RASSEGNA 11 OTTOBRE ’09 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 MELIS RETTORE, PALAZZO BELGRANO È SUO MELIS: INCIDEREMO SULLO SVILUPPO» MISTRETTA: GIOIA, ATTENZIONE E IMPEGNO NELL’ACCOGLIERE LE MATRICOLE MISTRETTA, DA RETTORE A PROFESSORE MELIS: DIPARTIMENTI SCIENTIFICI, TUTTI TRASFERITI A MONSERRATO LE 200 UNIVERSITÀ AL TOP. E’ HARVARD LA MIGLIORE DEL MONDO, LE EUROPEE AVANZANO. DECLEVA: AUTUNNOTEMPO DI CLASSIFICHE GELMINI: «LA CLASSIFICA DEL TIMES CONFERMA L'URGENZA DELLA RIFORMA» CARA GELMINI ECCO COME FARE UN GOL A PORTA VUOTA GELMINI: LA RIFORMA IN SALITA DEI TEST DI MEDICINA VISTO DAL MERCATO IL NUMERO CHIUSO NON FUNZIONA TRE NOBEL E SEICENTO DOCENTI: «ABOLITE IL NUMERO CHIUSO» TEST DI MEDICINA CON IL TRUCCO: 128INDAGTI,TRA LORO ANCHE PROF ORDINARI E ASSOCIATI «OCCUPANO» I CONCORSI «BOCCIATI» I CONCORSI UNIVERSITARI COMMISSIONI D'ESAME A CORTO DI COMMISSARI LA RICERCA DEI GIOVANI PUÒ ATTENDERE QUEI CONCORSI CHE SNOBBANO LE LAUREE BREVI I RICERCATORI PREFERISCONO LE AZIENDE ALL'UNIVERSITÀ NEI MASTER INTERNAZIONALI VINCE LA RETE DI UNIVERSITÀ GELMINI: SCUOLE SPORCHE? A PULIRE CI PENSINO I BIDELLI STATALI, RIFORMA-BRUNETTA AL VIA METTI DELL'UTRI ALL'UNIVERSITÀ... SENSORI E FIBRE OTTICHE IL NOBEL PER LA FISICA CON I PAESI SI SVUOTA ANCHE CAGLIARI, SASSARI + 1179 ==================================================== IGNARRO, NON RICORDATEMI PER IL VIAGRA NELLE DUE ITALIE DELLA SALUTE SE C'È QUALITÀ NON C'È SPRECO IL NOBEL IGNARRO A SASSARI: QUANDO LA SCIENZA RIBALTA I LUOGHI COMUNI. RIFORMATORI: «ASL TROPPO GRANDI: COSÌ SONO DIFFICILI DA GESTIRE» I TELOMERI CI ALLUNGHERANNO LA VITA LA PROF E L' ALLIEVA LA GENEALOGIA DELLA BUONA RICERCA BONCINELLI: L' INQUINAMENTO DEL MONDO È IL PREZZO DELLA VITA DEFANTI: QUANTE CROCIATE CONTRO LA MEDICINA A FINE OTTOBRE SCIOPERA LA SANITÀ IL CONTO SALATO DELL'OBESITÀ FACEBBOOK? PUO’ DIVENTARE UNA DROGA IL NASO ELETTRONICO CHE FARÀ LA DIAGNOSI IN UN SOFFIO ==================================================== ___________________________________________________ L’Unione Sarda 6 ott. ’09 MELIS RETTORE, PALAZZO BELGRANO È SUO Ma un prorettore ha già lasciato: Atzeni al posto di Fadda Il nuovo rettore ha preso ieri possesso dell’ufficio in via Università. Concentrato sul programma che si è impegnato ad attuare per i prossimi 4 anni, da oggi entrerà nel vivo del suo lavoro. Ha varcato la soglia di Palazzo Belgrano alle 10.30 e pochi minuti dopo era già seduto sulla poltrona del rettore. Cioè la sua, conquistata dopo una faticosa maratona che l’11 giugno gli ha regalato la vittoria (e 738 voti) consacrandolo “primo rettore” del dopo-Mistretta, l’era più lunga (18 anni) nella storia dell’Università. Ma prima di indossare i panni di “Magnifico” Giovanni Melis è salito in cattedra, nella sua facoltà di Economia, per la consueta lezione con gli studenti della specialistica. NUOVA NOMINA Da ieri, dunque, il nuovo inquilino del rettorato si è messo al lavoro, al primo piano dell’edificio di via Università, con il suo staff guidato dal capo di gabinetto, Luigi Sotgiu, la segreteria e la sua squadra. Su quest’ultima c’è già una novità: la professoressa Rita Fadda, fresca di nomina, non sarà più il prorettore delegato per la didattica. Prenderà il suo posto Francesco Atzeni, ordinario di Storia contemporanea nella Facoltà di lettere e filosofia. È l’ultimo ritocco alla squadra di governo che affiancherà il rettore nella gestione dell’Ateneo cagliaritano nei prossimi 4 anni: una sostituzione fatta in sordina, senza alcun clamore. «Avrei voluto comunicarla prima agli organi competenti - si rammarica il rettore - dietro la decisione non c’è stato alcun conflitto. Più semplicemente le motivazioni sono legate al ruolo della professoressa Fadda che ha sempre indossato i panni di grande studiosa, più che quelli di manager: d’accordo con lei e i presidi dell’area letteraria, si è deciso così di nominare prorettore per la didattica il professore Francesco Atzeni». Con lui i prorettori Raimondo Ciccu, Vanna Ledda, Francesco Pigliaru, Alessandro Uccheddu e il vicario Giorgio Piccaluga. LA GIORNATA I primi che Melis ha incontrato ieri sono stati il prorettore vicario Piccaluga e Luigi Sotgiu, nuovo capo di Gabinetto: proviene dalla direzione Orientamento e Comunicazione e col rettore ha in comune l’esperienza alla presidenza dell’Ersu, l’ente regionale per il dirtto allo studio, che Melis ha guidato dal ’90 al ’94 e a succedergli è stato proprio Sotgiu. Della segreteria fanno parte Anna Guidi e Francesca Demartis. L’altro nome femminile nello staff del Magnifico è quello di Alessandra Orrù. MESSAGGIO Nessuna cerimonia per l’insediamento anche se il primo giorno da rettore è volato via fra telefonate e telegrammi d’augurio, «in particolare congratulazioni da parte di presidi e colleghi che mi hanno dato lo slancio per partire». Le giornate prossime venture saranno sicuramente più impegnative, visti i tempi duri che aspettano l’Ateneo di Cagliari, soprattutto sul fronte dei finanziamenti. «Ci stiamo già attivando - assicura Melis - insieme ai prorettori scriverò le linee generali del programma incentrato in particolar modo sull’esigenza di migliorare i risultati su didattica, ricerca e servizi al territorio dai quali dipende la possibilità di acquisire nuovi fondi per l’Ateneo. È giusto essere valutati ma non attraverso parametri che, oggettivamente, spostano le risorse per l’Università verso le regioni più ricche del Nord». L’argomento è caro al nuovo rettore e occupa gran parte del video messaggio, registrato ieri mattina e messo in rete dal sito internet unica.it. «Auspico che la classe politica regionale - dice Melis - intervenga per modificare queste tendenze: il nostro impegno sarà finalizzato a valorizzare il patrimonio dell’Università, che vuole contribuire allo sviluppo socio-economico della Sardegna». Arriva dal rettore l’augurio agli studenti di un felice inizio di anno accademico: «In particolare alle matricole: confermo poi l’impegno di migliorare i servizi a partire dalle biblioteche e dai laboratori». CARLA RAGGIO ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 ott. ’09 MELIS: INCIDEREMO SULLO SVILUPPO» Ieri primo giorno del nuovo rettore Giovanni Melis Sono convinto che l’ateneo possa e debba avere un maggiore ruolo e contribuire alla crescita economica dell’isola CAGLIARI. «Ci impegneremo per valorizzare il patrimonio di conoscenze dell’ateneo e il sistema universitario regionale», ha affermato ieri il nuovo rettore dell’università Giovanni Melis nel messaggio di saluto inviato a studenti, docenti, ricercatori e personale tecnico amministrativo nel suo primo giorno di mandato. L’altro ieri a mezzanotte è formalmente cessato il regno di Pasquale Mistretta, che ha retto le sorti dell’università per diciotto anni. «Sono convinto - ha proseguito Melis - che l’ateneo possa e debba avere un maggiore ruolo nello sviluppo socio-economico della Sardegna. Vogliamo contribuire al piano regionale di sviluppo». I problemi, però, sono tanti. Questo è infatti «un momento di grandi difficoltà per l’università italiana e, in particolare, per le strutture del Sud». Tra gli aspetti più critici ci sono «i parametri di valutazione utilizzati per l’assegnazione delle risorse ministeriali, sempre più limitate» e che «non tengono nel dovuto conto la debolezza del tessuto socioeconomico e infrastrutturale, che penalizzano particolarmente gli atenei meridionali». Insomma, ha continuato il nuovo rettore, «è giusto essere valutati, ma non attraverso parametri che, oggettivamente, spostano le risorse per l’università verso le regioni più ricche del Nord». Infatti è reale «il pericolo che le politiche di razionalizzazione determinino un ridimensionamento degli atenei meridionali che intacca il diritto allo studio dei giovani e la loro funzione di servizio al territorio». Per questi motivi il Magnifico insediato ieri auspica «che la classe politica regionale intervenga per modificare queste tendenze». In ogni caso siamo obbligati a moltiplicare gli sforzi per dare nuovo slancio all’università di Cagliari, migliorare i risultati della didattica, valorizzare i ricercatori e potenziare il trasferimento di conoscenze verso il territorio». In mezzo a tanti problemi, però, c’è anche un aspetto positivo, ha osservato il rettore Melis, «l’attenzione mostrata di recente dall’esecutivo regionale verso la ricerca scientifica, il potenziamento della didattica e delle strutture edilizie». Nello stesso tempo, «come ateneo dobbiamo sostenere questa scelta con il nostro impegno, non solo nei processi formativi e nell’innovazione scientifica e tecnologica, ma anche nella delicata fase del passaggio dal prodotto allo sviluppo delle intraprese nel mercato: è quello, infatti, il momento in cui si generano l’occupazione e la produzione della ricchezza». Detto tutto questo, il responsabile dell’università del capoluogo conferma «l’impegno prioritario al miglioramento dei servizi, a partire dall’offerta didattica, dalle biblioteche e dai laboratori. Come rettore sarò disponibile all’ascolto dei problemi che mi verranno segnalati dall’intera comunità universitaria: farò tutto il possibile per rispondere positivamente, nell’ambito dei mezzi e delle risorse a disposizione. Il compito che ci aspetta è difficile, ma sono assolutamente convinto che, in tempi brevi, potremo superare anche questa crisi». (r.p.) Come Ateneo dobbiamo sostenere questa scelta con il nostro impegno, non solo nei processi formativi e nell’innovazione scientifica e tecnologica, ma anche nella delicata fase del passaggio dal prodotto allo sviluppo delle intraprese nel mercato: è quello, infatti, il momento in cui si generano l’occupazione e la produzione della ricchezza. Nell’occasione dell’inizio del nuovo Anno Accademico formulo agli studenti, in particolare modo alle matricole, i più fervidi auguri di successo. Confermo l’impegno prioritario al miglioramento dei servizi, a partire dall’offerta didattica, dalle biblioteche e dai laboratori. Come Rettore sarò disponibile all’ascolto dei problemi che mi verranno segnalati dall’intera comunità universitaria: farò tutto il possibile per rispondere positivamente, nell’ambito dei mezzi e delle risorse a disposizione. Il compito che ci aspetta è difficile, ma sono assolutamente convinto che, in tempi brevi, potremo superare la crisi. Faccio affidamento sull’ intelligenza, la passione, l’impegno e la professionalità di tutti. Ognuno di noi, col proprio ruolo, può offrire un contributo importante per progettare una nuova fase di sviluppo della nostra Università e di tutta la Sardegna. Auguro, ancora, un felice inizio di Anno Accademico e buon lavoro a tutti! ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 ott. ’09 MISTRETTA: GIOIA, ATTENZIONE E IMPEGNO NELL’ACCOGLIERE LE MATRICOLE Il saluto di Pasquale Mistretta che oggi lascia il rettorato CAGLIARI. «Gioia, attenzione e impegno» è l’atteggiamento con cui bisogna accogliere le matricole all’interno dell’università secondo il rettore uscente Pasquale Mistretta. Dopo diciotto anni di regno, re Pasquale ha lasciato ieri a mezzanotte, anche formalmente, l’incarico di responsabile dell’Ateneo. Da oggi gli succede l’economista Giovanni Melis. Pochi cagliaritani hanno incarnato come lui, pur tra luci e ombre, il capoluogo dell’isola: urbanista, sensibile ai cambiamenti della città, attento conoscitore di Casteddu, dei suoi umori e della sua storia. Mistretta ha dato un forte impulso al settore che, da urbanista, più conosceva e conosce: l’edilizia universitaria. Seppure voluta anche dal precedente rettore Duilio Casula, la Cittadella degli studi di Monserrato è figlia di re Pasquale. Il periodo vissuto da Mistretta è stato quello della stabilizzazione di Cagliari come grande centro univeristario che oggi ospita circa 38mila studenti. È stato anche il periodo dell’inizio delle nuove norme sull’autonomia, ma sempre all’interno di una tradizione pubblica solida. Ora si apre un’altra fase: legata alla Finanziaria nazionale, ai tagli alle risorse finanziarie e ai possibili cambiamenti nei rapporti pubblico-privato. Da parte sua Mistretta ha creato le basi: dato casa ai ricercatori. E non è poco. Nello stesso tempo il carattere fermo e deciso (seppure sempre sorridente) del Magnifico ha fatto sì che molte funzioni venissero, di fatto, accentrate. Al nuovo responsabile il compito di ripensare una collegialità, oggi più indispensabile che mai: più passa il tempo, più l’ateneo diventa una struttura articolata e complessa. Re Pasquale, intanto, è passato in questi anni anche attraverso una candidatura a sindaco di Cagliari per il centrosinistra e ha vissuto una consiliatura come consigliere comunale. Sono rimasti negli annali alcuni suoi interventi in cagliaritano, pezzi di autentico e raffinato teatro popolare, come quando ha spiegato perchè sulla questione stadio-calcio non si riusciva ad andare avanti. Ora è difficile pensare che re Pasquale faccia il pensionato. Probabilmente non ha ancora deciso che cosa fara «da grande». Di certo resta una presenza-punto di riferimento: legato a una Cagliari del passato, affermano i suoi detrattori; occhio sempre vivace e curioso al nuovo, dicono altri. (r.p.) ___________________________________________________ L’Unione Sarda 4 ott. ’09 MISTRETTA, DA RETTORE A PROFESSORE Università. Dopo 18 anni da oggi non è più Magnifico ed ha già lasciato il suo ufficio Per sei mesi insegnerà tecnica urbanistica ad Architettura «Errori ne ho commessi, ma ho sempre agito nell'interesse di tutti». Lei è il migliore rettore possibile? «Scusate la presunzione, ma conosco la macchina alla perfezione, riesco a vedere le cose trenta secondi prima degli altri, ho il senso delle decisioni, ho realizzato la democrazia tra gli studenti perché ho sempre avuto la pazienza di ascoltarli e di alzare la voce, ma con coerenza. Quando è stato necessario ho costruito rapporti leali con i dipendenti con il massimo senso di responsabilità, sia in sede di contrattazione che informalmente». Era il dodici dicembre 2002 e Pasquale Mistretta si apprestava a richiedere la seconda delle tre modifiche statutarie che gli hanno consentito di restare per cinque mandati alla guida dell'università cagliaritana. Aveva 70 anni (oggi ne ha 77), diceva di essere «motivatissimo, competitivo nei confronti dei miei studenti» e si vantava di avere «sempre agito con trasparenza anche sulle questioni dell'edilizia», ad esempio «quando in piena tangentopoli ho guidato una transazione da 18 miliardi sul Policlinico». In questi passaggi c'è la sintesi del carattere e del piglio dell'uomo che si fece rettore e che oggi, a 18 anni - 6750 giorni - dal suo insediamento (il 2 novembre del 1991) lascia ufficialmente la carica al successore Giovanni Melis. DOCENTE PER SEI MESI Non andrà in pensione, Mistretta. «Per sei mesi insegnerò tecnica e pianificazione urbanistica alla facoltà di architettura». Glielo hanno chiesto i colleghi per sostituire Giancarlo Deplano, scomparso nell'agosto scorso, in attesa che vengano espletate le procedure per la designazione del successore. «Mi hanno preparato un ufficio affianco all'aula magna della facoltà, in via Corte d'appello: ci sono già il telefono e il computer», riferisce. In realtà avrebbe potuto riprendere possesso del suo vecchio studio all'esterno del quale c'è ancora la targhetta P.Mistretta che nessuno aveva mai occupato. Ma evidentemente è troppo angusto per un ex rettore di lunghissimo corso. «Sarà un ritorno provvisorio all'insegnamento, poi lascerò la scena. E la lascerò davvero», tiene a chiarire, «e dico già che non voglio consulenze né alcun tipo di incarico, bollu passillai». IL CURRICULUM Cagliaritano verace, laurea in ingegneria civile-edile nel '55, professore ordinario dal '76, autore di una gran mole di pubblicazioni e piani urbanistici, Mistretta, (sposato, due figli) farà altro, forse nulla. Molti vorrebbero che raccontasse i retroscena di 18 anni di regno con la sagacia che lo caratterizza. O che più semplicemente raccontasse Cagliari come la conosce lui, uno che l'ha vista da via Università e da altri infiniti e privilegiati punti di vista. Da ottimo canottiere negli anni '50, da presidente, dieci anni dopo, della Federazione italiana di atletica leggera, della Rari Nantes e (vice) dell'Amsicora. Da segretario provinciale del Partito socialista (anni '80), della Cisl università, da presidente dell'opera universitaria (oggi Ersu). LA POLITICA La politica, quella attiva, l'ha riabbracciata nel 2001 quando ha accettato la candidatura a sindaco con l'Ulivo contro Emilio Floris. Perse 56,7% a 34,7%. Da allora ha continuato a fare il rettore, non il leader dell'opposizione, cioè il ruolo che gli sarebbe spettato. Non è un uomo fatto per fare l'oppositore, né il numero due. Semmai per comandare, anzi accentrare. Ma anche per mediare e cucire. Un trasversale. «Sono un democratico neutrale», si è definito più volte. Così in Consiglio comunale è stato poco assiduo ed è intervenuto in rare circostanze e mai per fare discorsi di sinistra. Semmai per dare contributi di esperienza in un'Aula che di esperienza aveva molto bisogno. Floris l'ha sempre ascoltato e rispettato. «CONSIGLI SULLA CITTÀ» «Forse darò qualche consiglio sulla mia città», dice ora. E magari qualcuno a Floris, che vorrebbe vedere più decisionista. «Mi pare che ci sia una situazione di stallo, che manchi grinta», dice sommessamente e con rispetto per l'ex avversario-amico. «Credo che un leader debba essere capace di prendersi sempre le sue responsabilità». Tracciando un bilancio dei suoi cinque mandati, ha sostenuto di «non aver mai accettato pressioni» da chicchessia. Qualche errore lo ha ammesso. «E chi non li commette? Ma ho la coscienza a posto e credo di aver agito bene e nell'interesse di tutti». - FABIO MANCA ___________________________________________________ L’Unione Sarda 10 ott. ’09 MELIS: DIPARTIMENTI SCIENTIFICI, TUTTI TRASFERITI A MONSERRATO Il progetto del rettore prevede di trasferire alla Cittadella i dipartimenti di Scienze della Terra, Matematica e Informatica, Farmacia sparsi in città, per dare spazi ai poli umanistico e giuridico. L 'idea è quella di portare nella Cittadella universitaria di Monserrato i dipartimenti scientifici ancora sparsi in città. È uno dei progetti che il nuovo rettore Giovanni Melis porterà avanti durante i suoi quattro anni di mandato nella guida dell'Ateneo cagliaritano. Annunciato già nella sua prima conferenza da Magnifico, potrebbe essere quello che lascerà il segno nell'Università, con una nuova organizzazione delle strutture nell'interesse degli studenti e dei docenti di tutte le facoltà. Per ora c'è una proposta presentata alla Regione: l'Ateneo chiede un finanziamento di 50 milioni di euro per costruire a Monserrato due nuovi blocchi che serviranno ad ospitare le strutture di Cagliari. IL PROGETTO I dipartimenti interessati al trasferimento sono quelli di Scienze della terra, Matematica e informatica e Farmacia. Un progetto parallelo (e complementare) all'altro, già finanziato dalla Regione, che riguarda il polo di Medicina: una rivoluzione che il preside Mario Piga si augura di veder completata al più presto (col trasferimento del San Giovanni di Dio e di tutte le cliniche) per metter fine a questa “diaspora” di reparti. Quindi due iniziative separate, anche se convergeranno entrambe nella cittadella universitaria. COME NASCE La proposta del trasferimento dei dipartimenti scientifici nasce dall'esigenza di non perdere i fondi Fas regionali 2007-2013 che si pensava di impiegare per la ristrutturazione del San Giovanni, possibile solo quando verrà completato il polo di medicina. «Per non perdere quei soldi - spiega il rettore - abbiamo fatto una proposta alla Regione chiedendo di finalizzare quella somma al completamento del polo scientifico, in modo che tutti i dipartimenti ancora dislocati nell'area urbana vengano unificati a Monserrato, consentendo così di dare un maggior respiro alle facoltà del polo umanistico e giuridico, tra le più sacrificate. Attendiamo con ansia che il progetto venga finanziato». TEMPI Tempi? Tre, forse quattro anni. «Non corriamo - frena Melis - solo se la Regione darà il via libera al finanziamento si potrà cominciare a pensare al progetto, confrontandoci con gli organi competenti, il Senato accademico e le varie facoltà. Ci vorranno 3-4 anni, ma è un progetto importante, che va incontro alle esigenze degli studenti e dei docenti che avendo tutto concentrato in un'unica sede risparmieranno tempo e non verranno sballottati da una parte all'altra». (c. ra.) ________________________________________ Il Sole24Ore 9 ott. ’09 LE 200 UNIVERSITÀ AL TOP. E’ HARVARD LA MIGLIORE DEL MONDO, LE EUROPEE AVANZANO. di Loredana Oliva Quest’anno, per la sesta edizione, nella classifica mondiale delle 200 migliori università al mondo, pubblicata da Time Higher Education e Qs , la partita si gioca tutta tra Usa e Regno Unito e Asia. La prima classificata che rimane salda da cinque anni è Harvard, e la seconda è Cambridge che supera Yale, l’università di Heaven nel New England scende di una posizione rispetto all’anno scorso. Nelle prime 20 posizioni la predominanza resta delle università statunitensi, ma ad avanzare sono le londinesi, e anche Oxford . Ci sono 39 università europee nelle top cento, tre in più dell’anno passato: ETH Zurich, l’università svizzera di Zurigo è la prima tra le europee, guadagna quattro posti e si piazza in 20esima posizione. Tra queste ci sono delle eccellenze in alcuni ambiti, come la migliore in assoluto tra le facoltà d’ingegneria École normale supérieure di Parigi e al numero uno delle università con corsi in scienze sociali London School of Economics. L’unica università italiana rappresentata nelle prime 200 è l’università di Bologna, al 174° posto (era 192esima nel 2008) è 72esima nella classifica delle migliori facoltà di Scienze Economiche e Sociali e 51esima tra quelle di Lettere e Arte. La posizione media delle università italiane nel ranking é scesa da 431 nel 2008 a 441 nel 2009. Tra quelle che hanno migliorato la propria performance dopo Bologna, ci sono il Politecnico di Milano (286) e l’università di Pisa (322). Entro le prime 400 si sono classificate anche La Sapienza (205), l’Università di Padova (312) e di Firenze (377esima, 349esima nel 2008). Ci sono altri 15 atenei italiani tra le 621 che compongono la classifica di quest’anno, che sono posizionate tra le ultime 200, da quota 400 a 600, tra cui la Bocconi (entro le 500), le università, di Roma Tor Vergata, Siena, Trieste, Trento, Torino, Napoli Federico II, che confermano in parte le posizioni del 2008, e poi new entry assolute, anche se in fondo alla classifica l’università di Catania, Genova, Modena e Perugia. La Sapienza é 25esima nella classifica delle migliori facoltà di Scienze Naturali, il Politecnico di Milano é a quota 57 nel ranking delle migliori facoltà di Ingegneria e Tecnologia al mondo, l’Università Commerciale Luigi Bocconi é la 68 nella classifica delle migliori facoltà di Scienze Economiche e Sociali, l’universitá di Bologna é 72 nella classifica delle migliori facoltà al mondo di Scienze Economiche e Sociali e 51 nella classifica delle migliori facoltà di Lettere e Arte. Allontanandoci dai confini italiani, si risale vertiginosamente alla prima parte della classifica, dopo il 20esimo posto, sino a quota 100, dove c’è un gran dinamismo degli Atenei europei, cinesi, giapponesi, australiani, ma anche francesi, inglesi, danesi, neozelandesi, australiani e canadesi. Una citazione a parte merita l’università McGill di Montreal al 18esimo posto. L’analisi di The e Qs mette in evidenza che il significativo calo delle università Nord americane nelle prime cento, l’anno scorso erano 42 quest’anno 36, è un riflesso della presenza crescente e dell’impatto delle istituzioni asiatiche ed europee. Nelle prime cento posizioni ci sono due università asiatiche in più rispetto al passato, e con un’ottima performance. L’University of Tokyo, 22esima è tra le migliori classificate, mentre University of Hong Kong al 24esimo posto era la prima in assoluto nel ranking asiatico dello scorso maggio pubblicato da Job24.it ________________________________________ Crui 8 ott. ’09 DECLEVA: AUTUNNO TEMPO DI CLASSIFICHE 8 ottobre 2009 - Dichiarazione del Presidente CRUI Enrico Decleva Ad ogni inizio d’autunno la classifica del Times Higher Education Supplement arriva puntualmente a ricordarci quanto il sistema universitario italiano sia indietro rispetto agli standard di eccellenza mondiali. E ogni anno è peggio. Forse sarebbe anche il caso di interrogarsi sugli indicatori che producono quella particolare classifica: fatti apposta per valorizzare una particolare tipologia di università. Quella statunitense e anglosassone, assunta come modello anche dai paesi asiatici che stanno ottenendo i risultati più brillanti. Delle 200 università classificate come prime nel mondo, quelle dei paesi europei non di lingua inglese sono in effetti meno di 40, e una sola è italiana. Un risultato di cui tenere conto, ovviamente. Ma è anche vero che altre classifiche internazionali ci danno risultati più favorevoli. Quando prevalgono, tra gli indicatori usati, quelli riferiti alla produzione scientifica, la nostra collocazione è decisamente migliore. Certamente, non occupiamo i primissimi posti. Ma con quello che il Paese investe, e tenuto conto di alcune indubbie criticità o negatività che ci affliggono, sarebbe sorprendente il contrario. Non è un caso che le università europee presenti nella classifica del Times appartengano tutte (con l’eccezione dell’Università di Atene, in classifica poco sotto quella di Bologna, che ha comunque migliorato la sua posizione) a paesi come la Svizzera, la Germania, la Francia, la Svezia, l’Olanda, per non dire del Regno Unito, che considerano, da decenni, l’alta formazione e la ricerca come settori strategici in cui impegnarsi a fondo. Il peggior uso possibile, in Italia di classifiche come quelle del Times sarebbe quello di avvalersene come alibi per non fare nulla o per non fare quanto sarebbe necessario. Lasciando ulteriormente disperdere potenzialità che indubbiamente ci sono, e rilevanti. _________________________________________________________ Corriere della Sera 8 ott. ’09 GELMINI: «LA CLASSIFICA DEL TIMES CONFERMA L'URGENZA DELLA RIFORMA» Il ministro: «L'obiettivo sarà promuovere la qualità, premiare il merito e abolire gli sprechi» MILANO - La classifica del Times «conferma clamorosamente quello che abbiamo sempre sostenuto, cioè che il sistema universitario italiano va riformato con urgenza». Lo afferma il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, riferendosi alla graduatoria, riportata dal Corriere della Sera, che colloca agli ultimi posti gli atenei italiani. TRA GLI ULTIMI - «Siamo agli ultimi posti nelle classifiche mondiali. Per questo motivo - sottolinea - presenteremo a novembre la riforma dell'Università, con l'obiettivo di promuovere la qualità, premiare il merito, abolire gli sprechi e le rendite di posizione. È risibile il tentativo di qualcuno di collegare la bassa qualità dell'Università italiana alla quantità delle risorse erogate. Il problema, come ormai hanno compreso tutti, non è quanto si spende (siamo in linea con la media europea) ma - osserva il ministro - come vengono spese le risorse destinate all'università. Spesso per aprire sedi distaccate non necessarie e corsi di laurea inutili. Tutto questo deve finire. Mi auguro di non dover più vedere in futuro - conclude - la prima università italiana al 174mo posto». DECLEVA (CRUI) - Alla classifica del Times risponde il presidente della Conferenza dei rettori, Enrico Decleva. «Il sistema universitario italiano è indietro», dice. Ma il rettore della Statale di Milano non accetta del tutto il verdetto, stilato su criteri «fatti apposta per valorizzare una particolare tipologia di università», quella statunitense e anglossassone, mentre altre classifiche «ci danno risultati più favorevoli». «Ad ogni inizio d'autunno la classifica arriva puntualmente a ricordarci quanto il sistema universitario italiano sia indietro rispetto agli standard di eccellenza mondiali - afferma -. E ogni anno è peggio». Per Decleva, però, «il peggior uso possibile» in Italia di queste classifiche «sarebbe quello di usarle come alibi per non fare nulla o per non fare quanto sarebbe necessario». Il presidente della Crui chiede però di «interrogarsi sugli indicatori che producono quella particolare classifica», fatti per premiare gli atenei anglosassoni, «assunti come modello anche dai paesi asiatici che stanno ottenendo i risultati più brillanti». Ma nelle classifiche internazionali in cui «prevalgono, tra gli indicatori usati, quelli riferiti alla produzione scientifica, la nostra collocazione è decisamente migliore», conclude Decleva, tenuto conto anche di «quello che il Paese investe» e di «alcune indubbie criticità o negatività che ci affliggono». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 Ott. ‘09 CARA GELMINI ECCO COME FARE UN GOL A PORTA VUOTA di Roberto Perotti Tra le solite mille polemiche riprendono (forse) i concorsi universitari; e fra poco verrà presentato (forse) il disegno di legge per la riforma di governance e reclutamento. Tutti temi di cui si discute da decenni; e finché non si introduce il principio che anche nell'università chi sbaglia paga, per altri decenni se ne discuterà. Ma c'è una riforma che comporta enormi e palesi vantaggi per studenti e famiglie, è semplicissima da applicare, e non costa niente. Attualmente i test di ammissione hanno una struttura semplicemente perversa (l’ho già denunciato sul Sole 24 Ore del 12 settembre): il test di medicina si svolge lo stesso giorno in tutti gli atenei, e benché sia lo stesso in tutta Italia, vale solo nell'università dove è stata sostenuta. Se una studente fallisce in quell'ateneo, non potrà dunque fare il medico, anche se in molti casi il suo punteggio gli avrebbe consentito di essere ammesso in altri istituti. Lo stesso vale per altri corsi con numero chiuso. Ma è ancora peggio di così. Per esempio, il risultato del test di medicina è stato reso noto dopo la scadenza di ingegneria: sappiamo di studenti che hanno fatto il test di medicina ma si sono iscritti, loro malgrado, a ingegneria per non rischiare di rimanere esclusi da entrambi i corsi. Questo é un colossale spreco di talenti, che scoraggia e amareggia gli studenti fin dall'inizio anziché entusiasmarli e motivarli come dovrebbe avvenire. La situazione attuale è così palesemente assurda che non ci dovrebbe nemmeno essere bisogno di una denuncia (e in realtà, dopo la pubblicazione del mio articolo ci sono state simili denunce sul Sole 24 Ore da parte di Andrea Ichina, Ignazio Marino, Alessandro Merli). Eppure la soluzione è di una semplicità disarmante, e non costerebbe assolutamente nulla. Per ogni corso di laurea, il test si deve tenere, come ora, lo stesso giorno in tutti gli atenei, ma ben prima di settembre, diciamo entro il 30 aprile; la graduatoria di ogni test è nazionale. Ogni università ammette chi vuole sulla base di questa graduatoria e, se vuole, di altri criteri. Come funzionerebbe un tale sistema? Entro due settimane un lettore ottico ha scannerizzata le risposte ed esce la graduatoria nazionale (o ancora prima, se il test si fa al computer). Entro fine maggio ogni ateneo manda un'e-mail agli ammessi: «Caro Luigi, ti abbiamo ammesso. Congratulazioni. Per favore facci sapere entro fine giugno se accetti». Se Luigi risponde «Grazie, ma ho deciso di accettare l'ammissione presso un altro ateneo», partono le e-mail del secondo turno a Paola ed Enrico, con scadenza fine luglio, e poi del terzo turno, finché per inizio settembre ogni ateneo ha riempito tutti i posti disponibili (o se i candidati rimasti non sono di suo gradimento, può decidere di non riempire tutti i posti). Oltre a eliminare tutte le assurdità di cui sopra, questo sistema assegna magicamente gli studenti migliori agli atenei migliori, e via scendendo. Gli atenei sono costretti a migliorare l'offerta se vogliono evitare di soccombere lentamente: non hanno più a disposizione un bacino di studenti prigionieri, senza alternative solo perché hanno sostenuto il test in una particolare città. Qualcuno obietterà che un test in aprile interferirebbe con la maturità: ma poiché è nella stessa data per tutti, non favorisce né danneggia nessuno in particolare. Una seconda obiezione è che gli atenei non possono più utilizzare il voto di maturità come criterio di ammissione; in realtà questo è un bene, date le ben note differenze sul significato dei voti di maturità in diverse aree del paese. Di fronte alla follia della situazione attuale, e alla semplicità della soluzione, spicca ancora una volta l'assenza di proposte concrete da parte dei rettori e del ministero. I rettori di Bari, Piemonte Orientale e Tor Vergata hanno cortesemente risposto il 20 settembre su questo giornale, esponendo alcune proposte discusse (ma non approvate) alla Conferenza dei rettori. Purtroppo esse vanno esattamente nella direzione sbagliata. L'istituzione di una banca dati di 10mila domande, da cui ogni anno estrarre a sorte un test differente per ogni studente, ovviamente impedisce di attuare la riforma più importante: la graduatoria nazionale. Se la ratio di questa proposta è di evitare la consueta fuga di notizie, la soluzione è affidare i test alla Ets, l'azienda americana che da decenni amministra con successo i test Sat e Gre in tutto il inondo lo stesso giorno. La maggioranza dei rettori sembra contraria alla graduatoria nazionale anche per la «ristrettezza dei tempi», ma anche qui la soluzione è semplicissima: anticipare il test, come avviene nel resto del mondo. Signora ministro, la Conferenza dei rettori le ha cortesemente offerto su un piatto d'argento la possibilità di tirare un rigore a porta vuota per fare un balzo di popolarità fra gli studenti e le loro famiglie, senza colpo ferire. Prenda lei l'iniziativa; e se, come a volte succede, la sua struttura dovesse essere un po' lenta ad attivarsi, ci pensi lei personalmente, bastano tre righe e due commi: “La graduatoria dei test di ammissione è nazionale” I test devono svolgersi entro il 30 aprile di ogni anno». È veramente così semplice. Non aspetti; quest'anno ormai è perso, ma dall'anno prossimo lei può mettere la parola fine a un enorme, insensato spreco di risorse intellettuali, e dare un segnale concreto agli studenti: l'università italiana ha tutto l'interesse a motivarvi e ad entusiasmarvi, non a punirvi e scoraggianti come avviene ora. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Ott. ‘09 GELMINI: LA RIFORMA IN SALITA DEI TEST DI MEDICINA Gentiie Direttore, la riforma delle modalità di selezione per l'accesso ai test di medicina è un tema dibattuto da qualche anno, il Suo giornale era già intervenuto con proposte concrete nel 2007. L'obiettivo di fondo è chiaro da tempo: consentire agli studenti che conseguono i migliori risultati su base nazionale di accedere alle facoltà. mediche scegliendo quella che preferiscono, senza limitare le loro possibilità a una sola sede (si veda l'articolo a firma Roberto Perotti pubblicato dal Sole 24 Ore il 7 ottobre. ndr). Si tratta di un obiettivo che condivido pienamente e che con me condividono molti rettori. Aggiungo anzi che questo meccanismo andrebbe rapidamente esteso anche all'accesso alle scuole di specializzazione, dove è forse ancora più urgente. Fin dall'anno scorso ho quindi dato mandato ad un'apposita commissione ministeriale di approfondire il tema per elaborare i necessari decreti. Sono però emersi tre problemi di non facile soluzione. Il primo è di natura tecnica. Si tratta infatti di poter somministrare i test via computer, garantendo ovviamente la segretezza e la sicurezza delle prove. Nulla di impossibile, anche se abbiamo a che fare con oltre 40,000 candidati ogni anno. Esiste poi il problema di come esercitare le opzioni sulla sede da parte dei vincitori dei test. Quando il sistema è stato sperimentato per l'accesso a odontoiatria, per esempio, le difficoltà sono state serie. Lo scoglio principale è però di natura giuridica, perché ogni anno le graduatorie sono a rischio a causa dei ricorsi al Tar. Mi è stato notificato questa settimana, per esempio, che il Tar Liguria ha ordinato all'ateneo genovese di convocare una commissione di esperti per riesaminare alcune delle risposte in relazione al test di accesso per l'anno accademico 2008-09- In questi casi il contenzioso è locale. Con una graduatoria unica su base nazionale. invece, un ricorso bloccherebbe di colpo tutti gli aspiranti medici e tutte le facoltà. Mi auguro che sia possibile trovare una soluzione giuridica adeguata per prevenire questa pericolosa eventualità. Ancora una volta però incontriamo difficoltà nell'introdurre riforme di evidente buon senso e correttezza in un contesto in cui il contenzioso amministrativo in materia educativa ha raggiunto proporzioni impensabili fino a pochi anni fa. Purtroppo questo Paese, anche per questi motivi, non riesce a modernizzarsi e a competere a livello internazionale. Ma non bisogna scoraggiarsi, io certo non lo farò-Bisogna avere il coraggio di cambiare. Cordiali saluti Mariastella Gelmini Ministro dell’Isrruzione _____________________________________________________________ Il Riformista 4 Ott. ‘09 VISTO DAL MERCATO IL NUMERO CHIUSO NON FUNZIONA Il numero chiuso è uno strumento appropriato, per selezionare gli studenti universitari? I test di ammissione nella scorse settimane hanno tolto il sonno a buona parte della gioventù italiana. Si tratta di esami in parte basati su domande di cultura generale" (merce sempre più rara in giro, ma non è tutta colpa dei ragazzi), in parte sul tentativo di verificare 1e attitudini dei futuri universitari, in parte sulla necessità di esaminare quanto effettivamente si possiedono conoscenze specifiche che si sarebbero dovute apprendere al liceo. In realtà, i test servono per trebbiare la massa di giovinotti che tentano l'ingresso in una facoltà, con il duplice obiettivo di rendere meno difficoltoso il processo di apprendimento (cui non giovano i grandi numeri) e di "garantire" in qualche maniera l'accesso alla professione, una volta conclusi gli anni di studio. Scrivendo sul Corriere della sera (23 settembre, pagine di Milano), Gabriele Pelissero, professore all'Università di Pavia, ha posto l'attenzione su due evidenti difetti dei "test". Il primo ha a che fare proprio con quest'ultimo obiettivo "protezionistico": la promessa del "diritto al lavoro", che si concreta nella restrizione della possibilità di accesso a un mestiere. Pelissero, che è medico, ricorda giustamente come «fin dal Medioevo, le professioni erano chiuse in loro stesse, i pochi ammessi perlopiù ereditavano l'opportunità da un parente, e questo serviva a mantenere i privilegi di ogni corporazione a danno della comunità e con grande frustrazione di giovani talenti». Se volete, é 1a trama dei "Meistersinger": la tradizione é importante, e in certa misura ha bisogno di luoghi nei quali sia tramandata. Ma l'ottusità delle corporazioni sta nella chiusura preconcetta a ogni deviazione dalla strada segnata, a ogni innovazione. È probabile che le corporazioni effettivamente ottuse si rivelino, dal momento che la loro ragion d'essere sta proprio nel "group thinking" dei loro membri, in una identità condivisa preservata contro tutto e contro tutti. Oggi le cose sono un po' diverse. IL numero chiuso non è che la prima barriera da scavalcare, per entrare nel club. Eppure, esso sottende già una promessa: che ci sarà un "lavoro", e quindi una remunerazione, e quindi un "posto" da qualche parte. Ovviamente, non è assurdo pensare che ci si laurei per ottenere una conoscenza "spendibile" nella società. Tuttavia, in Paesi più meritocratici, la natura d'investimento su sé stessi dell'educazione universitaria è esplicitata in qualcosa di molto diverso e più concreto: tasse universitarie elevate. È normale, per esempio negli Stati Uniti, che ci si indebiti per perseguire un diploma in un ateneo prestigioso, perché si sa che quel diploma può aiutare a raggiungere livelli reddituali più elevati. In Italia, bisognerebbe senz'altro abolire il valore legale del titolo di studio: riforma con cui 1a quasi totalità degli esponenti politici si dichiara d'accordo, ma che non arriva mai a compimento. E aumentare 1e tasse universitarie sarebbe comunque auspicabile. Perché uno dei problemi delle nostre università é che vedono 1e famiglie "parcheggiare" dei ragazzi che, del tutto legittimamente, a vent'anni non hanno ancora 1e idee ben chiare sul loro futuro. Se i parcheggi in città costano di più, uno comincia a chiedersi se valga la pena prendere la macchina. La pretesa virtù del nostro sistema sta nel suo essere accessibile a tutti, indipendentemente dalle famiglie di provenienza. Ci sono altri modi, però, per aiutare chi viene da una famiglia numerosa, facendo "costare" l'università così che ci vada chi effettivamente ritiene che l'istruzione valga un prezzo superiore a quello delle giornate altrimenti passate a bighellonare. Pelissero però richiama 1a nostra attenzione anche su un altro fatto, non di poco conto. Il numero chiuso a medicina, scrive, esiste per via di un presunto «eccesso di medici». Si chiude la professione perché a nessuno manchi il pane. Peccato che «l'eccesso di medici è stato un problema degli scorsi decenni. L'impressione che circola in tanti ospedali è che i medici oggi manchino. Mancano specialisti anestesisti, radiologi, cardiologi, pediatri. Stanno per mancare i chirurghi, gli internisti di una volta sono quasi scomparsi e non é affatto infrequente che bandi di concorso vadano deserti». Qui sta il vero problema dell'uso del numero chiuso come rubinetto per selezionare. I generali combattono sempre le battaglie di ieri: è difficilissimo che gli accessi "accettati" siano poi "quelli giusti". Un saggio pianificatore non può sapere oggi quanti medici serviranno domani. Può fare ipotesi che derivano da quanti medici sono serviti ieri. Ma perché si in contrino davvero domanda e offerta, non serve una corporazione ma un mercato - in cui ci sia libertà di entrata. Questa libertà di entrata diventa un boomerang solamente se una società crede (è purtroppo il caso della nostra) che a un certo "impegno" (in termini di tempo e di anni di studio e di voti presi) debba necessariamente corrispondere un certo "risultato" (un posto di lavoro). Non è così. Il mondo segue regole tutte sue, e 1a vita delle persone é imprevedibile. Nel nostro Paese, resta difficile accettare quell'incertezza che inevitabilmente pervade le nostre vite. Così, ci inventiamo strumenti come il numero chiuso, per ridurla. Peccato che poi i test d'ingresso si rivelino una gigantesca lotteria. Combattere l'incertezza con il caos, ecco il frutto maturo del dirigismo. _____________________________________________________________ Il Messaggero 10 Ott. ‘09 TEST DI MEDICINA CON IL TRUCCO: 128INDAGTI,TRA LORO ANCHE PROF Decolla l'inchiestasulle selezioni a Bari, Foggia, Chietì ed Ancona di GRAZIA RONGO BARI - Sono 128 le persone indagate dalla procura di Bari per i test d'ingresso alla facoltà a numero chiuso di Medicina ed Odontoiatria. Studenti, genitori, docenti e tutor dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione per delinquere, truffa aggravata ai danni dell'università, peculato e rivelazione del segreto d'ufficio. I reati contestati dal pm Francesco Romana Pirrelli fanno riferimento alle prove svolte a Bari nel settembre del 2007. Una seconda indagine coinvolge anche le sedi di Foggia. Chieti, Pescara e .Ancona. La mente della truffa sarebbe il professor Marcantonio Pollice, biologo e insegnante di liceo in pensione. Finito ai domiciliari nel settembre del 2008. attualmente in libertà. Era lui ad organizzare costosissimi corsi di preparazione accedendo ai quali gli studenti, sborsando fino a 6mila euro. erano certi di poter contare sul suo prezioso aiuto. Una volta matricole, avrebbero dovuto sborsare altri soldi, fino a 30mila euro. per poi procedere nel nomale percorso di studi. II sistema però era a prova di asino: chiunque avrebbe potuto superare i test munito di telefonino collegato all'esterno con due centrali operative, una addirittura allestita nella stanza di un professore universitario, all'interno del Policlinico di Bari. Qui lavoravano una serie di titolati suggeritori pronti a fornire la risposta giusta al momento opportuno. Un meccanismo ineccepibile che però non avrebbe funzionato alla perfezione senza la complicità di genitori o parenti. Pur di vedere i propri figli col camice bianco, erano pronti ad iscriversi alla prova d'ammissione per sedersi tra i banchi ed uscire. poco dopo, con i famigerati test sotto il braccio, pronti a sottoporli al gruppo di lavoro. Tra gli indagati ci sono Maurizio Procaccini, direttore dell'istituto di scienze odontostomatologiche e presidente del corso di laurea di odontoiatria dell'università di Ancona, il suo collega di facoltà Matteo Piemontese e Cosima Schiavone dell'università di Chieti -Pescara. I docenti dell'università di Bari indagati sono il ginecologo Giuseppe Vaicaccio Garofalo e suo figlio Mario. Dalla prima inchiesta, quella che vede come imputato principale il professor Pollice, i finanzieri sono risaliti ad un'altra organizzazione parallela, con base ad Altamura, nell'appartamento di m assessore comunale, dimessosi dopo lo scandalo. In questo caso gli aiutini arrivavano fino Foggia, Napoli e Verona, una ventina gli indagati. Dopo i test truccati, l'Università di Bari ha adottato misure a prova di furbetti. Le prove adesso si svolgono in aule schermate, gli ingressi sono dotati di metal detector e i ragazzi devono riporre i propri effetti personali in bustine trasparenti da lasciare all'ingresso. Il tutto sotto l'occhio vigile delle forze dell'ordine. _____________________________________________________________ Il Messaggero 10 Ott. ‘09 TRE NOBEL E SEICENTO DOCENTI: «ABOLITE IL NUMERO CHIUSO» di CARLA MASSI ROMA -Oltre mille intellettuali dico "no " al numero chiuso nelle università. Un "no" che diventato una lettera inviata alle più alte cariche dello Stato, dal presidente della Repubblica ad una lunga schiera di ministri. Tra i firmatari, tre premi Nobel: Rita Levi Montalcina, Dario Fo e Louis J.Zgnarro che ha avuto il riconoscimento per la Medicina. A fare la raccolta delle firme e il passaparola è stato il "Progetto nazionale prometeo", un sito di riferimento per professori e studenti universitari. Una sola proposta: rivedere il numero chiuso perché, si legge nel protocollo, «non è meritocratico, anzi è socialmente discrin7inante e non premia i migliori». Dalla proposta alla denuncia: «Il numero chiuso è sostenuto da interessi economici e di potere che nulla hanno a che .fare con l'istruzione e la preparazione degli studenti» Nel lungo elenco di coloro che vorrebbero il ritorno al libero accesso universitario anche seicento docenti universitari. C'è Margherita Hack, c'è Massimo Cacciari ma anche Gabriele Lavia, Franco Battiato, il poeta Valerio Alagrell i e lo scrittore Guido Cenonetti. Un gruppone silenzioso che ha messo giù una vera e propria contro riforma in grado, se applicata, di sovvertire le regole in tutte le università. IL manifesto sto" non solo chiede l'ingresso libero negli atenei ma dà una diversa lettura alla scelta del numero chiuso. Non solo, secondogliil7tellettzrali; uno strura7ento per contingentare i laureati. Anzi, dicono che «si sia facendo abusa anche in facoltà non previste dalla legge, laddove scarseggiano i messi per fronteggiare le richieste». Un discorso a parte viene fatto per Medicina dove il numero chiuso è stato introdotto da oltre un decennio. I firmatari ribattono: «In realtà si assiste una rapida e progressi va carenza d i medici che ha allarmato tutte le sigle di categoria egli stessi atenei. Si parla già di dover importare i camici bianchi dall’estero». In realtà il contingentamento, proprio quest’anno, ha tenuto a bada il boom di richieste proprio per Medicina. Un'esagerazione nonostante le disponibilità siano salite di un dieci per cento. Un esempio è Roma. Quest'anno si sono contale 13.734 domande a fronte di 1264 posti. A Tor Vergata è entrato un candidato su 13, alla Cattolica uno ogni 19, alla Sapienza uno ogni sette. Oltre Medicina hanno il numero chiuso anche Odontoiatria, Veterinaria, Architettura e Scienze della formazione primaria. E intanto la Sapienza ha l'obiettivo di mettere test d'ingresso per tutti. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Ott. ‘09 ORDINARI E ASSOCIATI «OCCUPANO» I CONCORSI L'80% dei posti è destinato a chi è già di ruolo, ma con le nuove regole ci vorranno anni per assorbirli DI Gianni Trovati Si rimette in moto il pachiderma dei concorsi per i professori universitari, ma i numeri mostrano che c'è un problema: nei bandi 2008 più di tre posti ogni quattro sono dedicati a ordinari e associati, che i vincoli legati al turn over e le regole di reclutamento rendono difficili da assorbire. Per i ricercatori, invece, i bandi sono diventati assai meno generosi e il futuro riserva più di un rischio. Ma andiamo con ordine. Il meccanismo dei reclutamento accademico si è rimesso in moto perché il ministero ha fissato il calendario elettorale per formare gli elenchi di papabili tra cui sorteggiare i commissari d'esame delle diverse discipline almeno per la prima sessione dei concorsi z008 (ne parla l'articolo qui sotto). Intanto sia il premier Berlusconi sia il ministro dell'Università Mariastella Gelmini hanno rilanciato nuovamente il disegno di legge per la riforma di governance e reclutamento, che dopo una lunga gestazione dovrebbe arrivare in consiglio dei ministri nelle prossime settimane. Fra le altre cose, la nuova riforma dovrebbe favorire il reclutamento di nuovi ricercatori, prevedendo che gli atenei aprano a loro le porte con frequenza nettamente maggiore rispetto a ordinari e associati. I dettagli si vedranno con il nuovo testo che arriverà sul tavolo del governo, ma prima c'è da risolvere il rebus dei numeri "monstre" contenuti nei concorsi banditi dell'anno scorso, ancora tutti da effettuare. Nel 2008 le università hanno bandito 2.621 posti (quasi tutti nella prima sessione, quella interessata dal primo sblocco), che in 2.018 casi (il 77%) riguardano promozioni a ordinario o associato. Qui arriva il primo problema: l'anno prossimo, quando (se tutto va bene) i concorsi potranno partire davvero, le università potranno spendere solo la metà delle risorse liberate dai pensionamenti, destinandone il 60% ai ricercatori, il 30% agli associati e il zo°i° agli ordinari. Da Verona a Bergamo, da Siena a Brescia, dal Politecnico di Torino a quello di Bari, 15 università sono però a secco di ricercatori in attesa, altre 1.4 dedicano alle nuove leve meno di un posto su io e solo 14 hanno destinato alle promozioni di chi è già di ruolo meno della metà dei posti banditi. In pratica solo queste ultime potranno assorbire tutti i posti messi a concorso, purché il loro turn over sia abbastanza generoso, mentre nella maggioranza degli atenei per accogliere gli ordinari e associati "promessi" ci vorranno anni. A rendere il nodo ancora più intricato c'è il trucchetto del «doppio idoneo», reintrodotto fanno scorso; che fino alla prima sessione z008 ha permesso agli atenei di creare due ordinario associati per ogni posto bandito: se tutti volessero applicarli, la quota di ricercatori in pratica si dimezzerebbe. Per riaprire la strada ai giovani il Ddl Gelmini dovrebbe introdurre nuove norme "di favore", in due modi: secondo le bozze circolate in questi mesi, il reclutamento dei ricercatori dovrebbe avvenire tre volte l'anno, contro la cadenza annuale pensata per gli altri ruoli, e le università dovrebbero assicurare una «intensificazione progressiva» delle assunzioni di nuovi giovani. Se il futuro promette un occhio di riguardo, però, il presente è più avaro. Il cofinanziamento statale per i posti da ricercatore, per esempio, è in stand by, perché mentre i tempi lunghi dei concorsi mettono a rischio i fondi z008 ancora deve arrivare al traguardo il provvedimento che sblocca gli 8o milioni di dote per il 2009. L'emendamento ministeriale è collegato al Ddl delega sui lavori usuranti, fermo in Parlamento da oltre un anno, ma per evitare che i fondi ritornino al ministero dell'Economia l'assegnazione deve avvenire entro fine 2009. gianni.trovati@ilsole4ore.com PROSPETTIVE I vincoli del turn over limitano le assunzioni mentre la riforma Gelmini prova ad aumentare lo spazio per i ricercatori I temi chiave I punti principali del disegno di legge sulla governance universitaria Il disegno di legge su governance e reclutamento dovrebbe cuncretizzarsi nelle prossime settimane RAZIONALIZZAZIONE Previsti tetti massimi per la composizione dei senati accademici (l'ipotesi è di consentire al massimo 35 membri nelle università maggiori)e dei consigli di amministrazione APERTURA ALL’ETERNO Il disegno di legge fisserà un tetto alle promozioni dei docenti interni in rapporto al totale delle assunzioni. Un'ipotesi è quella di prevedere che le promozioni non possano essere più del 50% dei totale SPINTA AI RICERCATORI Si dovrà prevedere una «intensificazione progressiva» nel reclutamento di nuovi ricercatori. I concorsi da ricercatore dovrebbero essere effettuati tre volte l'anno, gli altri saranno annuali ABILITAZIONE NAZIONALE Per evitare le combine dei concorsi locali il progetto di riforma prevede un'abilitazione nazionale per l'accesso ai ruoli docenti. L'abilitazione dovrà essere rinnovata ogni quattro anni RETTORI A TEMPO La riforma introduce un tetto massimo inderogabile ai mandati dei rettori, che potranno rimanere in carica per due mandati quadriennali o per un mandato unico da sette anni _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Ott. ‘09 «BOCCIATI» I CONCORSI UNIVERSITARI Il ministro Gelmini: gli atenei hanno previsto procedure escluse dalla riforma Stop ai bandi da ricercatore che non seguono 1e nuove regole Gianni Trovati MILANO Cari rettori, così non va. Io faccio le riforme, ma il modo in cui (non) le applicate «mette in dubbio agli occhi dell'opinione pubblica la reale affidabilità del sistema universitaria». Il tutto «in un momento difficile di cambiamento» che non può andare avanti se gli atenei non garantiscono «standard impeccabili di serietà». L'atto di accusa è arrivato sulla scrivania dei rettori martedì e porta la firma del ministro Mariastella Gelimini. Motivo della lettera, e della prosa che evita le diplomazie del linguaggio ministeriale, sono i bandi di concorso per ricercatori che eludono, e qualche volta ignorano, lo spirito e la lettera della riforma introdotta in nome della trasparenza con il decreto Gelmini del novembre scorso. Per evitare i trucchi e basare gli esiti dei concorsi sulla qualità degli aspiranti ricercatori anziché sulle loro "sponsorizzazioni", le nuove regole impongono che le commissioni (da sorteggiare, come in tutti i concorsi new style) giudichino solo curricula e titoli, senza colloqui orali o discussioni soggette a valutazione. Il battesimo, però, non è stato fortunato. A fine agosto un monitoraggio condotto dall'associazione dei precari della ricerca italiani (Apri) e dal Sole dimostrava che un concorso su due aggirava la riforma, "dimenticando" che i commissari vanno sorteggiati e non nominati n prevedendo prove scritte e orali: «In modo palesemente illegittimo», sottolinea il ministro, che promette di annullare d'imperio i concorsi fuori regola. In tanti, poi, da Camerino a Palermo, dal Politecnico di Milano a Sassari, hanno introdotto nei bandi un limite alle pubblicazioni. Non un limite minimo, come sarebbe ovvio in una gara che si gioca sull'importanza dei titoli, ma un tetto massimo: a Camerino e Cassino> per esempio, impossibile presentare più di cinque titoli, a Roma Tre la media viaggiava intorno agli otto mentre al Politecnico di Milano in qualche concorso lo stop arriva alla terza pubblicazione. La ripresa autunnale non ha cambiato le cose: il Politecnico dì Bari ha centrato il nuovo record nazionale fissando il limite a due titoli, a Brescia hanno lanciato 13 concorsi di cui io con il tetto, a Teramo hanno infilato nel ban do prove scritte e orali. Il limite alle pubblicazioni non è vietato dalla legge, grazie a un cavillo che lo stesso ministro intende abolire (c'è un emendamento governativo, che però è collegato al Ddl sui lavori usuranti fermo in Parlamento da più di un anno). Questi limiti, riconosce la Gelmini nella parte più tenera del j'accuse, possono nascere «da motivazioni in astratto ragionevoli» (facilitare i giudizi evitando di sommergere i commissari di pubblicazioni)> «ma l’esperienza induce a ritenere che la prassi non sia consigliabile». Nelle settimane scorse, poi, i ricercatori precari sono tornati all'attacco sui concorsi per posti a tempo determinato, che grazie a un emendamento della maggioranza non seguono le nuove regole e spesso sembrano banditi su misura per il vincitore. Anche qui Gelmini chiede ai rettori «la massima trasparenza e correttezza», prevedendo la pubblicazione dei bandi in Internet almeno w1 mese prima della chiusura dei termini (anche il sito del Miur ora pubblicherà i bandi). L'associazione dei precari incassa la vittoria, ma rilancia: «Chiediamo al ministro spiegano di andare fino in fondo, e di sbloccare per decreto i fondi del reclutamento straordinario 2009, abolire per legge il limite massimo di pubblicazioni e introdurre una graduatoria numerica». TITOLI SENZA LIMITI Condannata anche !a prassi di introdurre tetti alle pubblicazioni finora seguita in circa il 40% dei concorsi _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Ott. ‘09 COMMISSIONI D'ESAME A CORTO DI COMMISSARI Il puzzle del sorteggio deve fare i conti con i molti settori disciplinari A un anno dal decreto che le ha introdotte, e a due dai bandi dei concorsi che dovrebbero giudicare, le commissioni a sorteggio previste dalla riforma Gelmini per tagliare i trucchi e gli accordi locali provano a partire. Il meccanismo non è semplice, e prevede due fasi: prima tutti i docenti dovranno eleggere le liste dei papabili nel loro settore, e poi verrà il momento dei sorteggi. Il ministero ha fissato il calendario per il primo capitolo della procedura, che per ora riguarda solo i concorsi banditi nel primo semestre del a008, chiamando al voto i docenti dal 9 al 16 dicembre prossimi. «Allo scrutinio del 17 dicembre - prosegue ottimista il decreto ministeriale -faranno seguito le operazioni di sorteggio». La realtà però non è così automatica, e deve fare i conti con il dedalo dei settori scientifico disciplinari (sono quasi 400) in cui è frantumata l'accademia italiana, che spesso ospitano al loro interno una manciata di docenti. In molti casi il numero dei sorteggiabili rischia di essere surclassato da quello dei concorsi banditi, con la conseguenza ovvia di bloccare il meccanismo. Nella prima scrematura ministeriale, che ha riguardato solo le aree del tutto sguarnite di docenti, sono cadute sette "materie" (dalle scienze infermieristiche al neogreco e ai metodi dell'archeologia), ma i settori a rischio sono decisamente più numerosi. Tutto dipende dai comportamenti elettorali: se le preferenze dei docenti si spalmeranno su tutta la lista (ad esempio se molti voteranno per se stessi, come si comincia a ipotizzare) aumenteranno le chance di coprire i concorsi banditi, altrimenti occorrerà riprovare. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 Ott. ‘09 LA RICERCA DEI GIOVANI PUÒ ATTENDERE Il programma ministeriale scomparso Immaginate di puntare a una roulette dove la pallina non si ferma mai e nemmeno il croupier sembra avere la minima idea di quando potrà indicare il numero vincente. Devono sentirsi così i circa 10mila giovani ricercatori, in buona parte precari, che a inizio anno hanno presentato i progetti per partecipare al programma ministeriale «Futuro in ricerca». Un «Futuro», par di capire, abbastanza lontano, come mostra un rapido sguardo alle date: i progetti sono stati inviati al ministero dell'università entro il28 febbraio, ed entro il26 agosto (18o giorni dal termine di presentazione) avrebbero dovuto essere resi noti i risultati. L'estate, però, è passata in silenzio, e anche la ripresa autunnale non è stata più loquace: l'Apri, l'associazione che riunisce i precari italiani della ricerca, ha bussato alle porte del ministero per chiedere che almeno si avvisassero i partecipanti dell'allungamento del calendario, si è sentita rispondere ché «là comunicazione sarà emanata appena possibile». Punto. Risultati migliori non ha prodotto, almeno per ora, la protesta dei dottorandi, rilanciata sul Messaggero di giovedì scorso. In coda ci sono 3.792 progetti, elaborati appunto da almeno 10mila ricercatori, ma saranno una sessantina (l’1,6%) a ricevere (prima o poi) il contributo ministeriale, visto che la dote ministeriale è di So milioni e il contributo richiesto viaggia poco sotto gli 800mila euro. In lista d'attesa, però, ci sono anche gli atenei che dovrebbero "ospitare"i progetti, e che a conti fatti sono i beneficiari più diretti dei fondi ministeriali. Il meccanismo del cofinanziamento previsto dal bando non è infatti paritario. Per i ricercatori più giovani (la cosiddetta "linea i" del programma, destinata a dottori di ricerca precari fino a 32 anni di età) l'assegno è tutto a carico del ministero, mentre per la "linea 2" (docenti o ricercatori di ruolo che abbiano meno di 39 anni) il carico si divide in due. Il ministero dà (agli atenei, non ai ricercatori) il 70%, e le università mettono il resto; non in contanti, però, ma in termini di tempo (tecnicamente l'unità di misura sono le in giornate/uomo) messo a disposizione dai docenti dell'ateneo per seguire il progetto. Una formula vantaggiosa, che potrebbe anche dare una mano ai conti degli atenei più attivi. Tutto il meccanismo, però, si é inceppato sulla valutazione: sarà stato il super-lavoro per scrivere la classifica degli atenei "virtuosi", il maste rmind da risolvere per far partire le nuove commissioni di concorso o la riorganizzazione degli uffici ministeriali, fatto sta che le procedure di nomina della commissione sono partite a metà settembre. «Se tutto va bene -spiegano dall’Apri - i risultati potrebbero arrivare a fine anno, e la presa in servizio nell'autunno 2010, cioè quasi due anni dopo il bando. Un tempo troppo lungo per un giovane precario, che in due anni può aver maturato altri progetti o aver deciso di abbandonare definitivamente la ricerca». Senza contare che un iter così zoppicante offre ottimi argomenti per una grande passione dei concorsi italiani: il ricorso al Tar. _______________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 9 ott. ’09 QUEI CONCORSI CHE SNOBBANO LE LAUREE BREVI di LUIGI COVATTA difficile essere imparziali nella disputa sul «3+2» che oppone la Gelmini a Berlinguer. Eppure hanno ragione entrambi: il ministro quando denuncia l'abnorme incremento dei corsi di laurea (3.214 contro i 2.444 del 2000) e degli insegnamenti (180.001 contro i l6.182); l'ex ministro quando nega il nesso fra il «3+2» e la bulimia didattica, e rivendica l'incremento del numero dei laureati (293.000 contro 172.000) nonché l'allineamento del nostro ordinamento a quello del resto d'Europa. Infatti se ora 3.214 corsi e 180.001 insegnamenti sono troppi, i 2.444 corsi e i 116.182 insegnamenti del 2000 non erano pochi. Gli insegnamenti, del resto, erano troppi anche negli anni '80, quando erano «solo» 10.000, e i baroni bloccarono un tentativo di razionalizzazione tirando in ballo addirittura l'articolo 33 della Costituzione. Se non altro per contrappasso, quindi, è giusto che ora baroni e baronetti lavorino di più, come vuole la Gelmini, e che non governino da soli gli atenei, come suggerisce Berlinguer. Sarebbe giusto anche valorizzare meglio le lauree brevi. Che poi perfino la pubblica amministrazione ignori il nuovo ordinamento e per i concorsi pretenda lauree magistrali è questione che riguarda il nostro bizzarro «genius loci», da cui nascono mani destre che non sanno quello che fanno le mani sinistre. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore t Ott. ‘09 I RICERCATORI PREFERISCONO LE AZIENDE ALL'UNIVERSITÀ Formazione. Al Politecnico di Milano progetto di placement per i dottorandi Con il piano Ph.D executive laboratori aperti ai dipendenti Antonietta Demurtas Si sono laureati e hanno deciso di continuare a studiare. Tre anni di dottorato per sviluppare un progetto, sperimentare, fare ricerca. Con la speranza di entrare a pieno titolo nel mondo accademico o in quello aziendale. Per aiutarli in questo passaggio il Politecnico di Milano ha deciso di favorirne i contatti con il mondo dell'impresa. Il primo passo è stata una giornata a loro dedicata lo scorso 30: oltre 7o Ph.D hanno incontrato i responsabili del recruitment di società come Alcatel-Lucent, Altran, Bames, Foster Wheeler, Novartis, Techint. Un primo passo con l'obiettivo di creare un canale stabile. «La crisi ha aumentato l'esigenza di fare ricerca e sviluppo. Le azien de vengono da noi in cerca di talenti e ci aiutano a sostenere i progetti di molti dottorandi», spiega Enrico Zio, direttore della Scuola di dottorato di ricerca del Politecnico, dove ogni anno circa 23o dottorandi ottengono il diploma e 800 nuovi iscritti, provenienti da tutto il mondo, cominciano un percorso formativo triennale in ambito ingegneristico, architettonico e del design. «Senza idee innovative e persone capaci è difficile competere con le grandi aziende, che hanno spesso risorse illimitate - dice Marco Butta, amministratore delegato del gruppo Bames, che si occupa di progettazione, sviluppo e produzione di apparecchiature elettroniche - per questo il contatto con l'università è fondamentale. l dottori specializzati in energia fotovoltaica ad esempio sono pochi, noi li cerchiamo attraverso il nostro network industriale e universitario». Bames nel 2008 ha iniziato ad assumere ricercatori come Alessandro Bailini, 30 anni, una laurea in ingegneria nucleare e un Ph.D in ingegneria materiale con specializzazione in nanotecnologie: «Mi avevano conosciuto durante un career day e dopo tre mesi dal mio diploma, mi hanno assunto per lavorare a un progetto sul fotovoltaico». Baznes nel 2009 ha aderito anche al progetto del Politecnico "Ph.D eaecutive", che consiste nel permettere a un dipendente della propria azienda di fare un dottorato di ricerca all'università. Nel 2010, saranno 22 i dipendenti-dottorandi che seguiranno per quattro anni un percorso di formazione e sviluppo della ricerca finanziato dalle loro aziende. Perché assumere un Ph.D? «Hanno una formazione tecnica superiore e una forma mentis che è difficile acquisire in azienda - racconta Butta - Oggi servono competenze specifiche anche nei quadri manageriali. L'era della tuttologia è finita. Vogliamo persone competenti, non generaliste e il Ph.D è il seme di una nuova dirigenza tecnica». Ma per formarli sono necessari finanziamenti. «Dobbiamo dare retribuzioni adeguate perché non scappino a fare ricerca altrove – commenta Zio- mille euro al mese non è certo uno stipendio competitivo». Secondo i dati del Politecnico, oggi il 50% dei dottorati finiscono in azienda, solo un terzo rimane nel circuito universitario e il restante 20% va all'estero, Ecco allora che per farli restare in Italia il contatto con il mondo produttivo diventa necessario: nel 2009 la scuola dì dottorato del Politecnco ha ricevuto 7o borse di studio esterne offerte dalle aziende per seguire progetti di ricerca legati alle loro attività specifiche o anche solo a un'area di interesse. Il 50% in più rispetto all'anno scorso. «Se in Italia sino ad oggi le piccole medie imprese non hanno saputo comunicare con il mondo accademico, l'università, a sua volta, si è chiusa in se stessa, gelosa delle sue eccellenze. Ma questo finalmente sta cambiando. I lavori tradizionali saranno sempre meno e chi lavora in fabbrica dovrà stare a stretto contatto con chi lavora in laboratorio», auspica Luciano Martucci, consigliere incaricato per l'Innovazione e la ricerca di Assolombazda. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 Ott. ‘09 NEI MASTER INTERNAZIONALI VINCE LA RETE DI UNIVERSITÀ Classifica Ft. Primo il Cems, di cui fa parte !'università Bocconi Cristina Casadei MILANO Il Cems svetta in cima alla classifica dei Masters in management del 2009 del Financial Times. E grazie all'appartenenza al gruppo dei fondatori del consorzio, oggi formato da 23 università di tutto il mondo, la Bocconi di Milano guadagna un nuovo primato, frutto di un lungo lavoro e di una sfida ambiziosa. «Dieci anni fa, quando non avevamo una presenza significativa 5u1 piano internazionale, l'ateneo decise di puntare sull'internazionalizzazione come uno dei risultati strategici da intraprendere -- ricorda il rettore dell'ateneo milanese, Guido Tabellini -. I risultati si sono visti in poco tempo. Sono aumentati i docenti di altri paesi, così come gli studenti al punto che siamo diventati un punto di riferimento per i talenti di tutto il mondo». La dimostrazione arriva da quello che Tabellini definisce un aneddoto. «Due dei più bravi economisti del mondo, uno è francese e l’altro insegna ad Harvard - racconta il rettore - hanno deciso di mandare le loro figlie a studiare in Bocconi. Tra chi é meglio informato il nostro ateneo ha ormai acquisito una fama mondiale per la qualità dei corsi e dell'insegnamento». Per i master in management la business school italiana finisce in testa alla classifica del Financial Times, con il merito di essere tra i fondatori del Cems: «Venti anni fa per iniziativa di quattro atenei tra cui il nostro l’Fsade di Barcellona, Hec di Parigi e Lovanio nacque un club con l'obiettivo di creare un programma che gli studenti potessero frequentare in parallelo ai loro corsi universitari, sviluppando un carico di lavoro addizionale», racconta Stefano Caselli, direttore accademico Cems dell'Università Bocconi. Nato come sfida per lanciare un percorso internazionale, col tempo ha guadagnato l'attenzione di multinazionali, università europee e non, e soprattutto di molti studenti. Così oggi le università del Cems «sono diventate 23 e c'è una lunga coda d'attesa di atenei che vorrebbero entrare a fare parte del consorzio. Da europeo il consorzio è diventato mondiale: ci sono università statunitensi, canadesi e sudamericane che vorrebbero entrare-assicura Caselli -, La selezione però sarà durissima perché un errore sulla scelta di un nuovo membro potrebbe provocare dei grossi danni. Gli studenti che partecipano al programma sono molto esigenti e gli atenei devono dimostrare di avere una struttura in grado di accoglierli e un livello didattico molto alto». «Vorremmo aumentare la presenza soprattutto degli Stati Uniti -aggiunge Tabellini-, ma per ragioni di difficoltà di coordinamento con il "tre più due" del nostro sistema universitario non è facile. L'espansione geografica però non sarà mai fatta a scapito della qualità», assicura il rettore. Gli studenti che ogni anno partecipano al master sono 900. «Vengono selezionati in base al voto dì laurea che deve essere superiore a 105, alla conoscenza top level di almeno 3 lingue e alle esperienze internazionali che hanno nel curriculum», spiega Caselli. Li aspettano 6 mesi di studio in uno degli atenei che fanno parte del consorzio di cui vengono monitorati continuamente corsi e docenti in modo da garantire un livello molto alto. E al termine io settimane di stage in una multinazionale. «Quello che ci distingue dagli altri master, oltre al livello dei corsi, è proprio la rete di aziende in cui i nostri studenti hanno la possibilità di fare stage -osserva Caselli-. Molti master universitari li prevedono ma poi spesso non garantiscono esperienze in grandi società ad alti livelli. Chi segue il nostro programma ha invece anche questa garanzia in più». Classifica Cems * Hec Paris (Francia) Escp Europe (Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Italia) London School of Economics and Political Science (Regno Unito) Essec Business School (Francia) Eml.yon Business School (Francia) Grenoble Graduate School of Business (Francia) Mannheim Business School (Germania) Esade Business School (Spagna) Rotterdam School of Management, Erasmus University (Olanda) (*) Consorzio fondato 20 anni fa da Bocconi, Università di Lovanio, Esade di Barcellona e Hec Parigi ___________________________________________________ La Repubblica 8 ott. ’09 GELMINI: SCUOLE SPORCHE? A PULIRE CI PENSINO I BIDELLI Il ministro: niente appalti, stop agli sperperi MARIO REGGIO ROMA — «Sono contraria al fatto che i bidelli non puliscano le scuole e si appaltino le pulizie all’esterno. È uno spreco di risorse pubbliche. Abbiamo un sistema d’istruzione nel quale vanno individuati gli sprechi e le sacche di inefficienza». Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini invita a non ricorrere a costosi appalti ma a utilizzare il personale degli istituti per le pulizie. Chiama in causa i collaboratori scolastici per garantire il decoro degli istituti e lo dice facendo il punto dell’apertura dell’anno scolastico nel corso dell’audizione in Commissione Cultura della Camera. Gelmini attacca: «Ci sono dirigenti scolastici che sanno fare il proprio mestiere, e quindi anche garantire scuole pulite, e altri che non sono capaci». Così annuncia: «È arrivato il momento di affrontare il tema del reclutamento e della valutazione per vedere chi vale e chi non vale». Il bidello all’interno delle scuola per anni è stato una figura di riferimento per gli alunni. Talvolta bistrattato, nelle scuole statali sono 10.028, ciascuno con un costo stimato di circa 23.500 l’anno, anche se ricorda un rapporto della rivista Tuttoscuola molte primarie da tempo non si avvalgono quasi più dei collaboratori scolastici perché i servizi di pulizia sono appaltati a ditte esterne con costi aggiuntivi. A questo si aggiungono i tagli di personale del nuovo anno scolastico. Nella stessa audizione la Gelmini parla anche di iscrizioni alle scuole superiori posticipate a febbraio, annuncia sanzioni per gli istituti che non hanno rispettato l’ordine, contenuto in una circolare del ministero della Pubblica Istruzione, e del minuto di silenzio per la morte dei militari italiani a Kabul. E sulle classi sovraffollate: «Quelle con più di 30 studenti sono cresciute, ma solo dello 0,6 per cento». Ma perché l’iscrizione alle superiori slitta al febbraio 2010? Secondo il ministro Gelmini: «faremo di tutto perché la riforma entri in vigore nel prossimo anno scolastico anche se il ritardo parte dalla Conferenza Stato-Regioni che non ha ancora espresso il suo parere ». Replica immediata del presidente della Conferenza dei governatori: «Siamo pronti a dare il nostro parere — dichiara Vasco Errani — ma tocca al governo sbloccare lo stallo istituzionale che non dipende di certo dalla volontà delle Regioni». ___________________________________________________ La Repubblica 6 ott. ’09 STATALI, RIFORMA-BRUNETTA AL VIA Stipendi in base al merito, fannulloni licenziabili e multe ai manager inefficienti LUCA IEZZI ROMA — I decreti attuativi delle riforma-Brunetta sulla meritocrazia nella pubblica amministrazione dovrebbero ottenere il via libera nel prossimo Consiglio dei ministri di venerdì. Lo ha annunciato lo stesso ministro della Funzione pubblica al termine dell’incontro di ieri con le parti sociali per presentare il testo del decreto legislativo: «Riproduce al 98% lo stesso testo varato inizialmente dal governo — ha specificato il ministro — per il resto abbiamo recepito i miglioramenti e i perfezionamenti richiesti dalle Camere». Secondo Brunetta le reazioni da parte delle parti sociali sono state «in gran parte positive. L’incontro è stato costruttivo soprattutto su un punto: dopo l’approvazione e la pubblicazione, si avvia una fase di sperimentazione di due anni che richiederà la partecipazione di tutti per verificare il buon funzionamento delle norme», tanto da essere disposto a «rendiconti semestrali sullo stato di attuazione della legge». La rivoluzione promessa dalla riforma prevede sanzioni dure (sospensioni dal servizio, taglio dello stipendio, fino al licenziamento) per i dipendenti indisciplinati, assenteisti e fannulloni e un regime più duro anche per i dirigenti che permettono condotte dannose per la pubblica amministrazione. Molto attesa invece la rimodulazione degli stipendi in base alla produttività effettiva. La forbice sarà tra il 7% e il 20% da aggiungere o sottrarre alla retribuzione totale, quota che dovrebbe salire fino al 30% nel corso degli anni. Le risorse per valorizzare il merito sono state reperite, i risparmi vengono dal taglio dei premi ai manager inefficienti. I dipendenti saranno divisi in tre fasce di merito anche se negli enti locali e nella sanità i meccanismi potranno essere diversi. Nascerà anche un’Autorità incaricata di valutare l’efficienza e la trasparenza della pubblica amministrazione, Brunetta ha detto che «sarà un’agenzia che avrà tutte le caratteristiche di un’ Authority indipendente e di stampo europeo. I suoi membri saranno nominati dal Parlamento con una maggioranza dei due terzi». Una «forte condivisione» è arrivata da Confindustria mentre i sindacati hanno sottolineato come il successo delle riforma dipenderà anche dalle risorse messe a disposizione, a cominciare dal prossimo rinnovo contrattuale. «Si passa da un sistema di contrattazione a uno basato sulla legge e l’amministrazione» commenta il segretario funzione pubblica della Cgil, Michele Gentile. «Solo la contrattazione è lo spartiacque tra una riforma che funzioni e una che fallisce» gli ha fatto eco il segretario confederale Cisl, Gianni Baratta. Per Paolo Pirani della Uil: «Il testo è migliorato, ma va rafforzata la dinamica contrattuale», Sergio Varesi dell’Ugl chiede di «accompagnare la rimodulazione facendo in modo che il rinnovo del contratto sia dignitoso e rispettoso dei tempi, altrimenti le proposte restano aleatorie». _____________________________________________________________ Il Manifesto 11 Ott. ‘09 METTI DELL'UTRI ALL'UNIVERSITÀ... Metti che ti iscrivi all'Università. Metti che scegli la facoltà di Lettere. Metti che siccome hai visto il Presidente del Consiglio magnificare le casette dei terremotati e dire come fosse Aiazzone in persona: «È tutto di design!», ti sei entusiasmato. Metti che hai un po' di soldi per iscriverti a una bella università privata telematica (wow! moderno!). Magari un'università come eCampus, che ha mesi e mesi di tradizione (fondata a Novedrate, Como, nel lontano 2006!). E insomma, metti che sei deciso a scegliere la facoltà di Lettere, indirizzo Design e Discipline della Moda. Bene. E già che ci sei, mettici pure questo: chi ti capita come docente di storia contemporanea? Marcello Dell'Utri! Certo che non ti fai mancare niente, eh! Metti che sei ottimista di natura. Penserai: ah, che bizzarro caso di omonimia! Il mio professore di storia contemporanea non può essere lo stesso Dell'Utri che dichiarava: «I libri di storia, ancora oggi condizionati dalla retorica della resistenza, saranno revisionati, se dovessimo vincere le elezioni» (aprile 2008). Andiamo, il mio prof di storia contemporanea non può essere lo stesso Dell'Utri che se ne va in giro a leggere falsi diari di Mussolini per il sollucchero di fascistelli fighetto-oriented. E soprattutto, ti dirai: il mio prof di storia contemporanea Marcello Dell'Utri ha tra gli obiettivi del suo corso «capacità di interpretare il materiale documentario». E quindi non può essere lo stesso Dell'Utri che dichiara dei falsi diari di Mussolini: «Autentici o falsi, a noi non ce ne frega niente» (settembre 2009). Comunque, per prudenza, controlli sul sito della tua università: pure il prof Dell'Utri è senatore come quell'altro Dell'Utri. Pure il prof Dell'Utri è bibliofilo, come quell'altro Dell'Utri. Ma della condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa non si dice. Visto? Un caso di omonimia. Che sospiro di sollievo! Ma metti che ti sbagli... ______________________________________________________ la Repubblica 7 ott. ’09 SENSORI E FIBRE OTTICHE IL NOBEL PER LA FISICA AI SIGNORI DELLA LUCE Boyle, Smith e Kao: i `papà "del futuro ELENA DUSI HANNO tessuto il sistema nervoso del mondo. Oggi, su quel bozzolo di fibre ottiche lungo un miliardo di chilometri e capace di compiere 25mila volte il giro intorno al globo, viaggia la luce pulsante che ci porta immagini, suoni, parole ovunque siamo. Ai "signori della luce" è andato quest'anno il premio Nobel per la fisica: Charles Kao inventore delle fibre ottiche nel 1966, Willard Boyle e George Smith padri dei "sensori Ccd" che catturano le immagini nelle macchine fotografiche e nelle telecamere digitali. «Con il loro lavoro hanno creato il sistema circolatorio che nutre la società delle comunicazioni» è la motivazione dell'Accademia svedese delle scienze, che seleziona i vincitori e quest'anno ha scelto due invenzioni dagli effetti profondi sulla vita quotidiana di ciascuno di noi, nate in aziende private anziché in università pubbliche e concluse con dei brevetti piuttosto che con un articolo scientifico. «Mi fa impressione vedere tutte queste macchine fotografiche digitali e pensare che nascono dal mio lavoro» ha commentato ieri Boyle, nato in una capanna di taglialegna in un villaggio remoto del Quebec, educato in casa dalla madre fino all'età del liceo e abituato da giovane a spostarsi con una slitta trainata dai cani. Prima di dedicarsi alla ricerca sui pixel e sulla tecnica migliore per trasformare luci e colori in immagini digitali (nel 1969 il primo sensore, nel'951aprimamacchinafotograficasulmercato), aveva lavorato al programma Apollo della Nasa nel team incaricato di scegliere la zona migliore per l'allunaggio. Ma sicuramente gli apparecchi di Boyle e Smith avrebbero avuto meno successo se nel frattempo nel 1970 Kao non avesse inventato una fibra di vetro purissimo entro cui gli impulsi (e quindi anche le foto digitali) potessero essere trasmesse da un computer all'altro a una velocità vicina a quella della luce. E Smith, appassionato velista, rifletteva ieri sulla sua impresa di circumnavigare il mondo, per la quale ha impiegato 17 anni, mentre un solo secondo basta a un impulso digitale per fare il periplo del pianeta a bordo di un cavo di fibra ottica. E quanto il globo sia ormai avvolto da un unico tessuto nervoso lo dimostrano anche le biografie di questi scienziati. Tutti con cittadinanza americana. Ma nato a Shanghai e dotato anche di passaporto inglese Kao, mentre di origini canadesi e poi emigrato nei laboratori Bell del New Jersey è Willard Boyle. Così come nata in Australia e dotata di doppia cittadinanza era Elizabeth Blackburn, premiata lunedì con il Nobel per la medicina. E se le fibre ottiche permettono le comunicazioni istantanee in tutto il mondo, i sensori Ccd hanno permesso di far arrivare sulla Terra anche le immagini dallo spazio. Di questi "occhi elettronici" - creati grazie all'effetto fotoelettrico scoperto da Albert Einstein nel 1905 e premiato con il Nobel del 1921-sono infatti dotati il telescopio spaziale Hubble, che ci ha inviato le più spettacolari immagini dell'universo mai scattate finora e la sonda di Marte che per la prima volta ci ha fatto vedere la superficie del pianeta. Proprio su Marte la Nasa spera di riuscire a compiere il prossimo balzo dopo la conquista della Luna, avvenuta esattamente quarant'anni fa quando le prime volute del sistema nervoso del mondo cominciavano ad avvolgere il pianeta Terra. ______________________________________________________ Sardi New Settembre. ’09 CON I PAESI SI SVUOTA ANCHE CAGLIARI, SASSARI + 1179 Crescono Quartu, Capoterra, Orosei, Dorgali e Olbia Il 2008 ha segnato un graduale ma costante cambiamento degli atteggiamenti dei cittadini italiani e in particolare del Mezzogiorno nei confronti della mobilità geografica e occupazionale. L’insufficiente dotazione di capitale fisso sociale e produttivo, oltre a lasciare più di una persona su dieci senza lavoro, ha spinto circa 300 mila persone ad abbandonare il Sud Italia per cercare di realizzare le proprie aspettative professionali nel resto del Paese. Di queste, circa 120 mila hanno abbandonato definitivamente il luogo di origine per recarsi nel Centro-Nord della penisola, a fronte di un rientro di circa 60 mila persone, perlopiù giovani con un buon livello di scolarizzazione. La mobilità dei laureati meridionali se da un lato deprime le prospettive di crescita dell’intera economia meridionale, dall’altro appare un mezzo per consentire una valorizzazione del merito e quindi una maggiore mobilità sociale. La causa principale dell’emigrazione soprattutto giovanile rimane la ricerca di un posto di lavoro, e questo perché il sistema produttivo meridionale non è in grado di assorbire le figure professionali di livello medio-alto. Le regioni italiane che attraggono maggiormente i giovani emigrati sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Lazio. Per quanto riguarda le destinazioni estere, al primo posto si colloca l’Europa (69 per cento); seguono, a distanza, gli Stati Uniti (18,5) e la Cina (8,1). Per i sardi i principali Paesi europei di emigrazione rimangono la Germania, la Francia, il Belgio, la Svizzera, il Regno Unito, la Spagna e l’Olanda. Le principali destinazioni extra europee sono l’Argentina, gli Stati Uniti d’America, Canada e l’Australia. In una fase di forte calo della natalità, la fuoriuscita dei giovani ha innescato, inoltre, un processo che in poco più di un ventennio si prevede porterà a un forte declino demografico; il Sud, infatti, dagli attuali 20,8 milioni di abitanti passerà ai 19,3 milioni, in cui la popolazione anziana sarà in costante aumento: una persona su tre avrà più di 65 anni e una su dieci più di 80 anni. Questa difficile transizione demografica porterà il Sud e quindi anche la Sardegna, ad affrontare i problemi propri di un’economia matura senza aver ancora superato la condizione di ritardo nello sviluppo. Se in questo scenario analizziamo in dettaglio la situazione della Sardegna e delle otto province sarde ci si rende conto della situazione attuale. Secondo i dati Istat 2008 nella provincia di Cagliari, su 71 Comuni, 29 (il 40 per cento) registrano un saldo migratorio negativo. Per quanto riguarda il saldo naturale la situazione è peggiorata: nel 2008 sono 39 i Comuni della provincia di Cagliari con indice negativo, molti dei quali hanno una popolazione sotto i 1500 abitanti. La stessa città di Cagliari registra anche per il 2008 un saldo negativo, benché si noti un evidente miglioramento del saldo migratorio che passa da -654 a -163; questo dato scaturisce dal crescente flusso migratorio di cittadini stranieri, in particolare di sesso femminile, verso il capoluogo. Per quanto riguarda il saldo naturale, Cagliari conferma il segno negativo, benché migliore del 2007, passando da -617 a -581. Da sottolineare come il capoluogo sardo, a differenza delle grandi aree urbane del sud Italia, riesca ancora a garantire adeguati livelli di servizio ai cittadini per servizi essenziali come l’acqua, i rifiuti e l’assistenza sociosanitaria. Tra i Comuni dell’area vasta cagliaritana continuano a registrare valori positivi del saldo migratorio le città di Quartu S. Elena (+246), Capoterra (+141) e Selargius (+111). Relativamente alla provincia di Carbonia-Iglesias il 47 per cento dei Comuni (11 su 23) ha un saldo migratorio negativo, mentre per quanto riguarda il saldo naturale la situazione già negativa è peggiorata: solo 3 Comuni hanno un indice sopra lo zero. Situazione negativa anche nella provincia del Medio Campidano, dove 18 Comuni su 28, cioè il 64 per cento, hanno fatto registrare un saldo migratorio negativo con alcuni Comuni, tra cui il capoluogo Sanluri, che evidenziano un saldo migratorio positivo. Nell’analisi dei complessivi 28 Comuni, solo 2 riportano un saldo naturale positivo benché attestato su valori prossimi allo zero, mentre i valori negativi sono molto elevati. Buone notizie giungono dalla provincia di Oristano che, per tutto il 2008, ha conosciuto un costante miglioramento del saldo migratorio; infatti, mentre nel 2007 oltre la metà dei Comuni aveva un saldo migratorio negativo (52 per cento), nel 2008 si è passati al 42, cioè 37 Comuni su 88. Nel dettaglio, per la città di Oristano si riscontra un leggero miglioramento rispetto al 2007, mentre alcuni centri limitrofi brillano per valori altamente positivi, come Cabras e Palmas Arborea. Anche in questa provincia in linea di massima, i Comuni costieri presentano una situazione positiva e, per quanto riguarda il saldo migratorio, solo Oristano, Cuglieri e S. Giusta riportano per l’anno 2008 un saldo negativo. Nella provincia di Nuoro nel 2008 nonostante un leggero miglioramento è sempre forte il fenomeno migratorio, si passa da 39 Comuni su 52 pari al (75 per cento sul totale) del 2007 con un saldo migratorio negativo, a 32 Comuni su 52, pari 61 per cento del totale. Tra i Comuni che registrano un saldo positivo sono da segnalare: Aritzo, Belvì, Mamoiada, Orani, Ovodda, Sarule e Tonara. La città di Nuoro nel 2008, ha un saldo naturale positivo pari a +43 mentre nel 2007 era pari a 34 e un saldo migratorio negativo da +9 del 2007 passa a -9 nel 2008. Dei 20 Comuni con saldo positivo, tutti i Comuni costieri (Posada, Siniscola, Orosei e Dorgali), hanno valori ampiamente positivi (Siniscola +89). Nella provincia dell’Ogliastra nel 2008 peggiora la situazione. Si passa da 11 Comuni su un totale di 23 ( pari al 47 per cento) che nel 2007 avevano un saldo migratorio negativo, a 14 Comuni su 23 cioè il 60 per cento dei Comuni dell’intera provincia. Tra i Comuni si evidenziano: Gairo (da 7 a -36), Ilbono (da 0 a -14), Jerzu (da 5 a-29), Lanusei (da 2 a -15), Lotzorai (da 35 a -17), Talana (da -1 a -11). Mentre per quanto il riguarda il saldo naturale, 15 Comuni su 23 nel 2008, hanno fatto registrare un saldo negativo. Nella provincia di Sassari, peggiora leggermente il numero di Comuni con saldo migratorio negativo, si passa dai 30 del 2007 ai 31 del 2008. Da notare che tutti i centri costieri hanno un saldo migratorio positivo. Tra quelli con un maggior incremento: Porto Torres (+173), Castelsardo (+61), Sorso (+78). In evidenza la città di Sassari con + 1179 e un saldo naturale positivo pari +41, che insieme a Cagliari riesce a garantire un adeguato di livello di servizi ai cittadini. Infine la provincia di Olbia - Tempio mostra anche nel 2008 un quadro positivo, anche se con una leggera flessione rispetto al 2007. Infatti nel 2008 sono 5 i Comuni su 26, con saldo migratorio negativo, pari al 19 per cento (Aggius, Buddusò, Calangianus, Oschiri e Monti). La maggior parte dei Comuni sono costieri e registrano tutti elevati valori positivi, anche se con un leggero decremento rispetto al 2007. Buona parte del territorio costiero della provincia è stato definito nell’ultimo rapporto Svimez come “area delle opportunità consolidate” si tratta di alcune importanti realtà turistiche della Sardegna (Arzachena, La Maddalena, Olbia, Santa Teresa Gallura e San Teodoro) qui la popolazione è in crescita, gli abitanti hanno un livello di studio elevato, il tasso di occupazione è in linea con la media nazionale o addirittura superiore al Centro-Nord (come a Olbia e alla Maddalena, 52 per cento), il tasso di disoccupazione basso (7), il livello di reddito (19.400 euro pro capite) è superiore alla media del Mezzogiorno (14.500). Olbia anche nel 2008 ha entrambi valori positivi, un saldo migratorio pari +1258 e un saldo naturale pari +382. Riassumendo i dati del 2008, si nota che in Sardegna 177 Comuni su 377 cioè il 46 per cento ha un saldo migratorio negativo, il fenomeno migratorio è notevole e si fa sentire soprattutto nelle zone interne, meno lungo le coste; nel nord dell’isola la situazione non è allarmante come al sud (Medio Campidano e Sulcis), mentre nel 2008 un piccolo miglioramento si riscontra nelle province di Oristano e Nuoro. Negli ultimi dieci anni i Comuni delle zone interne e montane hanno esercitato un’attrattiva minore di quella esercitata dai non montani. Anche in Sardegna sono molto frequenti i saldi migratori negativi, soprattutto nei Comuni interni, infatti anche nel 2008, 177 Comuni su 377 hanno perso inesorabilmente popolazione. I Comuni che appartengono alle zone interne e montane mostrano valori di crescita naturale della popolazione (la differenza tra nati e morti) minori rispetto ai comuni non montani. Nel 2008 in Sardegna 257 Comuni hanno registrato un saldo naturale negativo. Si tratta di Comuni delle zone interne e montane. ==================================================== ________________________________________ L’Unione Sarda 6 ott. ’09 IGNARRO, NON RICORDATEMI PER IL VIAGRA Incontri. Il farmacologo Nobel 1998 ha tenuto ieri alla Cittadella universitaria di Monserrato una entusiasmante lectio magistralis Sarà un caso, saranno le circostanze, ma proprio ieri, nel giorno in cui sono stati resi noti i vincitori del Nobel per la medicina, al farmacologo e premio Nobel 1998 Louis J. Ignarro è toccato in sorte di tenere agli studenti della Cittadella universitaria di Monserrato una lettura magistrale su ciò che lo ha reso famoso in tutto il mondo: la scoperta del ruolo cruciale dell'ossido nitrico nelle malattie cardiovascolari. Un'intuizione che ha cambiato il corso della storia della medicina e ha aperto la strada alla produzione di un lungo elenco di farmaci per il trattamento e la cura dell'ipertensione, dell'ictus, delle complicazioni circolatorie del diabete e perfino dell'impotenza, facendo cadere sul professore l'etichetta («ma non ricordatemi per questo») di papà del Viagra. Anche se, in realtà, più che per la sua scoperta o per il nomignolo legato alla pillola blu, ieri Ignarro ha lasciato a bocca aperta il pubblico dell'aula magna della facoltà di Medicina per le sue insospettabili doti di divulgatore e, a tratti, di intrattenitore. Durante l'incontro con gli studenti, introdotto dalla professoressa Flavia Franconi e organizzato in collaborazione con la fondazione internazionale Menarini, il docente dell'Università di Los Angeles ha sì parlato dell'ossido nitrico, dei problemi cardiaci, dell'importanza di uno stile di vita sano, ma l'ha fatto mischiando continuamente vita pubblica e privata, raccontando aneddoti e battute, stimolando la risata come un consumato padrone della scena. Tenendo fede al proposito di intavolare la conversazione «su un binario meno scientifico e più rilassato», Ignarro ha impiegato pochi minuti per spiegare ai ragazzi il ruolo del nitrossido («una molecola tanto semplice quanto chimicamente meravigliosa»), l'origine dei suoi studi («troppi morti in America a causa delle malattie cardiovascolari») e le ricadute della sua intuizione, usando un linguaggio chiaro e immediato, senza formule astruse e giri di parole. Per il tempo restante, invece, ha raccontato della sua famiglia («mio papà era di Torre del Greco, mia mamma di Panarea, quindi sono italiano anch'io»), della passione per le cose meccaniche («dovevo optare tra lo studio della chimica e le corse in macchina, ho scelto la prima»), dell'importanza di mangiare bene («la dieta mediterranea è favolosa e voi mangiate in modo fantastico»), della sua riscoperta dell'esercizio fisico dopo i sessant'anni («ho cominciato a correre sul tapis roulant, poi all'aperto, prima qualche chilometro, poi ho fatto tredici maratone in quattro anni»). Tutto con un'ironia addirittura esilarante (e conquista definitivamente gli studenti) nel racconto scherzoso dei due sogni realizzati grazie al Nobel - comprare una Corvette fiammante e incontrare Elton John - e delle particolari attenzioni del presidente Bill Clinton nei confronti della sua giovane moglie, in un ricevimento alla Casa Bianca dopo la vittoria del premio, nel '98. Un'ironia sottile che diverte, trascina e si smorza solo sul finale, quando una studentessa chiede al professore che non ti aspetti dove trovare gli stimoli per tentare la strada della ricerca, in una fase così delicata di tanta passione e poche risorse. «Quando si tratta di ricerca, i politici non investono mai abbastanza, in nessun paese al mondo», le risponde Ignarro, «però la salute è ciò che di più prezioso abbiamo, quindi vale sempre la pena di lavorare duro per proteggerla. Bisogna avere passione, inseguire i fondi là dove si trovano, anche lontano da casa, senza mai mollare. Perché la battaglia è difficile e per vincerla serve il contributo di tutti». LORENZO MANUNZA ________________________________________ Il Sole24Ore 4 ott. ’09 NELLE DUE ITALIE DELLA SALUTE SE C'È QUALITÀ NON C'È SPRECO Lo studio per il Welfare. Toscana, Veneto ed Emilia al top. Dal Lazio in giù tutti bocciati In Campania record di cesarei Niente fughe per cure a Milano Roberto Turno ROMA Toscana, Veneto ed Emilia Romagna al top con la lode. Tutte le regioni del Centro-Nord promosse spesso col massimo dei voti ma anche con giudizi di sufficienza risicati. E dal Lazio in giù tutti bocciati, con Calabria, Campania e Sicilia, nell'ordine, in fondo alla classifica. Ecco l'ultimo e più inedito identikit dell'Italia della sanità pubblica. Dove la linea Maginot della qualità nel Servizio sanitario nazionale - il Nord all'avanguardia, il Sud che sprofonda - conferma in pieno anche l'andamento della spesa regionale per la salute: dove si spende meno e i conti ancora reggono (Centro-Nord), ci sono più efficienza e cure migliori. Dove invece (Sud) i bilanci sono in rosso profondo, anche gestione e qualità dei servizi sono peggiori. Chi perde, perde due volte. L'altro ieri è stata la Corte dei conti, nella relazione sulla finanza regionale, a denunciare l'esistenza di un'Italia della sanità finanziariamente spaccata in due come una mela: Nord che regge l'onda d'urto dei conti, Sud nella morsa dei debiti. Ora ecco invece, realizzato per il ministero del Welfare, lo studio del laboratorio «Management e sanità» della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, con la «Valutazione delle performance dei sistemi regionali» su base nazionale. Un report (anticipato dal settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità») che niente ha a che fare con i conti di Asl e ospedali. Il focus è dedicato all'efficienza e alla valutazione delle gestioni, con una griglia di 29 indicatori sulla base degli ultimi dati riferiti al 2007. Per ciascun indicatore viene assegnato un giudizio di performance: ottima, buona, media (valori positivi), e scarsa o molto scarsa (negativo). Sul piatto quattro parametri: assistenza ospedaliera, assistenza sul territorio, farmaceutica e assistenza sanitaria collettiva e di prevenzione. Il Sant'Anna non fa alcuna classifica, sia chiaro. L'obiettivo dichiarato è di stanare i punti di debolezza, Asl per Asl, ospedale per ospedale, per i necessari interventi di miglioramento nella gestione locale. A ciascuna regione, infatti, il ministero ha consegnato lo studio con i dati nazionali, aggiungendo i risultati delle performance delle singole Asl. Mentre il federalismo fiscale avanza, l'analisi del Sant'Anna, che si fonda sul sistema già proficuamente sperimentato da qualche anno in Toscana, offre così qualche arma in più per la realizzazione dei costi standard, ormai un incubo per tutte le Regioni. Il risultato finale è che tutto il Centro-Nord incassa punteggi positivi, mentre dal Lazio in giù prevalgono i voti bassi. Veneto e Toscana fanno bottino pieno (29 giudizi positivi), seguite da Emilia Romagna (27), poi (tutte a 24 voti positivi) da Piemonte, Liguria, Umbria e Marche. Da notare che a ottenere più volte il massimo giudizio (ottimo) è per 18 volte l'Emilia Romagna. A sorpresa la Lombardia sarebbe solo nona, ma soltanto perché non realizza punteggi alti su alcuni indicatori non sempre legati a doppia mandata col servizio erogato, ma a scelte organizzative (pochi ricoveri in day hospital e troppi per il diabete, poche vaccinazioni anti-influenzali), mentre eccelle sulle minori "fughe" dalla regione per curarsi altrove o sul grado di inappropriatezza. Per il Sud ci sono soltanto una valanga di giudizi tra scarso e molto scarso. Sonore bocciature, insomma. Ultima la Calabria (26), poi affiancate (23 negatività) Campania, Sicilia e Puglia, e ancora risalendo la classifica il Molise (22), il Lazio (21), la Sardegna (18), l'Abruzzo (17) e la Basilicata (15). A collezionare il maggior numero di giudizi più bassi (molto scarso) è per ben 20 volte la Sicilia, seguita (19) dalla Calabria. Sorprese e conferme arrivano poi dai giudizi alle Regioni nelle performance per i singoli indicatori. Nel tasso di ospedalizzazione globale l'eccellenza è tra Friuli, Toscana ed Emilia tra 150 e 163 ricoveri per mille abitanti; mentre Campania, Sicilia e Molise sono le ultime con valori da 235 a 222 per mille abitanti, il 50% in più delle migliori. Nelle "fughe" dalla regione per curarsi altrove, "vince" la Lombardia ed ultime sono Valle d'Aosta e Basilicata. I parti cesarei sono il 61% in Campania e il 23% a Bolzano. Il potenziale dinappropriatezza delle prestazioni è minore in Toscana e massimo (quasi 9 volte di più) in Abruzzo. Per le vaccinazioni anti-influenzali in testa è l'Emilia, in coda (quasi la metà) la Sardegna. E così via per tutti gli indicatori analizzati. Nel segno dell'Italia spaccata a metà, appunto. © RIPRODUZIONE RISERVATA Classifiche sui livelli di assistenza Le performance della sanità nelle venti regioni grafico="/immagini/milano/graphic/203//--1616.eps" XY="858 2700" Croprect="0 0 858 2700" grafico="/immagini/milano/graphic/203//berrreeeetttonn.eps" XY="775 2629" Croprect="0 0 775 2629" Come si centrano i bersagli della "buona sanità" pRealizzato e con buoni risultati pratici già sperimentato dal alcuni anni in Toscana, il metodo del laboratorio di «Management e sanità» del Sant'Anna di Pisa, diretto dalla professoressa Sabina Nuti, è il cosiddetto sistema dei "bersagli". Ogni azienda si avvicina cioé più o meno al centro del bersaglio, considerato il top da raggiungere, per ciascuna tipo di prestazione analizzato. La distanza dal centro - il massimo dei voti - è il gap da colmare. Insomma, l'obiettivo da conseguire al più presto. Se possibile. E ora in qualche modo il metodo del "bersaglio", lo studio realizzato dal sant'Anna per il ministero del Welfare lo estende all'intero territorio nazionale. Metodo e indicatori da affinare, certo. Ma sicuramente già altamente validi per offrire uno spaccato concreto di quello che c'è e, soprattutto, di quello che manca nella gestione dei sistemi sanitari regionali. Il sistema prevede quattro «dimensioni» riferite ai Lea (Livelli essenziali di assistenza): assistenza ospedaliera, assistenza distrettuale, assistenza farmaceutica, assistenza sanitaria collettiva e di prevenzione. Ciascuna di queste «dimensioni» può essere articolata sia per prospettiva di analisi, sia per contesto specifico di riferimento. Le dimensioni di analisi si compongono di più indicatori calcolati in benchmarking tra le regioni. La valutazione di ciascuna regione risulta da un processo di ranking calcolato secondo la logica dei quintili, ordinando cioé ogni ente territoriale secondo i valori crescenti dell'indicatore e dividendo la distribuzione dei valori in cinque classi di uguale ampiezza. Di qui le cinque classi di performance che ne vengono fuori: ottima, buona, media, scarsa, molto scarsa. ________________________________________ L’Unione Sarda 3 ott. ’09 IL NOBEL IGNARRO A SASSARI: QUANDO LA SCIENZA RIBALTA I LUOGHI COMUNI. I diversi effetti dei farmaci tra l'uomo e la donna La molecola del gas di scarico fa bene Quando la scienza ribalta i luoghi comuni. Le differenze biologiche tra uomo e donna sono così forti che i farmaci, persino l'aspirina, hanno diversi effetti. Un'altra scoperta rivoluzionaria: il famigerato ossido di azoto, il gas di scarico delle auto, è una molecola che - prodotta dal nostro corpo - garantisce salute e longevità. Questa intuizione ha portato Luis Ignarro, farmacologo statunitense di origini italiane (che lunedì alle 17 terrà una Lettura magistrale anche alla Cittadella Universitaria di Monserrato), a vincere il Nobel 1998 per la Medicina. Temi attualissimi per la ricerca e affascinanti per tutti, affrontati all'Università di Sassari nel convegno "Geni, farmaci e genere", organizzato dal Dipartimento di Scienze del farmaco dell'ateneo sassarese, dal Dipartimento del Farmaco dell'Istituto superiore di Sanità e dalla Fondazione Menarini. Due giorni di confronto d'alto livello (con esperti da Regno Unito, Usa e Spagna) e di proposte operative. La più importante, rivolta ai rappresentanti della Food and Drug Administration, l'ente governativo statunitense per la regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici: armonizzare le norme tra Europa e Nord America. IL NO DELLA SALUTE Il suo simbolo è una negazione: NO, un atomo di azoto e uno di ossigeno. La cattiva reputazione dell'ossido di azoto o ossido nitrico è dovuta agli effetti inquinanti e velenosi. Suo parente (più complesso) è la nitroglicerina. Che però dopo il potere distruttivo manifestò anche proprietà terapeutiche per la cura dell'angina, di cui soffriva - ironia della sorte - Alfred Nobel, che stabilizzando il composto chimico scoperto dall'italiano Ascanio Sobrero aveva inventato la dinamite. A far vincere il Nobel all'italoamericano Luis Ignarro è stata l'identificazione del ruolo biochimico e fisiologico del NO, che funziona da vasodilatatore e oltre ad essere prezioso nella lotta alla malattie cardiovascolari ha portato alla creazione del Viagra. «È una molecola messaggera, perché porta alle cellule dei muscoli l'ordine di rilassarsi lanciato dall'epitelio. È uno degli antiossidanti più attivi, un antiinfiammatorio, potenzia il sistema immunitario, cura le disfunzioni erettili, favorisce la neuroricezione. Più ossido di azoto riesce a produrre il corpo e più giovane e più sana è la persona», spiega il Nobel. Si può stimolare il corpo a produrre più NO e rendere il nostro organismo più forte e resistente ai fattori di invecchiamento: «Aiuta la dieta mediterranea, con frutta verdura e poca pasta, più un bicchiere di vino che contiene antiossidanti. Meglio il pesce, che contiene gli Omega 3, della carne. E poi l'esercizio fisico quotidiano stimola la formazione di NO. Io stesso a cinquant'anni ho iniziato a fare le maratone e ora pratico ciclismo». FRAGILI MA LONGEVE Che il cuore delle donne fosse dissimile lo hanno scritto anche i poeti, ma negli ultimi vent'anni la ricerca ha evidenziato che le donne hanno pure un cervello e un fegato difformi dagli omologhi organi maschili. E questo spiega la differente evoluzione e incidenza delle malattie nei due sessi. Gli uomini, ad esempio, sono più colpiti da infarto. Il paradosso, come spiega Claudio Franceschi dell'Università di Bologna I, è che le donne vivono di più (nel mondo le ultracentenarie sono cinque volte i maschi che superano il secolo di vita) pur soffrendo un maggiore numero di patologie e subendo in media più ricoveri ospedalieri degli uomini. L'americana Marianne J. Legato è diventata famosa per avere fatto nascere la "cardiologia delle donne" e ha scritto il primo libro di medicina specifico. Si pensi che il sesso conta persino nelle cellule staminali: il sangue del cordone ombelicale e delle donne adulte contiene più cellule totipotenti rispetto a quelle dei maschi. Approfondire la differenza biologica serve dunque a migliorare l'efficacia dei farmaci con una terapia personalizzata. GIAMPIERO MARRAS ________________________________________ L’Unione Sarda 6 ott. ’09 «ASL TROPPO GRANDI: COSÌ SONO DIFFICILI DA GESTIRE» La proposta del capogruppo dei Riformatori sardi alla Regione Pierpaolo Vargiu Per la sanità sarda il momento è delicato: c'è una riforma in corso. L'esigenza di avere certezze e garanzie sul futuro ha spinto i Riformatori Sardi, promotori della proposta di riforma, ad avviare un calendario di incontri pubblici finalizzati a fare il punto. L'ultima riunione ieri sera al Caesar's Hotel, presieduta dal capogruppo dei Riformatori in Consiglio regionale Pierpaolo Vargiu. «Per la sanità sarda è un periodo importantissimo, anzi fondamentale. Stiamo girando l'Isola per ascoltare i pazienti e gli operatori sanitari al fine di individuare le principali criticità». E il quadro che emerge è preoccupante. «Il sistema non soddisfa né gli addetti ai lavori né tanto meno i pazienti che sempre più spesso vanno a curarsi fuori contribuendo all'ulteriore impoverimento del sistema». Come se ciò non bastasse, le spese sono insostenibili. «Al punto che - commenta Vargiu - la sanità costa la bellezza di 200 milioni in più di quello che ogni anno possiamo stanziare». IL PROBLEMA Per i Riformatori l'obiettivo è quindi la riduzione degli sprechi. «Soltanto a Cagliari - riprende Vargiu - ci sono tre centri per il trapianto di midollo quando ne basterebbe uno per l'intera Isola. Le chirurgie d'urgenza sono sette e andrebbero accorpate in un unico centro». In altre parole il sistema è un pozzo senza fondo che impone un repentino cambio di rotta. «Il problema più grande - sottolinea ancora Vargiu - è che le aziende sanitarie sono troppo dispersive, col risultato che sono difficili da gestire. In questo calderone indistinto fatichiamo a capire dove siano realmente gli sprechi». LA PROPOSTA Ecco la soluzione dei Riformatori. «Creare aziende più piccole scorporando gli ospedali dalle Asl. Perché per quanto sia bravo, è evidente che il manager della Asl 8, pagato 6 mila euro al mese, ha difficoltà a gestire un bilancio annuale da 800 milioni di euro». Molto più facile gestire il Brotzu. «Il cui bilancio è di dimensioni più ragionevoli e accettabili, visto che parliamo di 220 milioni». Solo ridimensionando le aziende si possono spendere bene i soldi che si hanno. I Riformatori ne sono convinti. Sono stati loro i primi a presentare una riforma organica del sistema e ora vogliono che dalle parole si passi subito ai fatti. «I principi ispiratori del cambiamento - chiarisce Vargiu (firmatario della proposta insieme a Meloni, Cossa, Dedoni, Fois e Mula) - sono già stati approvati dal consiglio regionale il 4 agosto. La ____________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 11 ott. ’09 I TELOMERI CI ALLUNGHERANNO LA VITA A quali progressi può condurre la scoperta premiata nei giorni scorsi a Stoccolma Speranze per combattere l'invecchiamento e il cancro L'idea di costruire un vaccino «universale» contro il cancro è quasi in controtendenza. Tutti parlano di target therapy, la cura personalizzata a misura di paziente, e buona parte della ricerca si è focalizzata sulla possibilità di colpire bersagli molecolari specifici per ogni tipo di tumore non soltanto con i vaccini, ma anche con i farmaci. Ma c'è anche un'altra strada, che l'assegnazione del premio Nobel per la medicina di quest'anno ha riproposto, su cui si stanno muovendo molti gruppi di sperimentatori, anche privati, con notevoli investimenti economici. Gli americani Elisabeth Blackburn, Carol Greider e jack Szostak hanno ottenuto il riconoscimento dell'Accademia svedese per le loro scoperte sui telomeri, cioè su quelle porzioni di Dna che stanno all'estremità dei cromosomi. «Le loro ricerche - spiega Elena Giulotto del Dipartimento di genetica "Adriano Buzzati Traverso" all'università di Pavia, esperta di telomeri di cui studia alcuni aspetti funzionali, pubblicando lavori su riviste del calibro di Science - hanno fondamentalmente risposto a un quesito biologico. Questo: come mai, durante la divisione cellulare le terminazioni dei cromosomi non si replicano come il resto del Dna? I tre scienziati hanno scoperto che i telomeri sono organizzati in sequenze di Dna semplici e ripetute e che l'enzima specializzato per la loro replicazione è la telomerasi. Senza questo enzima i telomeri tenderebbero ad accorciarsi a ogni replicazione delle cellule». Esiste, dunque, un equilibrio dinamico fra «accorciamento» dei telomeri, dovuto alle successive replicazioni dei cromosomi, e «allungamento», reso possibile dalla presenza della telomerasi. Nelle cellule di una persona adulta normale, la telomerasi è inattiva, i telomeri tendono ad accorciarsi (tant'è vero che sono più corti negli anziani) e le cellule possono andare incontro a senescenza; nelle cellule staminali e riproduttive, invece, l'enzima è attivo e mantiene stabile il Dna. «Il fenomeno della senescenza legato all'accorciamento dei telomeri - precisa Elena Giulotto - che, peraltro, si osserva solo in laboratorio, ha fatto ipotizzare la possibilità di prevenire o curare l'invecchiamento. E vero, l'inserimento di un gene della telomerasi nelle cellule le rende immortali, ma quello che succede nell'organismo umano è ben diverso anche perché l'invecchiamento è dovuto a tantissimi altri fattori». L'elisir di lunga vita è ancora lontano. Le cure anti-cancro no. «Nel go per cento dei tumori - spiega Giulotto'- la telomerasi è attiva e i telomeri non si accorciano. La telomerasi, dunque, è un marcatore comune a moltissime neoplasie». Ecco perché terapie mirate contro la telomerasi diventerebbero terapie «universali». La telomerasi è un enzima complesso perché è formato da due componenti; la prima è un filamento di Rna che fa da «stampo» per la sintesi del bna dei telomeri; la seconda è una proteina, costituita dall'enzima trascrittasi inversa (che sintetizza il Dna partendo dallo «stampo» a Rna). I bersagli di vaccini e farmaci anti-telomerasi, dunque, possono essere queste due componenti. In altre parole: o si blocca l’Rna o si inibisce l'enzima. Attualmente sono in sperimentazione un vaccino e due farmaci. Il vaccino anti-telomerasi, chiamato Grnvacl, stimola nell'organismo la produzione di linfociti (globuli bianchi) capaci di aggredire la telomerasi e di distruggerla: attualmente è in sperimentazione in sei centri americani, compresa la Duke University di Durham, su pazienti con vari tipi di tumore, come quello della prostata, del rene e alcune leucemie. I risultati dimostrano che è sicuro e ha una certa efficacia. Due farmaci (in sigla Grru63 e Grnr63L), che, invece, inibiscono direttamente l'attività della telomerasi, hanno già superato le prove sugli animali e sono ora oggetto di indagini cliniche, sempre negli Stati Uniti, in pazienti con mieloma multiplo e altri tumori del sangue. Questi due composti, inibendo l'enzima, provocano un progressivo accorciamento dei telomeri, con conseguente instabilità del Dna cellulare e morte della cellula. «Il problema per capire l'entità degli eventuali effetti collaterali - conclude la ricercatrice - sarà quello di valutare il loro impatto sulla telomerasi delle cellule sane, soprattutto quelle staminali e germinali, ricche di enzima». Adriana Bazzi abazzi@corriere.it Elena Giulotto, professore di biologia molecolare all'università di Pavia, studia da anni il ruolo dei telomeri nell'integrità dei cromosomi @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ ______________________________________________________ Corriere della Sera 6 ott. ’09 LA PROF E L' ALLIEVA LA GENEALOGIA DELLA BUONA RICERCA Raramente un premio Nobel è stato più meritato e più atteso. I nostri tre autori hanno decifrato il problema dei telomeri, quella specie di «cappucci» molecolari che si trovano all' estremità dei diversi cromosomi per proteggerne l' integrità. Ogni cromosoma difficilmente si rompe nel centro, ma potrebbe facilmente sgretolarsi partendo dalle sue due estremità. I telomeri sono quelle strutture terminali di Dna che impediscono proprio che i cromosomi possano venire progressivamente «smangiucchiati». Farò tre osservazioni. La prima osservazione è che la ricerca fondamentale, quella fatta essenzialmente per curiosità (curiosity driven, guidata dalla curiosità, dicono gli anglosassoni) porta grandissime conoscenze teoriche e può generare applicazioni pratiche che nessuno all' inizio avrebbe potuto immaginare. In questo caso è successo che una ricerca fatta «per capire» abbia condotto a eccezionali possibili applicazioni in un campo di enorme interesse e attualità quale quello dell' invecchiamento. Nel suo sforzo di proteggere il cromosoma, ciascun telomero si consuma un poco ad ogni divisione cellulare. Occorre quindi tenerlo sempre in perfetta salute, cioè della dovuta lunghezza. Lui si consuma un po' e la cellula lo rifà, riallungandolo periodicamente. Questo processo di riparazione è opera dell' enzima telomerasi ed è molto pronto e efficiente quando si è bambini ma diviene sempre meno efficiente con l' avanzare dell' età. Come risultato, i telomeri di tutti i cromosomi si accorciano un po' ad ogni divisione cellulare che avvenga dopo una certa età. Misurando la lunghezza dei telomeri si può quindi valutare l' invecchiamento delle cellule, ovvero misurare l' invecchiamento di un individuo. A questa prima semplice applicazione si aggiunge poi il fatto che un domani si può pensare di intervenire sul processo con il risultato di ritardare l' invecchiamento stesso. Seconda osservazione. Tutta la prima parte della ricerca è stata condotta su esserini elementari molto diversi da noi: protozoi facili da coltivare e da studiare sui quali è possibile compiere vere e proprie magie. Che poi si applicano anche all' uomo. L' importanza dei sistemi biologici diversi dai mammiferi non potrà mai essere sufficientemente ribadita, soprattutto in un Paese che non investe in questo tipo di ricerca, semplice e lungimirante, ma ritenuta poco importante. Anche la terza osservazione è prevalentemente diretta a noi italiani. Le due donne premiate appartengono ad una Scuola: la più anziana è stata insegnante della più giovane. Entrambe hanno lavorato in Istituzioni prestigiose dove si può fare ottima ricerca nel quadro di una tradizione continuata e produttiva. Qualcuno ha notato che si potrebbero fare delle vere e proprie «genealogie» dei premio Nobel, con gli allievi che subentrano ai maestri. Importanza della buona tradizione di ricerca, nella continuità e nella sicurezza degli investimenti, negli anni e nei decenni. Essere lungimiranti paga, laddove si usa esserlo. RIPRODUZIONE RISERVATA Boncinelli Edoardo ______________________________________________________ Corriere della Sera 5 ott. ’09 BONCINELLI: L' INQUINAMENTO DEL MONDO È IL PREZZO DELLA VITA Cibo e calore: così l' esistenza umana modifica la natura Entropia Aumentiamo il disordine generale attraverso la produzione dei rifiuti, dell' acqua e dell' anidride carbonica L a parola chiave della vita, in tutte le sue manifestazioni, è «controllo». Prodotto del controllo è l' ordine, mentre alla base del controllo stesso c' è l' informazione: la vita nasce dalla corretta e giudiziosa gestione dell' informazione. Proprio quella che si misura in bit e byte nell' informatica e nella scienza dei computer e dei loro dispositivi di memoria. La popolarità di questo concetto tra gli appassionati di calcolatori e di iPod contrasta nettamente con la sua scarsa considerazione, da parte dei più, nei rispetti dello studio della vita, dove si parla quasi sempre solo di energia, ma la sostanza delle cose è la stessa: si tratta di misurare la quantità dell' informazione disponibile per compiere una data funzione o per tenere in attività una data struttura, compreso un intero organismo. La moderna biologia molecolare è nata negli anni Quaranta, quasi contemporaneamente alla teoria dell' informazione e alla cibernetica, una disciplina poi confluita nella cosiddetta Intelligenza Artificiale. La concomitanza della nascita delle due scienze ha fatto sì che la biologia abbia adottato fin dall' inizio molti dei concetti e dei termini propri della nascente teoria dell' informazione: codice, messaggio, Rna messaggero, trascrizione, traduzione del segnale e via discorrendo. Ma questo non è solo un effetto della storia e delle sue coincidenze: la vita è intrinsecamente informazione, informazione che fluisce e che viene continuamente utilizzata, dal Dna della prima cellula-uovo fecondata alle complessità anatomiche e funzionali di un corpo adulto. Il più grosso pericolo per l' informazione, la sua «kryptonite», è l' entropia. L' entropia misura proprio la perdita di informazione che si osserva durante un dato processo. L' informazione produce controllo e ordine, l' entropia casualità e disordine. Se l' entropia sale, l' informazione si perde; se si acquista informazione, si riduce l' entropia. Ma quest' ultima cosa non accade mai all' interno di un sistema chiuso: in un sistema chiuso l' entropia non può che salire o, al massimo, restare costante, e quindi l' informazione disponibile deve per forza diminuire. Questo dice, senza mezzi termini, il famoso Secondo Principio della termodinamica. Questo principio, che forse emerge dai nostri ricordi del liceo, si applica a tutto, non conosce eccezioni e non è stato neppure minimamente scalfito dalle grandi rivoluzioni della fisica del XX secolo. Se consideriamo come un sistema chiuso l' intero universo o una sua parte più ragionevole, ad esempio il sistema solare, si deve concludere che la sua entropia complessiva non può che aumentare, sempre e comunque. Come si spiega allora lo sbocciare e il fiorire della vita? Come si spiega la continua esibizione di ordine e di armonia delle parti che la vita in tutte le sue manifestazioni ci mette davanti agli occhi? È questa una delle domande che si affacciano per prime alla mente di chi considera questi argomenti e che fino a qualche decennio fa non avevano una risposta chiara. Il fatto è che noi non siamo sistemi chiusi. Non lo è ogni singolo individuo e non lo è la materia vivente nel suo complesso. Siamo sistemi aperti, attraverso i quali transitano in continuazione materia, energia e informazione. Ci cibiamo di tutto questo e una sua certa parte la espelliamo. Ci cibiamo soprattutto di informazione, al punto che qualcuno ha proposto per gli esseri viventi l' appellativo di «informìvori». Il cibo che mangiamo e la luce del sole sono le fonti dell' informazione della quale abbiamo bisogno: molta ne utilizziamo e un po' ne restituiamo al mondo circostante, sotto forma di calore, escrementi, acqua e anidride carbonica. All' interno di ogni essere vivente quindi si compie una specie di miracolo locale: viene creato e mantenuto l' ordine necessario per la vita, che dura quanto la vita stessa. Come la mettiamo allora con il Secondo Principio? Semplice. L' aumento locale di ordine che si osserva in ciascun essere vivente è più che ripagato dal disordine che ciò crea nell' ambiente circostante, così che il saldo totale è sempre un aumento di entropia: se nell' organismo in questione questa diminuisce temporaneamente di 30, nel mondo circostante aumenta di 70. Gli esseri viventi inquinano: l' inquinamento del mondo circostante è il prezzo della vita. Sotto la regia del proprio genoma e delle «istruzioni per l' uso» in esso contenute, ogni singolo essere vivente utilizza l' informazione che riesce a procurarsi, per svilupparsi, per crescere, per mantenersi e per riprodursi. Alla fine della corsa ritorna materia inanimata e rientra nel grande circo del progressivo aumento dell' entropia voluto dal Secondo Principio. Ma finché vive gli fa per così dire marameo: sa che c' è ma non lo teme. Ha altro da fare. Tutto questo grazie alle piante. Fino a questo punto non ho fatto distinzione fra animali e piante, ma la differenza è fondamentale. Gli uni e le altre consumano energia e utilizzano informazione, ma gli animali fanno solo questo, mentre le piante sono anche in grado di produrre contemporaneamente un po' dell' informazione che serve loro, utilizzando la luce del sole, una fonte praticamente inesauribile di informazione. Sto parlando ovviamente della sintesi clorofilliana, di quel processo cioè che produce sostanza vegetale a partire dall' anidride carbonica dell' aria. Questa sostanza serve poi a loro, ma anche agli animali, grandi e piccoli, che se ne cibano. Noi mangiamo i raggi del sole insomma, ma in maniera mediata, mentre le piante lo fanno in maniera immediata. Mangiamo sole, compiamo le nostre funzioni e costituiamo le nostre strutture, e riemettiamo un po' di calore. La Terra nel suo complesso è una ben curiosa postazione spaziale: si abbevera avidamente della luce del Sole e si carica continuamente di scorie inutilizzabili. Chi la osservasse da lontano potrebbe pensare a un enorme inghiottitoio di energia e di informazione: un inferno cosmico. Ma quell' inferno fisico è la base della nostra vita. E in fondo gli siamo affezionati. RIPRODUZIONE RISERVATA Bergamo incontra la scienza Sul rapporto tra leggi fisiche e meccanismi della vita Edoardo Boncinelli terrà il 10 ottobre a Bergamo (ore 17.30), presso il Teatro Sociale di via Colleoni, una conferenza dal titolo «Entropia in biologia» L' incontro è organizzato nell' ambito di «BergamoScienza», la rassegna di divulgazione scientifica in programma nella città fino al 18 ottobre (www.bergamoscienza.it) L' iniziativa, ideata da Raffaella Ravasio e Umberto Corrado, è giunta quest' anno alla VII edizione La rassegna prevede un centinaio d' incontri e la presenza di due prestigiosi premi Nobel (oggi si assegna a Stoccolma quello per la medicina). Si tratta di John Nash, premiato per l' Economia nel 1994, che è intervenuto ieri, e di Aaron Ciechanover, Nobel per la Chimica nel 2004, la cui conferenza si terrà il 16 ottobre In libreria Tra i libri usciti di recente sulle caratteristiche dei meccanismi biologici: Fritjof Capra, La rete della vita (Bur, pagine 315, Euro 9,40); Denis Noble, La musica della vita (Bollati Boringhieri, pagine 178, Euro 24); Raffaele Sardella Storia della vita sulla terra (Il Mulino, pagine 119, Euro 8,80) * * * Boncinelli Edoardo _____________________________________________________________ Left 9 Ott. ‘09 DEFANTI: QUANTE CROCIATE CONTRO LA MEDICINA Biotestamento e trapianti nel mirino degli ideologi del Vaticano. Per eliminare la libertà di cura e ricerca Carlo Alberto Defanti E’stato tra i primi in Italia a porsi il problema di trovare una «definizione di morte cerebrale che coincida esattamente con quello che noi conosciamo e con quello che noi facciamo giorno per giorno nella pratica clinica». Il neurologo Carlo Alberto Defanti, insieme ai colleghi Nereo Zamperetti, Rinaldo Bellomo e Nicola Latronico, nel 2004 e poi nel 2008, su Intensive Care Medicine ha proposto la dizione di «coma apneico irreversibile». Per meglio comprendere le dinamiche di questa ricerca e per approfondire le motivazioni della messa in discussione dei criteri di morte cerebrale del protocollo di Harvard del 1968 avanzata dal Festival della salute di Viareggio (vedi le, ft n. 39/2009), abbiamo rivolto alcune domande al medico che ha seguito Eluana Englaro dal 1996 sino alla fine. Professor Defanti, perché a distanza di decenni da Harvard ha sentito l'esigenza di cercare una diversa definizione di morte cerebrale? Quando ad Harvard esposero quei criteri grosso modo erano condivisi universalmente anche se erano pensati a "tavolino" : Sulla base cioè di quello che si sapeva sulla fisiologia umana ma in assenza di una verifica empirica. Con l'andare del tempo si sono accumulate esperienze e sono diventate chiare alcune discrepanze con quei criteri, inimmaginabili a fine anni 60. Ci faccia un esempio. Fino al 1986-87 eravamo tutti convinti che una volta giunto alla morte cerebrale chiunque sarebbe deceduto per arresto cardiaco al massimo dopo pochi giorni. Anche se il rianimatore avesse insistito a tenere "in vita" il soggetto. Poi si è osservato che non è vero: continuando ad assistere questi pazienti in maniera intensiva si può prolungare la loro "sopravvivenza" Al tempo stesso, però, non si è mai visto alcun recupero di nessun genere. Cioè, l'irreversibilità della perdita delle funzioni cerebrali è oramai ampiamente provata. Ciò che non è provato è che la perdita delle funzioni non sia compatibile con una vita biologica assistita, anche lunga. Quando la situazione è irreversibile non siamo in presenza di accanimento terapeutico? No, se stiamo parlando dei casi piuttosto noti di donne giovani incinte che erano andate incontro a morte cerebrale per incidente o emorragia cerebrale, in una fase di gravidanza in cui il feto non aveva ancora raggiunto la soglia di vitalità. In questi casi i rianimatori hanno tentato di far sopravvivere biologicamente la donna per consentire il taglio cesareo e la nascita del figlio. Questo è avvenuto con successo in più occasioni, anche per tre mesi. Dati che fanno abbastanza impressione ma che ci dicono che i soggetti in morte cerebrale con opportuna assistenza medica e tecnologica sono biologicamente ancora vivi. Secondo Harvard" la morte cerebrale è la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni del cervello». Questa è la definizione sia della legislazione americana che di quella italiana. Invece il dato pratico è che in alcuni dei soggetti che noi consideriamo in morte cerebrale alcune funzioni residuali poco importanti continuano a esserci. Come quelle dell'ipotalamo e dell'ipofisi. A questo punto è normale per uno scienziato tentare di individuare una nozione di morte cerebrale più semplice e coerente con la realtà. I trapiantologi non sono tanto d'accordo. Discutere della morte cerebrale in maniera fredda e razionale prescindendo dalla questione dei trapianti è diventato quasi impossibile. Come è accaduto a Viareggio, chi avanza dei dubbi viene accusato di voler sabotare la pratica dei trapianti. È successo anche a me in più occasioni. In particolare a una riunione della Nord Italia Transplant. E’ indubbio che la definizione di Harvard abbia creato le premesse per l'attività di trapianto, come è indubbio che questa attività sia utile visto che permette di condurre una buona vita a centinaia di migliaia di persone nel mondo. Per nessun motivo la gente vuole mettere in pericolo questa possibilita e io per primo. Il concetto di morte cerebrale è stato messo in discussione anche dal vicepresidente del Cnr Roberto De Mattei, nel nome «dell'etica cristiana». «La definizione di cosa sia la vita e cosa sia la morte - ha affermato De Mattei - non spetta allo scienziato, il quale può solo accertare un decesso». Con queste parole difendeva un articolo del 2008 sull'Osservatore Romano in cui Lucetta Scaraffia ha riesumato la tesi di Hans Jonas. Secondo il quale, come denuncia la neonatologa Maria Gabriella Gatti sulla rivista scientifica Il sogno della farfalla, va proibita qualsiasi violazione dell'integrità del corpo delle persone in una condizione estrema e il medico dovrebbe arrendersi e diventare spettatore rispettoso di quel processo insondabile che sarebbe la morte». Che fine fanno il progresso medico e i traguardi raggiunti grazie alla tecnologia per la salute umana? I dubbi di De Mattei e Scaraffia sono stati sollevati in una chiave diversa dalla mia. Loro fanno capo a un gruppo di studiosi che si oppone sia al concetto di morte cerebrale che ai trapianti. E vogliono tornare a una situazione pre Harvard, alla definizione cioè di morte per arresto cardiaco. Puntano ad ammettere che i trapianti siano fattibili solo dopo che il cuore abbia cessato di battere. Questa posizione sarebbe, sì, gravemente nociva alla pratica del trapianto perché bisognerebbe attendere almeno 20 minuti per espiantare e a quel punto gli organi prelevati sarebbero già ampiamente danneggiati. Io, invece, pur sostenendo l'idea che tutto sommato sarebbe meglio tornare alla vecchia definizione di morte cardiaca, tuttavia penso che sia sbagliato legare il trapianto inevitabilmente alla morte. Le persone che corrispondono ai criteri di morte cerebrale forse non sono veramente morte ma di certo moriranno perché hanno raggiunto un punto di non ritorno. Pertanto, se non c'è opposizione da parte del malato o della famiglia che parla a suo nome, non vedo perché non eseguirei trapianti anche prima del decesso. Pensando alle visioni espresse da Scaraffia e De Mattei sul ruolo dello scienziato e del medico nel rapporto col paziente, le chiedo un commento sul dibattito che si è sviluppato In Italia in occasione dell'ultima fase della storia di Eluana. Purtroppo tutto quello che è accaduto intorno a Eluana è stato viziato da prese di posizione di carattere ideologico. Non faccio fatica a comprendere come la Chiesa cattolica possa non ammettere la sospensione dell'alimentazione in questi casi, però da questa contrarietà di carattere morale - che io non condivido - si è passati a tutta un'argomentazione pseudo scientifica (si è detto che capiva, che deglutiva!) priva di ogni fondamento empirico. Anche perché nessuno di quelli che ne parlava conosceva lo stato della ragazza. Quell'atteggiamento ideologico che non ammetteva in primis l'autodeterminazione di Eluana ha ispirato il decreto del governo (ritirato dopo la sua morte) e poi il ddl Calabrò sul biotestamento, specie dove costringe all'alimentazione e idratazione artificiale. Una legge contro personam... L'imposizione del sondino nasce proprio così. C'è una sola cosa che è andata bene in questa vicenda. Che Eluana sia morta prima di quanto pensassimo. Se fosse vissuta ancora una decina di giorni (il tempo medio in questi casi) quel decreto sarebbe stato convertito in legge senza discussioni. Questo non è avvenuto , e ora speriamo che, anche grazie alle pressioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini - per il quale non ho simpatia ma in questo caso devo fargli tanto di cappello - almeno le cose più assurde di questa legge siano modificate. . ________________________________________ L’Unione Sarda 9 ott. ’09 A FINE OTTOBRE SCIOPERA LA SANITÀ Sardegna fanalino di coda nelle prestazioni, il sindacato si mobilita Cgil, Cisl e Uil alla Regione: «È tempo di riforme» È indetto dai Confederali entro ottobre lo sciopero generale della sanità pubblica, privata e del settore socioassistenziale. Troppe le carenze del sistema sanitario regionale, esagerato il precariato e fastidiosa la mancata concertazione. È stato deciso ieri da Fp- Cgil, Fps-Cisl e Uil-Fpl nella riunione dei quadri e dei delegati regionali della sanità che hanno discusso del malessere del settore in Sardegna. Spiega Oriana Putzolu, segretario regionale della Cisl: «Uno studio pubblicato dal Sole 24Ore inserisce la Sardegna nelle ultime posizioni per quanto riguarda l'efficienza e l'assistenza farmaceutica, ospedaliera e di prevenzione». La Cisl, come Cgil e Uil, ritiene che l'assessore Antonello Liori debba aprire un tavolo di confronto per affrontare con le organizzazioni sindacali i grandi e gravi problemi della sanità. «Tra i quali il precariato», ricorda Antonio Masu, della Fps-Cisl, «che conta 1.700 dipendenti nelle Asl, 80 nell'Arpas e numerosi anche nell'Istituto Zooprofilatico di Sassari». I delegati hanno sottolineato che le conferme sulle carenze del sistema sanitario regionale arrivano ogni momento: per questo si chiede l'apertura di un tavolo con la Regione per discutere di una vera riforma, che non si limiti alla nomina di commissari. «Siamo pronti a discutere una riorganizzazione del sistema sanitario», dichiara Giovanni Pinna della Fp-Cgil, «per renderlo più efficiente. Ma non accettiamo che si prendano decisione senza interpellare i sindacati, siamo contrari a una logica di privatizzazione della sanità pubblica». Secondo i sindacati, le macro aree, il futuro delle Asl svuotate della gestione dei servizi e dei presidi, la costituzione di nuove aziende ospedaliere nasconde la scelta grave di trasferire alla gestione privata significative attività e questo tramite gli attacchi al lavoro delle strutture pubbliche e la introduzione di norme che rischiano di rendere incontrollabile la spesa. «Il sindacato, soprattutto quello di categoria», spiega Adolfo Tocco della Uil-Fpl, «non è nelle condizioni di esercitare le sue funzioni di rappresentanza solidale del settore sanità e così si vede costretto a iniziative drastiche come lo sciopero del comparto per portare a una normalità il confronto che oggi manca. Sono dell'avviso che l'assessore alla sanità pensi che il sindacato sia una rappresentanza di dettaglio e perciò insignificante». Non sta meglio, per i delegati sindacali, neanche la sanità privata sarda, nella quale si assiste a una decadenza continua delle specializzazioni, ai lavoratori sottopagati rispetto al pubblico e dove da oltre quattro anni non vengono rinnovati i contratti senza che le istituzioni intervengano nonostante il sistema privato sia a carico del bilancio regionale. Anche il terzo settore - lamentano i sindacati - gestito dal privato con soldi pubblici, viene depotenziato nei servizi e nelle prestazioni con la riduzione della forza lavoro, utilizzando la cassintegrazione e senza possibilità di ricollocazione nel sistema sanitario nonostante la richiesta di prestazioni sia crescente. «Il ricorso alla mobilitazione generale del settore sanità e dettato», concludono le federazioni di categoria, «anche dal disagio dei cittadini che sopportano lunghi tempi di attesa negli ospedali e nelle Asl anche per l'espletamento di semplici operazioni burocratiche, dalle lunghe liste di prenotazione per visite specialistiche, dalla serie di carenze piccole e grandi che rendono per lo meno problematico il servizio sanitario sardo. SERGIO ATZENI ________________________________________ Il Sole24Ore 9 ott. ’09 IL CONTO SALATO DELL'OBESITÀ Il parere dello scienziato. L'eccesso di peso è un'emergenza mondiale: nutrizione e stile di vita più salubri alla base della prevenzione PREZZI SOCIALI Malattie cardiovascolari e diabete procurano ogni anno costi sanitari che solo per l'Italia si misurano in oltre 30 miliardi di euro di Camillo Ricordi Una sana alimentazione come strategia di prevenzione. Oggi, grazie a una serie di importanti sviluppi della medicina, abbiamo una maggiore aspettativa media di vita rispetto ad alcune decine di anni fa. Tutto ciò è stato accompagnato da un cambiamento di stile di vita che, insieme a prodotti alimentari ipercalorici e ad alto indice glicemico, disponibili in porzioni eccessive e a costi limitati, ci ha portato a un progressivo squilibrio fra calorie assunte e ridotto dispendio energetico derivante da una forte riduzione dell'attività motoria. Il risultato è stato lo sviluppo massivo di patologie croniche non trasmissibili come obesità, malattie cardiovascolari, diabete e tumori. Tali patologie hanno impatti drammatici sia a livello di diffusione, cronicità e tasso di mortalità; sia a livello di costi sanitari indotti. Dati recenti pubblicati nel position paper "Alimentazione e Salute" del Barilla Center for Food and Nutrition evidenziano come le patologie non trasmissibili provocano ogni anno circa 35 milioni di morti. Le malattie del sistema cardiovascolare sono la prima causa di morte in tutte le nazioni sviluppate: nel 2005 si sono verificati 17,5 milioni di decessi, pari al 30% di tutte le morti. L'impatto economico delle patologie cardiovascolari ammonta a 473,3 miliardi di dollari negli Usa, 192 miliardi di euro in Europa e 21,8 miliardi di euro in Italia (2006). Il diabete si stima abbia una prevalenza mondiale del 5,9%, pari a 246 milioni di pazienti, con una mortalità annua di 3,8 milioni di persone, pari al 6% di tutte le morti (al 2025 si prevede una diffusione mondiale del 7,1% nella popolazione, pari a 380 milioni di persone). L'impatto economico del diabete ammonta a circa 232 miliardi di dollari a livello mondiale (2007), 174 miliardi di dollari negli Usa e 8,8 miliardi di euro in Italia. I tumori sono la seconda causa di morte: ogni anno sono almeno 12 milioni di nuovi, con una mortalità annua pari a 7,9 milioni di persone (al 2015 si prevede una diffusione mondiale di 9 milioni di persone e di 11,4 milioni al 2030). Esistono numerossimi studi che evidenziano numerose correlazioni, positive e negative, fra l'alimentazione, lo stile di vita e la prevenzione o l'insorgenza di queste patologie, a partire proprio dalla preoccupante diffusione dell'obesità che non a caso la European association for the study of Diabetes definisce come «il più importante problema di salute pubblica in tutto il mondo», con più del 65% degli americani obesi o sovrappeso e con il triplicarsi di casi di sovrappeso fra i giovani dal 1970 ai nostri giorni. Il position paper del Barilla Center mostra come le linee guida per la prevenzione delle singole patologie convergono a un singolo modello di indicazioni alimentari e di stile di vita e costituiscono una straordinaria arma di riduzione dei costi sanitari complessivi, risultando quindi uno strumento non più rimandabile delle politiche governative e che vede nell'industria alimentare più attenta al progresso scientifico un partner fondamentale. È stato dimostrato come ogni investimento in prevenzione produce nel corso degli anni successivi un risparmio triplo in trattamenti e cure. Un esempio concreto: la semplice riduzione di 2 mmHg di pressione arteriosa, ottenibile con la riduzione del sale nell'alimentazione quotidiana, può portare, su base statistica, a una riduzione del 7% di rischio di mortalità coronaria e del 10% di rischio di ictus, pari a un complessivo risparmio di 7,2 miliardi di euro l'anno di costi sanitari in Europa. Si può quindi affermare che alimentazione e stile di vita giocheranno un ruolo primario nel consentire alle persone di poter vivere meglio e consentire politiche governative di migliore gestione dei costi e degli investimenti destinati alle cure dei cittadini. Camillo Ricordi è professore di Chirurgia e Medicina e capo Divisione Trapianti cellulari all'Università di Miami _______________________________________________________ Il Messaggero 11 ott. ’09 FACEBBOOK? PUO’ DIVENTARE UNA DROGA A Roma si cura l’amico dipendnenza Lo psichiatra: Attiva la paranoia. Alla Cattolica un centro per disontissacarsi Giovani e giovanissimi le principali "vittime": entro qualche settimana al via le prime visite mediche di CARLA MASSI ROMA - Se la leggiamo in modo positivo la chiamiamo "friendship addiction" ("amico dipendenza"), se invece, la leggiamo con gli occhiali degli psichiatri la chiamiamo dipendenza e basta. Da Internet. Comunque sia, si tratta di una nuova patologia, quasi un'epidentia che ormai si diffonde di video in video tra i contatti dei social network. Con Facebook, per esempio. II primo sintomo si insinua come una biscia tra i sassi. Sta li, sotto il peso, mangia, cresce poi mette la testa fuori quando uno meno se l’aspetta. Quando si manifesta un'insicurezza esagerata, quando non si è in grado di staccarsi dal sito. E l'astinenza flagella il cervello. E non si riesce neppure a lavorare con la mente lucida. Non si riesce neppure a fare il ladro come si deve. E' accaduto qualche giorno fa ai Castelli Romani: un giovane di 26 anni ha pensato bene, durante un furto in appartamento, di utilizzare un computer aperto per connettersi con i suoi amici on line. Una debolezza che ha portato i carabinieri direttamente da lui. La"amico dipendenza", insomma, comincia ad avere i contorni come una vera malattia da diagnosticare e, possibilmente. curare. Diagnosi e terapia. Come fosse un disturbo dello stomaco o degli occhi. Come fosse, in realtà come è, un segno evidente di un danno alla psiche. Una dipendenza alla stregua della droga, del gioco d'azzardo. dell'acquisto compulsivo o delle abbuffate notturne. L'incapacità (perché impossibilitati a fermare la pulsione) a rinviare una serata di contatti con gli "amici" di Facebook rischia, insomma, di essere sovrapposta all'ineluttabilità, per un tossico, di un pomeriggio offuscato dalla polvere di coca. Il nuovo dipendente da casa al lavoro o da casa a scuola ha una precisa mappa mentale delle zone franche in cui si può rubare una rete non protetta e così, anche con il cellulare, continuare a ricordare al mondo che si esiste. Nessuno stupore, dunque. se tra gli addetti ai lavori si comincia a parlare della necessità di far nascere centri dedicati solo alla dipendenza da Internet. All'università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma aprirà tra poche settimane. Un ambulatorío all'interno del Day hospital in Psichiatria con la collaborazione dell'associazione "La promessa". I primi pazienti, già lo sanno i medici, saranno giovani e giovanissimi. Ma, con il tempo, anche gli adulti maledettamente stregati dai salotti on line busseranno a quella porta. Entro qualche settimana, le prime visite ad hoc. «Stiamo parlando di un nuovo modo di drogarsi - spiega Federico Tonioni, lo psichiatra che coordinerà l'ambulatorio - . Si tratta di una tossico dipendenza in qualche modo attesa. Visiteremo i figli legittimi della multimedialità che ci ha sopraffatto negli ultimi anni. Che li ha sopraffatti e inghiottiti senza permettere loro di dosare i mezzi». La multimedialità che ha dato loro la possibilità di aprire mille contatti. Ma non gli strumenti per gestirli. «Molti contano tanti amici, ma in teoria - aggiunge. Tonioni -. In una piazza virtuale dove tempo e spazio non hanno limiti. Lontani dalla terra, dall'aria che si respira, da quella stanza dove sta in computer. Una piazza che, se non confrontata con il reale, regala una straordinaria onnipotenza mentale, e illude di poter controllare ogni cosa. Si sa che sotto mentite spoglie puoi seguire qualcuno, puoi nasconderti, puoi inventarti una seconda vita». Bello. Tutto bello gioioso e divertente. Ma che accade quando, nei modi più diversi, ci si accorge che la relazione con il mondo passa solo attraverso quel canale? E quando, su Internet, si finge di essere una danna e invece si è un maschio? E quando un ragazzo, sotto mentite spoglie, entra contatto con la fidanzata per vedere se lei, con uno sconosciuto, ci sta o no? «Si inanellano fenomeni paranoidei - spiega ancora lo psichiatra -. Si incrociano, nei casi limite ovviamente, quelli che vogliono controllare, quelli che si sentono controllati, quelli che non riescono a non contare quanti nuovi amici si sono aggiunti nella giornata, quelli che si fanno di coca e poi passano la nottata a navigare da soli». Certo è, concordano esperti di tutto il mondo, che l'abuso di Internet, Facebook eccetera può diventare un «attivatore di paranoia». Un rifugio sicuro per inguattare le insicurezze, per avere sempre ragione, per sentirsi in compagnia. Ma se si spegne il video tutto si spegne e l'astinenza da video si presenta esattamente come l'astinenza da gioco d'azzardo o da droga. Un malessere psicofisico che non lascia spazio alla riflessione, all'attesa, alla relazione umana. Alla serenità. La cura? Un colloquio, una visita, l'entrata in un gruppo di pazienti con lo stesso problema. Nei casi estremi anche i farmaci. Per contenere quel malessere che, per molti durante l'astinenza. si trasforma in ansia, sudorazione, paura di perdere il controllo. David Smalhvood è uno dei principali psicologi inglesi esperti dì dipendenze: «Alcune donne sono particolarmente a rischio anche da adulte. Sono quelle la cui autostima deriva dai rapporti che instaurano con gli altri. E Facebook aumenta questa peculiarità emotiva obbligando gli utenti ad acquisire centinaia di amici». Il "reclutare" amici, dunque. può trasformarsi in una fissazione. Nei casi estremi si rischia di sentirsi giudicati sul numero di amici on line. E se spesso si viene respinti? «Pensiamo tutto questo che co sa scatena in personalità non ben strutturate -è ancora Tonioni a parlare - come quelle dei giovani. 0 pensiamo a persone che si tuffano in Internet per compensare altre situazioni. No, non si accorgono della dipendenza ma, quando parlano con noi del loro malessere o della dipendenza da droga esce fuori anche l'anomalo attaccamento ad Internet». L'impossibilità a fermarsi. A non controllare, giocare, navigare, mettersi in contatto, "frugare", guardare e farsi guardare. Fino ad essere costretti a disintossicarsi. Con un clic. Magari creando un gruppo di dipendenti in astinenza proprio su Facebook? _________________________________________________________ Corriere della Sera 4 ott. ’09 IL NASO ELETTRONICO CHE FARÀ LA DIAGNOSI IN UN SOFFIO Un naso elettronico per individuare precocemente il tumore del polmone? L' idea di cercare nel respiro dei marcatori del tumore non è nuova. Pochi anni fa ci avevano provato utilizzando l' olfatto dei cani, con risultati sorprendenti: percentuali di successo superiori al 90%. «Effettivamente i cani sono eccezionali - conferma la professoressa Ildiko Horvath, dell' Università di Budapest, che da anni studia l' argomento, da lei trattato anche al recente congresso dell' European Respiratory Society -. Ma è difficile mantenerli addestrati e utilizzarli in ospedale, per cui i ricercatori stanno lavorando su nasi artificiali. L' idea è di riuscire a mettere a punto un "breath test" da utilizzare come metodo di screening». Si sta cercando di individuare un particolare profilo dei composti organici presenti nell' aria espirata che sia tipico del tumore del polmone, in pratica una sorta di "impronta digitale" del tumore, che consenta di sospettarne la presenza. «Si tratta di un approccio non invasivo - spiega la ricercatrice - e di costo inferiore a quello di una tomografia computerizzata, anche se destinato a raccogliere informazioni differenti: dati sul comportamento chimico del tumore e non un' immagine del polmone». L' obiettivo dei ricercatori è quindi, quello di mettere a punto un esame semplice e sensibile, che possa essere utilizzato per lo screening, un po' come si fa con il pap test. «Se sulla base dei suoi risultati si dovesse sospettare qualcosa, si potrebbe poi procedere con la TC - aggiunge la ricercatrice -. Al momento non vi sono molte evidenze sull' uso di questo test nello screening, ma negli Stati Uniti sono in corso studi clinici randomizzati sulla diagnosi del tumore al polmone in cui è stato incluso un test per l' analisi dei composti organici presenti nel respiro e i risultati dovrebbero arrivare fra non molto tempo». L' obiettivo di identificare un test precoce è estremamente importante in una malattia come il tumore del polmone, in cui gli effetti della terapia sono limitati quando la diagnosi viene posta in una fase avanzata. «Quindi ben venga qualsiasi cosa che ci consenta almeno di sospettare il tumore in una fase in cui è ancora aggredibile» commenta il professor Leonardo Fabbri dell' Università di Modena. Attualmente le possibilità di una diagnosi precoce sono limitate dal fatto che il tumore si sviluppa di solito senza dare particolari sintomi e che i test di screening disponibili non sono in grado di garantire una valida distinzione fra i pazienti con tumore e i soggetti sani. «Con l' uso della TC ad alta risoluzione, a parte il rischio non valutabile dell' esposizione ai raggi, abbiamo il problema che su 20 noduli che troviamo, solo uno è positivo - commenta Fabbri -. Ciò significa che si rischia di operare inutilmente 19 persone, per curarne realmente una. Di conseguenza, per oggi non è ancora indicato utilizzare questo esame nello screening, neanche per i forti fumatori». Franco Marchetti RIPRODUZIONE RISERVATA Marchetti Franco