RASSEGNA STAMPA 20/12/2009
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SASSARI: L’UNIVERSITÀ TAGLIA I BARONI -
CAGLIARI: I PRECARI BEFFATI DAL NUOVO RETTORE -
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, ECCO COME SI DIVENTA FANNULLONI -
ATENEI TELEMATICI SU INTERNET POCHI DOCENTI E CREDITI FACILI -
UNIVERSITÀ, L’ON-LINE È UN FLOP -
UNIVERSITÀ, C'È IL TERZO POLO -
TORNANO I FUORI CORSO NEI TEMPI UN LAUREATO SU 4 -
ATENEI, MATRICOLE GIÙ E BOOM DI FUORI CORSO -
SBLOCCATE LE RISORSE PER RECLUTARE I RICERCATORI -
PERCHÉ L’ITALIA LEGA LE MANI ALL'INNOVAZIONE -
L’ITALIA DIMENTICA LA LINGUA E COSÌ PERDIAMO L’ANIMA -
QUELLA «I» COME «ITALIANO» CHE LA SCUOLA HA TRASCURATO -
RIFORMA DEI LICEI, STOP DEL CONSIGLIO DI STATO -
MA L'ATOMO CONVIENE DAVVERO -
DAL MEDIO ORIENTE ALLA SIBERIA, LA MARCIA DI HOMO SAPIENS -
IL TESORO DELL'AUTONOMIA: LA LEZIONE DI PIGLIARU -
PEPPINO ZEDDA IL MISTERO DEI NURAGHI NEL MOTO DEL SOLE E DELLA LUNA -
II PROF MI COPIA E (O STUDENTE LO FA CONDANNARE -
QUANDO DARWIN SCONFISSE I SAMURAI -
LA PRIMA EUROPA È SOTT'ACQUA "UN'ATLANTIDE DI MERAVIGLIE" -
E' RINATA LA PRIMA CALCOLATRICE ITALIANA -
IL SUDARIO DI GERUSALEMME CHE "RINNEGA" LA SINDONE -
IL LINO DI GESÙ ERA ANOMALO -
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SISAR:CAOS STIPENDI, OSPEDALI IN SUBBUGLIO -
LA RIFORMA SANITARIA SMONTATA A PEZZI DAI SENATORI AMERICANI -
CRISI, CROLLANO I RICOVERI NEGLI OSPEDALI IN LOMBARDIA -
UN MILIONE DI «ABUSIVI» CON IL CAMICE BIANCO -
SALUTE: POCHE LE ASSOCIAZIONI CHE SANNO INFORMARE I IN RETE -
CURARSI CON LA NANOMEDICINA -
ECCO IL SANGUE SINTETICO ANNUNCIO DAGLI STATI UNITI -
CREATE PIASTRINE ARTIFICIALI IN GRADO DI BLOCCARE RAPIDAMENTE LE EMORRAGIE -
INGEGNERI IN CAMICE BIANCO L' HI-TECH AVANZA IN OSPEDALE -
TROPPE INFORMAZIONI, IL CERVELLO SI AFFATICA -
PER IL TUMORE AL COLON UN FARMACO INTELLIGENTE -
MANO BIONICA, BIOINGEGNERI AL LAVORO -
ANALISI MEDICHE, RISULTATI VIA EMAIL UNA PASSWORD PER LA RISERVATEZZA -
PCA3: IL NUOVO TEST MOLECOLARE PER IL CARCINOMA PROSTATICO -
DURA PRESA DI POSIZIONE DEGLI INFERMIERI CONTRO LA LEGGE SUL FINE VITA -
LE RADIAZIONI DA TOMOGRAFIE AUMENTANO I CASI DI CANCRO -
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L’Unione Sarda 17 Dic.’09
SASSARI: L’UNIVERSITÀ TAGLIA I BARONI
Sassari. Il Senato accademico vuole svecchiare il corpo docente e
rivitalizzare le casse universitarie
Basta deroghe: tutti in pensione a settant’anni
Le intenzioni sono chiare, e già contenute nel programma elettorale del nuovo
rettore Attilio Mastino: svecchiare il corpo docente aprendo le porte
dell’insegnamento ai giovani rivitalizzando in questo modo anche le casse
universitarie.
Stop ai prolungamenti di carriera per i professori dell’Università di
Sassari. Dal 2010 i docenti che spegneranno 70 candeline dovranno dire addio
alla cattedra e accontentarsi della pensione.
È questo l’indirizzo del Senato accademico, che nei giorni scorsi ha discusso
l’argomento e rimandato la decisione ufficiale al nuovo anno. Le intenzioni
però sono chiare, e già contenute nel programma elettorale con cui il nuovo
rettore Attilio Mastino ha conquistato il titolo di Magnifico: svecchiare il
corpo docente e rivitalizzare in questo modo anche le casse universitarie. Il
costo degli ultrasettantenni che mantengono l’insegnamento si aggira intorno
ai 100 mila euro annui a testa, mentre un nuovo assunto costerebbe la metà.
Inoltre, se si considera che ogni cinque docenti che vanno in pensione
l’Università può fare una sola assunzione, il risparmio diventa notevole.
In passato i professori che raggiungevano l’età pensionabile potevano
chiedere e ottenere automaticamente di restare altri due anni in cattedra.
Con una legge del 2008 questo automatismo è stato bloccato, mettendo nelle
mani di ogni singolo ateneo la possibilità di accettare o meno la proroga di
due anni per i docenti che la richiedono. A Sassari l’ultimo nome illustre
che ha usufruito di questo trattamento è stato proprio l’ex rettore
Alessandro Maida che, allo scadere del suo mandato, ha ottenuto dal Senato
altri due anni di contratto. Insieme a Maida avevano chiesto di restare al
lavoro altri quattro professori ordinari, un assistente e un lettore. Il
Senato aveva detto sì solo a Maida, al direttore della Clinica radiologica
Giulio Cesare Canalis e al professore di chimica Antonio Saba. Fra i bocciati
c’era anche Mariotto Segni, che nonostante il no del Senato è riuscito a
rimanere in cattedra (ma solo per un altro anno) appellandosi a un’altra
norma di legge. Attualmente sono trenta i docenti che hanno già scelto di
andare in pensione a 70 anni, senza sfidare il verdetto del Senato
accademico. In quattro invece tenteranno di convincere l’Ateneo a prolungar
loro il contratto per altri due anni, a partire dal 1° novembre 2010. Le
deroghe ai settantenni sono contemplate in casi eccezionali, quando l’opera
del docente è indispensabile per portare a termine determinati progetti. Per
il resto il Senato ha già scelto la linea da seguire: a 70 anni si va in
pensione.
Vincenzo Garofalo
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La Nuova Sardegna 16 Dic.’09
CAGLIARI: I PRECARI BEFFATI DAL NUOVO RETTORE
Università. Avevano raggiunto un accordo con Pasquale Mistretta ma Giovanni
Melis lo ha cancellato
L’amara verità: «Non ci sono i soldi per regolarizzare le assunzioni»
CAGLIARI. Sedotti e abbandonati dopo anni di promesse che si sono rivelate
sempre vane. Sono i precari dell’università, quelli che da tempo immemorabile
attendono la stabilizzazione, per entrare così a far parte in pianta stabile
dell’organico dell’ateneo.
Nel febbraio del 2008 sembrava cosa fatta: dopo aver superato una selezione
interna per titoli, ventotto dipendenti tra tecnici e amministrativi
pensavano di aver dissolto l’incubo del precariato. A distanza di oltre un
anno e mezzo, le cose stanno diversamente e il tutto ha il sapore della
beffa.
«Hanno pubblicato le graduatorie delle selezioni nel luglio dell’anno scorso
- scrivono i lavoratori in una lettera-denuncia - e da quel momento ci piace
definirci “stabilizzandi”, vale a dire “da stabilizzare”, perché molti di
noi, ormai a casa da circa due anni, non possono più fregiarsi nemmeno del
titolo di precari».
Nel giugno, sempre del 2008, l’ateneo ha stabilizzato 15 persone e rinnovato
alcuni contratti di collaborazione. In parallelo, l’università ha optato per
l’assunzione di 17 idonei (non vincitori) di concorsi banditi in passato
all’indomani di un accordo tra l’allora rettore Pasquale Mistretta, i
sindacati e gli altri organi di governo dell’ateneo.
«Una procedura - si legge nella nota - analoga a quella bocciata da una
sentenza emessa dal Tar della Puglia, che il rettore ha volutamente ignorato,
tanto che a giugno sono stati assunti altri 13 stabilizzandi e altrettanti
idonei non vincitori. Sempre a luglio abbiamo incontrato il rettore Mistretta
e, in quell’occasione, avevamo ricevuto tutte le rassicurazioni del caso
sulla soluzione della vertenza. Anche se in seguito l’ex rettore ci aveva
consigliato di porre la questione al suo successore». Ovvero Giovanni Melis.
Che poco prima di essere eletto aveva detto: questo problema va sanato.
«Ci siamo illusi - scrivono i lavoratori - ma poco dopo è arrivata la doccia
fredda, quando il capo di gabinetto del nuovo rettore ci ha detto che non si
potevano far carico di situazioni pregresse. Non è gratificante, anzi è
umiliante sentirsi catalogati come “eredità del passato da cancellare”, visto
che per tanti anni abbiamo contribuito al funzionamento e al miglioramento
dell’università». La soluzione non è arrivata nemmeno il 27 novembre dopo il
faccia a faccia con il rettore Melis «che ha ribadito la totale chiusura,
affermando che non vi sono fondi per le assunzioni e che, se necessario,
saranno firmati altri contratti di collaborazione tramite nuove selezioni,
ignorando quindi quelle già effettuate. Noi, anche grazie alla Cgil-Flc -
concludono gli “stabilizzandi” - continueremo la nostra battaglia».
Pablo Sole
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La Nuova Sardegna 17 Dic.’09
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, ECCO COME SI DIVENTA FANNULLONI
Sassari, Giovanni Vallotti ha presentato ieri il suo libro al corso di
formazione per manager
SASSARI. Un cartellino appeso alla maniglia di una porta d’albergo, con sopra
scritto «per favore, disturbatemi». E’ iniziato con questa suggestiva
immagine l’intervento di Giovanni Valotti, prorettore dell’Università Bocconi
di Milano e docente di management pubblico, all’atto conclusivo del corso di
formazione per dirigenti dell’amministrazione provinciale di Sassari svoltosi
ieri mattina al Palazzo della Provincia. Valotti è partito infatti dalla tesi
del suo ultimo libro, «Fannulloni si diventa. Una cura per la burocrazia
malata», dicendo senza mezzi termini che «bisogna liberare le enormi energie
che ci sono nel settore pubblico». «Un libro - lo aveva appena preceduto
Filippo Peretti, notista politico della Nuova Sardegna e presidente regionale
dell’Ordine dei giornalisti - che esce mentre è sempre più acceso il
dibattito sull’efficienza delle amministrazioni pubbliche. Ma il vero punto è
la risoluzione dei problemi». Secondo Valotti il vero problema della pubblica
amministrazione non sono gli individui, ma l’organizzazione, che appiattisce
le valutazioni, sopporta chi si impegna meno e disconosce i meriti, creando
demotivazione e scarsa produttività. «E’ difficile essere motivati quando non
c’è un riconoscimento dei propri sforzi. Quindi ci vuole tolleranza zero con
i fannulloni, e questo è un compito soprattutto dei dirigenti, ma bisogna
anche incentivare chi si impegna e produce, ed elevare la qualità media della
maggior parte dei dipendenti pubblici, che al momento non sono all’altezza
del compito che devono svolgere». La “terapia” da applicare alla pubblica
amministrazione secondo Valotti: fare poche cose ma con le persone giuste,
rivoluzionare modelli organizzativi e organici, trasformare i burocrati in
manager, svecchiare il linguaggio e comunicare di più all’interno. E per fare
questo «servono politici illuminati, manager capaci e dipendenti desiderosi
di riscatto». «E’ fondamentale avere una visione unica degli degliobiettivi
da perseguire» ha commentato Maria Paola Corona, assessore regionale agli
affari generali, mentre per la Presidente della Provincia sassarese
Alessandra Giudici bisogna proseguire nel «trasferimento dell’atteggiamento
manageriale nel settore pubblico per accrescerne la competitività».
«L’abolizione della figura del direttore generale prevista nella prossima
finanziaria - ha aggiunto il sindaco Gianfranco Ganau - porterà ad un aumento
delle ingerenze della politica. Ora servono dirigenti che trovino soluzioni
originali ai problemi».
Fabio Fresu
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Il Sole24Ore 17 dic. ’09
ATENEI TELEMATICI SU INTERNET POCHI DOCENTI E CREDITI FACILI
Tra gli esperimenti che negli ultimi anni l’accademia italiana ha tentato con
scarso successo il X rapporto del Comitato nazionale di valutazione annovera
le università telematiche. La prima «criticità», per seguire il linguaggio
felpata dell'analisi del Cnvsu, è nei numeri: in Italia gli atenei sul web
sono n, ma continuano a rimanere ultra-leggeri con i loro 17mila iscritti.
«In Gran Bretagna-confronta il presidente del Cnvsu Luigi Biggerila Open
Univezsity ha 180mila iscritti, quella catalana ne ha qoznila e anche in
Grecia l'unico ateneo telematico ne ha 24mila».
Nell'accademia virtuale, poi, continuano a diffondersi i laureati «precoci»,
quelli cioè che arrivano al titolo in anticipo sui tempi dettati dalla legge
grazie ai crediti generosamente concessi dalle convenzioni con enti e ordini
professionali. Negli atenei di mattoni il fenomeno ha imperversato per anni e
oggi è concentrato in pochissime sedi, sul web l'aiutino dell’esperienza
professionale» riguarda invece il 90% degli immatricolati. Trasferendo su
internet i requisiti di qualità della didattica previsti per le università
tradizionali, poi, per far vivere i 74 corsi online sarebbero necessari 222
docenti di ruolo, invece dei 4,2 oggi in forza nelle accademie virtuali. I
concorsi, per carità, non mancano, ma negli anni scorsi solo raramente si
sono tradotti in chiamate effettive.
G. Tr.
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Italia Oggi 17 dic. ’09
UNIVERSITÀ, L’ON-LINE È UN FLOP
Il X rapporto del Comitato nazionale definisce critico il quadro della
formazione telematica
Crediti facili, immatricolazioni in calo e scarso organico
DI BENEDETTA P PACELLI
Le Università on line non passano un esame. Crediti facili, immatricolazioni
in calo, scarsa consistenza dell'organico docente rispetto ai corsi di studi,
tutti dati questi che, secondo il X Rapporto sullo stato. del sistema
universitario messo a punto dal Comitato nazionale per la valutazione del
sistema universitario, contribuiscono a definire «critico», a dir poco, il
quadro complessivo della formazione on-line. Uno dei nodi principali,
evidenzia il Cnvsu, e quello delle risorse finanziarie e del personale.
Perché anche se la normativa vigente impone alle università telematiche
vincoli sulla disponibilità di docenti più teneri rispetto agli atenei
tradizionali (per corso di laurea bastano 3 docenti di ruolo contro i 12), a
queste era stato chiesto di allinearsi per assicurare un numero di competenze
adeguato a garantire la qualità dell'offerta formativa. Ma nella realtà
questo non è avvenuto: solo in 44 dei 74 corsi di studio attivati nell'anno
accademico 2009-10 l'organico corrisponde alle richieste dei requisiti minimi
della docenza. Complessivamente dei 222 docenti di ruolo teoricamente
necessari per consentire l'attivazione dei 74 corsi di studio ne sono
presenti solo 42. Ma non solo, perché gli atenei on line sfruttano la
possibilità di computare non solo i docenti effettivamente presenti, ma anche
le procedure concorsuali banditi e non ancora concluse. Una norma nata per
tener conto dei tempi lunghi di espletamento dei concorsi universitari, ma
usata in questo caso in modo anomalo visto che in 39 casi, una volta
terminato il concorso l'università telematica di turno ha poi deciso di non
chiamare alcun docente. E le risorse? I dati del rapporto evidenziano
situazioni «di debolezza diffusa» e soltanto «in pochissimi casi l'impiego di
risorse appare espressione di una cura appropriata per questo aspetto
dell'organizzazione». Questo fa si che gli atenei per bilanciare le minori
entrate rispetto alle attese, rallentano il piano di assunzione del personale
di ruolo. Altre criticità rilevate sono poi l'andamento in calo o comunque
stagnante delle nuove immatricolazioni e ancora l'eccessiva quantità di
crediti pregressi riconosciuti all'atto dell'iscrizione che, come è noto, ha
sfornato un alto numero di laureati precoci. Una bolla quella dei crediti
facili che non si è ancora sgonfiata con la stretta al riconoscimento voluta
dall'ex ministro Fabio Mussi nel 2007 e che dovrebbe scoppiare con le nuove
norme contenute nella riforma Gelmini. Infine l'offerta formativa che per
telematiche consiste complessivamente di 49 corsi di laurea triennale, 18
magistrale o specialistica e 7 quinquennali a ciclo unico per un totale di 74
corsi di studio. Numeri che per il Comitato di valutazione danno conto di un
sistema frammentato che non ha portato ad una specializzazione dei singoli
atenei, ma al contrario a offerte formative sovrapposte. E il rischio si
legge infine nel rapporto «è la competizione tra i diversi atenei
per'ripartire una domanda complessivamente modesta, senza che nessuno
raggiunga una massima critica».
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L’Unione Sarda 16 Dic.’09
UNIVERSITÀ, C'È IL TERZO POLO
Approvato ieri un emendamento in Consiglio regionale
Nuoro e Oristano in un consorzio unico
Mercoledì 16 dicembre 2009
N asce il polo universitario della Sardegna centrale. Dal 2011 la Regione
farà tabula rasa dei consorzi universitari di Oristano e Nuoro.
Un'aggregazione di corsi accademici che dovrà rivitalizzare le sedi gemmate e
dare maggiori opportunità ai territori delle zone interne. Questo l'intento
del consiglio regionale che, nella tarda mattinata di ieri, ha dato il via
libera a un emendamento alla legge finanziaria. La proposta (primo firmatario
il presidente della commissione Cultura Attilio Dedoni) sostenuta da
esponenti di entrambi gli schieramenti, è passata dopo lunghe discussioni. E
in serata è arrivata anche l'approvazione per un incremento del fondo unico
per il prossimo triennio: circa 7 milioni (per la precisione 6 milioni 980
mila euro).
L'AULA L'assemblea di via Roma, dunque, punta alto in fatto di università
sarda e rilancia il polo unico nell'ottica di razionalizzare l'insegnamento
superiore diffuso. Su richiesta del capogruppo dell'Udc, Roberto Capelli, è
stato inserito nel testo approvato ieri anche «l'impegno della Regione a
garantire, attraverso il fondo di settore, le risorse finanziarie adeguate».
LE REAZIONI Il provvedimento è stato salutato con grande soddisfazione dai
consiglieri regionali, in particolare dopo le recenti polemiche per la
ripartizione del fondo unico alle sedi periferiche e i timori per la
possibile chiusura. «Con la futura istituzione del polo universitario della
Sardegna centrale - ha commentato il capogruppo del Pdl Mario Diana, - le
istanze di sviluppo delle zone interne dell'Isola avranno una prima
importante risposta». Un segnale chiaro «per difendere l'esistenza di corsi
di laurea, anche di eccellenza nazionale come quello in Archeologia subacquea
con sede proprio a Oristano, perennemente a rischio chiusura», ha aggiunto
l'esponente di centrodestra. Inoltre il sistema produttivo locale potrà
contare su un maggiore bagaglio di conoscenze. Anche il consigliere
oristanese Oscar Cherchi ha rimarcato la positività della decisione. «É la
dimostrazione della volontà di far crescere le realtà universitarie
periferiche che si dimostrano sedi d'eccellenza - ha sottolineato - vogliamo
dare slancio alle esigenze dei territori in un'importante prospettiva di
sinergia tra Nuoro e Oristano». Per Carlo Sanjust, per stare in casa Pdl, «si
tratta di offrire una possibilità in più agli studenti, mantenendo più o meno
inalterati i finanziamenti per l'Università in Sardegna - ha sostenuto - la
Giunta Cappellacci sta cercando di razionalizzare le università gemmate
valorizzando le risorse, la storia del territorio e le eccellenze che
rischiavano di essere chiuse».
IL DEPUTATO Così anche il deputato del Pdl Bruno Murgia che ritiene si tratti
del «primo importante passo verso una diversificazione, anche territoriale,
dell'offerta formativa universitaria in Sardegna». Adesso, però, la prossima
mossa «sarà rivedere i contenuti dell'accordo tra Regione, Università ed enti
locali e dare una fisionomia più adeguata alle esigenze di famiglie e
studenti - ha aggiunto il parlamentare - la direzione è quella già indicata:
materie di studio fortemente legate alle esigenze del territorio e dello
sviluppo locale puntando alla esclusività ed evitando doppioni».
LA CAUTELA Soddisfazione con un pizzico di prudenza nelle parole del
presidente della Provincia di Oristano Pasquale Onida. «L'idea di un polo
unico e di una sinergia tra i due territori può essere affascinante, ma non
può assolutamente essere un alibi per far morire le università di Oristano e
Nuoro». Il pensiero vola alle difficoltà e alle incertezze degli ultimi anni,
con lo spauracchio di una chiusura delle sedi periferiche. «Tutto andrà
verificato nei dettagli, apriremo un dibattito e cercheremo la soluzione
ideale». Il sindaco di Nuoro Mario Zidda non si sbilancia, prima preferisce
conoscere nei dettagli il provvedimento.
VALERIA PINNA
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Il Sole24Ore 17 dic. ’09
TORNANO I FUORI CORSO NEI TEMPI UN LAUREATO SU 4
Istruzione, Esaurito l'effetto positivo della riforma del 3+2
Gianni Trovati ROMA LE NOTE DI MERITO Crescono tirocini e stage e negli
ultimi due anni le università sono riuscite ad aumentare del 52%
I finanziamenti dall'esterno
L'università rallenta. Nel 2008 i laureati sono tornati sotto quota 300mila,
gli immatricolati si sono fermati a 307mila (con un calo del 9% rispetto al
picco massimo del z004), perché solo il 68,4% dei neodiplomati sceglie la via
verso la laurea (contro il 74,5%, del z00z) e diminuisce anche il numero di
chi decide di tornare sui libri dopo un'esperienza lavorativa post diploma.
Crolla, soprattutto, la puntualità alla laurea, uno dei fiori all'occhiello
degli anni d'esordio del "3+2" (grazie anche al fatto che ovviamente a
laurearsi per primi sano stati i migliori fra gli studenti "riformati"), oggi
tornata alive}li deludenti: nel 2007/08 solo il 26,8% dei laureati, cioè il
10% in meno rispetto a quattro anni fa, è arrivato al traguardo nei tempi
giusti, ed è probabile che la flessione proseguirà nei prossimi anni.
Il passo del gambero avviato su alcuni degli obiettivi chiave della riforma
degli ordinamenti è fotografato dal decimo rapporto del Comitato nazionale di
valutazione del sistema universitario (Cnvsu), presentato ieri al Cnr. I
numeri ovviamente non dicono che è il caso di tornare indietro dalla riforma,
ma indicano che è il caso di ripensarne alcune delle modalità di attuazione.
«La situazione - spiega Luigi Biggeri, presidente del Cnvsu -è differenziata
al suo interno, e per garantire davvero una qualità diffusa bisognerebbe
avviare il sistema di accreditamento di corsie facoltà; il meccanismo
l'abbiamo preparato dal 2004, peccato che il ministero non abbia ancora
pensato di utilizzarlo».
Non tutto, però, va male. La novità più brillante, una volta tanto, arriva
dai conti, perché la costante aria di tagli (più annunciati che realizzati)
che soff a da anni sui bilanci ha aguzzato l'ingegno "imprenditoriale" degli
atenei: finanziamenti esterni, convenzioni e vendita di servizi alle imprese
hanno portato nei consuntivi z007delle università statali 187,6 milioni di
euro, cioè il 52% in più dei 1-13,4 milioni racimolati con gli stessi
strumenti solo due anni prima. Buona prova anche per stage e tirocini: a
livello nazionale a'aumento registrato nel solo 2007/2008 è del 20,2% (sono
23mila le esperienze attivate), ma a trainare è solo il Centro-Nord.
Anche la "razionalizzazione" delle strutture ha smesso di essere relegata
ai convegni per entrare nella carne viva delle scelte organizzative. Certo,
ci sono ancora 369 corsi di laurea (cioè più del io% del totale) con meno
diio iscritti, ma molti sono a numero chiuso e, soprattutto, per la prima
volta si erode la monta
gna degli insegnaznenti (quest'anno sono z7zmila, 9mìla ú7 meno dell’anno
scorso) e diminuisce il numero delle sedi: nel 2009izoio solo zz'~ comuni
italiani, contro i zqz ciell'anno scorso, possono vantare un corso di laurea
sul proprio territorio. Per superare il gigantismo accademico che imo anni ha
aumentato dell'8o ro il costo degli ordinari, però, serve altro. «In
particolare - sottolinea Biggeri - vanno ripensate le lauree specialistiche,
che dovevano essere limitate ai contesti con forte sviluppo della ricerca e
invece sono state attivate da tutti gli atenei, anche dove non c'è nemmeno il
dottorato dello stesso ambito disciplinare».
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Italia Oggi 17 dic. ’09
ATENEI, MATRICOLE GIÙ E BOOM DI FUORI CORSO
All'università calano le matricole e aumentano gli studenti lumaca, quelli
che per concludere il percorso di studi impiegano almeno un anno in più del
dovuto. La buona notizia in compenso, secondo il X rapporto del Comitato di
valutazione del sistema universitario, è che tra il 2006/2007 ed il 2007/2008
sono diminuiti gli abbandoni tra il primo e il secondo anno di studi: dal 20
al 17,5%. Segno che tra i nuovi iscritti crescono la soddisfazione e la
convinzione per il percorso scelto dopo le superiori. L'università continua
ad attrarre i neo maturi, ma meno che in passato. Diminuisce, infatti, dopo i
picchi toccati in seguito alle riforma del 3+2, il numero di iscritti e di
immatricolati. Nel 2007/2008 gli immatricolati sono stati 307.533, contro i
338.000 del 2003/2004. Il numero di laureati per la prima volta dopo 3 anni,
scende sotto la soglia dei 300 mila: sono 293.084 coloro che, nel 2008, hanno
conseguito il titolo di studio triennale, la laurea specialistica o un titolo
del vecchio ordinamento. La diminuzione è di 7.051 unità rispetto al 2007.
Meno di 1 studente su 3 si laurea nei tempi previsti: considerando i corsi di
laurea triennali, dal confronto tra gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008 si
evidenzia la flessione sia della proporzione di laureati in corso, sia di
quelli che hanno conseguito il titolo un anno oltre la durata normale del
corso.
Benedetta P. Pacelli
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Il Sole24Ore 17 dic. ’09
SBLOCCATE LE RISORSE PER RECLUTARE I RICERCATORI
Il ministero ha assegnato 40 milioni di aiuti
ma Trova pace la tormentata vicenda dei fondi "Mussi" per il reclutamento dei
ricercatori universitari a tempo indeterminato. Dopo un tira e molla
normativo, fatto di emendamenti entrati e usciti in varie norme nelle ultime
settimane, il ministero ha deciso di fare da sé, e con il via libera della
corte dei conti ieri ha assegnato agli atenei i 40 milioni della nuova
tranche dell'aiuto statale che apre 90o posti nella "terza fascia" dei ruoli
accademici.
Il provvedimento offre alcune importanti novità rispetto al sistema di
finanziamento che ha distribuito Go milioni di euro negli ultimi due anni. Il
ministero, prima di tutto, ha deciso di finanziare i1 costo medio del
ricercatore, invece dì quello iniziale, superando le obiezioni legate al
fatto che con il vecchio metodo le università si trovavano un aiuto statale
di fatto decrescente nel tempo. Il nuovo sistema, poi, non prevede più
l’obbligo di cofinanziamento da parte dell'ateneo: nel 2007 e nel z008, per
poter accedere all'assegno statale, l'università era obbligata a mettere mano
al portafoglio per stanziare la propria quota, con un meccanismo che
escludeva gli atenei privi dei fondi necessari o non intenzionati a sbloccare
risorse. Il finanziamento z009 supera il problema, prevedendo una somma
prefissata per ogni ateneo: sarà la singola università, poi, a decidere se
usare solo l'assegno ministeriale o integrarlo con fondi propri, consentendo
così l'avvio di più ricercatori. La novità, però, non piace a tutti: se
nessuno cofinanzia, spiegano dall'associazione dei precari della ricerca in
Italia, i posti garantiti «sono 900 anziché i 4mila promessi più volte dal
ministro Gelmini». Per determinare il peso dell'aiuto ministeriale spettante
a ogni università il nuovo provvedimento non dimentica la "meritocrazia",
parola d'ordine reclamata da ogni misura uscita nell'ultimo anno e mezzo dal
ministero guidato da Maria stella Gelmini. La bussola è data dal solito
vincolo che impedisce alle spese destinate agli assegni fissi al personale di
superare il 90% del fondo ordinario . riconosciuto all'ateneo; chi è sopra il
vincolo, incappa nel blocco totale del reclutamento, mentre per gli altri il
premio cresce proporzionalmente al diminuire del rapporto fra spese fisse e
fondo di finanziamento ordinario. Come per il finanziamento "generale", anche
in questo caso ai premi è stata dedicata una parte del fondo (5 milioni di
euro), mentre il resto segue parametri fissi,
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Il Sole24Ore 16 dic. ’09
PERCHÉ L’ITALIA LEGA LE MANI ALL'INNOVAZIONE
di Gianfranco Fabì
Che la carenza d'innovazione sia uno dei problemi principali dell'economia
italiana è armai un dato di fatto che si può considerare un postulato. Il
dibattito è peraltro aperto sulle ragioni dì questo deficit ormai strutturale
e sulla cronica limitatezza degli investimenti nelle attività di ricerca e
sviluppo. Se ci si fermasse alla cassetta degli attrezzi fornita dalle teorie
classiche dell'economia, si dovrebbe puntare il dito sulla carenza di
concorrenza del sistema economico perché, da Adam Smith a Joseph Schumpeter,
l'innovazione è considerata un frutto della capacità e della motivazione
degli imprenditori, sotto la spinta del mercato, di sfruttare in maniera
nuova e creativa le risorse umane e materiali disponibili.
Schumpeter tuttavia, al di là dello slogan della distruzione creativa, ha
fatto compiere un passo avanti alla teoria mettendo in evidenza come
l'innovazione possa essere compresa, giudicata e soprattutto valutata solo
expost, cioè considerando i risultati conseguiti, e non ex ante, perché
comunque gli imprenditori non possono che avere, ma non certo per colpa loro,
una razionalità limitata nelle possibilità di prevedere le reali ricadute dei
processi innovativi.
Nel caso italiano ci sono due elementi che rendono particolarmente
importante una corretta strategia di valutazione: il forte peso che ha
assunto la dimensione pubblica da una parte e la crescente incidenza del
settore dei servizi dall'altra F, in questa prospettiva che Fabrizio Tuzi,
direttore generale del Cnr, lancia una proposta: rendere più efficienti gli
investimenti in MS attraverso una coerente ed efficace politica di
valutazione, proprio quella politica che soprattutto nel settore pubblico è
praticamente assente. E non solo per mancanza di volontà, ma soprattutto per
la carenza di regole. «L'attuale assetto normativo - scrive Tuzi nel suo
libro L'innovazione dimezzata-non riconosce l'autonomia necessaria a un
sistema che dovrebbe essere il motore dello sviluppo di una nazione». si
citano i vincoli alle assunzioni, i passaggi autorizzativi a singhiozzo, la
scarsa flessibilità del lavoro di ricerca e, addirittura, il peso d'imposte
come fIrap che gravano sui costi del personale degli enti pubblici di
ricerca.
Non sorprende allora che si riferiscano al settore pubblico tre dei quattro
indicatori in cui l’Italia è sotto la media Ocse sull'innovazione: la qualità
delle istituzioni per la ricerca scientifica, le collaborazioni università-
industria; gli acquisti statali di prodotti a tecnologia avanzata. A questi
sì aggiunge la spesa privata in R&5> una spesa tuttavia verosimilmente
sottostimata, data la dimensione medio piccola delle imprese italiane che
rende difficile definire in modo chiaro la dimensione quantitativa degli
investimenti in innovazione.
Se questo è vero, ne risulta che il rilancio dell'innovazione si gioca non
solo sul fronte delle risorse a disposizione o sul grado di competizione, ma
anche sulla possibilità di rendere gli interventi più efficienti: non solo
spendere di più, ma soprattutto spendere meglio.
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La Nuova Sardegna 14 Dic.’09
L’ITALIA DIMENTICA LA LINGUA E COSÌ PERDIAMO L’ANIMA
LA SCUOLA CHE NON FUNZIONA
Dalle elementari all’università gli studenti hanno una conoscenza molto
approssimativa dell’idioma nazionale
Sta venendo fuori un problemaccio che renderà l’Italia di domani peggiore di
oggi: gli studenti arrivano all’università con una cultura lacunosa e una
barcollante conoscenza della lingua italiana. Leggendo le risposte ai test
affrontati dalle matricole, ci viene addosso una desolata depressione. Non
considero grave scrivere: «Qual’è la natura» e «Un’uomo», e nemmeno «quore»:
sono erroracci, d’accordo, ma non rivelano una stortura del cervello. La
stortura c’è in chi scrive: «Se sarei venuto a Roma, t’incontrerò». Si resta
allibiti. È tutta la società che perde la lingua. Il padrone di una squadra
di calcio ha dichiarato in tv: «C’è chi può e chi non può, io può». Una
maestra ha scritto nel verbale di una gita: «Lo scolaro Gamba è caduto e s’è
rotto la medesima». La maestra capirebbe l’errore se pensasse la frase in
latino. Ma il latino non si fa più o, dove si fa, si fa alla carlona. Il
latino ti fa vedere, nella parola che c’è, la parola che c’era, nella frase
che scrivi, la frase che si scriveva, e un po’ della parola e della struttura
di un tempo rimangono nella parola e nella frase di oggi. Gli studenti che
lasciano le biciclette accatastate nei marciapiedi davanti agli istituti, non
sanno il latino: non capiscono che un marciapiede deve restar libero perché
ci marciano i pedoni, che puoi vedere se guardi in fondo al porticato: il
latino li allenerebbe a capire che, se c’è un «ut», prima che il periodo
finisca dev’esserci una finale, se scorri avanti con l’occhio la vedi.
La lingua è la nostra struttura. Qualcuno sostiene che «l’inconscio è
strutturato come un linguaggio» (Lacan), cioè che i nostri sogni e i nostri
sentimenti (e la nostra sessualità) hanno a che fare con la lingua che
parliamo. I ragazzi che parlano e scrivono male non sono soltanto studenti
sbagliati, sono anche uomini sbagliati. Chi usa una lingua disordinata ha una
vita disordinata. La vita di chi non sa parlare e scrivere correttamente è
una vita misera. Non parlo di ricchezza, ovviamente: un conto è il tenore
della vita, altro conto è la qualità della vita.
Questo è un tempo che ha azzerato il rapporto tra merito e premio. Puoi
ottenere anche senza meritare. Non è più necessario studiare, ricordare,
scrivere. Si può andare avanti lo stesso, laurearsi e guadagnare. Tutti gli
studenti, una volta, per laurearsi, dovevano scrivere un libro: la tesi. Per
una volta nella vita, erano «autori». La tesi era il «capolavoro» della loro
cultura. Una volta nelle fabbriche si chiamava «capolavoro» il pezzo che
l’operaio costruiva davanti agli esaminatori che dovevano assumerlo. Bene, la
tesi era il capolavoro di ogni studente, il vertice della sua capacità di
ricerca, ragionamento, scrittura. Oggi ricerca, ragionamento, scrittura sono
sostituiti da Internet: qualunque argomento è già svolto in Internet. Non
devi usare il cervello, basta usare il Copia e Incolla.
E così la nostra società è segnata dalla «perdita della lingua». Che comincia
già alle elementari. Non sappiamo scrivere perché non leggiamo, né libri né
giornali. Se da noi solo 98 persone su mille leggono un giornale, la domanda
è: i nostri cittadini sono in grado di capire e decidere? Sono adatti alla
democrazia?
E come mai arrivano all’università, se non sanno scrivere? Non andrebbero
stoppati prima, alle medie superiori, alle medie inferiori, costretti a
ripetere l’anno, o a riparare a settembre? Insomma, costretti a studiare,
leggere e scrivere?
(fercamon@alice.it)
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Corriere della sera 18 Dic.’09
QUELLA «I» COME «ITALIANO» CHE LA SCUOLA HA TRASCURATO
DISCUSSIONI UN DOCUMENTO DELLA CRUSCA E DEI LINCEI LANCIA L' ALLARME: I
RAGAZZI IGNORANO LA LINGUA MADRE. E OFFRE ALCUNE SOLUZIONI
Croce sbagliava: insegnare la letteratura non basta Conseguenze Chi non sa
scrivere, non ha il dominio della realtà. Chi non sa esprimersi non può
giudicare
L' italiano a scuola è minacciato. Da chi? Da tutti (o quasi): dalla
politica, e cioè dalle riforme previste o, meglio, minacciate, dagli allievi
che non vogliono saperne di regole in generale, figurarsi di quelle
grammaticali, persino dai professori, e vedremo perché. L' insegnamento dell'
italiano è minacciato anche (o soprattutto) dalla società, che offre poli di
attrazione ben diversi dall' approfondimento della lingua-madre: immagini,
tecnologie, internet, l' immancabile televisione eccetera. La riforma, si
diceva: per alcuni indirizzi della scuola superiore prevede una riduzione. Ma
non è questo quel che conta davvero: a preoccupare è l' atteggiamento di
generale superficialità con cui si guarda alla nostra lingua. Per esempio, a
molti addetti ai lavori è sembrata una provocazione, con questi chiari di
luna, la recente crociata leghista per il dialetto nelle scuole. I chiari di
luna sono quelli che impietosamente emergono dalle classifiche internazionali
(Ocse-Pisa) riguardanti le competenze linguistiche dei nostri giovani,
collocati agli ultimi posti. Per queste buone ragioni, le due maggiori
accademie italiane, la Crusca e i Lincei, hanno deciso di lanciare un appello
su Lingua italiana, scuola, sviluppo, partendo da un principio solo
apparentemente assodato: «una padronanza medio-alta dell' italiano è un bene
per il Paese e il suo sviluppo culturale ed economico». Assodato? Niente
affatto, sarebbe meglio non dare niente per scontato. Vi ricordate il famoso
slogan delle tre «I» su cui un passato governo Berlusconi fondava la
prospettiva di una scuola rinnovata? C' era di tutto (inglese internet
impresa) salvo che l' italiano che pure aveva la stessa iniziale. L' appello
degli accademici, steso da Francesco Bruni, sostiene che «una conoscenza
della lingua materna sicura e ricca, che non si limiti ai bisogni
comunicativi primari, elementari (...) è una precondizione per un Paese
civile». Quel che si propone è insomma «un deciso rafforzamento dell'
italiano nell' insegnamento scolastico». Con una sottolineatura: che le ore
dedicate alla lingua siano tenute ben distinte da quelle riguardanti la
lettura dei testi. Il che riduce l' antica prevalenza crociana della
letteratura come disciplina regina, per ripartire più terre à terre dalla
lingua d' uso. Il paradosso vuole addirittura che studenti Erasmus venuti da
noi dopo aver imparato l' italiano all' estero siano più preparati dei nostri
sulle strutture morfologiche e sintattiche e persino sul lessico. Il filologo
Cesare Segre, professore universitario di lungo corso, conosce bene le
carenze degli studenti: «Sanno poche parole, non sono capaci di costruire
frasi complesse e fanno errori di ortografia gravissimi, insomma non sanno
usare la lingua: riassumere, raccontare, riferire. Questo significa che non
hanno il dominio della realtà, perché la lingua è il modo che abbiamo per
metterci in contatto con il mondo: e se non sei capace di esprimerti non sei
capace di giudicare. Per di più la civiltà dell' immagine in genere usa la
lingua per formulare slogan e non ragionamenti». C' è poi la questione della
presunta concorrenza dell' inglese: «Se non possiedi la struttura della tua
lingua non sei in grado di imparare le altre, per questo le campagne a favore
dell' inglese non hanno senso se non si legano a un miglioramento dell'
italiano». Basterà rivedere i programmi? Aggiungere un' ora? O mantenere le
attuali? Il presidente d' onore della Crusca, Francesco Sabatini, punta su un
aspetto che definisce paradossale: «Non c' è nessun collegamento tra la
formazione universitaria e l' immissione degli insegnanti nella scuola: si
richiederebbe una competenza linguistica e tecnico-didattica specifica. Un
tempo poteva insegnare italiano nelle superiori anche un laureato in
giurisprudenza che aveva fallito la carriera di avvocato oppure un laureato
in pedagogia. Ma ancora oggi se io chiedo a cento professori di italiano
quanti hanno studiato linguistica o storia della lingua, rispondono
positivamente soltanto in dieci. Il predominio della letteratura è un tardo
influsso crociano». Non per niente Sabatini ha scritto già un paio d' anni fa
un saggio intitolato Lettera sul ritorno alla grammatica. Ma contro la
grammatica sembrano schierarsi persino i professori, che forse sarebbero i
primi a doverla imparare: «È vero, c' è un blocco dei docenti, i quali
sostengono che chi sa bene la letteratura può insegnare tranquillamente la
lingua. Per non dire poi dei ministeri, che ignorano persino l' esistenza di
una disciplina che si chiama linguistica». Insomma, ci vorrebbe, secondo
Sabatini, una politica mirata all' insegnamento dell' italiano, tenendo conto
del fatto che l' italiano serve a tutti i cittadini e a tutti i
professionisti: non solo ai docenti di italiano, ma ai magistrati, agli
avvocati, ai medici, agli ingegneri eccetera. E il dialetto? «È importante
culturalmente, storicamente, strutturalmente. Va bene presentarlo, ma
insegnarlo sistematicamente sarebbe una follia: il dialetto si impara, non si
insegna». Bisogna andare sul campo, come si dice, per avere una voce ancora
più netta sulla questione. Carla Marello è glottodidatta all' Università di
Torino e si occupa molto dell' insegnamento a stranieri. Una prospettiva
diversa? «No, tutto ciò che vale nell' insegnamento dell' italiano agli
stranieri, serve a maggior ragione per i parlanti nativi. Oggi poi...». Oggi?
«Con le classi multilingue l' insegnamento dell' italiano è cambiato per
forza. Se poi sentiamo in televisione il Grande Fratello, si capisce subito
che la lingua dei giovani è diversa da quella delle antologie scolastiche e
dalle scritture artificiali che si richiedono nei temi». Dunque? «La scuola
continua a insegnare un italiano fittizio, c' è un distacco enorme tra l'
esempio che diamo e ciò che gli allievi sono in grado di recepire. Dunque se
vogliamo che l' italiano scritto dei nostri ragazzi migliori dobbiamo
impegnarci a farli scrivere di cose concrete, con un insegnamento molto
pratico che non guardi più alla lingua letteraria come al solo modello».
Bandire la letteratura? «No, si arriverà alla letteratura come massimo grado
di utilità e bellezza, ma prima punterei su forme di scrittura meno belle e
più concrete, senza ostinarmi a perseguire norme utopiche e senza dare per
scontato niente». Proprio niente? Neanche la differenza tra scritto e orale?
«Tra scritto e parlato c' è uno scollamento enorme: puntando sul parlato,
alzeremo anche il livello dello scritto. Sempre meglio dire: "se lo sapevo
non venivo" piuttosto che "se non lo saprei non verrei". Che bisogno c' è di
pretendere a tutti i costi "se l' avessi saputo non sarei venuto"? Pazienza
se non sarà lo scritto di Igor Man o di Scalfari, ma quello più realistico
della Littizzetto!». RIPRODUZIONE RISERVATA A Firenze Oggi gli accademici
presentano il testo Il documento «Lingua italiana, scuola, sviluppo» ovvero
«Lo stato dell' italiano in rapporto alle esigenze del Paese e alla riforma
dell' Istruzione», del quale anticipiamo i contenuti nell' articolo sopra,
viene presentato questa mattina alle 11.30 a Palazzo Medici Riccardi di
Firenze. Lo esporranno Nicoletta Maraschio, presidente dell' Accademia della
Crusca, Lamberto Maffei, presidente dell' Accademia dei Lincei, e Silvia
Morgana, presidente dell' Associazione per la Storia della lingua italiana.
Di Stefano Paolo
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Repubblica 15 Dic.’09
RIFORMA DEI LICEI, STOP DEL CONSIGLIO DI STATO
“Superati i limiti di delega”. Oggi vertice al ministero per valutare un
rinvio delle iscrizioni
MARIO REGGIO ROMA — Stop del Consiglio di Stato alla riforma delle scuole
superiori che, nell’intenzione del ministro Mariastella Gelmini, dovrebbe
partire dal prossimo anno scolastico. Il Consiglio di Stato contesta che i
Regolamenti emanati dal ministro vanno ben al di là della delega concessa dal
Parlamento. Meno ore, meno materie, con l’obiettivo di ridurre i costi ed il
personale non rientrano nella delega che prevede, secondo i magistrati, «la
sola ridefinizione dei curricula vigenti nei diversi ordini di scuola anche
attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e relativi quadri orari».
Il secondo punto riguarda la creazione dei Dipartimenti scolastici per la
valutazione che porterebbero alla cancellazione di fatto dei collegi dei
docenti, in contrasto con la legge sull’autonomia scolastica. Il Consiglio di
Stato, la sentenza è dello scorso 9 dicembre, chiede al ministero di chiarire
i punti contestati e si riserva il giudizio definitivo. Ma il tempo è
tiranno. Sono alle porte le vacanze di Natale, le commissioni parlamentari di
Camera e Senato dovranno prendere visione e valutare il nuovo testo dei
regolamenti. E il termine ultimo per le iscrizioni al nuovo anno scolastico è
stato già fissato al 27 febbraio 2010. Il rischio è che tutto slitti all’anno
scolastico 2011- 2012. Che qualche problema ci sia è confermato dall’unica
notizia che trapela da viale Trastevere: stamattina summit al ministero per
decidere l’eventuale slittamento della scadenza delle iscrizioni alle
superiori. Il Consiglio di Stato ha, infatti, invitato il ministero ad alcuni
chiarimenti sui tre schemi di regolamento approvati in prima lettura dal
consiglio dei ministri e attualmente all’esame delle commissioni
parlamentari, riservandosi «la facoltà di disporre l’audizione del Capo
dell’Ufficio legislativo del Ministero, nonché del dirigente generale
competente all’istruttoria del regolamento ». Nel frattempo il Consiglio ha
sospeso l’emanazione del parere. Alla luce dei chiarimenti chiesti e
considerando che le Commissioni parlamentari non hanno ancora espresso i
richiesti pareri che, comunque, dovranno ora tenere conto del pronunciamento
dei magistrati, dal fronte sindacale arriva la richiesta di rinviare di un
anno il debutto della riforma. «Avremmo di certo preferito che tale blocco
fosse stato determinato dalla ferma e dilagante opposizione di docenti, Ata,
studenti e genitori: ma in ogni caso — afferma Piero Bernocchi portavoce dei
Cobas — accogliamo positivamente tutto ciò che ci dà tempo affinché tale
protesta e tale lotta si sviluppino al massimo nei prossimi mesi, verso una
sonora bocciatura di una controriforma che distruggerebbe le superiori e
ulteriormente immiserirebbe l’intera scuola pubblica italiana». «Ribadiamo
ora con maggior forza — dice il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo
Pantaleo — che è il caso di fermarsi, rinviando di un anno l’entrata in
vigore dei regolamenti: di ascoltare le ragioni di quanti non hanno condiviso
merito e metodo del riordino della scuola secondaria superiore; è necessario
rimuovere i tagli e, solo a questa condizione, riprendere le fila per una
vera riforma che necessita non di tagli ma di investimenti, di tempo per
l’ascolto e il confronto vero». Stessa richiesta dalla Gilda. «Le
osservazioni formulate dal Consiglio di Stato — dichiara il coordinatore Rino
Di Meglio — rilevano, in sostanza, che non esistono le condizioni adatte per
procedere con l’applicazione della riforma voluta dal Governo».
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Il Sole24Ore 13 dic. ’09
MA L'ATOMO CONVIENE DAVVERO
L'Italia progetta il ritorno al nucleare mentre in Francia tempi, spese e
sicurezza dei nuovi impianti seminano scie di dubbi
di Emma Bonino Parlamentare radicale
Elisabetta Zamparutti
Parlamentare radicale
Le prevedibili polemiche sui siti nucleari e la convocazione a breve da parte
del governo di tutte le imprese "interessate" al settore, ci spingono a
riproporre alcuni quesiti di fondo che non hanno avuto risposte convincenti,
insieme a' problemi rimasti insoluti. E ci portano a farlo proprio su un
giornale "nuclearista" perché il confronto è utile tra chi ha maturato
opinioni diverse.
Ripetiamo la domanda che abbiamo posto nel 2008: in termini di
costi/benefici, conviene al nostro paese costruire centrali nucleari
impegnando nei prossimi anni 25/30 miliardi per soddisfare, ben che vada a
partire dal 2020 il 25% dei' consumi elettrici attuali che corrispondono solo
a circa i14,5% dei consumi finali di energia? Non esiste altro modo per
raggiungere e persino superare lo stesso obiettivo?
Una recente valutazione dell'Enea evidenzia che le uniche opzioni
tecnologiche con benefici sociali netti o con costi minimi sono quelle
riconducibili al miglioramento dell'efficienza energetica nell'industria, nel
terziario, nel trasporto, nell'edilizia residenziale e nella produzione e
trasmissione di elettricità. Secondo quanto affermato in questo studio, nel
solo settore dell'elettricità, si potrebbero evitare 73 twh di energia
elettrica, pari al 21,6% dei consumi finali lordi del 2008 (337,6 twh).
Questo enorme potenziale di risparmio energetico al 2020 corrisponde alla
produzione elettrica di circa 8 grandi centrali nucleari.
Siamo convinte che sia molto importante continuare ad usare risorse pubbliche
per potenziare i nostri centri di ricerca e partecipare a programmi
internazionali in questo campo. Ma intanto il rapporto dell'Enea ci dà
un'indicazione univoca: le misure di efficienza energetica sono
immediatamente praticabili, consentono di guadagnare tempo laddove le
innovazioni non sono ancora mature in termini di prestazioni e di costi, e
permettono di operare scelte strategiche in modo più consapevole e calibrato
alle vere esigenze del nostro paese.
In modo acritico ci viene continuamente riproposto l'esempio francese,
nonostante, notizie d'oltralpe definiscano un "fiasco industriale" il
nucleare francese. Quello, per intenderci, che dovremmo realizzare,
incentrato sul reattore Epr. «Non si sa se riusciremo a costruirlo, né a che
prezzo potrà essere realizzato: dai 3 miliardi di euro si è passati ai 5 e si
evoca la cifra di 6 0 7 miliardi», riassumeva pochi giorni fa un dirigente di
Edf dalle colonne del giornale francese Mediapart.fr.
Il produttore Areva ha dovuto ammettere che il cantiere finlandese ha già
prodotto 2,7 miliardi di perdite destinate a crescere e superare così il
prezzo di vendita (3 miliardi) del reattore stesso. Così come ha dovuto
riconoscere ritardi tali da far entrare in servizio fEpr nel 2012 nonostante
le previ~ sioni iniziali parlassero del 2009. E il vicepresidente della
compagnia elettrica finlandese Tvo, Timo Rajala, dalle pagine di Les Echos si
è sentito in obbligo di rispedire al mittente le accuse di essere all'origine
dei ritardi, affermando che '«il progetto ha richiesto troppo tempo... Noi
non vogliamo pagare i costi che si sono resi necessari per ricerca e
sviluppo». Più discreta
mente, Edf ha annunciato il rinvio di almeno un anno della messa in servizio
deEpr di Flamanville.
Ma soprattutto la Francia non ha risolto con il nucleare la dipendenza da
fonti fossili, se consideriamo che consuma pro-capite più petrolio della
Germania. E se è vero che nelle ore morte, quando è in una situazione di
sovraccapacità, ci vende energia elettrica, è altrettanto vero che nelle ore
di punta la compra appunto dalla stessa Germania.
Per non parlare dell'avvertimento pesante lanciato dalle tre autorità per la
sicurezza nucleare francese, finlandese e inglese. Inun comunicato congiunto
hanno rilevato la necessità di rafforzare il sistema di sicurezza dell'Epr
perché «nel modo in cui è stato originariamente proposto dai licenziatari e
da Areva, non osserva il principio d'indipendenza» tra i sistemi di sicurezza
e quelli di controllo, che costituisce un principio basilare della sicurezza,
e hanno chiesto una revisione completa del sistema. Sostanzialmente hanno
detto: «Così non va». E non è difficile immaginare quanto sia costata
all'autorità francese muovere una pubblica critica a quello che viene
considerato un simbolo della grandeur francese.
Né molto diversa pare la situazione di quell'altra tecnologia che potrebbe
trovare attuazione in Italia, il reattore Api000 dell'americana Westinghouse:
i127 novembre la direzione Sanità e Sicurezza britannica (Hse) ha avvertito
che potrebbe non approvare il progetto se non risponderà alle riserve
espresse in tema di sicurezza.
Per cultura e prassi politica radicale non siamo affette dalla sindrome Nimby
o da psicosi catastrofiste, ma le alternative esistono, come ha proposto la
stessa Enea: efficienza energetica, energie alternative, ricerca.
Sicché ripetiamo la domanda: il nucleare conviene? Risolve?
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l’Unità 14 dic. ’09
DAL MEDIO ORIENTE ALLA SIBERIA, LA MARCIA DI HOMO SAPIENS
80.000 anni fa fu un'unica migrazione a popolare l'intera Asia
93 genetisti per la ricerca. Per la prima volta un team tutto asiatico
Indonesia In questo paese ancora oggi si contano 300 popolazioni diverse
Su Science la ricerca degli scienziati di 11 paesi. Studiando il 1?na di 73
popolazioni asiatiche ribaltano teorie consolidate. Ma la notizia è anche
un'altra: pure loro, gli scienziati, per la prima volta sono tutti asiatici.
PIETRO GRECO scienza@unita.it
L'Asia, il più grande e popoloso continente del mondo, è stata colonizzato
per la prima volta da Homo sapiens con un'unica grande ondata migratoria che,
partita dal Medio Oriente (e prima ancora dall'Africa), ha costeggiato il
subcontinente indiano, conquistato i grandi arcipelaghi dell'Indopacifico, si
è estesa a nord, giungendo in Cina e dilagando, infine, nelle gradi steppe
siberiane. La grande spinta iniziale ha dato poi vita a una grande
diversificazione (pur nell'ambito della sostanziale omogeneità della specie
umana): nella sola Indonesia, ancora oggi si cantano 300 popolazioni diverse.
E nelle Filippine sono 180. Come è nata tanta diversità? Da un evento
iniziale unico. La storia della conquista umana dell'Asia è stata ricostruita
da un gruppo di 93 genetisti, appartenenti a 40 istituzioni di 11 paesi, che
ha esaminato il L)na di 1.900 persone rappresentative di 73 popolazioni
asiatiche. Di ciascuno l’equipe ha esaminato 50.000 SNP (Polimorfismi del
singolo nucleotide). Ovvero siti genetici dove una singola mutazione
determina una forma (allele) alternativa di un medesimo gene. Lo studio di
questa enorme massa di dati ha consentito di verificare non solo la (ormai
scontata) omologia tra diversità genetica e diversità linguistica, ma anche
che la diversità diminuisce spostandosi dal sud verso il nord dell'Asia e che
tutte le variazioni presenti a nord sono presenti anche al sud (ma, non
viceversa). Il che significa, appunto, che il nord del continente è stato
colonizzato da popolazioni provenienti dal sud.
UNA PARTITA PLANETARIA
In realtà, il team -che ha pubblicato i risultati della sua ricerca
sull'ultimo numero di Science - ha potuto stabilire che la colonizzazione
dell'intera Asia è avvenuta sulla spinta di una singola ondata migratoria che
ha seguito il tragitto che abbiamo già descritto. Con ciò falsificando due
vecchie teorie che non hanno retto alla prova. La prima sosteneva che l'Asia
era stata colonizzata mediante due flussi migratori, uno a sud e l'altro a
nord. La seconda, invece, proponeva una singola ondata di uomini che si
sarebbero inoltrati nelle steppe dell’Eurasia, avrebbero raggiunto le coste
del Pacifico e poi colonizzato il sud del continente. Oggi sappiamo che è
andata in un altro modo (anche se non sappiamo dire con esattezza quando è
avvenuta la grande spinta migratoria dal Medio Oriente: probabilmente è
iniziata intorno a 80.000 anni fa). Ma la ricerca pubblicata su Science è
importante anche per un'altra ragione. 193 scienziati di 40 istituzioni di 11
paesi diversi sono, a loro volta, tutti asiatici. Non era mai avvenuto prima,
in una ricerca di così vasta portata in genetica delle popolazioni. E il
fatto è la dimostrazione più convincente che il grande continente è diventato
uno dei poli importanti della ricerca scientifica mondiale, anche nei settori
della ricerca di base. La scienza sta diventando sempre più una partita
giocata su un campo grande quanto il mondo intero.-.•
IL SITO DELLA RIVISTA «SCIENCE» wwwsciencemag.org
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L’Unione Sarda 14 Dic.’09
IL TESORO DELL'AUTONOMIA: LA LEZIONE DI PIGLIARU
Lunedì 14 dicembre 2009
S econdo Norberto Bobbio l'intellettuale doveva essere soprattutto un
“seminatore di dubbi”. Nessuno, nella Sardegna dell'Autonomia, è riuscito
meglio di Antonio Pigliaru ad incarnare la definizione del grande filosofo
torinese. Eppure quella dell'autore de “La vendetta barbaricina come
ordinamento giuridico” fu un'esistenza breve, iniziata ad Orune nel 1922 e
conclusasi prematuramente a Sassari nel 1969.
A quarant'anni dalla morte il grande intellettuale verrà ricordato oggi a
Cagliari in un convegno organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza in
collaborazione con l'Elsa, l'associazione che riunisce gli studenti e i
neolaureati in legge di tutta Europa. Dalle ore 16 si confronteranno,
nell'aula Arcari in viale Sant'Ignazio 86, giuristi e uomini politici che di
Pigliaru sono stati allievi e hanno avuto modo di riflettere sul suo lascito
intellettuale. Dopo i saluti del Rettore e del preside di Giurisprudenza,
interverranno fra gli altri Francesco Cocco e i giuristi Giuseppe Lorini,
Michelina Masia ed Andrea Pubusa.
In un periodo di crisi profonda delle culture politiche la lezione di
Pigliaru appare di una straordinaria attualità soprattutto rispetto alla sua
concezione dell'Autonomia come partecipazione continua e collettiva del
popolo sardo in vista di una vera rifondazione dello Stato. Soltanto
attraverso il coinvolgimento della cittadinanza democratica era infatti
possibile a suo avviso creare le condizioni per la nascita e la maturazione
di una classe dirigente realmente capace di guidare e ispirare una concreta
opera di rinnovamento della politica.
Per fare questo era necessario sprovincializzare la cultura non “negando il
contenuto”, ma superando “alcune sue forme tradizionali di espressione”.
L'importanza strategica della discussione come fattore di crescita civica fu
del resto dimostrata dal suo impegno assiduo all'interno del gruppo di
lavoro che si raccolse attorno alla rivista “Ichnusa”, una delle più feconde
esperienze di riflessione sulla Sardegna della Rinascita.
Quest'opera di organizzatore e suscitatore di cultura, che si affiancava
alla sua attività di docente di Dottrina dello Stato nell'ateneo sassarese,
rappresentò un'azione di impegno finalizzata alla maturazione di una
consapevolezza di pensiero capace di andare oltre gli interessi particolari
dei singoli partiti senza scadere in quello che egli definiva il
“cosmopolitismo chiuso”, ovvero la tendenza, dietro un'attenzione spiccata
per la storia più generale, a manifestare un certo disinteresse per la
realtà isolana.
Pigliaru fu tra i primi a capire come la lotta politica in Sardegna dovesse
superare qualsiasi dimensione particolaristica o di “regionalismo chiuso”,
legata alla tutela di privilegi individuali o territoriali, per assumere
invece una valenza collettiva e partecipativa che doveva iniziare dalla
scuola. In quest'ottica era compito dello Stato modificare la propria
presenza sul territorio valorizzando la prospettiva unitaria nazionale e
cercando contemporaneamente di garantire le autonomie locali, prima
espressione di una democrazia diffusa a tutti i livelli.
Un processo storico e politico basato sulla critica e la continua verifica
sui fatti, che non doveva esimere gli intellettuali dal rivedere le proprie
posizioni sulla base delle modificazioni intercorse nel cammino della
Storia. Atteggiamento che egli dimostrò di mettere in pratica quando ritornò
criticamente su alcune questioni della giustizia barbaricina, come
nell'intervista concessa nel 1963 a due giovani redattori del periodico
“Rinascita Sarda”, Sandro Maxia e Francesco Cocco, dove sembrò ripensare la
sua analisi sul diritto delle zone interne all'interno di un discorso che
non evitava di fare i conti con le modificazioni imposte dal miracolo
economico alla società sarda.
*GIANLUCA SCROCCU*
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L’Unione Sarda 13 Dic.’09
PEPPINO ZEDDA IL MISTERO DEI NURAGHI NEL MOTO DEL SOLE E DELLA LUNA
Archeoastronomia. * In un libro le tesi del ricercatore di Isili Mauro
Peppino Zedda Il mistero dei nuraghi nel moto del sole e della luna Gli
studiosi sardi lo ignorano, ma esperti mondiali confermano le sue
osservazioni
Domenica 13 dicembre 2009
C he cos'erano i nuraghi? Ancora oggi si discute sull'origine delle
costruzioni più emblematiche del popolo che abitò la Sardegna tra il periodo
del Bronzo antico (1800 a.C.) e l'epoca fenicia (850). Ed è sempre aperto il
dibattito sulle date che comprendono la cosiddetta civiltà nuragica in un
arco di quasi mille anni, con una naturale continuità tra un passaggio da
una cultura all'altra. Di questo si è parlato a Cagliari anche nel recento
convegno internazionale dell'Istituto italiano di Preistoria e Protostoria
con nuove e suggestive ipotesi. Ma dal confronto tra oltre duecento studiosi
è rimasta fuori, ancora una volta, una disciplina emergente:
l'archeoastronomia. L'archeologia, tipica materia umanistica, applicata alla
scienza degli astri. Il cosmo per spiegare le opere dell'uomo antico che, si
sa, trascorreva molto del suo tempo con il naso all'insù per osservare i
movimenti delle stelle. Sulle basi dell'archeoastronomia c'è chi si ritiene
sicuro di aver trovato la chiave giusta per spiegare l'arcano dei nuraghi.
Non c'è dubbio: i settemila nuraghi sparsi in tutta l'isola sono costruzioni
legate all'astronomia, punti cardinali che riflettono sulla terra le
conoscenze stellari dei nostri antenati.
*IL LIBRO* Dopo vent'anni di studi sul campo lo afferma un appassionato
ricercatore di Isili, Mauro Peppino Zedda, che ha appena pubblicato un
volume *("Archeologia del paesaggio nuragico", *edito da Agorà nuragica, 397
pagine) con la sintesi delle sue esperienze. Un «fantasioso outsider» lo
definisce l'accademico dei Lincei Giovanni Lilliu nel prendere le distanze
dalla sue teorie. Ignorato più che contestato dal mondo accademico che lo
lascia fuori dal dibattito ufficiale. *«Nemo profeta in patria», *si dirà
visto che Zedda compare nei testi dei maggiori studiosi di archeoastronomia
quali l'inglese Clive Ruggles dell'università di Leicester e Michael Hoskin
professore emerito di Cambridge, che firma la presentazione del volume.
*MOSTRI SACRI* «È incredibile che mostri sacri dell'archeologia mondiale
siano venuti a verificare con i loro occhi e dedichino decine di pagine agli
studi di Zedda e nessuno degli archeologi sardi si sia preso la briga di
fare almeno un'escursione per cercare di capire qualcosa», afferma Paolo
Littarru, ingegnere di professione e difensore a spada tratta delle tesi di
Zedda. «Ho letto i suoi libri e ho verificato i suoi calcoli restando
davvero stupito dei risultati» dice: «Solo perché non viene
dall'universitào dalle Soprintendenze non è considerato col rispetto
che si deve a un
ricercatore che dimostra le sue affermazioni con i dati».
*IL PERSONAGGIO* Mauro Peppino Zedda, perito agrario, lavora nei campi e
conosce palmo a palmo la sua terra: la valle di Brabaciera ,attorno a Isili,
dove si contano 33 nuraghi. E come tutti i contadini, dalla notte dei tempi,
abituato a guardare il cielo e le stelle. «All'inizio ero appassionato della
civiltà dei Maya ed ero meravigliato delle conoscenze astronomiche di questo
popolo», racconta Zedda: «Mi chiesi se le tante emergenze archeologiche del
mio territorio potessero avere un qualche legame con i movimenti astrali.
Così cominciai a studiare i nuraghi». L'intuizione trova presto i riscontri
sul campo. Zedda visita e studia ad uno ad uno 900 torri ciclopiche
dell'isola, ne confronta la tipologia e soprattutto la posizione in
relazione al moto del sole e della luna. Le sue conclusioni - spiegate nel
libro - sono sorprendenti. «Partendo dai nuraghi di casa, quelli della valle
di Isili, ho capito che sono funzionali a un disegno astronomico solare e
lunare. La disposizione delle torri singole e complesse è orientata secondo
il punto di arresto del sole o della luna nei rispettivi solstizi. I nuraghi
complessi, ad esempio, hanno almeno una linea tangente a un lato compreso
fra due torri le cui estremità coincidono con punti astronomici».
*PROBABILITÀ* «È stato calcolato con metodi probabilistici che gli
allineamenti riscontrati nella valle di Brabaciera hanno tre possibilità su
cento milioni di essere frutto del caso», sottolinea l'ingegner Littarru:
«Affermare che le scoperte di Mauro Zedda sarebbero ancora da verificare
scientificamente è ignoranza o malafede o un misto di entrambe: le verifiche
sono state fatte prima di tutti da Ruggles e Hoskin. Cosa aspettano gli
studiosi sardi? È più semplice far finta di niente».
*SCOPERTE* Zedda, inoltre, ha scoperto che esiste una netta differenza tra i
nuraghi costruiti nel nord Sardegna (con rampa nel corridoio d'ingresso come
al Losa di Abbasanta o al Santu Antine di Torralba) e le torri del sud
dell'isola (senza rampa, tipo Is Paris di Isili o Su Nuraxi di Barumini).
Nel centro la situazione è più articolata: qui i due stili sono presenti in
proporzioni che variano da zona a zona. Dunque, i nuraghi furono costruiti
seguendo una logica astronomica: «Grazie alla loro posizione - afferma Zedda
- gli abitanti erano in grado di stabilire la scansione temporale delle
stagioni e avevano riferimenti spaziali sulla terra. Del resto erano
contadini e pastori e queste conoscenze erano fondamentali per la vita
quotidiana».
Ma, alla fine, che cos'erano i nuraghi? Mauro Zedda, prima di arrivare alle
sue conclusioni astronomiche, nel libro parte dalla critica delle tesi del
passato. Per il canonico Giovanni Spano erano edifici abitativi, tombe per
l'esploratore Alberto La Marmora e templi per Vittorio Angius. La finalità
sacrale dei nuraghi è sostenuta anche negli anni Settanta da Massimo Pittau.
E di recente, Anna Depalmas, ha ipotizzato che venissero utilizzati come
depositi di beni comunitari. Ma è la tesi di Giovanni Lilliu, che riprende e
rafforza quella di Antonio Taramelli formulata negli anni Trenta, a fare
scuola nell'università: i nuraghi erano fortezze, simbolo possente di una
civiltà guerriera. «Nessuna di queste tesi resiste a un'attenta e distaccata
analisi» sostiene Zedda: «Sicuramente erano edifici pubblici perché per
costruire opere di queste dimensioni erano necessari molti uomini. Ma è
impensabile che fossero le regie di capi tribù o presidi militari».
*I NURAGHI* Lo spagnolo Juan Antonio Belmonte e l'inglese Mickael Hoskin
sono convinti che lo studioso di Isili abbia trovato una pista interessante
e degna di essere approfondita: «Tutti gli indizi - scrivono - ci conducono
a pensare che nel disegno, costruzione e localizzazione di alcuni nuraghi
abbiano a giocare un ruolo rilevante alcune direzioni astronomiche
importanti. L'interazione tra astronomia e architettura formò parte di un
simbolismo speciale il cui significato esatto oggi ci sfugge. Ma questa
ipotesi appoggia la tesi che i nuraghi dovessero essere qualcosa di più che
torri di difesa e rafforza l'idea del suo carattere simbolico o sacro».
*CARLO FIGARI*
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LA STAMPA 15 dic. ’09
II PROF MI COPIA E (O STUDENTE LO FA CONDANNARE
Lo studente che zoppica in creatività e procede al ritmo di copia-incolla,
non è una novità. Ma quando a indossare i panni del copione è il professore -
universitario per giunta - l'episodio non può che suscitare qualche stupore.
Se di mezzo ci sono pure giudici e avvocati, la curiosità è ancora più alta.
Come nel caso della condanna, passata in giudicato, di un docente a contratto
alla facoltà dì Economia dell'Università di Torino.
Il professor Gilberto Borzini, 54 anni, alessandrino, ha spacciato per sua,
su un giornale online, una parte della tesi di lau rea di uno studente. La
sentenza, sia in primo grado, sia in appello e, pochi giorni fa in
Cassazione, è sempre la stessa: colpevole. Colpevole di aver violato la legge
sui diritti d'autore. Borzini dovrà risarcire con 20 mila euro l'ex studente
- oggi libero professionista - oltre a pagare una multa di 10 mila.
Originale, tanto da non avere quasi bibliografia in Italia, era la tesi di
Roberto Francini, difeso dall'avvocato Davide De Bartolo. «Yield management»,
che tradotto in italiano significa più o meno «ottimizzazione dei ricavi
nell'azienda albergo».
L'obiettiva era quello di spiegare i meccanismi del sistema di gestione delle
capacità disponibili di un hotel, con scopo finale il potenziamento del
volume di affari. Un tema molto trattato all'estero, poco nel nostro paese. I
fatti risalgono al 2002. Quando il professor Borzini ha ascoltato la tesi del
laureando ha evidentemente pensato che si trattava di un'occasione da
sfruttare il più possibile. E così ha fatto. Si è procurato la tesi del
ragazzo e ne ha trascritto, parola per parola, i primi due capitoli sul sito
web «Job in
tourism». Proprio su Internet è stato pizzicato da Roberto Francini. «Quando
ho letto il frutto del mio lavoro a firma di un altro m'è salita una rabbia
folle - racconta -. Con quel professore non avevo avuto mai niente da
spartire prima del giorno in cui mi sono laureato e lui ha approfittato del
mio impegno senza alcuno scrupolo. Lo Yield management in Italia è poco
conosciuto e di conseguenza poco attuato. Oggi sono consulente proprio in
questo campo, ma gli esperti in materia sono pochi. Uno è il professor Paolo
Moreggio, relatore della mia tesi».
Preziosa la testimonianza di quest'ultimo durante il primo processo, condotto
dal giudice Giuseppe Casalbore (ora impegnato nel maxi dibattimento Eternit).
All'epoca l'imputato provò a difendersi, sostenendo che non conosceva il nome
dell’autore. Ma il professor Moreggio replicò che era impossibile, perché il
nome era scritto chiaro e tondo sulla tesi. Anche l'editore di Job in tourism
prese le distanze dal collaboratore, si scusò online con i lettori e riportò
le dichiarazioni di Francini. «La giustizia ci ha dato ragione - commenta
l'avvocato De Bartolo -, sgombrando anche il campo da ogni equivoco sul tema
dell'originalità, dell'ingegno, di una tesi di laurea che è stata infatti
considerata frutto del pensiero personale, anche se svolto in forma
riepilogativa o espositiva».
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tst tutto Scienze e tecnologia 15 dic. ’09
QUANDO DARWIN SCONFISSE I SAMURAI
Il Caso della selezione naturale contro l'Armonia zen
GIORGIO GELLI UNIVERSITA' DI BOLOGNA
La sopravvivenza degli individui più adatti
Il mio maestro, il professor Guido Grandi, uno dei più eminenti entomologi
del secolo appena passato, aveva avuto l'occasione di parlarmi più volte di
un suo amico per corrispondenza, se si potesse dir così, un altro entomologo,
giapponese per di più, che si occupava di efemerotteri, insetti
proverbialmente noti per la breve durata della loro vita. Si trattava di
Kinij Imanishi, e il mio professore aggiungeva che quell'entomologo era uno
dei più eminenti interpreti dell'evoluzionismo dalle parti del Sol Levante.
Appresi in seguito che Imanishi era stato invitato come visiting professor
all'università di Reading, in Inghilterra, ospite del professor Halstead, che
l'aveva, diciamo così, provocato a esprimersi su Charles Darwin. Con una
certa spocchia, che la si poteva prevedere, vista l'autorevolezza dello
scienziato giapponese, l'interpellato aveva introdotto il dibattito con un
aforisma: «Darwin abita l'Occidente e Imanishi l'Oriente». Si è capito allora
che Imanishi considerava, si, l'evoluzione come un fatto, ma in quanto ai
suoi meccanismi, la selezione naturale, non era per nulla d'accordo.
Semplificando la questione: Imanishi non credeva alla lotta per la vita. O
per lo meno era propenso a minimizzarla, perché tutto il pensiero orientale
era, secondo lui, più incline all'armonia, alla collaborazione, al reciproco
scambio di favori.
Tra le due facce di quel Giano bifronte che poteva costituire una metafora
statuaria della teoria darwiniana, alla faccia che premiava la competizione e
la selezione preferiva l'altra, quella del mutuo appoggio e delle allean ze.
Non si capisce, allora, come lo scienziato giapponese potesse considerare
Darwin il più grande scienziato dell'Occidente, se metteva in forse la
scoperta più cruciale, la selezione naturale. Perché, prima dello scienziato
inglese, la trasformazione degli organismi, in parole povere l'evoluzione,
era già stata chiamata in causa numerose volte, per fare solo qualche nome,
da Buffon, da Erasmo, nonno di Charles, e soprattutto da Lamarck, che ne
aveva fornito delle spiegazioni come l'ereditarietà dei caratteri acquisiti.
Dunque, Darwin non ha scoperto l'evoluzione, ma il suo meccanismo: la
sopravvivenza dei più atti, che fanno più figli, e la eliminazione dei
meno atti, che sono spazzati via senza pietà. Dalla selezione naturale, per
l'appunto! Ora, come faceva il bravo Imanishi a restare un evoluzionista
coerente, se non aveva nessuna ipotesi da porre -a confronto con il
meccanismo darwiniano? In realtà, in un suo saggio pubblicato in inglese nel
1984 Imanishi scrive: «Tutti gli individui cambiano nello stesso tempo,
quando arriva il momento di cambiare».
In parole povere, i'evoluzione avverrebbe attraverso una sorta di maturazione
di una specie, che si trasforma in un' altra, e il fatto che questo
cambiamento si verifichi su tutto il pianeta ricorda quanto teorizza Daniele
Rosa nella sua Ologenesi. In qualche maniera, e non so se sia proprio giusto
dire così, Imanishi, come tanti evoluzionisti prima di lui, pensa che il
passaggio di specie sia determinato non dalla selezione naturale, ma da cause
interne, simili, io penso, all'«élan vital» di Bergson. Ma, se Imanishi
rilegge attraverso il filtro della filosofia orientale l'evoluzione, sulla
metà del secolo appena passato un altro giapponese, Mooto Kimura, raccoglie
il suo guanto di sfida e, a sua volta, cerca di bandire del tutto la
selezione naturale, affidando il decorso del fenomeno evolutivo
esclusivamente al caso.
Questo scienziato comincia affermando che molte di quelle piccole variazioni
che oggi chiamiamo mutazioni e che, se favorevoli, alla sopravvivenza, erano,
secondo Darwin, premiate dalla selezione naturale, risulterebbero, invece,
neutre, di nessuna utilità nel favorire gli individui che ne sono depositari.
Quindi come potrebbero offrire una presa alla selezione naturale? La
trasformazione delle specie, secondo Kimura, algoritmi alla mano, sarebbe
determinata da quelle che potremmo definire fluttuazioni di probabilità.
Nulla osta che nel gioco del lotto uno stesso numero venga, per caso, pescato
molte volte in successione ed è un'emergenza che crea una grande suspense nei
fans delle terne, quaterne e così via. Allo stesso modo, e consentitemi di
semplificare le cose in maniera a dir poco brutale, potrebbe succedere che un
certo carattere tenda a venir conservato, e posto in enfasi, da una serie di
casi fortunati, fino a dare origine a una nuova specie.
In principio, gli evoluzionisti ortodossi pensarono con sgomento che Darwin e
la sua selezione naturale fossero un miraggio e che il vero regista
dell'evoluzione non fosse altro che il caso. Per disdetta, gli algoritmi
presentati a suffragio da Kimura, che non era un biologo proclive a
fantasticare come Imanishi, ma un importante genetista che stava ai numeri,
non erano facilmente confutabili. Dopo qualche anno di panico é di
perplessità si è finito per capire come le idee di Mooto Kimura potevano
integrarsi con la selezione naturale, costituendo un aspetto non sostitutivo,
ma complementare, del meccanismo evolutivo.
Mi piace finire con un piccolo esempio. Alcune farfalle dell'America del Sud
(Heliconius spp.) presentano dei colori di un'altra specie di lepidottero
immangiabile, per cui gli uccelli la credono tale, evitando di predarla.
Altre farfalle dello stesso gruppo non possiedono le livree protettrici e
sono prese di mira regolarmente dagli uccelli insettivori. Bene - e qui il
lettore dovrà fare un po' di fatica per capire - si è visto che i geni
codificanti la colorazione mimetica sono omozigoti e, quindi, si suppone che
siano mantenuti sotto il controllo della selezione naturale, mentre i geni
che codificano altre funzioni sono soggetti a mutazioni casuali. In parole
povere, la selezione naturale si esercita su geni indispensabili alla
sopravvivenza, mentre quelli neutrali obbediscono alle tabelle di Kimura.
Darwin ha sconfitto i samurai! 2-
Non è stato facile per il pensiero tradizionale giapponese accettare il
darwinismo.
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tst tutto Scienze e tecnologia 15 dic. ’09
LA PRIMA EUROPA È SOTT'ACQUA "UN'ATLANTIDE DI MERAVIGLIE"
I mari salirono di 50 metri e cancellarono una civiltà di navigatori
GABRIELE BECCARIA
Abbiamo sognato Atlantide e non ci eravamo accorti che ne abbiamo una sotto
di noi, appena , oltre le coste tormentate dell'Europa.
Adesso che il clima è argomento da apericena e che il vertice di Copenhagen
non smette di far litigare, un dubbio collettivo si agita intorno al volubile
livello dei mari: che cosa succederebbe davvero se alzassero la testa di un
po' di metri? Per quanto sinistre, le previsioni degli scienziati non
riescono mai a evocare l'idea concreta di una catastrofe data per imminente.
Finora l'unica alternativa era godersi gli effetti speciali di kolossal come
«2012». Finora.
Ci sono alcuni team di archeologi che una risposta la danno con la loro
personale macchina del tempo. Stanno raccogliendo prove su prove sull'altra
Europa, quella che come Atlantide si è inabissata, ma che a differenza della
cugina più nobile non ha avuto l'omaggio del mito: è successo 11 mila 500
anni fa, quando si eclissò l'ultima glaciazione e i mari cominciarono la
corsa al rialzo, cancellando un mondo e spalancandone un altro. Fu un
processo lungo e contrastato, con miliardi di metri cubi di ghiacci disciolti
nel ruolo di protagonisti. Finché 4 mila anni fa, all'incirca, gli effetti
del riscaldamento globale - che a quell'epoca fu un evento naturale al 100% e
di cui sfuggono ancora molte meccanismi - diventarono definitivi. L'Europa
preistorica non era più la stessa: il 40% delle terre graffiate dall'impronta
umana si era inabissato.- Un disastro che a Hollywood non è stato ancora
raccontato.
I dati, intanto, si accumulano e rivelano l'energia spaventosa di
quell'abbraccio liquido. Dal Mediterraneo al Baltico il balzo fu di una
cinquantina di metri, come un mezzo grattacielo. Golfi e pianure svanirono e
anche molte paludi e foreste che avevano disegnato i panorami del continente.
Finì come un miraggio Doggerland, la piattaforma che saldava l'attuale
Danimarca con l'Inghilterra, ma la «Grande Onda» sconvolse ogni bordo
sabbioso e roccioso dell'Europa. E le civiltà del Mesolitico si
sbriciolarono.
Adesso l'inglese Garry Momber e lo scandinavo Harald Lizbke sono tra i
ricercatori che si immergono nelle acque fredde e sempre più inquinate del
Canale della Manica e del Mare del Nord per esplorare l'Atlantide perduta.
Spesso sono alcuni di quegli aspetti ostili - la carenza di ossigeno e la
geografia dei fondali - a custodire i reperti molto meglio della terraferma,
offesa da secoli di attività umane. «E' lì, sott'acqua, la prossima "grande
storia" che ha in serbo l'archeologia», ha annunciato alla rivista «New
Scientist» Jeffrey Rose della Oxford Brookes University. In effetti
l'avventura è appena agli inizi ed è un motivo per cui non ha ancora
conquistato la fantasia del pubblico, ma l'altra Europa, quella degli abissi,
sta già svelando alcune promettenti porte d'accesso: si chiamano Bouldnor
Cliff e Howick in Inghilterra, Tybring Wig in Danimarca e Wismar Bay in
Germania, oltre alla più famosa Doggerland.
E' in ciascuno di questi indirizzi, sospesi tra terra e acqua, che la
macchina del tempo macina meraviglie: tracce di foreste e segni di
insediamenti, depositi di ami da pesca e mucchi di rifiuti, canoe scavate nei
tronchi e grandi capanne di legno. A Bouldnor Cliff è stata addirittura
trovata una specie di piattaforma che, secondo gli studiosi, serviva per
assemblare e «varare» le imbarcazioni. «Una vera gemma», la definiscono, non
meno stupefacente del villaggio di pescatori che emerge dal fango di Tybring
Vig. Lì merluzzo e crostacei rappresentavano la dieta standard, ma tutti gli
europei del lungo disgelo - quello tra 11 mila 500 e 4 mila anni fa -
sarebbero vissuti in una sorta di Eden, scandito dalla pesca e da un pacifico
seminomadismo, via terra e via mare.
I nostri progenitori – sostengono gli archeologi - erano navigatori più che
abili e le «tribù delle onde» devono essere riuscite a costruire uno
simulacro di globalizzazione ante-litteram, a base di coraggiose esplorazioni
e di intensi scambi. Finché un doppio disastro mise fine a tutto. Mentre i
mari un tempo benigni si ribellavano, si materializzarono da Est le invasioni
delle «tribù della terra». I motivi del loro arrivo e ciò che fecero -
confessano i ricercatori - è uno dei numerosi misteri di un lontano passato,
ma si sicuro si diedero da fare per buttare tutto all'aria. Tra 6 mila e 4
mila anni fa, infatti, imposero stili di vita stanziali contro quelli
seminomadi e alla pesca intensiva sostituirono l'agricoltura e l'allevamento.
Resta controverso se si sia trattato di una transizione violenta o pacifica e
quanto le due tribù si siano mischiate. Gli archeologi di terraferma, però,
continuano a portare alla luce asce e punte di frecce di una civiltà ormai
irrimediabilmente diversa. E' quella del Neolitico, che della perduta
Atlantide cancellò ogni memoria.
Gli archeologi esplorano Doggerland: un tempo la grande piattaforma saldava
Danimarca e Inghilterra e ora si trova sui fondali del Mare del Nord
Città riemerge in Cirenaica Scoperti nelle acque della Cirenaica, in Libia, i
resti di una città sommersa, che conobbe il suo periodo di splendore in epoca
romana imperiale, intorno al il secolo d.C. li sensazionale ritrovamento è
opera di un gruppo di archeologi italiani guidati da Sebastiano Tusa. Ras
Etteen, dove sono comparsi muri, strade, edifici e tombe, è nell'area del
Golfo di Bomba, che è da sempre considerato un ottimo ricovero per le navi e
una zona di approdo sicuro lungo l'infida costa, battuta dai venti. La fine
sarebbe stata causata da uno tsunami, forse scatenata dai grande terremoto
dei 365 d. C.
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Corriere della sera 15 Dic.’09
E' RINATA LA PRIMA CALCOLATRICE ITALIANA
IL RESTAURO AL MUSEO DELLA SCIENZA DI MILANO: ERA STATA IDEATA DAL VENEZIANO
GIOVANNI POLENI NEL 1709
La «macchina aritmetica» di Giovanni Poleni nata tre secoli fa è tornata a
macinare calcoli al Museo della scienza e della tecnica «Leonardo da Vinci»
di Milano. Per la storia si tratta della prima calcolatrice italiana e una
delle prime in Europa dopo che nel Seicento il francese Blaise Pascal
costruiva la «pascalina» perfezionata poi dal tedesco Gottfried Leibniz. La
Macchina del Poleni è la ricostruzione effettuata dall' Ibm nel 1959 perché
l' originale era stata distrutta dallo stesso inventore. Dopo mezzo secolo i
congegni della macchina non funzionavano più ma un profondo restauro condotto
presso il Museo da Massimo Temporelli e Silvio Hénin l' hanno riportata in
vita. Ed oggi ruote e contrappesi sono tornati a non sbagliare i conti
restituendo alla storia del calcolo italiano un prezioso reperto. Il marchese
Giovanni Poleni era un veneziano di talento tanto che aveva solo 25 anni
quando ideava la macchina in grado di eseguire le quattro operazioni. Il
vento della rivoluzione industriale cominciava a soffiare per togliere fatica
all' uomo, mentale compresa. E Poleni conosciuti i risultati di Pascal e
Leibniz, fece un ulteriore passo avanti. Con grande successo. I suoi scritti
e le sue opere furono presto noti in Europa tanto che il grande Isaac Newton
presentava Poleni come Fellow alla Royal Society di Londra e Leibniz favoriva
la sua nomina all' Accademia di Berlino. Intanto insegnava all' Università di
Padova ed era chiamato da Papa Benedetto XIV a contribuire al restauro della
cupola di San Pietro. Suo è il suggerimento adottato dei sei anelli metallici
che da allora proteggono l' opera di Michelangelo. E i calcoli forse li fece
proprio con la macchina oggi visibile al Museo milanese. Giovanni Caprara
Caprara Giovanni
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LA STAMPA 17 dic. ’09
IL SUDARIO DI GERUSALEMME CHE "RINNEGA" LA SINDONE
Scoperto un telo funebre del tempo di Cristo: "Diverso da quello d1 Torino"
Dopo anni di studi ed analisi gli esiti sono stati pubblicati sulla rivista
della Public Library of Science americana
L'archeologo non ha mai visto la reliquia sacra per i cristiani, né ha mai
chiesto al Vaticano di poterla osservare
PAOLA CARIDI GERUSALEMME
Un sudario di lana, e non di lino. A significare che l'uomo avvolto nel
tessuto funerario era di alto lignaggio. Un sudario trovato a Gerusalemme,
quasi dieci anni fa, in quell'area conosciuta come la Gehenna, appena fuori
dalle possenti mura di Solimano il Grande che circondano la Città Vecchia. Un
sudario che, attraverso gli esami condotti tra Stati Uniti, Londra e
Gerusalemme, si può datare al primo secolo, il secolo di Gesù Cristo. Lo
hanno studiato per anni: e i risultati sono stati pubblicati ora su «PloS
One», la rivista della «Public Library of Science» americana.
In quel sudario non è stato avvolto Gesù di Nazareth. Bensì un uomo affetto
da lebbra, morto di tubercolosi. Ma è il primo tessuto funerario dell'epoca
di Gesù mai trovato a Gerusalemme, zona umida, clima dove è difficile fare
scoperte di questo tipo. E la trama di quel tessuto è completamente diversa
dalla trama della Sacra Sindone. Non solo: i frammenti di tessuto trovati
sull'uomo della Tomba del. Sudario appartenevano a differenti lenzuoli. Come
descritto nel Vangelo di Giovanni, quando te donne vanno al sepolcro e lo
scoprono vuoto. Più pezzi di stoffa. E non, come per la Sindone, a un solo
lenzuolo, che copriva il corpo da capo a piedi.
«Non era pratica del tempo coprire i defunti con un solo lenzuolo - dice
Shimon Gibson, l'autore della scoperta del sudario di Gerusalemme -. Questo
perché non si era certi della morte. Il defunto poteva essere in coma,
risvegliarsi. Se fosse stato coperto da un solo pezzo di stoffa, ci sarebbe
stato il soffocamento». Ci sono voluti molti anni per esaminare tutti i
dettagli, dice Gibson, protagonista di altre scoperte a Gerusalemme; alcune
controverse. Anni per analizzare i frammenti di tessuto trovati sulla testa,
sul petto, in diverse parti del corpo del lebbroso.
Shimon Gibson non ha visto direttamente la Sindone di Torino, né ha chiesto
al Vaticano di poter esaminare il sudario. Quello che sostiene è che il tipo
di intreccio è differente da quello di Torino. E della stessa opinione è il
professor Mark Spigelman. Paleo epidemiologo dell'Università di Gerusalemme,
in procinto di arrivare per altre ricerche a Tivoli e a Bologna, ha esaminato
sia le ossa del lebbroso, trovate alla Gehenna, sia il sudario di
Gerusalemme. «Questo sudario ; dice il professor Spigelman - è l'unico
trovato a Gerusalemme, ma abbiamo trovato altri tessuti in altre parti di
Israele risalenti allo stesso periodo. Vicino al Mar Morto. Il periodo che
noi definiamo del Secondo Tempio, il tempo di Gesù Cristo». Tra il sudario di
Gerusalemme e i tessuti contemporanei, insomma, c'è molto di simile. La
trama, l'intreccio, soprattutto. «Il sudario di Gerusalemme ha un tipo di
intreccio che si chiama uno-sopra-uno. Quello di Torino ha una fattura
medievale, tessuto a spiga, e sicuramente non c'è niente di simile a quanto è
stato trovato in Israele risalente al primo secolo».
II sasso nello stagno è stato lanciato. E la scoperta è di quelle che faranno
discutere. Come, negli ultimi anni, hanno fatto discutere altri ritrovamenti
archeologici a Gerusalemme. Non ultima, alcuni anni fa, la scoperta' di una
tomba, sempre nella zona est di Gerusalemme, che sarebbe appartenuta alla
famiglia di un uomo chiamato Gesù. Allora si scatenò una polemica durissima.
Il problema è che, a Gerusalemme, l'archeologia non è una scienza semplice.
Tante religioni, tante sensibilità, tanta ricerca di identità. Spesso, anzi,
«I'archeologia diventa uno strumento della politica», come usava spesso
ripetere padre Michele Piccirillo, francescano e archeologo, uno dei più
famosi di tutto il Medio Oriente, scomparso appena un anno fa.
Avvolgeva il cadavere di un lebbroso morto nel primo secolo
1C11105Co1P110 Gli studiosi hanno esaminato i resti dello scheletro e la
composizione della lana
All'epoca i cadaveri venivano sepolti in più pezzi di stoffa e non in un solo
lenzuolo per timore che si risvegliassero e finissero soffocati Tutti i teli
trovati hanno una trama differente dalla Sindone
I I tessuto con cui è stato avvolto il corpo di Gesù era differente dalla
norma per scelta dei seguaci Non ci sono prove attendibili che si usassero
sempre gli stessi tipi di teli per la sepoltura dei morti in Palestina
I resti del lebbroso morto di tubercolosi e sepolto a Gerusalemme; qui
accanto, l'archeologo Shimon Gibson che esprime dubbi sull'autenticità della
Sindone
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LA STAMPA 17 dic. ’09
IL LINO DI GESÙ ERA ANOMALO
Baima Bollone: era una stoffa speciale
Frale: gli apostoli volevano celebrarlo così
ELENA LISA TORINO
La risposta dei sindonologi «Solo illazioni»
Per Pierluigi Baima Bollone, professore emerito di medicina legale
dell'Università di Torino, grande studioso della Sindone, ogni volta che ci
si avvicina a un'ostensione, «arriva qualche archeologo che cerca di farsi
pubblicità» gettando discredito sul «sacro sudario» torinese.
Mettere in discussione l'autenticità della reliquia perché la trama del lino
è complessa, a spina di pesce, del tutto diversa da quella ritrovata nel
«campo del sangue» a Gerusalemme, infatti, non costituisce, secondo Baima
Bollone, alcuna prova di falsificazione. «La Sindone risale a duemila anni
fa, senza alcun dubbio», spiega. 'E ai ricercatori stranieri che motivano le
loro conclusioni, cioè che solo la trama del tipo «semplice» è tipica del
lino usato per le sepolture del tempo, il professore torinese risponde con
un'altra domanda: «E chi può essere sicuro di questo? Sono illazioni belle e
buone, non esistono prove al riguardo. Forse questi scienziati non sanno che
il tessuto che avvolse il corpo di Gesù il Nazareno è anomalo di per se
stesso».
Un tessuto pregiato per il tipo di lavorazione, usato per i vestiti degli
alti sacerdoti che celebravano le funzioni: un lino talmente morbido e
prezioso che non veniva adoperato, come sudario, nemmeno per i loro cadaveri.
Come è possibile, quindi, che fosse usato per il figlio di un falegname?
Spiega Barbara Frale, docente alla scuola vaticana di Paleologia e che lavora
come ricercatrice all'archivio segreto della Santa Sede: «I discepoli del
Nazareno acquistarono a caro prezzo quella stoffa per vestire il loro più
alto sacerdote con il tessuto che, in vita non gli era stato concesso. Come
rivalsa».
AL riguardo gli archeologi di Gerusalemme non dicono nulla. Aggiungono,
invece, che il lino ritrovato da loro ha una consistenza maggiore. «È doppio:
un velo più leggero per il viso, per consentire alla persona sepolta, in caso
di morte apparente, di respirare e liberarsi. E un secondo, più pesante per
avvolgere il corpo». Gli esperti italiani, anche su questo fronte, non hanno
dubbi: «Chi veniva seppellito - dice Frale - era legato. Per liberarsi non
bastava certo un velo di tessuto sul viso. In più, ricordo a quelli della
Hebrew University, che anche nel caso della Sindone esiste un doppio lino». E
aggiunge: «Ne siamo convinti: la parte più leggera, quella che si poggiava
sul viso di Gesù il Nazareno, è custodita in Spagna, a Oviedo. Il gruppo
sanguigno corrisponde a quello del sudario di Torino: un gruppo raro, AB,
che, oltretutto, soltanto il cinque per cento della popolazione possiede e
che è diffuso specialmente tra i popoli che vivono tra la Siria e la
Palestina».
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L’Unione Sarda 16 Dic.’09
SISAR:CAOS STIPENDI, OSPEDALI IN SUBBUGLIO
Sistema informatico ingovernabile, buste paga falcidiate. I sindacati: si
rischia il collasso
Garau (Brotzu): terzo mondo. Da Liori ultimatum ai fornitori
Mercoledì 16 dicembre 2009
Disagi per tutti gli 8617 dipendenti degli ospedali del cagliaritano.
Problemi anche per la fornitura dei farmaci a causa dei difetti del sistema.
«Devastante, gravissimo, ingovernabile». Basta estrapolare alcuni aggettivi
dall'ennesima nota dei sindacati del Brotzu per misurare l'esasperazione dei
5300 dipendenti, da quelli amministrativi ai medici passando per gli
infermieri. Del resto è da circa un anno che gran parte di loro riceve buste
paga falcidiate da errori: a dicembre, ad esempio, molti non hanno incassato
nulla, altri solo 500 euro. Non è esattamente il massimo in vista del Natale
e in un mese in cui si paga la seconda semestralità dei mutui. E se i
problemi di soldi sono i più sentiti dal personale, quelli della farmacia
riguardano tutti i pazienti. «La farmacia rischia il collasso», denunciano
Attilio Carta (Uil), Massimo Portoghese (Cisl), Guido Matta (Fsi), Gianni
Congiu (Usai-Cisna).
LE CAUSE I problemi, a diversi livelli, sono comuni a tutte le Asl e Aziende
miste del cagliaritano. Significa che riguardano 8617 dipendenti, sommando i
5300 della Asl 8, i 1936 del Brotzu ed i 1381 dell'Azienda Asl-università. Da
circa un anno, come tutti gli ospedali sardi, gestiscono tutte le procedure
con il Sisar, il nuovo sistema informatico installato, in cambio di circa 25
milioni di euro, dalla Engineering di Roma in associazione temporanea con la
Telecom, che ha fornito l'hardware. I sindacati parlano di «disagi sempre più
gravi», di «infauste ricadute sul personale e sui servizi erogati», di
«blocchi operativi» e di «errori clamorosi nelle buste paga a danno di
lavoratori spesso monoreddito» e chiedono l'intervento urgente dell'assessore
regionale alla Sanità «al fine di scongiurare tristi scenari con gravi
carenze assistenziali». Nel frattempo annunciano «più forti ed eclatanti
azioni di lotta».
LA ASL CONFERMA Marco Galisai, responsabile del Servizio sistemi informativi
e tecnologia informatica della Asl 8, conferma. «Sia negli stipendi che nella
gestione delle farmacie ci sono gravi criticità non superate nonostante
ripetuti interventi da parte dell'azienda fornitrice. Le farmacie», prosegue,
«hanno difficoltà ad approvvigionarsi di farmaci e a fornirli in tempi rapidi
ai reparti che li richiedono. I problemi», aggiunge Galisai, «derivano
soprattutto dalla difficoltà di passaggio dei dati dal vecchio al nuovo
sistema e dalla procedura, che si è rivelata inadatta a soddisfare le nostre
esigenze. Abbiamo chiesto alla società ripetuti interventi ma le criticità
sono state risolte solo marginalmente».
GARAU: TERZO MONDO Il fatto è che la messa a regime del sistema era prevista
entro febbraio 2010 e, al momento, il caos regna assoluto. Il direttore
generale del Brotzu va oltre: «Non siamo nemmeno in grado di monitorare la
situazione contabile», denuncia Tonino Garau. «Ad oggi non ho il controllo
della gestione, non conosco l'andamento dei costi, non so se siamo in
pareggio o in perdita. Ci troviamo nell'assurda situazione di dover fare i
conti a mano e non so come farò, a marzo, a chiudere il bilancio. Facciamo le
cose a mano anche per il governo della farmacia, che gestisce 45 milioni di
euro di medicinali all'anno. Quanto agli stipendi», aggiunge Garau, «capita
che ricevano lo stipendio dipendenti in pensione da tempo e che non riceva
nulla chi è regolarmente in servizio. Nella migliore delle ipotesi il calcolo
è sbagliato perché il sistema non è in grado di inserire i cedolini dei
compensi straordinari e del salario accessorio. Questo è terzo mondo».
ULTIMATUM DI LIORI Antonello Liori, assessore regionale alla Sanità, conosce
il problema, che, dice «ci è stato segnalato da tutti i direttori generali:
abbiamo chiesto alla società il perfezionamento del progetto ed abbiamo
deciso di prorogare i tempi di messa a regime da febbraio a dicembre 2010. Li
pagheremo solo se otterremo il risultato».
FABIO MANCA
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Corriere della sera 16 Dic.’09
LA RIFORMA SANITARIA SMONTATA A PEZZI DAI SENATORI AMERICANI
L' ITER IL TESTO OSTAGGIO DEGLI INTERESSI DELLE LOBBY
Obama: «Fallire sarebbe un disastro» Decisivo Joe Lieberman è il senatore
indipendente che si oppone alla public option. Candidato vicepresidente con
Al Gore nel 2000, appoggiò McCain nella sfida con Obama (Ap)
NEW YORK - Se è vero che la vendetta è un piatto che si serve freddo, il
senatore del Connecticut, Joe Lieberman, ha appena consumato la sua,
costringendo la sinistra democratica che nel 2006 aveva cercato di eleggere
al suo posto un giovane «liberal» ad accettare una bruciante mutilazione di
una riforma sanitaria che ha già perso diverse parti qualificanti nel
tortuoso percorso parlamentare. Lieberman - il candidato alla vicepresidenza
nel ticket con Al Gore, sconfitto nel 2000 da George Bush e ora formalmente
un indipendente - sembrava aver accettato il compromesso raggiunto nei giorni
scorsi al Senato: niente assicurazione sanitaria pubblica da mettere in
concorrenza con quelle private, ma la possibilità per gli
ultracinquantacinquenni in difficoltà di ricorrere alla copertura pubblica
del sistema Medicare oggi riservato a chi ha più di 65 anni. Ma domenica
Lieberman ha fatto sapere di non poter accettare questa opzione, che
considera troppo costosa. E siccome il suo voto è decisivo per evitare di
esporre la riforma all' ostruzionismo della minoranza repubblicana, la Casa
Bianca - che vuole assolutamente condurre in porto la riforma, almeno al
Senato, prima della pausa natalizia - ha chiesto ai progressisti di
inghiottire anche questa nuova sconfitta. I senatori democratici sembrano
rassegnati a subire uno smacco che rischia, però, di non essere l' ultimo:
nell' affannoso conto alla rovescia di questa settimana prenatalizia i
parlamentari della destra democratica non soddisfatti di qualche aspetto
della riforma sono tentati di seguire l' esempio di Lieberman. È il caso del
senatore Ben Nelson del Nebraska che minaccia di non votare la legge se il
suo testo non verrà corretto in senso antiabortista. Proprio per cercare di
evitare una simile deriva, Barack Obama ha convocato ieri alla Casa Bianca
tutti i 58 senatori democratici e i due indipendenti che normalmente votano
con la maggioranza, per rivolgere loro - a porte chiuse - un appello estremo:
«Avete una responsabilità enorme: o cambiate il sistema sanitario o l'
America, che aspetta questa riforma da mezzo secolo, rischi di attendere un'
altra generazione». Non è stato un incontro facile: lo si leggeva nel volto
cupo e nelle espressioni insolitamente dure e minacciose usate dal presidente
parlando con la stampa alla fine della riunione. «Ci sono ancora problemi da
risolvere - ha ammesso Obama - ma continuo ad avere fiducia che si riesca ad
arrivare in fondo. Un fallimento avrebbe conseguenze disastrose: il costo
delle polizze assicurative aumenterebbe di un altro 20-30%, molti datori di
lavori smetterebbero di garantire l' assistenza sanitaria ai dipendenti, i
sistemi pubblici Medicaid e Medicare salterebbero per l' esplosione dei
costi». Toni cupi, minacciosi, in genere estranei all' armamentario
dialettico di Obama. Che, però, stavolta fatica a ricreare un minimo di
consenso su una riforma sempre più impopolare (secondo i sondaggi demoscopici
più recente i suoi sostenitori sono scesi al 39% contro un 51% di contrari) e
che non ha più una bandiera chiara da esibire: né la copertura «universale»
di tutti i cittadini, né l' opzione pubblica per imporre un effetto-calmiere
alle assicurazioni privati. Ancora una volta, così, ieri Obama è stato
costretto a giocare in difesa: «Non è una riforma perfetta, non farà tutti
contenti, ma è comunque un intervento che impedirà alle compagnie
assicurative di commettere abusi e di rifiutare la copertura medica a chi è
già ammalato. E darà le cure mediche a 30 milioni di americani che ne sono
privi». Obama ha sottolineato che la riforma, pur costando 850 miliardi di
dollari in 10 anni, ridurrà di molto il deficit pubblico, perché i risparmi e
le maggiori entrate previste sono superiori alle spese. Il presidente se l' è
presa con la campagna di disinformazione della «lobby della sanità» che
inonda le tv di spot dove si parla di dilatazione, non di contenimento, del
disavanzo federale. È lo stesso argomento sbandierato da Lieberman
considerato un parlamentare non solo intento a consumare la sua vendetta
personale, ma anche un portatore degli interessi delle compagnie assicurative
(molte delle quali hanno sede in Connecticut, mentre sua moglie ha a lungo
lavorato come lobbista «occulta» per alcune di loro). Anche Obama è furioso
con lui: poche settimana fa Lieberman si era espresso apertamente a favore
dell' estensione del Medicare ai 55enni che oggi boccia. Ma il presidente ha
bisogno del suo voto. Adesso per lui conta solo avere il via libera del
Senato e sperare di riuscire a «riconciliare» entro il prossimo gennaio i
testi (molto diversi tra loro) approvati dai due rami del Congresso: se si
andasse oltre la riforma probabilmente naufragherebbe nel clima
preelettorale. Massimo Gaggi RIPRODUZIONE RISERVATA La Camera ha approvato un
testo di riforma della sanità. Il Senato ne sta discutendo uno simile, ma
diverso su punti chiave come opzione pubblica e aborto. Poi una commissione
bicamerale dovrà cercare il compromesso tra i due testi Punti chiave 1 L'
opzione pubblica La public option è una polizza medica gestita dal governo
che compete con quelle private. Ha il sì della Camera; pare esclusa al Senato
2 Alternativa al Senato Alternativa alla public option: ampliare il piano
Medicare (dai 65 anni) ai 55-64. Ma anche questa ipotesi sembra destinata a
tramontare 3 I contrasti sull' aborto La Camera ha vietato l' uso di fondi
federali per l' aborto (tranne per stupro, incesto, pericolo di vita). Il
Senato sta cercando una linea più morbida 4 L' obbligo e la multa La Camera
prevede l' assicurazione obbligatoria (con sussidi in certi casi) o si viene
multati. Al Senato c' è l' obbligo, non sempre la multa 5 Più regole per i
privati La Camera vieta agli assicuratori di rifiutare di coprire malattie
già diagnosticate o di togliere la copertura a chi si ammala
Gaggi Massimo
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Corriere della sera 18 Dic.’09
INGEGNERI IN CAMICE BIANCO L' HI-TECH AVANZA IN OSPEDALE
Le nuove figure che si fanno strada nel mondo della sanità
Portano il camice bianco e lavorano in ospedale, ma non curano i pazienti,
bensì le macchine cliniche. Oppure si occupano di servizi e politiche per i
disabili. Manager, informatici e tecnici sono i nuovi professionisti in
corsia, inseriti per aiutare i medici nell' uso corretto della tecnologia e
nella gestione di problemi che non riguardano le patologie. Tre le figure più
innovative: l' ingegnere clinico, l' esperto in valutazioni tecnologiche
(health technology assessment manager) e il disability manager. Il primo ha
il compito di gestire il «parco macchine», il secondo si dedica alla
consulenza per gli acquisti hi-tech sanitari, mentre il terzo, il manager per
i disabili, è l' ultima new entry del settore: a lui la Cattolica di Milano
quest' anno dedica il primo master di categoria. Il profilo più gettonato è
quello dell' ingegnere clinico: «Le richieste per partecipare al master in
ingegneria clinica sono in aumento, per cui siamo costretti a fare una
selezione - spiega Alessandra Barulli, responsabile alta formazione della
società Cofimp che insieme all' università di Bologna organizza il corso per
questa carriera -. I dati occupazionali sono alti: il 90% degli specializzati
è impiegato nel settore pubblico o privato. I compiti principali? La
manutenzione, la sicurezza e l' installazione delle apparecchiature. Senza
trascurare lo sviluppo informatico: penso alla telemedicina». A gestire i
budget economici destinati ai nuovi strumenti per la salute è l' esperto in
valutazioni tecnologiche. «Usare al meglio le finanze è una necessità -
afferma Marco Marchetti, coordinatore del master biennale in health
technology assessment della Cattolica di Roma -. Piemonte, Lombardia e Veneto
ad esempio hanno fatto delle delibere per evitare gli sprechi in sanità». Il
corso in health technology assessment e management della Cattolica è
organizzato in 4 moduli: un modulo si svolge in Italia (Roma), uno in Spagna
(Barcellona) e due in Canada (Montreal e Toronto). «A marzo ne inizierà un
altro - aggiunge Marchetti - e sarà annuale e in italiano». Di sicuro, le
nuove professioni in reparto piacciono alle donne. «Dei nostri quattro
ingegneri tre sono donne sui 35 anni - sottolinea Marco Agnelli, responsabile
HR dello Ieo -. La presenza di tecnici in ospedale è destinata a crescere con
l' incremento delle macchine e della robotica chirurgica». Antonio Limardi,
responsabile delle risorse umane del San Raffaele di Milano conferma la buona
presenza di ingegneri con il camice bianco: «La nostra unità di ingegneria
clinica è formata da 40 persone - dice -. Abbiamo inserito neolaureati, e in
alcuni casi diplomati, da formare internamente. Da noi non esiste l' esperto
in valutazioni tecnologiche, però in ogni dipartimento c' è un "referente
organizzativo gestionale
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Corriere della sera 15 Dic.’09
CRISI, CROLLANO I RICOVERI NEGLI OSPEDALI IN LOMBARDIA
MENO VIAGGI DELLA SPERANZA. PELISSERO: PER LE MALATTIE GRAVI QUI LE MIGLIORI
CURE
La crisi taglia i viaggi della speranza. I pendolari della sanità sono in
calo: nel 2008 sono venuti dal resto d' Italia a curarsi negli ospedali
lombardi 18 mila pazienti in meno. Così Gabriele Pelissero, presidente dell'
Aiop: «Le richieste in calo solo per le patologie meno gravi, curabili
soprattutto in day hospital». Il governatore Formigoni: «Abbiamo il sistema
migliore d' Italia».
IL BILANCIO «PERSI» 18 MILA PAZIENTI. FORMIGONI: MODELLO ANCORA COMPETITIVO
Calano i viaggi della salute Lombardia, 9 per cento in meno
Crisi, trasferte e soggiorni costano troppo alle famiglie
Pendolari della sanità in calo in Lombardia. Nel 2008 sono venuti dal resto
d' Italia a curarsi negli ospedali lombardi 18 mila pazienti in meno. È una
perdita di competitività del 9%: in un anno i ricoveri e i day hospital negli
istituti ospedalieri pubblici da 101 mila sono scesi a quota 95 mila, nei
privati accreditati da 91 mila sono passati a 79 mila. È quanto emerge dai
dati dell' Associazione italiana ospedalità privata (Aiop), presentati ieri
dal presidente Aiop della Lombardia, Gabriele Pelissero, che spiega: «Una
delle cause può essere individuata nella crisi economica. Il costo delle cure
mediche è a carico del sistema sanitario delle Regioni di provenienza, ma le
famiglie al seguito dei malati possono essere in difficoltà a sostenere le
spese di viaggio e di soggiorno in città». La diminuzione dei pazienti che
fanno le valigie per farsi curare in Lombardia dà un taglio anche agli
incassi degli ospedali (che sono determinati al rimborso delle prestazioni
effettuate). Ma il pendolarismo sanitario vale per la Lombardia ancora mezzo
miliardo di euro, sui 3 miliardi e 531 milioni (65%) finanziati dal Pirellone
agli ospedali pubblici e il miliardo e 951 milioni (35%) destinati ai privati
accreditati. Chiarisce Pelissero: «Per i ricoveri in degenza ordinaria, che
rappresentano la percentuale di attività ospedaliera più complessa, non c' è
stata nessuna contrazione (o quasi). È stata registrata una perdita di
pazienti extraregione, invece, per le patologie meno gravi, curabili
soprattutto in day hospital». Il governatore Roberto Formigoni non sembra,
comunque, preoccupato dal nuovo fenomeno: «Il nostro indice di attrattività,
che dimostra la qualità del sistema lombardo, si conferma di gran lunga il
più alto d' Italia da sette anni». Il saldo tra malati in arrivo dal resto d'
Italia e lombardi in partenza è di 67.639 pazienti a vantaggio della
Lombardia, contro i 46.150 dell' Emilia Romagna, i 17.049 della Toscana, i
16.718 del Lazio e i 14.996 del Veneto. Oltre alla crisi economica, la
diminuzione dell' attrattività lombarda può essere legata alle novità
registrate nell' offerta sanitaria di altre regioni, come la Puglia, in cui
crescono i volumi di attività per interventi complessi nelle strutture
private accreditate. Il 50,4% dei pazienti che decidono di farsi curare in
Lombardia scelgono gli istituti privati accreditati, il 49,6% quelli
pubblici. «È dimostrata in modo inequivocabile l' importanza quali-
quantitativa della sanità privata lombarda e della sua credibilità a livello
nazionale», insiste Pelissero. Lo fa nella giornata in cui i Finanzieri del
Nucleo di polizia tributaria di Milano notificano 68 avvisi di conclusione
delle indagini preliminari sui rimborsi gonfiati a tre ospedali - Galeazzi,
Sant' Ambrogio e Policlinico San Donato -, tutti appartenenti al gruppo
ospedaliero San Donato, presieduto da Giuseppe Rotelli e di cui Pelissero è
vicepresidente. Simona Ravizza sravizza@corriere.
Le cifre L' indagine I dati dell' Aiop sono presentati dal presidente
Gabriele Pelissero (foto) I ricoveri I ricoveri di pazienti extraregione
negli ospedali pubblici sono scesi da 101 mila a 95 mila; nelle strutture
private sono passati da 91 a 79 mila L' incasso Il pendolarismo sanitario
vale per la Lombardia mezzo miliardo di euro
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Corriere della sera 15 Dic.’09
UN MILIONE DI «ABUSIVI» CON IL CAMICE BIANCO
IL CASO UN PIANETA CON 19 CATEGORIE E 350 MILA ADDETTI CHE ASPETTANO UN
ORDINE
Il censimento delle associazioni della sanità Né rappresentanza, né regole
Non esiste rappresentanza, non c' è sindacato né ordine professionale che
tuteli le competenze. Regolamentazione, si discute dal ' 99
MILANO - Si può essere invisibili anche con un camice bianco addosso. Lo
hanno scoperto gli operatori della sanità che da dieci anni aspettano la
creazione di un Ordine che li censisca e ne regolamenti l' associazionismo.
Gli specialisti della salute in Italia sono circa 550 mila e si raggruppano
in 22 associazioni, ma tra queste ce ne sono tre organizzate per collegi: si
tratta di infermieri, ostetriche e tecnici di radiologia medica. Loro sono
gli unici ad avere un organismo strutturato che li censisce e ne disciplina
l' attività professionale. Per le altre 19 categorie però l' unica certezza è
la concorrenza sleale. Stando ai numeri diramati dal Conaps (Coordinamento
nazionale associazioni professioni sanitarie) questo è forse l' unico caso in
Italia in cui gli abusivi sono il doppio dei professionisti: 1 milione di
furbi contro 550 mila regolarmente laureati. Il gruppo dei 19 sta cercando da
tempo di darsi una struttura, il Conaps coordina tre aree professionali: area
della riabilitazione (fisioterapisti, podologi, logopedisti ecc.), area
sanitaria (dietisti, tecnici ortopedici, tecnici di laboratorio) e area della
prevenzione. «Il problema è l' esercizio della libera professione - afferma
Antonio Bortone, presidente Conaps - essendoci un vuoto legislativo, succede
che basta aver seguito un corso di formazione professionale o avere un
diploma rilasciato all' estero per aprire uno studio e spacciarsi per
specialisti. Il mio settore, che è quello della riabilitazione, è pieno di
abusivi che mettono a repentaglio la salute dei clienti che inconsapevolmente
si affidano alle loro cure». La lotta si presenta particolarmente impari
anche in fatto di parcelle considerato che molto spesso gli abusivi hanno
tariffe più basse e appetibili di quelle presentate dagli specialisti e
spesso neppure fatturate. E i concorrenti non sono solo maghi, stregoni e
guaritori, ma anche strutture in cui si trovano operatori in camice bianco
che non hanno alcuna competenza sanitaria. Un mondo sommerso che strangola i
professionisti e mette a rischio i pazienti. Però non esiste rappresentanza,
non c' è sindacato né ordine professionale che tuteli competenze, stabilisca
tariffari o definisca un codice deontologico. Resta da capire perché la
regolamentazione di questo settore si sia trascinata dal ' 99 a oggi.
«Purtroppo - spiega Bortone - siamo stati strumentalizzati dalla lobby degli
Ordini più antichi: quando si è aperta la discussione per l' istituzione dei
nuovi organismi, la capacità di pressione dei poteri forti ha fatto sì che si
facesse un unico calderone con la riforma di quelli già esistenti. Il decreto
legge che ci riguarda sta per essere approvato in commissione Igiene e salute
al Senato. Ma resta sempre il timore che anche stavolta tutto si impantani
senza che nessuno si ricordi di noi». Come succede ai veri invisibili.
Isidoro Trovato
550 mila: gli operatori della sanità in Italia, divisi in 22 associazioni di
categoria 1 Milione: gli abusivi del settore della sanità, operatori senza
titoli professionali
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Corriere della Sera 14 dic. ’09
SALUTE: POCHE LE ASSOCIAZIONI CHE SANNO INFORMARE I IN RETE
Manca aggiornamento e interattività- Indagine su 15 siti web creati dai
malati
MILANO - Quattro milioni di italiani navigano su Internet per raccogliere
informazioni sanitarie. Acque affidabili? Alla domanda ha provato a
rispondere lo studio Casaleggio Associati di Casaleggio che offre consulenze
alle aziende sulla «cultura» della Rete, con una ricerca che ha voluto
tastare il polso delle associazioni dei pazienti online in Italia. Risultato:
dei 15 siti esaminati, solo quattro hanno meritato un ottimo in pagella. uno
la sufficienza nove sono risultati insufficienti ma migliorabili, uno è stato
«bocciato». Perché una ricerca sui siti? «Nel caso delle associazioni online
più che altri, la rete puo’ migliorare la qualità della vita dell'utente»,
spiega Davide Casaleggio, esperto di social network. L'ultimo censimento
Istat parla di oltre 18 mila realtà coinvolte nelle tematiche inerenti la
salute, in Italia. Il ministero della Salute ha cercato di fornire un prima
mappa di orientamento, mettendo online gli indirizzi di 53 associazioni di
pazienti. Tra queste il focus della Casaleggio ne ha scelte quindici e ha
analizzare i servizi che offrono nel loro sito web, la struttura di
quest'ultimo e le modalità con cui le associazioni comunicano ed
interagiscono con i pazienti. Cosi mentre la facilità nell'uso dei siti è
risultata sostanzialmente soddisfacente, l’offerta dei servizi potrebbe
migliorare, Le conclusioni del focus sono in linea con una serie di ricerche
svolte negli ultimi anni.
I PUNTI CRITICI –
L’indagine del Forum per la ricerca biomedica del Censis nel 2005 aveva
analizzato un campione di 51 associazioni di malati. Gli autori avevano
definito in generale di buona qualità le informazioni mediche e sanitarie
disponibili sui siti italiani, sia sotto il profilo dell’attendibilità che
della facilità d'uso e del dinamismo informativo. Avevano tuttavia anche
sottolineato la necessità di una maggiore diffusione dei criteri per valutare
la qualità e la credibilità dei contenuti, come lo Hon-Code, un codice di
linee guida per la certificazione di qualità dell’informazione medico -
sdentifica online rilasciato dalla Health on the Net Foundafion, nata a
Zurigo. Nel 2006, l'istituto Bruno Leoni di Torino, think-tank
dell'economista Sergio Ricosso aveva condotto una ricognizione su 24
associazioni, rilevando però la mancanza di un costante aggiornamento dei
siti. Il ConeigIA nazionale delle ricerche di Pisa, va oltre. Da due ansù sta
studiando come rendere accessibili i siti onlus anche ai non vedenti, «Le
associazioni dei pazienti sono sensibili al tema - sottolinea Mafia Buzzi,
dell'Istituto, di informatica e telematica del Consiglio. Però c'è ancora
scarsa conoscenza delle soluzioni informatiche già disponibili, anche da
parte dei tecnici». Insomma,la strada è lunga “In realtà il panorama dei siti
è molto variabile», spiega Paola Ilosconi, responsabile di Partecipa Salute,
un progetto di ricerca dell'istituto Mario Negri di Milano nato nel 2003
proprio per creare una collaborazione tra rappresentanti di pazienti e
cittadini e la comunità medico scientifica sui temi della salute. «Sul web
c'è qualche punta di eccellenza, molta mediocrità e anche alcune realtà
francamente insufficienti aggiungo Cosa manca? Qualità rigore e chiarezza
dell’informazione che sono poi i requisiti indispensabili per rendere le
persone capaci di fare scelte consapevoli.
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L’Unione Sarda 17 Dic.’09
CURARSI CON LA NANOMEDICINA
Un progetto di ricerca della facoltà di Farmacia tra genetica, malattie della
pelle e rischi ambientali
Il progetto coinvolge quattordici lavoratori di ricerca europei
CAGLIARI. Si occupano di nanomedicina e tossicologia ed è questa la strada
che hanno scelto per capire e affrontare alcune patologie molto diffuse: sono
alcuni ricercatori locali, i soli italiani a far parte del network europeo
con capofila il Coronel institute di Amsterdam. Al centro del progetto di
ricerca sulla dermatologia tra fattori genetici e rischi ambientali.
Il gruppo cagliaritano fa capo al laboratorio della facoltà di Farmacia
presieduta da Filippo Pirisi. Di fatto, l’ateneo fino al 2013 sarà l’unico
partner italiano di «Cooperazione Europea nel campo della ricerca scientifica
e tecnologica» per l’azione battezzata Cost Bm0903. Il progetto coinvolge
(400mila euro) 26 team e gruppi di ricerca operanti in 14 nazioni (Austria,
Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania,
Islanda, Irlanda, Italia, Olanda, e Regno Unito). «La nostra strategia -
spiega Biancamaria Baroli, coordinatrice del gruppo - è in linea con le
politiche europee e regionali per la ricerca scientifica e permette di
massimizzare competenze, risorse umane e infrastrutture del territorio».
Biancamaria Baroli è referente del laboratorio di nanomedicina,
nanotossicologia e medicina rigenerativa all’interno del del dipartimento
Farmaco-chimico-tecnologico. «Il laboratorio - aggiunge il preside, Filippo
Pirisi - è stato istituito nel 2004».
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Avvenire 15 dic. ’09
ECCO IL SANGUE SINTETICO ANNUNCIO DAGLI STATI UNITI
Un nuovo tipo di sangue sintetico è stato ricreato in laboratorio da
ricercatori dell'Università della California di Santa Barbara (Stati Uniti).
L'annuncio viene dalla rivista «Proceedings of the National Academy of
Sciences» che nel numero in uscita oggi pubblica un articolo realizzato da
Samir Mitragotri in cui viene descritto il nuovo composto sintetico.
r ricercatori • sono riusciti a ricreare la parte più consistente del sangue
umano e cioè i globuli rossi, delle particolari cellule che hanno come
principale funzione quella di trasportare l'ossigeno in tutto il corpo e per
questa ragione hanno anche una grande elasticità che permette loro di
raggiungere e di passare attraverso i vasi sanguigni più piccoli. Secondo i
ricercatori il sangue sintetico potrebbe essere usato sia come sostituto
temporaneo dei sangue umano, in caso di estrema necessità, sia come veicolo
di trasporto dei farmaci all'interno del corpo umano.
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Sanità News 17 dic. ’09
CREATE PIASTRINE ARTIFICIALI IN GRADO DI BLOCCARE RAPIDAMENTE LE EMORRAGIE
Il team di Erin Lavik della Case Western Reserve University (Usa) ha creato
delle piastrine sintetiche, in grado di bloccare le emorragie interne ed
esterne e di dimezzare il tempo di coagulazione. La perdita di sangue e'
infatti una delle prime cause di morte per incidente stradale, e spesso in
seguito a un trauma il processo naturale di coagulazione e' troppo lento per
evitare un'emorragia eccessiva.
Il lavoro, pubblicato su 'Science
Translational Medicine', e' stato ispirato dal fatto che ancora oggi sono
poche le opzioni per trattare i soldati vittime di lesioni interne in
Afghanistan e Iraq. I ricercatori puntavano a sviluppare una terapia ad hoc,
che potesse essere inserita nell'equipaggiamento da campo.
Il team della
Lavik ha sviluppato delle piastrine artificiali usando polimeri
biodegradabili, particelle sintetiche disegnate per legarsi alle piastrine
naturali sul sito di una lesione. Le piastrine naturali, attivate dal trauma,
emettono sostanze chimiche che permettono a questi elementi di legarsi fra
loro e con quelle sintetiche, per bloccare rapidamente l'emorragia.
Nei
test fatti sui modelli di ratto l'iniezione di piastrine sintetiche prima di
una lesione ha bloccato la perdita di sangue nella meta' del tempo, rispetto
agli animali normali. In un altro test il tempo di coagulazione e' risultato
circa il 25% piu' rapido rispetto a quello di ferite trattate con il fattore
ricombinante VIIa, usato per bloccare le emorragie incontrollate in
chirurgia.
Il team ha usato polimeri gia' impiegati per dei trattamenti
autorizzati dalla Food and Drug Administration americana, sperando che in
questo modo il nuovo trattamento possa essere autorizzato piu' rapidamente.
Inoltre, i ricercatori hanno utilizzato dei sistemi per evitare la formazione
indesiderata di un trombo artificiale, e nessun effetto negativo e' stato
visto negli animali trattati.
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MF 15 dic. ’09
TROPPE INFORMAZIONI, IL CERVELLO SI AFFATICA
Studio La concentrazione si sta riducendo
di Giulla Silvestri
Troppe informazioni e poca memoria Una ricerca statunitense riportata sul
quotidiano britannico Daily Mail dimostra come l'enorme mole di dati che
giunge al cervello ogni giorno, stimata in oltre centomila parole provenienti
da diversi media internet, giornali, cinema, radio, telefono, videogiochi e
televisione, lo affatica e fa perdere concentrazione. I ricercatori
dell'Università della California hanno calcolato che in media ogni adulto è
esposto a 34 gigabyte al giorno e che questo fenomeno ha già modificato la
struttura cerebrale. Secondo alcuni esperti l'uso smodato del computer
potrebbe addirittura indurre un processo di infantilizzazione del cervello,
rendendo difficile l'apprendimento. Altri specialisti, invece, ritengono che
l'organo possa crescere e aumentare di dimensione a seconda dell'utilizzo che
se ne fa, e che quindi molte informazioni possano indurre la nascita di nuove
cellule nervose.
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LA STAMPA 15 dic. ’09
PER IL TUMORE AL COLON UN FARMACO INTELLIGENTE
LA NUOVA TERAPIA RADDOPPIALA RISPOSTA DEL TUMORE AL TRATTAMENTO E RIDUCE DEL
32 PER CENTO IL RISCHIO DI PROGRESSIONE DELLA MALATTIA RISPETTO AI PAZIENTI
CURATI CON SOLA CHEMIOTERAPIA
di Pierluigi Montebelli
C’è un nuovo farmaco «intelligente» in prima linea nella lotta al tumore del
colon. È il cetuximab, un anticorpo monoclonale, diretto contro il recettore
del fattore di crescita epidermico (EGFR) e appena approvato dall'Aifa per
l'impiego - in associazione alla chemioterapia standard - nei pazenti con
tumore del colon in fase avanzata (cioè con metastasi a distanza),
caratterizzati dalla presenza del gene K-RAS non mutato. Nelle scorse
settimane anche il National Institute for Clinica] Excetlence (NICE) inglese
ha raccomandato l'impiego di cetuxirrtab come unica terapia mirata di prima
linea contro il tumore metastatico del colon retto nei pazienti con KRAS non
mutato, sottolineando il valore delle cure personalizzate sulla base della
tipologia di tumore alla diagnosi. Due gli studi che hanno portato
all'approvazione in Europea del cetuximab per questa indicazione: il CRYSTAL
(Cetuximab combined with iRinotecan in first line therapY for metaSTatic
colorectAL cancer), uno studio di fase II I, pubblicato sul New England
Joornal oJ Medicine e presentato in contemporanea al Congresso congiunto
dell'European Cancer Organization (ECCO) e dell'European Society of Medical
Oncology (ESMO) e fOPUS (OxaliPlatin and cetUximab in firSt-line treatment of
mCRC), uno studio di fase II.
I risultati dello studio CRYSTAL dimostrano che l'aggiunta di cetuximab alla
chemioterapia standard aumenta la sopravvivenza totale (23,5 mesi in media
contro i 20 dei pazienti trattati con sola chemioterapia), raddoppia la
risposta del tumore al trattamento e riduce del 32 per cento il rischio di
progressione della malattia, rispetto ai pazienti trattati con sola
chemioterapia. Al cetuximab - spiega Fortunato Ciardiello, ordinario di
Oncologia Medica della II Università di Napoli - consente di ridurre la massa
tumorale, oltre a limitare processi come l'invasione vascolare e la
formazione di metastasi. Nei pazienti con metastasi presenti solo a livello
del fegato, la riduzione della massa tumorale in molti casi permette di
arrivare all'asportazione chirurgica del tumore, garantendo così maggiori
probabilità di cura». Una terapia efficace, ma anche estremamente mirata e
personalizzata. «Attraverso l'analisi del biomarcatore K-RAS - spiega
Ciardiello - siamo in grado di individuare quali pazienti potranno ricevere
un potenziale beneficio dalla terapia». In Europa si registrano ogni anno 270
mila casi di tumore del colon retto, 200 mila dei quali hanno purtroppo esito
infausto. A presentare metastasi è circa un paziente su quattro e per queste
persone il tasso di sopravvivenza a cinque anni è di appena il 5 per cento.
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La Nuova Sardegna 15 Dic.’09
MANO BIONICA, BIOINGEGNERI AL LAVORO
Un gruppo di ricercatori cagliaritani partecipa al progetto Lifehand promosso
dalla scuola superiore Sant’Anna di Pisa e dell’università Campus Biomedico
di Roma nell’ambito del quale è stata impiantata (per la prima volta in
Europa) una mano bionica controllata direttamente dal sistema nervoso del
paziente. Il gruppo guidato dal docente Luigi Raffo presidente del corso di
studi in Ingegneria biomedica di Cagliari è impegnato nella realizzazione di
un microchip in grado di sostituirsi alla complessa strumentazione da
laboratorio utilizzata in questa fase dell’esperimento. La miniaturizzazione
dell’interfaccia elettronico costituisce un requisito indispensabile per
rendere l’arto portatile e per trasformarlo in una protesi sentita dal
paziente come un’appendice del corpo. Una prima versione del dispositivo sarà
testata nei prossimi mesi. I cagliaritani sperimentano il sistema per
percepire l’intenzione del movimento da parte del paziente attraverso
l’analisi dei segnali neurali.
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Corriere della sera 14 Dic.’09
ANALISI MEDICHE, RISULTATI VIA EMAIL UNA PASSWORD PER LA RISERVATEZZA
Lombardia ed Emilia Romagna le prime: niente più file agli sportelli
ROMA - In Lombardia ed Emilia Romagna sono già avanti. Centri privati e
pubblici, come il Niguarda, hanno avviato, o stanno per farlo, l' invio
online dei referti medici. Analisi del sangue e radiografie arrivano al
cittadino via web, risparmiandogli file agli sportelli. Sistema che spalanca
problemi di riservatezza. Ecco perché il Garante della privacy ha elaborato
le prime Linee Guida per il trattamento dei dati personali digitali,
pubblicate due giorni fa in Gazzetta Ufficiale. Via libera alle analisi
online dall' organismo presieduto da Francesco Pizzetti, purché siano
rispettate regole ferree. L' adesione al servizio da parte del paziente dovrà
essere facoltativo e comunque l' email resterà un' aggiunta al cartaceo senza
sostituirlo. Il titolare del referto verrà informato sulle caratteristiche
del sistema e gli andranno chiarite tutte le garanzie soprattutto sull'
archiviazione dei dati e la possibilità che vengano consultati in momenti
successivi. Il file dovrà essere accompagnato da un giudizio scritto del
medico che si renderà disponibile a inviare su richiesta altre informazioni.
I referti telematici resteranno in rete al massimo 45 giorni. «Ancora una
volta ci siamo sostituiti al ministero competente - dice Pizzetti -. Siamo
intervenuti perché la refertazione via internet sta prendendo piede
velocemente e, dove è già partita, viene attuata con procedure differenti. In
certi casi non c' è rispetto della privacy. Era urgente mettere a
disposizione norme comuni». Il garante precisa che le Linee Guida sono
rivolte agli operatori informatici delle strutture sanitarie e dunque non
«devono spaventare il cittadino che usufruirà del servizio con modalità
semplici». A chi vorrà ricevere le risposte nella posta elettronica sarà
consegnata una password di facile uso. «Noi siamo favorevoli a patto che sia
eliminato il rischio di violazione della privacy», commenta Amedeo Bianco,
presidente della federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo). E chi non ha
internet a casa continuerà a fare code? In questo caso, si fa notare, sarà il
medico di famiglia a fungere da mediatore, attraverso la posta elettronica
del suo studio. Fra pochi giorni il ministro Renato Brunetta firmerà il
decreto che renderà obbligatorio l' invio dei certificati medici elettronici
all' Inps. Un altro passo verso l' informatizzazione della sanità. Il
processo sarà lento e graduale. Margherita De Bac
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Sanità News 17 dic. ’09
PCA3: IL NUOVO TEST MOLECOLARE PER IL CARCINOMA PROSTATICO
Roma, 17 dic. - Il PCA3 è un nuovo test genetico specifico per il carcinoma
della prostata. L’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena nel centro sud è la
prima struttura di Sanità Pubblica ad effettuare il test PCA3 accogliendo
così l’esigenza clinica di indicare un’indagine che con una tecnologia
innovativa si pone come supporto complementare per una diagnosi più accurata
e puntuale della forma tumorale prostatica. Ad oggi infatti non esiste un
valore di dosaggio del PSA che consenta di escludere la presenza del cancro
alla prostata ed inoltre l’esito della biopsia non risulta correlata alla
diminuzione della mortalità.
Il carcinoma della prostata è il secondo tipo di neoplasia più diffusa tra
gli uomini, seconda solo al tumore del polmone; questa patologia colpisce
ogni anno in Italia più di 11.000 uomini con 6300 decessi. Una diagnosi
precoce seguita da intervento chirurgico, radio o chemioterapia può portare
alla guarigione.
“Con valori di PSA inferiori a 4 ng/ml - precisa la Dr.ssa Laura Conti,
Responsabile della Patologia Clinica dell’Istituto Regina Elena - la
probabilità di cancro della prostata è del 25%. Dopo un prima biopsia
negativa, il tumore della prostata presenta un’incidenza che varia dal 15 al
30% in relazione al PSA di partenza, al dato dell’esplorazione rettale e alla
tecnica bioptica adottata. Tale probabilità scende intorno al 10% e in
maggior misura alla seconda biopsia negativa.” Pertanto il margine di
incertezza rimane anche dopo l’esecuzione del test PSA e della biopsia.
Nasce così il nuovo test che consente di quantificare il livello di mRNA,
corrispondente al PCA3 presente nell’urina, che viene iperespresso in elevate
quantità nelle cellule neoplastiche della prostata e se elevato offre il
vantaggio di predire una più alta probabilità di successiva biopsia alla
prostata positiva.
“Il test PCA3 – sottolinea il Prof. Michele Gallucci, direttore della
Struttura di Urologia al Regina Elena – contribuisce ad evitare ripetute
biopsie in casi con risultati contraddittori e aiuta ad effettuare una
diagnosi sempre più precoce per forme di tumore prostatico localizzato che
necessita di vigilanza e non di terapie aggressive. In pratica ci aiuta a
leggere e ad interpretare il valore di un PSA elevato meglio di quanto faccia
il PSA libero.”
Il PROGENSA PCA3 Assay utilizza urina intera, raccolta a seguito di esame
digito-rettale, che permette il passaggio di cellule della prostata nel
tratto urinario, dove possono essere raccolte nell'urina di primo getto. Le
molecole di mRNA target vengono isolate dai campioni di urina mediante target
capture che provoca la lisi delle cellule e stabilizza l'RNA. Gli mRNA di
PCA3 e PSA, dopo amplificazione, vengono quantificati, e il PCA3 score viene
determinato in base al rapporto dell'mRNA di PCA3 e PSA.
“Il Prostata Cancer Gene3, - precisa la Prof. Paola Muti, Direttore
Scientifico dell’Istituto Regina Elena – se misurato in modo standardizzato,
aiuta a definire la diagnosi di tumore alla prostata e ad indicare le
caratteristiche di aggressività. E’ importante per il nostro Istituto
partecipare per contribuire alla ulteriore validazione e implementazione
clinica di questo biomarker che solo, assieme a pochi altri quali “Human
Kallikein2”, “urokinase-type plasmino gens activator receptor”, “prostata-
specific membrane antigen”, “early prostata cancer antigen”, ha dimostrato
efficacia clinica”. E’ da evidenziare che l’esame viene prescritto
esclusivamente dall’urologo. (Sn)
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Sanità News 17 dic. ’09
DURA PRESA DI POSIZIONE DEGLI INFERMIERI ITALIANI CONTRO LA LEGGE SUL FINE
VITA
Roma, 17 dic. - “Una legge che, così come è formulata, appare in contrasto
con la nostra deontologia professionale, non riconosce la centralità della
persona e delle sue volontà e non tiene conto del coinvolgimento dell’intera
équipe assistenziale”.
Così Annalisa Silvestro, Presidente della Federazione Nazionale dei Collegi
Ipasvi, sintetizza la posizione degli infermieri italiani in merito alla
legge sul testamento biologico e sul ‘fine vita’. Posizione espressa
attraverso un Pronunciamento reso pubblico proprio mentre alla Camera entra
nel vivo la discussione sul cosiddetto ddl Calabrò.
Lo scorso 10 dicembre la Commissione Affari Sociali di Montecitorio ha
infatti iniziato l'esame degli emendamenti, adottando come testo base la
proposta di legge 2350, approvata dal Senato a marzo.
“Il Pronunciamento non nasce certo oggi” – afferma Silvestro – “è, infatti,
il punto di arrivo di una riflessione avviata dal nostro gruppo professionale
già nel 2008, quando abbiamo avviato il percorso di revisione del nostro
Codice deontologico. La riflessione etica non poteva non toccare tematiche di
particolare sensibilità e rilevanza quali la terminalità di vita, il rispetto
delle volontà nell’assistito e il suo accompagnamento al ‘fine vita’. Da qui
la decisione di rendere pubbliche le nostre valutazioni”.
Nel loro Pronunciamento gli infermieri, professionisti che svolgono una
insostituibile funzione nella fase terminale della vita delle persone, si
richiamano alle norme espresse nel loro Codice deontologico per valutare
l’articolato della proposta di legge 2350: “Durante l’evoluzione terminale
della malattia e nel fine vita” – si legge nel Pronunciamento – “i rapporti
tra l’assistito, le sue persone di riferimento, il medico, l’infermiere e
l’équipe assistenziale non possono essere rigidamente definiti da una legge
potenzialmente fonte di dilemmi etici, difficoltà relazionali e criticità
professionali, ma devono essere vissuti e sviluppati secondo le norme dei
Codici di deontologia professionale”.
Norme deontologiche che contrastano con l’attuale formulazione della legge.
“Nel testo approdato alla Camera” – osserva Silvestro – “non si rileva il
valore della centralità della persona e del rispetto delle sue volontà che
non possono che essere il perno del processo di cura e di assistenza: il
testo attuale infatti, se prevede che l’assistito possa manifestare ed
esprimere le proprie volontà, definisce anche che tali volontà non abbiano
cogenza per il medico che, oltre a tutto, viene indicato come l’unico
detentore di ogni decisione che riguarda l’assistito indipendentemente dal
parere di altri professionisti inseriti con lui nell’équipe assistenziale”.
L’articolo 3 del Codice deontologico degli infermieri recita: “La
responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel
prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della
libertà e della dignità dell’individuo”.
L’articolo 36 recita: “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre
dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione
clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita”.
L’articolo 37 recita: “L’infermiere quando l’assistito non è in grado di
manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente
espresso in precedenza e documentato”.
“Il nostro Codice deontologico” – commenta Silvestro – “esprime un indirizzo
chiaro e a cui ci sentiamo fortemente vincolati: se il testo della legge
dovesse rimanere inalterato e se vi fosse e persistesse una richiesta di
attività in contrasto con i principi etici della professione e con i nostri
valori, si potrebbero determinare situazioni in cui gli infermieri sarebbero
indotti ad appellarsi alla clausola di coscienza. Crediamo sia importante
trovare altri percorsi. Noi vogliamo continuare ad assistere i nostri
pazienti nella fase del ‘fine vita’, nel rispetto della loro dignità e
volontà e attraverso atteggiamenti e gesti che vogliono e sanno accogliere,
ascoltare, assistere, comunicare e lenire.”
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Sanità News 15 dic. ’09
LE RADIAZIONI DA TOMOGRAFIE AUMENTANO I CASI DI CANCRO
Roma, 15 dic. - Le tomografie effettuate negli Stati Uniti nel corso del 2007
causeranno circa 29 mila casi di cancro e uccideranno quasi 15 mila persone,
afferma una ricerca pubblicata oggi sugli 'Archivi Internazionali di
Medicina'. La ricerca critica la facilita' con cui i medici Usa prescrivono
esami tomografici anche quando non sono indispensabili. Nel 2007 vi sono
stati circa 70 milioni di tomografie negli Usa. La ricerca sottolinea che in
alcuni casi la tomografia espone i pazienti a dosi di radiazioni fino a cento
volte piu' alte degli esami con i raggi-X. 'E' stato scoperto che vi e' stato
un aumento significativo di casi di cancro nel 2007 dovuto alle radiazioni
delle tomografie - ha detto Rita Redeberg, direttrice della rivista medica -
Le morti causate dalle tomografie potrebbe avere raggiunto nel 2007 quota 15
mila'. L'entusiasmo dei medici per le tomografie ha fatto salire il numero
annuale negli Usa da 3 milioni nel 1980 a 70 milioni nel 2007. 'Mentre alcuni
di questi test possono essere incredibilmente importanti e salvare vite umane
- ha affermato la Redeberg - e' possibile affermare con sicurezza che alcune
delle tomografie richieste non erano indispensabili' (Sn)