01 NOVEMBRE 2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 VIA ALLA RIFORMA GELMINI - MANAGER E VOTI DEGLI STUDENTI AI PROF UNIVERSITÀ, VIA ALLA RIFORMA GELMINI - REGOLE, OBBLIGHI, DIRITTI: ECCO LA NUOVA UNIVERSITÀ - L' ORARIO DI LAVORO FISSATO PER LEGGE E AUMENTI DIVERSI - VOTO A CHI INSEGNA E CERTEZZA DI TROVARE IL PROF IN CATTEDRA - IL RICERCATORE: SEI ANNI DI CONTRATTO POI CAMBIANO CARRIERA E RUOLO - NON DIVIDIAMOCI SULL' UNIVERSITA' - FINALMENTE UNA RIFORMA CHE SFIDA I BARONI - UNA RIVOLUZIONE TRASFORMA L’UNIVERSITÀ - CAGLIARI: RETTORE IMPOSSIBILE RIFORME SENZA FONDI - RIFORMA GELMINI: L'UNIVERSITÀ UNA FACCENDA PRIVATA - UNIVERSITÀ, I RISCHI DELL’AUTARCHIA - PRETI RETTORE: LASCIO PER COLPA DELLA GELMINI - COSTRUIAMO UNA MOBILITAZIONE - «AVANTI SUL TEST NAZIONALE STANDARD - RIPETIZIONI DI FISICA PER I LEADER MONDIALI - TUTTI A NAPOLI PER L'ESAME - ANALFABETISMO DI RITORNO, CINQUANTAMILA FIRME PER UNA LEGGE - POLARIS, ADESSO SERVONO GLI INVESTIMENTI - ANCHE IL CERVELLO DEVE PENSARE IN DIGITALE - FLORENSKIJ: L’INFINITO RICERCATORE - LA STELE DI NORA RIVELA: SANT'EFISIO DIVINITÀ NURAGICA - ==================================================== CURE PALLIATIVE, CRESCONO GLI HOSPICE NEL SUD - MATERIA BIANCA: UN NETWORK ALLA BASE DEL CERVELLO - TENDENZE E FRONTIERE NELL’ICT NELL’OSPEDALE - L'INFLUENZA A DÀ' LA SPINTA AI CONTI DEI BIG DEL FARMA - MEDICI AL LAVORO FINO A 70 ANNI - BILANCIO, PESA IL ROSSO DELLA SANITÀ, TROPPI SOLDI PER LA CHIESA - USA, PANDEMIA: PIANO SHOCK "NIENTE CURE AD ANZIANI E HANDICAPPATI" - UNA PROTEINA CURA I RATTI «BEONI» - IL GRASSO DI PESCE NASCONDE UN POTENTE ANTINFIAMMATORIO - CARTA DELLA QUALITÀ IN CHIRURGIA - LUCA CAVALLI SFORZA, LA CULTURA BATTE LA GENETICA - AUMENTO NELL’ISOLA I MALATI DI SLA - COSÌ LA MATEMATICA CI AIUTERÀ A GUARIRE - CERCHI UN BRAVO MEDICO? SPERIAMO CHE SIA FEMMINA - BROTZU: VALVOLE AORTICHE, VIA AGLI INTERVENTI PER GLI ANZIANI - ==================================================== ______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’09 VIA ALLA RIFORMA GELMINI MANAGER E VOTI DEGLI STUDENTI AI PROF UNIVERSITÀ, VIA ALLA RIFORMA GELMINI Il ministro: avremo facoltà più autorevoli. I rettori: un’occasione irripetibile ROMA —Via libera dal Consiglio dei ministri al disegno di legge di riforma dell’università che tocca tutti gli aspetti della vita accademica, dallagovernanceal reclutamento, alla valutazione al diritto allo studio e che ha come parole d’ordine la lotta all’inefficienza e l’apertura al territorio e al mondo produttivo. Per Mariastella Gelmini, che un anno fa ha tenuto a battesimo la riforma della scuola elementare e media e si propone di far decollare dal settembre 2010 quella delle superiori, la legge servirà «a dare maggior peso e autorevolezza ad un’istituzione fondamentale per il nostro Paese, rendendola protagonista anche come risposta alla crisi». Il provvedimento andrà in Parlamento dove si aprirà un dibattito acceso. Per ora ha incassato il plauso dell’assemblea dei rettori (Crui), per i quali tuttavia il processo riformatore deve essere accompagnato da adeguate risorse. E su questo punto, subito dopo il varo, è arrivata una prima importante conferma dal ministro dell’Economia. «La destinazione dei fondi provenienti dal cosiddetto "rimpatrio capitali" andrà prioritariamente all’università, in modo che si volga dal negativo dell’importazione dei capitali al positivo dell’investimento sul futuro», ha dichiarato Giulio Tremonti. Proteste invece da parte degli studenti, con la provocazione dell’Unione universitari: «Rapiamo la Gelmini. Il riscatto? Due miliardi da dare all’università e il ritiro della riforma». Il filmano con il «ratto della Gelmini » è su YouTube, contro la riforma anche la Rete degli studenti. Molte le novità. Ci sarà un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. Il rettore non potrà rimanere in carica per più di 8 anni. Il Senato accademico avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il Cda ad avere la responsabilità chiara di spese e assunzioni, anche delle sedi distaccate. Il Cda non sarà elettivo ma avrà il 40% di membri esterni e anche il presidente potrà essere esterno. La riforma prevede anche la figura di un direttore generale, un vero e proprio manager di ateneo, al posto dell’attuale direttore amministrativo. Il nucleo di valutazione d’ateneo avrà una maggiore presenza di membri esterni per una maggiore imparzialità. Gli studenti valuteranno i professori. I docenti avranno l’obbligo di certificare la loro presenza a lezione. Gli scatti dello stipendio andranno solo ai prof migliori. Il ddl introduce l’abilitazione nazionale, una sorta di «bollino blu» per la docenza. I posti saranno poi attribuiti attraverso i concorsi locali. Per i ricercatori solo contratti a tempo determinato di 6 anni (3+3), al termine dei quali lo studioso potrà essere confermato come associato. «La proposta — ha affermato il presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), Enrico Decleva — per l’ampiezza del suo impianto rappresenta un’occasione fondamentale e per molti versi irripetibile per chi ha davvero a cuore il recupero e il rilancio dell'università italiana». «È ormai chiaro quale sia l’idea alla base delle scelte del governo, e cioè fare dell’Italia un Paese di serie B — è stato invece il commento di Luciano Modica, responsabile Università del Pd —. Come definire altrimenti un Paese che cancella la ricerca dalle università, come è scritto nero su bianco nella riforma della Gelmini?». Giulio Benedetti ______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’09 REGOLE, OBBLIGHI, DIRITTI: ECCO LA NUOVA UNIVERSITÀ FOCUS LA RIFORMA DEGLI ATENEI I PROTAGONISTI IL DISEGNO DI LEGGE DEL MINISTRO MARIASTELLA GELMINI CAMBIERÀ LE ABITUDINI (E NON SOLO) DI STUDENTI, PROFESSORI E RICERCATORI. IN VIGORE TRA UN ANNO La riforma dell' università «sarà legge nei primi mesi del prossimo anno, tra febbraio e marzo. Poi ci vorranno sei mesi per i decreti legislativi. Entro un anno sarà applicata». Lo ha annunciato il ministro Mariastella Gelmini. Negli 88 atenei italiani si discute della proposta appena varata dal governo. Si tratta di un provvedimento destinato ad avere un grosso impatto perché investe tutti gli aspetti della vita delle università. Che continuano a essere autonome, ma d' ora in avanti dovranno dar conto del proprio operato: dall' uso che viene fatto delle risorse finanziarie ai risultati della ricerca scientifica e dell' attività didattica. Le università che saranno gestite male, che daranno i risultati peggiori riceveranno meno finanziamenti. I soldi non verranno più dati a pioggia. Molte le novità in arrivo: dalla gestione affidata ai manager alla progressione di carriera in base al merito, dal reclutamento dei prof che partirà con un' abilitazione nazionale all' apertura dei cda al territorio e alle imprese, dalla valutazione dei docenti da parte degli studenti all' introduzione del prestito d' onore, dal termine di 8 anni per il mandato di un rettore ai contratti a tempo determinato per i nuovi ricercatori che non potranno svolgere questo ruolo per più di sei anni. Fino all' accreditamento dei corsi universitari - sarà chiaro quali sono quelli che funzionano e quelli che non vanno - che secondo il ministro Gelmini, «va nella direzione di favorire l' abolizione legale dei titoli di studio». «Una proposta di Confindustria che condivido e che condividiamo dentro al governo - ha spiegato il ministro -. È chiaro che si tratta di un punto di arrivo e non di partenza». Le polemiche non si sono fatte attendere. A poche ore dall' approvazione del ddl l' Unione degli Universitari (Udu), organizzazione di sinistra, ha proclamato la mobilitazione. Si comincia da Palermo dove stamani si svolgerà un' assemblea con il rettore Roberto Lagalla. Secondo Piergiorgio Bergonzi, responsabile Scuola del Pdci - Federazione della sinistra «il Ddl del governo è contro l' università pubblica: conferma i tagli di risorse e definisce il processo di privatizzazione, trasferendo poteri senza precedenti ai consigli di amministrazione, prevedendo al loro interno una presenza di privati-esterni pari al 40 per cento e incoraggiando la trasformazione delle università in fondazioni». La Conferenza dei rettori (Crui) si riunirà mercoledì per un esame della riforma. Il giudizio è positivo, purché arrivino i finanziamenti. Ma come cambierà la vita quotidiana negli atenei nei prossimi anni? Ne parliamo con i diretti interessati: professori, ricercatori e studenti. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’09 L' ORARIO DI LAVORO FISSATO PER LEGGE E AUMENTI DIVERSI La protesta «Non credo che con la riforma i docenti che amano questo mestiere potranno dare di più. Stanno già tutto il giorno in ateneo» ROMA - È una piccola rivoluzione, ma sembra destinata a cambiare le abitudini dei professori universitari. A cominciare da quelle relative all' orario di lavoro. Fino a oggi non si è mai saputo a quante ore dovesse ammontare l' impegno lavorativo di un docente universitario nel corso di un anno. Ora lo sappiamo: 1500 ore, 36 ore a settimana. Di definito, finora, c' era solo l' impegno legato all' attività didattica, 350 ore di cui 120 da destinare alle lezioni. In alcune università la certificazione delle ore di lezione è prassi normale. Ora verrà estesa a tutti gli atenei. Il compito spetterà ai nuclei di valutazione di ciascuna università. La riforma - sempre che l' iter parlamentare non cambi alcune cose - fissa dei paletti su una materia mai regolamentata a fondo. Naturalmente la novità non spaventerà quei docenti che nell' università hanno passato e passano la gran parte del loro tempo. «Questa mattina ho cominciato a lavorare alle nove e stasera uscirò dall' università verso le 21. Domani lavorerò fino alle tredici. Non credo che con la riforma Gelmini e i suoi incentivi potrò dare di più. Come non potranno dare di più tutti i professori che amano questo mestiere e lo hanno scelto per questa ragione». Il professor Bruno Dente insegna al dipartimento di Architettura del Politecnico di Milano, una delle università più quotate a livello internazionale. Cambia anche lo stipendio del prof. Oggi subisce un incremento automatico ogni due anni, a prescindere da qualunque tipo di verifica sull' attività didattica e scientifica. La remunerazione può raddoppiare solo in ragione del passare degli anni. Con la riforma non solo gli scatti diventano triennali, ma vengono concessi solo dopo una verifica che verrà fatta da una commissione composta in parte da membri esterni all' ateneo. I docenti che non hanno prodotto nulla di scientificamente valido restano al palo. Sulla progressione di carriera potrebbe influire anche il giudizio degli studenti, i cui risultati comunque restano riservati a un uso interno. Il professor Eugenio Gaudio, docente di Anatomia nella facoltà medica della Sapienza di Roma è convinto che nei prossimi anni la qualità della sua vita di cattedratico potrebbe migliorare sulla spinta di una sfida che lo appassiona: «La riforma mi indurrà a impegnarmi di più sotto il profilo scientifico e didattico perché la progressione economica sarà legata alla produttività». Un po' alla volta le università si apriranno alla mobilità. Nei nuovi concorsi solo un terzo dei posti può esser riservato agli interni. Luisa Collina, docente della facoltà di Design del Politecnico di Milano, già si vede immersa in un ambiente nuovo, forse internazionale, più dinamico, più stimolante, molto diverso dall' attuale caratterizzato dalla quasi totalità di docenti formati e cresciuti nella stessa università. Cambia l' ingresso nella carriera accademica, attraverso un' abilitazione nazionale per titoli. «Finalmente potrei avere la possibilità di avere degli allievi ai quali posso dare una possibilità per il futuro - dice Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale e direttore del dipartimento di Fisiopatologia medica della Sapienza -. Se oggi vado nel mio dipartimento trovo dieci allievi bravi ai quali non so quale futuro dare. Domani, con la riforma, avrei la possibilità di far prendere loro un' abilitazione nazionale, non condizionata da posti definiti ma solo sulla base della qualità scientifica». Giulio Benedetti RIPRODUZIONE RISERVATA Giliberto Capano «Ma per noi ci saranno meno soldi» Giliberto Capano, 49 anni, professore ordinario della facoltà di Scienze politiche all' università di Bologna: «L' unica cosa certa è che prenderò meno soldi di quelli che mi aspettavo. O almeno c' è questo rischio, anche immaginando che io sia valutato positivamente. Gli scatti di anzianità da biennali diventano triennali e quindi si rischia di ritrovarsi a fine carriera con uno stipendio inferiore rispetto a quelli che vanno in pensione adesso con gli scatti biennali anche con una valutazione positiva». RIPRODUZIONE RISERVATA Benedetti Giulio ______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’09 VOTO A CHI INSEGNA E CERTEZZA DI TROVARE IL PROF IN CATTEDRA Il fondo Creato un fondo speciale nazionale «finalizzato a sviluppare l' eccellenza e il merito dei migliori studenti, individuati tramite prove nazionali standard» ROMA - L' identikit dello studente di domani è quello di «uno che finalmente si trova al centro del sistema», dice Matteo Petrella, 27 anni, a cui manca un esame per laurearsi in Economia a Roma Tre. Per esempio, non sarà più un optional per lui incontrare all' università il suo professore: con la riforma Gelmini il docente di ruolo sarà obbligato a non dargli «buca» nel giorno di ricevimento e a salire in cattedra a fare lezione senza più farsi sostituire dagli assistenti, come invece oggi succede e non di rado. Anche perché gli conviene: lo studente del 2010 avrà un' arma in più per farsi rispettare dai «baroni». Il voto. Avrà cioè il potere di giudicare, di promuovere o bocciare il suo professore per la frequenza in aula e la bontà della didattica. E saranno dolori, per l' ateneo di riferimento. Perché non saranno giudizi astratti, senza conseguenze: i voti dei ragazzi risulteranno determinanti per la ripartizione dei fondi statali. Il Miur premierà, cioè, con stanziamenti maggiori le università con i docenti più produttivi. «Insomma, una rivoluzione», commenta soddisfatto Renato Marini, 20 anni, studente di Scienze della comunicazione a La Sapienza. I voti (in alcuni atenei la pratica è già diffusa ma ora verrà estesa a tutto il panorama) potranno essere espressi dai ragazzi individualmente al termine dei corsi (forse tramite questionario). Ma anche in sede di Nucleo di valutazione d' ateneo: un organo già esistente che, però, prima della riforma Gelmini era costituito in maggioranza dai docenti interni. D' ora in poi non sarà più così. L' identikit dello studente di domani è quello di uno che forse dovrà studiare di più ma anche soffrire di meno per tirare avanti. Nell' articolo 4 del ddl Gelmini è previsto un fondo speciale nazionale «finalizzato a sviluppare l' eccellenza e il merito dei migliori studenti, individuati tramite prove nazionali standard». In particolare, il fondo è destinato a erogare agli studenti più meritevoli «borse e buoni studio da utilizzare per il pagamento di tasse e contributi nonché per la copertura delle spese di mantenimento durante gli studi». Più facili anche i prestiti d' onore (saranno garantiti tassi bassissimi). Tutti soldi, questi, che si aggiungeranno a quelli stanziati già ogni anno dalle Regioni e che dunque renderanno più cospicuo il gruzzolo a disposizione degli aventi diritto (oggi una borsa di studio per i fuorisede, in media, non supera i 2-3 mila euro l' anno). Novità in arrivo anche per mense e case dello studente: saranno garantiti degli standard qualitativi minimi a livello nazionale (a cui le Adisu regionali dovranno adeguarsi) per evitare che i ragazzi di un ateneo si trovino ad abitare in ministanze col bagno in comune (come succede in via De Lollis a Roma) e studenti di altre università abbiano invece tutti i comfort. Sorride Matteo Petrella, che però è presidente romano di Azione universitaria e dunque sicuramente pro Gelmini. Ma il consenso studentesco intorno alla riforma non è unanime. I ragazzi dell' Onda si pronunceranno solo la prossima settimana, quando renderanno pubblico un loro documento. Giuseppe Di Molfetta, 24 anni, studente di Fisica a La Sapienza, annuncia invece che il Coordinamento Link e l' Unione degli studenti hanno già indetto una giornata di mobilitazione nazionale per il prossimo 17 novembre, con scioperi e cortei in tutta Italia contro quello che ritengono «lo smantellamento dell' università pubblica». Fabrizio Caccia RIPRODUZIONE RISERVATA Caccia Fabrizio ______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’09 IL RICERCATORE: SEI ANNI DI CONTRATTO POI CAMBIANO CARRIERA E RUOLO ROMA - Ecco il ricercatore del futuro, disegnato dalla riforma Gelmini. Si laurea e, grazie ai meriti acquisiti durante gli anni di studio, ottiene tre anni di contratto con il dipartimento di una facoltà universitaria. Alla scadenza, se il suo lavoro sarà stato soddisfacente per il dipartimento, contratto rinnovato per altri tre anni. Nel frattempo, il nuovo ricercatore cerca di ottenere - per titoli - l' abilitazione nazionale all' insegnamento universitario. Con l' abilitazione in tasca, alla scadenza dei sei anni potrà essere chiamato, dalla sua o da altre università, a ricoprire la carica a tempo indeterminato di «professore associato». Il ricercatore del futuro guadagnerà il venti per cento in più degli attuali ricercatori. Godrà di «scatti di merito». Dovrà garantire 1500 ore di presenza in facoltà, con un sistema di controlli. Dunque, non si potrà più essere «ricercatori a vita», come accade ai 23.000 in servizio oggi presso le università italiane. Se la riforma Gelmini sarà approvata dal Parlamento, si diventerà ricercatore superando un concorso bandito da un dipartimento di facoltà. Tre anni più altri tre. Se il ricercatore avrà ottenuto l' abilitazione nazionale potrà diventare professore associato, una delle uniche due figure docenti, assieme al professore ordinario. Senza abilitazione e senza chiamata, invece, l' esperienza terminerà dopo massimo sei anni. «È un progetto migliorativo - dice Marco Merasina, responsabile del Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari -. Contiene la "promessa" di un posto fisso e di una carriera. Mentre gli attuali ricercatori sono entrati con questa qualifica tramite concorsi universitari e rischiano con la stessa qualifica di andare in pensione. Ci sarebbe voluta una norma transitoria anche per noi». Con le nuove norme un «nuovo» ricercatore avrà maggiore facilità di diventare associato rispetto ai «vecchi», che dovevano aspettare i concorsi per associato, rari e talvolta pilotati. Capitolo retribuzioni. Oggi un ricercatore prende 1.300 euro al mese all' ingresso e può arrivare, dopo molti anni, a 3.000. Con la riforma dovrebbero esserci aumenti del 20 per cento. «La materia - dice Merasina - è affidata a una successiva delega». Gli scatti di anzianità dovrebbero diventare scatti di merito, legati alla relazione sull' attività svolta. Da biennali diventerebbero però triennali. Anche qui, delega al governo. «Quello che manca - dice Merasina - è una definizione dello stato giuridico del ricercatore. Per quei sei anni di contratto farà ricerca o finirà a insegnare e a fare esami come tutti noi?». Andrea Garibaldi RIPRODUZIONE RISERVATA Garibaldi Andrea ______________________________________________________________ Corriere della Sera 30 ott. ’09 NON DIVIDIAMOCI SULL' UNIVERSITA' «Un' occasione fondamentale per più versi irripetibile»: ha ragione il rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, a definire con queste parole il disegno di legge elaborato dal ministro Gelmini e approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri. Per la prima volta da decenni, infatti, si affronta la questione dell' università nel suo complesso e in modo organico, delineando una prospettiva riformatrice a 360 gradi. Sono tre i nodi decisivi su cui il progetto innova profondamente. Il primo è rappresentato dalla questione della governance ovvero, per far capire a tutti, la questione di chi e come governa gli atenei. Sacrosanto appare, da questo punto di vista, limitare a otto gli anni in cui rimangono in carica i rettori, per impedire la nascita di poteri a vita, di fatto monarchici; altrettanto opportuno rendere il loro ruolo più incisivo e autonomo sottraendolo alla continua mediazione (sempre anticamera di inefficienza) con le corporazioni interne di ogni tipo. A questo stesso ordine di buoni propositi appartengono anche le disposizioni volte a limitare la proliferazione inconsulta di facoltà, sedi e corsi di laurea. Secondo nodo, il reclutamento dei docenti. Per quelli più anziani viene posto fine allo scandalo dei concorsi su base locale compiacentemente ad personam, e viene istituita per ogni raggruppamento di materia una lista di idoneità a numero limitato, decisa su base nazionale, da cui le singole facoltà dovranno attingere per le chiamate dei docenti. Per i ricercatori all' inizio della carriera, invece, si abbandona il sistema attuale di una immediata e definitiva immissione nei ruoli stabilendosi opportunamente un periodo di sei anni di «prova», solo se si supera il quale, in seguito a un giudizio anche questo nazionale, si entra poi in ruolo come docenti a pieno titolo. Il terzo nodo che il disegno di legge Gelmini affronta è quello dello statuto dei professori ordinari. Qui la principale novità consiste in primo luogo nella possibilità di sottoporre a una verifica la loro produzione scientifico-culturale nonché l' adempimento effettivo dei loro obblighi didattici; in secondo luogo l' introduzione, finalmente, di una retribuzione almeno in parte modulabile a seconda del merito. D' ora in poi un premio Nobel e un docente assenteista e fannullone cesseranno di ricevere il medesimo stipendio. Tutto perfetto dunque? Per carità. Ma perfettibile, ed è questo ciò che conta. Dal momento che, con una scelta di cui non può sfuggire il valore politico, il ministro e il governo hanno scelto saggiamente la via del confronto parlamentare, ed è dunque nel corso di questo confronto che sarà possibile introdurre gli eventuali, necessari, aggiustamenti. Per esempio, a giudizio di chi scrive, calibrare meglio il potere forse eccessivo dato ai rettori, valutare meglio l' opportunità della presenza di interessi extra-universitari all' interno del consiglio di amministrazione, precisare il meccanismo delle idoneità. Ma ripeto, di ciò ci sarà modo di discutere in Parlamento con il contributo di tutti. Così come ci sarà modo, una volta avviate le cose sul binario giusto, anche di chiedere con forza che si spenda per l' università quel che si spende nel resto d' Europa. L' importante ora è che questa volontà di discutere ci sia e si manifesti con chiarezza. Di discutere: evitando perciò di sfruttare tenaci faziosità e inevitabili malcontenti con proclami demagogici e mobilitazioni di piazza, evitando di pretendere un impossibile meglio impedendo il possibile bene. E dall' altra parte, beninteso, accantonando inutili rigidità. Come si sa, è stata proprio questa, invece, la via micidiale percorsa negli ultimi trent' anni, che si è rivelata ideale per consegnare l' università agli interessi corporativi, all' inefficienza, alla paralisi attuale. Bisogna convincersi che istruzione e ricerca sono due dei settori strategici che decidono del futuro dell' Italia. Che decidono, oggi, se tra vent' anni saremo ancora in grado di stare con onore nella competizione mondiale oppure se continueremo nel declino presente. Su questioni del genere un Paese serio discute fino in fondo, sì, ma non si divide per pure ragioni di schieramento politico. RIPRODUZIONE RISERVATA Galli Della Loggia Ernesto _____________________________________________________ il Giornale 29 ott. ’09 FINALMENTE UNA RIFORMA CHE SFIDA I BARONI Il disegno di legge sull'università approvato in Consiglio dei ministri. Dopo decenni è il primo passo avanti per cambiare un sistema considerato intoccabile. E individua le strade per risolverne, i problemi principali Giordano Bruno Guerri nostro sistema universitario è talmente incasinato - per usare un termine studentesco –che sarebbe miracoloso metterlo in ordine con un'unica riforma. Sarebbe come buttare sul tavolo le asticelle dello shanghai e sperare che cadano tutte belle allineate. Dunque, il progetto di riforma del ministro Gelmini approvato ieri dal governo non sarà il toccasana che renderà di colpo perfetto il sistema universitario italiano. Ma è, sulla carta, un bel passo avanti, soprattutto se l’iter parlamentare della legge non lo svilirà in mille compromessi ma contribuirà a migliorarlo, senza tenere conto di interessi locali e corporativi. Prima di esaminare a grandi linee i passaggi fondamentali della riforma (altri lo faranno meglio di me) può essere utile il ricordo delle mie esperienze personali nel mondo universitario: se il lettore mi darà la fiducia necessaria per credere che sarei stato (e sono) un buon insegnante. Sulla mia esperienza di studente sorvolo. Si era alla fine degli anni Sessanta, anni sessantottini di fuoco, ma chi voleva poteva studiare davvero e bene, specialmente in un'università privata come la Cattolica di Milano, che scelsi proprio per questo motivo. A prima e principale giustificazione degli studenti di oggi si può dire che è molta più difficile individuare un ateneo dove - anche volendo - si possa studiare bene. Con ì disastri che ne conseguono per la società italiana. Mi laureai con il massimo dei voti e con una tesi (su Giuseppe Bottai) che di lì a poco sarebbe diventata - la modestia in questi casi è dannosa - uno dei libri più importanti nella svolta che avrebbero preso gli studi sul fascismo: un libro ancora oggi ristampato, letto, studiato. Avevo abbastanza meriti, insomma, per avere presto - se non subito - una docenza. Invece il sistema era tale che avrei dovuto fare per anni il portaborse, prima di sedermi a una cattedra. E «portaborse» non era un modo di dire, in presenza di un baronato universitario che pretendeva una specie di ascesa del Golgota, prima di riconoscerti qualche merito. Poiché i bravi sono spesso impazienti - per fortuna loro e collettiva - mollai subito, dedicandomi all'editoria e alla stesura di altri saggi. Che hanno arricchito la storiografia ma non le migliaia e migliaia di studenti che avrei potuto formare: perché avrei preferito fare proprio quello. Dopo più di tre lustri, dunque alla fine degli anni Ottanta, confortato da alcune eccellenti esperienze che avevo avuto in università straniere (persino nel «terzo mondo» brasiliano) esaminai la possibilità di accedere a un'università. Ci volle pochissimo a capire che, nonostante i molti studi pubblicati - e tradotti in numerose lingue - per il mondo accademico era un estraneo, se non un fastidioso competitore. E che, dunque, avrei dovuto sottopormi alla sudditanza di baroni e baronati ostili per avere non dico una cattedra, ma un predellino. E sapendo che, da quel predellino, avrei avuto a che fare con una burocrazia assurda, con sistemi di potere ripugnanti, con deficit strutturali e organizzativi, con stipendi inadeguati. Rinunciai ancora, e ancora non fui io a subire il danno maggiore di questa rinuncia. Oggi insegno grazie alla riforma Moratti, che ha creatogli atenei telematici, università private che hanno la possibilità di scegliersi i docenti e che risolvono il problema dell'affollamento studentesco (uno dei più gravi) con l'insegnamento a distanza. Ancora una volta, è vero, devo rinunciare alle università più grandi e celebrate - si fa per dire - ma almeno non partecipo a un sistema malato, dove il merito conta nulla o quasi, sia per chi insegna sia per chi studia. La riforma Gelmini individua e percorre alcune buone strade per risolvere i problemi principali. Le università avranno maggiore autonomia finanziaria, scientifica, didattica; ma dovranno rispondere dei risultati: se questi non saranno buoni, avranno meno finanziamenti. Lo stesso accadrà con i docenti e con i relativi stipendi, vivaddio. I giovani ricercatori verranno reclutati in modo più selettivo, meno umiliante e servile. Dovrebbe essere il trionfo del mercato e del merito, insomma. Nella stessa direzione va la scelta di abolire i rettori «a vita», con un limite massimo di otto anni, come quelle di commissariare gli atenei in dissesto, di distinguere fra le funzioni del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione. Anche il fatto che gli studenti possano «dare un voto» ai professori, misura apparentemente populista e sessantottarda, è giusto: si dovrebbe riuscire in questo modo - e con l'obbligo della certificazione di presenza - a evitare casi di docenti che non si presentano quasi mai a lezione o agli incontri con gli studenti, continuando a prendere lo stipendio come se lavorassero. E ottimo, ovviamente, il principio di aumentare gli aiuti agli studenti migliori, con borse di merito e prestiti d'onore. La riforma non è risolutiva, urge per esempio affrontare la questione del valore legale della laurea: ma per il momento forse sarebbe chiedere troppo. Rallegriamoci dunque, un primo passo è stato fatto. Auguri a tutti: agli studenti, ai professori e all'intero popolo italiano, il cui destino dipende -più di quanto non si consideri - proprio dalle nostre scuole e dalle nostre università. www.giordanobrunoguerri.it ______________________________________________________________ Unione Sarda 28 ott. ’09 UNA RIVOLUZIONE TRASFORMA L’UNIVERSITÀ La riforma Gelmini di Gaetano Di Chiara Venti anni dopo l’ultima vera riforma, quella del 1989 del ministro Ruberti, il consiglio dei ministri ha varato la tanto attesa riforma Gelmini dell’università. La presenza, accanto al ministro dell’Università, del detentore dei cordoni della borsa, il ministro Tremonti, dovrebbe dare alla riforma il marchio della compatibilità finanziaria. Una riforma corposa e ambiziosa, che si declina attraverso tre modalità principali: merito, responsabilità, trasparenza. Alcuni aspetti della riforma, come l’agganciamento degli scatti stipendiali dei docenti alla qualità della ricerca e dell’insegnamento, sarebbero addirittura rivoluzionari, se dovessero essere effettivamente attuati. Dubitiamo tuttavia che questa modalità potrà essere effettivamente attuata, e in realtà non la auspichiamo. Avremmo infatti preferito che la ricaduta economica del merito dei docenti avvenisse su una quota dei fondi dell’università da destinare al dipartimento a fini di ricerca, piuttosto che sugli stipendi dei docenti. In ogni caso l’efficacia di questa impostazione dipenderà, aldilà della sua validità programmatica, dai criteri che si utilizzeranno per valutare il merito. Spesso anche i migliori e più giusti propositi falliscono nella loro attuazione pratica. Per questo motivo, per esprimere un giudizio realistico sarà necessario conoscere una serie di dettagli che non sono ancora stati definiti. Un discorso analogo si applica ai criteri di valutazione al fine dell’attribuzione delle risorse statali agli atenei. I criteri finora utilizzati da questo governo hanno finito per privilegiare gli atenei del nord a spese di quelli del sud. Ci auguriamo che criteri influenzati da condizioni geo-economiche come l’occupazione dei neolaureati o il numero di fuoricorso, vengano aboliti e siano sostituiti da criteri che valutino la produttività scientifica di ciascun docente o dei gruppi di ricerca di cui fanno parte, così da identificare, anche all’interno di realtà mediocri, isole di qualità da premiare ed implementare. Alcuni aspetti della riforma sono sicuramente positivi, come la riduzione del numero dei settori scientifico disciplinari e delle facoltà. Positiva anche l’abolizione del posto fisso per il ricercatore e la possibilità, allo scadere di due contratti triennali, di accedere a un posto fisso di professore, un percorso simile a quello esistente nei paesi anglosassoni. Ovviamente ci si chiede che fine faranno gli attuali ricercatori. C’è il rischio infatti che i nuovi ricercatori precari diventino professori prima dei vecchi (spesso non solo di nome ma anche di fatto) a tempo indefinito. Ultimi e fondamentali aspetti della riforma: sacrosanto il termine retroattivo di due mandati di 4 anni per i rettori, il che significa che chi ha già totalizzato 8 anni deve essere sostituito da un nuovo rettore. Ma la vera novità è la composizione del consiglio di amministrazione, costituito per il 40% da membri esterni all’università. Nell’intenzione del legislatore questo dovrebbe costituire la terapia di un male endemico dell’università italiana, l’autoreferenzialità. Non c’è dubbio che questa riforma ha luci e ombre ma almeno costituisce un passo importante e deciso di questo governo sulla strada di quelle riforme strutturali che il Paese chiede e di cui ha bisogno. ______________________________________________________________ Unione Sarda 28 ott. ’09 UNIVERSITÀ DI CAGLIARI: RETTORE ’’IMPOSSIBILE RIFORME SENZA FONDI’’ "Le riforme a costo zero non sono possibili": lo sottolinea il Rettore dell’Università di Cagliari, Giovanni Melis, commentando a caldo l’avvio di riforma degli Atenei italiani, dopo l’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri. "Ritengo un fatto positivo che sia stato predisposto un ddl organico sulla materia complessa di Università e Ricerca - ha spiegato all’Ansa - e auspico che ora si apra una stagione di riforme e che il Parlamento possa svolgere una consultazione capillare, che porti a un miglioramento del testo proposto". L’Ateneo di Cagliari, però, è inserito in un contesto socio-economico non propriamente favorevole per trovare sostegni esterni pubblici e privati locali. "A Cagliari stiamo affrontando una situazione difficilissima - spiega Melis - per fortuna sembra che la Regione sarda sia disponibile a darci un aiuto concreto nell’ambito del Programma di Sviluppo. Il nostro obiettivo è di arrivare a un accordo quadro Regione-Università sarde". ____________________________________________________________ l’Unità 29 ott. ’09 RIFORMA GELMINI: L'UNIVERSITÀ UNA FACCENDA PRIVATA Paolo Bertinetti UNIVERSITÀ DI TORINO Il disegno di legge sull'Università presentato ieri in consiglio dei Ministri nasce dall'assenza di un serio confronto con il mondo universitario, tranne forse con qualche Rettore ben felice di dare il consenso a una legge che prevede maggiori poteri per i Rettori stessi. Una parte del disegno di legge riguarda gli organi di governo dell'Università: meno cariche elettive, più nomine dall'alto, più esterni a valutare e ad amministrare, meno "logica pubblica" e più intervento privato. Ma curiosamente le università private (in realtà tutte lautamente sovvenzionate dallo Stato) sono escluse dalla legge: potranno continuare a fare quel che loro pare. L'idea che sta dietro al disegno di legge, all'insegna di "più banche e meno democrazia", è che l'Università come servizio pubblico venga smantellata. La parte restante sembra essere stata pensata da persone che non hanno la minima esperienza pratica di gestione dell'attività universitaria a livello decisionale. Si prevede, ad esempio, che i corsi di laurea facciano capo non più alle Facoltà ma ai Dipartimenti. I Dipartimenti esistenti, che nei settori umanistici spesso non rispondono a criteri e raggruppamenti scientifici affini, quasi mai hanno le caratteristiche e i mezzi organizzativi che consentirebbero loro di gestire la didattica. Infatti, uscite dalla porta, le Facoltà rientrano dalla finestra come organismo amministrativo. La legge, a questo punto, dà i numeri, prevedendo che le Facoltà siano 12 nelle Università con più di 3000 docenti (cioè Roma e Napoli) e 9 se i docenti sono meno di 3000. E perché non 10? E perché il tetto è 3000 e non 2000? E perché si contano i professori e non gli studenti? E soprattutto, perché non dovrebbero valutare la cosa le singole Università, in base alle caratteristiche della loro offerta didattica? Il massimo della (apparente) incompetenza dei redattori della legge riguarda il reclutamento dei docenti. Si prevede un'abilitazione nazionale seguita dalla chiamata (per "concorsino) da parte dell'Università locale. Il risultato sarà: o una mascherata promozione ope legis (tutti diventeranno professori) o la creazione di un esercito di illusi, professori di nome, ma che nessuna università chiamerà a prendere servizio. Con la scusa demagogica di bloccare i favoritismi dei baroni, i concorsi sono fermi da quasi quattro anni (mentre centinaia di docenti sono andati e continuano ad andare in pensione). La legge tuttavia pensa ai giovani: infatti potranno diventare titolari di un contratto (preferibilmente senza stipendio) o diventare ricercatori a tempo determinato. I migliori, cioè, andranno all'estero. In realtà l'unico criterio ispiratore della legge è quello stabilito un anno fa dal vero ministro dell'Università, Giulio Tremonti: riduzione della spesa. Non a caso, una delle espressioni più spesso ricorrenti nel testo è: "senza oneri aggiuntivi". •:• _____________________________________________________________ Europa 29 Ott. UNIVERSITÀ, I RISCHI DELL’AUTARCHIA Dopo tre o quattro annunci in un anno ieri il progetto di riforma universitaria del ministro Gelmini è stato finalmente approvato dal governo. Gelmini ha puntato in alto. Articoli e commi per oltre diecimila parole che toccano molti dei nervi scoperti del nostro sistema universitario: dalla gavernance degli atenei ai concorsi, dallo stato giuridico dei docenti al diritto allo studio e ai premi per il merito degli studenti. Sarebbe auspicabile che il parlamento affrontasse con un dibattito molto attento questa gran messe di argomenti ma certo nè da temere che i tempi di approvazione non saranno affitto rapidi. Anche perché il nervo più irritato di tutti, quello che riguarda le risorse finanziarie del sistema, è pudicamente sottaciuto. L’università italiana, la meno finanziata d Europa secondo i dati Ocse, dovrà misurarsi tra due mesi con quel drastico taglio del 50% delle spese di funzionamento (al netto degli stipendi) che ha portato Francesco Giavazzi a prevedere che la maggior parte delle università chiuderà. In questa situazione porre l’intero sistema universitario in fibrillazione riformatrice è rischioso oltre che ingiusto: aA costo zero si fa meno di zero» ha subito osservato Salvatore Settis. Alcuni intenti di fondo sono più che condivisibili come anche alcune norme specifiche. È certamente positivo distinguere tra le procedure valutative da mettere in opera quando si vuole promuovere un docente internamente all'ateneo e quando invece si vuole reclutare dall'esterno un nuovo docente. Come è positivo introdurre il principio, mutuato dal programma Ideas dell'European Research Council, dei finanziamenti statali ai giovani ricercatori più brillanti utilizzabili in una sede universitaria a loro scelta. Del resto ambedue queste norme sono presenti nel disegno di legge del Partito democratico presentato nel maggio scorso e la seconda faceva parte del programma di governo proposto da Veltroni per le elezioni politiche del 2008, Ma, in generale, la proposta governativa appare asfittica e autarchica. Asfittica perché, come è ormai usuale nella nostra farraginosa legislazione di cattiva qualità tecnica e politica, il testo, in perfetto burocratese, è soffocato da una quantità ossessiva dì condizioni e di parametri numerici che sembrano dare una parvenza di oggettività ma invece diffondono deresponsabilizzazione decisionale e finta omogeneità, dando la stura ai comportamenti elusivi tipici, in particolare, del mondo accademico. Testi di tal fatta sono talora umoristici se non fossero avvilenti. Un capolavoro dell'assurdo, alla Ionesco, ha scritto Davide Rondoni. Autarchica perché sembra non accorgersi che nelle università di tutto il mondo sviluppato le frontiere sono cadute. Per sviluppare le nuove ricerche, per gestire gli atenei, per sperimentare nuove forme didattiche, per giudicare il valore scientifico dei singoli ricercatori vengono chiamate le persone più adatte ed esperte, indipendentemente dalla loro nazionalità. Invece da noi si fa tutto in casa. Per valutare un curriculum di un candidato ad un posto di docente presso ur{università, la legge Gelmini prevede che ci si rivolga a cinque professori della medesima università, senza nemmeno dar loro la possibilità di raccogliere il parere di luminari italiani o stranieri di altre università secondo le procedure standard a livello internazionale. La situazione diventa poi paradossale quando lo stesso disegno di legge prevede invece il ricorso ad esperti revisori italiani o stranieri solo per i concorsi a posizioni di ricercatore precario. Asfittico e autarchico insieme è l’eccesso di attenzione all'approccio per discipline, di cui va segnalata la pericolosità culturale in un mondo in cui le nuove conoscenze più importanti e interessanti avvengono sempre ai confini interstiziali tra le discipline. Questo vale per i sempiterni settori scientifico-disciplinari ma anche per i dipartimenti, che la legge Gelmini vuole obbligatoriamente formati per affinità disciplinari e mai tematiche. L'università dei nostri padri era in fondo più libera e più moderna di quella che ci si vorrebbe imporre. L'università del nostri padri era infondo più libera e più moderna di quella che la riforma Gelmini vorrebbe imporre _______________________________________________________________ IL Giorno 31 ott. ’09 PRETI RETTORE: LASCIO PER COLPA DELLA GELMINI In caso di tagli, Augusto Preti rinuncerà all'incarico prima della scadenza di MARIO PARI E’ un giorno in cui si accendono. delle speranze, a cui, però, si associano timori». Augusto Preti, da 26 anni rettore dell'Università Statale di Brescia, commenta con poche parole la riforma universitaria. E', del resto, la riforma che sancisce, tra l'altro, l'impossibilità a ricoprire la carica di rettore per più di 8 anni consecutivi. E lui, dall'alto, appunto della sua longevità, non può non essere chiamato in causa in una valutazione di quanto deciso dal Consiglio dei Ministri. NELLO STUDIO di via Gramscí, dove ha sede il rettorato, ribadisce che «il governo ha preso decisioni importanti}>, ma ci tiene a far capire che la sua storia, in quello che è quasi un trentennio, è costruita su presupposti diversi da quelli che sono il «male dell'università». «Io-- spiega----- non penso d'essere migliore di altri, non credo d'essere il più bravo. Ho pe rò alcune certezze. Per esempio, non ho mai cercato un gruppo che mi sostenesse in cambio di favori. Non ho mai detto prima chi sarebbe stato il prorettore. Quando si da la disponibilità ad essere eletti, bisogna essere liberi da condizionamenti. Questo, per una questione di correttezza, ma anche perchè un'eventuale favore a qualcuno, ti crea dei nemici». Il rettore Preti che, nel 2414 alla scadenza del mandato, dovrà volente o nolente rinunciare a un'altra possibile candidatura, spiega perché «non si sente uno dei mali dell’università italiana. Per capirlo bisogna fare un salto nel passato, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo, quando si profilavano le elezioni del rettore e lui, che aveva alle spalle due mandati, sulla base dello statuto, non si sarebbe potuto ripresentare. «Venne introdotta dal Senato accademico ---- racconta ----- la possibilità d'essere eletti anche per una terza volta e più, ma con percentuali di voti molto alte. Questo è importante per evitare che il consenso possa essere ottenuto costruendolo per gruppi di elettori». Il rettore bresciano, però, va più in là della certezza di non poter rientrare tra gli eleggibili. «Potrei finire -- confida ---- prima della scadenza del mandato. Potrei dare le dimissioni se su di noi si abbatteranno i tagli annuniciati. Il 10% è insostenibile. Possiamo farvi fronte solo in via provvisoria. In ogni caso, avevo già annunciato che nel 2010 non mi sarei ricandidato». IN TANTI ANNI di rettorato, poi, aver visto la «sua» università classificata al primo posto tra quelle non virtuose, o addirittura «bocciata», com'è stato scritto, non è stato certo un regalo. «Penso ---- commenta -- che l'espressione bocciatura non sia esatta e tutto sia molto più complesso. In particolare, ritengo che ci sia una questione di indicatori a cui si è ricorsi, che ci abbia penalizzato. Certamente non si può parlare di un'università che non abbia raggiunto importanti risultati». Ma, in queste ore, il cruccio del rettore è soprattutto che «si diffonda l'idea sbagliata che i mali dell'Università italiana possano essere risolti solo dall'esterno». _______________________________________________________________ IL Manifesto 31 ott. ’09 COSTRUIAMO UNA MOBILITAZIONE Domenico Pantaleo Il disegno di legge Gelmini contiene il tentativo di ridefinire in modo radicale l'università italiana. Mentre conferma i tagli devastanti della legge 133, punta a rifondarla con una delega la cui portata è costituzionalmente discutibile. Come Flc-Cgil riteniamo inevitabile una generalizzazione dell'iniziativa di protesta che porti a un grande sciopero generale a dicembre. Facciamo appello a tutti i movimenti per costruire un'iniziativa a favore del rilancio del sistema pubblico dell'istruzione e della ricerca, la difesa del valore del lavoro e la rivendicazione di un nuovo welfare universale. Per noi sarà una tappa importante nella mobilitazione che ci vedrà impegnati i17 novembre in tutte le piazze d'Italia, il 14 novembre nella manifestazione contro la crisi, i licenziamenti e la precarietà, ma che non dovrà esaurirsi solo in queste date. II provvedimento nasce dopo una lunga gestazione che, diversamente da quanto afferma il ministro, non ha affatto coinvolto le diverse componenti dell'università. Sulla scia delle norme della 133 introduce una sorta di commissariamento finanziario degli atenei e impone un nuovo modello organizzativo che riduce pesantemente gli spazi democratici. Gli organi elettivi diventano mere appendici, mentre il potere si concentra al vertice dove siederanno, oltre ai membri provenienti ,dall'università, "esterni" indicati da stakeholders. Se va bene vedremo consigli di amministrazione pieni di sedie vuote o gettoni di presenza spesi inutilmente. Se va male ci troveremo di fronte all'immediata privatizzazione dell'università senza tanti complimenti (e fondazioni di facciata). In sostanza, gli spazi di autonomia delle università si riducono drasticamente, mentre si introducono elementi estemporanei di aziendalizzazione. Aggiungerei che la drastica riduzione delle risorse produrrà un forte ridimensionamento dell'università. I "prestiti d'onore", con i quali si pretende di rispondere all'inadeguatezza" del diritto allo studio, trasformeranno i nostri studenti in consumatori indebitati, sulla scia di modelli economici che la crisi del 2008 ha distrutto alla radice. Il tutto condito da un aumento costante delle tasse universitarie. Mentre negli Stati Uniti si cerca di introdurre elementi di welfare nel nostro paese ne cancelliamo gli ultimi residui. La parte del provvedimento più sconcertante è rappresentata dalle norme sul reclutamento che rendono istituzionale la precarietà di oggi. La figura del ricercatore a tempo determinato diventa il canale di accesso alla carriera universitaria esattamente come nella legge Moratti. Tuttavia questa forma contrattuale è solo il gotha del precariato. Accanto ad essa troviamo gli assegni di ricerca e i contratti di collaborazione per l'insegnamento che potranno essere anche a titolo gratuito. Ovviamente tutto ciò avviene senza un piano di assunzioni a tempo indeterminato, capace di dare un minimo di opportunità a chi da anni lavora nelle facoltà facendo ricerca e insegnando per pochi euro oppure gratis. Insomma, uno schiaffo alle migliaia di precari che continuano da anni a portare avanti l'università. Pochi si vedranno offrire come unico sbocco un contratto a termine, la maggioranza verrà progressivamente espulsa con l'aggravante di non poter contare su alcuno strumento di protezione sociale e di sostegno al reddito. Si creerà poi una vera guerra tra poveri tra chi è oggi ricercatore e i precari che vorranno concorrere direttamente per i posti da professori di seconda fascia. I più giovani; invece, che avranno il coraggio di rischiare una carriera nell'università in un paese che disprezza le intelligenze, si vedranno offrire prima un percorso pluriennale di precariato come finti collaboratori (gli assegni possono arrivare fino a 10 anni), poi finalmente un bel contratto a tempo determinato di 3 0 6 anni e dopo l'opportunità di entrare in ruolo, oppure tutti a casa. Sono i precari di oggi e quelli di domani, cioè gli studenti, a dover reagire con forza e per primi a questo attacco violento contro il futuro. Ma la risposta non potrà essere confinata solo all'università. La grande manifestazione della scuola del 30 ottobre dello scorso anno e il movimento dell'Onda hanno dimostrato che è possibile parlare all'intera società se le lotte sono autentiche. Lo stesso ci dicono la protesta dei precari della scuola di questi giorni e prima di loro dei precari degli enti pubblici di ricerca contro le norme Brunetta. * Segretario generale FLC Cgil ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 ott. ’09 «AVANTI SUL TEST NAZIONALE STANDARD» Spazio ai migliori. Roger Abravanel: già con la maturità vannoi ndividuati gli studenti su cui investire La riforma sembra andare nella direzione giusta. Bisogna vedere quanto sarà incisiva, in particolare per selezionare gli studenti migliori con un test nazionale standard e garantire loro l'accesso alle università migliori». A sostenerlo è Roger Abravanel. Ed é un parere estremamente qualificato poiché proviene da chi ha fatto del merito una ragione di vita. Anche letteraria visto che con il suo libro "Meritocrazia", Abravanel ha sfondato il muro delle 35mila copie vendute. È da "Meritocrazia" che il 63enne esperto parte nel giudicare il ddl Gelmini. Ricordando come una delle quattro proposte contenute nel testo riguardasse proprio l’introduzione di un «test di selezione standard». Una proposta che il testo approvato ieri da Palazzo Chigi ha recepito all'articolo 4 insieme al Fondo nazionale che erogherà borse di studio, sconti sulle tasse e prestiti d'onore agli allievi virtuosi. Per Abravanel la sua idea nasce da una considerazione molto semplice: «Non si sa chi sono gli studenti migliori perché i ioo e lode alla maturità non sono più indicativi del merito ». Ma a perderci sono sia i diretti interessati che l'intero paese. Per spezzare questa catena l'autore suggerisce (precisando di averne parlato in numerose occasioni con il ministro Gelmini, ndr) di introdurre già dagli esami di giugno e su base volontaria, un «test nazionale standard come esiste in molte parti del mondo che testa la comprensione della lettura e la capacità di ragionare. Una volta scelti bisognerebbe poi dotarli di borse di studio per rendere possibile l'accesso diretto alle università più prestigiose. D'Italia, s'intende> anche se il sogno sarebbe quello di «finanziare l'accesso anche ad Harvard o al Mit come avviene a Singapore». Passando agli altri obiettivi attesi dalla riforma, Abravanel ne indica un paio: avere almeno due o tre atenei tricolori nella lista dei z00 migliori del mondo; aumentare la quota di laureati triennali che trovano subito sbocco sul mercato del lavoro. Eu. B. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 ott. ’09 RIPETIZIONI DI FISICA PER I LEADER MONDIALI Marco Magrini Chi è al potere, farebbe bene a studiarsi la fisica. Perché l'unica fonte di informazioni sui problemi più stringenti del mondo: dalla crescente domanda di energia al dilemma nucleare, fino al riscaldamento globale. «Barack Obama dovrebbe spiegare ai cittadini, con la sua bocca, non quella del suo consigliere scientifico - dice con enfasi Riehard Muller - che il nucleare è parte del futuro "verde". Berlusconi, invece di annunciarlo e basta, dovrebbe fare altrettanto. Spiegare bene perché la scienza ritiene che il nucleare sia sufficientemente sicuro. E perché il problema delle scorie è risolto». Richard Muller ha due cappelli Da un lato, è professore di fisica a Berkeley. Dall'altro, è presidente di GreenGov, una società che offre consulenza su energia e global warming a governi e grandi industrie. Però è anche autore di un libro da poco tradotto in Italia («Fisica per i presidenti del futuro») che gioca proprio sull'educazione scientifica dei potenti. PAROLA DI GURU «Il riscaldamento climatico è una realtà ma c'è chi esagera Puntare sul nucleare» Secondo lui, ce n'è bisogno. «Il cambiamento climatico è realtà. Il lavoro dell’Ipcc è eccellente. Eppure, quando se ne parla in pubblico, tutto risulta esagerato. AL Gore esagera, ma la comunità scientifica non lo contraddice perché ha paura di creare l'effetto opposto. Esagerano i repubblicani a non considerarlo un problema serio, esagerano i democratici nelle previsioni», sentenzia Muller, che oggi alle 18.30 terrà una lezione alla Fondazione Eni Enrico Mattei (al palazzo delle Stelline a Milano), dopo aver già partecipato al festival della scienza di Genova. Muller, in polemica con Jim Hansen della Nasa, non crede neppure ai feedback positivi, quei possibili effetti moltiplicativi del riscaldamento. «La teoria sulla circolazione termoalina, secondo la quale lo scioglimento dei ghiacci potrebbe interrompere la Corrente del Golfo è stata ritrattata dallo stesso autore», spiega. «E anche l'ipotesi che lo scioglimento del permafrost siberiano possa liberare il metano racchiuso in profondità è errata». Però il global warming - secondo le leggi immutabili della fisica - è registrato e accertato da migliaia di misurazioni. «II punto di vista dell'Ipcc- assicura - rappresenta il consenso scientifico. Dice che l’uso umano dei combustibili fossili ha generato nell'ultimo secolo un riscaldamento di mezzo grado. Chiunque dica che gli uragani o le giornate calde sono effetto del riscaldamento globale> dice una cosa ridicola». Tuttavia, non sono rose e fiori. Muller considera inevitabile un riscaldamento fra i 3 e i 5 gradi centigradi in questo secolo, proprio la soglia paventata dagli ambientalisti. «Il problema sta nella fisica e nel diritto dei cinesi a far crescere la loro economia. La Cina inaugura una centrale a carbone alla settimana e anche se migliorasse la sua efficienza energetica del 4% all'anno, e anche se gli Stati Uniti diventassero più efficienti come vuole Obama, si potrebbe solo rallentare il riscaldamento, non fermarlo». Un passaggio obbligato (insieme a solare, eolico e nucleare) è il carbone pulito, il cosiddetto Ccs: una centrale che separa la C02 e la immagazzina sottoterra. « E l'idea migliore sarebbe quella non di costruirle negli Stati Uniti, ma direttamente in Cina», sentenzia il vulcanico professore-consulente, che sta assistendo una major petrolifera (il nome non lo dice) nella sua diversificazione verso il nucleare. «Però Obama non lo farà. Riversare miliardi di dollari in Cina non è politicamente realizzabile». Forse sarete curiosi di sapere perché il problema delle scorie nucleari è «risolto». «II plutonio non si dissolve nell'acqua» e non ci sarà mai un problema di contaminazioni. «Quanto alle tecnologie per l'energia nucleare sono già abbastanza sicure. La verità è solo che la gente ha paura del cambiamento. Se a inizio Novecento avessi profetizzato un futuro dove la gente viaggiava su veicoli alimentati da una sostanza esplosiva come la benzina, nessuno mi avrebbe creduto». Ma chi è al potere, in teoria, dovrebbe usare la fisica per guardare più lontano. _____________________________________________________________ il Giornale 27 ott. ’09 TUTTI A NAPOLI PER L'ESAME Ecco la città del bengodi dove i concorsi sono facili Psicologi, ingegneri, commercialisti alla ricerca delle sedi più favorevoli. In testa il capoluogo campano Manila Alfano Si incontrano su internet per scambiarsi informazioni. Emigrano spudoratamente in cerca dell'indulgenza, della clemenza, della generosità. Sono i futuri professionisti d'Italia, quelli che manca l'esame di Stato e poi ce l'hanno fatta. Ogni destinazione è possibile. Non si guarda a spese. Da Milano a Reggio Calabria, da Catania a Napoli, andata-ritorno possibilmente low cost. L'importante è avere la dritta giusta: «Lì la commissione è di manica larga». Via, si parte. Un giro su internet per trovare flotte 'di aspiranti commercialisti che invocano la soffiata sulla sede giusta. Li chiamano i globetrotter degli esami, quelli che manca l'ultimo e poi la vita (lavorativa) sarà tutta in discesa. Ma l'esame di Stato resta l'angoscia più grande per i professionisti d'Italia. Troppo importante per rischiare la bocciatura, è l'ultimo. L'idea di rifarlo atterrisce, demotiva, costa. E allora prima ancora di finire di studiare per il programma di esame, si studia la sede dove tentare la sorte. Qualcuno l'ha anche battezzato il turismo d'esame. Lo dicono i dati del Miur, elaborati dal So1e-24 ore. Si parte in gruppo, vada come vada, sempre meglio condividere l'esperienza. Il traguardo è l'abilitazione in una sede diversa dal proprio ateneo di provenienza, se le regole lo consentono, nella speranza di trovare una commissione di manica larga. È tutto certificato, basta leggere i dati di accesso alle professioni. Non ci sono santi. 31 viaggettino lo fanno architetti, commercialisti, psicologi. Un architetto su due, con laurea quinquennale, ottiene l'abilitazione. Questa è la media, ma alla Seconda università di Napoli il 94 per cento dei candidati ce la fa. A Trieste invece ci riesce solo uno sui quattro. Il campo di gioco non è mai neutro. È una falla nel sistema che tutti conoscono, ma che non si riesce a chiudere. Ogni sede fa da sé. Sano i singoli atenei che organizzano la prova due volte all'anno, in genere a giugno e a novembre. Discrezionalità anche sulle tracce preparate dalla commissione presieduta da un docente. La partita per gli architetti si gioca in tre giorni: due progetti e un tema. In tutto venti ore per dimostrare di essere idonei. La difficoltà più grande è il dover tornare a squadre e righelli: dimenticarsi il computer e tornare a progettare a mano. Per passare bisogna avere la sufficienza in tutte e tre le prove per passare all'orale. E anche la valutazione è a discrezione di ogni singola commissione. Insomma un vero e proprio terno al lotto. Differenze territoriali che danneggiano o favoriscono i candidati. Un problema che non è sfuggito ai consigli nazionali delle categorie, che chiedono più omogeneità nelle prove, con linee guida e criteri stringenti. Più uniformi per fermare l'esodo. Come succede ad esempio nelle prove di abilitazione per i commercialisti. Se a livello nazionale uno su due ha la strada spianata, la doppia faccia dell'esame vede contrapposte Udine e Torino. Nell'ateneo friulano solo il 7% riesce a ottenere l'idoneità, nel capoluogo piemontese invece supera lo scoglio il 90 % di quelli che ci provano. Anche in questo caso ogni commissione decide in autonomia sulle tracce e sulla valutazione. Ma anche in questo caso Napoli è messa bene. Risulta infatti la terza nella graduatoria tra le sedi più facili. Su 399 candidati infatti riescono a farcela il78 per cento. E per diventare psicologi? Scontato. Anche qui Napoli si aggiudica il titolo, visto che su 848 candidati il 91% riescono nell'impresa. Insomma alla fine farsi esa= minare nel capoluogo campano conviene sempre o quasi. Per gli avvocati invece il turismo da esame è solo un lontano ricordo. Il decreto Castelli del 2003 poi convertito in legge ha modificato il sistema di correzione. A correggere la prova scritta è però un'altra Corte d'appello sorteggiata tra sedi omogenee per numero di iscrizioni. Così Trento corretta da Caltanissetta, si è distinta nel 2007 come sede più rigida con appena il17,2 per cento dei promossi. Catanzaro, già giudicata in passato una delle sedi di manica larga regala a Palermo lo scettro per il più elevato tasso di successo. Ogni ateneo è libero di organizzare le prove come meglio crede ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 ott. ’09 ANALFABETISMO DI RITORNO, CINQUANTAMILA FIRME PER UNA LEGGE Sardegna agli ultimi posti nell’istruzione, la Cgil chiede il “diritto all’apprendimento permanente”  Il segretario Enzo Costa «Occorre una repentina inversione di tendenza»     CAGLIARI. In Sardegna, nella fascia di popolazione che va dai 25 ai 64 anni, solo il 36 per cento ha in tasca un diploma di scuola superiore, contro il 51 per cento della media italiana e il 69 per cento dei paesi Ocse. È uno dei dati, per niente rassicuranti, illustrati ieri mattina dai vertici della Cgil a margine della conferenza stampa di presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare sul “diritto all’apprendimento permanente”.  ‹‹I dati parlano chiaro - ha detto il segretario regionale del sindacato, Enzo Costa -. Occorre impostare una repentina inversione di tendenza per colmare il divario che ci separa sia dall’Italia che dai Paesi più avanzati››. Il quadro tracciato dalla Cgil non risparmia nemmeno l’università. ‹‹Per numero di laureati, l’isola figura al 250mo posto sulle 261 regioni europee - ha aggiunto Costa - e in relazione all’anno accademico 2008/2009, i fuori corso rappresentano il 60 per cento degli iscritti contro la media italiana del 46,8 per cento››. Non va meglio sul versante della dispersione scolastica se è vero che in Sardegna 22 ragazzi su cento, nella fascia 15-17 anni, abbandonano la scuola: è il dato più alto in tutta Italia. La Cgil è partita anche da questi dati per illustrare la proposta di legge che sarà presentata in Parlamento ai primi del prossimo anno dopo aver raccolto almeno 50 mila firme. Ad oggi, in Sardegna il sindacato è arrivato a quota seimila sottoscrizioni ma si pensa che da qui al 15 dicembre, ultima data utile per raccogliere le firme, il numero sia destinato ad aumentare sensibilmente. ‹‹Intendiamo garantire alle persone una formazione che le accompagni per tutta la vita - ha detto il segretario generale - e proprio in questa direzione si stanno muovendo i maggiori Paesi del mondo. In Italia, invece, a partire dal 2003, si va nella direzione opposta con continui tagli al settore. Altrove si investe in ricerca e conoscenza, mentre nel nostro Paese si sottraggono risorse all’istruzione e alla formazione colpendo di fatto i soggetti più deboli: diversamente abili, inoccupati e anziani››. La proposta di legge sottolinea, in particolare, l’importanza del ruolo svolto da varie agenzie educative come l’università della terza età, gli istituti scolastici che organizzano corsi serali rivolti ai lavoratori, i centri di formazione e gli enti che attivano corsi di aggiornamento professionale. Per il segretario regionale di Cgil Scuola Peppino Loddo, si assiste ‹‹alla cosiddetta “analfabetizzazione di ritorno”, perché dopo i cinquant’anni, senza stimoli adeguati, c’è una sorta di regressione culturale e formativa. La nostra proposta - ha spiegato Loddo - intende arginare questo fenomeno e al contempo dare la possibilità a soggetti esterni al sistema di istruzione di puntare sulla formazione.  Anche per questo la proposta di legge prevede un Piano triennale straordinario per raddoppiare il numero di adulti che partecipa ad attività formative, passando dall’attuale 6,2 per cento al 12,5, come previsto dagli obiettivi minimi da raggiungere entro il 2010, stabiliti dall’Unione europea nella Conferenza di Lisbona del 2000››. (p.s.) ______________________________________________________________ Unione Sarda 25 ott. ’09 POLARIS, ADESSO SERVONO GLI INVESTIMENTI  Cinquecento ricercatori al lavoro nel parco scientifico di Pula  L’assessore regionale Farris: «Siamo di fronte a una realtà che darà presto grandi risultati»    CAGLIARI. Cinquecento ricercatori, soprattutto giovani laureati sardi, sessantanove imprese impegnate fra cui Ibm, Engineering e Centro sviluppo materiali (Csm) e sedici piattaforme all’avanguardia nei settori della tecnologia dell’informazione, della comunicazione e delle biotecnologie. Con questi numeri il parco scientifico Polaris è pronto ad attirare gli investimenti delle imprese estere. Nei giorni scorsi c’è stato nella sede di Pula un forum di due giorni cui hanno partecipato, oltre a rappresentanti di aziende e di enti, delegazioni provenienti da quattordici paesi esteri, fra cui quelle di Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia, Cina e Emirati Arabi Uniti: «Siamo pronti ad offrire i nostri spazi e la nostra tecnologia all’avanguardia ad imprese estere disposte a fare investimenti in Sardegna - ha detto il responsabile marketing e relazioni esterne di Polaris, Walter Songini - e nella struttura sono stati già programmati più di duecento incontri fra aziende non italiane e locali». Soprattutto con il Dubai, di cui era presente al forum una folta rappresentanza, guidata dal sottosegretario al ministero della salute Amin Al Miri, è concreta la possibilità di una collaborazione nell’ambito dell’applicazione alle medicine delle scoperte biotecnologiche.  Altri due settori di ricerca per i quali Polaris è all’avanguardia nel mondo sono la telemicroscopia, cioè il controllo del funzionamento delle componenti elettroniche via web da remoto, e gli studi sul genoma umano: «Un super microscopio del nostro laboratorio è in grado di raggiungere risoluzioni prossime al nanometro - ha spiegato la ricercatrice Simona Podda - e permette di analizzare le componenti elettroniche fino ad un livello atomico, individuando in modo preciso eventuali malfunzionamenti».  Vanno avanti anche gli studi sul genoma dei sardi: «La nostra ricerca è ancora in una fase sperimentale - ha spiegato il responsabile del laboratorio Andrea Angius - ma finora abbiamo già caratterizzato circa 2000 Dna di sardi sani. Il passo successivo sarà confrontarli nel dettaglio con quelli di persone malate e con i dati del Sanger center di Cambridge, all’avanguardi a nel mondo. Il nostro obiettivo è comprendere le ragioni dell’alta incidenza sul territorio di alcune patologie autoimmunitarie, come il diabete di tipo uno e le disfunzioni della tiroide, e riuscire a sconfiggerle».  Fra le imprese che utilizzano le tecnologie di Polaris alcune già commercializzano i loro prodotti, in particolare quelle che vendono integratori alimentari: «La nostra azienda, che lavora nel parco scientifico di Polaris - ha detto Mario Manunta, ricercatore di Bionor Research - distribuisce da due anni in tutta l’isola il Nurax, un integratore a base di estratti di piante officinali sarde. E stiamo per lanciare in tutta Italia un nuovo prodotto».  L’assessore regionale all’Industria Andreina Farris si è detta molto soddisfatta per il successo che sta ottenendo il progetto, gestito da Sardegna ricerche: «Polaris è una gran bella realtà - ha affermato - che darà presto grossi risultati, grazie all’interazione con la realtà locale e al coinvolgimento di altri paesi disposti a investire nella ricerca». (p.c.) _______________________________________________________________ IL SECOLO XIX 30 ott. ’09 ANCHE IL CERVELLO DEVE PENSARE IN DIGITALE VITTORIO MIDORO Il 31 ottobre 2009 i siti Web di MSN e Encarta verranno chiusi in tutto il mondo, con l'eccezione del sito giapponese, che verrà chiuso il 31 dicembre 2009. Inoltre, entro giugno 2009 Microsoft sospenderà in tutto il mondo la vendita dei prodotti software Microsoft Student e Microsoft Encarta Premium». Questo stringato comunicato comparso sul sito di Encarta ha annunciato la chiusura della più nota e venduta Enciclopedia elettronica del mondo e forse la fine di un modo di concepire il sapere che aveva avuto negli illuministi francesi i massimi teorici. Nel 1750, nel Prospectus della sua Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une Société de Gens de lettres, tra le righe, Diderot descriveva il suo sogno: ...Un ouvrage qui doit contenir un jour toutes les connaissances des hommes... Diderot pensava a questo contenitore come a una serie di volumi a stampa, di cui i 17 di testo egli 11 di tavole, realizzati fra il 1751 e il 1772, erano solo l’inizio dell'opera. A che cosa doveva servire un'opera simile? La risposta è nel nome della sua enciclopedia: par une Société de Gens de lettres. Dove par potrebbe significare destinato a, ma anche, e soprattutto, per creare una società di gente di lettere. Oggi, come potrebbe essere pensato questo contenitore di tutte le conoscenze? E, ammesso che ci sia qualcosa di simile, come potrebbe contribuire alla creazione di una Société de Gens de lettres del XXI secolo, che oggi potremo identificare con la società della conoscenza? E quali sono quelle abilità e conoscenze delle Gens de lettres del XXI secolo che questo contenitore, da un lato, contribuisce a sviluppare, e, dall'altro, richiede per potere essere utilizzato? Da una punta di selce al ciclosincrotrone, ogni artefatto umano è un contenitore di conoscenza. L'insieme di tutti gli artefatti esistenti appare come un contenitore di conoscenza applicata. A loro volta, questi artefatti sono il frutto dell'attività di tante diverse comunità di pratica. Che cos'è una comunità di pratica? Questa può essere vista con granularità diversa che ad esempio va da un dipartimento di fisica all'intera comunità dei fisici. Generalizzando, una comunità di pratica può essere definita da tre elementi: un insieme di individui, mutuamente impegnati nella realizzazione di una pratica, un repertorio condiviso, fatto di tutti gli oggetti prodotti o usati per produrre artefatti e un'impresa comune. Allora, il contenitore di tutta la conoscenza degli uomini potrebbe essere pensato come l'insieme di tutte le comunità di pratica passate e presenti. Oggi Internet appare come una risorsa comune del repertorio di quasi tutte le comunità di pratica ed è quindi la cosa che più si avvicina al contenitore di cui parla Diderot. C'è tuttavia una differenza sostanziale tra gli oggetti dell'enciclopedia, gli scritti e gli oggetti di Internet, i documenti digitali. Infatti, rispetto alla stampa questi hanno caratteristiche diverse. Le funzioni di creazione, produzione, immagazzinamento, ricerca e fruizione, che negli scritti sono rigidamente separate, nei caso dei documenti digitali sono strettamente integrate, per cui con un unico sistema è possibile produrre, immagazzinare, ricercare, trasferire e fruire qualsiasi documento digitale. I documenti digitali possono avere formati diversi, a cui corrispondono canali di comunicazione diversi. Un documento digitale può presentarsi sotto forma di testo, di immagini statiche, di immagini in movimento o di suoni in tutte le combinazioni immaginabili. La possibilità di integrare altri canali di comunicazione fa sì che i documenti digitali possano essere visti come intrinsecamente multimediali. Ogni documento digitale può essere legato a qualsiasi altro documento digitale. Ciò determina un superamento dei confini del singolo documento rendendo necessaria una riconcettualizzazione di quali siano i reali confini di un documento. I documenti digitali, o loro parti, sono facilmente riproducibili a bassi costi e sono facilmente accessibili/ scambiabili a livello globale in ogni istante senza vincoli di spazio e di tempo. Inoltre sono agevolmente modificabili, formattabili e, nel caso di testi, stampabili. Alcuni documenti sono prodotti in modo collaborativo, e editabili nel tempo, per cui sono superate le divisioni tra il ruolo di autore e di editore. Wikipedia ne è un esempio. Nella scienza dei computer, programmi e dati sono rappresentati nello stesso modo da sequenze di 0 e di 1 la distinzione è nella loro interpretazione. Una cosa analoga accade anche per i documenti digitali e i programmi eseguibili. Se si tiene presente che anche i programmi di scrittura possono contenere parti computabili si comprende come anche un programma possa essere interpretato come un documento digitale. Ciò apre la strada all'interattività. Le Gens de lettres del XXI secolo dovranno dunque sapere operare con i documenti digitali, nel mondo virtuale. Ciò implica nuove capacità, un nuovo tipo di alfabetizzazione. Un'alfabetizzazione digitale. Questa ha molte dimensioni che vanno dal sapere operare con i documenti digitali al sapere risolvere problemi riguardanti la ricerca d'informazioni, dall'essere capace di condividere informazioni e conoscenze in un ambiente tecnologico all'essere capace di partecipare alla costruzione di conoscenza all'interno di una comunità di pratica. L'agenda del XXI secolo non è dunque sviluppare nuovi contenitori del sapere, ma individui capaci di operare nel mondo della conoscenza, utilizzando le tecnologie che la caratterizzano. VITTORIO MIDORO è ricercatore all'Istituto Tecnologie Didattiche, Cnr, _______________________________________________________________ IL Foglio 31 ott. ’09 FLORENSKIJ: L’INFINITO RICERCATORE Pavel Floremkij, geniale teologo e filosofò russo che confutò il positivismo Perché ~a matematica sorve un rife~ento assoluto, come la religione di Giargro Israel Padroneggiare il concetto di infinita e di infinitamente piccalo è una delle grandi ambizioni su cui è nata la scienza moderna. La matematica atta a trattare questi concetti nacque nel Seicento come strumento per descrivere i fenomeni del moto e quindi come fondamenta della nuova meccanica. Da dove nacque l'interesse per l'infinito? Non dispiaccia a chi nega che scienza e religione abbiano qualcosa a che spartire: essa ha una matrice teologica ed è legata all'idea di una divinità trascendente. Questa tematica era stata già compresa circa un secolo fa da un singolare pensatore russa Favel A. Florenskij. Nata nel 1882, si laureó in matematica a Mosca nel 1904, l'anno in cui scrisse un saggio su "I simboli dell'infinito". Personaggio geniale ed eclettico, Florenskij studiò filosofia, psicologia, teoria dell'arte e del linguaggio, e divenne uno specialista in ingegneria elettrotecnica; ma soprattutto sviluppò un interesse intenso per la teologia che la portò, nel 1908, a diventare sacerdote ortodosso. Quando scoppiò la rivoluzione bolscevica era già celebre. Non valle lasciare il paese, malgrado fosse contraria al nuova regime che alternò nei suoi confronti atteggiamenti di apertura, cercando di usarne le straordinarie competenze, e di controllo stretto. Florenskij restò per difendere la comunità ecclesiale e combattere il dogmatismo ideologico. Divenne ingombrante, fu imprigionata e poi fucilata nel 1937. Solo da pochi anni la sua opera sterminata è stata riscoperta e studiata. Nel saggio che ci interessa egli si occupa dell'opera, a lui contemporanea, del grande matematico tedesco Gearg Cantor, creatore di una teoria degli insiemi infiniti che era il culmine dello sforzo secolare di dominare concettualmente l'infinito. Vagliamo qui illustrare la geniale intuizione con cui Florenskij comprese la natura teologica delle speculazioni matematiche di Cantor, ma per farlo dovremo fare una digressione introduttiva. Vale anche per l'infinito la frase di Alfred North Whitehead secondo cui 1a filosofia europea "consiste di una serie di note a piè di pagina di Platone" e, in generale, del pensiero greco. Certo, il pensiero filosofico-scientifico moderno si è discostato dalle conclusioni dominanti nel pensiero greco, ma ha dovuto salo "scegliere" in un inventario in cui le varie definizioni di infinito e le aporie connesse a tali definizioni erano state esplorate a fonda. Le difficoltà legate alla considerazione dell'infinito - espresse nei celebri paradossi di Zenane - indussero i Greci a un atteggiamento di diffidenza, soprattutto nei confronti de11`infinito attuale"; l'infinito dato una volta per tutte, pensata can un atto unica: Aristotele privilegiò l’infinito potenziale", inteso non come una quantità data ma come un processo di crescita senza limiti. In generale, i Greci propesero per una visione finitista, che era coerente con quella del cosmo, vista come una sfera chiusa, limitata, dal raggia finito. Il monoteismo ebraico ruppe l'armonia greca tra uomo, cosmo e divinità introducendo un abisso tra l'uomo, creatura finita, e il sua mondo finita, da un lata, e un Dia concepito come Essere assoluto, trascendente, infinita. Era un abisso che soltanto la "voce" poteva superare: la voce di Dio che si rivela e quella dell'uomo che prega. Il teatro principale era spostato dalla natura alla sfera morale e religiosa della comunità umana. La teologia medioevale, sia ebraica che cristiana, recuperò lo spirito greco soltanto per quel che riguardava 1a sfera naturale: Aristotele divenne il praecursar Christi in naturalibus e, seconda Maimanide, la Torah conteneva farse una spiega zione dei segreti della natura, ma essa si era persa ed era ormai rimpiazzata dalla fisica di Aristotele. Ma la giustapposizione del trascendentalismo religioso col finitismo naturalistico conteneva una contraddizione interna insanabile. Già nei medioevo si levarono molte voci a identificarla e criticarla. Tale fu il caso del filosofo ebreo Hasdat Crescas le cui originalissime, speculazioni sull'infinita aprirono la strada> all'abbandono del finitismo: aristotelica e dell'idea che il mondo è un plenum di oggetti e all'affermarsi di una visione geometrica dello spazio come contenitore vuota in cui "galleggiano" i corpi. Sono i primi segni dello sbocciare del pensiero rinascimentale, del passaggio Mal mondo chiuso all'universo infinito" (Koyré) e che fu segnata dall'abbandono di Aristotele a favore dì Platone. Edmund Husserl ha descritto magistralmente la visione che è alla base del ripensamento moderna dei compiti ereditati dalla filosofia antica, che "non arrivava a riconoscere la possibilità di un compito infinito", e' ha spiegato come l'apertura versa il tema dell'infinito, sia la fonte di un'idea della conoscenza come processo indefinito di approssimazione verso la "verità". La novità è l"idea di una totalità infinita dell'essere e di una scienza razionale che lo domina razionalmente". Qui si realizza pienamente la sintesi tra la razionalità greca e l'aspirazione ebraico- cristiana alla trascendenza La razionalità greca viene proiettata verso un campito che supera i confini ristretti della concezione antica e insegue l'infinito come termine praticamente irraggiungibile ma perfettamente definito in un processo illimitato di avvicinamento: In questo quadro 1a matematica ha una funzione centrale, in quanta terreno su cui si realizza una conoscenza oggettiva: Certo; le resistenze all'abbandono del punto di vista antico furano grandi, persino da parte di-pensatori rivoluzionari come Descartes, che esclude che l'uomo possa attingere all'infinito: "Sarebbe ridicolo - egli dice - che noi, che siamo finiti, intraprendessimo di determinare qualcosa dell'infinito e, in tal modo, supporlb finito cercando di 'capì I'. Secondo Descartes noi possiamo solo constatare cose in etti non vediamo limiti é quindi non diremo che sono infinite, ma che sono indefinite, "riservando a Dio soltanto il nome di infinito". Quindi sebbene l'universo sia, in quanto immagine di Dia, infinito - e qui Descartes rompe con l'aristotelismo - nella mente dell'uomo appare carne un "interminatum". Dio è l'infinito attuale, alla mente dell'uomo è riservata solo l’infinito potenziale. Ma proprio l'impossibilità di costruire una rappresentazione complessiva e definitiva dell'universale il fondamento dell'oggettività della conoscenza! Se conoscenza umana e realtà fossero fuse, la seconda sarebbe finita e imperfetta come la prima e non sapremmo come accertare 1a verità delle nostre deduzioni. Ma noi sappiamo che esiste una realtà infinita; perfetta e oggettiva distinta dal nostro pensiero e irraggiungibile, in términi assoluti. Un processo di approssimazione indefinito verso di essa ci renderà certi che le nostre deduzioni partecipano, in modo sempre più perfezionato, della verità. Questa visione è il fondamento dell’oggettivismo scientifico, e Descartes la riprende dalla dottrina della dotta ignorantia di Nicola Cusano. Cusano, l'intelletto si comporta con la verità come il poligono con il cerchio: il poligoni inscritto, quanti più lati ha, tanto più si avvicina al cérchio, s~nza diventar ma'i uguale a quello, anche se i suoi angoli vengono moltiplicati all'infinito, né giungere mai a coincidere col cerchia". Cusano è più audace di Descartes perché non arretra di fronte al concetto di infinito attuale: benché il processo di approssimazione della conoscenza sia "indefinito", per avere senso esso deve avere come riferimento un infinito attuale, l'essenza oggettiva della realtà che è il riflesso delle leggi con cui Dia ha strutturato la natura. Questo è il nodo che viene colto brillantemente da Florenskij nel trattare della teoria degli insiemi transfiniti di Cantor. Egli si sofferma sulla "distinzione fondamentale e del tutto elementare tra infinito attuale e infinita potenziale" e afferma - riallacciandosi a Cantor - che il secondo non é un'idea ma un concetto ausiliario, un "cattivo infinito". A suo parere, tale concetto fu generato dalle riflessioni di Anassimandra, "secondo il quale la potenza inesauribile, inestinguibile dell'essere, l'apeiron indefinita, riempie lo spazio e dalle sue viscere genera ogni casa". Ma la parola apeiron non significa, contrariamente a quanto riteneva Aristotele, l'infinito della materia prima, "ma solo una fusione e una combinazione di potenze, la possibilità di generare continuamente esseri", Il limite della nozione di infinito potenziale risulta dal fatto che esso non è pensabile senza l'infinito attuale: una crescita senza limiti non è pensabile se non in relazione a un contesto, che é proprio quello dato da un infinito attuale. Come potremmo pensare ad un numero sempre più grande di un altro se non in un ambiente, per esempio quello dei numeri interi? "Di conseguenza - afferma Florenskij - ogni infinito potenziale presuppone l'esistenza di un infinito attuale quale proprio limite sovrafinito, qualunque progresso infinito presuppone l'esistenza di uno scopo infinito nel progresso; ogni perfezionamento infinito necessita che sia ammessa l'infinita perfezione. Chi nega 1'infinîto attuale in qualunque accezione nega con ciò stesso anche l'infinito potenziale in quella stessa accezione, e il positivismo ha in sé gli elementi d'ella propria corruzione. Come dire che nel positivismo ha luogo un autoavvelenamento tramite quanto prodotto dalla sua stessa attività". Oggi, di fronte al tentativo di presentare il relativismo come essenza della conoscenza scientifica, appare davvero attuale la penetrante critica del Florenskij della contraddizione del positivismo, ché da un lato afferma il valore universale della conoscenza scientifica e, dall'altro, gli toglie fondamento concependo il processo conoscitivo come un avanzare a caso senza un termine di riferimento. La necessità di un termine di riferimento assoluto - il cerchio limite di Cusano - mostra là centralità del discorso teologico nella fondazione dell'epistemologia scientifica moderna. Senza il riferimento all'infinito, la scienza intesa come costruzione che mira alla crescita della conoscenza non può essere neppure pensata. Florenskij cita il teologo e filosofo tedesco Constantin Gutberlet per denunciare un modo sbagliato di riferirsi a Tommaso d'Aquino: T'è una seria incoerenza nel fatto che nell'evo moderna si sia provato di utilizzare con pedante meticolosità tutte le opinioni scientifiche - ovviamente obsolete - di Tommaso d'Aquino, dal quale invece si prendevano le distanze quanto a una questione speculativa importantissima quale è l'eternità del mondo: C'è incoerenza anche nel fatta che nella Conoscenza di Dio si consenta un insieme attuale infinito di possibili cose, di cui però si nega la possibilità. f...l Se un insieme attualmente infinito è una contraddizione in sé, essa non può esistere nemmeno nella Mente di Dio se non in quanta assurda, qualcosa tipo la quadratura del cerchio". Un altro tema di grande interesse del saggio di Florenskij é l'identificazione della radice della visione del mondo di Cantor nelle sue radici ebraiche: In realtà, oggi si ritiene che Cantor, certamente di origini ebraiche, fosse convertito al cristianesimo. Ma questo non è rilevante rispetto alle riflessioni di Flarenskij. Egli identifica nello spirito ebraico ciò che fa dell'impresa scientifica di Cantor la manifestazione di "una grande fede" che mira a dimostrare la necessità dell'idea del transfinito. E osserva: "Se come persona, Cantor appare quale modello vivissimo di ebreo, la sua visione del mondo ne é altrettanto - se non più - tipica: L’idea dell'infinità perfetta (infinito imito) della persona assoluta - Dio - così come della persona umana è una prerogativa del1'ebraismo, e questa idea pare essere il fondamento più sostanziale di Cantar. (...) Alla sua anima l'idea dell'impossibilità dell'infinito attuale appare mostruosa. (...) Persino l'infinito potenziale, per lui, è importante solo a condizione di una crescita non indefinita,, non il-limitata nel senso primo del termine, ma a condizione tendere verso quello stesso confine, verso l'infinito attuale quale suo scopa ideale". Florenskij coglie nella spinta ai ricongiungimento con il Dio trascendente il motore dell'aspirazione all'infinito che ha un ruolo centrale nella scienza moderna. Egli illustra questa tensione con un sorprendente riferimento a un'invocazione che ha un ruolo centrale nella festività di Pesach (la Pasqua ebraica) e che è contenuta nel testa che viene letto durante la notte della cena pasquale - la Hagaddah., Florenskij la riporta a conclusione del saggio come espressione della tensione al ricongiungimento con l'infinità divina {analoga alla richiesta di Giacobbe all'angelo con cui aveva lottato tutta la natte di non lasciarlo prima di averlo benedetto}: "E' probabile che tutti conoscano il cantico pasquale degli ebrei. Ricorderete certamente l'insistenza decisa, la petulanza - per dirla in modo razza - delle preghiere a Dio. Tale incalzante richiesta, tale lotta con Dio, `non ti lascio finché non mi benedici sono quanto mai tipiche dell'opera di Geórg Cantor, e penso di non poter spiegare meglio il senso del suo operato se non riportando il testo di tale cantica. Eccolo: Egli Che è possente ricostruirà la Sua dimora presta, prestissimo, durante la nostra vita. 0 Dio, ricostruisci, ricostruisci presto la tua dimora! Egli Che è prescelta ricostruirà la Sua dimora presto, prestissimo, durante la nostra vita, 0 Dio, ricostruisci, ricostruisci presto la tua dimora! Egli Che è grande ricostruirà la Sua dimora presto, prestissimo, durante la nostra vita. p Dia, ricostruisci, ricostruisci presto la tua dimora! Egli Che è onorato, fedele, giusta, pio dio mi benedici', sano costruirà la Sua dimora presto, prestissimo, durante la nostra vita. 0 Dio, ricostruisci, ricostruisci presto la tua dimora! Egli Che è puro, unico, possente, saggio, re, dotto, forte, prode, liberatore, giusto ricostruirà la Sua dimora presto, prestissimo, durante la nostra vita. 0 Dio, ricostruisci, ricostruisci presto la tua dimora! Egli Che é santo, pietosa, onnipotente, forte ricostruirà là Sua dimora presta, prestissimo, durante la nostra vita. 0 Dia, ricostruisci, ricostruisci presto la tua dimora!". Un secolo fa non si parlava di "radici giudaico-cristiane", ma il cristiano Flarenskîj aveva capito con profondità ineguagliabile ciò che la religiosità ebraica aveva dato al pensiero europea moderno. ______________________________________________________________ Unione Sarda 31 ott. ’09 LA STELE DI NORA RIVELA: SANT'EFISIO DIVINITÀ NURAGICA Sant'Efisio non è un martire cristiano, ma il figlio di Jahu/Jahwé, una divinità millenaria adorata dai popoli nuragici simile al Dio degli ebrei. In scrittura semitica viene riportato come Lefe/is-y (le vocali sono incerte perché non venivano scritte) e nel tempo il nome si è tramandato passando da una civiltà religiosa all'altra. Sino all'epoca romana quando Lefe/is-y è diventato il guerriero cristiano Efisio, il santo ancor oggi venerato dai cagliaritani e in tutta l'Isola. È quanto sostiene, in estrema sintesi, uno studioso oristanese che fa risalire le origini nuragiche del nome e del personaggio di Efisio all'epigrafe della stele di Nora, uno dei reperti più importanti e famosi del museo nazionale archeologico di Cagliari. Non è un caso che l'Efisio romano fu martirizzato proprio a Nora, nella zona dove nel 1773 venne trovata la stele con un'iscrizione fenicia sino a oggi ritenuta il documento scritto più antico della storia occidentale. Ma anche questo caposaldo dell'archeologia sarda rischia di essere demolito, insieme al mito di sant'Efisio, dalle clamorose rivelazioni di Gigi Sanna, già noto per le battaglie sull'esistenza di una lingua scritta usata dai popoli dei nuraghi. Ex docente di lingua e letteratura latina e greca, ora insegnante di storia della Chiesa antica presso l'istituto di Scienze religiose di Oristano, ha raccolto le sue tesi in un libro di 250 pagine "La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo" (edizioni Ptm) che oggi alle 18 verrà presentato nella sala consiliare del Municipio oristanese. NUOVO LIBRO Già si annuncia come una bomba, con effetti deflagranti per il mondo culturale sardo e per gli studiosi di antichità. Gigi Sanna non è nuovo ai clamori delle sue ricerche, spesso duramente criticate e qualche volta persino sbeffeggiate da chi non aveva argomenti validi da opporre. Due anni fa, per avvalorare quanto da tempo va affermando con saggi e convegni, venne in Sardegna Remo Mugnaioni, docente francese dell'università di Lyon, assiriologo di fama mondiale. Questa volta dalla sua ha altri due studiosi di spicco quali Aba Losi, docente di fisica dell'università di Parma e il vice rettore dell'università Pontificia di Cagliari, Antonio Pinna, noto biblista ed esperto di antico ebraico. Entrambi da tempo seguono gli sviluppi degli studi sulla stele e oggi ne discuteranno durante l'incontro in Comune. Una vicenda complessa, questa delle stele, che potrebbe aprire nuove strade sullo studio della lingua dei cosiddetti nuragici. «Ormai non ho più alcun dubbio che avessero anche una loro lingua scritta» dice Sanna: «Le prove? Sinora ho classificato come nuragici 52 documenti con iscrizioni riportate prevalentemente su pietre, su cocci, su bronzo, come quelle stupende di Tzricotu di Cabras. Tutti documenti scritti con caratteri di alfabeti consonantici semitici. Tra questi documenti nuragici ora può essere inserito il monumento di Nora che, anche sulla base di una rilettura dell'alfabeto fenicio arcaico o protocananeo, contiene una straordinaria scritta con significati solo ieri del tutto inimmaginabili». LA TRADIZIONE Per l'archeologia ufficiale la stele è scritta in lingua fenicia ed è ritenuta l'iscrizione più antica rinvenuta nell'isola e nel Mediterraneo occidentale. Ricavata da un blocco di pietra fu trovata in un muretto a secco vicino a una chiesa di Pula, il paese che trae origine dall'antica città di Nora fondata dai fenici. Secondo l'interpretazione più nota, l'epigrafe - che si fa risalire al nono/ottavo secolo - riporterebbe la parola b-srdn , cioè «in Sardegna», la prima citazione dell'isola che si conosca. Per alcuni studiosi, invece, la sequenza alfabetica srdn della terza linea farebbe riferimento agli Shardana, che probabilmente vivevano in Sardegna nel'età del bronzo e che facevano parte della coalizione dei "popoli del mare". Guerrieri e navigatori che combatterono anche come mercenari nell'Egitto dei faraoni. Nell'epigrafe si legge all'inizio un'altra parola: b-trss , «in Tartesso», toponimo misterioso dell'antichità citato più volte nella Bibbia. LE NOVITÀ Ebbene Gigi Sanna spazza via tutto questo: «Intanto non è il più antico documento perché una quarantina di quelli da me studiati e pubblicati sono, per tipologia alfabetica, antecedenti al fenicio arcaico della stele. Inoltre la stessa stele, a mio parere, ha una datazione più alta di quella seguita dai più, riconducibile al 1100 -1000 avanti Cristo». Ma la vera scoperta di Sanna sarebbe un' altra: «L'epigrafe - spiega - non è fenicia, ma nuragica, caratterizzata dalla presenza di una lingua prevalentemente semitica riportata con caratteri di tipologia semitica. Il documento attesta in tutta chiarezza che i costruttori dei nuraghi parlavano anche una lingua semitica e la scrivevano utilizzando, nell'occasione, l'alfabeto fenicio arcaico». Per lo studioso oristanese b-srd non vuol dire affatto «in Sardegna»: mettendo al giusto posto della sequenza la consonante della linea precedente si ottiene «aba shardan», che vuol dire «padre signore giudice». Le altre parole che precedono «aba shardan», cioè b-trss e w grs sono invece due toponomi sardi uniti dalla congiunzione "e": il primo è il nome di Tharros e l'altro quello di Corras/Cornus. I DUE ESPERTI Ma non è tutto. La studiosa Aba Losi , con un'osservazione tipica del matematico, ha individuato la ripetitività di tre precise lettere in simmetria, con andamento alto-basso e basso-alto nelle parti laterali dell'epigrafe. «Da lì - afferma Sanna - a concludere che esistesse una seconda lettura "a cornice" della stele il passo è stato breve. Come breve è stato scoprire anche una terza lettura, stavolta centrale, con l'andamento delle lettere in forma di un serpente, uno dei simboli più forti e ricorrenti, insieme al numero tre, nelle iscrizioni di natura religiosa nuragica», sottolinea lo studioso: «Bisogna considerare che gli scribi nuragici si esprimevano con scrittura "a rebus", traducibile evidentemente solo da chi possedeva la complessa chiave di lettura del codice espressivo». Sino a pochi decenni fa gli storici sostenevano che i sardi non avevano una loro scrittura, ma si servivano volta per volta di quella altrui. La stele - chiaramente un monumento religioso a forma fallica (simbolo della potenza creatrice della divinità) - è dedicata al «dio padre giudice signore» ed è un'offerta dei Norani ( mlkt nrns). LUNGA VITA Questa stele ebbe vita lunghissima a Nora in quanto fu leggibile sino al momento in cui i caratteri fenici furono usati in Sardegna e la lingua semitica compresa se non da tutta, da una parte delle popolazioni residenti. «Non si dimentichi - scrive Sanna nel libro - che la Sardegna mantenne caratteri alfabetici fenici cosiddetti neopunici e ovviamente la parlata semitica sino al terzo secolo dopo Cristo. È presumibile che con l'avvento del Cristianesimo e con l'affermarsi dei caratteri alfabetici romani, che soppiantarono quelli semitici, l'oggetto di culto degli abitanti di Nora cominciò a perdere d' importanza e significato, anche perché sostituito da qualche altro simbolo monumentale per il santo Lefe/is-y. Questo è infatti il nome "incredibile" che si legge alla fine della stele: "Lefe/isy bn ngr" . Nome che, nella lingua parlata locale, da Santu Lefe/isy, per indebolimento della consonante liquida (la elle), diventò Sant' Efisy (poi Efisio). Efisy figlio di ngr, ma anche "figlio del dio padre" aba -shardan, da celebre santo pagano, col tempo, passò pari pari alla venerazione cristiana». CARLO FIGARI ==================================================== __________________________________________________________ Avvenire 28 ott. ’09 CURE PALLIATIVE, CRESCONO GLI HOSPICE NEL SUD DA LECCE FRANCESCO LoziTo Curare fino alla fine con la consapevolezza che occorre fare tutto il possibile perché la persona malata in fase terminale e la sua famiglia non vengono mai abbandonate. Si può riassumere cosi il senso di quanto circa un migliaio di partecipanti da tutta Italia stanno discutendo a Lecce in occasione del sedicesimo congresso nazionale della Società italiana di cure palliative che si è aperto ieri nella città pugliese e andrà avanti fino a venerdi. In Puglia questo tipo di medicina ha fatto molti progressi. Dalla seconda rilevazione del libro bianco degli hospice - che verrà presentata proprio in questi giorni di assise - risulta che la Regione Puglia dal 2006 al 2009 ha visto triplicare da 2 a 6 le strutture hospice attivate e da 20 a 96 i posti letto disponibili, grazie soprattutto al forte impulso delle organizzazioni religiose che operano sul territorio. Infatti 3 dei 6 hospice attiva il su no gestiti da enti religiosi, un hospice risulta a gestione mista pubblico -religiosa e due sono gli hospice totalmente pubblici. E offerta regionale di posti ietto residenziali in cure palliative è attualmente di 0,24 posti letto per 10mila abitanti, dunque ancora di poco inferiore alla media nazionale (0,3 posti letto/ 10mila abitanti). Passi avanti, dunque, dal 2003 quando in Puglia venne aperto il primo hospice a San Cesareo ne sono stati fatti parecchi. Oggi sono tre i progetti di piano specifici delle cure palliative pugliesi come spiega Emanuele Gargano, coordinatore regionale per la Sicp: «Il primo riguarda l'assistenza domiciliare e prevede la disponibilità di 2 milioni e 600mila euro per progetti specifici delle Asl. Tre milioni andranno alla costruzione della rete di cure palliative pediatriche e, infine, 200mila euro saranno a disposizione per la realizzazione del Centro di documentazione e ricerca sulle cure palliative». Ieri, dopo la lettura magistrale del professor Giovanni Elia, medico palliativista pugliese «emigrato» da 20 anni negli Stati Uniti, che lavora al San Diego hospice in California e che ha fatto un raffronto tra la situazione dei due Paesi, si è entrati subito nel vivo dei temi congressuali con una tavola rotonda su cure palliative ed etica. Uno dei relatori è stato l'arcivescovo di Lecce Domenico Umberto D'Ambrosio che ha parlato di etica della misericordia e della solidarietà: «Vi parlo da credente non avulso o assente dalla vicenda umana in cui mi sento immerso con una convinzione profonda - ha detto - che è quella di ascoltare e condividere nella solidarietà che si fa vicinanza attenta e amorevole ai tanti crocifissi che ogni giorno incontro e per i quali, ove occorra, devo farmi cireneo. L’arcivescovo ha cosi invitato il mondo delle cure palliative ad andare avanti nel proprio percorso: Al vostro impegno accanto alla sofferenza dell'uomo - ha detto - non può fermarsi e di fatto non si ferma alla compassione, va oltre, porta aiuto alla sofferenza qualunque essa sia». Basando gran parte del suo intervento su Cicely Saunders, la fondatrice delle cure palliative contemporanee, Romano Madera, professore di filosofia morale e di pratiche filosofiche all'Università Milano-Bicocca ha detto che «oggi anche in ambito medico viviamo come una scissione tra professione e vocazione. Parlare di etica come stile di vita sembra essere diventato un po' retrò. E, invece, occorre trovare un luogo di incontro in cui la diminuzione della sofferenza vada di pari passo con l'aumento del senso della fraternità». A Stefano Canestrari, giurista dell'Università di Bologna il compito invece di parlare di rifiuto possibile delle cure nella prospettiva del diritto. ____________________________________________________________ Repubblica 26 ott. ’09 MATERIA BIANCA: UN NETWORK ALLA BASE DEL CERVELLO Edi PAOLAJADELUCA Si dice materia grigia per intendere ìl cervello, la capacità di pensare, l'intelligenza: Ma in realtà studi recenti mostrano come sia sempre più predominante il ruolo della "materia bianca", il tessuto connettivo dei neuroni che costituiscono la materia grigia: una intricata matassa di migliaia di fibre neuronali, nervi ottici, cavi sottili come spaghettini, fasci di nervi motori e sensori che portano giù fino alle staminali del cervello. Una matassa di filamenti tenuti insieme dalla mielina in una proporzione talmente elevata che solo gli uomini hanno. Un universo sconosciuto fino ad oggi, e reso visibile e investigabili dalle più moderne tecniche di diagnostica, una nuova generazione di risonanza magnetica che consente agli scienziati di spostare l'attenzione dalle diverse regioni del cervello alle connessioni tra queste regioni. Un viaggio nei segreti più reconditi della cognizione umana guidato da neuroscienziati come Andrew Frew, dell'Università della California, Los Angeles, pionieri della nuova frontiera degli studi sulla mente umana che dalla materia hanno spostando il focus sulle connessioni, sui segnali, sulla parte dinamica, che risponde agli stimoli e trasporta informazioni. Rendendo sempre più vicino quel matrimonio tra mente e corpo, pensiero e ambiente chela scienza cognitiva di matrice storico-cultura persegue da tempo. I nuovi strumenti di diagnostica, dunque, consentono di rintracciare, studiare e vedere in azione i sottilissimi "cavi" che rendono H cervello il più potente "cloud computing" del globo, aprendo nuovi scenari allo studio di malattie gravi come l’Alzheimer o disturbi minori, come la dislessia. E alle cure possibili. S'è scoperto che non conta tanto la velocità di trasmissione di stimoli e informazioni da una parte all'altra del cervello, quanto invece l'efficacia. Efficacia legata proprio alla materia bianca, che è maggiore quanto più alto è lo stimolo ambientale. La materia cerebrale non è tutto. Esercizi, dieta, e attività mentali si sono rivelate capaci di spingere la salute del cervello e diminuire il rischio della demenza. Richard Haier, docente di psicologia all'università di California, ha provato nel 2007 che non è importante la dimensione del cervello, né le singole aree: la chiave dell'intelligenza è il network attraverso il quale le informazioni vengono trasmesse e integrate tra di loro. Più il cervello è stimolato più la materia bianca cresce. E il network cerebrale diventa efficiente, quanto più si alimenta da un network sociale. p. jadeluca@repubblica.it _______________________________________________________________ Progettare Sanità Ottobre 2009-10-31 TENDENZE E FRONTIERE NELL’ICT NELL’OSPEDALE Negli ultimi anni le tecnologie delle telecomunicazioni e più in generale quelle dell’ICT (Information and Communication Technology) hanno avuto un crescente impatto sull'ambiente ospedaliero oltre che sul sistema sanitario in generale. In Italia, a partire dal piano sanitario nazionale per continuare con il documento programmatico della comunità europea sulla telemedicina e i tele servizi, sia le regioni (per quanto riguarda l'Italia) che le organizzazioni sanitarie in genere, ma specificatamente quelle ospedaliere, stanno continuamente riorganizzando i loro processi di cura, sia tecnicamente (nuove tecnologie sia disciplinari che di ICT) che a livello gestionale, per ridurre i costi ed essere maggiormente competitive ed assicurare una cura dei pazienti migliore e più personalizzata. Oggi la situazione di mercato delle tecnologie della comunicazione permette un vastissimo numero di soluzioni, sempre meglio ingegnerizzate (per esempio sono già molti i dispositivi wireless per la misura di parametri fisiologici disponibili sul mercato), così come i servizi di connessione e gestione delle informazioni (soluzioni ICT per i sistemi informativi sanitari). Nuove strategie di business richiedono a tali organizzazioni l'utilizzo delle nuove tecnologie via via disponibili, come applicazioni Internet, tecnologie mobili per l'accesso ai dati e applicazioni distribuite che cioè coinvolgano tutti i processi attivi nella cura dei pazienti. Il quadro di riferimento riportato in (1) offre una razionale suddivisione delle tematiche classiche che riguardano le tecnologie dell'informazione nel settore sanitario, ovvero la cosiddetta e-health. Approfondite ricerche di mercato sono state condotte più recentemente dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano che ha costituito un Osservatorio ICT in Sanità. I risultati sono disponibili in M dove in particolare si individuano le seguenti 4 tematiche cui corrispondono altrettanti documenti di particolare interesse ai fini del presente articolo: * ICT e Innovazione in Sanità: nuove sfide e opportunità per i CIO, 2008. * ICT in Sanità: l'innovazione dalla teoria alla pratica, 2009. * La Cartella Clinica Elettronica: verso un supporto integrato ai processi clinici, 2009. Servizi Digitali al Cittadino: una Sanità sempre più accessibile, 2009. * Rete telematica ospedaliera. Infine si segnalano il convegno di Roma (3), focalizzato sulla telemedicina, e il recentissimo convegno di Siena (4) dove sono state discusse alcune tra le tendenze più moderne nel settore dell'ICT al servizio della sanità con specifico riferimento a: * La nuova sanità elettronica: modelli, tecnologie e standard. * L’ospedale virtuale: telemedicina e sistemi di monitoraggio. * Tecnologie e modelli organizzativi per il monitoraggio e l'assistenza a persone con malattie croniche. D'altro canto la comunità europea si è da tempo mossa riguardo tali argomenti con una serie di iniziative sia di tipo stabile come l'iniziativa eHealth, commentata estesamente in fp, sia legate a bandi di finanziamento come quelli erogati dei cosiddetti "Programmi-quadro" (FP, Frame Program) ed in particolare il settimo (FP7, vedi 1 "). Per quest'ultimo, ancora nella fase di presentazione delle domande, un recente convegno organizzato dal CNR ha fornito interessanti spunti di riferimento 191. RETI DI COMPUTER E SISTEMI INFORMATIVI NELL'OSPEDALE Le tecnologie informatiche e telematiche offrono a costi piuttosto contenuti la disponibilità di potenti computers caratterizzati da elevate velocità di elaborazione e larghe dimensioni di memoria, oltre che comunicanti tra loro e con il mondo esterno (Internet) a elevata velocità tramite collegamenti a larga banda. Per quanto riguarda la rete telematica all'interno dell'ospedale, riportata schematicamente nella figura a pag. 47, le sue caratteristiche sono del tutto analoghe a quelle di reti telematiche per ambienti non-medici. Tipicamente si ha una rete locale (LAN, Local Area Network come la famosa "Ethernet") per ogni reparto o sotto-reparto connesse tra loro per formare una WAN (Wide Area Network). A titolo di esempio, la rete del comprensorio ospedaliero S.Camillo Forlanini risulta composta da circa 58 nodi periferici; 2 nodi di campus, 2000 km di cavi in rame, 250 km, 14000 porte di rete. Il principale accorgimento tecnico per una rete ospedaliera è quello di schermare adeguatamente i cavi in vicinanza di apparati che emettono radiazioni elettromagnetiche tali da dar luogo a interferenze che si sommano ai dati in transito, rendendo quest'ultimi particolarmente soggetti ad errori di trasmissione. Dal punto di vista dei requisiti di banda, le maggiori esigenze risiedono nella trasmissione di immagini ad elevata risoluzione, come ad esempio le immagini radiologiche che, nonostante l'impiego di potenti algoritmi di compressione quali il DICOMM, occupano ingenti dimensioni di memoria, cui corrispondono tempi di trasferimento proporzionalmente elevati. L’impiego di adeguati sistemi informativi e telematici, basati su reti di telecomunicazione interne all'ospedale e su archivi elettronici per dati, segnali ed immagini, fornisce enormi opportunità di ri-ammodernamento delle strutture organizzative dell'ospedale, sia amministrative che cliniche. Ad esempio basti pensare alla cartella clinica elettronica, allocata su microchip associati a smart-card portatili, oppure resa disponibile on-line da siti remoti. Essa segue il paziente nella ordinaria gestione della propria sanità (acquisto di farmaci, analisi cliniche, ...) e poi ovunque all'interno dell'ospedale oltre che, eventualmente, in situazioni di soccorso esterno, offrendo in tempo-reale al medico le informazioni necessarie per una corretta valutazione della situazione clinica. In tale ambito risulta essenziale la corretta progettazione della struttura informativa, non solo in termini di capacità di trasporto veloce di grandi quantità di dati (come per le immagini e i video), ma anche come rapidità di aggiornamento degli archivi, allineamento delle informazioni e risoluzione di possibili ambiguità. L’impiego della telematica nell'ambiente ospedaliero risente in particolar modo del contrasto tra le enormi potenzialità delle nuove tecnologie e le difficoltà pratiche della loro messa in opera e del loro corretto uso quotidiano, difficoltà che non di rado conducono ad inefficienze e conseguenti sprechi di denaro anche ingenti. Si registrano da tempo svariati esempi di ospedali telematici dislocati nel mondo ed anche in Italia, e di attuali iniziative di studio e di ricerca in tale direzione L:analisi riportata riguarda l'impiego e la razionalizzazione dei sistemi informativi negli ospedali e nell'Azienda Sanitaria. Si sottolinea in come l'impiego efficiente delle tecnologie telematiche nell'ambito di una struttura complessa, quale quella ospedaliera, dipenda dalla corretta individuazione dei processi organizzativi che danno luogo allo scambio di informazioni di tipo clinico, organizzativo ed amministrativo tra i diversi operatori sanitari. AL contempo l'impiego degli strumenti ICT induce a modificare la struttura organizzativa e la gestione e realizzazione dei processi organizzativi. Nell'inevitabile compromesso tra l'adozione di tecnologie moderne e i costi che ciò comporta occorre quindi ben focalizzare gli aspetti cruciali in gioco quali gli strumenti che le ICT offrono, le reali esigenze informative delle strutture sanitarie, le problematiche organizzative che l'implementazione di nuovi sistemi informativi comporta, la loro valutazione e monitoraggio nell'ottica della razionalizzazione delle risorse. L'individuazione delle relazioni tra ICT e processi organizzativi essenziali è il punto di partenza per comprendere i fabbisogni informativi della struttura considerata (l'ospedale) e arrivare alla progettazione del sistema informativo più adeguato. Per ciascuna delle aree coinvolte (amministrativo-contabile, clinica, direzionale, relazioni esterne) il sistema informativo sanitario deve essere realizzato per rispondere a esigenze informative differenti ma non scollegate tra loro. Secondo Errore. I:origine riferimento non è stata trovata. il sistema informativo sanitario deve quindi essere unitario ed integrato, pensato e progettato in un'unica macro-ottica aziendale, al fine di superare il modello delle "isole informative", ovvero unità organizzative con propri sistemi informativi completamente disaggregati e indipendenti dal resto dell'azienda. ESPERIENZE ALL'INTERNO DELL'ISTITUTO SUPERIORE DR SANITÀ Oggi che un nuovo salto tecnologico è stato compiuto, con l'ampia diffusione di soluzioni tecnologiche per la comunicazione, è sempre più importante costruire prospettive razionali di implementazione di servizi sanitari orientati al risparmio (come si legge sempre più spesso nei dispositivi di legge), ma anche sempre più incentrati sul paziente, passando da una visione statica del paziente e dei suoi dati clinici ad una visione dinamica delle informazioni poste con modalità elettroniche in database dinamicamente collegati solo nel momento della richiesta di informazioni da parte di un operatore sanitario: Si riducono così i tempi e i costi delle prestazioni, si diminuisce il carico di lavoro del sistema ospedale e si utilizza al meglio il territorio (domiciliazione). L'ultimo atto di questa rivoluzione concettuale sarà quello dell'uso della domotica a vantaggio del cittadino (non solo più come paziente) che integrerà le informazioni sanitarie con altre comunque necessarie a migliorare la qualità della vita, con servizi realmente essenziali, utili e che realizzino una economia di scala nella società complessa in cui viviamo. Un primo esempio riguarda l'ospedale digitale che presuppone sostanzialmente non solo l'utilizzo di tecnologie ICT ma anche la riorganizzazione dei processi interni ed esterni (centri di gestione della domiciliazione di competenza) a vantaggio del reale impiego economico delle stesse tecnologie, con risultati positivi in termini di efficacia ed efficienza del servizio. Quindi si tratta di avere strumenti per valutare la qualità acquisita ed in tempi in cui si parla di soddisfazione del paziente e di sistemi di Qualità e Qualità Totale, di processi ospedalieri in grado non solo di mantenere la qualità, ma in "miglioramento continuo". Questa visione è stata alla base del criterio informatore delle esperienze dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), in qualità di organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale, specie nell'attività di ricerca e valutazione svolta dal dipartimento Tecnologie e Salute (TESA). Già nei documenti del Piano Sanitario 2006-2008 "31 si parla di necessità e opportunità di implementazione di servizi di telemedicina (cfr cap 3 - Evoluzione Servizio Sanitario Nazionale: Strategie per lo Sviluppo). In particolare si cita la ristrutturazione della rete ospedaliera e l'impegno contemporaneo di valorizzazione del territorio. Questi elementi essenziali debbono incidere positivamente nella razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse. Nel panorama dello sviluppo tecnologico di soluzioni per la telemedicina, che è stato realizzato grazie ai molti progetti nazionali e internazionali che hanno visto le industrie italiane coinvolte, si indica quindi la necessità di ridefinire c/o aggiornare i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) per l'assistenza territoriale, residenziale e semiresidenziale, comprendendo le prestazioni di telemedicina innovative delle quali sia stata dimostrata l'efficacia clinica c/o l'economicità. Le attività precipue del dipartimento TESA sono da sempre state quelle relative alla strumentazione dei pazienti (monitoraggio di parametri fisiologici in cardiologia e studio del movimento) così come la valutazione dell'uso di soluzioni come il PDA in ospedale, o la realizzazione di prototipi per la riabilitazione a distanza, sia che si parli di domiciliazione che di modelli basati su centri intermedi chiamati chioschi. Un progetto di rilievo che ha visto coinvolto l’ISS è stato il progetto ITACA a sostegno della continuità assistenziale con il compito di studiare e implementare un prototipo di modello infrastrutturale telematico per garantire la continuità dell'assistenza, con mezzi atti a garantire l’interoperabilità tra sistemi informativi diversi e l'implementazione moduli per la tele-riabilitazione. Il progetto Ermete ha riguardato la ricognizione delle applicazioni di telemedicina e la messa a punto di percorsi di valutazione per misurarne la qualità. Il progetto europeo Hellodoc è stato l'occasione per sperimentare e realizzare una piattaforma per la tele riabilitazione, già proposta nel precedente progetto europeo HCAD ì"l, e per l'integrazione di elementi/protocolli per la rilevazione di informazioni a distanza sull'operato di un paziente e così gestirne il percorso terapeutico. Questi ultimi progetti assieme all'ultima proposta attiva nel 7° programma quadro, il progetto CLEAR Il'[, completano il percorso che l’ISS ed in particolare il personale afferente al dipartimento Tecnologie e Salute da oltre 30 anni persegue, dalla telemetria alla medicina telematica. SOLUZIONI MOBILE E WIRELESS PER L'OSPEDALE E PER LA SANITÀ Lo sviluppo delle tecnologie informatiche senza fili di ultima generazione sta portando l’ innovazione anche in ambito medico dove appaiono sempre più sperimentazioni di tecnologie wireless. Tali metodologie si prefiggono diversi scopi nelle applicazioni mediche: • Accesso mobile alte informazioni (Information Mobile Access). • Acquisizione/elaborazione di dati medicali (iV4edical Data Acquisition). • Comunicazioni tra dispositivi (Devices Communications, Patient Mobility). • Monitoraggio del paziente (Patient Monitoring). Un importante elemento di innovazione nell'ambito dell'ospedale, oltre che della sanità in generale, è costituito quindi dall'impiego delle tecnologie mobili e wireless (senza fili, ovvero via radio in questo caso) come strumento di estensione della rete telematica ospedaliera verso strutture interne quali la corsia (fino al letto del paziente), esterne (l'accettazione, il pronto soccorso) e remote (l'ambulanza). In tale ambito sono di enorme attualità le tecnologie WIFI (reti locali senza fili), WIMAY (a maggior capacità) e RF1D (identificazione a radio-frequenza) L’eventuale collegamento con l'ambiente esterno all'ospedale, per operazioni di telemedicina, può richiedere ulteriori tecnologie wireless come quelle dei cellulari GSM e UMTS o anche dei collegamenti satellitari. In senso stretto si definiscono mobili le tecnologie quali WIFI e WIMAX che permettono all'utente di spostarsi in ambiti ristretti e con basse velocità, tipicamente, portando il proprio apparecchio elettronico (generalmente un PC o un PDA - Personal Digital Assistant) da un ambiente all'altro (stanza, padiglione, reparto), ma poi stando fermo durante il suo utilizzo. Si parla in tal caso di utente nomade. Una tipica applicazione per le tecnologie mobili all'interno dell'ospedale è quella in cui il personale sanitario utilizza un terminale portatile ("handset") tipo PDA, o equivalente, sempre in linea con un server (computer centrale) che fornisce in tempo reale dati riguardo i pazienti visitati, o riguardo la tipologia e la disponibilità di materiale farmaceutico, e registra informazioni c/o richieste quali lo stato del paziente, le prescrizioni mediche, la necessità di farmaci o di attrezzature ospedaliere di supporto. In tali situazioni può essere importante che il terminale riconosca automaticamente la sua posizione al'interno della struttura, ad esempio riconoscendo la stanza od il letto più vicino. Allo scopo non risultano adeguate le tecnologie tipo GPS, atte alla localizzazione in ambienti esterni, ma si usano tecniche "attive" basate su dispositivi RFID oppure tecniche "passive" che sfruttano i segnali emessi dalle antenne wifi all'interno della struttura. Quest'ultimo caso è quello considerato recentemente dall'azienda romana Thera (www.theranet.it) per progettare un proprio sistema di distribuzione ed acquisizione dell'informazione in ambienti chiusi (indoor), basato sull'impiego di antenne wifi del tipo 802.11. L’analisi del sistema di georeferenziazione della Thera condotta presso l'Università di Roma La Sapienza I=°], ha evidenziato quale principale limite quello della presenza dei corpi umani, dell'operatore e di altri soggetti, che altera drasticamente la distribuzione di potenza del segnale all'interno dell'ambiente, rendendo critico il calcolo della posizione. AL riguardo è possibile ipotizzare che l'uso della tecnologia ZigBee offra risutati migliori rispetto alla 802.11. Le tecnologie propriamente definite come wireless quali i cellulari GSM e UMTS intendono invece permettere la connessione ad utenti in pieno movimento, ad esempio a bordo di un'ambulanza anche a forte velocità. Recenti ricerche svolte dall'Osservatorio ICT del Politecnico di Milano evidenziano l'emergente ruolo svolto dalle applicazioni radiomobili nella Sanità Italiana. Una buona sintesi seppur non recentissima, si trova nell'articolo 1`1, dove vengono evidenziate le possibilità di applicazione delle tecnologie di telecomunicazione quali la rete fissa, il wifi, il cellulare, le rfid, alle attività della assistenza ospedaliera, quali la richiesta del consulto, la prescrizione delle operazioni, la cartella clinica, la somministrazione, la prenotazione e accettazione e alle attività di supporto quali i servizi alberghiero e la gestione del farmaco. In campo internazionale il recente convegno di Montreal su `Medical Information br Communication Technology' ha fornito interessanti spunti quali in particolare quelli ai riferimenti IZ'!, 1=41 e 1Z'1 cui si rimanda per dettagli insieme al recentissimo 1261. (l’articolo continua sul prossimo numero) Roberto Cusani, ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 31 ott. ’09 L'INFLUENZA A DÀ' LA SPINTA AI CONTI DEI BIG DEL FARMA Borse. La pandemia in corso e il suo impatto sui titoli del comparto L'Oms prevede vendite di vaccini per 20 miliardi ma con effetti modesti sugli utili e prossime settimane saranno cruciali. L'influenza suina che allarma governi e popolazioni dovrebbe entrare nel suo picco di diffusione. Ma al di là di come procederà la grande pandemia, una cosa è certa. Sarà comunque la stagione d'oro per i conti delle big del farmaco che farà vedere i suoi effetti sia nei bilanci di fine 2009 che nei primi mesi del 2010. La svizzera Novartis ha già annunciato che nei mesi tra ottobre e dicembre prevede che dalla vendita del suo vaccino Focetria otterrà tra i 400 e i 700 milioni di ricavi aggiuntivi. Il colosso elvetico ha aggiunto che è pronta a mettere sul mercato fino a 150 milioni di dosi. La britannica Glaxo avrebbe già venduto a una ventina di paesi oltre 400 milioni di dosi del suo Pandermix. E ha dichiarato che per il vaccino anti-influenzale Relenza conta di arrivare a una capacità produttiva per 190 milioni di dosi entro la fine del 2009. Altra protagonista della disfida è la svizzera Roche che forte del suo Tamiflu conta di stabilire nuovi record di vendite. Già nel periodo luglio-settembre di quest'anno il Tamiflu ha registrato ricavi per 994 milioni di franchi svizzeri, quando gli analisti ne stimavano solo 538. L'ottimo andamento del farmaco ha consentito alla Roche di battere le attese del mercato che si aspettava vendite per l'intera divisione farmaceutica per 9,6 miliardi quando, invece, il risultato (grazie al Tamiflu) si è attestato a 9,9 miliardi. Per gli analisti di Nomura il vaccino anti-flu della Roche dovrebbe portare a vendite per il 2009 per 2,7 miliardi di franchi svizzeri, contro i soli 600 milioni del 2008. Vendite quadruplicate quindi. E l'effetto dovrebbe proseguire anche nel 2010 dove le attese sono per ricavi che scenderanno rispetto al picco dell'inverno 2009, ma si collocherebbero comunque sulla ragguardevole cifra di 1,5 miliardi. Per gli analisti del broker asiatico l'influenza beneficerà anche Astra Zeneca per la quale si ipotizzano ricavi per 450 milioni di dollari, quasi tutti nel quarto trimestre. Per la francese Sanofi-Aventis si stimano ricavi tra il quarto trimestre e la prima parte del 2010 di 738 milioni di dollari. L'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) del resto ha stimato che il giro d'affari del vaccino H1N1 dovrebbe attestarsi sui 20 miliardi di dollari. I numeri fanno impressione, ma non al punto tale da infiammare le borse. Certo i titoli farmaceutici si sono ben comportati in questi mesi di riscossa violenta dei listini, ma senza enfasi eccessiva. Chi si aspettava finora una corsa folle all'acquisto dei titoli di big pharma si deve ricredere. Perché? Quei 20 miliardi sono una cifra colossale, ma rappresentano tutto sommato una percentuale che viaggia tra il 2 e il 3% del giro d'affari mondiale dell'industria del farmaco che, secondo le stime di Ims Health, dovrebbe vedere salire il fatturato nel 2010 del 4-6% a quota 825 miliardi di dollari. Del resto i 2,7 miliardi di franchi svizzeri che gli anali sti attribuiscono a Roche per le vendite di quest'anno del Tamiflu si confrontano con i ben 50 miliardi di ricavi complessivi del gruppo farmaceutico. Gli utili poi saranno comunque più contenuti, dato che i margini unitari sono bassi, non certo quelli prodigiosi di farmaci contro il colesterolo o le malattie oncologiche che hanno profittabilità assai più elevata. Dice un operatore: «Il picco dell'influenza vedrà vendite molto forti, ma è un fenomeno una tantum, si esaurirà nell'arco di un semestre e ci sono almeno 5-6 grandi produttori a contendersi il mercato. Inoltre i Governi tenderanno a schiacciare i prezzi verso il basso. Tutto sommato ci aspettiamo una crescita degli utili di solo qualche punto percentuale». Altro che un campione come il Lipitor, il farmaco anti-colesterolo della Pfizer che da solo vende in un anno 12 miliardi di dollari. Sono questi i blockbuster della farmaceutica: malattie croniche con assunzioni prolungate per decenni e con margini elevati. La suina darà una spinta, certo, ma non tale da far volare i titoli in Borsa. Fabio Pavesi í. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 ott. ’09 MEDICI AL LAVORO FINO A 70 ANNI Sanità. L'apertura nel Ddl sul governo clinico alla Camera Sara Todaro ROMA Pensionamento a settant'anni per tutti i dirigenti medici e sanitari del Ssn, nonostante la «rottamazione» firmata Brunetta. Lo "strappo" è contenuto nel testo del Ddl sul governo clinico (C799 e abb.) appena trasmesso dalla commissione Affari sociali della Camera al parere delle commissioni competenti, prima dell'invio in aula. Intanto, martedì approderà in aula, sempre a Montecitorio, dopo il via libera della commissione Affari costituzionali, il Ddl che ripristina il ministero della Salute sganciato dal Welfare e porta a 63, contro gli attuali 60, il numero dei componenti del Governo. Tornando alla governance, la novità sul collocamento a riposo non è l'unica destinata a far discutere. In pista c'è la definitiva abolizione di qualsiasi ostacolo all'esercizio della libera professione per i dirigenti medici e sanitari, che potranno svolgere attività privata anche in studio o nelle strutture non convenzionate con il servizio sanitario pubblico. Le procedure saranno disciplinate dalle Regioni che dovranno "salvaguardare" il ruolo istituzionale del Ssn: chi ha scelto di mantenere il rapporto in esclusiva (e la relativa indennità) potrà dedicare alla libera professione un impegno orario massimo pari al 50% di quello prestato in azienda. Prevista anche la nascita nelle strutture sanitarie pubbliche di un servizio di ingegneria clinica, incaricato di sorvegliare e garantire l'uso sicuro, efficiente ed economico di apparecchi e impianti che avrebbe voce in capitolo anche sulla programmazione degli acquisti e sulla formazione del personale all'uso delle tecnologie. Novità anche per direttori generali e primari. Per i primi sono previsti nuovi criteri di nomina e valutazione dell'aumento dello stipendio: il Dg dovrà guadagnare almeno il 20% in più dei propri primari. Di questi ultimi si aggiornano le procedure di nomina: la terna di nomi tra cui il Dg dovrà scegliere sarà selezionata da una commissione composta dal direttore sanitario e da due esperti sorteggiati da un elenco regionale di primari della stessa disciplina. Esenti dalla procedura i policlinici universitari: la terna tra cui scegliere il primario la deciderà il Rettore. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 ott. ’09 BILANCIO, PESA IL ROSSO DELLA SANITÀ, TROPPI SOLDI PER LA CHIESA Il Psd'Az: «Troppi soldi per la Chiesa, c'è la lobby delle sottane» - FINANZIARIA In commissione l'esame della manovra 2010 La Spisa: «Misure concrete per le imprese» ALFREDO FRANCHINI CAGLIARI. La Giunta va fiera del primato: la manovra di bilancio è stata approvata nei tempi previsti e così potrebbe essere approvata dal Consiglio entro la fine dell'anno. Un passo in avanti importante perché evitare l'esercizio provvisorio significa poter spendere e immettere nel sistema sardo un po' di ossigeno. L'opposizione, però, si chiede se basta stabilire quel record e se la Finanziaria sarà in grado di agevolare lo sviluppo. L'iter consiliare s'è iniziato ieri nella Commissione Bilancio che ha ascoltato la relazione dell' assessore Giorgio La Spisa. Il presidente della commissione, Paolo Maninchedda, sostiene che la legge potrà «andare» in aula il 24 novembre prossimo, grazie all'accordo sui tempi raggiunto con i capigruppo. La commissione discuterà Finanziaria, bilancio e poi il Dapef, cioè il documento annuale di programmazione economica e finanziaria e, infine, il Piano di sviluppo. La Spisa ha ribadito che la Sardegna deve puntare alla qualità e all'eccellenza e che, con una Finanziaria snella come quella approntata, si fanno delle precise scelte. Siccome un nodo indefinito è la spesa sanitaria, ieri, la Giunta ha deciso di istituire una task force interassessoriale per l'analisi della spesa, (la Sanità «occupa» i due terzi del bilancio regionale); 4 degli 8 componenti saranno di nomina regionale, scelti tra i dipendenti dell'amministrazione. Maninchedda ha chiarito che l'esecutivo e la maggioranza hanno espresso piena disponibilità e nessuna chiusura dogmatica a eventuali modifiche «ragionevoli»: tra i punti di maggior rilievo c'è lo stanziamento di 95 milioni di euro per l'istruzione e i cento milioni per le infrastrutture. Ma proprio dal Ps'Az e da Maninchedda è arrivata un'autentica bordata sul collegato alla Finanziaria, già approvato ad agosto, e in particolare sulla rimodulazione dell'Accordo di programma quadro. Questo perché, secondo quanto ha denunciato Maninchedda, la prima rimodulazione assegnava 25 milioni di euro per l'istruzione (e per via dell'urgenza l'aggiudicazione dei lavori sarebbe avvenuta entro la fine dell'anno). «Quindici milioni per gli studenti universitari non ci sono più», afferma Maninchedda, «destinati a musei e chiese che vedranno aggiudicarsi i lavori entro dicembre»! Nell'elenco il Museo dell'arte nuragica, il Museo dell'identità (Nuoro), il Museo delle Bonifiche, il Museo della Sardegna giudicale (5 milioni). Finanziato il restauro di 15 chiese di cui otto a Cagliari per un totale di 5 milioni e 750 mila euro. Maninchedda attacca: «È la lobby delle sottane. Il livello di sopportazione del Psd'Az su alcune esagerate presenze della chiesa sarda nella politica regionale si avvicina al livello di guardia». La commissione ha poi sentito i sindacati. Mario Medde (Cisl) ha espresso un giudizio positivo sui tempi di discussione della finanziaria ma ha manifestato riserve per il fatto che dinanzi a una legge snella si registri un rinvio delle riforme. Per Piero Cossu (Cgil), resta il nodo della capacità della spesa. Giudizio positivo sul metodo per Francesca Ticca (Uil), ma sul merito - ha detto - è necessario sospendere il giudizio perché non si vede un piano per il lavoro. ______________________________________________________________ Repubblica 26 ott. ’09 USA, IN CASO DI PANDEMIA PRONTO UN PIANO SHOCK "NIENTE CURE AD ANZIANI E HANDICAPPATI" Lo rivela il New York Times. È già polemica sulla selezione dei pazienti da salvare DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI NEW YORK - Barack Obama ha già decretato da sabato l'emergenza sanitaria nazionale, l'influenza A colpisce ormai 46 Stati Usa con milioni di pazienti contagiati, 20.000 casi ricoverati, mille morti. E gli approvvigionamenti di vaccini stentano a tener dietro alla domanda. In questo contesto il New York Times rivela un retroscena che fa rabbrividire. In molti Stati le autorità sanitarie si stanno preparando all'eventualità più tragica: il razionamento forzoso delle cure. In vista di uno scenario estremo, simile all'epidemia dell'influenza spagnola nel 1918, bisogna avere pronti i criteri e le regole per una selezione crudele, la decisione su chi va salvato e chi sarà abbandonato al suo destino. Perché se il contagio oltrepassa una certa soglia, le strutture sanitarie esploderanno e i reparti di rianimazione dovranno per forza fare delle scelte. Le linee-guida per questa terribile discriminazione ora vengono alla luce. Quattro categorie di pazienti saranno le prime a essere sacrificate: i "Do Not Resuscitate", come vengono chiamati coloro che hanno dato disposizione nel testamento biologico di volersi sottrarre a ogni accanimento terapeutico; gli anziani; i pazienti in dialisi; infine quelli con severe patologie neurologiche. In questi casi - se l'epidemia supera una soglia di guardia - le autorità sanitarie potranno "negare il ricovero nelle strutture ospedaliere, o negare l'uso dei respiratori artificiali", secondo quanto rivela il New York Times. Lo Stato dello Utah inoltre ha stabilito una tabella di marcia precisa: questo tipo di razionamento e di rifiuto delle cure partirà anzitutto dagli ospizi per anziani nonautosufficienti, dai penitenziari e dagli istituti per handicappati, fino a estendere gli stessi criteri selettivi alla totalità della popolazione.È una terrificante logica darwiniana, di selezione dei più forti, o dei più adatti a sopravvivere. Ma è inevitabile, sostengono i responsabili delle task-force anti-influenza, perché in uno "scenario 1918" sarebbe ipocrita fare finta di poter curare tutti. Lo Stato di New York ha codificato queste regole estreme, che sono accessibili al pubblico, e corredate da 90 pagine di commenti raccolti dallo Health Department. "Triage", ovvero "smistamento", è la parola-chiave che affiora in mezzo a quel documento, la foglia di fico che nel gergo tecnico sta per razionamento. Mary BuckleyDavis, una specialista di rianimazione con 30 anni di esperienza alle spalle, ha denunciato pubblicamente alle autorità sanitarie quelle regole. «Ci saranno sommosse per le vie di New York - scrive la Buckley-Davis - non appena si viene a sapere che gli ospedali staccano la maschera respiratoria ad alcuni pazienti. Non c'è campagna di comunicazione che possa fare accettare alle famiglie la decisione di cessare le cure ai loro cari». Le autorità statali si difendono spiegando che il peggio è lasciare queste scelte - inevitabili - all'improvvisazione del personale sanitario travolto da un'emergenza. Sarebbe ingiusto, oltre che inefficiente. «La prospettiva cambia - spiega la dottoressa Ann Knebel del Department of Health - se anziché pensare al paziente individuale si guarda alla comunità degli ammalati». La Knebel porta il titolo di ammiraglio, perché proviene dai servizi medici delle Forze armate. Non a caso. I piani di razionamento infatti sono stati studiati e sperimentati inizialmente proprio sul fronte di guerra, dove gli ufficiali medici possono essere costretti a scelte crudeli: chi curare per primo quando i mezzi scarseggiano. E le direttive che ora vengono rispolverate per l'influenza A hanno avuto il loro battesimo dopo l'11 settembre: per uno scenario di attacco terroristico con armi biologiche o nucleari, e una strage a Manhattan. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 ott. ’09 UNA PROTEINA CURA I RATTI «BEONI» Sassari, le ricerche del dipartimento di Scienze del farmaco: trattati con levo-cisteina i roditori sono meno interessati all'alcol SANDRO MACCIOTTA SASSARI. Il bar dei ratti è aperto solo di notte, per mezz'ora. I piccoli roditori infilano la testa in un buco e attivano, in un altro buco, un distributore di acqua e alcol. Presi dal piacere del bere fanno la spola dal sensore al «barista virtuale» che gli riempie la tazza quante volte vogliono. Il giorno dopo quando si sveglieranno - probabilmente con un cerchio alla testa - il bar è chiuso. Cioè possono circolare liberamente nella gabbia, ma il sensore del distributore automatico di alcol è disattivato. Dopo poco i ratti imparano che è inutile entrare nel buco perché non segue una somministrazione di bevande per loro gratificanti. La disintossicazione dura sei giorni. Poi finalmente è «sabato» e si beve di nuovo. Ma non tutti i ratti fanno il pieno di alcol. Alcuni, trattati durante la settimana con la levo-cisteina - un aminoacido non essenziale che non ha un alto costo - sono molto meno interessati all'alcol. Mentre i piccoli roditori non trattati ricominciano il balletto tra il sensore e il distributore di alcol, gli altri hanno un comportamento completamente diverso. Disinteresse, nausea, meno soddisfazione? Non è stato ancora ben chiarito, ma la levo-cisteina si presenta come un interessante farmaco anti-alcolismo. La ricerca è ormai a livello pre-clinico e il salto verso la sperimentazione sull'uomo potrebbe essere vicino. Questi esperimenti sono stati condotti nei laboratori di Neuroscienze cognitive del Dipartimento di scienze del farmaco dell'Università di Sassari. Del laboratorio comportamentale e delle macchine per la selfadministration di alcol ai ratti, si interessa la dottoressa Alessandra Peana, docente del corso di Chimica e tecnologie farmaceutiche. Hanno collaborato con lei la borsista Giulia Muggironi e i molti studenti interni. Altri studi sono in corso, guidati dagli altri ricercatori che fanno parte del gruppo, il professor Marco Diana, responsabile della sezione di elettrofisiologia e coordinatore del progetto di ricerca, e il dottor Paolo Enrico, con la dottoressa Donatella Sirca del Dipartimento di scienze biomediche (microdialisi). «La L-cisteina - spiega la dottoressa Peana, reduce da Chicago dove ha presentato la ricerca al congresso mondiale Neuroscience 2009 - è un prodotto acido e per essere somministrato ai ratti per via parenterale va tamponato. Abbiamo chiamato questo preparato Aldistina, in ricordo di mio marito Aldo Ciriolo. La somministrazione con iniezioni è necessaria per avere un corretto dosaggio». «Gli animali - spiega ancora Alessandra Peana - sono monitorati tutti i giorni, per questo motivo noi ricercatori e gli studenti siamo in laboratorio anche il sabato, la domenica e nei giorni di festa; i ratti, infatti, vanno al bar tutti i giorni, anche se solo ogni sei giorni bevono alcol. Lavoriamo al buio, ci serviamo di frontali e di una debole luce rossa che i ratti non vedono. Tutto questo perché durante la fase notturna questo roditore è più attivo, mangia, beve, si accoppia e gioca, come abbiamo visto nel film Ratatouille, ambientato di notte. Per poter lavorare di giorno abbiamo dovuto invertire il ciclo notte/giorno dei ratti». «Il meccanismo d'azione alla base dell'efficacia della L-cisteina nel comportamento di autosomministrazione - spiega ancora Alessandra Peana - può risiedere in una interazione con alcuni neurotrasmettitori; questo aminoacido possiede inoltre proprietà antiossidanti e agisce come donatore di acido sulfidrico che è un nuovo membro della famiglia dei gas trasmettitori». - La L-cisteina funziona anche nell'uomo? «A livello teorico direi di sì, ma non sarebbe corretto a livello sperimentale. I ratti bevono una soluzione di acqua e alcol, non ci sono né zuccheri né altre sostanze come nel vino, nella birra o nei superalcolici. Esiste quindi nei bevitori umani un livello di soddisfazione più complesso che non abbiamo valutato». ______________________________________________________________ Sanità News 29 ott. ’09 IL GRASSO DI PESCE NASCONDE UN POTENTE ANTINFIAMMATORIO E’ stato scoperto che alcuni grassi omega 3 contenuti nel pesce vengono trasformati dal nostro corpo in una sostanza antinfiammatoria potentissima, la Resolvina D2. Tale sostanza protegge contro l'artrite reumatoide e potrebbe essere utile anche contro altre malattie, perche' non presenta gli stessi effetti collaterali dei farmaci antinfiammatori attualmente in uso. La scoperta si deve al farmacologo italiano Mauro Perretti, che lavora alla Queen Mary University di Londra, in uno studio condotto in collaborazione con la Harvard Medical School di Boston e pubblicato sulla rivista Nature. L'esperto ha scoperto che il grasso omega 3 chiamato 'DHA' viene trasformato dal nostro corpo in questa molecola, la resolvina D2, di cui poi il team di farmacologi ha studiato in dettaglio i meccanismi d'azione. Ne e' emerso che la molecola impedisce l'attivazione dei processi infiammatori nei vasi sanguigni, inducendo le cellule delle pareti dei vasi, gli endoteli, a produrre un inibitore del processo infiammatorio. La resolvina D2 potrebbe anche essere usata contro molte malattie i cui processi biologici sono legati all'infiammazione, come artrite reumatoide, ictus e setticemia. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 ott. ’09 CARTA DELLA QUALITÀ IN CHIRURGIA Undici reparti ospedalieri aderiscono alla 'Carta della qualità in chirurgia' che stabilisce i criteri dell'assistenza prima e dopo l'intervento Perchè i diritti di chi soffre siano rispettati Sono 54 gli impegni per rendere meno dolorosa e più umana l'esperienza del ricovero - Il reparto come struttura sempre in grado di prendersi cura in modo totale del degente MARIO GIRAU CAGLIARI. Undici tra reparti e cliniche ospedaliere hanno aderito nel cagliaritano al progetto "Carta della qualità in chirurgia" del Tribunale per i diritti del malato. Si tratta di un elenco d'impegni per assicurare un servizio sempre migliore ai cittadini nel rispetto del diritto all'informazione, alla sicurezza, all'appropriatezza delle terapie e all'innovazione. Maria Laura Maxia, coordinatrice provinciale del Tribunale, in queste settimane ha contattato primari e direttori ospedalieri per proporre cinquantaquattro impegni destinati a rendere meno traumatizzante ai cittadini l'esperienza di un ricovero: «Sono punti fondamentali - spiega la Maxia - che fanno di un reparto un'organizzazione capace non solo di curare, ma anche di prendersi cura completa della persona e ai cittadini consentono di essere, anche in quella particolare condizione, soggetti attivi, in grado di interagire bene con gli elementi della struttura ospedaliera». La "Carta della qualità in chirurgia" è attenta a sette situazioni: accoglienza, informazione, organizzazione, consenso informato, sicurezza e igiene, innovazione e dimissioni. Tutti i cittadini quando mettono piede nel reparto devono essere accolti, trattati con umanità e messi in condizioni di affrontare la degenza con serenità. I parametri di riferimento dicono che negli ospedali cagliaritani la situazione è già positiva. Ma la realizzazione di un opuscolo informativo o della carta dei servizi o di un vademecum sarebbe l'ideale per fornire tutte le informazioni utili e necessarie al nuovo paziente. Tra le proposte del Tribunale del malato «anche la possibilità - aggiunge Laura Maxia - di consultare la cartella clinica». Particolare attenzione al consenso informato, dettagliato al massimo, con firma congiunta pazienteanestesista almeno ventiquattr'ore prima dell'intervento: «Noi chiediamo - avverte la coordinatrice provinciale del Tribunale - che sia prevista anche la possibilità di revocare in ogni momento il consenso all'intervento». Infine, per rendere le cure a casa più tranquille e sicure, una scheda di dimissioni con nomi e recapiti telefonici degli operatori di riferimento cui rivolgersi in caso di necessità. Un elemento di sicurezza in più rivolto a persone che lo stato di malattia rende più deboli e vulnerabili anche sul piano strettamente psicologico. Alla "Carta" hanno già aderito i reparti di cardiochirurgia, chirurgia d'urgenza e toraco-vascolare del "Brotzu"; ostetricia (San Giovanni di Dio), chirurgia generale e chirurgia sperimentale (Businco); chirurgia maxillo facciale (Santissima Trinità), chirurgia generale (Marino), Chirurgia generale (Policlinico), chirurgia generale ( ospedale San Gavino). ______________________________________________________________ Unione Sarda 30 ott. ’09 LUCA CAVALLI SFORZA, LA CULTURA BATTE LA GENETICA Il coronamento di un sogno lungo una vita: così Luigi Luca Cavalli-Sforza considera La cultura italiana , l'opera monumentale in dodici volumi che il famoso genetista dirige per i tipi della Utet e di cui è uscito da poco l'ottavo volume, Scienze e Tecnologie, curato da Telmo Pievani. Un approccio multidisciplinare, la crème dell'intelligenza nostrana, da Gian Luigi Beccaria a Ugo Volli, da Aldo Bonomi a Carlo Petrini, da Alberto Abruzzese a Carlo Ossola per un orizzonte a 360 gradi della storia culturale del nostro Paese. La prospettiva è quella dell'evoluzione culturale: che si parli di linguaggio o di economia, cinema o scienze, archeologia o cibo, i quattro fattori della teoria dell'evoluzione biologica (mutazione, selezione naturale, deriva genetica e migrazione) rimangono i paletti metodologici che inquadrano un'opera senza precedenti. Abbiamo incontrato Cavalli-Sforza a Genova, ospite del "Festival della Scienza", dove ha parlato di scienze e tecnologia con Telmo Pievani. Professore, fra le due culture, quella scientifica e quella umanistica, non c'è mai stato un fitto dialogo. «È un fatto notorio, bisogna però precisare che la comunicazione è scarsa anche fra le stesse scienze: questo per colpa degli scienziati, il linguaggio che viene usato in ogni disciplina è molto specializzato. Più che di mancanza di dialogo fra le due culture parlerei di mancanza di comunicazione fra le diverse discipline scientifiche e fra queste e quella umanistica. Per questo cerco di orientare la mia ricerca verso un approccio multidisciplinare». A duecento anni dalla nascita di Darwin se ne contesta l'attualità da più parti. D'altra parte, i darwinisti odierni non corrono il rischio di usare il padre dell'evoluzione come un feticcio? «Innanzitutto dobbiamo ricordare che Darwin argomenta rigorosamente ciò che afferma, per questo ancora oggi può funzionare come un modello culturale. Una delle pochissime affermazioni un po' apodittiche che fa riguarda un lavoro che anche io e la mia équipe abbiamo fatto nel 1988: in una edizione successiva alla prima dell'“Origine della specie”, afferma che se noi conoscessimo la storia genealogica dell'uomo sapremmo anche la storia del suo linguaggio. Lo dice in dieci righe, ma nel nostro lavoro abbiamo dato conferma di questa affermazione, peraltro passata a noi stessi inosservata, ovvero che c'è un'origine unica delle lingue». Si parla spesso di mutazione antropologica, soprattutto, dopo Pasolini, in riferimento alla televisione: non le sembra un abuso linguistico? «Le dò ragione, perché il termine mutazione antropologica ha tutt'altro significato. Aggiungerei che la televisione ha operato più negativamente che positivamente, creando una dipendenza da trasmissioni di una qualità decisamente scadente. In America c'è la public television, di una qualità decisamente elevata, ma nel nostro Paese non c'è nessuno incoraggiamento del governo in questa direzione». La televisione commerciale ha provocato quella rivoluzione culturale di cui tanto si parla? «Siamo soggetti a diverse rivoluzioni: la televisione è certo una di queste, ma il cellulare ne produce una altrettanto importante, e Internet un'altra ancora più importante». Non crede che l'industria automobilistica abbia rivoluzionato cultura e costume più di quanto non abbia fatto la televisione? «L'influenza dell'automobile sulle nostre abitudini è stata enorme. Anche in questo caso parlerei però di una molteplicità di fattori: pensiamo al telefono, al telegrafo, o alla radio. L'importanza di ognuna di queste rivoluzioni va poi commisurata sul piano del singolo individuo». La rivoluzione attuale è quella genetica o quella digitale? «Direi quella digitale. La rivoluzione genetica non c'è più, le differenze genetiche tra popolazioni umane sono di scarso rilievo. Oggi le grandi differenze dipendono piuttosto dall'accesso all'informazione che non è uguale ovunque. In sostanza, l'evoluzione genetica ha smesso di funzionare ed è stata sostituita da quella culturale: quando gli uomini di trenta mila anni fa entrarono in Siberia, trovarono un clima rigido, ma non hanno aspettato che crescesse loro il pelo, hanno tagliato e cucito pellicce di animali. In questo e molti altri casi, la rivoluzione genetica ha lasciato il posto a quella culturale». GUIDO CASERZA ______________________________________________________________ Unione Sarda 29 ott. ’09 AUMENTO NELL’ISOLA I MALATI DI SLA Sarà istituito un registro regionale della sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e si studieranno nuovi tipi di assistenza ai pazienti, a partire dalla diagnosi e per tutto il decorso della malattia che in Sardegna segna alte percentuali di incidenza rispetto al resto d’Italia. Lo ha annunciato ieri l’assessore regionale alla Sanità Antonello Liori, in occasione dell’insediamento della Commissione regionale Sla. La commissione è presieduta dal neurologo Vincenzo Maxia ed è composta da Roberto Bayre (medico di base), Giuseppe Borghero (neurologo), Giuseppe Lo Giudice (presidente Associazione Sla Sardegna), Agnese Lussu (fisiatra), Sandro Orrù (ricercatore universitario di genetica medica), Gianfranco Sau (neurologo), Carlo Sollai (psicologo), Tonio Sollai (anestesista) e Salvatore Usala (rappresentante ammalati Sla). «La commissione - ha spiegato Liori - studierà un percorso assistenziale per venire incontro ai pazienti colpiti dalla malattia e ai loro familiari: non vogliamo che i sardi vadano a farsi curare fuori dall’Isola». Nel decennio 1980- 1990 l’incidenza in Sardegna della Sla era di 0,68 malati ogni centomila abitanti, nel periodo 1990-2000 è salita a 1,60. Nel decennio attuale non si hanno ancora dati ufficiali ma si parla di 3 malati ogni centomila abitanti, che proietterebbe la Sardegna al primo posto come incidenza della malattia tra le regioni italiane. «Finora - riferisce Maxia - sono 179 i sardi colpiti, ma è un dato da aggiornare». SERGIO ATZENI ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 ott. ’09 Sanità, sale la protesta: verso lo sciopero generale CAGLIARI. «Se la Regione non accetteré un confronto, entro ottobre ci saré uno sciopero dei 50 mila operatori della sanité in Sardegna». L’annuncio è delle segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil, che hanno ribadito il loro «no» alla riforma voluta dall’assessore Antonello Liori e contenuta nel collegato alla Finanziaria e nel piano generale di riorganizzazione della sanité. Fra le tante cose i sindacati contestano «la liberalizzazione dei tetti di spesa delle strutture private (mentre il personale ha un contratto scaduto da quattro anni), lo stravolgimento, con scorporamenti e creazioni di macroaree, della rete ospedaliera pubblica, la conseguente crescita delle sovrastrutture burocratiche e non dell’efficacia del servizio, l’aumento del precariato e il peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori del settore ». Di questi temi hanno parlato i tre segretari sindacali regionali della funzione pubblica, Giovanni Pinna (Cgil), Antonio Masu (Cisl) e Adolfo Tocco (Uil). «E’ inaccettabile che si vada avanti a colpi di decisioni unilaterali - ha detto Pinna - lo sciopero generale è un extrema ratio di fronte all’ennesimo rifiuto di incontro». Contro Liori anche Tocco: «L’atteggiamento dell’assessore è di spregio e non riconoscenza verso il sindacato, che non è ammesso a partecipare a scelte che nel piano sanitario vengono definite “fondamentali”». «Pretendiamo - ha concluso - l’apertura di un tavolo di concertazione su tutti i problemi: carenze negli organici, condizioni di lavoro estreme per i lavoratori, turni insostenibili, diritti calpestati». Masu, ha criticato la riorganizzazione degli ospedali pubblici: «Non si può smantellare il sistema pubblico in modo indiscriminato come vuol fare la Regione, sarebbe pià opportuno razionalizzare gli sprechi. La sanité si porta via il 40 per cento del bilancio regionale». Paolo Camedda ______________________________________________________________ Corriere della Sera 28 ott. ’09 COSÌ LA MATEMATICA CI AIUTERÀ A GUARIRE MEDICINA E INFORMATICA ACCORDO TRA IEO E UNIVERSITÀ DI PISA: PER STUDIARE LE EQUAZIONI ANTICANCRO Previsioni Un software, messo a punto dall' Università di Chicago, prevede le eventuali metastasi dopo un' ecografia al seno Guarire con la matematica? Nessuno si allarmi, i medici non si apprestano a prescrivere equazioni di secondo grado per far durare meno il raffreddore. Nondimeno la matematica può fare molto per la nostra salute. E l' Italia, questa volta, se non proprio prima al mondo non è nemmeno il fanalino di coda. E' stato infatti da poco raggiunto un accordo fra l' Università di Pisa e l' Istituto europeo di oncologia di Milano per coagulare le diverse competenze in uno sforzo comune, mirato a combattere il cancro con l' aiuto di modelli matematici e algoritmi informatici. In che cosa possono essere utili? Per esempio attraverso la cosiddetta network reconstruction, che serve a «disegnare» le complesse reti di relazioni fra migliaia di elementi, che possono aiutare a capire come due malati dello stesso tipo di tumore al seno possono rispondere (o non rispondere) al medesimo farmaco. Per poter fare questo genere di analisi, bisogna basarsi su calcoli che non sono alla portata di nessun medico specialista. Tanto per dare un' idea, sul Journal of Theoretical Biology, Daniele Struppa, un matematico italiano che lavora negli Usa, ha pubblicato con il suo gruppo un modello di 40 equazioni differenziali solo per descrivere il funzionamento di un singolo recettore. Si tratta di sistemi giganteschi, che hanno bisogno di capacità di calcolo ad alta performance, del tutto impensabili fino a pochi anni fa. Altro esempio di come i "numeri" ci possono aiutare? Ce lo fornisce l' Università di Chicago, dove è stato messo a punto un sistema di intelligenza artificiale capace di anticipare la scoperta di metastasi di un tumore al seno al momento dell' ecografia. Un altro modello matematico è stato realizzato dall' Università dell' Ohio, per capire quali donne possono beneficiare della radioterapia e quali no in caso di tumore dell' utero. Così la matematica ci potrà dare una mano. Come è vero che due più due fa quattro. Luigi Ripamonti RIPRODUZIONE RISERVATA Ripamonti Luigi ______________________________________________________________ Corriere della Sera 25 ott. ’09 CERCHI UN BRAVO MEDICO? SPERIAMO CHE SIA FEMMINA PROFESSIONE UNA RICERCA INGLESE EVIDENZIA IL PRIMATO DELLE «DOTTORESSE» Meno contenziosi e reclami, più lavoro di équipe La relazione La donna è attenta ai bisogni del paziente più del collega maschio Prima l' ingresso in sordina, poi un' entrata in scena con la forza di un uragano. Le donne medico sono aumentate di giorno in giorno fino a diventare oggi quasi le protagoniste di un mestiere un tempo soltanto maschile; erano il 57 per cento dei laureati in medicina nel 2000, il 62 per cento nel 2006 (ultimi dati disponibili). Altro che quote rose: siamo di fronte ad un' invasione in rosa, che oltre a femminilizzare la professione, la sta ingentilendo, «migliorando». Sì perchè le donne in camice funzionano meglio dell' analogo dell' altro sesso: lo rivela in modo clamoroso (ed inaspettato) una ricerca del dipartimento di valutazione clinica del Servizio sanitario britannico, l' NCAS, acronimo di National Clinical Assessment Service, su un campione di 5.000 medici e dentisti sia ospedalieri che di medicina generale, condotta nell' arco degli ultimi otto anni. Nell' indagine sono stati registrate le segnalazione arrivate all' amministrazione dell' ospedale o dell' health district (il corrispettivo della nostra Asl) in seguito a contenziosi sulla qualità delle prestazioni, sugli errori clinici (di diagnosi o di trattamento) sui comportamenti all' interno dell' équipe, su eventuali sospensioni dal lavoro e non ultimo, sul livello di gradimento dei pazienti. Problemi coniugati quasi esclusivamente al maschile, visto che le segnalazioni riguardano 3635 uomini e un modesto numero di donne: soltanto 873. La popolazione femminile col camice nel servizio sanitario inglese rappresenta il 40 per cento della forza lavoro, ma prende «brutti voti» un modesto 20 per cento. Una promozione importante, tale da catturare l' attenzione della rivista Lancet che in uno degli ultimi numeri ospita una riflessione dal titolo significativo: «Le donne sono medici migliori?», che è, in realtà, un inno ad un cambiamento che sembra portare solo novità positive. «Sono dati che non mi meravigliano - commenta Ornella Cappelli, presidente dell' associazione italiana donne medico, specialista in microbiologia ed igiene di Parma - ; la donna è per talento e per esperienza storica molto più capace dell' uomo di organizzare il lavoro di gruppo; estranea al concetto di gerarchia tipicamente maschile, ha una maggiore propensione alla collaborazione. Un atteggiamento che si rivela proficuo in una struttura complessa come quella ospedaliera, ad esempio nella gestione del personale paramedico». «C' è poi la grande capacità femminile - prosegue la dottoressa Cappelli - di essere caregiver, come si dice oggi, ovvero di prendersi cura degli altri: il che spiega come mai la donna medico spesso (non sempre, peraltro) ha una maggiore attenzione del collega maschio ai bisogni complessivi del malato e alla comunicazione». Il che si traduce in una capacità di ascolto e di dialogo che allenta le tensioni e riduce le incomprensioni: ecco perché sono un numero decisamente inferiore i reclami dell' utente nei confronti del medico donna rispetto al collega maschio. Attenzione però a non fare della donna il «santino» della professione medica, sottolinea Giovanna Vicarelli, professore di sociologia alla facoltà di economia dell' università politecnica delle Marche, autrice di Donne di medicina (Il Mulino editore), la prima analisi attenta di questo nuovo fenomeno: «È un universo variegato quello delle donne medico, con differenze significative fra le generazioni: la creatività sul piano organizzativo e l' attenzione al paziente nella sua globalità caratterizzano il modo di lavorare nelle donne fra i quaranta e i cinquant' anni; molto meno quello delle più giovani, fra i trenta e i trentacinque, che sembrano assai più competitive rispetto a quelle che le hanno precedute: puntano soprattutto alla carriera». Ma qual è l' identikit della donna medico oggi in Italia? La risposta viene da due ricerche condotte nel 2004 (una su 1160 medici di medicina generale, l' altra su quelli iscritti all' Ordine di Torino, Cosenza e Ancora, 714 per la precisione) e riportate nel libro della professoressa Vicarelli: in media ha un' età fra i 43 e i 48 anni, proviene da una famiglia di ceto medio-alto, è sposata con un uomo che appartiene alla sua stessa classe sociale, ha figli. Ha intrapreso la professione perché animata dalla passione per la ricerca scientifica (ma in Italia avrà incontrato non poche delusioni) e da una forte predisposizione alla cura degli altri, ha scelto una specializzazione dell' area medica. Svolge l' attività professionale per lo più in forma dipendente, senza ricoprire incarichi manageriali a livello di organizzazione sanitaria, è iscritta alle società scientifiche e al sindacato. Sul piano privato, il tempo libero è ridotto all' osso, va poco al cinema e a teatro. Ma non se ne lamenta. Come la maggior parte delle donne che hanno una famiglia e un lavoro oggi in Italia. Franca Porciani fporciani@corriere.it Porciani Franca ______________________________________________________________ Unione Sarda 31 ott. ’09 BROTZU: VALVOLE AORTICHE, VIA AGLI INTERVENTI PER GLI ANZIANI Sanità. Da gennaio al Brotzu le operazioni per via percutanea e apicale Sabato 31 ottobre 2009 «Le valvole aortiche le mettiamo dal '78 con successo. La novità è che da gennaio potremmo inserire quelle per via percutanea e quindi potremo operare anche pazienti anziani con altre patologie che rischierebbero troppo con l'intervento tradizionale». Lo precisa il cardiochirurgo Valentino Martelli che giovedì aveva annunciato la fine dei viaggi della speranza per i cardiopatici anziani, come la donna di 78 anni che nei giorni scorsi è stata trasportata in aereo al San Raffaele di Milano per un intervento urgente al cuore. «Gli interventi per via percutanea consentono di inserire la valvola passando attraverso l'arteria femorale, quelli per via apicale richiedono una minima toracotomia per l'inserimento attraverso l'apice del ventricolo sinistro. Si tratta di una tecnica nuova, introdotta da due-tre anni», aggiunge, «che necessita dell'autorizzazione dell'azienda produttrice (che pretende l'utilizzo secondo protocolli precisi) e quella dell'ospedale, che deve autorizzare l'acquisto delle valvole il cui costo è di 22 mila euro contro i circa 3500 mila di quelle normali. La novità», ribadisce Martelli, «è che il commissario dell'azienda ci ha autorizzato ad acquistarle. Ora partono le procedure per l'acquisto e i training dei medici, che saranno in principio assistiti dagli specialisti dell'azienda produttrice».