RASSEGNA STAMPA 20/12/2009 casanova@medicina.unica.it http://medicina.unica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=152&Itemid=133 SASSARI: L’UNIVERSITÀ TAGLIA I BARONI - CAGLIARI: I PRECARI BEFFATI DAL NUOVO RETTORE - AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, ECCO COME SI DIVENTA FANNULLONI - ATENEI TELEMATICI SU INTERNET POCHI DOCENTI E CREDITI FACILI - UNIVERSITÀ, L’ON-LINE È UN FLOP - UNIVERSITÀ, C'È IL TERZO POLO - TORNANO I FUORI CORSO NEI TEMPI UN LAUREATO SU 4 - ATENEI, MATRICOLE GIÙ E BOOM DI FUORI CORSO - SBLOCCATE LE RISORSE PER RECLUTARE I RICERCATORI - PERCHÉ L’ITALIA LEGA LE MANI ALL'INNOVAZIONE - L’ITALIA DIMENTICA LA LINGUA E COSÌ PERDIAMO L’ANIMA - QUELLA «I» COME «ITALIANO» CHE LA SCUOLA HA TRASCURATO - RIFORMA DEI LICEI, STOP DEL CONSIGLIO DI STATO - MA L'ATOMO CONVIENE DAVVERO - DAL MEDIO ORIENTE ALLA SIBERIA, LA MARCIA DI HOMO SAPIENS - IL TESORO DELL'AUTONOMIA: LA LEZIONE DI PIGLIARU - PEPPINO ZEDDA IL MISTERO DEI NURAGHI NEL MOTO DEL SOLE E DELLA LUNA - II PROF MI COPIA E (O STUDENTE LO FA CONDANNARE - QUANDO DARWIN SCONFISSE I SAMURAI - LA PRIMA EUROPA È SOTT'ACQUA "UN'ATLANTIDE DI MERAVIGLIE" - E' RINATA LA PRIMA CALCOLATRICE ITALIANA - IL SUDARIO DI GERUSALEMME CHE "RINNEGA" LA SINDONE - IL LINO DI GESÙ ERA ANOMALO - ======================================================= SISAR:CAOS STIPENDI, OSPEDALI IN SUBBUGLIO - LA RIFORMA SANITARIA SMONTATA A PEZZI DAI SENATORI AMERICANI - CRISI, CROLLANO I RICOVERI NEGLI OSPEDALI IN LOMBARDIA - UN MILIONE DI «ABUSIVI» CON IL CAMICE BIANCO - SALUTE: POCHE LE ASSOCIAZIONI CHE SANNO INFORMARE I IN RETE - CURARSI CON LA NANOMEDICINA - ECCO IL SANGUE SINTETICO ANNUNCIO DAGLI STATI UNITI - CREATE PIASTRINE ARTIFICIALI IN GRADO DI BLOCCARE RAPIDAMENTE LE EMORRAGIE - INGEGNERI IN CAMICE BIANCO L' HI-TECH AVANZA IN OSPEDALE - TROPPE INFORMAZIONI, IL CERVELLO SI AFFATICA - PER IL TUMORE AL COLON UN FARMACO INTELLIGENTE - MANO BIONICA, BIOINGEGNERI AL LAVORO - ANALISI MEDICHE, RISULTATI VIA EMAIL UNA PASSWORD PER LA RISERVATEZZA - PCA3: IL NUOVO TEST MOLECOLARE PER IL CARCINOMA PROSTATICO - DURA PRESA DI POSIZIONE DEGLI INFERMIERI CONTRO LA LEGGE SUL FINE VITA - LE RADIAZIONI DA TOMOGRAFIE AUMENTANO I CASI DI CANCRO - ======================================================= _______________________________________________ L’Unione Sarda 17 Dic.’09 SASSARI: L’UNIVERSITÀ TAGLIA I BARONI Sassari. Il Senato accademico vuole svecchiare il corpo docente e rivitalizzare le casse universitarie Basta deroghe: tutti in pensione a settant’anni Le intenzioni sono chiare, e già contenute nel programma elettorale del nuovo rettore Attilio Mastino: svecchiare il corpo docente aprendo le porte dell’insegnamento ai giovani rivitalizzando in questo modo anche le casse universitarie. Stop ai prolungamenti di carriera per i professori dell’Università di Sassari. Dal 2010 i docenti che spegneranno 70 candeline dovranno dire addio alla cattedra e accontentarsi della pensione. È questo l’indirizzo del Senato accademico, che nei giorni scorsi ha discusso l’argomento e rimandato la decisione ufficiale al nuovo anno. Le intenzioni però sono chiare, e già contenute nel programma elettorale con cui il nuovo rettore Attilio Mastino ha conquistato il titolo di Magnifico: svecchiare il corpo docente e rivitalizzare in questo modo anche le casse universitarie. Il costo degli ultrasettantenni che mantengono l’insegnamento si aggira intorno ai 100 mila euro annui a testa, mentre un nuovo assunto costerebbe la metà. Inoltre, se si considera che ogni cinque docenti che vanno in pensione l’Università può fare una sola assunzione, il risparmio diventa notevole. In passato i professori che raggiungevano l’età pensionabile potevano chiedere e ottenere automaticamente di restare altri due anni in cattedra. Con una legge del 2008 questo automatismo è stato bloccato, mettendo nelle mani di ogni singolo ateneo la possibilità di accettare o meno la proroga di due anni per i docenti che la richiedono. A Sassari l’ultimo nome illustre che ha usufruito di questo trattamento è stato proprio l’ex rettore Alessandro Maida che, allo scadere del suo mandato, ha ottenuto dal Senato altri due anni di contratto. Insieme a Maida avevano chiesto di restare al lavoro altri quattro professori ordinari, un assistente e un lettore. Il Senato aveva detto sì solo a Maida, al direttore della Clinica radiologica Giulio Cesare Canalis e al professore di chimica Antonio Saba. Fra i bocciati c’era anche Mariotto Segni, che nonostante il no del Senato è riuscito a rimanere in cattedra (ma solo per un altro anno) appellandosi a un’altra norma di legge. Attualmente sono trenta i docenti che hanno già scelto di andare in pensione a 70 anni, senza sfidare il verdetto del Senato accademico. In quattro invece tenteranno di convincere l’Ateneo a prolungar loro il contratto per altri due anni, a partire dal 1° novembre 2010. Le deroghe ai settantenni sono contemplate in casi eccezionali, quando l’opera del docente è indispensabile per portare a termine determinati progetti. Per il resto il Senato ha già scelto la linea da seguire: a 70 anni si va in pensione. Vincenzo Garofalo ______________________________________ La Nuova Sardegna 16 Dic.’09 CAGLIARI: I PRECARI BEFFATI DAL NUOVO RETTORE Università. Avevano raggiunto un accordo con Pasquale Mistretta ma Giovanni Melis lo ha cancellato L’amara verità: «Non ci sono i soldi per regolarizzare le assunzioni» CAGLIARI. Sedotti e abbandonati dopo anni di promesse che si sono rivelate sempre vane. Sono i precari dell’università, quelli che da tempo immemorabile attendono la stabilizzazione, per entrare così a far parte in pianta stabile dell’organico dell’ateneo. Nel febbraio del 2008 sembrava cosa fatta: dopo aver superato una selezione interna per titoli, ventotto dipendenti tra tecnici e amministrativi pensavano di aver dissolto l’incubo del precariato. A distanza di oltre un anno e mezzo, le cose stanno diversamente e il tutto ha il sapore della beffa. «Hanno pubblicato le graduatorie delle selezioni nel luglio dell’anno scorso - scrivono i lavoratori in una lettera-denuncia - e da quel momento ci piace definirci “stabilizzandi”, vale a dire “da stabilizzare”, perché molti di noi, ormai a casa da circa due anni, non possono più fregiarsi nemmeno del titolo di precari». Nel giugno, sempre del 2008, l’ateneo ha stabilizzato 15 persone e rinnovato alcuni contratti di collaborazione. In parallelo, l’università ha optato per l’assunzione di 17 idonei (non vincitori) di concorsi banditi in passato all’indomani di un accordo tra l’allora rettore Pasquale Mistretta, i sindacati e gli altri organi di governo dell’ateneo. «Una procedura - si legge nella nota - analoga a quella bocciata da una sentenza emessa dal Tar della Puglia, che il rettore ha volutamente ignorato, tanto che a giugno sono stati assunti altri 13 stabilizzandi e altrettanti idonei non vincitori. Sempre a luglio abbiamo incontrato il rettore Mistretta e, in quell’occasione, avevamo ricevuto tutte le rassicurazioni del caso sulla soluzione della vertenza. Anche se in seguito l’ex rettore ci aveva consigliato di porre la questione al suo successore». Ovvero Giovanni Melis. Che poco prima di essere eletto aveva detto: questo problema va sanato. «Ci siamo illusi - scrivono i lavoratori - ma poco dopo è arrivata la doccia fredda, quando il capo di gabinetto del nuovo rettore ci ha detto che non si potevano far carico di situazioni pregresse. Non è gratificante, anzi è umiliante sentirsi catalogati come “eredità del passato da cancellare”, visto che per tanti anni abbiamo contribuito al funzionamento e al miglioramento dell’università». La soluzione non è arrivata nemmeno il 27 novembre dopo il faccia a faccia con il rettore Melis «che ha ribadito la totale chiusura, affermando che non vi sono fondi per le assunzioni e che, se necessario, saranno firmati altri contratti di collaborazione tramite nuove selezioni, ignorando quindi quelle già effettuate. Noi, anche grazie alla Cgil-Flc - concludono gli “stabilizzandi” - continueremo la nostra battaglia». Pablo Sole ______________________________________ La Nuova Sardegna 17 Dic.’09 AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, ECCO COME SI DIVENTA FANNULLONI Sassari, Giovanni Vallotti ha presentato ieri il suo libro al corso di formazione per manager SASSARI. Un cartellino appeso alla maniglia di una porta d’albergo, con sopra scritto «per favore, disturbatemi». E’ iniziato con questa suggestiva immagine l’intervento di Giovanni Valotti, prorettore dell’Università Bocconi di Milano e docente di management pubblico, all’atto conclusivo del corso di formazione per dirigenti dell’amministrazione provinciale di Sassari svoltosi ieri mattina al Palazzo della Provincia. Valotti è partito infatti dalla tesi del suo ultimo libro, «Fannulloni si diventa. Una cura per la burocrazia malata», dicendo senza mezzi termini che «bisogna liberare le enormi energie che ci sono nel settore pubblico». «Un libro - lo aveva appena preceduto Filippo Peretti, notista politico della Nuova Sardegna e presidente regionale dell’Ordine dei giornalisti - che esce mentre è sempre più acceso il dibattito sull’efficienza delle amministrazioni pubbliche. Ma il vero punto è la risoluzione dei problemi». Secondo Valotti il vero problema della pubblica amministrazione non sono gli individui, ma l’organizzazione, che appiattisce le valutazioni, sopporta chi si impegna meno e disconosce i meriti, creando demotivazione e scarsa produttività. «E’ difficile essere motivati quando non c’è un riconoscimento dei propri sforzi. Quindi ci vuole tolleranza zero con i fannulloni, e questo è un compito soprattutto dei dirigenti, ma bisogna anche incentivare chi si impegna e produce, ed elevare la qualità media della maggior parte dei dipendenti pubblici, che al momento non sono all’altezza del compito che devono svolgere». La “terapia” da applicare alla pubblica amministrazione secondo Valotti: fare poche cose ma con le persone giuste, rivoluzionare modelli organizzativi e organici, trasformare i burocrati in manager, svecchiare il linguaggio e comunicare di più all’interno. E per fare questo «servono politici illuminati, manager capaci e dipendenti desiderosi di riscatto». «E’ fondamentale avere una visione unica degli degliobiettivi da perseguire» ha commentato Maria Paola Corona, assessore regionale agli affari generali, mentre per la Presidente della Provincia sassarese Alessandra Giudici bisogna proseguire nel «trasferimento dell’atteggiamento manageriale nel settore pubblico per accrescerne la competitività». «L’abolizione della figura del direttore generale prevista nella prossima finanziaria - ha aggiunto il sindaco Gianfranco Ganau - porterà ad un aumento delle ingerenze della politica. Ora servono dirigenti che trovino soluzioni originali ai problemi». Fabio Fresu ____________________________________________________ Il Sole24Ore 17 dic. ’09 ATENEI TELEMATICI SU INTERNET POCHI DOCENTI E CREDITI FACILI Tra gli esperimenti che negli ultimi anni l’accademia italiana ha tentato con scarso successo il X rapporto del Comitato nazionale di valutazione annovera le università telematiche. La prima «criticità», per seguire il linguaggio felpata dell'analisi del Cnvsu, è nei numeri: in Italia gli atenei sul web sono n, ma continuano a rimanere ultra-leggeri con i loro 17mila iscritti. «In Gran Bretagna-confronta il presidente del Cnvsu Luigi Biggerila Open Univezsity ha 180mila iscritti, quella catalana ne ha qoznila e anche in Grecia l'unico ateneo telematico ne ha 24mila». Nell'accademia virtuale, poi, continuano a diffondersi i laureati «precoci», quelli cioè che arrivano al titolo in anticipo sui tempi dettati dalla legge grazie ai crediti generosamente concessi dalle convenzioni con enti e ordini professionali. Negli atenei di mattoni il fenomeno ha imperversato per anni e oggi è concentrato in pochissime sedi, sul web l'aiutino dell’esperienza professionale» riguarda invece il 90% degli immatricolati. Trasferendo su internet i requisiti di qualità della didattica previsti per le università tradizionali, poi, per far vivere i 74 corsi online sarebbero necessari 222 docenti di ruolo, invece dei 4,2 oggi in forza nelle accademie virtuali. I concorsi, per carità, non mancano, ma negli anni scorsi solo raramente si sono tradotti in chiamate effettive. G. Tr. ____________________________________________________ Italia Oggi 17 dic. ’09 UNIVERSITÀ, L’ON-LINE È UN FLOP Il X rapporto del Comitato nazionale definisce critico il quadro della formazione telematica Crediti facili, immatricolazioni in calo e scarso organico DI BENEDETTA P PACELLI Le Università on line non passano un esame. Crediti facili, immatricolazioni in calo, scarsa consistenza dell'organico docente rispetto ai corsi di studi, tutti dati questi che, secondo il X Rapporto sullo stato. del sistema universitario messo a punto dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, contribuiscono a definire «critico», a dir poco, il quadro complessivo della formazione on-line. Uno dei nodi principali, evidenzia il Cnvsu, e quello delle risorse finanziarie e del personale. Perché anche se la normativa vigente impone alle università telematiche vincoli sulla disponibilità di docenti più teneri rispetto agli atenei tradizionali (per corso di laurea bastano 3 docenti di ruolo contro i 12), a queste era stato chiesto di allinearsi per assicurare un numero di competenze adeguato a garantire la qualità dell'offerta formativa. Ma nella realtà questo non è avvenuto: solo in 44 dei 74 corsi di studio attivati nell'anno accademico 2009-10 l'organico corrisponde alle richieste dei requisiti minimi della docenza. Complessivamente dei 222 docenti di ruolo teoricamente necessari per consentire l'attivazione dei 74 corsi di studio ne sono presenti solo 42. Ma non solo, perché gli atenei on line sfruttano la possibilità di computare non solo i docenti effettivamente presenti, ma anche le procedure concorsuali banditi e non ancora concluse. Una norma nata per tener conto dei tempi lunghi di espletamento dei concorsi universitari, ma usata in questo caso in modo anomalo visto che in 39 casi, una volta terminato il concorso l'università telematica di turno ha poi deciso di non chiamare alcun docente. E le risorse? I dati del rapporto evidenziano situazioni «di debolezza diffusa» e soltanto «in pochissimi casi l'impiego di risorse appare espressione di una cura appropriata per questo aspetto dell'organizzazione». Questo fa si che gli atenei per bilanciare le minori entrate rispetto alle attese, rallentano il piano di assunzione del personale di ruolo. Altre criticità rilevate sono poi l'andamento in calo o comunque stagnante delle nuove immatricolazioni e ancora l'eccessiva quantità di crediti pregressi riconosciuti all'atto dell'iscrizione che, come è noto, ha sfornato un alto numero di laureati precoci. Una bolla quella dei crediti facili che non si è ancora sgonfiata con la stretta al riconoscimento voluta dall'ex ministro Fabio Mussi nel 2007 e che dovrebbe scoppiare con le nuove norme contenute nella riforma Gelmini. Infine l'offerta formativa che per telematiche consiste complessivamente di 49 corsi di laurea triennale, 18 magistrale o specialistica e 7 quinquennali a ciclo unico per un totale di 74 corsi di studio. Numeri che per il Comitato di valutazione danno conto di un sistema frammentato che non ha portato ad una specializzazione dei singoli atenei, ma al contrario a offerte formative sovrapposte. E il rischio si legge infine nel rapporto «è la competizione tra i diversi atenei per'ripartire una domanda complessivamente modesta, senza che nessuno raggiunga una massima critica». ______________________________________ L’Unione Sarda 16 Dic.’09 UNIVERSITÀ, C'È IL TERZO POLO Approvato ieri un emendamento in Consiglio regionale Nuoro e Oristano in un consorzio unico Mercoledì 16 dicembre 2009 N asce il polo universitario della Sardegna centrale. Dal 2011 la Regione farà tabula rasa dei consorzi universitari di Oristano e Nuoro. Un'aggregazione di corsi accademici che dovrà rivitalizzare le sedi gemmate e dare maggiori opportunità ai territori delle zone interne. Questo l'intento del consiglio regionale che, nella tarda mattinata di ieri, ha dato il via libera a un emendamento alla legge finanziaria. La proposta (primo firmatario il presidente della commissione Cultura Attilio Dedoni) sostenuta da esponenti di entrambi gli schieramenti, è passata dopo lunghe discussioni. E in serata è arrivata anche l'approvazione per un incremento del fondo unico per il prossimo triennio: circa 7 milioni (per la precisione 6 milioni 980 mila euro). L'AULA L'assemblea di via Roma, dunque, punta alto in fatto di università sarda e rilancia il polo unico nell'ottica di razionalizzare l'insegnamento superiore diffuso. Su richiesta del capogruppo dell'Udc, Roberto Capelli, è stato inserito nel testo approvato ieri anche «l'impegno della Regione a garantire, attraverso il fondo di settore, le risorse finanziarie adeguate». LE REAZIONI Il provvedimento è stato salutato con grande soddisfazione dai consiglieri regionali, in particolare dopo le recenti polemiche per la ripartizione del fondo unico alle sedi periferiche e i timori per la possibile chiusura. «Con la futura istituzione del polo universitario della Sardegna centrale - ha commentato il capogruppo del Pdl Mario Diana, - le istanze di sviluppo delle zone interne dell'Isola avranno una prima importante risposta». Un segnale chiaro «per difendere l'esistenza di corsi di laurea, anche di eccellenza nazionale come quello in Archeologia subacquea con sede proprio a Oristano, perennemente a rischio chiusura», ha aggiunto l'esponente di centrodestra. Inoltre il sistema produttivo locale potrà contare su un maggiore bagaglio di conoscenze. Anche il consigliere oristanese Oscar Cherchi ha rimarcato la positività della decisione. «É la dimostrazione della volontà di far crescere le realtà universitarie periferiche che si dimostrano sedi d'eccellenza - ha sottolineato - vogliamo dare slancio alle esigenze dei territori in un'importante prospettiva di sinergia tra Nuoro e Oristano». Per Carlo Sanjust, per stare in casa Pdl, «si tratta di offrire una possibilità in più agli studenti, mantenendo più o meno inalterati i finanziamenti per l'Università in Sardegna - ha sostenuto - la Giunta Cappellacci sta cercando di razionalizzare le università gemmate valorizzando le risorse, la storia del territorio e le eccellenze che rischiavano di essere chiuse». IL DEPUTATO Così anche il deputato del Pdl Bruno Murgia che ritiene si tratti del «primo importante passo verso una diversificazione, anche territoriale, dell'offerta formativa universitaria in Sardegna». Adesso, però, la prossima mossa «sarà rivedere i contenuti dell'accordo tra Regione, Università ed enti locali e dare una fisionomia più adeguata alle esigenze di famiglie e studenti - ha aggiunto il parlamentare - la direzione è quella già indicata: materie di studio fortemente legate alle esigenze del territorio e dello sviluppo locale puntando alla esclusività ed evitando doppioni». LA CAUTELA Soddisfazione con un pizzico di prudenza nelle parole del presidente della Provincia di Oristano Pasquale Onida. «L'idea di un polo unico e di una sinergia tra i due territori può essere affascinante, ma non può assolutamente essere un alibi per far morire le università di Oristano e Nuoro». Il pensiero vola alle difficoltà e alle incertezze degli ultimi anni, con lo spauracchio di una chiusura delle sedi periferiche. «Tutto andrà verificato nei dettagli, apriremo un dibattito e cercheremo la soluzione ideale». Il sindaco di Nuoro Mario Zidda non si sbilancia, prima preferisce conoscere nei dettagli il provvedimento. VALERIA PINNA ____________________________________________________ Il Sole24Ore 17 dic. ’09 TORNANO I FUORI CORSO NEI TEMPI UN LAUREATO SU 4 Istruzione, Esaurito l'effetto positivo della riforma del 3+2 Gianni Trovati ROMA LE NOTE DI MERITO Crescono tirocini e stage e negli ultimi due anni le università sono riuscite ad aumentare del 52% I finanziamenti dall'esterno L'università rallenta. Nel 2008 i laureati sono tornati sotto quota 300mila, gli immatricolati si sono fermati a 307mila (con un calo del 9% rispetto al picco massimo del z004), perché solo il 68,4% dei neodiplomati sceglie la via verso la laurea (contro il 74,5%, del z00z) e diminuisce anche il numero di chi decide di tornare sui libri dopo un'esperienza lavorativa post diploma. Crolla, soprattutto, la puntualità alla laurea, uno dei fiori all'occhiello degli anni d'esordio del "3+2" (grazie anche al fatto che ovviamente a laurearsi per primi sano stati i migliori fra gli studenti "riformati"), oggi tornata alive}li deludenti: nel 2007/08 solo il 26,8% dei laureati, cioè il 10% in meno rispetto a quattro anni fa, è arrivato al traguardo nei tempi giusti, ed è probabile che la flessione proseguirà nei prossimi anni. Il passo del gambero avviato su alcuni degli obiettivi chiave della riforma degli ordinamenti è fotografato dal decimo rapporto del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario (Cnvsu), presentato ieri al Cnr. I numeri ovviamente non dicono che è il caso di tornare indietro dalla riforma, ma indicano che è il caso di ripensarne alcune delle modalità di attuazione. «La situazione - spiega Luigi Biggeri, presidente del Cnvsu -è differenziata al suo interno, e per garantire davvero una qualità diffusa bisognerebbe avviare il sistema di accreditamento di corsie facoltà; il meccanismo l'abbiamo preparato dal 2004, peccato che il ministero non abbia ancora pensato di utilizzarlo». Non tutto, però, va male. La novità più brillante, una volta tanto, arriva dai conti, perché la costante aria di tagli (più annunciati che realizzati) che soff a da anni sui bilanci ha aguzzato l'ingegno "imprenditoriale" degli atenei: finanziamenti esterni, convenzioni e vendita di servizi alle imprese hanno portato nei consuntivi z007delle università statali 187,6 milioni di euro, cioè il 52% in più dei 1-13,4 milioni racimolati con gli stessi strumenti solo due anni prima. Buona prova anche per stage e tirocini: a livello nazionale a'aumento registrato nel solo 2007/2008 è del 20,2% (sono 23mila le esperienze attivate), ma a trainare è solo il Centro-Nord. Anche la "razionalizzazione" delle strutture ha smesso di essere relegata ai convegni per entrare nella carne viva delle scelte organizzative. Certo, ci sono ancora 369 corsi di laurea (cioè più del io% del totale) con meno diio iscritti, ma molti sono a numero chiuso e, soprattutto, per la prima volta si erode la monta gna degli insegnaznenti (quest'anno sono z7zmila, 9mìla ú7 meno dell’anno scorso) e diminuisce il numero delle sedi: nel 2009izoio solo zz'~ comuni italiani, contro i zqz ciell'anno scorso, possono vantare un corso di laurea sul proprio territorio. Per superare il gigantismo accademico che imo anni ha aumentato dell'8o ro il costo degli ordinari, però, serve altro. «In particolare - sottolinea Biggeri - vanno ripensate le lauree specialistiche, che dovevano essere limitate ai contesti con forte sviluppo della ricerca e invece sono state attivate da tutti gli atenei, anche dove non c'è nemmeno il dottorato dello stesso ambito disciplinare». ____________________________________________________ Italia Oggi 17 dic. ’09 ATENEI, MATRICOLE GIÙ E BOOM DI FUORI CORSO All'università calano le matricole e aumentano gli studenti lumaca, quelli che per concludere il percorso di studi impiegano almeno un anno in più del dovuto. La buona notizia in compenso, secondo il X rapporto del Comitato di valutazione del sistema universitario, è che tra il 2006/2007 ed il 2007/2008 sono diminuiti gli abbandoni tra il primo e il secondo anno di studi: dal 20 al 17,5%. Segno che tra i nuovi iscritti crescono la soddisfazione e la convinzione per il percorso scelto dopo le superiori. L'università continua ad attrarre i neo maturi, ma meno che in passato. Diminuisce, infatti, dopo i picchi toccati in seguito alle riforma del 3+2, il numero di iscritti e di immatricolati. Nel 2007/2008 gli immatricolati sono stati 307.533, contro i 338.000 del 2003/2004. Il numero di laureati per la prima volta dopo 3 anni, scende sotto la soglia dei 300 mila: sono 293.084 coloro che, nel 2008, hanno conseguito il titolo di studio triennale, la laurea specialistica o un titolo del vecchio ordinamento. La diminuzione è di 7.051 unità rispetto al 2007. Meno di 1 studente su 3 si laurea nei tempi previsti: considerando i corsi di laurea triennali, dal confronto tra gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008 si evidenzia la flessione sia della proporzione di laureati in corso, sia di quelli che hanno conseguito il titolo un anno oltre la durata normale del corso. Benedetta P. Pacelli ____________________________________________________ Il Sole24Ore 17 dic. ’09 SBLOCCATE LE RISORSE PER RECLUTARE I RICERCATORI Il ministero ha assegnato 40 milioni di aiuti ma Trova pace la tormentata vicenda dei fondi "Mussi" per il reclutamento dei ricercatori universitari a tempo indeterminato. Dopo un tira e molla normativo, fatto di emendamenti entrati e usciti in varie norme nelle ultime settimane, il ministero ha deciso di fare da sé, e con il via libera della corte dei conti ieri ha assegnato agli atenei i 40 milioni della nuova tranche dell'aiuto statale che apre 90o posti nella "terza fascia" dei ruoli accademici. Il provvedimento offre alcune importanti novità rispetto al sistema di finanziamento che ha distribuito Go milioni di euro negli ultimi due anni. Il ministero, prima di tutto, ha deciso di finanziare i1 costo medio del ricercatore, invece dì quello iniziale, superando le obiezioni legate al fatto che con il vecchio metodo le università si trovavano un aiuto statale di fatto decrescente nel tempo. Il nuovo sistema, poi, non prevede più l’obbligo di cofinanziamento da parte dell'ateneo: nel 2007 e nel z008, per poter accedere all'assegno statale, l'università era obbligata a mettere mano al portafoglio per stanziare la propria quota, con un meccanismo che escludeva gli atenei privi dei fondi necessari o non intenzionati a sbloccare risorse. Il finanziamento z009 supera il problema, prevedendo una somma prefissata per ogni ateneo: sarà la singola università, poi, a decidere se usare solo l'assegno ministeriale o integrarlo con fondi propri, consentendo così l'avvio di più ricercatori. La novità, però, non piace a tutti: se nessuno cofinanzia, spiegano dall'associazione dei precari della ricerca in Italia, i posti garantiti «sono 900 anziché i 4mila promessi più volte dal ministro Gelmini». Per determinare il peso dell'aiuto ministeriale spettante a ogni università il nuovo provvedimento non dimentica la "meritocrazia", parola d'ordine reclamata da ogni misura uscita nell'ultimo anno e mezzo dal ministero guidato da Maria stella Gelmini. La bussola è data dal solito vincolo che impedisce alle spese destinate agli assegni fissi al personale di superare il 90% del fondo ordinario . riconosciuto all'ateneo; chi è sopra il vincolo, incappa nel blocco totale del reclutamento, mentre per gli altri il premio cresce proporzionalmente al diminuire del rapporto fra spese fisse e fondo di finanziamento ordinario. Come per il finanziamento "generale", anche in questo caso ai premi è stata dedicata una parte del fondo (5 milioni di euro), mentre il resto segue parametri fissi, ____________________________________________________ Il Sole24Ore 16 dic. ’09 PERCHÉ L’ITALIA LEGA LE MANI ALL'INNOVAZIONE di Gianfranco Fabì Che la carenza d'innovazione sia uno dei problemi principali dell'economia italiana è armai un dato di fatto che si può considerare un postulato. Il dibattito è peraltro aperto sulle ragioni dì questo deficit ormai strutturale e sulla cronica limitatezza degli investimenti nelle attività di ricerca e sviluppo. Se ci si fermasse alla cassetta degli attrezzi fornita dalle teorie classiche dell'economia, si dovrebbe puntare il dito sulla carenza di concorrenza del sistema economico perché, da Adam Smith a Joseph Schumpeter, l'innovazione è considerata un frutto della capacità e della motivazione degli imprenditori, sotto la spinta del mercato, di sfruttare in maniera nuova e creativa le risorse umane e materiali disponibili. Schumpeter tuttavia, al di là dello slogan della distruzione creativa, ha fatto compiere un passo avanti alla teoria mettendo in evidenza come l'innovazione possa essere compresa, giudicata e soprattutto valutata solo expost, cioè considerando i risultati conseguiti, e non ex ante, perché comunque gli imprenditori non possono che avere, ma non certo per colpa loro, una razionalità limitata nelle possibilità di prevedere le reali ricadute dei processi innovativi. Nel caso italiano ci sono due elementi che rendono particolarmente importante una corretta strategia di valutazione: il forte peso che ha assunto la dimensione pubblica da una parte e la crescente incidenza del settore dei servizi dall'altra F, in questa prospettiva che Fabrizio Tuzi, direttore generale del Cnr, lancia una proposta: rendere più efficienti gli investimenti in MS attraverso una coerente ed efficace politica di valutazione, proprio quella politica che soprattutto nel settore pubblico è praticamente assente. E non solo per mancanza di volontà, ma soprattutto per la carenza di regole. «L'attuale assetto normativo - scrive Tuzi nel suo libro L'innovazione dimezzata-non riconosce l'autonomia necessaria a un sistema che dovrebbe essere il motore dello sviluppo di una nazione». si citano i vincoli alle assunzioni, i passaggi autorizzativi a singhiozzo, la scarsa flessibilità del lavoro di ricerca e, addirittura, il peso d'imposte come fIrap che gravano sui costi del personale degli enti pubblici di ricerca. Non sorprende allora che si riferiscano al settore pubblico tre dei quattro indicatori in cui l’Italia è sotto la media Ocse sull'innovazione: la qualità delle istituzioni per la ricerca scientifica, le collaborazioni università- industria; gli acquisti statali di prodotti a tecnologia avanzata. A questi sì aggiunge la spesa privata in R&5> una spesa tuttavia verosimilmente sottostimata, data la dimensione medio piccola delle imprese italiane che rende difficile definire in modo chiaro la dimensione quantitativa degli investimenti in innovazione. Se questo è vero, ne risulta che il rilancio dell'innovazione si gioca non solo sul fronte delle risorse a disposizione o sul grado di competizione, ma anche sulla possibilità di rendere gli interventi più efficienti: non solo spendere di più, ma soprattutto spendere meglio. ______________________________________ La Nuova Sardegna 14 Dic.’09 L’ITALIA DIMENTICA LA LINGUA E COSÌ PERDIAMO L’ANIMA LA SCUOLA CHE NON FUNZIONA Dalle elementari all’università gli studenti hanno una conoscenza molto approssimativa dell’idioma nazionale Sta venendo fuori un problemaccio che renderà l’Italia di domani peggiore di oggi: gli studenti arrivano all’università con una cultura lacunosa e una barcollante conoscenza della lingua italiana. Leggendo le risposte ai test affrontati dalle matricole, ci viene addosso una desolata depressione. Non considero grave scrivere: «Qual’è la natura» e «Un’uomo», e nemmeno «quore»: sono erroracci, d’accordo, ma non rivelano una stortura del cervello. La stortura c’è in chi scrive: «Se sarei venuto a Roma, t’incontrerò». Si resta allibiti. È tutta la società che perde la lingua. Il padrone di una squadra di calcio ha dichiarato in tv: «C’è chi può e chi non può, io può». Una maestra ha scritto nel verbale di una gita: «Lo scolaro Gamba è caduto e s’è rotto la medesima». La maestra capirebbe l’errore se pensasse la frase in latino. Ma il latino non si fa più o, dove si fa, si fa alla carlona. Il latino ti fa vedere, nella parola che c’è, la parola che c’era, nella frase che scrivi, la frase che si scriveva, e un po’ della parola e della struttura di un tempo rimangono nella parola e nella frase di oggi. Gli studenti che lasciano le biciclette accatastate nei marciapiedi davanti agli istituti, non sanno il latino: non capiscono che un marciapiede deve restar libero perché ci marciano i pedoni, che puoi vedere se guardi in fondo al porticato: il latino li allenerebbe a capire che, se c’è un «ut», prima che il periodo finisca dev’esserci una finale, se scorri avanti con l’occhio la vedi. La lingua è la nostra struttura. Qualcuno sostiene che «l’inconscio è strutturato come un linguaggio» (Lacan), cioè che i nostri sogni e i nostri sentimenti (e la nostra sessualità) hanno a che fare con la lingua che parliamo. I ragazzi che parlano e scrivono male non sono soltanto studenti sbagliati, sono anche uomini sbagliati. Chi usa una lingua disordinata ha una vita disordinata. La vita di chi non sa parlare e scrivere correttamente è una vita misera. Non parlo di ricchezza, ovviamente: un conto è il tenore della vita, altro conto è la qualità della vita. Questo è un tempo che ha azzerato il rapporto tra merito e premio. Puoi ottenere anche senza meritare. Non è più necessario studiare, ricordare, scrivere. Si può andare avanti lo stesso, laurearsi e guadagnare. Tutti gli studenti, una volta, per laurearsi, dovevano scrivere un libro: la tesi. Per una volta nella vita, erano «autori». La tesi era il «capolavoro» della loro cultura. Una volta nelle fabbriche si chiamava «capolavoro» il pezzo che l’operaio costruiva davanti agli esaminatori che dovevano assumerlo. Bene, la tesi era il capolavoro di ogni studente, il vertice della sua capacità di ricerca, ragionamento, scrittura. Oggi ricerca, ragionamento, scrittura sono sostituiti da Internet: qualunque argomento è già svolto in Internet. Non devi usare il cervello, basta usare il Copia e Incolla. E così la nostra società è segnata dalla «perdita della lingua». Che comincia già alle elementari. Non sappiamo scrivere perché non leggiamo, né libri né giornali. Se da noi solo 98 persone su mille leggono un giornale, la domanda è: i nostri cittadini sono in grado di capire e decidere? Sono adatti alla democrazia? E come mai arrivano all’università, se non sanno scrivere? Non andrebbero stoppati prima, alle medie superiori, alle medie inferiori, costretti a ripetere l’anno, o a riparare a settembre? Insomma, costretti a studiare, leggere e scrivere? (fercamon@alice.it) ______________________________________ Corriere della sera 18 Dic.’09 QUELLA «I» COME «ITALIANO» CHE LA SCUOLA HA TRASCURATO DISCUSSIONI UN DOCUMENTO DELLA CRUSCA E DEI LINCEI LANCIA L' ALLARME: I RAGAZZI IGNORANO LA LINGUA MADRE. E OFFRE ALCUNE SOLUZIONI Croce sbagliava: insegnare la letteratura non basta Conseguenze Chi non sa scrivere, non ha il dominio della realtà. Chi non sa esprimersi non può giudicare L' italiano a scuola è minacciato. Da chi? Da tutti (o quasi): dalla politica, e cioè dalle riforme previste o, meglio, minacciate, dagli allievi che non vogliono saperne di regole in generale, figurarsi di quelle grammaticali, persino dai professori, e vedremo perché. L' insegnamento dell' italiano è minacciato anche (o soprattutto) dalla società, che offre poli di attrazione ben diversi dall' approfondimento della lingua-madre: immagini, tecnologie, internet, l' immancabile televisione eccetera. La riforma, si diceva: per alcuni indirizzi della scuola superiore prevede una riduzione. Ma non è questo quel che conta davvero: a preoccupare è l' atteggiamento di generale superficialità con cui si guarda alla nostra lingua. Per esempio, a molti addetti ai lavori è sembrata una provocazione, con questi chiari di luna, la recente crociata leghista per il dialetto nelle scuole. I chiari di luna sono quelli che impietosamente emergono dalle classifiche internazionali (Ocse-Pisa) riguardanti le competenze linguistiche dei nostri giovani, collocati agli ultimi posti. Per queste buone ragioni, le due maggiori accademie italiane, la Crusca e i Lincei, hanno deciso di lanciare un appello su Lingua italiana, scuola, sviluppo, partendo da un principio solo apparentemente assodato: «una padronanza medio-alta dell' italiano è un bene per il Paese e il suo sviluppo culturale ed economico». Assodato? Niente affatto, sarebbe meglio non dare niente per scontato. Vi ricordate il famoso slogan delle tre «I» su cui un passato governo Berlusconi fondava la prospettiva di una scuola rinnovata? C' era di tutto (inglese internet impresa) salvo che l' italiano che pure aveva la stessa iniziale. L' appello degli accademici, steso da Francesco Bruni, sostiene che «una conoscenza della lingua materna sicura e ricca, che non si limiti ai bisogni comunicativi primari, elementari (...) è una precondizione per un Paese civile». Quel che si propone è insomma «un deciso rafforzamento dell' italiano nell' insegnamento scolastico». Con una sottolineatura: che le ore dedicate alla lingua siano tenute ben distinte da quelle riguardanti la lettura dei testi. Il che riduce l' antica prevalenza crociana della letteratura come disciplina regina, per ripartire più terre à terre dalla lingua d' uso. Il paradosso vuole addirittura che studenti Erasmus venuti da noi dopo aver imparato l' italiano all' estero siano più preparati dei nostri sulle strutture morfologiche e sintattiche e persino sul lessico. Il filologo Cesare Segre, professore universitario di lungo corso, conosce bene le carenze degli studenti: «Sanno poche parole, non sono capaci di costruire frasi complesse e fanno errori di ortografia gravissimi, insomma non sanno usare la lingua: riassumere, raccontare, riferire. Questo significa che non hanno il dominio della realtà, perché la lingua è il modo che abbiamo per metterci in contatto con il mondo: e se non sei capace di esprimerti non sei capace di giudicare. Per di più la civiltà dell' immagine in genere usa la lingua per formulare slogan e non ragionamenti». C' è poi la questione della presunta concorrenza dell' inglese: «Se non possiedi la struttura della tua lingua non sei in grado di imparare le altre, per questo le campagne a favore dell' inglese non hanno senso se non si legano a un miglioramento dell' italiano». Basterà rivedere i programmi? Aggiungere un' ora? O mantenere le attuali? Il presidente d' onore della Crusca, Francesco Sabatini, punta su un aspetto che definisce paradossale: «Non c' è nessun collegamento tra la formazione universitaria e l' immissione degli insegnanti nella scuola: si richiederebbe una competenza linguistica e tecnico-didattica specifica. Un tempo poteva insegnare italiano nelle superiori anche un laureato in giurisprudenza che aveva fallito la carriera di avvocato oppure un laureato in pedagogia. Ma ancora oggi se io chiedo a cento professori di italiano quanti hanno studiato linguistica o storia della lingua, rispondono positivamente soltanto in dieci. Il predominio della letteratura è un tardo influsso crociano». Non per niente Sabatini ha scritto già un paio d' anni fa un saggio intitolato Lettera sul ritorno alla grammatica. Ma contro la grammatica sembrano schierarsi persino i professori, che forse sarebbero i primi a doverla imparare: «È vero, c' è un blocco dei docenti, i quali sostengono che chi sa bene la letteratura può insegnare tranquillamente la lingua. Per non dire poi dei ministeri, che ignorano persino l' esistenza di una disciplina che si chiama linguistica». Insomma, ci vorrebbe, secondo Sabatini, una politica mirata all' insegnamento dell' italiano, tenendo conto del fatto che l' italiano serve a tutti i cittadini e a tutti i professionisti: non solo ai docenti di italiano, ma ai magistrati, agli avvocati, ai medici, agli ingegneri eccetera. E il dialetto? «È importante culturalmente, storicamente, strutturalmente. Va bene presentarlo, ma insegnarlo sistematicamente sarebbe una follia: il dialetto si impara, non si insegna». Bisogna andare sul campo, come si dice, per avere una voce ancora più netta sulla questione. Carla Marello è glottodidatta all' Università di Torino e si occupa molto dell' insegnamento a stranieri. Una prospettiva diversa? «No, tutto ciò che vale nell' insegnamento dell' italiano agli stranieri, serve a maggior ragione per i parlanti nativi. Oggi poi...». Oggi? «Con le classi multilingue l' insegnamento dell' italiano è cambiato per forza. Se poi sentiamo in televisione il Grande Fratello, si capisce subito che la lingua dei giovani è diversa da quella delle antologie scolastiche e dalle scritture artificiali che si richiedono nei temi». Dunque? «La scuola continua a insegnare un italiano fittizio, c' è un distacco enorme tra l' esempio che diamo e ciò che gli allievi sono in grado di recepire. Dunque se vogliamo che l' italiano scritto dei nostri ragazzi migliori dobbiamo impegnarci a farli scrivere di cose concrete, con un insegnamento molto pratico che non guardi più alla lingua letteraria come al solo modello». Bandire la letteratura? «No, si arriverà alla letteratura come massimo grado di utilità e bellezza, ma prima punterei su forme di scrittura meno belle e più concrete, senza ostinarmi a perseguire norme utopiche e senza dare per scontato niente». Proprio niente? Neanche la differenza tra scritto e orale? «Tra scritto e parlato c' è uno scollamento enorme: puntando sul parlato, alzeremo anche il livello dello scritto. Sempre meglio dire: "se lo sapevo non venivo" piuttosto che "se non lo saprei non verrei". Che bisogno c' è di pretendere a tutti i costi "se l' avessi saputo non sarei venuto"? Pazienza se non sarà lo scritto di Igor Man o di Scalfari, ma quello più realistico della Littizzetto!». RIPRODUZIONE RISERVATA A Firenze Oggi gli accademici presentano il testo Il documento «Lingua italiana, scuola, sviluppo» ovvero «Lo stato dell' italiano in rapporto alle esigenze del Paese e alla riforma dell' Istruzione», del quale anticipiamo i contenuti nell' articolo sopra, viene presentato questa mattina alle 11.30 a Palazzo Medici Riccardi di Firenze. Lo esporranno Nicoletta Maraschio, presidente dell' Accademia della Crusca, Lamberto Maffei, presidente dell' Accademia dei Lincei, e Silvia Morgana, presidente dell' Associazione per la Storia della lingua italiana. Di Stefano Paolo ______________________________________ Repubblica 15 Dic.’09 RIFORMA DEI LICEI, STOP DEL CONSIGLIO DI STATO “Superati i limiti di delega”. Oggi vertice al ministero per valutare un rinvio delle iscrizioni MARIO REGGIO ROMA — Stop del Consiglio di Stato alla riforma delle scuole superiori che, nell’intenzione del ministro Mariastella Gelmini, dovrebbe partire dal prossimo anno scolastico. Il Consiglio di Stato contesta che i Regolamenti emanati dal ministro vanno ben al di là della delega concessa dal Parlamento. Meno ore, meno materie, con l’obiettivo di ridurre i costi ed il personale non rientrano nella delega che prevede, secondo i magistrati, «la sola ridefinizione dei curricula vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e relativi quadri orari». Il secondo punto riguarda la creazione dei Dipartimenti scolastici per la valutazione che porterebbero alla cancellazione di fatto dei collegi dei docenti, in contrasto con la legge sull’autonomia scolastica. Il Consiglio di Stato, la sentenza è dello scorso 9 dicembre, chiede al ministero di chiarire i punti contestati e si riserva il giudizio definitivo. Ma il tempo è tiranno. Sono alle porte le vacanze di Natale, le commissioni parlamentari di Camera e Senato dovranno prendere visione e valutare il nuovo testo dei regolamenti. E il termine ultimo per le iscrizioni al nuovo anno scolastico è stato già fissato al 27 febbraio 2010. Il rischio è che tutto slitti all’anno scolastico 2011- 2012. Che qualche problema ci sia è confermato dall’unica notizia che trapela da viale Trastevere: stamattina summit al ministero per decidere l’eventuale slittamento della scadenza delle iscrizioni alle superiori. Il Consiglio di Stato ha, infatti, invitato il ministero ad alcuni chiarimenti sui tre schemi di regolamento approvati in prima lettura dal consiglio dei ministri e attualmente all’esame delle commissioni parlamentari, riservandosi «la facoltà di disporre l’audizione del Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero, nonché del dirigente generale competente all’istruttoria del regolamento ». Nel frattempo il Consiglio ha sospeso l’emanazione del parere. Alla luce dei chiarimenti chiesti e considerando che le Commissioni parlamentari non hanno ancora espresso i richiesti pareri che, comunque, dovranno ora tenere conto del pronunciamento dei magistrati, dal fronte sindacale arriva la richiesta di rinviare di un anno il debutto della riforma. «Avremmo di certo preferito che tale blocco fosse stato determinato dalla ferma e dilagante opposizione di docenti, Ata, studenti e genitori: ma in ogni caso — afferma Piero Bernocchi portavoce dei Cobas — accogliamo positivamente tutto ciò che ci dà tempo affinché tale protesta e tale lotta si sviluppino al massimo nei prossimi mesi, verso una sonora bocciatura di una controriforma che distruggerebbe le superiori e ulteriormente immiserirebbe l’intera scuola pubblica italiana». «Ribadiamo ora con maggior forza — dice il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo — che è il caso di fermarsi, rinviando di un anno l’entrata in vigore dei regolamenti: di ascoltare le ragioni di quanti non hanno condiviso merito e metodo del riordino della scuola secondaria superiore; è necessario rimuovere i tagli e, solo a questa condizione, riprendere le fila per una vera riforma che necessita non di tagli ma di investimenti, di tempo per l’ascolto e il confronto vero». Stessa richiesta dalla Gilda. «Le osservazioni formulate dal Consiglio di Stato — dichiara il coordinatore Rino Di Meglio — rilevano, in sostanza, che non esistono le condizioni adatte per procedere con l’applicazione della riforma voluta dal Governo». ____________________________________________________ Il Sole24Ore 13 dic. ’09 MA L'ATOMO CONVIENE DAVVERO L'Italia progetta il ritorno al nucleare mentre in Francia tempi, spese e sicurezza dei nuovi impianti seminano scie di dubbi di Emma Bonino Parlamentare radicale Elisabetta Zamparutti Parlamentare radicale Le prevedibili polemiche sui siti nucleari e la convocazione a breve da parte del governo di tutte le imprese "interessate" al settore, ci spingono a riproporre alcuni quesiti di fondo che non hanno avuto risposte convincenti, insieme a' problemi rimasti insoluti. E ci portano a farlo proprio su un giornale "nuclearista" perché il confronto è utile tra chi ha maturato opinioni diverse. Ripetiamo la domanda che abbiamo posto nel 2008: in termini di costi/benefici, conviene al nostro paese costruire centrali nucleari impegnando nei prossimi anni 25/30 miliardi per soddisfare, ben che vada a partire dal 2020 il 25% dei' consumi elettrici attuali che corrispondono solo a circa i14,5% dei consumi finali di energia? Non esiste altro modo per raggiungere e persino superare lo stesso obiettivo? Una recente valutazione dell'Enea evidenzia che le uniche opzioni tecnologiche con benefici sociali netti o con costi minimi sono quelle riconducibili al miglioramento dell'efficienza energetica nell'industria, nel terziario, nel trasporto, nell'edilizia residenziale e nella produzione e trasmissione di elettricità. Secondo quanto affermato in questo studio, nel solo settore dell'elettricità, si potrebbero evitare 73 twh di energia elettrica, pari al 21,6% dei consumi finali lordi del 2008 (337,6 twh). Questo enorme potenziale di risparmio energetico al 2020 corrisponde alla produzione elettrica di circa 8 grandi centrali nucleari. Siamo convinte che sia molto importante continuare ad usare risorse pubbliche per potenziare i nostri centri di ricerca e partecipare a programmi internazionali in questo campo. Ma intanto il rapporto dell'Enea ci dà un'indicazione univoca: le misure di efficienza energetica sono immediatamente praticabili, consentono di guadagnare tempo laddove le innovazioni non sono ancora mature in termini di prestazioni e di costi, e permettono di operare scelte strategiche in modo più consapevole e calibrato alle vere esigenze del nostro paese. In modo acritico ci viene continuamente riproposto l'esempio francese, nonostante, notizie d'oltralpe definiscano un "fiasco industriale" il nucleare francese. Quello, per intenderci, che dovremmo realizzare, incentrato sul reattore Epr. «Non si sa se riusciremo a costruirlo, né a che prezzo potrà essere realizzato: dai 3 miliardi di euro si è passati ai 5 e si evoca la cifra di 6 0 7 miliardi», riassumeva pochi giorni fa un dirigente di Edf dalle colonne del giornale francese Mediapart.fr. Il produttore Areva ha dovuto ammettere che il cantiere finlandese ha già prodotto 2,7 miliardi di perdite destinate a crescere e superare così il prezzo di vendita (3 miliardi) del reattore stesso. Così come ha dovuto riconoscere ritardi tali da far entrare in servizio fEpr nel 2012 nonostante le previ~ sioni iniziali parlassero del 2009. E il vicepresidente della compagnia elettrica finlandese Tvo, Timo Rajala, dalle pagine di Les Echos si è sentito in obbligo di rispedire al mittente le accuse di essere all'origine dei ritardi, affermando che '«il progetto ha richiesto troppo tempo... Noi non vogliamo pagare i costi che si sono resi necessari per ricerca e sviluppo». Più discreta mente, Edf ha annunciato il rinvio di almeno un anno della messa in servizio deEpr di Flamanville. Ma soprattutto la Francia non ha risolto con il nucleare la dipendenza da fonti fossili, se consideriamo che consuma pro-capite più petrolio della Germania. E se è vero che nelle ore morte, quando è in una situazione di sovraccapacità, ci vende energia elettrica, è altrettanto vero che nelle ore di punta la compra appunto dalla stessa Germania. Per non parlare dell'avvertimento pesante lanciato dalle tre autorità per la sicurezza nucleare francese, finlandese e inglese. Inun comunicato congiunto hanno rilevato la necessità di rafforzare il sistema di sicurezza dell'Epr perché «nel modo in cui è stato originariamente proposto dai licenziatari e da Areva, non osserva il principio d'indipendenza» tra i sistemi di sicurezza e quelli di controllo, che costituisce un principio basilare della sicurezza, e hanno chiesto una revisione completa del sistema. Sostanzialmente hanno detto: «Così non va». E non è difficile immaginare quanto sia costata all'autorità francese muovere una pubblica critica a quello che viene considerato un simbolo della grandeur francese. Né molto diversa pare la situazione di quell'altra tecnologia che potrebbe trovare attuazione in Italia, il reattore Api000 dell'americana Westinghouse: i127 novembre la direzione Sanità e Sicurezza britannica (Hse) ha avvertito che potrebbe non approvare il progetto se non risponderà alle riserve espresse in tema di sicurezza. Per cultura e prassi politica radicale non siamo affette dalla sindrome Nimby o da psicosi catastrofiste, ma le alternative esistono, come ha proposto la stessa Enea: efficienza energetica, energie alternative, ricerca. Sicché ripetiamo la domanda: il nucleare conviene? Risolve? ____________________________________________________ l’Unità 14 dic. ’09 DAL MEDIO ORIENTE ALLA SIBERIA, LA MARCIA DI HOMO SAPIENS 80.000 anni fa fu un'unica migrazione a popolare l'intera Asia 93 genetisti per la ricerca. Per la prima volta un team tutto asiatico Indonesia In questo paese ancora oggi si contano 300 popolazioni diverse Su Science la ricerca degli scienziati di 11 paesi. Studiando il 1?na di 73 popolazioni asiatiche ribaltano teorie consolidate. Ma la notizia è anche un'altra: pure loro, gli scienziati, per la prima volta sono tutti asiatici. PIETRO GRECO scienza@unita.it L'Asia, il più grande e popoloso continente del mondo, è stata colonizzato per la prima volta da Homo sapiens con un'unica grande ondata migratoria che, partita dal Medio Oriente (e prima ancora dall'Africa), ha costeggiato il subcontinente indiano, conquistato i grandi arcipelaghi dell'Indopacifico, si è estesa a nord, giungendo in Cina e dilagando, infine, nelle gradi steppe siberiane. La grande spinta iniziale ha dato poi vita a una grande diversificazione (pur nell'ambito della sostanziale omogeneità della specie umana): nella sola Indonesia, ancora oggi si cantano 300 popolazioni diverse. E nelle Filippine sono 180. Come è nata tanta diversità? Da un evento iniziale unico. La storia della conquista umana dell'Asia è stata ricostruita da un gruppo di 93 genetisti, appartenenti a 40 istituzioni di 11 paesi, che ha esaminato il L)na di 1.900 persone rappresentative di 73 popolazioni asiatiche. Di ciascuno l’equipe ha esaminato 50.000 SNP (Polimorfismi del singolo nucleotide). Ovvero siti genetici dove una singola mutazione determina una forma (allele) alternativa di un medesimo gene. Lo studio di questa enorme massa di dati ha consentito di verificare non solo la (ormai scontata) omologia tra diversità genetica e diversità linguistica, ma anche che la diversità diminuisce spostandosi dal sud verso il nord dell'Asia e che tutte le variazioni presenti a nord sono presenti anche al sud (ma, non viceversa). Il che significa, appunto, che il nord del continente è stato colonizzato da popolazioni provenienti dal sud. UNA PARTITA PLANETARIA In realtà, il team -che ha pubblicato i risultati della sua ricerca sull'ultimo numero di Science - ha potuto stabilire che la colonizzazione dell'intera Asia è avvenuta sulla spinta di una singola ondata migratoria che ha seguito il tragitto che abbiamo già descritto. Con ciò falsificando due vecchie teorie che non hanno retto alla prova. La prima sosteneva che l'Asia era stata colonizzata mediante due flussi migratori, uno a sud e l'altro a nord. La seconda, invece, proponeva una singola ondata di uomini che si sarebbero inoltrati nelle steppe dell’Eurasia, avrebbero raggiunto le coste del Pacifico e poi colonizzato il sud del continente. Oggi sappiamo che è andata in un altro modo (anche se non sappiamo dire con esattezza quando è avvenuta la grande spinta migratoria dal Medio Oriente: probabilmente è iniziata intorno a 80.000 anni fa). Ma la ricerca pubblicata su Science è importante anche per un'altra ragione. 193 scienziati di 40 istituzioni di 11 paesi diversi sono, a loro volta, tutti asiatici. Non era mai avvenuto prima, in una ricerca di così vasta portata in genetica delle popolazioni. E il fatto è la dimostrazione più convincente che il grande continente è diventato uno dei poli importanti della ricerca scientifica mondiale, anche nei settori della ricerca di base. La scienza sta diventando sempre più una partita giocata su un campo grande quanto il mondo intero.-.• IL SITO DELLA RIVISTA «SCIENCE» wwwsciencemag.org _______________________________________________ L’Unione Sarda 14 Dic.’09 IL TESORO DELL'AUTONOMIA: LA LEZIONE DI PIGLIARU Lunedì 14 dicembre 2009 S econdo Norberto Bobbio l'intellettuale doveva essere soprattutto un “seminatore di dubbi”. Nessuno, nella Sardegna dell'Autonomia, è riuscito meglio di Antonio Pigliaru ad incarnare la definizione del grande filosofo torinese. Eppure quella dell'autore de “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico” fu un'esistenza breve, iniziata ad Orune nel 1922 e conclusasi prematuramente a Sassari nel 1969. A quarant'anni dalla morte il grande intellettuale verrà ricordato oggi a Cagliari in un convegno organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza in collaborazione con l'Elsa, l'associazione che riunisce gli studenti e i neolaureati in legge di tutta Europa. Dalle ore 16 si confronteranno, nell'aula Arcari in viale Sant'Ignazio 86, giuristi e uomini politici che di Pigliaru sono stati allievi e hanno avuto modo di riflettere sul suo lascito intellettuale. Dopo i saluti del Rettore e del preside di Giurisprudenza, interverranno fra gli altri Francesco Cocco e i giuristi Giuseppe Lorini, Michelina Masia ed Andrea Pubusa. In un periodo di crisi profonda delle culture politiche la lezione di Pigliaru appare di una straordinaria attualità soprattutto rispetto alla sua concezione dell'Autonomia come partecipazione continua e collettiva del popolo sardo in vista di una vera rifondazione dello Stato. Soltanto attraverso il coinvolgimento della cittadinanza democratica era infatti possibile a suo avviso creare le condizioni per la nascita e la maturazione di una classe dirigente realmente capace di guidare e ispirare una concreta opera di rinnovamento della politica. Per fare questo era necessario sprovincializzare la cultura non “negando il contenuto”, ma superando “alcune sue forme tradizionali di espressione”. L'importanza strategica della discussione come fattore di crescita civica fu del resto dimostrata dal suo impegno assiduo all'interno del gruppo di lavoro che si raccolse attorno alla rivista “Ichnusa”, una delle più feconde esperienze di riflessione sulla Sardegna della Rinascita. Quest'opera di organizzatore e suscitatore di cultura, che si affiancava alla sua attività di docente di Dottrina dello Stato nell'ateneo sassarese, rappresentò un'azione di impegno finalizzata alla maturazione di una consapevolezza di pensiero capace di andare oltre gli interessi particolari dei singoli partiti senza scadere in quello che egli definiva il “cosmopolitismo chiuso”, ovvero la tendenza, dietro un'attenzione spiccata per la storia più generale, a manifestare un certo disinteresse per la realtà isolana. Pigliaru fu tra i primi a capire come la lotta politica in Sardegna dovesse superare qualsiasi dimensione particolaristica o di “regionalismo chiuso”, legata alla tutela di privilegi individuali o territoriali, per assumere invece una valenza collettiva e partecipativa che doveva iniziare dalla scuola. In quest'ottica era compito dello Stato modificare la propria presenza sul territorio valorizzando la prospettiva unitaria nazionale e cercando contemporaneamente di garantire le autonomie locali, prima espressione di una democrazia diffusa a tutti i livelli. Un processo storico e politico basato sulla critica e la continua verifica sui fatti, che non doveva esimere gli intellettuali dal rivedere le proprie posizioni sulla base delle modificazioni intercorse nel cammino della Storia. Atteggiamento che egli dimostrò di mettere in pratica quando ritornò criticamente su alcune questioni della giustizia barbaricina, come nell'intervista concessa nel 1963 a due giovani redattori del periodico “Rinascita Sarda”, Sandro Maxia e Francesco Cocco, dove sembrò ripensare la sua analisi sul diritto delle zone interne all'interno di un discorso che non evitava di fare i conti con le modificazioni imposte dal miracolo economico alla società sarda. *GIANLUCA SCROCCU* __________________________________________________ L’Unione Sarda 13 Dic.’09 PEPPINO ZEDDA IL MISTERO DEI NURAGHI NEL MOTO DEL SOLE E DELLA LUNA Archeoastronomia. * In un libro le tesi del ricercatore di Isili Mauro Peppino Zedda Il mistero dei nuraghi nel moto del sole e della luna Gli studiosi sardi lo ignorano, ma esperti mondiali confermano le sue osservazioni Domenica 13 dicembre 2009 C he cos'erano i nuraghi? Ancora oggi si discute sull'origine delle costruzioni più emblematiche del popolo che abitò la Sardegna tra il periodo del Bronzo antico (1800 a.C.) e l'epoca fenicia (850). Ed è sempre aperto il dibattito sulle date che comprendono la cosiddetta civiltà nuragica in un arco di quasi mille anni, con una naturale continuità tra un passaggio da una cultura all'altra. Di questo si è parlato a Cagliari anche nel recento convegno internazionale dell'Istituto italiano di Preistoria e Protostoria con nuove e suggestive ipotesi. Ma dal confronto tra oltre duecento studiosi è rimasta fuori, ancora una volta, una disciplina emergente: l'archeoastronomia. L'archeologia, tipica materia umanistica, applicata alla scienza degli astri. Il cosmo per spiegare le opere dell'uomo antico che, si sa, trascorreva molto del suo tempo con il naso all'insù per osservare i movimenti delle stelle. Sulle basi dell'archeoastronomia c'è chi si ritiene sicuro di aver trovato la chiave giusta per spiegare l'arcano dei nuraghi. Non c'è dubbio: i settemila nuraghi sparsi in tutta l'isola sono costruzioni legate all'astronomia, punti cardinali che riflettono sulla terra le conoscenze stellari dei nostri antenati. *IL LIBRO* Dopo vent'anni di studi sul campo lo afferma un appassionato ricercatore di Isili, Mauro Peppino Zedda, che ha appena pubblicato un volume *("Archeologia del paesaggio nuragico", *edito da Agorà nuragica, 397 pagine) con la sintesi delle sue esperienze. Un «fantasioso outsider» lo definisce l'accademico dei Lincei Giovanni Lilliu nel prendere le distanze dalla sue teorie. Ignorato più che contestato dal mondo accademico che lo lascia fuori dal dibattito ufficiale. *«Nemo profeta in patria», *si dirà visto che Zedda compare nei testi dei maggiori studiosi di archeoastronomia quali l'inglese Clive Ruggles dell'università di Leicester e Michael Hoskin professore emerito di Cambridge, che firma la presentazione del volume. *MOSTRI SACRI* «È incredibile che mostri sacri dell'archeologia mondiale siano venuti a verificare con i loro occhi e dedichino decine di pagine agli studi di Zedda e nessuno degli archeologi sardi si sia preso la briga di fare almeno un'escursione per cercare di capire qualcosa», afferma Paolo Littarru, ingegnere di professione e difensore a spada tratta delle tesi di Zedda. «Ho letto i suoi libri e ho verificato i suoi calcoli restando davvero stupito dei risultati» dice: «Solo perché non viene dall'universitào dalle Soprintendenze non è considerato col rispetto che si deve a un ricercatore che dimostra le sue affermazioni con i dati». *IL PERSONAGGIO* Mauro Peppino Zedda, perito agrario, lavora nei campi e conosce palmo a palmo la sua terra: la valle di Brabaciera ,attorno a Isili, dove si contano 33 nuraghi. E come tutti i contadini, dalla notte dei tempi, abituato a guardare il cielo e le stelle. «All'inizio ero appassionato della civiltà dei Maya ed ero meravigliato delle conoscenze astronomiche di questo popolo», racconta Zedda: «Mi chiesi se le tante emergenze archeologiche del mio territorio potessero avere un qualche legame con i movimenti astrali. Così cominciai a studiare i nuraghi». L'intuizione trova presto i riscontri sul campo. Zedda visita e studia ad uno ad uno 900 torri ciclopiche dell'isola, ne confronta la tipologia e soprattutto la posizione in relazione al moto del sole e della luna. Le sue conclusioni - spiegate nel libro - sono sorprendenti. «Partendo dai nuraghi di casa, quelli della valle di Isili, ho capito che sono funzionali a un disegno astronomico solare e lunare. La disposizione delle torri singole e complesse è orientata secondo il punto di arresto del sole o della luna nei rispettivi solstizi. I nuraghi complessi, ad esempio, hanno almeno una linea tangente a un lato compreso fra due torri le cui estremità coincidono con punti astronomici». *PROBABILITÀ* «È stato calcolato con metodi probabilistici che gli allineamenti riscontrati nella valle di Brabaciera hanno tre possibilità su cento milioni di essere frutto del caso», sottolinea l'ingegner Littarru: «Affermare che le scoperte di Mauro Zedda sarebbero ancora da verificare scientificamente è ignoranza o malafede o un misto di entrambe: le verifiche sono state fatte prima di tutti da Ruggles e Hoskin. Cosa aspettano gli studiosi sardi? È più semplice far finta di niente». *SCOPERTE* Zedda, inoltre, ha scoperto che esiste una netta differenza tra i nuraghi costruiti nel nord Sardegna (con rampa nel corridoio d'ingresso come al Losa di Abbasanta o al Santu Antine di Torralba) e le torri del sud dell'isola (senza rampa, tipo Is Paris di Isili o Su Nuraxi di Barumini). Nel centro la situazione è più articolata: qui i due stili sono presenti in proporzioni che variano da zona a zona. Dunque, i nuraghi furono costruiti seguendo una logica astronomica: «Grazie alla loro posizione - afferma Zedda - gli abitanti erano in grado di stabilire la scansione temporale delle stagioni e avevano riferimenti spaziali sulla terra. Del resto erano contadini e pastori e queste conoscenze erano fondamentali per la vita quotidiana». Ma, alla fine, che cos'erano i nuraghi? Mauro Zedda, prima di arrivare alle sue conclusioni astronomiche, nel libro parte dalla critica delle tesi del passato. Per il canonico Giovanni Spano erano edifici abitativi, tombe per l'esploratore Alberto La Marmora e templi per Vittorio Angius. La finalità sacrale dei nuraghi è sostenuta anche negli anni Settanta da Massimo Pittau. E di recente, Anna Depalmas, ha ipotizzato che venissero utilizzati come depositi di beni comunitari. Ma è la tesi di Giovanni Lilliu, che riprende e rafforza quella di Antonio Taramelli formulata negli anni Trenta, a fare scuola nell'università: i nuraghi erano fortezze, simbolo possente di una civiltà guerriera. «Nessuna di queste tesi resiste a un'attenta e distaccata analisi» sostiene Zedda: «Sicuramente erano edifici pubblici perché per costruire opere di queste dimensioni erano necessari molti uomini. Ma è impensabile che fossero le regie di capi tribù o presidi militari». *I NURAGHI* Lo spagnolo Juan Antonio Belmonte e l'inglese Mickael Hoskin sono convinti che lo studioso di Isili abbia trovato una pista interessante e degna di essere approfondita: «Tutti gli indizi - scrivono - ci conducono a pensare che nel disegno, costruzione e localizzazione di alcuni nuraghi abbiano a giocare un ruolo rilevante alcune direzioni astronomiche importanti. L'interazione tra astronomia e architettura formò parte di un simbolismo speciale il cui significato esatto oggi ci sfugge. Ma questa ipotesi appoggia la tesi che i nuraghi dovessero essere qualcosa di più che torri di difesa e rafforza l'idea del suo carattere simbolico o sacro». *CARLO FIGARI* ____________________________________________________ LA STAMPA 15 dic. ’09 II PROF MI COPIA E (O STUDENTE LO FA CONDANNARE Lo studente che zoppica in creatività e procede al ritmo di copia-incolla, non è una novità. Ma quando a indossare i panni del copione è il professore - universitario per giunta - l'episodio non può che suscitare qualche stupore. Se di mezzo ci sono pure giudici e avvocati, la curiosità è ancora più alta. Come nel caso della condanna, passata in giudicato, di un docente a contratto alla facoltà dì Economia dell'Università di Torino. Il professor Gilberto Borzini, 54 anni, alessandrino, ha spacciato per sua, su un giornale online, una parte della tesi di lau rea di uno studente. La sentenza, sia in primo grado, sia in appello e, pochi giorni fa in Cassazione, è sempre la stessa: colpevole. Colpevole di aver violato la legge sui diritti d'autore. Borzini dovrà risarcire con 20 mila euro l'ex studente - oggi libero professionista - oltre a pagare una multa di 10 mila. Originale, tanto da non avere quasi bibliografia in Italia, era la tesi di Roberto Francini, difeso dall'avvocato Davide De Bartolo. «Yield management», che tradotto in italiano significa più o meno «ottimizzazione dei ricavi nell'azienda albergo». L'obiettiva era quello di spiegare i meccanismi del sistema di gestione delle capacità disponibili di un hotel, con scopo finale il potenziamento del volume di affari. Un tema molto trattato all'estero, poco nel nostro paese. I fatti risalgono al 2002. Quando il professor Borzini ha ascoltato la tesi del laureando ha evidentemente pensato che si trattava di un'occasione da sfruttare il più possibile. E così ha fatto. Si è procurato la tesi del ragazzo e ne ha trascritto, parola per parola, i primi due capitoli sul sito web «Job in tourism». Proprio su Internet è stato pizzicato da Roberto Francini. «Quando ho letto il frutto del mio lavoro a firma di un altro m'è salita una rabbia folle - racconta -. Con quel professore non avevo avuto mai niente da spartire prima del giorno in cui mi sono laureato e lui ha approfittato del mio impegno senza alcuno scrupolo. Lo Yield management in Italia è poco conosciuto e di conseguenza poco attuato. Oggi sono consulente proprio in questo campo, ma gli esperti in materia sono pochi. Uno è il professor Paolo Moreggio, relatore della mia tesi». Preziosa la testimonianza di quest'ultimo durante il primo processo, condotto dal giudice Giuseppe Casalbore (ora impegnato nel maxi dibattimento Eternit). All'epoca l'imputato provò a difendersi, sostenendo che non conosceva il nome dell’autore. Ma il professor Moreggio replicò che era impossibile, perché il nome era scritto chiaro e tondo sulla tesi. Anche l'editore di Job in tourism prese le distanze dal collaboratore, si scusò online con i lettori e riportò le dichiarazioni di Francini. «La giustizia ci ha dato ragione - commenta l'avvocato De Bartolo -, sgombrando anche il campo da ogni equivoco sul tema dell'originalità, dell'ingegno, di una tesi di laurea che è stata infatti considerata frutto del pensiero personale, anche se svolto in forma riepilogativa o espositiva». ____________________________________________________ tst tutto Scienze e tecnologia 15 dic. ’09 QUANDO DARWIN SCONFISSE I SAMURAI Il Caso della selezione naturale contro l'Armonia zen GIORGIO GELLI UNIVERSITA' DI BOLOGNA La sopravvivenza degli individui più adatti Il mio maestro, il professor Guido Grandi, uno dei più eminenti entomologi del secolo appena passato, aveva avuto l'occasione di parlarmi più volte di un suo amico per corrispondenza, se si potesse dir così, un altro entomologo, giapponese per di più, che si occupava di efemerotteri, insetti proverbialmente noti per la breve durata della loro vita. Si trattava di Kinij Imanishi, e il mio professore aggiungeva che quell'entomologo era uno dei più eminenti interpreti dell'evoluzionismo dalle parti del Sol Levante. Appresi in seguito che Imanishi era stato invitato come visiting professor all'università di Reading, in Inghilterra, ospite del professor Halstead, che l'aveva, diciamo così, provocato a esprimersi su Charles Darwin. Con una certa spocchia, che la si poteva prevedere, vista l'autorevolezza dello scienziato giapponese, l'interpellato aveva introdotto il dibattito con un aforisma: «Darwin abita l'Occidente e Imanishi l'Oriente». Si è capito allora che Imanishi considerava, si, l'evoluzione come un fatto, ma in quanto ai suoi meccanismi, la selezione naturale, non era per nulla d'accordo. Semplificando la questione: Imanishi non credeva alla lotta per la vita. O per lo meno era propenso a minimizzarla, perché tutto il pensiero orientale era, secondo lui, più incline all'armonia, alla collaborazione, al reciproco scambio di favori. Tra le due facce di quel Giano bifronte che poteva costituire una metafora statuaria della teoria darwiniana, alla faccia che premiava la competizione e la selezione preferiva l'altra, quella del mutuo appoggio e delle allean ze. Non si capisce, allora, come lo scienziato giapponese potesse considerare Darwin il più grande scienziato dell'Occidente, se metteva in forse la scoperta più cruciale, la selezione naturale. Perché, prima dello scienziato inglese, la trasformazione degli organismi, in parole povere l'evoluzione, era già stata chiamata in causa numerose volte, per fare solo qualche nome, da Buffon, da Erasmo, nonno di Charles, e soprattutto da Lamarck, che ne aveva fornito delle spiegazioni come l'ereditarietà dei caratteri acquisiti. Dunque, Darwin non ha scoperto l'evoluzione, ma il suo meccanismo: la sopravvivenza dei più atti, che fanno più figli, e la eliminazione dei meno atti, che sono spazzati via senza pietà. Dalla selezione naturale, per l'appunto! Ora, come faceva il bravo Imanishi a restare un evoluzionista coerente, se non aveva nessuna ipotesi da porre -a confronto con il meccanismo darwiniano? In realtà, in un suo saggio pubblicato in inglese nel 1984 Imanishi scrive: «Tutti gli individui cambiano nello stesso tempo, quando arriva il momento di cambiare». In parole povere, i'evoluzione avverrebbe attraverso una sorta di maturazione di una specie, che si trasforma in un' altra, e il fatto che questo cambiamento si verifichi su tutto il pianeta ricorda quanto teorizza Daniele Rosa nella sua Ologenesi. In qualche maniera, e non so se sia proprio giusto dire così, Imanishi, come tanti evoluzionisti prima di lui, pensa che il passaggio di specie sia determinato non dalla selezione naturale, ma da cause interne, simili, io penso, all'«élan vital» di Bergson. Ma, se Imanishi rilegge attraverso il filtro della filosofia orientale l'evoluzione, sulla metà del secolo appena passato un altro giapponese, Mooto Kimura, raccoglie il suo guanto di sfida e, a sua volta, cerca di bandire del tutto la selezione naturale, affidando il decorso del fenomeno evolutivo esclusivamente al caso. Questo scienziato comincia affermando che molte di quelle piccole variazioni che oggi chiamiamo mutazioni e che, se favorevoli, alla sopravvivenza, erano, secondo Darwin, premiate dalla selezione naturale, risulterebbero, invece, neutre, di nessuna utilità nel favorire gli individui che ne sono depositari. Quindi come potrebbero offrire una presa alla selezione naturale? La trasformazione delle specie, secondo Kimura, algoritmi alla mano, sarebbe determinata da quelle che potremmo definire fluttuazioni di probabilità. Nulla osta che nel gioco del lotto uno stesso numero venga, per caso, pescato molte volte in successione ed è un'emergenza che crea una grande suspense nei fans delle terne, quaterne e così via. Allo stesso modo, e consentitemi di semplificare le cose in maniera a dir poco brutale, potrebbe succedere che un certo carattere tenda a venir conservato, e posto in enfasi, da una serie di casi fortunati, fino a dare origine a una nuova specie. In principio, gli evoluzionisti ortodossi pensarono con sgomento che Darwin e la sua selezione naturale fossero un miraggio e che il vero regista dell'evoluzione non fosse altro che il caso. Per disdetta, gli algoritmi presentati a suffragio da Kimura, che non era un biologo proclive a fantasticare come Imanishi, ma un importante genetista che stava ai numeri, non erano facilmente confutabili. Dopo qualche anno di panico é di perplessità si è finito per capire come le idee di Mooto Kimura potevano integrarsi con la selezione naturale, costituendo un aspetto non sostitutivo, ma complementare, del meccanismo evolutivo. Mi piace finire con un piccolo esempio. Alcune farfalle dell'America del Sud (Heliconius spp.) presentano dei colori di un'altra specie di lepidottero immangiabile, per cui gli uccelli la credono tale, evitando di predarla. Altre farfalle dello stesso gruppo non possiedono le livree protettrici e sono prese di mira regolarmente dagli uccelli insettivori. Bene - e qui il lettore dovrà fare un po' di fatica per capire - si è visto che i geni codificanti la colorazione mimetica sono omozigoti e, quindi, si suppone che siano mantenuti sotto il controllo della selezione naturale, mentre i geni che codificano altre funzioni sono soggetti a mutazioni casuali. In parole povere, la selezione naturale si esercita su geni indispensabili alla sopravvivenza, mentre quelli neutrali obbediscono alle tabelle di Kimura. Darwin ha sconfitto i samurai! 2- Non è stato facile per il pensiero tradizionale giapponese accettare il darwinismo. ____________________________________________________ tst tutto Scienze e tecnologia 15 dic. ’09 LA PRIMA EUROPA È SOTT'ACQUA "UN'ATLANTIDE DI MERAVIGLIE" I mari salirono di 50 metri e cancellarono una civiltà di navigatori GABRIELE BECCARIA Abbiamo sognato Atlantide e non ci eravamo accorti che ne abbiamo una sotto di noi, appena , oltre le coste tormentate dell'Europa. Adesso che il clima è argomento da apericena e che il vertice di Copenhagen non smette di far litigare, un dubbio collettivo si agita intorno al volubile livello dei mari: che cosa succederebbe davvero se alzassero la testa di un po' di metri? Per quanto sinistre, le previsioni degli scienziati non riescono mai a evocare l'idea concreta di una catastrofe data per imminente. Finora l'unica alternativa era godersi gli effetti speciali di kolossal come «2012». Finora. Ci sono alcuni team di archeologi che una risposta la danno con la loro personale macchina del tempo. Stanno raccogliendo prove su prove sull'altra Europa, quella che come Atlantide si è inabissata, ma che a differenza della cugina più nobile non ha avuto l'omaggio del mito: è successo 11 mila 500 anni fa, quando si eclissò l'ultima glaciazione e i mari cominciarono la corsa al rialzo, cancellando un mondo e spalancandone un altro. Fu un processo lungo e contrastato, con miliardi di metri cubi di ghiacci disciolti nel ruolo di protagonisti. Finché 4 mila anni fa, all'incirca, gli effetti del riscaldamento globale - che a quell'epoca fu un evento naturale al 100% e di cui sfuggono ancora molte meccanismi - diventarono definitivi. L'Europa preistorica non era più la stessa: il 40% delle terre graffiate dall'impronta umana si era inabissato.- Un disastro che a Hollywood non è stato ancora raccontato. I dati, intanto, si accumulano e rivelano l'energia spaventosa di quell'abbraccio liquido. Dal Mediterraneo al Baltico il balzo fu di una cinquantina di metri, come un mezzo grattacielo. Golfi e pianure svanirono e anche molte paludi e foreste che avevano disegnato i panorami del continente. Finì come un miraggio Doggerland, la piattaforma che saldava l'attuale Danimarca con l'Inghilterra, ma la «Grande Onda» sconvolse ogni bordo sabbioso e roccioso dell'Europa. E le civiltà del Mesolitico si sbriciolarono. Adesso l'inglese Garry Momber e lo scandinavo Harald Lizbke sono tra i ricercatori che si immergono nelle acque fredde e sempre più inquinate del Canale della Manica e del Mare del Nord per esplorare l'Atlantide perduta. Spesso sono alcuni di quegli aspetti ostili - la carenza di ossigeno e la geografia dei fondali - a custodire i reperti molto meglio della terraferma, offesa da secoli di attività umane. «E' lì, sott'acqua, la prossima "grande storia" che ha in serbo l'archeologia», ha annunciato alla rivista «New Scientist» Jeffrey Rose della Oxford Brookes University. In effetti l'avventura è appena agli inizi ed è un motivo per cui non ha ancora conquistato la fantasia del pubblico, ma l'altra Europa, quella degli abissi, sta già svelando alcune promettenti porte d'accesso: si chiamano Bouldnor Cliff e Howick in Inghilterra, Tybring Wig in Danimarca e Wismar Bay in Germania, oltre alla più famosa Doggerland. E' in ciascuno di questi indirizzi, sospesi tra terra e acqua, che la macchina del tempo macina meraviglie: tracce di foreste e segni di insediamenti, depositi di ami da pesca e mucchi di rifiuti, canoe scavate nei tronchi e grandi capanne di legno. A Bouldnor Cliff è stata addirittura trovata una specie di piattaforma che, secondo gli studiosi, serviva per assemblare e «varare» le imbarcazioni. «Una vera gemma», la definiscono, non meno stupefacente del villaggio di pescatori che emerge dal fango di Tybring Vig. Lì merluzzo e crostacei rappresentavano la dieta standard, ma tutti gli europei del lungo disgelo - quello tra 11 mila 500 e 4 mila anni fa - sarebbero vissuti in una sorta di Eden, scandito dalla pesca e da un pacifico seminomadismo, via terra e via mare. I nostri progenitori – sostengono gli archeologi - erano navigatori più che abili e le «tribù delle onde» devono essere riuscite a costruire uno simulacro di globalizzazione ante-litteram, a base di coraggiose esplorazioni e di intensi scambi. Finché un doppio disastro mise fine a tutto. Mentre i mari un tempo benigni si ribellavano, si materializzarono da Est le invasioni delle «tribù della terra». I motivi del loro arrivo e ciò che fecero - confessano i ricercatori - è uno dei numerosi misteri di un lontano passato, ma si sicuro si diedero da fare per buttare tutto all'aria. Tra 6 mila e 4 mila anni fa, infatti, imposero stili di vita stanziali contro quelli seminomadi e alla pesca intensiva sostituirono l'agricoltura e l'allevamento. Resta controverso se si sia trattato di una transizione violenta o pacifica e quanto le due tribù si siano mischiate. Gli archeologi di terraferma, però, continuano a portare alla luce asce e punte di frecce di una civiltà ormai irrimediabilmente diversa. E' quella del Neolitico, che della perduta Atlantide cancellò ogni memoria. Gli archeologi esplorano Doggerland: un tempo la grande piattaforma saldava Danimarca e Inghilterra e ora si trova sui fondali del Mare del Nord Città riemerge in Cirenaica Scoperti nelle acque della Cirenaica, in Libia, i resti di una città sommersa, che conobbe il suo periodo di splendore in epoca romana imperiale, intorno al il secolo d.C. li sensazionale ritrovamento è opera di un gruppo di archeologi italiani guidati da Sebastiano Tusa. Ras Etteen, dove sono comparsi muri, strade, edifici e tombe, è nell'area del Golfo di Bomba, che è da sempre considerato un ottimo ricovero per le navi e una zona di approdo sicuro lungo l'infida costa, battuta dai venti. La fine sarebbe stata causata da uno tsunami, forse scatenata dai grande terremoto dei 365 d. C. ______________________________________ Corriere della sera 15 Dic.’09 E' RINATA LA PRIMA CALCOLATRICE ITALIANA IL RESTAURO AL MUSEO DELLA SCIENZA DI MILANO: ERA STATA IDEATA DAL VENEZIANO GIOVANNI POLENI NEL 1709 La «macchina aritmetica» di Giovanni Poleni nata tre secoli fa è tornata a macinare calcoli al Museo della scienza e della tecnica «Leonardo da Vinci» di Milano. Per la storia si tratta della prima calcolatrice italiana e una delle prime in Europa dopo che nel Seicento il francese Blaise Pascal costruiva la «pascalina» perfezionata poi dal tedesco Gottfried Leibniz. La Macchina del Poleni è la ricostruzione effettuata dall' Ibm nel 1959 perché l' originale era stata distrutta dallo stesso inventore. Dopo mezzo secolo i congegni della macchina non funzionavano più ma un profondo restauro condotto presso il Museo da Massimo Temporelli e Silvio Hénin l' hanno riportata in vita. Ed oggi ruote e contrappesi sono tornati a non sbagliare i conti restituendo alla storia del calcolo italiano un prezioso reperto. Il marchese Giovanni Poleni era un veneziano di talento tanto che aveva solo 25 anni quando ideava la macchina in grado di eseguire le quattro operazioni. Il vento della rivoluzione industriale cominciava a soffiare per togliere fatica all' uomo, mentale compresa. E Poleni conosciuti i risultati di Pascal e Leibniz, fece un ulteriore passo avanti. Con grande successo. I suoi scritti e le sue opere furono presto noti in Europa tanto che il grande Isaac Newton presentava Poleni come Fellow alla Royal Society di Londra e Leibniz favoriva la sua nomina all' Accademia di Berlino. Intanto insegnava all' Università di Padova ed era chiamato da Papa Benedetto XIV a contribuire al restauro della cupola di San Pietro. Suo è il suggerimento adottato dei sei anelli metallici che da allora proteggono l' opera di Michelangelo. E i calcoli forse li fece proprio con la macchina oggi visibile al Museo milanese. Giovanni Caprara Caprara Giovanni ____________________________________________________ LA STAMPA 17 dic. ’09 IL SUDARIO DI GERUSALEMME CHE "RINNEGA" LA SINDONE Scoperto un telo funebre del tempo di Cristo: "Diverso da quello d1 Torino" Dopo anni di studi ed analisi gli esiti sono stati pubblicati sulla rivista della Public Library of Science americana L'archeologo non ha mai visto la reliquia sacra per i cristiani, né ha mai chiesto al Vaticano di poterla osservare PAOLA CARIDI GERUSALEMME Un sudario di lana, e non di lino. A significare che l'uomo avvolto nel tessuto funerario era di alto lignaggio. Un sudario trovato a Gerusalemme, quasi dieci anni fa, in quell'area conosciuta come la Gehenna, appena fuori dalle possenti mura di Solimano il Grande che circondano la Città Vecchia. Un sudario che, attraverso gli esami condotti tra Stati Uniti, Londra e Gerusalemme, si può datare al primo secolo, il secolo di Gesù Cristo. Lo hanno studiato per anni: e i risultati sono stati pubblicati ora su «PloS One», la rivista della «Public Library of Science» americana. In quel sudario non è stato avvolto Gesù di Nazareth. Bensì un uomo affetto da lebbra, morto di tubercolosi. Ma è il primo tessuto funerario dell'epoca di Gesù mai trovato a Gerusalemme, zona umida, clima dove è difficile fare scoperte di questo tipo. E la trama di quel tessuto è completamente diversa dalla trama della Sacra Sindone. Non solo: i frammenti di tessuto trovati sull'uomo della Tomba del. Sudario appartenevano a differenti lenzuoli. Come descritto nel Vangelo di Giovanni, quando te donne vanno al sepolcro e lo scoprono vuoto. Più pezzi di stoffa. E non, come per la Sindone, a un solo lenzuolo, che copriva il corpo da capo a piedi. «Non era pratica del tempo coprire i defunti con un solo lenzuolo - dice Shimon Gibson, l'autore della scoperta del sudario di Gerusalemme -. Questo perché non si era certi della morte. Il defunto poteva essere in coma, risvegliarsi. Se fosse stato coperto da un solo pezzo di stoffa, ci sarebbe stato il soffocamento». Ci sono voluti molti anni per esaminare tutti i dettagli, dice Gibson, protagonista di altre scoperte a Gerusalemme; alcune controverse. Anni per analizzare i frammenti di tessuto trovati sulla testa, sul petto, in diverse parti del corpo del lebbroso. Shimon Gibson non ha visto direttamente la Sindone di Torino, né ha chiesto al Vaticano di poter esaminare il sudario. Quello che sostiene è che il tipo di intreccio è differente da quello di Torino. E della stessa opinione è il professor Mark Spigelman. Paleo epidemiologo dell'Università di Gerusalemme, in procinto di arrivare per altre ricerche a Tivoli e a Bologna, ha esaminato sia le ossa del lebbroso, trovate alla Gehenna, sia il sudario di Gerusalemme. «Questo sudario ; dice il professor Spigelman - è l'unico trovato a Gerusalemme, ma abbiamo trovato altri tessuti in altre parti di Israele risalenti allo stesso periodo. Vicino al Mar Morto. Il periodo che noi definiamo del Secondo Tempio, il tempo di Gesù Cristo». Tra il sudario di Gerusalemme e i tessuti contemporanei, insomma, c'è molto di simile. La trama, l'intreccio, soprattutto. «Il sudario di Gerusalemme ha un tipo di intreccio che si chiama uno-sopra-uno. Quello di Torino ha una fattura medievale, tessuto a spiga, e sicuramente non c'è niente di simile a quanto è stato trovato in Israele risalente al primo secolo». II sasso nello stagno è stato lanciato. E la scoperta è di quelle che faranno discutere. Come, negli ultimi anni, hanno fatto discutere altri ritrovamenti archeologici a Gerusalemme. Non ultima, alcuni anni fa, la scoperta' di una tomba, sempre nella zona est di Gerusalemme, che sarebbe appartenuta alla famiglia di un uomo chiamato Gesù. Allora si scatenò una polemica durissima. Il problema è che, a Gerusalemme, l'archeologia non è una scienza semplice. Tante religioni, tante sensibilità, tanta ricerca di identità. Spesso, anzi, «I'archeologia diventa uno strumento della politica», come usava spesso ripetere padre Michele Piccirillo, francescano e archeologo, uno dei più famosi di tutto il Medio Oriente, scomparso appena un anno fa. Avvolgeva il cadavere di un lebbroso morto nel primo secolo 1C11105Co1P110 Gli studiosi hanno esaminato i resti dello scheletro e la composizione della lana All'epoca i cadaveri venivano sepolti in più pezzi di stoffa e non in un solo lenzuolo per timore che si risvegliassero e finissero soffocati Tutti i teli trovati hanno una trama differente dalla Sindone I I tessuto con cui è stato avvolto il corpo di Gesù era differente dalla norma per scelta dei seguaci Non ci sono prove attendibili che si usassero sempre gli stessi tipi di teli per la sepoltura dei morti in Palestina I resti del lebbroso morto di tubercolosi e sepolto a Gerusalemme; qui accanto, l'archeologo Shimon Gibson che esprime dubbi sull'autenticità della Sindone ____________________________________________________ LA STAMPA 17 dic. ’09 IL LINO DI GESÙ ERA ANOMALO Baima Bollone: era una stoffa speciale Frale: gli apostoli volevano celebrarlo così ELENA LISA TORINO La risposta dei sindonologi «Solo illazioni» Per Pierluigi Baima Bollone, professore emerito di medicina legale dell'Università di Torino, grande studioso della Sindone, ogni volta che ci si avvicina a un'ostensione, «arriva qualche archeologo che cerca di farsi pubblicità» gettando discredito sul «sacro sudario» torinese. Mettere in discussione l'autenticità della reliquia perché la trama del lino è complessa, a spina di pesce, del tutto diversa da quella ritrovata nel «campo del sangue» a Gerusalemme, infatti, non costituisce, secondo Baima Bollone, alcuna prova di falsificazione. «La Sindone risale a duemila anni fa, senza alcun dubbio», spiega. 'E ai ricercatori stranieri che motivano le loro conclusioni, cioè che solo la trama del tipo «semplice» è tipica del lino usato per le sepolture del tempo, il professore torinese risponde con un'altra domanda: «E chi può essere sicuro di questo? Sono illazioni belle e buone, non esistono prove al riguardo. Forse questi scienziati non sanno che il tessuto che avvolse il corpo di Gesù il Nazareno è anomalo di per se stesso». Un tessuto pregiato per il tipo di lavorazione, usato per i vestiti degli alti sacerdoti che celebravano le funzioni: un lino talmente morbido e prezioso che non veniva adoperato, come sudario, nemmeno per i loro cadaveri. Come è possibile, quindi, che fosse usato per il figlio di un falegname? Spiega Barbara Frale, docente alla scuola vaticana di Paleologia e che lavora come ricercatrice all'archivio segreto della Santa Sede: «I discepoli del Nazareno acquistarono a caro prezzo quella stoffa per vestire il loro più alto sacerdote con il tessuto che, in vita non gli era stato concesso. Come rivalsa». AL riguardo gli archeologi di Gerusalemme non dicono nulla. Aggiungono, invece, che il lino ritrovato da loro ha una consistenza maggiore. «È doppio: un velo più leggero per il viso, per consentire alla persona sepolta, in caso di morte apparente, di respirare e liberarsi. E un secondo, più pesante per avvolgere il corpo». Gli esperti italiani, anche su questo fronte, non hanno dubbi: «Chi veniva seppellito - dice Frale - era legato. Per liberarsi non bastava certo un velo di tessuto sul viso. In più, ricordo a quelli della Hebrew University, che anche nel caso della Sindone esiste un doppio lino». E aggiunge: «Ne siamo convinti: la parte più leggera, quella che si poggiava sul viso di Gesù il Nazareno, è custodita in Spagna, a Oviedo. Il gruppo sanguigno corrisponde a quello del sudario di Torino: un gruppo raro, AB, che, oltretutto, soltanto il cinque per cento della popolazione possiede e che è diffuso specialmente tra i popoli che vivono tra la Siria e la Palestina». ======================================================= _________________________________________________________________ L’Unione Sarda 16 Dic.’09 SISAR:CAOS STIPENDI, OSPEDALI IN SUBBUGLIO Sistema informatico ingovernabile, buste paga falcidiate. I sindacati: si rischia il collasso Garau (Brotzu): terzo mondo. Da Liori ultimatum ai fornitori Mercoledì 16 dicembre 2009 Disagi per tutti gli 8617 dipendenti degli ospedali del cagliaritano. Problemi anche per la fornitura dei farmaci a causa dei difetti del sistema. «Devastante, gravissimo, ingovernabile». Basta estrapolare alcuni aggettivi dall'ennesima nota dei sindacati del Brotzu per misurare l'esasperazione dei 5300 dipendenti, da quelli amministrativi ai medici passando per gli infermieri. Del resto è da circa un anno che gran parte di loro riceve buste paga falcidiate da errori: a dicembre, ad esempio, molti non hanno incassato nulla, altri solo 500 euro. Non è esattamente il massimo in vista del Natale e in un mese in cui si paga la seconda semestralità dei mutui. E se i problemi di soldi sono i più sentiti dal personale, quelli della farmacia riguardano tutti i pazienti. «La farmacia rischia il collasso», denunciano Attilio Carta (Uil), Massimo Portoghese (Cisl), Guido Matta (Fsi), Gianni Congiu (Usai-Cisna). LE CAUSE I problemi, a diversi livelli, sono comuni a tutte le Asl e Aziende miste del cagliaritano. Significa che riguardano 8617 dipendenti, sommando i 5300 della Asl 8, i 1936 del Brotzu ed i 1381 dell'Azienda Asl-università. Da circa un anno, come tutti gli ospedali sardi, gestiscono tutte le procedure con il Sisar, il nuovo sistema informatico installato, in cambio di circa 25 milioni di euro, dalla Engineering di Roma in associazione temporanea con la Telecom, che ha fornito l'hardware. I sindacati parlano di «disagi sempre più gravi», di «infauste ricadute sul personale e sui servizi erogati», di «blocchi operativi» e di «errori clamorosi nelle buste paga a danno di lavoratori spesso monoreddito» e chiedono l'intervento urgente dell'assessore regionale alla Sanità «al fine di scongiurare tristi scenari con gravi carenze assistenziali». Nel frattempo annunciano «più forti ed eclatanti azioni di lotta». LA ASL CONFERMA Marco Galisai, responsabile del Servizio sistemi informativi e tecnologia informatica della Asl 8, conferma. «Sia negli stipendi che nella gestione delle farmacie ci sono gravi criticità non superate nonostante ripetuti interventi da parte dell'azienda fornitrice. Le farmacie», prosegue, «hanno difficoltà ad approvvigionarsi di farmaci e a fornirli in tempi rapidi ai reparti che li richiedono. I problemi», aggiunge Galisai, «derivano soprattutto dalla difficoltà di passaggio dei dati dal vecchio al nuovo sistema e dalla procedura, che si è rivelata inadatta a soddisfare le nostre esigenze. Abbiamo chiesto alla società ripetuti interventi ma le criticità sono state risolte solo marginalmente». GARAU: TERZO MONDO Il fatto è che la messa a regime del sistema era prevista entro febbraio 2010 e, al momento, il caos regna assoluto. Il direttore generale del Brotzu va oltre: «Non siamo nemmeno in grado di monitorare la situazione contabile», denuncia Tonino Garau. «Ad oggi non ho il controllo della gestione, non conosco l'andamento dei costi, non so se siamo in pareggio o in perdita. Ci troviamo nell'assurda situazione di dover fare i conti a mano e non so come farò, a marzo, a chiudere il bilancio. Facciamo le cose a mano anche per il governo della farmacia, che gestisce 45 milioni di euro di medicinali all'anno. Quanto agli stipendi», aggiunge Garau, «capita che ricevano lo stipendio dipendenti in pensione da tempo e che non riceva nulla chi è regolarmente in servizio. Nella migliore delle ipotesi il calcolo è sbagliato perché il sistema non è in grado di inserire i cedolini dei compensi straordinari e del salario accessorio. Questo è terzo mondo». ULTIMATUM DI LIORI Antonello Liori, assessore regionale alla Sanità, conosce il problema, che, dice «ci è stato segnalato da tutti i direttori generali: abbiamo chiesto alla società il perfezionamento del progetto ed abbiamo deciso di prorogare i tempi di messa a regime da febbraio a dicembre 2010. Li pagheremo solo se otterremo il risultato». FABIO MANCA ______________________________________ Corriere della sera 16 Dic.’09 LA RIFORMA SANITARIA SMONTATA A PEZZI DAI SENATORI AMERICANI L' ITER IL TESTO OSTAGGIO DEGLI INTERESSI DELLE LOBBY Obama: «Fallire sarebbe un disastro» Decisivo Joe Lieberman è il senatore indipendente che si oppone alla public option. Candidato vicepresidente con Al Gore nel 2000, appoggiò McCain nella sfida con Obama (Ap) NEW YORK - Se è vero che la vendetta è un piatto che si serve freddo, il senatore del Connecticut, Joe Lieberman, ha appena consumato la sua, costringendo la sinistra democratica che nel 2006 aveva cercato di eleggere al suo posto un giovane «liberal» ad accettare una bruciante mutilazione di una riforma sanitaria che ha già perso diverse parti qualificanti nel tortuoso percorso parlamentare. Lieberman - il candidato alla vicepresidenza nel ticket con Al Gore, sconfitto nel 2000 da George Bush e ora formalmente un indipendente - sembrava aver accettato il compromesso raggiunto nei giorni scorsi al Senato: niente assicurazione sanitaria pubblica da mettere in concorrenza con quelle private, ma la possibilità per gli ultracinquantacinquenni in difficoltà di ricorrere alla copertura pubblica del sistema Medicare oggi riservato a chi ha più di 65 anni. Ma domenica Lieberman ha fatto sapere di non poter accettare questa opzione, che considera troppo costosa. E siccome il suo voto è decisivo per evitare di esporre la riforma all' ostruzionismo della minoranza repubblicana, la Casa Bianca - che vuole assolutamente condurre in porto la riforma, almeno al Senato, prima della pausa natalizia - ha chiesto ai progressisti di inghiottire anche questa nuova sconfitta. I senatori democratici sembrano rassegnati a subire uno smacco che rischia, però, di non essere l' ultimo: nell' affannoso conto alla rovescia di questa settimana prenatalizia i parlamentari della destra democratica non soddisfatti di qualche aspetto della riforma sono tentati di seguire l' esempio di Lieberman. È il caso del senatore Ben Nelson del Nebraska che minaccia di non votare la legge se il suo testo non verrà corretto in senso antiabortista. Proprio per cercare di evitare una simile deriva, Barack Obama ha convocato ieri alla Casa Bianca tutti i 58 senatori democratici e i due indipendenti che normalmente votano con la maggioranza, per rivolgere loro - a porte chiuse - un appello estremo: «Avete una responsabilità enorme: o cambiate il sistema sanitario o l' America, che aspetta questa riforma da mezzo secolo, rischi di attendere un' altra generazione». Non è stato un incontro facile: lo si leggeva nel volto cupo e nelle espressioni insolitamente dure e minacciose usate dal presidente parlando con la stampa alla fine della riunione. «Ci sono ancora problemi da risolvere - ha ammesso Obama - ma continuo ad avere fiducia che si riesca ad arrivare in fondo. Un fallimento avrebbe conseguenze disastrose: il costo delle polizze assicurative aumenterebbe di un altro 20-30%, molti datori di lavori smetterebbero di garantire l' assistenza sanitaria ai dipendenti, i sistemi pubblici Medicaid e Medicare salterebbero per l' esplosione dei costi». Toni cupi, minacciosi, in genere estranei all' armamentario dialettico di Obama. Che, però, stavolta fatica a ricreare un minimo di consenso su una riforma sempre più impopolare (secondo i sondaggi demoscopici più recente i suoi sostenitori sono scesi al 39% contro un 51% di contrari) e che non ha più una bandiera chiara da esibire: né la copertura «universale» di tutti i cittadini, né l' opzione pubblica per imporre un effetto-calmiere alle assicurazioni privati. Ancora una volta, così, ieri Obama è stato costretto a giocare in difesa: «Non è una riforma perfetta, non farà tutti contenti, ma è comunque un intervento che impedirà alle compagnie assicurative di commettere abusi e di rifiutare la copertura medica a chi è già ammalato. E darà le cure mediche a 30 milioni di americani che ne sono privi». Obama ha sottolineato che la riforma, pur costando 850 miliardi di dollari in 10 anni, ridurrà di molto il deficit pubblico, perché i risparmi e le maggiori entrate previste sono superiori alle spese. Il presidente se l' è presa con la campagna di disinformazione della «lobby della sanità» che inonda le tv di spot dove si parla di dilatazione, non di contenimento, del disavanzo federale. È lo stesso argomento sbandierato da Lieberman considerato un parlamentare non solo intento a consumare la sua vendetta personale, ma anche un portatore degli interessi delle compagnie assicurative (molte delle quali hanno sede in Connecticut, mentre sua moglie ha a lungo lavorato come lobbista «occulta» per alcune di loro). Anche Obama è furioso con lui: poche settimana fa Lieberman si era espresso apertamente a favore dell' estensione del Medicare ai 55enni che oggi boccia. Ma il presidente ha bisogno del suo voto. Adesso per lui conta solo avere il via libera del Senato e sperare di riuscire a «riconciliare» entro il prossimo gennaio i testi (molto diversi tra loro) approvati dai due rami del Congresso: se si andasse oltre la riforma probabilmente naufragherebbe nel clima preelettorale. Massimo Gaggi RIPRODUZIONE RISERVATA La Camera ha approvato un testo di riforma della sanità. Il Senato ne sta discutendo uno simile, ma diverso su punti chiave come opzione pubblica e aborto. Poi una commissione bicamerale dovrà cercare il compromesso tra i due testi Punti chiave 1 L' opzione pubblica La public option è una polizza medica gestita dal governo che compete con quelle private. Ha il sì della Camera; pare esclusa al Senato 2 Alternativa al Senato Alternativa alla public option: ampliare il piano Medicare (dai 65 anni) ai 55-64. Ma anche questa ipotesi sembra destinata a tramontare 3 I contrasti sull' aborto La Camera ha vietato l' uso di fondi federali per l' aborto (tranne per stupro, incesto, pericolo di vita). Il Senato sta cercando una linea più morbida 4 L' obbligo e la multa La Camera prevede l' assicurazione obbligatoria (con sussidi in certi casi) o si viene multati. Al Senato c' è l' obbligo, non sempre la multa 5 Più regole per i privati La Camera vieta agli assicuratori di rifiutare di coprire malattie già diagnosticate o di togliere la copertura a chi si ammala Gaggi Massimo ______________________________________ Corriere della sera 18 Dic.’09 INGEGNERI IN CAMICE BIANCO L' HI-TECH AVANZA IN OSPEDALE Le nuove figure che si fanno strada nel mondo della sanità Portano il camice bianco e lavorano in ospedale, ma non curano i pazienti, bensì le macchine cliniche. Oppure si occupano di servizi e politiche per i disabili. Manager, informatici e tecnici sono i nuovi professionisti in corsia, inseriti per aiutare i medici nell' uso corretto della tecnologia e nella gestione di problemi che non riguardano le patologie. Tre le figure più innovative: l' ingegnere clinico, l' esperto in valutazioni tecnologiche (health technology assessment manager) e il disability manager. Il primo ha il compito di gestire il «parco macchine», il secondo si dedica alla consulenza per gli acquisti hi-tech sanitari, mentre il terzo, il manager per i disabili, è l' ultima new entry del settore: a lui la Cattolica di Milano quest' anno dedica il primo master di categoria. Il profilo più gettonato è quello dell' ingegnere clinico: «Le richieste per partecipare al master in ingegneria clinica sono in aumento, per cui siamo costretti a fare una selezione - spiega Alessandra Barulli, responsabile alta formazione della società Cofimp che insieme all' università di Bologna organizza il corso per questa carriera -. I dati occupazionali sono alti: il 90% degli specializzati è impiegato nel settore pubblico o privato. I compiti principali? La manutenzione, la sicurezza e l' installazione delle apparecchiature. Senza trascurare lo sviluppo informatico: penso alla telemedicina». A gestire i budget economici destinati ai nuovi strumenti per la salute è l' esperto in valutazioni tecnologiche. «Usare al meglio le finanze è una necessità - afferma Marco Marchetti, coordinatore del master biennale in health technology assessment della Cattolica di Roma -. Piemonte, Lombardia e Veneto ad esempio hanno fatto delle delibere per evitare gli sprechi in sanità». Il corso in health technology assessment e management della Cattolica è organizzato in 4 moduli: un modulo si svolge in Italia (Roma), uno in Spagna (Barcellona) e due in Canada (Montreal e Toronto). «A marzo ne inizierà un altro - aggiunge Marchetti - e sarà annuale e in italiano». Di sicuro, le nuove professioni in reparto piacciono alle donne. «Dei nostri quattro ingegneri tre sono donne sui 35 anni - sottolinea Marco Agnelli, responsabile HR dello Ieo -. La presenza di tecnici in ospedale è destinata a crescere con l' incremento delle macchine e della robotica chirurgica». Antonio Limardi, responsabile delle risorse umane del San Raffaele di Milano conferma la buona presenza di ingegneri con il camice bianco: «La nostra unità di ingegneria clinica è formata da 40 persone - dice -. Abbiamo inserito neolaureati, e in alcuni casi diplomati, da formare internamente. Da noi non esiste l' esperto in valutazioni tecnologiche, però in ogni dipartimento c' è un "referente organizzativo gestionale ______________________________________ Corriere della sera 15 Dic.’09 CRISI, CROLLANO I RICOVERI NEGLI OSPEDALI IN LOMBARDIA MENO VIAGGI DELLA SPERANZA. PELISSERO: PER LE MALATTIE GRAVI QUI LE MIGLIORI CURE La crisi taglia i viaggi della speranza. I pendolari della sanità sono in calo: nel 2008 sono venuti dal resto d' Italia a curarsi negli ospedali lombardi 18 mila pazienti in meno. Così Gabriele Pelissero, presidente dell' Aiop: «Le richieste in calo solo per le patologie meno gravi, curabili soprattutto in day hospital». Il governatore Formigoni: «Abbiamo il sistema migliore d' Italia». IL BILANCIO «PERSI» 18 MILA PAZIENTI. FORMIGONI: MODELLO ANCORA COMPETITIVO Calano i viaggi della salute Lombardia, 9 per cento in meno Crisi, trasferte e soggiorni costano troppo alle famiglie Pendolari della sanità in calo in Lombardia. Nel 2008 sono venuti dal resto d' Italia a curarsi negli ospedali lombardi 18 mila pazienti in meno. È una perdita di competitività del 9%: in un anno i ricoveri e i day hospital negli istituti ospedalieri pubblici da 101 mila sono scesi a quota 95 mila, nei privati accreditati da 91 mila sono passati a 79 mila. È quanto emerge dai dati dell' Associazione italiana ospedalità privata (Aiop), presentati ieri dal presidente Aiop della Lombardia, Gabriele Pelissero, che spiega: «Una delle cause può essere individuata nella crisi economica. Il costo delle cure mediche è a carico del sistema sanitario delle Regioni di provenienza, ma le famiglie al seguito dei malati possono essere in difficoltà a sostenere le spese di viaggio e di soggiorno in città». La diminuzione dei pazienti che fanno le valigie per farsi curare in Lombardia dà un taglio anche agli incassi degli ospedali (che sono determinati al rimborso delle prestazioni effettuate). Ma il pendolarismo sanitario vale per la Lombardia ancora mezzo miliardo di euro, sui 3 miliardi e 531 milioni (65%) finanziati dal Pirellone agli ospedali pubblici e il miliardo e 951 milioni (35%) destinati ai privati accreditati. Chiarisce Pelissero: «Per i ricoveri in degenza ordinaria, che rappresentano la percentuale di attività ospedaliera più complessa, non c' è stata nessuna contrazione (o quasi). È stata registrata una perdita di pazienti extraregione, invece, per le patologie meno gravi, curabili soprattutto in day hospital». Il governatore Roberto Formigoni non sembra, comunque, preoccupato dal nuovo fenomeno: «Il nostro indice di attrattività, che dimostra la qualità del sistema lombardo, si conferma di gran lunga il più alto d' Italia da sette anni». Il saldo tra malati in arrivo dal resto d' Italia e lombardi in partenza è di 67.639 pazienti a vantaggio della Lombardia, contro i 46.150 dell' Emilia Romagna, i 17.049 della Toscana, i 16.718 del Lazio e i 14.996 del Veneto. Oltre alla crisi economica, la diminuzione dell' attrattività lombarda può essere legata alle novità registrate nell' offerta sanitaria di altre regioni, come la Puglia, in cui crescono i volumi di attività per interventi complessi nelle strutture private accreditate. Il 50,4% dei pazienti che decidono di farsi curare in Lombardia scelgono gli istituti privati accreditati, il 49,6% quelli pubblici. «È dimostrata in modo inequivocabile l' importanza quali- quantitativa della sanità privata lombarda e della sua credibilità a livello nazionale», insiste Pelissero. Lo fa nella giornata in cui i Finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Milano notificano 68 avvisi di conclusione delle indagini preliminari sui rimborsi gonfiati a tre ospedali - Galeazzi, Sant' Ambrogio e Policlinico San Donato -, tutti appartenenti al gruppo ospedaliero San Donato, presieduto da Giuseppe Rotelli e di cui Pelissero è vicepresidente. Simona Ravizza sravizza@corriere. Le cifre L' indagine I dati dell' Aiop sono presentati dal presidente Gabriele Pelissero (foto) I ricoveri I ricoveri di pazienti extraregione negli ospedali pubblici sono scesi da 101 mila a 95 mila; nelle strutture private sono passati da 91 a 79 mila L' incasso Il pendolarismo sanitario vale per la Lombardia mezzo miliardo di euro ______________________________________ Corriere della sera 15 Dic.’09 UN MILIONE DI «ABUSIVI» CON IL CAMICE BIANCO IL CASO UN PIANETA CON 19 CATEGORIE E 350 MILA ADDETTI CHE ASPETTANO UN ORDINE Il censimento delle associazioni della sanità Né rappresentanza, né regole Non esiste rappresentanza, non c' è sindacato né ordine professionale che tuteli le competenze. Regolamentazione, si discute dal ' 99 MILANO - Si può essere invisibili anche con un camice bianco addosso. Lo hanno scoperto gli operatori della sanità che da dieci anni aspettano la creazione di un Ordine che li censisca e ne regolamenti l' associazionismo. Gli specialisti della salute in Italia sono circa 550 mila e si raggruppano in 22 associazioni, ma tra queste ce ne sono tre organizzate per collegi: si tratta di infermieri, ostetriche e tecnici di radiologia medica. Loro sono gli unici ad avere un organismo strutturato che li censisce e ne disciplina l' attività professionale. Per le altre 19 categorie però l' unica certezza è la concorrenza sleale. Stando ai numeri diramati dal Conaps (Coordinamento nazionale associazioni professioni sanitarie) questo è forse l' unico caso in Italia in cui gli abusivi sono il doppio dei professionisti: 1 milione di furbi contro 550 mila regolarmente laureati. Il gruppo dei 19 sta cercando da tempo di darsi una struttura, il Conaps coordina tre aree professionali: area della riabilitazione (fisioterapisti, podologi, logopedisti ecc.), area sanitaria (dietisti, tecnici ortopedici, tecnici di laboratorio) e area della prevenzione. «Il problema è l' esercizio della libera professione - afferma Antonio Bortone, presidente Conaps - essendoci un vuoto legislativo, succede che basta aver seguito un corso di formazione professionale o avere un diploma rilasciato all' estero per aprire uno studio e spacciarsi per specialisti. Il mio settore, che è quello della riabilitazione, è pieno di abusivi che mettono a repentaglio la salute dei clienti che inconsapevolmente si affidano alle loro cure». La lotta si presenta particolarmente impari anche in fatto di parcelle considerato che molto spesso gli abusivi hanno tariffe più basse e appetibili di quelle presentate dagli specialisti e spesso neppure fatturate. E i concorrenti non sono solo maghi, stregoni e guaritori, ma anche strutture in cui si trovano operatori in camice bianco che non hanno alcuna competenza sanitaria. Un mondo sommerso che strangola i professionisti e mette a rischio i pazienti. Però non esiste rappresentanza, non c' è sindacato né ordine professionale che tuteli competenze, stabilisca tariffari o definisca un codice deontologico. Resta da capire perché la regolamentazione di questo settore si sia trascinata dal ' 99 a oggi. «Purtroppo - spiega Bortone - siamo stati strumentalizzati dalla lobby degli Ordini più antichi: quando si è aperta la discussione per l' istituzione dei nuovi organismi, la capacità di pressione dei poteri forti ha fatto sì che si facesse un unico calderone con la riforma di quelli già esistenti. Il decreto legge che ci riguarda sta per essere approvato in commissione Igiene e salute al Senato. Ma resta sempre il timore che anche stavolta tutto si impantani senza che nessuno si ricordi di noi». Come succede ai veri invisibili. Isidoro Trovato 550 mila: gli operatori della sanità in Italia, divisi in 22 associazioni di categoria 1 Milione: gli abusivi del settore della sanità, operatori senza titoli professionali ____________________________________________________ Corriere della Sera 14 dic. ’09 SALUTE: POCHE LE ASSOCIAZIONI CHE SANNO INFORMARE I IN RETE Manca aggiornamento e interattività- Indagine su 15 siti web creati dai malati MILANO - Quattro milioni di italiani navigano su Internet per raccogliere informazioni sanitarie. Acque affidabili? Alla domanda ha provato a rispondere lo studio Casaleggio Associati di Casaleggio che offre consulenze alle aziende sulla «cultura» della Rete, con una ricerca che ha voluto tastare il polso delle associazioni dei pazienti online in Italia. Risultato: dei 15 siti esaminati, solo quattro hanno meritato un ottimo in pagella. uno la sufficienza nove sono risultati insufficienti ma migliorabili, uno è stato «bocciato». Perché una ricerca sui siti? «Nel caso delle associazioni online più che altri, la rete puo’ migliorare la qualità della vita dell'utente», spiega Davide Casaleggio, esperto di social network. L'ultimo censimento Istat parla di oltre 18 mila realtà coinvolte nelle tematiche inerenti la salute, in Italia. Il ministero della Salute ha cercato di fornire un prima mappa di orientamento, mettendo online gli indirizzi di 53 associazioni di pazienti. Tra queste il focus della Casaleggio ne ha scelte quindici e ha analizzare i servizi che offrono nel loro sito web, la struttura di quest'ultimo e le modalità con cui le associazioni comunicano ed interagiscono con i pazienti. Cosi mentre la facilità nell'uso dei siti è risultata sostanzialmente soddisfacente, l’offerta dei servizi potrebbe migliorare, Le conclusioni del focus sono in linea con una serie di ricerche svolte negli ultimi anni. I PUNTI CRITICI – L’indagine del Forum per la ricerca biomedica del Censis nel 2005 aveva analizzato un campione di 51 associazioni di malati. Gli autori avevano definito in generale di buona qualità le informazioni mediche e sanitarie disponibili sui siti italiani, sia sotto il profilo dell’attendibilità che della facilità d'uso e del dinamismo informativo. Avevano tuttavia anche sottolineato la necessità di una maggiore diffusione dei criteri per valutare la qualità e la credibilità dei contenuti, come lo Hon-Code, un codice di linee guida per la certificazione di qualità dell’informazione medico - sdentifica online rilasciato dalla Health on the Net Foundafion, nata a Zurigo. Nel 2006, l'istituto Bruno Leoni di Torino, think-tank dell'economista Sergio Ricosso aveva condotto una ricognizione su 24 associazioni, rilevando però la mancanza di un costante aggiornamento dei siti. Il ConeigIA nazionale delle ricerche di Pisa, va oltre. Da due ansù sta studiando come rendere accessibili i siti onlus anche ai non vedenti, «Le associazioni dei pazienti sono sensibili al tema - sottolinea Mafia Buzzi, dell'Istituto, di informatica e telematica del Consiglio. Però c'è ancora scarsa conoscenza delle soluzioni informatiche già disponibili, anche da parte dei tecnici». Insomma,la strada è lunga “In realtà il panorama dei siti è molto variabile», spiega Paola Ilosconi, responsabile di Partecipa Salute, un progetto di ricerca dell'istituto Mario Negri di Milano nato nel 2003 proprio per creare una collaborazione tra rappresentanti di pazienti e cittadini e la comunità medico scientifica sui temi della salute. «Sul web c'è qualche punta di eccellenza, molta mediocrità e anche alcune realtà francamente insufficienti aggiungo Cosa manca? Qualità rigore e chiarezza dell’informazione che sono poi i requisiti indispensabili per rendere le persone capaci di fare scelte consapevoli. ______________________________________ L’Unione Sarda 17 Dic.’09 CURARSI CON LA NANOMEDICINA Un progetto di ricerca della facoltà di Farmacia tra genetica, malattie della pelle e rischi ambientali Il progetto coinvolge quattordici lavoratori di ricerca europei CAGLIARI. Si occupano di nanomedicina e tossicologia ed è questa la strada che hanno scelto per capire e affrontare alcune patologie molto diffuse: sono alcuni ricercatori locali, i soli italiani a far parte del network europeo con capofila il Coronel institute di Amsterdam. Al centro del progetto di ricerca sulla dermatologia tra fattori genetici e rischi ambientali. Il gruppo cagliaritano fa capo al laboratorio della facoltà di Farmacia presieduta da Filippo Pirisi. Di fatto, l’ateneo fino al 2013 sarà l’unico partner italiano di «Cooperazione Europea nel campo della ricerca scientifica e tecnologica» per l’azione battezzata Cost Bm0903. Il progetto coinvolge (400mila euro) 26 team e gruppi di ricerca operanti in 14 nazioni (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Olanda, e Regno Unito). «La nostra strategia - spiega Biancamaria Baroli, coordinatrice del gruppo - è in linea con le politiche europee e regionali per la ricerca scientifica e permette di massimizzare competenze, risorse umane e infrastrutture del territorio». Biancamaria Baroli è referente del laboratorio di nanomedicina, nanotossicologia e medicina rigenerativa all’interno del del dipartimento Farmaco-chimico-tecnologico. «Il laboratorio - aggiunge il preside, Filippo Pirisi - è stato istituito nel 2004». ____________________________________________________ Avvenire 15 dic. ’09 ECCO IL SANGUE SINTETICO ANNUNCIO DAGLI STATI UNITI Un nuovo tipo di sangue sintetico è stato ricreato in laboratorio da ricercatori dell'Università della California di Santa Barbara (Stati Uniti). L'annuncio viene dalla rivista «Proceedings of the National Academy of Sciences» che nel numero in uscita oggi pubblica un articolo realizzato da Samir Mitragotri in cui viene descritto il nuovo composto sintetico. r ricercatori • sono riusciti a ricreare la parte più consistente del sangue umano e cioè i globuli rossi, delle particolari cellule che hanno come principale funzione quella di trasportare l'ossigeno in tutto il corpo e per questa ragione hanno anche una grande elasticità che permette loro di raggiungere e di passare attraverso i vasi sanguigni più piccoli. Secondo i ricercatori il sangue sintetico potrebbe essere usato sia come sostituto temporaneo dei sangue umano, in caso di estrema necessità, sia come veicolo di trasporto dei farmaci all'interno del corpo umano. _______________________________________________________ Sanità News 17 dic. ’09 CREATE PIASTRINE ARTIFICIALI IN GRADO DI BLOCCARE RAPIDAMENTE LE EMORRAGIE Il team di Erin Lavik della Case Western Reserve University (Usa) ha creato delle piastrine sintetiche, in grado di bloccare le emorragie interne ed esterne e di dimezzare il tempo di coagulazione. La perdita di sangue e' infatti una delle prime cause di morte per incidente stradale, e spesso in seguito a un trauma il processo naturale di coagulazione e' troppo lento per evitare un'emorragia eccessiva.
Il lavoro, pubblicato su 'Science Translational Medicine', e' stato ispirato dal fatto che ancora oggi sono poche le opzioni per trattare i soldati vittime di lesioni interne in Afghanistan e Iraq. I ricercatori puntavano a sviluppare una terapia ad hoc, che potesse essere inserita nell'equipaggiamento da campo.
Il team della Lavik ha sviluppato delle piastrine artificiali usando polimeri biodegradabili, particelle sintetiche disegnate per legarsi alle piastrine naturali sul sito di una lesione. Le piastrine naturali, attivate dal trauma, emettono sostanze chimiche che permettono a questi elementi di legarsi fra loro e con quelle sintetiche, per bloccare rapidamente l'emorragia.
Nei test fatti sui modelli di ratto l'iniezione di piastrine sintetiche prima di una lesione ha bloccato la perdita di sangue nella meta' del tempo, rispetto agli animali normali. In un altro test il tempo di coagulazione e' risultato circa il 25% piu' rapido rispetto a quello di ferite trattate con il fattore ricombinante VIIa, usato per bloccare le emorragie incontrollate in chirurgia.
Il team ha usato polimeri gia' impiegati per dei trattamenti autorizzati dalla Food and Drug Administration americana, sperando che in questo modo il nuovo trattamento possa essere autorizzato piu' rapidamente. Inoltre, i ricercatori hanno utilizzato dei sistemi per evitare la formazione indesiderata di un trombo artificiale, e nessun effetto negativo e' stato visto negli animali trattati. ____________________________________________________ MF 15 dic. ’09 TROPPE INFORMAZIONI, IL CERVELLO SI AFFATICA Studio La concentrazione si sta riducendo di Giulla Silvestri Troppe informazioni e poca memoria Una ricerca statunitense riportata sul quotidiano britannico Daily Mail dimostra come l'enorme mole di dati che giunge al cervello ogni giorno, stimata in oltre centomila parole provenienti da diversi media internet, giornali, cinema, radio, telefono, videogiochi e televisione, lo affatica e fa perdere concentrazione. I ricercatori dell'Università della California hanno calcolato che in media ogni adulto è esposto a 34 gigabyte al giorno e che questo fenomeno ha già modificato la struttura cerebrale. Secondo alcuni esperti l'uso smodato del computer potrebbe addirittura indurre un processo di infantilizzazione del cervello, rendendo difficile l'apprendimento. Altri specialisti, invece, ritengono che l'organo possa crescere e aumentare di dimensione a seconda dell'utilizzo che se ne fa, e che quindi molte informazioni possano indurre la nascita di nuove cellule nervose. ____________________________________________________ LA STAMPA 15 dic. ’09 PER IL TUMORE AL COLON UN FARMACO INTELLIGENTE LA NUOVA TERAPIA RADDOPPIALA RISPOSTA DEL TUMORE AL TRATTAMENTO E RIDUCE DEL 32 PER CENTO IL RISCHIO DI PROGRESSIONE DELLA MALATTIA RISPETTO AI PAZIENTI CURATI CON SOLA CHEMIOTERAPIA di Pierluigi Montebelli C’è un nuovo farmaco «intelligente» in prima linea nella lotta al tumore del colon. È il cetuximab, un anticorpo monoclonale, diretto contro il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) e appena approvato dall'Aifa per l'impiego - in associazione alla chemioterapia standard - nei pazenti con tumore del colon in fase avanzata (cioè con metastasi a distanza), caratterizzati dalla presenza del gene K-RAS non mutato. Nelle scorse settimane anche il National Institute for Clinica] Excetlence (NICE) inglese ha raccomandato l'impiego di cetuxirrtab come unica terapia mirata di prima linea contro il tumore metastatico del colon retto nei pazienti con KRAS non mutato, sottolineando il valore delle cure personalizzate sulla base della tipologia di tumore alla diagnosi. Due gli studi che hanno portato all'approvazione in Europea del cetuximab per questa indicazione: il CRYSTAL (Cetuximab combined with iRinotecan in first line therapY for metaSTatic colorectAL cancer), uno studio di fase II I, pubblicato sul New England Joornal oJ Medicine e presentato in contemporanea al Congresso congiunto dell'European Cancer Organization (ECCO) e dell'European Society of Medical Oncology (ESMO) e fOPUS (OxaliPlatin and cetUximab in firSt-line treatment of mCRC), uno studio di fase II. I risultati dello studio CRYSTAL dimostrano che l'aggiunta di cetuximab alla chemioterapia standard aumenta la sopravvivenza totale (23,5 mesi in media contro i 20 dei pazienti trattati con sola chemioterapia), raddoppia la risposta del tumore al trattamento e riduce del 32 per cento il rischio di progressione della malattia, rispetto ai pazienti trattati con sola chemioterapia. Al cetuximab - spiega Fortunato Ciardiello, ordinario di Oncologia Medica della II Università di Napoli - consente di ridurre la massa tumorale, oltre a limitare processi come l'invasione vascolare e la formazione di metastasi. Nei pazienti con metastasi presenti solo a livello del fegato, la riduzione della massa tumorale in molti casi permette di arrivare all'asportazione chirurgica del tumore, garantendo così maggiori probabilità di cura». Una terapia efficace, ma anche estremamente mirata e personalizzata. «Attraverso l'analisi del biomarcatore K-RAS - spiega Ciardiello - siamo in grado di individuare quali pazienti potranno ricevere un potenziale beneficio dalla terapia». In Europa si registrano ogni anno 270 mila casi di tumore del colon retto, 200 mila dei quali hanno purtroppo esito infausto. A presentare metastasi è circa un paziente su quattro e per queste persone il tasso di sopravvivenza a cinque anni è di appena il 5 per cento. ______________________________________ La Nuova Sardegna 15 Dic.’09 MANO BIONICA, BIOINGEGNERI AL LAVORO Un gruppo di ricercatori cagliaritani partecipa al progetto Lifehand promosso dalla scuola superiore Sant’Anna di Pisa e dell’università Campus Biomedico di Roma nell’ambito del quale è stata impiantata (per la prima volta in Europa) una mano bionica controllata direttamente dal sistema nervoso del paziente. Il gruppo guidato dal docente Luigi Raffo presidente del corso di studi in Ingegneria biomedica di Cagliari è impegnato nella realizzazione di un microchip in grado di sostituirsi alla complessa strumentazione da laboratorio utilizzata in questa fase dell’esperimento. La miniaturizzazione dell’interfaccia elettronico costituisce un requisito indispensabile per rendere l’arto portatile e per trasformarlo in una protesi sentita dal paziente come un’appendice del corpo. Una prima versione del dispositivo sarà testata nei prossimi mesi. I cagliaritani sperimentano il sistema per percepire l’intenzione del movimento da parte del paziente attraverso l’analisi dei segnali neurali. ______________________________________ Corriere della sera 14 Dic.’09 ANALISI MEDICHE, RISULTATI VIA EMAIL UNA PASSWORD PER LA RISERVATEZZA Lombardia ed Emilia Romagna le prime: niente più file agli sportelli ROMA - In Lombardia ed Emilia Romagna sono già avanti. Centri privati e pubblici, come il Niguarda, hanno avviato, o stanno per farlo, l' invio online dei referti medici. Analisi del sangue e radiografie arrivano al cittadino via web, risparmiandogli file agli sportelli. Sistema che spalanca problemi di riservatezza. Ecco perché il Garante della privacy ha elaborato le prime Linee Guida per il trattamento dei dati personali digitali, pubblicate due giorni fa in Gazzetta Ufficiale. Via libera alle analisi online dall' organismo presieduto da Francesco Pizzetti, purché siano rispettate regole ferree. L' adesione al servizio da parte del paziente dovrà essere facoltativo e comunque l' email resterà un' aggiunta al cartaceo senza sostituirlo. Il titolare del referto verrà informato sulle caratteristiche del sistema e gli andranno chiarite tutte le garanzie soprattutto sull' archiviazione dei dati e la possibilità che vengano consultati in momenti successivi. Il file dovrà essere accompagnato da un giudizio scritto del medico che si renderà disponibile a inviare su richiesta altre informazioni. I referti telematici resteranno in rete al massimo 45 giorni. «Ancora una volta ci siamo sostituiti al ministero competente - dice Pizzetti -. Siamo intervenuti perché la refertazione via internet sta prendendo piede velocemente e, dove è già partita, viene attuata con procedure differenti. In certi casi non c' è rispetto della privacy. Era urgente mettere a disposizione norme comuni». Il garante precisa che le Linee Guida sono rivolte agli operatori informatici delle strutture sanitarie e dunque non «devono spaventare il cittadino che usufruirà del servizio con modalità semplici». A chi vorrà ricevere le risposte nella posta elettronica sarà consegnata una password di facile uso. «Noi siamo favorevoli a patto che sia eliminato il rischio di violazione della privacy», commenta Amedeo Bianco, presidente della federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo). E chi non ha internet a casa continuerà a fare code? In questo caso, si fa notare, sarà il medico di famiglia a fungere da mediatore, attraverso la posta elettronica del suo studio. Fra pochi giorni il ministro Renato Brunetta firmerà il decreto che renderà obbligatorio l' invio dei certificati medici elettronici all' Inps. Un altro passo verso l' informatizzazione della sanità. Il processo sarà lento e graduale. Margherita De Bac _______________________________________________________ Sanità News 17 dic. ’09 PCA3: IL NUOVO TEST MOLECOLARE PER IL CARCINOMA PROSTATICO Roma, 17 dic. - Il PCA3 è un nuovo test genetico specifico per il carcinoma della prostata. L’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena nel centro sud è la prima struttura di Sanità Pubblica ad effettuare il test PCA3 accogliendo così l’esigenza clinica di indicare un’indagine che con una tecnologia innovativa si pone come supporto complementare per una diagnosi più accurata e puntuale della forma tumorale prostatica. Ad oggi infatti non esiste un valore di dosaggio del PSA che consenta di escludere la presenza del cancro alla prostata ed inoltre l’esito della biopsia non risulta correlata alla diminuzione della mortalità. Il carcinoma della prostata è il secondo tipo di neoplasia più diffusa tra gli uomini, seconda solo al tumore del polmone; questa patologia colpisce ogni anno in Italia più di 11.000 uomini con 6300 decessi. Una diagnosi precoce seguita da intervento chirurgico, radio o chemioterapia può portare alla guarigione. “Con valori di PSA inferiori a 4 ng/ml - precisa la Dr.ssa Laura Conti, Responsabile della Patologia Clinica dell’Istituto Regina Elena - la probabilità di cancro della prostata è del 25%. Dopo un prima biopsia negativa, il tumore della prostata presenta un’incidenza che varia dal 15 al 30% in relazione al PSA di partenza, al dato dell’esplorazione rettale e alla tecnica bioptica adottata. Tale probabilità scende intorno al 10% e in maggior misura alla seconda biopsia negativa.” Pertanto il margine di incertezza rimane anche dopo l’esecuzione del test PSA e della biopsia. Nasce così il nuovo test che consente di quantificare il livello di mRNA, corrispondente al PCA3 presente nell’urina, che viene iperespresso in elevate quantità nelle cellule neoplastiche della prostata e se elevato offre il vantaggio di predire una più alta probabilità di successiva biopsia alla prostata positiva. “Il test PCA3 – sottolinea il Prof. Michele Gallucci, direttore della Struttura di Urologia al Regina Elena – contribuisce ad evitare ripetute biopsie in casi con risultati contraddittori e aiuta ad effettuare una diagnosi sempre più precoce per forme di tumore prostatico localizzato che necessita di vigilanza e non di terapie aggressive. In pratica ci aiuta a leggere e ad interpretare il valore di un PSA elevato meglio di quanto faccia il PSA libero.” Il PROGENSA PCA3 Assay utilizza urina intera, raccolta a seguito di esame digito-rettale, che permette il passaggio di cellule della prostata nel tratto urinario, dove possono essere raccolte nell'urina di primo getto. Le molecole di mRNA target vengono isolate dai campioni di urina mediante target capture che provoca la lisi delle cellule e stabilizza l'RNA. Gli mRNA di PCA3 e PSA, dopo amplificazione, vengono quantificati, e il PCA3 score viene determinato in base al rapporto dell'mRNA di PCA3 e PSA. “Il Prostata Cancer Gene3, - precisa la Prof. Paola Muti, Direttore Scientifico dell’Istituto Regina Elena – se misurato in modo standardizzato, aiuta a definire la diagnosi di tumore alla prostata e ad indicare le caratteristiche di aggressività. E’ importante per il nostro Istituto partecipare per contribuire alla ulteriore validazione e implementazione clinica di questo biomarker che solo, assieme a pochi altri quali “Human Kallikein2”, “urokinase-type plasmino gens activator receptor”, “prostata- specific membrane antigen”, “early prostata cancer antigen”, ha dimostrato efficacia clinica”. E’ da evidenziare che l’esame viene prescritto esclusivamente dall’urologo. (Sn) _______________________________________________________ Sanità News 17 dic. ’09 DURA PRESA DI POSIZIONE DEGLI INFERMIERI ITALIANI CONTRO LA LEGGE SUL FINE VITA Roma, 17 dic. - “Una legge che, così come è formulata, appare in contrasto con la nostra deontologia professionale, non riconosce la centralità della persona e delle sue volontà e non tiene conto del coinvolgimento dell’intera équipe assistenziale”. Così Annalisa Silvestro, Presidente della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, sintetizza la posizione degli infermieri italiani in merito alla legge sul testamento biologico e sul ‘fine vita’. Posizione espressa attraverso un Pronunciamento reso pubblico proprio mentre alla Camera entra nel vivo la discussione sul cosiddetto ddl Calabrò. Lo scorso 10 dicembre la Commissione Affari Sociali di Montecitorio ha infatti iniziato l'esame degli emendamenti, adottando come testo base la proposta di legge 2350, approvata dal Senato a marzo. “Il Pronunciamento non nasce certo oggi” – afferma Silvestro – “è, infatti, il punto di arrivo di una riflessione avviata dal nostro gruppo professionale già nel 2008, quando abbiamo avviato il percorso di revisione del nostro Codice deontologico. La riflessione etica non poteva non toccare tematiche di particolare sensibilità e rilevanza quali la terminalità di vita, il rispetto delle volontà nell’assistito e il suo accompagnamento al ‘fine vita’. Da qui la decisione di rendere pubbliche le nostre valutazioni”. Nel loro Pronunciamento gli infermieri, professionisti che svolgono una insostituibile funzione nella fase terminale della vita delle persone, si richiamano alle norme espresse nel loro Codice deontologico per valutare l’articolato della proposta di legge 2350: “Durante l’evoluzione terminale della malattia e nel fine vita” – si legge nel Pronunciamento – “i rapporti tra l’assistito, le sue persone di riferimento, il medico, l’infermiere e l’équipe assistenziale non possono essere rigidamente definiti da una legge potenzialmente fonte di dilemmi etici, difficoltà relazionali e criticità professionali, ma devono essere vissuti e sviluppati secondo le norme dei Codici di deontologia professionale”. Norme deontologiche che contrastano con l’attuale formulazione della legge. “Nel testo approdato alla Camera” – osserva Silvestro – “non si rileva il valore della centralità della persona e del rispetto delle sue volontà che non possono che essere il perno del processo di cura e di assistenza: il testo attuale infatti, se prevede che l’assistito possa manifestare ed esprimere le proprie volontà, definisce anche che tali volontà non abbiano cogenza per il medico che, oltre a tutto, viene indicato come l’unico detentore di ogni decisione che riguarda l’assistito indipendentemente dal parere di altri professionisti inseriti con lui nell’équipe assistenziale”. L’articolo 3 del Codice deontologico degli infermieri recita: “La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo”. L’articolo 36 recita: “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita”. L’articolo 37 recita: “L’infermiere quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato”. “Il nostro Codice deontologico” – commenta Silvestro – “esprime un indirizzo chiaro e a cui ci sentiamo fortemente vincolati: se il testo della legge dovesse rimanere inalterato e se vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i nostri valori, si potrebbero determinare situazioni in cui gli infermieri sarebbero indotti ad appellarsi alla clausola di coscienza. Crediamo sia importante trovare altri percorsi. Noi vogliamo continuare ad assistere i nostri pazienti nella fase del ‘fine vita’, nel rispetto della loro dignità e volontà e attraverso atteggiamenti e gesti che vogliono e sanno accogliere, ascoltare, assistere, comunicare e lenire.” _______________________________________________________ Sanità News 15 dic. ’09 LE RADIAZIONI DA TOMOGRAFIE AUMENTANO I CASI DI CANCRO Roma, 15 dic. - Le tomografie effettuate negli Stati Uniti nel corso del 2007 causeranno circa 29 mila casi di cancro e uccideranno quasi 15 mila persone, afferma una ricerca pubblicata oggi sugli 'Archivi Internazionali di Medicina'. La ricerca critica la facilita' con cui i medici Usa prescrivono esami tomografici anche quando non sono indispensabili. Nel 2007 vi sono stati circa 70 milioni di tomografie negli Usa. La ricerca sottolinea che in alcuni casi la tomografia espone i pazienti a dosi di radiazioni fino a cento volte piu' alte degli esami con i raggi-X. 'E' stato scoperto che vi e' stato un aumento significativo di casi di cancro nel 2007 dovuto alle radiazioni delle tomografie - ha detto Rita Redeberg, direttrice della rivista medica - Le morti causate dalle tomografie potrebbe avere raggiunto nel 2007 quota 15 mila'. L'entusiasmo dei medici per le tomografie ha fatto salire il numero annuale negli Usa da 3 milioni nel 1980 a 70 milioni nel 2007. 'Mentre alcuni di questi test possono essere incredibilmente importanti e salvare vite umane - ha affermato la Redeberg - e' possibile affermare con sicurezza che alcune delle tomografie richieste non erano indispensabili' (Sn)