18 OTTOBRE 2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 MELIS: LO STUDENTE AL CENTRO DELL'UNIVERSITÀ SSD: FRATI E LA BRUNA: UNA RIFORMA RIUSCITA NEL PASSATO SSD: IL CUN: E ORA TOCCA ALLA GELMINI SE SI CONCENTRA IL MERITO ATENEO ACQUISTA ECCELLENZA ARAN E AGENZIA PER LA VALUTAZIONE: IN ARRIVO UN'ONDATA DI NOMINE NAPOLI: L' UNIVERSITÀ CHE «REGALA» UN ANNO AGLI ISCRITTI UIL GELMINI:STRETTA SULLE UNIVERSITÀ TELEMATICHE UNIVERSITÀ, STOP AI CREDITI FACILI UNIVERSITÀ E MERITOCRAZIA, DIFENDIAMO IL «TEST NAZIONALE» FRATI: NIENTE TASSE AGLI STUDENTI CON LA MEDIA DEL 29 "IL CERN SFIDA LA LEGGE DEL TEMPO IL SUO ESPERIMENTO FALLIRÀ SEMPRE" LA LUCE SUPERFLUIDA CHE ATTRAVERSA I MURI IL MISTERO DELL'UOMO NEOLITICO CUSTODITO NELLE GROTTE DI SEULO IL LIBRO «L' ONORATA SOCIETÀ» SU CHI «BLOCCA IL PAESE» ======================================================= COMMISSARI DELLE ASL: PUBBLICATA LA DELIBERA MEDICI DI FAMIGLIA IN CERCA D'AUTORE MILILLO: «NOI MMG, SCOMMESSA PER LA SOSTENIBILITÀ» LA TERZA VIA TRA SISS E SOLE: PIÙ SPAZIO AL PAZIENTE INTERNET L' ANNUNCIO DI BRUNETTA: RISPARMIO DI 30 MILIARDI IN CADUTA LA SPESA PER LA SALUTE L'83,4% DELLA SPESA 2008 È DESTINATO AL SSN CANCRO: IN CAMPO TRE ÉQUIPE DI RICERCATORI CAGLIARITANI UN POSTACELERE PUÒ SALVARE IL NEONATO STRATEGIE SARDE NELLA GUERRA ALLA SCLEROSI DAI NOBEL IL DNA CHE UCCIDE I TUMORI CANCRO: IN CAMPO TRE ÉQUIPE DI RICERCATORI CAGLIARITANI ESISTE IL LIBERO ARBITRIO? I CERVELLONI DICONO «NO» PRIORI: LE NOSTRE DECISIONI SONO DETERMINATE DALLA MATERIA GRIGIA» VINO ROSSO DI PASSIONE UNA VITA NORMALE CON MEZZO CERVELLO MA CHI È IL CHIRURGO? DOCTOR. JEKYLL O MR. HYDE. UN SISTEMA A ULTRASUONI PER TAGLIARE E RIMARGINARE QUALITÀ IN CHIRURGIA PER LA SALUTE DEL PAZIENTE OPERANDO (PER FINTA) S'IMPARA L'ORTOPEDIA È ORA SUPER SPECIALISTICA «PILLOLA ABORTIVA NON DANNOSA» ECCO LO STUDIO CHE LO DIMOSTRA RICORDI ARTIFICIALI INNESTATI NEL CERVELLO OSTRUZIONISTA CHI DICE «NO» AL PRIMARIO ANCHE CON ORDINI VERBALI INDENNIZZATI DUE PAZIENTI SU TRE ======================================================= ________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 ott. ’09 MELIS: LO STUDENTE AL CENTRO DELL'UNIVERSITÀ di Giuseppe Marci Quando la giornalista Ilaria D'Amico inviò una troupe televisiva per svolgere un'inchiesta e cercare di capire le cause (e le possibili magagne) di una lunga permanenza in carica, il Rettore Mistretta la accolse con affabilità. Accompagnò le telecamere alla Cittadella Universitaria, ricevette gli intervistatori in Rettorato, non nascose nulla, anzi molto esibì con una certa compiaciuta e (auto)ironica civetteria. Significative le immagini girate nella Cittadella, non solo per l'imponenza della realizzazione, ma soprattutto perché ovunque il Rettore si spostasse, accompagnato dagli intervistatori e dalle macchine da presa, era accolto da studenti e docenti che gli andavano incontro per salutarlo, con cordialità interamente corrisposta. Rientrato nel suo studio, Mistretta spiegò come era formato il corpo elettorale, docenti, studenti, personale amministrativo: gente esperta, capace di valutare il pro e il contro, di formare una decisione responsabile. "Mi eleggono", disse. Voleva far comprendere che la lunghezza del mandato si spiegava con il consenso ottenuto nel corso degli anni e riconfermato a ogni elezione. Poi guidò le telecamere in Aula Magna e mostrò una lapide che aveva fatto murare e nella quale, in lingua latina, vengono illustrati i fasti della sua gestione rettorale: una bonaria sfida agli intervistatori. Il servizio trasmesso e il successivo dibattito in studio si conclusero in modo sostanzialmente positivo per l'immagine dell'Ateneo cagliaritano e del Rettore che lo aveva governato. Certo, si potrebbe poi obiettare che, comunque, una buona regola della democrazia è quella che prevede mandati brevi, rinnovabili una sola volta: questo per ogni carica pubblica. Ma personalmente vorrei anche sperare che tutti i rettori - e in genere tutti gli amministratori - possano portare a termine gli incarichi ricevuti avendo all'attivo nel proprio bilancio quel che a Mistretta viene riconosciuto: aver guidato l'Università in un periodo difficile, segnato da profonde trasformazioni, quando molti navigavano a vista e senza avere visioni strategiche; aver dotato l'Ateneo di strutture significative; aver sviluppato i rapporti con la società civile e posto al centro dell'attività universitaria la figura dell'utente: ovverosia lo studente. In più aggiungerei, ribaltando l'accusa che gli è stata rivolta di gestione "amicale", ha tenuta aperta la porta a tutti, agli studenti e ai loro genitori, al personale amministrativo, ai docenti: per i problemi di ciascuno cercando una soluzione, e molte volte trovandola. Sempre con una parola sdrammatizzante e positiva; in controtendenza, rispetto al mondo concitato e violento in cui sempre più ci troviamo immersi. Speriamo che le attuali e difficili situazioni economiche ci consentano di conservare queste qualità. ____________________________________________________________ ItaliaOggi 14 ott. ’09 SSD: FRATI E LA BRUNA: UNA RIFORMA RIUSCITA NEL PASSATO LE DOMANDE 1 Non è la prima volta che si mette mano ai settori scientifico disciplinari. L'occasione è data ora dalla riforma dell'università che sarà presentata a breve. Nel passato invece quale fu il motivo? 2. Di quanto furono ridotti? 3. Quale fu la difficoltà maggiore che avete incontrato nella revisione? 4. La revisione fu accompagnata da molte polemiche? Risponde Luigi Frati {ex vice residente Cun) rettore dell'Università di Roma La Sapienza 1. Con l'istituzione del Consiglio universitario nazionale l’attivazione delle procedure concorsuali idoneative previste dal dpr 382/1980 (per professore associato e per ricercatore) si ristrutturarono i raggruppamenti concorsuali, prevedendo raggruppamenti molto larghi per ricercatore (ad es. farmacologia, patologia generale, patologia clinica, microbiologia medica, microbiologia clinica), più ristretti per professore associato (ad es. da un lato patologia generale-patologia clinica, microbiologia medica e microbiologia e , dall'altro, farmacologia-tossicologia) ed ancora più ristretti per ordinario (rispettivamente patologia generale/clinica, microbiologia medica e clinica, farmacologia-tossicologia). Nel tempo si è avuta una qualche frammentazione, in particolare nell'area umanistica. 2. I settori scientifico disciplnari furono drasticamente ridotti da mille a circa cinquecento. 3. La difficoltà maggiore fu legata al sentimento diffuso di «proprietà» delle discipline. Tanto per fare un esempio, la mia disciplina, quella l'ho introdotta io . Mi ricordo la «micro neurochirurgia pediatrica», che ovviamente al Cun fu bocciata. 4. Ci furono molte polemiche, ma io sono abituato a identificare gli obiettivi e a far comprendere che la sicurezza la si ottiene dal buon funzionamento delle istituzioni piuttosto che dal «suo particolare». E poi tutte le polemiche si spengono nel corso del tempo. Risponde Luigi La Bruna (primo presidente del Cun) professore ordinario di storia del diritto romano. 1. La precedente revisione fu elaborata dai Cun tra il 1999 e il 2000. L'occasione fu rappresentata dalla necessità di applicare la nuova normativa ordinamentale, avviata dai decreti d'area e poi messa in atto dal dm 509/99. Ma non solo, perché in quegli anni era anche in cantiere la revisione delle norme concorsuali conseguente l'applicazione della legge 210/98. 2. I settori scientifico disciplinari furono portati da cinquecento a trecentosettanta quali sono ora. 3. Prima dei raggruppamenti avevamo quelle che si chiamavano le discipline che però erano estremamente parcellizzate. Pensammo quindi di sostituirle proprio con i settori facendo delle declaratorie che in sostanza «dichiaravano», il contenuto del settore scientifico disciplinare. L'obiettivo nel mettere ordine in quel mondo caotico era comunque evitare che ci fosse una sorta di polverizzazione delle materie. 4. Lavorammo per due anni ascoltando tutte le voci della comunità accademica. Il problema più grosso fu quello di determinare le affinità: i settori scientifico disciplinari dovevano essere insiemi riconoscibili e coerenti, dotati di un' omogeneità in termini di tematiche di ricerca, metodologie e linguaggio sufficienti a consentire valutazioni e confronti al suo interno. Le resistenze furono tante e in alcuni casi anche ragionevoli, soprattutto in alcune facoltà. Ma alla fine, credo, siamo riusciti almeno un po' a razionalizzare il sistema dei saperi. ____________________________________________________________ ItaliaOggi 14 ott. ’09 SSD: IL CUN: E ORA TOCCA ALLA GELMINI DI ANDREA LEN2I* II ministro Gelmini ha chiesto al Consiglio universitario nazionale (Cun) una proposta di riduzione dei Settori scientifico disciplinari (Ssd) come uno dei punti cardine della prossima riforma. I Ssd sono fondamentali per la classificazione dei docenti, per la strutturazione dei corsi di laurea, per la gestione dei concorsi universitari e, benché molti ne chiedano l’abolizione, sono, a legislazione vigente, insostituibili senza correre il rischio di bloccare la vita dei nostri Atenei. Condividendo l’urgenza di una razionalizzazione dell'attuale numero (vi sono oltre 80 Ssd con meno di 50 docenti di ruolo), il Cun ha predisposto un nuovo modello di classificazione che identifica ogni docente mediante una serie gerarchica di parole-chiave, riducendo i Ssd da quasi 400 a meno di 200 con un'operazione culturale avvenuta dopo un'ampia consultazione con la comunità accademica. In particolare esiste un vasto consenso sul fatto che il principale scopa dei Ssd non è più la soia attribuzione dei compiti didattici, ma é fondamentale basarli su criteri di omogeneità degli oggetti della ricerca. Questo soprattutto ai fini della valutazione che impone una più chiara individuazione delle specificità scientifiche dei singoli Docenti. Da qui la necessità di un modello flessibile e paragonabile per logica, numerosità e qualità ai più accreditati sistemi internazionali di valutazione della ricerca. II modello deliberato dal Cun ha tutte queste caratteristiche, ma la sua applicazione richiede che la riforma, più volte annunciata, diventi effettivamente operativa. Questo modello è un importante contributo di autoriforma che noi proponiamo come metodo di dialogo tra la politica e i1 sistema dell'autonomie universitarie. Ora tocca alla politica modificare, secondo quanto da tempo condiviso con il sistema universitario, la normativa di reclutamento e di progressione di carriera che ~ dovrà prevedere una abilitazione nazionale a lista aperta basata sulle caratteristiche curriculari scientifiche del candidato ed una -successiva chiamata presso i dipartimenti secondo un profilo adeguato ai compiti didattici e scientifici, richiesti. Dopo i parametri di produzione scientifica per i concorsi da ricercatore ________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 ott. ’09 SE SI CONCENTRA IL MERITO ATENEO ACQUISTA ECCELLENZA Riforme. Selezione degli studenti e dei professori migliori di Giacomo Yaciagn Le rivoluzioni sono davvero la cosa più facile da fare? Scrive Roberto Perotti (sul Sole 24 Ore del 7 ottobre) che introdurre la meritocrazia nell'università italiana è come «tirare un rigore a porta vuota»: bastano tre righe del ministro ed ecco che «il sistema assegna magicamente gli studenti migliori agli atenei migliori». Pensate che il governo francese ha invece deciso che ci vogliono dieci anni, e 2o miliardi di euro (dieci pubblici e dieci privati), affinché le dieci università che si è deciso saranno le migliori di Francia lo diventino davvero, cioè attirando da tutte le altre i professori e gli studenti migliori. Questo è il vero problema che la "meritocrazia all'italiana" (di cui scriveva anche Innocenzo Cipolletta sul Sole 24 Ore del q ottobre) non ha mai voluto risolvere, non solo con il buon operare dell'attuale ministro dell'Università, ma neppure con i suoi predecessori meglio intenzionati. Il problema è di accettare che le università italiane siano tra loro in competizione per avere gli studenti migliori e quindi far si che questa competizione avvenga - come nel resto del mondo - al rialzo (cioè concentrando la qualità) e non al ribasso (cioè regalando, o vendendo i voti). Ciò che serve - e anche questo non lo faranno magicamente tre righe di un ministro, ma occorrono dieci anni di duro lavoro - è la riqualificazione (con molte probabili chiusure) di una rete di sedi universitarie, più di 300!, cresciuta a dismisura negli ultimi vent'anni, all'insegna del principio che gli studenti dovrebbero andare alla sede universitaria più vicina a casa per continuare a vivere in famiglia il più a lungo possibile. Quando racconto ai miei colleghi americani a inglesi che in Italia più del 9o% (dato Istat) degli studenti universitari a sera va a casa dalla mamma, non ci credono e pensano che li sto prendendo in giro. Eppure, è questo ciò che abbiamo fatto negli ultimi vent'anni, é non è successo in segreto o all'insaputa del governo. L'attuale è il primo governo ad aver contestato la generale compiacenza con cui un po' tutti - professori, studenti e soprattutto mam me-hanno accompagnato quella miracolosa espansione geografica dell'università. E l'ha fatto prima per carenza di soldi che per più nobili motivi di qualità della didattica e della ricerca scientifica. Sta di fatto che ormai un primo passo è stato compiuto e quindi l'ambizione di selezionare alcune università come "migliori" ci costringerà a definire anche l’identikit di queste università. Pensando a quelle che per unanime riconoscimento sono così considerate, nel resto del mondo, provo a indicare due caratteristiche essenziali. Le università migliori sono comunità di professori e di studenti che li- assieme - vivono; vi sono quindi sufficienti collegi, residenze, mense, campi sportivi, cioè tutte quelle strutture che devono affiancare aule, laboratori, biblioteche. Sono di dimensione contenuta (dai 10mila studenti del Mit ai 3omila di Oxford e di Cambridge) e accolgono docenti e studenti di tutto il mondo. Anche per questo, eventuali esami d'ammissione riservati a studenti nati e residenti qui sarebbero un controsenso. Tutto ciò detto, quali sono le nostre speranze? Evidentemente, conviene essere ottimisti e continuare ad auspicare sia la meritocrazia sia un graduale processo di selezione che faccia davvero emergere 1e università migliori. Con la competizione che è ottenuta da regole e politiche appropriate, e consentendo che la selezione, e quindi anzitutto la mobilità di docenti e studenti, abbia il tempo necessario per dare i risultati desiderati. Se dovessi proprio consigliare qualcosa al ministro, insisterei su ciò che in tutto il mondo è condizione sine qua non perché vi sia un gruppo di università dove si concentra la qualità, e cioè che vi siano sufficienti collegi. Quest'anno, il governo ha cercato di contrastare la grave crisi dell'edilizia consentendo agli italiani di ampliare le loro case, e saranno perciò contente le mamme che vedono così allontanarsi il momento in cui i figli dovranno lasciar la famiglia. Ma forse sarebbe stato meglio iniziare a costruire collegi nelle università che si impegnano ad attirare gli studenti migliori: nel giro di qualche anno, il loro impegno sarebbe diventato credibile. ________________________________________________________________ Il Messaggero 12 ott. ’09 ARAN E AGENZIA PER LA VALUTAZIONE: IN ARRIVO UN'ONDATA DI NOMINE ROMA - Il decreto sul pubblico impiego approvato la settimana scorsa avrà, tra gli altri effetti, quello di creare tante nuove poltrone su cui mettersi a sedere. Alcune sono vecchie poltrone che improvvisamente si liberano, come quelle dell’Aran. Altre sono nuove, fabbricate per l'occasione. Sono nuovi in particolare i cinque posti della prestigiosa Agenzia perla valutazione. L'organismo è stato inventato da Brunetta, ed è in parte ispirato alle proposte di Pietro Ichino, il professore che per primo lanciò la campagna contro i fannulloni e che oggi siede in Parlamento nei banchi del Pd. Inizialmente il governo faceva concepita come un'autorità indipendente (cioè lo stesso status dell'Antitrust o della Banca d'Italia), poi si è ripiegato sulla più modesta definizione di Agenzia. Lo stipendio dei cinque membri però non sarà tanto modesto: stando alle cifre indicate nella legge e nella relazione tecnica, si aggirerà mediamente sui 300 mila euro pro capite. Per la scelta dei cinque componenti si fanno già alcuni nomi. Il presidente potrebbe essere Antonio Martone, ex presidente della commissione di garanzia sugli scioperi. Accettare l'eventuale nomina per lui comporterebbe anche un piccolo sacrificio: dovrebbe uscire dai ruoli della magistratura a cui tuttora appartiene. Degli altri quattro posti dell'Agenzia, uno dovrebbe andare a Fabio Pistella (attuale presidente del Cnipa e in precedenza presidente del Cnr). Un altro posto spetterebbe a Luciano Hinna, un consulente di Brunetta che in passato ha fatto parte del "Comitato per il controllo strategico" (organismo antenato della nascente Agenzia). Restano poi i due posti che, secondo gli accordi, spetterebbero all'opposizione, Uno potrebbe andare all'economista Fiorella Kostoris, ex presidente dell'Isae. Infine per l'ultimo posto si parla di un professore universitario il cui nome sarebbe suggerito da Ichino in persona. Quanto all'Aran (l'agenzia che fa i contratti del pubblico impiego), il decreto di Brunetta fa decadere in anticipo il mandato dell'attuale presidente. Non si conoscono ancora i nomi di aspiranti successori. C'è peraltro la possibilità che l'agenzia venga commissariata. In questo caso il candidato naturale sarebbe Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione pubblica. ________________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 ott. ’09 NAPOLI: L' UNIVERSITÀ CHE «REGALA» UN ANNO AGLI ISCRITTI UIL NAPOLI I VERTICI DEL SINDACATO REGIONALE VALUTANO CHI HA DIRITTO ALLO «SCONTO» I CRITERI Sessanta crediti per il triennio in legge alla Parthenope Massimo bonus riconosciuto ai lavoratori impegnati «in attività di tipo tecnico, gestionale o direttivo» ROMA - «Non c' è proprio niente di strano». Questo il commento del professor Federico Alvino quando, due anni fa, saltò fuori che nell' università con il record di docenti imparentati, la Parthenope di Napoli, anche lui, preside di giurisprudenza, poteva vantare una parentela coi fiocchi. Sua moglie Marilù Ferrara è infatti la figlia di Gennaro Ferrara, ininterrottamente da oltre un ventennio rettore dell' ateneo. Una parentela, inoltre, dalle spiccate venature politiche. Alvino è consigliere comunale di Napoli, capogruppo dell' Udc. Invece il suocero è vicepresidente della giunta provinciale. Deleghe: politiche scolastiche e diritto allo studio. Proprio niente di strano, per come funziona l' università italiana. Che dire allora dell' ultima perla di cui si può fregiare il trentasettenne Alvino, uno dei presidi più giovani d' Italia? Qualche settimana fa la Parthenope ha firmato con la Uil della Campania una convenzione che consentirà a chi ha in tasca la tessera del sindacato guidato da Luigi Angeletti di vedersi riconoscere fino a 60 crediti per il corso di laurea triennale in giurisprudenza. Uno sconto, secco, di un anno su tre. Come ottenerlo? Sentite che cosa dice la convenzione: «In considerazione delle conoscenze e delle abilità che i lavoratori iscritti alla Uil potranno certificare in ragione delle funzioni e delle mansioni a loro attribuite verranno riconosciuti 60 crediti al personale impegnato in attività di tipo tecnico, gestionale o direttivo... 50 crediti al personale impiegato in attività caratterizzato da conoscenze mono specialistiche...». Ma sapete chi stabilisce i requisiti per avere diritto allo sconto? Ecco l' articolo 2 della convenzione: «La Uil segreteria regionale della Campania si impegna a collaborare con l' Università nell' individuazione dei requisiti nella fase istruttoria delle richieste degli iscritti». Cioè la decisione viene presa insieme al sindacato. E se un iscritto alla Uil ha magari già fatto qualche esame in quella università e vuole vederselo riconosciuto? Stropicciatevi gli occhi: «Il riconoscimento degli esami stessi - ha scritto Luciano Nazzaro della Uil Campania ai suoi colleghi - sarà curato dalla stessa Uil». Ma per quanto possa sembrare inverosimile, convenzioni come quella appena stipulata dall' ateneo delle «dieci famiglie», come la definì nel giugno 2007 un articolo di Repubblica, nelle università italiane non sono affatto rare. Quando alla fine degli anni Novanta con la riforma voluta dal centrosinistra vennero istituite le lauree triennali, si decise di riconoscere crediti formativi accumulati con l' esperienza lavorativa. C' era una disposizione europea. Ma in Italia l' opportunità diventò ben presto occasione per i furbi. Da lì al malcostume vero e proprio il passo fu breve. E il malcostume dilagò. Si arrivò a regalare i pezzi di carta: c' erano convenzioni che consentivano di vedersi abbuonare anche tutti i crediti formativi del corso di laurea. Bastava discutere la tesi. E in qualche caso neanche quello. Naturalmente dietro pagamento di rette profumate. A che cosa servivano le lauree prese in questo modo? Prevalentemente a passare di grado nella pubblica amministrazione. Da impiegato a funzionario, da sottufficiale a ufficiale, da pizzardone a graduato. Con relativo incremento di stipendio. Quando Fabio Mussi, tre anni fa, arrivò al ministero dell' Università, trovò questo sfacelo e stabilì il limite tassativo di 60 crediti (che sono pur sempre un anno di studio), cercando pure di introdurre criteri rigorosi per concederli. Ma evitare che lo sconto tocchi anche a somari con il solo merito di avere un tesserino nel portafoglio si è in seguito rivelato pressoché impossibile. Il giro di vite ha appena intaccato l' andazzo. Chi si stupisce che due anni dopo la direttiva Mussi una università statale come la Parthenope di Napoli forse non sa che a metà 2007 l' Università statale di Messina ha fatto una convenzione simile con la Cisl: anche in quel caso 60 crediti. Bastava avere un diploma di scuola media superiore e un posto di lavoro alla regione, o in una Asl, oppure in un altro ente pubblico. Ma soprattutto essere iscritti al sindacato di Raffaele Bonanni, dettaglio essenziale per accedere direttamente al secondo anno di Scienze politiche, giurisprudenza, statistica, economia. Ma è niente in confronto alle convenzioni che hanno firmato alcune università private «telematiche». Convenzioni con la Uil Poteri locali, la Ugl enti pubblici, la Rsu della Provincia di Agrigento, l' associazione romana vigili urbani, l' associazione dipendenti del ministero dell' Interno, il centro formazione professionale Enti padri Trinitari... Davvero niente di strano? Sergio Rizzo RIPRODUZIONE RISERVATA I personaggi In alto, Federico Alvino, preside di Giurisprudenza alla Parthenope. Sotto, Luigi Angeletti, leader uil Rizzo Sergio ____________________________________________________ ItaliaOggi 17 ott. ’09 GELMINI:STRETTA SULLE UNIVERSITÀ TELEMATICHE L'annuncio del ministro Gelmini: A pagarne le conseguenze anche ordini e associazioni Per laureare l’esperienza professionale bisognerà studiare di più Nel giro di vite per gli atenei telematici annunciato dal ministro dell'istruzione e università Mariastella Gelmini, a rimanere schiacciati saranno anche gli ordini e le associazioni professionali: Costretti, al più presto, a rimettere mano à tutte quelle convenzioni stipulate proprio con le università on-line. Si tratta di accordi di programma, talvolta conosciuti con lo slogan «laureare l’esperienza», che prevedono la possibilità per gli iscritti agli albi o agli associati di vedersi riconosciuta l'esperienza professionale in crediti formativi (60 è il limite previsto per legge) validi per il conseguimento della laurea. In sostanza un anno in meno di lezione e circa 12 esami abbonati in cambio della professionalità acquisita. Ma su tutto questo sta per abbattersi la scure della Gelmini che, solo pochi giorni fa, ha annunciato «tolleranza zero» nei confronti degli atenei telematici per arrivare a formulare «regole certe, affidabili e improntate al rigore». Ecco perché, tanto per iniziare, è prevista un'ulteriore stretta che farà scendere a 30 il numero dei crediti riconosciuti (Mussi nel 2007 li aveva portati a 60). In realtà, per gli ordini questi accordi di programma non sono «la facile scorciatoia per ottenere il titolo di studio in minor tempo», immaginata dal ministro, ma una risorsa per gli studenti lavoratori o per i professionisti abilitati che decidono di prendersi un titolo di studio. Tanto più che le stesse direttive europee (la n. 89/48 recepita in Italia con il dpr n. 328/Ol) prevedono che per l'esercizio di una libera professione è ormai indispensabile possedere una formazione universitaria di almeno tre anni dopo il secondario. Ecco perché, per esempio, i geometri, periti agrari e periti industriali, hanno sottoscritto tre diverse convenzioni, rispettivamente con l'università telematica Uninettuno e con la Guglielmo Marconi, che puntano al riconoscimento di un massimo di 60 crediti formativi in base alla qualificazione professionale effettivamente posseduta al momento dell'iscrizione. La valutazione per il riconoscimento non sarà effettuata a priori ma «sarà effettuata ad personam sulla base del curriculum del richiedente, in specifico riferimento alle conoscenze e alle specifiche abilità professionali». Non c'è invece un accordo definito rispetto al numero dei crediti rilasciati ai professionisti iscritti al collegio degli Agrotecnici che a stretto una convenzione con l'università telematica Marconi già «nel 2004 implementata nel 2006». La scelta di un accordo è caduta sullo stesso ateneo anche per i Consulenti del lavoro che hanno previsto due diverse tipologie di riconoscimento: 30 crediti per chi ambisce alla titolo di laurea triennale e 40 per quella specialistica. Quattro convenzioni anche per i le quattro associazioni dei tributaristi. La Lapet ha siglato infatti nel settembre 2007 un accordo con l'università telematica Telma che oltre ad andare incontro agli iscritti stabilisce che l'università e lo stesso ateneo «possono attivare corsi di formazione professionalizzanti, di perfezionamento e di alta formazione nonché attività di ricerca coerenti con le finalità di entrambi» Ancot (Associazione nazionale consulenti tributari), Int (Istituti nazionale tributaristi) e Ancit (Associazione nazionale dei consulenti tributari italiani) invece hanno stretto alleanza con l'università telematica delle Scienze umane Unisu «Niccolò Cusano»: mentre l’Ancit ________________________________________________________________________ Corriere della Sera 13 ott. ’09 UNIVERSITÀ, STOP AI CREDITI FACILI ROMA - Giro di vite della Gelmini sulle lauree sprint. Stop all' eccesso di velocità garantito dal disinvolto riconoscimento dell' attività professionale che ha consentito, in decine di migliaia di casi, di iscriversi direttamente al secondo o terzo anno di corso. «Ho dato disposizioni - ha dichiarato il ministro dell' Istruzione - affinché il massimo dei crediti extrauniversitari riconosciuti a uno studente scenda drasticamente da 60 a 30». «Tra l' altro - ha aggiunto - ho fortemente voluto che si escludesse tassativamente qualsiasi forma di convenzione con organizzazioni di vario tipo». La Gelmini ha annunciato la sua decisione dopo aver letto sul Corriere la notizia della «convenzione» proposta dalla «Parthenope» di Napoli: 60 crediti, un terzo di laurea, purché si sia iscritti alla Uil. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché di convenzioni, negli ultimi 8 anni, ne sono state stipulate a centinaia. E con caratteristiche ben lontane dallo spirito della legge. Un solo dato, per comprendere quanto sia estesa la laurea sprint: nel 2007 hanno tagliato il traguardo con mesi di anticipo sul previsto 12 mila studenti grazie alla certificazione di conoscenze e abilità professionali. Le più gettonate sono state Economia, dove i laureati rappresentavano il 7,5 per cento del totale, Legge (5,8) e Scienze Politiche (19,7). Due anni fa il 45 per cento delle lauree precoci (meno di tre anni) erano concentrate in 7 università: Università telematica di Roma (91,5% di lauree sprint); Kore di Enna (79); San Pio V (79); Chieti e Pescara (53); Telematica Marconi di Roma (50,4); Siena (47,2); Jean Monnet Casamassima (46). Al Politecnico di Milano o a Trento oscillano tra lo 0,1 e lo 0,2 per cento. Il mondo accademico è d' accordo con la Gelmini. «Al Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario) abbiamo sollevato il problema due anni fa», spiega il professor Guido Fiegna. Si allontana, intanto, il rischio di commissariamento del ministero dell' Istruzione, dopo l' ordinanza del Tar di sabato: è stato presentato un emendamento al decreto legge sui precari per risolvere la gestione delle graduatorie. E un altro emendamento alla Finanziaria, propone uno scivolo di due anni per i prof che entro il 31 gennaio 2010 lascino in modo volontario il lavoro. G.Ben. RIPRODUZIONE RISERVATA Benedetti Giulio ________________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 ott. ’09 UNIVERSITÀ E MERITOCRAZIA, DIFENDIAMO IL «TEST NAZIONALE» Ieri il ministro Gelmini ci ha informato che ha dovuto sospendere il processo di istituzione del test nazionale standard da me proposto un anno fa (nonché da altri accademici eccellenti quali Roberto Perotti e Andrea Ichino) a causa dell' «ultimatum» del Tar sui professori precari. Il ministro teme che il Tar possa un giorno provocare la paralisi nazionale bloccando il test di una sola università. Sarebbe un disastro nei confronti della prima seria iniziativa orientata a creare un seme di merito nel nostro disastrato sistema educativo. In questo ultimo anno si sono intravisti gli effetti della perversa assenza di una misurabilità obbiettiva del merito. I 100 e lode della maturità si sono rilevati totalmente inaffidabili perché al Sud erano il doppio che al Nord. I test che le università autoamministrano hanno creato gravissime ingiustizie. Nelle facoltà a numero chiuso come Medicina l' Italia è l' unico Paese al mondo in cui il test non dà risultati considerati validi in tutte le università: ciò fa sì che anche i migliori studenti preferiscono scegliere le università meno ambite, in funzione di una maggiore «sicurezza» di ammissione, anziché provare ad entrare nella migliore università possibile. Nei Paesi dove la meritocrazia esiste vi è un solo test nazionale standard che è lo stesso per tutte le facoltà, e ciò ha enormi vantaggi perché la selezione d' accesso è molto più obbiettiva. Un test nazionale standard permetterebbe anche di mettere ordine nella attuale giungla di borse di studio nazionali e regionali e nel creare meccanismi efficaci per assegnare i prestiti d' onore. Si potrebbe creare un piccolo «fondo per il merito» in cui i 1.000 migliori studenti riceveranno una ricca borsa di studio per andare a studiare nelle migliori università. Ciò creerebbe un meccanismo di «quasi mercato» per capire finalmente quali sono le università migliori a cui dare più fondi: sono quelle dove vanno gli studenti migliori. Il merito a parole è invocato da tutti. Il difficile è passare dalle parole ai fatti. Roger Abravanel meritocrazia.corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA ________________________________________________________________________ Corriere della Sera 12 ott. ’09 FRATI: NIENTE TASSE AGLI STUDENTI CON LA MEDIA DEL 29 Incentivi anche a chi si è diplomato con il voto di 100, e agli universitari che non hanno voti sotto il 27Ai presidi e direttori dei dipartimenti vorrei dare un' indennità legata per due terzi agli obiettivi raggiunti ROMA - Oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, premia le migliori ricerche dell' università «La Sapienza» di Roma. E il rettore dell' ateneo più grande d' Europa, Luigi Frati, annuncia alcune importanti novità contenute nella riforma dello statuto, prevista per novembre, che anticipa la riforma dell' università del ministro Mariastella Gelmini. Come giudica la classifica del «Times» che vede la Sapienza al 205° posto tra gli atenei di tutto il mondo? «Eravamo al 205° posto e lì siamo rimasti: è già un buon risultato. E comunque il «Times» ci mette nell' area scientifica, che raccoglie scienze, farmacia e medicina, al 54° posto, un buon piazzamento». La differenza tra atenei italiani, inglesi e americani è solo dovuta alla disponibilità di risorse? «La differenza è nel tipo di organizzazione, che all' estero è finalizzata ai risultati ottenuti. Il loro sistema di valutazione è spietato: questa organizzazione la vorrei importare alla Sapienza. Comunque i finanziamenti erogati dall' NIH (National Institutes of Health) alle università americane per la ricerca biomedica sono tre volte superiori ai fondi che lo Stato assegna a tutti gli atenei italiani». Ma così si ottengono grandi risultati. Come pensa di premiare il merito? «Cominciando a dare incentivi agli studenti: niente tasse a chi si diploma con 100 e 100 e lode. E niente tasse a chi ha la media del 29, a chi non ha voti sotto il 27 e che ovviamente abbia sostenuto entro ottobre la metà degli esami previsti, cioè dei crediti formativi. Così lo studente sarà parte attiva nella costruzione di una università di qualità». Quali altri cambiamenti vorrebbe introdurre? «Vorrei abolire gli atenei federati, ridurre le facoltà da 23 a 12 e diminuire i dipartimenti che avranno un numero minimo di docenti che salirà da 16 a 50». Per i professori ci sono novità? «A presidi e direttori di dipartimento vorrei dare un' indennità legata per un terzo alla carica e per due terzi agli obiettivi raggiunti ogni anno, obiettivi preventivamente stabiliti dai vertici dell' università». E chi non raggiunge gli obiettivi? «Decade dalla carica». I concorsi universitari sono spesso al centro di scandali. «Purtroppo questo è il problema vero, anche in relazione al numero dei lavori presentabili ai concorsi. Penso di introdurre metodi obiettivi come «l' impact factor» per limitare l' arbitrio delle commissioni d' esame». Intanto i bravi ricercatori italiani fuggono all' estero. «La ricerca deve essere il punto centrale. Io, nonostante le grandi difficoltà economiche attuali, dal 2006 ad oggi ho fatto assumere a tempo indeterminato oltre 500 ricercatori, ma è necessario investire all' interno di un sistema di regole che premi la qualità. È inaccettabile che alcuni dipartimenti ottengano da Ue, ministero dell' Università (Miur) e privati alcuni milioni di euro ogni anno, mentre altri dipartimenti non riescano a incassare neanche un centesimo e si muovano soprattutto al di fuori degli ambiti accademici interagendo con il mercato e con i privati». Francesco Di Frischia Di Frischia Francesco _____________________________________________________________ la Repubblica 14 ott. ’09 "IL CERN SFIDA LA LEGGE DEL TEMPO IL SUO ESPERIMENTO FALLIRÀ SEMPRE" La comunità scientifica s'interroga sulla teoria di due noti e stimati fisici, uno danese e uno giapponese Secondo loro, il grande acceleratore di particelle di Ginevra viola le leggi della natura e per questo si guasta ELENA DUSI Per chi crede nella fisica», disse Einstein, «la linea che divide passato, presente e futuro è solo un'illusione». E per chi crede a. questo paradosso, non sarà difficile prestare orecchio all'ultima profezia su Lhc, l'acceleratore di particelle più grande del mondo. L'apparecchio del Cern di Ginevra, sostengono un fisico danese e uno giapponese, non riuscirà mai a funzionare. A sabotarlo infatti è il suo stesso futuro. Lhc è il più impressionante strumento di fisica mai realizzato, capace di riprodurre sulla Terra energie simili a quelle del Big Bang. Fu inaugurato il 10 settembre del 2008 solo per rompersi 9 giorni dopo. Colpa di un collegamento difettoso fra due magneti, spiegarono i tecnici del Cern. Effetto della natura che si ribella alla hubris umana, sostengono invece con tanto di equazioni Holger Bech Nielsen del prestigioso Istituto Niels Bohr di Copenhagen (vincitore del premio Humboldt nel 2001) e Masao Ninomiya dell'Istituto Yucawa di fisica teorica di Kyoto. Le loro tesi sono state riprese ieri dal New York Times. Fra gli obiettivi di Lhc c'è quello di generare 9 bosone di Higgs. La cosiddetta "particella di Dio" non è mai stata osservata nella realtà ma i fisici teorici hanno ipotizzato la sua esistenza per spiegare come mai la materia ha una massa. Facendo scontrare protoni ad altissime energie, gli scienziati di Ginevra sperano di rintracciare l’Higgs fra i frammenti delle collisioni. Ma è proprio qui-sostengono Nielsen e Ninomiya che la natura si ribellerebbe, invertendo le lancette del tempo, capovolgendo la freccia che lega causa ed effetto e annullando ogni azione di Lhc. Secondo i due fisici infatti il bosone, per quanto previsto dalla teoria, è profondamente incompatibile con la realtà. Se un uomo tentasse di produrlo, la natura interverrebbe immediatamente cancellando ogni effetto della sua azione. È un po' come se il protagonista di una fiction cercasse di annullare la propria esistenza tornando indietro nel tempo e uccidendo suo nonno. Ecco perché - concludono Nielsen e Ninomiya finendo nel campo dell'esoterismo - Lhc si è rotto subito dopo l’inaugurazione. Ed ecco perché prima di lui la costruzione dell'acceleratore di particelle americano "Super conducting Super collider" non era mai stata completata. La decisione del Congresso americano di non concedere più i fondi necessari sarebbe solo la causa apparente. In realtà, se crediamo ai due scienziati, le forze della natura stavano agendo dal futuro per fermare gli umani. La tesi dei due scienziati non è mai stata pubblicata su riviste scientifiche, ma circola da un paio d'anni fra siti Internet e forum specialistici. «Non riesco a capire come un fisico qualificato come Nielsen abbia potuto concepire un'idea così strampalata», allarga le braccia Michelangelo Mangano, fisico teorico del Cern. Sempre a lui, insieme con altri colleghi di Ginevra, fu affidato il compito di confutare il timore che un buco nero creato da Lhc potesse inghiottire e distruggere il mondo. Attirare idee millenaristiche sembra in effetti il destino di questo apparecchio scientifico dalle ambizioni così elevate. «Ma almeno questa volta», aggiunge Mangano,«l'idea per quanto balzana non prevede rischi per il pianeta. Il peggio che possa succedere è che l'acceleratore non funzioni».I lavori di riparazione a Ginevra sono intanto conclusi. La macchina ripartirà a metà novembre. Se tutto funzionerà, la teoria di Nielsen e Ninomiya verrà dimenticata. Ma in caso di nuovi guasti, alla fantasia resterà spazio per pensare a una mano intervenuta dal futuro. ________________________________________________________________ La Stampa 15 ott. ’09 LA LUCE SUPERFLUIDA CHE ATTRAVERSA I MURI Scoperta da un team italo-francese "Rivoluzionerà comunicazioni e trasporti" GABRIELE BECCARIA Le nuove frontiere della fisica Niente la ferma, come se si agitasse in un fumetto di fantascienza. E' la luce superfluida, capace di oltrepassare gli ostacoli. Perfino i muri. Possibile? Possibile. La luce normale - si sa - ha le sue debolezze. Basta un temporale e si scombina in un arcobaleno. Nella nebbia si riflette in un flash, mentre nei cristalli viene deviata dalle imperfezioni naturali. La «magica luce», al contrario, sembra onnipotente: attraversa tutto senza farsi distrarre né manipolare, aprendo straordinarie possibilità (da fantascienza, davvero), dai pc ai trasporti A raccontarla è uno dei padri della scoperta, il fisico Iacopo Carusotto del Centro «Bec», unità mista del Cnr-Infm e dell'Università di Trento. «Generata da un laser, attraversa un materiale scelto, che è un semiconduttore di arsenuro di gallio. Li dentro - spiega - le particelle elementari che la costituiscono, i fotoni, interagiscono così fortemente tra loro da coordinare il proprio moto e vincere l’attrito». Le istantanee del fenomeno sono state scattate durante un test condotto a Parigi dal team di Alberto Bramati ed Elizabeth Giacobino nel «Laboratoire Kastler Brossel» dell'università Paris VI in collaborazione con il gruppo teorico di Cristiano Ciuti dell'università Paris VII. E sono foto esplicite: nella lastra di pochi millimetri che fa da «guida» è racchiuso un mondo che sfida il senso comune. «Quando incontra il "difetto", l'ostacolo che dovrebbe disturbarla, anziché rimbalzare, la luce gli scorre attorno». Il fascio - secondo il gergo da laboratorio - non si degrada. Come un superfluido, appunto. C'è poi un'eco da Nobel nell'esperimento. Le osservazioni sono state possibili grazie ai «Ccd», i circuiti usati nei chip per il trattamento di immagini e che là scorsa settimana sono diventati famosi: sono loro ad aver fatto vincere il premio della fisica a Willard Boyle e George Smith. Ma anche il terzo incoronato, Charles Kao, un padre delle fibre ottiche (e delle telecomunicazioni), finisce coinvolto nell'avventura della super-luce. «Si potranno sviluppare nuovi dispositivi per elaborare, e non solo trasportare, come oggi, l'informazione digitale: i circuiti elettronici verrebbero sostituiti da circuiti fotonici». Le applicazioni - si dice con battuta scontata - sono «brillanti». Si pensa a chip velocissimi, eppure capaci di risparmiare energia: renderanno i mille oggetti della quotidianità (dai pc alle auto) enormemente più efficienti, ma gli scenari si spingono alla frontiera dei calcoli quantici. Intanto Carusotto (che con Ciuti aveva predetto questa luce nel 2004) prosegue al centro «Bec» le ricerche sui comportamenti superfluidi. «Hanno grande importanza - sottolinea -: basta pensare ai magneti dell'acceleratore Lhc e a quelli dei treni a levitazione. Ma c'è un' ulteriore possibilità: rivoluzionare il trasporto di energia elettrica su lunghe distanze». Sembrano opportunità per futuri Nobel. Stavolta italiani. ________________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 ott. ’09 IL MISTERO DELL'UOMO NEOLITICO CUSTODITO NELLE GROTTE DI SEULO Conclusa in Barbagia la prima campagna di scavo dei ricercatori italiani, inglesi e australiani Studiato in Australia il Dna estratto dalle ossa e dai denti scoperti nelle caverne Chissà mai chi ce l'aveva portata, lassù, tra i monti della Barbagia di Seulo, quella conchiglia che mani antiche avevano trasformato in un monile prezioso. E chi aveva trasferito, nel cuore lontano della Sardegna, anche quel piccolo, bellissimo ciondolo oscurato dal fuoco ma con l'anima, probabilmente, di corallo. Il mare, un po' di mare, hanno trovato quest'estate ricercatori e studiosi, nelle quattro grotte dell'uomo neolitico, gli anfratti scoperti tra il 2004 e il 2006 dalla geologa cagliaritana Giusi Gradoli mentre andava a caccia di pitture rupestri, i dipinti della "rock art" tracciati dai nostri antenati sulle pareti di roccia delle caverne. Per due mesi, a luglio e agosto, il gruppo internazionale di archeologi e studiosi di diverse discipline scientifiche ha ispezionato palmo a palmo, prima con prospezioni superficiali e poi con una vera e propria campagna di scavo, Da Grutta de is Bittuleris, il riparo sottoroccia di Su Cannisoni, la grotta di Longu Fresu e la grotta de Is Janas. Un lavoro coordinato dal professor Robin Skeates del Dipartimento di archeologia dell'Università di Durhan che di questa eccezionale scoperta aveva sentito narrare da Terence Meaden dell'Università di Oxford e dalla stessa Gradoli, a Malta lo scorso anno, durante un congresso internazionale sul neolitico. Racconti e testimonianze che avevano fatto breccia nel cuore e nella mente di questo studioso inglese considerato tra i massimi esperti al mondo dei luoghi di culto preistorici in grotta nel bacino de Mediterraneo. Grotte sarde, manna per le sue orecchie. « È nato così, questo meraviglioso progetto di ricerca. Skeates si è offerto immediatamente di portare avanti lo studio con il suo team internazionale di ricercatori e venire in Sardegna per esaminare le quattro grotte. Ha ottenuto, anche grazie alla sua fama, tutte le autorizzazioni allo scavo dalla Direzione generale dei beni archeologici del ministero e dalla Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro, la prima parte l'abbiamo completata a fine agosto e riprenderemo il lavoro a novembre. L'intera campagna, finanziata interamente dalla British Academy e dalla Società per gli studi preistorici inglese, si concluderà a primavera ed è seguita dal responsabile di zona per Seulo della Soprintendenza archeologica», racconta Giusi Gradoli. «Ogni grotta - spiega il professor Robin Skeates - contiene ricchi depositi rituali preistorici e una, in particolare, quella di Longu Fresu,presenta rare pitture rupestri. La maggior parte di questi ambienti ha un'età compresa tra il Neolitico e l'Età del Bronzo, tra i quattromila e i duemila anni prima di Cristo». Quattro, per ora, i siti indagati. «Sa Grutta de is Bittuleris - spiega il docente - è una cavità situata sulla sommità di un affioramento roccioso lungo il bordo di un altopiano, utilizzato come luogo di sepoltura nella preistoria. Oltre a una grande quantità di ossa umane e animali frammentate e pezzi di ceramica, sono stati rinvenuti una punta di freccia in ossidiana, un pendente in osso per collana, due perle di conchiglia, argilla sottoposta a cottura e un bottone in bronzo». Un deposito funerario è emerso invece nel riparo sottotraccia di Su Cannisoni, situato in una posizione di alta visibilità sotto Is Bittuleris. «Un deposito funerario - dice ancora Skeates - ricoperto da una pila di pietre al di sotto delle quali sono stati trovati due crani umani di individuo adulto. In prossimità abbiamo individuato una struttura formata da un semicerchio di pietre che conteneva un'abbondante quantità di ossa umane lunghe, altre di animali e resti ceramici». È una cavità lunga una quindicina di metri la grotta di Longu Fresu, situata in prossimità di un ruscello nella foresta di Addeli «qui sono state identificate, in una nicchia laterale rispetto ad una sorgente d'acqua ormai secca, in prossimità della parte finale della grotta, alcune pitture rupestri. Durante lo scavo è stata rinvenuta una rara ascia neolitica in pietra verde, diversi tipi di ossa umane tra cui almeno tre crani trovati sul pavimento, all'interno di nicchie e buchi e incluse in una struttura a semicerchio formata da un gruppo di stalagmiti modificate. Tra gli oggetti più pregiati scoperti nella grotta di Is Janas, invece, una conchiglia di mare perforata e usata corno ornamento, una perla levigata parte di una collana e tre punte, di freccia in ossidiana>>, racconta Robin Skeates. «Tutti i reperti sono al momento studiati da diversi specialisti italiani, inglesi e australiani. Alcuni campioni saranno sottoposti alla, datazione con il radiocarbonio e con la serie dell'uranio, altri saranno analizzati per tracce di Dna». In particolare i reperti umani e animali saranno esaminati a Oxford con le tecniche del carbonio radioattivo, mentre il professor Haak, del1Tnieersità di Adelaide, lavorerà sul cosiddetto "Dna antico". «Le analisi con gli isotopi radioattivi servirà invece per datare il velo di carbonato di calcio che ricopre le pitture rupestri. E questo consentirà anche di capire l'età dei stessi graffiti visto che sono stati dipinti prima, della, formazione della pellicola di carbonato», dice Giusi Gradoli. «Sarà invece il professor Oddone del Cnr a esaminare le ossidiane per capire la loro provenienze. Se la materia prima sia insomma, sarda o importata, da altre aree del Mediterraneo». Insomma, una ricerca a trecentosessanta gradi che potrà svelare i misteri delle grotte e della presenza dell'uomo preistorico. «Nelle caverne - conclude Giusi Gradoli - 0'Brien, paleoecologista responsabile dei laboratori ambienta li dell'Università di Durhan, ha prelevato campioni di suolo per cercare spore, pollini che ci permetteranno di capire che tipo di vegetazione c'era quattromila anni fa nelle foreste della Sardegna centrale». ANDREA PIRAS ________________________________________________________________________ Corriere della Sera 15 ott. ’09 IL LIBRO «L' ONORATA SOCIETÀ» SU CHI «BLOCCA IL PAESE» Le storie delle piccole caste che costano 20 miliardi l' anno MILANO - «Non sappia Quartu quello che fa Quartucciu». A una manciata di chilometri da Cagliari c' è il più grande centro commerciale della Sardegna. Un gigante spaccato in due: da una parte un ipermercato Carrefour che batte bandiera di Quartu Sant' Elena, dall' altra, in terra Quartucciu, una galleria (Le Vele) con 60 negozi al dettaglio. Risultato: il gigante deve obbedire alle ordinanze di due sindaci, sopportare le pressioni di due associazioni di commercianti e... rispettare orari di apertura completamente diversi. Per la gioia del consumatore. Il paradosso sardo apre il viaggio raccontato da Carmelo Abbate e Sandro Mangiaterra ne L' Onorata società (Edizioni Piemme). Per dirla come gli autori: «Un viaggio dentro le cento, mille caste e castine. Un libro che parte con la fotografia di tutti mali del Paese per poi andare a evidenziare vizi privati e pubbliche virtù delle categorie, dei professionisti, degli imprenditori, degli uomini di finanza, dei docenti universitari, dei signori della salute». Un libro di storie con nomi e cognomi: «Quelli di chi blocca il Paese». Quelli dei «furbetti del mercatino»: «Gente che, come ha ben riassunto il presidente dell' Antitrust Catricalà, trasferisce sui consumatori i costi della crisi». Perché chiusura e inefficienze hanno un costo per i cittadini: «Venti miliardi l' anno, quanto una Finanziaria, l' 1,3% del Pil», è la stima del Cermes-Bocconi che ha preso in esame commercio al dettaglio, distribuzione farmaci e carburanti, servizi bancari e assicurativi. «Figurarsi se si aggiungono gli altri terreni protetti: telecomunicazioni, energia, autostrade, trasporti». Ecco così la storia del centro commerciale spaccato in due. O quella di Laura Bertolazzi richiamata per tre volte e sospesa per altrettanti mesi dall' ordine dei veterinari di Torino (il suo) dopo aver creato «una mutua per animali». O ancora quella degli avvocati Cristiano Cominotto e Francesca Passerini censurati dall' Ordine di Brescia per aver inaugurato il primo studio low cost. Piccole storie che portano a una grande denuncia: l' incapacità di fare riforme. Ecco così il primo piano sulle liberalizzazioni («incomplete») introdotte da Bersani e sui loro oppositori: tassisti, farmacisti, avvocati, assicuratori. Quindi sulla «via crucis Italia»: un viaggio che parte dalle oltre 500 l' anno trascorse da milanesi e romani nel traffico, per passare poi in rassegna grandi opere e operette, quindi puntare la lente sui ritardi dell' Alta e dell' «altra» (quella dei pendolari) velocità, sul crac di Alitalia e sulla nascita di Cai. E poi energia, sanità, università e ricerca: nessuno si salva. «Hai voglia a dire che bisogna fare le riforme - scrivono gli autori de L' Onorata società -. Lo ha chiesto Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. Lo ha ribadito il governatore della Banca d' Italia Mario Draghi». Piccolo particolare: «Le famose riforme, da tutti volute e continuamene sbandierate, non si fanno mai. E la colpa, è solo della politica?» Alessandra Mangiarotti ======================================================= ________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 ott. ’09 COMMISSARI DELLE ASL: PUBBLICATA LA DELIBERA quasi un mese di distanza dalla sua approvazione in Giunta, è stata pubblicata ieri sul sito internet della Regione la delibera sui commissariamenti delle Asl e la riorganizzazione della sanità sarda. Una novità attesa: non solo dai manager uscenti, che si preparano a ricorrere contro la rimozione, ma anche dal mondo politico che aveva accolto il ritardo della pubblicazione con qualche polemica. Il testo apparso ieri sulle pagine web dell'amministrazione regionale conferma le notizie circolate a settembre. Anzitutto i nomi dei commissari: per le Asl, Paolo Manca (Sassari), Giovanni Antonio Fadda (Olbia), Antonio Succu (Nuoro), Francesco Pintus (Lanusei), Giovanni Panichi (Oristano), Giuseppe Ottaviani (Sanluri), Maurizio Calamida (Carbonia), Emilio Simeone (Cagliari). All'azienda ospedaliera Brotzu andrà Antonio Garau. I commissari delle aziende miste saranno invece nominati d'intesa coi rettori delle università: dovrebbero essere Ennio Filigheddu a Cagliari e Giovanni Cavalieri a Sassari. Per tutti il contratto è di sei mesi, nei quali i dirigenti dovranno avviare la riforma inserita dal Consiglio regionale nella manovrina dello scorso agosto, e le cui linee generali vengono appunto dettate dalla delibera del 15 settembre. In particolare, tutte le aziende saranno consorziate nell'unica “macroarea Sardegna”, per «l'accentramento e la gestione in maniera unificata delle procedure di acquisto di beni e servizi, della gestione giuridica e previdenziale del personale, dei magazzini, delle tecnologie informatiche e del bilancio (per la parte relativa alle funzioni di pagamento)». Inoltre dalle Asl vengono scorporati alcuni ospedali e create quattro nuove aziende ospedaliere: in Gallura (col Giovanni Paolo II di Olbia e il Civile di Tempio), a Nuoro (San Francesco e Zonchello), Sulcis (Sirai di Carbonia, Cto e Santa Barbara di Iglesias) e Oristano (Delogu di Ghilarza e San Martino di Oristano). Confermato anche l'accorpamento del Microcitemico di Cagliari con l'azienda ospedaliera Brotzu. ________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 ott. ’09 MEDICI DI FAMIGLIA IN CERCA D'AUTORE Si è aperto lunedì 12 ottobre al Forte Village Resort di Santa Margherita di Pula (Cagliari) il 64 congresso nazionale della Fimmg, il sindacato che raccoglie quasi 30mila medici di medicina generale italiani sui circa 47mila attivi nel Paese. Tema del meeting, che si concluderà sabato 17, sono «I sistemi sanitari tra sostenibilità e innovazione: una sfida per la medicina generale». Se la questione della sostenibilità del Ssn, alla luce dell'invecchiamento della popolazione e della crescita della domanda di salute, è l'argomento della prima sessione (sarà anche presentata una ricerca Ipsos sull'impatto della crisi sulle spese mediche degli italiani), all'innovazione è dedicata gran parte degli appuntamenti. Come un fil rouge nel quale sono riposte "grandi speranze", per dirla con Dickens. Chiara la richiesta dei medici di famiglia a Governo e Regioni, certi di poter essere il volano del Ssn del futuro: dateci gli strumenti per "spiccare il volo". Strumenti informatici - si discuterà di infrastrutture telematiche (si veda l'articolo in basso) - ma anche organizzativi. E i Mmg guardano lontano. Al congresso saranno presentati i risultati preliminari di uno studio del Commonwealth Fund - fondazione statunitense esperta in indagini sulle performance dei servizi sanitari che ha svolto consulenze anche per l'amministrazione Obama - che ha messo a confronto il sistema dell'assistenza primaria negli Usa e in Italia. Spunti di riflessione per allargare gli orizzonti. In cerca di una nuova identità da protagonisti di un Ssn sostenibile. ________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 ott. ’09 MILILLO: «NOI MMG, SCOMMESSA PER LA SOSTENIBILITÀ» Fino a sabato si svolge il 64 congresso nazionale della Fimmg dedicato alle sfide del Ssn: parla il segretario Milillo Territorio e innovazione le carte anti-crisi - La rifondazione non si ferma Subito l'accordo per il 2 biennio La crisi del Ssn? Un'opportunità per valorizzare la medicina generale. Il progetto di rifondazione lanciato tre anni fa dalla Fimmg? Ha incontrato «difficoltà» ma è vivo e vegeto. Il dialogo con Governo e Regioni? Ottimo e abbondante. Vede decisamente il bicchiere mezzo pieno per il futuro dei medici di famiglia Giacomo Milillo (nella foto), segretario nazionale del maggior sindacato di categoria, che da lunedì 12 ottobre a sabato 17 celebra in Sardegna il suo 64 congresso dedicato ai «sistemi sanitari tra sostenibilità e innovazione». Una sfida che la medicina generale legge come un'occasione di sviluppo. Tre anni fa, appena eletto, lei aveva lanciato il progetto di rifondazione della medicina generale. Il compito si è rivelato più arduo del previsto? Il progetto ha trovato ostacoli importanti, anche nel contesto: è cambiata la maggioranza al Governo, abbiamo dovuto ricominciare daccapo. Sicuramente ha subìto alcuni perfezionamenti ma nella sostanza è confermato, ha già cominciato a svilupparsi con la convenzione firmata a maggio e credo troverà ulteriori sviluppi nel prossimo accordo sul secondo biennio economico. Ecco, la convenzione. È stato un rinnovo faticoso, manca il secondo biennio (2008-2009) e qualcuno sostiene che sono arrivati nuovi obblighi e pochi soldi. Lei è soddisfatto? Il paradigma che abbiamo sviluppato è: il medico si impegna a cambiare nel momento in cui sarà messo nelle condizioni di farlo. Nuovi obblighi non ce ne sono: su flusso informativo e ricetta on line non sono immediatamente cogenti, ma garantiscono la partecipazione del medico quando le Regioni avranno fatto gli investimenti necessari, e inoltre vanno nella stessa direzione del nostro progetto di sviluppo. Il 4,85%, le risorse disponibili per tutti i contratti, lo abbiamo acquisito sotto forma di aumenti nella quota capitaria con investimenti strategici sull'età avanzata, in previdenza e in servizi. L'idea di utilizzare le risorse come ristoro è stata rispettata. Volevate un medico di famiglia «dirigente e regista degli interventi sul territorio». Vi ritrovate parasubordinati come sempre, vincolati alle direttive delle Regioni e ai controlli sulla spesa. Sbaglio? Non è vero che siamo sempre più vincolati. I controlli sulla spesa si sono leggermente attenuati perché il problema dominante della sostenibilità del Ssn non è più la spesa farmaceutica. Noi crediamo ancora che la medicina generale possa essere uno dei principali protagonisti della governance a livello di assistenza primaria, se acquisisce capacità di lavoro di squadra e di rendicontazione. Abbiamo invece corretto l'affermazione sulla dirigenza chiarendo che esprimeva la volontà della medicina generale di condizionare la programmazione, non di diventare dirigenti del Ssn. A proposito di lavoro di squadra: sono anni che si parla di team. Dopo le Utap, i Gcp, le Ucp, le case della salute, con la nuova convenzione sono arrivate le Uccp, Unità complesse delle cure primarie. Le vedremo mai? Io credo che non ci siano incompatibilità. Le Uccp sono una definizione che le contiene tutte. Nell'articolato è sottolineata la flessibilità dei modelli rispetto ai princìpi fondamentali, con l'obiettivo, che condividiamo, di un'integrazione tra i professionisti. E c'è il seme di una ristrutturazione del compenso, che potrà cambiare nel tempo l'assetto della medicina generale. Ci spieghi meglio. Nel momento in cui le risorse della medicina generale vengono classificate come fattori di produzione, perché la riallocazione di alcuni incentivi per quei medici che entrano a far parte delle Uccp diventano fattori di produzione, si comincia a distinguere tra il finanziamento e il compenso del Mmg. È l'inizio di un percorso che richiederà tempo, in linea con il progetto della rifondazione. Dal 2010 sarà in vigore il nuovo Patto per la salute, che ridimensionerà ancora l'ospedale. Il territorio reggerà? Lo sforzo della Fimmg è quello di rendere i medici di medicina generale il più possibile all'altezza di reggere questo momento. La situazione di crisi, ponendo un problema di sostenibilità del sistema sanitario, offre un'occasione di sviluppo dell'assistenza territoriale. Abbiamo la sensazione netta che le Regioni comincino a volerla davvero valorizzare. La crisi come opportunità? Sì, un'opportunità per il cambiamento, inteso come innovazione tecnologica e come innovazione dei processi. Non a caso il congresso è dedicato a sostenibilità e innovazione. Noi faremo ogni sforzo per sostenere questo cambiamento, ma Governo e Regioni devono sostenerci, riconoscendo non solo a parole che la nostra funzione, per la diffusione capillare sul territorio dei nostri studi e per il rapporto di fiducia con i cittadini, è strategica e fondamentale. L'influenza A sarà un bel banco di prova. Per ora sembrate più interessati a contrattare il vostro apporto per vaccinare... Noi abbiamo dato la massima disponibilità a collaborare sulle vaccinazioni e sull'assistenza. Ci sono tavoli aperti in tutte le Regioni, e soltanto in una ( l'Emilia Romagna, ndr ) uno scontro in atto. C'è inoltre un confronto continuo con il Governo. Molti di noi hanno anche dato la disponibilità, in caso di forte epidemia, a misure organizzative eccezionali. La spaventa il divario Nord-Sud? Le differenze sono sempre esistite, ma la riforma del Titolo V le ha accentuate. Serve chiarezza dei ruoli e dei doveri, federalismo fiscale. Ma è un processo lungo. Sicuramente il ritorno del ministero della Salute sarà positivo. Serve però che si integri fortemente con gli altri. E ci auguriamo che non ci sia la prevalenza del ministero del Tesoro, con funzioni di rubinetto in maniera ragionieristica. Da luglio è attivo all'Aifa il tavolo sulla «valutazione dell'uso dei farmaci nelle cure primarie». Si può vincere la sfida del prescrivere meno e meglio? Il tavolo può migliorare l'attività regolatoria dell'Aifa, che può guardare al farmaco anche dal nostro punto di vista. Nel 2010 si chiuderà il suo primo mandato da segretario. Tre anni fa aveva detto di voler superare certe carenze di metodo all'interno del sindacato. Ce l'ha fatta? Si ricandiderà? Sì, voglio continuare il percorso che ho iniziato. Nella Fimmg è cambiato molto, tutto è stato oggetto di discussione, anche con toni molto accesi. Ho commesso errori, ho attraversato fasi difficili ma penso che il sindacato si è sempre più accreditato all'esterno come interlocutore con cui è utile confrontarsi. Prossima sfida? Aspettiamo a breve l'atto di indirizzo per il secondo biennio per chiudere entro fine anno, evitando l'impasse delle elezioni regionali. Poi siamo pronti a ragionare su un nuovo atto di indirizzo con un confronto lungo e pacato. L'importante è avere certezza delle risorse e dell'entrata in vigore degli accordi. Manuela Perrone ________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 ott. ’09 LA TERZA VIA TRA SISS E SOLE: PIÙ SPAZIO AL PAZIENTE SOTTO LA LENTE I PROGETTI DI RETI REGIONALI Bene ha fatto Fimmg a scegliere come tema per il suo 64 congresso quello della sostenibilità dei sistemi sanitari pubblici, tema che proprio all'indomani di una delle maggiori crisi economiche e finanziarie della storia moderna, pone alcune fondamentali riflessioni agli addetti ai lavori e alla politica. La sostenibilità dei sistemi sanitari pubblici. La pressione sulle risorse da destinare alla Sanità è aumentata dovunque e pone interrogativi sulla sostenibilità del trend a forbice, tra l'imprescindibile aumento della spesa sanitaria (con connessi costi sociali) da un lato, e la capacità dei sistemi sanitari, anche quelli più efficienti, di rispondere alla sfida. Che risiede soprattutto in due aspetti: la razionalizzazione efficiente nell'uso delle risorse e la possibilità di rispondere con efficacia alla domanda di salute, più complessa anche per la crescente attenzione alla qualità del servizio da parte del paziente sempre più empowered (informato e consapevole dei propri diritti). Certamente l'innovazione tecnologica e l'implementazione di modelli di Ict nella Sanità rappresentano uno dei presupposti della sostenibilità nei sistemi sanitari pubblici, veri fattori chiave per l'incremento della qualità dei servizi offerti e per il mantenimento del consenso. Barack Obama sostiene che la cartella clinica informatizzata personale (di cui si ipotizza l'introduzione per tutti i cittadini entro 5 anni) «could save jobs, money and lives», ed è la stessa linea strategica su cui si pone anche l'Italia che inserisce fra i 5 step del progetto Sanità digitale e e-Government 2012 la realizzazione del fascicolo sanitario elettronico del cittadino. Tuttavia, non sempre è chiara la volontà di accompagnare l'innovazione It con gli adeguati strumenti organizzativi. A esempio, sul territorio molta attenzione si dedica alla scelta dei tool informatici mentre solo sporadicamente si riflette sui fabbisogni di riprogettazione dei processi clinici (i "percorsi del paziente sul territorio") e sugli strumenti di monitoraggio degli stessi (a esempio sul tema dell'appropriatezza). Il livello di spesa Ict. Tuttavia va segnalato che, secondo le elaborazioni dell'Università Bocconi, in Italia nel 2007 la spesa in Ict (corrente più gli investimenti) rappresentava in Italia circa lo 0,85% della spesa sanitaria complessiva. Un dato che non aveva registrato apprezzabili variazioni nel decennio precedente (1997-2007). A confronto, il dato 2007 del Nhs (il National health system inglese) è pari all'1,5% della spesa sanitaria complessiva, ma non solo: il Nhs stima di raggiungere un livello fisiologico e stabile al 4% entro il 2014. Va anche ricordato che in questa evoluzione della spesa del Nhs è compreso il finanziamento del principale progetto e-Health europeo il cui costo complessivo è stimato in 9,2 miliardi di euro in 10 anni. Importante è considerare che gli investimenti in Sanità rappresentano, dal punto di vista della politica economica, un volano significativo grazie all'alto profilo dell'occupazione e all'elevato contenuto di conoscenze che sostengono un indotto di qualità. Occorre quindi pensare al concetto di "spesa sanitaria" in termini di sviluppo. E occorre comprendere che un investimento strategico in Ict in Sanità oggi non persegue solo obiettivi di razionalizzazione della spesa ma soprattutto di miglioramento qualitativo dell'outcome (sicurezza, soddisfazione, efficacia). Gli insegnamenti dei due modelli italiani pilota. Le due principali esperienze regionali sviluppate in Italia (Progetto Siss Regione Lombardia e Progetto Sole Emilia Romagna) senza dubbio dimostrano: 1) l'importanza di supportare le piattaforme tecnologiche regionali con adeguati interventi preliminari a livello aziendale; 2) la necessità di guidare il progetto con forte commitment e con attenzione agli aspetti di change management che a tutti i livelli si rendono necessari; 3) l'opportunità di rafforzare l'empowerment del paziente abilitando quest'ultimo a un certo grado di controllo sui suoi dati e l'accesso a informazioni sanitarie "di qualità". Proprio con riferimento a quest'ultimo aspetto, si impone una riflessione sulle potenzialità dei cosiddetti Personal health record (tra i quali troviamo le soluzioni di Microsoft e Google) e sulla possibilità che la loro adozione possa rappresentare un interessante modello per le Regioni che solo ora si muovono nello sviluppo di soluzioni Ict. La vera sfida è organizzativa. Il principale aspetto, rispetto al quale si vince o perde nell'introduzione dei cambiamenti, è il modello organizzativo. Il successo degli investimenti, non solo in Ict, risiede nella capacità di deployment, di concreta realizzazione, nel nostro caso nell'effettiva capacità di integrare l'elemento tecnologico con l'organizzazione sanitaria del territorio. Quali sono dunque le priorità da cui dovrebbero partire gli assessorati delle 11 Regioni che si troveranno a implementare le nuove piattaforme tecnologiche? In primis la riprogettazione del percorso del paziente sul territorio e l'individuazione di un'agenda innovativa di collaborazione e negoziazione con i medici di medicina generale che presidiano il contatto con i cittadini. Informazione e controllo per il paziente: un nuovo modello di empowerment. Per entrambi Mmg e governi regionali - c'è poi un'altra sfida. Le Ict e la possibilità per il paziente di consultare i suoi dati clinici via web producono in ogni caso un impatto profondo sulla consapevolezza del paziente sul suo stato di salute e sulla sua maggiore propensione a discutere con il medico le diverse opzioni terapeutiche. Le strategie di gestione e orientamento informativo da parte dei governi regionali possono svolgere una funzione importate, oltre che di servizio al cittadino, anche per garantire l'appropriatezza della domanda di prestazioni sanitarie. Una recente ricerca del Css-Lab e del Cergas Bocconi, in fase di pubblicazione sul rapporto Oasi 2009, dimostra una profonda immaturità delle strategie web delle aziende del Servizio sanitario nazionale e delle Regioni italiane. Luca Buccoliero Responsabile Area sistemi informativi, e-Health, Ict Cergas Bocconi Matrice delle strategie e- Health regionali Spesa Ict nelle Regioni italiane (2004)Regione % rispetto al Pil Regione % rispetto al Pil Valle d'Aosta 2,36 Friuli V.G. 1,51 Emilia R. 1,28 Piemonte 1,27 Umbria 1,08 Liguria 1,07 Toscana 0,96 Veneto 0,95 Lazio 0,92 Marche 0,83 Abruzzo 0,81 Lombardia 0,68 Puglia 0,66 Trentino-A. A. 0,61 Campania 0,56 Sicilia 0,46 Basilicata 0,43 Sardegna 0,43 Calabria 0,39 Molise 0,36 Il dato della Regione Lombardia non considera gli investimenti per il progetto Crs Siss, a motivo della formula di finanziamento adottata (simile alla finanza di progetto, con decorrenza dei canoni per la Regione a partire dal completamento dei servizi di base) Fonte: ministero della Salute, 2004 ________________________________________________________________________ Corriere della Sera 15 ott. ’09 INTERNET L' ANNUNCIO DI BRUNETTA: RISPARMIO DI 30 MILIARDI Dalle ricette ai certificati Tutta la sanità va sul Web ROMA - Negli Stati Uniti sono una realtà consolidata in molti ospedali. La sanità viaggia online. Certificati, cartelle cliniche e prescrizioni. Secondo uno studio pubblicato quest' anno negli Archives of internal medicine, l' uso della rete oltre che al cittadino fa bene anche all' economia. I centri informatizzati hanno ridotto del 15% i casi di morte e del 16% le complicazioni. Si calcola che se il 90% delle strutture si adegueranno a questo sistema, nel 2020 si eviteranno spese pari a 77 miliardi di dollari all' anno. In questo modo si abbassano il margine di errore e il pericolo che i dati vengano perduti. La cura è efficace. Lo sostiene anche il ministro dell' Innovazione, Renato Brunetta: «Tra qualche settimana l' invio dei certificati di malattia, nel pubblico e nel privato, si potrà fare solo per via elettronica. Avremo risparmi tra il 15 e il 30%, circa 20-30 miliardi di euro da reinvestire. Verranno evitati sprechi, abusi e frodi anche nelle prescrizione dei medicinali». Applaudono i medici venuti ad ascoltarlo al Policlinico Gemelli per l' incontro «Rivoluzione in corso. Rivoluzione in corsia?», organizzato dall' Università Cattolica. «Che bello spettacolo, emozionante», aveva esclamato lui, entrando in aula per presentare il suo progetto di riforma della pubblica amministrazione che coinvolge in molteplici aspetti la categoria. Tra i banchi però qualcuno bofonchia: «Già, e come faremo se molti di noi non possiedono internet...». Brunetta insiste, pensa positivo. Sogna una sanità tutta web. Come in Usa. Non solo certificati. Il dossier completo del paziente, quindi anche cartella clinica e ricette. «Una scommessa», dice valutando l' insieme delle iniziative avviate in parte col decreto legislativo sulla Pubblica amministrazione, appena approvato dal Consiglio dei ministri, dove tra l' altro sono previste pene severe per i medici che certificano false diagnosi di malattia: «Niente più connivenze». Chi attesta patologie inesistenti, o le ingigantisce, rischia da uno a quattro anni di carcere e una multa che parte da un minimo di 400 euro, oltre alla radiazione dall' albo dei professionisti. E la Federazione dell' Ordine dei medici: «Se sa qualcosa la denunci». In Italia l' 80% dei medici di base sono attrezzati di computer portatile, la metà sono connessi a internet. Ogni anno, circa 550 milioni di ricette e 550 milioni di risparmio se diventassero elettroniche. Ci vorrà tempo perché la rivoluzione diventi realtà, visto che sono in minoranza le Regioni dove è stata attuata in piena regola. Ci sono Asl del Nord, ad esempio dove il fascicolo sanitario di ogni cittadino viene aggiornato in tempo reale com esami, referti, esito dei ricoveri. Altre dove invece il formato cartaceo regna sovrano e la storia clinica dei pazienti viene trascritta a mano e stipata in vecchi schedari. La rivoluzione dei camici bianchi immaginata dal ministro anti-fannulloni investe l' annoso problema delle liste di attesa: «Bisogna invertire la marcia. Un esempio. Il macchinario per la Tac viene fatto funzionare perché si risponde in termini di esami a un obiettivo standard stabilito in base al calcolo della media». E più trasparenza per i dottori: «Dovranno mettere online i loro curricula, i loro stipendi, e il loro numero di telefono». Margherita De Bac mdebac@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA La scheda Via Internet Tra qualche settimana l' invio dei certificati di malattia, nel pubblico e nel privato, si potrà fare solo per via elettronica. Secondo il ministro dell' innovazione Brunetta, ci saranno risparmi tra il 15 e il 30%, circa 20-30 miliardi di euro che saranno reinvestiti. Il prossimo passo sarà archiviare sul Web il dossier completo del paziente, comprese cartella clinica e ricette Lo studio americano Secondo uno studio pubblicato quest' anno negli Archives of Internal Medicine, l' uso della rete oltre che al cittadino fa bene anche all' economia. I centri informatizzati hanno ridotto del 15% i casi di morte e del 16% le complicazioni. Si calcola che se il 90% delle strutture si adegueranno a questo sistema, nel 2020 si eviteranno spese pari a 77 miliardi di dollari all' anno De Bac Margherita ________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 ott. ’09 IN CADUTA LA SPESA PER LA SALUTE Sanità. Indagine Ipsos: due italiani su tre costretti a ridimensionare il budget a causa della recessione Milillo (Fimmg): «È un segnale di sofferenza per l'intero sistema» GLI STANZIAMENTI Mancano all'appello almeno 7 miliardi di fondi pubblici Per le tecnologie meno dello 0,9% delle risorse totali Manuela Perrone ROMA La crisi pesa, eccome, sulle tasche degli italiani. Lo dimostra il fatto che si risparmia persino sulle spese per la salute: due cittadini su tre negli ultimi sei mesi hanno avuto difficoltà nell'affrontare i costi di farmaci, esami e visite specialistiche. A rivelarlo è un'indagine condotta da Ipsos per conto della Fimmg, il maggior sindacato dei medici di famiglia (ne raccoglie quasi 30mila su 47mila). Lo studio - che sarà presentato e discusso in questi giorni al 64° congresso Fimmg, in corso fino a sabato in Sardegna - è stato realizzato attraverso interviste telefoniche a un campione di 1.400 persone con più di 18 anni. Tra quel 64% che riconosce di essere stato costretto a ridurre le spese mediche, il 23% dichiara senza mezzi termini di aver avuto «problemi consistenti». Sono i farmaci la voce di spesa più colpita: l'impatto della crisi sull'acquisto delle medicine si è fatto sentire per il 56% degli intervistati. E nel 36% dei casi è stato pesante, costringendo a tirare i cordoni della borsa. Anche per visite specialistiche ed esami diagnostici metà del campione ammette di aver "sofferto" e di aver spesso rinunciato. Sacrifici che hanno colpito di più, paradossalmente, proprio chi è malato. Perché, disarticolando le risposte in base allo stato di salute degli interpellati, è emerso con chiarezza che per il 74% delle persone che stanno male (contro il 59% di chi sta bene) la crisi ha comportato la riduzione delle spese mediche: nello specifico, ben il 43% degli italiani che convivono con qualche malattia ha riconosciuto un'incidenza medio- alta della recessione sulla stretta sanitaria. E il 27% ha dovuto rinviare almeno una volta esami o visite a causa del costo del ticket, contro l'11% di chi dichiara buone condizioni di salute. Che gli effetti siano stati peggiori per i più deboli è confermato anche da altri due dati: l'impatto sulle spese sanitarie è stato giudicato significativo dal 70% delle famiglie con più di quattro figli, contro il 58% di quelle con due figli. E ha colpito soprattutto al Centro-Sud, al Sud e nelle Isole, nonché operai, studenti e casalinghe. Il motivo per cui i medici di famiglia hanno voluto indagare questi aspetti? «Sono indicatori di sostenibilità del servizio sanitario nazionale - spiega il segretario Fimmg, Giacomo Milillo - e il nostro congresso è dedicato proprio a sostenibilità e innovazione nella sanità. Il fatto che la crisi abbia inciso sulle spese di due terzi degli italiani è un segno di sofferenza del sistema». Nel momento in cui Governo e Regioni sono ai ferri corti per trovare le risorse da destinare al Ssn (per i governatori mancano all'appello 7 miliardi per il 2010-2011), i camici bianchi generalisti lanciano dunque la loro proposta: una riforma seria dell'assistenza fuori dall'ospedale, per renderla capace di reggere la sfida dell'invecchiamento della popolazione e dell'aumento delle malattie croniche. Con l'aiuto cruciale della tecnologia e delle reti, ancora sottoutilizzate. Secondo Luca Buccoliero, il responsabile Ict del Cergas Bocconi atteso venerdì al congresso Fimmg, in Italia nel 2007 la spesa in tecnologie (corrente più gli investimenti) rappresentava circa lo 0,85% della spesa sanitaria complessiva, senza apprezzabili variazioni nel decennio precedente. A confronto l'Inghilterra "vola": nello stesso anno il National Health Service britannico spendeva già l'1,5%. E conta di raggiungere il 4% della spesa sanitaria totale entro il 2014. ________________________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 ott. ’09 L'83,4% DELLA SPESA 2008 È DESTINATO AL SSN CORTE DEI CONTI/ Secondo la Relazione al Parlamento sulla gestione finanziaria delle Regioni l'assistenza sanitaria assorbe la maggior parte dei bilanci Al top il Lazio (87,6%) e minore peso in Basilicata (73,9%) - Disavanzo concentrato quasi tutto nel Centro- Sud I debiti coi fornitori mettono a rischio la tenuta degli equilibri di bilancio La spesa sanitaria assorbe quasi tutta la spesa corrente delle Regioni a statuto ordinario. Nel 2008 a livello nazionale ha assorbito l'83,4% dei bilanci di Asl e ospedali registrando il 2% in più rispetto al 2006 e praticamente stabile rispetto al 2007 (-0,1%). Nelle Regioni però le cose sono andate diversamente. IL Lazio è la Regione che ha speso di più per la Sanità nel 2008: l'87,6% della spesa corrente. Seguono l'Emilia Romagna (85,5%) e la Lombardia (85,1%). In queste Regioni tuttavia l'andamento negli anni è diverso; mentre infatti rispetto al 2007 Lombardia ed Emilia Romagna registrano un calo di incidenza rispettivamente dell'1,2 e dello 0,6%, nel Lazio si è registrato un aumento del 4,5%. Aumenti si sono registrati anche in Toscana Umbria, Abruzzo, Molise e Puglia. Sul versante opposto l'incidenza minore è in Basilicata (72,9%, in diminuzione del -2,2% rispetto al 2007), seguita dalla Calabria (75,7%, anche in questo caso con una diminuzione del -1,8%) e dall'Umbria (76,2% in aumento in questo caso dello 0,2% rispetto al 2007). A livello di macro-aree l'exploit del Lazio porta il Centro all'84,9% contro l'83,4% del Nord e l'81,5% del Sud. Il dato e l'analisi degli andamenti della spesa sanitaria nelle Regioni sono contenuti nel rapporto della Corte dei conti consegnato al Parlamento la scorsa settimana sulla gestione finanziaria delle Regioni nel biennio 2007-2008. In cui salta subito agli occhi anche il deficit pressoché costante: nel 2007 il rosso è stato di 3,72 miliardi, nel 2008 di 3,37 miliardi. E nel 2008 la Corte sottolinea come siano bastate quattro Regioni (Lazio, 1,6 miliardi; Campania, 536 milioni; Puglia, 414 milioni; Sicilia, 331 milioni) per accumulare 2,95 miliardi di deficit, quasi il 90% del totale. Al Centro-sud interamente in disavanzo, ha corrisposto un Centro-nord che, eccetto la Liguria (-109 milioni), ha presentato invece conti in positivo o almeno in pareggio. Il debito con i fornitori. Ma il debito non si ferma qui e oltre quello ufficiale dei bilanci a fine anno, la Corte registra quello pesantissimo che Asl e ospedali registrano tra crediti dei fornitori, mutui e debiti verso altri enti. Recentemente Confindustria (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 36/2009) lo aveva stimato in 63,3 miliardi, di cui 40,6 verso le aziende fornitrici. La Corte dei conti conferma al ribasso, ma senza considerare Regioni e Province a statuto speciale e col solo dato della Campania in forte contrasto con quello dello studio di Confindustria (7,3 miliardi contro 11,2). La valutazione del debito occulto totale fatta dalla Corte dei conti è così (esclusi i 7 miliardi degli enti territoriali) di 49,2 miliardi nel 2007, con un indebitamento pro capite medio nazionale di 952 euro (Campania comunque al massimo con 1.121 euro). E con debiti verso i fornitori valutati nel 2007 in 32,1 miliardi, cui si aggiungono tempi di pagamento che continuano a crescere. Su questo capitolo si concentrano le preoccupazioni della Corte che sottolinea come «l'indebitamento degli enti sanitari rappresenta uno degli indicatori dai quali desumere elementi di rischio per la tenuta degli equilibri di bilancio». L'andamento complessivo 2008. La spesa corrente della Sanità regionale nel 2008 raggiunge 107,6 miliardi con un aumento di costi nel periodo 2004-2008 del 17,3%. Ma, sottolinea la Corte, le variazioni percentuali sono comunque decrescenti e vanno dal 7,2% del 2005 al 2,3% del 2008. A pesare di più sui risultati sono le voci di spesa per personale, beni e servizi e farmaceutica convenzionata. I costi del personale (35,1 miliardi nel 2008) hanno il peso maggiore e crescono del 4% rispetto al 2007 raggiungendo un'incidenza sul totale dei costi di oltre il 32% e mantenendo lo stesso livello per tutto il periodo. Beni e servizi aumentano in tutto il periodo e nel 2008 raggiungono 31,9 miliardi, con un'incidenza del 29,6%, poco meno che nel 2007. I costi della farmaceutica al contrario sono in diminuzione sia in valori assoluti che in rapporto alla spesa complessiva. La riduzione ha riguardato quasi tutte le Regioni e in particolare, tra quelle con i Piani di rientro, Lazio (-5,9%) e Sicilia (-6%). Ovviamente la Regione con la spesa più elevata è la Lombardia che nel 2008 raggiunge 16,9 miliardi, quasi il 3% in più del 2007. Seguono Lazio e Campania, stabili nel periodo, ma con importi superiori a 11 miliardi la prima e a 9 miliardi la seconda. Infine poi il Veneto, che con un incremento del 2,4%, passa da 8,4 miliardi a 8,6 miliardi. I maggiori incrementi percentuali tuttavia sono quelli di Friuli Venezia Giulia (7,6%), Valle d'Aosta (4,7%), Marche (4,5%) e Piemonte (4,4 per cento). Per quanto riguarda la farmaceutica, nella territoriale sono inadempienti, tra le altre, alcune Regioni con Piani di rientro (Sicilia, Lazio, Campania, Abruzzo), mentre, sottolinea la corte, tra quelle che non rispettano il tetto alla spesa ospedaliera «c'è una netta prevalenza di Regioni considerate, dal punto di vista organizzativo e della gestione economica, modelli di efficienza: questa apparente contraddizione è dovuta al fenomeno della mobilità interregionale che interessa, con saldi in attivo, le predette Regioni, le cui strutture sanitarie sono generalmente considerate poli di eccellenza clinica e scientifica». In sostanza solo Lombardia, Veneto, Valle d'Aosta e Trento e Bolzano hanno rispettato il tetto complessivo del 16,4 per cento. Pagamenti al check. La Corte fa poi per la prima volta un'analisi dei dati di cassa (pagamenti) del 2008, acquisiti dal Siope (Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici) da cui sono esclusi gli enti del Molise, che hanno iniziato le registrazioni sul Siope dal 2009, mentre gli enti del Lazio hanno iniziato dal 1 aprile 2008. Integrando le informazioni del Siope con quelle del Sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato, al netto delle anticipazioni di cassa, e al lordo di operazioni di consolidamento a livello regionale, la Corte rileva pagamenti complessivi per circa 115 miliardi con le grandi voci di spesa "personale", "acquisto servizi", "acquisto di beni", che assorbono sempre la maggior parte delle risorse. Dal confronto tra primo semestre 2008 e primo semestre 2009, la Corte rileva un aumento dei pagamenti totali, al netto delle anticipazioni di cassa, del 2,6 per cento. I pagamenti per il personale sono in calo dell'8%, quelli per l'acquisto di beni e servizi crescono del 2,4 per cento. P.D.B. I risultati 2008 delle Regioni nell'analisi dei magistrati ________________________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 ott. ’09 CANCRO: IN CAMPO TRE ÉQUIPE DI RICERCATORI CAGLIARITANI Killer anticancro cercansi I farmaci anticancro ci sono già, e spesso funzionano egregiamente. Ma talvolta hanno effetti secondari dannosi, perché, oltre alle cellule malate colpiscono anche quelle sane. La scienza cerca rimedi di Giancarlo Ghirra La lotta ai tumori fa ogni giorno passi in avanti giganteschi. In attesa che si possa arrivare addirittura a terapie personalizzate per ogni malato (i cosidetti farmaci intelligenti auspicati da oncologi come Umberto Veronesi) chimici, biologi e medici studiano materiali e tecniche utili a tutelare al massimo i pazienti dai danni indiretti . A Cagliari, ma non solo, tre équipe di ricercatori stanno lavorando a un progetto interdisciplinare che non si occupa di studiare nuovi farmaci, ma di convogliare quelli esistenti verso le cellule tumorali, evitando di colpire quelle sane. Partendo dallo studio delle nanoparticelle effettuato dai chimici, gli esperti di Tecnologia farmaceutica guidati dalla professoressa Anna Maria Fadda studiano i comportamenti dei magnetoliposomi , incaricati di trasportare il farmaco proprio al bersaglio voluto: le cellule malate. Le nanoparticelle senza rivestimento di liposomi non potrebbero essere iniettate, e invece i ricercatori studiano come ingannare l’organismo facendogli accettare sostanze estranee. Terzo, ma non per importanza, è il gruppo guidato da Giacomo Diaz, professore di Istologia a Medicina, che sperimenta gli effetti di liposomi e nanoparticelle: «Attraverso prove di tossicità e biocompatibilità - spiega il professor Diaz- verifichiamo come reagiscono le cellule». NIENTE FACILI ILLUSIONI Non è il caso di pensare a risultati immediati nella terapia antitumorale sugli uomini, quinta tapa di un processo del quale non è neppure decollato il quarto tempo, che sarà affidato a un equìpe diretta dal professor Amedeo Columbano, incaricato di verificare su topi (il professor Diaz lavora invece in vitro , senza uso di animali) la reazione delle cellule. «I risultati non sono dietro l’angolo - spiega Anna Musinu, professore di Chimica impegnata da quindici anni sul fronte delle nanoparticelle - ma la nostra ricerca interdisciplinare può dare un contributo all’obiettivo di combattere le cellule malate salvaguardando quelle sane tutelando il sistema immunitario dai danni della chemioterapia. Impossibile fornire date o promettere successi. La ricerca non finisce mai». In Italia, e in Sardegna in particolare, i ricercatori soffrono la quasi assoluta mancanza di finanziamenti, per cui studiare è ancora più complicato. Nella facoltà di Chimica già negli anni Novanta docenti quali Giaime Marongiu, Giorgio Piccaluga e Guido Ennas cominciarono ad avventurarsi sulla frontiera delle scienze biomediche. E nell’ultimo biennio l’équipe guidata dalla professoressa Anna Musinu, 56 anni, presidente del corso di laurea di Scienze dei materiali, ha portato fortemente in avanti le ricerche sui nanomagneti in biomedicina. Con lei ricercatori più giovani, Federica Orrù, Andrea Ardu, Carla Cannas, Davide Peddis, Francesca Marongiu, Mauro Mureddu, tutti del Dipartimento di Scienze chimiche, al lavoro in sinergia con il Dipartimento farmaco chimico tecnologico e con quello di Scienze e Tecnologie biomediche. MATERIALI PICCOLISSIMI «Attraverso microscopi elettronici ad alta definizione il gruppo di stato solido e materiali del dipartimento di Scienze chimiche - spiega Anna Musinu - lavora sulla sintesi dei nanomateriali e sulla loro caratterizzazione magnetica». Si tratta di un lavoro sperimentale, nel senso che i chimici costruiscono (meglio sintetizzano) particelle infinitamente piccole, ma non più piccole di 20 nanometri, cioé venti milionesimi di millimetro, un miliardesimo di metro. «Non devono essere più piccole -spega la professoressa Musinu - perché altrimenti, mangiate dai macrofagi, si disperderebbero senza agire nel sistema endoteliale. Ma non devono neppure essere più grandi, perché rischierebbero di aggregarsi, creando trombi che ostruiscono i vasi sanguigni». I chimici preparano insomma in laboratorio (il risultato visibile è una polverina) materiali particolari (si tratta di ferriti di cobalto) dei quali in dieci anni di lavoro in laboratorio sono riusciti a ottenere anche le forme sferiche e cubiche volute. Sono importanti non soltanto forma e dimensione, ma le proprietà magnetiche dei nanomateriali, che incidono sulla temperature e sul tipo di campo magnetico. È questo un elemento determinante, perché sarà proprio un campo magnetico esterno a guidare il farmaco direttamente nel cuore della cellula malata, attraendolo nel punto in cui può creare effetti terapeutici utili senza sfiorare le altre cellule, quelle sane. IL RUOLO DEI LIPOSOMI Le nanoparticelle non sarebbero in grado da sole di arrivare alle cellule. «A trasportarle - spiega Chiara Sinico, ricercatrice del Dipartimento farmaco chimico tecnologico - sono dei portatori ( carrier) particolari, i liposomi, vescicole che incapsulano le nanoparticelle magnetiche verso l’organo da raggiungere. I liposomi sono in grado di ingannare il sitema immunitairo, evitando che i farmaci vengano fagocitati o eliminati dal sangue. E per studiarne ancora meglio i comportanti abbiamo ora incapsulato un marcatore fluorescente del quale sarà ora più semplice al nostro gruppo, formato anche dai ricercatori Francesco Lai, Maria Manconi, Donatella Valenti e Alice Floris studiare il destino». IPERTERMIA CONTRO I TUMORI Siamo insomma davanti a ricerche raffinate e affascinanti. Oltre al trasporto guidato e selettivo di farmaci verso le cellule malate, i ricercatori studiano gli effetti terapeutici del riscaldamento della zona tumorale. «Attraverso la magnetizzazione delle nanoparticelle -spiega la professoressa Musinu - si possono portare la zona malata a una temperatura di 42 gradi, in grado di uccidere le cellule tumorali». Trasporto guidato di farmaci e ipertermia sono dunque due degli obiettivi degli studi ricerche in corso a Cagliari. Studi tanto più notevoli se si considerano le enormi difficoltà della ricerca scientifica, in particolare di quella di base, priva di finanziamenti e con i giovani studiosi sottopagati e superprecari, costretti spesso dopo anni di dottorato ad abbandonare lavoto e ricerca. Un danno incalcolabile. ________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 ott. ’09 UN POSTACELERE PUÒ SALVARE IL NEONATO Malattie metaboliche: «Si faccia il test sui bimbi in neonatologia» Per tre giorni esperti a dibattito al congresso nazionale di pediatria e malattie genetiche CAGLIARI. Le malattie che impediscono ai neonati di digerire sostanze quali proteine e zucchero sono definite rare, ma nelle regioni come la Toscana dove si è deciso di fare lo screening a tutti i bambini che nascono, si comincia a valutarne diversamente l’impatto e acquista peso una verità scientifica già accertata: le malattie metaboliche possono essere elencate fra le cause delle morti improvvise dei neonati. Quindi, oltre ai dieci, dodici casi l’anno accertati per le analisi tempestive chieste dal neonatologo, ce ne possono essere anche altri che non vengono riconosciuti. Il congresso nazionale in corso al Thotel di Cagliari organizzato da Simmesn e Simgeped (società italiane malattie metaboliche e malattie genetiche pediatriche), ha centrato l’analisi su queste e su altre patologie di origine genetica, alcune curabili come la malattia di Wilson che però, se trascurata, può portare alla cirrosi del fegato, altre finora no. E’ il caso delle malattie lisomiali causate dall’accumulo progressivo di sostanze nella cellula, l’accumulo può riguardare vari organi: i problemi di salute provocati nel bambino sono enormi, cambiano a seconda degli organi colpiti, le nuove cure sembrano consegnare una speranza ma hanno prezzi elevatissimi. Una speranza invece alla portata del sistema sanitario regionale è quella affacciata ieri dal presidente del congresso Franco Lilliu, che è direttore del laboratorio di analisi per le malattie rare dell’ospedale Microcitemico, a proposito delle malattie metaboliche di origine ereditaria nei neonati: fare il test su tutti i bambini appena nati che vengono ricoverati nei reparti di neonatologia. Il test non viene effettuato in Sardegna, bisogna mandare il vetrino nei centri della Penisola che dispongono del macchinario necessario, ma questo a differenza di sangue o urine può essere spedito in busta come un normale documento attraverso il postacelere di ventiquattro ore. In tal modo, non si arriverebbe allo screening di tutti i neonati, ma certo aiuterebbe a trovare la malattia in bambini con problemi. I sintomi delle sindromi metaboliche, infatti, non sono sempre chiari, ma la malattia deve essere scoperta nei primi giorni di vita altrimenti non si fa in tempo a fermarla. ________________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 12 ott. ’09 STRATEGIE SARDE NELLA GUERRA ALLA SCLEROSI Ricercatrice sassarese in Norvegia nella cabina di regia del più importante studio epidemiologico sulla patologia Questionari a ottomila isolani, malati e sani, per cercare la causa della malattia In Sardegna la malattia ha frequenza tripla rispetto alla media DANIELA SCANO SASSARI. C’è una ragione ambientale oppure genetica perché la sclerosi multipla colpisca in Sardegna con frequenza tripla rispetto alla media mondiale? Per rispondere a questa domanda, l’Università di Sassari è entrata nella cabina di regia del più importante studio epidemiologico sulle cause della malattia neurologica che ogni anno colpisce nove sardi ogni centomila abitanti. Un dato impressionante se si pensa che la media italiana è di tre nuovi casi ogni centomila soggetti sani. La Sardegna condivide il suo triste primato con altre, circoscritte, zone del mondo. Maura Pugliatti, ricercatrice della clinica diretta da Giulio Rosati, da mesi lavora in Norvegia nei laboratori dell’università di Bergen. Qui la studiosa sassarese coordina la parte sarda di uno studio internazionale che l’ateneo cittadino ha avviato in collaborazione con le università di Ferrara, di Bergen e di Canada (McGill University, Montreal), Usa (Harvard School of Public Health, Boston), Repubblica di San Marino, Serbia, Svezia e Germania. La ricerca metterà a confronto anamnesi e condizioni di vita di persone sane e di soggetti che invece hanno contratto la malattia. «L’indagine caso-controllo - spiega Maura Pugliatti - si prefigge di confrontare l’esposizione a possibili fattori di rischio ambientali, nei primi anni di vita, tra persone che hanno successivamente sviluppato la malattia e altre che non l’hanno sviluppata». A partire da oggi e nelle prossime settimane oltre ottomila sardi riceveranno nelle loro case un questionario da compilare. 1600 persone hanno contratto la sclerosi multipla negli ultimi dieci anni, gli altri seimila soggetti sono stati selezionati a caso. La ricerca epidemiologica è stata approvata dai comitati di bioetica delle aziende sanitarie regionali e si inserisce nell’ambito di un lavoro internazionale finanziato dall’Aism (Associazione sclerosi multipla) e dalla sua Fondazione (Fism) con i fondi della recentissima campagna nazionale «Una mela per la vita». «Ma la portata regionale dello studio - avverte Pugliatti - non sarebbe stata possibile senza la collaborazione dei centri che, in Sardegna, si occupano della diagnosi e della cura della patologia». Le cause della sclerosi multipla sono ancora sconosciute. Si tratta di una malattia multifattoriale sulla cui insorgenza giocano un ruolo fondamentale fattori come l’esposizione ad agenti infettivi, una predisposizione genetica e lo stile di vita. «I nostri dati dimostrano che la Sardegna presenta tra i tassi di incidenza di malattia più elevati al mondo, con oltre 120 nuovi casi all’anno e una prevalenza di oltre 2500 individui affetti - spiega la dottoressa Pugliatti -. Questa ricerca rappresenta un grosso potenziale per la comprensione delle cause della sclerosi multipla nel mondo». «La dimensione di questo studio è oltre dieci volte quella di studi precedentemente condotti - commenta Pugliatti -. Un’opportunità unica per poter vedere l’impatto di fattori il cui effetto sul rischio di malattia potrebbe altrimenti non essere determinabile, o essere documentabile solo per alcune sottopopolazioni». Sono sufficienti venti minuti per rispondere al questionario, aiutando gli studiosi a scoprire le cause della sclerosi multipla. «Basta che tutti i partecipanti selezionati dedichino pochi minuti del loro tempo per compilare il questionario - conferma Pugliatti -. Il confronto con quanto rilevato tra i casi e i soggetti di controllo potrà permettere di spiegare se la diversa incidenza di sclerosi multipla nelle popolazioni incluse nello studio dipenda dalla diversa azione o concentrazione di fattori ambientali, fornendo importanti suggerimenti per possibili strategie terapeutiche e di prevenzione della malattia». _____________________________________________________________ la Repubblica 13 ott. ’09 DAI NOBEL IL DNA CHE UCCIDE I TUMORI I tre scienziati premiati hanno scoperto il telomero, un pezzo di genoma che fa scudo alle cellule malate e le rende immortali. E questo apre la via a nuovi farmaci I telomeri sono stati "scoperti" dal grande pubblico la settimana scorsa, col Premio Nobel per la medicina dato a Elizabeth H. Blackburn, alla sua allieva Carol W: Greider e aJackW. Szostak.I telomeri sono particolari regioni del ' dna alla fine dei cromosomi, con funzione di cappucci protettivi. i Nelle nostre cellule i telomeri subiscono un accorciamento ad ogni divisione cellulare. Quando l'accorciamento è tale da alterare l'integrità dell'informazione genetica del cromosoma, la cellula si autodistrugge. La natura però ha messo a disposizione l’enzima telomerasi, scoperto da Carol W. Greider quando era una studentessa di ventitre anni, che pilotando la ricostruzione del telomero può opporsi al destino di: vecchiaia e morte delle cellule. Analogamente le cellule tumorali acquisiscono una sorta di immortalità garantendosi indefinite replicazioni proprio grazie a un aumento della telomerasi e alta diminuzione del controllo di morte cellulare programmata. In quasi tutti i tumori umani la telomerasi è molto attiva. Le ricerche premiate col Nobel hanno individuato due obbiettivi: mantenere la telomerasi attiva e vivace e i telomeri lunghi e forti può essere un antidoto alla vecchiaia dacui l'invenzione fantasiosa, di (ovviamente inattive) "creme alla telomerasi"; dall'altra l’inattivazione dell'enzima e l'accorciamento del telomero come strategia anticancro. Esistono molti studi sperimentali, basati sull'ingegneria genetica o sugli anticorpi monoclonali; che suggeriscono che si, eventualmente, una cellula neoplastica inibita nella sua telomerasi è costretta anch'essa alla morte per logoramento. Allo stato attuale, uno dei pochi composti inibitori della telomerasi è il GRN163L, un oligonucleotide studiato come possibile agente terapeutico per la terapia della Leucemia Linfocitica Cronica e di alcuni tumori solidi, tra cui il tumore del polmone non a piccole cellule in combinazione con farmaci citotossici o biologici. È evidente che gli approcci anti-cancro mirati all'accorciamento dei telomeri tramite f inibizione della telomerasi messi a punto a livello sperimentale non hanno ancora molte applicazioni cliniche: è necessario renderli assolutamente specifici alla celtura tumorale, per non indurre un processo di senescenza globale dell'organismo e pagare con la vecchiaia precoce la lotta al cancro. Una finestra di opportunità è data dal fatto che le cellule tumorali hanno telomeri un po' più corti rispetto alle cellule staminali somatiche o alle cellule germinali, e dunque si può immaginare un approccio mirato alla neoplasia che non colpisca le cellule sane. Ricordando che la telomerasi è un enzima complesso che contiene una "trascrittasi inversa" telomerica, un'altra nuova fonte di opportunità ci viene dalla lotta all'Hiv, il virus dell'Aids: l’Hiv, come virus aRna, per replicare deve utilizzare anch'esso una trascritta si inversa, analoga a Tert. Inibitori nati per combattere l'Hiv potrebbero un giorno avere una funzione anticancro. *Responsabile Ricerca Oncologica, 1 Cromosomi Si trovano nel nucleo delle cellule e sono visibili soltanto durante la divisione cellulare II Dna I cromosomi sono costituiti da(unghe catene di DNA che contengono l'informazione genetica telameri, longevità cellulare Sono i "cappucci" di DNA che proteggono l'integrità dei cromosomi. Lenzima che li genera è la telomerasi: evita che i telomeri si riducano e favorisce la divisione cellulare La morte cellulare Col passare del tempo e fa divisione cellulare i telomeri si riducono, fino a un punto che, sono talmente piccoli, che la cellula non riesce più a dividersi e muore (processo di senescenza cellulare) riproducibile. ____________________________________________________________ il Giornale 13 ott. ’09 ESISTE IL LIBERO ARBITRIO? I CERVELLONI DICONO «NO» MQDA Tutto ciò che è «neuro» fa tendenza: libri, corsi di laurea, festival. Tra scettici e maniaci A Milano un convegno sulla scienza della mente, applicata ormai a ogni campo: dall'economia all'estetica E un ricercatore italiano annuncia di aver scoperto l'area cerebrale da cui dipendono anche le scelte morali Francesca Amé Sono anni d'oro per le neuroscienze. Sconosciute fino a un quindicennio fa, oggi le case editrici pubblicano a profusione libri sull'argomento; le università dedicano loro nuovi corsi di laurea; e anche i festival culturali si sono accorti del fenomeno. Se è vero che esistono parole dotate di fascino, il prefisso «neuro» ne ha da vendere. Ha generato infatti la neuro-psicologia, la neuro-economia, la neuro-estetica e, ovviamente, la neuro-etica. Come ogni moda, la «neuro-» ha i suoi fan (neuro-maniaci) e i suoi, più rari, detrattori (neuro- scettici). Tra questi ultimi c'è paradossalmente, giacché è psicologa e coordinatrice della laurea magistrale in Scienze cognitive e processi decisionali all'Università degli Studi di Milano - Gabriella Pravettoni: da una sua idea, o meglio provocazione, nasce il convegno Neuromania. Il cervello non spiega chi siamo (domani, dalle 9 alle 17, all'Università Statale di Milano). Una ventina di esperti tra medici, filosofi, psicologi ed economisti sono chiamati a riflettere sulle conseguenze dello studio sempre più sofisticato sul cervello umano e sequesto approccio possa render conto della complessità del nostro agire. Cominciamo da una notizia: il neurologo Alberto Priori -direttore del Centro per la neuro stimolazione della Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – presenta in anteprima al convegno i risultati di uno studio «stilla partecipazione alle decisioni sia economiche che morali di alcune strutture del cervello». Priori, che ha lavorato con un team di esperti del Policlinico, dell'Università Statale di Milano; dell'Istituto Carlo Besta, dell'Istituto Galeazzi e del Mondino di Pavia su un campione di 40 persone per un anno, spiega che la ricerca «dimostra che i gangli della base; ossia la parte più profonda del cervello, che si pensava fosse coinvolta solo nelle risposte motorie, partecipano anche a scelte di tipo economico e morali, specie quelle immediate, quasi istintive, che prima pensavamo coinvolgessero la corteccia cerebrale». Scoperta scientificamente rilevante, non vi è dubbio. «Noi siamo molto di più: le nostre risposte derivano da tante variabili e non possono limitarsi a essere osservate solo come masse di sangue in una determinata zona del cervello. Se è vero che negli ultimi anni si stanno compiendo passi giganteschi nelle neuroscienze, non dobbiamo pararci dietro semplificazioni che fanno perdere di vista il valore dell'essere umano, la sua complessità. La mente eccede il cervello», commenta Gabriella Pravettoni. L'economia, neanche a dirlo, è terreno di caccia prediletto per le analisi dei neuro-maniaci. E per le semplificazioni. «La pretesa di spiegare la crisi in questo modo è aberrante», afferma Giuseppe De Luca, storico economico, che presenta al convegno un intervento dal titolo più che esplicito: Storia delle crisi finanziarie e psicologia: un contributo «Quando la scienza entra in altri campi facciamo come Kit Carson: affidiamoci al buon senso» io di troppo? «P miope interpretare il comportamento dei mercati leggendo solo i dati degli ultimi trent'anni: la crisi ha coordinate strutturali che solo uno studio in prospettiva storica può spiegare». Neuro-scettico o neuro-entusiasta? Il filosofo Giulio Giorello, che domani partecipa al convegno, sospende il giudizio: «P indubbio che le neuroscienze abbiano avuto anche per meriti italiani, grazie alla Scuola di Parma e alla scoperta dei neuroni-specchio di Giacomo Rizzolati, un importante sviluppo. Come spesso accade quando un progresso scientifico penetra in altri territori, si sono trasformate in moda. Questa tendenza può non essere del tutto inutile se stimola la pluralità di approcci, altrimenti è neuro-delirio. Come Kit Carson in Tex Willer, preferisco affidami al buon senso». NEUROMANIA ____________________________________________________________ il Giornale 13 ott. ’09 PRIORI: LE NOSTRE DECISIONI SONO DETERMINATE DALLA MATERIA GRIGIA» Matteo Sacchi Alberto Priori è uno dei neurologi più noti d'Italia, insegna all'Università statale di Milano. Ha appena condotto uno studio che verrà presentato al convegno «Neuro-mania» e che mira a dimostrare come nelle scelte economiche e morali intervengano anche parti molto antiche del cervello: i gangli della base. Parti a cui normalmente si attribuiscono risposte «automatiche» e lontane dalle «raffinatezze» intellettuali della corteccia cerebrale. Professor Priori ma uno studio tipo il suo non si porta dietro una concezione deterministica? «Indubbiamente si, e questa è la concezione generale che ispira il convegno. Il sottotitolo "Il cervello non spiega chi siamo" è ovviamente provocatorio. Il cervello spiega benissimo chi siamo. Può piacere o non piacere, può scatenare un dibattito dal punto di vista etico, ma è un dato di fatto... E questo determinismo ci consente di capire da dove scaturiscono alcuni fenomeni patologici e di capire come curarli». Ma il libero arbitrio, dove va a finire? «Cosa c'è di libero? Io non sono un filosofo ma al libero arbitrio credo poco. Mettiamola cosi: qualsiasi decisione "libera" prenda il cervello ha dei precisi correlati deterministici». Banalizzando, allora l'hardware del nostro cervello conta moltissimo... Forse più del software? «Nel cervello, mantenendo la sua metafora, hardware e software sono assolutamente interdipendenti. Si modificano a vicenda. IL questo che rende il cervello molto più sofisticato di un computer. II cervello si adatta in pochissimo tempo, se una parte si danneggia può supplire con un'altra. Ciò non toglie che l'hardware ha un ruolo di assoluta rilevanza. E studiarlo ci consente di capire dei processi importanti». E cosa cambia dopo lo studio che avete condotto? «Adesso sappiamo che nelle decisioni di tipo più complesso intervengono delle parti del cervello che si credeva facessero tutt'altro. Parti di cervello che abbiamo in comune persino con i rettili». Sorprese Dai gangli della base partono input molto raffinati ________________________________________________________________ L’espresso 22 ott. ’09 VINO ROSSO DI PASSIONE di Giorgio D'Imporzano Più di un calice di champagne, accende la passione un bel bicchiere di vino rosso. E quanto ha dimostrato un team di epidemiologi che per la prima volta ha esaminato gli effetti dei vino rosso sulla sessualità femminile. La ricerca è stata realizzata dall'ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze e condotta da Nicola fondaini e Riccardo Bartoletti, su un campione di -89 donne di età compresa tra i 18 e i i0 anni, residenti nel Chianti, che hanno completato il questionario Fsfi (Female sexual function indeK) che valuta la funzionalità sessuale femminile attraverso 19 domande su sei aspetti (desiderio, interesse, lubrificazione, orgasmo, soddisfazione, dolore) nelle ultime quattro settimane che ne precedono la compilazione. Dallo studio è emerso che le donne che consumano almeno due bicchieri di vino rosso al giorno hanno una sessualità complessiva migliore rispetto al gruppo delle donne astemie e anche di quelle che bevono solo occasionalmente. La spiegazione starebbe, oltre a vari altri fattori legati al sistema nervoso centrale, nel rilascio di estrogeni provocato dal resveratrolo (sostanza contenuta nel vino rosso) da cui dipende il rilassamento della muscolatura liscia vaginale, che favorisce I'eccitamento. La ricerca, già anticipata in convegni internazionali di urologia, sarà pubblicata in ottobre sull'autorevole "_journal of Sesual Nfedicine". Stesso mese dell'uscita del libro "Vino e Eros" (Giunti Demetra, pag. 25h1, una raccolta di saggi curata dagli stessi ricercatori e da Francesco Montarsi, che conduce il lettore in un viaggio tra l'arte, la storia e soprattutto la scienza che compete il vino e l'erotismo. _________________________________________________________ il Giornale 16 ott. ’09 UNA VITA NORMALE CON MEZZO CERVELLO IL CASO IN PUGLIA Studiata dagli scienziati la bimba del miracolo Enza Cusmai Vive in Puglia e ora ha quattro anni. Il suo sviluppo emotivo, comportamentale e sociale è nella norma. Vale a dire è una bambina che cammina, si muove, è intelligente, vive in mezzo ai coetanei. Solo il suo linguaggio, lievemente disarticolato, tradisce che in fondo in fondo c'è qualcosa che non va. Un lievissimo danno neurologico pensavano i medici che l'hanno presa in cura all'età di due anni. La loro sorpresa, invece è stata enorme quando sofisticati esami neurologici hanno evidenziato solo mezzo cervello nella scatola cranica. La piccola, insomma, vive con un solo emisfero cerebrale. E l'altro? «L'altro emisfero è sostituito da un enorme buco nero» spiega Antonio Trabacca, direttore dell'unità operativa complessa di neuro riabilitazione del polo di Ostuni. Trabacca segue la bimba da due anni. I genitori spiegano che la loro figlia ha difficoltà a usare una mano e fatica a camminare. Per il resto tutto rientra nella norma: un funzionamento emotivo, comportamentale e sociale ottimale. «Il quadro clinico ci lasciava supporre possibili, lievi anomalie nello sviluppo cerebrale» racconta Trabacca. «Ma le immagini di risonanza magnetica encefalica e angio-risonanza mostrano una realtà diversa: si tratta di una disfunzione che riguarda quasi un emisfero intero». Insomma la bimba vive con mezzo cervello. Una scoperta che ha del miracoloso. «È come aspettarsi che una fabbrica continui a produrre manufatti nello stesso numero, nella stessa perfezione, nello stesso tempo, pur avendo a disposizione la metà dei suoi soliti operai» spiega Trabacca. Ma come è possibile vivere con mezzo cervello? «Probabilmente l'altro emisfero e le zone sane hanno messo a disposizione tutte le risorse per compensare quella malata o assente». In pratica, le parti del cervello non danneggiate si sono accollate anche le funzioni perse dell'emisfero sinistro. Un meccanismo che sembra più facile avvenga nei bambini. E ora Trabacca ammette che vivere con un emisfero cerebrale si può. A condizioni ottimali. «Fino ad ora le neuroscienze dicevano che tutto il nostro cervello fosse necessario, ma ora noi siamo consapevoli che probabilmente non è utilizzato quanto si potrebbe. Insomma, il nostro cervello è un enorme campo e ogni giorno si scopre una nuova frontiera». ________________________________________________________________ La Stampa 16 ott. ’09 MA CHI È IL CHIRURGO? DOCTOR. JEKYLL O MR. HYDE. A ROMA UN CONGRESSO DISCUTE SU COME È CAMBIATA LA FIGURA DI QUESTO PROFESSIONISTA NELL'IMMAGINARIO COLLETTIVO E NELLA REALTÀ QUOTIDIANA. PERCHÉ I PRIMI BANCHI VUOTI NELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE di Andrea Sermonti Perché una società scientifica francese decide di fare il suo congresso in Italia? È sufficiente a spiegare questo arcano la storica collaborazione tra italiani e francesi proprio sull'endocrino-chirurgia, quella branca della chirurgia generale che si occupa di specialità chirurgiche che vanno dalla neurochirurgia all'otorinolaringoiatria, dalla ginecologia alla chirurgia toracica? «Un rapporto molto stretto - conferma Rocco Bellantone, professore ordinario di chirurgia e direttore della Struttura Complessa di Chirurgia endocrina (UOC) del Policlinico Gemelli di Roma - al punto tale che due anni fa mi hanno nomi nato vice-presidente della società francese di endocrino-chirurgia. Da qui l'idea di proporgli di fare il congresso francese, per la prima volta nella loro storia... fuori dalla Francia, a Roma! Hanno accettato subito in maniera entusiasta, e a quel punto era ovvio unire al loro anche il congresso delle società italiane di endocrino-chirurgia. Non dimentichiamo che le due scuole - quella italiana e quella transalpina - sono universalmente riconosciute come le migliori al mondo nel campo dell'endocrino-chirurgia, e questo ci ha permesso di confrontarci e verificare gli stati di avanzamento e le novità di altissimo valore scientifico: in primis la chirurgia endoscopica della tiroide e il trattamento laparoscopico della patologia surrenalica». La figura del medico in generale - e del chirurgo in particolare - è molto cambiata rispetto al passato e nella realtà è molto diversa da come la immagina la gente: il professionista di oggi, come tanti altri, lavora con umiltà, grande stress ed è costretto a confrontarsi con problematiche non solo di tipo medico. Non è un caso che ormai si comincino a vedere posti vuoti nelle scuole di specializzazione postuniversitarie, cosa assolutamente impensabile fino a qualche anno fa. È finita l'era dei grandi guadagni e le denuncie sono quotidiane, con conseguenze mediatiche e nell'opinione pubblica devastanti che, soprattutto per un giovane alle prime armi, possono portare addirittura alla fine anticipata della carriera. «Abbiamo chiamato vari parlamentari che, moderati dalla giornalista parlamentare Anna La Rosa, ci hanno aggiornato su come il Parlamento cerca di affrontare questo problema - continua Bellantone -. Non è un mistero che l'Italia sia considerata ai primi posti nel mondo sia a livello medico sia chirurgico. Nelle nostre sale operatorie abbiamo quotidianamente colleghi dagli Stati Uniti e da altri Paesi che vengono proprio per imparare, per esempio, le tecniche mini- invasive che abbiamo sviluppato proprio noi a Roma, insieme con i colleghi di Pisa, e che si stanno rapidamente diffondendo nel mondo». ________________________________________________________________ La Stampa 16 ott. ’09 UN SISTEMA A ULTRASUONI PER TAGLIARE E RIMARGINARE ARRIVA IN SALA OPERATORIA UNA TECNOLOGIA CHE CONSENTE DI OTTENERE TAGLIO, COAGULO E DISSEZIONE SIMULTANEAMENTE, UTILIZZANDO UN UNICO STRUMENTO. VIENE COS( ELIMINATA LA NECESSITA DI PIÙ STRUMENTI PER FUNZIONI DIVERSE Una nuova tecnologia si affaccia in sala operatoria per rendere più facile il lavoro dei chirurghi. E anche se viene impiegata in chirurgia per il taglio, emostasi e dissezione dei tessuti molli ha un nome abbastanza "musicale": si chiama Harmonic, ed è composta da un generatore a controllo digitale ad alta frequenza (100-240V) e da un manipolo con tecnologia smart-chip in cui è alloggiato un trasduttore piezoelettrico in ceramica, stretto tra due cilindri di acciaio e una serie di lame dallo stelo di lunghezza variabile, in relazione all'applicazione chirurgica desiderata. II moto meccanico è trasferito dal manipolo a uno stelo la cui lunghezza varia a seconda del tipo d'intervento; il sistema è versatile ed utilizzabile sia in chirurgia tradizionale sia in chirurgia mini-invasiva. Tale tecnologia consente, mediante il solo movimento di una lama a frequenza ultrasonica, di ottenere taglio, coagulo e dissezione simultanei utilizzando un unico strumento. II sistema, pur essendo alimentato da corrente elettrica, non prevede alcun passaggio di elettricità a carico del paziente e del personale operatore di sala, eliminando i rischi di ustioni per effetto di correnti "vaganti". Non si richiede l'utilizzo della tradizionale piastra dell'elettrobisturi, con evidente riduzione dei rischi per il paziente e per il personale e risparmio di materiali d'uso e di training specifici per il personale stesso. L'effetto sul tessuto è esclusivamente meccanico. La lama di Harmonic vibrando 55.500 volte al secondo, viene a contatto con il tessuto creando una zona di depressione a bassa temperatura tra i 50 e i 150 gradi centigradi. II calore sviluppato porta i vasi a collassare su loro stessi e a fondersi. Le strutture di collagene che compongono i tessuti molli si rompono a livello molecolare. La pressione applicata e il calore sviluppato vanno a interrompere i legami deboli d'idrogeno con conseguente rottura delle catene degli amminoacidi. II risultato visibile è la separazione del tessuto. La temperatura e il calore sviluppati sul tessuto sono inferiori a quelli dell'elettrobisturi. Rocco Beflantone, professore ordinario di chirurgia e direttor( della Struttura Complessa di Chirurgia endocrina (UOC) del Policlinico `A. Gemelli' di Roma ________________________________________________________________ La Stampa 16 ott. ’09 QUALITÀ IN CHIRURGIA PER LA SALUTE DEL PAZIENTE di Andrea Sermoni OGNI MEDICO DOVREBBE SAPERE COME MINIMIZZARE IL SANGUINAMENTO IN SALA OPERATORIA, MA IN QUESTO L'ITALIA È ANCORA A "MACCHIA DI LEOPARDO": ACCANTO A SITUAZIONI DI ECCELLENZA SOPRAVVIVONO VECCHI COMPORTAMENTI La perdita di sangue rappresenta certamente un forte rischio per il paziente e comporta la necessità di trasfusioni e di degenza post-operatoria - ammette Luigi Presenti, presidente del XXVIII Congresso Nazionale Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI) e Primario di Chirurgia Generale dell'Ospedale di Olbia -. Fondamentale diventa l'adozione di protocolli che standardizzino le azioni in fase pre-operatoria, operatoria e post-operatoria. Il passo successivo è il miglioramento di Linee Guida o Protocolli, per diminuire la variabilità connessa alle pratiche trasfusionali». Ogni chirurgo dovrebbe conoscere come minimizzare il sanguinamento in sala operatoria, ma al momento il salto di qualità verso procedimenti standardizzati di "chirurgia senza sangue" non è compiuto da tutti. È la classica situazione a macchia di leopardo, che caratterizza le strutture ospedaliere del nostro Paese, dove accanto alle eccellenze vi sono situazioni più carenti e dove i protocolli non sono seguiti in maniera corretta. «Evitare il sanguinamento - sottolinea Epifanio Scardino, Vice Direttore senior della Divisione di Urologia dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano - significa diminuire la necessità di trasfusione, che è sempre un atto delicato, oppure evitare un drenaggio per un'emorragia. Sono tutti eventi che portano complicanze per il paziente, che incidono sui tempi di ospedalizzazione e sui costi per il Sistema Sanitario Nazionale». «I diversi e possibili metodi di emostasi - aggiunge Mauro Longoni, Vice Presidente ACOI e Direttore Unità Operativa Chirurgia I - Azienda Ospedaliera Desio-Vimercate - si attuano per via meccanica, termica, topica o biologica. Questi ultimi, in particolare, ottimizzano l’emostasi, poiché sono applicati su punti di sanguinamento potenziano la coagulazione agendo a diversi livelli della cascata emocoagulativa». ________________________________________________________________ La Stampa 16 ott. ’09 OPERANDO (PER FINTA) S'IMPARA LA SIMULAZIONE DI SCENARI CLINICI, UNITAMENTE A SERVIZI QUALI LA TELEASSISTENZA CHIRURGICA, RAPPRESENTANO LA NUOVA FRONTIERA DELL'INSEGNAMENTO "ALLA SALA OPERATORIA" di Stefano Salvatori I O ggi le nuove tecnologie hanno reso disponibile un gran numero di strumenti e trattamenti innovativi per i pazienti affetti da neoplasie colonrettali, generalmente caratterizzati da una minore invasività. «Il principale obiettivo del trattamento chirurgico del cancro del colon-retto - sostiene il professor Franco Mosca del Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina dell'Università di Pisa - consiste nell'ottenere la completa asportazione delle manifestazioni locoregionali della patologia, conservando laddove possibile la continuità intestinale, la funzione sfinteriale e i plessi nervosi indispensabili per l'attività sessuale. Gli interventi di escissione locale, endoscopia operativa e chirurgia laparoscopica consentono generalmente di migliorare i risultati a breve termine dell'intervento attraverso una riduzione del dolore post-operatorio, un precoce recupero funzionale e una riduzione dei tempi di ricovero ospedaliero». E avviene ovunque così? «Nonostante numerosi studi controllati abbiano incontrovertibilmente dimostrato la sicurezza e l'efficacia dell'intervento laparoscopico con finalità oncologiche. In Italia il ricorso a tale tecnica nell'ambito del trattamento dei tumori colon-rettali risulta tuttora limitato». Perché conviene la laparoscopia in questo tipo di interventi? «A sostegno dell'applicazione della chirurgia mini invasiva, c'è l'analisi dei dati relativi alle oltre 350 resezioni colon-rettali laparoscopiche condotte nell'arco degli anni 2000-2008 dalla Divisione di Chirurgia Generale e Trapianti dell'Università di Pisa. Lo studio evidenzia una significativa riduzione delle complicanze cardio-respiratorie, riduzione dei giorni di degenza, del dolore post-operatorio, il recupero precoce e il ridotto rischio di infezione. A partire dal 1998, circa il 16 per cento dei pazienti trattati con intervento chirurgico resettivo per cancro primitivo del retto sono stati sottoposti a resezione laparoscopica». Un problema di formazione, quindi... «A livello nazionale, unimportante ruolo è esercitato da strutture come ENDOCAS - il centro di eccellenza MIUR per la Computer-Assisted Surgery - nato a Pisa nel 2003 dalla sinergia di competenze dell'Università degli Studi di Pisa, della Scuola Superiore Sant'Anna e del Centro Nazionale delle Ricerche, con il sostegno della Fondazione ARPA. Come esempio di ricerca multidisciplinare, il centro di formazione e aggiornamento ENDOCAS education è dedicato alla preparazione di personale medico ed infermieristico, con l'ausilio e l'utilizzo dei simulatori attualmente disponibili in commercio. Questi strumenti consentono di riprodurre in ambiente virtuale colonscopie, biopsie, polipectomie e interventi chirurgici di laparoscopia e colecistectomia». _________________________________________________________________ il Giornale 17 ott. ’09 L'ORTOPEDIA È ORA SUPER SPECIALISTICA Nuovi orizzonti sono stati aperti dalle innovative e 'numerose metodiche mininvasive Si vuole conservare il patrimonio biologico del paziente rispettando la sua anatomia Luigi Cucchi L'ortopedia è cambiata profondamente. «Un tempo - afferma il dottor Augusto Palermo - la specialità in ortopedia non esisteva, infatti il chirurgo generale si occupava di trattare anche le patologie muscolo-scheletriche in modo spesso approssimativo. La specializzazione in ortopedia nacque come prima esigenza di trattare il bambino (Ortos-pais =fanciullo diritto, da cui il nome ortopedia) e poi si estese al trattamento delle patologie dell'adulto. Oggi l'ortopedico è soprattutto uri clinico che sa scegliere la migliore indicazione chirurgica, ma è lo specialista che deve intervenire». Il dottor Palermo è responsabile dell'unità funzionale di ortopedia della clinica San Gaudenzio di Novara, una struttura del Gruppo Policlinico di Monza. Da poche settimane il dottor Palermo ha costituito e coordina il Gruppo ortopedici associati formato da quindici specialisti che affrontano tutte le problematiche ortopediche con un approccio multidisciplinare. Ogni team ha una grande competenza nell'area in cui opera. Il dottor Palermo è responsabile della chirurgia dell'anca, il dottor Giuseppe Calafiore della chirurgia protesica del ginocchio, il dottor Roberto Simonetta delle patologie legamentose del ginocchio (ha operato numerosi calciatori militanti in serie A), il dottor Mario Rossoni della chirurgia della spalla (consulente della pallanuoto Nervi, che milita in Al), il professor Carlo Formica luminare da anni della chirurgia vertebrale. «È impensabile per un singolo operatore raggiungere una elevata professionalità in aree così differenti dove le metodiche adottate sono sempre più sofisticate e si evolvono con grande rapidità. Le patologie legamentose - precisa il dottor Palermo - sono oggi affrontate per via artroscopica, sia nel ginocchio che nella chirurgia della spalla. Il grande sviluppo che si è registrato nell'ortopedia è frutto della necessità di migliorare le tecniche chirurgiche per dare risposte più efficaci alle aumentate richieste funzionali del paziente e non è pertanto possibile che lo stesso professionista riesca a trattare ad alto livello tutte le patologie. Oggi la chirurgia mininvasiva ha aperto nuovi orizzonti all'ortopedia che si sta sempre più indirizzando verso il mantenimento del patrimonio biologico del paziente. Si punta al rispetto dell'anatomia, a interventi sempre meno traumatici, e si ottiene il miglior risultato funzionale ed il pronto recupero psicofisico. Un tempo si considerava abile il chirurgo che eseguiva grandi tagli, oggi si va nella direzione opposta. L'ausilio dei nuovi strumenti mininvasivi ha migliorato le nuove soluzioni, ma ha richiesto una maggior delicatezza chirurgica da parte dell'operatore». Negli anni Sessanta e Settanta l'ortopedia italiana conobbe anni d'oro grazie alla attività di pionieri come il professor Scaglietti a Bologna e Mastroagostino nella chirurgia pediatrica ortopedica a Genova. Una volta molti ortopedici italiani guardavano le scuole che si erano sviluppate all'estero, in particolare in Germania e negli Stati Uniti, con un timore quasi reverenziale. «Un approccio immotivato se si considera - ricorda Palermo - che numerosi ortopedici italiani partecipano oggi alla realizzazione di protesi innovative che vengono poi adottate in tutti i Paesi occidentali». A Roma, a fine settembre, si è tenuto un incontro scientifico sulle nuove tecniche per revisionare protesi già impiantate. Dal 7 all' 11 novembre si terrà a Milano il congresso nazionale di ortopedia. È un fiorire di iniziative, di incontri scientifici. La necessità di garantire al paziente una super specializzazione in ogni settore della chirurgia ortopedica impone l'aggregazione di più chirurghi affinché sia possibile perseguire un servizio di eccellenza chirurgica e scientifica. In Italia si impiantano ogni anno oltre 70mila protesi d'anca che riescono ad eliminare il dolore ed a ridare la funzionalità a molti pazienti che rischierebbero di essere costretti all'immobilità se non operati. La ricerca avanza, si migliorano le metodiche e si utilizzano nuove protesi più efficaci e durature. 1 registri degli impianti rappresentano una solida realtà nel mondo della ricerca e dell'assistenza sanitaria, le conoscenze acquisite vengono velocemente trasferite alla pratica clinica. Grazie alla specializzazione nuovi interventi sono ora possibili a beneficio del paziente. _________________________________________________________________ il Giornale 17 ott. ’09 «PILLOLA ABORTIVA NON DANNOSA» ECCO LO STUDIO CHE LO DIMOSTRA Gli scienziati: «Dalla R U 486 danni solo se usata in modo sbagliato. La prova? Tra i 29 morti sospetti anche due uomini» Enza Cusmai Se n'è parlato tanto. C'è, non c'è, esiste o non esiste? Esiste. Ci riferiamo al documento sugli effetti dannosi della RU 486, la pillola abortiva che tra poche settimane potrà essere usata in tutte le strutture pubbliche italiane così come avviene nel resto d'Europa e delmondo. Manca, infatti, soltanto un atto formale che il consiglio dì amministrazione dell'Aifa ratificherà lunedì prossimo. Un'ultima tappa prima del via libera definitivo. Ma le obiezioni all'introduzione di questo farmaco sono state, tante: Molti hanno sostenuto chela RU 486 avesse provocato morti sospette. E prima di aprire le porle della commercializzazione nel nostro Paese un farmaco va giustamente messo sotto i raggi x. C'è perfino una commissione parlamentare che indaga sulla corretta applicazione della RU. Ma fino ad ora, nessuna notizia di questo documento sulle morti sospette è mai trapelata. L'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, ha sempre sostenuto che quel resoconto scientifico non fosse rilevante ai fini dell'introduzione della pillola abortiva nel nostro Paese. E il perché appare chiaro dal testo del documento che il Giornale è in grado di anticipare: la RU 486, se usata in modo corretto con dosi prestabilite e nei limiti previsti dalla legge, cioè entro la nona settimana di gravidanza, non ha mai ucciso nessuno. In nessuna parte del mondo. Solo alcune distorsioni sulla sua assunzione hanno creato degli effetti avversi. Documentati con tanto di dosaggio e di modalità di somministrazione sbagliata o eccessiva. Il resoconto tecnico-scientifico è stato redatto dalla casa farmaceutica «Exe3gyn» che produce nel mondo «Mifegyne» cioè il Mifepristone. Il testo è molto dettagliato e individua le cause dei 29 decessi avvenuti in concomitanza con la somministrazione dell'RU 486. L'analisi copre un arco di tempo piuttosto vasto. Si parte dal dicembre 1988 (data di introduzione della pillola abortiva) e si arriva fino al31 maggio 2009. In questi 11 anni l'azienda produttrice della RU 486, ha raccolto in un dossier tutti i decessi provocati dalla pillola rilevati in tutto il mondo (Usa e Francia intesta). Dal documento emerge che le 29 morti sospette sono effettivamente riconducibili all'impiego del farmaco RU 486 da solo o in associazione con Misoprostolo, ma questi farmaci sono stati utilizzati sempre in modo distorto, contro ogni indicazione medica di riferimento e perpatologie che nulla hanno a che fare con l'aborto farmacologico. Ecco il dettaglio. Due casi di decesso nel 2000 e nel 2008 riguardano addirittura soggetti maschili che hanno usato il Mifepristone perc urarsi rispettivamente un meningioma e una forma depressiva. In altri dieci casi, il Mifepristone è stato utilizzato come palliativo per curare patologie tumorali che sono poi risultate la reale causa di morte (carcinoma ovarico, carcinoma della mammella metastatico, morbo di Cushing, sarcoma, carcinoma adrenocorticale). Rimangono 17 casi collegati all'aborto farmacologico. E anche in queste situazioni ff medicinale non sarebbe stato letale se fosse stato usato in modo corretto secondo le prescrizioni mediche e i protocolli internazionali. Invece, la RU è stata somministrata in modo irregolare o distorto. Infatti, in 10 casi il Misoprostolo è stato usato con dosaggio doppio (800 invece di 400) rispetto a quello autorizzato per l'aborto farmacologico. In altri quattro casi il Mifepristone è stato impiegato oltre il termine previsto per il suo utilizzo, In genere viene consigliato alle donne che vogliono abortire entro la nona settimana. Non un giorno di più. Invece, in quattro casi le pazienti hanno ingerito il farmaco a 10 settimane e addirittura nel secondo trimestre di gravidanza, a 22 settimane e a 29 settimane. C'è di più. In sette casi le donne hanno subito una sorta di shock settico o di emorragia gastrica provocati dal dosaggio doppio di Misoprostolo c/o dalla somministrazione intravaginale del farmaco, modalità espressamente vietata. In tutti i casi in cui l'aborto farmacologico ha provocato vittime, insomma, sono state puntualmente elusele indicazioni per i dosaggi e sono state violate le autorizzazioni di utilizzo del farmaco entro la nona settimana di gestazione. Situazioni che hanno fatto dichiarare agli autori del documento «molto improbabile» la correlazione tra i decessi e il Mifepristone. Ritaglio _________________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 17 ott. ’09 RICORDI ARTIFICIALI INNESTATI NEL CERVELLO Il test sulle mosche a Oxford Ricordi artificiali innestati nel cervello Se c'è qualcosa di più spaventoso di un incubo, questo è un brutto ricordo mai successo. Di quelli inventati e terribili che non vanno via quando ti sveglia, ma sono piantati «artificialmente» nella memoria per tornare in mente di continuo, sebbene siano falsi. La droga non c'entra. Il meccanismo di costruzione di una «memoria non vera» si realizza con la stimolazione elettrica del cervello, almeno negli insetti. A «iniettare» esperienze non reali nei neuroni delle mosche sono stati alcuni ricercatori di Oxford, come riporta la rivista Cell. Come hanno fatto? Innanzitutto hanno individuato (con l'optogenetica) i neuroni giusti da «manipolare» - in tutta 12 cellule -, quelli responsabili del collegamento tra l'esperienza sensoriale. (nell'esperimento l'odore di una sostanza) e la costruzione di un ricordo doloroso (nella fattispecie l'elettroshock). Infine hanno «bombardato» i neuroni con fasci laser «trascrivendo» nel cervello un'idea sbagliata: quel profumo provoca il mal di testa e va evitato. E così gli insetti hanno imparato ad associare l'aroma al ricordo scioccante e si sono tenuti alla larga dall'odore. «II laser ha variato l'attività elettrica dei neuroni nell'animale - spiega il neurobiologo Lamberto Maffei, presidente dell'Accademia dei Lincei - lo stimolo ha completamente cambiato il modo di rispondere delle cellule cerebrali, modificando la loro funzione e introducendo una memoria inesistente». In altre parole, l'attività del neuroni risponde a un fatto cognitivo e lo crea dal nulla. Ora si tratta di capire se il risultato vale anche per «materie grigie» complesse come quelle umane. E se uno shock elettrico altera i neuroni al punto da far diventare un genio chi ha un quoziente d'intelligenza sotto la media: vedi cosa succede a john Travolta nel film Phenomenon (un bagliore dal cielo trasforma un meccanico in Einstein).