali e gastronomiche, siamo ancora il fanalino di coda negli scambi europei all'interno del programma Erasmus. Ma è soprattutto la provenienza degli studenti a rendere triste la nostra situazione. Arrivano da noi pochissimi giovani dagli Stati Uniti, ma anche dai Paesi economicamente emergenti: India, Cina e Brasile. La maggior parte degli studenti stranieri viene dal bacino dei Mediterraneo e soprattutto dall'Albania. Secondo gli analisti la responsabilità va addebitata a una sbagliata politica di marketing. Ho l'impressione invece che la realtà sia un'altra. A scoraggiare i giovani è la gualita dell'insegnamento e dell'organizzazione universitaria, se è vero, come è vero che ad attrarre possibili talenti in Italia sono soprattutto il Politecnico di Torino e la Bocconi di Milano. _____________________________________________________________________ Il Giornale 17 Apr. ‘09 NEGLI ATENEI VIRTUALI L'UNICA COSA REALE È LA RETTA DA PAGARE Ignoravo perfino l'esistenza di Università telematiche prima di conoscere Z. Z., fresco laureato in uno di questi atenei. L'ho trovato talmente ciuccio che mi sono incuriosito. Telematiche sono quelle università che offrono lezioni preregistrate via internet, cui gli iscritti accedono in base alla propria disponibilità di tempo. Tutto è virtuale, tranne i 2-3mila curo annui di iscrizione e gli esami che lo studente affronta fisicamente nella sede dell'università (se c'è). All'estero, questi atenei si contano sulla punta delle dita. Due in Francia, uno in Spagna, ecc. In Italia sono proliferati c 'saranno una decina. Il precedente titolare dell'Istruzione, Fabio Mussi, dubitava della serietà di alcuni e si riprometteva di essere più occhiuto. Dall'attuale ministro, Mariastella Gelmini, non sembra sia uscito verbo. L'università di Z. Z. si chiama Università telematica delle Scienze Umane - tante centro di preparazione agli esami universitari (tipo il celeberrimo Cepu di cui fu testimonial Totò Di Pietro). L'ateneo in sostanza è una costola di un centro didattico che, aiutando gli studenti a dare esami, vive di fatto sui disservizi delle università italiane. Il rischio del legarne è che l’Ihiisu (l'ateneo) diventi un mezzo per trovare iscritti al centro studi L’Universitalia. O viceversa che dal centro studi si riversino studenti nell'Unisu (l'Ateneo). Factohun di entrambe le entità è l'ad di Unisu, Stefano Bandecchi, ex paracadutista, proprietario dei Gobbi, noto ristorante del litorale romano. L'altra stranezza è che la sede de1l’università sia un trascurabile edificio senza spazi né biblioteca. Al punto che, per fare gli esami, professori in toga e studenti devono essere ospitati nel vicino Istituto Don Orione. Rettore de]l’Unisu è un consigliere di Stato, da anni in pensione. Tra i docenti Fiorella D'Angeli, contemporaneamente preside di Legge dell'Unisu e membro del Consiglio universitario nazionale (III Commissione) il cui compito è certificare l'idoneità culturale dell'università telematica. Un caso lampante di conflitto d'interessi. _____________________________________________________________________ L’espresso 23 Apr. ‘09 BUROCRAZIA BATTE INTERNET In Italia per registrare un dominio in Rete bisogna mandare un fax e aspettare una settimana. Una procedura assurda che frena la crescita del Web DI ROSARIA TALARICO Se volete un sito Internet, siete cortesemente pregati di inviare un fax o una lettera via posta. Così si deve partire, in Italia, per registrare un indirizzo in Rete. Già, perché di solito in un sito si guardano soprattutto i contenuti, la grafica, le foto e quasi nessuno fa caso al nome (cioè all'indirizzo telematico) che ha permesso di arrivare su quelle pagine. Ma è da lì che si deve partire. Tecnicamente si chiamano domini e le loro estensioni (.it,.net, .com, org e molti altri, vedere riquadro qui sotto) cambiano a seconda del Paese e della funzione del sito medesimo. La registrazione di un indirizzo Internet è regolamentata a livello mondiale, ma ciascun Paese gestisce le operazioni di registrazione in maniera autonoma. In Italia per esempio si è deciso che tutto il procedimento abbia inizio, appunto, con una richiesta cartacea da mandare via fax, praticamente un reperto archeologico per chi lavora con la Rete. Solo un tocco di perfidia burocratica o siamo di fronte ali ennesima prova dell'arretratezza italiana,, A occuparsi della registrazione, attraverso l'Istituto di info matica e telematica che ha sede a Pisa, è il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), il cui dominio - Cnr.it - è stato il primo della Rete italiana. Dai loro dati appare che in termini quantitativi, a livello europeo, noi italiani non siamo messi male: il registro dei domini con estensione it (il suffisso che tecnicamente si chiama "country code", I'identificativo del Paese) è infatti al quinto posto nella classifica Ue dei domini attivi, superato nell'ordine dai registri di Germania I.del, Regno Unito (.co.uk), Olanda (.nl) e dal consorzio Eurid (gestore del dominio europeo.eu). E nonostante la crisi economica il settore dei domini non registra flessioni. Anzi: rispetto a12007 c'è stata una crescita netta di oltre 144 mila nomi a dominio. Questo attivismo non è tuttavia ricompensato, in Italia, da procedure snelle. Inevitabile che nei siti e nelle mailing list degli addetti ai lavori l'argomento dei disservizi causati da questo sistema sia sempre al centro delle discussioni. Gfb informatica, un maintainer (cioè l'intermediario fra l'utente finale e il registro) piemontese, ad esempio si è trovato a dover gestire un trasferimento del dominio di un suo cliente a un altro maintainer senza che questa richiesta fosse mai stata avanzata da nessuno. La risposta fornita dal registro è in puro burocratese: «Premesso che nessuna procedura pendente può essere bloccata e che la modifica del maintainer è stata già conclusa stamattina, desideriamo informarla che può farci riavere subito una modifica del maintainer dall'attuale maintainer al precedente; in un secondo tempo può richiederci - tramite posta - la richiesta che abbiamo ricevuto per la modifica del maintainer del dominio in questione. La richiesta di documenta » e così via per parecchie altre righe. Una replica che provocherebbe reazioni scomposte da parte di uno qualsiasi dei 2.400 maintainer italiani. E che richiama alla mente l'ironica descrizione di Ennio Flaiano: «Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l'assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all'ufficio competente, che sta creando ». Domenico Laforenza, direttore dell'Istituto di informatica e telematica del Cnr prova ad arginare l'alluvione di proteste con cortesia: « I registri non sono gli sceriffi del cvber spazio, ma finora il fax è riuscito .a garantire un po' di ordine evitando i contenziosi a posteriori. Noi non interferiamo nella scelta del nome a dominio, ma possiamo non registrare domìni blasfemi odi dubbio gusto. Impossibile farlo con un sistema automatico». II fax però porta con sé oggettivi problemi di leggibilità e di ordine di arrivo (spesso la registrazione dei domini si > gioca sul filo dei secondi) per cui si generano contenziosi per stabilire la precedenza, in ossequio al principio sovrano che regola la registrazione ("first come, first served" e cioè viene servito prima chi è arrivato prima). ••È capitato che siano state respinte delle richieste solo perché la caselle per il consenso al trattamento dei dati personali, regolarmente barrate, erano disallineate» racconta Alessandro Cassinari, vicepresidente di AssoTLD, l'associazione dei maintainer italiani. Nleglio inoltre evitare di inviare le richieste verso la fine della settimana: il registro infatti non lavora di sabato e domenica. «Si corre così il rischio che se la richiesta viene respinta per un motivo qualsiasi e qualcuno si è inserito nel frattempo il dominio venga assegnato all'ultimo richiedente che non ne avrebbe diritto», continua Cassinari: «Diciamo che se sei fortuna- to e non ci sono festivi di mezzo in quattro o cinque giorni riesci a registrare il dominio». Tempi assurdi, se confrontati con quelli di tutti gli altri paesi sviluppati (e non solo quelli). Secondo Laforenza il problema dei fax illeggibili o non conformi è circoscritto a numeri "fisiologici" rispetto ai circa 2 mila fax che il registro riceve quotidianamente. «Ma entro giugno posso dire che il sistema sincrono (quello cioè che permetterà la registrazione in tempo reale, ndr) sarà attivo». Certo, un pizzico di incredulità è d'obbligo se, sul sito dell'associazione Ahi— che rappresenta il settore dei domini e del web hosting, si può leggere un comunicato datato 2007 in cui si chiede l'automazione delle registrazioni « per allinearsi agli standard qualitativi e prestazionali dei registri internazionali e per non penalizzare i clienti italiani». Forse due anni dopo il sogno sarà realtà. «Io sono diven tato direttore solo da luglio dello scorso anno», prosegue Laforenza, ••e devo anche farmi carico delle trenta persone che attualmente lavorano nella mia struttura e che, con l'istituzione del sistema automatico, dovranno essere ricollocate». L 1a un cittadino avrà diritto ad avere un servizio efficiente a prescindere dal numero di persone necessarie a fornirlo? O bisogna rallentare tutta la Rete italiana per conservare il posto a una trentina di persone? Risponde Laforenza: «Faremo le cose can gradualità, ci saranno due anni "paracadute". In questo periodo il fax verrà mantenuto accanto al nuovo sistema per preservare il mercato dei piccoli maintainer che non possono permettersi un'implementazione del sincrono immediata e per garantire nel contempo un reimpiego del personale in esubero del registro,,. Inranto però le proteste sono continue. Emmanuele Somma, tra i fondatori di "Login", la prima rivista italiana dedicata alle professioni di Internet, ha scritto un'infiammata e-mail al ministro per l'Innovazione Renato Brunetta, definendo scandaloso il comportamento del registro italiano. «Questo livello di inefficienza, ignoranza e incapacità in tutto il resto del mondo è assolutamente sconosciuto», scrive nella lettera, «perché la registrazione dei nomi di dominio avviene in secondi tramite procedure automatizzate senza necessità dì intervento umano. Persino per i domini delle più sperdute nazioni del Terzo mondo! ». Un'affermazione che trova conferma nel racconto di un operatore che preferisce mantenere l'anonimato: «Mi è capitato di registrare un dominio con estensione me (Montenegro, ndr). Dopo una manciata di secondi funzionava tutto». E parliamo del Montenegro, non degli Stati Uniti o della Finlandia. a Per registrare il proprio dominio con estensione .it bisogna rivolgersi a un maintainer, ossia l'intermediario abilitato a interagire con il registro italiano. L'elenco delle società riconosciute che svolgono questo servizio è disponibile all'indirizzo www.nic.iUcgi-bin/MList/index.cgi?lang=it_IT. I maintainer offrono diverse tipologie di servizi (dalla registrazione dei domini all'hosting, che permette l'utilizzo di uno spazio Web e di caselle di posta elettronica associate al nome registrato). A variare molto sono i costi, anche a seconda della dimensione del maintainer (ci sono multinazionali ma anche ditte individuali). Dopo aver scelto da un elenco in ordine affabetico il proprio maintainer, l'utente dovrà compilare la lettera di assunzione di responsabilità scegliendo tra il modello per persone fisiche o quello per altri soggetti. Poi non resta che spedire la lettera al registro. L'invio può avvenire per fax al numero 050-542420 o per posta ordinaria. I prezzi per dominio sono più bassi dai grandi maintainer, ma i piccoli di solito sono più scrupolosi nel seguire I'iter per conto del cliente e offrono un servizio più personalizzato. Con i grandi si rischia, per avere notizie sullo stato del proprio dominio, di finire a parlare con un risponditore automatico. SSIl _____________________________________________________________________ Stampa 18 Apr. ‘09 COPIATA UNA TESI SU DUE Un software inchioda gli studenti: per laurearsi saccheggiano i lavori altrui su Internet Il fenomeno Il cervellone «Compilatio» ha scoperto gli studenti-furbetti anche in Francia, Spagna e Germania La svolta In passato ingannare i docenti era più difficile: bisognava procurarsi i testi e trascriverli a mano, ora basta un clic Dario S. da Pisa si era preso un bell'applauso, una stretta di mano e tanti complimenti Per quella tesi di laurea così originale. Argomento: la serie americana Family Guy e l'adult animation, il modello «South Park», i cartoni animati per adulti, cinismo e irriverenza allo stato puro. Un bel lavoro. Peccato che l'avesse copiato quasi per metà da Wikipedia, intrecciando poi una raffica di analisi dei maggiori esperti italiani del genere. Citazioni? Macché. Appropriazione indebita del pensiero altrui. Plagio, a dar retta al codice penale. Nessuno se ne è accorto. E Dario si è laureato. Il guaio è proprio quello: quasi mai qualcuno se ne accorge. Al massimo si insospettisce. Forse c'è chi le tesi nemmeno le legge, o le scorre distrattamente. Poi c'è la rete: milioni di documenti, chiunque li può agguantare e riprodurre. E così sotto il naso dei professori universitari italiani passano tesi scopiazzate, paragrafi - o interi capitoli - riprodotti senza spostare nemmeno una virgola. Finisce che, in una tesi su due, almeno il cinque per cento del testo è la fotocopia di un documento già pubblicato Una boutade? No, un calcolo scientifico. Se ne sono accorti i francesi di Six Degres, società che ha sede in Savoia e un paio d'anni fa ha elaborato un software. Si chiama «Compilatio», è un cervellone capace di passare al setaccio qualcasi testo e individuarne le parti copiate. Prima di andare a sbirciare in casa d'altri, a inizio 2008, i francesi hanno sperimentato il sistema sui loro studenti. Poi si sono spinti in Spagna e Germania. In Italia: respinti. In Francia avevano lavorato con gli istituti di Economia e Management di Nantes; in Spagna con l'Università di Saragozza; in Germania con l'Università di Stoccarda. Da noi hanno fatto da soli. «Abbiamo chiesto a quasi tutti gli atenei italiani. Non hanno voluto saperne», racconta Frederie Agnes, il patron della società francese. «Tanti non hanno risposto; altri ci hanno seppelliti sotto cumuli di burocrazia, richieste di autorizzazione e problemi di privacy, lasciandoci intendere che era meglio sbrigarsela da sé». Insomma, sono andati a consultare quasi duemila tesi inserite nei database degli atenei. E hanno messo il cervellone al lavoro. Non sono rimasti delusi. Anzi: in una tesi su due la parte di testo identica a lavori già esistenti superava il cinque per cento. Significa che su un lavoro di 200 pagine - dimensione minima di una tesi umanistica - 10 sono «fotocopiate» da altre pubblicazioni. Nel 25 per cento dei casi la parte di testo «plagiata» oltrepassava il dieci per cento. Il record spetta agli studenti di Medicina: il 70 per cento delle tesi contiene una robusta dose di testo copiato; e costi accade a Economia (65 per cento), Agraria (53), Giurisprudenza (50) e via a scendere. Con un'avvertenza: «Non sono citazioni riportate tra virgolette e attribuite al 1egittimo proprietario"», racconta Elena Cavallero, ricercatrice che ha coordinato la parte italiana del test. «Sono idee e concetti di persone terze presentati come propri. O di frasi ricopiate parola per parola». Tecnicamente: plagio. Il sospetto, dentro gli atenei, aleggia da un bel po'. Decine di professori si dicono «indifesi», raccontano che Internet ha reso la situazione ingestibile. Tempo fa, almeno, copiare era faticoso. Anche caro. Per avere la tesi pronta senza aver scritto una riga di proprio pugno, si doveva pagare qualcuno che si sobbarcasse l'impresa o, almeno, sudare per ricopiare. Adesso bastano Internet e un «copia e incolla». E cosa può succedere che uno studente dell'Università di Padova si sia laureato con una tesi sull'urbanizzazione delle metropoli europee grazie al massiccio - e involontario - contributo di un «peso massimo» della sociologia come Arnaldo Bagnasco. Il cervellone francese mostra in grassetto interi paragrafi di illuminate considerazioni sulle categorie di «deurbanizzazione» e «contro-urbanizzazione». Peccato che siano le stesse - persino le virgole e gli «a capo» - riportate negli atti di un convegno a cui aveva partecipato H swiolgo torinese. Resta una magra consolazione: quando i ricercatori di Six Degres sono andati a indagare in casa propria, o tra spagnoli e tedeschi, non è andata molto meglio. Si copia alla grande anche li. Nessun allarme, però: i primi della classe siamo sempre noi. E, a differenza nostra, all'estero ogni tanto sembra che qualcuno se ne accorga. ======================================================= ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 apr. ’09 OSPEDALI, TAGLIO PER 27MILA POSTI LETTO Spesa pubblica IL DISAVANZO DELLA SANITÀ Piano anti-sprechi del Governo - Per Calabria, Campania e Molise commissario più vicino EFFICIENZA E REGIONI In Lombardia già cancellate in dieci anni il 59% delle strutture, 50% in Veneto, 47 in Emilia. Ma al Sud la razionalizzazione è al palo CONTI IN PICCHIATA Nel 2008 deficit di 4,7 miliardi: dal 2003 sono 21,6 miliardi. Il 70% del rosso nelle amministrazioni di Roma, Palermo e Napoli Paolo Del Bufalo Roberto Turno ROMA Ventisettemila posti letto in meno negli ospedali entro cinque anni, già la metà tagliati nel 2011. Eliminando un numero ancora imprecisato di strutture piccole e spesso inutili e pericolose, con un occhio di riguardo per il Sud. La parola magica per l'efficienza e il risparmio nel Servizio sanitario nazionale ha un nome e un percorso già definito: una cura massiccia di «appropriatezza» nei ricoveri. Meno letti e potenzialmente meno spesa sanitaria e meglio distribuita, è una parte dell'assioma. Ma sarà solo il primo passo del rilancio del Ssn, in attesa del federalismo fiscale e di quei «costi standard» ancora interamente da definire. Il cantiere del «Patto per la salute 2010-2012» tra Governo e Regioni è in piena attività. Niente ancora di deciso, anche perché i governatori tengono alta la guardia e antepongono a qualsiasi accordo finale, che difficilmente arriverà prima dell'estate, la certezza sui finanziamenti: chiedono fin dal 2010 tra 7-8 miliardi in più. Ma il Governo frena e l'Economia per prima raffredda qualsiasi richiesta. Lo ha fatto capire anche il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: «Il prossimo Patto non potrà prescindere da robusti sforzi di razionalizzazione della spesa». Quel che conta, ha detto Sacconi, è che in rapporto al Pil gli aumenti per il Ssn ci saranno e ci sono stati, come ha appena ricordato la Ragioneria generale anche in riferimento alle pensioni per effetto della recessione (si vedano il Sole-24 Ore del 5 aprile e di domenica scorsa). E tuttavia, ai tavoli tecnici tra Governo e Regioni i lavori vanno avanti e si fanno largo le prime ipotesi per razionalizzare e raffreddare la spesa di Asl e ospedali. Il taglio dei posti letto è così una ricetta, indicata nelle linee generali dall'anticipo della Finanziaria 2009 (decreto legge 112 del 2008, poi legge 133), che ora comincia ad arricchirsi di contenuti. I posti letto per acuti dovranno passare entro il 2014-2015 da 3,5 a 3 ogni mille abitanti, con un passaggio intermedio dal 2011 di 3,3 posti letto per mille abitanti. E allo stesso tempo il «tasso di ospedalizzazione» dovrà essere abbattuto dagli attuali 160 ricoveri ogni mille abitanti a 130 (a 145 nel 2011). Valori che attualmente pochissime Regioni rispettano, in pratica solo Toscana e Veneto. Il taglio del tasso di ospedalizzazione, se fatto con l'accetta, varrebbe 3,7 milioni di ricoveri in meno rispetto al 2007. Ora, è chiaro che i conti dovranno essere fatti con le Regioni e con la loro autonomia. Ma anche con le situazioni e i casi di palese criticità, soprattutto al Sud e al Centro Italia con il Lazio. E questo mentre due Regioni (Lazio e Abruzzo) hanno già il servizio sanitario commissariato per i super deficit fino al 2008, e altre quattro (Campania, Molise, Sicilia e Calabria) sono in attesa del verdetto del Consiglio dei ministri. La via dell'appropriatezza della spesa e dei ricoveri non è stata rifiutata a priori dai governatori. Anche se c'è chi può già vantare meriti sul campo e concreti risultati di efficienza. Ancora una volta, le cure di appropriatezza fanno capo in genere al Centro-Nord. Anche perché, sebbene non basti, in questi anni la scure delle razionalizzazioni è stata ripetuta e pesante. Dal 1997 al 2006 sono stati cancellati - a volte accorpati o riconvertiti - ben 288 ospedali. Un taglio secco del 30,6% delle strutture pubbliche. Punte di diamante la Lombardia che ha perso il 59% delle strutture, Veneto e Puglia che ne hanno eliminate il 50%, l'Emilia il 47 per cento. Altre come Toscana e Umbria avevano già operato di lesina negli anni precedenti. Il panorama al Sud è stato invece del tutto insufficiente, come dimostrano i piani di rientro che ora devono essere applicati, dalla Calabria alla Sicilia alla Campania. E al Lazio, che infatti è alle prese con un progetto ad hoc. Anche i posti letto ospedalieri pubblici negli ultimi dieci anni sono crollati: quasi 83mila in meno (il 28%) dal 1997 al 2006. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 apr. ’09 IL GOVERNO TAGLIA I POSTI LETTO, LA REGIONE NON CI STA All’assessorato dicono: già risparmiato, non si può abbassare il livello di assistenza Ascolta la notizia SASSARI. Il governo vuole tagliare i posti letto negli ospedali per diminuire la spesa sanitaria? La Sardegna ha già fatto la sua cura dimagrante e difficilmente potrà sopportare ulteriori sacrifici. E’ il segnale che arriva dagli uffici dell’assessorato regionale alla Sanità: l’isola ne ha già tagliuzzato e risparmiato in passato 500 e non vuole rinunciare ai suoi livelli di assistenza. Il piano antisprechi è tracciato nelle sue linee generali dall’anticipo della finanziaria 2009, e prevede una diminuzione complessiva di 27mila posti letto, di cui 1300 nei centri ospedalieri sardi. A darne la notizia il quotidiano «Il Sole 24 Ore», che fa una panoramica su regioni più o meno virtuose in tema di bilanci sanitari e la mappa futura dei posti letto. Secondo i piani del governo, ovviamente, che vuole raggiungere la sua meta in cinque anni, eliminando soprattutto strutture piccole e spesso inutili, in particolare al Sud dove più forti sono le resistenze alla razionalizzazione. L’obiettivo è di scendere nel quinquennio dai 3,5 posti letto per acuti per mille abitanti a 3, e abbattere il tasso di ospedalizzazione da 160 ricoveri ogni mille abitanti a 130, con un passaggio intermedio che lo farà arrivare già nel 2011 a 145. Tutto per arginare il disavanzo della Sanità, che al 2007, sempre secondo i dati del «Sole 24 Ore», era di oltre 21 miliardi. Alla direzione generale per le politiche sanitarie dell’assessorato regionale alla Sanità, di cui è ora responsabile Antonello Liori, visto il fresco ingresso (la nuova giunta è al lavoro da poco più di un mese) commentano con prudenza ma di una cosa sono sicuri: «La Sardegna è già stata protagonista di una razionalizzazione importante, eseguita nel rispetto degli indici prefissati dal piano nazionale. Parametri che manterremo fermi anche nel prossimo piano regionale sanitario, visto che il precedente è scaduto il 31 dicembre scorso, e che stiamo predisponendo. Ma non rinunceremo ad offrire gli stessi livelli di servizio necessari alla popolazione». Però l’indice applicato in Sardegna si trova, con il 4,5 posti letto per mille abitanti, ben lontano dalle aspettative di risparmio del governo. E’ verò però che è stato un parametro a suo tempo concesso in deroga dal governo che, nel rispetto dell’autonomia delle Regioni, era stato di manica più larga per alcune realtà. E infatti quella della sanità sarda è una realtà particolare, entrata anche nella vertenza con lo Stato dell’ex governatore Soru che aveva ottenuto di accollarsi le spese in cambio del riconoscimento delle entrate fiscali. Il piano sanitario del precedente assessore alla Sanità Nerina Dirindin aveva cercato di correggere alcune incongruenze. La spesa era stata ridotta e si è quasi arrivati al pareggio di bilancio. Ma la peculiarità dell’assistenza ospedaliera regionale sta soprattutto nel fatto che il numero dei posti letto per acuti è di molto superiore ai post acuti (cioè i pazienti che hanno necessità di riabilitazione e lungodegenza). Tant’è che nel 2006, cioè prima del piano Dirindin, i posti letto a disposizione per i primi erano 7643 e per i secondi 181. Nel 2007 la correzione che ha portato a 6075 i posti per gli acuti e a 1027 quelli per lungodegenti e riabilitazione, per un totale di 7102. Quindi una riduzione complessiva, anche se più bilanciata nelle componenti, di cinquecento unità. E’ con questa cifra che la Sardegna mette le mani avanti di fronte a richieste di tagli sulle quali governatori di altre regioni stanno facendo resistenza: non accettano logiche ragionieristiche quando si parla di salute. Intanto all’assessorato regionale fanno anche le prime previsioni sul bilancio. Le perdite per il 2008, secondo i dati di preconsuntivo, sono di 96 milioni di euro. Una cifra che «potrebbe però salire a 110 milioni di euro». Bisognerà aspettare la chiusura dei bilanci per avere maggiori certezze. Certo è che la sanità continua ad essere la maggiore fonte di spesa per la Regione alla quale costa ogni anno circa tre miliardi di euro. _______________________________________________________ Libero 11 apr. ’09 SPERIMENTATO NUOVO FARMACO CHE CANCELLA LE CICATRICI ERE (g.g.) Scienziati inglesi hanno sviluppato un farmaco che promette di cancellare le cicatrici del corpo successive a un'operazione chirurgica o a un incidente. Il nuovo medicinale - già testato con successo sull'uomo - si chiama avotermin e si basa sull'azione di una molecola conosciuta come fattore di crescita TGF 3, che influenza positivamente le cellule del collagene, componente chiave della pelle e indispensabile nel processo di cicatrizzazione. Mark Ferguson, dell'Università di Manchester, si dice entusiasta della nuova molecola selezionata ed è convinto che «possa presto diventare la terapia ufficiale anti-cicatrice». In questo momento gli scienziati inglesi stanno cercando altri 350 volontari per avviare nuovi test e comprovare la validità del farmaco. _____________________________________________________________________ Il Giornale 11 Apr. ‘09 CON LE PIASTRINE SI RIGENERANO I TENDINI INFIAMMATI Luigi Cucchi Gomito del golfista, del tennista, del falegname, della casalinga. Tutti coloro che utilizzano l'arto superiore in modo intenso, ripetitivo, prolungato e senza riscaldamento possono diventare vittime di tendiniti, cioè di infiammazione al tendine del gomito. Una patologia in molti casi invalidante e particolarmente fastidiosa se si considera che anche comuni attività quotidiane come girare la chiave nella serratura, avvitare un coperchio, stringere un oggetto, diventano un problema. Nei casi più semplici, è sufficiente il riposo, del ghiaccio, un antinfiammatorio. Per molte forme occorrono ben altri rimedi. Ne parliamo a Roma con il dottor Fabio Lodispoto, ortopedia e traumatologia, specialista in medicina dello sport (www.lodispoto.it). «Ogni tendine del corpo umano può infiammarsi. Le forme più frequenti sono quelle che colpiscono il gomito, il tendine di Achille, la cuffia dei rotatori della spalla, il tendine rotuleo. Si manifestano in presenza di una intensa attività sportiva o lavorativa. Il dolore per l'infiammazione del tendine di Achille può essere così violento da rendere il passo claudicante. Due sono le forme di infiammazione: acuta e cronica. Per la prima - precisa il dottor Lodispoto - basta riposo e fisioterapia. La seconda richiede quasi sempre il bisturi, Con la lama si incide il tendine, si asportano le zone danneggiate, calcificate e si pulisce il tessuto sano residuo. Buoni i risultati, ma a prezzo di una ripresa lenta. Esistono soluzioni chirurgiche mini invasive che permettono recuperi più veloci e che lasciano sulla pelle cicatrici quasi invisibili. Le infiltrazione di cortisone vanno effettuate solo nei casi più resistenti, sono di dubbia efficacia ed a volte dannose: se la tendinite si è cronicizzata la recidiva a distanza di pochi mesi è sicura nel 50% dei casi. I trattamenti più innovativi sono quelli che impiegano i fattori di crescita piastrinica (PRP - plasma arricchito da piastrine): sono ottenuti per separazione dallo stesso sangue venoso del paziente e iniettati localmente per via infiltrativa. Promuovono una immediata attività biologica riparativa. I risultati preliminari sono incoraggianti e per questo molti atleti che non possono sottoporsi a lunghe riabilitazioni a causa di impegni agonistici hanno scelto queste cure». La chirurgia offre la guarigione nell'80-90% dei casi. «Tre le metodiche utilizzate dal chirurgo per l'infiammazione tendinea al gomito (epicondilite): a cielo aperto, percutanee, artroscopiche. Con l’artroscopia - afferma il dottor Lodispoto - si opera invece dentro l'articolazione. Due fori nella pelle per penetrare nel gomito con telecamera e appositi strumenti. I chirurghi artroscopici devono essere molto esperti». _____________________________________________________________________ Il Giornale 11 Apr. ‘09 COME RECUPERARE IL RITMO CARDIACO Di aritmologia interventistica si è discusso a Napoli all'ospedale del Buon Consiglio Il cuore scompensato é la piú frequente causa di ricovero ospedaliero dopo i 65 anni Carmine Spadafora All'Ospedale del Buon Consiglio Fatebene fratelli di Napoli, si è discusso di cuore e, in particolar modo, della «Aritmologia interventistica, lo stato dell'arte e le nuove prospettive della resincronizzazione cardiaca». Il convegno si è svolto a «casa?> del professor Raffaele Sangiuolo, direttore dell'unità operativa complessa di cardiologia, elettrofisiologia ed elettrostimolazione. Nel corso del dibattito è stato affrontato un tema di primario interesse, come la gestione del paziente sottoposto a procedure di aritmologia interventistica ed in particolare ad impianto di dispositivi per il trattamento dello scompenso cardiaco definiti pacemaker-defibrillatori, impiantabili di resincronizzazione. Questi pazienti necessitano di un'attenta valutazione. Il loro arrivo in ospedale, viene seguito inizialmente dal medico del pronto soccorso, per poi evolvere nella valutazione dell'internista, del cardiologo clinico e successivamente dell'aritmologo interventista. Una volta dimesso il paziente torna ad una gestione congiunta tra il medico di famiglia, il cardiologo ambulatoriale e lo specialista ospedaliero. Il congresso è stato suddiviso in due parti: una teorica e un'altra di addestramento. Tra i partecipanti uno dei maggiori esperti a livello mondiale sulla terapia di resincronizzazione cardiaca, il dottor Antonio Curnis, responsabile del servizio di elettrofisiologia e cardiostimolazione degli «Spedali Civili - università di medicina e chirurgia di Brescia». Il dottor Curnis ha tenuto una lezione magistrale sulla resincronizzazione ventricolare nei pazienti con scompenso cardiaco in terza-quarta classe. Nel corso della giornata di studi, sono state rese note anche alcune cifre che riguardano lo scompenso cardiaco, l'evoluzione clinica di diverse comuni patologie, tipo la cardiopatia ischemica, le cardiopatie valvolari, le miocardiopatie. L'incidenza di scompenso cardiaco è di circa 2 milioni di casi l'anno nel mondo, oltre 470mila in Europa e quasi 100mila in Italia. Lo scompenso cardiaco è responsabile del 5-10% di tutte le ospedalizzazioni, risultando la più frequente causa di ricovero oltre i 65 anni di età. Dai vari interventi è emerso che, nonostante la progressiva introduzione di nuovi farmaci, in grado di migliorare l'evoluzione della malattia e di aumentare la sopravvivenza, la maggior parte dei pazienti scompensati, rimane fortemente sintomatica, con una prognosi infausta, gravata da un'alta mortalità dovuta a morte improvvisa o a progressiva disfunzione ventricolare sinistra refrattaria. La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) è attualmente il più efficace trattamento non farmacologico in grado di consentire il recupero di un'attivazione ventricolare più fisiologica, attraverso stimolazione indotta sia dal ventricolo destro che dal sinistro. La terapia di resincronizzazione cardiaca, in aggiunta alla terapia medica ottimale, si è dimostrata in grado di migliorare in maniera statisticamente significativa la qualità della vita e la funzione del ventricolo sinistro, dimostrando inoltre di riuscire a ridurre le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco del 52% e la mortalità del 35%. Da circa tre anni è inoltre attivo nell'ambito del servizio di aritmologia interventistica un centro multidisciplinare per la diagnosi e la cura della sincope con esecuzione di test con lettino reclinabile per la diagnosi delle cause di sincope neuro mediata. A Napoli l'unità operativa complessa di cardiologia Fatebenefratelli si compone di 16 posti letto, di questi quattro letti di UTIC monitorizzati, controllati in centralina alla consolle, tutti corredati di assistenza respiratoria e 14 posti letto di' degenza ordinaria di reparto. Tutti i pazienti dimessi da questo reparto, che si compone di dodici specialisti, diretto dal professor Raffaele Sangiuolo, sono seguiti, successivamente al ricovero, presso ambulatori dedicati, sia da un punto di vista clinico che diagnostico. In particolare, questa unità ha come fiore all'occhiello una elettrofisiologia ed elettrostimolazione per la quale già da anni costituisce un punto di riferimento per tutti i pazienti con problemi aritmici e per gli ospedali vicini. Il reparto di cardiologia del Fatebenefratelli svolge una attività di ricovero sia in emergenza, attraverso il pronto soccorso sia in elezione per la diagnosi e la cura delle patologie cardiovascolari come l'angina pectoris, l'infarto del miocardio, lo scompenso cardiaco, le cardiopatie valvolari e le malattie del ritmo cardiaco. Nell'ambito della elettrofisiologia e della elettrostimolazione ogni anno al fatebenefratelli vengono svolte oltre 250 procedure di elettrofisiologia e circa 300 procedure di cardiostimolazione con impianti di pacemaker mono e bicamerali per il trattamento delle bradiaritmie e pacemaker-defibrillatori biventricolari per il trattamento dello scompenso cardiaco. _____________________________________________________________________ MF 14 Apr. ‘09 PAPILLOMA VIRUS AL TAPPETO Salute Nuovi esami associano citologia e biologia molecolare per una diagnosi più precisa Presto un self-test da tare a casa e un centro specializzato mult2specialistico di Serena Mola Test più accurati e facilmente eseguibili, un centro dedicato multi, specialistico e un progetto pilota di screening. Sono queste le principali novità riguardo l'infezione causata dal Papilloma virus (Hpv) che, sebbene guarisca nella maggior parte dei casi, può evolvere in diverse forme tumorali. In Italia si contano ogni anno circa 1.500 morti. Le strade che la ricerca medica percorre sono principalmente quelle dell'affinamento della diagnosi e della prevenzione. Full Pap Test è un nuovo esame messo a punto dal Centro analisi Fleming di Brescia che permette di coniugare il tradizionale pap test all'Hpv test, ossia l'esame necessario a individuare la presenza del virus nelle cellule uterine. li nuovo esame parte dal pap-test in fase liquida (in cui si diluisce il materiale prelevato), a cui si aggiunge l’apporto della biologia molecolare. «In questo modo raddoppiano i parametri di indagine che forniscono informazioni sia riguardo alla positività al pap test, che rivela se la lesione è a basso rischio, ossia pre-cancerosa,, sia riguardo all'Hpv, che può risultare a basso o alto rischio oncogeno», ha spiegato Ernestina Valagussa, responsabile della Sezione di anatomia e istologia patologica presso il Centro Fleming L'analisi beneficia infatti dell'aggiunta di due marcatori, P16 e LI, che consentono di predire l'eventuale decorso tumorale dell'infezione in quanto la proteina P16 è presente quando è già avvenuta l'alterazione del ciclo cellulare, ossia quando la cellula sta diventando maligna, mentre la presenza del marcatore Li rivela invece se l'infezione è destinata a regredire. Il secondo test è careHpv di Qiagen, e sarà lanciato nei prossimi mesi nell'ambito di un progetto rivolto ai paesi in via di sviluppo, dove il tumore al collo dell'utero è una delle principali cause di mortalità nelle donne. Il nuovo Hpv test si svolge in assenza di risorse come acqua ed elettricità, sviluppa i risultati su una striscia colorimetrica di facile leggibilità e rivela in risultati in un'ora. Una terza novità è al vaglio presso l'Istituto europeo di oncologia a Milano. Mario Sideri, direttore dell'unità di ginecologia preventiva, ha rivelato gli orizzonti di una ricerca in corso, ossia portare la prevenzione nelle case delle pazienti mediante un self test: «Stiamo lavorando a un test che le pazienti potranno svolgere a casa, mediante una lavanda vaginale, inviando poi in laboratorio un boccettino di liquido. Attualmente sono in corso studi di stabilità e speriamo che entro un anno sia in farmacia il ldt completo». Sempre a Milano è di recente apertura, presso l'Istituto nazionale tumori, un centro multi specialistico (con una linea dedicata e ambulatori specialistici) dedicato all'Hpv e volto a coniugare prevenzione, clinica e ricerca. La multidisciplinarità del centro punta a intervenire sui parenti e partner dei pazienti per osservare e scoprire l'eventuale trasmissione del virus, che può evolversi in molteplici forme tumorali non solo al collo dell'utero ma anche à pene; vulva, ano e cavo oro-faringeo. «La ricerca è volta a capire come l'infezione virale si trasmette in diverse sedi corporee», ha spiegato Francesco Raspagliesi, direttore dell'unità di oncologia ginecologica dell'Istituto nazionale tumori, «Sono in corso 3 studi di carattere epidemiologico: il primo riguarda la trasmissione del virus nel cavo oro-faringeo, il secondo riguarda la risposta immunitaria dell'organismo all'attacco virale e il terzo la diffusione e l'incidenza del virus tra le donne extracomunitarie». In queste prime 8 settimane di attività sono già state effettuate più di 110 visite specialistiche. Presso l'Istituto oncologico veneto a Padova partirà entro qualche giorno un progetto pilota, della durata triennale, di screening sull'intera popolazione delle province di Padova e Rovigo attraverso pap test e Hpv, ed è già in programma di estendere la mappatura anche alla provincia di Treviso. Ammonta a circa 300 mila il numero delle donne che saranno invitate a prendere parte ai test Alberto Amadori, direttore scientifico dell'Istituto oncologico, ha spiegato che «nel giro di questi tre anni stimiamo di effettuare all'incirca 200 mila test». ______________________________________________________ L’UNIONE SARDA 15 apr. ’09 LA PSORIASI E I PROBLEMI DEI PAZIENTI IN PRIMAVERA Università. Parla Nicola Aste, clinica dermatologica. Nell'isola 35 mila malati Quasi 35 mila ammalati (soprattutto giovani adulti) in Sardegna e due milioni e mezzo in tutta Italia. A preoccupare è il fenomeno legato alla psoriasi, recentemente al centro di un convegno svoltosi all'università La Sapienza di Roma. «È con l'arrivo della bella stagione, dovendosi scoprire, che i malati vivono dal punto di vista psicologico, un vero dramma - ha spiegato il professore Nicola Aste, direttore della clinica dermatologica dell'Università di Cagliari - si tratta di una malattia infiammatoria cronica che colpisce la pelle e nel 30 per cento dei casi anche le articolazioni. Ha un'origine complessa, perchè entrano in gioco fattori genetici e ambientali che sono alla base sia dell'insorgenza della malattia che del suo riacutizzarsi. La psoriasi si manifesta con arrossamento e desquamazione della pelle e si localizza soprattutto sui gomiti, sulle ginocchia, sul cuoio capelluto, sul tronco sul palmo delle mani e piante dei piedi. In Sardegna i malati sono circa 35 mila, se si prendono in considerazione tutte le sue forme». Nella clinica dermatologica di Cagliari è attivo un centro di fototerapia con due cabine a Uva e Uvb per il trattamento della psoriasi e di altre patologie fotosensibili. __________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 18 apr. ’09 LA MAPPA DEL GENOMA E LE MALATTIE IMPREVEDIBILI di EDOARDO BONCINELLI La conoscenza del genoma umano ha mantenuto le sue promesse? E a cosa è servito tutto questo per quanto riguarda la vita di tutti i giorni? Queste sono le domande che qualcuno si pone di tanto in tanto, dando di volta in volta le. risposte più diverse. Se non c'è dubbio che sul piano conoscitivo e scientifico i risultati sono stati enormi e di enorme portata, meno clamorosi sembrano essere gli avanzamenti sul piano della salute individuale. O almeno questo emerge dagli studi statistici del momento. II tutto è particolarmente significativo per due motivi. Perché in questo aspetto c'è in ballo un universo di aspettative e di comprensibili apprensioni e perché particolarmente in Italia sono fioriti i laboratori che promettono analisi genetiche capaci di grandi e fondate previsioni. Forse occorre adesso andare più cauti. Lo studio del genoma partì qualche anno fa tra grandi aspettative e qualche polemica. 'Ira tutte le cose belle che se ne poteva dire i media hanno sottolineato e il grande pubblico ha colto soprattutto l'aspetto predittivo. Avendo a disposizione la sequenza completa del genoma umano e delle sue innumerevoli varianti si sarebbe potuto prevedere con largo anticipo alcune malattie che avrebbero poi colto questa o quella persona durante la sua vita. II destino delle notizie scientifiche, si sa, è quello di oscillare tra l'essere accolte nella totale indifferenza e quello di essere enfatizzate e reclamizzate oltre misura, magari con qualche esagerazione che talvolta arriva a trasfigurarle. Che cosa ci si poteva ragionevolmente aspettare da questo tipo di analisi? E che cosa è emerso fino adesso? Nel nostro genoma ci sono scritte molte cose, ci sono le istruzioni per vivere e prosperare e ci è registrato anche qualcosa della nostra natura genetica individuale. Delle malattie puramente genetiche, fortunatamente rare, c'è scritto tutto. Delle malattie puramente acquisite, dalle infezioni agli incidenti, non c'è scritto comprensibilmente niente. C'è scritto qualcosa della stragrande maggioranza delle altre malattie, inclusi i tumori, le quali hanno una base genetica innata ma per scattare hanno bisogno di una serie di eventi negativi, genetici e non, che ci possono capitare nell'arco della nostra vita. Sono appunto queste le patologie per le quali ci si aspetta di ricavare qualche informazione utile dall'analisi del genoma. Per prevenire o per darsi semplicemente una regolata. E' utile tutto questo? Quanto bisogna farci affidamento? E come dobbiamo accogliere eventuali risultati? A1 di là delle oscillazioni del momento, i miei consigli sono questi. Informarsi bene su quali test sono utili e quali inutili. Non sono tutti utili, ovviamente, perché dal prevedere all'essere ci corre molto. In questo caso ci corre la vita. Molte patologie che sono per strada possono non arrivare mai, mentre altre che non si erano ancora avviate al momento dell'analisi possono capitarci addosso in men che non si dica. Fra i test utili, e ce ne sono molti, farsi consigliare quale fare e magari rifare e dove e come. Non tutti i laboratori sono attrezzati alla stessa maniera. Diffidare soprattutto di quelli che promettono mari e monti. Talvolta è meglio fare e ripetere alcune analisi cliniche convenzionali che mirabolanti profili genetici. Non leggere mai da soli i risultati dei test, ma farseli spiegare e commentare da chi ne capisce, di solito un genetista medico. Solo questo ci può dire se non abbiamo niente, se abbiamo qualcosa della quale preoccuparsi - e quindi come comportarci - o se potremmo avere in futuro qualcosa, ma con quale probabilità e a quali condizioni. Diffidare dei laboratori che promettono mari e monti. E non leggere mai ,da soli i risultati ottenuti dai test _________________________________________________________ il Giornale 18 apr. ’09 IL MELANOMA È LA QUARTA NEOPLASIA IN AUSTRALIA, la sesta negli Stati Uniti Nel corso delle 24mila visite effettuate nel 2008 presso il dipartimento di dermatologia oncologica dell'Istituto San Gallicario-Ifo, diretto dalla professoressa Caterina Catricalà, sono stati diagnosticati ,359 nuovi casi di melanomi e 1500 carcinomi. Il melanoma, pur essendo un tumore raro, registra un'incidenza in continua crescita: è la quarta neoplasia in Australia e Nuova Zelanda, la sesta negli Usa e la dodicesima in Italia. La media in Italia è di 12 persone colpite ogni centomila abitanti l'anno, con età compresa tra i 35 e i 65 anni. È molto raro nei bambini, colpisce entrambi i sessi, ma per quello maschile la diagnosi è più tardiva, perché meno sensibili alla prevenzione. «L'unica arma vincente - afferma Catricalà - resta ancora la diagnosi precoce effettuata da dermatologi esperti e adeguatamente formati all'uso del le diagnostiche non invasive e in particolare alla demoscopian. Per divulgare il frutto delle conoscenze e dell'esperienza in materia di prevenzione, diagnostica e terapia dei tumori della pelle maturata presso il San Gallicano è nato il progetto «Accademia di formazione dermato-oncologica». L'obiettivo è far conoscere nuove tecnologie e metodiche che vanno dall'uso del dermoscopio alla video microscopia digitale, dalla microscopia confocale alla termografia e a tal fine organizzare corsi accreditati Ecm di vario livello, per migliorare le competenze specialistiche dei dermatologi e informare i medici di medicina generale. Il progetto inoltre prevede la formazione a distanza dei medici e l'utilizzo del web per campagne di prevenzione e informazione rivolte ai cittadini. Nei paesi che negli ultimi 40 anni hanno effettuato campagne di educazione e prevenzione la mortalità si è ridotta o stabilizzata, ma a differenza della altre neoplasie e in particolare dei big killer, negli ultimi 10 anni nessuna procedura chirurgica o di terapia sistemica ha fornito un vantaggio. La cura e la sopravvivenza dipende dallo spessore istologico del melanoma, più è superficiale e migliore è la prognosi. Ecco quindi l'importanza della diagnosi precoce. «Il primo passo - spiega Catricalà - per la corretta diagnosi è individuare la popolazione a rischio, rappresentata da chi ha la carnagione chiara, si scotta facilmente e non si abbronza, presenta un elevato numero di nei, ha già avuto un melanoma o ha avuto almeno un altro caso in famiglia. Il secondo è procedere all'esame clinico completo, sia della cute sia delle mucose visibili». _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Apr. ‘09 BOTULIONO_ E’ ANCHE UNA VERA CURA Il primo uso nello strabismo: oggi sono una trentina i disturbi nei quali si sfrutta il suo effetto «rilassante» La fama è tutta cosmetica, eppure il suo pregio maggiore, la capacità di rilassare la muscolatura per una sorta di denervazione chimica ne ha fatto in questi vent'anni un medicinale interessante, provato in oltre trenta condizioni patologiche. È l'altra faccia, quella meno frivola, del Botox, il rimedio antirughe che raccoglie successi in tutto il mondo (sei milioni i trattamenti nel 2008) e che in partenza era solo la potente tossina prodotta da un germe, il Clostridium botulinum, capace di uccidere in tempi brevissimi una persona. La prima autorizzazione all'impiego della (fino allora) micidiale sostanza risale al 1989 quando la Oculinum Inc ottenne dall'ente sanitario federale americano, la Food and Drug Administration, l'autorizzazione ad utilizzarla per la strabismo. «Un impiego che ha ormai un valore storico - informa Matteo Piovella, segretario della Società oftalmologica italiana -. A1 Botox si è poi progressivamente sostituito il bisturi». Da questo primo utilizzo (nel corso del quale si scoprì che la tossina distendeva anche le rughe) si passò a quello per il torcicollo spasmodico, fino all'iperidrosi; l'eccessiva sudorazione, delle ascelle e delle mani, con pubblicazioni a suo favore su riviste come il New England Journal of Medicine. A queste prime applicazioni, coronate da un certo successo, soprattutto nell'iperidrosi, se ne sono aggiunte via via altre cosiddette off label, ovvero fuori indicazione, non autorizzate. Elencate in un articolo dedicato all'argomento sulla rivista Disease-a-Month: alcune decisamente bizzarre, come lo spasmo anale e il vaginismo. Altre serissime, come la vescica iperattiva, il crampo dello scrivano, la disfonia laringea, la paralisi spastica infantile, come sottolinea Nicola Portinaro, a capo dell'unità di ortopedia pediatrica dell'Istituto Humanitas di Milano: «È una terapia complementare, ma serve». Fra le tante applicazioni, forse la più importante è quella nella spasticità dei muscoli lasciata in regalo da un ictus. Spiega Marco Molinari, responsabile della sezione mielolesi della fondazione Santa Lucia di Roma: «La maggioranza dei centri che fanno riabilitazione dall'ictus in Italia oggi impiega la tossina botulinica, anche se la cosa non è nota al grande pubblico. Lo scopo delle iniezioni che contengono 200 unità di Botox contro le 5o dell'impiego cosmetico è quello di distendere i fasci muscolari rattrappiti in seguito alla paralisi. È il caso delle dita della mano, che decontraendosi possono recuperano abilità perdute o del polso. Con un un'influenza positiva anche sull'area cerebrale lesionata, grazie a quella "plasticità" del sistema nervoso di cui abbiamo prove sempre più fondate. Una sorta di marcia all'indietro che ridà vigore ai neuroni compromessi». Ma su questi impieghi curativi gravano sospetti: la tossina può migrare nel corpo, anche a distanza dal muscolo trattato producendo danni. Dopo le prime segnalazioni di effetti negativi in bambini con paralisi cerebrale associata a spasticità, l'ente federale sanitario americano si è fatto carico del problema pubblicando nel 2005 uno studio su 1.40o reazioni avverse al Botox utilizzato a dosaggi terapeutici, in media l00 unità: la conclusione è che in 217 casi si è trattato di fenomeni gravi e in 28 si è verificato il decesso. Come se non bastasse, l'anno scorso Matteo Caleo, biologo del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa ha pubblicato sul Journal of Neurosciènce uno studio sui ratti che dimostrebbe un percorso a ritroso della tossina botulinica dal punto di iniezione al sistema nervoso. La ricerca ha suscitato un vespaio di .critiche, ma Caleo va avanti: «Sono convinto che il modello animale corrisponda a quanto. accade nell'uomo. Datemi ancora un po' di tempo e vedrete..». Franca Porciani _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Apr. ‘09 DA ARMA BIOLOGICA «MANCATA» AD ELISIR i ADRIANA BAZZI Il successo del botulino nasce da un fallimento militare. Quando gli americani, durante la Seconda Guerra Mondiale, si sono accorti che la tossina, prodotta da batteri del genere Clostridium, non funzionava come arma biologica, perché era troppo difficile da «dosare» (uccide in dosi piccolissime) e troppo complicata da «somministrare» al nemico (attraverso l'acqua? il cibo?), non hanno abbandonato le ricerche, ma le hanno dirottate nei laboratori civili. Scoprendo così la sua faccia «buona». Fino ad allora il botulino, la cui potenza letale era stata individuata fin dal 1896 in persone che avevano mangiato prosciutto affumicato, ha sempre costituito una minaccia «alimentare». E lo rimane tutt'ora per chi consuma conserve contaminate, soprattutto verdure sott'olio. Tanto per avere un'idea: in Italia ogni anno si registrano dai venti ai trenta casi di intossicazione. Ma oggi il più potente veleno conosciuto (ne basterebbero 200 grammi per annientare l'umanità) può trasformarsi in un agente terapeutico. È persino in un cosmetico. Del resto, in greco, pharmakon significa anche veleno: la differenza, come sempre, sta nelle quantità. _____________________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Apr. ‘09 VENT'ANNI DI SUCCESSI, MA ANCORA NON SI SA QUANTO SIA SICURO Le iniezioni spiana rughe dilagano nonostante che l'effetto regga pochi mesi Visti i numeri da capogiro - si prevede che nel 2010 si sfioreranno in Italia i 200.000 trattamenti - le fialette spiana rughe, alla fine, devono essere abbastanza innocue; altrimenti saremmo sommersi dalle segnalazioni di effetti negativi. «C'è poco da fare; il Botox è un business colossale proprio perché toglie le rughe senza provocare danni. I disturbi segnalati sono tutti transitori. Un po' mi dispiace perché la richiesta di questi trattamenti è destinata inevitabilmente ad aumentare. Sotto il profilo clinico e non estetico, mi fa piacere la notizia che la tossina sembra ridurre le cicatrici ipertrofiche sul viso, problema per il quale non abbiamo molte risorse. Vediamo se queste osservazioni verranno confermate». Carlo Gelmetti, professore di Dermatologia dell'università di Milano, è lapidario: il Botox è un farmaco cosmetico quasi perfetto. «Anche se - prosegue - è stata documentata la formazione di aree fibrotiche, quindi anelastiche, nel muscolo nella sede dell'iniezione quando si ripete molte volte il trattamento». Fra i disturbi segnalati in seguito all'iniezione della tossina botulica per le rughe, autorizzata in Italia dal 2004 (negli Stati uniti due anni prima) e solo per le rughe della parte superiore del viso, alcuni sono fastidiosi, come la ptosi, ovvero l'abbassamento della palpebra, problema abbastanza frequente, dovuto alla diffusione della sostanza al muscolo elevatore della palpebra. Non è un bel vedere anche perché ci mette dalle 3 alle 4 settimane per scomparire (il beneficio del Botox dura tre, quattro mesi; forse, allora, non ne vale tanto la pena). Altra complicazione abbastanza comune è l’ asimmetria delle sopracciglia. Ma gli specialisti sostengono che l’8o per cento delle persone ce l'ha già prima delle punturine, colpevoli, perciò, solo di accentuarla. Altro problema frequente, il mal di testa, riferito dal 3 per cento delle persone (anche gli uomini non disdegnano) che si sottopongono al trattamento: scompare spontaneamente nel giro di qualche giorno e si attenua con il paracetamolo, un antinfiammatorio. La lista potrebbe andare avanti con particolari coloriti, come le «sopracciglia del diavolo», conseguenza di una tecnica sbagliata di iniezione della tossina soltanto nella parte centrale della fronte e il «sorriso di argilla», ovvero l'irrigidimento del sorriso e l'asimmetria della bocca, che scompare in due settimane, causata da una quantità eccessiva di tossina. Sta di fatto che in questi anni non è stato segnalato niente di più serio, neppure sul fronte delle reazioni allergiche, assolutamente rarissime, come conferma uno studio che ha preso in considerazione gli studi in proposito appena pubblicato sulla rivista Disease-a-Month. Ma c'è chi non condivide tutto questa tranquillità. Matteo Caleo, biologo ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, autore del tanto criticato studio sull'animale che dimostrerebbe come la tossina possa risalire lungo i nervi dal punto di iniezione al cervello (ma siamo nel topo) racconta: «Nel mese successivo alla pubblicazione del mio lavoro (avvenuta nel 2008, ndr), sono stato letteralmente inondato da email di persone che segnalavano reazioni alle iniezioni di Botox; io credo che il problema sia ancora sommerso; prima o poi poi verrà fuori». Sta di fatto che non è stato ancora pubblicato uno studio che raccolga le segnalazioni degli eventuali effetti negativi del Botox ad uso cosmetico. Tranquillizza il dosaggio basso, 5o unità, e sembra dimostrato che i rischi di diffusione nell'organismo compaiono con quantità più elevate, le 100, 200 unità, che si impiegano a scopi terapeutici. Intanto la magica tossina di gioventù dilaga in tutti i paesi ricchi, nonostante la crisi, tanto che si segnala una nuova dipendenza: la «botulinofilia», che porta all'abuso delle puntuxine come se si trattasse di pastiglie di ecstasy o di bicchieri di whisky. Voler sembrare giovani a tutti i costi è, davvero, una bella schiavitù. F. P. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 14 apr. ’09 I GENI A SOSTEGNO DELL' AYURVEDICA I suoi «tipi» hanno una base scientifica Trovata una relazione tra diverse espressioni del gene Hla-Drb1 e l' antica classificazione dell' individuo Per la diagnosi I «Dosha» dell' individuo sono il fondamento della diagnostica Ayurvedica Anche l' antica medicina ayurvedica ha una sua scientificità, il problema è "tradurla" in termini occidentali. Un primo passo è stato fatto da uno studio, pubblicato sulla rivista specializzata Journal of Alternative and Complementary Medicine, di cui si è discusso al recente Congresso internazionale organizzato dalla Società scientifica italiana di medicina ayurvedica (SSIMA) e dalla Scuola di medicina ayurvedica "Ayurvedic Point". La ricerca, condotta all' Interdisciplinary School of Health Sciences dell' Università di Pune, in India, segnala una correlazione tra alcune varianti del gene Hla-Drb1 e la classificazione dell' individuo secondo la medicina ayurvedica, ovvero quella legata ai cosiddetti Dosha: Vata, Pitta e Kapha. Secondo l' Ayurveda ogni individuo è l' espressione unica e irripetibile della combinazione di questi tre Dosha, le cui diverse prevalenze identificano varie tipologie costituzionali. L' individuazione del Dosha di un individuo è in pratica il punto di partenza per impostare il trattamento ayurvedico. «Questo studio - fa notare Antonio Morandi, neurologo e Presidente di SSIMA - conferma dal punto di vista della biologia molecolare l' impostazione diagnostica dell' Ayurveda. In pratica evidenzia che esiste la possibilità di classificare attraverso indagini cliniche le persone all' interno di alcuni gruppi che corrispondono a differenze di espressione genetica, nel caso specifico, del gene Hla-Drb1. Molto probabilmente questo gene, che gioca un ruolo fondamentale a livello immunitario (studi suggeriscono che alcune malattie colpiscono con maggiore frequenza individui con specifiche varianti di questo gene, ma non sono ancora chiari i motivi, ndr), non è l' unico coinvolto, ma aver individuato una relazione è un primo passo molto importante». Insomma, medicina Ayurvedica e medicina ufficiale iniziano a trovare un terreno di comunicazione, che fa perno sulla genetica, ma anche sulla fisica quantistica come puntualizza Morandi: «La fisica quantistica fornisce una serie di elementi che fanno in modo che le due medicine possano parlare tra loro. Indubbiamente la strada da percorrere su questo binario sarà lunga, ma i risultati potrebbero sorprendere». L' Ayurveda è la medicina tradizionale indiana ed è uno dei sistemi di medicina naturale più antichi. «I testi più importanti, cui ancora oggi facciamo riferimento - riferisce Morandi - risalgono a più di 3000 anni fa, ma esprimono concetti molto attuali a partire dalla visione della vita come una continua interazione tra corpo, organi di senso, mente, anima». Il termine Ayurveda deriva dal sanscrito, dall' unione di due parole Ayu e Veda. Il termine Veda indica la conoscenza; Ayu indica la vita: quindi, conoscenza della vita. «L' Ayurveda si prefigge quattro scopi fondamentali: prevenire le malattie, curare la salute, mantenere la salute, promuovere la longevità - spiega Morandi -. L' uomo è considerato una miniatura della natura e ciò significa che i principi presenti nella natura sono gli stessi presenti nell' uomo. I cinque elementi di base che compongono l' Universo - etere, aria, fuoco, acqua e terra - si esprimono con modalità differenti nella formazione degli esseri viventi, determinandone origine e strutture. In base a questo principio è possibile usare, se lo conosciamo, tutto ciò che è presente nell' universo al fine di curare le malattie». «Una volta fatta la diagnosi abbiamo la possibilità di intervenire su diversi fronti a partire dall' alimentazione e dallo stile di vita - precisa Morandi -. Molto ampio è inoltre l' armamentario farmacologico ayurvedico, rimedi costituiti per il 95& da erbe medicinali. Poi ci sono i cosiddetti trattamenti fisici, da non banalizzare come generici massaggi. Si tratta di cure che agiscono sul corpo per stimolare eventi che devono avvenire al suo interno». Antonella Sparvoli Chi la pratica Secondo la Società scientifica italiana di medicina ayurvedica, questa disciplina deve essere praticata da medici. Trattandosi però di un approccio che agisce a vari livelli, il medico ayurvedico deve avvalersi dell' aiuto di terapisti appositamente reparati. Ad oggi, tuttavia, non esiste una regolamentazione specifica. Ma vediamo quali dovrebbero essere i ruolo del medico e del terapista. Medico ayurvedico: è un laureato in medicina che ha ottenuto anche un attestato di formazione pluriennale in Ayurveda presso una Scuola riconosciuta, preferibilmente a livello internazionale. Il medico fa la diagnosi e le prescrizioni. Terapista ayurvedico: dovrebbe avere un diploma di scuola media superiore (preferibilmente a indirizzo sanitario) e un diploma di terapista ayurvedico ottenuto frequentando corsi specifici di almeno 3-4 anni in scuole riconosciute. Può agire a tre livelli: in autonomia nel caso di trattamenti semplici; può eseguire trattamenti che per la loro specificità hanno bisogno prescrizione del medico ayurvedico; può assistere il medico nei trattamenti invasivi, sotto la sua stretta supervisione. Sparvoli Antonella