RASSEGNA 15 NOVEMBRE 2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 CUN: UN PO' DI AUTOGOVERNO CI VUOLE - BURGIO: UNIVERSITÀ, PROGETTO CHE PIACE SOLO AI RETTORI - TABELLINI(BOCCONI): PROMUOVO IL PIANO GELMINI - IL PROBLEMA NON È LA DURATA DEL MANDATO DEI RETTORI - CORSI VERSO IL MINIMO STORICO - PIRANI: O LA GELMINI CORRE O LA RIFORMA FALLISCE - MAGNIFICI MA CON LE TASCHE SEMPRE VUOTE - COSÌ MUORE L’AUTONOMIA DEGLI ATENEI - ATENEI MIGLIORI L'ITALIA NON C'É MAI - MOBILITIAMOCI PER SALVARE L’UNIVERSITÀ PUBBLICA - AGLI ATENEI UNA DOTE DI 64 MLN - ALMA LAUREA: UN PAESE SENZA FUTURO SE RINUNCIA ALLA RICERCA - FONDI ALLA RICERCA LEGATI AL MERITO UNA RISERVA DEL 7% - SPARISCONO ANCORA I FONDI PER LA RICERCA - LA RICERCA NON ESISTE PIÙ - RICETTE ELETTRONICHE, PAGELLE ONLINE E IMPEGNO DI FEDELTÀ - GUARINI ELARGIVA STIPENDI D'ORO DEVE 104MILA EURO ALLO STATO - GELATI E AZOTO LIQUIDO: COSÌ LA SCIENZA È SBARCATA ALL'EXMÀ - ======================================================= I CONTI DELLA SANITÀ SARDA SONO SEMPRE PIÙ IN ROSSO - REGIONI IN ORDINE SPARSO SULLA SPESA PER LA SANITÀ - E A SORPRESA LA SPESA SOCIALE SCENDE VALE SOLO IL 77% DELLA MEDIA UE - CAGLIARI: L’OSPEDALE DIVENTA CENTRO SPERIMENTALE - LA SPISA RINGRAZIA SORU «UNA FELICE INTUIZIONE» - «MA NON CHIAMATELE CAVIE UMANE» - FUSIONE TRA BROTZU E MICROCITEMICO - I TALASSEMICI: NO ALLA FUSIONE COL BROTZU - CORONA: «NON RIPIANEREMO I DEBITI DI SARDEGNA IT» - APPELLO AI MEDICI: «VACCINATEVI» - «MEDICI, È ASSURDO BOICOTTARE IL VACCINO» - LANCET: CHI VA PRESTO IN PENSIONE RINGIOVANISCE DI 10 ANNI - LO STETOSCOPIO VA IN PENSIONE - LA DEPRESSIONE NON È PIÙ INVINCIBILE NUOVI FARMACI E HI-TECH LA TIRANO SU - IMPLANTOLOGIA DI FRONTIERA - CHIRURGHI ITALIANI? BRAVI MA SENZA TUTELE E LE SCUOLE SI SVUOTANO - IL CHIRURGO FUGGITO, ALL' AUSTRIA UN «REGALO» DA 120 MILIONI - HELICOBACTER: MEGLIO LA CURA «SEQUENZIALE» - GRANCHI: IL SESSO IN VENDITA PER AVERE PROTEZIONE - ======================================================= _________________________________________________________ ItaliaOggi 11 nov. ’09 CUN: UN PO' DI AUTOGOVERNO CI VUOLE Qualità e valutazione, risorse umane e finanziarie, semplificazione della governance sono le parole d'ordine per l'università avviata versa la riforma. In questo contesto la razionalizzazione dei corsi di laurea è indubbiamente fondamentale. Dopo H passaggio dai modello delle lauree quadriennali al modello 3+2, l'università è stata pesantemente criticata per un eccesso di parcellizzazione dei corsi e per avere relegato gli interessi degli studenti e del mercato del lavoro in posizione subalterna rispetto a quelli ; dei docenti. A queste accuse si può ribattere che con il Dm 509/99 la politica impose alle università di raddoppiare i corsi "a costa zero", spezzandoli in due tronconi, applicando questa regola in maniera indiscriminata a tutte le aree senza affiancarvi una normativa ad hoc ed una riflessione fra docenti, studenti, imprenditori ed amministratori per stabilire quale fosse la preparazione attesa per i laureati triennalisti e quali i meccanismi per ; quanto il fine sia condivisi facilitarne l’inserimento nel ' bile alcune forti perplessità mondo del lavoro pubblico ' nascono sulla tempistica. e su e privato. Nulla fu fatto per rendere il mercato del lavoro consapevole dei cambiamenti in atto e l'università fu lasciata completamente sola,, senza regole ed obiettivi. Soltanto con il Dm 270/04 si è cercato di correre ai ripari con una controriforma, sempre a costo zero di cui oggi cominciamo a vedere i primi risultati positivi. Recentemente il Ministro Gelmini ha ritenuto, con una nota di indirizzo del 410/109, di dare alle università un ulteriore forte segnale di rigore nella costruzione dei corsi, prospettando l'introduzione di criteri ancora più restrittivi per la loro attivazione. Per quanto il fine sia condivisibile alcune forti perplessità nascono sulla tempistica. e su una, impostazione dirigistica ed esclusivamente quantitativa data apparentemente ai , parametri, stiamo appena in' travedendo il risultato della autonoma riduzione qualitativa, dei corsi (-15/20% stimato a fine processo). Aver indicato degli obiettivi di fine processo è stato da parte del Ministro fondamentale, ma il Cun chiede di dare fiducia al sistema ed alla sua possibilità di autogoverno lasciando agli atenei la possibilità di riorientare l'offerta formativa e premiando i più virtuosi in base ad indicatori di qualità. *Presidente del Cun _________________________________________________________ Corriere della Sera 14 nov. ’09 UNIVERSITÀ, PROGETTO CHE PIACE SOLO AI RETTORI di ALBERTO BURGIO «Ma il piano del governo sicuramente non entusiasma i 60-70 mila precari che da anni attendono il proprio turno» Caro direttore, dopo avere ridotto di 4 miliardi di euro in cinque anni i finanziamenti statali al, 1'Università, ora il governo intende riformare il sistema universitario a «costo zero». La Carta di Lisbona fissa a13% (nel 2o1o) la percentuale del prodotto interno lordo da investire nella ricerca, l'Italia è ferma all'i,i. E, invece di prevedere nuovi investimenti in questo settore, a detta di tutti strategico per competere sul piano internazionale, riduce ulteriormente le risorse già insufficienti. Basterebbe questo dato per capire di che tipo di riforma si tratti. Ciò nonostante, il progetto del governo piace alla Conferenza dei rettori e alla Confindustria. Come mai? Non occorre «pensar male», basta leggerlo. A meno che il Parlamento non introduca modifiche sostanziali, la riforma prevede un forte incremento dei poteri attribuiti ai rettori (che non saranno più espressione dell'intero corpo docente, ma verranno eletti da una ristretta cerchia di ordinari) e ai consigli di amministrazione. I quali saranno composti per almeno il 40% (potrebbero essere anche la maggioranza assoluta) da membri esterni all'ateneo, scelti dal rettore. Imprenditori e banchieri - non si sa a che titolo - avranno funzioni di indirizzo e di programmazione finanziaria, e potranno persino decidere l'attivazione o la soppressione di corsi di studio. La Costituzione afferma che la scienza è libera e lo è anche il suo insegnamento, ma è noto che non sono, questi, tempi propizi per quel venerabile documento. Di sicuro il progetto del governo non entusiasma i 60-7o mila precari che da anni attendono il proprio turno per accedere ai ruoli dell'università. Non si tratta di «fannulloni». Nella gran parte dei casi, sono studiosi, non più giovani, che hanno acquisito competenza e capacità e conquistato riconoscimenti anche all'estero. Salvo rarissime eccezioni, per loro l'avventura si concluderà amaramente, poiché soldi non ce n'è e i concorsi rimangono bloccati. C'è qualcuno che si domanda se questo è giusto e anche quante risorse investite nella formazione e nell'addestramento di queste persone andranno sprecate? II governo progetta di precarizzare la fascia dei ricercatori. Si è detto che la progettata riforma introdurrebbe in Italia il sistema tenure track, in base al quale chi instaura un rapporta di collaborazione con una università viene assunto solo se ha conseguito buoni risultati e dimostra adeguate capacità. Quel che non si dice è che il sistema dei tenure prevede l'immediato stanziamento delle risorse necessarie all'immissione in ruolo di tutti gli aspiranti. II ddl del governo affida invece la sorte dei nuovi «ricercatori a tempo determinato» all'eventuale chiamata da parte di un'università, che dovrebbe ricavare le risorse necessarie dal proprio magro bilancio. Il vero nome di questa finta tenure è precarizzazione. È vero, senza «maggiori oneri per la finanza pubblica» non si può fare diversamente. Ma almeno si abbia l'onestà di dichiararlo. Docente universitario e candidato alle elezioni europee nella lista Prc-Pdci ___________________________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’09 RIFORMA TABELLINI, RETTORE DELLA BOCCONI: PROMUOVO IL PIANO GELMINI «La nuova università? Rette più alte per gli studenti che sono in grado di pagarle» Per la prima volta una riforma va nella direzione giusta. Anche per i docenti MILANO - «Una riforma ambiziosa». Una riforma che «può essere migliorata, certo, come tutto». Ma «senza stravolgerne l' impianto: va nella direzione giusta, ed è la prima volta». Consensi, dal mondo accademico e dalla stessa Conferenza dei rettori, Mariastella Gelmini ne ha ricevuti «a maggioranza». Questo forse avrà un sapore particolare: viene da chi di gestione, organizzazione, governance - in fondo i punti cardine di qualsiasi riforma - si occupa ogni giorno nel proprio ateneo. E Guido Tabellini, rettore di quella Bocconi che è la più grande università privata italiana e il nostro «marchio» più prestigioso in campo internazionale, al disegno di legge firmato dal ministro dell' Istruzione riserva «un giudizio nel complesso molto positivo». Dice: «Non stravolgetelo». Perché? «Perché è un progetto che i problemi dell' università li affronta in modo organico. La carriera dei docenti, per esempio: finalmente si presta più attenzione al merito che all' anzianità, si introduce maggiore flessibilità nella loro gestione. Ma penso, anche, alla valutazione degli istituti in base ai risultati prodotti. Sforzo concreto, stavolta, essendo accompagnato da penalizzazioni finanziarie per chi non raggiunge gli standard». Qualcuno potrebbe obiettarle: discorso interessato, visto che quanto a standard la Bocconi è oltre la media. «Ma è privata, e privatamente si finanzia. I fondi pubblici sono poca cosa. È comunque importante che la valutazione abbia implicazioni economiche anche per noi. Dopodiché: questa riforma trova un consenso ampio nel mondo accademico. È la prima volta. E non era scontato. Anche perciò mi auguro che, in sede di conversione, lo spirito bipartisan non venga meno e l' impianto non cambi. Pur se questo non significa che la riforma non sia migliorabile». Dove? «C' è un eccesso di dirigismo, per esempio nelle "quote" di assunzione di docenti dall' esterno. Le università non sono tutte uguali, non si può imporre la camicia di forza. Tanto più che gli atenei migliori, e ci metto la Bocconi, hanno già metodi di selezione rigorosi». Altri punti da rivedere? «Si chiedono, giustamente, più fondi pubblici per le università statali. Però sappiamo che le risorse sono poche. E allora, è un discorso impopolare ma...». Ma... «Dovremmo essere aperti ad aumentare le tasse di iscrizione per chi se lo può permettere. L' università è uno strumento di mobilità sociale. È sacrosanto che chi merita, e non ha i mezzi, sia aiutato. Anzi, dovrebbe esserlo di più: tasse basse, borse di studio, agevolazioni. Ma far pagare poco a tutti, che senso ha, ancora? Non possiamo più consentircelo. Se vogliamo un' università non livellata verso il basso, dobbiamo accettare che chi può paghi in proporzione». «Ritocco» della riforma suggerito da Ernesto Galli della Loggia, sul «Corriere»: «Calibrare meglio il potere eccessivo dato ai rettori». Che ne dice? «Non ci riguarda direttamente. In Bocconi le funzioni del rettore e quelle amministrative sono divise. E, sul piano della carriera, la prassi è quella di non restare oltre un certo periodo. Bene un limite di 8 anni, altrimenti è difficile mantenere la spinta innovativa». Lunedì lei inaugura l' anno accademico, con il presidente Mario Monti e con relatore ospite Pascal Lamy, direttore generale Wto. Globalizzazione e crisi, sarà questo il tema? «Come governare la globalizzazione è un argomento nella tradizione Bocconi. Il Wto è un' istituzione che ha dimostrato di avere un ruolo cruciale durante la crisi, dunque... Ma c' è un altro tema che mi sta a cuore. Siamo abituati a pensare che il progresso dipenda da scoperte tecnologiche, studi in medicina, ingegneria, telecomunicazioni. È vero in parte. A fare la differenza è il buon funzionamento delle istituzioni economiche e politiche, che dipende anche dalla diffusione della conoscenza nelle scienze economiche e sociali». Raffaella Polato ________________________________________________________________ ANDU nov. ’09 IL PROBLEMA NON È LA DURATA DEL MANDATO DEI RETTORI Uno dei contenuti del DDL governativo sull'Universita' piu' propagandatidalla 'grande' stampa e' l'introduzione di un limite al mandato dei Rettori: "Uno stop ai rettori a vita" e' il titolo di un articolo del Sole 24-ore del 2 novembre 2009. In realta' un limite ai mandati del Rettore e' presente negli Statuti di quasi tutti gli Atenei, ma e' pur vero che sono pochi gli Atenei in cui non si sia modificato o non si stia modificando lo Statuto per prolungare il mandato del Rettore in carica oltre il periodo massimo previsto. Il fenomeno dei "rettori a vita" attraverso la 'forzatura' degli Statuti - 'inaugurato' nel 1999 nelle Universita' di Bologna e di Pisa - e' in realta' la manifestazione di un sistema di potere che negli Atenei sicostruisce e si regge attorno alla figura del rettore-padrone. Come si e' piu' volte detto, i Rettori sono stati e sono potenti non perle specifiche competenze attribuite loro dalle leggi, ma perche' essioperano in presenza di Organi di Ateneo (Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione) non in grado di compiere scelte autonome e nell'interesse complessivo della loro Universita'. Tali organi, peraltro, sonodirettamente 'gestiti' dal Rettore che presiede entrambi. In particolare gli attuali Senati Accademici, a causa della presenza dei Presidi, possono esprimere solo scelte di natura 'condominiale', essendo i Presidi espressione degli interessi particolari delle proprie Facolta',organi obsoleti che sopravvivono solo perche' ancora gestiscono il 'mercato dei posti', cioe' il reclutamento e l'avanzamento da una fascia all'altra dei docenti. Ed e' soprattutto questo potere che i Presidi hanno tutelato nei Senati Accademici, 'rispettando' gli interessi delle altre Facolta' perdifendere quelli della propria. Tutto questo lascia al Rettore ampiomargine di decisione su quanto non e' direttamente legato al bando di posti per la docenza. >> L'introduzione di un limite al mandato dei Rettori e' in realta' undiversivo rispetto alla gravissima scelta, prevista nel DDL governativo, di rafforzare negli Atenei il sistema di potere oligarchico, concentrandoproprio nelle mani del Rettore e del 'suo' Consiglio di Amministrazione un potere assoluto: dal rettore-padrone si passa al rettore-sovrano assoluto! Se invece si fosse voluto realmente superare l'attuale dannosa gestione degli Atenei si sarebbe dovuto gia' da molti anni - come richiesto dall'ANDU - realizzare una riforma in senso democratico dell'intera organizzazione degli Atenei, affidandone il governo ad unorgano composto esclusivamente dai rappresentanti DIRETTAMENTE eletti da tutte le componenti dell'Universita' (docenti, tecnico-amministrativi, studenti). Cosi', tra l'altro, si sarebbe impedito che, con la 'scusa' del mal funzionamento dell'attuale gestione degli Atenei, venisse accelerato il processo di 'aziendalizzazione' degli stessi, con Rettori ancora piu' potenti, secondo quanto voluto dalla Confindustria e dai poteri forti accademico-politici del PDL e del PD e condiviso, 'naturalmente', dalla Conferenza dei Rettori.BUR.IT ___________________________________________________________________ ItalìaOggi 11 nov. ’09 CORSI VERSO IL MINIMO STORICO Secondo le proiezioni del Cun l offerta degli Atenei sarà solo extra-small Con la nota Gelmini saranno inferiori a 2mila DI BENEDETTA P PACELLI Potrebbero essere addirittura meno di 2 mila i corsi di laurea per l'anno accademico 2010-2011 contro gli oltre 2600 di questo anno. A tanto ammonta la sforbiciata se venissero applicati toutcourt i principi contenuti nella nota 160/09 targata Mariastella Gelmini che mette nero su bianco "Ulteriori interventi per la razionalizzazione e qualificazione dell'offerta formativa". Un provvedimento che, dopo l'infinità di riforme che hanno affastellato il mondo accademico negli ultimi dieci anni getta, ancora una volta, gli atenei in una frenesia da riforma. Costringendoli a tagliare i corsi, rivedere gli esami e riconteggiare i crediti. l;ennesima cura dimagrante per il sistema, così drastica che se fosse applicata senza correttivi, farebbe calare a picco l'offerta formativa di I livello e a ciclo unico al di sotto dei 2 mila corsi, contro i 2634 inseriti nella banca dati per l'anno 2009-10, o gli oltre 3 mila del 2007 quando ancora non era entrato in vigore il dm 270/04. Ed è proprio da qui che si ripartirà. Con dei paletti molto stringenti a cui le università saranno costrette ad uniformarsi se vogliono che i propri corsi di laurea siano accreditati dal ministero. Del resto l'indirizzo generale della nota è perentorio: la 270 non è bastata, occorre alzare ulteriormente i requisiti minimi per curare "le inefficienze" del sistema universitario: troppi corsi di laurea, troppi abbandoni al primo anno, troppe sedi distaccate. E' davvero così? Fino ad un certo punto, perché se è vero che il dm 509/99 ha portato, in alcuni casi ad una eccessiva proliferazione di corsi, è altrettanto vero che le università hanno dovuto moltiplicare i corsi per dar seguito alla nuova offerta accademica del 3+2: dai 2444 corsi ante-riforma gli atenei ne hanno attivati oltre 3 mila nel 2001-2002. Il tutto a costo zero. E gli eccessi? Laddove ci sono stati ci ha pensato il dm 270/04 a frenarli. Con effetti evidenti già dal 2008-09, primo anno di applicazione, quando la totalità dei corsi di laurea triennale e quinquennale sono passati stando ai dati Cineca da 5464 del 2007 a 5240 del 2008. Anche i dati disaggregati la dicono lunga: i circa 2 mila e 700 corsi di laurea triennale attivati con la Berlinguer, sono scesi a 1653 nel 2008 e a 759 nel 2009, per la specialistica, rispettivamente negli stessi anni, da 2400 a 1556. Tutto fa prevedere, quindi, che con il completamento della 270, anche senza l'adozione di ulteriori provvedimenti, si arrivi ad un numerosità di corsi aperti alle immatricolazioni «pure», pari a 2350, inferiore quindi all'applicazione della Berlinguer. Sarebbe dannoso ad un anno dalla conclusione della trasformazione dal dm 509 al270 introdurre vincoli più rigidi che costringono gli atenei a riformulare l'intera offerta formativa senza verificare prima gli esiti del percorso di riforma. Viene da pensare che la nota più che verso un intervento diretto ad una razionalizzazione e una qualificazione dell'offerta formativa,sia un'azione mirata a conseguire una riduzione della spesa attraverso il ridimensionamento della formazione superiore. Corsi verso il minimo storico DIECI ANNI DI RIFORME PER IL MONDO ACCADEMICO Dm 509/99 Il decreto introduce il sistema del 3+2. Entra in vigore il sistema dei crediti formativi universitari (180 per conseguire la laurea triennale, 300 per la specialistica. Si definiscono le Classi di laurea ognuna costituita da una griglia dei settori scientifico disciplinari. la riforma entra in vigore nell'a.a.2001-2002. Dm 270/04 II testo modifica il 509. Sono riprogettatì i corsi di studio di primo e di secondo livello, introducendo ulteriori modifiche relative alle classi di laurea; alla denominazione dei titoli di studio conferiti e alle qualifiche accademiche. Dm 16 marzo 2007 I due decreti relativi alle nuove classi di laurea e di laurea magistrale rendono pienamente operativo il Dm 270/04. I due provvedimenti disciplinano alcuni aspetti riguardanti l'architettura dei corsi di studio e forniscono indicazioni relative alle attività formative indispensabili per le varie classi di laurea e di laurea magistrale. Dm 386 26/07/2007 I II ministero vuole dare indicazioni accessorie per l'interpretazione delle nuove disposizioni e chiarire le motivazioni alla base della seconda riforma. In particolare il dm si occupa dell'approfondimento delle questioni legate alla riprogettazione dell'offerta formativa secondo criteri nuovi e più razionali e all'attivazione dei corsi dì studio, Dm 544/07 II decreto entra nello specifico delle norme riguardanti i requisiti necessari e i requisiti qualificanti per l'istituzione e l'attivazione dei corsi di studio secondo la 270. Nota 160/09 La nota da un'ulteriore stretta ai requisiti necessari per l'attivazione dei corsi di studio. Vengono definite regole più severe relative al rapporto docenti-studenti, una stretta all'articolazione dei corsi interclasse, ai crediti extrauniversitari riconosciuti dall'ateneo e un numero minimo di crediti per esame. ________________________________________________________ la Repubblica 9 nov. ’09 PIRANI: O LA GELMINI CORRE O LA RIFORMA FALLISCE Raramente, ormai, le argomentazioni di Ernesto Galli della Loggia o incidono con le mie, ma il suo invito - «Non dividiamoci sull'Università» (Corriere del 30 ottobre) -mi trova assolutamente concorde. Il progetto di legge presentato da Mariastella Gelmini, come ha scritto per primo sulle nostre colonne, Salvatore Settis, (25 ottobre), direttore della Normale di Pisa, «è di una portata che non si vedeva da tempo» e analizzando gli aspetti positivi come anche quelli critici, soprattutto per quanto si riferisce all'impegno finanziario, aggiunge: «A costo zero si fameno di zero. Uno spirito di discussione, così equilibrato, è dovuto all'alto grado di coinvolgimento, richiesto dal ministro, ad un gruppo qualificato di docenti di vario orientamento culturale, fuori dal rapporto maggioranza-opposizione. Che il metodo sia stato quello giusto e consenta di promuovere scelte ampiamente condivise, lo prova, del resto, la recentissima (4 novembre) mozione della Conferenza dei rettori che ritiene «essenziale che l’occasione non vada perduta». Ho avuto la riprova dell'attesa suscitata da questo disegno di legge, attraverso una verifica personale presso un certo numero di docenti, lettori di "Repubblica", che mi hanno suggerito non poche osservazioni, ma anche l'emergere di una ultima speranza sulla possibilità questa volta di salvare l'Università italiana, altrimenti avviata ad un declino catastrofico. Mi soffermerò su un solo punto: l'attivazione dopo alcuni anni di blocco dei concorsi di un percorso virtuoso alla docenza. A parte una breve «finestra»apertasi dopo il 1999 e presto richiusa, una parte rilevante dei personale docente (ricercatori, associati e ordinari) provengono dal vecchio bacino dei «ricercatori d'annata», delle assunzioni e progressioni di carriera ope legis, dei concorsi e chiamate interne pilotate, delle valutazioni per anzianità. Per contro i vincitori dei pochi concorsi post 1999 sono in genere studiosi motivati che avrebbero potuto rappresentare finalmente, passando attraverso il filtro di una sana competizione per merito, la prima leva di un nuovo e trasparente assetto della docenza. La legge Gelmini consente di riattivare questo filtro, dare una prospettiva a questa generazione che si sta avvicinando ai 40 anni e aprire una strada impegnata ma percorribile alle generazioni più giovani che intendano intraprendere la carriera accademica. Il fulcro della riforma sta nel concorso unico nazionale per titoli e meriti oggettivamente acclarati, da cui deve uscire una lista numericamente definita di idonei. Da questa lista le singole Università selezioneranno, con un altro concorso, i titolari delle cattedre via via disponibili. L'altra strada alla docenza, che la riforma apre, è quella cosiddetta teniure-track, (percorso di cattedra) che, di fatto, abolisce la categoria dei ricercatori a vita. Vi accedono quanti, vinto un dottorato, otterranno un contratto triennale di ricerca, rinnovabile al massimo per altri 3 anni. In questo periodo dovranno, frattanto, partecipare e risultare idonei al concorso nazionale. Al termine del percorso potranno essere esaminati e valutati dal loro ateneo per ottenere la cattedra di associato. Capisco che al lettore norma] e l'argomento possa apparire ostico, ma si tratta di far saltare la crosta di comode connivenze, promozioni per parentela, complicità clientelari, malintese difese sindacali, abbarbicamenti conservatori che hanno tanto contribuito al degrado dell'università italiana. Le forze rappresentate da questi ambienti regressivi si faranno sentire. Sono agguerrite sia nella maggioranza che nell'opposizione. La riforma vivrà se la Gelmini avvierà al più presto la macchina concorsuale riformata, aprendo subito spazi verso l'alto agli attuali ricercatori ormai maturi, e agli associati verso l'ordinariato. La vecchia generazione sta uscendo di scena. Tutto dipende da come verrà selezionata l'entrante. Se la Gelmini non metterà il piede sull'acceleratore la sua riforma rischia di arrivare troppo tardi. ________________________________________________________ Il mondo 20 nov. ’09 MAGNIFICI MA CON LE TASCHE SEMPRE VUOTE UNIVERSITÀ I RETTORI ALLE PRESE CON I BILANCI 2010 Siena li chiamano i viaggi della speranza. Sono quelli che oramai da mesi intraprende Silvano Focardi, rettore dell'ateneo cittadino. Quasi ogni settimana si reca a Roma, destinazione il ministero dell'Università o dell'Economia. l:obiettivo delle trasferte sembra, appunto, un miracolo. Il Magnifico senese, alle prese con un buco di oltre 200 milioni accumulati nei vecchi bilanci, deve adesso scongiurare il collasso finanziario del suo ente, sfiorato il 24 ottobre scorso, ultimo giorno utile per pagare gli stipendi del mese a mille docenti e 1.200 amministrativi. I soldi sono arrivati in extremis, tramite un anticipo di crediti residui. E anche per novembre il miracolo sembra riuscito: i due ministeri anticiperanno una parte di trasferimenti del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) 2010 per coprire in parte la gestione corrente. Infatti, il fabbisogno finanziario per chiudere l'esercizio in corso ammonta a 65 milioni. Ma in futuro che cosa succederà? Prima ancora che facciano effetto i tagli decisi nella Finanziaria 2008 al Ffo, cioè i trasferimenti dallo Stato alle università, che da 7,4 miliardi dì curo scenderanno a 6,7 miliardi nel 2010 e a 6 nel 2011, un gruppo di rettori, dal Nord al Sud, è già alle prese con i conti che non tornano. Perché nel passato magari qualcuno ha fatto spese coperte con fondi vincolati o con partite di giro. O ha iscritto a bilancio crediti non esigibili. Così i buchi si sono allargati. La questione era nota (vedere il Mondo del 6 luglio 2007), ma in due anni è peggiorata e si è allungato l'elenco degli atenei in deficit. Solo che, a differenza del passato, oggi l'aria sembra cambiata. Nessuno appare disposto a ripianare i debiti a piè di lista delle università. Anzi, in caso di dissesto finanziario, «nell'ipotesi in cui l'ateneo non possa far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti di terzi», è scritto nel disegno dì legge del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, approvato a fine ottobre, il rettore può essere costretto ad andare a casa e lasciare il posto a un commissario mandato dal governo. Tra l'altro, è previsto per le università anche l'obbligo di preparare un piano economico-finanziario triennale. Ma per capire quali sono le difficoltà in cui si dibattono oggi alcuni rettori, domani forse tutti, occorre ripartire dalla città del Palio. Sabato 7 novembre Focardi ha inaugurato l'anno accademico annunciando, appunto, che sembra scongiurato «il drammatico destino che incombeva sul nostro ateneo». Eppure, per risanare in profondità la situazione occorre molto di più. Dice il rettore: «Tra le manovre messe in atto con il piano di risanamento, oltre al blocco del turnover o la riduzione di consulenze esterne, abbiamo di recente approvato un regolamento che incentiva il prepensionamento volontario di docenti con 65 anni d'età e 40 di contribuzione. Da qui auspichiamo di realizzare 18 milioni di euro». Anche se, tra le cause della voragine, c'è l’ingente numero di funzionari e amministrativi assunti negli anni scorsi. Tra le altre manovre, l'ateneo ha messo in vendita immobili di pregio. Per esempio l’Inpdap (ente previdenziale per la pubblica amministrazione), che era in credito con l'università, ha rilevato, tramite Fabrica immobiliare (un fondo partecipato dal gruppo bancario Monte Paschi e da Francesco Gaetano Caltagirone), l'ex complesso psichiatrico di San Niccolò per un controvalore di 74 milioni, subito riaffittato all'università. Ma la vera ancora di salvezza per Focardi sembra essere la doppia linea di credito che sempre Mps è disposta ad aprire per 110 milioni di curo. Anche se per il momento è congelata, l'ipotesi di finanziamento prevede una prima tranche di 40 milioni, da restituire in 18 mesi, e uno di 70 milioni (durata di 30 anni), «condizionati all'alienazione di alcuni immobili rispettivamente per un importo di 49 e 115 milioni», ha '' scritto in una relazione tecnica il professor Antonio Barretta, delegato del rettore al bilancio. I palazzi da vendere sono '' la Certosa di Pontignano, il Collegio S. Chiara, il palazzo Bandini Piccolomini e la sede del rettorato. Un po' troppo, secondo Barretta, che considera la proposta ' della banca «non coerente con le strategie del piano di ristrutturazione» e giudica «l'operazione ipotizzata dalia banca '' un'anticipazione su vendite immobiliari». '' I:operazione non sarebbe piaciuta neppure al governo che alla fine di ottobre ave' va posto un freno perché, racconta Focardi, «l'eccessivo indebitamento potrebbe creare un precedente». II progetto Mps, comunque, rimane sul tavolo. '' Analoga alla partita che si sta svolgendo ' nella città toscana è quella di Roma Tor Vergata, dove nel 2007 l'immobile «La ', Romanina», da sempre sede del rettorato, «è stato oggetto di compravendita da ' parte di Montepaschi leasing che lo ha ' riaffittato all'ateneo». Così ha scritto su ' un blog Francesco Russo, ricercatore in ' università e segretario locale della Cisl. ' «Non solo: sarà un caso, ma le residenze per studenti nel campus verranno costruite dallo stesso fondo che a Siena ha ' acquistato il San Niccolò». ', Tra le soluzioni per tappare i buchi non ', c'è però solo la vendita dei mattoni di ' casa. A Palermo, accademia con 70 mi' la studenti, il numero uno Roberto Lagalla ha dovuto chiamare in soccorso gli ' esperti contabili della Price waterhouse ', per passare al setaccio diversi esercizi finanziari dopo che, ai primi di settembre, il direttore amministrativo Gabriele Cappelletti, insediato in primavera, ' aveva gettato la spugna: impossibile calcolare le perdite su cui anche la Procura ' della Repubblica ha aperto un fascicolo. ', In una relazione, Cappelletti ha parlato di «fatture non coperte per servizi di pulizia; spese fatte con partite di giro, e altre che potrebbero essere state coperte con fondi vincolati». La stima del deficit 2009 è di 19 milioni di euro, mentre secondo la fotografia scattata da Price dopo aver passato al vaglio circa 30 mila posizioni contabili, i debiti pregressi ammontano a 31 milioni, tra sentenze esecutive su procedimenti legali, mancati trasferimenti, acquisto di beni non contabilizzati. Dopo aver aumentato le tasse agli studenti di oltre il 30% negli ultimi due anni, questa strada era un vicolo cieco. Così Lagalla ha deciso di chiudere i dipartimenti (oggi sono 80) che hanno meno di 40 docenti e fare gare centralizzate per gli acquisti. E se non bastasse? Anche in questo caso, un viaggio della speranza a Roma, per ottenete contributi da restituire anche in 20 anni. Però, a volte, il buco è l'occasione per organizzare meglio le proprie strutture. A Genova, per esempio, la scoperta due anni fa di un disavanzo di circa 15 milioni di euro ha spinto il Magnifico Giacomo Deferrari a mettere all'asta parti del suo patrimonio. Come la cosiddetta Saiwetta, immobile adiacente all'ex fabbrica Saiwa dell'università. Fabio Sottocornola e mai utilizzato. Ammonta a circa 50 mila metri quadrati il patrimonio edilizio disabitato dell'ateneo, su oltre 340 mila. Altro risparmio possibile: la segreteria studenti è in un palazzo del centro, per il quale l'università paga oltre 500 mila euro d'affitto all'anno a due passi da palazzo Belimbau, sede di alcuni dipartimenti. A Firenze il neorettore Alberto Tesi (ingegneria) eredita da Augusto Marinelli (agraria) una situazione difficile quanto alle cattedre dei docenti. In particolare, quelle sponsorizzate dal 2007: sono oltre 65 in tutte le facoltà. Semplice il meccanismo: l'ateneo bandisce un posto e assume un docente. A pagare sono sponsor e convenzioni varie. Finché dura: quando il privato si ritira perché fallito o inadempiente, paga l'ente pubblico. Tesi ha già avviato un'indagine interna ma pare che questo gioco valga 3 milioni di euro. Che cresceranno con l'avanzamento in carriera dei professori. Anche a Bari, tra i più grandi atenei del Sud con 3.700 dipendenti tra professori e personale tecnico, le sorprese non sono mancate. Oggi il disavanzo stimato è di 14 milioni di euro: si tratta di emolumenti non corrisposti nel 2008. Ai quali si potranno aggiungere quelli dell'anno in corso. «Sono aumenti stipendiali, frutto di decisioni prese a Roma e che ricadono su di noi. Senza che arrivino gli adeguati ristori agli atenei», afferma il rettore Corrado Petrocelli, che ancora non riesce a stimare il disavanzo del 2010. «Da quando mi sono insediato, nel 2006, ho rastrellato quanto potevo dal bilancio per sanare situazioni arretrate. Abbiamo contenuto le spese, limitato il turnover, alienato appartamenti». Petrocelli contava anche sull'uscita di alcuni docenti ultrasettantenni pronti per la pensione. Ma, in Puglia come in tutta Italia, una sentenza del Consiglio di Stato impedisce la loro messa a riposo obbligata. A Bari, 16 casi pesano nel bilancio per 2,7 milioni di euro. «Stiamo trattando con la Regione per fare quadrare i conti», continua il Magnifico. «Non voglio rinunciare ai progetti per gli studenti, come la nuova sede del centro multifunzionale». Smettere di pensare il futuro: sarebbe questa, per Pettocelli, la vera fine dell’università. Buchi accumulati da anni. Inchieste giudiziarie. Rischio commissariamento. Così gli atenei tagliano dove possono. A cominciare dagli immobili. Che vengono poi riaffittati a essi stessi Buchi ancora non se ne vedono, ma la scure dei tagli ha colpito duro anche le università private. I numeri parlano chiaro: lo stanziamento pubblico che negli anni scorsi viaggiava tra i 124 milioni del 2005 e i 120 del 2008, per l'attuale esercizio è crollato a 88 milioni. A farne le spese è la dozzina di atenei «legalmente riconosciuti», come la Bocconi di Milano, che porta a casa solo 14,4 milioni, mentre erano 20 nello scorso anno e 21,5 nel 2007. Notevole la cura dimagrante anche per la Cattolica, la più grande università non statale italiana, che riceverà un assegno di nemmeno 43 milioni contro i 52,3 del precedente esercizio, quando i contributi dello Stato sono risultati pari al 18% del totale delle entrate (285,5 milioni). Eppure l'assegno light non sembra impensierire i rettori Lorenzo Ornaghi (nella foto, Cattolica) e Guida Tabellini (Bocconi) che non hanno dedicato alla questione nemmeno una parola nei loro recenti discorsi di apertura del nuovo anno accademico. II livello dei finanziamenti alle altre università private si ferma a cifre molto più basse: oltre 5 milioni vanno alla Luiss della Confindustria, 4,5 milioni alla Iulm, 3 alla Vita salute San Raffaele di don Luigi Verzè. _____________________________________________________________ Il manifesto 13 nov. ’09 COSÌ MUORE L’AUTONOMIA DEGLI ATENEI Leonardo Altieri Crollo della democrazia e meno autonomia. Più precariato e più interessi privati. Riassumerei così il progetto di riforma dell'Università varato dal governo, analizzandolo sia dal punto di vista politico, ma anche sulla base della mia esperienza negli organi accademici (due mandati nel Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo di Bologna, componente della Giunta di Ateneo, due mandati nel Nucleo di Valutazione). Stimolato anche dall'intervento di Alessandro Dal Lago pubblicato su Il manifesto del 6 novembre, non ho dubbi che questo provvedimento, se approvato nella sua attuale veste, prospetta alcuni scenari che è facile definire disastrosi. Riduce nettamente la democrazia interna alle università. È un punto che potrebbe passare inosservato, tanto sono lunghi e farraginosi i meccanismi decisionali degli atenei. Ma essi avvengono con un largo consenso interno che dovrebbe essere reso più trasparente. AL contrario, il ministro Maria Stella Gelmini prevede che buona parte del Consiglio di Amministrazione (almeno il 40%) non sia composto da docenti interni. Dove si troveranno personalità all'altezza capaci di dirigere atenei con migliaia di dipendenti e decine di migliaia di studenti, che si occupano di didattica e di ricerca (e non di affari)? Già adesso nei consigli amministrazione possono esserci, in numero ridotto, personalità esterne: nella mia lunga esperienza quasi mai ho visto qualche esterno in grado di dare contributi rilevanti alla vita dell'ateneo. L'unico ruolo che potranno avere costoro è di rappresentare interessi privatistici o logiche manageriali di altri mondi che pretenderanno di trasferire forzosamente nelle università. Il senato accademico sarà sfoltito (e questo potrebbe andar bene), ma sarà proibito inserirvi i presidi di facoltà e scuole o i direttori di Dipartimento: facile prevedere che ciò provocherà conflitti e scontri di potere a non finire fra senatori e detentori di queste cariche (alla faccia dell'efficienza!). Il rettore sarà eletto fra professori ordinari. Qui forse Dal Lago interpreta male il testo, scritto in effetti in un ambiguo italiano. Il rettore non dovrebbe essere eletto solo da professori ordinari, ma «tra professori ordinari». Quale potrebbe essere l'elettorato attivo non è chiaro, ma poiché si parla di «voto ponderato», ciò dovrebbe poter permettere il voto anche di altre fasce di docenti ed anche di tecnici-amministrativi e forse addirittura di studenti (il cui voto però dovrà essere «pesato», cioè valere meno di quello degli ordinari: non «una testa un voto», ma un voto di tecnici-amministrativi che valga, ad esempio, un terzo di quello dei docenti). Un ruolo enorme verrà attribuito alla nuova figura del direttore generale in omaggio alle ideologie dominanti liberistiche- aziendalistiche. L'illusione è che ciò porterà efficienza e logiche aziendali. In realtà, è facilmente prevedibile che sottrarrà ulteriore potere ai docenti e alla democrazia interna e produrrà ulteriori conflitti. Altro punto fondamentale è la riduzione dell'autonomia degli atenei. Nei loro consigli di amministrazione potranno entrare rappresentanti di interessi privati. È ridicola, se non fosse gravissima, l'idea di istituire il fondo speciale per il merito e l'efficienza degli atenei presso il ministero dell'Economia, e non presso il Miur, come sostiene a ragione Dal Lago. Ma Dal Lago non si ferma su un punto ancor più grave: la gestione dell'operatività di tale fondo, nonché del «processo di erogazione delle modalità delle prove nazionali standard» per la carriera universitaria è affidato nientedimeno che a Consap SpA. E che cosa sarebbe? Si tratta di un'agenzia privata, come fa pensare quel «SpA»? Di certo è un colpo pesantissimo all'autonomia universitaria e non ha nulla a che fare con efficacia, trasparenza, meritocrazia. Non si può però evitare di pensare al precariato dilagante che questa legge produrrebbe nel corpo docente e ricercatore. Il precariato esiste già in abbondanza (tutor, lettori di lingue, assegnisti, borsisti, contrattisti). L'abolizione del ruolo dei ricercatori produrrà un salto di qualità estremamente peggiorativo. Certo è giusto che i vincitori di concorso al primo livello abbia no un periodo di prova che non sia solo una formalità prima di entrare definitivamente. Ma pensare che si potrà essere ricercatori per un massimo di sei anni - dopo i quali o sei dentro o sei fuori - significa che il grosso di questi precari, per lo più attorno ai 40 anni, si vedranno ributtati nella disoccupazione dopo tanti anni dentro l'università. E impensabile che ci potranno essere posti di associato per tutti i meritevoli. Non sappiamo bene quali siano le competenze della Gelminì su tutto questo. Una delle argomentazioni che ha per mesi addotto per giustificare i suoi provvedimenti è stata: «ci sono corsi di laurea con un solo studente». Chi è stato negli organi universitari, o nei nuclei di valutazione, sa che ciò è impossibile già con l'attuale normativa voluta da Fabio Mussi. Ci sono requisiti minimi di numeri di docenti e di studenti da rispettare. Un corso di laurea con un solo studente o è una bufala o è già ora illegittimo. Oppure si fa riferimento a cose che esistono solo sulla carta: qualche studente fuoricorso di lauree ad esaurimento, ma per cui non si tengono al fatto insegnamenti specifici. Inutile dilungarsi. In questo quadro la Gelmini appare come un'esecutrice di interessi altrui. * Dipartimento di Sociologia, Università di Bologna. ______________________________________________________ Liberazione 10 nov. ’09 MOBILITIAMOCI PER SALVARE L’UNIVERSITÀ PUBBLICA Appello dal mondo accademico: tutelare didattica e ricerca, no a espulsioni di massa Noi, docenti universitari di ruolo attivi in diversi atenei e facoltà, seguiamo con crescente apprensione le vicende dell'università italiana e le scelte assunte in proposito dal governo in carica. Oggi decidiamo di prendere pubblicamente la parola dopo avere letto il ddl di riforma dell'università approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 28 ottobre, un progetto che ci sembra giustificare le più vive preoccupazioni soprattutto per quanto attiene alla governance degli atenei (per il previsto accentramento di potere in capo ai rettori e a consigli di amministrazione non elettivi, fortemente esposti agli interessi privati) e per ciò che concerne la componente più debole della docenza: decine di migliaia di studiosi, giovani e meno giovani, che da molti anni prestano la propria opera gratuitamente o, nel migliore dei casi, in qualità di assegnisti o borsisti, nel quadro di rapporti di collaborazione precari. Le novità che il governo prospetta in materia di governance degli atenei ci paiono prive di qualsiasi ambizione culturale e di ogni volontà di risanare effettivamente i problemi dell'università pubblica, e ispirate esclusivamente a una logica autoritaria e privatistica, tesa a una marcata verticalizzazione del processo di formazione delle decisioni a discapito dell'autonomia degli atenei. Riteniamo che l'università debba cambiare, ma occorre a nostro giudizio procedere in tutt'altra direzione, salvaguardando il carattere pubblico dell'università e favorendo la partecipazione democratica di tutte le componenti del sistema universitario. Quanto previsto per la vasta area del precariato ci sembra profondamente iniquo e irrazionale, tale da mettere a repentaglio la funzionalità di molti dipartimenti. I tagli alle finanze degli atenei e la nuova normativa per l'accesso alla docenza preludono all'espulsione in massa dal sistema universitario di persone meritevoli, stimate anche in ambito internazionale, che da tempo lavorano nell'università italiana, tra le ultime in Europa per quantità di docenti di ruolo e tra le più sfavorite per rapporto docenti/studenti. AL di là della retorica sul valore strategico della conoscenza e della ricerca, il governo - ostacolando i nuovi accessi, conservando le vecchie logiche baronali e non introducendo alcuna misura preventiva contro il malcostume accademico - pianifica un enorme spreco di risorse finanziarie, impiegate per la formazione di tanti studiosi ai quali sarà impedito l'accesso ai ruoli dell'università, e una perdita secca in termini di capacità, competenza ed esperienza, che rischia di determinare un incolmabile divario tra l'Italia e i Paesi più avanzati. Chiediamo al governo di fermarsi, ma ci rivolgiamo anche al mondo universitario affinché faccia sentire la propria voce e manifesti con forza le proprie ragioni e preoccupazioni. Non difendiamo lo status quo: invochiamo una riforma seria che ampli gli spazi di partecipazione, salvaguardi il carattere pubblico dell'università e tuteli l'autonomia della didattica e della ricerca. Non ignoriamo l'esigenza di verificare la qualità dell'insegnamento e del lavoro scientifico di ciascun docente: esigiamo l'adozione di rigorose procedure di valutazione, non graduatorie improvvisate e funzionali a campagne di stampa più o meno denigratorie, ma criteri oggettivi, adeguati alle diverse specificità disciplinari e capaci di rilevare anche i pregi, internazionalmente riconosciuti, della ricerca italiana. Non auspichiamo un reclutamento ope legis: chiediamo lo stanziamento delle risorse necessarie a consentire l'accesso ai ruoli, previo concorso, di quanti abbiano acquisito, negli anni del precariato, comprovate competenze e attitudini professionali. L'università pubblica non può essere governata in modo autoritario né gestita con criteri ragionieristici. Il lavoro di quanti ne garantiscono fattività deve essere riconosciuto e tutelato. La conoscenza è una risorsa del Paese e un diritto fondamentale che la Costituzione riconosce a ciascun cittadino della Repubblica. _________________________________________________________ ItaliaOggi 11 nov. ’09 ATENEI MIGLIORI L'ITALIA NON C'É MAI SI MOLTIPLICANO LE CLASSIFICHE, INTERNAZIONALI DELLE UNIVERSITÀ TOP. Con criteri talvolta discutibile Atenei migliori l'Italia non c'é mai Gli Usa la fanno da padrone, ma ci sono anche Francia e Spagna i moltiplicano le classifiche internazionali delle università e delle business school e cambiano i criteri di valutazione. Ma il comune denominatore è uno solo: tra le prime 15 non c'è nessun ateneo italiano. Gli Stati Uniti la fanno quasi sempre da padrone, ma ci sono anche Francia, Spagna, Svezia, Belgio e Svizzera. In autunno, insieme ai premi letterari, si moltiplicano le classifiche internazionali dell'insegnamento superiore. Là più attesa, e anche la più mediatica di tutte, è quella stilata dall'università Jiao Tong di Shanghai. Ma ci sono anche quelle del Times higher education (The), di Business Week e dell'Economist e quella del Financial Times sulle business school. Questo proliferare di top ten non deve sorprendere: studenti, docenti e responsabili di scuole e università necessitano di riconoscimenti e di elementi comparativi con gli altri istituti. Le classifiche inoltre consentono agli studenti in procinto di trasferirsi di scegliere la destinazione e ai professori di decidere dove andare a insegnare. E al grande pubblico di farsi un'idea del valore relativo delle istituzioni che è chiamato a finanziare attraverso le tasse. In poche parole, le classifiche sono il segno dell'ingresso dell'insegnamento superiore nell'era della globalizzazione. Così numerosi istituti utilizzano le graduatorie per la propria comunicazione verso l'esterno: il minimo risultato positivo viene sbandierato trionfalmente e messo in bella vista sulle home page dei siti internet. Più spesso, queste classifiche possono influire sulle strategie e le decisioni delle varie università-«La classifica di Shanghai», ha spiegato Jean-Charles Pommerol, presidente dell’università Pierreet-Marie-Curie, «notoriamente ha avuto il merito di mettere il dito nelle difficoltà delle università francesi. Ha mostrato che esse avevano un deficit di visibilità e ha suscitato una presa di coscienza collettiva». Ancora di più, Shanghai ha senza dubbio contribuito al varo delle riforme in corso: autonomia delle università, maggiori mezzi, raggruppamenti dì istituzioni. Certi istituti, addirittura, orientano le loro strategie per meglio figurare nell'ambito delle classifiche, per esempio reclutando studenti nei paesi a basso salario per accrescere il differenziale con gli stipendi finali. Tuttavia metodi e criteri di scelta sono spesso discutibili e non mancano le lacune. «Nella classifica del Financial Times», osserva Noel Amene, direttore dell'Edhec Risk Institute, «il criterio discriminante non è la ricerca, ma lo stipendio degli ex studenti. Risultato: le scuole hanno tutto l'interesse a perfezionare il loro servizio carriere piuttosto che a investire nei laboratori. Inoltre i salari ottenuti influenzano le classifiche, che a loro volta influiscono sui salari». In caso di cattivi risultati non è raro che i presidi degli atenei ricevano centinaia di lettere di protesta da parte di diplomati e debbano affrontare le richieste pressanti delle autorità di tutela. Per farla breve, università e scuole di business devono vi vere sotto la pressione (alcuni parlano addirittura di dittatura) delle classifiche. Nel frattempo il francese Ost (Osservatorio delle scienze e delle tecniche) sta lavorando, a livello europeo, a un nuovo strumento globale di valutazione delle università che dovrà vedere la luce nel 2011. ___________________________________________________________________ ItaliaOggi 10 nov. ’09 AGLI ATENEI UNA DOTE DI 64 MLN Vanno rivisti i calcoli sulla ripartizione del Fondo ordinario DI GIAMPAOLO CERRI Sorpresa, il Fondo di finanziamento ordinario -Ffo degli atenei italiani, per il 2009, non scende ma cresce di 64 milioni. Lo rivela il documento pubblicato da CampusPro, il quindicinale dei professionisti di università e ricerca nato dalla ventennale esperienza di Campus e on-line, da domani, all'indirizzo www.campus.it/campuspro. Il documento, che il ministero ha deciso di non commentare malgrado i reiterati inviti, mostra la ripartizione di 7,26 miliardi di euro che, dallo . stato centrale, finiscono nelle casse degli atenei statali. A quanto risulta a CampusPro si tratta dello schema di calcolo che gli uffici hanno predisposto in base al decreto 45/2009 del 23 settembre, attualmente alla registrazione della Corte di conti. In una sezione separata, figurano tutti gli atenei che sono rientrati nell'applicazione del fondo premiale del 7%, reso noto dal ministro Mariastella Gelmini alla fine di luglio. Quella quota di finanziamento ordinario, novità assoluta e rivendicata politicamente dal ministro, era ancorata appunto al merito, premiando le università che avevano migliori performance nella ricerca e nella didattica, secondo un mix di indicatori messo a punto da un pool di esperti. Oltre 500 milioni che, si disse, sarebbero andati agli atenei più virtuosi a scapito di quelli con prestazioni peggiori. Una tabella di percentuali resa nota dal Miur, che andava dal +10,69 % di Trento al -3,00% di Macerata, portò sugli altari alcune amministrazioni e gettò nello sconforto altre, ma pochi riuscirono a interpretare correttamente quei dati. Alcuni osservatori ritennero che la percentuale si dovesse calcolare tout court al Ffo del 2008 e sommarsi allo stesso, altri ancora determinarono' iT Tondo premiale in base ai molti indicatori resi noti, ritenendo che il risultato dovesse andare a far crescere lo stanziamento dell'anno precedente. In realtà, come fu indicato dal Miur, le percentuali di incremento e decremento erano da considerarsi sulla base del dato 2008, tenuto conto di molti altri fattori che il documento di CampusPro, e di cui ItaliaOggi anticipa solo i dati finali, riporta. Dal dato di partenza, quello dell'anno scorso, è stata infatti ricavata la «quota base» che risulta da un abbattimento del 13% e dalla decurtazione, ateneo per ateneo, del valore del turnover sul personale pensionato, stabilito dalla legge 133/2008 (voluta dal ministro dell'economia Giulio Tremonti). Quota base sulla quale si è calcolato fondo premiale. Nel calcolo definitivo, si sono poi aggiunte varie componenti di fondo ereditate dalle precedenti gestioni e ancora in piedi in forza di legge come i fondi per la mobilità dei docenti (decreto ministeriale n. 99 del 30/04/2008) o i 511 milioni di euro previsti dal cosiddetto Patto 2008-10 di Mussi e Padoa Schioppa (legge 244/2007). Quanto al 7% della discordia (CampusPro ospita interviste piuttosto polemiche ai rettori di Macerata e Parma, che contestano criteri e calcoli) si nota quanto, talvolta, sia stato poco incidente in rapporto al totale. Bologna, per esempio è premiata con 33 milioni ma, alla fine, sul 2008, ne guadagna solo cinque. Idem il Politecnico di Torino, che registra un fondo premiale per complessivi 14 milioni ma che vede crescere il Ffo di soli sei. Dei 10 milioni portati a casa dal rettore trentino Davide Bassi, alla fine della fiera, ne rimangono 6,5 netti. La mappa di chi perde Ffo è una sostanziale carta del Mezzogiorno italiano: Federico II farà a meno di 5 milioni, Bari di quasi 4, Messina di 5,47. Maglia nera Palermo che si vede decurtare 8 milioni. _____________________________________________________________ Il manifesto 8 nov. ’09 ALMA LAUREA: UN PAESE SENZA FUTURO SE RINUNCIA ALLA RICERCA INTERVISTA • Parla Andrea Cammelli, presidente di «Alma Laurea» Benedetto Vecchi n contadino può essere colpito da carestia, siccità e essere costretto a rinunciare a molte cose, ma non a seminare». Andrea Cammelli è alla guida di «Alma Laurea», il consorzio interuniversitario che in questi anni ha compiuto molte ricerche sullo stato di salute dell'università italiana a partire dagli sbocchi occupazionali dei laureati dopo l'introduzione della riforma Zecchino-Berlinguer e l'avvio del processo di Lisbona che doveva portare i paesi del vecchio continente a investire nella produzione di conoscenza e adeguare l'organizzazione sociale e produttiva europea alla competizione internazionale. Con pragmatismo, invita a guardare alla realtà universitaria del nostro paese come a una realtà che ha scelto la strada dell'innovazione e della modernizzazione. Allo stesso tempo, ribadisce che nessuna riforma, anche la più organica, la più ambiziosa, può essere compiuta senza adeguati investimenti. E se gli viene ricordato che i rapporti di «Alma Laurea» descrivono un paese che non sa che farsene della conoscenza scientifica, ribadisce che l'università e le imprese hanno smesso di essere delle torri d'avorio impermeabili a quanto accade nella società. E se gli atenei devono cambiare, deve trasformarsi anche la realtà produttiva del nostro paese, perché non è possibile «che una giovane laureata, con un master di specializzazione, uno stage in azienda e cinque anni di altra specializzazione in Giappone finisca a fare la receptionist in un piccolo albergo di Ostuni, mandando così al macero anni e anni di studio». I rapporti dl «Alma Laurean parlano dl una università in affanno e che non riesce a stare dietro a quanto accade negli altri paesi europei.... L'università italiana è una realtà più articolata rispetto a quanto emerge dalla sua domanda. Se lei si riferisce al numero di abbandoni universitari, concordo con chi sostiene che l'università italiana è in difficoltà nel garantire il completamento dei percorsi formativi, anche se dopo la riforma chiamata del 3+2 sono diminuiti. Se ci riferiamo alla qualità del sapere trasmesso o alla qualità della formazione universitaria posso ribadire quanto emerso dalle nostre ricerche. In primo luogo, dagli oltre 190mila curricula che abbiamo coinvolto nelle ricerche emerge che chi frequenta l'università italiana lo fa con più regolarità rispetto al passato e arriva alla laurea rispettando i tempi previsti. Inoltre, e questo è un dato per noi significativo, sono molti i giovani che frequentano stage di lavoro e tirocinii, considerando positive queste esperienze che preparano l’ingresso nel mercato del lavoro. C'è però un elemento critico che abbiamo riscontrato. Negli anni scorsi sono stati molti gli studenti che accedevano al programma di mobilità Erasmus, consentendo così di conoscere realtà molto diverse da quelle italiane. Si è trattato di una sprovincializzazione dei percorsi universitari italiani che però ha avuto una battuta di arresto nell'ultimo biennio. C'è un altro dato che vorrei ricordare: sono sempre più i giovani che si laureano, ma poi continuano gli studi, magari accedendo a altri corsi di laurea. È amore per la ricerca o difficoltà di entrare nel mercato dei lavoro? Come uAlma Laurea» abbiamo incrociato i dati tra il luogo di residenza dei giovani e il proseguimento degli studi. Abbiamo avuto la conferma che la maggioranza dei giovani che proseguono gli studi sono quelli residenti nel meridione, dove la dinamica del mercato del lavoro o è molto bassa o inesistente. Dico questo non per nascondere le difficoltà dell'università italiana, ma per sottolineare che il mercato del lavoro non garantisce un ingresso adeguato a chi ha conseguito una formazione universitaria. Lei é un pragmatico, ma non può però negare che dal 20041n poi è emerso II fatto, grazie alle mobilitazioni dei ricercatori precari, che l'università Italiana ora piena di ricercatori, assegnisti, docenti precari che, lo hanno sostenuto In molti, hanno evitato II suo collasso. Lo scorso anno, gli studenti dell'Onda hanno svelato il fatto che l'ulteriore riduzione del finanziamenti pubblici all'università li privava del presente e del futuro. Dunque una situazione che rosea proprio non è: non crede? Non nego questi elementi di seria difficoltà, né chiudo gli occhi di fronte al rischio che intere generazioni di laureati decidano di andare a fare ricerca all'estero. Se il mercato del lavoro non riesce ad assorbire adeguatamente un giovane con laurea specialistica, un master, esperienza di stage o con esperienze di ricerca all'estero è un dato che desta preoccupazione, così come preoccupa l'assenza di adeguate risorse economiche per la ricerca di base e applicata. Riuscirà la riforma presentata dal ministro Gelmini a 'risolvere questa situazione? Non sono abituato a immaginare il futuro guardando una sfera di cristallo. Dico semplicemente che un paese non può pensare di riformare radicalmente l'università senza investire su di essa. La proposta di riforma presentata nei giorni scorsi appare invece come una riforma a costo zero. Poco e nulla è stato infatti detto sui mezzi per attuarla. Se poi mettiamo a confronto i finanziamenti per la ricerca e all'università previsti dalla Germania con quelli francesi o tedeschi scopriamo che per ogni euro che viene investito in Italia, ce ne sono due a Parigi e quasi tre a Berlino. L'Italia, 8 noto, spende l0 0,78 per cento del prodotto interno lordo per l'università, percentuale quasi triplicata in Germania e raddoppiata in Francia. Ma se vediamo i dati assoluti, il divario è ancora maggiore, perché il pil francese o quello tedesco sono di gran lunga superiori a quello italiano. Rispetto al cosiddetto processo dl Lisbona, l'Italia ha fatto ben poco per adeguare II «sistema della formazione» a quanto deciso dall'Unione europea. Bruxelles o Strasburgo possono tranquillamente dirci che siamo rimasti al palo. Gli ultimi governi hanno sostenuto: che non c'erano I soldi perché i conti pubblici erano fuori controllo; che la crisi economica dell'ultimo anno e mezzo hanno quasi messo In ginocchio l'Italia. Le chiedo: ma che paese è quello che decide di non Investire nel futuro e che ritiene dl adeguarsi alle miserie del presente? Lei dice investire sul futuro: è quello che dovremmo fare, ma questa scelta è assente dal panorama politico. Non nego che la crisi abbia travolto come un ciclone il nostro paese, ma non possiamo non investire sull'università, che è una risorsa strategica per il nostro futuro. Ripeto: in Europa sono molti i paesi che puntano sull'Università. Inoltre, vale la pena ricordare che anche Barack Obama ha indicato nella scuola e nell'università una delle priorità della sua amministrazione. La situazione italiana va in direzione contraria. Posso dire che concordo con quanto ha detto il nostro presidente della Repubblica: che un paese che non investe nella ricerca e nell'università è destinato a svolgere un ruolo ancillare nella realtà internazionale. Cito un altro dato emerso dalle nostre ricerche: il numero dei laureati italiani è poco meno della metà degli altri paesi dell’Ocse. L'Italia eredita dal passato una realtà fatta da poca scolarizzazione di base e formazione superiore. Ma non possiamo andare avanti secondo la regola che si investe, poco, quando è un per`iodo di vacche grasse e si taglia drasticamente quando si è in difficoltà. Faccio II malizioso: lei descrive un governo che accetta l'impoverimento economico, sociale e culturale Guardi che non riguarda solo il presente, è una tendenza che ha radici lontane. Io registro solo il fatto che durante le campagne elettorali tutti dicono che vogliono modernizzare e investire nella ricerca e nell'università. Poi si chiudono le urne e torniamo a guardare sconsolati i grafici che attestano come in venti anni ci sia stata una contrazione del 42 per cento degli investimenti destinati all'università, alla ricerca, cioè alla speranza di rendere migliore il nostro paese. _________________________________________________________ Corriere della Sera 13 nov. ’09 FONDI ALLA RICERCA LEGATI AL MERITO UNA RISERVA DEL 7% Gelmini: chiamata diretta contro la fuga di cervelli Consigli snelli Maggiore autonomia finanziaria e veri e propri business plan per gli enti di ricerca. Un «tetto» ai vertici: da 3 a 5 consiglieri Il sì del Cnr Il decreto «si muove nella linea di razionalizzazione e semplificazione del sistema che condividiamo», dice il presidente del Cnr, Luciano Maiani ROMA - Dopo l' università, gli enti di ricerca. La Gelmini prescrive la sua terapia alle comunità scientifiche impegnate nell' ampliamento dei confini della conoscenza: fine delle nomine «politiche», autonomia e responsabilità. Vale a dire: enti che redigono i propri statuti, pianificazione triennale dell' attività, attraverso veri e propri business-plan, partecipazione al capitale di rischio, possibilità di chiamare «cervelli», organi di gestione più snelli. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo di riordino degli enti di ricerca. Il provvedimento, da subito operativo, discende da una legge delega del governo Prodi. «Grazie al decreto - ha affermato il ministro Mariastella Gelmini - riusciremo a snellire gli enti di ricerca, a renderli meno burocratici e più vicini alle esigenze del mondo produttivo». «Abbiamo messo mano anche all' organizzazione interna per garantire nomine quanto più possibile lontane da logiche politiche. E come già fatto per l' università distribuiremo risorse sulla base del merito, riservando già dal primo anno il 7 per cento dei fondi ai progetti speciali». Positivi i primi commenti delle comunità scientifiche. «Molti punti apprezzabili e qualche criticità», commenta il presidente del Cnr, Luciano Maiani. «Principi condivisibili» per il presidente dell' Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Roberto Petronzi. Per il presidente dell' Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Enzo Boschi, è giusto puntare sulla valutazione. L' opposizione sospende il giudizio. Ecco le principali novità del decreto. Come per l' università compare un numero, il 7, che segna in percentuale la quantità di risorse destinate agli enti da distribuire sulla base di criteri meritocratici. La quota, che servirà sin dal primo anno a finanziare progetti speciali, potrebbe aumentare in futuro. Gli enti potranno assumere per chiamata diretta ricercatori italiani o stranieri che abbiano conseguito risultati eccezionali. Le «chiamate» non potranno superare il 3 per cento del personale. Secondo il ministero questa è una «una risposta concreta alla fuga dei cervelli». In arrivo nuovi strumenti di finanziamento. Gli enti potranno promuovere fondi di investimento pubblici o privati per realizzare progetti di trasferimento tecnologico, raccogliendo capitali speculativi. Potranno inoltre realizzare società di applicazione industriale che partono da attività di ricerca anche in collaborazione con il sistema universitario. I piani e gli investimenti dovranno essere coerenti con il Programma Nazionale della Ricerca, che diventa quindi lo strumento guida. Gli enti saranno chiamati a andare avanti non giorno per giorno, ma concentrando le risorse su progetti strategici: la pianificazione diventa triennale, con veri e propri business-plan della ricerca che evidenziano costi, ricavi e risultati attesi. Gli organi di amministrazione e gestione saranno più snelli. Sono previsti cinque componenti per Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). Previsti tre componenti per gli altri enti. La selezione dei presidenti e dei componenti dei consigli di amministrazione avverrà attraverso una procedura pubblica, con candidature esaminate da un comitato di esperti di livello nazionale e internazionale. Giulio Benedetti _________________________________________________________ Corriere della Sera 14 nov. ’09 SPARISCONO ANCORA I FONDI PER LA RICERCA Bloccate le risorse finanziarie per i progetti triennali degli studiosi fino a 38 anni di età Saltano 80 milioni Nel 2008 spostati 30 milioni a favore degli autotrasportatori MILANO - Scomparsi. o meglio, finiti nel buco nero dell'infinito tira e molla tra le voci della Finanziaria. L'unica cosa che non cambia è il copione che vede i ricercatori italiani fare giocoforza la parte di quelli che vengono «mollati». Sempre. Anche questa volta sono loro gli 8o milioni (lo stipendio per 4.20o ragazzi da assumere) che erano stati promessi e che si sono volatilizzati al fotofinish. Unica magrissima consolazione: non si sa dove siano andati a finire, questa volta, mentre nel 2008 alla perdita dei fondi si era aggiunta la sconfitta morale di vedere i 30 milioni promessi andare alla categoria degli autotrasportatori che avevano usato come arma i loro Tir per bloccare le autostrade. Anzi erano bastate una decina di proteste con anche molte diserzioni per consigliare al governo di reindirizzare quei soldi. E sì che in quanto a suole consumate per protestare la macro-categoria di ricercatori- dottorandi-universitari non ha eguali. Praticamente non c'è ministro dell'Istruzione che sia riuscito a superare indenne la prova del dicastero; a parte - forse - Fabio Mussi che aveva avuto successo nell'aumentare l'assegno mensile, altra promessa storica per generazioni di «precari» della ricerca italiana. D'altra parte la vita dei ricercatori italiani sembra sempre più vicina al cammino inutile di Sisifo con la sua pietra verso la cima della montagna: l'ultima è quella dei partecipanti, solo pochi mesi fa, al bando istituito dal ministro Maria Stella Gelmini per i cervelli under 40, cioè i «giovani» in Italia. I destinatari erano i dottori di ricerca fino a 32 anni e i docenti o ricercatori già strutturati in università o enti di ricerca con massimo 38 anni. I progetti di durata triennale dovevano essere presentati entro i127 febbraio scorso. Peccato che si sia trattato dell'ennesima beffa. In pochi mesi erano arrivate 3.700 richieste dopo l'annuncio del bando da parte della Gelmini nel dicembre del 2008. Ma i 50 milioni di euro stanziati non hanno mai superato le rapide della burocrazia ministeriale e la maggior parte di quella cifra è rimasta congelata a causa della decorrenza dei termini per valutare i progetti. Ora sembra che solo il 5% di quella cifra potrà essere effettivamente utilizzata. Questa volta la rabbia dei ricercatori si è scatenata non solo negli atenei ma anche sui blog. Ma non è servito a granché. Anzi. Con il taglio di ieri le risorse per la ricerca sono scese per la prima volta sotto l'1% del Prodotto interno lordo italiano (Pil). Inutile ricordare che si tratta di una percentuale risibile rispetto a quella di molti altri Paesi europei. Insomma, il destino della ricerca non sembra roseo: ogni anno non si contano í convegni, gli incontri, i tavoli e gli annunci governativi sull'importanza della ricerca per lo sviluppo del Paese, sulla necessità di frenare la fuga dei cervelli, sulla cultura della meritocrazia che non ha albergo in Italia. E la cosa peggiore è che, come spiega Gustavo Piga, economista e professore ordinario di Economia politica all'Università di Tor Vergata, «non siamo di fronte solo a un problema di merito» (che pure basterebbe e dove la finanziaria attuale doveva aggiungere dei meccanismi perequativi). «Ma anche di massificazione dell'università in un momento in cui l'Europa e dunque anche l'Italia subisce sempre di più la pressione della super-Asia» che corre a due cifre anche con la crisi. «Negli anni Cinquanta e Sessanta - continua Piga - abbiamo alfabetizzato il Paese con l'insegnamento di base, ora dovremmo "alfabetizzare" l'università. Con la concorrenza della Cina e dell'India diventa importante anche la "massa critica" che l'università deve avere per essere competitiva visto che produciamo servizi intellettuali e non solo scarpe. Altri Paesi come gli Usa, la Francia e la Germania l'hanno capito. Questo taglio dimostra purtroppo che noi stiamo facendo fatica a capirlo». Massimo Sideri Ammontavano a circa 80 milioni di euro i fondi destinati all'assunzione a tempo indeterminato di 4.200 ricercatori universitari precari. Lo stanziamento è "scomparso" dalla legge Finanziaria approvata ieri in Senato «Un Paese che non investe nei giovani scienziati è un Paese che svende il proprio futuro. È uno scandalo che non deve passare sotto silenzio: per la prima volta i fondi per la ricerca scendono sotto I'1 % dei Pii—. Così Ignazio Marino, senatore Pd, chirurgo dei trapianti _________________________________________________________ L’Altro 14 nov. ’09 LA RICERCA NON ESISTE PIÙ Claudio Marotta C’è chi ci avrebbe scommesso da mesi, anzi da anni, ma avrebbe giocato una scommessa troppo facile. Il Senato nella seduta di ieri ha approvato con 149 voti favorevoli, 122 contrari e 3 astenuti la finanziaria e dà l’ennesimo colpo letale al mondo della ricerca. L'aula ha bocciato un emendamento bipartisan per l'assegnazione di ottanta milioni necessari per la stabilizzazione di circa 4.200 ricercatori universitari. E pensare che Gianfranco Fini poche ore prima aveva chiesto più fondi per l'università. A detta del presidente della Camera sarebbe infatti indispensabile investire in ricerca «perchè la fuga dei cervelli è il sintomo della decadenza del Paese». Questa la nota dolente della giornata. Inoltre non passano neanche gli emendamenti su Banca del Sud e detrazione Iva sui tartufi. Emendamenti ritenuti inammissibili per questioni formali e che verranno reinseriti nel documento che andrà alla Camera. La notizia è agghiacciante, ma ancor più preoccupante è la dinamica con cui è stato affossato l'emendamento. I fondi destinati all'assunzione dei precari erano stanziati nella finanziaria 2007, ma la somma era stata vincolata a una successiva approvazione. Gli 80 milioni stanziati allora facevano parte di un finanziamento più ampio che prevedeva tre tranche: 20 milioni per il primo anno, 40 per il secondo, 80 per il terzo. La terza quota era la più sostanziosa perché sarebbe servita all'assunzione di nuovi ricercatori e al pagamento dei precari assunti negli ultimi concorsi. L'emendamento presentato ieri dal presidente della commissione Cultura Possa del Pdl - e appoggiato da una schiera bipartisan di senatori - è stato declassato ad "ordine del giorno" facendo sì che tali fondi possano anche essere trasferiti da un dicastero ad un altro. Questo porrebbe due problemi agli atenei italiani: da una parte la mancanza di nuove assunzioni, dall'altra l'assenza di fondi per pagare i ricercatori di ruolo. «Questa decisione - spiega Rusconi del Pd- ha un solo significato: questo Paese non investe nella ricerca, e i fondi che per qualche ragione vi vengono destinati sono fonti di saccheggio di risorse anziché d'investimento». L'allarme cresce nel mondo dell'università. «Siamo di fronte alla ormai quasi certa perdita di fondi per le assunzioni dei ricercatori - denuncia il coordinatore dell'Osservatorio, Rino Falcone, del Cnr - fondi già stanziati che andranno in economia». Il segretario dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani Fernando D'Aniello è convinto che si tratta «dell'ennesimo gesto di indifferenza nei confronti di tutta l'Università», denunciando l'imbarazzante e scandaloso» silenzio del mondo dei rettori su questa vicenda. _________________________________________________________ Corriere della Sera 12 nov. ’09 RICETTE ELETTRONICHE, PAGELLE ONLINE E IMPEGNO DI FEDELTÀ Parte la riforma per tagliare la burocrazia Sanzioni per i dirigenti Previste sanzioni (non pecuniarie) ai dirigenti «per rendere più umana e meno molesta l' amministrazione pubblica», dice il ministro Brunetta Il giuramento voluto da Fini Abolito 15 anni fa è stato reintrodotto il giuramento di fedeltà alla Costituzione per i dipendenti pubblici, era stato auspicato dal presidente della Camera ROMA - Cartelle cliniche solo digitali, ricette mediche elettroniche, cambio di residenza per via telematica, carta d' identità a 10 anni, pagelle scolastiche online e università digitale. A questo si aggiunge l' obbligo del giuramento di fedeltà alla Repubblica e di leale osservanza della Costituzione e delle leggi, pena il licenziamento, per tutti i dipendenti pubblici assunti. E ancora: una delega al governo per la Carta dei doveri che dovrà rendere «mai più molesta e vessatoria» la pubblica amministrazione, nella quale dovranno prevalere, «cortesia, gentilezza e linguaggio comprensibile per i cittadini». Sono molte le novità contenute nel ddl approvato ieri dal Consiglio dei ministri e collegato alla Finanziaria 2010-2013. «In fondo, se volete, è acqua fresca - dice il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta - ma dalla parte dei cittadini. Molte disposizioni erano già contenute nelle leggi Bassanini ma non avevano esigibilità perché il cattivo funzionamento della macchina amministrativa verso il cittadino non era sanzionata. Adesso si prevederanno sanzioni per rendere più umana e meno molesta l' amministrazione pubblica». Le sanzioni, che comunque non saranno pecuniarie, si rivolgeranno soprattutto ai dirigenti di quegli uffici che avranno avuto un comportamento vessatorio o inadempiente verso i cittadini. I principi a cui dovrà attenersi il governo nell' emanazione della Carta dei doveri sono trasparenza, tempi ragionevoli di adozione dei provvedimenti, cortesia e disponibilità, chiarezza e semplicità del linguaggio, accesso ai servizi, documentazione amministrativa. Continua Brunetta: «Quella di oggi (ieri, ndr) è una buona giornata per rendere più vicina ai cittadini l' amministrazione pubblica. Facciamo un esempio: le leggi Bassanini già prevedevano che un ufficio non può chiedere un documento che è già in suo possesso. Però, di fatto, ora accade che se lo richiede il cittadino non può fare altro che presentarlo. L' introduzione delle sanzioni ribalterà la situazione». Un altro esempio, è il cambio di residenza. «Chi non ha dovuto farlo almeno una volta nella vita? Adesso - spiega il ministro - sarà possibile farlo senza andare al Comune ma da casa con il proprio computer». Il tutto «non per scassare la Pubblica amministrazione ma per avvicinarla al cittadino». C' è anche altro nel ddl: per esempio, la telematizzazione delle attività delle aziende e la semplificazione nel conferimento dei poteri di rappresentanza degli imprenditori. La digitalizzazione delle cartelle cliniche e le ricette mediche elettroniche. La digitalizzazione del processo civile e penale, la telematizzazione delle pagelle scolastiche e di molte pratiche universitarie, con un risparmio in termini di carta che, a regime, è quantificato sui 30 milioni di euro all' anno. Un' importante novità, auspicata dal presidente della Camera Gianfranco Fini, è la reintroduzione del giuramento per i dipendenti pubblici. Era stato abolito 15 anni fa e adesso ritorna per «il grande significato simbolico che ha - sottolinea il ministro -. Nessuno se ne deve avere a male perché giurare sulla Costituzione è un impegno che qualifica l' azione dei dipendenti pubblici». Il ddl verrà inviato subito alla Conferenza unificata Stato-regioni, per il parere, e poi alle commissioni parlamentari per l' approvazione definitiva della delega. Mariolina Iossa Iossa Mariolina ___________________________________________________________________ il Giornale 10 nov. ’09 GUARINI ELARGIVA STIPENDI D'ORO ORA L'EX RETTORE DEVE 104MILA EURO ALLO STATO L'ex rettore della Sapienza Renato Guarini è stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire all'erario la somma di centomila euro (più interessi e rivalutazione monetaria) e spese legali (317,72 euro). Si tratta di una cifra che, secondo i giudici della contabili della Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, quantifica il danno arrecato alle casse pubbliche dallo stipendio riconosciuto al direttore generale del Policlinico Umberto3Ubaldo Montaguti, che superava di gran lunga il tetto stabilito dalla legge. In realtà Guarini aveva segnalato l'anomalia al presidente della Regione Marrazzo, chiarendo che il contratto quinquennale prevedeva uno stipendio di 240mila euro l'anno più il20 per cento di indennità al raggiungimento del risultato (il tetto massimo era di l 54mila euro). Marrazzo ridusse leggermente lo stipendio (207mila) ma aumentò le indennità al 30 per cento. _________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’09 GELATI E AZOTO LIQUIDO: COSÌ LA SCIENZA È SBARCATA ALL'EXMÀ Alla fine c'è scappato perfino il gelato. All'interno di una delle tante attività nelle quali si articola il Festival della Scienza di Cagliari, alcuni tra i partecipanti hanno potuto mettere in pratica ciò che hanno appreso sulle caratteristiche dell'azoto liquido, sperimentando in maniera gradevole per il palato una delle ricadute della scienza sulla vita quotidiana, in questo caso nel campo della gastronomia. La II edizione del festival volge al termine, ma prima ancora della fine registra un successo di pubblico decisamente incoraggiante. Circa un migliaio di studenti al giorno hanno affollato finora le diverse iniziative: conferenze, mostre e laboratori, letture e animazioni, spettacoli teatrali e caffè scientifici. Studenti di ogni fascia d'età, dall'asilo all'università, con ospiti provenienti da Sassari e dalla penisola italiana. Ma non solo loro, anche cittadini di tutte le età e madri di famiglia sono stati attratti dalle offerte culturali del festival organizzato dal comitato presieduto da Carla Romagnino. (Sul sito del quale (http://www.scienzasocietascienza.eu) è possibile trovare una gran quantità di informazioni). Tra gli intervenuti non sono mancati i nomi di prestigio, come nel caso dei fisici e divulgatori scientifici Enrico Bellone e Carlo Bernardini, o dell'etologo Danilo Mainardi, noto da anni al pubblico televisivo per le sue trasmissioni divulgative, che ha presentato il suo ultimo libro L'intelligenza degli animali . Galileo Galilei e Charles Darwin, in occasione rispettivamente del quarto centenario delle teorie galileiane e del secondo centenario della nascita (e 150esimo della pubblicazione de L'origine delle specie ) sono stati protagonisti di vari eventi a loro dedicati, tra conferenze, pièce teatrali e osservazioni astronomiche. Michele Camerota dell'università di Cagliari ha parlato del Sidereus Nuncius, che è stato anche l'oggetto di uno spettacolo teatrale curato da alcuni studenti del liceo scientifico Pacinotti di Cagliari. A partire dagli studi di Darwin, Brunetto Chiarelli dell'università di Firenze e Fiorenzo Facchini dell'università di Bologna, hanno parlato rispettivamente di bioetica e del dibattito tra evoluzionismo e creazionismo. Particolarmente interessante infine l'intervento dell'astrofisico Andrea Possenti, ricercatore dell'Istituto Nazionale di Astrofisica presso l'Osservatorio Astronomico di Cagliari, scopritore con Marta Burgay e Nichi D'Amico della prima stella pulsar doppia. Attraverso il supporto di immagini suggestive ha descritto il contributo della radioastronomia allo sviluppo dell'astrofisica, ricordando come il progetto del Sardinia Radio Telescope di Pranu Sanguini, presso San Basilio, dovrebbe essere operativo a partire dall'autunno 2010. In conclusione, da segnalare l'appendice finale del festival, che vedrà nelle prossime tre domeniche di novembre il Bio-ethic Cafè al caffè dell'Exmà, con gli studenti del Master in Comunicazione della Scienza dell'università di Cagliari (domattina alle 10.30), il Rodeo di scrittura e scienza al VIP caffé, con Robert Ghattas, matematico e divulgatore scientifico (il 22 alle 10.30), e Tutto quello che avreste voluto sapere del DNA, sempre al VIP caffé, con Enza Colonna dell'Università di Ferrara (il 29 alle 10.30). IGNAZIO SANNA ======================================================= _________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’09 I CONTI DELLA SANITÀ SARDA SONO SEMPRE PIÙ IN ROSSO Un disavanzo di 137 milioni nel 2007, il rischio di una crescita sino a 200 milioni nel 2008 (dati ancora sotto la lente della Ragioneria della Regione). I conti della sanità sarda sono sempre più in rosso e i Riformatori scrivono una lettera al governatore Ugo Cappellacci (nonché a tutte le massime autorità regionali): si chiedono certezze «urgenti» sulla loro proposta di legge presentata a luglio: «Riteniamo indispensabile che la commissione Sanità riceva quanto prima l'input politico e inizi l'esame del testo». LETTERA A CAPPELLACCI Il provvedimento mira a riorganizzare il sistema delle aziende sanitarie, con la divisione tra l'assistenza ospedaliera (e quella territoriale) e l'attività più puramente amministrativa, «quella che ora impegna oltremisura» i manager delle Asl. I Riformatori analizzano il sistema sanitario, imputando alla «precedente gestione di centrosinistra» una «performance davvero negativa», che sarebbe «ben lontana dal virtuoso pareggio di bilancio che tanto era stato sbandierato dall'assessore Dirindin». SITUAZIONE DIFFICILE Anche il 2009 però non sembra poter garantire grossi cambi di scenario, ammette Pierpaolo Vargiu, capogruppo in Consiglio regionale, «sia perché c'è stata a lungo la discrepanza tra i vecchi manager nominati dal centrosinistra e l'attuale amministrazione politica di viale Trento, sia per i problemi strutturali che non potranno garantire inversioni di tendenza sulla spesa sanitaria». Da qui lo «stato di emergenza», perché «in gioco c'è la posta più importante - il quaranta per cento - della spesa regionale». La sanità «rappresenta l'azienda che assicura più posti di lavoro in Sardegna». L'AUTONOMIA DELLA SPESA Il collega Franco Meloni torna alla riforma Soru sull'autonomia finanziaria della sanità della Regione: «Se anche ci sono stati aspetti positivi, tra quelli negativi c'è di sicuro la crescita esponenziale della spesa». Quest'anno «si sfioreranno i tre miliardi e, se si andasse avanti con lo stesso trend, entro dieci anni si arriverà ai quattro miliardi». Ma dall'anno prossimo «l'autonomia finanziaria della Regione sarà pienamente operativa, con tutti i rischi che potranno comportare costi tanto elevati della spesa sanitaria». Pietrino Fois, a sua volta, calca l'accento, sugli «scenari di non ritorno», perché l'ultima riforma nazionale «impone un rapporto delle Regioni, non più con il ministero della Sanità, ma con quello del Tesoro. Quindi si faranno soltanto ragionamenti di tipo economico, mica quelli dell'assistenza sanitaria». LA LEGGE DI RIFORMA A luglio i Riformatori avevano già presentato la proposta di legge per riorganizzare la sanità sarda: «Nella legge 3 sulla nomina dei nuovi manager», spiega Vargiu, «è stato inserito un articolo sulla necessità di mettere in cantiere la riforma. Un'indicazione in nuce », quindi allo stato embrionale, «mentre adesso è fondamentale passare a una fase più analitica». La lettera inviata al governatore va in questa direzione: «Col passaggio in commissione dobbiamo entrare nei dettagli della riforma», continua Vargiu, «aprendo un dialogo con gli operatori sanitari, con i sindacati e puntando anche sul confronto con l'opposizione». I Riformatori invocano la divisione tra l'attività sanitaria e quella strettamente amministrativa: «Non è possibile che i direttori regionali si debbano occupare continuamente di appalti, di concorsi, di burocrazia, di giustizia del lavoro», fa notare Franco Meloni, già manager del Brotzu. «Si perdono troppe energie e risorse in passaggi inutili». L'idea è quella di creare aziende sanitarie più mirate sul territorio, con l'isolamento degli ospedali più grossi, sovrapponendo «una o più aree vaste» che si occupino della gestione amministrativa. «O si cambia in fretta o si rischia di sprofondare», avverte Vargiu. «Persone e ruoli non bastano. Puoi avere Schumacher, ma se gli fai guidare una Cinquecento, non c'è alcuna possibilità che vada lontano». G. Z. L'allarme in una lettera al governatore: «Serve subito la nuova legge». Nel progetto la divisione tra ospedali (e Asl) e area amministrativa ___________________________________________________________ Corriere della Sera 11 nov. ’09 E A SORPRESA LA SPESA SOCIALE SCENDE VALE SOLO IL 77% DELLA MEDIA UE IL RAPPORTO PIZZUTI: CON LA CRISI RILANCIARE ANCHE IN ITALIA IL WELFARE PUBBLICO ROMA - Un punto di vista alternativo a quello dominante, almeno prima della crisi. È contenuto nel Rapporto sullo Stato sociale, curato come ogni anno da Felice Roberto Pizzuti, ordinario di Politica economica all' Università la Sapienza, e presentato ieri in tavola rotonda con dirigenti del sindacato e della Confindustria. La crisi, si dice nel rapporto, non è solo di origine finanziaria, ma affonda le radici negli squilibri degli assetti economici mondiali. Il paradosso, secondo Pizzuti e i suoi collaboratori, è che mentre in altri Paesi, a partire dagli Stati Uniti, si sta riscoprendo il ruolo dell' intervento pubblico, in Italia si va avanti come se nulla fosse successo, secondo gli schemi di lettura neoliberisti. Si spiega così, secondo il Rapporto, la mancanza di riforme, da quella degli ammortizzatori sociali a quella dell' intervento per il Sud, che richiederebbero ingenti risorse pubbliche. E così mentre «gli italiani che considerano il loro reddito non adeguato (...) sono aumentati dal 35-40% del 1990 al 70% dell' ultimo quinquennio» ancora si insiste su luoghi comuni che Pizzuti intende smontare. A partire da quello di un peso eccessivo della spesa previdenziale. Innanzitutto, la spesa sociale in Italia è più bassa della media Ue: quella pro capite è in costante calo, passando dall' 84,2% del 2000 al 77,3%. All' interno di questa poi non è vero che la spesa pensionistica sarebbe superiore alla media europea. Depurandola dal Tfr, dai prepensionamenti e dalle imposte, che lo stesso Eurostat riconosce come voci non omogenee, essa «risulta inferiore a quella media dell' Europa a 15». Un' affermazione che non convince però il responsabile del centro studi della Confindustria, Luca Paolazzi. Considerando che si va verso un progressivo invecchiamento della popolazione è irrealistico dunque, secondo i curatori del Rapporto, immaginare una ritirata del pubblico, in particolare su pensioni e sanità. Invece, nel Libro Bianco del ministro del Welfare, attacca Pizzuti, si prefigura proprio questo, assegnando un ruolo «fondamentale» - è scritto nel libro - non solo alla famiglia, ma anche al «volontariato», all' «associazionismo», alle «parrocchie». Una critica condivisa dal leader della Cgil, Guglielmo Epifani, che poi ha confermato la manifestazione nazionale indetta dal suo sindacato per sabato a Roma: «Su crisi e lavoro esigiamo una risposta dal governo». Enrico Marro ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 nov. ’09 REGIONI IN ORDINE SPARSO SULLA SPESA PER LA SANITÀ MILANO Il sistema sanitario italiano resta pieno di contraddizioni. La spesa farmaceutica convenzionata, ad esempio è scesa dai 204 euro pro capite del 2001 ai 188,5 dello scorso anno. Il tutto mentre l'export italiano di medicinali è passato dal 10% del 1991 all'attuale 53% e le aziende del made in Italy hanno ricominciato a fare shopping sui mercati esteri. Al contrario, il totale delle spese correnti per la sanità è cresciuto dai 1.310 euro a testa del 2001 ai 1.824 del 2008. Ancora una volta il problema è quello dell'efficienza e dell'efficacia degli interventi, tenendo presente che non si può pensare di dotare una piccola regione di uno schieramento sanitario come può avere, ma è solo un esempio, un'area metropolitana che magari ha più abitanti dell'intera Finlandia. Questi argomenti sono stati discussi nei giorni scorsi a Cernobbio in un seminario organizzato da The European House Ambrosetti dove è stata presentata una ricerca ad hoc che mette in evidenza i tanti dualismi dell'Italia. Il messaggio emerso dall'incontro è chiaro: alla sanità serve un cambiamento radicale per mettere in pratica il federalismo fiscale. E questo perché c'è l'assoluta necessità, nel Paese che ha la popolazione più anziana d'Europa, di rendere sostenibile il sistema sanitario a fronte di una domanda di salute in costante aumento. L'incontro è stato anche l'occasione per denunciare le troppe disparità esistenti - sia in termini di costo sia di qualità del servizio - nell'accesso alle terapie e ai programmi di prevenzione. Una sanità a macchia di leopardo, quindi, quella italiana - secondo i risultati dell'indagine - dove convivono poli di eccellenza a fianco di sacche della cosiddetta "malasanità". Preoccupa inoltre la grande disparità tuttora esistente tra le varie regioni italiane in termini di prevenzione delle patologie, accesso alle terapie innovative, gestione e controllo della spesa ospedaliera. ________________________________________________________ Avvenire 13 nov. ’09 CAGLIARI: L’OSPEDALE DIVENTA CENTRO SPERIMENTALE Sperimentare nuove molecole nella speranza che diventino farmaci, offrendo la possibilità a gruppi di ricercatori c piccale irn1xese di sviluppare i lo loto brevetti, ed effettuare test clinici su volontari sani e su pazienti oncologici. Sono le attività di Pasel, la società totalmente partecipata dalla Regione Sardegna, di cui ieri è stata inaugurata l'Unità di ricerca clinica che ha sede in 300 metri quadri presso l'ospedale Brotzu di Cagliari, alla presenza delle autorità regionali e del presidente dell'Istituto superiore di sanità, Enrica C,araci, del direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco Guido Rasi, del presidente di Farmindustria Sergio Dompè e di quello di Assobiotec, Roberto Gradnik. «II nostro scopo - spiega Giovanni Biggio, presidente del comitato scientifica di Fase l nonché della Società italiana di Neuro psicofarmacolologia - è quello di attrarre l'interesse delle multinazionali a fare sperimentazione clinica di fase T (la verifica di tossicità) in Sardegna, un’attività poca sviluppata in Italia. La società è nata meno di due anni fa per volontà della giunta Soru e altrettanto sostenuta ora da quella Cappellacci». Un altro obiettivo, che la rende pressoché unica in un centro pubblico, è lo stanziamento di fondi regionali per sviluppare molecole nei test pre clinici per arrivare alla sperimentazione clinica di fase 1: «C'è un comitato scientifico che valuta le molecole che vengono proposte - aggiunge Biggio - e stabilisce quelle meritevoli di ulteriori studi: ara sono 5 i prodotti presi in esame». Il «ritorno» per Pasel, ha spiegata l'amministratore Francesco Marcheschi. consiste nel«ricevere royalties dal futuro utilizzo del farmaco, che possono scendere in proporzione all'impegno delle aziende a portare opportunità produttive in Sardegna. Fino a oggi lo sviluppo di Fasci, che è parte dei parco tecnologico regionale Solaris di Pula è costato alla Regione 7 milioni di euro; è già previsto un ulteriore stanziamento di 4,3 milioni per il 2010». E da gennaio prenderà il via la sperimentazione di una molecola di Novartis. «Obiettivo - aggiunge Biggia - è reinvestire eventuali introiti nella ricerca, costituendo quindi un volano di sviluppo». Enrico Garaci ha parlato di «evento epocale: si tratta di una sorta di venture capirai pubblica, che finanzia progetti di valore industriale. In Italia i brevetti ci sono ma restano nei cassetti. Si tratta di avviare anche da noi quella sinergia tra finanza, accademia e industria, che in altri Paesi è ben sviluppata». Sergio Dompè ha ricordato che tra il2000 e il2008 c'è stata una crescita continua di sperimentazioni cliniche nel nostra Paese: «Quella di fase 1, la più importante, è passata dall0 0,9 al 5,4%m>. A dirigere l'Unità di ricerca clinica (analoghi reparti sano a Verona, Pisa, Chieti e Catania) è Giampaolo Pilleri, già primario di Medicina interna al Brotzu. Finora sono stati arruolati un'ottantina di volontari sani. ______________________________________________________________ Il Sardegna 13 nov. ’09 LA SPISA RINGRAZIA SORU «UNA FELICE INTUIZIONE» Le reazioni. Liori: massima attenzione al progetto Puntiamo molto sulla ricerca e Fase 1 rappresenta la tessera di un mosaico, ancora da completare, al quale teniamo particolarmente. Abbiamo un sistema politico stabile che vuole garantire a tutti la possibilità di poter crescere e sviluppare le proprie potenzialità». Lo ha sottolineato l'assessore regionale alla Programmazione Giorgio La Spisa durante il suo intervento nel corso del convegno di presentazione delle attività di Fase 1. La Spisa, intervenendo a nome del presidente della Regione Ugo Cappellacci -fuori sede per impegni istituzionali – ha ringraziato l'ex presidente della Regione, Renato Soru, per la felice intuizione sullo sviluppo della ricerca clinica. «Abbiamo intenzione di continuare su questa strada potenziando la sperimentazione e la ricerca e già nella finanziaria 2010 è stato incrementato il fondo unico per l'università, passando da 12 a 18 milioni di coro e aumentati quelli perla ricerca che passano da 25 a 35. Dopo l'accordo di programma quadro tra la Regione e il Cnr, tra qualche settimana verrà firmata un a nuova intesa con il tero dell'istruzione e l'Università e della Ricerca per mettere a frutto importanti livelli di sviluppo. Nel contempo proseguono i rapporti con altre regioni italiane ed europee per una rete di scambi progettuali che possa far crescere ancora di più l'attuale livello qualitativo della comunità scientifica sarda». Anche l'assessore alla Sanità Antonello Liori ha assicurato massima attenzione per l'iniziativa. «Fin dal mio insediamento ho impostato la mia attività su alcune linee guida. Tra le più importanti, la riduzione delle liste d'attesa con uno stanziamento dil0 milioni di euro». _________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’09 «MA NON CHIAMATELE CAVIE UMANE» Farmaci: ecco chi sono i volontari per la sperimentazione Sani, giovani, istruiti e bene informati. Ecco chi sono i volontari di “Fase1”. L a maggior parte ha fra i 35 e 40 anni, nessuno ne ha più di 60, i più giovani sono sui 20. Sono uomini e donne, i primi un po' più numerosi delle seconde. Tutti sardi. Il livello di istruzione è medio-alto, molti sono studenti, la gran parte lavora e tutti, assicura Francesco Marcheschi, presidente del parco tecnologico regionale Polaris e amministratore unico della società “Fase1”, sono perfettamente consapevoli di ciò che stanno facendo e dei rischi in ballo: «Tanto che hanno firmato un modulo di consenso informato in cui tutto è specificato con la massima chiarezza». Sono i volontari sani inseriti nel data base da cui saranno scelte le persone su cui, nel nuovo reparto all'undicesimo piano del Brotzu, saranno sperimentate le molecole che multinazionali o piccoli gruppi di ricerca sperano di trasformare in farmaci. Sono 79. E sono i prescelti. Ma i sardi che hanno contattato “Fase1” dopo la prima campagna promozionale sono stati molti di più. LA SELEZIONE «Il primo colloquio avviene sempre per telefono», spiega Raffaella Origa. È lei a gestire la selezione degli aspiranti volontari nell'ambito dell'équipe coordinata da Gianfranco Pilleri. Pediatra di formazione, è stata per 13 anni nell'équipe del neurofarmacologo Antonio Cao al Microcitemico: ha lavorato sulla talassemia e si è occupata di sperimentazioni cliniche di farmaci. «Il telefono - dice - ci permette, nel totale rispetto della privacy, di fare una prima scrematura. Innanzitutto spieghiamo che cosa è “Fase1” e che cerchiamo soggetti disponibili, in futuro, a partecipare a un progetto di ricerca» - “partecipare” nel senso che, da sani, verranno ricoverati per un numero di giorni variabile al Brotzu, dove (con la garanzia di un controllo medico continuo) gli verrà somministrata una certa sostanza per valutarne gli effetti collaterali - «poi li avvisiamo che non saranno ammessi soggetti che assumono stabilmente un farmaco, che soffrano di malattie all'apparato respiratorio e così via». I SOLDI I candidati domandano, ovviamente, del rimborso: «Ma spesso siamo noi ad affrontare l'argomento», afferma Raffaella Origa. «E senza vergogna. È una cosa normale, stabilita da un comitato etico. Ed è frutto di pregiudizi e ipocrisia parlare di cavie umane: sono persone interessate alla ricerca, non solo al ritorno economico. I farmaci servono. Sperimentarli è necessario: o lo facciamo noi, con tutte le garanzie etiche, o lo si fa, chissà come, nel Terzo Mondo. Sarebbe giusto?» LE VISITE Se il colloquio telefonico va bene, si fissa un incontro al Brotzu per la firma del modulo sul consenso informato e la valutazione di idoneità psicofisica: «È una serie piuttosto impegnativa di esami che si protrae dalla mattina presto al pomeriggio: visita medica, esami del sangue, delle urine (nelle quali si cercano tracce di droghe), dell'aria espirata (tracce d'alcol), lastra toracica, ecografia all'addome, elettrocardiogramma». Finito? No. «Si fa anche un test della personalità. Uno psicologo valuta, per esempio, se il soggetto abbia avuto problemi d'ansia, incompatibili con lo stress di stare chiusi per giorni in reparto o se sia ipocondriaco e quindi poco attendibile nel riferire i sintomi». LIBERI DI SCEGLIERE Chi non passa l'esame viene invitato a fare gli esami del caso o affrontare con il proprio medico il problema emerso. Gli altri finiscono nel data base: «E potranno essere chiamati per la sperimentazione, restando liberi, di volta in volta, di accettare o rifiutare». E se rifiutano? «Non succede nulla». Del resto, non tutte le sperimentazioni hanno lo stesso livello di rischio. E a seconda della durata e dell'invasività di una sperimentazione, cambia anche il rimborso: «Un conto è subire due prelievi di sangue. Un altro è subirne venti». MARCO NOCE ___________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 nov. ’09 FUSIONE TRA BROTZU E MICROCITEMICO Una delibera della Giunta stabilisce l'accorpamento. I sindacati: «L'importante è non impoverire i due ospedali» Nasce un grande polo: tutta la pediatria in via Jenner Il matrimonio tra Brotzu e Microcitemico si avvicina a grandi passi. Con la fusione si intende realizzare una razionalizzazione dei servizi sanitari, ma i sindacati non nascondono qualche perplessità. Il progetto di fusione è contenuto in una legge approvata ad agosto 2009 (la numero 3) che «ottimizza e razionalizza» il sistema sanitario regionale. Ed è una delle ragioni per cui il 15 settembre scorso sono stati nominati i commissari delle Asl: Brotzu e Microcitemico faranno parte di un'unica azienda ospedaliera. Un'entità da 650 posti letto, 40 mila ricoveri, 200 mila pazienti trattati in ambulatorio, circa 2115 dipendenti. I reparti di cardiologia pediatrica, la pediatria, il centro per l'autismo saranno trasferiti dal Brotzu al Microcitemico che rafforzerà così il suo ruolo di centro di eccellenza in campo pediatrico. Il Brotzu, grazie a un piano di investimenti da trenta milioni e a nuove assunzioni di medici e infermieri, riprenderà il suo ruolo di ospedale di alta specializzazione e punterà su trapianti, chirurgie ed emergenze. Il progetto è nelle mani dei commissari della Asl 8, Emilio Simeone, e del Brotzu, Tonino Garau e l'assessorato regionale alla Sanità vigila perché sia pronto, come stabilito, entro il 2009. I sindacati regionali aspettano «senza pregiudizi», quelli aziendali sono preoccupati: al Microcitemico, in particolare, temono il cambio di mansione e di ritmi di lavoro degli infermieri (al Brotzu sono molto più intensi), un assorbimento di fondi verso l'ospedale più grande e la penalizzazione dei medici del più piccolo rispetto ai nuovi colleghi. Preoccupazione, quest'ultima, condivisa dal personale del Brotzu. L'ASSESSOREAntonello Liori, assessore regionale alla Sanità, tranquillizza tutti. «Vogliamo accorpare tutto il settore materno infantile e realizzare un polo integrato di ostetricia e ginecologia e pediatria di grandissimo livello scientifico e assistenziale, che comprenderà in prospettiva la chirurgia pediatrica e la rianimazione pediatrica, che in Sardegna non esiste. Il Microcitemico sarà arricchito, non impoverito, il Brotzu godrà dell'attenzione che merita e sarà ancora di più l'ospedale delle emergenze, dei trapianti, delle chirurgie complesse. In ogni caso», sottolinea Liori, «le nostre proposte saranno discusse con sindacati ed associazioni dei malati e non si dimentichi che saranno contenute in un disegno di legge che passerà al vaglio del Consiglio regionale». LE INDAGINI Al momento all'interno dei due ospedali sono in corso verifiche di tipo patrimoniale, amministrativo e sanitario. «Dobbiamo valutare gli immobili, il valore delle apparecchiature, i contratti e lo stiamo facendo con un gruppo di lavoro interno che dovrà consentirci di presentare il progetto di fusione entro l'anno», spiega Simeone. IL NODO-RICERCA Uno dei problemi più spinosi, accanto a quello della mobilità del personale, è legato alla ricerca. Il Microcitemico è una struttura gestita da Asl e università. «Ci auguriamo che l'azienda mista, che li gestisce, si porti via i settori che si occupano di ricerca perché ha senso che noi garantiamo solo servizi. Non voglio cacciare nessuno, sia chiaro, e so che ci sono problemi di locali che oggi a Monserrato non ci sono. Ma non ha senso che un'azienda sanitaria gestisca la ricerca e la politica deve aiutarci a risolvere questo problema», spiega Tonino Garau. TRENTA MILIONI Altri due il commissario dell'azienda ospedaliera San Michele sta per risolverli: quelli degli investimenti e del personale del Brotzu. «Questo ospedale è stato abbandonato per anni: non ha ricevuto fondi né personale e se ha potuto garantire l'eccellenza per cui è nato è stato grazie alla straordinaria abnegazione, allo spirito di sacrificio e ai salti mortali del personale». Il centrodestra, che nella scorsa legislatura ha condotto battaglie feroci, conosce bene le esigenze ed è per questo che - ricorda Garau - «è pronto un investimento da 30 milioni di euro per rifare sale operatorie in vari reparti, per acquistare una Tac a 128 strati, per comprare strumenti per la cardiochirurgia e per fare lavori importanti sull'impiantistica. Presto consegnerò il progetto all'assessorato alla Sanità». In preparazione anche la nuova pianta organica. «Tutti i primari stanno rappresentando le criticità dei reparti che saranno contenute in un progetto di cui, ci auguriamo, la commissione sanità e il Consiglio terranno nel dovuto conto». PERSONALE Garau e Simeone conoscono i disagi e le preoccupazioni del personale dei due ospedali. Il primo taglia corto: «Non è mio interesse creare problemi, ma è chiaro che siccome il Microcitemico ha pochi posti letto ed il Brotzu molti, gli infermieri del Microcitemico che verranno da noi dovranno lavorare con i nostri carichi di lavoro, cioè di più. E non sarebbe nemmeno giusto che solo il nostro personale, che in questi anni ha dato l'anima, continuasse a saltare ferie e riposi e altri lavorassero meno». ASL 8 Simeone sminuisce i problemi: «Ieri ho avuti un incontro con i primari del Microcitemico. Ho ascoltato quali sono le loro preoccupazioni e spiegato che non hanno di che preoccuparsi». I SINDACATI Giovanni Pinna, numero uno regionale della Cgil-Sanità, plaude alla fine di quello che definisce «lo spezzatino della pediatria» e premette di guardare «senza nessun pregiudizio» a razionalizzazioni e accorpamenti. Ma chiarisce: «L'importante è che non si creino nuove sovrastrutture: non vorrei», spiega meglio, «che tanto impegno per migliorare i servizi e spendere meno fosse reso vano dalla creazione di nuove e costose sovrastrutture, come l'aumento dei direttori generali, sanitari e amministrativi». Gianni Sainas, della Cisl, pone soprattutto problemi di mobilità del personale e fa un esempio: «Io faccio neonatale da 20 anni, se dovessero spostarmi al Brotzu a fare chirurgia generale perderei la competenza maturata». Mario Sollai (Uil) è più sereno. «Noi la riforma la vediamo bene, anche se per ora non abbiamo sufficienti elementi per giudicare compiutamente l'operazione. Ma vediamo che si sta ragionando in termini di potenziamento dell'alta specializzazione. In questo senso è un'ottima idea aggiungere al Brotzu anche il percorso bambino del Microcitemico e fare entrare nella logica il centro trapianti midollo osseo. L'importante è non impoverire nessun ospedale. Liori dice che vuole razionalizzare non depotenziare e siamo d'accordo, se sarà davvero così». ONCOLOGICO Probabilmente in una seconda fare il matrimonio sarà allargato anche all'Oncologico. «Non c'è ancora una decisione in merito, è una delle ipotesi», spiega l'assessore. «Ma anche questo ha una sua logica: un paziente oncologico dimesso dal Businco se ha un urgenza va al pronto soccorso del Brotzu. Lì deve ripetere le analisi e parlare con nuovi medici. Vogliamo semplificare questo iter per avere una continuità terapeutica. Inoltre tra Brotzu e Businco si creerebbe un polo radiologico tra i più grandi d'Italia». FABIO MANCA _________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’09 I TALASSEMICI: NO ALLA FUSIONE COL BROTZU La fusione tra Brotzu e Microcitemico è un progetto «del tutto incompatibile rispetto al principale ruolo dell'ospedale Microcitemico di erogare assistenza ai soggetti talassemici, ai pazienti oncoematologici, agli emofilici, alle persone affette dalle malattie rare e rispetto alle attività di screening sulla talassemia, di diagnosi prenatale e del pre-concepimento e di ricerca e cura delle malattie genetiche e metaboliche». Lo sostiene Giorgio Vargiu, presidente regionale dell'Associazione sarda per la lotta alla talassemia, in una nota di commento alla decisione, contenuta nella legge regionale 3/2009 e ribadita in una delibera di giunta del 15 settembre scorso, di accorpare i due ospedali in un'unica azienda ospedaliera da 650 posti letto, 40 mila ricoveri, 200 mila pazienti trattati in ambulatorio, circa 2115 dipendenti. Vargiu, a capo di un'associazione costituita nel '74 e che rappresenta quasi tutti i 1200 talassemici sardi sottolinea il suo «disappunto» e la sua «delusione» per una decisione presa «senza tener conto del punto di vista delle associazioni dei pazienti che afferiscono al Microcitemico». Un fatto ritenuto grave perché «si è in presenza di persone affette da non lievi patologie croniche». Per il presidente «lascia molto perplessi l'accorpamento di due strutture ospedaliere non affini tra loro, atteso che una, il Brotzu, si occupa di malati acuti e l'altra, il Microcitemico, di cronici. Ciò che appare prioritario, d'altra parte, non è l'accorpamento di unità ospedaliere dissimili, ma rendere il presidio del Microcitemico più efficiente, potenziandone e salvaguardandone i servizi attuali, soprattutto non indebolendo e non privandosi degli organici esistenti, sia al livello di personale ospedaliero che universitario». Per Vargiu, «l'importante ruolo di centro di riferimento regionale della talassemia e delle altre malattie rare dell'ospedale di via Jenner non può e non deve essere messo in forse e gli importanti livelli qualitativi conseguiti sia in fatto di terapia che di ricerca, non possano essere compromessi con operazioni di politica sanitaria tali da sconvolgere i preziosi e delicati equilibri sinergici faticosamente raggiunti tra i numerosi reparti e servizi esistenti». ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 09 nov. ’09 CORONA: «NON RIPIANEREMO I DEBITI DI SARDEGNA IT» L’assessore incontra i vertici della società regionale nata all’interno del Parco scientifico e tecnologico CAGLIARI. Perfetta sintonia sulla volontà di rilancio della società. È il principale dato emerso da un primo incontro tra le rappresentanze sindacali di Sardegna IT e l’assessore regionale degli Affari Generali, Ketty Corona, il direttore generale, Antonio Quartu, e il nuovo amministratore unico della società, Marcello Barone. Intesa e condivisione d’intenti sul fatto che la società in house della Regione e del Crs4 «debba reggersi autonomamente, avere capacità propositive e innovative e valorizzare i dipendenti», come dichiarato da tutti gli interlocutori intervenuti. «È nostra intenzione - ha affermato l’assessore Corona - dare nuovo impulso a Sardegna IT. Serve un cambio di mentalità che porti all’individuazione di obiettivi misurabili e raggiungibili, la Regione non può permettersi di coprire ulteriori disavanzi della società. Dobbiamo dare risposte immediate e abbiamo nominato un nuovo amministratore unico che deciderà l’adeguamento e la compatibilità dei contratti con le esigenze di consulenza di alto livello e di operatività sulla rete richieste». Partner della Regione dal dicembre 2006, negli ultimi due anni ha chiuso i suoi bilanci con passivi di circa 500mila euro. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 nov. ’09 APPELLO AI MEDICI: «VACCINATEVI» Influenza A. In campo le associazioni L'EPIDEMIA Con le quattro di ieri il bilancio delle vittime è salito a quota 37, la Campania resta la regione più colpita Rita Fatiguso MILANO Date l'esempio: vaccinatevi contro il virus A/H1N1. L'invito, rivolto per lettera da Giacomo Milillo, presidente del sindacato dei medici di famiglia Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) ai 27mila colleghi iscritti, è di quelli che non ammettono repliche. Tanto più che, sempre ieri, in tal senso si è espresso anche il presidente della Società italiana di medicina generale (Simg), il cui presidente, Claudio Cricelli, ha detto che «il mancato successo della vaccinazione può avere conseguenze gravi di cui i medici possono essere chiamati a rispondere, perchè vaccinarsi per i medici è un atto di responsabilità giuridica». Per Milillo «i dubbi sulla sicurezza del vaccino sono infondati e pretestuosi: l'adiuvante in esso contenuto è stato somministrato a milioni di persone, in passato a ben oltre 40 milioni registrando solo tre o quattro casi di complicanze gravi. Per giunta la quantità di mercurio contenuta nella dose vaccinale prelevata da un flacone multidose è paragonabile a quella che assumiamo mangiando una o due scatole di tonno». La situazione dell'epidemia, in ogni caso, resta grave. Il bilancio dei decessi - ieri altri quattro tra Campania, Emilia-Romagna e Umbria - è salito a 37, 108 sono i casi gravi e 233 le persone ricoverate. L'ultima vittima è un uomo di 42 anni di Eboli (Salerno); nel locale ospedale sono ricoverati altri 15 pazienti risultati positivi al virus A, fra cui 6 bambini che versano in una situazione tuttavia non grave. Un bambino di 7 anni, risultato positivo al test del virus A/H1N1 è stato ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale Le Scotte di Siena e sottoposto a ossigenoterapia. La Campania continua a guidare la lista delle regioni più colpite dal virus: ben i 14 decessi, mentre all' ospedale Cotugno di Napoli restano 7 i ricoverati nel reparto di rianimazione, tra cui una donna di 29 anni con gravi problemi respiratori, positiva al test del virus A, trasferita dal San Leonardo di Castellammare di Stabia. I ricoverati nel centro infettivologico di Napoli scendono, tuttavia, da 70 a 67. All'ospedale Cardarelli 30 pazienti risultati positivi all'influenza A, di cui 16 in osservazione nel padiglione Palermo. Ricoverata in rianimazione pediatrica la ragazza di 15 anni di Avellino, ma le sue condizioni sono lievemente migliorate. La distribuzione del vaccino non è però troppo semplice. «La Regione non intende alimentare polemiche inutili ma la distribuzione attraverso le farmacie del vaccino per la influenza AH1N1 è impraticabile innanzitutto per motivi tecnici», fa sapere in una nota la Regione Lazio. Aggiungendo che «ha organizzato l'offerta vaccinale tramite i centri vaccinali delle Asl, i centri di riferimento nonchè i medici di famiglia ed i pediatri di libera scelta, che già garantiscono oltre 5.500 punti di erogazione potenziale su tutto il territorio regionale. Le modalità operative sono simili a quelle utilizzate per la campagna influenzale stagionale che da anni opera con grande efficacia». _________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 nov. ’09 «MEDICI, È ASSURDO BOICOTTARE IL VACCINO» Sulla pandemia esplode la polemica. Sono state distribuite alle Asl sarde altre 40 mila dosi, ma molti medici preferiscono non sottoporsi alla profilassi contro l'influenza A-H1N1 e a sconsigliarla ai pazienti anche nelle strutture pubbliche. Situazione che mette in allarme i vertici del comitato pandemico («È un atteggiamento irrazionale», dice il portavoce Paolo Emilio Manconi) e alimenta la confusione su una pandemia che, in Sardegna, inizierà a manifestarsi con maggiore virulenza dai primi giorni di dicembre. Non si conosce il dato regionale sulle vaccinazioni del personale sanitario e delle cosiddette categorie a rischio. La fase due - che prevede la profilassi sulle donne incinte dal quarto al nono mese, sui neonati tra 6 e 24 mesi nati prematuri, sui bambini tra 6 mesi e 17 anni affetti da patologie croniche, su ipertesi, diabetici, asmatici, immunodepressi, cardiopatici, broncopneumopatici fino a 65 anni - ha comunque preso il via ieri un po' in tutta l'Isola. Nei prossimi giorni se ne saprà senz'altro di più. LA SITUAZIONE Ma, nonostante i ritardi, peraltro ammessi dagli stessi addetti ai lavori, la campagna contro il virus A è iniziata. Come informa Giorgio Steri, responsabile di Igiene pubblica dell'Asl 8 cagliaritana, nei poliambulatori del distretto «sono state effettuate 3 mila vaccinazioni», ma non si conosce il dato relativo alla profilassi effettuata negli studi dei medici di medicina generale e negli ospedali. E se sfugge il dato di Sassari e Olbia, nelle strutture sanitarie del Nuorese le vaccinazioni finora sono state circa 700, mentre a Oristano - la segnalazione è di Maria Valentina Marras, responsabile del servizio di Igiene dell'Asl - le 1.190 dosi riservate al personale sanitario sono state utilizzate. La somministrazione delle 2.700 dosi che spettano all'azienda sanitaria, riprenderà il 16 novembre. Sono circa 250 le vaccinazioni effettuate nel Medio Campidano, mentre nel Sulcis la profilassi deve ancora decollare. I CASI Nessun nuovo contagio si è registrato nel week-end, ma nei poliambulatori e negli ospedali l'andamento della campagna prosegue nell'incertezza. È il portavoce del comitato pandemico sardo a confermare i dubbi: «Non solo molti colleghi non lo fanno loro», dice Paolo Emilio Manconi, docente di Medicina interna all'Università di Cagliari, «ma cercano di dissuadere i pazienti dall'assumere il vaccino». Insomma, un atteggiamento, che contrasta con l'allarme della pandemia in atto. Eppure, «dal 1700 milioni di vite umane sono state salvate dai vaccini», dice ancora Manconi. «Ritengo che la repulsione nei confronti di questi farmaci sia irrazionale, nel senso che non c'è supporto scientifico che la giustifichi. Pertanto, è un atteggiamento censurabile». I RICOVERI Complessivamente, dall'inizio della pandemia ad oggi, sono stati complessivamente 20 i casi di contagio. Esclusi i contagi registrati ad agosto, che riguardavano alcuni giovani di rientro dalla Gran Bretagna, a Cagliari non risulta alcun paziente affetto dal virus. Resta in prognosi riservata l'uomo ricoverato in rianimazione nell'azienda ospedaliero universitaria di Sassari, mentre continuano a migliorare le condizioni degli altri due pazienti sardi, una bambina ricoverata in pediatria a Sassari e un giovane di 30 anni a Iglesias. LA DELIBERA Oggi, intanto, la Giunta regionale approva la proposta di delibera dell'assessore regionale della Sanità, Antonello Liori, che istituisce 6 nuovi posti letto - 4 alla clinica Macciotta e due al Policlinico universitario - per la Rianimazione dei neonati e dei bambini colpiti dall'influenza A. LORENZO PIRAS ___________________________________________________________________ il Giornale 10 nov. ’09 LANCET: CHI VA PRESTO IN PENSIONE RINGIOVANISCE DI 10 ANNI FELICI Test su 14.700 dipendenti dell'azienda del gas francese: «Ora sì che ci godiamo la vita» - Una ricerca dimostra che lasciare il lavoro con qualche anno di anticipo migliora la qualità della vita La fase più stressante é quella che precede l'addio al «posto». Poi però, una volta liberi, non si sente più la nostalgia Nino Materi cervelloni francesi dell’Inserm non hanno mai conosciuto il «professor» Massimo Catalano, filosofo arboriano di «Quelli della notte», che sosteneva roba del genere: «È meglio ridere in compagnia che intristirsi da soli» e «E preferibile avere una fidanzata bella e intelligente che brutta e stupida...». Come dire, il trionfo dell'ovvietà. Finora, incontrastato principe del pensiero lapalissiano, Catalano ha trovato un agguerrito concorrente nell'équipe del dottor Hugo Westerlund che - dopo anni di «approfonditi studi» e «accurate ricerche» - è giunto alla seguente conclusione in salsa «catalana»: «Chi va in pensione prima, sì sente meglio». E ti credo: godersi la pensione a 50 anni è molto meglio di farlo a 70. Una conclusione da scienziati? Forse sì. Ma anche alla portata di chi ha un quoziente intellettivo decisamente più terra terra. La ricerca, apparsa su Lancet, ha seguito le condizioni di 14.700 dipendenti dell'azienda nazionale di gas ed elettricità francese andati in pensione intorno ai 55 anni con l’80 percento del loro ultimo salario; e ha scoperto che i dipendenti si sentivano sempre peggio man mano che si avvicinavano alla pensione, ma nettamente meglio non appena lasciavano il posto di lavoro. Ogni anno per 15 anni (sette anni prima della pensione e sette anni dopo), i partecipanti allo screening hanno compilato dei questionari nei quali hanno dato conto della propria salute. Considerata la difficoltà dello studio (i francesi, da soli, non ce l'avrebbero mai fatta) si è reso indispensabile il prezioso contributo anche di esperti svedesi e britannici. I quali, tutti insieme allegramente, hanno scoperto che «tra l'anno prima della pensione e quello successivo, il rischio che i dipendenti dicessero che non si sentivano bene diminuiva dal 19,2 per cento al 14,2». «In altri termini la gente improvvisamente si sentiva dagli 8 ai 10 anni più giovane quando andava in pensione», spiega quel genio di Hugo Westerlund, che non manca di scendere nei dettagli: «Man mano che passavano gli anni, i pensionati si sentivano sempre meglio. Invece, nei tre anni precedenti alla pensione (il72% prima dei 56 anni), l’ll per cento denunciava depressione, il 29 per cento presentava dolori muscolo-scheletrici e il 32 per cento si è assentato dal posto di lavoro per malattia». Ma, immediatamente dopo la pensione, ecco il miracolo modello-Lourdes: «le loro condizioni miglioravano»; unica eccezione il 2% di lavoratori privilegiati che beneficiavano di un contesto «ideale» di lavoro. PS. In questo anno, gli autori dello studio hanno esortato aziende e governi «a migliorare le condizioni di lavoro se vogliono convincere i lavoratori a restare al loro posto». Catalano docet. ________________________________________________________ Di tutto 13 nov. ’09 LO STETOSCOPIO VA IN PENSIONE Dal dottore non sentiremo più il classico: "Dica 33°" Dopo quasi cento anni di onorato servizio lo stetoscopio va in pensione. II classico strumento che i medici usano per auscultare il paziente sarà presto sostituito da un apparecchio simile ad un cellulare di nuova generazione che si chiama Vscan. La novità, presentata dall'azienda americana General Blectric a San Francisco, promette di facilitare il lavoro dei medici soprattutto in condizioni difficili e di effettuare diagnosi più precise, grazie a un sensore che effettua i rilievi e a uno schermo sul quale appaiono le immagini ad ultrasuoni. ________________________________________________________ la Repubblica 13 nov. ’09 LA DEPRESSIONE NON È PIÙ INVINCIBILE NUOVI FARMACI E HI-TECH LA TIRANO SU VERA SCHIAVAZZI DIAGNOSI precoce e appropriata. Stimolazione magnetica intracranica. Stimolatori elettrici per il nervovago. Terapia della luce. Privazione del sonno. Sei farmaci- ormai efficaci nel 70 per cento delle depressioni "severe" -non funzionano, ci sono altre terapie diverse da quelle psicologiche per cercare di proteggere i pazienti da se stessi. «Quando ho letto che Robert Enke, il portiere tedesco suicida, era assistito da uno psicologo, ho avuto un brivido, pur non potendo sapere se era proprio così», confessa Laura Bellodi, una delle psichiatre italiane più note tra chi si occupa di ansia, depressione, disturbi ossessivi. E il suicidio del portiere tedesco diventa cosi l'occasione per un nuovo dibattito tra medici sulle armi delle quali la scienza dispone oggi per salvare chi, una o più volte durante la sua vita, incontra la depressione. Due i problemi principali con i quali gli psichiatri, in prima linea nella cura dei pazienti più gravi, si scontrano ogni giorno nei servizi pubblici (dove oggi è in cura l’1,5% della popolazione italiana) o negli studi privati. Il primo, paradossalmente, è rappresentato proprio da farmaci sempre più efficaci, dall'antico litio' di nuovo di moda, ai più recenti stabilizzatori dell'umore, nati per combattere l'epilessia e ora utilizzati con efficacia soprattutto nella terapia del disturbo bipolare (pazienti nei quali ai momenti di depressione sene alternano altri che assomigliano all'euforia). «Chi li utilizza, proprio come chi deve curare la propria ipertensione o altri disturbi cronici deve continuare a farlo spesso, per periodi molto lunghi - spiega Filippo Bogetto, direttore della clinica di Psichiatria universitaria delle Molinette di Torino dove si sperimenta lo stimolatore per i pazienti che non rispondono ai farmaci - La sfida è proprio lì: convincere il paziente che si sente meglio a non sospendere la cura». Conferma Bellodi: «L'assunzione regolare dei farmaci evita a molti pazienti le ricadute e rappresenta un'efficace terapia di mantenimento. Chi continua a prenderli seguendo le prescrizioni si risparmia uno o più episodi che talora, purtroppo, possono essere anche molto gravi». E chi non risponde ai farmaci? «La garanzia totale non esiste. Oggi però disponiamo di molte risposte che, anche senza evocare terapie da noi assai impopolari come l’elettrochoc, possono essere utili: stimolazione magnetica, luce, privazione del sonno». E Vittorio Lingiardi, docente alla Sapienza di Roma, psichiatra e psicoterapeuta, aggiunge: «La prescrizione sta sempre all'interno di una relazione terapeutica. Non possediamo ancora la pillola della felicità, farmaci e psicoterapia devono andare insieme». E dall'Australia arriva un'altra notizia: per il Commonwealth Scientific Research Organization chi si sottopone a una dieta (e non è già colpito da una depressione maggiore) potrebbe avere un calo d'umore, a causa del taglio sui carboidrati come pasta e pane. Forse è per questo che gli italiani restano, almeno in questo campo, in fondo alle classifiche negative. _________________________________________________________ Giornale 14 nov. ’09 CHIRURGHI ITALIANI? BRAVI MA SENZA TUTELE E LE SCUOLE SI SVUOTANO L'Italia é seconda al mondo in chirurgia mininvasiva e robotica. Ma mancano norme specifiche per il settore Stefano Salvatori Bravi, e non solo a parole. Tant'è che un recente repart internazionale pone la chirurgia italiana al secondo posto al mondo dopo gli Usa per la chirurgia robotica e mininvasiva e dal 2000 su oltre 190 Paesi l'OMS pone il nostro Sistema Sanitario nel rapporto costo-beneficio sempre al secondo posto dopo il Canada. Le potenzialità della chirurgia italiana sono condizionate da problemi di natura legale ed istituzionale che stanno sempre più allontanando i giovani dalla professione. Solo nel 2008, infatti, le richieste di risarcimento sono state 30mila e 12mila i processi penali. Le statistiche indicano che in media nella propria carriera 4 medici su 5 ricevono almeno una richiesta di risarcimento (ma coloro che hanno più responsabilità vedono questi valori decuplicarsi) e vengono ingiustamente accusati di malpractice; nell'80% dei casi i processi infatti si risolvono con una assoluzione, dopo un iter processuale che dura anche 7-8 anni. La paura delle possibili conseguenze penali crea la premessa per la medicina difensiva: l'80% prescrive esami inutili o consulenze non necessarie mentre il 20% evita di operare se l'intervento è troppo a rischio. «Il nostro sistema sanitario non può ulteriormente reggere l'impatto con questa dispersione di risorse - sostiene Gianfranco Francioni, presidente del Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia (SIC) appena conclusosi a Rimini -. Siamo uno dei pochi paesi dove la Sanità è veramente gratuita fino ai più alti livelli di complessità, dal trattamento di chirurgia estetica dopo lesioni traumatiche, alla demolizione oncologica, al trapianto multiorgano. Non é pensabile, che in questi tempi economicamente così difficili, un sistema sanitario pubblico possa reggere contemporaneamente l'impatto della spesa sanitaria per le cure, quella per la medicina difensiva, quella peri contenziosi medico legali e per i giusti risarcimenti. Ci stiamo immettendo su una strada senza ritorna». «Occorre costituire un sistema che faciliti il reporting degli errori e favorisca la possibilità di apprendere dai fallimenti ma servono anche norme legislative urgenti che equiparino il nostro sistema giuri dico in ambito sanitario a quello degli altri Paesi occidentali, con l'introduzione di norme specifiche per il settore medico-chirurgico che oggi sono assenti. Basti pensare che il settore è ancora regolato dal Codice Rocco, risalente al 1930 e quindi necessariamente non più attuale», commenta il professor Enrico De Aritoni, presidente della Società scientifica sottolineando che «le proposte di legge che affrontano la questione del rischio clinico e della responsabilità civile e penale, invece, sono ancora ferme». «Oggi l'atto medico non è neppure previsto nella legislazione italiana e quindi i nostri gesti non hanno una codificazione: la stessa incisione della parete, ad esempio, atto preliminare ad ogni intervento chirurgico sull'addome, può essere dalla legge considerata un atto non medico, ma una sorta di aggressione a mano armata (bisturi) fatta con il consenso della vittima - conclude il professor Rocca Bellantone, Segretario Generale della SIC -. Ii giusto punire chi sbaglia per colpe gravi, ma si deve tener presente che, pur facendo tutto il possibile peri] bene del paziente, il lavoro del chirurgo ha per sua stessa natura una dose dì rischio ineliminabile». ___________________________________________________________ Corriere della Sera 10 nov. ’09 IL CHIRURGO FUGGITO, ALL' AUSTRIA UN «REGALO» DA 120 MILIONI CERVELLI ALL' ESTERO. LA STORIA DEL SICILIANO LONGO, DA PALERMO A VIENNA. I SUOI BREVETTI SFRUTTATI IN TUTTO IL MONDO Il centro austriaco «Grazie alla sua presenza gli interventi chirurgici sono passati da 500 a 3.500 all' anno» MILANO - Centoventi milioni di euro in otto anni. È il guadagno netto realizzato dall' ospedale St. Elizabeth di Vienna da quando, nel 1999, il governo austriaco ha chiamato Antonio Longo, un chirurgo siciliano, a dirigere il Department of Coloproctology and Pelvic Diseases. Una cifra alla quale il servizio sanitario italiano ha rinunciato (se lo può permettere?), così come l' università di Palermo che, senza batter ciglio, non si sarebbe nemmeno preoccupata di sfruttare i brevetti chirurgici che hanno poi portato Longo ad espatriare. Così almeno racconta lo stesso «cervello in fuga». Anomalo, perché chirurgo. Anomalo, perché le sue tecniche oggi sono utilizzate in tutto il mondo, Italia in primis. Ma il siciliano Longo, nato a Tusa nel 1953, e già inserito nella carriera universitaria palermitana (dal 1982 al 1999 ha lavorato presso il Dipartimento di scienze chirurgiche ed anatomiche), all' Austria porta soldi e onori. E a un' azienda americana ha dato i brevetti. Eppure quei 120 milioni avrebbero fatto comodo all' asfittica sanità dell' isola. I conti li hanno fatti gli austriaci. «Longo ha rivoluzionato l' approccio alle malattie del pavimento pelvico mettendo a punto due interventi mini-invasivi praticamente indolori, uno per la cura chirurgica delle emorroidi e l' altro per quella delle gravi forme di stipsi, che in pochi giorni pongono fine a questi disturbi molto diffusi in tutto il mondo - dice Martin Glöckler, direttore sanitario del St. Elizabeth -. Il chirurgo italiano ha ideato anche tre diversi strumenti per la chirurgia colon-proctologica, cioè due suturatici usa e getta ed uno strumento diagnostico: la video-rettoscopia dinamica». In effetti, il manager austriaco, oltre alle lodi («Longo ha contribuito a consolidare il prestigio e la legittimazione a livello internazionale del nostro ospedale»), mostra soddisfazione per i «guadagni» indotti, non solo economici. «Da quando Antonio Longo opera nella nostra struttura», ribadisce. Chiamato dal governo austriaco, che è l' unica autorità competente per i «cervelli d' importazione». Martin Glöckler tira le somme per il Corriere della Sera: «Solo negli ultimi otto anni, da noi sono arrivati quasi 3.000 medici per partecipare ad uno degli 82 workshop specialistici promossi dalla struttura diretta da Longo, e 22.000 pazienti provenienti da tutto il mondo (il 25 per cento stranieri, anche dal Nord America) per farsi visitare ed operare da lui. Gli interventi di chirurgia colonproctologica a St. Elizabeth sono passati da 500 a 3.500 all' anno, con un guadagno aggiuntivo annuo per l' ospedale (il Drg, cioè il rimborso da parte del servizio sanitario, per questi interventi è pari a 3.500 euro), di circa 1.500.000 euro: 13.500.000 totali». Non solo. l' aumento del carico di lavoro ha portato all' assunzione di altre 8 persone nel reparto guidato da Longo. Per dare un' idea di quanto perso dall' università e dal servizio sanitario italiano, con gli strumenti e le tecniche inventate dal chirurgo siciliano (tecnica Longo per le emorroidi e Starr per la cura della stipsi) sono stati eseguiti fino ad oggi oltre 3 milioni di interventi nel mondo. Ma allora perché Longo non viene richiamato in Italia? Per ora è un cervello dimenticato da 120 milioni di euro. E i pazienti italiani? Nessun problema. Le sue tecniche sono adottate in numerose strutture pubbliche di tutte le Regioni. E Longo opera comunque in tre cliniche. Ma non può nel pubblico, né in università. Mario Pappagallo _________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 nov. ’09 IMPLANTOLOGIA DI FRONTIERA Tecnica computer-assistita, eccellenza dell'Università padovana In Italia sono oltre 28 milioni le persone a cui mancano uno o più denti. Un problema diffuso, dunque, che in passato è stato risolto ricorrendo, nella maggior parte dei casi, a diversi tipi di protesi. Oggi, l'implantologia rappresenta invece una reale alternativa alle protesi dentarie mobili ed è proprio questo tipo di intervento, rispettoso dell'apparato masticatorio, ad essere il fiore all’occhiello della Clinica Odontoiatrica dell'Università di Padova. La Clinica è sempre stata all’avanguardia nel settore del-, l’implantologia ossea integrata e il suo direttore, professor Gian Antonio Favero, è stato tra i pionieri di questa metodologia, introducendola e diffondendola in Italia fin dal 1984. "Le più nuove tecniche di implantologia consentono interventi rapidi, non invasivi e poco dolorosi, che garantiscono un recupero pressoché immediato della funzionalità della bocca afferma il professor Favero. Gli impianti funzionano come radici che si uniscono affosso e che permettono l'applicazione del dente mancante senza coinvolgere i denti naturali. Si tratta di tecniche poco invasive perché da qualche tempo vengono utilizzati sistemi computer-assistiti. "Attraverso l’impiego di radiografie che permettono di valutare in tridimensione tutta la morfologia dell’osso del mascellare, siamo in grado di posizionare gli impianti non solo con una precisione millimetrica, ma. addirittura senza dover ricorrere ad estese incisioni gengivali" spiega Favero. In virtù di anni e anni di ricerca effettuata sui materiali utilizzati per sostituire il dente mancante, ad esempio il titanio puro per le viti, si può oggi affermare che l’implantologia è un sistema sicuro e ha una durata a lungo termine, nel 98% dei casi di oltre 15/20 anni. "Negli ultimi tempi la ricerca si è orientata sulla velocità di integrazione degli impianti e sul loro completamento funzionale ed estetico" spiega il professor Favero. "Oggi possiamo infatti offrire ai pazienti trattamenti di one-day-teeth. In altre parole, siamo in grado di mandare a casa il paziente con un lavoro finito il giorno stesso dell'intervento': All’ eccellenza nella pratica si coniuga quella nell'insegnamento e nella ricerca. La clinica offre infatti ai pazienti trattamenti implantologi avanzati, ma l’Università trasmette l’innovazione nel settore ai colleghi in Italia e alléstero. "Non a caso, è proprio presso l'Università di Padova che si tiene il primo e unico master italiano di implantologia computer-assistita conclude il professor Favero. ___________________________________________________________ Corriere della Sera 8 nov. ’09 HELICOBACTER: MEGLIO LA CURA «SEQUENZIALE» Adesso le prove sono inconfutabili: per eliminare l' Helicobacter pylori funzionano meglio i farmaci dati uno dopo l' altro che tutti assieme. Gli ingredienti-base sono gli stessi: un inibitore di pompa protonica (antiacido) e due antibiotici, amossicillina e claritromicina. Però la triplice terapia li dà tutti in contemporanea per dieci giorni, con la sequenziale si prendono per 5 giorni l' inibitore e l' amossicillina, per altri 5 l' inibitore e claritromicina (a cui si aggiunge un altro antibiotico, tinidazolo). La revisione degli studi che hanno confrontato le due cure, pubblicata nei giorni scorsi sull' American Journal of Gastroenterology, dimostra che l' approccio sequenziale è più efficace nell' eradicare il batterio. Il suggello che ci voleva per una terapia nata in Italia, ma già considerata di prima linea nel nostro Paese e negli Stati Uniti. Perché la triplice cura fallisce spesso: fino al 50 per cento di insuccessi. Dino Vaira del Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia dell' Università di Bologna, ideatore della sequenziale, spiega perché la cura in due tempi funziona meglio: «La claritromicina tende a "sfuggire" dalle cellule perché rompe le pompe che la trasportano all' interno. Dando prima l' amossicillina, le pompe restano integre e la claritromicina può venire intrappolata nelle cellule, agendo al massimo». Gran parte delle ricerche sulla sequenziale sono state condotte in Italia, ma sono in arrivo ulteriori conferme da sperimentazioni all' estero. E. M. Meli Elena _________________________________________________________________ CORRIERE DELLA SERA 8 nov. ’09 GRANCHI: IL SESSO IN VENDITA PER AVERE PROTEZIONE Prostituzione e animali Femmine di granchio Il sesso in vendita per avere protezione Anche le femmine di granchio svolgono il mestiere più antico del mondo. Niente tacchi a spillo e pagamento in denaro, ma sesso occasionale offerto in cambio di protezione. A praticare l'attività di «squillo» sono le femmine del granchio violinista (Uca annulipes), disponibili a «vendere il proprio corpo» ai maschi vicini di casa per ottenere alcuni beneht: difesa della tana dagli intrusi - soprattutto dai granchi stranieri - e protezione personale e della prole. Per Richard Milner e i suoi colleghi dell'Australian National University, che hanno pubblicato la scoperta su Biology Letters, le prestazioni sessuali extraconiugali forniscono alle (lascive) protagoniste un ottimo servizio di bodyguard, remunerato «in natura». Della serie: basta chiamare il dirimpettaio al primo segnale di pericolo e la vita è salva. Ma perché affidarsi ai condomini dell'altro sesso? Perché le femmine del granchio violinista sono fisicamente inferiori ai maschi hanno un'arma - spiega Milner - ossia possiedono un artiglio gigante che serve per attaccare e combattere, mentre le femmine sono disarmate: hanno due chele piccole che servono soltanto per mangiare». Preso atto della loro debolezza sul piano della forza e del fatto che le dimensioni dell'artiglio possono assicurare una serena vecchiaia, le «dame» dei crostacei hanno capito di poter usare il «desiderio carnale» in loro favore. Ovviamente i partners sono ben felici di soccorrere le confinanti indifese, visto il premio, però non sempre svolgono il compito con rigore il corpo in vendita maschio invasore s'impegnano a dovere (protezione offerta nel 95% dei casi), quando l'intruso è femmina si rifiutano e mollano il lavoro (protezione offerta nel 15% dei casi). Come mai? Con l'ingresso di nuove femmine è possibile ampliare l'harem e di conseguenza aumentare le probabilità di riproduzione. Il sesso a pagamento non è tuttavia una novità nel regno animale (a parte gli essere umani). Le giovani del merlo dalle ali rosse accettano le avances di tutti i possibili pretendenti chiedendo in cambio trattamenti da regine: cibo abbondante, allontanamento dei predatori e vigilanza del nido. Gli studi hanno dimostrato che nel caso del merlo le femmine «serie» subiscono maggiori furti di uova rispetto alle colleghe «disponibili»: il «baratto fisico» funziona. Per motivi simili si dedicano al commercio del sesso le femmine di alcuni uccelli come lo spioncello marino e ì colibrì dei Caraibi dalla gola purpurea. I comportamentisti animali dicono che questi «affari» non solo servono alla sopravvivenza ma aiutano a trovare il compagno giusto per una relazione stabile e incoraggiano i rapporti frequenti. Nel caso dei pinguini Adelia l'antica professione è usata per comprare i materiali edilizi: le femmine infatti si concedono a chiunque regali loro le pietre migliori per costruire il nido. In comune queste diverse specie hanno l'amore per il proprio alloggio. A volte succede che un partner venga scelto soltanto perché possiede una tana/nido accogliente. Meglio se con vista. Paola Caruso