RASSEGNA 25 OTTOBRE 2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 CON IL RIORDINO SPAZIO PER RICERCATORI SOLO A TEMPO - MANAGER A FIANCO DEI RETTORI - COMMISSARI NEGLI ATENEI MAL GESTITI - ISTRUZIONE., NON ESISTE LA QUALITÀ A COSTO ZERO - SE UNIVERSITÀ RISCHIA DI FAR RIMA CON ASSURDITÀ - OBAMA LANCIA IL DOCENTE COACH - ARRIVANO I TORNELLI ANCHE PER I'PROF - TROPPA BUROCRAZIA OGGI L'UNIVERSITÀ È UNA CORSA A OSTACOLI - CURA ANTITRUCCHI PER GLI ATENEI - MA PERCHÉ I PROFESSORI 70ENNI NON DIVENTANO «FLESSIBILI»? - TEST D'INGRESSO VIA AL CAROSELLO GUADAGNANO SOLO GLI ATENEI - TEST D'AMMISSIONE SE IL MIO FUTURO STA IN 80 CROCETTE - POLITECNICO DI TORINO STOP A SEDI DECENTRATE LEZIONI SOLO IN VIDEO - IL RISCALDAMENTO GLOBALE S'ARRESTA - SORPRESA: PAUSA IN VISTA PER IL GLOBAL WARMING - IG NOBEL: LA «PAZZA» SCIENZA DEI NOBEL ALTERNATIVI - ATENEO: DOSSIER SUI FONDI INUTILIZZATI A SASSARI - MARAT, NIÈPCE, PACINOTTI E UN FILO COMUNE: CAGLIARI - INNOVAZIONE: UNIVERSITÀ ITALIANE PIÙ ATTIVE - MISURARE LA SCIENZA E LA TECNOLOGIA - CADE LA «TEORIA DELLE STRINGHE» MA ARRIVA IL SUPERACCELERATORE - ======================================================= SANTISSIMA TRINITÀ, VIA LE STELLETTE L'OSPEDALE È PRONTO PER IL RILANCIO - UN MEDICO BRITANNICO SU TRE PRATICA L’EUTANASIA - MORIRE SENZA INUTILI TERAPIE: NON È ANCORA UN DIRITTO - CAO: SCONFIGGERE LE MALATTIE DEL SANGUE - L’INFLUENZA A FA RICCA BIG PHARMA BOOM DEI VACCINI, RICAVI ALLE STELLE - L’EFFICACIA DEI VACCINI VIENE MESSA IN DUBBIO DA FALSI PROFETI - DETERMINISMO BIOLOGICO: PIÙ CHE SCIENZA FU PREGIUDIZIO - EFFETTO PLACEBO E MIDOLLO SPINALE - E L'ERA DIGITALE CI CAMBIA ANCHE IL CERVELLO - QUANDO IL PIACERE ARRIVA TROPPO PRESTO - I BIMBI DI OGGI DIVENTERANNO CENTENARI IN BUONA SALUTE - LA DIAGNOSI? «ELEMENTARE, WATSON!» - ENTRO IL 2048 QUASI ESTINTI I GRANDI PESCI - ======================================================= ___________________________________________________________ Il Sole24ore 24 Ott. ‘09 CON IL RIORDINO SPAZIO PER RICERCATORI SOLO A TEMPO Ruoli docenti. Soltanto ordinari e associati i Gianni Trovati ~ MILANO Nell'università del futuro non c'è spazio per i ricercatori a tempo indeterminato, che oggi sono circa 25mila e rappresentano il più affollato tra i ruoli universitari. Il progetto di riforma Gelmini riduce a due i ruoli docenti, riservati a professori ordinari e associati, in linea con la riforma Moratti del 2004 che prevedeva l’esaurimento del "terzo scalino" per il 2013. Oltre a loro, nei dipartimenti lavoreranno i ricercatori a tempo determinato, introdotti nel 2004 e finora rimasti in secondo piano nell'accademia. Anche se la legge è del 2004, il decreto che ne disciplina funzioni e stipendi è arrivato solo qualche settimana fa e assegna a queste figure un "premio" di flessibilità prevedendo per loro una busta paga superiore del 20% rispetto a quella dei ricercatori di ruolo. Ora gli atenei che nei mesi scorsi hanno iniziato il reclutamento dovranno adeguarsi, visto che in qualche bando erano spuntati importi nettamente inferiori. Ma il rilancio vero deve arrivare dal disegno di legge. L'idea è quella di avvicinare l'università italiana ai molti modelli stranieri, a partire da quello anglosassone, che non contemplano i ricercatori "a vita", ma prevedono un ingresso flessibile nel mondo accademico e una via preferenziale verso il ruolo dedicata ai migliori. Il Ddl prova a tradurre in italiano questi principi, con qualche particolarità. T giovani ricercatori potranno avere infatti un massimo di due contratti triennali, ma per chi nel corso del secondo contratto riesce a ottenere in tempo l'abilitazione nazionale può scattare la chiamata diretta da parte dell'università. Tutto dipenderà dall'ateneo, che se avrà spazio (e risorse per farlo) potrà decidere di chiamare gli abilitati. Se l’iter parlamentare sarà abbastanza rapido e non stravolgerà questa previsione, insomma, gli ultimi ricercatori di ruolo potrebbero essere quelli reclutati con le sessioni del 2008 (ancora in corso), o del 2009 (ancora in stand by), sempre che gli atenei non si fermino in attesa del nuovo ordine. Se i ricercatori a tempo oggi "propriamente detti" sono pochi, sono però molti i giovani precari (dottorati, assegnisti) che in queste settimane stanno protestando per lo stallo del programma "futuro in ricerca", con cui il ministero ha stanziato 50 milioni per finanziare nuovi progetti. L’associazione dei precari italiani per la ricerca ha raccolto negli ultimi giorni 800 firme di ricercatori in calce a una lettera da inviare al ministro per sbloccare la situazione. Il via ai prescelti (le domande sono 3.792) doveva arrivare il 26 agosto, ma la commissione non è ancora stata formata. ___________________________________________________________ Il Sole24ore 24 Ott. ‘09 MANAGER A FIANCO DEI RETTORI Via libera del pre-consiglio dei ministri al Ddl di riforma prima del rinvio del Cdm Al direttore generale la gestione amministrativa e contabile Eugenio Bruno ROMA La riforma degli atenei incassa il primo disco verde. Non del Consiglio dei ministri, visto il rinvio della riunione di ieri, bensì del pre-consiglio. Che in mattinata ha esaminato e dato fok al Ddl Gelmini sull'organizzazione e la qualità del sistema universitario. Con alcune variazioni dell'ultima ora. Due su tutte: la poltrona di direttore generale andrà a un manager già esperto; lo Stato garantirà i prestiti d'onore agli studenti in base ai limiti fissati dall'Economia. Più che di cambiamenti, si tratta di limature o piccole aggiunte rispetto al testo portato a Palazzo Chigi dal ministro dell'Istruzione. L'impianto complessivo rimane sostanzialmente invariato. Ad esempio sui nuovi sistemi di governance che gli statuti dovranno recepire entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge: accanto al rettore, che resterà in carica al massimo otto anni- ma chi è ins cadenza resterà incarica fino alla nomina del successore, ndr - e farà parte del cda di 11 membri, ci sarà un direttore genera.lp che gestirà tutta la parte amministrativa e contabile. Un ruolo a cui potranno aspirare le «personalità di accertata qualificazione professionale» dotate (ed è una new entry) di «comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali». Un lieve restyling ha interessato anche il Fonda per il merito che sarà istituito a via XX Settembre e sarà aperto a fondazioni, enti e sottoscrittori privati. Le risorse serviranno a erogare borse di studio (o buoni sconto sulle tasse) e prestiti d'onore agli studenti di eccellenza. Le garanzie emesse dallo stato e sottoposte ai "tetti" fissati per decreto dall'Economia serviranno «in via esclusiva» a coprire proprio quest'ultima misura. A proposito della delega sulla riforma della contabilità, che dovrà portare gli atenei a somigliare sempre di più alle aziende, l'ultima release del Ddl ha incluso il personale «a tempo determinato» tra le componenti di costo da computare, insieme ai lavoratori con il "posto fisso" e agli interessi sul debito, per verificare se un'università ha superato o meno la percentuale massima consentita rispetto alle entrate complessive. Altra delega, altre novità. Nell'elaborazione del sistema di valutazione ex post sulla qualità della didattica, i titoli e la relazione triennale (che ogni docente o ricercatore dovrà presentare) avranno un'importanza maggiore del previsto. Visto che serviranno a verificare «prioritariamente » l'assolvimento dei compiti e l'impegno profuso. Ferma restando la riscrittura sulle regole dei concorsi - sulla base di un concorso nazionale con cadenza annuale e di una selezione locale su curriculum e titoli - viene infine aumentato il peso attribuito al grado di apertura delle università ai candidati esterni. Tra i criteri per l'attribuzione su basi meritocratiche di una quota del fondo di finanziamento ordinario, infatti, ha fatto capolino «la percentuale dei professori reclutati da altri atenei». _________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 24 ott. ’09 COMMISSARI NEGLI ATENEI MAL GESTITI Il voto la prossima settimana. Fusioni o chiusure delle sedi decentrate che sono doppioni Pronta la riforma Gelmini: 1.500 ore di lavoro annue per i prof ROMA-Quindici articoli che potrebbero cambiare molte case nelle nostre 95 università: la riforma Gelmini, che tocca tutti gli aspetti della vita degli atenei, è sui blocchi di partenza. Avrebbe dovuto ricevere il via ieri dal Consiglio dei ministri, rinviato alla prossima settimana per l'assenza del premier. Autonomia nella responsabilità, finanziamenti non a pioggia ma in ragione dei risultati: se le università saranno gestite male potranno anche essere commissariate. Apertura alle istanze del paese: cda aperto a imprenditori e professionisti. Fusioni, accorpamenti o chiusure delle sedi decentrate che rappresentano una duplicazione. Ma anche più diritto allo studio: il prestito d'onore entra nell'ordinamento nazionale. Come la quantificazione dell'attività dei prof: i500 ore l'anno. Queste le principali novità. La legge rivoluziona il governo e i rapporti di forza negli atenei. Partendo dall'elezione del rettore: non più di due mandati, massimo otto anni. E imponendo una separazione di funzioni tra un Senato Accademico più snello (massimo 35 membri) che si occuperà di didattica e scienza e il cda che farà i conti e deciderà su apertura e chiusura di sedi e corsi. Undici membri, compreso rettore e rappresentanti studenti, al 4o per cento esterni, «da scegliere tra personalità italiane e straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale», secondo le modalità indicate dallo statuto. Oggi il cda è un organismo con 25-3o componenti. Il risparmio in gettoni di presenza potrebbe aggirarsi intorno al milione di euro l'anno. AL timone non più un direttore amministrativo ma un direttore generale, che dovrà avere i requisiti di un manager. Verrà assunto con un contratto di diritto privato e resterà in carica per non più di 4 anni. La valutazione si rafforza. Il «nucleo», presente in ogni ateneo, con il compito di verificare la qualità dell'attività formativa e scientifica, dovrà essere composto da un congruo numero di esponenti esterni, a differenza di quanto accade oggi. In ciascun dipartimento verrà ,creata una commissione paritetica docenti-studenti che vigilerà sulla qualità della didattica. Ogni università dovrà dotarsi di un codice etico (alcune lo hanno già) per prevenire e contrastare situazioni di conflitto di interesse: nepotismo e via dicendo. La legge porterà ad una profonda revisione delle strutture accademiche. Il centro regolatore dell'attività didattica e di ricerca sarà il dipartimento e non più la facoltà. I vari corsi faranno capo ai dipartimenti e ciò consentirà di razionalizzare l'offerta formativa, eliminando eventuali duplicazioni. Oggi il panorama dell'offerta universitaria vede in ogni regione una fioritura di sedi decentrate. La ricerca dell'efficienza, in tempi di risorse scarse, è diventata una necessità impellente per molti atenei. La legge prevede la fusione e l'aggregazione, anche limitatamente ad alcuni settori di attività, di due o più università per evitare duplicazioni e costi inutili. Sono previsti incentivi per la mobilità del personale. L'obiettivo è evitare disavanzi. Nel caso che questo accada - quando il deficit supera del io per cento il bilancio - l'università dovrà disporre un piano di rientro finanziario. Se ciò non avverrà scatta il commissariamento. Tra le novità anche il diritto allo studio (la legge concede una delega al Miur) e il monte ore dei «baroni». Per la prima volta nell'ordinamento universitario fa il suo ingresso il «prestito d'onore»: Grazie ad un fondo. speciale, istituito, presso il ministero dell'Economia e delle finanze,i migliori studenti potranno ricevere borse e buoni studio «da utilizzare sia per tasse e contributi universitari che per spese di mantenimento durante gli studi». L'impegno lavorativo complessivo dei prof viene fissato - è la prima volta che accade - in 1500 ore annue. Il reclutamento dei docenti, finora affidato ai contestatissimi concorsi locali, parte con una procedura di valutazione nazionale attraverso la quale i candidati acquisiscono un'abilitazione scientifica. Da qui le università potranno attingere per coprire le proprie esigenze di personale attraverso valutazioni comparative. Giulio Benedetti ___________________________________________________________ L’Unità 22 Ott. ‘09 ISTRUZIONE., NON ESISTE LA QUALITÀ A COSTO ZERO» Si parla di riforme e se ne fa solo una questione di numeri Ma il sapere viaggia su altri parametri. La Gelmini non si confronta con chi la scuola la fa tutti i giorni GIULIO PERUZZI centrale@unita.it E’ davvero difficile seguire la politica su scuola, università e ricerca in questo Paese. Miriadi di provvedienti più o meno mirabolanti vengono continuamente annunciati a mezzo stampa. I comunicati so no infarciti con parole oggi di moda come merito, valutazione, trasparenza, competizione. Il successivo passaggio dalle parole ai fatti, quando non ha tempi biblici, si traduce in atti manchevoli se non dannosi. È successo con i precari della scuola, dove un regolamento ministeriale in contrasto con una sentenza del TAR del Lazio rischia di gettare nel caos le graduatorie degli insegnanti con ripercussioni sull'anno scolastico appena avviato. È successo con i concorsi per il reclutamento dei docenti universitari, bloccati per più di un anno, cambiando le regole di costituzione delle commissioni a bandi già chiusi. È successo, cosa ancora più grave, con il taglio indiscriminato dei finanziamenti alle università. Succede in questi giorni con l'annuncio di un giro di vite sull'accreditamento dei titoli rilasciati dalle Università Telematiche. È solo un annuncio. Ma non era stata la ministra Moratti, con la sua fiducia un po' sospetta nelle nuove tecnologie, ad aprire la stura alla proliferazione di queste (pseudo) università? E non era stato il ministro Mussi a bloccare l'accreditamento di alcuni di questi atenei denunciandone l'eccessiva proliferazione? Vedremo in questo caso quando alle parole seguiranno quali fatti, sperando che questi "anco tardi a venir non siano gravi". Due aspetti stupiscono in questo modo di procedere. Il primo riguarda l'assenza di un coinvolgimento di coloro che operano nella scuola, nell'università e negli enti di ricerca, e la contestuale mancanza di una vera interazione con le commissioni parlamentari che istruiscono gli interventi legislativi su formazione e ricerca. In queste ultime la ministra Gelmini si reca di rado, e quando lo fa si comporta come se avesse davanti dei giornalisti: illustra cioè il suo "comunicato stampa" senza prestarsi a una vera discussione. Il secondo aspetto stupefacente è che anche chi ha a cuore le sorti della formazione e della ricerca del nostro Paese sembra accettare i perimetri segnati dalle tecniche comunicative del Governo. E così non si pone abbastanza l'accento sul fatto che l'investimento in formazione e ricerca nel nostro Paese è tra i più bassi d'Europa. E neppure sul fatto che si deve smettere di parlare di riforme serie a costo zero. E neppure che a rendere migliore il sistema universitario non è una semplice contabilità di crediti formativi, ore di insegnamento, numero di studenti in rapporto ai docenti, ecc. E che bisogna fare un'attenta valutazione dell'importanza dei corsi di laurea, perché non è detto che un corso di laurea oggi poco di moda (e quindi con pochi studenti) sia meno importante per il futuro del Paese di un corso di laurea oggi di moda (e quindi con tanti studenti). Si fanno invece proposte come "facciamo cassa evitando due anni di fuori ruolo". Per non parlare di chi, più realista del re, propone riforme a costo zero come i test di ingresso nazionali ai corsi di laurea. L'intento, quanto mai egregio, dovrebbe essere quello di permettere agli studenti bravi, o comunque in alto in graduatoria, di scegliere l'Ateneo migliore in cui studiare. Ma il vero problema nel nostro Paese non è quello di poter scegliere un Ateneo, ma dei costi della mobilità in assenza di infrastrutture che garantiscano il diritto allo studio. Realizzarle però costa. ___________________________________________________________ Il Sole24ore 23 Ott. ‘09 SE UNIVERSITÀ RISCHIA DI FAR RIMA CON ASSURDITÀ Ionesco in cattedra di Davide Rondoni Dove si realizza oggi il vero teatro dell'assurdo? Ora che i testi di Ionesco (il quale contestava la definizione), di Beckett, con tutto il loro carico novecentesco di provocazione sembrano divenuti registrazione dell'esistente, non più assurdo ma normale, dove si può assistere a una bella pièce etichettabile come dell'assurdo? Provate ad andare a pranzo con un po' di docenti universitari. Come è capitato a me. Brave persone, di buon livello di carriera, di diversi atenei e discipline. Fateli parlare per un po'. Dei concorsi, delle leggi da interpretare, degli espedienti (di bilancio, di regolamento eccetera) per campare e tirare avanti. Vi troverete proiettati in un mondo surreale. Dove sarà difficile capire quali sono, se vi sono, agganci alla realtà nelle cose di cui vi parlano. Un intrico di leggi, regolamenti, abitudini, norme non scritte ma ferree. Un gergo spesso quasi iniziatico. L'evocazione di rituali. Eppure si dice: l'università elemento trainante per il paese. Si dice: investire nella ricerca. Si dice: modernizzare. Beh, scusate l'impressione e l'intrusione, ma a me pare che siamo al delirio. Sento parlare di "fallimento del 3+2” la suddivisione in laurea breve e specialistica. Ma come, è appena andato faticosamente a regime? Sbocconcellando una pizzetta, un giovane e lucido docente di un ateneo milanese dice: «Era una riforma che non teneva conto del contesto, del mercato del lavoro, e i ragazzi han capito che fermarsi al triennio non serve». Oppure, caso più strano e assurdo, sento che parlano di concorso per ricercatori. E penso: una questione importante. Da un pezzo sento eleggo della necessità di svecchiare i ricercatori, di rilanciare la capacità di ricerca, eccetera. Ritornelli di nobili parole. Di appelli in nome dell'Italia perché la ricerca riprenda slancio nel nostro paese. E dunque, chiedo, come verranno selezionati i nuovi ricercatori? Per titoli, mi rispondono, e già un pc ridacchiano. Come sarebbe per titoli? Ma un giovane all'inizio di una carriera i titoli ancora non ce li ha, o ne ha pochi. E un quarantenne sarà favorito rispetto a un ventiseienne. E poi, mi spiega Daniele Bassi, presidente di Universitas University e Ordinario al Dipartimento di Produzione vegetale a Milano, non si capisce perché nella prima legge del 2009 si distingua, nel concorso, tra titoli su cui il candidato potrebbe esser chiamato a discutere e pubblicazioni. Cioè si discute sui libri usciti con il nome del candidato e non sugli articoli? O per titoli s'intende quelli firmati solo dal candidato? Il lavoro di équipe conta meno? Boh... Non capisco. Nel luglio di quest'anno, continua Bassi> è uscito un decreto (89,28 1uglio ) che spiega come valutare l'impatto delle pubblicazioni. Evidentemente si punta su questi calcoli un po' astrusi più che sulla valutazione nel colloquio. E così scopro perché il resto della tavola ridacchia. Perché sanno benissimo che i nomi nelle pubblicazioni vengono aggiunti a volte molto alla leggera, e ci sono pubblicazioni e titoli con lunghe sfilze di nomi. E sanno che il boss di una cattedra o di una disciplina può preparare la carriera del suo pupillo mettendone la firma in qua e in là. Il rischio, insomma, è di avere ricercatori già "vecchi", non veramente valutati dalla comunità scientifica. Qualcuno ricorda che c'era stata una legge, poi abrogata, che cancellava la figura dei ricercatori a tempo indeterminato. Poi quella legge cadde, pare. Così, tra ripensamenti e oscurità, tra grida quasi manzoniane, l'Italia si prepara a scegliere i propri ricercatori. Un capolavoro, insomma. Dell'assurdo. Ma il teatro di quei maestri del 90o era proiettato al futuro. Questa strana piece invece è ubriaca di passato. _____________________________________________________ LA STAMPA 22 ott. ’09 OBAMA LANCIA IL DOCENTE COACH Formazione e metodi rivoluzionati: «Dovrà trascinare gli allievi come una squadra» FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK II successo del Paese è nelle mani degli insegnanti del futuro. È questo il senso del progetto di riforma dell'istruzione messo a punto dall'amministrazione Usa che lo ha illustrato ieri, per la prima volta: un «cambiamento rivoluzionario» per un obiettivo ambizioso, formare le classi dirigenti e professionali del domani. La riforma è modulata lungo due direttrici: miglioramento del sistema K-12, il ciclo di studi da 5 a 17 anni, e superformazione dei professori. Su quest'ultimo aspetto si sofferma il segretario all'Educazione, Arne Duncan: «Siamo alla vigilia di un cambiamento rivoluzionario», dice alla platea del Teachers College della Columbia University. Quello nato nell'era Obama dovrà essere un insegnante manager, capace di saper gestire una classe e di organizzarne il lavoro. Dovrà essere un insegnante comunicatore, in grado di capire il pensiero dei suoi alunni, elaborarlo ed usarlo per analizzarne il carattere, creare un dialogo e motivare sul campo. Dovrà essere un insegnante allenatore, per valorizzare ai massimo le potenzialità di ogni singolo studente e massimizzare il lavoro di squadra. Dovrà essere un insegnante ricercatore sempre a caccia degli strumenti necessari per migliorarsi. Ma tutto questo non può non ruotare attorno alla formazione professionale. Oggi, tre su cinque professori americani non si ritengono pronti a entrare in aula. «Si fanno ancora test con carta e penna per valutare la preparazione di base ma non c'è un esame per capire se una persona sia in grado di gestire una classe». E il sistema non consente di agganciare il rendimento di un insegnante alla sua preparazione. «Sarà un altro pilastro della riforma assieme alla meritocrazia: chi è bravo sarà premiato, chi produce risultati mediocri dovrà essere incoraggiato a migliorare o a lasciare». In questo senso si inserisce il piano di stimoli di Obama, con fondi volti a incentivare le scuole che sfornano insegnanti bravi. «L'America deve affrontare tre sfide - avverte Duncan -. La prima è strutturale: nell'era dell'informazione veloce è impossibile abbandonare gli studi e trovare lo stesso un buon lavoro. La seconda è culturale: lo studio deve funzionare da equalizzatore sociale. La terza è temporale: un terzo degli insegnanti andrà in pensione e lascerà un milione di posizioni vacanti nei prossimi quattro anni». ________________________________________________________ LA STAMPA 23 ott. ’09 ARRIVANO I TORNELLI ANCHE PER I'PROF Controlli sugli orari e aumenti legati alla produttività FLAVIA AMABILE ROMA Potrebbe arrivare stamattina il via libera sul disegno di legge del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini di riforma dell'università. Si è lavorato fino a tardi ieri sera nel tentativo di arrivare a un testo concordato fra tutti i ministeri competenti, e armonizzare i rilievi che sono arrivati dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti ma anche da quello della Funzione Pubblica Renato Brunetta. Il testo è in gestazione da almeno otto mesi. Le novità più rilevanti riguardano l'orario dei docenti e il futuro dei ricercatori. I docenti dovranno lavorare almeno 1500 ore l'anno, di cui 350 dedicate alla didattica e all'assistenza degli studenti per i docenti di ruolo e 250 nel caso di docenti a tempo definito. Sono cifre che più o meno rispecchiano già alcune norme esistenti, anche se quasi dimenticate. La vera novità è un'altra, e provocherà forti resistenze di una parte del mondo universitario. Il disegno di legge prevede «forme di verifica dell'attività didattica» e dell'« impegno per fattività scientifica». Il disegno di legge si ferma qui ma quello che intende è un panorama fosco fatto di tornelli, cartellini o chissà quale altra forma di giustificazione delle 1500 ore, che renderà difficile la vita dei docenti. Sarà un decreto delegato che sarà emanato in seguito a entrare nei dettagli. Il disegno di legge, poi, interrompe senza troppe cerimonie le speranze di chi un giorno vorrebbe diventare ricercatore: tra sei o sette anni la categoria non esisterà più. Nel frattempo si bandiranno ancora concorsi, per i diritti acquisiti, come quelli di chi è in attesa di una selezione da quando ministro dell'Università era ancora Fabio Mussi. Il provvedimento è snello, poco generoso in dettagli sulle novità, dalle regole sulle commissioni d'esame a tutto ciò che riguarderà la qualità e l'efficienza del sistema. Saranno i decreti delegati in seguito a occuparsene: Si sa però che i rettori avranno un mandato di non oltre 8 anni, e forse si troverà anche il modo di evitare che la norma possa essere aggirata come finora è accaduto. E sarà adottato un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. Gli atenei avranno la possibilità di fondersi tra loro per evitare duplicazioni. L'unione potrà avvenire su base federativa, tra università vicine, o anche in relazione a singoli settori di attività, per aumentare la qualità, evitare le duplicazioni e abbattere i costi. I bilanci dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza (attualmente non calcolano, per esempio, la base di patrimonio degli atenei). I settori scientifico-disciplinari passeranno dagli attuali 370 a circa la metà (con una consistenza minima di 50 ordinari per settore). Ci sarà una distinzione netta di funzioni tra Senato accademico e Cda: il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il Cda ad avere la responsabilità chiara delle spese, delle assunzioni e delle spese di gestione (anche delle sedi distaccate). Sarà ridotto il numero di membri sia del Senato (al massimo 35 contro gli oltre 50 di oggi) sia del Cda (11 invece di 30). Il Cda avrà il 40% di membri esterni e sarà rafforzata la rappresentanza studentesca (questo anche nel Senato). Un direttore generale prenderà il posto dell'attuale direttore amministrativo e avrà compiti di un vero e proprio manager dell'ateneo. Infine, il nucleo di valutazione d'ateneo sarà à maggioranza composto da esterni. E soltanto i docenti migliori potranno avere diritto agli scatti di stipendio. Il cammino del disegno di legge non è stato facile finora, ma non lo sarà nemmeno in seguito. Il primo alt è arrivato proprio dall'interno della maggioranza. Maurizio Gasparri del Pdl ha chiesto una pausa di riflessione «soprattutto con la componente studentesca, perché bisogna evitare un processo di privatizzazione che possa danneggiare il diritto allo studio», e quindi, «è necessario un momento di riflessione». www.lastampa.it/amabile Oggi sarà comunicata la bozza: i ricercatori spariranno. Vietato assumere i parenti ___________________________________________________________ L’Unità 20 Ott. ‘09 TROPPA BUROCRAZIA OGGI L'UNIVERSITÀ È UNA CORSA A OSTACOLI» Gli studenti raccontano i problemi degli atenei italiani Una giungla di inefficienze, ingiustizie e vessazioni FRANCESCO COSTA fcosta@unita.it Dello stato dell'università italiana si parla con frequenza abbastanza regolare: ogni volta che gli studenti decido no di occupare una facoltà, ogni volta che questo o quello studio mostra gli atenei italiani nei bassifondi di qualsiasi classifica, ogni volta che l'intero sistema è oggetto di una riforma, cosa che negli ultimi anni è accaduta più volte. Al di là dei commenti e delle analisi degli esperti, delle manifestazioni degli studenti viene spesso dato conto per enfatizzarne gli aspetti più rumorosi e tratteggiare, tutte le volte, improbabili paragoni con altre manifestazioni del passato. Capita più di rado che si chieda ai ragazzi di raccontare quali sono le cose che non vanno, metterle in fila liberi dal recinto delle "piattaforme politiche" e dalle semplificazioni della piazza. Se sei uno studente universitario in Italia, oggi, quali sono le tue preoccupazioni? II quadro che ne viene fuori è sconsolante e drammatico, perla vastità dei problemi e per come le relative responsabilità sono spartite tra gli atenei, gli enti locali e il governo nazionale. «Di fatto», spiega Roberto Coppeto, 21 anni, dell'Unione degli Universitari di Roma, «ci sono due ordini di problemi: quelli collegati all'assenza di un sistema di welfare per gli studenti e quelli relativi alla didattica». II primo ambito è quello che ha direttamente a che fare con la vita dei ragazzi: dove dormire, dove mangiare, quanti soldi essere costretti a spendere. Da Lecce a Firenze, da Bologna a Palermo, la storia non cambia: le mense insufficienti e complicate da raggiungere; pochi gli alloggi ed esorbitanti gli affitti, quasi sempre in nero; la disparità nel trattamento che viene riservato dagli enti locali agli studenti fuori sede, considerati spesso alla stessa stregua dei turisti. Un'odissea Sul piano della didattica, poi, i tagli imposti dall'ultima riforma hanno peggiorato un quadro già piuttosto deprimente. «Diversi corsi rischiano di chiudere, altri hanno già chiuso», spiega Giuseppe Martelli, 24 anni, dell’Udu di Firenze. E spostarsi da un corso all'altro non è mai stato così complicato. «Paradossalmente è più facile fare un trasferimento da Firenze a Stoccolma che tra due facoltà dello stesso ateneo». Ogni aspetto della didattica è caratterizzato dalla presenza di tortuose burocrazie: trovare informazioni sui corsi, inseguire gli appelli, conoscere i servizi offerti dalla propria facoltà può essere ancora un'impresa, nonostante tutti gli atenei siano da tempo dotati di un sito internet. Sarà contento chi pensa che l'università debba preparare gli studenti all'ingresso nel mondo delle professioni: tra inefficienze, vessazioni, burocrazie sfinenti e ingiustizie conclamate, gli studenti che riescono a laurearsi non potrebbero essere più pronti di così per il mercato del lavoro italiano. ___________________________________________________________ Il Sole24ore 23 Ott. ‘09 CURA ANTITRUCCHI PER GLI ATENEI Istruzione. Approda aggi al Consiglio dei ministri il disegno di, legge con la riforma del sistema Abilitazione nazionale per i professori - Spazio agli esterni Gianni Trovati MILANO I concorsi locali teatro delle combine baronali, gli atenei fabbrica di cattedre per promuovere gli interni, le monarchie accademiche, i riconoscimenti facili dei crediti per gli studenti lavoratori, i conflitti di interesse nei senati accademici e la contabilità inefficace. Ci sono tutti i protagonisti negativi delle polemiche sull'università nella lista degli addii messa a punto dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, con il Ddl che prova a riformare il sistema e che dopo mesi di rinvii approda oggi all'appuntamento con il Consiglio dei ministri (a meno di improbabili slittamenti dell'ultimo minuto). Il progetto governativo, che darà i8o giorni agli atenei per cambiare statuti tagliando strutture e dipartimenti e per darsi un codice etico contro i conflitti di interesse, cambia la strada verso la cattedra: per diventare professore servirà un'abilitazione nazionale, da rinnovare ogni quattro anni, e una selezione locale basata soprattutto su pubblicazioni e curricula. Almeno due posti ogni tre messi a concorso dovranno essere riservati a chi non si trova già nei ranghi dell'ateneo che li bandisce. Tempi più brevi poi per i rettori, che potranno rimanere in carica al massimo per due mandati quadriennali (o mi unico mandato di 6 anni) e nella gestione degli atenei saranno affiancati da un direttore generale (che sostituisce l'attuale direttore amministrativo) e da consigli di amministrazione e senati accademici drasticamente alleggeriti rispetto a quelli attuali. L'abilitazione L'architettura prevista dal nuovo provvedimento, ultimato ieri dopo frenetiche riunioni al ministero dell'Università, riporta al centro il pallino per scegliere chi potrà salire in cattedra. I concorsi per l'abilitazione nazionale saranno banditi ogni anno e i candidati che otterranno un voto negativo dovranno attendere due anni prima di ritentare. IL CONCORSO Ottenuto il patentino, ci si potrà affacciare ai concorsi presso le singole sedi, che per evitare trucchi imboccano la stessa strada prevista oggi per le prove da ricercatore e si fonderanno sui parametri oggettivi del curriculum e delle pubblicazioni all'attivo: tra le prove ci sarà anche una lezione pubblica che il candidato dovrà tenere nell'università a cui ambisce. Due concorsi su tre dovranno essere riservati a chi viene da fuori, mentre oggi la maggioranza delle procedure è dedicata a promozioni di chi è già in forza nell'ateneo. Dopo cinque anni dall'introduzione delle nuove regole i parametri cambiano, ma le promozioni rimarranno comunque in minoranza: agli esterni dovrà comunque essere riservato almeno un terzo dei posti e un altro 20% dovrà andare ai nuovi abilitati. I RICERCATORI Novità importanti arrivano anche per i ricercatori a tempo determinato, una figura che fino a oggi ha avuto poca fortuna all'interno degli atenei. La riforma prova a costruire anche per loro in futuro accademico, prevedendo che chi ottiene il secondo contratto triennale possa essere chiamato direttamente dagli atenei, a patta che l'aspirante professore ottenga nei tre anni l’abilitazione al ruolo di associato. MERITOCRAZIA Nel suo impianto il Ddl non dimentica la parola d'ordine del merito, che il decreto dell'anno sborso ha provato a introdurre anche nei finanziamenti. Un di 75 miliardi all'anno andrà a garantire ,prestiti d'onore e borse agli studenti migliori, che saranno scelti con procedure standard nazionali. Una delega, poi, incaricherà il governo di trovare nuovi meccanismi premiali per università e singole strutture, da ira attraverso un sistema accreditamento. L’individuazione dei criteri per assegnare l’etichetta di migliori sarà uno dei primi compiti dell'agenzia Nazionale di Valutazione. La delega impegna poi il governo a traghettare le università dall'attuale contabilità finanziaria, che non permette di capire il reale stato di salute dei conti, alla contabilità analitico-patrimoniale sul modello aziendale. ___________________________________________________________ L’Unità 19 Ott. ‘09 MA PERCHÉ I PROFESSORI 70ENNI NON DIVENTANO «FLESSIBILI»? Una legge dell'ex ministro dell'Università Fabio Mussi cancellava lo stipendio per i docenti fuori ruolo ultrasettantenni. Nei prossimi giorni la Corte Costituzionale deciderà sui ricorsi MICHELE CILIBERTO Docente di Storia della filosofia moderna e contemporanea alla Normale di Pisa Università italiana attraversa un periodo difficile. Sono ormai decenni che il nostro sistema è una situazione di crisi e di decadenza né, qualunque sia il giudizio che si voglia dare su di essi hanno avuto un serio effetto riformatore, le politiche fatte in questo periodo. Ora è il turno del Ministro Gelmini che, dopo alcuni interventi frammentari, si è proposto di presentare una riforma organica dell'Università imperniandola sulla valorizzazione del principio del merito, che dovrebbe essere la nuova bussola del sistema. Sul merito si è fatta moltissima retorica in questi anni; personalmente sono convinto che debba essere tenuto strettamente fermo con altrettanto rigore il principio dell'eguaglianza, secondo i dettami della Costituzione. L'Italia è un paese che diventa sempre più diseguale, intrecciando alle vecchie diseguaglianze di ordine sociale nuove diseguaglianze di carattere politico, sociale e perfino territoriale. Si è giunti perfino a parlare nuovamente di gabbie salariali. Ragionare dell'Università italiana non significa affrontare un problema di carattere settoriale: E matta i una questione nazionale, strettamente connessa all'idea che si ha dell'Italia, del rapporto tra l'Italia e l'Europa e della funzione del nostro paese nell'epoca della globalizzazione. E si tratta di problemi al tempo sesso culturali, istituzionali ed economici. Faccio solamente un esempio. Uno dei problemi di fondo della nostra Università è il suo rinnovamento: bisogna aprire l'Università alle nuove generazioni che allo stato attuale o sono respinte oppure vanno via dal nostro paese. Ma per riaprire le porte dell'Università è necessario trovare nuove risorse o fare delle economie mettendo fine a vecchi privilegi, compresi quelli dei docenti. Gran parte delle Università è in una difficilissima situazione economica anche per la spesa esorbitante destinata al pagamento del personale docente, anche in conseguenza delle sciagurate politiche di reclutamento fatte negli ultimi anni, che si sono intrecciate a una disorganica e caotica proliferazione sia di nuove Università che di inediti - talvolta inauditi - corsi di laurea. Per l'urgenza di queste difficoltà le Università, anche le più prestigiose, sono state costrette a ripensare i criteri generali di spesa, condizione indispensabile per ottenere nuovi finanziamenti. Per questo esse si sono giovate di un importante, e misconosciuto, provvedimento del Ministro Mussi, il quale ha eliminato quel privilegio feudale che è il fuori ruolo dei professori universitari. Esso - lo ricordo a chi non lo sapesse - consisteva nel diritto dei professori di continuare a fruire dello stipendio anche quando avessero compiuto 70 anni e fossero usciti dai ruoli dell'insegnamento. Stipendio che ricadeva interamente sul bilancio delle Università dei singoli docenti contribuendo ad accentuare il loro stato di disagio. Il Ministro Mussi ha dunque compiuto un azione buona e giusta per la nostra Università. Questo provvedimento è stato però duramente contestato dai docenti colpiti, che hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale, la quale nei primi giorni di novembre si riunirà Der esaminarlo ed emettere una sentenza definitiva sul problema. Ma se quanto si è detto è giusto, ritornare al fuori ruolo avrebbe due effetti nefasti. 1) Diminuire le possibilità di apertura delle porte delle Università alle nuove generazioni; 2) Respingere la maggior parte delle Università italiane in una situazione di difficoltà economica dalla quale si stanno risollevando con grande fatica. Naturalmente il problema è culturale, non solo di ordine economico. t opportuno che le università continuino a servirsi di quegli studiosi che, arrivati ai settanta anni, sono in grado di illustrarle con la loro personalità e di formare nuove generazioni di studiosi. Ma esse oggi hanno nuovi strumenti a loro disposizione per ottenere questo obiettivo e continuare a mantenere nell'attività didattica studiosi di alto rilievo e qualità. Possono ricorrere ai contratti, che hanno molte qualità: sono flessibili; meno onerosi per le Università; preziosi per l'attività didattica degli atenei, che possono così continuare a giovarsi delle energie di colleghi autorevoli i quali, invece di essere collocati nella riserva del fuori ruolo, possono continuare a svolgere, in piena autonomia, la propria missione scientifica e didattica; e tutto questo senza pregiudicare il reclutamento di nuovi docenti. Speriamo che la Corte costituzionale mostri anche in questo caso la saggezza che ha saputo mostrare in altre delicate situazioni. ___________________________________________________________ L’Unità 19 Ott. ‘09 TEST D'INGRESSO VIA AL CAROSELLO GUADAGNANO SOLO GLI ATENEI Quel che si muove intorno all'accesso all'università è un vero e proprio mercato, di bassissimo profilo, in cui a mettersi i soldi in tasca, spesso, sono gli stessi che parlano con voce tonante a favore della moralizzazione. FABIO LUPPINO ROMA fluppino@unita.it Con rassegnazione da più di un decennio chi vuole andare all'università si deve sottoporre ai test di ammissione. La novità fu introdotta ai tempi dei governi dell'Ulivo. E come tutte le misure che vengono adottate in forza di luoghi comuni consolidati, ma sempre luoghi comuni, nel nostro Paese nessuno discute più: si trasformano in assiomi. Il sovraffollamento dei corsi di studio stava alla base di questa, chiamiamola per semplificare, razionalizzazione. Ordine, moralizzazione, severità, promozione, europeizzazione, merito, selezione gli ulteriori rafforzativi. Ma in dieci anni è realmente cambiato qualcosa? La qualità degli studenti selezionati con il test d'ammissione o d'ingresso è superiore a quella di chi in passato serenamente sceglieva il proprio corso di studi con l'unico discrimine di impegnarsi o non farlo, di frequentare o lasciare banchi e aule in poche settimane? Non è retorica o nostalgia, no. Perché quel che si muove intorno all'accesso all'università è un vero e proprio mercato, di bassissimo profilo, in cui a mettersi i soldi in tasca, spesso, sono gli stessi che parlano con voce tonante a favore della moralizzazione. GLI ATENEI FANNO CASSA IL test è preceduto da costosissimi corsi di preparazione e lo stesso accesso all’esamino ha una sua tariffa ufficiale: 150 euro. Con trappole e ghigliottine disseminate ovunque, di cui parleremo più avanti, i neodiplomati ne sostengono tre o quattro alla vigilia dello stesso anno accademico per avere la certezza di superarne almeno uno. Chi vuole può divertirsi ad indagare, i ragazzi lo fanno: i giorni dei test non coincidono mai. Basta poi spostarsi da Roma in giù, ma anche dalla capitale verso nord, per scoprire altre tagliole economiche o nepotistiche: umilianti informali colloqui; umilianti informali anticamere; umilianti informali attese. A chi giova? La popolazione scolastica è diminuita rispetto alle generazioni figlie degli anni del boom. Paradossalmente si sono moltiplicati gli Atenei e le difficoltà per accedervi, un nonsenso. La scelta della facoltà è un momento di maturità per i più seri. Gli studi universitari sono il vero banco di prova. Perché ridicolizzarlo? I test di ammissione per chi vuole, per esempio, intraprendere studi in Medicina o in Ingegneria, piuttosto che in Giurisprudenza o in Economia riguardano tutt'altro. LE VARIE TIPOLOGIE Si parte dagli psico test a domande nozionistiche di cultura generale, o, al contrario, troppo tecniche per la malridotta qualità, complici i diversi governi, degli studi nella scuola secondaria superiore che il progetto Gelmini vuole ulteriormente immiserire. Domande a risposta multipla dove 1o scostamento è minimo o nascosto con furbizia; chiedere la differenza etimologica di alcune parole (ditemi voi quando alle superiori si parla di etimologia, ma dai); cosa nasconda l'acronimo Sars e qui i problemi di comprensione sono addirittura due; individuare citazioni da romanzi che non si fanno mai studiare. L'elenco è incommensurabile, ma soprattutto più della metà delle domande dei test non ha alcuna ragione legata alla facoltà che si sta per iniziare. E poi: andate a vedere 1e statistiche, i voti minimi e diversi sui test da università ad università. L'idiozia dei test così come la scarsa trasparenza del sistema universitario bloccano a volte per anni brillanti carriere universitarie. Mi ha raccontato recentemente una studentessa in Medicina di aver avuto encomi a scena aperta dalla commissione per il modo brillante in cui aveva superato l'esame in Anatomia, uno dei primi seri scogli per chi vuole fare il medico. La ragazza si è indignata e ha avuto il coraggio di dirglielo mentre le registravano il trenta e lode: ipocriti, mi avete fermato ai test per due volte. Che senso ha tutto questo?. ___________________________________________________________ L’Unità 21 Ott. ‘09 TEST D'AMMISSIONE SE IL MIO FUTURO STA IN 80 CROCETTE Dopo l'articolo dell'Unità. «Quest'anno ho provato per la quarta volta il test per la facoltà di Medicina a Napoli, e sono fuori per tre punti...» Vi scrivo questa mail in seguito alla lettura dell'articolo in merito ai test d'ingresso all'università. Ho 21 anni e il mio sogno, oltre avere una famiglia, è quello di diventare un chirurgo, non una pediatra, né una ginecologa o cardiologa, ma un chirurgo maxillo-facciale... Attualmente frequento la facoltà di Scienze Biotecnologiche indirizzo Biotecnologie per la Salute, curriculum Medico (così è definito il mio corso di laurea) presso l'università Federico II di Napoli, ma sinceramente non ho alcun interesse per questa facoltà. Quest'anno ho provato per la quarta volta il test d'ingresso per la facoltà di Medicina presso la Seconda Università di Napoli, e sono fuori per tre punti. Sono fuori per tre punti, per colpa dell'incompetenza di chi ha formulato le domande, e questo lo dico a voce alta: il mio futuro non può essere deciso da 80 crocette (le domande le potete trovare all'indirizzo www.accessoprogrammato.miur.it nella sezione medicina e chirurgia): Chimica, domanda n 59: indica quale delle seguenti affermazioni è valida per un enzima che catalizza una reazione reversibile del tipo A + B (qui ci sono due frecce di verso opposto che indicano una reazione reversibile) C + D: A) è attivo solo in presenza di un coenzima B)sposta verso destra l'equilibrio della reazione C)partecipa alla reazione legando i substrati D) non prende parte alla reazione E)si lega ai substrati con legame covalente La mia risposta è stata la E, ma viene data come risposta esatta la C. Un enzima è una proteina in grado di catalizzare una reazione chimica. IL suo ruolo consiste nel facilitare le reazioni attraverso l'interazione tra il substrato (la molecola o 1e molecole che partecipano alla reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Il legame iniziale tra enzima e substrato è necessario anche da un punto di vista energetico. L'energia del legame deriva non solo da eventuali legami covalenti, ma anche da una fitta rete di interazioni deboli, ioniche o elettrostatiche. L'enzima, per funzionare, si deve legare al substrato in un punto preciso detto sito attivo, ciò può avvenire tramite legame covalente ed altre interazioni. L'enzima non lega i substrati. Questo è solo un esempio, domanda per cui mi sono stati tolti 1.25 punti... Per non parlare della domanda su Montale con interpretazione personale, della domanda delle alternanze delle stagioni, della domanda sull'aereo, in cui è menzionato un esperimento fatto dalla Nasa con aerei modificati, mentre nella domanda si parla di aerei di linea... Ecco, la bravura di medico si misura con queste domande... Non ho un padre né una madre medico; dall’ll settembre, giorno in cui sono uscite 1e graduatorie, non parlo più di sogno ma di obiettivo: io voglio fare il medico, io voglio fare il chirurgo! _________________________________________________________ la Repubblica 22 ott. ’09 POLITECNICO DI TORINO STOP A SEDI DECENTRATE LEZIONI SOLO IN VIDEO TORINO -Si fanno sentire i primi effetti della riforma universitaria: il Politecnico di Torino chiude tutte e cinque le sedi decentrate dell'ateneo e, prima università italiana, inaugura il prossimo anno accademico con un'offerta formativa totalmente rinnovata, in linea con le recenti indicazioni del ministro. Meno corsi di laurea, sbarramenti legati agli esami e alle votazioni, dimezzate 1e ore di didattica complessive che passano da 182 mila a 96 mila, mantenendo però invariato il numero di studenti. ll Senato accademico dell'ateneo, ha votato si a maggioranza per promuovere questa piccola-grande rivoluzione. Contro il volere dei politici locali – La Regione che é a sei mesi dalle elezioni aveva chiesto al rettore Francesco Profumo di prendere tempo - e contro le richieste di molti studenti come quelli di Mondovì, una delle cinque sedi in fase di chiusura, che occupano ormai le aule da venerdì scorso. Il Collettivo studentesco torinese e un centinaio di iscritti tra le sedi politecniche di Vercelli, Mondovi, Biella, Alessandria e Verrès, hanno bloccato la seduta del Senato di ieri mattina, trasformandola in assemblea, e poi hanno aspettato fino a tarda sera in rettorato per conoscere l'esito finale della votazione. Questi studenti, che sono già iscritti, o accetteranno di trasferirsi a Torino o, se vorranno restare nella propria città, dovranno seguire le ore dilezione in streamtng. Sempre ieri, a Roma, la Camera ha dato via libera al decreto sui precari della scuola che introduce i contratti solidarietà, la graduatoria unica, meno certificati di invalidità e una sanatoria per i docenti siciliani. 11 decreto approvato con 263 voti a favore, 196 contrari e 33 astenuti, passa ora all'esame del Senato. ____________________________________________________ ItaliaOggi 22 ott. ’09 IL RISCALDAMENTO GLOBALE S'ARRESTA Così il centro di ricerca Hadley: Ma altri .scienziati insorgono: periodo di osservazione troppo breve Nell'ultimo decennio la temperatura é salita soltanto di 0,02' IL riscaldamento del pianeta Terra forse s'è preso una pausa di riflessione. A questa conclusione è giunto un gruppo di scienziati del centro di ricerca di Hadley, che ha analizzato l'andamento del clima mondiale nel decennio 1998-2008: in questo periodo la temperatura è cresciuta di 0,02 gradi, che equivale in pratica a una stabilizzazione. Saranno in molti a fare un balzo sulla sedia, dopo che negli ultimi anni è diventato quasi un dogma il fatto che è in corso un surriscaldamento, con conseguente scioglimento dei ghiacci polari e innalzamento del livello degli oceani. Il tutto dovuto soprattutto all'inquinamento. Però non è la prima voce fuori dal coro. Tempo fa altri studiosi avevano parlato di riscaldamento interno al sole come spiegazione alternativa. In ogni caso, va tenuto presente che le teorie scientifiche non sono vangelo e possono essere smentite da altre successive. Ovviamente non si è fatta attendere la replica degli scienziati per così dire tradizionalisti, che, per giustificare la loro teoria dell'effetto serra, ritengono che un eventuale rallentamento del riscaldamento planetario a breve termine sia possibile. Quello che conta, per loro, è l’osservazione sui tempi lunghi. Proprio l’Organizzazione meteorologica mondiale, riunita il mese scorso, ha annunciato la possibilità che per un decennio, o forse due, la temperatura globale addirittura diminuisca. Si tratterebbe, comunque, di un momentaneo occultamento della tendenza contraria. D'altra parte, i risultati degli studiosi di Hadley sono stati giudicati poco attendibili da un altro organismo, il Godard institute for space studies, secondo il quale, sempre tra il 1998 e il 2008, la temperatura si è innalzata di 0,1 gradi, vale a dire cinque volte più di quanto rilevato dai colleghi. AL di là degli aspetti accademici, quello che manca, ed è difficile da raggiungere, è un accordo operativo per ridurre le emissioni. E qui si apre un capitolo ancora più problematico. ___________________________________________________________ Il Sole24ore 24 Ott. ‘09 SORPRESA: PAUSA IN VISTA PER IL GLOBAL WARMING di Rolando Polli Più TEMPO A DISPOSIZIONE L'oceanologo tedesco Mojib Latif prevede una temporanea frenata nell'aumento delle temperature Mojib Latif, eminente oceanologo tedesco di origini pachistane dell'Università di Kiel, è un convinto assertore del global warming ed è stato tra gli estensori del rapporto Ipec del 2007 che resta la base scientifica sul futuro riscaldamento globale del pianeta. Alla recente Conferenza mondiale sul clima tenutasi a Ginevra agli inizi di settembre ha però lanciato un messaggio che ha lasciato interdetti i conferenzieri: i prossimi decenni potrebbero essere più freschi! Obiettivo di Latif è migliorare le previsioni. climatiche a medio-lungo termine inserendo le cosiddette "previsioni decennali" sulle tendenze di lungo periodo, in particolare tenendo conto delle probabili variazioni decennali della temperatura marina dovute a cambiamenti nelle correnti marine come il Nao (North atlantic oscillation)e il Moc (Meridional overturning circulation). Conclusioni: nell'ambito di una tendenza di aumenta di temperatura di ben 3 gradi tra aggi e il 2020, si può inserire un raffrescamento di qualche decimo di grado tra oggi fino a quasi il 2030. Se fosse vero, quali ne sarebbero le conseguenze? Sarebbero per lo più buone notizie, perché si potrebbe affrontare la parziale riconversione energetica dai combustibili fossili a fonti alternative senza avere, a medio, i problemi aggiuntivi del riscaldamento climatico. Nella generazione elettrica i fossili dominanti sono il gas naturale con emissioni ridotte e senza problemi di disponibilità immediate, ma fortemente concentrato in paesi non rassicuranti come Russia e Iran e il carbone che ha riserve a lungo termine ma che è il peggiare inquinante. L’inevitabile crescita delle centrali a carbone nel breve- medio in paesi come la Cina, con le sue accresciute emissioni di CO2 farà relativamente meno danni, nel breve, in un contesto più fresco. Si avrà più tempo per sviluppare l'elettricità nucleare, che richiede tempi lunghi. Lo stesso vale perle rinnovabili. La produzione eolica comincia ad avere un discreto peso specifico in paesi come Danimarca, Portogallo e Spagna, dove l'incidenza dell'eolico sul totale dei consumi di energia elettrica supera il 10%, mentre nel solare fotovoltaico la discesa dei costi che stiamo osservando dovrebbe favorirne lo sviluppo. Potrebbe riprendere impeto il Csp (Concentrated solar power) che resta la speranza più forte per ottenere energia solare in quantità significative: nel luglio 2009 un gruppo di primarie aziende tedesche ha lanciato il progetto Desertec, il cui scopo é costruire impianti solari in Nord Africa in grado di produrre elettricità da importare in Europa, in quantità tale da coprire fino al 15% del fabbisogno del vecchio continente. Un po' diverso il caso del petrolio che con il 37% del totale resta la fonte primaria di energia più utilizzata. Di petrolio estraibile a costi bassi non se ne trova praticamente più, e di petrolio in generale se ne trova poco. Recentemente si é dato grande risalto a un giacimento "gigante" nel Golfo del Messico con riserve estraibili di 500 milioni di barili e potenziali fino a 3 miliardi. Se consideriamo che il mondo consuma 30 miliardi di barili all'anno questo gigante ci servirà per 6 giorni(!) di consumo, o, nel caso più ottimistico per poco più di un mese! Il petrolio è usato al 60% per il trasporto, soprattutto su strada. La crescita del parco automobilistico è stata frenata dalla crisi, ma, sperabilmente, riprenderà, anche perché centinaia di milioni di cinesi e indiani vogliono avere l'auto, mentre la conversione a macchine ibride ed elettriche,che costano di più, e a macchine più piccole e a meno consumo, che rendono di meno ai produttori, prenderà tempo. In realtà l'andamento climatico nel medio periodo non fa "né caldo né freddo" alle prospettive del petrolio: se la domanda dovesse surriscaldarsi sarà l'aumento di prezzo a calmarla. Perché l'eventuale raffrescamento sia positivo occorre però che si tenga la barra diritta. La sostituzione graduale e parziale dei combustibili fossili con alternativi e la diminuzione dell'intensità energetica rimangono obiettivi centrali. È necessario quindi che i governi impegnati ovunque a raschiare il fondo del barile per trovare fondi non riducano gli incentivi alle rinnovabili o all'efficienza energetica. Si farebbe un gran danno per ricavare pochi euro: gli incentivi sono di solito intorno allo 0,1% del Pil. Riprenderanno fiato i "negazionisti"? Quasi certamente, ma questo sembra un piccolo prezzo da pagare se i metodi di Latif dimostreranno di essere un reale miglioramento nelle previsioni climatiche. ___________________________________________________________ Avvenire 23 Ott. ‘09 LA «PAZZA» SCIENZA DEI NOBEL ALTERNATIVI Dal 1991, quella che era una parodia dei riconoscimenti assegnati a Stoccolma, è diventato un evento di rilievo Ad Harvard,uno centri della cultura americana e ` mondiale, insigniti progetti all'apparenza bizzarri e inutili che in seguito possono avere tuttavi ricadute e applicazioni i notevole portata Di GIUSEPPE O. LONGO Che ne direste di uno scienziato che vi annunciasse di aver studiato il comportamento delle cellule nervose di una cavalletta mentre guardava Star Wars alla televisione, oppure di aver dimostrato che lo scarabeo stercorario è piuttosto schizzinoso quanto al cibo, o ancora di avere spiegato perché i picchi non soffrano di mal di testa nonostante la loro attività martellante? Divertente - direste - originale; magari vi resterebbe un po' di perplessità e un briciolo di scetticismo di fronte a questi studi ed esperimenti e vi domandereste che cosa spinge gli umani a imbarcarsi in imprese di questo tipo. Ma si sa che gli scienziati sono portati a intraprendere le loro ricerche dalla curiosità e dal desiderio di scoprire segreti, risolvere enigmi e inventare nuovi dispositivi. E vero che oggi molte ricerche sono orientate a scopi ben precisi e sono condizionate dalle erogazioni dei committenti, tuttavia una certa quota di investigazioni scientifiche sono ancora dettate dalla voglia di conoscere, anche se può restare senza risposta la domanda "a che cosa serve?". E accade talora che, col tempo, i risultati di queste ricerche libere si rivelino, inaspettatamente, utili e diano luogo a innovazioni più o meno importanti. Ma al loro primo apparire, alcuni di questi studi si presentano bizzarri se non addirittura strampalati, altri sono decisamente eterodossi rispetto alla scienza ufficiale (Che per sua natura è molto conservatrice e timorosa delle novità), altri ancora, pur essendo in apparenza stravaganti, suggeriscono direzioni di studio interessanti e potenzialmente feconde: È così accaduto che una ventina d'anni fa la rivista scientifico -umoristiea americana Annals of Improbable Research abbia deciso di istituire un premio internazionale da assegnare alle ricerche più singolari, il Premio Ig Nobel (che suona un po' come "Ignobile" e si presta quindi a un gioco di parole sarcastico e pungente): una sorta di parodia del venerando Premio Nobel. Mentre quest'ultimo è assegnato in genere a ricercatori di lungo corso, che abbiano dato contributi determinanti nel loro campo attraverso un'attività prolungata e ricerche consolidate e riconosciute dalla comunità scientifica, i Premi Ig Nobel, molto più disinvolti e sbarazzini, premiano ricerche incipienti, magari di dubbio avvenire, ma originali e divertenti. Come detto, poiché l'inventiva umana- scorre per mille rivoli e scava sempre nuovi percorsi, non è detto che alcuni di questi studi improbabili non confluiscano prima o poi nella grande corrente della scienza ufficiale oppure aprano settori di ricerca innovativi e magari siano premiati alla lunga con l'attribuzione di un autentico Premio Nobel. Del resto, quanti illustri scienziati del passato sarebbero stati meritevoli, prima che di un Premio Nobel, di un Premio IG Nobel, per qualche invenzione, scoperta, calcolo o macchina che a prima vista sembrava non servire assolutamente a nulla? La prima edizione dei Premi IG Nobel si ebbe nel 1991 e da allora l'assegnazione ha luogo ogni anno una o due settimane prima della proclamazione dei Premi Nobel, nel corso di una cerimonia di gala che si svolge alla presenza di oltre mille spettatori festanti nel Sanders Theatre dell'Università di Harvard, uno dei templi della cultura americana e mondiale. Nonostante il loro carattere un po' caricaturale, i Premi IG Nobel attirano l'interesse del pubblico non solo sugli aspetti "leggeri" della scienza, ma sulla ricerca in genere, e rientrano nel quadro della tendenza a trasformare tutto in spettacolo. Infatti, la cerimonia di Stanford è registrata e trasmessa per radio negli Stati Uniti e da qualche anno in Gran Bretagna l’IG NobelTour si è fatto promotore di presentazioni scientifiche di carattere popolare durante la settimana della scienza. Dal 2001 si può seguire in diretta il rito dell'assegnazione su Internet. Qualche giorno dopo la cerimonia di Harvard, al Massachusetts Institute of Technology i premiati possono illustrare al pubblico il significato e l'importanza dei loro studi nel corso di conferenze di carattere divulgativo. Infine, gli articoli scritti dai vincitori del premio fino al 2004 sono stati raccolti in volume. Ogni anno vengono attribuiti fino a dieci IG Nobel, mentre i Premi Nobel sono sei (ovvero i cinque originali, dettati da Alfred Nobel nel suo testamento, per Medicina e Biologia, Fisica, Chimica, Letteratura e Pace, più il sesto, per l’Economia, assegnato a partire dal 1969) Basta dare un'occhiata ad alcuni dei,premi assegnati per rendersi conto di come sia stato stravolto, in molte delle ricerche, l'irrinunciabile principio della ripetibilità degli esperimenti su cui si basa la scienza moderna da Galileo in poi: spesso i Premi IG Nobel vanno a ricerche che non possono o non debbono essere replicabili. A questo anti-principio si sono attenuti alcuni dei ricercatori premiati: Petex Barss, della McGill University, ha ricevuto un IG Nobel in Medicina per avere studiato le ferite dovute alla caduta delle noci di cocco, mentre un premio per la fisica è andato a David Schmidt, dell'Università del Massachusetts, per aver dato una risposta parziale alla domanda "perché la tenda della doccia si piega verso l'interno"; c’e’ poi chi (l'informatico Chris Niswander, di Tucson) è stato premiato in informatica per aver ideato un software che scopre se un gatto ha camminato sulla tastiera del nostro computer, o, in Fisica (Len Fisher, di Sydney) per aver calcolato il modo migliore per inzuppare un biscotto. Curiosa più che mai e l'attribuzione di un premio in Meteorologia a Bernard Vorinegut, dell'Università di Albany, per una ricerca sullo spennamento dei polli come misura della velocità di un tornado. Insomma, scoperte insolite, sorprendenti, fantasiose: come si potrebbe definire altrimenti la ricerca di Robert Faid, Carolina del Sud, che ha calcolato in 1 su 8.606.091.751.882 la probabilità che Gorbaciov fosse l'Anticristo? Ma, al contrario di quanto si potrebbe credere, i Premi IG Nobel sono molto ambiti, forse in base al principio, oggi trionfante, "purché si parli di me". Non solo, ma chi, per i motivi più vari, non può (ancora) aspirare a un Premio Nobel e al suo pingue assegno di 1.400.000 dollari può, nel segreto del suo cuore di ricercatore ancora ignoto (IG Noto), sognare l’IG Nobel, più modesto ma più divertente e certo meno irrigidito da una tradizione molto impegnativa. Ogni anno 10 riconoscimenti ai* créativi: spesso «prono strade ancora inesplorate il fatto Sempre più di frequente la ricerca è guidata dai finanziamenti, ma rimane una quota di studi ispirati soltanto dalla pura curiosità LA SVEGLIA «MOBILE» Così costringe ad alzarsi Nel 2005 il premio per l'Economia è andato a Gapri Nanda, MIT, Stati Uniti, per aver inventato una sveglia che quando comincia a suonare "corre via" e si nasconde, continuando a imperversare e obbligando il malcapitato ad alzarsi per bloccarla. Che c'entra l’economia? L'inventore sosteneva che la sua invenzione avrebbe contribuito ad aumentare le ore di lavoro e la produzione. IL VIAGRA IN VOLO Criceti guariti dal jet lag Nel 2007 il premio per l'Aviazione è andato a tre ricercatori argentini (Patricia V Agostino, A. Piano e Diego A. Golombek), i quali hanno scoperto che il Viagra facilita il recupero del jet lag nei criceti. Sembra bello che esista del Viagra un uso alternativo rispetto a quello boccaccesco per cui è più noto, anche se la limitazione ai criceti potrebbe condizionarne l'impiego da parte dei trasvolatori oceanici. PASTI FOTOGRAFATI A caccia della dieta ideale Sempre nel 2005 il premio per la Nutrizione è andato a Yoshiro Nakamata, di Tokyo, che ha fotografato e analizzato ogni suo pasto Per 34 anni. Quale sia il contributo alla scienza rimane oscuro, più chiaro sembra l'omaggio al narcisismo alimentare del nostro, che era forse alla ricerca di una dieta ideale. Le diete sono individuali, quindi non riproducibili, di qui forse l’assegnazione del riconoscimento. LE PAROLE DIFFICILI Conseguenze dell'erudizione Nel 2006 il premio per la Letteratura è 'andato all'americano Daniel Oppenheimer per avere studiato le conseguenze dell'uso di un linguaggio erudito anche quando non è necessario. Studio interessantissimo, specie nell'ambito accademico, divulgativo e giornalistico, dove spesso l'ignoranza si ammanta di paroloni, magari presi da una lingua straniera (l'inglese) che peraltro non si conosce. PATATINE FRAGRANTI PULCI CHE SI SFIDANO Decisivo il rumore che fanno Le motivazioni più bizzarre Il premio 2008 per l’Alimentazione è andato a Massimiliano Zampini dell'Università di Trento e a Charles Spence (Oxford) per aver dimostrato che la percezione della fragranza di una patatina viene modificata dalla riproduzione del rumore che fa una patatina fresca quando viene sgranocchiata. Bene per l'italiano, anche se appare problematico un impiego immediato della scoperta. Anche le motivazioni sono un indicatore interessante. Biologia 2008: per aver dimostrato che le pulci dei cani fanno salti più lunghi di quelle dei gatti. Pace 2009: per aver dimostrato che una bottiglia di birra in testa fa più male vuota che piena. Fisica 2007: per avere studiato come si sgualciscono le lenzuola. Fisica 2009: per avere scoperto la ragione per cui le donne incinte non cadono in avanti. (G.O.L.) I premiati della prima edizione (1991) [modifica] * Chimica - Jacques Benveniste, collaboratore di Nature, per aver dimostrato che l'acqua è un liquido dotato di intelligenza e capace di mantenere memoria degli eventi. * Medicina - Alan Kligerman, inventore di Beano, per il suo lavoro sui liquidi che prevengono il meteorismo intestinale. * Biologia - Robert Klark Graham, per aver fondato una banca del seme che accetta donazioni solo da campioni olimpici e Premi Nobel. * Economia - Michael Milken, padre delle obbligazioni spazzatura, al quale il mondo intero è debitore. * Letteratura - Erich von Däniken, autore di "Gli extraterrestri torneranno", per averci spiegato come le civiltà umane siano state influenzate da antichi astronauti provenienti dallo spazio profondo. * Pace - Edward Teller, padre della bomba all'idrogeno e primo sostenitore del sistema di guerre stellari, per aver dedicato la vita al cambiamento del concetto di pace quale era stato inteso sinora. I premiati del 2005 [modifica] * Biologia: A cinque ricercatori di varie Università, dalla Svizzera al Giappone: per aver annusato 131 specie di rane e controllato se il loro odore cambiava in condizioni di stress. * Chimica: Edward Cussier e Brian Gettelfinger, Università del Minnesota: hanno verificato sperimentalmente se si nuota più veloci in una piscina piena d’acqua o una di sciroppo (pare che sia lo stesso). * Dinamica dei fluidi: Victor Benno, Università di Oulu (Finlandia), e Joszef Gal, Università di Lorand Eotvos (Ungheria): hanno studiato il modo in cui i pinguini defecano, pur continuando a covare le uova. * Economia: Gauri Nanda del MIT (USA), per aver inventato una sveglia che corre via e si nasconde ripetutamente, assicurando così che le persone si alzino effettivamente dal letto, teoricamente aumentando le ore produttive di lavoro. * Fisica: John Mainstone e il suo allievo Thomas Parnell dell’Università del Queensland (Australia): hanno calcolato quanto impiega la pece a gocciolare da un imbuto. L'esperimento è cominciato nel 1927: siamo a una goccia ogni nove anni. * Medicina: Gregg Miller (Usa): ha realizzato i neuticles, testicoli artificiali per cani castrati, in tre taglie e tre gradi di durezza. * Nutrizione: Dr. Yoshiro Nakamats di Tokyo per aver fotografato e retrospettivamente analizzato ogni pasto che ha fatto in un periodo di 34 anni. * Pace: Claire Rind e Peter Simmon, Università di Newcastle (Gran Bretagna): hanno studiato il comportamento delle cellule nervose di una cavalletta, mentre guardava Star Wars in TV. I premiati del 2006 [modifica] * Ornitologia: Ivan R. Schwab e Philip R.A. May (Stati Uniti), per aver spiegato perché i picchi non soffrono di emicrania. * Nutrizione: Wasmia Al-Houty e Faten Al-Mussalam (Kuwait), per aver dimostrato che lo scarabeo stercorario è schizzinoso nell'alimentazione. * Pace: Howard Stapleton (Galles), per avere inventato un'apparecchiatura che emette suoni fastidiosi per gli adolescenti, ma non udibili dalle persone adulte. * Acustica: D. Lynn Halpern (Stati Uniti), per la ricerca sul motivo per cui alle persone dà fastidio il rumore delle unghie sulla lavagna. * Matematica: Nic Svenson e Piers Barnes (Australia), per aver calcolato il numero di scatti necessari per evitare che in una fotografia di gruppo qualcuno abbia gli occhi chiusi. * Letteratura: Daniel Oppenheimer (Stati Uniti), per il suo studio sulle conseguenze dell'utilizzo di un linguaggio erudito indipendentemente dalla necessità. * Medicina: Francis M. Fesmire (Stati Uniti) e Majed Odeh, Harry Bassan, Arie Oliven (Israele), per il loro studio sulla terapia del singhiozzo intrattabile con il digitomassaggio rettale. * Fisica: Basile Audoly e Sebastien Neukirch (Francia), per lo studio sulle ragioni per cui, spezzando una manciata di spaghetti secchi, questi si rompono in più di due pezzi. * Chimica: Antonio Mulet e Carmen Rosselló (Spagna), per lo studio sulla «velocità ultrasonica nel formaggio Cheddar a pasta dura in relazione alla temperatura». * Biologia: Bart Knols e Ruurd de Jong (Paesi Bassi), per aver dimostrato che la zanzara Anopheles gambiae è attratta allo stesso modo dall'odore dei piedi umani e del formaggio tipo lindberger. I premiati del 2007 [modifica] * Alimentazione: Brian Wansink della Cornell University, Usa, per aver studiato l'appetito apparentemente illimitato degli esseri umani dando loro da mangiare una quantità illimitata di zuppa. * Aviazione: Patricia V. Agostino, Santiago A. Plano e Diego A. Golombek (Argentina) per aver scoperto che il Viagra facilita il recupero del Jet lag nei criceti. * Biologia: Johanna E. M. H. van Bronswijk dell'Università della Tecnologia di Eindhoven, Olanda, per un censimento di tutti gli organismi che vivono nel letto. * Chimica: Mayu Yamamoto dell'International Medical Center del Giappone per la scoperta di un modo per estrarre vanillina, la fragranza e l'aroma della vaniglia, dallo sterco di mucca. * Economia: Kuo Cheng Hsieh di Taichung (Taiwan) per aver brevettato nel 2001 un meccanismo che cattura i rapinatori di banche gettando su di loro una rete. * Fisica: Lakshminarayanan Mahadevan della Harvard University (Usa) e Enrique Cerda Villablanca dell'Università di Santiago del Cile per aver studiato come le lenzuola si spiegazzano. * Letteratura: Glenda Browne di Blaxland (Australia) per il suo studio sull'articolo inglese "the" e sui problemi che crea a chi deve fare elenchi in ordine alfabetico. * Linguistica: Juan Manuel Toro, Josep B. Trobalon e Núria Sebastián-Gallés dell'Università di Barcellona per aver dimostrato che i ratti a volte non riescono a distinguere tra una persona che parla giapponese al contrario e una che parla olandese al contrario. * Medicina: Brian Witcombe di Gloucester (Regno Unito) e Dan Meyer (Usa) per uno studio sugli effetti collaterali di mangiare le spade. * Pace: Air Force Wright Laboratory (Usa) per aver suggerito lo sviluppo di un'arma chimica, la cosiddetta "bomba gay", capace di sviluppare un'irresistibile attrazione sessuale tra i soldati nemici. I premiati del 2008 [modifica] * Scienze Alimentari: Massimiliano Zampini (Università di Trento) e Charles Spence (Oxford University), per aver dimostrato che si può modificare la percezione di fragranza di una patatina, attraverso la riproduzione del rumore dello sgranocchiamento di una patatina fresca. * Archeologia: Astolfo G. Mello Araujo e José Carlos Marcelino (Università di San Paolo, Brasile), per aver dimostrato il ruolo degli armadilli nello spostamento dei reperti archeologici in un sito di scavo. * Biologia: Marie-Christine Cadiergues, Christel Joubert e Michel Franc (École Nationale Vétérinaire, Tolosa, Francia), per aver dimostrato che le pulci che infestano i cani possono fare balzi più lunghi di quelle che infestano i gatti. * Economia: Geoffrey Miller, Joshua Tybur e Brent Jordan (University of New Mexico, USA), per aver dimostrato che la fase del ciclo ovulatorio di una ballerina di lap-dance influenza le mance che riceve. * Medicina: Dan Ariely (Duke University, USA), Rebecca Waber (MIT, USA), Baba Shiv (Stanford University, USA), e Ziv Carmon (INSEAD, Singapore), per aver dimostrato che il prezzo di un medicinale placebo è direttamente correlato alla sua efficacia percepita. * Fisica: Dorian Raymer (Ocean Observatories Initiative, Scripps Institution of Oceanography) e Douglas Smith (University of California, San Diego) per aver dimostrato che ammassi di fili non possono non formare dei nodi. I premiati del 2009 [modifica] * Medicina veterinaria: Catherine Douglas e Peter Rowlinson della Newcastle University, per aver dimostrato che le vacche a cui viene dato un nomignolo fanno piu` latte di quelle "anonime". * Pace: Stephan Bolliger, Steffen Ross, Lars Oesterhelweg, Michael Thali e Beat Kneubuehl dell'Universita' di Berna, per aver dimostrato che una bottiglia di birra rotta in testa fa più male vuota che piena. * Economia: i direttori esecutivi delle quattro principali banche islandesi, per aver dimostrato che le "piccole banche possono diventare grandi e viceversa. Le loro banche erano il viceversa. * Chimica: Javier Morales, Miguel Apátiga, e Victor M. Castaño dell'Universidad Nacional Autónoma de Mèxico, per aver creato dei diamanti partendo dalla tequila. * Medicina: Donald Unger di Thousands Oaks, California, per i sui studi sull'artrite durati 60 anni, condotti facendo scrocchiare le nocche della mano sinistra e senza mai usare la destra. * Fisica: Katherine K. Whitcome dell'università di Cincinnati, Daniel E. Lieberman dell'Harvard University, e Liza J. Shapiro dell'università del Texas, per aver dimostrato analiticamente perché le donne incinte non cadono. * Salute pubblica: Elena N. Bodnar di Hinsdale, Illinois, e Raphael C. Lee e Sandra Marijan di Chicago, Illinois, per aver inventato e brevettato un reggiseno che si trasforma in due maschere antigas. * Letteratura: la polizia irlandese, per aver multato oltre 50 volte cittadini polacchi intestando le multe al sig. Prawo Jazdy (Prawo Jazdy vuol dire "patente di guida" in polacco). [2] * Matematica: Gideon Ono, governatore della banca centrale dello Zimbabwe, per aver insegnato la matematica al suo popolo stampando banconote che vanno da 1 centesimo a centomila miliardi di dollari dello Zimbabwe. * Biologia: Fumiaki Taguchi, Song Guofu e Zhang Guanglei della Kitasato University di Sagamihara, Giappone, per aver dimostrato che il 90% dei rifiuti domestici potrebbe essere smaltito usando i batteri degli escrementi dei panda Giganti. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 ott. ’09 ATENEO: DOSSIER SUI FONDI INUTILIZZATI A SASSARI Il rettore uscente Maida: «Sapremo rispondere a tutte le domande» Pesanti rilievi sulla gestione amministrativa nella relazione redatta dall’ispettore inviato dal Ministero GABRIELLA GRIMALDI SASSARI. Perchè l’università si è tenuta «in tasca» un finanziamento da 4 milioni di euro stanziato nel 2002 per la facoltà di Agraria? Perchè l’ateneo non ha utilizzato il palazzo Estanco dopo averne chiesto la cessione dallo Stato? Sono domande contenute nella relazione ministeriale seguita a un’ispezione sulla gestione amministrativa dell’università che si è svolta nei mesi scorsi. Il documento è del tutto ufficioso tuttavia alcune sue parti stanno circolando nell’ambiente, accompagnate da commenti, perlopiù velenosi, sugli eventuali rilievi e sulle richieste di spiegazioni contenuti in un dossier di oltre cento cartelle. A usare il termine «eventuali» è il rettore in persona. Alessandro Maida, ancora in carica fino al 6 novembre, giorno in cui si insedierà il suo successore Attilio Mastino, sembra incassare con nonchalance quello che ha tutta l’aria di essere un tiro mancino di fine mandato. «Bisogna sapere che i rilievi di cui si parla - dice Maida - sono stati diffusi in una fase dell’iter ministeriale talmente precoce che rischiano di cadere per strada. La relazione deve infatti essere inviata dall’ispettore al ministero dell’Economia che la esamina e poi trasferisce il documento al ministero dell’Università che a sua volta procede a un’ulteriore scrematura. Perchè alcuni rilievi potrebbero non essere “rilevanti”, oppure di alcuni quesiti il ministero potrebbe conoscere già la risposta. È opportuno vedere il documento ufficiale per capire che cosa il ministero ci sta chiedendo». Di sicuro si parla dell’ampliamento della facoltà di Agraria, una di quelle novelle dello stento che ha segnato in negativo gli ultimi anni dell’università cittadina. «Se la richiesta riguarda il finanziamento di sette anni fa - sottolinea il rettore - sapremo certamente come rispondere. C’è di mezzo la vicenda di Bonassai con la quale la Regione ha tenuto in sospeso qualunque iniziativa dell’ateneo per ben cinque anni. Quando presentammo il progetto per l’ampliamento delle facoltà di Agraria e Veterinaria la Regione bloccò tutto con la promessa di realizzare, a sue spese, il polo agrario-veterinario nella tenuta sulla strada per Alghero. L’attesa si è sciolta a luglio di quest’anno quando la Regione ha abbandonato definitivamente l’idea». Per Veterinaria le cose sembrano andare meglio perchè per lunedì è prevista la firma al ministero per la concessione di un finanziamento regionale di 6 milioni di euro. Altro capitolo «caldo» quello dell’Estanco, edificio cinquecentesco antica sede dell’università. Alcuni anni fa fu proprio Maida a chiedere all’allora presidente della Repubblica Ciampi la cessione del palazzo per destinarlo all’università. Ancora oggi l’Estanco si trova in pessime condizioni e non è stato destinato ad alcunchè. Il rettore spiega che il progetto per il restauro costa 23 milioni di euro e che la Regione ha detto di avere a disposizione 10 milioni per gli immobili di pregio di tutta la Sardegna. Insomma, mentre gli «assaggi» della relazione stanno passando di mano in mano polemiche e commenti si sprecheranno fino all’arrivo del documento ufficiale. ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 Ott. ‘09 MARAT, NIÈPCE, PACINOTTI E UN FILO COMUNE: CAGLIARI Il padre del rivoluzionario era sardo, il fotografo visse a lungo in città, l'inventore della dinamo vi insegnò Cos'hanno Marat, Pacinotti e Nièpce in comune? Semplice: il Comune di Cagliari: queste tre figure hanno dato vita alle loro idee avendo in testa neuroni superdotati, nell'olfatto l'aria di mare di San Bartolomeo e nelle papille gustative la burrida di qualche buon ristoratore cittadino. Jean Paul Marat, l'amico del popolo della Rivoluzione Francese, era nato in Svizzera da padre cagliaritano. Si, suo padre Giovanni Battista Mara (ma alcuni propendono per i più sardofoni Marra o Marras), nacque in città verso il 1705. Frate dell'Ordine dei Mercedari, smesso il saio si rifugiò a Ginevra nel 1740. Qui abbracciò la fede calvinista e sposo la sedicenne Louise Cabrol, figlia di un parrucchiere e nipote di profughi ugonotti francesi. Qualche anno dopo il matrimonio, i coniugi si trasferirono a Boudry, nel cantone di Neuchatel. Giovanni ne prese la cittadinanza e il suo nome, ovviamente, cambiò. Fu registrato con il nome di Jean Marat, secondo una corretta grafia francese. Inizialmente lavorò come disegnatore di indiane (tele sottilissime, con colori vivaci, in auge tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800), in un'azienda locale manifatturiera di tessuti. In seguito, verso il 1755, Jean o Giovanni (o Giuanni) divenne insegnante di lingue a Neuchatel. I coniugi Marat ebbero sette figli, il secondo dei quali, nato nel 1743, fu chiamato Jean Paul. La vita di Marat è nota, ma vale la pena riassumerla in poche righe. Pochi però sanno che fu un medico. Di lui si ricorda soprattutto l'attività rivoluzionaria. Deputato stimato e battagliero, nell'aprile del 1793 fu eletto presidente del circolo dei giacobini. Soffriva di una rarissima malattia della pelle. Per avere sollievo dei bruciori, faceva lunghi bagni in vasca. Qui scriveva le sue idee. E proprio qui trovò la morte, per mano di una girondina, Charlotte Corday, il 13 luglio 1793. NIÈPCE. Oggi fotocamera; ieri macchina fotografica; ier l'altro dagherrotipo, ovvero il primo strumento per fotografare, chiamato così in onore di Louis Mandò Daguerre, considerato come il suo inventore. In realtà la scoperta dovrebbe essere ascritta a un tal Joseph Nicèphore Nièpce. Il bello della vicenda è che tutto cominciò nel lontano 1796, quando Joseph e il fratello Claude, militari, erano di stanza a Cagliari. Joseph proprio in quegli anni ipotizzò di poterla fissare con un procedimento chimico. Quindi, i primi vagiti di un parto lungo e travagliato risuonarono, o meglio, si localizzarono nella mente di Joseph Nièpce, magari mentre si godeva un tramonto infuocato sulla Sella del diavolo. Dello straordinario scopritore d'Oltralpe, si hanno notizie sarde anche nel 1797. Esiste infatti l'atto di battesimo di suo figlio Isidore. Lasciata la città del sole, Nièpce, torna nella sua Francia. Da subito inizia a lavorare alla sua idea: ottenere lastre litografiche in modo facile ed economico. Nel 1826 ottiene la riproduzione su peltro di una stampa del cardinale George D'Amboise. Successivamente, mettendo la camera oscura alla finestra del suo studio, dopo una posa di circa otto ore, riesce ad ottenere un'immagine visibile. Si tratta della fotografia più antica ancora oggi conservata. Il 4 dicembre 1829 Nièpce e Daguerre fondano una società, con un contratto di dieci anni. Ma nel 1833 Nièpce muore. Daguerre non si scoraggia e continua a lavorare da solo. Nel 1839, a Parigi, nel Boulevard du Temple, fissa il primo soggetto umano: un signore che si fa servire da un lustrascarpe. Il 14 agosto dello stesso anno, ma a Londra, il procedimento di Daguerre viene brevettato. Ma è bello sognare e dire che senza Nièpce e uno sfolgorante tramonto di mezz'estate al Poetto, la fotografia sarebbe comparsa solo molti anni dopo. PACINOTTI. Antonio Pacinotti è notoriamente l'inventore della dinamo. Che permise, per la prima volta nella storia dell'umanità, la possibilità di avere energia elettrica in quantità illimitata. Chi è cagliaritano sa che in via Liguria esiste un liceo scientifico che porta il suo nome. Ma probabilmente, non molti sanno che l'inventore lavorò per parecchi anni in città. Dal 30 marzo 1873 al 31 dicembre del 1881, fu professore di Fisica sperimentale e direttore dell'associato Gabinetto di Fisica, dell'Università karalitana. Nel 1874 chiese e ottenne, dal rettore Patrizio Gennari, di spostarsi a Pisa, per assistere il padre malato e allo stesso tempo aiutarlo nelle sue esercitazioni pratiche: anche lui era docente di Fisica. In quell’anno lavorò a una nuova macchina magneto-elettrica a volano elettromagnetico che poi realizzò a Cagliari. Il 16 novembre 1875 tenne il discorso inaugurale dell'anno scolastico, "Cenni sull'istoria delle macchine motrici". Idee ancora attuali a distanza di oltre 130 anni, nel campo delle risorse energetiche e ambientali. Se in un primo momento aveva scritto al rettore di sentirsi esiliato in Sardegna, quando gli offrirono la possibilità di tornare nella sua Pisa ci pensò su parecchio tempo. Ormai si era perfettamente ambientato a Cagliari. Nel capoluogo sardo aveva ottenuto un'officina - ben attrezzata per i suoi esperimenti. In quegli anni di "esilio", conobbe la diciannovenne Maria Grazia Sequi-Salazar, che sposò in città il 29 aprile del 1882. La ragazza mori a Pisa pochi mesi dopo. A Cagliari, nel dipartimento di Fisica della Cittadella Universitaria di Monserrato, esiste un tornio a pedalo con il quale lo scienziato costruiva le sue macchine straordinarie. MARCELLO ATZENI _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 ott. ’09 INNOVAZIONE: UNIVERSITÀ ITALIANE PIÙ ATTIVE LA MAPPA DELLA CREATIVITÀ. LO STUDIO PRESENTATO IL RAPPORTO SULL' INNOVAZIONE 2009 DELLA FONDAZIONE COTEC: «UNIVERSITÀ PIÙ ATTIVE» L' INVERSIONE L' INDICATORE CHE MISURA I FLUSSI DI HI-TECH IN ENTRATA E IN USCITA DALL' ITALIA È TORNATO POSITIVO. COME QUELLO DI ALTRI PAESI EUROPEI Brevetti, la bilancia tecnologica va in attivo I gruppi È arrivato al 10 per cento il numero di invenzioni realizzate da team di diverse nazionalità Il Sud Il Mezzogiorno conferma il suo distacco rispetto alla media nazionale dell' hi-techMerito delle regioni del Nordest più l' Emilia Romagna Gli inventori sono soprattutto a Pordenone e Bologna P otremmo chiamarlo «Nordest allargato». È l' area ad alta densità di imprese e di università che va dal Friuli-Venezia Giulia alla Lombardia, dal Veneto fino all' Emilia-Romagna. Un pezzo d' Italia al primo posto nella produzione di brevetti, che vince in tecnologia. Non solo. Emilia-Romagna e Lombardia sono le regioni dove i fondi pubblici e privati per la ricerca vengono spesi nel modo più efficiente. Si deve a questa locomotiva d' Italia se la bilancia tecnologica dei pagamenti è tornata in attivo. Ecco alcune delle novità messe a fuoco nel Rapporto sull' Innovazione 2009 della Fondazione Cotec, che è stato presentato ieri al ministero degli Esteri. Vediàmole più in dettaglio. In base al numero di brevetti depositati allo European Patent Office, le province di Pordenone e Bologna risultano le migliori fucine di inventori, seguite da Modena, Reggio Emilia, Varese, Treviso, Vicenza, Lecco, Torino e Milano. Agli ultimi dieci posti, in una classifica di cento città, figurano Sassari, Reggio Calabria, Caltanissetta, Catanzaro, Imperia, Trapani, Crotone, Nuoro, Isernia e Campobasso. «Il Mezzogiorno - commenta Riccardo Viale, direttore generale della Fondazione - conferma il suo largo distacco anche rispetto alla media nazionale. Mentre il segreto delle zone di successo è da un lato l' abbondanza di imprese che producono automazione e macchine utensili avanzate, un settore industriale che fa ampio uso dei brevetti per tutelarsi dalla contraffazione. Imprese molto dinamiche, che prima hanno saputo adattarsi all' euro e poi reagire alla crisi globale. L' altro "segreto" è la vicinanza alle buone università». Parliamo, beninteso, di un successo relativo. Negli investimenti in ricerca l' Italia è notoriamente indietro. Le nostre imprese inoltre primeggiano in tecnologie medie, medio-basse e basse, diversamente da altri Paesi forti in alta tecnologia grazie ai più abbondanti investimenti pubblici, alle spese militari e alla presenza delle multinazionali, ad esempio nella farmaceutica. Il problema italiano tuttavia non è soltanto la quantità delle risorse impegnate ma anche il modo di spenderle. Illuminante in proposito il confronto sulla produttività e l' efficienza delle Regioni. Alcune sanno raccogliere più di quanto investono. Imprese, centri di ricerca, università ed enti pubblici lombardi ad esempio spendono il 21,5% dei fondi italiani in ricerca e sviluppo e depositano il 34,7% dei brevetti; allo stesso modo l' Emilia-Romagna spende il 9,4% e produce circa il doppio. La Campania all' opposto spende il 6,9% della ricerca e sviluppo nazionale ma realizza solo l' 1,5% dei brevetti. Grazie al Nordest allargato la bilancia tecnologica dei pagamenti - indicatore importante che misura i flussi di hi-tech in entrata e in uscita dal Paese - è tornata in attivo. Flussi - per chiarezza - significa brevetti, trasferimento di design e marchi, assistenza tecnica, ricerca e sviluppo industriale. «L' Italia - dice Viale - ha visto aumentare sia i flussi in uscita (la capacità di vendere all' estero il proprio know-how, ndr) sia i flussi in entrata (quella di assorbire innovazione tecnologica dall' estero, ndr). Nel 2007 questi ammontavano rispettivamente allo 0,31% e allo 0,25% del Pil, valori che consentono alla bilancia tecnologica dei pagamenti di tornare in attivo, anche se di poco (+0,06%), come i maggiori Paesi europei tranne la Spagna». Altro fenomeno interessante, cresce il numero di brevetti realizzati da team di inventori di diverse nazionalità. Per l' Italia questo indice corrisponde al 10% del portafoglio brevetti complessivo contro il 13% della Germania, il 17% della Francia, il 21% della Spagna e il 24% del Regno Unito. Ma l' internazionalizzazione della cultura comincia già all' Università, come dimostra l' aumento degli studenti stranieri iscritti agli atenei italiani, soprattutto nel Nord: sono il 7,8% a Trieste, il 5,5% a Bologna, il 4,8% a Torino e Firenze, contro una media nazionale del 2,3%. Il 22,6% è iscritto a Medicina, il 16% a Lettere, il 14% a psicologia-sociologia, il 13,6% a Economia e il 9,3% a Ingegneria. L' esempio forse più clamoroso è quello del Politecnico di Torino, dove gli studenti stranieri sono ormai il 15%. «La novità è che le università si stanno svegliando - osserva Viale -. Alcune, in particolare, stanno soprattutto migliorando la capacità di collaborare con le imprese». Inoltre aumentano le aziende che nascono in ambienti universitari, i cosiddetti spin-off. Da 225 che erano nel 2005, dice il Rapporto Cotec, a 364 nel 2007. Capita sempre più spesso che uno o più ricercatori con un progetto tecnologico in tasca decidano di staccarsi almeno in parte dall' accademia, cercare finanziamenti e tentare la strada dell' impresa. Il più delle volte nell' ambito protettivo di un incubatore connesso all' università, così da minimizzare i rischi. L' incubatore a sua volta opera all' interno del polo tecnologico, che raggruppa decine di imprese. I nuovi poli tecnologici come Torino Wireless, Scienze della vita a Milano e Navacchio vicino a Pisa per l' informatica stanno gradualmente soppiantando i vecchi distretti come il tessile e le piastrelle, soprattutto quelli privi di connessioni con le fonti della conoscenza scientifica. È quanto emerge anche dall' ultima inchiesta dell' Economist su Prato, Matera, Biella e Como, significativamente intitolata «Sinking together» (affondando insieme). La Fondazione Cotec - creata dalle maggiori banche e imprese italiane - avanza tre proposte, che Riccardo Viale sintetizza in questo modo: «Potenziare la domanda pubblica di hi-tech, dalle tecnologie verdi all' informatica. Affidare al ministero della Ricerca il compito di coordinare l' allocazione delle risorse. Riformare l' università secondo le linee guida tracciate negli anni Novanta dall' allora ministro Antonio Ruberti e in parte oggi riprese dal ministro Gelmini: stimolando l' autonomia concorrenziale tra gli istituti ed erogando almeno un terzo dei finanziamenti in base al merito». Resta il fatto che i governi italiani, di centrodestra come di centrosinistra, non sembrano considerare l' innovazione tecnologica una priorità competitiva per la crescita. Non a caso c' è un disavanzo del 4 per cento tra quanto l' Italia versa all' Europa e quanto riceve in termini di finanziamenti per la ricerca. Edoardo Segantini esegantini@corriere.it _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 ott. ’09 IL FENOMENO (IN CRESCITA) DELLO SPIN-OFF Quando il professore si regala l' azienda MILANO - Cominciamo dalle parole: start-up vuol dire impresa agli inizi. Spin- off invece significa azienda che si stacca da un' altra più grande. A volte è fondata da professori che lasciano l' università, in parte o del tutto, per tentare l' avventura imprenditoriale. Sovente spin-off e start-up coincidono nella figura del ricercatore-imprenditore che sogna di diventare centauro dell' innovazione; e dopo il boom in America stanno iniziando a diffondersi anche in Italia, spesso in campo ambientale. Uno che sta tentando di decollare è il trentunenne marchigiano Andrea Barilotti, che, dopo la laurea a Urbino in Scienze ambientali e il master a Udine in Sistemi informativi territoriali (oggi è dottorando), ha fondato una micro-società chiamata E-Laser, specializzata nell' elaborazione delle immagini aeree. L' idea nuova - che gli ha procurato il premio StartCup 2007 (15 mila euro versati nel capitale sociale) - è stata quella di realizzare un database geografico che permette di ricostruire con foto tridimensionali le foreste, i singoli alberi e quindi di censire il patrimonio verde con tempi e costi inferiori rispetto alle tecniche tradizionali. E-Laser è nata nell' ambito dell' incubatore tecnologico Friuli Innovazione, una struttura pubblico-privata che assiste le start-up tecnologiche. «La nostra fortuna - dice il giovane imprenditore - è quella di lavorare in una zona in cui la gestione del territorio è considerata una priorità». Storia tutta diversa quella di Guido Cortellazzo, ordinario di ingegneria dell' informazione a Padova. Oggi cinquantasettenne, dopo la laurea va a studiare negli Stati Uniti, dove prende master e dottorato all' Università dell' Illinois. Poi viene assunto alla M-A Linkabit di San Diego dove resta quattro anni. Quando Irwin Jacobs e Andrew Viterbi (quest' ultimo è l' autore del logaritmo che porta il suo nome ed è alla base della telefonia mobile) lasciano l' azienda e fondano Qualcomm, offrono anche all' ingegnere padovano la possibilità di seguirli nella nuova avventura. Oggi Qualcomm è un colosso da 11 miliardi di dollari, Jacobs e Viterbi sono entrati nella leggenda e il veronese Roberto Padovani - tra coloro che li seguirono - è vicepresidente. «Io purtroppo dovetti rientrare in Italia per ragioni familiari - dice il professore -. Nel 1986 ho vinto la cattedra all' Università e sette anni fa, come regalo per i miei 50 anni, anziché la spider mi sono regalato un' aziendina». Il «regalo» si chiama 3DEverywhere, utilizza l' esperienza del laboratorio multimediale dell' ateneo padovano ed è specializzata nelle immagini tridimensionali complesse. Un' applicazione coperta da brevetto consente agli utenti mobili di navigare virtualmente all' interno di edifici per mezzo di immagini tridimensionali, ad esempio per visitare una mostra o un museo. Marco Brini invece è il matematico che ha fondato la Minteos con cui produce sensori wireless (senza fili) per l' ambiente. Queste tecnologie, che tengono costantemente monitorato il territorio, sono già installate nel Parco della Mandria a Torino, nel Peloponneso, in Puglia e a Imperia per prevenire gli incendi. Delle tre esperienze è la più avanzata, quella che sta uscendo dalla fase neonatale di start-up nell' incubatore tecnologico del Politecnico di Torino per entrare in quella di azienda adulta con 20 dipendenti e una previsione di 2,5 milioni di euro di fatturato nel 2010. «Avrei potuto continuare a fare il manager ma ho preferito tentare una strada personale - dice Brini -. Si fatica ma i risultati non mancano. Siamo appena stati selezionati dalla Anderson School of Management dell' Ucla californiana come azienda potenzialmente adatta a entrare nel mercato americano». Dell' America però le cose che mancano agli inventori italiani sono molte, dal capitale di rischio alle commesse militari. Un punto accomuna i Paesi: là come qua bisogna saper tessere le giuste relazioni. È in tutto il mondo l' invenzione più laboriosa. Ed. Seg. RIPRODUZIONE RISERVATA Segantini Edoardo ___________________________________________________________ Sapere Ott. ‘09 MISURARE LA SCIENZA E LA TECNOLOGIA Mario De Marchi L'efficacia e l'efficienza delle politiche per la ricerca possono essere valutate soltanto se sono disponibili misurazioni quantitative dei fenomeni su cui esse intervengono. Ai nostri giorni, la nozione secondo cui l'avanzamento della scienza e quello della tecnologia sono fondamentali per il progresso culturale sociale ed economico è divenuta così incontestabile da apparire a volte quasi un'ovvietà. Nel corso dei decenni, la crescente consapevolezza di ciò ha portato un decisivo incremento nell'interesse per gli studi empirici sullo sviluppo tecnologico e scientifico, e a proporre e sperimentare nuovi indicatori quantitativi della ricerca e dell'innovazione. Questi studi cercano essenzialmente di misurare e spiegare il cambiamento scientifico e tecnologico. La misurazione è il primo passo verso la formulazione di spiegazioni generali del fenomeno e la loro verifica, dopo di che esse sono eventualmente suscettibili d'impiego pratico come guida per le politiche pubbliche e le strategie dei privati. Alla base degli studi in questo campo sono spesso le politiche e gli interventi governativi in favore della scienza e del progresso tecnologico. Di pari passo con l'adozione di tali interventi sorge l'esigenza del governo di avere dati che diano un sostegno alle scelte fatte, che siano cioè impiegabili a scopo apologetico. Si trova così utile avere informazioni da usare per vantare i risultati conseguiti, nei paesi che primeggiano, o per propugnare una crescita degli sforzi e degli investimenti per ricerca e innovazione. nei paesi ritardatari. L'efficacia e l'efficienza di queste azioni pubbliche possono essere valutate con precisione e affidabilità soltanto se sono disponibili misurazioni quantitative dei fenomeni su cui esse intervengono. Perciò l'inizio di un'incisiva politica pubblica per la ricerca e l'innovazione si associa spesso con la creazione di un sistema statistico integrato e organico per la rilevazione delle attività pubbliche e private nella ricerca e nell'innovazione. BREVE STORIA DEGLI INDICATORI Gli Stati Uniti sono il paese che ha esercitato sempre una influenza fondamentale nelle tecniche e nelle scelte di misurazione della scienza e della tecnologia. Fu in quella nazione che furono compilate le prime statistiche sulla ricerca e sviluppo (ReS) negli anni Trenta (in una fase immediatamente successiva, gli Stati Uniti furono seguiti da altri due paesi del mondo anglosassone: il Regno Unito e il Canada). Nella fase a cavallo della seconda guerra mondiale, le statistiche sulla ricerca furono usate per promuovere la scienza e la tecnologia fra le priorità da perseguire con il bilancio statale americano; un sostenitore autorevolissimo di questa linea fu Vannevar Bush, che, incaricato dalla presidenza di compilare un rapporto dettagliato e informato sulla ricerca, sostenne le sue tesi con solide statistiche e non solo con argomentazioni enfatiche nel suo Science ne Endless Frontier. Statistiche simili misero poi in luce nel dopoguerra che quanto a impegno in ricerca gli Stati Uniti si trovavano sul punto di essere superati dall'Unione Sovietica. A queste sfide il governo americano rispose fra l'altro creando nel 1951 un'agenzia incaricata di finanziare la ricerca di base, la National Science Foundation (NSF), e la incaricò, allo scopo di controllare le spese connesse, di misurare le attività scientifiche e tecniche. Dalle indagini statistiche della NSF scaturirono nell'arco di un decennio le conoscenze alla base del manuale di Frascati; all'inizio degli anni Settanta l'agenzia iniziò la pubblicazione dei suoi imprescindibili volumi Science Indicators. Estendendo la trattazione ai paesi dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE) in genere, possiamo distinguere due fasi nelle politiche della scienza e nel loro effetto sulle statistiche relative. La prima va dagli anni Cinquanta ai Settanta, e vede i governi impegnati nel promuovere le attività scientifiche e tecnologiche tramite il loro finanziamento. Nel periodo successivo, le esigenze della ricerca spaziale, militare e industriale orientano lo sviluppo della scienza verso scopi specifici. A questa evoluzione corrisponde la necessità di conoscere in modo sempre più accurato gli aspetti qualitativi e quantitativi di questi fenomeni. Così, alle indagini sulla ReS si aggiungono quelle sull'innovazione, e si arriva infine alla tecnica di raccolta e presentazione di indicatori degli “scoreboards", con cui si paragonano paesi differenti lungo le molteplici dimensioni dei loro processi di sviluppo scientifico-tecnico. Attraverso questi sviluppi, le statistiche hanno dato significato e sostanza a concetti basilari nell'area della politica scientifica. Senza statistiche e precisi dati quantitativi raccolti grazie all'opera dell'OCSE a livello internazionale e dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in Italia, molte delle parole- chiave usate nelle discussioni su ricerca e innovazione sarebbero rimaste soltanto etichette verbali vuote di contenuto. Anche l'UNESCO ha dato il suo contributo alla costruzione di indicatori sulla R&S allo scopo di includere nelle rilevazioni una serie di informazioni comparabili sulla spesa e sul personale di ricerca di paesi non compresi tra quelli sviluppati dell’OCSE. L'OCSE pubblica due volte all'anno gli indicatori sull'attività di ricerca raccolti dai diversi paesi dell'Organizzazione; a questi aggiunge una serie di informazioni provenienti da paesi estranei, ma che sono in linea con le norme del Manuale di Frascati per la raccolta dei dati. Parallelamente agli indicatori di input su spese e personale per attività di ricerca o innovative in genere gli studiosi utilizzano una serie di indicatori di output che vengono rilevati da istituzioni e con modalità diverse da quelle segnalate. Le statistiche dei brevetti, che rappresentano la misura dell'attività inventiva dei ricercatori e dei laboratori situati nei diversi paesi e dei flussi di tecnologia, sono prodotte dagli uffici brevetti nazionali; la maggior parte delle invenzioni viene peraltro registrata presso l'Ufficio europeo dei brevetti (EPO), quello degli Stati Uniti (USPTO) e l'Ufficio giapponese (JPO). Le statistiche sui brevetti così raggruppati offrono una migliore comparabilità nazionale, tuttavia la provenienza da fonti diverse e che utilizzano metodi di registrazione differenti richiede che le serie di dati così come sono raccolte dai tre uffici della proprietà intellettuale su citati vengano uniformate e rivedute. L'Ocse provvede ad una revisione e ad una stima per i singoli paesi, prima di pubblicare questi dati a completamento di quelli sulla R&S. La bilancia dei pagamenti della tecnologia (bpt) misura le transazioni invisibili della bilancia dei pagamenti di un paese riguardanti il commercio di tecnologia. Gli ufficio dei cambi, che fanno capo alle banche nazionali, raccolgono questo tipo di transazioni e pubblicano regolari statistiche. In Italia l'Ufficio italiano dei cambi ha elaborato la prima bilancia dei pagamenti della tecnologia relativamente al 1963. L'OCSE utilizza i risultati delle rilevazioni e nel 1990 ha pubblicato un manuale per il loro uso corretto. A differenza delle statistiche sui brevetti e sullo scambio di tecnologia l'OCSE non pubblica informazioni sugli articoli scientifici nei quali è presentato usualmente il risultato dell'attività scientifica svolta e costituiscono il prodotto principale della ricerca accademica. La National Science Foundation dispone di questo complesso di informazioni e dati fin dal 1960 e li pubblica con regolarità biennale nel rapporto Science and Engineering Indicators edito dal National Science Board. Le pubblicazioni provengono da una ampia selezione di riviste scientifiche internazionali e nazionali (nel 2003 erano ben 5315) e sono registrate nelle banche dati del Science Citation Index (SCI) e del Social Science Citation Index (SSCI). Le pubblicazioni sono contate, selezionate ed elaborate da un istituto statunitense (attualmente questa attività è svolta dal Thomson ISI, precedentemente Istituto per l'informazione scientifica) principalmente ai fini della National Science Foundation statunitense. UNA GRIGLIA DI CLASSIFICAZIONE Gli studi sull'innovazione hanno portato a sviluppare un ampio ventaglio di grandezze, o indicatori, che registrano il cambiamento scientifico e tecnologico nei sistemi socioeconomici in modo esplicito e quantitativo. La varietà degli indicatori riflette la complessità dei fenomeni della scoperta scientifica e dell'invenzione e innovazione, e il fatto che essi non siano imbrigliati da teorie semplificatrici. Di conseguenza, i giudizi formulati sulla politica della scienza, spesso frutto di posizioni marcatamente soggettive e di letture discutibili di statistiche ben note, sono tutt'altro che inoppugnabili. Specialisti delle particolari branche della scienza, i duali trovino ascolto nei policy makens, possono facilmente travalicare i loro indubbi e tuttavia limitati ambiti di competenza, trasferendo ad altri campi giudizi perentori espressi sulla base della conoscenza delle grandezze che caratterizzano specificamente la propria disciplina, ma non sono applicabili all'esterno, e sono discutibili almeno quanto gli indicatori adoperati per descrivere gli aspetti più generali della scienza e della tecnologia. È perciò necessario chiarire quanto meglio possibile la natura e le limitazioni degli indicatori, per promuoverne un uso proficuo. La molteplicità delle grandezze di input e output al variare della prospettiva di volta in volta scelta per presentare e discutere le situazioni osservabili ci suggerisce di considerare un insieme di punti di vista complementari (organizzati secondo delle opposizioni reali) che sono utili nel definire gli indicatori, la loro portata, il loro uso. QUALITÀ VERSUS QUANTITÀ. Nella prima e fondamentale opposizione si fronteggiano la misurazione qualitativa e quella quantitativa. I frutti della ricerca devono evidentemente essere misurati il più scrupolosamente possibile con un'analisi qualitativa approfondita dei singoli fattori (esseri umani, teorie, formule tecnologiche, strumenti, esperimenti, osservazioni empiriche) e dei prodotti della ReS (nuova conoscenza originale di tipo puro o applicato). Ciò richiede una massa di tempo e di competenze che i partecipanti al dibattito sulla scienza e la tecnologia, in particolare i policy makers, non sempre possiedono in misura adeguata. L'informazione che nella pratica viene impiegata da chi partecipa ad alto livello al dibattito su scienza e tecnologia è pertanto necessariamente quantitativo sintetica. Questa conoscenza quantitativa è ottenuta attraverso Procedure di analisi qualitative, in cui il compito di studiare e ponderare la mole di informazione disponibile per la misurazione dei prodotti e dei fattori della ReS è affidato a persone scelte per la loro speciale competenza in ciascun campo di analisi. Si tratta in particolare: dei revisori scelti dalle riviste scientifiche per valutare la pubblicabilità dei contributi proposti a tali riviste; degli stessi autori scientifici degli articoli pubblicati, allorché decidono di citare i lavori di altri studiosi; dei funzionari degli uffici brevetti. La scelta delle prime due categorie di valutatori è il frutto di meccanismi di auto organizzazione della comunità scientifica, mentre affidata all'operatore pubblico è la selezione dei funzionari su cui ricade l’importante giudizio sulla brevettabilità dei ritrovati. In queste procedure si può sperare che i soggetti incaricati di convertire l'informazione qualitativa in quantitativa tendano a essere equilibrate e lucide e ad adottare criteri di imparzialità: per quel che riguarda pubblicazioni e citazioni, in vista del carattere autocorrettivo del dibattito scientifico; per quel riguarda il comportamento degli uffici brevetti, in vista dei controllo a cui il loro operato è sottoposto in ultima analisi da parte della magistratura. SCIENZA VERSUS TECNOLOGIA. Un'altra distinzione cruciale è ovviamente quella fra scienza e tecnologia. Può essere utile a questo proposito accennare ai problemi epistemologici proposti dalla discrimine fra le due attività. Il più semplice e comodo criterio di demarcazione fra scienza e tecnologia assegna alla prima la ricerca della verità e alla seconda quella dell'utilità. Per cui una stessa soluzione approssimata valida per un problema tecnologico-pratico potrebbe essere considerata inaccettabile dalla scienza. Analogie più strette esistono però fra scienza e tecnologia di quanto talvolta sembri. Entrambe cercano regole di portata generale. Nella scienza lo scopo principale è giungere a teorie applicabili a condizioni analoghe, e le spiegazioni ad hoc sono respinte. Similmente, la ricerca tecnologica non mira a produrre ricette "magiche" che funzionino occasionalmente in circostanze imprevedibili, ma a sviluppare processi di produzione che possano essere riprodotti in circostanze controllabili. INPUT VERSUS OUTPUT. Una terza opposizione pone in contrasto i fattori di produzione (input) e i fattori scientifici e tecnologici (output) del processo di ricerca e innovazione. In questo campo la misurazione del capitale, ossia dello stock di conoscenza e capacità di ricerca scientifica e tecnologica, è un problema ancora più difficile che nella teoria economica generale. In linea generale e astratta, il capitale investito in ricerca potrebbe essere valutato: (a) secondo il metodo della capitalizzazione dei redditi futuri oppure (b) al costo storico diminuito degli ammortamenti, che andrebbero calcolati per tenere conto dell'obsolescenza che affligge il sapere accumulato nel passato man mano che nuova conoscenza viene generata nel presente. Quanto al metodo (a), capitalizzare i redditi futuri ottenibili grazie ai ritrovati della ricerca, dobbiamo considerare che l'ammontare di tali redditi è impossibile da stimare con precisione a causa dell'incertezza estrema dei risultati di un processo complesso e dagli esiti difficilmente prevedibili quale la ReS. D'altra parte, nel metodo (b) sia per il calcolo del costo storico del capitale che per quello degli ammortamenti sarebbero necessarie informazioni che riguardino il valore della conoscenza accumulata in un passato remoto e la riduzione di valore del capitale dovuta alla produzione di nuova conoscenza. Un astuto e forse inevitabile espediente per superare queste difficoltà scaturisce dalla considerazione che la conoscenza scientifica e tecnologica non è un bene che esiste indipendentemente da qualsiasi supporto. Essa è invece largamente incorporata nelle persone, in termini di apprendimento individuale. Un indicatore grezzo di questo stock di conoscenza viene allora ad essere il capitale scientifico misurato in termini di personale impiegato in attività scientifiche e tecnologiche. L'informazione fornita da tale indicatore può essere parzialmente integrata con il valore delle attrezzature e strumentazioni scientifiche usate dal personale di ricerca. Ne segue immediatamente che il fondamentale indicatore di input della ricerca è la spesa per ReS, ossia l'investimento in capitale umano e fisico per l'esecuzione di attività di ricerca scientifica e tecnologica, una grandezza finanziaria che ricapitola l'impegno complessivo in queste attività sostenuto da imprese, enti pubblici, paesi. Nell'analisi della composizione di questo fascio d'indicatori di output, un'altra familiare opposizione, quella fra pubblico e privato, può svolgere un ruolo. Ciò si riflette per esempio nel fatto che l'output della ricerca pubblica, che è esplicitamente rivolta verso la diffusione dei risultati per il beneficio dell'intera società, è naturalmente meglio rivelato da indicatori quali pubblicazioni scientifiche e citazioni. Viceversa, l'output della ricerca privata, una conoscenza di natura maggiormente tacita e proprietaria, viene misurato in modo più appropriato basandosi sui metodi di comunicazione in cui, come nei brevetti, l'informazione rivelata è limitata a un minimo imposto legalmente e non viene trasferita gratuitamente. RISULTATI ATTESI DALLE ATTIVITÀ DI RICERCA VERSUS RISULTATI EFFETTIVI. La misurazione dell'output della ricerca è strettamente connessa con un'altra opposizione, quella fra la natura più o meno pratica dei risultati attesi dalla ricerca e la natura dei risultati effettivamente conseguiti. Il primo termine dell'opposizione è cruciale per la classificazione delle attività di ReS e la loro distribuzione funzionale tra ricerca di base, ricerca applicata a scopi pratici, sviluppo sperimentale di nuovi prodotti e processi di produzione. Questa distribuzione riflette gli obiettivi perseguiti inizialmente con il finanziamento della ricerca e la sua esecuzione. Questo criterio ex ante è indubbiamente il migliore per lo studio delle strategie d'investimento delle imprese e dell'operatore pubblico, dato che sono i risultati attesi da questi investimenti (come per tutti gli investimenti) che determinano la decisione di intraprenderli. Tuttavia, il criterio ex ante e la classificazione su di esso basata cozzano spesso con la natura effettiva dell'output delle attività di ricerca. Accade di frequente che ricerche mirate a obiettivi di base finiscano per produrne di pratici e viceversa. L'incertezza sul carattere più o meno pratico dell'output della ricerca non sminuisce però l’importanza della ripartizione funzionale della ReS fra le sue tre categorie; essa infatti riflette la tensione che emerge con l'approssimarsi del pieno impiego delle risorse disponibili - specialmente risorse umane - per la ricerca scientifica e tecnologica. In situazioni del genere, si producono spostamenti nella composizione dell’investimento complessivo fra attività da cui sono attesi risultati nel breve termine (tipicamente ricerca applicata e sviluppo sperimentale) e attività con esiti sperati nel lungo termine (tendenzialmente ricerca pura). In altri termini, la distribuzione funzionale delle attività di ReS riflette la composizione temporale delle aspettative circa l'investimento in scienza e tecnologia nel breve e nel lungo termine. RICERCA IN AMBITO DISCIPLINARE VERSUS RICERCA INTERDISCIPLINARE. Un'ultima e rilevante, sebbene spesso trascurata, distinzione è quella fra ricerca i cui obiettivi e metodi sono confinati in un determinato campo della scienza e ricerca che si svolge a cavallo di varie discipline. Gli scienziati solitamente svolgono la ricerca disciplinare come risultato di spontanea curiosità e appetito per la conoscenza. Dato che i programmi di ricerca informano la mentalità e la visione degli scienziati che li adottano, i problemi sui quali i ricercatori decidono di investigare sono prestabiliti dai programmi adottati all'interno delle singole discipline e, tipicamente, comportano una ricerca di tipo unidisciplinare. Riguardo a questo aspetto. la ricerca unidisciplinare si sovrappone in larga misura a quella in cui i problemi affrontati sorgono all'interno della comunità scientifica, sono cioè "endogeni". Viceversa, la ricerca interdisciplinare s'incentra molto spesso su problemi che vengono proposti alla comunità scientifica dal suo esterno, specie dallo stato (per esigenze militari, ad esempio) e dalle imprese, e può essere vista come più rischiosa per le carriere degli scienziati, che non possono limitarsi ai problemi già enucleati da programmi di ricerca già affermati. È facile sottostimare l'importanza della ricerca interdisciplinare allorché si passa a ricostruire il suo ruolo nella storia della scienza. Come messo in luce recentemente da epistemologi e storici della conoscenza, la storia autentica e spesso travagliata dei problemi scientifici dal loro sorgere alla loro risoluzione, spesso scritta da specialisti delle varie discipline, tende a essere offuscata dalla descrizione di soluzioni di successo o, in altri termini, idee che, ex post, si combinano per formare il corpus di ciascuna disciplina. Solide statistiche sul peso reale della ricerca interdisciplinare sarebbero quindi un affidabile indicatore dell'apertura della scienza ai bisogni dell'economia e della società. In realtà, queste statistiche sono in parte già disponibili: in particolare con la distribuzione della ricerca nel settore privato, laddove le imprese suddividono i loro investimenti in ReS per il settore economico di attività corrispondente alle necessità pratiche da soddisfare, invece che per settore accademico. LA RILEVAZIONE La raccolta e la diffusione delle statistiche su scienza e tecnologia sono dettate prima di tutto dalle necessità dell'amministrazione statale e si concentrano sugli aspetti economici di quei fenomeni. Nell'occuparsi di questi aspetti, gli uffici statistici antepongono la più semplice misurazione degli investimenti in ricerca e innovazione alla più laboriosa stima degli impatti di tali attività. I governi hanno un virtuale monopolio sulla produzione di queste analisi quantitative, dovuto al fatto che soltanto essi dispongono delle autorizzazioni e delle risorse necessarie a intraprendere l'oneroso processo di raccolta dei dati. Segue da questo che le statistiche sono prodotte nei ministeri e nelle agenzie governative, più che nelle università (dove pure una quota rilevante della ReS nazionale è svolta e la ricerca nel suo complesso viene studiata). La procedura impiegata da queste organizzazioni per la rilevazione dei dati è tipicamente l'indagine con questionario. La rilevanza dei dati raccolti altrimenti, per esempio attraverso la bibliometria o con il conteggio dei brevetti, viene sminuita dagli uffici statistici nazionali. La giustificazione che di ciò essi danno è che tali dati non sarebbero standardizzati, come sarebbe invece garantito dall'uso di questionari di indagine uniformati a manuali chiari e dettagliati. II testo adottato per la rilevazione delle attività di ricerca e sviluppo dai paesi dell'OCSE è il Manuale di Frascati (nelle sue successive versioni), che fornisce prescrizioni sulle grandezze da rilevare e le domande da porre nei questionari allo scopo di assicurare la comparabilità delle statistiche sulla ReS raccolte in paesi diversi. L'ammontare complessivo delle attività di ReS convenzionalmente rilevate in un paese tende a coincidere con quelle svolte in laboratori di ricerca, ossia "formalizzate", e non include interamente il resto delle attività di ricerca, quelle svolte casualmente. In realtà, l'OCSE arriva a sconsigliare l'inclusione delle seconde nella ricerca rilevata. Queste convenzioni comportano una sottovalutazione dell'investimento in ReS, in particolare di quello effettuato da piccole imprese e nel settore dei servizi e di quello intrapreso nelle scienze sociali e umane. La misurazione della ReS in un paese e la presentazione dei dati raccolti sono ordinate secondo una struttura istituzionale che divide i soggetti esecutori di ricerca fra amministrazione statale, università, imprese, organizzazioni non profit. A questa griglia corrisponde una serie di classificazioni: per esempio, la ricerca è ripartita fra discipline scientifiche (classificazione basata sulla codificazione "Clarder"), la spesa per ReS delle amministrazioni pubbliche è suddivisa per obiettivi socio-economici ("Nabs") e quella dell'industria per settori economici ("Isic"). Nelle prassi effettivamente seguite, la misurazione delle attività di ricerca pubblica riguarda principalmente i campi delle scienze naturali, mediche, biologiche e l'ingegneria, escludendo a volte le scienze sociali e umane, in conseguenza di dubbi sollevati sul grado di precisione e rigore logico-matenatico di queste ultime. La ricerca effettuata nelle università è strettamente collegata alla didattica con evidente difficoltà di calcolo del tempo destinato a ciascuna delle due attività, così che i paesi dell'OCSE fanno ricorso a convenzioni per stimare la spesa per R&S e il numero del personale ricercatore (calcolato in equivalente tempo pieno). La misurazione dell'innovazione tecnologica pone problemi metodologici da trattare con altrettanta cautela. Occorre decidere se focalizzare l'attenzione sulla rilevazione delle attività innovative (la ricerca tecnologica) o sui loro esiti (i prodotti o processi innovativi). Gli uffici statistici, conformandosi alle indicazioni raggiunte grazie a un dibattito internazionale svolto in sede Ocse e raccolte nel Manuale di Oslo, hanno privilegiato la misurazione delle attività di innovazione, più facile da raggiungere tramite lo strumento collaudato del questionario d'indagine. Nonostante queste precauzioni, però, le indagini sulle attività di innovazione tecnologica possono sollevare serie difficoltà di calcolo e interpretazione, mettendo in dubbio la coerenza con le parallele indagini sulla ReS. Un esempio di queste difficoltà è la discrepanza che tipicamente si constata fra la spesa per ReS misurata in indagini sulla ricerca e l'ammontare della stessa grandezza rilevato in indagini sull'innovazione.• BIBLIOGRAFIA EUROSTAT, Council Regulation (EEC) No. 3037/90 of 9 October 1990 ori the Statistical Classification of Economie Activities in the European Community, Official jotsrnal of the European Communities, No. L293/1, 24 October 1990. EUROSTAT, Nomenclature for the Analysis and Comparison of Scientific Programmes and Budgets, Luxembouxg, 1994. Godin B., «The emergence of science and technology indicators: why did governments supplement statistics with indicators?», Research Policy, vol. 32, 2003, pp. 679-691. Godin B., «The number makers: fifty years of official statistics ori science and technology», Minerva, vol. 40, 2002, pp. 375-397. NATIONAL Science Board, Science Indicators 1974. Report of the National Science Board, Washington D.C., 1975. OECD, The measurement of scientific and technical activities: proposed standard practice for surveys of research and experimental development, (Frascati manual) Paris, 2002. OECn, Euxosrnr, The Measurement of Httnzan Resources Devoted to Science and Technodogy (Canberra Manual), Oecd, Paris, 1995. OECD-EUROSTAT, Proposed guidelines for collecting and interpreting technological innovation data, (Oslo manual), Oecd, Paris, 2005. OECD, Proposed Standard Method of Compiling and Interpreting Technological Balance of Payments Data, (TBP Manual) 1990. Porter T.M., Trust in numbers: The pursuit of objectivity in science and public life, Princeton, Princeton Universiry Press, 1995. UNESCO Manual for Statistics on Scientific and Technological Activities, ST.84/WS/12, Paris, 1984. Mario De Marchi è ricercatore presso l'istituto di ricerca sull'impresa e lo sviluppo del CNR. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 ott. ’09 CADE LA «TEORIA DELLE STRINGHE» MA ARRIVA IL SUPERACCELERATORE Ripensamenti Ultimamente vengono messe in discussione idee sposate dai teorici per quasi un ventennioIncogniteTra i fisici si respira l' aria inquieta che precede ogni esame. Nessuno sa dove condurrà la ricerca D a qualche tempo soffia un vento nuovo, più agitato, sul paesaggio della Fisica. Varie sono le ragioni, ma tra queste un peso rilevante lo assume l' imminente prospettiva di poter disporre di uno strumento potentissimo come il Large Hadron Collider del Cern di Ginevra, il quale metterà alla prova alcune idee a lungo coltivate. Nello stesso tempo aprirà finestre su un mondo finora inaccessibile, animando la fantasia per quanto ne potrà uscire. Di recente, tuttavia, sembrano cadere anche alcuni miti radicati nelle menti dei teorici da quasi un ventennio. Come la supernominata «teorie delle stringhe» che decollò agli inizi degli anni Ottanta sulla base di alcune formulazioni avanzate da Gabriele Veneziano e sulla quale si sono tuffati generazioni di ricercatori delle più illustri università del mondo. «Un disastro per la fisica», l' ha definita il matematico Peter Woit della Columbia University americana. Ma non è solo sul fronte che tende a demolire la blasonata idea. L' illustre Lee Smolin del Perimeter Institute di Waterloo, in Canada, ha addirittura scritto un libro, «L' universo senza stringhe» (Einaudi) per dimostrare che si tratta di una via sbagliata nel cercare una spiegazione della realtà e dell' universo. Aggiungendo che dopo due decenni non si è riusciti a raccogliere uno straccio di prova che potesse convalidarla. Ma altri illustri teorici come Michelangelo Mangano del Cern e uno degli scopritori del Quark Top, ricordano che Smolin è contrario perché «propone da altrettanto lungo tempo una teoria della gravità contraria a quella delle stringhe che fino ad oggi è nella stessa situazione senza la minima conferma sperimentale». Smolin nelle sue critiche è radicale e vede addirittura, più in generale, una «crisi della fisica delle particelle» scatenando comprensibili e vivaci reazioni. «È vero che non ci sono state scoperte che abbiano acceso la fantasia come la meccanica quantistica o la relatività - nota Mangano - però si sono ottenuti risultati innegabilmente importanti come la misura della massa del neutrino, la definizione dei quark e la conferma della teoria del modello standard che è alla base della concezione dell' universo». Forse proprio la teoria delle stringhe aveva fatto correre troppo la fantasia e le aspettative. Essa sostiene che alla base della realtà non ci sono particelle nucleari note ma delle vibrazioni: differenti vibrazioni generano tutte le particelle subatomiche conosciute, dai quark ai gluoni. E le stringhe esistono in uno spazio di 10, forse 11 dimensioni. La qual cosa prospetta mondi paralleli al nostro che viviamo. Come non restare affascinati da un' idea tanto fantascientifica? Spostando immediatamente lo sguardo tra stelle e galassie, con questi presupposti si è incominciato a parlare di «metauniversi» suscitando talvolta sarcastici commenti da parte degli astronomi che scrutano il già complesso universo che ci ospita. «Questa è filosofia, guardiamo la realtà», nota sbrigativamente Margherita Hack. Insomma il microcosmo dell' atomo e il macrocosmo degli astri sono in agitazione sostenendo alcuni passi compiuti oppure rinnegando qualche idea. Fino ad un certo punto, però. Perché - dicono - se con il nuovo superacceleratore del Cern riusciamo a riprodurre dei piccoli buchi neri questi confermano indirettamente l' esistenza di altre dimensioni. Intanto si crede nella probabilità di scovare la prova della supersimmetria secondo la quale ogni particella convive con un' altra particella con diverso comportamento: ad esempio l' elettrone con il selettrone, il quark con lo squark e il fotone con il fotino. In conclusione, sembra che tra i fisici ci sia l' aria inquieta che di solito precede ogni importante esame, quando si chiacchiera di ottime risposte possibili o si cade nella depressione di non sapere più nulla. E l' esame si sta preparando a Ginevra. Nel frattempo, credenti e non credenti delle stringhe sono d' accordo su una cosa: per trovare una prova capace di confermarle bisognerà aspettare cinquecento generazioni di fisici. Come per dire: per il momento è fuori delle nostre possibilità. RIPRODUZIONE RISERVATA L' inizio Una certezza importante è stata conquistata in questi anni: l' universo (conosciuto) ha avuto inizio con il big bang, il grande scoppio, quando l' energia si è trasformata in materia. Ciò è accaduto 13,7 miliardi di anni fa dando l' avvio alla formazione di atomi e poi di stelle, pianeti e galassie. Perché sia accaduto, però, nessuno lo sa. La mostra Viaggi spaziali Un' esplorazione fotografica ai confini del cielo Ma che immagine abbiamo noi, oggi, dell' universo? Lo svela «Beyond - Vision of Planetary Landscapes», la mostra fotografica del reporter americano Michael Benson, realizzata grazie a Erg, a Palazzo della Borsa da oggi fino al 1 novembre. Scatti (in alto, Giove e le sue lune), testimonianze visive, delle tante e lunghe esplorazioni dei confini raggiungibili dell' universo. Caprara Giovanni ======================================================= _____________________________________________________________ Sardegna 19 ott. ’09 SANTISSIMA TRINITÀ, VIA LE STELLETTE L'OSPEDALE È PRONTO PER IL RILANCIO Ennio Neri Il Santissima Trinità in mano alla Regione. È pronto a diventare il più grande ospedale cittadino, dopo il definitivo trasferimento dei reparti del San Giovanni di Dio a Monserrato. Ovviamente dopo l'opportuno potenziamento: il fiore all'occhiello di una riqualificazione dell'area, già partita con la lottizzazione di Coimpresa che si estende anche a Tuvumannu e che prevede un asse stradale di collegamento tra via Cadello e via San Paolo, attraverso via Is Maglias. L'idea del Santissima Trinità potenziati, già lanciata dal sindaco Emilio Floris, sembra aver avuto il disco verde anche dell'assessore alla Sanità Antonello Liori. E dopo il passaggio dell'area dal ministero della Difesa alla Regione, il progetto può partire. L'ospedale fa parte dell'elenco dei “beni e diritti non destinati a servizi statali da trasferire alla Regione Sardegna”, cioè beni non utilizzati da enti dello stato. Le dismissioni sono già partite e la commissione comunale Cultura, col Municipio ambizioso, di prendere possesso almeno di una parte dei beni dismessi, ha già deciso di visionare i siti. NELL'ELENCO l'ospedale si chiama ex caserma funzionale Is Mirrionis, valore di mercato 50 milioni di euro. Utilizzato dalla Asl 8, spiegano i documenti della Regione, il complesso è composto da ex caserme militari e aree pertinenziali, in consegna per circa il 50 % del totale alla Asl 8. L'elenco dei beni non utilizzati da servizi statali include anche la porzione della tenuta agricola San Bartolomeo, tra il colle Sant'Ignazio e Sant'Elia: una parte del compendio, la zona di Marina Piccola del valore 1 milione e 800 mila euro, verrà trasferita alla Regione L'ELENCO è lungo: il terreno demaniale San Bartolomeo (via San Bartolomeo), il verde pubblico del Poetto (destinato al Comune in vista del progetto di valorizzazione del lungomare), l'ex deposito siluri della zona di Sa Serra (fabbricati militari occupati da privati). Ci sono poi aree per la costruzione di alloggi Erp. Si tratta delle case per alluvionati nel lotto Elmas, sulla statale Cagliari-Iglesias, e dei due lotti delle case per senza tetto vicino al Lazzaretto di Sant'Elia. Ci sono poi due aree in viale Colombo: una verde e area urbana. Sono destinate al Comune per urbanizzazioni e strade, ma fino a qualche mese fa erano state al centro della trattativa tra la giunta Soru e Coimpresa, alla ricerca di un risarcimento per lo scambio con Tuvixeddu. Tra i beni non utilizzati dallo stato e destinati alla Regione anche le ex aree demaniali e marittime di Su Siccu e La Playa, valore di 9 milioni e 500 mila euro. Su via Is Mirrionis insistono anche i fabbricati degli eredi Papi Evelina (3 appartamenti più un box) oggetto di contenziosi per occupazioni abusive, e gli ex capannoni militari e aree limitrofe ospedale Is Mirrionis: valore 6 milioni 420 mila euro. _____________________________________________________________ Sardegna 23 ott. ’09 UN MEDICO BRITANNICO SU TRE PRATICA L’EUTANASIA Sn) - Roma, 24 ott. - Circa un terzo dei medici britannici ha interrotto un trattamento sanitario o ha somministrato farmaci a malati allo stato terminale, sapendo che cio' li avrebbe condotti alla morte. Lo rende noto una ricerca condotta dall'universita' londinese 'Queen Mary' citata dalla versione online del quotidiano inglese 'The Guardian'. Secondo lo studio, che si basa su un campione di 3.733 medici britannici, in 211 casi (7,4 per cento) i medici hanno ammesso di aver dato medicinali o aver interrotto le cure per accelerare la morte dei pazienti. In 825 casi (28,9 per cento) i medici hanno scelto un tipo di cura che avrebbe probabilmente resa piu' veloce la morte dei malati allo stato terminale. In un caso su dieci la decisione era adottata su richiesta dello stesso paziente, che chiedeva di ridurre il protrarsi delle cure per soffrire di meno. Una percentuale significativa dei medici intervistati ha sostenuto di avere una fede religiosa, e, tra questi, e' minore l'incidenza di chi mette in pratica tecniche per ridurre la vita dei malati considerati inguaribili. Secondo il responsabile della ricerca, il professor Clive Seale, solo a 242 di 2.855 pazienti deceduti (8,5 per cento) non sono stati somministrati medicinali che alleviassero il dolore e non e' stato sospeso o interrotto il trattamento medico. A 1.577 (55,2 per cento), invece, i medici hanno dato farmaci contro il dolore o altri sintomi della malattia o hanno sospeso le cure mediche, ma, secondo i sanitari, cio' non avrebbe accorciato la vita dei pazienti (Sn) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 ott. ’09 MORIRE SENZA INUTILI TERAPIE: NON È ANCORA UN DIRITTO Dibattito medici-giuristi sul fine vita e l’organizzazione sanitaria. Liori: «Deospedalizzeremo» MARIO GIRAU CAGLIARI. «Sorella morte» bussa sempre più all’ospedale. Purtroppo «morire a casa, senza inutili terapie, è considerato a dir poco un’originalità, anziché un elemento di diritto»: parola di Giorgio Pia primario del pronto soccorso del Santissima Trinità. Un osservatorio privilegiato il suo per valutare il fenomeno dell’emergenza sanitaria: anche di quella indotta da una cultura che comprensibilmente cerca di allontanare sempre più la vista del fine vita. Un passaggio esistenziale delicato per i parenti del malato, ma anche per medici e infermieri. Controllare e dominare la morte, alleviare le sofferenze, accanimento terapeutico, eutanasia: problemi etici e giuridici esplodono nelle corsie d’ospedale. Se ne è parlato in un incontro dibattito organizzato da Asl 8, Regione e Società italiana di Medicina d’emergenza. Staccare o no la spina che collega il malato alla vita è la punta di un iceberg di questioni che riguardano anche l’organizzazione dell’ospedale. «Il tema della equa distribuzione delle risorse - ha detto Pia - coinvolge ogni tipo di malato ed evidentemente coinvolge tutta la pratica della medicina». La riorganizzazione del sistema sanitario dovrà studiare questi problemi, crocevia di regolamenti, norme morali e deontologia. Ogni giorno al pronto soccorso di Is Mirrionis passano in media 101 persone metà delle quali over 65, il 10% di costoro finisce nelle corsie dei vari reparti di medicina. Il ricovero chiude un’emergenza, che, a cascata, ne apre altre d’ordine psicologico, ambientale e organizzativo. Poca cosa rispetto ai grandi interrogativi posti da un surplus di pietà: eutanasia o accanimento terapeutico? «La prima - ha spiegato Salvatore Pisu, docente di bioetica - rappresenta un tentativo di controllare e dominare la morte in un momento in cui ancora non può essere sconfitta. L’accanimento terapeutico descrive, invece, la stessa difficoltà ad accettare la morte combattendola in tutti i modi e con tutti i mezzi possibili». Gli aspetti giuridici sono stati illustrati da Leonardo Nepi ricercatore alla Lumsa University di Roma, Ilenia Pira ha parlato dell’azione dell’infermiere in area critica. Una cosa è certa: le grandi emergenze arriveranno negli ospedali. «Deospedalizzare, portare la specialistica il più possibile vicino al paziente» sono gli impegni annunciati dall’assessore Liori. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 ott. ’09 CAO: SCONFIGGERE LE MALATTIE DEL SANGUE Al simposio degli ematologi lezione magistrale di Antonio Cao CAGLIARI. La cura delle malattie del sangue sarà legato sempre più legata alle terapie geniche. I percorsi clinici, la ricerca e le prime applicazioni terapeutiche portano verso questo cauto ottimismo. E anche Antonio Cao, professore emerito dell’ateneo, ha confermato lo sviluppo della nuova frontiera nella sua relazione al congresso “Nuovi progressi in ematologie e nella coagulazione”. Presieduto da Roberto Targhetta, specialista del Microcitemico, il simposio si è aperto ieri al T-Hotel ed è stato presentato dal rettore Giovanni Melis. I lavori hanno messo in luce temi attuali, di forte impatto e sociale e molto dibattuti dagli specialisti. Ad esempio, una finestra sui più diffusi farmaci antitrombotici, e sulla necessità di monitorarne l’efficacia, è stata aperta dal cagliaritano Francesco Marongiu. Mentre Giorgio La Nasa e Maria Teresa Lochi di Nuoro hanno affrontato rispettivamente la talassemia e le problematiche affrontate dai trombofilici. «Il programma del convegno ha messo in evidenza alcune delle linee guida della materia, con particolare attenzione alle leucemie e ai problemi della coagulazione. Inoltre, questo confronto - ha spiegato Roberto Targhetta - si è dimostrato di grande interesse anche per gli specializzandi in pediatria». Con oltre 300 iscritti, il simposio prosegue stamani. Ospite d’eccezione il luminare inglese Paul Giangrande. Lo specialista dell’Oxford College interverrà alle 11.15 su «I nuovi farmaci nella terapia dell’emofilia». La sessione sarà aperta da Gianni Monni con una rlazione su “Diagnosi prenatale in emofilia”. In chiusura di mattinata. la relazione di Anna Brigida Aru su “Disordini ereditari delle coagulazione epidemiologica in Sardegna”. _____________________________________________________________ Repubblica 23 ott. ’09 L’INFLUENZA A FA RICCA BIG PHARMA BOOM DEI VACCINI, RICAVI ALLE STELLE Glaxo vende dosi per 3,5 miliardi, volano i conti Novartis ETTORE LIVINI L’INFLUENZA A mette a letto migliaia di persone (378mila casi e 4.545 vittime) ma fa scoppiare di salute i bilanci dei colossi del vaccino. La svizzera Novartis ha annunciato ieri che nel solo quarto trimestre le vendite del Focetria, uno dei tre farmaci anti- H1N1 approvati in Europa, aggiungeranno tra i 400 e i 700 milioni di dollari ai suoi ricavi. UNA pioggia d’oro destinata a gonfiare anche i conti del 2010, visto che la domanda di vaccini pandemici – come ha ammesso l’Organizzazione mondiale per la Sanità – è e rimarrà per un paio d’anni almeno doppia rispetto alla capacità produttiva dei big della farmaceutica. I governi dei paesi più ricchi, non a caso, hanno messo le mani avanti da tempo, prenotando milioni di dosi (il costo è di circa 7,9 dollari l’una, lo stesso dell’anti-influenzale tradizionale) presso le aziende che stanno sviluppando i nuovi prodotti. L’inglese Glaxo ha venduto a 22 nazioni 440 milioni di confezioni del suo Pandemrix, con un incasso già arrivato a 3,5 miliardi di dollari, annunciando che sono in arrivo altri accordi da centinaia di mi- lioni. Vendite da capogiro sono previste anche per il Celvapan della Baxter, per cui è arrivato il disco verde delle autorità nelle ultime settimane. La francese Sanofi ha in portafoglio ordini per 250 milioni dagli Stati Uniti ancora prima dell’ok al suo vaccino, cifra simile a quella che si è già messa in cassa l’australiana Csl. L’Oms stima che il giro d’affari complessivo per il vaccino contro l’H1N1 possa arrivare a quota 20 miliardi di dollari. A dettare le condizioni sul mercato, del resto, sono oggi i produttori: le forniture, visto il boom di richieste, arrivano con il contagocce. Il centro per il controllo delle malattie americano attendeva per fine ottobre una prima tranche di 40milioni di dosi. Ma nella migliore delle previsioni – ha ammesso – ne arriveranno 30 milioni. In attesa del vaccino specifico, privati e ospedali hanno fatto razzia in farmacia di Tamiflu. Le vendite dell’anti-influenzale della Roche – che ha dimostrato una certa efficacia anche nel caso della suina – sono decuplicate nell’ultimo trimestre a 994 milioni di franchi. Mentre la produzione di mascherine anti-virus della 3M è completamente prenotata fino a metà 2010 e ha garantito al gruppo statunitense 80 milioni di ricavi. La scarsa disponibilità di vaccini, com’è naturale in un mondo dove vige la legge del profitto, finirà inevitabilmente per penalizzare i paesi più poveri. Quelli, tra l’altro, dove l’H1N1 rischia di fare più vittime. L’Oms ha provato a fare un’operazione di moral suasion sui produttori e sulle nazioni più sviluppate per garantire scorte adeguate anche ai governi che non hanno i soldi per pagarle. Ma a oggi è riuscita a raccogliere solo una disponibilità limitata di dosi da Sanofi e Glaxo («Noi non siamo un ente di beneficenza», ha risposto Daniel Vasella, numero uno di Novartis) e l’impegno di alcune grandi capitali per girare 300 milioni di farmaci nei prossimi anni a 90 nazioni in via di sviluppo. L’ultima carta da giocare per le nazione “povere” è di rivolgersi alle uniche istituzione che in questi anni si sono mosse per supplire alla mancanza di una geopolitica delle nazioni in campo sanitario: le varie fondazioni filantropiche (da quella di Bill Gates a quella di Larry Allison, il numero uno di Oracle) che hanno investito milioni di dollari per programmi di vaccinazione nel cosiddetto Terzo mondo. Buoni propositi che aspettano ora di diventare gesti concreti. _____________________________________________________________ Sanità New 16 ott. ’09 L’EFFICACIA DEI VACCINI VIENE MESSA IN DUBBIO DA FALSI PROFETI Il vaccino contro l’influenza A ha riaperto la ormai più che decennale polemica sulla presunta inutilità e addirittura sulla paventata dannosità dei vaccini. Davvero i vaccini per il morbillo, parotite e rosolia causerebbero l’autismo? Secondo Paul Offit, un pediatra che ha anche inventato dei vaccini, non c’è nessun nesso tra la vaccinazione e la malattia. Le mamme possono dormire sonni tranquilli e seguire quanto consiglia il pediatra di base. Lo continua a sostenere da anni, da quando ha pubblicato il libro “I falsi profeti dell’autismo” che si basava su uno studio, ora considerato quasi ridicolo, pubblicato nel 1998 sulla prestigiosa rivista medica Lancet Tutto è partito dal vespaio sollevato dal dottore britannico Andrew Wakefield, che nel 1998 collegava i vaccini all’autismo. Anni dopo Wakefield e' stato licenziato per condotta non etica e per conflitto di interesse dal momento che , ai tempi della pubblicazione si faceva pagare 55.000 sterline per patrocinare una causa contro i produttori di vaccino e la rivista Lancet ha fatto pubblica ammenda per aver consentito la pubblicazione dell' articolo . Le conseguenze di questa vicenda durano fino ai nostri giorni dal momento che sono in aumento i genitori che hanno deciso di non fare vaccinare i propri figli dimenticando che una minima percentuale di reazioni avverse non può certo paragonarsi ai milioni di vite umane salvate attraverso i vaccini. Secondo i più accreditati infettivologi l'uso del vaccino deve sempre essere incentivato. Le vaccinazioni sono efficaci e sono sicure. I calendari vaccinali, nei quali sono riportate le vaccinazioni raccomandate, non devono essere statici e immutati ma devono essere rivisti e aggiornati ogni anno e anche più, in base alle nuove esigenze epidemiologiche. Spetta alle Società Scientifiche, tra cui la Federazione italiana medici pediatri, adoperarsi per determinarne un continuo aggiornamento. I vaccini rappresentano il futuro: riducono i casi di malattia e i ricoveri ospedalieri, migliorando la salute del bambino. Si pensi ai vaccini contro la meningite (pneumococco, meningococco, emofilo tipo b) che, nelle regioni dove la campagna vaccinale è stata attiva, hanno ridotto l'incidenza della meningite e della setticemia, insieme a quella delle infezioni non invasive, come l'otite e la polmonite. Per quanto riguarda, poi, il vaccino contro il Rotavirus, va ricordato che, oltre a essere efficacissimo e sicuro al massimo, è di facile somministrazione perché viene dato per bocca: la sua efficacia arriva e supera il 90%. La sanità pubblica, tuttavia, non lo ha inserito fra quelli raccomandati, vale a dire da somministrare gratuitamente, una scelta che rallenta la sua diffusione fra i nuovi nati. Il suo uso limiterebbe i frequenti episodi di diarrea del lattante, riducendo il numero dei ricoveri ospedalieri e degli esiti invalidanti. Il vaccino della varicella, una delle malattie infettive esantematiche più diffuse nel bambino, si trova in una situazione analoga, perché questo vaccino è entrato nel calendario vaccinale solo in alcune regioni (Sicilia, Veneto, Toscana, Puglia e poche altre). ___________________________________________________________ Sapere Ott. ‘09 DETERMINISMO BIOLOGICO: PIÙ CHE SCIENZA FU PREGIUDIZIO Anna Maria Rossi L'idea che si possano distinguere gruppi umani sulla base delle caratteristiche fisiche o psichiche non ha fondamento scientifico. E la genetica lo ha confermato Il determinismo biologico è un'idea vecchia, screditata sul piano scientifico, ma che riemerge di tanto in tanto, per riaffermare la tesi della superiorità dei bianchi, dogma centrale dell'etnocentrismo imperante della cultura occidentale, e per giustificare le disuguaglianze sociali e garantire i privilegi politici ed economici dei gruppi di potere. Il suo principio di base è che fattori biologici innati possano determinare - interamente o quasi - le caratteristiche di un individuo, sia fisiche che psichiche. Quindi, come sono biologicamente innati il colore della pelle e degli occhi, così lo sarebbero anche le facoltà mentali, le attitudini, le capacità, i comportamenti sociali o le tendenze criminali. Di riflesso, le differenze biologiche tra gli individui costituirebbero il fondamento naturale e, perciò stesso, immutabile da cui scaturirebbero le differenze socioeconomiche per classe, censo, sesso, etnia e via dicendo. La scuola del determinismo biologico porta la responsabilità di aver fornito pretesti per giustificare la xenofobia, lo schiavismo, il colonialismo, la segregazione di gruppi etnici minoritari, la persecuzione e persino il genocidio. LE RADICI STORICHE DEL RAZZISMO BIOLOGICO La storia della scienza è costellata da tentativi di definire le razze umane secondo criteri scientifici che sono stati spesso contaminati da preconcetti e credenze popolari. Tra Settecento e Ottocento, l'antropologia fisica si proponeva di classificare i tipi umani in base a parametri antropometrici, ricalcando il sistema tassonomico già in uso per gli animali da allevamento. Tra i parametri antropometrici riscosse un certo consenso l'indice cefalico (rapporto tra la larghezza e la lunghezza del cranio), introdotto da André Retzius (1796-1860) e adottato con entusiasmo dalla comunità scientifica internazionale, in particolare da Paul Pierre Broca (1824-1880), che tentava però di accreditarlo anche come indice morale e caratteriale. Avanzando nella stessa direzione, Cesare Lombroso riesumò in veste pseudoscientifica la fisiognomica, disciplina aristotelica, che pretendeva di poter inferire il temperamento di una persona dalle sembianze fisiche, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto. In particolare, secondo Lombroso, il criminale porterebbe scritta in faccia la sua condanna biologica, di un essere antisociale per natura, inevitabilmente portato al delitto (1). Charles Darwin non mancò di rimarcare la confusione che derivava dalle diverse classificazioni: «L'uomo è stato studiato più attentamente di qualsiasi altro animale, eppure c'è la più grande varietà di giudizi fra le persone competenti riguardo a se possa essere classificato come una singola razza oppure due (Virey), tre (Jacquinot), quattro (Kant), cinque (Blumenbach), sei ($uffon), sette (Hunter), otto (Agassiz), undici (Pickering), quindici (Bory de St- Vincent), sedici (Desmoulins), ventidue (Morton), sessanta (Crawford) o sessantatre secondo Burke». Mentre i suoi contemporanei sembravano risoluti a stabilire improbabili linee di demarcazione tra i gruppi umani, Darwin, ne L'origine dell'uomo (1871), osservava che «le razze umane non sono abbastanza distinte tra loro da abitare la stessa regione senza fondersi; e l'assenza di fusione offre la prova usuale e migliore della distinzione tra specie». Nel ritenere secondarie le differenze fisiche tra le razze, era convinto che vi fosse una grande uniformità in quelle caratteristiche veramente importanti, morali ed intellettuali, che contraddistinguono la specie umana. La questione di fondo che scredita molte classificazioni è che sono spesso basate su luoghi comuni e osservazioni pseudoscientifiche che non riescono a stabilire nessun confine tra i gruppi umani. Come osserva Guido Barbujani: «Il problema delle classificazioni in base a caratteri antropometrici [e poi vedremo vale anche per quelli genetici] è che è sempre possibile separare dei gruppi per un singolo 0 pochi caratteri ma questi gruppi non corrispondono a quelli che si ottengono con un altro gruppo di caratteri. Nessuno dei parametri presi in considerazione di volta in volta è sufficiente per caratterizzare una razza umana, perché comunque sia definito il gruppo è sempre omogeneo per quel carattere e molto eterogeneo per tutti gli altri» (2). L'EUGENETICA E L'IGIENE RAZZIALE Uno dei più prolifici esponenti dell'antropologia fisica fu Francis Galton (1822-1911), cugino di Darwin e fondatore dell'eugenetica. Poiché il genere umano gli sembrava avviato verso un progressivo declino, Galton suggeriva di salvaguardare le generazioni future, anche ricorrendo alla selezione artificiale dei caratteri più favorevoli. Da questa cornice teorica prese l'avvio il darwinismo sociale, che avrebbe dapprima aperto la strada alle pratiche eugenetiche e, in seguito, fornito al nazismo le basi per l'ideologia dello sterminio. Nella Germania degli anni Trenta fu avviato il progetto eugenetico segreto Aktion T4, che portò a sterilizzare più di 400.000 persone e a eliminarne altre 200.000 fino al 1941 per sfociare, negli ultimi anni del regime, nell'Olocausto. Le pratiche eugenetiche non erano però una novità nel panorama occidentale. Già nel 1916, il politologo americano Madison Grant aveva sposato le tesi del rischio di involuzione della civiltà occidentale, a suo modo di vedere minacciata dalla massiccia immigrazione dall'Est e dal Sud dell'Europa. Solo la promulgazione di leggi per limitare l'immigrazione e sterilizzare i "degenerati" avrebbe salvato il paese. Le politiche di contenimento dell'immigrazione si avvalsero dell’Immigration act, promulgato nel 1924 e incorporato nei codici di molti Stati. Questo provvedimento limitava l’ingresso di coloro che non avessero ottenuto un punteggio minimo nei test di intelligenza (3). Venivano così tenuti fuori soprattutto gli analfabeti, tra cui tanti dei nostri emigranti (la fuga dei cervelli non era ancora tra le forme prevalenti di emigrazione) e molti ebrei polacchi, tedeschi, nissi, che venivano così ricacciati nella barbarie delle persecuzioni naziste e staliniste. Intanto, venivano avviati programmi di igiene razziale che nella maggior parte degli Stati Uniti rimasero in vigore fino alla fine degli anni Settanta del Novecento (4). La legittimità della sterilizzazione coatta fu confermata dalla Corte suprema nel 1927 sulla base della considerazione che «tre generazioni di imbecilli sono sufficienti» (7). Grant continuò a sostenere posizioni sempre più infondate sul piano biologico e sempre più intolleranti per i risvolti politici: «Il discendente di un incrocio tra un bianco ed un indiano è un indiano, tra un bianco ed un negro è un negro... tra un europeo ed un ebreo è ebreo» (O. Nell'intransigenza di alcune sue affermazioni possiamo cogliere un'anticipazione c!i quella che sarà la politica hitleriana: «Si comincia sempre con i criminali, i malati e i pazzi e si estende gradualmente ai tipi che potremmo chiamare deboli piit che affetti da deficit e forse in fin dei conti ai tipi razziali di scarso valore» (7). Dalla stessa cornice teorica trassero ispirazione i paesi scandinavi, motivati principalmente dalla necessità di ridurre le spese per l'assistenza sociale. [I progetto "filantropico' di pianificazione demografica iniziato negli anni Trenta venne interrotto intorno agli anni Settanta, ma in Svezia i suoi effetti furono resi noti soltanto nel 1997: erano state sterilizzate 170.000 persone. in gran parte donne, indigenti e senza fissa dimora che vivevano a carico dei servizi sociali. Nel Frattempo i promotori del progetto, Crunnar e Alva P-lyrdal, erano stati entrambi insigniti del premio Nobel: lui per l’economia, nel 1974; per la pace lei, nel 1952. APPARTENIAMO TUTTI ALLA STESSA SPECIE? La risposta a questa domanda divise i sostenitori del determinismo biologico in due correnti contrapposte. Da una parte, i monogenisti, i quali, rifacendosi alla Bibbia, sostenevano che tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le regioni della terra discendessero da un unico atto creativo. La varietà di razze sarebbe una conseguenza della cacciata di Adamo ed Eva dall'Eden, il frutto corrotto della perfezione originaria, per dirla con Johann Blurnenhach. Dall'altra parte, la corrente poligenista, maturata sotto I'influenza di Samuel Morton e di Louis .Agassiz in America e di Paul Broca in Europa, per i quali le differenze tra razze si spiegavano solo ipotizzando origini distinte. Ogni razza sarebbe stata creata separatamente, nel continente che ancora oggi popola: gli europei (o caucasici) in Europa, i negri in Africa e gli asiatici in Asia. E che dire degli indigeni americani? Non essendo menzionati nella Bibbia, questi venivano classificati come preadamiti, cioè venuti prima della stirpe di Adamo. Così, a dispetto della morale cristiana, i nativi americani potevano subire torture, genocidi e simili atrocità, legittimate dalla loro condizione di selvaggi. Mentre si tentava ogni possibile acrobazia per negare legami con le razze inferiori, Darwin proponeva una parentela addirittura con le scimmie. Nel secolo scorso la corrente poligenista ebbe un revival con Carleton Coon. Secondo l'antropologo americano prima del passaggio da Homo erectus a Homo sapiens esistevano cinque razze o sottospecie, che si sarebbero poi evolute indipendentemente. Dunque, Homo sapiens sarebbe comparso cinque volte e in momenti diversi, ogni volta «superando una soglia critica da una condizione più brutale ad una più sapiente» (8), secondo una gerarchia che vede al vertice gli europei e al fondo gli africani, congenitamente inferiori. C'è un solo un piccolo dettaglio da considerare: se così fosse non sarebbero razze ma specie differenti. IL RAZZISMO SCIENTIFICO L'artificio del pensiero biodeterminista è quello di partire dalla classificazione basata su connotati fisici, per esempio il volume cranico, il grado di prognatismo 0 l'indice cefalico, cd arrivare poi a sostenere l'esistenza di un legame tra questi ed i tratti comportamentali. La forza del pregiudizio deriva dal sottintendere che aspetti della componente psichica siano innati e caratteristici di ciascuna razza o gruppo sociale. In aperto disaccordo con le teorie razziste del suo tempo, Franz Boas dichiarava: «Troppi studi sulle caratteristiche psichiche delle razze si basano prima di tutto sulla presunta superiorità del tipo razziale europeo e poi sull'interpretazione di ogni deviazione da questo come segno di inferiorità mentale. Quando il prognatismo dei negri viene interpretato in tal senso, senza che si sia provata una connessione biologica tra la forma delle mascelle e il funzionamento del sistema nervoso, si commette un errore. (...) Questo è un ragionamento di tipo emotivo, non scientifico» (9)- Incuranti delle critiche, i biodeterministi continuavano ad alimentare il razzismo scientifico che finiva poi per diventare oggetto di pesanti strumentalizzazioni politiche anche in Italia Nel 1938, l'inizio ufficiale della campagna razziale fascista fu segnato dal cosiddetto «Manifesto degli scienziati razzisti», sottoscritto da un comitato di dieci "esperti" (10). Tra il settembre dei 1938 e il giugno del 19,39 vennero emanate le leggi razziali che portarono prima all'allontanamento dalle scuole pubbliche di docenti e studenti ebrei e stranieri, poi sempre di più alla loro emarginazione sociale, con il divieto di esercitare le professioni, fino alla deportazione e all'eliminazione fisica nei campi di concentramento e di sterminio. Istruttivo, per rendersi conto di come cambiano pregiudizi e luoghi comuni, questo brano di Guido Landra, tratto da un articolo «Italiani e Francesi, due razze, due civiltà» che asseriva: «II concetto di una fraternità razziale latina non ha nessuna base di verità» (11). Anche se gli stereotipi possono cambiare al mutare delle circostanze, l'idea di fondo resta quella che non tutti possono avere gli stessi diritti. E chi ha bisogno di un nemico può facilmente inventarsene uno, attuale o potenziale. Che sia basata su diversità sessuali o linguistiche, socio-culturali o religiose, oppure fisiche e razziali, la discriminazione spesso prefigura la negazione della libertà e della dignità dell'uomo. DALL'ANTROPOLOGIA ALLA GENETICA Ai primi del Novecento vengono riscoperte le leggi di Mendel e anche lo studio dei caratteri ereditari, inquadrato nell'ottica determinista, rischia di trasformarsi in uno strumento per legittimare le disuguaglianze sociali. Il concetto d trasmissione ereditaria dei caratteri semplici, formulato da Mendel, viene arbitrariamente esteso alla sfera delle caratteristiche complesse, intellettuali, psichiche e morali della persona. Si tenta di ridurre l'identità dell'uomo all'espressione diretta della sua costituzione genetica, il suo modo di agire viene ritenuto determinato a priori da un meccanismo biologico. Si cerca di diffondere la convinzione che l'azione dei geni controlli direttamente la conformazione delle reti di neuroni, dando luogo a comportamenti prefissati (72). Dall'assunto per cui le caratteristiche psichiche sarebbero geneticamente determinate. Richard I-Ierrnstein e Charles Murrav danno per certo che dal livello di intelligenza (13) di un individuo si possa prevedere quale sarà il suo stato socio-economico e la sua propensione alla criminalità o, viceversa, ad occupare i posti migliori nella società (14). Adducendo a sostegno delle loro tesi presunte evidenze basate su studi inadeguati, in cui sia la definizione di intelligenza che quella di razza sono assai discutibili, arrivano ad asserire che la scala sociale è fondamentalmente equa, in quanto coerente con il valore intrinseco delle persone. Negano così l'utilità dei programmi di scolarizzazione di massa, degli interventi rieducativi rivolti ai detenuti e, in breve, di ogni provvedimento a sostegno delle categorie socialmente disagiate. Facendo leva su una concezione erronea del ruolo dei geni, i due politologi americani riprendono i temi dell'eccessiva fecondità dei ceti subalterni che rappresenta un pericolo di degenerazione fisica e morale dell'intera società. «I neri poveri fanno tanti figli mentre i bianchi ricchi ne fanno pochi e così si rischia che l'America diventi sempre più stupida. (...) bisognerebbe spostare gli investimenti sociali a sostegno delle famiglie povere a favore delle famiglie ricche. (...) perché i più intelligenti hanno più probabilità di conseguire un titolo di studio, di avere redditi alti. (...) e minore probabilità di finire in prigione e di divorziare» (15). SONO GLI INDIVIDUI A FARE LA DIFFERENZA Orinai molti studi convergono nell'affermare che la famiglia umana nasce in Africa, da dove circa centomila anni fa parti la diaspora che portò la nostra specie ad espandersi sull'intero pianeta. Nel corso di queste migrazioni ha avuto luogo un processo continuo di rimescolamento genetico, anche se alcune popolazioni sono rimaste più isolate e si sono maggiormente diversificate. «E d'altra parte, la diversità genetica tra gli individui è tale da rendere vuoto il concetto di razza e priva di fondamento scientifico l'idea di superiorità genetica di un qualsiasi popolo su di un altro, non perché tutti gli uomini siano uguali ma proprio perché sono tutti geneticamente diversi. Quelle che noi vediamo come differenze tra africani ed europei, per esempio, sono soprattutto adattamenti alle diverse condizioni climatiche, avvenuti mano a mano che gli uomini si spostavano da un continente all'altro» (16). Il nostro patrimonio genetico (o genoma) è costituito di DNA, per un totale di circa tre miliardi di coppie di basi. Il genoma di un individuo, o meglio il suo genotipo (17), si diversifica mediamente da quello di chiunque altro, non imparentato, di tre milioni di coppie di basi, cioè di circa l'uno per mille (18). Questo valore ci può sembrare piccolo e può essere grande, ma in realtà più della differenza media ci interessa capire quali effetti abbia la diversità e come sia distribuita. II genotipo di due gemelli monozigotici (che derivano da un singolo uovo fecondato) è identico, mentre i genotipi dei gemelli dizigotici, come quelli di due fratelli, sono mediamente uguali al 50%, ma possono essere tra loro molto più simili o molto più differenti per effetto del rimescolamento casuale dei geni e dei cromosomi durante la maturazione delle cellule germinali (uova e spermatozoi) dei genitori. I genotipi di due cugini di primo grado sono mediamente uguali al 25%; al 12,5% quelli di cugini di secondo grado: poiché il livello di somiglianza è proporzionale al numero di progenitori comuni, la probabilità delle differenze genetiche aumenta in proporzione al grado di parentela, che è come dire che le somiglianze tra due individui sono maggiori quanto più è alto il numero di progenitori comuni. Comunque siamo tutti parenti più o meno prossimi. Per capire fino a che punto, si può prendere in considerazione una simulazione fatta da Douglas Rohde e collaboratori, i quali hanno calcolato che due persone prese a caso sulla Terra hanno un'altissima probabilità di condividere almeno un antenato comune vissuto non più di tremila anni fa (19). La distanza generazionale del progenitore comune rispetto a due individui attualmente viventi può dipendere dalle coordinate geografiche: un italiano può facilmente aspettarsi di trovare un ascendente comune con un nativo americano in un punto remoto della sua genealogia e mentre lo troverà in un punto molto più prossimo con un suo conterraneo. Qualunque tratto specifico di DNA può presentarsi in molteplici forme distinte (o alleli), che si diversificano per una o più coppie di basi (20). Un esempio semplice è quello del fattore Rh, un gruppo sanguigno che viene ereditato in due forme, Rh positivo o Rh negativo. La frequenza di ciascun tipo può variare da una popolazione all'altra. Per esempio, se si confronta la percentuale di individui Rh negativi tra gli inglesi (16%) e tra i baschi (25%), si ottiene una differenza di 9 punti percentuali, che può essere assunta a misura della distanza genetica tra le due popolazioni. Tra inglesi ed asiatici la differenza è maggiore (16 punti percentuali) indicando che la distanza genetica è funzione della distanza geografica, da cui dipende la probabilità di rimescolamento genetico dei due gruppi di appartenenza (21). Ma sapendo che un individuo è Rh negativo possiamo attribuire la sua origine all'una o all'altra popolazione? Ovviamente no, e neanche viceversa se prendessimo un inglese a caso potremmo sapere se è Rh negativo o positivo. Sapremmo solo che ha il 16% di probabilità di essere Rh negativo. Ma, forse, se prendessi un altro gene? e poi un altro ancora ...è possibile identificare dei marcatori genetici che permettano di distinguere le diverse popolazioni? Ogni popolazione possiede un campionario molto ampio di forme alleliche (biodiversità) che rappresentano circa l’85% della variabilità totale. Quindi la variazione genetica tra gruppi diversi è ristretta alla porzione rimanente (al massimo il 15%). L'Africa, punto d'origine della famiglia umana, è più ricca di biodiversità di qualunque altro continente. Mentre il continuo rimescolamento nell'ambito di una stessa area geografica o tra zone limitrofe tende a renderé simili popolazioni originariamente diverse, tra quelle separate, anche se in inizialmente identiche, la divergenza tende ad aumentare a causa della comparsa di nuove mutazioni, della deriva genetica (22) (se rimangono isolate dal punto di vista riproduttivo per numerose generazioni), o per effetto della selezione differenziale (se sono esposte ad ambienti molto diversi). Lo studio di un gran numero di geni rivela che le differenze tra i gruppi sono più quantitative che qualitative. riguardano prevalentemente le frequenze delle diverse forme alleliche, ma quasi tutti gli alleli si possono trovare in tutti i gruppi. Inoltre, le differenze genetiche di ciascun gruppo sfumano le une nelle altre in maniera graduale (23), il che impedisce di stabilire, almeno dal punto di vista genetico, confini di separazione netti tra diverse popolazioni umane. Anche Darwin aveva colto la gradualità del cambiamento: «Non esiste razza senza transizione dall'una all'altra ed ogni razza mostra variazione di colore, capelli e aspetto e forma, ad un tale grado da coprire in larga misura la distanza che la separa dalle altre. (...) Nessuna razza è omogenea, tutte tendono a variare» (24). È come quando si guarda l'arcobaleno, si distinguono bene il blu dal verde, 0 l'arancio dal rosso, ma non si può individuare una linea di separazione netta tra una sfumatura e l'altra. È così anche per il colore della pelle, e per le varianti alleliche che lo sottendono: esiste un'ampia gamma di sfumature, che hanno un valore adattativo in specifiche condizioni ambientali. In altre parole, dove c'è un'intensa esposizione al sole, il colore è generalmente più scuro, perché questo pone gli individui al riparo dagli effetti dannosi della luce UV (cancro della pelle), mentre dove l'esposizione è minore, la carnagione tende a essere più chiara, perché così aumenta l'assorbimento della luce attraverso la pelle che è necessario per la sintesi di vitamina D. Il valore adattativo di queste differenze può spiegare perché il colore sia diverso tra gli individui che abitano regioni diverse, per esempio di origine africana, europea o asiatica, ma in questo confronto perdiamo di vista la gradualità che invece osserviamo tra gruppi che vivono in regioni contigue. La maggioranza delle varianti alleliche oggi esistenti è presente in tutte le popolazioni, proviene dal patrimonio ancestrale comune, quello dei nostri antenati che mossero dall'Africa, e si è arricchito attraverso una serie ininterrotta di scambi genetici tra i vari popoli del mondo. In alcuni casi rari, una forma allelica è presente in una o poche popolazioni, ma si tratta di un'eccezione e non di una regola. Per esempio, alcune varianti dei geni dell'emoglobina sono state trovate esclusivamente in popolazioni esposte ad ambienti malarici: i portatori di quegli alleli sono meno suscettibili agli effetti letali della malattia. Comunque, se una variante è presente solo in una o poche popolazioni, in genere non è molto comune neanche in quelle popolazioni. D'altra parte è molto probabile che alleli rari siano presenti solo in uno o pochi gruppi. Cavalli-Sforza, Menozzi e Piazza hanno ricostruito un atlante genetico del mondo, proprio analizzando la distribuzione dei polimorfismi di centinaia di geni nelle diverse popolazioni, ed i loro risultati dovrebbero essere di monito a chi vuol far rivivere il mito delle razze: «I gruppi che formano la popolazione umana non sono nettamente separati, ma costituiscono un continuum. Le differenze nei geni all'interno di gruppi accomunati da alcune caratteristiche fisiche visibili sono pressoché identiche a quelle tra i vari gruppi e inoltre le differenze tra singoli individui sono più importanti di quelle che si vedono fra gruppi razziali. (...) Razzismo significa attribuire, senza alcun fondamento, caratteristiche ereditarie di personalità o comportamento a individui con un particolare aspetto fisico. Chiamiamo razzista chi crede che l'attribuzione di caratteristiche di superiorità o inferiorità ad individui con un determinato aspetto somatico abbia una sua spiegazione biologica. (.,J La nozione di razza si applica bene ai cavalli e ai cani, ma non può essere trasferita alla specie umana. (...) Il colore della pelle, il colore e l'aspetto dei capelli e i tratti fisiognomici riflettono differenze superficiali che non sono confermate da analisi più appropriate fatte sui caratteri genetici. (...) L'origine di tali differenze è relativamente recente e non è significativa rispetto ad alcun connotato psichico o culturale. (...) Avere la pelle bianca o nera non è significativo dal punto di vista delle reali differenze genetiche tra due individui e tanto meno delle loro diverse abilità» (25). BASI AMBIENTALI DELLA DIVERSITÀ UMANA Che cos'altro ci dicono le differenze genetiche sulla diversità umana? La diversificazione tra gli individui non deriva solo dalle differenze genetiche, ma in gran parte dall'ambiente, inteso in senso lato, da ciò che mangiamo, respiriamo, leggiamo, vediamo, sentiamo, cioè da tutte le esperienze che facciamo quotidianamente e che producono dei segnali che modificano il funzionamento dei nostri geni. Ne è una prova il fatto che i gemelli identici, pur avendo lo stesso patrimonio genetico, si somigliano moltissimo da piccoli, quando le influenze dell'ambiente sono ancora contenute, ma tendono a differenziarsi sempre di più nel corso della vita adulta. I geni sono importanti, ma non sono tutto in quanto la maggior parte dei nostri caratteri non dipende dall'azione di un singolo gene, né solo dall'azione dei geni, ma è fortemente influenzata dall'ambiente. Come nota Craig Venter: «Semplicemente, non abbiamo abbastanza geni perché t'idea di determinismo biologico possa essere giusta. La meravigliosa diversità della specie umana non è fissata nel nostro codice genetico. È il nostro ambiente che è determinante» (26). Venter era a capo della Celera Genomics, un'impresa privata, che, parallelamente al Consorzio internazionale per il sequenziamento del genoma umano, ha portato a termine la prima fase del Progetto Genoma nel 2001. Gli sviluppi di questo programma, e soprattutto la possibilità di utilizzare i metodi ed i modelli che sono stati elaborati per portarlo avanti, hanno riacceso il dibattito sulle razze. Anche gli studi più recenti hanno confermato che siamo tutti diversi, che non c'è modo di stabilire confini netti tra un gruppo ed un altro, e che, tranne rare eccezioni, non ci sono varianti alleliche presenti in tutti gli individui di una popolazione e assenti in un'altra. Prendiamo un carattere complesso (27) come l'altezza: la variabilità è molto ampia all'interno di qualunque popolazione, ma anche tra popolazioni dello stesso continente, per esempio tra Masai e Pigmei in Africa; e tra greci e scandinavi in Europa. Sembra quindi intuitivo che non possiamo basarci sull'altezza per definire le razze. Si potrebbe suddividere la popolazione umana in un numero praticamente infinito di gruppi, basati di volta in volta su una o alcune variabili genetiche, ed il significato di queste suddivisioni varierebbe in un numero praticamente infinito di modi. Visto che le variazioni riguardano quasi esclusivamente le frequenze dei diversi alleli, ne consegue che qualunque modo di definire le razze uma ne è solo arbitrario. Nel contempo, si è risvegliato l'interesse sulle potenzialità di interpretare, in termini di costituzione genetica, altri caratteri complessi come l'intelligenza, il comportamento, i processi psichici e le malattie mentali. Sebbene i progressi del progetto genoma abbiano aperto la strada alla comprensione di molti fenomeni biologici, gli studi sui caratteri complessi sono ancora ad uno stadio preliminare e siamo ancora molto lontani dal saper decifrare il ruolo che hanno i geni nel definire molti di questi tratti. Se anche un carattere fosse sotto il controllo di un singolo gene, non andrebbe immaginata una relazione meramente deterministica, che implicherebbe che ciò che è innato è di per sé immodificabile. Per esempio, la fenilchetonuria è un difetto genetico legato a una variante allelica del gene PAH. La malattia si manifesta come ritardo mentale grave solo se il neonato portatore del difetto viene alimentato con una dieta normale, mentre un regime dietetico privo di fenilalanina previene le anomalie nello sviluppo mentale (la fenilalanina è un amminoacido presente nelle proteine). Quindi, la componente ereditaria stabilisce i limiti di quello che possiamo essere o diventare, mentre quello che siamo discende da un rapporto dialettico tra la costituzione genetica, l'ambiente ed il caso, come illustra anche l'esempio di Paul Davies: «Un recente studio sull'orecchio assoluto, cioè la capacità di riconoscere l'esatta tonalità di una nota, dà buoni motivi per ritenere che essa derivi da un singolo gene ereditario. Questo può sembrare un esempio lampante di determinismo biologico, ma c'è un corollario fondamentale: si deve aver ricevuto un'educazione musicale precoce perché quest'abilità si manifesti. In altre parole, anche nelle caratteristiche in apparenza semplicemente ereditarie l'ambiente gioca un suo ruolo» (28). Quindi, da una parte c'è la nostra costituzione genetica, ereditata dai nostri antenati e che rappresenta il nostro potenziale, e dall'altra l'interazione tra fattori interni ed esterni, che incidono poi sul passaggio dalla potenzialità all'attualità. Per dirla con Barbujani: «Non tutti abbiamo gli stessi limiti e non tutti, allenandoci sistematicamente, vinceremmo il premio Nobel o il Tour de France, ma con una buona alimentazione si diventa mediamente più alti e basta confrontarsi con i propri nonni per accorgersene. Però nessuno diventerà alto tre metri perché per quella statura ci vorrebbero i geni che noi non abbiamo (e le giraffe si)» (29). Nonostante la grande espansione di conoscenze sul genoma umano, molte domande sono ancora senza risposta. Non è ancora chiaro quali e quanti fattori genetici agiscano sull'intelligenza, comunque essa possa essere definita, ma sono state accumulate ulteriori prove dell'influenza dei fattori socio-economici e culturali. Nessuna analisi genetica sarà mai un oracolo da cui trarre previsioni per il nostro futuro. Ciò che siamo scaturisce da un complesso intreccio di influenze reciproche tra ciò che è dentro e ciò che è fuori di noi, con una buona dose di casualità che gioca un ruolo importante nel rendere tutto più imprevedibile. «Il nostro cervello è il risultato unico e irripetibile di processi di sviluppo non deterministici e in gran parte stocastici» (30). Data la complessità intrinseca, la ricerca sui fattori biologici che condizionano i processi mentali esige quindi un'attenta considerazione dei pericoli insiti in un approccio riduzionista: il modello semplicistico che fa coincidere lo sviluppo alla decodificazione di un programma prefissato contenuto nel nostro D.RTA non è credibile alla luce delle moderne acquisizioni della genetica. «C'è chi parla del genoma come di qualcosa di sacro ed inviolabile, come luogo in cui risiede ciò che costituisce la nostra umanità. Ammesso che nel nostro DNA sia scritto il nostro futuro, non possiamo non tener conto del fatto che parole identiche hanno significati diversi in contesti differenti e funzioni molteplici anche nello stesso contesto» (31). La scuola del determinismo biologico ha spesso giocato sul núto che la scienza si fondi su dati oggettivi, affermando di trattare il tema dell'ineguaglianza come una questione puramente scientifica e sostenendo che le proprie posizioni fossero libere da contaminazioni ideologiche o da considerazioni di ordine sociale, politico o religioso AL contrario, essa ha alimentato teorie ad hoc, snaturando e distorcendo i concetti dell'antropologia prima, e della genetica poi, per tenere in vita il mito delle razze. Cercando di erigere inverosimili barriere tra i gruppi umani, si è confusa l'identità religiosa con l'appartenenza etnica (si pensi al caso degli arabi o degli ebrei), la competizione per il potere o per l'egemonia politica scambiata per conflitto razziale: si pensi a baschi e spagnoli, hutu e tutsi, serbi e croati, popolazioni simili, territorialmente confinanti con secoli di convivenza e di rimescolamento genetico alle spalle. E, soprattutto, si è tentato di negare il peso della cultura, della religione e della lingua, costrutti basilari nella costituzione dell'identità della persona, ma estranei alla biologia. (1) LotHEaoso C., L'uomo delinquente (1889). (2) Bmtsujnxi G., L'invenzione delle razze, Bompiani, 2006. (3) Fu l'antropologo Henry H. Goddard (1866-1957) a suggerire di utilizzare i test per comparazioni razziali. Gli immigrati appena sbarcati in America venivano sottoposti ai test, in lingua inglese, ed ottenevano dei risultati così scarsi che "dimostravano" che il loro ingresso avrebbe inevitabilmente portato alla rovina la popolazione residente. Per un'ampia trattazione sull'argomento si veda Govi.n S J., Intelligenza e pregiudizio, Zanichelli, 2005. (4) Nel 1911, ]'Associazione Eugenetica Americana individuava dieci gruppi socialmente inadatti e candidati all'eliminazione. Nel primo gruppo erano collocati gli psicolabili, nel secondo gli indigenti, nel terzo gli alcolisti, nel quarto i criminali di tutti i tipi, anche imprigionati per reati minori, nel quinto gli epilettici, nel sesto i folli, nel settimo il ceto costituzionalmente debole, nell'ottavo le persone predisposte a specifiche malattie, nel nono i deformi, nel decimo i portatori di deficit sensoriali, come sordi, ciechi e muti, senza ulteriori distinzioni. Si noti che la povertà era considerata come una malattia ereditaria. (5) La sentenza si riferisce al caso di Carrie Buck che, essendo debole di mente, figlia di una donna debole di mente, e madre di un figlio debole di mente, presentò ricorso contro l'intervento di sterilizzazione forzata, già predisposto in base alla legge vigente nello stato della Virginia. II ricorso venne respinto dalla corte suprema e Carrie fu sterilizzata come altri 8300 concittadini nel solo stato della Virginia tra il 1922 ed il 1981. (6) La legge, denominata One drop law, fu adottata negli statuti di molti stati a partire dal 1910 e nonostante che la Suprema Corte l'abbia dichiarata illegale nel 1967 ha ancora una pesante influenza sulla cultura e la politica negli USA. (7) Madison Grant, T.hepassing of the great race(1916), consultabile on-line: www.jrbooksonline.com/PDF Books/ PassingOfGreatRace.pdf. (8) Coorr C., ne origin of races, Alfed A. Knopf, 1963. (9) Bons F., ne Mind of Primitive Man, Macmillan Company, 1911, uno dei volumi che i nazisti diedero alle fiamme nel 1943. (10) On. Prof. Sabato Visco: Direttore dell'Istituto di Fisiologia Generale dell'Università di Roma e Direttore dell'Istituto Nazionale di Biologia del CNR; Dott. Lino Businco: Assistente di Patologia Generale all'Università di Roma; Prof. Lidio Cipriani: Incaricato di Antropologia all'Università di Firenze; Prof. Arturo Donaggio: Direttore della Clinica Neuropsichiatrica del- l'Università di Bologna e Presidente della Società Italiana di Psichiatria; Dott. Leone Franzi: Assistente nella Clinica Pediatrica dell'Università di Milano; Prof. Guido Landra: Assistente di Antropologia all'Università di Roma; Sen. Prof. Luigi Pende: Direttore dell'Istituto di Patologia Speciale Medica dell'Università di Roma; Dott. Marcello Ricci: Assistente di Zoologia all'Università di Roma; Prof. Franco Savorgnan: Ordinario di Demografia all'Università di Roma e Presidente dell'Istituto Centrale di Statistica; Prof. Edoardo Zavattari: Direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma. (11) La difesa della razza I, 5: 21 (1938). (12) Btnnrn M., Il benevolo disordine della vita, UTET, 2004. (13) Molti dei cosiddetti "test di intelligenza" tendono a misurare l'abilità di apprendimento in relazione alla capacità di utilizzare cognizioni acquisite, che dipendono fortemente dalle opportunità di apprendimento pregresse (grado di acculturazione), mentre sarebbe più corretto misurare la capacità di apprendimento di nozioni fornite al momento del test (test dinamici), che sono invece poco diffusi e che comunque valutano solo una pane delle funzioni cognitive. (14) HExruvs~ RJ., MuxxnY C., The Bell Curve, Free Press, 1994. (15) H~sTEIN R J., Mcrxxr.Y C., Ibid. (16) BnxsuJatvr G., op. cit. (17) Il genoma è il patrimonio genetico che caratterizza la specie, il genotipo l'individuo. (18) La differenza media tra i DNA di due esseri umani è di poco più piccola di quella tra il DNA umano e quello di uno Scimpanzé, il nostro parente più prossimo, che è del 2-5%, cioè due-cinque nucleotidi su 100. Comunque si ritiene che la maggior parte delle differenze non abbia effetto su specifici caratteri visibili (fenotipo). (19) RoanE D. et al., Mvdelling the recent common ancestry of all living humans. Nature 431, SG2-G, 2004. (20) Una sequenza di DNA che si presenta in forme diverse viene detta polimorfica e l'insieme degli alleli viene definito polimorfismo. (21) In genere, ognuno tende a procreare all'interno del proprio territorio e, in questo, nell'ambito del proprio gruppo sociale, culturale o religioso (endogamia). Ma le barriere socio-culturali, anche le più rigide, sono sempre fragili e difficilmente tengono sui tempi lunghi. Al contrario, l'isolamento genetico dovuto a barriere geografiche (isole, catene montuose, distanza, etcJ è più stabile nel tempo. (22) La deriva genetica è il fenomeno per il quale le frequenze alleliche fluttuano in modo casuale ed imprevedibile nel corso delle generazioni nell'ambito di una popolazione, per effetto di eventi naturali e sociali, che influiscono su chi contribuisce o meno alla generazione successiva. Il fenomeno è amplificato quando un piccolo gruppo di individui trasmigra e dà origine ad una nuova popolazione, nella quale le frequenze alleliche possono essere abbastanza diverse da quelle nella popolazione di partenza. Questi eventi di deriva prendono il nome di effetto del fondatore. (23) Si denomina cline il graduale cambiamento di un carattere in una determinata area geografica. Per una trattazione più ampia si veda LEwotv'rnv R., La diversità umana, Zanichelli, 1987. (24) Dnxwmt C., L'origine dell'Uomo, 1871. (25) CAVALLI-SFOIt7.A Lutct L., Geni, popoli e lingue, Adelphi, 1996. (2G) VENTFR C., Intervista a The Obseruer, 2001. (27) Si definisce complesso (o multifattoriale) un carattere che non dipende dall'azione di un solo gene, ma dall'interazione di fattori genetici ed ambientali. Nel caso dell'altezza, sono stati riconosciuti importanti contributi di fattori genetici ma anche di fattori ambientali, come la dieta e l'attività fisica. (28) DnviEs K., The sequence, Weidenfeld & Nicolson, 2001. (29) BnrtsuJntm G., op. cit. (30) Leworrtnv R, Il sogno del genoma umano ed altre illusioni della scienza, Laterza, 2002. (31) LEwomrnv R, op. cit., nota 30. Anna Maria Rossi è docente di Genetica e di Genetica umana presso l'Università di Pisa. ___________________________________________________________ Il Sole24ore 22 Ott. ‘09 EFFETTO PLACEBO E MIDOLLO SPINALE La risonanza magnetica funzionale ha confermato che l'effetto placebo è ben più di una semplice suggestione psicologica. Al Centro di medicina dell'Università tedesca di Amburgo-Eppendorf, infatti, il gruppo di Falk Eippert ha descritto i cambiamenti funzionali che un placebo provoca nell'attività del midollo spinale rallentando efficacemente la trasmissione del dolore. Un gruppo di volontari ha accettato di farsi riscaldare l'avambraccio fino al limite di sopportazione. Sei ricercatori applicavano una crema descritta come anestetica i pazienti sentivano meno male rispetto a quando si utilizzava una pomata presentata come inefficace. Pur essendo le due creme perfettamente equivalenti, le . immagini ottenute con la risonanza magnetica funzionale hanno mostrato che la trasmissione dei segnali nervosi avveniva con modalità differenti, attenuandosi nel corno dorsale del midollo nel caso del placebo. La ricerca, pubblicata su «Science», non solo dimostra che i placebo agiscono sul midollo spinale, ma suggerisce nuove strategie per la terapia del dolore. Strategie che possono essere applicate con successo anche nei bambini, come ha dimostrato uno studio pubblicato sulla rivista «Gastroenterology» e realizzato dai medici del Children's Memorial Hospital di Chicago. Qui Miguel Saps ha mostrato che la somministrazione di un placebo per curare disturbi gastrointestinali nei piccoli pazienti ha gli stessi effetti positivi che si ottengono con le terapie più tradizionali. (an.car.) ___________________________________________________________ Avvenire 23 Ott. ‘09 E L'ERA DIGITALE CI CAMBIA ANCHE IL CERVELLO Fin dalla sua comparsa sulla terra, l'uomo ha costruito strumenti per conoscere il mondo e per agire su di esso: Homo sapiens è sempre stato anche Homo technologicus. Ma la cosa più interessante è che se 1'uomo costruisce gli strumenti, essi a loro volta contribuiscono potentemente alla continua modificazione dell'uomo. In passato gli effetti trasformativi della tecnologia erano lenti e poco appariscenti, ma da qualche decennio, con la potente accelerazione manifestata dalla tecnoscienza, questi effetti sono diventati imponenti. Il punto di svolta si è avuto con l'avvento delle "macchine della mente", quei dispositivi che elaborano non materia ed energia, bensì informazione: la televisione, i telefoni cellulari e soprattutto il computer e le Reti. Questi strumenti esercitano un'influenza profonda sulla nostra cultura e in genere sul modo in cui vediamo il mondo. Il contatto sempre più precoce con i videogiochi, il computer e il web fa sì che si allarghi il divario culturale tra la "generazione digitale", dei bambini nati con il mouse e il telecomando in mano, e "gli immigrati digitali", appartenenti alla generazione che si è formata sui libri e che sta più o meno faticosamente approdando alle nuove tecnologie. Di recente, i ricercatori hanno scoperto che le differenze di comportamento, di cultura e di abilità tra i nativi e gli immigrati del digitale non sono un fenomeno superficiale, ma hanno profonde radici fisiologiche: La tecnologia non cambia soltanto le nostre abitudini quotidiane, cambia anche il nostro cervello. Il cervello è molto plastico e modifica le proprie connessioni neuronali in risposta alle sollecitazioni dell'ambiente, e oggi l'ambiente brulica di oggetti artificiali. Il cervello dei bambini è particolarmente malleabile, quindi i giovani sono più soggetti ad essere condizionati dalle macchine della mente. L'interazione con i nostri simili è sempre più mediata da dispositivi che filtrano e modificano non solo i modi ma anche i contenuti delle comunicazioni: un conto è conversare faccia a faccia con un interlocutore, un altro conto è fargli una telefonata, un altro ancora spedirgli un sms o un messaggio di posta elettronica, per non parlare dei blog, delle chat e delle reti sociali come Facebook o Ttwitter. B queste diverse situazioni comunicative si riverberano sulla strutturazione del cervello. Secondo una ricerca condotta l'anno scorso da Gary Small, direttore del Centro di ricerca sull'invecchiamento e la memoria dell'Università della California, i bambini digitali americani passano in media 8 ore e mezza al giorno collegati alle varie macchine della mente: il loro cervello si ristruttura, essi acquistano abilità nuove, ma perdono altre attitudini. In particolare, aumenta la loro capacità di svolgere simultaneamente più attività (fare i compiti, guardare la Tv, rispondere ai messaggini e navigare in Rete), mentre si sgretolano certe caratteristiche "tradizionali", soprattutto di carattere emotivo e affettivo. All'estremo opposto stanno gli adulti e gli anziani che sono cresciuti con penne e matite, lettere scritte a mano o a macchina, libri e giornali. Costoro debbono impegnarsi a fondo per riuscire a orientarsi nel nuovo territorio. È 'un po' come imparare una lingua straniera da adulti, quando le connessioni, cerebrali sono già saldamente adattate alla lingua materna: si fa una gran fatica e non si parla mai con la disinvoltura di chi cresce bilingue. Ma le ricerche di Small hanno dimostrato che anche in età avanzata il cervello conserva un certo grado di flessibilità circuitale, quindi non disperiamo: anche gli immigranti digitali possono acquisire almeno m parte le nuove abilità. Giuseppe O. Longo Le «macchine della mente» (dalla tv ai computer) fanno perdere ai bambini alcune attitudini e ne sviluppano di nuove _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 ott. ’09 QUANDO IL PIACERE ARRIVA TROPPO PRESTO Esperti a convegno sul disturbo sessuale: i nuovi interventi per aiutare i pazienti Centoventimila sardi alle prese con l'eiaculazione precoce Un problema che condiziona pesantemente uomini e donne: un italiano su tre non è soddisfatto della propria vita sessuale. Fatto! Già fatto? , era un noto refrain pubblicitario di qualche anno fa. Un bel vantaggio se Fatto! Già fatto? vale per una siringa. Quando, invece, riguarda il rapporto sessuale diventa un bel problema. E, sia chiaro, un problema ben più diffuso di quanto si immagini: circa 120 mila sardi tra i venti e i sessant'anni soffrono di eiaculazione precoce. Uno dei dati emersi nell'incontro organizzato ieri dallo Step (Specialisti nel trattamento dell'eiaculazione precoce). L'INCONTRO Gli esperti si sono ritrovati al T-Hotel (e, in collegamento satellitare con Torino, Roma e altre undici città) per fare la conoscenza di un nuovo farmaco in grado di aiutare a risolvere questo problema. E ne hanno approfittato per fare il punto della situazione: a guidare la convention Furio Pirozzi Farina, andrologo dell'università di Sassari, e Antonello De Lisa, urologo dell'università di Cagliari. Due luminari che hanno posto l'accento su un problema di cui si parla poco. «Difficile dare cifre», spiegano, «a fronte di quelle persone che si rivolgono agli specialisti, un numero doppio, se non addirittura, triplo non si rivolge ai medici». IL DISTURBO Eppure, talvolta, sarebbe sufficiente recarsi da uno specialista per superare il problema. Esistono due tipi di eiaculazione precoce: può essere causata da problemi fisici (per esempio, un infiammazione alla prostata). E, in questo caso, curando la causa, si risolve il disturbo. O può essere primaria, quando cioè nasce con l'inizio della vita sessuale. «Gli ultimi studi», spiegano i due specialisti, «hanno rilevato un problema genetico». In pratica, ci sono persone che nascono con l'alterazione di un gene che disturba i meccanismi dei recettori della serotonina, un neurotrasmettitore che svolge un ruolo importante nella sessualità. I SINTOMI Ma in che cosa consiste questo disturbo? Le autorità scientifiche internazionali hanno individuato tre elementi: eiaculazione che si verifica, in modo persistente o ricorrente, in seguito a stimolazione sessuale minima, prima o durante la penetrazione e perfino prima che quest'ultima sia avvenuta (comunque, entro il minuto dall'inizio del rapporto), mancanza di controllo dell'eiaculazione, conseguenze negative a livello personale (insoddisfazione e frustrazione). Tre elementi che devono essere presenti: non è considerato eiaculatore precoce, per esempio, chi, pur avendo i problemi fisici, è, comunque soddisfatto della sua prestazione sessuale. IL FARMACO Il problema, ora, può essere risolto con una medicina: ieri è stata presentata una molecola, la dapoxetina. Il principio attivo agisce sulla serotonina e consente di affrontare e risolvere il problema. Nessun rischio di spamming sulle caselle di posta elettronica, come accade per il Viagra e per il Cialis: un codice sulla confezione consente subito di capire se il prodotto è originale o se, come capita frequentemente per vendite on line di medicinali, non contiene il principio attivo. MARCELLO COCCO _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 ott. ’09 I BIMBI DI OGGI DIVENTERANNO CENTENARI IN BUONA SALUTE NUOVE FRONTIERE DALLE PROTESI MECCANICHE E BIOLOGICHE AGLI ORGANI «DI RICAMBIO»: La generazione degli eterni cinquantenni Bloccare l' orologio dell' invecchiamento: università inglese investe 50 milioni nella sfida. L' altra strada Si sta cercando il modo per stimolare l' organismo ad autoripararsi MILANO - Centenari con un corpo da cinquantenni. Un' idea realistica, secondo i ricercatori, talmente realistica che l' Università di Leeds, in Gran Bretagna, è disposta a investire per realizzarla: 50 milioni di sterline nei prossimi cinque anni, con l' obiettivo di trovare soluzioni innovative anti-invecchiamento. Una ricerca, pubblicata nei giorni scorsi dalla rivista scientifica Lancet, sostiene che i bambini, nati oggi nei Paesi ricchi, possono sperare di vivere fino cento anni, ma un conto è arrivarci con tutti gli acciacchi di un corpo che invecchia, un conto è tagliare il traguardo in buone condizioni di salute. In forma, come può esserlo una persona né troppo giovane (Dorian Gray che conserva il suo aspetto giovanile, mentre guarda il suo ritratto invecchiare, è trama da romanzi di fine Ottocento) nè troppo avanti con gli anni: un cinquantenne appunto. Un' età di mezzo. Come fermare allora l' orologio dell' invecchiamento? Fermo restando che una vita sana, una dieta equilibrata e un costante esercizio fisico sono, già oggi, una buona ricetta di longevità, adesso la ricerca si sta concentrando sulle «parti di ricambio», meccaniche, come le protesi, o biologiche, come organi e tessuti coltivati in laboratorio. Da utilizzare per sostituire quelle usurate dal tempo e migliorare la qualità della vita di chi le riceve. Gli esempi ci sono già. Prendiamo le protesi d' anca o di ginocchio. Quelle che gli ortopedici utilizzano oggi, per riparare i danni dell' artrosi, durano una ventina d' anni, ma l' impiego di leghe particolari (come la lega cromo-cobalto) per la costruzione dell' acetabolo, la cavità che accoglie la testa del femore, e di materiali, come la porcellana, per quest' ultima, possono rendere l' impianto «immortale», «o almeno adeguato» - aggiunge John Fisher, ingegnere meccanico all' Università di Leeds - a compiere quei cento milioni di passi che un cinquantenne deve fare prima di arrivare al suo centesimo compleanno. L' altro versante della ricerca riguarda l' ingegneria degli organi e dei tessuti: le cellule staminali sono la grande promessa di questi anni e, in laboratorio, si riesce già a coltivare lembi di pelle per curare le ustioni. E si sta sperimentando l' impiego delle staminali per riparare organi e tessuti danneggiati da malattie come l' infarto o il Parkinson. Ma Eileen Ingham, immunologa di Leeds, ha un' altra idea: sta studiando il modo per stimolare un organismo ad autoripararsi, senza ricorrere all' uso di tessuti estranei ed evitando quindi il rigetto. Uno dei suoi campi di ricerca sono le valvole cardiache. È possibile, per esempio, prendere una valvola di donatore (uomo o animale, preferibilmente il maiale) ed eliminare, con enzimi e detergenti, le cellule in modo da ottenere solo il suo «scheletro». Questa struttura di collagene, una volta impiantata in un organismo umano, viene «ripopolata» dalle cellule dell' individuo stesso e si trasformerà in una vera valvola. Per ora gli esperimenti sugli animali e su una quarantina di pazienti in Brasile hanno dato buoni risultati. La tecnologia è già stata brevettata «ma - commenta Christina Doyle della Xeno Medical, una compagnia di dispositivi medici - prima di sostituire tutti i tessuti di un organismo con questa tecnologia ci vorranno dai 30 ai 50 anni». Adriana Bazzi abazzi@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA Bazzi Adriana _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 ott. ’09 LA DIAGNOSI? «ELEMENTARE, WATSON!» UN CONVEGNO DI BIOETICA ALL' INSEGNA DEL GIALLO, SU ARTHUR CONAN DOYLE, CREATORE DEL CELEBRE DETECTIVE INGLESE Il metodo investigativo su un delitto è simile a quello medico per scovare la malattia Indizi Il punto di partenza sono gli indizi e gli interrogatori, cioè la raccolta della storia medica del malato Ipotesi Formulata l' ipotesi sulla malattia, la si deve verificare: con altri indizi o con esami strumentali Scegliere come medico Sherlock Holmes? Perché no, sempre meglio di Gregory House, lo scorbutico dottore della serie Tv o del dottor Carlisle Cullen, il papà di Edward, vampiri della saga di Twitlight. «Il metodo investigativo dei gialli classici - spiega Victor Tambone, professore di bioetica all' Università Campus Biomedico di Roma (Ucbm) - è quello che più si avvicina al processo diagnostico della medicina moderna e alla medicina basata sulle prove di efficacia. In altre parole, una malattia può essere paragonabile a un delitto e il metodo, con cui un investigatore cerca di individuare il colpevole, potrebbe non essere così distante da quello utilizzato dal medico per riconoscere e diagnosticare una malattia». Così l' Ucbm ha organizzato un convegno sul tema, a 150 anni dalla nascita di Sir Arthur Conan Doyle, il padre letterario dell' investigatore e lui stesso medico. «Secondo l' evidence based medicine, - continua Tambone - non si devono prendere decisioni cliniche, diagnostiche o terapeutiche, se non sono supportate da dati che derivano dalla ricerca scientifica e che sono stati valutati criticamente». Sembra di leggere l' "elogio dell' intuizione" di Sherlock Holmes nel romanzo "Lo studio in rosso". Dice l' investigatore: «E' un errore gravissimo quello di formulare ipotesi prima di avere tutti gli indizi. Distorce il giudizio». Il punto di partenza, dunque, sono la raccolta di indizi e gli interrogatori per il detective, l' anamnesi, cioè la ricostruzione della storia medica di un paziente, e l' esame obiettivo per il medico. Soltanto a questo punto si può formulare l' ipotesi su chi è il colpevole: la malattia in un caso, l' assassino nell' altro. E la si deve verificare: con altri indizi (come sintomi "particolari" o prove aggiuntive) o ricorrendo a indagini di laboratorio o a esami strumentali (ormai patrimonio anche della medicina forense alla C.S.I, Crime Scene Investigation della serie televisiva). A questo punto il medico prende una decisione terapeutica e l' investigatore può far arrestare il colpevole, ma deve rimanere all' erta: quando si tratta di una patologia può, per esempio, sopraggiungere una complicazione o un effetto collaterale dei farmaci; sul versante poliziesco, ci possono, invece, essere dei complici. «Il giallo classico - aggiunge Tambone - propone l' uso della logica e di vari tipi di ragionamento, induttivo, deduttivo o o abduttivo, per risolvere i casi». Ma non esiste soltanto il paradigma investigativo del giallo classico: ci sono anche il noir e l' horror. Icona del noir è Philip Marlowe, il detective nato dalla penna di Raymond Chandler, frequentatore di bassifondi, duro di carattere, bugiardo quando serve, sprezzante verso l' ordine costituito. I detective della sua specie utilizzano in maniera disincantata, cinica, violenta e, spesso, spregiudicata tutti i mezzi disponibili a volte logicamente, altre volte meno razionalmente. Un ritratto che assomiglia, secondo Tambone, a quello del dottor House: forse perché anche lui vittima di una malattia, non segue vie di ragionamento coerenti, cambia strada, pensa a volte come Sherlock Holmes, a volte come il vecchio "occhio clinico" gli suggerisce, a volte puntando a un suo principio esistenziale; arriva alla diagnosi, magari brillantemente, ma spesso disprezzando qualsiasi rapporto medico paziente. Anche l' horror ha uno stretto legame con la medicina e E.R. ne ha l' impianto cinematografico: lungo i corridoi della Emergency Room i malati sono aggrediti da mali mortali che i medici devono affrontare puntando alla loro sopravvivenza: «Il ragionamento clinico è lo stesso di Sherlock Holmes - commenta Tambone - ma la situazione è differente perché si lavora in lotta con il tempo e certi passaggi sono necessariamente accorciati». Forse più paradigmatico dell' incontro fatale con il male e della lotta per al sopravvivenza è l' horror di Twitlight, il primo romanzo della trilogia di Stephanie Meyer, dove il dottor Curran, per salvare suo figlio Edward da una malattia fatale, lo rende immortale trasformandolo in vampiro. Un richiamo a un certo accanimento terapeutico? Adriana Bazzi abazzi@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA Arthur Conan Doyle Classico, noir e horror House come Marlowe Twitlight Il protagonista Bazzi Adriana _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 ott. ’09 ENTRO IL 2048 QUASI ESTINTI I GRANDI PESCI UNO STUDIO DI «SCIENCE» E L' IPOTESI DI UN' APOCALISSE ACQUATICA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON - Qual è la differenza tra guidare un fuoristrada Hummer dallo smodato consumo di benzina e ordinare un sushi di tonno rosso in un ristorante? La risposta esatta è: nessuna, entrambe le azioni sono devastanti dal punto di vista ecologico. Come, si chiederà il nostro lettore, bruciare ossido di carbonio, aggravando l' effetto serra e il riscaldamento del clima, è la stessa cosa che mangiar pesce, dieta perfetta per rallentare l' invecchiamento? Duro da ammettere, è proprio così. Poche creature degli oceani hanno la maestà dei grandi tonni rossi, siluri argentati e idrodinamici che possono arrivare a 700 chilogrammi di peso, 4 metri di lunghezza, eppur muoversi velocemente a oltre 40 chilometri l' ora. Ma il «Bluefin» ha anche un' altra caratteristica, la carne più buona del mondo. E negli ultimi trent' anni un' armada sempre più tecnologicamente all' avanguardia e micidiale, fatta di navi e aerei da ricognizione, reti speciali, radar, sonar e perfino satelliti, ne ha decimato la popolazione. Lo sterminio del tonno Bluefin è emblematico di tutto quanto c' è di criminale e distruttivo nell' industria della pesca nel mondo. Dove un' alleanza potente, fatta di multinazionali senza scrupoli, lobbisti, governi compiacenti, consumatori irresponsabili e perfino accademici senza etica sta accelerando una catastrofe sistemica, con conseguenze incalcolabili per il pianeta. Finiranno i pesci? Non è più solo una domanda retorica. Secondo uno studio della rivista Science, in mezzo secolo siamo riusciti a ridurre del 90% la popolazione di tutti i grandi pesci preferiti dal mercato. Di più, se nulla accadesse, se le catture continuassero a questo ritmo, entro il 2048, anno più anno meno, tutte dicansi tutte le specie ittiche commerciali avranno subito un «collasso» generale, nel senso che se pescherà sì e no il 10% dei livelli massimi, cioè quelli degli Anni ' 80. Con le parole di Daniel Pauly, scienziato e docente al Fisheries Center della University of British Columbia, «i pesci sono in grave pericolo e se lo sono loro, lo siamo anche noi». «Aquacalypse now» ha definito Pauly l' inquietante prospettiva, in un recente saggio pubblicato su The New Republic e dedicato alla «truffa» messa in atto sin dagli anni Cinquanta dagli uomini contro gli oceani e i loro abitanti. Uno schema predatorio, rivolto all' inizio contro le popolazioni di merluzzi, pesci spada, naselli, sogliole e platesse dell' emisfero settentrionale. Poi, man mano che queste famiglie si assottigliavano, le flotte si sono mosse sempre più a Sud, prima verso le coste dei Paesi in via di sviluppo e da ultimo verso i fondali dell' Antartico, in cerca di specie nuove e sconosciute. Quando poi i pesci di grande taglia e alto valore hanno cominciato a scomparire, dai tropici ai poli non c' è stata più frontiera e limite: le barche hanno preso a catturare qualità sempre più piccole, mai in precedenza considerate commestibili per l' uomo. L' alleanza sciagurata degli interessi ha funzionato benissimo, alimentata da una domanda mondiale di pesce insaziabile e disposta a pagare qualsiasi prezzo, pur di avere le qualità più prelibate. Ma ora la lunga festa sta per finire. Nel 1950, secondo i dati della Fao, nel mondo si catturavano 20 milioni di tonnellate metriche di pesce e molluschi. Alla fine degli Anni ' 80, il pescato mondiale raggiunse il massimo storico di 90 milioni di tonnellate. Da allora, è in declino costante. Come in una immane catena di Sant' Antonio, che richiede i soldi di sempre nuovi finanziatori per pagare i precedenti e rimanere in piedi, l' industria ha avuto bisogno continuamente di nuovi stock di pesce per continuare a operare. Invece di regolare periodi e quantità delle catture, consentendo alle specie di riprodursi e stabilizzare i livelli di popolazione, è andata avanti fino all' esaurimento, spostandosi altrove e saccheggiando i mari. Se per l' Occidente ricco e affluente la fine dei pesci può sembrare una semplice disgrazia culinaria, per i Paesi emergenti, soprattutto nelle regioni più povere dell' Africa e dell' Asia, il pesce è la principale risorsa di proteine e una fonte di reddito per centinaia di milioni di persone, piccoli pescatori e rivenditori. E non c' è solo questo. «L' impatto della riduzione della fauna marina sull' ecosistema degli oceani è stato del tutto sottovalutato», ammonisce Boris Worm, biologo dell' Università di Kiel in Germania. «Fenomeni come l' esplosione della popolazione di meduse e le alghe morte in molte zone costiere del mondo sono la diretta conseguenza della sparizione dei predatori dall' ecosistema marino», spiega Pauly, secondo cui la dinamica è aggravata dal progressivo riscaldamento dei mari. Eppure, l' Aquacalypse non è inevitabile. La buona notizia è che non è troppo tardi per scongiurarla, a condizione che i governi si mobilitino. Ma quello necessario è un tipo d' intervento sofisticato e coraggioso, ben oltre l' imposizione di quote annuali, che comunque andrebbero strutturate in modo nuovo per esempio distribuendo «accessi privilegiati» a un numero limitato di pescatori. Né basta una pur necessaria campagna di educazione dei consumatori, per incoraggiare prudenza e saggezza di scelte. Illusoria è anche la promessa dell' acquacoltura, che secondo alcune statistiche fornirebbe oggi già il 40% del pesce consumato nel mondo. Intanto perché non c' è nessuna affidabilità sulle statistiche fornite alla Fao dalla Cina, che produrrebbe già quasi il 70% del totale. Ma soprattutto perché, fuori dalla Repubblica Popolare, il settore produce principalmente pesci carnivori, come il salmone, nutriti cioè con olii e macinati di aringhe, sgombri e sardine: «Ci vogliono quasi 2 chili di pesci piccoli per produrre mezzo chilo di uno grande - spiega Pauly -, è come rubare a Pietro per pagare Paolo. In Occidente l' acquacoltura è un lusso, dal punto di vista della sostenibilità globale». In realtà, aggiunge lo studioso, il punto centrale è scoraggiare il complesso industriale della pesca, riducendo i sussidi: «Questo consentirebbe alla popolazione ittica di ricostruirsi, mentre i miliardi risparmiati potrebbero essere investiti nella ricerca per gestire meglio gli stock». Di più, «tocca ai governi dividere in zone l' ambiente marino, identificando le aree dove la pesca è tollerata e altre dove non lo è». Tutti i Paesi marittimi possono regolare i tratti fino a 200 miglia dalla loro costa, in base al Trattato del Mare dell' Onu: si tratterebbe quindi di creare un network planetario di riserve marine. Più facile a dirsi. Ma tant' è: «L' obiettivo minimo è ridurre del 50% la mortalità, per evitare l' ulteriore declino di specie a rischio», spiega Ransom Myers, biologo marino alla Dalhousie University in Canada. Paolo Valentino RIPRODUZIONE RISERVATA Il saggio La protesta Valentino Paolo