RASSEGNA STAMPA 13/12/2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 EUROPA VOTI ALTI IN RICERCA - REGIONE: FUGA DI CERVELLI, AIUTI PER IL RIMPATRIO - ALL’UNIVERSITÀ ROMA 3 TANTO ARSENICO E VECCHI CONCORSI - ROMA 3: IL MERITO VIENE MESSO ALLA PROVA - IL FINANCIAL TIMES PREMIA LA BOCCONI - ITAGLIANO SCONOSCIUTO - ALMALAUREA: METÀ DEI DIPLOMATI PENTITO DELLA SCELTA - SULLA LUISS TRAMONTA IL SOLE - CELLI DIRIGE LA LUISS MA CONOSCE MOLTO POCO DELL'ECONOMIA - IL VALORE DELLA LAUREA BREVE E IL COMPORTAMENTO DEI DOCENTI - CHI BEFFA DARWIN FA LA FAME - L'ALGORITMO DI SAN TOMMASO - CACCIA PUNTERUOLO ROSSO - CHIP ESTREMI - PRIVACY GARANTITA DA POCHI QUBIT - VIDEOGIOCHI FUORI DAL MONDO - METROPOLITANA, NEL 2010 SI PARTE - MANCA: CENTO MILIONI PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE - ======================================================= NOMINE ASL, SCOPPIA LA BAGARRE - CAGLIARI: LAUREA IN INFERMERIA, QUANTI PROBLEMI - TRA MEDICO E PAZIENTE ADESSO ARRIVA UN «MEDIATORE» - IL DOTTORE METTE IN SCENA I PROPRI ERRORI - LIFE HAND : IL FUTURO A PORTATA DI MANO - SECONDO L’OCSE LA SPESA SANITARIA ITALIANA E’ BASSA - CANCRO ALLA PROSTATA UN GENE PER VINCERLO - SALE, QUANTO BASTA PER EVITARE ICTUS E INFARTI - IL RADON E’ LA SECONDA CAUSA MORTE PER TUMORE AL POLMONE - CON ESERCIZIO E LETTURA SI RECUPERANO LE CONNESSIONI DEI NEURONI - LAVORARE CONTENTI PREVIENE LE MALATTIE - ======================================================= ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 dic. ’09 EUROPA VOTI ALTI IN RICERCA La classifica 2008 degli investimenti in R&S delle maggiori imprese mondiali registra forti aumenti Le aziende Ue segnano un +8% Nelle specializzazioni Usa ancora leader Su uscite globali pari a 423 miliardi di dollari, il Vecchio continente ha speso 140 miliardi contro i 160 degli Stati Uniti Paolo Migliavacca A prima vista appare un dato sorprendente, specie considerata la crisi economica che attanaglia il Vecchio continente e le sue strutture produttive. Eppure, secondo la classifica degli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S) industriale pubblicata nei giorni scorsi dalla Ue, le imprese europee rivelano uno stato di salute addirittura buono, guadagnando posizioni rispetto alle concorrenti statunitensi e giapponesi. La graduatoria, che pone a confronto le duemila maggiori aziende mondiali, dice infatti che gli investimenti industriali europei in R&S nel a008 sono cresciuti dell’8,1%, contro il6,9% della media mondiale, il 5,7% degli Usa e il4,4% del Giappone. Il trend, già delineatosi nel 2007 (+8,8%), si è mantenuto a livelli pressochè invariati, malgrado la crisi, invertendo una tendenza negativa rispetto agli Usa che durava dall'inizio del decennio e contribuendo a limitare il divario tecnologico esistente tra le due sponde dell'Atlantico. Certo- come rivela la tabella a lato che comparai livelli tecnologici - sui 2,0 principali settori di specializzazione l'Europa è al vertice mondiale in appena 5, di cui 4 alla pari con gli Usa o con la Russia. Inoltre gli Usa mantengo no una chiara supremazia in termini sia di spesa assoluta (superiore del 15%), sia di livello tecnologico (i settori di più alto profilo pesano il doppio di quelli europei). È però innegabile che il miglioramento della prospettiva europea resti notevole. Come ha fatto rilevare ,l’ex commissario Ue per la Scienza e la Ricerca, lo sloveno Janez Potocnik, ora passato all'Ambiente, «è assai positivo che nel z008, in un contesto di crisi economica globale, le imprese europee abbiano mantenuto, e spesso migliorato, il loro livello d'investimenti in ricerca e sviluppo: è la strategia migliore per uscire più forti dalla crisi». «Dobbiamo sostenere gli sforzi delle imprese Ue-ha concluso Potocnik-e concedere incentivi volti a rafforzare i settori europei ad alta intensità diricerca». Tutto ciò risulta ancorpiù rilevante se si considera che fanno scorso gli utili di gestione delle aziende Ue hanno conosciuto un autentico crollo (-3o,5%), ben più grave di quello già cospicuo delle consorelle Usa (- i9,mio). Non a caso la redditività delle prime mille aziende europee è risultata dell'8,uio (in calo dal 12,6% del a007), contro il6,7% di quelle Usa e il 6,9% di quelle nipponiche. Se l'orizzonte si allarga a livello mondiale, la classifica registra dati a dir poco sorprendenti. Le imprese dei Paesi emergenti hanno registrato enormi tassi di crescita delle spese in R&S: Cina +40%, India +27,3%, Taiwan +25,1% e Brasile +18,6 per cento: La loro incidenza assoluta (7,1%) sul totale mondiale resta però limitata: appena 30 miliardi di dollari, quasi tutti concentrati in Estremo Oriente, su un totale mondiale di 422,8 miliardi di curo, contro i i59,4 miliardi degli Usa e i 139,5 miliardi dell'Europa, Svizzera compresa. La parte del leone la fanno le imprese tedesche (10,3% del totale) e francesi (5,9%), mentre quelle italiane concorrono con un modesto 1,5 per cento. Considerando le tendenze per settore, si nota che la crescita della R&S negli Usa è dominata da quelli ad alta intensità tecnologica, come farmaceutica, biotecnologie e informatica, mentre in Europa tale crescita è distribuita in modo più uniforme. In questo campo le aziende americane hanno continuato a rafforzare la loro posizione dominante aumentando gli investimenti di ben il35% nell'ultimo quadriennio, contro "solo" il 13,6% realizzato dalle aziende europee nello stesso periodo. Come mostra il grafico a lato, la vera forza delle imprese europee si concentra invece a livello medio-alto (automobili e componentistica, elettronica, chimica, aerospaziale é difesa), che sfiora la metà degli investimenti totali. Un po' meno roseo è il quadro del Vecchio continente se guardato nell'ottica della taglia delle imprese. Appena tre aziende europee figurano infatti tra le prime io e sette tra le prime 20 al mondo. Non certo brillante appare la classifica delle aziende italiane: Fiat e Finmeccanica, le due prime del nostro paese, figurano rispettivamente al 17'e i8° posto tra le europee, con 1.986 e 1.767 milioni di curo investiti in R&S, ma solo al52'C 54° posto a livello mondiale. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 dic. ’09 REGIONE: FUGA DI CERVELLI, AIUTI PER IL RIMPATRIO Bando regionale: dieci domande ma i contratti sono due Le convenzioni con l’Università a sostegno dei ricercatori sardi all’estero. Ecco le storie Le esperienze dei ricercatori sardi all’estero e il loro desiderio di tornare nell’Isola C’è una ricercatrice dell’Università di York, un neuroscienziato che lavora a Londra, un fisico del Massachusetts institute of technology di Boston. Sono alcuni dei cervelli dell’Università di Cagliari fuggiti all’estero, chi per scelta chi per necessità, quasi sempre perché attratti dalle maggiori prospettive di altri Paesi. Per molti ricercatori sardi è stato così e le difficoltà che ancora esistono in questo pianeta, i continui tagli ai fondi per finanziare i progetti, favoriscono l’emigrazione di tanti giovani, in Europa e nel resto del mondo, dove possono farsi valere e trovare un’occupazione stabile. Quanti siano è difficile dirlo, ogni dipartimento sa il fatto suo, ma indubbiamente è un campione variegato. «Chi resta qui deve avere molta pazienza, ci sono 50enni ancora precari - spiega Angela Carreras, dirigente della direzione Ricerca scientifica - la scelta di partire dipende anche dalla rete di relazioni internazionali sviluppata durante il percorso di studi e ricerca fatto all’Università. Molte volte sono i professori a spingere i propri allievi a fare esperienze all’estero: ritornano con un bagaglio di esperienza e pubblicazioni di particolare importanza e valenza nei concorsi universitari». RIMPATRIO Ma vogliono tornare. Non tutti, ma tanti. Non è facile stare lontano da casa ma è ancora più difficile tornarci. C’è chi da anni ci sta tentando con il programma ministeriale sul rientro dei cervelli, consultabile nel sito dell’Università: dal 2001 a oggi c’è riuscito il sardo Michele Saba, fisico di punta del Mit di Boston. Il suo contratto è in scadenza, dopo i 4 anni canonici, il massimo consentito dal ministero che finanzia la retribuzione dei ricercatori per il 100% e il programma di ricerca per il 90 per cento. Ora si attende il bando di quest’anno, che il ministero ha congelato in vista di alcune modifiche che intende apportare alla procedura. BANDO REGIONALE Ma un’opportunità ai docenti e ai giovani ricercatori sardi che desiderano rientrare nell’Isola la offre quest’anno anche la Regione con i fondi della legge 3 del 2008. In palio ci sono per Cagliari solo due posti: due contratti di due anni (rinnovabili per altri due) da 75 mila euro l’anno, corrispondente alla fascia stabilita dal ministero per i prof ordinari. Le domande, da parte di chi ha svolto un’attività di ricerca all’estero per almeno tre anni (i candidati possono essere nati in Sardegna o figli di genitori sardi), scadevano il 20 novembre e saranno esaminate con i relativi progetti da una commissione nominata dal rettore. Quante sono? Una decina, troppe quindi rispetto ai posti in palio. «È stata una scelta meditata - spiega Lidia Melis, responsabile dell’ufficio rientro dei cervelli - bisogna rendere appetibile il rimpatrio, seppure temporaneo, con compensi ben remunerati: è un’opportunità che apre una porta in più al ricercatore che vuole rientrare». CHI CI PROVA Sara Farris, laurea alla Sapienza di Roma, insegna Sociologia ad Amsterdam e a 32 anni scrive saggi e libri in inglese: ha fatto domanda per ritornare nella sua terra. «Ci spero - dice - sono partita prima per Londra con una borsa universitaria, poi in Germania e Olanda: anche qui è difficile ottenere impieghi stabili». Dall’Università di York Maria Raimonda Usai tenta da anni il rimpatrio. «Ho fatto la domanda con il bando regionale: voglio tornare per fare ricerca in Sardegna e far rifiorire la mia terra portandola all’avanguardia». La sua laurea in geopedologia le consente di studiare i segreti del suolo e dell’archeologia. «Nella domanda di rimpatrio propongo di studiare le necropoli sarde, i cui studi non sono stati mai completati». Chi per ora non ha in mente un biglietto di ritorno è il neuroscienziato Roberto De Lisa: è stato assunto all’Emea, l’Agenzia europea dei medicinali, a Londra. «Mi sento molto sardo da quando sono qui». Tornare? «Certo, un giorno: si tratta solo di decidere quale». CARLA RAGGIO ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 11 dic. ’09 ALL’UNIVERSITÀ TANTO ARSENICO E VECCHI CONCORSI di Roberto Peratti Ieri all'università di Roma Tre si è conclusa una vicenda accademica tipica dei mali dell'università italiana. Secondo un'incredibile clausola del bando di concorso, nell'era di Internet e dell'email, i titoli e la domanda dovevano essere consegnati a mano al preside della facoltà. Agli addetti ai lavori lo scopo era chiarissimo: sincerarsi che facessero domanda meno persone possibili, per non compromettere l’esito del concorso, già noto con largo anticipo. Scopo raggiunto: per ciascuna cattedra si presentano solo tre candidati oltre ai vincitori. Senonché, mentre la vincitrice Valeria Termini, direttrice della Scuola superiore della pubblica amministrazione, da anni non svolge attività di ricerca e ha un curriculum accademico limitato, i candidati della cattedra di economia sono di assoluto valore internazionale, con pubblicazioni sulle migliori riviste scientifiche del mondo. Questo non esclude che la vincitrice abbia altre validissime competenze e sicuramente la sua nomina verrà difesa con il solito argomento che è portatrice di un sapere "più pratico". Molto convenientemente, questo tipo di sapere non è mai sottoposto alla valutazione della comunità scientifica internazionale, consentendo così di giustificare qualsiasi operazione. Per la cattedra di economia, la verità è che in nessun dipartimento che aspiri a posizioni di prestigio si sarebbe potuto procedere alla nomina di un candidato con queste caratteristiche. Per la cattedra di diritto rilevo solo che l'unico candidato senza un curriculum aggiornato disponibile su internet è il vincitore Giuseppe Marini. Come in moltissime vicende accademiche italiane, non possono mancare altri due aspetti che ancora una volta è doveroso citare non per animosità personale ma per dare un quadro completo della vicenda: le parentele accademiche e la politica. Valeria Termini è moglie di Salvatore Siasco, professore di Economia alla Sapienza ed ex deputato Ds; Giuseppe Marini è figlio di Annibale Marini, anch'egli professore universitario ed ex presidente della Corte costituzionale considerato vicino ad Alleanza nazionale. In qualsiasi paese moderno nessun esponente accademico si sarebbe esposto in una vicenda così imbarazzante: la tradutio manuale dei titoli, la clamorosa disparità di valore scientifico di vincitori e sconfitti, le parentele, il cerchiobottismo politico. Inoltre, rettore e preside, e l'intera università con loro, avrebbero perso molto di più in immagine e prestigio di quanto avrebbero guadagnato in altre dimensioni. Perché questa totale indifferenza? Il motivo è sempre lo stesso: nell'università italiana si procede solo per anzianità, nessuno paga per le scelte sbagliate e nessuno viene premiato per operare bene. Che io promuova un premio Nobel oppure l'amico o il parente, il mio stipendio e la mia carica continuano esattamente come prima. La seconda lezione è che il rinnovamento dell'università non verrà mai dal suo interno. La riforma ha dato molto potere ai rettori, concedendo loro di mantenere di fatto il controllo del consiglio d'amministrazione. Ma quanto avvenuto a Roma Tre dimostra che alcuni rettori probabilmente non meritano questa prova di fiducia. La terza lezione è che il rinnovamento non verrà neanche dal ministero. In Italia, negli ultimi anni era praticamente impossibile trovare le risorse per nuove posizioni da professore ordinario. Per Roma Tre il ministero ha voluto trovare risorse per addirittura due posizioni: tutto il resto è poi avvenuto sotto la sua finestra. roberta.perotti ____________________________________________________________ Corriere della Sera 9 dic. ’09 IL BANDO DELL' UNIVERSITÀ DI ROMA 3: IL MERITO VIENE MESSO ALLA PROVA Guido Fabiani, rettore dell' università di Roma 3, recentemente confermato per la quarta volta al vertice dell' ateneo grazie ad una modifica dello statuto, ha chiesto al ministero dell' Università fondi speciali da destinare alla chiamata di due professori ordinari per la facoltà di Economia e Commercio. Il ministero ha accolto la richiesta di Fabiani, probabilmente applicando l' articolo 12 del decreto di riparto del Fondo di finanziamento ordinario che prevede uno stanziamento di tre milioni di euro per «interventi straordinari a favore delle università». La facoltà ha quindi bandito due posti di ordinario per trasferimento nei settori Economia politica e Diritto tributario, dichiarando di essere interessata a docenti che siano eccellenti nella ricerca. Tra le domande che sono arrivate all' università di Roma 3 ce ne sono alcune di giovani studiosi con un «citation index» particolarmente lusinghiero. Insieme a queste ne sono arrivate altre, firmate da candidati non particolarmente attivi nella ricerca. La facoltà di Economia e Commercio deciderà questa settimana a chi assegnare i due posti di professore ordinario. Si tratta di trasferimenti, quindi la facoltà sceglie chi vuole. Oppure la facoltà sceglierà chi vuole il rettore Fabiani che ha ottenuto il finanziamento per quei posti. Comunque sia, si tratta di un ottimo test per quel merito del quale tanto si parla e che è ben rappresentato dai contenuti delle domande. I bookmakers quotano alla pari due candidati che hanno un «citation index» vicino a zero, ma coprono in modo imparziale l' arco politico. Francesco Giavazzi RIPRODUZIONE RISERVATA Giavazzi Francesco ____________________________________________________________ Corriere della Sera 8 dic. ’09 IL FINANCIAL TIMES PREMIA LA BOCCONI LA CLASSIFICA NEL RANKING ANCHE IL POLITECNICO. GLI ATENEI TRA LE MIGLIORI SCUOLE ECONOMICHE IL FINANCIAL TIMES PREMIA LA BOCCONI «Un attestato per tutto il made in Italy» Il podio La classifica del giornale finanziario inglese «La crisi ha spinto gli atenei a migliorarsi» Solo due, per l' Italia. Ma entrambi milanesi. Piazzamenti per l' Italia nella graduatoria mondiale annuale curata dal Financial Times sulle migliori scuole universitarie di business europee: il 24esimo posto è stato occupato dalla SDA dell' Università Bocconi e il 56esimo dal Politecnico con la sua School of Management. L' Italia rimane però fuori dal vertice della classifica: al primo posto l' istituto HEC di Parigi, seguito dalla London Business School e dall' Insead franco-singaporegno. In totale sono 70 gli istituti ordinati nella graduatoria. «Il Financial Times», ha detto Gianluca Spina, direttore del Mip (la business school) del Politecnico, «premia il sistema economico dell' Italia. E premiarci, significa riconoscere un valore a chi lo frequenta, ossia le imprese italiane». Secondo il ranking del grande giornale finanziario britannico, quarta si classifica la Svizzera Imd, quinta e sesta le spagnole Ie Business School e Iese, settima la Rotterdam School of Management, ottava un' altra francese, la scuola di Business EM di Lione. Al nono posto ecco la iberica Esade e al decimo la belga Vlerick Leuven Gent Management School. «Gli ultimi dodici mesi sono stati al tempo stesso i migliori e i più difficili per le scuole di business europee - si legge nell' articolo del Financial Times -. Da un lato sono finite nel mirino per le loro responsabilità nel formare i manager che hanno creato il disastro finanziario». Ma dall' altro lato, «la crisi economica ha fatto aumentare la domanda di corsi specialistici in questi settori, mentre sfumava molta della rabbia». In ogni modo, la difficile congiuntura «ha mietuto vittime anche tra questi istituti: i più piccoli hanno dovuto procedere a fusioni con altri o rassegnarsi a chiudere». ___________________________________________________________ la Repubblica 8 dic. ’09 ITAGLIANO SCONOSCIUTO Grammatica e sintassi sono ormai bestie nere. Anche nelle università. Viaggio in un Paese che non conosce più la sua lingua MAURIZIO CROSETTI Io cossi tu cuocesti egli cosse: cos'è sta roba? Piccolo esame diverbi: "Se io sarebbe più abile, tu mi affiderai una squadra". Ma anche: "Se tu saresti più alto, potessi giocare a pallacanestro". Nel cimitero dove giacciono, insepolte, sintassi e ortografia, accenti e apostrofi si confondono in un'unica insalata nizzarda di parole: "Non so qual'è la prima qualità di un’uomo”. E tutto questo accade, si legge, si scrive all'Università. Test d'ingresso per le facoltà a numero chiuso, anno di disgrazia 2009: alcuni degli aspiranti dottori del terzo millennio hanno risposto così. «I giovani che arrivano dalle scuole superiori sono semi-analfabeti», ha dichiarato il magnifico rettore dell'ateneo bolognese, Ivano Dionigi. E chi ha già superato il traguardo della laurea non sta poi tanto meglio: secondo una ricerca del Centro Europeo dell'Educazione (CADE, o forse sarebbe meglio dire casca: l'asino), l'otto per cento dei nostri laureati non è in grado di utilizzare pienamente la scrittura. Anzi, peggio: 21 laureati su 100 non vanno oltre il livello minimo di decifrazione di un testo. Cioè, se proprio va bene riescono a far partire la lavastoviglie leggendo le istruzioni, oppure intuiscono le controindicazioni dell'aspirina. Ma di più no. Ancora: un laureato su cinque non riesce a dirimere un'ambiguità lessicale. E un laureato su tre ha meno di cento libri in casa, quasi sempre quelli che ha (più o meno) sfogliato per arrivare al pezzo di carta. Ma su quella carta, troppo spesso è come se fossero impressi geroglifici. E non parliamo poi di quando è necessario scrivere un testo. Per questo, molti atenei hanno deciso di organizzare corsi di recupero di italiano per le matricole: grammatica e sintassi, cioè argomenti da prima media. «I ragazzi non conoscono il significato di espressioni lessicali banalissime», spiega Pier Maria Furlan, preside di Medicina 2 a Torino, dove appunto si torna sui banchi quasi per fare le aste, e per ripassare (o per studiare?) il congiuntivo. «Credetemi, è una situazione da mettersi le mani nei capelli. Per fortuna, gli studenti sono abbastanza consapevoli d ei propri limiti: gli iscritti ai corsi di recupero sono oltre 35 su cento». Come nasce lo "studente analfabeta"? Quando comincia a diventarlo? «I guasti iniziano nella scuola dell'obbligo», risponde Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. «il buonismo degli insegnanti ha fatto grossi danni, ormai si tende a promuovere un po' tutti e non si sbarra il passo a chi non è all'altezza. Ma il disprezzo per la lingua italiana risiede anche in certi romanzi di nuovi autori, pieni di parolacce e di inutili scorciatoie, e nei linguaggio sempre più sciatto dei giornali dov'è quasi scomparsa la ricchezza della punteggiatura». Insomma, oggi s'impara poco anche leggendo. E si studia male. «Credo che il predominio dell'inglese stia nuocendo all'uso dell'italiano», sostiene il noto linguista Gian Luigi Beccaria. «Ormai è necessario alfabetizzare adulti e ragazzi, e la colpa è di un intero percorso scolastico che non sempre funziona. Le lacune nascono da lontano. Inoltre, l'uso esclusivo di telefoni cellulari e computer come strumenti di comunicazione non aiuta la nostra lingua: l'italiano sta regredendo quasi a dialetto». Lasciando perdere gran parte della narrativa italiana contemporanea, dov'è possibile far tesoro della lingua giusta? «Leggendo o rileggendo autori esemplari per pulizia dello stile e chiarezza: penso a Primo Levi, a Calvino, ma anche a Pirandello e Pavese, oppure al Fenoglio di Primavera di bellezza, mentre Il partigiano Johnny è più complesso». Secondo recenti e sconfortanti statistiche, il venti per cento dei laureati italiani rischia l'analfabetismo funzionale, cioè la perdita degli strumenti minimi per interpretare e scrivere un testo anche semplice. E la percentuale sale tra i diplomati: trenta su cento possono diventare semi-analfabeti di ritorno. Una delle cause può essere l'abbandono della grammatica e della fatica della sintassi: già alle medie non si studiano quasi più, figurarsi al liceo. Nella scuola superiore, ormai pochissimi insegnanti si sobbarcano la correzione di trenta temi pieni di bestialità, una fatica tremenda e scoraggiante. E guai se non si promuove chiunque: scatterà la reazione anche violenta delle famiglie (sempre più spesso si rivolgono all'avvocato per rintracciare vizi di forma nei registri, anche dopo la più sacrosanta delle bocciature dei loro pargoli). «Siamo molto preoccupati», dice Franca Pecchioli, preside di Lettere a Firenze. «Se gli studenti non sanno dov'è il Mar Nero, beh, è grave ma glielo possiamo insegnare. Ma se non sono in grado di seguire la spiegazione di un docente perché ignorano il significato di certe parole, allora è peggio». Ha un suono sinistro anche la testimonianza di Elio Franzini, preside di Lettere alla Statale di Milano: «L'anno scorso, insegnando ai primi anni di filosofia chiesi chi avesse letto Proust, e alzarono la mano in tre. E quasi nessuno sapeva chi avesse scritto Delitto e castigo». Invece è palese il delitto nei confronti della lingua italiana, o di quella che dovrebbe essere la formazione universitaria: tra i paesi industrializzati, solo Messico e Portogallo stanno peggio di noi. Vale forse la pena ricordare che in Italia soltanto 98 persone su mille acquistano ogni giorno un quotidiano, mentre in Giappone sono 644. Un problema di formazione, o di scarsa informazione? «Siamo di fronte a un'autentica violenza nei confronti della parola», risponde Giovanni Tesio, critico letterario e docente all'Università del Piemonte Orientale. «Ma non dipende solo dalla scuola: la colpa è anche delle famiglie e dei modelli culturali. La prevalenza dell'immagine porta a una disattenzione verso i testi, e comunque è vero che mancano le basi. Me ne accorgo correggendo tesi di laurea non solo scritte male, quello sarebbe il meno, ma anche piene di strafalcioni. Perché per decenni si è demonizzata la grammatica, come se tutto dovesse essere facile e divertente. Ebbene, a scuola non tutto può né deve esserlo. Un'altra fesseria è credere che la grammatica s'impari leggendo, quello è un universo che non accetta usi strumentali». Ma l'analfabetismo dei laureati può essere arginato? «Siccome la letteratura è il luogo in cui il senso della complessità diventa più forte, io la insegnerei anche nelle facoltà scientifiche». Forse in Italia manca un vero sistema di educazione per adulti, non siamo più capaci di aggiornarci, allenando cervello e conoscenza come se fossero muscoli. La faciloneria portata da Internet, strumento meraviglioso e banale, ricco di potenzialità ma anche di comode tentazioni, ha ormai diffuso una specie di cultura del "copia e incolla", attraverso l'utilizzo di una lingua spesso piatta e tutta uguale, riprodotta all'infinito. Molti esami scritti, all'Università, vengono condotti come i test perla patente, mettendo crocette su un questionario; e le relazioni degli studenti procedono con "Powerpoint", un altro strumento che riduce la dialettica a riassunto di qualche schema, sillabando quattro parole. «Abbiamo vastissima conoscenza orizzontale e istantanea, però non siamo più in grado di approfondire, di scendere nel cuore delle cose», conclude Tesio. Il sessanta per cento degli italiani non ha mai letto un libro (anche se molti di loro, purtroppo, hanno provato a scriverlo). E non è affatto vero che Il val più la pratica della grammatica". Altrimenti non sarebbe possibile che 45 laureati su cento ignorino qual è (scritto senza l'apostrofo) il passato remoto del verbo cuocere. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 dic. ’09 ALMALAUREA: METÀ DEI DIPLOMATI PENTITO DELLA SCELTA Scuola. La rilevazione di AlmaLaurea Gianni Trovati MILANO La famiglia conta più della scuola quando si tratta di decidere la carriera sui libri, e il fenomeno non è positivo. Il dato domina il «profilo dei diplomati» tracciato da AlmaLaurea, il consorzio fra 53 università che ogni anno stila anche il censimento dei laureati e che nell'analisi presentata ieri a Firenze fa emergere «un'emergenza orientamento» sempre più grave. Il 45% degli studenti che hanno superato l'esame di maturità quest'anno, secondo le rilevazioni condotte dal AlmaLaurea soprattutto su scuole superiori del Centro Nord, se potesse tornare indietro non sceglierebbe lo stesso corso che ha appena concluso con successo. Le critiche si concentrano soprattutto sull'organizzazione scolastica e sulle strutture, mentre la maggioranza degli studenti promuove i propri insegnanti. La scelta compiuta alla fine delle medie, poi, allunga i propri effetti anche oltre il diploma, come confermano le strade intraprese dai diplomati, che si differenziano in modo drastico a seconda del titolo di studio appena ottenuto. L'università continua ovviamente a essere la destinazione principale, e ad attrarre il 65% dei neodiplomati, che insieme al 7% che sceglie percorsi formativi alternativi a quello accademico rendono marginale la scelta di presentarsi sul mercato del lavoro subito dopo il diploma. La via verso la facoltà, però, è quasi assoluta, fra chi è appena uscito da un liceo (93%), mentre si fa decisamente meno scontata fra chi esce da un istituto tecnico (52%) o da un indirizzo professionale (31%). Se si considera poi che l’identikit professionale dei genitori é ancora determinante sulla scelta della scuola superiore da intraprendere, il cerchio si chiude: il 42% di chi ha un genitore laureato, infatti, ha finito le medie con «ottimo» in pagella, e le 27 mila storie esaminate da ALmaLaurea mostra che chi ha ottenuto questo risultato ha il76% di probabilità di accedere a un liceo, contro l’8% di chi ha chiuso le medie con un modesto «sufficiente». «Per essere efficace - sottolineano su queste basi da AlmaLaurea - l'orientamento deve intervenire fin dalla formazione primaria, altrimenti le politiche per il diritto allo studio nei percorsi scolastici successivi rischiano di rivelarsi prive di effetto». gi°nni.trovoti@ilsole24°re.com ___________________________________________________________ MILANO FINANZA 12 dic. ’09 SULLA LUISS TRAMONTA IL SOLE Marcegaglia, leader di Confindustria, e Montezemolo hanno trovato un accordo sulla presidenza dell'università romana. Spetterà al presidente uscente. Ma quello in carica potrà avere mano libera sulla parte editoriale SCONTRI di Roberto Sommella e per qualcuno la Bocconi è la madre di tutti i sapientoni, la Luiss è una potente lobby di cervelloni. Attualmente molto in ebollizione. Per via di un braccio di ferro neanche troppo strisciante tra il presidente della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali, Luca Cordero di Montezemolo e il leader di Confindustria, Emma Marcegaglia, che di quell'ateneo intitolato a Guido Carli è il legittimo azionista di riferimento. Il motivo del contendere, suffragato anche da un irrituale quanto incauto editoriale del direttore generale dell'Università, Pierluigi Celli, sull'ineluttabile fuga dei cervelli dall'Italia, è il leit motiv da qualche mese nei salotti contano dai Parioli alla milanese via Pantano, dove ha sede l'Assolombarda. La battagliera Marcegaglia reclama per sé la poltrona che da sempre spetta al numero uno di viale dell'Astronomia, ma il presidente della Fiat non si muove. Anche perché al momento dell'insediamento al vertice nazionale degli imprenditori nel 2008 fu proprio la figlia di Steno a insistere perché Montezemolo restasse al suo posto. Ora la situazione è cambiata. Per una serie di concause. Da un po' di tempo, complici la recessione, una certa fronda interna, che va dalle grandi aziende passando per i mal di pancia in alcune organizzazioni locali di peso come Assolombarda e Confindustria Veneto, senza contare il fronte Sole 24 Ore, orfano del suo ad Claudio Calabi, la Marcegaglia si sente accerchiata. E la tentazione di ribaltare il tavolo, a cominciare dalla Luiss, è grande, raccontano alcuni esponenti della Giunta. Tanto che lo stesso Montezemolo, giusto qualche settimana fa avrebbe confidato agli amici più fidati: «Non capisco che succede, prima Emma mi chiede di restare e poi cambia idea. Senza un chiarimento io me ne vado». Un messaggio molto chiaro che sarebbe stato recapitato alla diretta interessata dai pontieri amici del past president. E il richiamo sarebbe andato a buon fine, con conseguente cambiamento di rotta di Emma. Secondo quanto risulta a MFl Milano Finanza, gli uomini più autorevoli che gravitano intorno al leader di Confindustria, a cominciare dal suo potente vice, Alberto Bombassei, ' sarebbero riusciti a convincerla della bontà di una proposta nata nell'ambito del club degli amici della Luiss (Giuliano Amato, Luigi Abete e Aurelio Regina, presidente degli industriali romani, che giusto venerdì 11 dicembre ha ospitato per la Messa di Natale il Segretario di Stato del Vaticano Tareisio Bertone). Di che si tratta? Semplice: cambiare la regola che prevede la convergenza delle due poltrone in unica figura, quella del presidente di Confindustria, con un emendamento degno di Gianni Letta. E cioè stabilire che a guidare l’Ateneo, che a primavera dovrà rinnovare i propri organi sociali, sia il presidente uscente e non quello entrante. Una soluzione - sponsorizzata da un bel numero di imprenditori - che lascerebbe Montezemolo al suo posto, garantendo peraltro alla Marcegaglia una carica di prestigio una volta lasciata la stanza dei bottoni. Anche di questo si sarebbe parlato in un summit che si è tenuto mercoledì 9 dicembre nella foresteria di Via Veneto tra i vertici confindustriali. Un autorevole esponente degli imprenditori romani crede che l'accordo sia a prova di bomba. «L'ultima volta che la Luiss è stata retta da una persona diversa dal leader degli industriali è stata sotto la presidenza D'Amato, quando all'Università andò Luigi Abete. Fu una soluzione che garantì equilibrio. Non scordiamoci che la lobby del liceo Massimo (lo storico istituto romano che annovera tra i suoi ex studenti gente del calibro di Montezemolo, Draghi e Abete, ndr) è sempre stata di ferro», ragiona l'industriale. Insomma il patto dell'Immacolata prevede la Luiss a Montezemolo e la scelta dei nuovi assetti de Il Sole 24 Ore a Marcegaglia. E c'è chi giura che il leader degli industriali lo stia già mettendo in pratica. Con una doppietta a effetto: Luca Maiocchi nuovo amministratore delegato del quotidiano salmone e Cesare Bernini, brillante dg di Confindustria Bologna, possibile sostituto del suo omonimo nazionale, Giampaolo Galli. ____________________________________________________________ Corriere della Sera 5 dic. ’09 IL VALORE DELLA LAUREA BREVE E IL COMPORTAMENTO DEI DOCENTI Sono una studentessa di laurea specialistica alla Cattolica, molto contenta di aver scelto questa università invece della Bicocca soprattutto dopo aver assistito lì alla proclamazione della laurea triennale in Economia di un amico. In questi anni ho assistito alla cerimonia di laurea breve di molti amici nelle varie università di Milano, ma da nessuna parte l' ho visto così sminuita e gli studenti così presi in giro. Questo tipo di cerimonia è più che altro una formalità, dato che la tesi non viene discussa e lo studente viene semplicemente proclamato dottore dalla commissione. Nonostante ciò, per i familiari e lo studente è un momento importante che pone fine a un percorso impegnativo. Al Politecnico lo studente riceve il diploma con la lode dei commissari per l' importanza del traguardo raggiunto. Alla Cattolica, lo studente viene proclamato «dottore» in una cerimonia collettiva, in cui il titolo di tesi viene citato e lo studente encomiato. Ciò non avviene o non è avvenuto nella cerimonia a cui ho partecipato alla Bicocca. Il preside di commissione ha esordito dicendo che la laurea triennale è equiparabile a un diploma di maturità e, invece di proclamare i candidati «dottori», ridendo li proclamava «mini laureati» o «laureatini». Ha anche ridicolizzato alcuni studenti che hanno impiegato più di tre anni a laurearsi, dicendo frasi come «ah... ma sei invecchiato, quando ti sei iscritto non avevi ancora la barba ma ora guardati...». L' intento era forse quello di incitare gli studenti a continuare gli studi e forse voleva fare lo spiritoso, in realtà io e alcuni familiari e amici l' abbiamo trovato un atteggiamento dispregiativo. Eppure il momento ha la sua importanza, soprattutto per chi non ha l' opportunità di proseguire gli studi. È un giorno di festa nel quale amici e parenti prendono permessi dal lavoro per poter assistere. Se la triennale è così uno scherzo, allora perché non abolirla? Chiara Altamura Forse si stava meglio quando si stava peggio. La laurea triennale era stata introdotta per velocizzare il cursus honorum degli studenti italiani penalizzati rispetto a quelli stranieri pronti per il lavoro almeno un anno prima. Il risultato è pero stato per lo più il contrario perché, crisi o non crisi, con una laurea triennale a stento si viene ammessi a un colloquio, per cui la maggioranza degli studenti è stata indotta a scegliere la specialistica, cinque anni di studio, cioè, invece dei quattro del vecchio ordinamento. Se però ora perfino i professori «schifano» ufficialmente la laurea triennale, forse meglio davvero abolirla. ibossi@corriere.it Bossi Fedrigotti Isabella ___________________________________________________________ TST 9 dic. ’09 CHI BEFFA DARWIN FA LA FAME Così le cantonate sulla genetica distrussero l'agricoltura sovietica Giorgio Celli UNIVERSITA' Di BOLOGNA Fu nell'estate del 1948, nel corso di un convegno sulla genetica tenuto all'Accademia Lenin, con l'autorevole presidenza dello stesso Stafin, che la bomba innescata da T. Lysenko, un botanico che si occupava di ricerche agronomiche, esplose con fragore. Atteggiandosi a profeta di una nuova religione, e in termini scientifici come Pl’annunciatore di un nuovo paradigma, il nostro Lysenko sbugiardava come fallace, nonché borghese, la genetica di Mendel e di Morgan, dichiarando di aver dimostrato, prove alla mano, che i cromosomi non c'entravano per nulla nella trasmissione dei caratteri ereditari. Si trattava, per lui, di tutt'altra faccenda. IL VIVAISTA DILETTANTE Dal canto suo, si dichiarava allievo e continuatore delle idee di un certo Mithehurine, un vivaista dilettante, che, lasciato il suo posto di funzionario delle ferrovie, si era dedicato all'allevamento delle piante orticole e frutticole, conseguendo in Russia una fama paragonabile a quella di Burbank negli Stati Uniti. In accordo con questo dilettante d'ingegno, morto una quindicina di anni prima, Lysenko chiamava in causa Darwin, ritenendolo, in forza del suo materialismo, un biologo eminente, che però andava riletto e reinterpretato per porlo in armonia con il marxismo leninismo. In questa rivisitazione, Lysenko era stato affiancato da un filosofo di regime, certo Prezent, autorevole in Rassil ma del tutto sconosciuto altrove. In primo luogo, quella lotta per la vita che Darwin aveva posto come la condizione prima dell’evoluzione, era, secondo Lysenko e il suo mentore filosofico, una proiezione nella Natura della competizione tra gli individui della società capitalista, mentre nei Soviet, dove si praticava il gioco di squadra, le faccende in Natura andavano ben diversamente. Purtroppo, gli errori scientifici, se passano nella pratica, si rivelano devastanti, e cosi, in forza delle sue convinzioni, Lysenko consigliava, nella fondazione di un bosco di querce, di fare dei nidi con diverse ghiande, perché si sarebbero aiutate tra di loro. Mentre, come si sa, ogni ghianda sarebbe entrata in competizione per le risorse idriche con le altre, mandando tutto in malora. Sembra che molti boschi in formazione siano stati colpiti da questa calamità ideologica In secondo luogo, Lysenko riteneva che il passaggio da una razza all'altra, o addirittura da una specie all'altra, non essendo legata ai cromosomi, né alla selezione naturale, avvenisse attraverso delle mere trasformazioni fisiologiche, con salti che non esito a definire dialettici. Al gradualismo darwiniano Lysenko opponeva un saltazionismo facilmente identificabile come rivoluzionario. La dimostrazione della attendibilità di questa revisione di Darwin l’aveva, secondo lui, ottenuta attraverso il fenomeno della vernalizzazione. Il grano invernale, più produttivo di quello primaverile, è però soggetto alle avversità della cattiva stagione e quindi non sarebbe meglio seminarlo in primavera? E allora, perché non trasformare l'uno nell'altro? Semplice. Si sottopongono i semi appena germogliati dà grano invernale a una temperatura molto bassa, con un certo tenore di umidità, ed ecco che possono essere immessi a dimora in primavera. Perlomeno, era quel che Lysenko millantava: in realtà il disastro dell’agricoltura sovietica è legato in gran parte al fatto che quei semi, trasformati dialetticamente, marcivano, o davano, al contrario delle aspettative, una scarsissima produzione. Una prova sussidiaria che Lysenko portava a suffragio del suo darwinismo marxistaleninista, e che aveva finito per somigliare a un Lamarckismo in piena regola, era il fenomeno dei cosiddetti ibridi d'innesto. I vivaisti sanno benissimo che, quando si innesta il frammento di una pianta su di un'altra, di diversa specie e varietà, ciascuna delle parti mantiene la propria individualità, mentre Lysenko, e qui non si sa proprio su quali basi sperimentali, riteneva che si formasse un organismo intermedio. A ulteriore suffragio, per lui, che i cromosomi non c'entrassero per nulla, ma che la fisiologia e l'ambiente fossero i veri registi dell'evoluzione. Si pensi, per converso, al caso dell'innesto della vite europea su piede americano, fatto per evitare che le infestazioni di un insetto pernicioso, la fillossera, devastino i vigneti. Si tratta di una pratica che, protratta ormai da più di un secolo, non ha mai visto comparire questi ibridi fantasmi! Gli altri finiti nei qulaq Il successo di Lysenko nell' Urss, malgrado tutte le sue cantonate, che si sono rivelate catastrofiche per l’economia sovietica, è stato determinato dall'appoggio prima di Stalin, poi di Kruscev, ben felici che la scienza confermasse il punto di vista marxista-leninista. Ahimè, gli scienziati, come Vavilov che hanno tenuto duro nel difendere la genetica classica, sono finiti dritti dritti nei gulag. Scambiare la filosofia, o la teologia, con la scienza, ha sempre portato a processare Galileo e a proporre di insegnare la Genesi al posto dell'Evoluzionismo nelle scuole. ___________________________________________________________ MF 8 dic. ’09 CELLI DIRIGE LA LUISS MA CONOSCE MOLTO POCO DELL'ECONOMIA Pierluigi Celli è nei fatti il manager che più conta negli orientamenti della Luiss, l'università privata che fa capo alla Confindustria e che ha nelle scienze economiche la sua specializzazione storica. Nei giorni scorsi con una lettera aperta ha invitato il figlio - e con lui tutti i giovani di buona volontà - ad abbandonare l'Italia per cercare lavoro altrove, in altri Paesi più meritocratici e dinamici. La lettera, pubblicata da un quotidiano romano, ha provocato numerose reazioni contrarie, alcune rivolte anche in modo violento. AI punto che Celli, ex direttore generale della Rai ed ex capo della comunicazione di Unicredit Group, ha sentito la necessità di «chiarire e spiegarsi meglio» con una nuova lettera affidata alle stampe. Che, per la verità, ha convinto ancor meno. Sia chiaro, ognuno pensa e scrive ciò che ritiene giusto e fin quando ci sarà un editore disposto a pubblicare le sue meditazioni, fa bene a farlo. E tuttavia, da un supermanager di una struttura specializzata a produrre e insegnare conoscenza economica ci si aspetterebbe maggiore preparazione sui fondamentali della disciplina. Nel caso dell'invito formulato da Celli, tralasciamo il fatto - che pure non è irrilevante - che le statistiche indicano come nella parte più sviluppata dell'Italia i giovani abbiano opportunità analoghe a quelle dell'Eurozona; consideriamo invece i possibili effetti di medio termine sulla competitività di un Paese di migrazioni consistenti di capitale umano specializzato. Ebbene, da anni gli economisti che studiano le cause del sottosviluppo hanno individuato nell'incapacità di saper trattenere i laureati come uno dei principali fattori di impedimento dello sviluppo endogeno dei Paesi più arretrati. Una battuta che circola a Washington tra i principali studiosi dello sviluppo economico aiuta a mettere a fuoco il problema: ci sono più taxisti laureati nella capitale americana che in qualsiasi altra capitale del mondo. Sono laureati che si sono formati in Etiopia, Kenya oppure in Nigeria e che preferiscono tentare la fortuna negli Stati Uniti partendo dal basso piuttosto che cercare un lavoro meno pagato nel loro Paese. Gli Stati Uniti guadagnano dallo scambio: hanno a disposizione i migliori laureati africani con zero rischi e costi modesti e nella peggiore delle ipotesi si ritrovano taxisti ultra qualificati. I Paesi africani e il loro capitale umano sopportano tutto il rischio della vicenda: si privano di risorse strategiche per aiutare la crescita e non hanno mezzi per importarne delle altre e, nel caso in cui i loro laureati abbiano successo all'estero, non incassano nessun dividendo fiscale o di altra natura. Insomma, la fuga dei laureati è la peggiore trappola che un'economia possa conoscere. Peggio, molto peggio della fuga dei capitali perché ritrasferire un conto bancario è fattibile con un click o poco più, mentre un cervello difficilmente ritorna alle origini. Sollecitare in massa i giovani ad abbandonare il proprio Paese significa innescare la spirale del sottosviluppo e condannare la maggior parte dei giovani ad avere ancora meno opportunità in futuro. Ed è evidente che, con una economia declinante, la qualità prospettica delle università italiane sarà ancora meno competitiva. Ma a quel punto Celli starà godendo le sue molteplici pensioni, maturate (in Italia) nel settore pubblico allargato, facendo base in qualche Paese sottosviluppato ma con un buon clima e prezzi naturalmente low cost. La fuga dei cervelli implica solo costi per il Paese dal quale i talenti ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 dic. ’09 L'ALGORITMO DI SAN TOMMASO Nelle teorie del teologo c'erano già le basi della semantica applicata all'informatica DIFEDERICO FERRAZZA E CATERINA VISCO La semantica applicata all'informatica vorrebbe un computer capace di interagire con te in quanto te; un computer in grado di conoscere i tuoi gusti, i tuoi (possibili) interessi, il tuo lavoro. Insomma, qualcosa di non vivente ma che - in alcuni casi - si comporta come se lo fosse e - soprattutto -qualcosa capace di sapere chi hai fronte in un preciso momento. Per farlo deve saper accumulare tutte le informazioni che gli vengono date ogni volta che si usa il computer. Un motore di ricerca semantico, per esempio, è dunque capace di comprendere se la persona che sta cercando Leopardi lo sta facendo perché gli interessano gli animali oppure perché è a caccia di informazioni sul letterato. Nel secondo caso, quindi, i risultati porterebbero direttamente alle «Operette Morali» o allo «Zibaldone», senza costringere a spulciare tra migliaia di siti sulle macchie dei felini. Per far questo, il motore di ricerca deve ricalcolare ogni volta l'algoritmo necessario a identificare l'utente con cui interagisce, in base al contesto e alle informazioni che gli vengono date. Gli algoritmi (procedimenti che il software svolge per realizzare un'azione, ma sono formalizzati in termini matematici) sono di ordine sempre più alto man mano che il contesto si allarga e aumentano le informazioni necessarie a definire l'utente. Un conto è se mi interessa la vita di Giacomo Leopardi: ma se sono appassionato solamente delle sue opere giovanili, le tecnologie semantiche devono essere in grado di contestualizzare meglio i risultati delle mie ricerche. Bene: alla base di tutto questo costante lavoro di riaggiornamento, fondamentale per la prossima rivoluzione informatica che stravolgerà la relazione tra essere umano e computer, non c'è il frutto del lavoro degli ultimi anni. Ma è stato teorizzato ben 800 anni fa da San Tommaso (Tommaso d'Aquino), anche se forse chi lavora allo sviluppo delle tecnologie semantiche neanche lo sa. «Verso la metà del 1200 San Tommaso - filosofo, matematico e pensatore tout court-ebbe una felice e astuta intuizione: se definire univocamente un individuo tra tutti i possibili esistenti individui è praticamente e formalmente impossibile, forse è molto più semplice e utile trovare fecceitas - la caratteristica che definisce univocamente un soggetto, che sia un singolo individuo o una comunità - in un contesto finito», spiega monsignor Gianfranco Basti, docente di filosofia della natura e della scienza e decano della Facoltà di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. Non serve dunque, secondo San Tommaso, cercare e trovare quell'unica caratteristica che definisce un soggetto rispetto a tutti nell'universo, perché in fondo non è quasi mai utile definire una persona in un contesto particolarmente ampio. Quindi basta prendere in considerazione il contesto definito in cui si agisce e trovare una caratteristica che è sufficiente rispetto a esso. Quando il contesto cambia, si cerca una nuova caratteristica o se ne aggiunge un'altra per migliorare la definizione. Per capire meglio cosa aveva in mente San Tommaso, monsignor Basti ci fa un esempio: «Se io dico "L'uomo è un animale razionale", questa è un'ottima definizione che però non mi esaurisce tutto fecceitas dell'essere umano, visto che chissà quante altre caratteristiche possiede. Tuttavia in un determinato contesto questo mi basta per definirlo. Se arriva un extraterrestre però, anche lui può essere un animale razionale, quindi questa definizione non è più sufficiente perché non identifica più univocamente la specie umana. Cosa si fa allora? Si torna nel soggetto e si ridefinisce meglio la caratteristica: animale razionale terrestre. Il marziano diventa un animale razionale di Marte, e così via: ci sono gli uomini che vivono sottoterra? Io allora definisco animale razionale terrestre di superficie e animale razionale del sottosuolo». La caratteristica può essere dunque costantemente riaggiornata. E un processo che avviene continuamente: quando si conosce una persona, per esempio, il quadro che ci si fa di essa viene costantemente arricchito man mano che la conoscenza sì approfondisce e aumentano le informazioni su di lei. Può un computer fare la stessa cosa? «Un computer alla cui base ci sono delle tecnologie semantiche è un computer che ha risolto in questo modo il problema della referenza singolare, che è sempre in modalità di e- learning e che sa acquisire le caratteristiche di un soggetto in modo sempre più preciso man mano che ce n’è bisogno: man mano quindi che il contesto - che deve comunque essere definito e finito-cambia», conclude monsignor Basti. Non è sufficiente, però, solo che il computer sappia cosa si vuole trovare, serve anche una rete riorganizzata ad hoc, in cui ogni contenuto sia archiviato in un sistema semantico, ovvero tenendo conto del suo contesto e del suo significato. C'è quindi da ridefinire alcuni elementi chiave di internet. Ma questo è tutto un altro problema. E San Tommaso non se fera posto. Don Gianfranco Basti è noto nel campo delle reti neurali: è stato ricercatore al cnr e all'infn ___________________________________________________________ Repubblica 10 Dic. CACCIA PUNTERUOLO ROSSO PAOLO RUMIZ Attenti, è ricercato per strage, il suo non è un identikit qualunque. Nome: Rhynchophorus. Cognome: Ferrugineus. Ordine: coleoptera. Famigerato nome comune: Punteruolo rosso. Provenienza: Sudest asiatico. Segni caratteristici: livrea vermiglia e rostro simile a un grande naso, da cui il nome. Capi d'imputazione: sterminio del paesaggio italiano. È l'incubo di scienziati e amministratori: sta eliminando la palma delle Canarie -Phoenix Canariensis- la più diffusa in casa nostra. L'ammazza mangiandola da dentro, fino a morderne la gemma apicale, il suo cuore segreto. Ha fatto danni immensi: 20 mila piante abbattute e altrettante malate, con rischio di estinzione della specie. È onnipresente: in cinque generazioni una coppia diventa cinquanta milioni di individui. Stati d'immigrazione in Italia: Egitto e Spagna. Prima comparsa sul suolo nazionale: Acireale, anno 2005. Diffusione attuale: Napoli, Lazio, Puglia, Sicilia e gran p arte delle e coste della Penisola, con forte stato d'allerta tra Costa Azzurra e Liguria. Palermo, dicembre, vento leggero sul lungomare del Foro Italico. Passeggiare sotto le palme delle Canarie dopo quattro anni di pestilenza è come passare in rassegna un plotone di granatieri dopo una battaglia. Da quando il divoratore è stato segnalato sul - l’isola, è cambiato tutto. Le più monumentali delle palme sicule sono malate, morte o rinsecchite. All'inizio si è tentato di resistere; nessuno si rassegnava. Oggi è la resa: in regione si sono abbattute 12 mila piante, alcune migliaia sono state dichiarate infette, un patrimonio di 100 mila esemplari è a rischio. Ville private, giardini e parchi pubblici sano segnati da ceppi decapitati, e un carrozzone di 27 mila addetti al verde sta imparando ad affrontare il nemico numero uno da Trapani a Capo Lilibeo. Marsala è trasfigurata, Catania fa pena. Persino Pantelleria è in sofferenza: lo stilista Giorgio Armani ha dovuto attrezzarsi con una scorta di antiparassitari e un giardiniere specializzata nella sua tenuta, dodici mesi su dodici. A Palermo la direzione del verde pubblico si ammazza di lavoro per salvare il salvabile: piani e protocolli di abbattimento, monitoraggio dei giardini, interventi chirurgici almeno sulle piante più belle, i patriarchi, gli emblemi della città. I privati, nelle residenze di Mondello, irrorano costosi antiparassitari; il grandioso viale d'accesso di villa Tasca costeggiato di palmizi tiene botta solo con potenti veleni. Ma il grosso muore. I sei "monumenti" che facevano la guardia al palazzo dei Normanni non ci sono più. Fusti denudati, vuoti improvvisi che cambiano lo skyline siciliano. Alle case comincia a mancare ciò che da sempre le segnalava da lontano la palma. Dopo il cemento, la distruzione degli agrumeti e degli orti, è un altro pezzo della vecchia Palermo che scompare. Certo, si salvano le altre palme. Quella da datteri (la più antica, importata da Federico II imperatore) tiene duro, la Washingtonia pure, nel magnifico parco di Villa Giulia sono ancorali, esili e misteriosamente intatte nonostante guerre, cicloni e pestilenze, ma proprio la "Canariensis"- la più robusta della specie-muore. In città non si parla d'altro; il maledetto Rhynchophorus pare aver cambiato la vita della gente, è diventato il secondo argomento di conversazione dopo il calcio. «In un Paese dove tutti sono allenatori, tutti si proclamano esperti di botanica, sicuri di avere il rimedio giusto», sorride Antonio Motisi, professore di culture arboree. Gli arrivano raffiche di telefonate: nessuno si dà pace, perché le palme - importate nell'Ottocento, a loro volta immigrate - sono anche un simbolo identitario; e così ecco sbucare maghi, guaritori e imbroglioni, pronti a offrire pozioni miracolose. Le scuole hanno adottato ciascuna una trappola per catturare il killer, e quando il colpo riesce vanno in gita a vedere. E intanto la Regione Sicilia ha dichiarato l'emergenza per salvare il salvabile. In fretta, perché tutto è successo a una velocità da paura. La peste degli olmi arrivò con le casse di munizioni dell'esercito americano e nel dopoguerra sterminò gli" alberi degli zoccoli" di mezza Italia. Stessa provenienza bellica per il Seridium Cardinalis, che mise in ginocchio i cipressi alti e stretti di carducciana memoria. La farfallina che ancora si mangia gli ippocastani sbarcò via mare col legno esotico degli antiquari. Ma questa è niente. Oggi la velocità d'immigrazione di insetti e parassiti alieni aumenta in modo esponenziale. Se la zanzara tigre è immigrata attaccandosi ai pneumatici, il punteruolo oggi sbarca dagli aerei, si annida negli aeroporti come le influenze. «Ce l'hai davanti appena esci dallo scala di Fiumicino, nel giardinetto sotto la rampa dei treni - racconta l'entomologo Stefano Colazzauna dozzina di palme morte e mezze morte». E poi - sarà magari un caso -te lo ritrovi segnalato da altre palme agonizzanti dimenticate a ogni fermata del trenino per Roma. Trastevere, Tuscolana, Magliana. Intanto lui fa autostop e viaggia come un matto. in tre anni è entrato nelle mura dell’Italia e s'è mangiato i più bei parchi della città. É il segno biblico di una mutazione globale che tutto rimescola, sconvolge clima e qualità dell'aria. Ora il Paese non ha più a che fare con malattie, ma con ecatombi, e quelle ecatombi portano allo scoperto eserciti invisibili, interi popoli dai complicati nomi latini venuti da terre lontane. L'Ips Typographicus, che cambia i connotati all'Appennino divorando gli abeti rossi. L'Amoplaphora Chinensis, che devasta la Lombardia e stermina querce, betulle, aceri, carpini. L'Eriwinia Amylovora, specialista nel micidiale "colpo di fuoco batterico" ai danni dei peri. E poi il Cnrinen, che attacca ciliegi e albicocchi, la Carpocapsa incubo dei produttori di mele, il Ragnletis del noce che si annida non si sa perché negli olmi del Vicentino, e il Cerarnbix Cerdn che fa ammalare i lecci. Arrivano in continuazione, a ondate. Qualcuno si fa persino annunciare, come la nuova malattia degli ippocastani che fa strage in Gran Bretagna, e tiene in allarme i fitopatologi dalla Normandia allo Jutland. S'è provato di tutto. Chirurgia (asporto di parti malate), trappole, riscaldamento per cuocere le larve, iniezioni di antidoti nel fusto, irrorazione chimica a pioggia, immissione di criorganismi- detti nematodi-capaci di diventare parassiti del parassita. Funziona così così, per un po'. Ma appena si smette, il divoratore ritorna. Così s'è capito: non c'è alternativa all'abbattimento con triturazione del fusto e all'impianto di robusti cordoni sanitari; un po' come in Israele, dove hanno fatto sul serio e si eliminano le piante sane per un miglio attorno ai focolai d'infezione. Ora anche la Sicilia ha scelto le soluzioni drastiche. Ma s'è aspettata troppo, lamenta da Catania Santi Lungo, entomologo impegnato sul fronte. Non abbattere, dicono gli esperti, è stato come discutere dei rimedi della peste lasciando per terra il cadavere dell'appestato. Claudio Cologriesi, perito agrario modenese, toglie ogni illusione: «Non c'è modo di beccare il killer prima che entri nella pianta» Quando te ne accorgi, é tardi. «Era meglio una profilassi preventiva», girano il coltello nella piaga quelli dell'Arbotec di Bergamo, che hanno in gestione anche i giardini vaticani. Mutazione biblica s'è detto. Fino a ieri gli orti e i giardini erano figli della pazienza: oggi, in vece, nessuno vuole più aspettare. Si trasportano e trapiantano ulivi secolari, monumenti botanici, e cosi accade per le palme. I ricchi la vogliono subito al massimo della grandezza, di pronto effetto, davanti alle loro ville. «Così sbucano i faccendieri che rifilano piante malate, spacciate come nate in vivaio e in realtà venute da chissà dove , e queste fatalmente diventano come gli untori nella peste del Manzoni», racconta Claudio Littardi, quotatissimo difensore del verde pubblico a Sanremo. Un mix micidiale di fretta, vanità e malaffare. E non c’e’ difesa aggiunge Maria Teresa Salomoni, ricercatrice del Cnre collaboratrice della rivista Acer, specialista del verde italiano, «anche perché i cordoni sanitari e i controlli doganali fanno acqua da tutte le partì». Non é affatto semplice, per i servizi fitosanitari (sempre più trascurati dal potere), assumersi la responsabilità di bloccare un container di materiali deperibili per un semplice sospetto, e poi strappare il tempo necessario a fare le verifiche. Gli operatori, per poter lavorare, devono assicurarsi contro danni a terzi e la mano pubblica copre solo una parte della spesa. Un lavoro difficile, ai limiti del volontariato. Come fermare un'alluvione con un argine di sabbia. In Sicilia, li al centro del mare più trafficato del mondo, a due passi dal Nord Africa, non c'è "ronda" che tenga. All'università di Palermo mostrano un filmato impressionante. La bestia entra attraverso le ferite della pianta, e da quel momento non esce più. Un clandestino perfetto, che buca le frontiere, ignara le leggi di Schengen, viaggia di nascosto su tutto quello che trova e poi scompare dagli schermi-radar per divorare la casa che lo ospita. Lo vedi creare un focolaio di fermentazione, un brodo che si riscalda e che, in presenza di una quantità illimitata di cibo, linfa prolificare al riparo dagli animali antagonisti. Allora non c'è più niente da fare. Non è come la Cameraria degli ippocastani, diventata familiare agli uccelli che hanno imparato a cibarsene. Tutto avviene "underground", sottopelle. Si forma a larva, il bozzolo e così l'inquilino isolato diventa un esercito. «Palme di Palermo, possiate essere abbeverate di continuo da flussi di pioggia - scrisse otto secoli fa l'arabo Abd Ar Rahman a proposito del parco di Favara Maredolce - . prosperate e offrite ripara agli amanti... alle sicure ombre vostre regna inviolato Farnore». Echi di un Eden perduto. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 dic. ’09 CHIP ESTREMI DI GUIDO ROMEO AL Cern fisici e informatici li spingono oltre il limite per disporre di potenze di calcolo senza precedenti. Un test prezioso prima di accedere ai mercato di massa Un vero e proprio diluvio di informazioni che già oggi occupa 34 Petabyte di memoria su 42.600 unità a disco e oltre 45mila cartucce a nastro. Una massa di dati che il centro dove Tim Breners Lee ha concepito e sviluppato il web sta già distribuendo in tutto il mondo grazie al Wlcg, il Worldwide Lhc Computing Grid, una rete di oltre 160 centri di calcolo avanzato organizzata su tre livelli in 34 diversi paesi, dove i fisici di tutto il mondo analizzeranno le collisioni dell'acceleratore. «La partnership con i ricercatori dell'Lhc è stata una vera e propria sfida - osserva Christian Morales, vicepresidente marketing di Intel - perché i fisici sono estremamente esigenti e continuano a chiederci tecnologie più sofisticate e nuove architetture per aumentare l'efficienza». Il tipo di calcolo richiesto dalla fisica delle particelle necessita di stoccare moltissimi dati e poterli recuperare rapidamente, sia localmente sia da località remote. «A pieno regime, il computer center del Cern arriverà a 600mila routine al giorno - spiega Sverre Jarp, Cto dell'OpenLab - con alcune di durata fino a sei ore su un singolo core. Si tratta di un impiego che mette veramente a durissima prova il singolo core, il nucleo del processore e per questo ci interessa molto quello che si può fare con i nuovi processori multicore, anche in termini di risparmio di energia». Il lavoro dell'OpenLab racconta anche come sta cambiando il rapporto tra industria e ricerca di base. Se quest'ultima una volta era il committente dei grandi sistemi mainframe che hanno permesso all'industria informatica di svilupparsi, oggi il rapporto è molto più articolato. «La potenza di calcolo raddoppia due volte l'anno - osserva Jarp - e i sistemi cambiano con una rapidità tale che, paradossalmente, c’è pochissima visibilità sui processori che avremo a disposizione tra 10 anni. Ricordo ad esempio, che nel 1999 non si parlava nemmeno di multicore, mentre oggi questi sono al centro del nostro lavoro». Di fatto è il mercato di massa a guidare l'evoluzione dei chip e a imporre le architetture dei processori. Un ribaltamento benvenuto perché i grandissimi volumi richiesti da settori come l'informatica di consumo e soprattutto i videogame hanno fatto implodere i costi della potenza di calcolo, con benefici che hanno investito tutti i settori della ricerca scientifica, dalla fisica al sequenziamento dei genomi e alla farmaceutica, fino al cloud computing per le applicazioni business. Per questo all'OpenLab già si pensa a come utilizzare le schede grafiche sempre più potenti e a basso costo che l'industria It sta producendo. I benefici della collaborazione sono già consistenti sul fronte dell'efficienza e del risparmio energetico. Il passaggio ai processori quad-core di Intel varato dal Cern a fine 2006 ha aperto una serie di sperimentazioni che hanno mostrato risparmi fino al 36% sul fronte delle prestazioni per Watt rispetto al predecessore E5410. «Il Cern è un po' come la Nasa, solo più ambizioso nelle sue richieste ed è stato un grandissimo driver di innovazione - osserva Sergio Bertolucci, direttore della ricerca del Cern; basti pensare ai 10mila magneti sviluppati per indirizzare il fascio di particelle dell’Lhc, una tecnologia che non esisteva finché non abbiamo chiesto di progettarla. Questo stimolo ha funzionato molto bene per le grandi industrie, ma ci sono molte opportunità da cogliere anche per le Pimi. Un esempio è la Cecom di Frascati, che grazie al suo coinvolgimento nell'Lhc è diventata leader nelle tecnologie del vuoto» You make it, we break it. Voi lo costruite e noi lo sfasciamo è il motto al Cern OpenLab, il laboratorio dove fisici e informatici spingono al limite estremo chip, architetture e software per capire come migliorarne le prestazioni di calcolo e l'efficienza energetica. Un contributo prezioso che aiuta i ricercatori impegnati negli esperimenti del mega acceleratore Lhc a disporre di potenze di calcolo senza precedenti, ma che, in modo inatteso, trasforma i chip prodotti per il mercato di massa di pc e videogame nei motori della ricerca. Ai produttori di microchip come Intel, che collabora con il Cern dal 2006, il lavoro dell’OpenLab fornisce indicazioni preziose per identificare i colli di bottiglia dei nuovi sistemi prima che vengano messi in commercio ed elaborare soluzioni d'avanguardia su compiler e driver che fanno funzionare i processori. «In realtà non sfasciamo nulla nel senso letterale del termine - sottolinea Wolfgang von Rueden - anzi, dopo la riaccensione dell'acceleratore possiamo addirittura dire che se qualcosa si rompe sappiamo come aggiustarla. Ma è vero che mettiamo a durissima prova tutto ciò che ci mettono tra le mani». Per capire quanto può essere dura la vita di un microchip nel centro di calcolo del Cern basta guardare al flusso di dati prodotto dall'acceleratore. A pieno regime, tra qualche mese, i rivelatori dei suoi quattro esperimenti principali scatteranno 140 milioni di immagini al secondo per immortalare le collisioni tra particelle, in grado di raccontare cosa è avvenuto quasi 14 miliardi di anni fa al momento del Big Bang e che si spera regalino più di un Nobel nei prossimi anni. ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 dic. ’09 PRIVACY GARANTITA DA POCHI QUBIT Che differenza c'è tra un computer e un buco nero? Niente paura, non si tratta di un allarme come quello paventato fanno scorso all'avvio dell'acceleratore Lhc del Cern, ma le differenze non sono moltissime. Almeno se la vostra idea di computer assomiglia a quella di Seth Lloyd, fisico al Mit di Boston, dove con la sua équipe oggi è arrivato a costruire uno dei computer quantistici più avanzati del mondo. Il primo a pensare che fenomeni della meccanica quantistica come la sovrapposizione degli effetti e l’”enteglement" osservato dagli astrofisici nei buchi neri si potessero utilizzare per il calcolo ottenendo potenze ancora oggi impensabili fu Richard Feynman all'inizio degli anni 80, ma la ricerca ha fatto grandi passi avanti. Nei laboratori del Mit i quantum bit o "qubit" stanno già prendendo il posto dei bit che utilizzano i pc e i supercomputer che conosciamo. «Abbiamo cominciato una decina di anni fa con sistemi molto semplici, di appena pochi qubit - spiega Lloyd, spesso in Italia per partecipare a eventi come il Festival della Scienza di Genova, ma oggi arriviamo a controllare una dozzina di qubit per le applicazioni più generali, mentre per calcoli specializzati, come la simulazione di grandi sistemi quantici, arriviamo oltre il doppio». Lloyd e colleghi hanno dimostrato con successo i principi alla base dei computer quantistici, ma gli ostacoli non sono finiti. «Il design del computer quantistico è ben definito sia dal punto di vista teorico che sperimentale - spiega Lloyd -, ma dal punto di vista scientifico il problema maggiore resta che i qubit sono molto piccoli e instabili. E quando sono stoccati su un singolo atomo possono venire facilmente disturbati, dando luogo al fenomeno di "decoerenza" che provoca la perdita di informazioni. I sistemi di correzione dell'errore quantico oggi esistono, ma sono ancora lontani dal livello di precisione che vorremmo vedere». Il problema della correzione di questi errori è anche un problema tecnologico perché i ricercatori devono arrivare a stabilizzare gli atomi mantenendoli a temperature bassissime con macchine che sembrano un vero rompicapo per un ingegnere, ma per i fisici come Lloyd sono semplicemente "fun". «Un altro problema divertente di questi sistemi è la comunicazione quantica – sottolinea lo scienziato - ovvero come trasferire i qubit da un punto all'altro utilizzando i fotoni della luce». Quello di Lloyd è un settore di frontiera; ma non senza finanziamenti e che già vanta le prime start-up. Il suo laboratorio è sostenuto con circa 1,5 milioni di dollari fanno dalla National science foundation, dalla fondazione Kecke e dalla Darpa, l'agenzia per la ricerca della Difesa Usa. «L'utilizzo commerciale è più vicino di quanto sembra - osserva Lloyd - ad esempio per il web e la crittografia Con un computer quantistico di appena una decina di qubit e un semplice sistema di comunicazione quantistica, si potrebbe garantire una privacy e un anonimato assoluti a tutte le operazioni che voglio fare in rete». ___________________________________________________________ Il Sole24Ore 10 dic. ’09 VIDEOGIOCHI FUORI DAL MONDO L'ultimo trend è detto gamification Ovvero trasferire in rete l'intrattenimento con l’interattività DI SIMONE ARCAGNI Glenn Entis è un personaggio G fuori dal comune, ha una vitalità stupefacente e coinvolgente, co-fondatore della Pdi (Pacific data images), amministratore delegato di Dreamworks Interactive e premio Oscar per la scienza e la tecnica dato dalla Academy of motion pictures and arts, è diventato chief visual e technology office di EA e oggi è partner della società Vanedge Capital, specializzata in investimenti in intrattenimento interattivo e media digitali. L'ho incontrato a Torino e ho potuto intervistarlo a proposito del suo interessante intervento sull'era digitale di cui ha definito alcuni dei trend che la caratterizzano: i «media che divengono digitali», la «banda larga», il «clouding computing», la fase del «consumatore come produttore», il «consumatore come dati di informazione» e la «gamification». Gli chiedo qual è a suo avviso il trend decisivo della nostra epoca, e lui non ha dubbi: «La conversione digitate, perché è il trend fondante, si tratta delle fondamenta da cui derivano tutti gli altri». Anche se il trend che si sta mostrando con maggiore forza oggi è quello che lui chiama «gamification». Gli chiedo allora di spiegarmi meglio cosa intende per gamification... «Si tratta di portare l'impatto dei game fuori dal mondo dei videogiochi. Trasferire nella rete l'intrattenimento attraverso l’interattività... Ebay, Amazon non sono dei game ma funzionano secondo caratteristiche di game perché hanno assunto l'impatto del game design. La gamification è la conseguenza della costruzione del consumatore come produttore e come dati, cioè come fonte di informazioni». Nel suo intervento ha mostrato un'immagine del pianeta con segnate le connessioni internet. La mappa evidenzia la strapotenza del mondo occidentale e il quasi vuoto dell'Africa centrale e di alcune zone dell'Asia... il futuro verso cui orientarsi è chiaro: il pianeta che permetta pari connessioni a tutti. «Sei ottimista?», gli chiedo. «Non è questione di ottimismo, non possiamo chiederci se continuerà lo sviluppo tecnologico, è una domanda assurda, continuerà... allora dobbiamo lavorare perché questo sviluppo costante si trasformi in opportunità. Allora l'Africa è un'opportunità. I media digitali non bilanceranno il potere economico nel mondo, in ogni caso creano opportunità: le grandi compagnie hanno difficoltà a innovarsi così si possono creare opportunità per nuove compagnie e nuovi players». Mi porta l'esempio dell'Italia: «Per l'Italia che non ha una tradizione di videogame, la domanda allora è: l'Italia deve entrare tra i competitor e cercare nuovi videogiochi o non è meglio pensare ad altro? La scommessa futura è la gamification piuttosto che competere sui tradizionali videogame». «Dietro alle novità tecnologiche -continua – si possono celare dei rischi e dei pericoli, è certo, ma io vedo soprattutto le opportunità». Mentre parla dei pericoli penso al clouding che lui ha posto come uno dei trend digitali contemporanei e gli chiedo se questa smaterializzazione non metta a rischio addirittura la nostra civiltà. «Evidentemente - conferma - ma i rischi ci sono stati in ogni epoca. Oggi archiviamo e copiamo informazioni e le mettiamo nel web ma il problema è dov'è il web? Che cos'è il web? Funziona come una biblioteca e un museo ma è immateriale, il problema è la perdita dell'esperienza diretta delle cose e come poter salvaguardare l'esperienza empirica». Eppure «sono un'ottimista più che altro... sono anche un nostalgico, soffro di nostalgia, mi manca il passato, il mio passato personale e quello collettivo, ma rimango un'ottimista, soprattutto perché non abbiamo scelta, il nostro futuro è la tecnologia». Che cosa rappresenta allora meglio la tecnologia dei nostri giorni? «Il web, senza dubbio, eppure non abbiamo un'immagine del web con cui confrontarci. Nell'era spaziale la potente immagine del pianeta visto da lontano è stata un'immagine condivisa, su cui confrontarsi e parlare, ma qual è l'immagine del web?» Ecco che ritorna allora l'immagine del pianeta connesso... «quella è forse la vera immagine della tecnologia oggi». ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 dic. ’09 METROPOLITANA, NEL 2010 SI PARTE Il Ctm ha ottenuto 740 milioni di euro. Oggi un incontro in municipio Già disponibili i fondi: l'anno prossimo il progetto definitivo Venerdì 11 dicembre 2009 Il Ctm è pronto: i soldi per dare il via libera al progetto per la metropolitana cagliaritana ci sono. Oggi un incontro tra Comuni. L 'accordo tra Palazzo Chigi e la Regione, firmato lo scorso 2 ottobre dal presidente Ugo Cappellacci, lo dice chiaramente: i soldi per la metropolitana di Cagliari ci sono. E arriveranno. In tutto 740 milioni di euro, che dovranno bastare per realizzare i 13 chilometri di linea sotterranea (che costerà 500 milioni) e le altre tratte di superficie che collegheranno il capoluogo con l'hinterland. Per completare la rete tranviaria sarebbero stati necessari 320 milioni di euro, come era previsto da un'intesa tra i Comuni interessati e la Giunta di viale Trento. Invece una volta costruito il metrò underground ne rimarrebbero 240. Milione più, milione meno. «Abbiamo 420 milioni in più del previsto: questo significa che riusciremo a portare a termine tutti e due i progetti», dice Giovanni Corona, presidente del Ctm con una dichiarata simpatia per l'ipotesi sotterranea. IL TRACCIATO Il percorso studiato dagli ingegneri del consorzio e approvato dagli spagnoli della Mintra unisce Cagliari e Quartu in 24 minuti. Fermate in piazza Matteotti, piazza Yenne, piazza Garibaldi, via San Benedetto, Pirri, Monserrato, Selargius, Quartucciu e capolinea in via Fiume a Pitz'e serra. Tredici chilometri di rotaie a scartamento ridotto, che potrebbero unirsi facilmente alla rete ferroviaria di Trenitalia. Tradotto: con poco sforzo gli stessi vagoni potrebbero viaggiare fino a Decimomannu. Nonostante la differenza di stanziamento economico per le linee di superficie (l'accordo prevede 80 milioni in meno) che collegheranno la città con la cintura di comuni della provincia, non dovrebbero esserci grossi cambi di programma. In ballo ci sono nove tracciati, che vanno dal prolungamento dell'attuale linea Fds fino a Settimo San Pietro alla linea Monserrato-Aeroporto. Corona assicura: «La rete tranviaria non sarà penalizzata. Al massimo potrebbe venir meno la linea che da piazza Matteotti porterà a Quartu attraverso il Poetto. Ma questo intervento potrebbe essere finanziato con altri fondi, utilizzando veicoli a basso impatto ambientale». MENO TRAFFICO La metropolitana sotterranea ridurrebbe il numero di veicoli che ogni giorno entrano e escono dalla città. Secondo le ultime stime, sono 380 mila in tutto. «Tra via Vesalio, viale Marconi e via Italia si spostano tutti i giorni 120 mila persone. Se solo il 15 per cento di queste prendesse la metro, potremmo raggiungere 60 mila passeggeri al giorno già dal primo anno». E per pareggiare il bilancio ne basterebbero 40 mila. Il progetto definitivo potrebbe arrivare entro il 2010: «Il Ministero ci ha assicurato che i soldi per la progettazione sono disponibili in tempi brevi. Il passo successivo è il bando per la realizzazione. Per gli scavi servono due anni e mezzo. Il primo treno potrebbe partire nel 2015, ma serve la volontà politica per farlo». E non è una caso che i sindaci dei Comuni interessati discutano proprio nelle prossime ore dell'argomento. In Municipio, a Cagliari. IL COMUNE Il sindaco Emilio Floris però non vuole bruciare le tappe: «Voglio essere sicuro che sia accessibile economicamente sia la fase di programmazione che quella di realizzazione della metropolitana sotterranea. Io mi muoverò solo quando avrò questa certezza. Ci sono difficoltà finanziarie in tutti i campi, preferisco mantenere i piedi per terra e non correre». Il valore dell'idea non si discute: «Una metropolitana del genere non è influenzata dal traffico delle auto, avremmo finalmente dei tempi certi nel collegamento pubblico tra Cagliari e Quartu». MICHELE RUFFI ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 12 dic. ’09 MANCA: CENTO MILIONI PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE Vedi le altre foto L e risorse ci sono ma serve un piano di rilancio per rimettere in pista la formazione professionale in Sardegna. La Regione potrebbe garantire i finanziamenti («sono disponibili cento milioni»), da inquadrare in un progetto che riscriva il collegamento istruzione-occupazione. Al convegno organizzato dai Riformatori, l'assessore al Lavoro Franco Manca definisce le linee a cui sta lavorando la Giunta regionale: «È fondamentale il rapporto tra istruzione e impresa», sottolinea il rappresentante dell'esecutivo di viale Trento. «Per questo, la formazione deve integrarsi con le aziende, attraverso gli stage e gli apprendistati. E un meccanismo di incentivazione diventa la garanzia della bontà dei progetti». Non spetta però alla Regione gestire la formazione professionale, chiarisce l'assessore: «La Regione indica le linee guida e trasferisce le risorse alla Province. Poi si arriverà alle agenzie di formazione attraverso i bandi». Con un'attenzione calibrata sulle «specificità» di ogni territorio dell'Isola: «È ovvio che le aspettative del Sulcis non possono essere le stesse di Tempio, così come quelle di Alghero non possono essere le stesse dell'Ogliastra». Manca si sofferma anche sul metodo di lavoro: «Stiamo cercando di capire quali sono le criticità e per questo abbiamo intenzione di ascoltare» istanze, esigenze e progetti. «La premessa è che consideriamo il capitale umano come l'asse centrale dello sviluppo e la conoscenza è fondamentale per valorizzare al meglio questo capitale». LA NUOVA FORMAZIONE È il fondatore dei Riformatori Massimo Fantola a introdurre l'argomento in un dibattito organizzato ieri sera in un albergo cagliaritano. «Nell'ultima legislatura la formazione professionale è stata scardinata completamente, lasciando tanti problemi alle classi più deboli». Non manca un'ammissione: «Non abbiamo certo nostalgia di quello che c'era prima, per un sistema con troppi punti critici. Magari alle spalle ruotavano questi o quei potentati, magari i corsi premiavano più i formatori che i formati. E poi ci si ritrovava spesso davanti a semplici ammortizzatori». Fantola però sottolinea «l'importanza» di riprendere a parlare di formazione professionale: «Quella che abbiamo in mente noi dev'essere strettamente collegata al mondo delle imprese e i centri di riferimento dovranno dimostrarsi competitivi, con la capacità di stare sul mercato». LA CONOSCENZA Il capogruppo dei Riformatori in Consiglio regionale Pierpaolo Vargiu si sofferma sulla «conoscenza» come passaggio fondamentale «per un'Isola che vuole stare al passo con l'Europa». Lo sguardo va alle classi deboli, ma anche a quella dirigente: «Crediamo nella formazione continua, ormai indispensabile anche per i laureati. Sono lontani i tempi in cui la preparazione poteva chiudersi con l'Università o anche con le specializzazioni». Ormai il sistema lavoro viaggia alla velocità della luce, «e un bagaglio di conoscenza, anche di alto profilo, dopo massimo dieci anni, non è più spendibile», continua Vargiu. «Per questo è importante avviare un processo di formazione, rivolto anche alla categorie ad alta specializzazione». Attilio Dedoni, consigliere regionale dei Riformatori, parla dell'importanza del ruolo della formazione, «un ruolo che troppo spesso non viene capito a fondo». Basti pensare che in Germania «sono ben 30 milioni le persone impegnate nel sistema formazione, mentre in Italia non superano due milioni». Per il vicepresidente del Consiglio regionale Michele Cossa l'iniziativa dei Riformatori «permette finalmente di ricominciare a parlare di formazione e va nella direzione giusta dell'interlocuzione tra formazione e impresa». (g. z.) ======================================================= ____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 dic. ’09 NOMINE ASL, SCOPPIA LA BAGARRE Antonio Soru e i fratelli Pittalis nella mappa del potere di Nino Bandinu NUORO. Asl, il cambio di guardia continua. Il commissario Antonio Succu, di area manincheddiana va avanti con nomine e incarichi dopo l’uscita di Mulas. Le nomine riguardano i coordinatori Francesco Pittalis e Antonio Soru. Gli incarichi ai legali della Asl, Pietro Pittalis e altri. Non mancano le prime reazioni politiche. Le due nuove nomine riguardano soprattutto i due coordinatori provinciali: uno per i servizi amministrativi del territorio e degli ospedali, che ò Francesco Pittalis, fratello del consigliere regionale del Pdl Pietro, nome che tra l’altro abbiamo giè anticipato da qualche giorno; e l’altro ò invece Antonio Soru, che andrè a coordinare i servizi sanitari sia negli ospedali che nel territorio. Una sorta di doppione insomma, rispetto alle due direzioni amministrativa e sanitaria. Allo stesso tempo si allunga anche la lista dei nomi chiamati a far parte della lista dei legali di fiducia della Asl: tra questi, oltre al nome di Riccardo Uda, sindaco di Macomer (di area manincheddiana) e a Lorenzo Palermo e Giovanni Colli sardisti, ora circolano anche i nomi dell’avvocato Pietro Pittalis (delibera n.159 di novembre) e di Antonia Pisanu (delibera 220). Di quest’ultima sfornata colpisce la presenza di due fratelli, entrambi del centrodestra. Una vera bomba. Si tratta di Francesco Pittalis scelto dal commissario Succu (anche lui di area manincheddiana nominato con delibera n.279) come coordinatore provinciale amministrativo; e di Pietro Pittalis scelto anche lui, alcuni giorni fa, come uno dei tanti legali di fiducia della Asl di Succu. Francesco Pittalis, prima agli Affari generali, dovrè presiedere il coordinamento sei servizi dell’area territoriale: servizio personale, bilancio, Affari generali, servizio tecnico logistico, e provveditorato più dipartimento prevenzione, salute mentale, e i servizi dei distretti e del San Camillo di Sorgono. Nel suo incarico ò compresa anche l’area ospedaliera del San Francesco e Zonchello. Le funzioni che dovrè svolgere il coordinatore sanitario Antonio Soru (delibera n. 278) sono più o meno le stesse di quelle che svolgerè Pittalis. Cambia solo il settore, sanitario per Soru e amministrativo per Pittalis. Restano naturalmente al loro posto i due direttori nominati prima, Bruno Salvatore Murgia del Pdl e Piero Carta dell’Udc. La nuova mappa del potere sanitario nuorese in sostanza ò questa. Anche se bisogna aggiungere il nome di Mariano Meloni, che sta lavorando fianco a fianco, con il commissario Succu. Nelle mani di questa nuova classe dirigente, dunque, ora c’ò il governo della salute di tutto il Nuorese. Ma giè dalle prime scelte, qualcuno si ò detto non d’accordo: cosé il consigliere regionale Pdl, Silvestro Ladu, che ha scritto un’interrogazione all’assessore regionale Liori, per chiedere spiegazioni. E che ha ottenuto una risposta durissima dal coordinatore provinciale Pdl Tonino Tilocca (anche presidente Sfirs) al quale Ladu ha subito ribadito che non si ha bisogno di «proconsoli provinciali », ma che occorre andare al cuore della questione politica, che si sta affrontando in questi giorni a Cagliari e che pone seri problemi di tenuta politica alla maggioranza Cappellacci. Non si esclude infatti uno “strappo” dentro il centrodestra con la costituzione di un gruppo di consiglieri regionali all’interno della coalizione più autonomo rispetto alla maggioranza ufficiale. Nei prossimi giorni sicuramente ci saranno sviluppi decisivi per l’alleanza del centro destra. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 8 dic. ’09 CAGLIARI: LAUREA IN INFERMERIA, QUANTI PROBLEMI Medicina. Ieri un incontro con il preside che ha garantito il superamento degli ostacoli Protesta degli studenti: pochi docenti e ritardi per il tirocinio Il ritardo nella partenza del tirocinio rischia di far slittare la sessione di laurea. E tanti studenti potrebbero perdere la borsa di studio Interrogazione al rettore, istanza al difensore civico, lettere al giornale. E, ieri, un incontro con il preside, Mario Piga. Le stanno tentando davvero tutte i circa 600 studenti di Scienze infermieristiche. Per loro, ottenere la sospirata laurea (e, quindi, anche il posto di lavoro) sta diventando davvero difficile. Tanti i problemi da superare. Difficoltà che, secondo le garanzie fornite dal preside, dovrebbero essere risolte in tempi brevi. I PROBLEMI L'elenco delle lamentele degli studenti è lunghissimo. «In primo luogo», esordisce Luca Monteleone, rappresentante della lista civica di infermieristica “Missione impossibile”, «siamo stati danneggiati dal ritardato avvio delle lezioni: dovevano cominciare a ottobre, si è, invece, arrivati a novembre». In fondo, un problema di poco conto. Se a complicare la situazione non ci fosse un altro aspetto. «Nonostante l'inizio delle lezioni», prosegue, «mancano tantissimi docenti». Per il terzo anno, per esempio, sono tre su nove. Problemi legati al mancato arrivo dei fondi regionali. E anche al fatto che, rispetto al passato, tutte le docenze devono essere retribuite. Ieri mattina, il preside ha garantito che il problema sarà risolto entro il 15 dicembre. IL TIROCINIO Ma forse il problema più grande à legato al mancato inizio del tirocinio in corsia. Questa parte del corso è fondamentale per l'ottenimento della laurea. Una lacuna che finisce con il provocare inesorabilmente gravi ritardi. «Il rischio», riprende Monteleone, «è che la sessione di ottobre slitti sino a febbraio, marzo». Un pericolo solo potenziale per il preside. «Che ha garantito il regolare svolgimento della sessione di laurea, con un ritardo massimo di una, due settimane». LE BORSE DI STUDIO Una situazione incredibile. Soprattutto per un corso di laurea che aumenta gli iscritti di anno in anno: in teoria, dovrebbero venir fuori infermieri che colmino le lacune di ospedali e case di cura. La presenza di tanti lavoratori stranieri è dovuta proprio al fatto che mancano gli infermieri italiani. Eppure, laurearsi è difficile. «Questi ritardi», interviene Aberto Renna, rappresentante di “Unione per gli studenti”, «penalizzano anche gli studenti che hanno diritto alla borsa di studio». Per l'ottenimento serve raggiungere un certo numero di crediti. «Che», riprende Monteleone, «possono essere ottenuti soprattutto attraverso il tirocinio. Ma come fare se il tirocinio non inizia?». MARCELLO COCCO ____________________________________________________________ Corriere della Sera 6 dic. ’09 TRA MEDICO E PAZIENTE ADESSO ARRIVA UN «MEDIATORE» Cause Civili Un' Alternativa Al Ricorso Ai Giudici Cause risarcimento danni: ora sappiamo quante sono e come vanno a finire. Tentare di far pace diventa obbligatorio Un mediatore per risolvere le controversie tra medico e paziente fuori dai tribunali, in tempi rapidi. Lo prevede un decreto legislativo da poco varato dal Consiglio dei ministri, ora in attesa del parere (non "vincolante") delle Commissioni giustizia di Camera e Senato, che si prevede sarà pubblicato tra febbraio e marzo in Gazzetta Ufficiale. Il tentativo di conciliazione (previsto per svariate "materie": dalle liti di condominio alle questioni ereditarie) non è lasciato alla "buona" volontà delle parti: è obbligatorio. Con l' evidente intento di alleggerire i Tribunali civili. Solo se non si arriva a un accordo entro 120 giorni, si va in aula. E, se il giudice fa poi propria la proposta del mediatore, le spese del processo sono interamente a carico della parte che ha rifiutato la conciliazione. Altro modo per incentivare anche a non rivolgersi ai tribunali. Come ha d' altronde fatto "Accordia", la prima esperienza di conciliazione, tra medici e pazienti, "volontaria" e senza costi per i pazienti, nata a Roma nel 2005, che ha seguito fino ad oggi 3.000 cittadini. Ma chi sarà il nuovo mediatore? Un professionista "con requisiti di terzietà" ("estraneo" alle parti) e titoli necessari per l' esercizio di quest' attività, iscritto in un elenco che sarà istituito al ministero della Giustizia. Il decreto prevede la possibilità di diventare organismi conciliatori sia per enti pubblici che privati. «Ci auguriamo che la mediazione funzioni: è un primo passo per ridurre il contenzioso, molto però è ancora da chiarire sulla preparazione del conciliatore e il ricorso, previsto dal decreto, a periti» commenta l' avvocato Biancamaria Cataldo, vicepresidente di Amami "Associazione dei medici accusati di malpractice ingiustamente". Qualcuno intanto già si sta "attrezzando" per offrirsi come mediatore, e se è ovvio pensare agli Ordini degli avvocati, si stanno muovendo anche le Camere di Commercio. Come quella di Milano, con il più alto numero di domande di conciliazione in Italia (circa 700 all' anno relativamente a controversie tra consumatore e imprese e tra imprese). Spiega l' avvocato Alessandro Bossi, conciliatore nonché consulente per il settore sanitario del Servizio di conciliazione della Camera milanese, nato nel ' 96: «I conciliatori della camera, circa 40, ricevono una formazione in psicologia, comunicazione, perfino in teoria dei giochi che insegna quando e quanto una persona è disposta a rischiare, crediamo perciò di poterci rendere utili. E lo dimostra il fatto che su 100 incontri di conciliazione 80, in media, vanno in porto. E i costi sono contenuti, il decreto legislativo prevede che vengano fissati dei tariffari, quello che viene applicato ora è modesto, si va a scaglioni: per richieste di risarcimento dai 25 ai 50 mila euro la spesa, per ognuna delle due parti, è di 500 euro». Ma c' è anche chi, buona volontà di singoli e enti a parte, è perplesso. «Credo molto in una gestione non giudiziale delle controversie, ma ho molti dubbi su questo decreto. Non si possono mettere sullo stesso piano liti di condominio e salute nel solo nome di una riduzione della mole delle cause civili. E poi si fa confusione tra mediazione e conciliazione. La prima è il processo che deve portare, se e quando è possibile, alla seconda, ma non coincidono. L' Associazione «MedCon»,di cui sono presidente e che ha alle spalle l' esperienza di «Mediare» sulla soluzione dei conflitti - chiarisce l' avvocato Viviana Trombini. «La mediazione consiste nel riuscire a far realmente parlare tra loro le due parti, sgombrando il campo da equivoci, incomprensioni e rabbia. Se questo non riesce, alla conciliazione non si arriva. È con queste convinzioni che ci proponiamo come consulenti a privati e strutture. Quanto a diventare organo conciliatore come lo intende il decreto, ci penseremo». Ma per fare a meno dei Tribunali si può talvolta fare ricorso alle capacità transattive del mercato assicurativo (anche se al momento le coperture assicurative non sono obbligatorie neppure per gli ospedali). «La transazione, se è equa, conviene al paziente, risarcito rapidamente, e al mercato assicurativo perché i tempi lunghi dei tribunali aumentano il rischio che la giurisprudenza porti a riconoscere nuovi tipi di "danno" potenzialmente risarcibili» commenta Luca Franzi, consigliere delegato di Rasini Viganò. «Sulla base della mia esperienza - dice - delle richieste di risarcimento circa il 30% può trovare pieno fondamento: proprio in questi casi è strategica la transazione che, se corretta, è accettata nel 99% dei casi». Maria Giovanna Faiella Daniela Natali Tribunale di Roma Cause risarcimento danni: ora sappiamo quante sono e come vanno a finire Quando si parla di colpa medica e richieste di risarcimento è sempre difficile avere dati certi. Adesso qualche risposta in più c' è. Dalla collaborazione tra Ordine dei medici, avvocati, Tribunale e Università di Tor Vergata, è nato O.R.Me. (Osservatorio sulla responsabilità professionale medica) che, per la prima volta, ha analizzato tutte le sentenze di primo grado (esecutive fino a un eventuale appello), circa duemila, emesse dal 2001 al 2007, dal Tribunale civile di Roma (vedi grafico). Spiega Filippo Paone, presidente della III sezione civile Corte Appello di Roma «Con un software abbiamo selezionato dal database, che ora raccoglie tutte le sentenze, quelle sul danno medico. Ora sappiamo, se le richieste di risarcimento sono state accolte, se ha sbagliato il medico o la struttura, che tipo di errore c' è stato e in quali aree, il danno provocato, l' entità del risarcimento». «Dati veri che ci permettono di individuare le aree più critiche per affinare la prevenzione» sottolinea Tonino Marsella, specialista in medicina legale e delle assicurazioni all' Università di Roma Tor Vergata». «Le cifre vanno lette - puntualizza Mario Falconi, presidente dell' Ordine dei medici di Roma - ricordandosi delle migliaia di prestazioni che eseguono ogni giorno i nostri 40 mila medici. E pensando che le sole dimissioni ospedaliere a Roma sono circa 1 milione 200 mila l' anno». M.G.V. Faiella Maria Giovanna ____________________________________________________________ Corriere della Sera 9 dic. ’09 IL DOTTORE METTE IN SCENA I PROPRI ERRORI Agli attori che fanno i medici siamo ormai abituati, molto meno ai medici (e agli infermieri) che fanno gli attori, anche se solo in video didattici destinati ad altri medici per prevenire gli errori in corsia. Tre, per ora, i video, realizzati su proposta di Aidos, Associazione scientifica che si occupa di documentazione sanitaria e informatica clinica, il primo è centrato sulla tutela della privacy del paziente (con tanto di invadente "finto" giornalista che cerca di scoprire dov' è ricoverato un megadirigente), il secondo alla sicurezza trasfusionale, il terzo all' errore nel "sito" del trattamento. A fine proiezione, utilizzata in università e ospedali, medici e infermieri vengono coinvolti nei casi con la classica domanda: «Tu, al posto di... che cosa avresti fatto?». ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 11 dic. ’09 LIFE HAND : IL FUTURO A PORTATA DI MANO Life Hand avrà un'anima sarda. La mano bionica - ultima frontiera della biomedicina, varcata nei giorni scorsi con l'impianto sul moncherino di un giovane amputato in un incidente - si muoverà grazie a un microchip realizzato da un team di ricercatori cagliaritani, pisani e romani. È il secondo, importantissimo passo dopo la realizzazione del cyberorgano e il suo collegamento al sistema nervoso di Pierpaolo Petruzziello, il 26enne italobrasiliano che si è offerto come pioniere nella sperimentazione di questo trapianto tecnologico. Le riprese del dopo intervento, messse in rete da Repubblica.it, mostrano Pierpaolo concentrato, occhi chiusi ed espressione assorta, e le dita di alluminio, carbonio e acciaio che disciplinatamente, miracolosamente, si muovono secondo i suoi desideri, trasmessi attraverso fili di tungsteno sottili come capelli e innestati nei nervi del suo braccio sinistro. Se a collegare il ragazzo e la sua nuova mano luccicante è un capolavoro di bioingegneria, a separarli è un problema grande come una scrivania. Gli impulsi nervosi che il trapiantato trasmette alla protesi vanno elaborati, decifrati: a questo pensa una centrale piuttosto ingombrante. Il compito del team tosco-sardo- romano è comprimere questo indispensabile e ingombrante blocco di tecnologia e renderlo “portatile”. In sostanza: far diventare minuscolo l'interprete che traduce per la mano di metallo gli ordini del cervello umano. E come aggiunge il professor Luigi Raffo, docente di elettronica e presidente del corso di studi in ingegneria biomedica, «i ricercatori cagliaritani sono impegnati anche nello sviluppo di algoritmi capaci di intuire “l'intenzione di movimento” del paziente dall'analisi dei segnali neurali acquisiti, rendendo così sempre più complesso ed articolato il grado di controllo dell'arto bionico». Evidentemente si tratterà di un percorso lungo, ma l'entusiasmo generale per “il caso Petruzziello” e la collaborazione con la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e l'Università Campus Biomedico di Roma rendono molto interessanti le prospettive dei ricercatori cagliaritani. Particolarmente importante, spiega Raffo, è la possibilità di lavorare su volontari umani grazie alla partnership con il Campus: «Tutti sappiamo quanto sia d'aiuto per i ricercatori la sensazione del cosiddetto arto fantasma, che chi ha subito un'amputazione continua ad avvertire. Bene: immaginate quanto può essere difficile fare ricerca sugli arti artificiali su un ratto, e quali vantaggi garantisca l'avere a che fare con un soggetto umano, in grado di comunicare le sue percezioni». E se la possibilità di collaborare con volontari umani è un problema in meno per chi fa ricerca biomedica, che dire della scarsità di fondi, il limite che tutte le esplorazioni scientifiche italiane incontrano? Per il momento non risultano emergenze da segnalare, visto che la mano bionica è stata classificata tra i Prin (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale). D'altronde investire nei cyber-trapianti - per il ministero della Ricerca come per l'Unione Europea - significa scommettere su un settore che scintilla di intelligenze e di progetti. Lo dimostrano le notizie di ieri, che accanto alla mano bionica italiana di Life Hand registravano il debutto sulla scena scientifica delle tecno-dita scozzesi. Si chiamano ProDigits e sono state sviluppate dalla Touch Bionics, con sede a Livingston, che ha anche portato avanti il progetto “iLimb” per protesi di arti. Possono afferrare, sfiorare, digitare, percepire il tatto ed essere rivestite di pelle viva per sembrare più naturali. A sperimentarle, tra gli altri volontari, anche l'ex pianista catalana Maria Antonia Iglesias alla quale nel 2003, dopo un'infezione, erano state amputate la mano sinistra e tutte le dita della mano destra. Intervistata dalla Bbc, ha calorosamente promosso le tecno-dita britanniche, un nulla osta “umano” importante quanto i successi nei test scientifici che le protesi artificiali devono superare: «I benefici che mi stanno dando sono come un sogno per me». CELESTINO TABASSO ____________________________________________________________ Sanità New 9 dic. ’09 SECONDO L’OCSE LA SPESA SANITARIA ITALIANA E’ BASSA Roma, 09 dic. - Spesa sanitaria se non bassa sicuramente non tra le piu' alte e tanti cesarei, come in Messico. E' questo il quadro della Sanita' italiana che fa l'Ocse. In Italia la spesa sanitaria e' decisamente al di sotto della media dei Paesi industrializzati, con 2.686 dollari l'anno contro i 2.984 della media Ocse. Nella classifica Ocse l'Italia viene preceduta da ben 19 Paesi, 11 dei quali membri dell'Unione Europea. A questo dato negativo si accompagna il record del ricorso al taglio cesareo, che l'Italia condivide con il Messico e che e' molto vicino al 40% sul totale dei nati. Una pratica, rileva l'Ocse, sempre piu' diffusa negli ultimi 10 anni soprattutto per la riduzione dei rischi legati a questo intervento, per la preoccupazione per eventuali accuse di negligenza e per maggiore facilita' di 'programmazione'. E' invece positiva la riduzione delle morti per incidenti stradali, che pone l'Italia fra i Paesi virtuosi nella classifica dei Paesi Ocse, con 9,8 morti sulle strade su 100.000 abitanti contro il 9,6 della media Ocse. Un risultato, questo, che deriva dalle migliori condizioni delle strade, insieme a campagne di prevenzione e da maggiori controlli. La spesa italiana e' pari a 2.686 dollari l'anno, contro i 2.984 della media Ocse, nella classifica ai cui vertici si trovano Stati Uniti (7.290 dollari), Norvegia (4.763) e Svizzera (4.417). Secondo il rapporto sono 11 i Paesi dell'Unione Europea che precedono l'Italia; di questi, 9 sono al di sopra della media Ocse: Olanda (3.387), Austria (3.763), Francia (3.601), Belgio (3.595), Germania (3.588), Danimarca (3.512), Irlanda (3.424), Svezia (3.323), Gran Bretagna (2.992). Sono al di sotto della media Ocse Finlandia (2.840) e Grecia (2.727). L'Italia precede solo Spagna (2.671), Portogallo (2.150), Repubblica Ceca (1.626), Slovacchia (1.555), Ungheria (1.388) e Polonia (1.035). I livelli di spesa piu' alti (fra 3.000 e 4.000 dollari) si concentrano nei paesi dell'Europa settentrionale e occidentale. La spesa si riduce invece nell'Europa meridionale e orientale, cosi' come in Corea e Giappone. Nel rapporto si rileva che nel decennio 1997-2007 la spesa pro-capite per la salute e' aumentata nei Paesi Ocse al ritmo del 4,1% l'anno. In Italia, come in altri Paesi industrializzati, la spesa e' cresciuta a un ritmo decisamente inferiore (2,4%), mentre gli aumenti piu' sensibili si rilevano in Corea (8,7%), Turchia (8,5%) e Irlanda (6,7%). In Italia come in Messico quasi quattro bambini su dieci nascono con il parto cesare. Ogni 100 nati vivi, in Italia 39,7 nascono con il taglio cesareo, contro la media dei Paesi Ocse pari al 25,7. Il Messico e' in testa per una minima differenza sull'Italia a 39,9. Il ricorso al cesareo e' decisamente meno frequente in Finlandia (16), Norvegia (15,9) e Olanda (14), in coda alla classifica. Negli ultimi 10 anni il ricorso al cesareo e' aumentato in tutti i Paesi Ocse a causa della riduzione dei rischi legati a questo intervento, la preoccupazione per eventuali accuse di negligenza, maggior ricorso alla programmazione. Considerando la percentuale di morti per incidenti stradali in rapporto alla popolazione, l'Italia e' sopra la media dei Paesi industrializzati, con 9,8 su 100.000 abitanti e fra 5.000 e 6.000 morti l'anno, contro il 9,6 della media Ocse. Il Paese piu' virtuoso e' l'Olanda, con 4,4, seguito da Norvegia e Svezia (entrambe con 5,0), Svizzera (5,1) e Giappone (5,5). Ovunque moto e motorini sono i maggiori responsabili degli incidenti stradali e in generale le vittime fra gli uomini sono tre volte piu' numerose che fra le donne. In Italia come in molti altri Paesi industrializzati, la sicurezza delle strade e' aumentata in modo significativo negli ultimi 10 anni grazie alle migliori condizioni delle strade, campagne di prevenzione, nuove leggi sul traffico e accresciuti controlli. (Sn) ___________________________________________________________ la Repubblica 8 dic. ’09 CANCRO ALLA PROSTATA UN GENE PER VINCERLO "Introdotto con una puntura endovenosa ALDO FRANCO DE ROSE * La terapia per il tumore della prostata potrebbe cambiare radicalmente. f Non più interventi, radioterapia, ormoni o chemioterapia,ma l'iniezione di un gene che, attivato da ultrasuoni emessi da un normale ecografo, determina la distruzione del tumore della prostata e delle sue eventuali metastasi. E' quanto hanno dimostrato alcuni ricercatori, per ora su animali di laboratorio; ma la speranza che questo modello di terapia passa essere trasferito all'uomo diventa sempre più una certezza. Ne è convinto Pier Paolo Claudio, napoletano, direttore di Terapia molecolare alla Marshall University in West Virginia, che ha pubblicato lo studio Eradication of Therapy-resistant Human Prostate Tumors Using an Ultrasound-guided Sitespecific Cancer Terminator Virus Delivery Approach sulla rivista scientifica MolecularTherapy. Ecco come funziona questa "terapia intelligente": un gene killer, Mda-7/IL-24, viene inserito in un virus e poi incapsulato in micro bolle e introdotto nell'organismo attraverso una semplice puntura endovenosa. «Le micro bolle sono normalmente utilizzate come mezzo di contrasto per ecocardingrafia - spiega Claudio. - Una volta in circolo, vengano rotte dagli ultrasuoni, prodotti da una comune apparecchiatura ecografica, proprio nella zona dove si desidera ottenere il rilascio del gene e cioè il tumore, individuato sempre con la stessa apparecchiatura ecografica». La funzione del gene è quella di bloccare la crescita di cellule tumorali, la formazione di vasi sanguigni nei tumori (la cosiddetta angiogenesi) e stimolare l’apoptosi, cioè la morte cellulare programmata. Inoltre il gene non ha effetti sulle cellule normali perché si attiva solo nel tumore. «Fino ad oggi - conclude Claudio - il problema più grosso nei tentativi di terapia genica in vivo era rappresentato dalla mancanza di specificità del trasferimento genico. Mala nostra metodica risolve il problema della specificità». Alla ricerca, tra gli altri, hanno partecipato Luigi Claudio Urologo del'Ist di Napoli, Marco Salvatore direttore di Scienze biomorfologichedell'Università Federico IIe Paul B. Fisher direttore di Genetica molecolare della West Virginia. *Specialista urologo eandrologo clinica urologica Genova ____________________________________________________________ Corriere della Sera 6 dic. ’09 SALE, QUANTO BASTA PER EVITARE ICTUS E INFARTI prevenzione conferma da un' ampia revisione di studi Con 5 grammi in meno rischio ridotto Vite da salvare Riducendo il sale si eviterebbero 1 milione di vittime di ictus e 3 milioni per cardiopatie all' anno A quanti facessero ancora finta di non capire, Pasquale Strazzullo, direttore del dipartimento di Medicina clinica e sperimentale all' Università Federico II di Napoli, rilancia il messaggio chiaro e forte: «È necessario diminuire il consumo di sale. Se ne usiamo troppo, il rischio di ictus e di malattie cardiovascolari aumenta in modo davvero pericoloso». Bastano 5 grammi, in più o in meno, al giorno. Strazzullo, che è a capo di uno dei centri di eccellenza della Società europea di ipertensione, ha pubblicato queste conclusioni sul British Medical Journal. In tandem con il WHO Collaborating centre for nutrition dell' Università di Warwick, in Gran Bretagna, i ricercatori partenopei hanno analizzato 13 studi prospettici realizzati in Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Olanda, Finlandia e Cina e pubblicati tra il 1996 e il 2008. La ricerca ha coinvolto oltre 170 mila partecipanti, seguiti per un periodo che va dai 3 anni e mezzo ai 19, ed ha registrato circa 11 mila casi di malattie vascolari. La meta-analisi, finanziata dall' Unione europea, ha fornito la prova inequivocabile di un' associazione diretta tra l' elevato consumo di sale e il rischio di ictus e di patologie cardiovascolari. Si è scoperto che consumando circa 5 grammi di sale in meno al giorno, si ridurrebbe del 23 per cento il rischio di ictus e del 17 per cento quello di patologie cardiovascolari. Secondo gli esperti, ciò equivarrebbe a evitare più di un milione di morti per ictus e circa tre milioni di morti per malattie cardiovascolari all' anno in tutto il mondo. «Nella maggior parte dei Paesi industrializzati, il consumo di sale nella popolazione adulta supera i 10 grammi al giorno - spiega Strazzullo -, mentre l' Organizzazione mondiale della sanità raccomanda che non si ecceda i 6 grammi». Il nostro organismo, per intendersi, ha bisogno di un solo grammo al giorno per riequilibrare le perdite di sale. Insomma, lo stesso quantitativo che si trova in natura nelle belle zucchine di Sarzana, esaltate dai gourmet della cucina «bio». Il consumo medio in Italia è tra i 10 e i 14 grammi. Si tratta di un dato approssimativo e sottostimato, tanto che è appena partito uno studio nazionale su un campione di 2.500 italiani, coordinato dall' équipe di Napoli, per ottenere un valore reale. L' ordine di grandezza tuttavia dà un' idea di quali possano essere gli effetti devastanti sul nostro organismo. Basti pensare che il 62 per cento degli infarti e il 49 per cento dei casi di malattie coronariche sono causate dall' ipertensione. Certo, il problema è poi come ridurre il sale nella vita quotidiana. Si parte dai comportamenti individuali. «Cominciamo a togliere la saliera dalla tavola e sforziamoci di usare meno sale possibile in cucina», consiglia Strazzullo. E assicura che non ci saranno crisi da rigetto, se si agirà gradualmente: il gusto si abituerà nel giro di due o tre settimane al massimo. I medici ritengono però indispensabile anche un intervento delle autorità sanitarie nei confronti dei produttori, per porre dei limiti alla quantità di sale negli alimenti. Le industrie alimentari, i cui prodotti contengono la maggiore quantità di «sale nascosto», nicchiano perché temono un tracollo delle vendite. Si è pensato così di partire almeno con il pane artigianale. Il 7 luglio scorso, ministero della Salute e Federazione italiana panificatori hanno firmato un protocollo d' intesa per ridurre il sale nel pane del 15 per cento, entro il 2011. Sulla carta, si doveva partire a settembre. Ma tutto è rimasto fermo. Motivo ufficiale: il ministero è in ritardo sulla consegna dei vademecum che le associazioni dei panificatori dovranno poi inviare ai propri iscritti per sensibilizzarli sul problema e convincerli a moderare il sale. In realtà, i panificatori non sembrano del tutto convinti dell' iniziativa, che non è obbligatoria, e il ministero sta cercando di superare le resistenze: «Ci siamo un po' ribellati - ammette Mario Partigiani, presidente di Assopanificatori -. Molti nostri associati temono che ai clienti passi il messaggio che il pane fa male». E, dunque, che i consumi diminuiscano. Ruggiero Corcella ____________________________________________________________ Sanità New 12 dic. ’09 IL RADON E’ LA SECONDA CAUSA MORTE PER TUMORE AL POLMONE (Sn) - Roma, 11 dic. - La "Relazione sullo stato sanitario dell'Italia 2007-2008" conferma che l'esposizione domestica al radon (gas radioattivo pesante sprigionato dal terreno) causa circa il 9% delle morti per tumore del polmone. In alcune regioni italiane, poi, il radon è più concentrato che altrove, in particolare in Lombardia, nel Lazio, in Campania e in Friuli. La principale fonte di questo gas risulta essere il terreno, dal quale fuoriesce e si disperde nell'ambiente, accumulandosi in locali chiusi ove diventa pericoloso. Pertanto costituisce la seconda causa nota di morte per tumore al polmone dopo il fumo attivo. Un dato a cui si dà poca importanza in quanto dovuto ad un fatto naturale e quindi non imputabile all'uomo. Occorre quindi controllare con strumenti idonei la concentrazione di radon nelle abitazioni e prevenire l'esposizione a questo gas cancerogeno soprattutto nei pianterreno degli edifici, in particolare quelli scolastici, ed arieggiare sempre le abitazioni più esposte. Un suggerimento che d'altra parte ci davano sempre le nostre nonne. I casi di morte per cancro polmonare attribuibili al radon in Italia sono circa 3mila all'anno (da 1.000 a 5.500: circa il 2% del totale delle vittime annuali del cancro), la maggior parte dei quali tra i fumatori, a causa degli effetti sinergici radon-fumo. (Sn) ____________________________________________________________ Sanità New 12 dic. ’09 CON ESERCIZIO E LETTURA SI RECUPERANO LE CONNESSIONI DEI NEURONI Roma - Chi legge male non e' irrecuperabile; anzi, puo' modificare le connessioni del suo cervello grazie a un allenamento intensivo, migliorando le sue capacita' cognitive. E' quanto hanno dimostrato i ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Stati Uniti. "L'integrita' della materia bianca del cervello e le connessioni che permettono il passaggio di informazioni tra neurone e neurone sono assolutamente fondamentali per il comportamento cognitivo umano", ha detto Timothy A. Keller, primo ricercatore dello studio pubblicato sulla rivista Neuron. "Anche un semplice cambiamento nella materia bianca puo' provocare grandi mutamenti nelle abilita' cognitive. E' ad esempio il caso di chi non riesce a leggere bene". Studi precedenti hanno infatti dimostrato che i bambini con disabilita' di lettura hanno problemi di sottoattivazione di aree chiave del cervello utilizzate durante la lettura. "Questo e' probabilmente dovuto a dei problemi di connessione tra le varie aree del cervello", ha spiegato Keller. "Tuttavia, queste connessioni possono essere ristabilite correttamente grazie all'allenamento e a particolari tecniche di studio". Teller e colleghi hanno sottoposto bambini dagli 8 ai 10 anni con problemi di lettura a sessioni intensive mirate a migliorare le loro capacita'. In seguito, hanno utilizzato delle tecniche di scansione computerizzata per confrontare il cervello dei bambini prima e dopo le sessioni di allenamento. "Abbiamo riscontrato un aumento sensibile nell'attivazione delle aree associate alla lettura. Cio' corrispondeva anche a un miglioramento della capacita' di leggere", ha detto Teller. "I nostri risultati sono speranzosi: per qualunque sia la causa delle scarse capacita' di lettura nei piu' piccoli, un allenamento specifico e' in grado di migliorare le abilita' cognitive ristabilendo le connessioni neuronali. Questo approccio potrebbe dimostrarsi valido per il trattamento di deficit cognitivi, come ad esempio l'autismo". (Sn) ____________________________________________________________ Sanità New 9 dic. ’09 LAVORARE CONTENTI PREVIENE LE MALATTIE Roma,. - Un luogo di lavoro 'giusto' allunga la vita. Potrebbe essere questo lo slogan del convegno organizzato giovedi' prossimo a Roma da un gruppo di medici dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore: un nuovo studio nordeuropeo dimostra, cifre alla mano, che se si e' impiegati in un'azienda con bassa giustizia lavorativa e' piu' probabile avere un infarto e soffrire di malattie cardiovascolari, di ulcera, di colite. In poche parole: se ci sentiamo vittime di un capo male-organizzato, arrogante e che ce l'ha sempre con noi andiamo incontro a disturbi fisici anche gravi, mentre se abbiamo la percezione di lavorare in un posto in cui siamo rispettati, sappiamo quali sono gli obiettivi dei vertici aziendali e siamo circondati da colleghi corretti e sereni, ne guadagneremo anche in salute. "Occorre insistere sul concetto di 'lavoro umano'", ha spiegato Nicola Magnavita, esperto di medicina del lavoro e tra gli organizzatori del convegno, "e abbandonare lo stereotipo tipicamente italiano di un modello di lavoro che ci fa sentire, sempre e comunque, sottomessi e precari. Lo stress da lavoro ha un peso non indifferente sulla nostra vita, ci rende meno produttivi e ci fa ammalare di piu'. Ma e' tutta una questione di percezione dell'ambiente e del clima lavorativo: lavorare sereni in un posto che percepiamo equo e giusto non solo ci aiuta a stare bene in salute, ma ci sostiene nel superare le disgrazie e gli eventi sfavorevoli che la vita puo' riservarci". Tre i livelli di 'ingiustizia lavorativa' analizzati dagli esperti del nord Europa: procedurale (le procedure non sono chiare e non seguono criteri di merito), interpersonale (si e' trattati senza riguardo e rispetto sia dal punto di vita professionale sia umano) e informativa (si ricevono informazioni parziali o distorte sugli obiettivi lavorativi). Lo studio che sara' presentato a Roma e' stato eseguito su 60.000 lavoratori nordeuropei durante gli ultimi dieci anni. (Sn)