10 MAGGIO 2009 RETTORE: «ECCO COME VORREMMO LA NOSTRA UNIVERSITÀ» - RETTORE: UNIVERSITÀ PUBBLICA CON TASSE IMMUTATE - UNIVERSITÀ, UNA NOTA PARALIZZA I CONCORSI - ATENEI, IL PROBLEMA DELLA GELMINI - UNIVERSITÀ, PRONTA LA BOZZA DI RIFORMA. MA AU E PERPLESSA - LAUREATI, L’ITALIA MAGLIA NERA IN EUROPA - UNIVERSITÀ, MANCANO DOCENTI NELL’AREA MEDICA - OXFORD CONTRO CAMBRIDGE MA REMA PIÙ FORTE PAVIA - RICERCA ITALIA: UN'EUROPA LONTANA - NAPOLI, SCANDALO ALLA FEDERICO II: GLI ESAMI SI COMPRANO - IL TAR REINTEGRA ALTRI TRE BARONI - SANITÀ, LA GUERRA DEI RICORSI SULLA «ROTTAMAZIONE» DEI PRIMARI - MENO TECNICA E PIÙ ANIMA PER I DIRIGENTI - SCIENZIATI NON FATE I SANTONI - FRANCIA, ATENEI IN RIVOLTA STUDENTI E PROF CONTRO SARKO - SE LA SCIENZA SCOPRE CHE DIO ESISTE E PARLA - SPERIMENTARE COL CONSENSO - FUNZIONA AD ARIA EPPUR SI MUOVE - LA (DIS)PARITÀ DEL TEMPO LIBERO LUI HA 83 MINUTI IN PIÙ - NELLA REGIONE DELL'INFRAROSSO SI AVVICINA ALL’INVISIBILE - TUTTI I FOTONI VENGONO AL PETTINE - ======================================================= SANITA’: LA MAPPA DELL'ECCELLENZA - UN MERCATO DA 130 MILIARDI - VERTICI ASL, L'OMBRA DEL RICAMBIO «BARRANU GIÀ COMMISSARIATO» - SPAZIO ALLA SANITÀ INTEGRATIVA - VERONESI E IL NOBEL «LA FEBBRE? FALSO ALLARME» - PIÙ FONDI CONTRO IL DOLORE - CAGLIARI: L'EROINA STA INVADENDO IL MERCATO - INFERMIERI, IL 10% È STRANIERO - COMUNICARE L'EPIDEMIA - GLI SPRECHI DELLA SANITÀ UN ESAME SU TRE È INUTILE - VIRUS AL POSTO DELL'ANTIBIOTICO - LA LARVA CHE «PULISCE» L'ULCERA - LA FISICA IN CAMPO CONTRO I BATTERI: EFFICACIA E RISPARMIO - ANCHE IL CUORE HA BISOGNO DI FARSI I MUSCOLI - PROLE SI, SESSO NO: LA SCELTA ANIMALE - CERVELLO ALLO SCOPERTO - II CANCRO È LA PRIMA CAUSA DI MORTE - ODONTOIATRIA: L'IMPLANTOLOGIA AVANZA CON IL RISPARMIO BIOLOGICO - AFFIDARSI Al DOTTOR WEB? C' È PERICOLO DI FALSE TERAPIE - «DOTTORE, DOVE POSSO GUARIRE CON LE STAMINALI?» - VIA INTERNET LA NUOVA CORTE DEI MIRACOLI - FARMACI «PERSONALIZZATI» PER SCONFIGGERE I TUMORI - EPILESSIA, DIECIMILA SARDI NE SOFFRONO - CERVELLO, SPERANZE DAI MICROSENSORI - I POMODORI NEMICI DEL COLESTEROLO - ======================================================= ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 mag. ’09 RETTORE: «ECCO COME VORREMMO LA NOSTRA UNIVERSITÀ» I punti di vista di Faa, Del Zompo, Melis, Paci e Sassu sulle questioni “calde” dell’Ateneo cagliaritano A confronto i 5 candidati per la carica di Magnifico a Palazzo Belgrano Iniziamo oggi un forum con i 5 aspiranti in corsa per il rettorato nelle elezioni del 21 maggio a Cagliari. Per i cinque candidati-rettori prima serie di domande inoltrate dai docenti universitari. Ne seguiranno altre, di professori, studenti, amministrativi e sindacati La sua candidatura è espressione di uno schieramento politico? Maria Del Zompo: «Assolutamente no, anche se il candidato è prima di tutto un cittadino con i propri orientamenti politici. I colleghi valuteranno soprattutto lo spessore culturale e la chiarezza degli obiettivi di governo». Faa: «La mia candidatura esprime un ampio movimento unito da alcuni comuni denominatori: l’attaccamento alla nostra terra e all’istituzione universitaria, l’entusiasmo per la ricerca, la passione per la didattica, l’ambizione di far entrare l’ateneo nel circuito europeo. L’amore per la ricerca e la didattica non possono essere né di destra né di sinistra». Giovanni Melis: «La mia candidatura è espressione di tanti colleghi che hanno come orientamento comune la volontà di innovare la gestione dell’Ateneo. Il rettore rappresenta un’istituzione che opera con autonomia decisionale». Raffaele Paci: «Uno dei principi irrinunciabili dell’Università è la assoluta autonomia dagli schieramenti politici e il rettore ne deve essere il massimo garante. L’Università deve dialogare con le istituzioni a prescindere dal loro colore politico». Antonio Sassu: «La mia candidatura deriva dalla sensibilità che ho per i problemi della comunità universitaria e dall’esperienza acquisita dentro e fuori l’Università. Il rettore, qualunque sia la sua formazione culturale e l’ideologia, non risponde ad alcun partito politico». Taglio dei fondi statali: dove risparmiare e concentrare le risorse? Del Zompo: «Dobbiamo migliorare gli spazi per la ricerca e la didattica, la manutenzione e sicurezza degli immobili, la premialità e le progressioni di carriera legate al merito in tutti i settori. Dobbiamo mettere i Dipartimenti nelle condizioni migliori per fare ricerca e ridurre gli sprechi, per esempio con l’energia pulita a Monserrato e negli edifici cittadini». Faa: «I risparmi deriveranno dalla contrazione del numero dei corsi di laurea imposta dal ministero. Poi, va attuato un progetto per sfruttare l’energia solare e ridurre le spese telefoniche. Le risorse vanno concentrate sulle politiche per i giovani, su sviluppo e premialità della ricerca, elevazione della didattica, creazione di scuole di dottorato di alto livello». Melis: «Migliorare la funzionalità amministrativa razionalizza l’uso delle risorse e consente di aumentare la capacità competitiva per ottenere fondi ministeriali, comunitari e regionali necessari per potenziare la ricerca, la didattica e gli organici». Paci: «Dobbiamo continuare a chiedere che lo Stato finanzi in modo adeguato l’Università pubblica. Allo stesso tempo è necessario eliminare le inefficienze interne liberando così risorse da destinare innanzitutto alla ricerca scientifica, ai servizi e alla didattica». Sassu: «Credo che le risorse debbano essere spese per la didattica e la ricerca, per rendere più efficiente la qualità dei servizi agli studenti. Le sacche di inefficienza possono trovarsi in varie parti dell’Università». Tasse: che succederà? Del Zompo: «Aumenteranno i controlli sulle dichiarazioni non veritiere: chi deve pagare le tasse le pagherà completamente. In una regione come la nostra, il diritto allo studio non può gravare esclusivamente sulle famiglie e sull’Ateneo. Il dialogo con le forze politiche sarà cruciale». Faa: «Il nostro ateneo è strumento fondamentale nello sviluppo del sistema Sardegna. È al servizio delle famiglie sarde e dei loro figli. Ma non si può pensare di far ricadere sulle loro spalle le carenze di fondi. Sono contrario a qualsiasi aumento delle tasse». Melis: «L’Ateneo non può ignorare la crisi economica e sociale. Sugli aspetti critici del sistema economico e sociale e sui vincoli dell’insularità occorrerà ragionare con l’amministrazione regionale per definire un progetto organico per rafforzare gli Atenei sardi». Paci: «L’aumento delle tasse per me non è una priorità ma neanche un tabù. Innanzitutto dobbiamo diventare più efficienti e credibili; poi si potrà affrontare insieme agli studenti il problema delle tasse per garantire il diritto allo studio e un servizio di alta qualità». Sassu: «Le tasse non hanno mai risolto i problemi dell’Università. Servono per selezionare la clientela o il pubblico. Però sono entrate importanti e in qualche modo bisogna compensarle. Questo si può ottenere eliminando il problema dei fuori corso o, comunque, attenuandolo. Allora un diritto allo studio più avanzato possono migliorare la performance dello studente. Ne deriverà un “FFO” più cospicuo». Costi dell’assistenza sanitaria sull’Università: opportuno rinegoziare un protocollo d’intesa con la Regione? Del Zompo: «Da quando è stata creata l’Azienda ospedaliero-universitaria, non c’è più nessun costo assistenziale. La rinegoziazione con la Regione è però importante per trovare le risorse necessarie a permettere la ricerca e la didattica all’interno dell’Azienda». Faa: «La creazione dell’azienda mista, alla quale ho partecipato, ha risolto i problemi sull’esposizione dell’ateneo. Il protocollo d’intesa potrà essere ridiscusso e migliorato. Il contributo della Regione per la formazione delle figure sanitarie può crescere e venire utilizzato anche per finanziare realtà di elevato interesse culturale». Melis: «L’Ateneo di Cagliari è il settimo in Italia per incidenza sul bilancio della spesa sanitaria. Lo sviluppo dell’Azienda mista dovrà basarsi sul contributo finanziario del sistema sanitario regionale: l’Ateneo contribuirà con le eccellenze professionali di Medicina». Paci: «La costituzione dell’Azienda mista è stato un risultato importante ma è necessario negoziare con la Regione alcuni aggiustamenti per permettere alla facoltà di Medicina di svolgere bene l’assistenza sanitaria finalizzata alla formazione dei medici e al tempo stesso liberare l’Università da oneri impropri». Sassu: «Non solo è opportuno rinegoziare il protocollo d’intesa e l’atto aziendale, ma è necessario. La facoltà di Medicina considera l’ammalato come strumento di didattica e come fine per salvare la vita dell’uomo e questo può essere fatto solo con l’assistenza e dentro l’azienda mista». CARLA RAGGIO ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 mag. ’09 RETTORE: UNIVERSITÀ PUBBLICA CON TASSE IMMUTATE I cinque candidati rettori rispondono alle domande sul futuro dell’ateneo Le risorse per prosperare: dai premi sulla ricerca e dall’Unione europea CAGLIARI. Aspiranti rettori al fuoco di fila delle domande proposte dagli studenti nell’aula magna della clinica medica intitolata a Mario Aresu docente dal 1930 al 1962: tempi infiniti di un’epoca definitivamente superata dalla storia. Così ieri i cinque candidati alla poltrona di Mistretta si sono misurati, seduti in silenzio per una sorta di lezione magistrale su come si deve gestire una università davvero formativa nonché faro di scienza e modello di gestione virtuosa. A parole è possibile, come ha fatto notare il candidato Melis, il punto è che cosa il nuovo rettore saprà mettere in campo per riuscirci. I candidati si sono presentati senza risparmiare gli accenti di entusiasmo sui propri risultati raggiunti come docenti, consiglieri di amministrazione, ricercatori ecc. Si tratta di Maria Del Zompo, Antonio Sassu, Giovanni Melis, Raffaele Paci e Gavino Faa: Del Zompo e Faa vengono da Medicina, Sassu, Melis e Paci sono espressione dell’area economica, grande assente la facoltà di Ingegneria perché dopo sei mandati dell’urbanista Pasquale Mistretta non c’era da far altro che stare a guardare. Dunque ieri gli studenti hanno presentato alcune domande vincolando i candidati a rispondere in cinque minuti. Allora: il ministro taglia i fondi per l’istruzione, il rettore aumenterà le tasse universitarie? E poi l’università di Cagliari resterà pubblica? In presenza dei tagli, quali fonti di finanziamento alternative il rettore dovrà attivare? Così gli studenti hanno esordito stabilendo l’ordine di risposta: Melis, Paci, Faa, Del Zompo, Sassu. Melis: «L’ università deve essere autonoma e pubblica, le fondazioni non sono particolarmente credibili. Sulle tasse il problema non si pone perché c’è crisi economica. Invece, sul tema delle tasse e dell’insularità bisogna ragionare con l’amministrazione regionale, non ci possiamo aspettare il sostegno del tessuto economico. Siamo il centro di formazione e di ricerca più importante dell’isola e dobbiamo rivendicare il nostro ruolo. Per cominciare bisogna migliorare la governance: c’è una gestione accentrata e confusa, nel nostro sistema regionale manca la voce dell’ateneo anche quando si parla di ricerca e di formazione. E sulle risorse dico: intanto bisogna spendere bene quel che si fa (negli appalti, nei contratti) e poi ci dobbiamo aprire al confronto col territorio, anche migliorando la didattica ed è questo uno dei motivi per cui bisogna creare le condizioni perché gli studenti si laureino in fretta e bene. E’ importante perciò introdurre nell’università la logica della programmazione». Paci: «Il problema finanziario è il tema fondamentale. Sono per l’università pubblica e sono disposto a scendere in piazza anche da rettore per sostenerlo. Se tutta l’organizzazione dei rettori si fosse espressa con più determinazione contro i tagli, qualcosa l’avremmo ottenuta. Sulle tasse: l’aumento delle tasse per me non è una priorità, ma non deve essere neppure un tabù. La prima fonte delle risorse è l’eliminazione degli sprechi. Altre fonti sono i Por che prevedono molte misure per la società della conoscenza. In un paio d’anni con una gestione adeguata si possono trovare tutte le risorse». Faa: «Io ho fatto le elementari a Masullas e in classe c’era un bambino eccezionale che non ha potuto continuare a studiare perché senza mezzi: le tasse non si toccano perché tutti devono poter venire all’università. Io dico che i tagli potrebbero anche non esserci, ma il punto è quale opportunità nasce dalla crisi in corso? Rispondo citando Bologna che l’anno scorso ha ricevuto 38 milioni di euro dall’Unione europea: noi dobbiamo creare subito un ufficio progetti europei. Il bilancio è un documento politico: quest’anno ci sono state solo 27 borse di dottorato, ebbene ce ne dovranno essere almeno 100 perché la legge prevede che per fare il concorso a ricercatore ci voglia il dottorato». Del Zompo: «Università pubblica uguale diritto allo studio, che si scarica sulle famiglie e sull’ateneo. Il problema è che la nostra mentalità non crede che investire in cultura crei ricchezza, invece noi sappiamo che è vero il contrario perciò io dico che bisogna creare servizi comuni per la ricerca, da quest’anno il ministero premierà chi fa più ricerca. Ci sono fondi spendibili solo dall’università che non riusciamo a prendere: ci dobbiamo organizzare. Sulle tasse: se facciamo sistema riduciamo gli sprechi e le tasse non le tocchiamo. Da rettore, alla Regione io ci andrò con un piano di ateneo su ricerca e formazione: non andrò a chiedere fondi e basta, noi possiamo essere motore di rinascita e non continuare a essere un peso». Sassu: «Ci sono università private che funzionano, ma io credo che noi facciamo un tipo di produzione della conoscenza di carattere generale e una ricerca di base che deve essere diffusa in tutta la società. Non ha senso aumentare le tasse: sono una forma di selezione della clientela. Il nostro prodotto più importante è la formazione dello studente, perciò servono i servizi: con questi la performance dello studente migliora. Lo studente deve essere al centro della realtà universitaria». ___________________________________________________________ ItaliaOggi 5 mag. ’09 UNIVERSITÀ, UNA NOTA PARALIZZA I CONCORSI Tutto bloccato senza le specifiche Miur DI BENEDETTA P PACELLI ancora il nodo dei concorsi a paralizzare il mondo accademico. Perché al palo ci sono tutte le procedure di valutazione. Eppure la legge c'è (1/09) e il decreto ministeriale (dm del 27/3/09) di attuazione anche. Manca la nota del ministero dell'università che fissa la data delle votazioni per costituire le commissioni giudicatrici in modo da poter effettuare i relativi sorteggi. Il risultato è che i concorsi -sono bloccati. C'è poi il capitolo ricercatori. Sempre la stessa legge ha cambiato le procedure di valutazione per il loro reclutamento. D'ora in poi, infatti, per diventare ricercatore i candidati saranno esaminati sulla base dei titoli e delle pubblicazioni utilizzando parametri riconosciuti anche in ambito internazionale. Parametri che, si legge sempre nella legge, dovevano essere individuati con apposito decreto ministeriale da adottare entro 30 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento (entro il9/2/09) sentito prima il Consiglio universitario nazionale. Che, invece, la sua parte l'ha fatta. Fissando, una volta per tutte, paletti uniformi a livello nazionale e non lasciati all'arbitrarietà dei singoli atenei. In ogni caso il documento dell'organo presieduto da Andrea Lenzi non è ancora stato recapito dal ministero e circa 4 mila ricercatori che aspettavano la svolta possono per il momento mettersi l'anima in pace. Nessuna buona notizia neanche sul decreto ministeriale che dovrebbe, come ogni anno, spartire il Fondo del finanziamento ordinario, quel finanziamento cioè, che costituisce la principale fonte di entrata per le università italiane. Né tanto meno ci sono novità all’orizzonte rispetto a quella quota premiale del 7% destinata ad incrementare il fondo delle università che hanno qualità dell'offerta formativa, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche e i risultati dei processi formativi e dell'attività di ricerca scientifica. Le modalità di ripartizione sarebbero dovute essere definite con un decreto del ministero da adottarsi, in sede di prima applicazione entro il31 .marzo 2009. ____________________________________________________________ Europa 8 mag. ’09 ATENEI, IL PROBLEMA DELLA GELMINI GILIBERTO CAPANO Il ministro Gelmini, in una lunga ' intervista trasmessa martedì da Radio 24, ha presentato le sue idee sulla riforma dell'università. Idee che sono in fase di formalizzazione in disegni di legge e regolamenti. Molte buone idee, in linea di principio, anche se, ascoltando il ministro emergono alcuni problemi. In primo luogo, un problema informativo: non è vero, come ha detto il ministro, che noi spendiamo in università come gli altri paesi: Noi spendiamo di meno, decisamente meno, come ogni anno ci ricordano i rapporti dell’Ocse (solo l’1,6% della spesa pubblica va in istruzione superiore mentre la media Ocse è del 3%). E la gran parte del differenziale tra noi e gli altri sta proprio nelle risorse non investite in edilizia e in diritto allo studio. Non è vero che si riuscirà a colmare questo gap riducendo i corsi di studio e le sedi distaccate. Nessuno si illuda: la diminuzione dei corsi di studio non porta alcun giovamento finanziario; la riduzione delle sedi distaccate non farà risparmiare quantità significative di risorse finanziarie da reinvestire in diritto allo studio o in edilizia universitaria. La gran parte delle sedi distaccate propongono corsi di studio che costano poco (corsi ad elevata intensità di forza lavoro: corsi in economia, giurisprudenza, materie letterarie, scienze politiche, ecc.) e quando costano di solito sono finanziate dagli enti locali. Insomma, va bene ridimensionare la folle strategia di aprire una sede universitaria in ogni angolo, anche il più riposto, del paese, ma non raccontiamoci che serva a fare cassa. Qui non ci sono scorciatoie: risorse aggiuntive sono necessarie. Si possono trovare in vari modi (coinvolgendo e responsabilizzando le regioni e gli enti locali; rimodulando la contribuzione studentesca; attingendo alle finanze statale in modo più generoso di quello che è stato finora), ma non illudiamoci che siano realisticamente perseguibili modalità indolori e semplici. In secondo luogo, se è indubbio che la valutazione rappresenta un elemento essenziale per innescare una dina mica virtuosa del sistema (come ha ripetutamente detto la Gelmini), è ancora più vero che essa da sola non basta. La valutazione è uno strumento di governo: ciò vuol dire che essa è efficace se utilizzata davvero nelle sue conseguenze anche poco piacevoli. Si deve sapere prima che la valutazione venga operata quali sono gli obiettivi strategici che le università debbono perseguire e, conseguentemente, duali saranno gli incentivi per chi sarà capace di ottenere buoni risultati e le sanzioni per chi, invece, otterrà risultati più scadenti. Da questo punto di vista, ben sappiamo come i governi dell’ultimo quindicennio abbiano mostrato una tendenza bipartisan ad attenuare, in modo a volte imbarazzante, i risultati delle varie valutazioni che sono state operate (perché la valutazione non è uri invenzione di ieri. Si fanno da anni e in alcuni casi anche bene ma si usano poco). Perché la valutazione ben fatta e utilizzata porta alla differenziazione tra gli atenei: e su questa possibilità la politica si spaventa. Il terzo problema che la sincera e lucida aspirazione riformatrice del ministro Gelmini deve risolvere è quello di non farsi abbindolare da noi professori universitari. Noi siamo bravissimi nell’arzigogolare sui sistemi concorsuali e ancor più bravi a vendere come innovative soluzioni (sulla governance degli atenei, sui concorsi, sul nostro stato giuridico) che in realtà non sono altro che una proposizione dell’esistente con altri nomi. Siamo abilissimi nel tradurre nel modo meno indolore, e quindi più conservatore, le soluzioni organizzative ed istituzionali che ben funzionano negli altri paesi. Credo che le aspirazioni riformatrici del ministro sarebbero maggiormente legittimate ed efficaci se ancorate ad una maggiore trasparenza nei dati utilizzati, se lasciassero da parte i proclami semplicistici e se fossero liberate da quel conservatorismo autointeressato che ancora prevale nelle corporazioni accademiche. __________________________________________________________ Il SECOLO d’italia 5 mag. ’09 UNIVERSITÀ, PRONTA LA BOZZA DI RIFORMA. MA AU E PERPLESSA LA BOZZA GELMINI AZIONE UNIVERSITARIA PROTESTA PER LA SCELTA DI CONSEGNARE IL TESTO Ai RETTORI SENZA AVERE RESO PARTECIPI GLI STUDENTI Laura Ferrari Anticipato su alcuni quotidiani, è pronto il ddl quadro sulla riforma dell'università. La bozza del provvedimento predisposto dal ministro Mariastella Gelmini, e consegnato ai rettori per una prima valutazione, prevede la fusione di università vicine per ottimizzare fuiilzzazione delle strutture e delle risorse e un organico di personale docente a tempo indeterminato che abbia almeno il40 per cento di ricercatori universitari e introduce un nuovo meccanismo di reclutamento dei professori eliminando i concorsi locali e introducendo una abilitazione nazionale (distinta per le funzioni di professore ordinario e professore associato). Prevede, inoltre, tra le novità, che i rettori possano restare in carica per non più di due mandati e un massimo di otto anni. «Dispiace che il ministro Gelmini, che stimiamo e apprezziamo - osserva il leader di Azione universitaria Giovanni Donzelli - si sia confrontata su questa riforma prima con i rettori che con il movimento universitario del suo partito». Azione universitaria, ricorda Donzelli, «ha difeso con convinzione e determinazione il ministro nei giorni caldi della contestazione, adesso però se ci troviamo a leggere la riforma universitaria dai giornali, dopo che è stata concordata con i rettori, ci sentiremo liberi di contestare tutto ciò che non ci convince. Aspettiamo di leggere la riforma prima di giudicare. Non vorremmo però, che mal consigliata da qualche notabile del Miur - conclude Donzelli - la Gelinini avesse scelto di dichiarare guerra ai baroni alla luce del sole, ma di concordare nell'ombra le riforme con chi ha affossato l'università italiana». ___________________________________________________________ Repubblica 4 mag. ’09 LAUREATI, L’ITALIA MAGLIA NERA IN EUROPA Nel nostro paese record negativo di dottori under 34. E il 91% ha genitori istruiti SALVO INTRAVAIA ROMA ITALIA in fondo alla classifica per numero di giovani laureati. Il responso arriva da Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione europea, che in tema di lauree assegna anche la maglia nera ai giovani uomini italiani. MA NON solo: la probabilità di conseguire i più alti livelli di istruzione, in Italia, è ancora fortemente legata alle condizioni della famiglia di provenienza. I giovani che vivono in contesti familiari contrassegnati da un livello di formazione basso hanno una probabilità nettamente inferiore di raggiungere l’agognato titolo rispetto a coloro che vivono in famiglie con genitori laureati. Insomma: l’ascensore sociale del nostro Paese sembra proprio bloccato. L’Italia, nell’Unione europea a 27 paesi, per numero di giovani laureati si colloca alle ultime posizioni. Tra i connazionali di età compresa fra i 25 e i 34 anni, soltanto 19 italiani su 100 risultano in possesso di un diploma di laurea. La media europea si colloca attorno al 30 per cento, con Paesi come Francia, Spagna, Danimarca, Svezia e Regno Unito attorno al 40 per cento. Soltanto Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia fanno peggio di noi. Ma a tirare in fondo alla classifica il Belpaese sono gli uomini che si beccano la maglia nera. In Italia si contano poco meno di 15 giovani laureati maschi, contro le 23 donne, su 100. A Cipro sono 42 su 100 i giovani uomini laureati. La situazione è bloccata proprio a livello sociale. I laureati fra i 25 e i 34 anni che provengono da famiglie “a basso livello di formazione”, in Italia, sono soltanto il 9 per cento: un dato che colloca il nostro Paese al livello di Lettonia e Polonia. Il tasso schizza al 60 per cento se passiamo a famiglie in cui i genitori sono in possesso della laurea. In buona sostanza, in Italia, i figli dei cittadini più istruiti hanno una probabilità sette volte superiore di raggiungere la laurea rispetto ai coetanei che vivono in contesti più deprivati. Nei Paesi europei più sviluppati, probabilmente a causa di un sistema di istruzione e formazione più attento ad attenuare le differenze sociali di partenza, questa sperequazione tra “ricchi e poveri di cultura” è di parecchio attenuata. Nel Regno Unito la probabilità di tagliare il traguardo più lontano dell’istruzione è doppia per i figli dei laureati. Gap che aumenta a due volte e mezzo in Francia e Spagna. L’impietoso quadro del nostro Paese, che ha ripercussioni negative in campo sociale ed economico, emerge dall’ultimo rapporto pubblicato da Eurostat il 28 aprile, dal titolo “Il processo di Bologna nell’educazione universitaria: indicatori chiave della dimensione sociale e della mobilità”. E lascia intravedere la necessità di una riforma del sistema universitario e in genere dei sistemi di istruzione nazionali. Il cosiddetto “processo di Bologna”, avviato nel 1999, è un percorso di riforma a carattere europeo che si propone di realizzare entro il 2010 uno “spazio europeo dell’istruzione universitaria”. Tra i diversi scopi c’è quello di allargare le possibilità di accesso all’istruzione universitaria per i cittadini europei a fini sociali e occupazionali. «L’istruzione universitaria — si legge nel rapporto — gioca un ruolo determinante per ottenere un impiego». Anche «le differenze di retribuzione dipendono soprattutto dal livello di istruzione: coloro che sono in possesso di un livello di istruzione superiore guadagnano in media il doppio dei lavoratori con un livello di istruzione debole». L’insegnamento universitario, inoltre, «gioca un ruolo chiave nell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita», condizione necessaria ai futuri lavoratori per cambiare lavoro. __________________________________________________________________ ItaliaOggi 6 mag. ’09 UNIVERSITÀ, MANCANO DOCENTI NELL’AREA MEDICA Rapporto della Conferenza dei presidi delle facoltà di medicina DI BENEDETTA P PACELLI Nell'università affollata di docenti, cercasi urgentemente camici bianchi. Sembra un paradosso, ma non lo è. E, a breve, tra il blocco dei concorsi e le uscite per raggiunti limiti di età, trovare un professore universitario che ricopra i settori scientifico disciplinari nelle aree mediche sarà sempre più difficile. A dirlo un rapporto dedicato al modello dì valutazione dei corsi di laurea in medicina e chirurgia realizzato dalla conferenza permanente dei presidenti del corso di laurea in medicina che ha fotografato luci e ombre di tutti e 45 corsi in Italia. Rilevazioni e valutazioni sul corpo docente, sui requisiti didattico strutturali, assistenziali e su quelli tecnico- organizzativi, hanno messo in evidenza criticità, (carenza dei docenti e del personale amministrativo), ma anche punti di forza. I:obiettivo? Migliorare la formazione dei futuri medici e renderla uniforme a livello nazionale. Il corpo docente. Il numero dei docenti incardinati è per oltre il 75% dei corsi di laurea in medicina superiore alle 60 unità e della parte rimanente oltre il 10% ha meno di quarantacinque docenti. Questo si traduce, in sostanza, in una carenza di docenti che riguarda anche i settori scientifico- disciplinari (Ssd) delle attività di base e di quelle caratterizzanti, carenti in più di sei Ssd. Una mancanza che, nel futuro, peserà sempre di più se si considera che stando all'ultimo rapporto del Comitato di valutazione (Cnvsu), nel prossimo triennio 2009-2012 oltre 1 e 600 docenti di scienze mediche andranno in pensione. Ma a fronte di tutto questo c'è anche qualche buona notizia: l'età media di questi docenti è di circa 52 anni, di poco al di sotto della media nazionale, stimata dal Cnvsu, più vicina ai 60 anni. L'attività, didattica. L'integrazione tra gli insegnamenti all'interno dei corsi è una specificità del corso di laurea in medicina. Queste integrazioni infatti, orizzontali nell'ambito del singolo anno di corso di laurea e verticali tra gli anni di corso, sono, si legge nel rapporto, «indispensabili per la tipologia della didattica in tutta l'area sanitaria, ma ancora non hanno una piena attuazione e maturazione in tutte le sedi». Nello stesso tempo, però, nei corsi di laurea si affacciano nuove discipline utili alla preparazione del medico. Materie come economia sanitaria, organizzazione dei servizi sanitari, gestione del budget, antropologia alternativa sono ormai entrate a fare parte del curriculum dei medici in formazione. Strutture cliniche. Ma come funzionano invece le strutture cliniche? Scorrendo il rapporto si scoprono numeri contrastanti. Perché se la maggior parte dei corsi di laurea, ben l’87%, ha accesso a un Dipartimento d'emergenza e accettazione (Dea), la disponibilità media di posti letto per studente continua ad essere troppo bassa (23 ogni 1000 studenti). I medici in formazione possono però usufruire di diverse strutture diagnostico-cliniche: da quelle in patologia clinica (117),a quelle in radiodiagnostica (79), da quelle di microbiologia e virologia clinica (75) a quelle in immunologia (55). Nel complesso comunque, come sottolinea Andrea Lenzi, presidente della Conferenza nazionale permanente dei presidenti di corso di laurea specialistica in medicina e chirurgia, «i corsi presentano un'ottima omogeneità qualitativa su tutto il territorio, anche se alcune criticità rimangono come quella dell'integrazione dei singoli docenti tra loro e tra i corsi. E proprio su questo», spiega ancora, «la Conferenza è da tempo impegnata nell'opera di formazione dei docenti, organizzando, come avviene ormai da anni, atelier pedagogici dedicati». ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 mag. ’09 OXFORD CONTRO CAMBRIDGE MA REMA PIÙ FORTE PAVIA MANTOVA - Le acque dei laghi di Mantova non saranno quelle del Tamigi. Ma il romantico profilo della città che vi si specchia avrebbe di sicuro deliziato il poeta William Wordsworth, zio paterno di Charles, lo studentello di Oxford che, nel 1829, inventò con l' amico-rivale Charles Merivale, iscritto invece a Cambridge, la celebre Boat Race, sfida di canottaggio fra gli equipaggi dei due più prestigiosi atenei britannici. Ebbene, in questo weekend gli universitari-vogatori più famosi del mondo sono di scena nella città dei Gonzaga per la XIII Regata internazionale delle Università, ospitata al Lago Superiore di Mantova. E che i due armi d' Oltremanica siano venuti per vincere, lo si capisce scorrendo qualche nome. Nell' otto di Oxford ci sono Colin Smith, argento alle Olimpiadi di Pechino e Sjoerd Hamburger, oro ai Campionati del mondo 2005. Cambridge, per tentare la rivincita (le ultime due edizioni della Boat Race sono andate ad Oxford) può invece contare su Hardy Cubasch (oro ai mondiali 2005), Thorsten Engelmann e Sebastian Schulte (entrambi oro ai Mondiali 2006 e argento nel 2007) e Kieran West (oro olimpico ad Atene 2004). A tenere alto l' onore degli armi italiani dovrebbe essere invece soprattutto il Cus Pavia, i cui atleti sono tutti nella nazionale assoluta o under 23. Ieri, nelle qualificazioni, hanno addirittura battuto Cambridge di 3" e l' hanno preceduta anche nella finale «corta» sui 500 metri, vinta da Oxford. Ma la finale dei 2.000 metri di oggi (ore 12.20) potrebbe essere tutta un' altra storia. Vada come vada, per i mantovani (e soprattutto per Cus Mantova, Cus Milano, Comune e Canottieri Mincio, i promotori) i due giorni di regate sono già un successo. Se poi a vincere saranno gli inglesi, pazienza. Non sarebbero i primi «trionfi» che si portano a casa da Mantova: quelli dipinti da Mantegna, per dire, oggi stanno a Hampton Court. Luca Angelini ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. ’09 RICERCA ITALIA: UN'EUROPA LONTANA LA BULGARIA, SOTTO LA GUIDA DI Sergej Stanisev È CAPOFILA DI UN GRUPPO DI PAESI IN CRESCITA Ricerca, brevetti e tecnologie: secondo gli indici di Eurobarometro l'Italia non recupera DI ROBERTO VACCA La Commissione europea ha pubblicato la versione 2008 dell'Eurobarometro che compara ogni anno l'innovazione in tutti gli Stati membri. Il livello di innovazione è espresso come un numero indice calcolato in funzione di 29 parametri i cui valori sono mediati su cinque anni. Fra questi: livello degli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo (R&S), numero di brevetti per milione di abitanti, bilancia tecnologica dei pagamenti, venture capital, investimenti in informatica, numero diplomati e laureati in discipline tecnicoscientifiche. I risultati sono riportati nel diagramma qui a fianco: in ordinate il livello di innovazione, in ascisse il suo trend di crescita. La media del «livello innovazione» è 0,47 (per l'Italia: 0,34), la media della crescita annua è 2,35 per cento (per l'Italia 1,85%). Nel quadrante sinistro in basso sono raggruppati i Paesi in cui l'innovazione è bassa e cresce poco. Ci si trova l'Italia insieme a Spagna, Norvegia, Croazia e Lituania. E grave che il nostro Paese sia stabilmente relegato da decenni in quella zona arretrata: nel diagramma del 2003 stava insieme alla Bulgaria, in quello del 2004 insieme ad Austria, Estonia e Repubblica Ceca. Questi altri Paesi, però, hanno cominciato a innovare robustamente: i loro punti rappresentativi si sono spostati verso destra e verso l'alto. La Bulgaria è una star insieme alla Romania: sono a livelli bassi, ma crescono del 7% all'anno. I livelli più alti sono di Svezia, Finlandia, Germania, Regno Unito e Svizzera, che eccelle anche nella crescita. C'è chi sostiene da anni che l'economia si salva aumentando gli investimenti. Ora, con la crisi che incombe, dall'America all'Europa si preparano piani di migliaia di miliardi per salvare grosse aziende e stimolare la ripresa. Però non sono solo economici gli interventi atti a rinnovare l'economia. Le soluzioni di quasi ogni problema economico, sociale, politico sono culturali. Dovremmo fare lavori difficili e produrre più valore aggiunto. Servono: invenzioni, cultura, scienza, se no declina la prosperità. In termini di spesa R&S, sia pubblica sia privata, di brevetti europei, di spese It, di bilancia tecnologica dei pagamenti, il divario dell'Italia rispetto alla media europea è drammatico. II quadro delineato non è influenzato dai fattori e dagli eventi drammatici che stanno segnando l'inizio della crisi economica mondiale. È facile intuire quanto più preoccupante appaia la posizione dell'Italia in vista della crisi. Essa È particolarmente critica, poi, pere hé i dibattiti e le posizioni correnti dei politici e degli imprenditori non tengono affatto conto di questo nostro ritardo e, quindi, non sono da ritenere imminenti azioni adeguate per ridurlo o eliminarlo. _____________________________________________________________ il Giornale 7 mag. ’09 NAPOLI, SCANDALO ALLA FEDERICO II: GLI ESAMI SI COMPRANO Comprare l'esame costava 600 euro Quaranta indagati all'università Perquisite le case di due bidelli, un segretario e 4 studenti. Ingegnoso il meccanismo della truffa: il nome di chi aveva pagato veniva aggiunto alla fine sui verbali TUTTI BRAVI I raggiri a Giurisprudenza: una ragazza ha comprato 11 promozioni Carmine Spadafora Napoli Due esami che fanno paura a qualsiasi studente di Giurisprudenza, Diritto Civile e Procedura civile, costavano, rispettivamente, 500 e 600 curo. Bastava pagare e la paura di non farcela a superare altri esami difficili, del calibro di commerciale o Economia politica, passava con un passaggio di mano di qualche bigliettone da 50 e 100 curo. Le mani erano quelle degli studenti a caccia di facili scorciatoie e quelle di alcuni dipendenti della storica facoltà di Giurisprudenza della Università Federico II di Napoli. Questa corsia preferenziale che avrebbe portato alla laurea facile decine di studenti, ha già provocato un terremoto nell' ateneo: una quarantina di indagati. Non ci sono professori ma, per ora, soltanto studenti, due bidelli e un segretario. Lo studente che pagava per superare un esame prenotava, si recava alla seduta, ma non si sedeva mai davanti al professore. A seduta ultimata, avveniva lo “nguacchio” (la cosa sporca): in coda all'ultimo studente che aveva realmente sostenuto l'esame, il bidello infedele aggiungeva sui verbali dove vengono riportati i voti conseguiti dai candidati, nome e cognome di chi aveva pagato. Ad aprire uno squarcio su questa brutta storia è stato un bidello che, dopo avere notato delle anomalie in una «camicia» (cioè il verbale d'esame), ha avvertito il preside di Giurisprudenza, Lucio De Giovanni, che a sua volta ha presentato un esposto alla Digos. È scattata l'indagine, ancora alle prime battute, ma che ieri ha portato a 7 perquisizioni nelle abitazioni di quattro studenti e tre dipendenti della Federico II. Gli indagati sono accusati di corruzione e falso. Non c'era un vero e proprio cervello o una organizzazione che «creava» falsi esami a tavolino, ma un trio di furbetti universitari che, all'inizio di questa vicenda, nel 2004, aveva trovato il sistema per arrotondare lo stipendio vendendo ogni tanto gli esami. Il passa parola si sa, è il miglior veicolo pubblicitario esistente, e così il giro degli studenti che allo studio ha preferito la scorciatoia si è presto allargato. «L'indagine è destinata ad ampliarsi, il numero degli indagati è destinato a crescere e non di poco», spiegano alla Digos. Le perquisizioni di ieri mattina e la quarantina di indagati rappresentano il secondo episodio di una vicenda iniziata lo scorso anno, quando l'allora preside di Giurisprudenza, Michele Scudiero, sospese la seduta di laurea per sei studenti, nei confronti dei quali chiese delle verifiche sugli atti di ogni esame. Appare scontato che verranno annullati tutti gli esami comprati. Laurea revocata, invece, per quegli studenti che l'hanno conseguita pagando. Il record dei falsi esami ce l'ha una studentessa: ben undici, quasi la metà del corso di laurea in Legge. La Digos ha acquisito i tabulati delle telefonate intercorse tra gli studenti e i dipendenti dell'Ateneo. Il fattaccio avveniva solitamente nei corridoi. Il bidello che aveva ricevuto in consegna la «camicia» dove erano riportati gli esami sostenuti nel corso delle seduta, aggiungeva il nome e il cognome dello studente pagante. Poi consegnava il documento in segreteria. C'è il sospetto che ci fossero anche degli studenti che, dopo avere sostenuto l'esame, poco soddisfatti per il voto ottenuto, pagavano per vederselo aumentare un po', a seconda delle esigenze da libretto. carminespadafora@libero.it INDAGINI A denunciare tutto il preside della facoltà. E ora l'inchiesta è destinata ad allargarsi ____________________________________________________________ La Stampa 0 mag. ’09 IL TAR REINTEGRA ALTRI TRE BARONI Il problema è che adesso la situazione rischia di farà seria. Altro che esodo dei baroni; lo spettro è quello di un ritorno in grande stile di tutti i professori collocati fuori ruolo e che avrebbero dovuto essere mandati a casa all'inizio del prossimo anno accademico. Nel giro di due mesi l'Università di Torino si è già vista costretta a reintegrare sei docenti che hanno fatto ricorso al Tar per poter rimanere in servizio. Prima Sergio Chiarloni e Marino Bin, docenti a Giurisprudenza e il sociologo Guido Sertorio, professore a Economia; l'altro ieri la prima sezione del Tar (presidente Franco Bianchi, primo referendario Ivo Correale, referendario Alfonso Graziano) ha dato ragione ad altri tre docenti: Giorgio Cerruti di Castiglione e Valeria Ramacciotti, entrambi professori di Letteratura francese a Lingue, e Giorgio Pellicelli, ordinario Economia e gestione delle imprese a Economia. Motivo del ricorso dei tre, tutti assistiti dall'avvocato Carlo Emanuele Gallo, è il contestatissimo istituto del «fuori ruolo». L'Università di Torino ha deciso di congedarne dal primo novembre di quest'anno tutti i docenti che avevano ottenuto i tre anni di proroga nel 2008, con due anni d'anticipo rispetto ai termini di legge. E molti hanno fatto ricorso, chiedendo l'annullamento del provvedimento e sollevando una questione generale di legittimità costituzionale. Il Tar ha dato loro ragione su entrambi i fronti. «L'Università ha applicato la disciplina vigente a decorrere dal 1 gennaio 2009, senza tener conto del fatto che il provvedimento di collocamento fuori ruolo è stato assunto prima di tale data», scrivono i giudici. L'ateneo di via Po non potrà quindi «disfarsi» di quei docenti. La legge, secondo la sentenza, potrebbe anche presentare profili di illegittimità costituzionale; la questione è stata sollevata di fronte alla Consulta. Un bel problema per l'Università. Non solo: anche al Politecnico il professor Roberto Pomè, mesi fa, ha fatto ricorso e l'ha vinto. «La tendenza a ridurre l'età pensionabile dei docenti non è sbagliata - spiega il vicerettore dell'Università Salvato con il «fuori mob» è una sorta di bonus di tre anni riservato ai professori prossimi alla pensione per raggiunti limiti di età. La norma - considerata da molti una clausola salva-baroni e un ostacolo al ricambio generazionale dentro gli atenei - è stata abolita dalla Finanziaria dei 2007, ma con un meccanismo di riduzione graduale e progressiva. I tre docenti avevano ottenuto il fuori ruolo nel 2008 e quindi lavoreranno in ateneo fino al 201l. re Coluccia - Quel che non è condivisibile è l'abitudine che si va affermando da parte del legislatore di cambiare le regole in corso d'opera. Gli atenei non fanno che applicare le leggi». Piuttosto, dice Coluccia, il problema andrebbe risolto in altro modo: «Incentivare i docenti alla pensione ma permettere loro di continuare a lavorare. Puntare su una figura, quella del professore emerito, che oggi è puramente simbolica, e invece dovrebbe essere resa operativa». ___________________________________________________________ Corriere della Sera 7 mag. ’09 SANITÀ, LA GUERRA DEI RICORSI SULLA «ROTTAMAZIONE» DEI PRIMARI I giudici riammettono in servizio gli universitari prepensionati. Sconfitti gli ospedalieri I ricorsi Sono venticinque i nomi noti della sanità alle prese coi ricorsi Gli universitari In prima linea gli universitari: motivare il pensionamento La «rottamazione» dei baroni universitari e dei medici ospedalieri a Milano finisce in tribunale. Sono almeno venticinque, infatti, i nomi noti della sanità milanese nelle ultime settimane alle prese con avvocati, ricorsi e sentenze destinati a segnare il loro futuro. Interessati, universitari di fama internazionale come l' ematologo Pier Mannuccio Mannucci; Marcello Giovannini, storico primario della Clinica pediatrica del San Paolo, oggi alla guida delle Scuole di specialità pediatrica; Nicola Principi, direttore della Clinica pediatrica De Marchi; Domenico Tealdi, primario della Chirurgia vascolare dell' Humanitas. Colpiti dal prepensionamento anche medici del Policlinico come Fernando Zennaro (responsabile Day surgery), l' ematologo Aldo Della Volpe (braccio destro di Giorgio Lambertenghi Deliliers, altro universitario 70enne), il nefrologo Franco De Vecchi, il pediatra chirurgo Pierfranco Olivani, il ginecologo Giancarlo Moiana (che all' ultimo momento ha ritirato il ricorso perché già chiamato a lavorare alla Santa Rita). È un ricambio generazionale destinato a suscitare polemiche. I provvedimenti che si sono accavallati vanno dalla legge 133 (quella che ha convertito il decreto Brunetta) alla 382, che cancella i tre anni di insegnamento fuori ruolo per i professori universitari (l' unico interessato dal provvedimento Giovannini). Tra gli illustri che hanno presentato ricorso, anche il pediatra Vittorio Carnelli. Il Policlinico di via Francesco Sforza ha spinto ad andare in pensione quaranta dipendenti con 40 anni di anzianità: il direttore generale Giuseppe Di Benedetto ne aveva la facoltà in base all' articolo 72 della 133 (anche se, poi, proprio la norma in questione è stata modificata lo scorso marzo). Dall' altra il Senato accademico dell' Università Statale ha approvato una delibera che rende pensionabile chi ha compiuto 70 anni: il decreto legislativo 503 del ' 92, che permetteva di restare al lavoro per altri due anni, è stato cancellato dalla legge 133 dello scorso agosto. Risultato: medici allontanati dagli ospedali con raccomandate che sono suonate come lettere di licenziamento, professori universitari che si sono visti rottamare all' improvviso. Di qui la guerra dei ricorsi. Le prime sentenze hanno visto perdere in massa i medici ospedalieri, condannati dalla una norma della Brunetta che prevedeva il licenziamento con 40 anni di anzianità: l' articolo così com' era stato concepito inizialmente è restato in vigore solo tra agosto e marzo, giusto il tempo necessario a fare scattare i prepensionamenti (al posto dell' anzianità contributiva è stata prevista poi l' anzianità effettiva, cioè senza gli anni universitari riscattati). Al contrario stanno uscendo vincenti dalla battaglia legale gli universitari, primo tra tutti Nicola Principi: «Per chi è nato nel ' 39 la legge prevede che il pensionamento sia motivato - spiega -. L' università, invece, non ha dato spiegazioni». Ma ora è attesa una pioggia di contro-ricorsi. Simona Ravizza sravizza@corriere.it I protagonisti Ravizza Simona ___________________________________________________________ Corriere della Sera 8 mag. ’09 MENO TECNICA E PIÙ ANIMA PER I DIRIGENTI Anche i leader hanno un' anima. Nonostante le università non lo insegnino. E così oggi, in tempi di crisi globale, c' è chi propone il training dell' anima, un approccio che rimette al centro la persona e pone l' accento sull' essere prima che sulla tecnica. E' il filo conduttore di un libro appena uscito, Leader dentro, Luiss Press, che rispolvera con acume e brillantezza di stile quella che in fondo è saggezza millenaria: «Gnoti sauton», conosci te stesso. Ne discutevano già ai tempi di Socrate. Un progetto di formazione inesauribile e rivoluzionario. L' obiettivo dei tre autori Marco Ghetti, Isabella Appolloni e Fabia Bergamo è forte: mettere da parte almeno per un momento tecnica e know how e riappropriarsi del sé. Un bravo leader infatti è soprattutto leader di se stesso. «Sulla scia di una scuola che ha dato grandi risultati nel mondo anglosassone», spiega Ghetti, presidente di Mosaic Leadership Institute, «stiamo lavorando ad un riequilibrio tra le varie componenti dell' essere manager. In Italia la formazione è strutturalmente sbilanciata a beneficio delle competenze tecnico gestionali. La nostra cultura reputa che il leader sia un ingegnere che deve manovrare una macchina organizzativa. Per cambiare il mondo invece bisogna lavorare su se stessi. Ed è difficile che un leader che deve essere portatore di cambiamento sia tale se non è capace di lavorare al suo proprio cambiamento». Così Mosaic Leadership Institute e Luiss Business School promuovono Leadership for Change, un programma di business education in sei tappe che viene proposto in edizioni parallele a Milano e a Roma. «Nel mondo complesso in cui viviamo non ci si può appiattire sugli strumenti», sostiene Gabriele Gabrielli direttore dell' Executive Mba Luiss, «non c' è soltanto il fare perché non esiste una ricetta precostituita. Occorre una riflessione individuale e di gruppo e una prospettiva di medio lungo termine». Anna Maria Catano ____________________________________________________________ Il Sole24Ore10 mag. ’09 SCIENZIATI NON FATE I SANTONI di Riccardo Chiaberge Forse non giocherà a dadi, come diceva Einstein per sfottere Bohr e le sue diavolerie quantistiche. Ma a rimpiattino, o alle tre carte, ci gioca eccome. E si diverte pure. È proprio nei labirinti e nelle apparenti incongruenze della fisica subatomica, su cui si spaccano le meningi gli scienziati, che si nasconderebbe la mano di Dio: il bizzarro e imprevedibile comportamento delle particelle prova che l'universo ha «un certo grado di libertà» e che il Creatore sarebbe in grado di influenzarne l'evoluzione «in modi estremamente sottili». Anche quelli che chiamiamo miracoli, gli eventi che ci sembrano violare le leggi di natura, rientrerebbero in un disegno trascendente. A sostenerlo non è un teologo dall'immaginazione troppo fervida ma uno dei nomi più prestigiosi della biologia contemporanea, quel Francis Collins che ha diretto per molti anni il Progetto Genoma. Da tempo, il professor Collins ha messo a rumore la comunità scientifica col «coming out» del suo ritorno al Cristianesimo: in un libro di successo, II linguaggio di Dio (Sperling&Kupfer), racconta di aver ritrovato la fede nelle spire della doppia elica e dimostra che Darwin non è incompatibile con le sacre scritture. Una sfida agli atei bigotti e ai creazionisti, e insieme una netta presa di distanze dai teorici del Progetto Intelligente, da quell'idea di un «God of the Gaps» di un «Dio tappabuchi» che corre a colmare le lacune dell'evoluzione. Adesso Collins fa un passo ulteriore: anche nel settimo giorno e negli eoni successivi, il Padreterno non se ne sta in panciolle, ma continua a dare di tanto in tanto un aiutino, una spintarella al cosmo e all'umanità. Non un tappabuchi, ma una Beautiful Mind chegode a sorprenderci con le sue stranezze, come il Cappellaio di Alice. Collins non è il primo né il solo scienziato che, giunto al culmine della carriera, si scopre una vocazione mistica e indossa la tonaca del santone. Anni fa, nei circoli intellettuali chic, andava forte il fisico Fritjof Capra, secondo il quale la visione quantistica del mondo sarebbe in perfetta sintonia con le cosmologie orientali, dal Buddhismo al Taoismo. E resiste sulla breccia,il teorico di Gaia, l'ormai novantenne James Lovelock, che vede nella Terra un organismo vivente, una divinità che farebbe volentieri a meno di noi umani. È vero che l'impresa scientifica è spesso frustrante, e che di questi tempi i libri di religione tirano più di quelli di scienza. La teologia deve essere aggiornata per scongiurare altri casi Galileo, ed è giusto disarmare i crociati delle due fazioni. Ma divinizzare la natura e confondere la scienza con la fede rischia solo di fare danni, all'una come all'altra. http://riccardochiaberge. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 6 mag. ’09 FRANCIA, ATENEI IN RIVOLTA STUDENTI E PROF CONTRO SARKO Il nuovo ' 68 Nel mirino la riforma del sistema educativo voluta dall' Eliseo Contestazioni Tra le forme di protesta: l' irruzione nel municipio di Parigi, il lancio di scarpe al ministero dell' Educazione Bloccate 51 università. Lezioni nei bar e all' aperto DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI - Una volta era un mito. Della cultura e della rivoluzione studentesca, continuamente rievocato all' indomani di ogni nuova scintilla. Oggi è soprattutto un simbolo: della decadenza in cui stanno precipitando molte università del Paese e di una rivoluzione conservatrice che - dagli atenei agli ospedali, dalla burocrazia alle fabbriche - sta mettendo i bastoni fra le ruote ai propositi riformatori di Sarkozy. Parliamo della Sorbona, dove le domande d' iscrizione sono cadute del 25% rispetto all' anno scorso. Ma potremmo parlare di Tolone, paralizzata e al centro di una poco edificante inchiesta per traffico di diplomi a vantaggio di laureandi cinesi. O di molte altre università, da Tolosa a Nancy, da Bordeaux a Lille: occupate o paralizzate da settimane, costrette a rinviare le sessioni d' esame e, in alcuni casi, a mettere in discussione la validità dell' anno accademico. Secondo il coordinamento nazionale degli studenti, 51 atenei sono parzialmente o totalmente bloccati da scioperi del personale o assemblee permanenti. La contestazione assume di volta in volta forme pittoresche o dure. La «ronda» di notte, davanti al municipio di Parigi, ha passato il traguardo delle mille ore e la sera del primo maggio si è spinta a una breve irruzione nell' edificio. Davanti al ministero dell' Educazione superiore c' è stato un lancio di scarpe, una riproposizione del famoso gesto di un giornalista iracheno contro Bush. Si tengono lezioni all' aperto, sui marciapiedi, in bar, stazioni e treni, per sensibilizzare l' opinione pubblica sulla giustezza della lotta. Membri del governo e illustri accademici hanno lanciato l' allarme sul rischio del semestre bianco. Hélene Carrère d' Encausse, segretario dell' Acadèmie française, parla di «disastro per la reputazione dell' università francese all' estero. Molti studenti stranieri non vorranno iscriversi alle nostre università». Il segretario generale dell' Eliseo, Claude Gueant, denuncia l' azione di minoranze radicali e il fatto che la maggioranza degli studenti sia tenuta in ostaggio. In effetti, genitori e studenti cominciano a preoccuparsi per l' eventuale perdita dell' anno. Ma, al di là dell' effettivo consenso, la protesta conferma un malessere profondo, al punto che per la prima volta si trovano dalla stessa parte della barricata studenti, ricercatori e professori e sul banco dell' accusa il progetto riformatore di tutto il sistema educativo lanciato dal presidente Sarkozy subito dopo la sua elezione, nell' estate del 2007. In sintesi, un progetto articolato su tre livelli: autonomia delle università, con un investimento di cinque miliardi di euro e la creazione di dieci poli d' eccellenza per competere con le università anglosassoni; riforma dello statuto dei concorsi degli insegnanti-ricercatori e revisione dei criteri di formazione degli insegnanti anche nella scuola secondaria. L' obbiettivo era il rilancio di un sistema che, nonostante premi Nobel e atenei d' eccellenza, ha perso molti punti nelle classifiche mondiali (il primo ateneo si piazza al quarantaduesimo posto), subisce un' importante emorragia di iscritti e rischia di trasformarsi in una fabbrica di disoccupati. Nonostante il più importante investimento finanziario degli ultimi decenni, il progetto di Sarkozy è stato respinto per i suoi contenuti efficientistici e «puramente economici» che hanno innescato la protesta del mondo accademico. Come in molti altri ambiti, il governo ha fatto concessioni, ma non al punto di fare marcia indietro. «La riforma - sostiene Valerie Pecresse, la giovane ministra dell' insegnamento superiore e della ricerca - punta alla competitività internazionale degli atenei francesi e a garantire un futuro professionale agli studenti. Purtroppo anni di passività hanno minato la fiducia fra mondo universitario e potere politico». Dice Isabelle This Saint Janne, presidente del movimento «Salviamo la ricerca»: «La storia degli esami a rischio è un ricatto per screditare la protesta. È il ministro che deve accettare di ridiscutere una riforma che minaccia posti di lavoro, autonomia e qualità della ricerca pubblica. È tutto il mondo accademico che si sente colpito». Massimo Nava mnava@corriere.it La polizia e gli studenti Punti controversi Blocco Professori, ricercatori e studenti hanno bloccato l' attività didattica di 51 degli 85 atenei francesi per protestare contro la riforma dell' insegnamento superiore lanciata da Sarkozy (foto) nel 2007 Riforma I manifestanti sono contrari alla legge sull' autonomia degli atenei e chiedono il ritiro del decreto che modifica lo statuto di docenti e ricercatori e della riforma sugli insegnanti. Inoltre si oppongono allo «smantellamento» dei maggiori istituti di ricerca Nava Massimo ____________________________________________________________ Avvenire 10 mag. ’09 SE LA SCIENZA SCOPRE CHE DIO ESISTE E PARLA di Pier Giorgio Iii.,eraiii Sembra che la scienza" si sia finalmente convinta che Dio esiste e, addirittura, che «parla e ascolta le preghiere». La scoperta è di Francis Collins, lo scienziato capo dell'équipe che nel 2002 ha decifrato il genoma: «Vista l'impossibilità di spiegazioni assolute, le leggi della natura non escludono più l'azione divina nella realtà». Anzi, «è perfettamente possibile che Dio sia in grado di influenzare la creazione in modi non percepibili dall'osservazione scientifica». In altri termini, Dio sarebbe «una specie di superscienziato, capace di sfruttare ogni potenzialità degli universi che Lui stesso ha creato e che ha popolato grazie a un'altra idea portentosa, l'evoluzionismo». A parte il modo In cui è formulata, quest'affermazione è accettabile, anche perché, due giorni prima, sempre su La Stampa, un altro scienziato, Pietro Corsi (Oxford), spiegava «com'è inutile H litigio tra la scienza e la fede». Per la precisione non è la fede che litiga, ma quella scienza che ha trasformato l'evoluzionismo in ideologia atea. Corsi ricorda che, già «nel 1854, il Reverendo Baden Powell (padre del fondatore degli scom) spiegava alla regina Vittoria e al principe Alberto, che una teoria scientifica in grado di dar conto dello sviluppo e dei cambiamenti della vita sulla Terra» costituisce «un ulteriore prova della perfezione della Grande Intelligenza creativa», cioè di «un Dio Architetto». Che la litigiosa sia la scienza è documentato da uno dei collaboratori di Collins, il Premio Nobel per la medicina James Watson, il quale, all'indomani della decifrazione del genoma umano, aveva dichiarato alla Stampa (27 febbraio 2003), in un’intervista: «Dna: niente più ordini dal Paradiso», mentre il filosofo Umberto Galimberti ne traeva la conclusione (La Repubblica delle Donne, 7 agosto 2004) che «Dio è davvero morto». Una vicenda che parrebbe dimostrare come perfino l'evoluzionismo, nel tempo, possa evolversi In meglio. SCIENZA UBIQUA Umberto Veronesi sembra godere talvolta, buon per lui, del dono (poco «laico») dell'ubiquità. Martedi 5 era su La Repubblica e venerdi 7, allo stesso tempo, su La Stampa e su l'Unità. Per lui il Dna «ha inferto un duro colpo all'intero sistema culturale che per secoli ha retto il mondo più evoluto» (La Repubblica). Come avrà fatto, però, questo «sistema» arretrato a inferire a se stesso, con il Dna, un cosi «duro colpo»? E non sarà questo colpo ciò che oggi consente di uccidere, in grembo o in provetta e grazie alla «medicina predittiva», gli embrioni umani non graditi al «sistema»? E ciò che conferisce all'uomo «poteri più estesi sulla vita e sulla morte», magari mediante il «testamento biologico», che Veronesi raccomanda di «scrivere subito», affinché nessuno impedisca ai firmatari di morire (La Stampa Poi, sull'Unità, ecco la storia: «I paesi in cui è ancora molto forte il sentimento religioso sono quelli più arretrati dal punto di vista scientifico tecnololgico» (come gli Usa, per esempio?). La matematica: «II credente è un integrafista, perché non si può credere a metà». L’etica: quella «laica è mille volte superiore all'etica religiosa perché Implica il rispetto del prossimo mentre l'etica religiosa si fonda sulla volontà di Dio». E la filosofia: «La scienza ti spiega come tutto è successo, ma non sa scavare filosoficamente nel perché è successo». Appunto: alla domanda ultima risponde la fede ____________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 10 mag. ’09 SPERIMENTARE COL CONSENSO di Carlo Alberto Redi* Lo sviluppo di terapie sempre più efficaci si basa in larga misura sulle sperimentazioni che coinvolgono i pazienti. Diversi sono gli strumenti preposti ad assicurare la validità scientifica dei ? risultati (ad esempio, rigorose metodologie statistiche) ma uno è lo strumento di garanzia di una procedura corretta sotto il profilo etico: il consenso informato del paziente. Da Norimberga in poi le persone hanno il diritto di essere informate della finalità e dei rischi dell'atto terapeutico in cui vengono coinvolte e di aderirvi consapevolmente. 11 consenso informato è dunque lo strumento della comunicazione, chiara ed intelleggibile, tra medico e paziente. Nel corso degli anni, poco alla volta, il consenso informato si è trasformato in una marea di fogli la cui lettura è, il più delle volte, incomprensibile; marea di fogli che il medico si vede costretto a ingolfare di dettagli tecnici per essere certo di non essere eventualmente chiamato in giudizio. Simili consensi informati sono generalmente rifiutati dai comitati di bioetica poiché ritenuti incomprensibili al paziente. Si entra così in una spirale di ritocchi, rimaneggiamenti, riformulazioni che pospongono continuamente l'approvazione della sperimentazione. Per sfuggire a queste lungaggini gli studi clinici dei farmaci si stanno trasferendo verso paesi dove sono meno rigide le normative. Già ora un terzo delle sperimentazioni condotte dalle prime 20 aziende farmaceutiche americane avviene in India, Cina, Sud America ed Europa orientale, dove per il paziente la partecipazione può fruttare un compenso equivalente ad un anno di lavoro. Gravi le conseguenze sul piano etico e scientifico: solo il 18 per cento delle sperimentazioni condotte in Cina ha un valido consenso informato e vi sono dubbi sulla stessa attendibilità dei risultati conseguiti. In questo contesto, l'Europa e gli Stati Uniti sono chiamati ad una riflessione su quanto siano adeguate le normative attualmente vigenti nei paesi occidentali. Secondo l'oncologo americano Vincent DeVita jr. l'eccesso di regolamentazioni sta avendo effetti disastrosi sui malati che non beneficiano delle nuove terapie con la rapidità che sarebbe possibile. Paradossalmente, da strumento di garanzia, il consenso informato si sta trasformando in un freno che ritarda le ricerche e quindi in un boomerang per il paziente che vede allontanarsi i tempi nei quali potrebbe ricevere terapie più efficaci. È necessario che anche in Italia, come sta avvenendo in altri parti d'Europa, medici, ricercatori, pazienti e decisori politici diano il loro contributo per un miglioramento della normativa. Si deve mantenere (e rafforzare) quanto è effettivamente nell'interesse del paziente e della ricerca, ma va corretto quanto può causare pericolose derive burocratiche. Anche due pilastri etici, come il consenso informato e là privacy, se intesi in modo formalistico, finiscono per offendere proprio i beni che dovrebbero tutelare. * genetista, Direttore scientifico Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia (ha collaborato Giampaolo Azzoni, Università di Pavia) ___________________________________________________________ Corriere della Sera 6 mag. ’09 LA (DIS)PARITÀ DEL TEMPO LIBERO LUI HA 83 MINUTI IN PIÙ Coppie Le donne troppo impegnate nelle pulizie. «Ma i giovani stanno cambiando» L' economista Maria Cristina Bombelli: «I maschi preferiscono stare con gli amici, le donne hanno un approccio più colto» Rapporto Ocse: l' Italia è il Paese dove il divario è maggiore Il sociologo Domenico De Masi: «Quell' ora e 20 al giorno che solo noi uomini possiamo goderci è una cosa di cui vergognarci» MILANO - Lui legge il giornale, lei intanto prepara la cena. Dopo l' ufficio lui beve una birra con gli amici, lei affretta il passo perché la lavanderia chiude alle sette e mezza. La domenica c' è la partita in tv, e meno male che i bimbi sono al parco con la mamma. Scene di vita quotidiana e di iniqua distribuzione di un bene preziosissimo: il tempo libero. In Italia più iniqua che mai, visto che gli uomini ne hanno 83 minuti in più al giorno rispetto alle donne. Più dei maschi messicani (80 minuti), dei polacchi (62) o degli spagnoli (33). Più di tutti i loro colleghi dei 19 Paesi passati sotto la lente d' ingrandimento dell' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Le donne sorridono solo in Nuova Zelanda (dove sono in vantaggio di 2 minuti), in Svezia (+6) e in Norvegia (+16). Lo studio dell' Ocse dice anche che noi italiani non siamo dormiglioni e passiamo tanto tempo a tavola riuscendo a non ingrassare troppo. Magra consolazione per chi poi deve rifare i letti e sparecchiare mentre la sua dolce metà si dedica tranquillamente agli affari suoi. Il tempo libero come luogo privilegiato per osservare una società e la disparità tra i sessi. Lo sa benissimo Domenico De Masi, docente di Sociologia del Lavoro alla Sapienza di Roma che al tema ha dedicato un saggio, Ozio creativo: «Quell' ora e venti che solo noi uomini possiamo goderci è qualcosa di cui vergognarsi. Questo gap ha ragioni culturali: il maschio latino soffre la famiglia e odia la casa, le considera secondarie e accessorie, solo il lavoro è vissuto come l' ambito dell' espressione e della realizzazione di se stessi». E non è un caso che l' Italia si sia conquistata una simile maglia nera: «Siamo usciti tardi dalla ruralità rispetto ad altri Paesi e la visione cattolica ha perpetrato l' immagine della donna come regina del focolare. Sono certo che nella Germania calvinista le cose vadano assai diversamente». L' Ocse conferma: tra i tedeschi la clessidra del tempo libero segna soltanto cinque minuti di privilegio in più per gli uomini. «Siamo nella stessa situazione degli anni Cinquanta, solo che allora le donne lavoravano esclusivamente in casa», commenta Lidia Ravera. Altro che tempo per svagarsi, afferma la scrittrice, oggi ogni lavoratrice deve farsi in tre: «Solo gli uomini possono permettersi il lusso di essere monomaniacali dedicandosi alla carriera. Le donne lavorano prima per uno stipendio, poi per la famiglia e, alla fine, i minuti e le energie che restano li devono spendere per mantenersi belle. Un impegno imprescindibile: essere carine è un obbligo sociale. E se a 19 anni si fa piuttosto in fretta, dopo la trentina i tempi cominciano ad allungarsi...». Ma la coppia che lavora non dovrebbe fondarsi sul mutuo soccorso? «Gli uomini, al massimo, portano fuori il pattume», scherza amaro Maria Cristina Bombelli, docente di Organizzazione del lavoro all' Università Bicocca di Milano e autrice del saggio Alice in business land. Diventare leader rimanendo donne. Un titolo, un problema: «L' organizzazione del lavoro in Italia sembra fatta apposta per non lasciare spazio alla famiglia». E visto che la famiglia pesa quasi tutta sulle spalle delle donne, il risultato è che, quando non sono addirittura costrette a lasciare il lavoro, il tempo libero resta un miraggio. E quelle che riescono a ritagliarsene un po' , lo usano in modo diverso dai loro colleghi? «Assolutamente sì - dice Bombelli -. I maschi preferiscono stare con gli amici, il calcio, la palestra. Le donne, e le statistiche lo confermano, hanno un approccio più colto: leggono, vanno al cinema, frequentano il teatro». Ultimo tentativo di difesa: ma non sarà che gli uomini hanno più bisogno di evasione? «Macché, questa è solo una bugia di comodo che ci raccontiamo, guarda un po' , proprio noi uomini», dice lo psichiatra Giacomo Dacquino, autore del saggio Sesso soldi e sentimenti. No, la natura non c' entra: la colpa è delle «madri latine» che «trattano i figli maschi come dei sultani: loro poi, una volta sposati, finiscono con il considerare le mogli completamente al loro servizio». Non tutto è perduto, però: «Secondo la mia esperienza di terapeuta di coppia questo maschilismo è imperante nelle coppie dai 35 anni in su, mentre i più giovani dimostrano di avere un atteggiamento diverso: il primo che arriva a casa mette su la pasta, svuota la lavatrice, va a prendere il bimbo dalla nonna». Le nuove generazioni sembrano insomma averlo capito: dividersi stress, oneri e tempo libero possibilmente in parti uguali è il miglior modo di amarsi per davvero. Fabio Cutri Cutri Fabio ___________________________________________________________ Avvenire 6 mag. ’09 FUNZIONA AD ARIA EPPUR SI MUOVE Si chiama AirPode non ha bisogno di carburante. Illusione? Forse no AmSTERDAM ALBERTO CAPROTTI Sembra un uovo. Con gli oblò e tre ruote sotto. Non gli serve la benzina, nè il gasolio. E nemmeno il Gpl, il metano, le batterie o l'idrogeno. Funziona solo con l’aria, eppur si muove. Si chiama AirPod, era il sogno impossibile dell'auto, e probabilmente lo è ancora. Ma è un'illusione che tocca i 45 chilometri all'ora, e quando gli vedi fare lo slalom tra i boeing parcheggiati all'aeroporto di Schipol (Amsterdam) viene il dubbio che l'improbabile stia per diventare realtà. La storia dell'auto ad aria compressa è una delle più discusse degli ultimi anni. Il suo inventore, Guy Negre, ingegnere con un passato in Formula 1, ne parla dagli anni Novanta, alimentando in tanti la speranza di poter viaggiare, un giorno, a bordo di veicoli a carburante dal costo nullo e davvero con emissioni zero. Ancora oggi circola la leggenda metropolitana secondo la quale sarebbe solo a causa delle lobby del petrolio che la famosa Eolo, un primo tentativo di auto di questo genere, non è mai arrivata su strada. Una ipotesi resta verosimile, ma la realtà pare molto più complessa. Il progetto dell'auto ad aria è zeppo di ostacoli tecnologici, forse non economicamente sostenibili e condotto da Guy Nègre con un budget certamente non paragonabile a quello di cui dispongono le grandi case automobilistiche. Ora però pare che la Motor Development International (MDI), l'azienda di Nègre, sia arrivata a una svolta. Li AirPod inventato dall'ingegnere francese è lungo due metri e sette centimetri, largo 1,60 e alto 1,74. Ha tre posti veri (i due passeggeri sono seduti contro marcia), più un altro d'emergenza per un bambino, pesa 220 kg e si guida con un joystick. Secondo Negre, circolare con un veicolo di questo tipo costerebbe solo 50 centesimi di euro ogni 100 km. Spinto da un motore bicilindrico alimentato da aria compressa a 350 bar, l'AirPod dovrebbe avere 220 km di autonomia e raggiungere i 45 lan/h. L'amo ad aria, quindi, non sarebbe una vera alternativa a quella con motore a scoppio, bensì alle elettriche. E France-Mm ne ha da poco iniziato la sperimentazione per il trasporto a terra in ambiente aereoportuale. Obiettivo della compagnia aerea è valutarne i vantaggi rispetto agli attuali mezzi elettrici per il trasporto di materiali di servizio fino a 300 kg. I primi risultati sembrano incoraggianti: i tempi di ricarica delle vetture sono molto più rapidi (90 secondi circa) rispetto a quelli dei veicoli elettrici (svariate ore), gli spazi per i mezzi in fase di ricarica si riducono drasticamente, e si evitano i costi di sostituzione degli accumulatori. Lo gesso sta facendo in Francia H comune di Nizza, che ha adottato l'AirPod costituendo una flotta di veicoli utilizzabile con card magnetica attraverso il "~ar-sharing". Ora resta da capire come, se e quando un veicolo del genere possa essere commercializzato. E qui iniziano a riaffiorare i dubbi, perchè nessuno alla MDI è ancora in grado nemmeno di fissare un possibile prezzo dell'AirPod. Del resto anche la mitica Eolo, ebbe grossi problemi legati ai costi di sviluppo dei prototipi: già nel 2002 la società di Guy Negre aveva speso circa 15 milioni di euro per produrre qualche esemplare-laboratorio e alcuni particolari di ricambio. Il numero di "Quattro ruote" dell'aprile 2002 ospita la prima e unica prova su strada della Eolo: il risultato fu un breve tragitto su un auto che, non ancora messa a punto, si fermò dopo qualche minuto a causa della formazione di ghiaccio nel motore. Ma il visionario francese non molla. E nonostante le filiali europee finite in bancarotta nel tentativo di produrre le sue auto pur avendo ricevuto finanziamenti per milioni di euro dall'Unione Europea, Nègre rilancia la sua idea dell'aria compressa, senza precisare se siano stati risolti i problemi legati ad raffreddamento (anzi al congelamento) dei tubi di scarico del motore. Proprio su questo i tecnici della Tata Motors - che nel 2007 ha acquistato il diritto di vendere in India questo tipo di vetture - sono al lavoro con gli ingegneri francesi. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. ’09 NELLA REGIONE DELL'INFRAROSSO SI AVVICINA ALL’INVISIBILE Fino a oggi te ricerche sul cosiddetto mantello dell'invisibilità avevano avuto successo unicamente nella regione delle microonde. In altre parole, era possibile nascondere a' queste radiazioni la presenza di piccoli oggetti, ma il sistema non funzionava perla luce visibile. Guy Bartal e Xiang Zhang, dell'Università della California di Berkeley, hanno ' però ìdeato una tecnica che rende invisibili gli oggetti nella regione del quasi infrarosso, vale a dire in un'area ai confini di quella visibile ai nostri occhi. E mantello dell'invisibilità creato dai ricercatori è composto sostanzialmente da uno strato di silicio bucherellato da una serie di fori di dimensioni nanometriche che seguono:una precisa geometria. l'interferenza delle radiazioni elettromagnetiche consente di nascondere gli oggetti. II sistema è scalabile, ed é quindi possibile che presto potrà essere applicato in tutta la regione delle radiazioni visibili. Mentre lo studio di Bartal e Zhang era in via di pubblicazione su «Nature Materials», quattro ricercatori dell'Università Cornell di Ithaca hanno annunciato di avere dimostrato come sia possibile costruire un mantello dell'invisibilità facendo variare lo spessore di uno strato di silicio: Un'ulteriore prova che i tempi sono oramai maturi per costruire un mantello dell'invisibilità veramente funzionante. :(an.car:) ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 mag. ’09 TUTTI I FOTONI VENGONO AL PETTINE L'utilizzo dei principi della meccanica quantistica rappresenta la frontiera per la crittografia dei dati trasmessi su fibra ottica ogni singolo fotone, cioè il mattoncino costitutivo della luce, è un "veicolo" informativo su cui far viaggiare gigabyte di informazioni al secondo; impresse come codice binario attraverso la polarizzazione del fotone stesso. Per rendere praticabile un sistema crittografico quantistico, però, si devono ancora superare alcuni problemi. Come quello dei dispositivi riceventi (rivelatori) a semiconduttore che registrano fotoni inesistenti e sono troppo lenti nel resettarsi e registrare altri fotoni in arrivo. Alla luce di un nuovo rivelatore, 25 volte più veloce degli attuali, i tempi per un utilizzo reale della crittografia quantistica sembrano oggi accorciarsi. Lo studio dei ricercatori dell'Istituto di Cibernetica "E. Caianiello" IcibCnr di Napoli, insieme all'Istituto di Fotonica e Nanotecnologia del Cnr di Roma e all'Università di Salerno, è stato pubblicato su «Superconductors ScienceandTechnology». «Per superare i problemi legati ai semiconduttori, si utilizza una nuova generazione di rivelatori - spiega Roberto Cristiano dell'Icib-Cnr, coordinatore del gruppo di ricerca che lavorano a temperature di 5 gradi sopra lo zero assoluto. Sono composti da nanofili di nitruro di niobio disposti a serpentina su una superficie di qualche micron. Noi li abbiamo organizzati uno accanto all'altro, come in una sorta di pettine. Ottenendo una velocità impensabile». Renato Sartini ======================================================= ___________________________________________________________ MF 7 mag. ’09 SANITA’: LA MAPPA DELL'ECCELLENZA, Specializzazioni La sanità italiana presenta numerose realtà di rilievo a livello mondiale sia nel pubblico sia nel privato Dall’Ieo di Veronesi al San Raffaele per le attività cliniche, di ricerca, e didattiche, alle cliniche Monzino e Humanitas. A Roma spicca il Policlinico Gemelli di Claudio Ravel Per necessità, per ridurre i tempi di attesa ma anche per usufruire di un miglior servizio: in alcune regioni italiane la scelta dì ricorrere alla struttura privata a queste motivazioni abbina l'esigenza di sopperire alle carenze , del pubblico. Carenze di tipo strutturale, procedurale, di disponibilità di macchinari e apparecchiature e, perché no, di comfort. «Per un paziente che richiede una degenza prolungata, la possibilità di ricevere visite con orari più flessibili, disporre di una camera confortevole e di una assistenza puntuale sono elementi importanti», spiega Francesco Conti, presidente della Fondazione Charta, associazione che promuove la ricerca. La sanità italiana ha punte di eccellenza apprezzate sia nel pubblico sia nel privato. «La legge n. 31 emanata dalla regione Lombardia, entrata in vigore l’11 luglio 1997, mette al primo posto la centralità della persona e si fonda sulla libertà di scelta e sulla parità tra pubblico e privato», prosegue Conti. Più prestazioni e qualità, meno attese e un tasso di incremento annuo della spesa sanitaria assai diminuito. E’ possibile indicare aziende di eccellenza, nonostante il panorama conti ben 550 strutture di ospedalità privata sull'intero territorio nazionale. L'Istituto Clinico Humanitas, ospedale poli specialistico convenzionato con il Ssn, è una di queste realtà. È presente a Milano, Bergamo, Catania e Torino. E' specializzato nell'ambito gastroenterologico. Per quanto riguarda la ricerca di base, di rilievo è l'attività svolta nei laboratori di immunologia, focalizzata sui meccanismi infiammatori. L'Ieo, Istituto europeo di oncologia, è la struttura di Umberto Veronesi che nel 2007 ha ricevuto dalla Fondazione Bertelsmann l’hospital Bench Marking Award, sorta di oscar della sanità. Lo Ieo offre il primo servizio di cardioncologia in Italia, messo a punto per trattare il malato di tumore che presenti problemi cardiovascolari importanti associati. Il nuovo servizio di cardioncologia lavora in collaborazione con l'unità coronarica del centro cardiologico Monzino, altra struttura milanese di prestigio, dedicata al trattamento medico/chirurgico e allo studio delle patologie cardiovascolari. Il gruppo ospedaliero San Donato è presente in Lombardia e a Bologna e vanta diversi centri di alta specialità, così come l'ospedale San Raffaele realizzato a Milano nel 1971 da don Luigi Verzé, un'opera che comprende attività cliniche, di ricerca e didattiche. Villa Maria è il primo gruppo sanitario italiano con una articolazione su gran parte del territorio nazionale e con sedi anche all'estero. Un polo d'eccellenza per la chirurgia toraco-vascolare e cardiaca, cardiologia, neurochirurgia, radioncologia e ortopedia. A queste strutture si affianca il Policlinico Gemelli di Roma, della facoltà di medicina e chirurgia dell'Università Cattolica Sacro Cuore di Roma, inserito nel Ssn come ospedale di rilievo nazionale di alta specializzazione. ___________________________________________________________ MF 7 mag. ’09 UN MERCATO DA 130 MILIARDI Il giro d'affari della sanità italiana nel 2007 è stato di circa 131 miliardi di curo, investimenti esclusi, secondo l'Oasi, l'Osservatorio aziende sanitarie italiane del Cergas, Centro ricerca sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale dell'Università Bocconi di Milano. Di questa cifra il 78,2% è stato a carico del Servizio sanitario nazionale e il 21,8% proviene dai cittadini, perlopiù sotto forma di ticket. Su questo mercato operano nomi noti. Poco meno di 4 mila sono i posti letto ammessi ai rimborsi del Ssn, di cui dispone la Papiniano spa, holding di Rotelli, socio forte di Rcs. Opera principalmente in Lombardia, sulla cui spesa sanitaria per rimborsi incide per una quota superiore al 9%. D gruppo, oggetto di due inchieste avviate nel 2008 dalla procura di Milano sui rimborsi del Ssn, ha registrato nel 2007 un fatturato di 720 milioni di euro. Tramite Hss, Holding sanità e servizi, la Cir di De Benedetti conta su 1.200 posti letto, la maggioranza in Lombardia e Liguria, per un fatturato di 183 milioni nel 2007. La clinica I Iumanitas, di Rozzano, fa capo invece al gruppo Techint della famiglia Rocca, uno dei nomi storici della siderurgia. Dispone di strutture sanitarie anche in Piemonte e Sicilia, fatturando oltre 240 milioni di euro nel 2007. Gli Angelucci, con la Tosinvest, sono proprietari di cliniche con ricavi per 300 milioni. Con 1.600 posti letto, quasi tutti accreditati, la Giorni spa opera in svariate regioni d'Italia Di proprietà della famiglia Miraglia, la società ha una partecipazione nella Eurosanità di Giuseppe Ciarrapico e fattura circa 90 milioni di euro. ___________________________________________________________ Il Giornale di Sardegna 6 mag. ’09 VERTICI ASL, L'OMBRA DEL RICAMBIO «MANAGER GIÀ COMMISSARIATO» Sanità. I sindacati: il direttore generale Barranu non può prendere decisioni di rilievo Già annunciata al rivoluzione negli incarichi. La replica "Ottimi rapporti con la Regione" roberto murgia Lui assicura che «il rapporto con l'assessorato alla Sanità è ottimo». Per i sindacati, invece, il direttore generale della Asl 8, Benedetto Barranu, sarebbe già commissariato. In particolare il segretario generale di Fp Cgil, Giovanni Pinna, dice che «è come se lo fosse». Certo, è solo da quattro mesi (dal 2 gennaio) che Barranu ricopre la carica di top manager della Asl. Mentre il cambio alla guida della Regione risale a un mese e mezzo dopo, con una nuova Giunta di centrodestra, diversa da quella che l'aveva nominato. E un nuovo assessore alla Sanità, antonello Liori, che, appena insediato, manifesta l'intenzione di apportare cambiamenti ai vertici della asl numero 8. MA PER BARRANU «con l'assessorato alla Sanità non c'è alcuna difficoltà di carattere organizzativo. Il mio compito è quello di fare quanto è in mio potere per il benessere del cittadino che si rivolge alla Asl». Punto. Tuttavia, per Pinna della Cgil, «sembrerebbe che per le situazioni che richiedono gli interventi più rigorosi, i provvedimenti in merito debbano essere portati all'attenzione dell'assessorato, sempre e comunque ». Guai però a dire che c'è l'intenzione di rimuovere l'attuale direttore sanitario. «Dovrebbero trovare un motivo valido - continua Pinna - riuscire a dimostrare che Barranu ha mancato gli obiettivi. Se così non fosse, la giunta incorrerebbe nel danno erariale». Ma il manager, da parte sua, precisa di avere «un contratto che mi impegna fino al 2 gennaio 2011». Di «situazione stagnante » parla anche antonio masu di Fp Cisl. In tutta risposta Barranu mette in evidenza la complessità dell'azienda sanitaria che dirige: «Tutte le Asl sono sempre in frontiera, e la nostra è una delle più grandi d'Italia. Problemi ce ne sono e si lavora per risolverli». Come dire: nessuno frappone ostacoli al mio operato. Anzi. Sulle questioni più stringenti, poi, ha risposte molto articolate. Sulle liste d'attesa, per esempio: «Non esiste un'unica via per affrontare il problema. Conta il rapporto del paziente col medico fiduciario ». Ossia, in ogni reparto ci sono medici più gettonati di altri, ai quali, di conseguenza, restano pochi pazienti: da qui la disparità nelle liste. Poi c'è la questione delle prenotazioni: «I cittadini devono abituarsi a disdire quando decidono di saltare una visita». Quanto alle lamentele in corsia sulla mancanza di operatori sociosanitari, «bisogna distinguere tra reparti. Soprattutto dove è prevista la lunga degenza, bisogna lavorare sulla presenza di questa figura professionale» E' la giunta che fa le nomine I manager delle Aziende sanitarie locali sono nominati dalla Giunta regionale in carica, su proposta dell'assessorato alla Sanità. Benedetto Barranu è salito ai vertici della Asl 8 sul finire della Giunta presieduta da Renato Soru, proprio due mesi prima, quando il suo predecessore, Gino Gumirato, era arrivato alla scadenza del suo mandato. ___________________________________________________________ Il sole24Ore 7 mag. ’09 SPAZIO ALLA SANITÀ INTEGRATIVA Stato sociale IL LIBRO BIANCO DEL GOVERNO Rafforzato il secondo pilastro - Grandi reti al posto dei piccoli ospedali Marzio Bartoloni Un federalismo sanitario «sostenibile e responsabile» che a colpi di costi standard raddrizzi i conti delle Regioni. Le cure da spostare sul territorio perché concentrare tutto sugli ospedali, soprattutto quelli con una manciata di posti letto, vuol dire sprecare preziose risorse. E con le tecnologie - a cominciare dal fascicolo personale elettronico - pronte a dare una mano alla rete di servizi e alle forme associative tra medici che dovranno nascere per garantire una effettiva «presa in carico» della persona, per tutta la settimana e per più ore al giorno. Nella sanità del futuro, vista con gli occhi del ministero del Welfare, ci sarà sempre più attenzione all'efficienza e alla «sostenibilità», vero nuovo totem attorno al quale ricostruire il Servizio sanitario nazionale. Che rimarrà sempre un pilastro cruciale del Welfare, ma sarà affiancato dalla «crescita di un nuovo secondo pilastro - avverte il Libro bianco - con le nuove forme integrative di assistenza sanitaria e socio-sanitaria» che si affideranno sempre di più alla contrattazione collettiva. La sanità integrativa è, infatti, uno degli snodi cruciali per ridisegnare il Ssn nel segno dell'«universalismo selettivo» che costringe tutti - dai cittadini alle Regioni fino allo Stato - a fare i conti con «la scarsità delle risorse», prevedendo il ricorso anche misure dolorose come «tariffazioni» e «compartecipazione» ai costi dei servizi. Il passaggio dal Welfare «assistenziale» a quello delle «responsabilità condivise» richiede, dunque, un ripensamento dell'offerta sanitaria che non mette più l'ospedale al centro come «luogo di risposta predominante ai bisogni di salute», ma «lascia spazio a una filiera di servizi di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione assolutamente innovativi». In questo scenario, accanto a ospedali sempre più hi-tech organizzati in grandi reti, sarà il territorio a ricoprire un ruolo strategico con i servizi di assistenza a casa e le forme di residenzialità destinate soprattutto ai non autosufficienti e ai disabili, vera bomba sanitaria del futuro. Anche la classica figura del medico di famiglia cambierà volto: non farà più il «solista», ma con le nuove forme di associazione e collaborazione diventerà il «collettore» di tutte le «energie e risorse presenti sul territorio». Con inedite sinergie come quelle con il servizio postale «con la sua capacità di validare le ricette elettroniche trasmesse o garantire il deposito protetto di dati sensibili». La promessa è, poi, che l'avvento del federalismo sanitario non si tradurrà nell'abbandono di «intere aree geografiche». Anche se per tutti dovrà essere chiaro che da ora in poi "chi rompe paga". La spesa extra, «quella generata dalle inefficienze», sarà a carico delle Regioni «che dovranno provvedere - avverte il Libro bianco - alla copertura, aumentando la pressione fiscale o spostando risorse all'interno dei loro bilanci». Solo così si potrà superare uno dei problemi più gravi del paese: la frattura, cioè, «tra i buoni modelli di un Nord sviluppato e agganciato alle Regioni più avanzate d'Europa» e le «inefficienze sistemiche» di un Sud arretrato e carente . Alcune Regioni hanno, negli anni, mantenuto o addirittura implementato «modelli organizzativi obsoleti» per cui a elevati livelli di spesa corrisponde una bassa qualità dei servizi: «Ne è riprova il fatto che sono sempre più consistenti i flussi di mobilità di pazienti dal Sud al Nord». Per questo è necessario un governo della qualità e quantità della spesa sanitaria, «se è vero - aggiunge il Libro bianco - che ben tredici Regioni registrano un disavanzo di gestione», mentre l'85% del deficit complessivo si concentra in Lazio, Campania e Sicilia. Insomma gli stessi livelli essenziali di assistenza da assicurare in tutto il Paese, «sono diventati l'alibi per coprire inefficienze e sprechi, anche perché - conclude il Welfare - privi di efficaci meccanismi di controllo e monitoraggio». Niente più sconti insomma, come ha ricordato, ieri, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha avvertito: «Entro l'estate arriveranno nuovi commissariamenti nelle Regioni che hanno sforato i deficit sanitari ___________________________________________________________ Corriere della Sera 6 mag. ’09 VERONESI E IL NOBEL «LA FEBBRE? FALSO ALLARME» MILANO - La nuova influenza A/H1N1, ex suina, che allerta l' Organizzazione mondiale della Sanità (rischio pandemia: quinto caso in Italia, primo cittadino americano morto in Texas) non «preoccupa minimamente» James Watson, 81 anni, premio Nobel per la Medicina nel 1962 per la scoperta (con Francis Crick nel 1953) della struttura a doppia elica del Dna. Né tantomeno preoccupa Umberto Veronesi: «Mi pare un falso allarme». I due «giovanotti» della scienza mondiale circa mezzo secolo fa si incontravano nella mensa dell' università di Cambridge e ieri, di nuovo allo stesso tavolo, hanno presentato la quinta Conferenza mondiale sul futuro della scienza (The Dna Revolution, 20-22 settembre a Venezia), promossa dalle Fondazioni Veronesi, Giorgio Cini (presidente il banchiere professore Giovanni Bazoli) e Silvio Tronchetti Provera (presidente Marco Tronchetti Provera). Dalla doppia elica del Dna alla vita artificiale. Questo il filo conduttore che vedrà protagonisti Watson e Craig Venter (sua la mappa del genoma umano nel 2001). Su Internet si trovano i genomi di entrambi. A disposizione di tutti. A mappare il suo genoma non pensa proprio invece Veronesi. Venter nel 2007 annunciò la possibilità di «creare» la vita artificiale. È possibile? «Se qualcosa è scientificamente pensabile - risponde l' oncologo milanese -, prima o poi qualcuno la realizzerà. L' incertezza è soltanto quando e come. È un passo importante che va vissuto senza eccessivi entusiasmi e senza paure. Perché il Dna è all' origine della vita, ma da solo è anche impotente». Origine della vita. Il 28 febbraio 1953 Francis Crick (morto nel 2004) entrò nell' Eagle Pub di Cambridge esclamando: «Abbiamo trovato il segreto della vita». Più di 50 anni dopo, il suo «compagno» di Nobel, Watson, racconta ancora il futuro. Ora vuole scovare i possibili fili che legano le mutazioni dei geni alle malattie mentali. «Studieremo - dice - il genoma di 10 mila persone per tentare di predire la malattia mentale». Poi sul cancro promette: «La guerra si può vincere. Ascoltate un 80enne: avremo la meglio sui tumori». L' Associazione per la ricerca sul cancro (Airc) a Venezia farà il punto nel simposio Cancer genetics. E gli Ogm? Anche qui c' è il Dna di mezzo. Watson critica i «paletti» europei. Plaude Chiara Tonelli, «pollice verde» nel campo degli Ogm e segretario generale del «Futuro della scienza». Mario Pappagallo Pappagallo Mario ___________________________________________________________ Il sole24Ore 7 mag. ’09 SANITÀ. CENTO MILIONI PER POTENZIARE LE TERAPIE PIÙ FONDI CONTRO IL DOLORE TRIBUNALE DEL MALATO Dal rapporto 2008 la richiesta di un rapporto più umano con i medici Pesano i costi e le liste di attesa Manuela Perrone Cento milioni di euro per potenziare la terapia del dolore e le cure palliative con la creazione di reti assistenziali e il coinvolgimento dei medici di famiglia. Più un altro mini-fondo da reperire tra i 4 milioni destinati ai progetti di interesse nazionale per un'iniziativa specifica contro la sofferenza al femminile. Sono i finanziamenti disponibili e la strategia del Governo illustrati ieri dal sottosegretario alla Salute, Francesca Martini, alla conferenza promossa da Onda, Osservatorio sulla salute della donna, con il sostegno di Mundipharma. «Sul tema del dolore l'Italia sconta un grande ritardo culturale», ha detto Martini. «Noi abbiamo creato una cornice entro cui le Regioni potranno operare». Il modello scelto per le cure palliative è quello delle reti assistenziali, che saranno sperimentate in quattro Regioni - Emilia Romagna, Lazio, Sicilia e Veneto - attingendo dai 100 milioni vincolati con l'accordo Stato-Regioni sugli obiettivi del Piano sanitario nazionale. «Scomporremo l'assistenza in tre nodi», ha detto Guido Fanelli, coordinatore della Commissione ministeriale sulla terapia del dolore. «I centri di riferimento di terapia del dolore (hub), l'ambulatorio di terapia antalgica (spoke) e l'Aggregazione funzionale territoriale (Aft) di medici di medicina generale». La scommessa è su loro, e sull'impegno delle Regioni: i medici di famiglia dovranno fornire le prime risposte. Donne, in larga parte: secondo una recente indagine voluta da Onda, il dolore affligge l'85 per cento. E ben il 40% convive con un dolore cronico, contro il 30% degli uomini. L'oncologa Vittorina Zagonel e gli anestesisti Alessandro Fabrizio Sabato e Giorgio Capogna sono concordi: quando si parla di dolore non bisogna considerare soltanto la sofferenza dei malati terminali di cancro ma anche quella provocata da malattie croniche come artriti, lombalgie, alluce valgo. E gli altri dolori evitabili, come quello da parto. «L'obiettivo - ha concluso Francesca Merzagora, presidente Onda - è l'umanizzazione delle cure». Proprio l'umanizzazione, però, insieme con l'aumento dei costi a carico dei cittadini, è il tasto dolente del Servizio sanitario nazionale. Lo afferma il rapporto annuale Pit Salute 2008, presentato ieri dal Tribunale dei diritti del malato di Cittadinanzattiva. Basato su oltre 25mila segnalazioni spontanee, il dossier rivela un quadro fosco. Con i pediatri al primo posto per «carenza di umanità» (31,87%), seguiti dai medici di famiglia (25,4%) e dalla riabilitazione ambulatoriale (21%). Il problema della scarsa attenzione è sentito da dieci delle Regioni coinvolte. E si ripercuote sui rapporti medico-paziente: in un caso su cinque le segnalazioni riguardano errori medici o diagnostici, confermandosi come il principale problema. Non accennano a diminuire le liste d'attesa, denunciate soprattutto al Sud: la diagnostica ha fatto il pieno di segnalazioni (51%), seguita dalla specialistica (23%) e dagli interventi chirurgici (20%). ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 5 mag. ’09 CAGLIARI: L'EROINA STA INVADENDO IL MERCATO Radiografia delle droghe preferite dai cagliaritani del tossicologo Giampiero Cortis E i ragazzini si improvvisano coltivatori diretti di marijuana Nel laboratorio del Policlinico le campionature degli stupefacenti sequestrati. «Cagliari e la Sardegna si adeguano in ritardo al mercato internazionale della droga. Si consumano prevalentemente cocaina e hascisc, ma sta prepotentemente tornando alla ribalta l'eroina». Giampiero Cortis dirige il laboratorio di Tossicologia forense del Policlinico universitario di Monserrato, l'unico del genere in Sardegna. Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza dopo ogni sequestro, dai milligrammi ai quintali, si rivolgono alla struttura universitaria. Al pian terreno del Policlinico, Cortis con un'équipe tutta la femminile analizza la purezza degli stupefacenti. Un elemento determinate soprattutto in fase processuale dove il principio attivo della droga può valere una condanna più o meno pesante per lo spacciatore o il trafficante. L'ANALISI Tra tesi di laurea, studentesse ansiose per i concorsi e convocazioni del tribunale per perizie Cortis fa un'analisi dei gusti dei tossicodipendenti cagliaritani. Una radiografia basata solo sulle droghe confiscate, ma che dà un'idea precisa sullo spaccato di tante storie che si concludono inevitabilmente in carcere. «Facciamo i campionamenti di droga intercettata a piccoli spacciatori e grossi trafficanti. Ed è sui primi che bisogna fare riferimento per capire l'andamento del mercato illegale, delle quantità disponibili e delle nuove proposte. Per quanto riguarda i trafficanti è naturale che puntino alla massima purezza. Non ha senso trattare stupefacenti di scarsa purezza: i quantitativi giocoforza aumentano e con loro i rischi di finire nelle mani delle forze dell'ordine». DROGA FATTA IN CASA Nel mercato cagliaritano la marijuana è una delle droghe preferite. «Anche perché - spiega Cortis - molti ragazzini si improvvisano coltivatori diretti: acquistano su internet i semi di canapa e poi li piantano in casa. Ogni piantina è in grado di produrre poche dosi. C'è da dire che l'acquisto on line non è reato, ma coltivarla è illegale». Per questo è più conveniente comprare la marijuana da uno spacciatore, visto che il prezzo del seme oscilla da 2 a 7 euro. HASCISC L'hascisc è senza dubbio la droga più usata sia per tradizione che per il concetto, sbagliato, che sia innocua. «Questo tipo di stupefacente - aggiunge Cortis - arriva in maggior parte dal Marocco. Bisogna fare una considerazione: la Sardegna è un punto di passaggio. I pescherecci carichi di panetti normalmente hanno come destinazione finale la Toscana, il Lazio o la Calabria, ma vengono bloccati al largo delle coste sarde». Un mercato in evoluzione. «La qualità è in costante miglioramento per modifiche genetiche sperimentate sulle piante». EROINA Sino a poco tempo fa il mercato dell'eroina era in netto calo. Ma i mercanti della droga hanno deciso di rimetterla in auge. «Da un anno a questa parte è ritornata di moda perché è facile da trasportare. Con mille euro un ovulatore , solitamente nigeriano, ingoia gli involucri e affronta il viaggio dalla Campania all'Isola». L'eroina è del tipo brown sugar (gli specialisti la catalogano numero 3 o di Hong Kong) e viene fumata. «I consumatori hanno paura del buco e di tutte le conseguenze collaterali. Solo i tossicodipendenti di vecchia data la usano in vena. Aspirandola l'effetto è più immediato, ma anche più dannoso». COCAINA La cocaina è in piena ascesa. «È facile da trasportare: un chilo può fruttare anche mezzo milione di euro ed è ingombrante quanto un pacco di zucchero. Sempre su internet si trovano decine di sistemi per eludere i controlli», afferma Cortis mentre maneggia una lattina di Coca Cola modificata. DROGHE SINTETICHE Ecstasy e altre pastiglie hanno un mercato particolare. «Si consumano soprattutto in discoteca, in giorni e orari prestabiliti. Produrla è semplice, il complicato è piazzarle. Per questo in Sardegna non risulta l'esistenza di laboratori». (a. a.) ___________________________________________________________ Il sole24Ore 5 mag. ’09 INFERMIERI, IL 10% È STRANIERO Welfare. Le università non riescono a formare i professionisti necessari a far funzionare le strutture Molti arrivati dall'estero restano confinati nel lavoro sommerso Angela Manganaro Nicoleta, Iulia, Mihaela, Alina, Natasa, Elena. Sono i nomi che ricorrono sulla «Gazzetta Ufficiale» delle ultime due settimane. Si leggono nei 312 decreti del ministero del Welfare pubblicati dal 18 aprile a ieri, che riconoscono ad altrettante infermiere straniere (pochi gli uomini) il titolo preso all'estero e la possibilità di lavorare in Italia. Un ritmo di 26 nullaosta al giorno. Un flusso che segue la tendenza degli ultimi anni e cambia la nazionalità di una professione che gli italiani non vogliono (o non riescono) più a fare. Nel 2008 la Federazione infermieri (Ipasvi) contava 33mila professionisti stranieri su 360mila iscritti (quasi il 10% del totale). Il boom di decreti non sorprende Annalisa Silvestro, presidente dell'Ipasvi, la federazione dei Collegi. «Nella Ue - dice - siamo terzultimi come numero di infermieri per abitante. Se non ci fossero gli stranieri, molte strutture sarebbero in ginocchio». Stranieri che non bastano a rispondere al fabbisogno: qualche anno fa l'Ocse ha stimato che solo negli ospedali ce ne vorrebbero tra i 66mila e 99mila in più. Il vuoto non si riesce a riempire neanche spalancando le frontiere: questi lavoratori, considerati immigrati qualificati, non sono vincolati alle quote annuali previste dal decreto flussi per gli extracomunitari. La carenza, in un Paese in cui la disoccupazione è tornata a crescere (soprattutto al Sud) e la domanda di infermieri si sta facendo incessante (soprattutto in Lombardia), non dipende solo dalla crisi di vocazione ma dal numero chiuso dei corsi universitari. Secondo le stime della Conferenza permanente delle lauree delle professioni sanitarie, nel 2008-2009, le domande degli aspiranti sono state 29.926: il doppio dei posti disponibili (14.849). Al Sud, le richieste sono state quasi il quadruplo dei posti offerti (12.600 contro 3.280): più di 9mila ragazzi sono rimasti a casa. Come è possibile? «Noi, come facoltà, siamo disposti ogni anno ad aumentare i posti: avere una classe di 50 studenti o di 80 è la stessa cosa. Sono le aziende ospedaliere a non volere tirocinanti», risponde Luigi Frati, presidente della Conferenza permanente. «Ci sono direttive - spiega Frati - che obbligano le strutture a seguire l'infermiere che fa tirocinio. Il compito è impegnativo. E poi non tutte le Regioni investono in formazione: il Lazio, ad esempio, per la formazione delle professioni sanitarie mette zero euro. In altre regioni, come la Sicilia, il problema è invece che sono poche le strutture abilitate ad accogliere tirocinanti». Silvestro la vede in un altro modo: «Il Ssn si impegna molto. Piuttosto, gli atenei dovrebbero dare la priorità ai corsi per infermieri rispetto a quelli con pochi iscritti». «Va riconosciuto che le università, a partire del 1997, anno di istituzione dei diplomi, hanno aumentato i posti dai 5mila ai 15mila dell'anno 2008-09. Ma la progressione si è fermata nel 2006. Nonostante numerose segnalazioni negli ultimi tre anni si è rimasti fermi a una media di 14mila posti disponibili», spiega Angelo Mastrillo, della segreteria della Conferenza permanente. Detto tutto ciò si dovrebbe capire poi perché, se pochi riescono a studiare, pochissimi arrivano alla fine: ogni anno i laureati sono 8mila, contro le 17mila richieste che arrivano dalle Regioni. A queste difficoltà si aggiungono i problemi di un'immigrazione che non crea allarme ma neanche controlli. «Al di là dei dati ufficiali - dice Silvestro - abbiamo la forte percezione che ci sia buona fetta di infermieri stranieri che lavorano in nero. Sappiamo che esistono ma non riusciamo a farli emergere. Viene loro riconosciuto il titolo e lavorano subito ma non è verificata la conoscenza né della lingua né delle nostre norme sanitarie». Un problema che non riguarda tanto i colleghi dei Paesi Ue in cui la formazione è da tempo equivalente, quanto quelli dei Paesi ultimi arrivati nell'Unione (Romania e Bulgaria in particolare) e gli extracomunitari. Oltre le contraddizioni italiane (la Caritas rileva come l'Italia sia l'unico Paese industrializzato in cui i medici sono di più degli infermieri), c'è l'occhio vigile dell'Oms che raccomando ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 mag. ’09 COMUNICARE L'EPIDEMIA Riccardo Renzi Febbre, influenza, addirittura peste suina (che è un'altra cosa) o dei maiali. In gergo anche "maiala". O semplicemente "messicana". I nomi si sprecano. Protestano allevatori e produttori di carne suina, protestano i responsabili del turismo messicano, protestano anche alcune organizzazioni fondamentaliste ebraiche, perché il maiale è animale innominabile, come per i mussulmani. Una commissione europea propone di chiamarla Nuova Influenza. Non una grand'idea: che cosa succederà quando, magari in autunno, arriverà una nuova influenza, di quelle classiche? E infatti l'Oms boccia la proposta, perché "fa confusione". E propone come nuova dizione "influenza A". Ma è davvero così importante il nome della malattia? Che i nomi, e le parole, nel mondo della salute pesino l'abbiamo imparato ai tempi dell'Aids, che nacque col nome di Grid (Immunodeficienza gay correlata). Soltanto un anno dopo il nome ufficiale sarà Aids. Ma intanto il danno è fatto. Non solo per la conseguente criminalizzazione degli omosessuali, ma anche perché si comunicava un senso di sicurezza ad altre categorie, come i tossicodipendenti, tra i quali in Italia nei primi anni si conterà il maggior numero di vittime, e gli eterosessuali, tutt'altro che immuni, come oggi ben sappiamo. Più recente è il caso dell'aviaria, tre anni fa. E qui scoppia un altro pasticcio, tutto italiano. Nel mondo si chiama aviaria o bird flu, influenza degli uccelli. Sarà perché in italiano il nome si presta a salaci equivoci, da noi diventa "influenza dei polli". Ed è la catastrofe: per i produttori di pollame, gli unici veramente colpiti dall'epidemia "mediatica". Colpa dei mass media certo, che fanno confusione tra l'influenza degli uccelli e quella dagli uccelli. Ma anche di una comunicazione non proprio cristallina da parte delle autorità sanitarie. Tra gli altri errori commessi, i produttori e i loro rappresentanti insistono a dirci che «il pollo italiano è sicuro». Verissimo, ma il consumatore italiano, che non è un campione di prevenzione, ma è sensibile a quello che mette in tavola, lo interpreta così: «Se non c'è rischio a mangiare il pollo, che cosa importa che sia italiano o no? Quindi, ci sarà da fidarsi?». Poi, al supermercato, sceglie qualcos'altro. Applica quel che si chiama "principio di precauzione", lo stesso che raccomandano i medici per i farmaci. Ma la lezione non è servita. Arriva l'influenza suina e subito un comunicato della Coldiretti del 25 aprile recita: «L'Italia non importa carni dal Messico, la carne suina italiana è sicura». Siamo daccapo. «Compratela - dicono altri -. Adesso che costa poco, conviene». «Vogliono scaricarci le scorte», ragiona il consumatore sospettoso. «E' meglio cuocerla a 70 gradi», raccomandano altri. «Ma allora c'è il virus», insiste l'incontentabile massaia. «E poi quanti sono 70 gradi?». E di nuovo si accusano i media di fare allarmismo. Per fortuna questa volta la comunicazione delle autorità sanitarie appare più chiara, senza reticenze, efficace. Anche il nome "influenza A" sta sostituendo la "febbre suina". E l'immagine del povero maiale, almeno quella, è in via di guarigione. ___________________________________________________________ Repubblica 3 mag. ’09 GLI SPRECHI DELLA SANITÀ UN ESAME SU TRE È INUTILE La storia ANTONIO FRASCHILLA UN TERZO delle scintigrafie eseguitea Villa Sofia fino al 2008 era perfettamente inutile. Gli esami sono stati effettuati senza alcun motivo clinico ma solo in base a prescrizioni del medico di base. TUTTO a carico del sistema sanitario regionale (che rimborsa a strutture pubbliche e private 360 euro per ogni esame di questo tipo) e delle persone che lo hanno subito (perché una scintigrafia equivale a 500 radiografie sulla pelle). È questo il risultato di uno studio condotto dal cardiologo Corrado Ventimiglia, da un anno e mezzo dirigente medico di Villa Sofia, che nero su bianco ha dimostrato come spesso gli esami clinici (la diagnostica) vengano prescritti con troppa facilità senza alcuna «appropriatezza», tanto alla fine paga il sistema sanitario che in Sicilia annualmente spende 105 milioni di euro soltanto per acquistare prodotti chimici e materiale per esami diagnostici. «Dall'inizio del 2009 abbiamo inviato un modulo a tutti i medici di famiglia e studi di cardiologia che hanno rapporti con la nostra unità operativa, chiedendo i sintomi dei pazienti in base ai quali veniva prescritto l'esame di scintigrafia - dice Ventimiglia - Il risultato è stato che nel 30 per cento dei casi gli esami non erano adeguati e ci siamo rifiutati di farli». Così da gennaio ad aprile a Villa Sofia sono state fatte 155 scintigrafie contro le 190 dello scorso anno: nel 2008 quindi 35 esami, al costo di 360 euro l'uno, sono stati inutili, in quanto non adeguati ai sintomi del paziente. Nel 2009 Villa Sofia ha risparmiato 12.600 euro e alla fine dell'anno avrà speso in meno, solo per questo tipo di esami, almeno 39 mila euro. La prescrizione di esami inutili è un costo che grava alla fine sul sistema sanitario regionale, alle prese con un deficit strutturale da oltre un miliardo di euro. Proiettando la percentuale di scintigrafie inutili fatte a Villa Sofia anche negli altri ospedali di Palermo (esclusi Policlinico e Civico, che ne fanno pochissime), il risparmio crescerebbe di molto: solo al Cervello se ne fanno 600 all'anno, e se il trenta per cento sono «non appropriate», significa che almeno 180 sono inutili per uno spreco di 64.800 euro all'anno. In generale la Regione spende in rimborsi per esami diagnostici oltre 105 milioni di euro all'anno,e un taglio del 30 per cento porterebbe a un risparmio di 30 milioni all'anno. «L'idea del monitoraggio è nata nel 2007, dopo i primi pazienti che ho ricevuto nella Cardiologia di Villa Sofia che non avevano alcun sintomo che giustificasse una scintigrafia - continua Ventimiglia - A esempio un cardiologo aveva prescritto questo esame a una ragazza di 32 anni che aveva solo un dolore toracico: dovevo fargli una scintigrafia, senza aver prima provato a farle un semplice test da sforzo». I casi di esami prescritti alla cieca non finisce qui: «A un uomo di 40 anni i medici avevano prescritto una tac e una coronografia, senza alcuna indicazione che le giustificasse, e quando la stessa persona si è presentata per un esame di scintigrafia mi sono rifiutato di firmare e ho chiamato il cardiologo di riferimento, perché così si mette a rischio la salute dei pazienti», dice Ventimiglia. «C'è stato perfino il caso di un professionista che prima di partire per New York si era fatto prescrivere tutti gli esami di cardiologia solo "per sicurezza", perché voleva stare tranquillo, anche se non aveva alcun sintomo che li giustificasse», aggiunge il medico di Villa Sofia. Ma c'è di più: «Anche le Tac sono spesso fatte inutilmente, visto che secondo i nostri dati quasi il 90 per cento di quelle fatte al Policlinico alla fine dà un risultato negativo, nel senso che non rivela alcun problema nei pazienti», aggiunge Renato Costa, segretario regionale della Cgil Medici. Questi esami sono inoltre molto invasivi e ad alto tasso radiattivo: una scintigrafia equivale e 500 radiografie, una coronografia a mille radiografie. In Sicilia mancano però studi scientifici sugli esami inutili, a parte quello fatto da Ventimiglia, perché nessun ospedale o Ausl accetterebbe un taglio dei fatturati dovuto a una diminuzione delle prestazioni. «Purtroppo assecondiamo una logica di banale mercato, che si basa solo sulla domanda e non controlla l'offerta - conclude Costa- Ma in sanità occorre assecondare i bisogni e i medici che prescrivono le analisi e la diagnostica devono sapere cosa prescrivono e i costi per il sistema sanitario. La Pet, che è un esame che costa 2 mila euro, oggi non è sottoposto ad alcun controllo del sistema pubblico, basta una semplice prescrizione di un medico di base per poter chiedere l'esame in una struttura pubblica o privata convenzionata: tanto alla fine paga la Regione». Le gite organizzate I pasti a domicilio Il servizio di tele assistenza PER SAPERNE DI PIÙ www.comune.palermo.it www.regione.sicilia.it I ritardi Dalla tele assistenza ai pasti a domicilio fino alle gite per gli over 65 il Comune di Palermo non offre nessuno di questi servizi agli anziani ____________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 10 mag. ’09 VIRUS AL POSTO DELL'ANTIBIOTICO Infezioni: Per sconfiggere i batteri resistenti tornano in auge i fagi. Che se li mangiano Buoni i risultati sulle otiti, già in uso lo spray per gli alimenti Impiegati da un'ottantina d'anni nell'Est europeo per combattere le infezioni, i fagi - virus che attaccano e uccidono i batteri - sono tornati .in auge in Occidente da quando la diffusione di ceppi batterici insensibili agli antibiotici minaccia di rendere inefficaci le terapie. Collaborando con i medici dell'ex blocco sovietico, diversi laboratori in Europa e negli Stati Uniti hanno ripreso una ricerca che, da noi, si era interrotta negli anni Quaranta. E questi studi iniziano a produrre risultati concreti. La Food and Drug Admtnistration, l'ente regolatorio americano, ha approvato nel 2006 uno spray a base di fagi, da usare nell'industria alimentare per proteggere i cibi precotti e le carni dalle contaminazioni della Listeria, un batterio responsabile di infezioni che, in soggetti debilitati, arrivano ad una mortalità anche del 20 per cento. E la Intralytix, società che produce lo spray, ha in cantiere prodotti analoghi contro la Salmonella e l’Escherichia coli. Uno spray analogo viene prodotto dall'olandese Ebi Food Safety ed è commercializzato in Europa con le medesime indicazioni Sul versante delle terapie, nelle scorse settimane due studi hanno confermato l'efficacia dei fagi contro lo Pseudomonas aeruginosa, batterio che causa infezioni dell' orecchio e delle vie respiratorie. II primo, condotto da ricercatori dell'Università di Seul (Corea), mostra che i fagi, iniettati in topi infettati con il batterio, riducono la mortalità. Il secondo, che sarà pubblicato su Clinical Otorino laryngology, finanziato dall'azienda inglese Biocontrol, ha coinvolto 24 volontari che avevano un'otite resistente agli antibiotici. Nei 12 medicati con una soluzione a base di fagi, infiammazione, dolore e pus si sono ridotti sensibilmente rispetto al gruppo trattato con una soluzione neutra. E dopo sei settimane, sei pazienti sembravano guariti. «Le otiti da Pseudomonas sono molto insidiose - sottolinea però Antonio Cesarani, direttore dell'unità di audiologia del Policlinico di Milano - ; possono migliorare per qualche tempo e poi ripresentarsi a distanza di mesi. Sei settimane sono poche per affermare che queste persone sono guarite». Negli anni scorsi, indagini condotte su animali e su malati hanno mostrato che cocktail di fagi riescono a contrastare anche due batteri che destano particolare preoccupazione, proprio per la presenza di ceppi resistenti agli antibiotici: il Mycobacterium tuberculosis l’agente infettivo della tubercolosi - e lo Staphylococcus aureus, che causa infezione cutanee, alle vie respiratorie e all'apparato urinario. Mentre uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato che è anche possibile isolare le proteine che i fagi usano per distruggere i batteri e utilizzare solo queste per i trattamenti (il metodo è stato efficace contro l'antrace, una potenziale arma biologica). E visto che esistono fagi capaci di integrarsi nel Dna batterico, si sta anche esplorando la possibilità di usarli come vettori per portare geni specifici e letali all'interno dei germi. La terapia venuta dall'Est non convince tutti; i detrattori sostengono che i batteri potrebbero sviluppare resistenze ai fagi, proprio come fanno con gli antibiotici. «Questo può verificarsi, ma i batteri resistenti ai fagi sono anche molto meno virulenti e vengono facilmente controllati dal sistema immune» spiega Rosanna Capparelli, immunologa che, all'Università Federico II di Napoli, coordina uno dei pochi laboratori che in Italia studia questo argomento. E c'è anche chi sostiene che occorrano maggiori garanzie sulla sicurezza e l'efficacia, dato che il sistema immunitario potrebbe attaccare i fagi rendendoli inattivi. «Rispetto al primo punto - riprende l'esperta - gli studi fatti finora non hanno rilevato effetti collaterali, anche perché i fagi attaccano in modo specifico i batteri, e non intaccano i tessuti. Sul secondo punto, invece, esperimenti in corso di pubblicazione dimostrano che i fagi, pur essendo riconosciuti dal nostro sistema immunitario, continuano a uccidere i batteri». L'ostacolo principale è di tipo burocratico: le autorità regolatorie sono restie ad approvare l'uso dei fagi come farmaci, in quanto si tratta di esseri viventi, soggetti a mutazioni, e non del tutto controllabili. Inoltre, poiché sono presenti in natura, non possono essere brevettati. Ed è forse per questo che le grandi aziende farmaceutiche li hanno finora snobbati. Margherita Fronte Le autorità regolatorie approvano con difficoltà i fagi come farmaci perché in quanto esseri viventi sono imprevedibili Già realtà. È in commercio uno spray a base di fagi per proteggere carni e cibi precotti dal batterio lisieria In sperimentazione. In Gran Bretagna dodici persone con otite resistente agli antibiotici sono migliorate con una medicazione a base di fagi ____________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 10 mag. ’09 LA LARVA CHE «PULISCE» L'ULCERA Come un farmaco Larve pronte per l'uso Larve di mosca dal colore giallastro, lunghe pochi millimetri. In Italia non sono usate, ma per alcuni medici del Regno Unito sono un toccasana contro le ulcere della pelle che guariscono con difficoltà, come quelle provocate dal diabete. Le larve agiscono mangiando - letteralmente - il tessuto necrotico della ferita e questa «pulizia» sembra accelerare la guarigione. Uno studio inglese pubblicato sulla rivista British Medical Journal le ha messe alla prova su 267 pazienti che avevano ulcere sulle gambe di qualche centimetro, coperte almeno per un quarto da tessuto necrotico. E ha confrontato la loro azione con quella della terapia standard, basata sull'applicazione di un gel. I risultati mostrano che, sebbene la rimozione del tessuto necrotico sia più efficiente nei pazienti trattati con le larve, questo vantaggio non si traduce in tempi di guarigione più veloci, né serve a combattere meglio gli stafilococchi resistenti agli antibiotici qualora questi siano presenti. Inoltre, le larve sembrano dare un certo fastidio. L'analisi dei costi delle due strategie, infine, pubblicata nello stesso numero della rivista, mostra che gel e larve si equivalgono. M. F. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 3 mag. ’09 LA FISICA IN CAMPO CONTRO I BATTERI: EFFICACIA E RISPARMIO A partire dalla metà del secolo scorso gli antibiotici hanno rivoluzionato il trattamento delle malattie infettive, contribuendo in maniera determinante all'incremento dell'aspettativa di vita. I trattamenti antimicrobici sono impiegati anche nei vegetali e negli alimenti, per esempio sotto forma di biocidi contro i microbi patogeni, alcuni dei quali responsabili di tossinfezioni alimentari, come la Salmonella e la Listeria. Purtroppo, da circa vent'anni, i batteri hanno iniziato a sviluppare raffinate strategie per eludere i farmaci, facendo elevare la resistenza agli antibiotici al rango di priorità sanitaria di assoluto rilievo. Oggi la ricerca ha attivato numerose linee di studio per individuare nuove strategie di sviluppo di farmaci più efficaci. Sotto questi auspici si chiude oggi a Cagliari (aula magna della facoltà di Architettura dell'Università, in via Corte d'Appello 87) il congresso internazionale “From Structure to Function: Influx and Efflux Systems”. Il congresso è organizzato dall'Università di Cagliari, dal Cecam, dal Sardinian Laboratory for Computational Materials Science, dall'European Science Foundation e dall'Unione Europea nell'ambito del progetto “Translocation” (finanziato con tre milioni di euro dal Sesto programma Quadro con i fondi Marie Curie dedicati alla mobilità dei ricercatori). Il fisico cagliaritano Matteo Ceccarelli, coordinatore del progetto “Translocation”, spiega perché oggi anche i fisici si occupano di questi temi: «I meccanismi di resistenza non sono altro che interazioni molecolari fra gli antibiotici e le proteine, per questo noi siamo coinvolti in prima persona. In particolare ci occupiamo dei meccanismi di trasporto attraverso simulazioni al computer e in questo modo possiamo affrontare il problema dal microscopico al macroscopico, il cosiddetto bottom-up approach. Siamo al livello di ricerca di base. Una ricerca che sta cambiando la maniera di sviluppare gli antibiotici.». Chi partecipa al simposio? «Trattandosi di una ricerca multisciplinare abbiamo invitato 20 relatori di varie discipline: fisica, chimica, biologia, medicina. Tra questi, due biochimici che da 40 anni studiano le proprietà di trasporto attraverso i batteri: Hiroshi Nikaido dell'Università di Berkeley e Roland Benz della Jacobs University. I partecipanti sono attualmente una sessantina, anch'essi di varia provenienza disciplinare e geografica: Germania, Francia, Portogallo, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti e Italia». Qual è il vostro ruolo? «Il dipartimento di Fisica è coinvolto nella ricerca attraverso una rete europea che coinvolge sette istituzioni scientifiche, due case farmaceutiche e cinque dipartimenti universitari, con lo scopo di far crescere studenti multidisciplinari». Che tipo di sviluppi sono attesi per il futuro? «Disegnare gli antibiotici al computer, allo scopo di selezionare meglio gli esperimenti da compiere per la fase pre-clinica risparmando tempo e soldi. Arriveremo a progettare nuovi antibiotici che oltre ad avere una buona capacità di legarsi hanno anche una mira migliore: riusciranno a penetrare facilmente la barriera esterna che protegge i batteri. C'è ancora molto da imparare dai batteri per come evolvono e quali tecniche adottano per difendersi dai nostri antibiotici». ANDREA MAMELI ____________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 10 mag. ’09 ANCHE IL CUORE HA BISOGNO DI FARSI I MUSCOLI Nuove e inattese indicazioni sugli sport più adatti Rivalutata la pesistica, «frenata» la corsa Che lo sport faccia "bene" al cuore non è certo una novità, tant'è che in numerose patologie cardiache l'attività fisica viene di routine affiancata alla terapia farmacologica. E l'ipertensione arteriosa, una tra le malattie cardiache più diffuse - a soffrirne in Italia sono 15 milioni di persone - non fa di certo eccezione. Anzi. Tra i possibili fattori alla base di questa patologia i più condizionanti sono infatti oltre alla familiarità, il sovrappeso e la sedentarietà. Nelle ultime linee guida per il trattamento dell'ipertensione presentate dall'americano National High Blood Pressure Education Program (Programma nazionale di educazione sulla pressione alta), il livello di pressione cardiaca "normale" è stato ridotto da 140/90 a l20/90. Da alcuni autorevoli studi è infatti emerso che le arterie iniziano a subire i primi lievi danni già da pressioni superiori a 115/75 mmHg, valori controllabili con un adeguato programma di attività motoria E il ricercatore greco, Dimitry Kokkinos, con i suoi studi (Exercise as hypertension therapy, pubblicati su Cardiolgy Clinics) ha precisato che un'attività di intensità moderata è in grado di ridurre di circa lo mmHg i valori di pressione arteriosa, tanto sistolica quanto diastolica. Fin qui niente di nuovo, ma quale è l'esercizio, o gli esercizi, più indicati per chi soffre di pressione alta? Certamente l'attività di tipo aerobico, per intenderci corsa, nuoto, bicicletta, ma oggi, ed è qui la novità, la ricerca, a differenza di quanto avveniva in passato, non vieta più le attività, cosiddette statiche, che tonificano le grandi masse muscolari del nostro corpo. Ma sia che si tratti di attività aerobica che statica, ci sono precisi paletti, come spiega Bruno Carù, docente di Cardiologia dello Sport, alla Scuola di Specialità di Medicina dello Sport dell'Università di Milano, nonché consulente cardiologo del Milan e Inter, e responsabile dello staff medico de1l’Olimpia Basket Milano. «L'attività fisica è modulata essenzialmente su due fattori: dose e frequenza. Un tempo l'ipertensione veniva contrastata regolando i carichi di lavoro (la "dose"), oggi si privilegia la continuità dell'esercizio, ovvero la frequenza. In pratica, si è scoperto che sia gli ipertesi con valori superiori ai 100 di diastolica e 170 di sistolica, sia gli ipertesi con valori pressori inferiori, ottengono maggiori benefici camminando tutti i giorni, 15 minuti i primi e 30 i secondi, alla velocità molto contenuta di 4 km all'ora, che non aumentando tempi e andatura, a discapito del numero di sedute settimanali. Privilegiando questo tipo di approccio si possono regolarizzare pressioni che rientrano tra i 90/95 di minima e i 145/150 mmHg di massima. Qualche limite è stato messo anche alla corsa, l'attività aerobica per eccellenza, che per avere effetti benefici sull'ipertensione deve basarsi su lunghe distanze, percorse in piano, evitando allenamenti che obblighino a cambi di ritmo secchi, come avviene nelle corse campestri. Fondamentale ancora una volta allenarsi con la maggior frequenza possibile. «La inattesa rivalutazione delle attività di pesistica è stata - chiarisce Carù - confermata di recente dagli studi effettuati da Hirofumi Tanaka, dell'Università dei Texas, sui trapiantati di cuore ai quali era stata proibita. «Ebbene, Tanaka ha rilevato che i muscoli si adattavano in tempi brevissimi alla cardiopatia (precedente e seguente al trapianto) sviluppando, per compensare la forzata inattività, un numero di fibre rosse, quelle collegate all'attività aerobica, decisamente superiore al numero di fibre bianche, quelle collegate alle attività rapide di potenza, creando così una pericolosa situazione di squilibrio. Per rientrare in una condizione di stabilità era di conseguenza indispensabile agire su quest'ultime. Come? Mantenendo i carichi utilizzati nella pesistica tra il 40 e il 50% del massimo sforzo sostenibile e aumentando il numero delle ripetizioni che non devono essere inferiori alle 12. I tempi di recupero tra una serie e l'altra devono poi essere abbastanza prolungati - un minuto e mezzo o due minuti e mezzo - in modo tale da determinare modestissimi aumenti delle resistenze periferiche e cioè le resistenze che il flusso sanguigno incontra nel suo percorso che sono la causa di un incremento dei valori livelli pressori. Gli esercizi vanno eseguiti almeno 2-3 volte a settimana. <1ltitte conclusioni -precisa Carù - contenute nel documento di Consenso della Task Force Multisocietaria, stilato lo scorso anno, cui ho collaborato insieme a Finsi (Federazione medico sportiva italiana), Sic (Società italiana di cardiologia) e Anmco (Associazione nazionale medici cardiologi)». Mabel Bocchi In qualsiasi sport la regola è di non eccedere negli sforzi, ma di privilegiare la continuità _____________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 9 mag. ’09 PROLE SI, SESSO NO: LA SCELTA ANIMALE Una ricerca Usa-Giappone effettuata su colonie di termiti mette in luce tecniche riproduttive molto singolari Le formiche si clonano, i varani e gli squali fanno figli senza partner Un mondo senza sesso è possibile. Per sapere come si fa, basta prendere esempio da alcuni animali, in particolare gli insetti. Ed Vargo della North Carolina Stare University e altri entomologi di tre università giapponesi hanno studiato la vita di trenta colonie di termiti Reticulitermes speratus nel Paese del Sol Levante, recuperando per ognuna di esse i membri della famiglia reale. «Le colonie di questi insetti - dice Vargo - sono generalmente fondate da una re e da una regina "primari". Abbiamo però verificato che in diversi gruppi erano presenti il re "primario" e diverse regine "secondarie", ma mancava invece quella primaria». Le analisi genetiche realizzate dal team di entomologi hanno dimostrato che maschi e femmine di termiti operaie e soldato hanno nel loro Dna i geni del re e della regina. Le regine secondarie possiedono invece un patrimonio genetico identico alla loro ma dre, la regina primaria, ma nessun gene in comune con il re. Segno questo che in un determinato momento della sua vita la regina si clona, per produrre la propria discendenza. «L'uso condizionale del sesso - sottolinea ancora Vargo -, è un fenomeno insolito negli insetti ed era sinora sconosciuto nelle termiti. Il ricorso a due alternative riproduttive, quella sessuale o quella per partenogenesi, è un modo per la regina di massimizzare i risultati della riproduzione. In questo modo la colonia può crescere più velocemente e raggiungere cospicue dimensioni, mantenendo parallelamente però la diversità genetica, ed evitando così i rischi della consanguineità». Mycocepurus smithii, una formica dell'Amazzonia che si diletta a coltivare funghì, invece ha eliminato completamente il sesso dalla sua vita. In pratica la colonia di queste formiche è formata unicamente da cloni della regina, complice anche la degenerazione di una parte dell'apparato riproduttivo femminile che rende impossibile l'accoppiamento. «In questo modo - spiega su Proceedings of the Royal Society B. Anna Himler - biologa dell'Università dell'Arizona che ha scoperto i misteri riproduttivi di questo animale, non vengono sprecate energie per produrre i maschi e si raddoppia il numero di femmine fertili». La colonia è però soggetta maggiormente ai rischi di patologie, a causa della omogeneità genetica. Per alcuni biologi questa singolare modalità riproduttiva può consentire alla regina, negli insetti sociali come le formiche, di controllare le caste e i sessi degli esemplari che fanno parte della colonia. Anche i vertebrati dimostrano, in alcuni casi, che il sesso è un optional. Due femmine di varano di Komodo, mantenute in cattività allo zoo di Chester e allo zoo di Londra, si sono riprodotte nel 2006 per partenogenesi, tornando poi a una normale vita sessuale. Uno squalo martello ha figliato senza accoppiamento nell'acquario «Henry Doorly» nel Nebraska (Stati Uniti) nel 2007. In questo caso, per alcuni scienziati, la partenogenesi sarebbe una soluzione di ripiego, in assenza dei partner con cui riprodursi. Viene così assicurata la sopravvivenza della specie, ma la controparte è la perdita della diversità genetica. C'è chi comunque, pur clonandosi, non vuole perdere le gioie del sesso. Le femmine di Poecilia formosa, un piccolo pesce tropicale, corteggiano i maschi di altre specie per accoppiarsi, ma gli spermatozoi così ottenuti sono utili solo per stimolare la deposizione delle proprie uova. Le popolazioni delle lucertole Cnemidophorus sono costituite interamente da femmine, che amoreggiano tra di loro. Anche in questo caso si tratta di un modo per favorire l’ovodeposizione. Roberto Furlani __________________________________________________________________ MILANO FINANZA 9 mag. ’09 CERVELLO ALLO SCOPERTO Marcatori precoci, mutazioni genetiche e nuove molecole per contrastare L’Alzheimer di Cristina Cimato Una proteina potenzialmente in grado di bloccare la formazione di placche amiloidi e una molecola capace di migliorare la memoria nelle persone già malate, marcatori-rivelatori della patologia e predittivi della sua evoluzione e protocolli di diagnostica sempre più accurati. Per capire, contrastare e curare la malattia di Alzheimer,la causa più comune di demenza che colpisce 6 milioni di persone nell'Unione europea è destinata ad aumentare nel tempo, sono molte le strategie e le armi messe in campo dalla ricerca. Nonostante i progressi siano numerosi, la multi fattorialità della malattia impedisce a tutt'oggi di capirne appieno i meccanismi e individuare una cura efficace. Uno dei problemi principali riguarda la lunga fase pre- asintomatica della patologia, che può durare diversi anni prima che questa si manifesti. Un'altra complicazione risiede nel fatto che nel 98% dei casi, ossia nell'Alzheimer cosiddetto sporadico, non si conosce con esattezza per quale motivo la malattia compaia, mentre solo nel 2% circa si tratta di una patologia familiare. In entrambi i casi si accumula nel cervello una forma alterata di frammento proteico (beta amiloide), che tende a formare aggregati o placche causando la morte delle cellule. Nelle forme familiari sono stati individuati tre geni, tra cui l’APP (il precursore della beta-amiloide) le cui mutazioni, anche se si presentano in una solo delle due varianti di sequenza del gene, sono responsabili dell'attivazione della malattia. «Se il soggetto ereditala mutazione inesorabilmente sviluppa la malattia», ha spiegato Fabrizio Tagliavini, direttore del Dipartimento di malattie neurodegenerative della Fondazione Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, autore di un recente studio sulla malattia pubblicato sulla rivista Science (svolto in collaborazione con l'Istituto Mario Negri) e relatore al Meeting on the Molecular mechanism of neuro degeneration (8-10 maggio a Milano), «nel nostro lavoro abbiamo individuato una nuova mutazione di APP che per sviluppare la malattia ha bisogno che entrambi gli alleli del gene siano mutati. Se invece la mutazione è solo su imo dei due alleli, i soggetti non sia ammalano, anzi: sembra siano protetti dall'Alzheimer. Infatti in laboratorio abbiamo osservato che quando la proteina mutata è presente insieme a quella normale, si blocca la formazione di amiloide. In prospettiva si potrebbe quindi sviluppare un farmaco partendo da un frammento proteico con questa mutazione». Accanto a questo approccio terapeutico, una delle sfide più ambiziose della ricerca è volta a scoprire il rischio individuale di sviluppare la malattia e predirne l'evoluzione. Attualmente è appena terminata la prima fase di un progetto europeo sui marker precoci di malattia utilizzando metodologie quali la proteomica e la lipidomica associate alla risonanza magnetica. «L'obiettivo è quello di sportare il protocollo statunitense Adni (Alzheimer disease neuro imaging initiative) e crearne uno europeo», ha commentato Patrizia Mecocci, professore ordinario di gerontologia e geriatria dell'Università degli studi di Perugia, «in questo studio, che ha preso in esame in modo longitudinale complessivamente circa 700 anziani tra sani e affetti da modesto deficit della memoria o lieve forma di Alzheimer, abbiamo cercato di individuare marker-rivelatori a livello del plasma. Il passo successivo sarà quello di capire se siano predittivi dell'evoluzione della malattia». I primi risultati hanno mostrato come alcune proteine alterate siano presenti solo nei soggetti con deficit o primi segni di malattia. «Le proteine modificate potrebbero anche aver subito cambiamenti a causa dello stress ossidativo. Va detto che la malattia si manifesta per una serie di fattori e quindi altre cause potrebbero scatenarla, e fintanto che non sarà messa a punto una terapia valida la predittività non è risolutiva». L'équipe di Perugia sta anche analizzando nello stesso gruppo di persone (circa 160) l'associazione tra la carenza di isoforme di vitamina E, deputate alla neuroprotezione, e la presenza della malattia o di deficit mnemonici. Diagnosi, è davvero precoce? L’Alzheimer provoca modificazioni nella struttura, nel metabolismo e nella biochimica cerebrale. Una diagnosi precoce o quantomeno tempestiva derivante dall'osservazione di questi tre aspetti può quindi rivelarsi utile per ritardarne la progressione. Attualmente presso il Laboratorio di epidemiologia e neuroimaging (Lenì) dell'Irccs San Giovanni di Dio - Fatebenefratelli di Brescia viene effettuato un protocollo diagnostico, di cui si sta téstando la validità, basato sulla volumetria dell'ippocampo, sulle zone del cervello che non metabolizzano glucosio e sulla rilevazione, a livello del liquor, della quantità di proteina beta amiloide e iau. «I dati dimostrano che se i tre marker risultano positivi sicuramente la persona è malata», ha spiegato Giovanni Frisoni, neurologo e responsabile del Leni, «ma anche solo le indagini sul liquor e sul metabolismo del glucosio danno già un'indicazione valida di malattia. Con questo protocollo riusciamo ad anticipare la diagnosi di circa tre anni». Va detto che se i test si stanno rivelando piuttosto accurati, le persone sulle quali sono stati effettuati finora sono pazienti che già presentano almeno un lieve deficit cognitivo e quindi non si tratta di una diagnosi in fase asintomatica, dunque realmente precoce rispetto al manifestarsi della malattia. La sfida dei farmaci. Per cercare di contrastare gli effetti negativi dell'Alzheimer sono incorso sperimentazioni su molecole in grado di migliorare la memoria néi malati. Una è in fase pre- clinica presso il centro ricerche Siena Biotech, che l’8 maggio inaugura la nuova sede. «Sono circa cento i volontari sui quali è stata testata e i risultati sono confortanti»,ha commentato Giovanni Gaviraghi, direttore generale Siena Biotech Spa, «un altro obiettivo è quello di individuare nuovi bersagli per bloccare la produzione di amiloide. Il fine è quello dì capire quali geni e proteine si attivano quando i neuroni vengono a contatto con l’amiloide; se la proteina è in grado di attivarli, bloccandoli si può sperare di fermare il processo». A livello europeo è terminata con successo la fase II su un farmaco che agisce a livello mitocondriale e di cui è prevista in autunno la fase III, mentre un altro trial è in atto su una molecola che agisce come antagonista del recettore della serotonina. Per quanto riguarda la vaccino- terapia, infine, sono in corso diversi studi a livello internazionale. L'immuno-terapia passiva, per esempio, prevede la somministrazione di anticorpi contro la beta amiloide: Attualmente è in corso un trial clinico volto a indagare la validità di questo approccio, «va precisato che probabilmente questo tipo di trattamento non potrà essere utilizzato su un numero ampio di pazienti, perché pare essere efficace solo se il soggetto non presenta altre patologie correlate, che in età avanzata sono invece frequenti», ha spiegato Tagliavini. L'Alzheimer si presenta purtroppo come un diamante con numerose sfaccettature, molte ancora da scoprire. ___________________________________________________________ il Giornale 9 mag. ’09 II CANCRO È LA PRIMA CAUSA DI MORTE Le vittime di tumore hanno superato quelle di cuore: 7 milioni nel mondo, 17 nel 2030 Una indagine del Censis rivela profonde differenze di cure e di assistenza nelle regioni LuigCacchi Il sorpasso sta avvenendo. Non sono più le malattie cardiovascolari la prima causa di morte nei Paesi occidentali, ma quelle neoplastiche. Il cancro avanza, nonostante le molte vittorie della medicina. Nel 2008 si registrano 431 nuovi casi ogni 100mila italiani, pari a 258mila pazienti. Ne parliamo con Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle Associazioni di volontariato in oncologia (Favo). «Il cancro - ci dice - si avvia a diventare il big killer dell'umanità. L'allarme è stato lanciato dall'Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, secondo cui i morti per tumore, fermi oggi a sette milioni l'anno in tutto il mondo, cresceranno dell'1% ogni anno, superando il numero di vittime delle malattie di cuore e arrivando Del 2030 a 17 milioni di decessi all'anno. Un'epidemia epocale, di fronte alla quale la peste nera del'300 è poca cosa. Quest'anno nel mondo si prevede che il tumore colpirà 12 milioni di persone e farà 7 milioni di vittime. Le associazioni per la lotta al tumore hanno chiesto con forza ai governi, e in particolare a quello degli Stati Uniti, di investire di più perla vaccinazione contro il tumore al collo dell'utero e soprattutto di ratificare urgentemente un trattato per il controllo del tabacco». II cancro è una delle più grandi e più taciute crisi sanitarie nei Paesi in via di sviluppo -ha denunciato Douglas Blayney, presidente eletto della Società americana di oncologia clinica - e pochi sono a conoscenza del fatto che già uccide più persone nei Paesi poveri di HIV, malaria e tubercolosi messe insieme. In Italia vivono 2milioni di pazienti che sono o sono stati colpiti dal cancro. Molto si è fatto e si fa per la prevenzione e la ricerca, ma non per chi anche per anni convive con la malattia. I malati oncologici cronici rappresentano oggi la nuova disabilità di massa con una serie di bisogni espressi ed inespressi e con l'esigenza di veder riconosciute tutele giuridiche mirate alla peculiarità e complessità delle patologie neoplastiche, anche al fine di evitare la dolorosa emarginazione troppo spesso generata dall' ignoranza. Nei giorni scorsi, come da anni avviene negli Stati Uniti ed in Canada ai primi di giugno, si è tenuta in tutta Italia ed a Taranto in particolare la Giornata dedicata al malato oncologico, agli ex malati, ai sopravvissuti al cancro e a tutti coloro che hanno vissuto da vicino la malattia condividendone ansie, preoccupazioni, speranze. ~Le associazioni del volontariato (la Favo ne raccoglie oltre S00), costituiscono i) terzo pilastro della task force anticancro, insieme alla ricerca ed alla prevenzione», ricorda De Lorenzo. Quest'anno la Giornata è stata anticipata dal Consiglio dei ministri a causa delle elezioni europee, regionali e comunali. De Lorenzo, come medico, docente universitario, oltre che come presidente Favo, da anni si dedica all'aiuto del malato oncologico. Nel 1992, come ministro della salute ha varato la riforma del Servizio sanitario nazionale e già allora riteneva importanti le associazioni dei malati al punto da riconoscerne un ruolo istituzionale. Con l’Aimac (una onlus di volontariato da lui fondata, www.aimac.it) si prodiga, come da anni avviene in Gran Bretagna, sul fronte dell'informazione al malato oncologico. Ha promosso un. sistema multimediale comprendente una collana di 26 libretti e videocassette mirate. Il malato di cancro deve essere informato e soprattutto accompagnato lungo una strada che la solitudine e la mancata conoscenza possono rendere ancora più difficile. Corretta diagnosi e terapie efficaci sono due aspetti prioritari per ogni paziente e rappresentano ancora un obbiettivo difficile da realizzarsi per molti malati. In Italia vi è infatti una rete di Centri d'avanguardia che presenta però gravi lacune in numerosi regioni. I Centri sono distribuiti a macchia di leopardo. Come è confermato da una ricerca effettuata dal Censis e voluta proprio dalla Favo. Due milioni di italiani hanno dovuto fare i conti nel corso della loro vita con una diagnosi di tumore. Liguria e Friuli Venezia Giulia sono le regioni con il più alto numero di malati. Ma se nel Belpaese migliora la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi (47%, in linea con la media europea), l'indagine dei Censis ci conferma con rigore scientifico che gli italiani non sono uguali di fronte al cancro. «Dall'indagine -precisa Francesco De Lorenzo - emergono nelle regioni italiane difformità nelle opportunità di cura: dalla disponibilità dei nuovi farmaci oncologici, alle prestazioni specialistiche di oncologia, a quelle di radioterapia, sino al sostegno psicologico e alt' assistenza domiciliare integrata. Finora solo i malati e le loro famiglie ne erano consapevoli: oggi abbiamo dimostrato un'inaccettabile disparità di trattamento sia all'interno del Ssn, che per il riconoscimento dei benefici previsti dall'invalidità civile», dice De Lorenzo. Nel 1998-2008 circa il 57% delle inabilità pensionabili accolte dall'Inps è ascrivibile a patologie tumorali, le invalidità pensionabili sono state più di 89mila. ______________________________________________________________________ il Giornale 9 mag. ’09 ODONTOIATRIA: L'IMPLANTOLOGIA AVANZA CON IL RISPARMIO BIOLOGICO Felicita Donalisio Sempre più spesso, in campo dentistico, si sente parlare di impianti a carico immediato, una nozione ormai ampiamente accettata dalla comunità scientifica: Di che cosa si tratta esattamente? «La metodica del cosiddetto carico immediato si basa su un impianto appositamente progettato per reggere denti fissi (sia pure provvisori), immediatamente dopo l’inserimento, spiega il dottor Silvano Tramonte, direttore sanitario dei Centri Implantologici Tramonte a Stezzano (Bg) e Milano (www.tramonte.com). «In altre parole, chi deve sottoporsi ad una o più estrazioni dentarie, oppure ha bisogno di una protesi definitiva, può, nel corso di un'unica seduta dal suo dentista, uscire già con i denti provvisori fissi». Ma che differenza c'è tra un impianto tradizionale e uno emergente (cioè quello che, appunto, permette l'immediatezza del carico)? «Gli impianti tradizionali, chiamati anche «sepolti» o «osteo integratig rimangono inseriti all'interno dell'osso, mandibolare o mascellare, per un periodo dai 4 ai 6 mesi. Trascorso questo periodo, con provvisori mobili, l’implantologo deve tagliare la gengiva per completare l'impianto con la parte protesica che porterà i denti definitivi. Nei casi di impianti a carico immediato, invece, non è necessario alcun taglio gengivale. Attraverso un minuscolo foro (due mm) viene inserita una sorte di vite in titanio che va ad occupare quello che era, in pratica, il posta della radice del dente. Il dente artificiale provvisorio viene quindi applicato sul moncone emergente dalla gengiva, lo stesso su cui, nel giro di 30-40 giorni, si applicherà il dente definitivo». Notevolissimo il risparmio biologico: la distruzione di tessuto osseo si riduce di circa l’80%. «Riuscire a curare senza aggredire e violentare il corpo, del resto, è uno dei sogni più antichi dell'uomo, ed è proprio questo l'obiettivo della bio-implantologia. Un approccio rispettoso e mini-invasivo che caratterizza da sempre l’implantologia della Scuola italiana e che ormai influenza sempre più anche la più diffusa implantologia svedese», sottolinea il dottorTramonte. Un altro strumento formidabile che la continua evoluzione di questa branca dell'odontoiatria ha messo a nostra disposizione è la saldatrice endorale. «Grazie ad essa è possibile effettuare all'interno del cavo orale vere e proprie strutture implantari», spiega Tramonte. «Il fatto che gli impianti emergenti abbiano una parte che esce dall'osso, infatti, consente di collegarli tra loro, costituendo un blocco unico, invisibile dall'esterno e acquisendo elevata stabilità. «L'impianto assorbe e disperde perfettamente i carichi immediati, anche durante 1e fasi di guarigione e in presenza di carenza d'osso». _____________________________________________________________ L'Arena 5 mag. ’09 AFFIDARSI Al DOTTOR WEB? C' È PERICOLO DI FALSE TERAPIE MALATTIE IN RETE. Autodiagnosticarsi una patologia al computer può essere deleterio E dietro alle medicine «miracolose» ci sono le truffe Marina Fracassa Autodiagnosticarsi una patologia senza consultare uno specialista, usare il web come fonte principale di notizie mediche, acquistare farmaci online: è quanto fanno 4 milioni di italiani i quali per risolvere i propri problemi di salute si affidano sempre più spesso al Dottor Web. Il Consiglio nazionale delle ricerche ha analizzato il fenomeno rilevando che, nel giro dì tre anni, il numero di persone che si sono rivolte a internet per avere informazioni su sintomi, malattie e cure è salito dal 2,8 per cento al 13,1 per cento. E i risultati sono curiosi. Sembra infatti che un paziente su dieci arrivi addirittura a contestare allo specialista la correttezza della diagnosi sulla base di quanto ha reperito sul web in una delle sei milioni e 300 mila pagine che escono digitando su Google le parole «salute». Numerosi sono poi i malati immaginari che chiedono al proprio medico di effettuare esami su esami dopo aver trovato sulla Rete la spiegazione che cercavano ai propri sintomi. E non manca chi acquista medicine, spacciate per miracolose, su siti internet vedendosi poi consegnare a casa prodotti veterinari, medicinali contraffatti o di bassa qualità, prodotti in Cina o in altri paesi con scarsi controlli sanitari. Ciò basta a comprendere che andare incontro a truffe o imbattersi in notizie, consigli e terapie sbagliate rappresenta una minaccia reale. Come fare allora per capire se l'informazione reperita è corretta e se il sito consultato è affidabile? In primo luogo, pochi navigatori sanno che esistono bollini e certificazioni che indicano l'autorevolezza dei siti che affrontano argomenti così delicati come quello della salute. Tra i più noti c'è 1"'Honcode", logo rilasciato solo se vengono soddisfatti alcuni requisiti fondamentali: la citazione delle fonti scientifiche e della data degli studi pubblicati; la diffusione di notizie solo da parte di medici esperti, la separazione tra le informazioni scientifiche e quelle pubblicitarie. Occorre poi diffidare dei siti che utilizzano domini geografici e generici come «.infa» e «.com»: sola a quelli con domini di enti governativi («.gov») è riconosciuta autorevolezza: sottostando a regole di registrazione più stringenti, sono più difficili da aggirare. INDIRIZZI GIUSTI DAL MINISTERO DELLA SALUTE In internet il rischio di imbattersi in cialtroni e truffatori è elevato. Per avere informazioni accurate e veritiere su malattie e cure è sempre bene frequentare i siti delle principali associazioni scientifiche note e riconosciute a livello nazionale e mondiale e consultare i sitì web delle associazioni di pazienti i cui riferimenti sono messi a disposizione dai Ministero della Salute all'indirizzo www.ministerosalute.it. È importante ricordare altresì che i buoni siti che trattano di salute incoraggiano il rapporto tra medico e paziente e non la sostituiscono: Internet può essere uno strumento utile per tenersi informati (ton le dovute cautele e talvolta con sano scetticismo), ma la visita medica specialistica resta una prassi obbligatoria se davvero si tiene alla propria salute. M.F. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 mag. ’09 «DOTTORE, DOVE POSSO GUARIRE CON LE STAMINALI?» L' incontro: vaghe promesse e risultati non documentati Lo psicologo Reticenza Tutto sembra far capo a un professore di Udine: che è docente di Scienze Cognitive A Torino si effettua il prelievo di midollo, ma resta oscuro il luogo dove ci sarà la terapia TORINO - «Il signor A. è il paziente ideale. È giovane e ha avuto l' ictus soltanto tre mesi fa». Ideale, secondo il dottor Scarsella, per un trapianto di cellule staminali che dovrebbero migliorare le capacità di movimento di questo signore sessantaduenne rimasto semi-paralizzato dopo l' attacco acuto. Stupisce che un trattamento ancora sperimentale e molto complesso venga proposto con tanta facilità, anche se su specifica domanda, da un neurologo che riceve in uno studio, piuttosto modesto, alla periferia di Torino, dove gli eleganti palazzi lungo il Po lasciano spazio a garage di pneumatici e supermercati alimentari, palazzine popolari e negozi di ferramenta. Al numero 315 di corso Moncalieri soltanto una targa: Studio Medico Scarsella. L' appuntamento è per le sette di sera, ma bisogna aspettare. «Il dottore è sempre in ritardo, arriva qui alle 4 di pomeriggio e visita fino a sera» ci dice la segretaria, una signora non proprio giovane che nel frattempo parla al telefono di ricette. Non mediche, ma di cucina. Ci si aspetta che la nuova medicina rigenerativa, di cui si parla diffusamente nelle riviste scientifiche, nei giornali e in Internet, sia praticata in centri moderni, con tanto di attrezzature tecnologiche, indispensabili per manipolare piccole quantità di cellule e trasformarle in qualcosa di utile per la cura, e da équipe multidisciplinari con diversi specialisti, che lavorano gomito a gomito. Leonardo Scarsella, di mattina neurologo all' Ospedale Valdese di Torino, legge la cartella clinica del paziente A. (una lettera di dimissioni dall' ospedale, una prescrizione di farmaci, una risonanza magnetica) e poi entra nei dettagli della cura. «Utilizziamo cellule staminali adulte, chiamate mesenchimali, che si trovano nel midollo osseo. Non quelle embrionali o fetali - dice Scarsella - . Come primo passo, quindi, si preleva un pezzetto di osso dalla cresta iliaca del paziente. Da questo si ricavano, grazie a un procedimento biotecnologico, le staminali che vengono poi moltiplicate in laboratorio. Le cellule ottenute vengono somministrate al paziente con con una puntura lombare, in tre sedute, a distanza di 20-25 giorni». Ma funziona? «In Europa sono stati eseguiti, nel 2007, oltre 200 interventi di questo tipo, 20 in pazienti dopo un ictus» spiega. Altra domanda: dove vengono attuate tutte queste procedure? Il discorso, adesso, si fa un pò fumoso. Il prelievo a Torino e le procedure di laboratorio pure, ma sul resto Scarsella non entra in dettagli. Dice di avere rapporti con centri in Germania e in Gran Bretagna e con il centro trapianti di Trieste (non precisa quale), ma per saperne di più, suggerisce, è meglio telefonare al professor Vannoni, che sarebbe il responsabile di questo «progetto- staminali». E ci fornisce il numero di telefono. Davide Vannoni è professore associato di Scienze Cognitive all' Università di Udine, ma il suo nome circola in Internet non solo in quanto docente universitario, ma anche quale Amministratore Unico di Cognition, una società, sempre di Torino, che offre ai clienti «metodologie di ricerca» e «strumenti di formazione»: il numero di telefono di Cognition è lo stesso che ci ha fornito il dottor Scarsella. Non è finita: il nome di Vannoni compare anche in certi dépliant che sono arrivati a persone paraplegiche (la loro federazione nazionale, la Faip, ne è stata informata) dove si parla appunto di trapianto di staminali, di percorsi terapeutici e di costi della terapia. In questi documenti viene citata una Stem Cells Foundation e si fa menzione di iniezioni di staminali «presso clinica di San Marino». Proprio di questo parlava il Corriere in un articolo, a firma di Franca Porciani, pubblicato nel febbraio scorso. La Repubblica sanmarinese aveva poi smentito l' esistenza di una Stem Cell Foundation, ma nel settembre 2008 il Congresso di Stato aveva autorizzato la "realizzazione della struttura sanitaria - banca di cellule staminali - Rewind Biotech srl". Questo nome ricompare in un sito Internet dove è pubblicata la relazione che Giuseppe Caramia (pediatra emerito dell' ospedale Salesi di Ancona) ha tenuto al XX Congresso Nazionale della Società italiana di pediatria preventiva e sociale a Caserta (giugno 2008): anche qui si parla di trapianto di staminali e il numero di telefono della Rewind Biotech, riportato in questo documento, è sempre quello di Vannoni a Torino. Un intreccio di nomi, società e fondazioni da cui è difficile districarsi. E soprattutto troppa reticenza sui centri dove poi verrebbe praticato il trapianto. Un' ultima questione. Ma le nuove terapie mediche (dai farmaci all' uso di cellule) non dovrebbero essere oggetto di sperimentazioni cliniche basate su protocolli, su autorizzazioni di comitati etici, su pubblicazioni nella letteratura medica e su consensi informati dei pazienti? La risposta della comunità scientifica è sì, ma in questo caso gli unici dati disponibili sull' efficacia della cura sono ancora quelli dei famosi dépliant: oltre mille casi trattati, un recupero del danno dal 70 al 100 per cento (90 ictus con 72 recuperi, numeri diversi da quelli citati da Scarsella), una gamma di una ventina di malattie trattate. L' unico dato che il dottor Scarsella più o meno conferma è quello dei costi: «Tutta la procedura costa dai venti ai trentamila euro». Nessuna sorpresa, invece, al momento di pagare la visita (o meglio la consulenza su cartella clinica) nell' ambulatorio torinese: 140 euro, con fattura. Nella media. Adriana Bazzi Bazzi Adriana ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 mag. ’09 VIA INTERNET LA NUOVA CORTE DEI MIRACOLI Nel mondo Sul web rincorsa ai pazienti: con video e testimonial La clinica globale dagli Usa all' Oriente I medici coinvolti Sono talvolta specialisti noti nel loro Paese, che ricoprono cariche importanti. È il caso della Thailandia In Cina I diversi centri di «cura» hanno organizzato un sito comune: che riporta guarigioni in tutti i campi Il fiore all' occhiello è un uomo paraplegico del Tennessee che a due mesi dal trattamento riesce ad alzarsi in piedi, ma che dire dei settanta malati di sclerosi multipla migliorati in modo sensibile dopo iniezioni di cellule staminali del tessuto adiposo? Tutto opera di Roberto Brenes, il «mago» degli audaci trapianti di cellule immature che opera in una clinica di San Josè, in Costa Rica. Intanto a Miami spopola Adolfo Rodriguez, proprietario di un night club, divenuto una attrazione perché mangia di tutto e si è dimenticato dell' insulina, nonostante il diabete, da quando nel 2007 ha fatto in Perù un' iniezione di cellule staminali nel pancreas. «Mi rendo conto che questi trattamenti non hanno ancora conferme da studi controllati - dice Brenes, intervistato dalla rivista Lancet che al turismo delle cellule staminali ha dedicato un' inchiesta -, ma i pazienti non vogliono aspettare e noi non possiamo lasciarli soli». Soprattutto quando il guadagno oscilla dai 15.000 ai 25.000 dollari. Prezzo medio del trattamento con le cellule staminali, di ogni tipo, fetali, del cordone o autologhe (prese dallo stesso paziente con un prelievo di midollo osseo e poi espanse) un po' in tutto il mondo. Il Lancet ha tentato una media: circa 21.000 dollari, con un' impennata in Cina dove si sfiorano i 70.000 dollari. Qui oltre alla potentissima Beike Biotechnology, che ha a Taizhou una della banche di cellule staminali più grandi del mondo, operano diversi centri, a Pechino e in altre città importanti. Tutti convogliati sul sito Web China Stem Cells News (www.stemcellschina.com) che propaganda gli «ottimi» successi delle cellule staminali in un variegato ambito patologico, dall' autismo all' epilessia, all' ictus, a malattie neurologiche ereditarie. Ma l' idea che la pubblicità sia l' anima del commercio ha fatto letteralmente «fiorire» in tutto il mondo siti internet che enfatizzano gli effetti dell' iniezione di cellule staminali e reclutano clienti. La rivista americana Science ha di recente tentato un censimento e un' analisi della loro offerta. Ci viene in aiuto anche l' indagine realizzata da Timothy Caufield dell' università di Alberta, ad Edmonton, in Canada, secondo la quale sono 19 i siti che offrono questo tipo di trattamento, nel 63 per cento dei casi dando per «accertati» e non sperimentali gli eventuali benefici. Spregiudicato in tutti l' utilizzo di video che documentano straordinarie metamorfosi da malato a guarito, spesso utilizzando bambini. È il caso della Medra (wwww.medra.com) che propone immagini strappalacrime di bambini incurabili tornati ad una vita decente mentre il suo fondatore, lo psichiatra William Rader si rifiuta di rendere pubblica la tecnica utilizzata per il «miracolo». Altri siti puntano su un' immagine irreprensibile e paludata. Alla prima occhiata il sito dell' X-cell center di Colonia (www.xcellcenter.com) cui si può accedere in molte lingue, italiano compreso, sembra quello di una clinica universitaria. Poi lo sterminato elenco delle patologie curabili lì con le staminali prelevate dal midollo osseo della «vittima» e poi reimpiantate, apoplessia, artrosi, degenerazione maculare, diabete (1 e 2!) disfunzioni erettili, morbo di Alzheimer, traumi al midollo spinale, sbalordisce. Come non lascia indifferenti la sfrenata fantasia del metodo di infusione delle mitiche cellule: dall' inoculazione in vena, alla puntura lombare, all' applicazione angiografica mediante catetere fino al più modesto concentrato di staminali «sparato» nei piedi sofferenti dei diabetici. Il trattamento costa dai 7.500 ai 10.500 euro o, almeno, è quanto viene annunciato sul sito nelle informazioni preliminari. Evidentemente tutto questo funziona, visto che è stato aperto un centro anche a Dusseldorf. I medici coinvolti in queste pratiche sono solo ciarlatani? Mica tanto. Inquietante la visita al sito di TheraVitae, ditta che opera a Bangkok, dedicata all' iniezione di cellule staminali nel cuore per curarne le malattie. Gli operatori, che sul sito millantano la terapia come collaudata (mentre è ancora sperimentale) sono il «meglio» della cardiologia di quel Paese, a cominciare dall' attuale presidente della Heart Association tailandese. Franca Porciani Il caso La malattia La guarigione Porciani Franca ___________________________________________________________ Corriere della Sera 8 mag. ’09 FARMACI «PERSONALIZZATI» PER SCONFIGGERE I TUMORI Le ricerche Le nuove strade aperte dagli studi finanziati anche dall'Airc Lander (Mit): tra 10 anni saranno curati solo i geni De Braud Oggi in grado di scoprire tutte le mutazioni Mario Pappagallo «Dieci anni per la rivoluzione nella cura dei tumori. Non si curerà più l'organo malato, ma le cellule». E la cura con i farmaci «intelligenti» sarà sulle mutazioni genetiche che trasformano una cellula normale in tumorale. Cure talmente personalizzate da superare ogni limite odierno. Il risultato? «Guarigione o controllo perfetto della malattia». Lo scenario è di Eric Lander, bio-genetista del Massachusetts Institute of Technology (Mit). La platea è quella del congresso dell'American association for cancer research (Aacr) giunto alla centesima edizione. A Denver in Colorado. Reduci dall'Aacr: Nicola Normanno, Cell biology and biotherapy unit della Fondazione Pascale di Napoli, e Filippo de Braud, direttore della Divisione di Farmacologia clinica e nuovi farmaci dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano. La sensazione di entrambi è di «rivoluzione in atto». «Ad ogni paziente la sua terapia», dice de Braud. Bersaglio le mutazioni genetiche. Tra cinque anni saranno pronti i test per individuarle persona per persona. E tra circa dieci, la tecnologia consentirà di predisporre «correzioni» ad hoc. Cure ad hoc. Spiega de Braud: «Sequenziato l'intero genoma umano, ora si stanno classificando tutte le mutazioni che caratterizzano la differenza tra i tessuti normali e quelli neoplastici. Contemporaneamente si lavora per avere una tecnologia affidabile e a costi accettabili per la pratica clinica». Racconta Normanno: «Sono circa 20 anni che partecipo al congresso annuale dell'Aacr, ma quest'anno ho percepito la netta sensazione di un cambiamento di rotta della ricerca oncologica. I meeting dei primi anni Novanta erano quasi esclusivamente dedicati alla ricerca di base, si parlava dei meccanismi attraverso i quali i tumori si formano o diventano più aggressivi. Il congresso di quest'anno era pieno di sessioni nelle quali si affrontavano tematiche relative alla diagnosi ed alla terapia dei tumori». Una svolta. Anche in Italia gli studi, a cominciare da quelli di de Braud e di Normanno, vanno in questa direzione. E l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) finanzia molti dei progetti presentati a Denver. Normanno parla di due novità. Una cattiva ed una buona. La cattiva? «Il tumore - dice lo scienziato del Pascale -, nella maggioranza dei casi, è una malattia complessa caratterizzata da numerose alterazioni di geni che inducono la sua crescita. Complessità ulteriormente aumentata dall'interazione tra il tumore e le cellule normali che lo circondano». E la novità buona? Quanto annunciato da Lander. In pratica il mirino dell'arma è ormai ultrapreciso. «E sono state costruite le armi per affrontare la malattia in modo diverso, cioè andando a colpire bersagli specifici in ogni singolo paziente». Il bersaglio è nel cuore della cellula «malata» o di quella che sta per mutare e diventare malata. Non solo. De Braud spiega: «Le cellule tumorali sono in grado di sviluppare meccanismi di resistenza ai farmaci biologici. Fortunatamente, molti di questi meccanismi sono stati individuati e si è trovato il modo di bloccarli». Insomma se il tumore è «furbo», la medicina sta riuscendo a smascherarlo. E non si parla più di cancro al seno, al polmone, al colon... Ma solo di geni mutati. Di persone. I geni mutati del signor X o della signora Y. E la cura per X e per Y. Curare il Dna malato Foto: Le novità per sconfiggere il cancro arrivano dalla genetica. L'annuncio dall'ultimo congresso americano dei super specialisti mondiali: «Tra 10 anni non sarà più male incurabile» ___________________________________________________________ Unione Sarda 3 mag. ’09 EPILESSIA, DIECIMILA SARDI NE SOFFRONO Dalla malattia si guarisce, più difficile sconfiggere i pregiudizi L'epilessia non è una malattia psichiatrica, e non è inguaribile. È però storicamente circondata da false credenze DI GIANCARLO GHIRRA Ne hanno sofferto Alessando Magno, Giulio Cesare, Napoleone, grandi condottieri, eppure ancor oggi in Italia è negato a chi ne è stato affetto l'accesso alla carriera militare. Ne ha sofferto uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, Fedora Dostojevskij, un filosofo della levatura di Socrate, un genio della pittura come Van Gogh, eppure c'è chi insiste a considerare l'epilessia un male oscuro, una malattia psichiatrica. In realtà il maggior nemico di chi è stato o è epilettico è la cattiva informazione, fondata su pregiudizi secolari, che spinge molti malati a vergognarsi e nascondere la malattia. Al punto che sono esclusivamente medici (soprattutto neurologi, neuropsichiatri infantili) gli aderenti alla Lice (la Lega italiana contro l'epilessia) che oggi organizza la giornata nazionale. FAVATA SUONA In Sardegna è prevista una manifestazione che si terrà stasera, con inizio alle 18, al Conservatorio di musica di piazza Porrrino. Si chiama Quintetto atlantico il concerto jazz del musicista Enzo Favata che rappresenterà il lato artistico e spettacolare della giornata, introdotta da una relazione del neurologo Walter Merella, coordinatore della Lice nell'Isola. «L'obiettivo della manifestazione - spiega Merella - è proprio quello della lotta contro i pregiudizi. Chi soffre di epilessia non è un diverso, oltre il cinquanta per cento conduce una vita normalissima, e non è affatto pericoloso. Le crisi convulsive di cui talvolta soffre sono pericolose soltanto per lui». Secondo le statistiche della Lice in Italia la malattia colpisce l'uno per cento della popolazione, con 500 mila casi, trentatremila ogni anno. In Sardegna la Lice parla di circa mille casi. «La metà dei malati -spiega il dottor Merella- sono bambini, che grazie all'uso dei farmaci guariscono, o quantomeno tengono sotto controllo l'epilessia. Socialmente, però, grazie all'ignoranza, sono costretti quasi a nascondersi. Conosco tanti professionisti, medici, avvocati, impiegati, che lavorano e vivono socialmente senza alcun problema. Ma si vergognano di esporsi pubblicamente, anche perché la discriminazione è dietro l'angolo». TANTE DISCRIMINAZIONI In realtà chi è stato o è epilettico non è soltanto vittima di pregiudizi legati alla vecchia idea di un male oscuro . Anche le leggi della Repubblica italiana crea inaccettabili limitazioni senza, contemporaneamente, prevedere forme di sostegno. Chi abbia sofferto di una crisi epilettica nell'arco dei due anni precedenti non può, ad esempio, ottenere la patente di guida: davvero una misura eccessiva, al punto che sono state presentate proposte di legge in Parlamento per ridurre a sei mesi il limite. «Uno degli effetti negativi di questa situazione -spiega il dottor Merella - è che più di un paziente tende a nascondere di aver avuto una crisi, rischiando sanzioni». LIMITAZIONI LAVORATIVE Ma non è questo l'unico problema. Chi soffre di epilessia non può far parte dlele forze armate, non può guidare taxi o altri mezzi pubblici o meccanici. «Anche ammettendo che tutto questo sia giusto - puntualizza il coordinatore regionale della Lice- non c'è nessuna compensazione, nel senso di accessi privilegiati al lavoro come succede per altre categorie protette». Se si considera che la metà dei malati sono bambini e ragazzi sotto i venti anni, si capisce che l'atteggiamento verso l'epilessia rischia di favorirne una sostanziale emarginazione. È insomma una questione delicatissima, da affrontare e risolvere sul piano della corretta informazione. Più della metà dei malati che non si curano finiscono per condurre una vita quasi nascosta e per non lavorare, mentre chi si cura lavora e sta bene. NON È UNA MALATTIA MENTALE Serve insomma una svolta netta nell'atteggiamento della comunità e dello Stato verso questi malati. «Non è accettabile - precisano alla Lice - che un adulto perfettamente guarito vittima di qualche crisi convulsiva fra i sei e i dieci anni non possa fare il tassista o il carabiniere. È una penalizzazione eccessiva per chi è guarito, e la discriminazione diventa doppia se si pensa che non esiste alcuna tutela previdenziale o lavorativa. Al danno si aggiunge la beffa». Alla base del pregiudizio c'è la paura atavica che fa considerare l'epilessia una malattia mentale e l'epilettico un pazzo pericoloso. «Si tratta - chiarisce il neurologo Walter Merella - di una malattia del sistema nervoso centrale che si manifesta con crisi convulsive imprevedibili, inferiori ai due minuti. Durante le crisi il paziente non è pericoloso né aggressivo, a differenza di quanto si legge spesso, purtroppo, nei giornali. Basta ricordare il caso della mamma di Cogne Annamaria Franzoni, condannata per l'omicidio del bambino. Ebbene, si scrisse che la signora era epilettica per spiegarne l'aggressività verso il figlioletto. Una bugia, Annamaria Franzoni non è mai stata epilettica». ___________________________________________________________ Unione Sarda 1 mag. ’09 CERVELLO, SPERANZE DAI MICROSENSORI Un nuovo modo di osservare le variazioni neurochimiche nel cervello connesse con particolari comportamenti. Un sistema wireless, cioè completamente senza fili, che è stato sviluppato nelle università di Sassari e Dublino. Il metodo si basa sul monitoraggio del consumo di ossigeno nel cervello con l'impiego di microsensori di nuovissima concezione. Ma a che cosa potrà servire? Come è stato realizzato? Chi lo ha creato? Ne abbiamo parlato con uno degli ideatori: il medico Pier Andrea Serra (Dottorato di ricerca in Farmacologia e Tossicologia, PostDoc all'University College di Dublino, professore associato di Farmacologia alla facoltà di Medicina dell'Università di Sassari). Come avete misurato l'ossigeno nel cervello? «I sensori per l'ossigeno cerebrale derivano da oltre 10 anni di studi e sono originali e unici sia per il per materiale usato, epossidica caricata al carbonio, che per la forma, conica, che riduce notevolemte il trauma dovuto all'inserzione neurochirurgica in una regione cerebrale. La conquista è aver posizionato una "finestra" che ci consenta di associare una variazione neurochimica a un comportamento o condizione sperimentale estremamente specifica. Questo nuovo quadro potrebbe consentire di scoprire aree del cervello che "consumano" di più nel momento in cui lavorano più intensamente e capirne finalmente il significato in condizioni ottimali sia per l'animale che per il ricercatore, il quale non interferisce se non in minima parte con la vita normale dell'animale mentre lo studia». Cosa avete osservato? «Nel campo specifico di cui mi occupo è di cruciale importanza sapere se e come l'ossigeno viene utilizzato dai neuroni in corso di malattie del sistema nervoso centrale. Alcune malattie neurodegenerative o neurotossine compromettono in modo specifico i mitocondri e vanno ad inficiare la produzione di energia la quale comporta un consumo di grandi quantità di ossigeno. Se l'ossigeno non viene più "consumato" per produrre energia può significare che qualcosa di veramente importante può essersi rotto». Lo studio potrà servire per analizzare l'effetto di nuovi medicinali e nel trattamento di pazienti affetti da Alzheimer e Parkinson o vittima di ictus o eventi traumatici? «Esattamente. Riteniamo che questo sia un perido di transizione verso la tecnologia da noi proposta. Nel nord Europa e negli Usa c'è un forte interesse da parte di alcune case farmaceutiche per questo tipo di sensori e per impianti wireless, in quanto consentirebbero di ridurre i tempi e i costi della ricerca in vivo e soprattutto il numero di animali da utilizzare per gli esperimenti. Le possibilità applicative sono innumerevoli, a partire dal monitoraggio dell'ossigeno cerebrale in corso di ischemia cerebrale, ictus, attacchi ischemici transitori, in condizioni iperbariche, oppure per valutare la capacità del sangue di rilasciare ossigeno al cervello dopo intossicazioni da agenti chimici». La vostra ricerca potrebbe avere sviluppi importanti anche in altri campi? «In campo aerospaziale sarebbe interessante lo studio in tempo reale delle dinamiche dell'ossigeno durante forti accelerazioni. Un ricercatore di Cambridge che si occupa di medicina d'alta quota mi ha chiesto di entrare a far parte di un progetto internazionale per lo studio dell'ossigeno cerebrale in alta quota e nei voli spaziali. Il progetto fa parte di uno studio internazionale che culminerà in una spedizione scientifica inglese sull'Everest prevista per il prossimo anno». La ricerca è stata pubblicata su "Analytical Chemistry" (organo ufficiale dell'American Chemical Society) del 17 febbraio a firma di Gianfranco Bazzu, Giulia Puggioni, Sonia Dedola, Giammario Calia, Gaia Rocchitta, Rossana Migheli, Maria S. Desole e Pier Andrea Serra (del dipartimento di Neuroscienze dell'ateneo sassarese), John P. Lowry (National University of Ireland), Robert D. O Neill (University College Dublin). ANDREA MAMELI ___________________________________________________________ Corriere della Sera 3 mag. ’09 I POMODORI NEMICI DEL COLESTEROLO Alimentazione Nuovi studi sugli effetti protettivi Lo studio europeo Sul licopene stanno lavorando 15 centri in 6 Paesi. L' Italia è responsabile della parte clinica, con 100 pazienti Ricchi di licopene, promessa anti- infarto Il pomodoro potrebbe presto scatenare una nuova corsa all' oro. Rosso, in questo caso. Il «tomatl» degli aztechi, da noi trasformato in simbolo nazionale e cardine della dieta mediterranea, potrebbe diventare una terapia anti-infarto e anti-ictus. Da Taormina, dove si è tenuto il Mediterranean cardiology meeting, i cardiologi si dichiarano sicuri della capacità protettiva del pomodoro sul sistema cardiovascolare. Merito del licopene, l' antiossidante contenuto nella buccia, responsabile del colore rosso e di quello giallo anche di altri vegetali, già considerato un prezioso alleato contro il tumore della prostata. «Studi condotti dal ' 94 al 2006 - spiega Michele Gulizia, presidente dell' Associazione italiana di aritmologia e cardiostimolazione - hanno dimostrato che il licopene è associato a una riduzione statisticamente significativa del numero degli infarti e degli ictus, in persone che ne assumono grandi quantità». Il licopene riduce l' ossidazione dei lipidi e dunque la formazione della placca aterosclerotica. In un lavoro pubblicato il 23 aprile sulla rivista Cardiovascular Drugs Therapy, ricercatori dell' università del Negev, in Israele, hanno registrato una diminuzione della pressione, da un minimo di 4 a un massimo di 13 millimetri di mercurio, in pazienti ipertesi trattati per sei settimane con estratto di licopene. «Sebbene il licopene sia il carotenoide più potente contenuto nel pomodoro - ci dice Yoav Sharoni, biochimico della stessa università - non è il solo composto attivo. Altri carotenoidi come il fitoene e il fitofluene contribuiscono a produrre un effetto migliore del licopene puro». In generale, perché il licopene produca il suo effetto protettivo sul cuore il pomodoro andrebbe cotto. E bisognerebbe assumerne la quantità contenuta in un chilogrammo di pomodori o, in alternativa, in 100 grammi di concentrato. Quanto al licopene estratto dal pomodoro, paradosso tutto italico, benché siamo i secondi produttori mondiali di pomodoro, importiamo il licopene dalla Cina. L' estrazione rende poco e così le enormi quantità di bucce della nostra lavorazione industriale finiscono in discariche, legali e non. Eccezion fatta per Lecce, dove il mese prossimo aprirà il primo impianto che sfrutta un nuovo metodo estrattivo sviluppato alla "Sapienza" di Roma. Il settore dei nutraceutici (come vengono chiamate le sostanze isolate da un alimento ed utilizzate in forma dosata) intanto è in movimento. I pionieri sono gli israeliani, produttori di un ketchup e di pastiglie a base di licopene estratto da pomodoro e pompelmo rosa mescolati. Fiutando l' affare, alcune aziende in Europa (nate anche come spin-off di università prestigiose) hanno brevettato e stanno per lanciare sul mercato nuovi prodotti. La situazione è confusa. In Italia non esiste una normativa sui nutraceutici, né l' Unione Europea ha ancora legiferato in modo chiaro. Come segnala Europass, portavoce dell' Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), gli studi clinici non danno risultati certi, ma si è già scatenata una lotta «tra lobbies farmaceutiche intenzionate a dar battaglia per garantirsi il primato in un settore che potrebbe rappresentare un' evoluzione significativa del concetto di terapia». Per fare chiarezza sul ruolo del licopene nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, nel 2006 è partito Lycocard, progetto finanziato dalla Commissione europea con 5,2 milioni di euro. Sono coinvolti 15 centri di sei Paesi e, per l' Italia, l' università Cattolica di Roma sta curando la parte clinica. Ruggiero Corcella Corcella Ruggiero