RASSEGNA STAMPA 16/01/2011 ANNO ACCADEMICO: MELIS RIPENSARE IL FUTURO DELL’UNIVERSITÀ - MELIS: RICOMINCIAMO DALL’UNIVERSITÀ - UNIVERSITÀ: BONUS AI FUNZIONARI, MONTA LA POLEMICA - «DANNEGGIATI DUECENTO FUNZIONARI» - LA RIFORMA GELMINI E LEGGE - PROSPERI: PER GLI ATENEI CI VUOLE UNA RIFORMA ALTERNATIVA» - IL MERITO NON SALE IN CATTEDRA - I PROF CHE DARANNO I VOTI AGLI ATENEI - TROPPI COMITATI PER MISURARE GLI ATENEI - UNIVERSITÀ E ANVUR. RIFORMA O CARROZZONE? - LO STATO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA NEL QUADRO EUROPEO - OCSE: SCUOLA E UNIVERSITÀ, ITALIA BOCCIATA - TEMPI E FONDI I NODI DELLA RIFORMA GELMINI - QUATTRO RAGAZZI SU CINQUE STUDIANO PER NIENTE - NIENTE TOGA PER I RICERCATORI - UNIVERSITÀ E PECORE - LE FACOLTÀ "AMENE" SECONDO LA GELMINI - DAL CAPO DELLO STATO GLI STUDENTI A FAVORE DELLA RIFORMA GELMINI - ECCO I MIGLIORI "CERVELLI" ITALIANI - ATENEI VIRTUOSI: PREMI DA 720 MILIONI - UNA PIOGGIA DI CONCORSI PER I PRECARI DEGLI ATENEI - PER I RETTORI È NECESSARIO RENDERE PIÙ FORTE L'AUTONOMIA - DOCENTI UNIVERSITARI, ACCESSO AL RESTYLING - RICERCA: PERCHÉ L'ITALIA NON E’ LA COREA - UNIVERSITÀ INGLESE, FUORI UNO SU TRE - ISTANBUL:UNA TESI TROPPO HARD - LA BOCCONI SU ITUNES CON LEZIONI E VIDEO - IL SUPERCOMPUTER BATTE L'UOMO SA RISPONDERE MEGLIO AI QUIZ - LA RICERCA ECCELLENTE - LA MACCHINA DEI QUANTI - GIAPPONE: SISTEMA DI REALTÀ AUMENTATA PER «INGANNARE» - QUELLA PLASTICA INVISIBILE CHE SOFFOCA IL MEDITERRANEO - RADIOTELESCOPIA: SUPERTECNOLOGICO MA SENZA PERSONALE - INTORNO ALLA CITTÀ RIEMERGE L'ALTRA NORA - ========================================================= TESSERE SANITARIE, IN ARRIVO LE NUOVE – SULLA SANITÀ LO SCONTRO È A 360 GRADI - AOUCA: 3 MILIONI PER IL BLOCCO Q - AOUCA: LA PROSSIMA SFIDA? IL POLO SANITARIO A MONSERRATO - IL SAN GIOVANNI DI DIO SVUOTATO PUÒ ESSERE IL MUSEO DEI MUSEI» - AOUCA: IL MONTACARICHI RITARDA IL RICOVERO DI UNA NEONATA - AOUCA: OTORINO, IL NUOVO PRIMARIO VIENE DALL'INGHILTERRA - SISTEMA INFORMATICO IN TILT, DISAGI AL POLICLINICO - AOUCA: DIAGNOSI IN RITARDO, CONTAGIA LA SCABBIA – AOUCA: OTTANTA MILIONI PER LA METROPOLITANA - MASTINO: SULLA SANITÀ SASSARI È PENALIZZATA - ECCO L’ISOLA DEI COMMISSARI - IL MEDICO DEL CAVALIERE CONTESTA IL TEST D'INGRESSO IN MEDICINA - «TEST DI MEDICINA, IL SOLO MERITOCRATICO» - ANAAO: PER I CERTIFICATI ONLINE E' NECESSARIA UNA PROROGA - I SARDI PIÙ MALINCONICI, ABRUZZESI FUMATORI ACCANITI - SARDI PIGRI, SOVRAPPESO, FUMATORI E MALINCONICI - PREOCCUPANTI ANCHE IPERTENSIONE E COLESTEROLO ALTO - UNO STUDIO ASSOCIA L'OBESITA' CON LA GRANDEZZA DEL CERVELLO - SLA, UN “PADRE SARDO” PER LA MALATTIA - MATERNITÀ ADDIO AI REPARTI DOVE I PARTI SONO MENO DI 500 - P.E MANCONI «CURIAMO IL LUPUS IN SARDEGNA DA ANNI» - SARDI LA SPESA FARMACEUTICA NEGLI OSPEDALI È MOSTRUOSA - LO SPONSOR IN CORSIA - E IL PAZIENTE INGLESE PRENOTERÀ IL MEDICO A NEW DELHI - ========================================================= ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 gen. ’11 INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO IL RETTORE GIOVANNI MELIS TRACCIA LE LINEE PER RIPENSARE IL FUTURO DELL’UNIVERSITÀ Alta formazione, antidoto alla crisi Melis: «Con la Regione progetti e finanziamenti per rilanciare gli atenei» CAGLIARI. L’anno accademico non è stato inaugurato nel salotto buono dell’università (quello in rettorato) perché c’è poco da festeggiare: i tagli della legge 133 già operati sul bilancio dell’ateneo e la riforma Gelmini appena varata restano ostacoli molto difficili da superare. Non è un piagnisteo, ma una condizione oggettiva. Come per le persone, non tutte le istituzioni operano in contesti favorevoli e quindi raggiungere risultati valutabili positivamente richiede sforzi ben superiori ad altri. Ce la farà l’università di Cagliari insulare, periferica, inserita in un semideserto imprenditoriale, storicamente non troppo abituata al dialogo con entità diverse da sé? Ieri il rettore Giovanni Melis, presente il prorettore vicario Giovanna Maria Ledda, prima della cerimonia di inaugurazione ha tenuto una conferenza stampa per spiegare strategie, programmi di rilancio e cambiamenti di mentalità. La prima buona notizia è che la Regione ha deciso di sostenere le università sarde. E’ una novità: gli studenti non hanno ancora dimenticato lo scippo dei 15 milioni di euro che erano stati assegnati all’Ersu per aumentare i posti letto e quindi dare sostanza al diritto allo studio dei 18 mila pendolari (oltre il 15 per cento degli studenti cagliaritani è esonerato dalle tasse per il basso reddito familiare): la giunta regionale decise di spargere quei denari su altre opere, lavori in varie chiese della Sardegna meridionale soprattutto. Una cifra del genere continua a non esserci per l’Ersu (ente regionale diritto allo studio), ma la giunta Cappellacci ha avviato vari programmi in accordo con le università e alcuni, in particolare, secondo il rettore produrranno l’importante risultato di finire il policlinico di Monserrato, realizzare la cittadella delle Scienze sempre a Monserrato, liberare prestigiosi edifici nel centro storico nei quali accorpare gli insegnamenti umanistici, giuridici ed economici. Tutto questo è credibile perché è voce di bilancio, inserita nel dicembre scorso dall’assessore regionale alla sanità Antonello Liori. Spiegava il rettore che occuparsi di edilizia universitaria è servito all’ateneo anche per sostenere di fatto l’attività dell’azienda mista Regione-Università, tutt’ora un carrozzone che non riesce a staccarsi dal vecchio San Giovanni di Dio e dalla clinica Macciotta e che non può ancora diventare quel che Liori aveva promesso agli universitari in campagna elettorale e ribadito, poi, a nomina avvenuta, vale a dire l’ospedale polispecialistico per l’intera area vasta cagliaritana. Un altro aspetto: l’impulso all’azienda mista serve anche perché funzionando sempre a metà non riesce a tenere a bada i conti. Sui tagli. Melis coi prorettori e il personale amministrativo ha lavorato sulla riorganizzazione delle attività universitarie e Cagliari nel 2010 è entrata nell’elenco degli atenei virtuosi. Questo ha permesso di riaprire i concorsi del personale amministrativo e per i docenti universitari: non tutti quelli che servono, ma è l’unica «risposta al problema del precariato», commentava ieri Melis. Il punto, però, resta sempre lo stesso che, tra gli altri, ha fatto sollevare il Senato accademico e l’intera università: coi nuovi parametri, i quasi 200 docenti andati in pensione non verranno sostituiti. Se andrà bene, al massimo se ne assumerà la metà. Centro storico. Melis ha candidato l’università di Cagliari quale interlocutore del Comune nel «processo di ristrutturazione del centro storico», «abbiamo un pacchetto di proposte». Gelmini. La riforma entrerà in vigore fra un anno, sempre che siano varati i decreti attuativi. In caso contrario ne faranno le spese l’offerta formativa e i concorsi. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 gen. ’11 MELIS: RICOMINCIAMO DALL’UNIVERSITÀ Incontro rettore-sindaco per un’alleanza sull’economia della cultura CAGLIARI. Uno dei più bei panorami di Cagliari si ammira dal tetto del palazzo delle Scienze e il San Giovanni di Dio, quando smetterà di essere ospedale, non faticherà ad affermarsi come il museo dei musei, a due passi dal porto, lungo una passeggiata che percorre tutti gli strati della storia cittadina. Rettore e sindaco s’incontreranno «a breve»: c’è voglia di conoscersi e di unirsi. L’obbiettivo è promuovere la vita universitaria e farla diventare un connotato di Cagliari. Quel che incoraggia è un grande patrimonio immobiliare ricco di storia e quasi pronto sul piano burocratico per essere inserito in progetti che diano spazio alla ricerca e all’alta formazione ma anche a una frequentazione culturale permanente, animata dai cagliaritani, dai sardi e dai turisti. Un altro elemento di forte incoraggiamento è che esiste già un parco utenti prontissimo a dare vita a un campus universitario urbano: sono le 35 mila persone che trascorrono le loro giornate nei vari istituti universitari, cioè studenti, docenti, ricercatori, amministrativi. All’inaugurazione dell’anno accademico Antonello Sanna preside di Architettura ha sottolineato: «... A fronte di una città che in trent’anni diminuisce del 20 per cento la sua popolazione, l’Università aumenta di circa il 50 per cento i suoi iscritti... Inoltre, ormai meno del 20 per cento degli iscritti risiede a Cagliari. Anche rispetto alla ‘grande Cagliari’, la cui crescita ha ampiamente riassorbito le perdite di popolazione del capoluogo, l’Università si espande comunque con ben maggiore rapidità, fin dagli anni 70, con due decenni che hanno segnato il vero boom dell’università di massa». Insomma, è ora che Cagliari (Comune, enti, rappresentanze dei cittadini) finisca di sottovalutare la presenza dell’ateneo il quale (spiegava sempre Sanna) ha già fatto varie uscite in cui ha dimostrato di «non sentirsi pià come provvisoriamente parcheggiata in città, in attesa di una sistemazione definitiva nel campus (di Monserrato) ma come parte sempre più integrante dell’organismo urbano». Una prova: la foresteria che darà nuova forza ai programmi di internazionalizzazione dell’ateneo si fa nell’ex clinica medica. Sanna ha poi richiamato l’attenzione sul parco umano universitario: «La massa critica di 35 mila persone straordinaria per quantità e qualità che rappresentano di gran lunga il maggior potenziale di innovazione per il futuro della città». Un altro elemento a favore di una riunione delle forze e degli intenti: la politica amministrativa della città ha già scoperto questo potenziale e l’ha inserito nel piano strategico di Cagliari. Dunque il grande «parco urbano storico-culturale e della conoscenza» nelle idee esiste già, sull’asse nord-sud, dalla Marina al «sistema incentrato sulla piazza d’Armi». Con questa consapevolezza, l’Università deve essere «identificata sia come detentrice di porzioni strategiche di questo patrimonio sia come protagonista delle funzione di eccellenza (ricerca, formazione, didattica)». (a. s.) ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 5 gen. ’11 UNIVERSITÀ: BONUS AI FUNZIONARI, MONTA LA POLEMICA Università. La protesta dei sindacati: «L'unico non declassato è il capo di Gabinetto» Aumenti solo a 24 dipendenti: «Così si creano disparità» Il provvedimento, immediatamente esecutivo, è stato firmato dal direttore amministrativo il 30 dicembre. Sindacati dell'Università sul piede di guerra per la decisione del direttore amministrativo dell'ateneo che, poco prima di Capodanno, ha aumentato l'indennità di responsabilità a 24 funzionari, in alcuni casi arrivando anche a raddoppiarla. «Peccato che i funzionari siano circa trecento», spiega Giorgio Mancosu, segretario Uil di ateneo: «Adottare un provvedimento di questo tipo necessita un confronto preventivo con i sindacati e questo non è avvenuto. Così si crea disparità: ci sono persone che hanno incarichi simili ma che non sono stati presi in considerazione, altri hanno avuto un incremento annuo del 105 per cento». LA DECISIONE Il provvedimento, immediatamente esecutivo, è stato firmato dal direttore amministrativo Fabrizio Cherchi il 30 dicembre, scatenando la reazione immediata delle organizzazioni dei lavoratori. «Un atto per il quale ventiquattro lavoratori, su circa settecento che operano in ateneo», scrive Emanuele Usai, segretario provinciale della Flc Cgil, «percepiranno una quota di indennità ulteriore per una rivalutazione delle posizioni organizzative resasi necessaria - chiarisce citando l'atto dirigenziale - in seguito a mutati assetti organizzativi e alle recenti normative che richiedono il perseguimento dell'incentivazione alla produttività e all'efficienza. C'è da notare che si procede a un'assegnazione aggiuntiva di indennità per personale D, a fronte del rifiuto dell'Amministrazione di concederla a quello tecnico che tuttora non la percepisce». L'INDENNITÀ Per comprendere la questione è necessario chiarire che l'indennità di responsabilità (divisa in cinque fasce da 1033 a 5165 euro l'anno, oltre al normale stipendio) è una risorsa aggiuntiva che viene assegnata ai funzionari responsabili di settore, proprio per via del loro particolare incarico. La maggior parte dei funzionari di categoria “D” (nell'università sono poco meno di 300) percepisce un'indennità compresa tra 1300 a 1700 euro l'anno (fascia C e D). «Tutti i funzionari che nel 2009 erano in fascia A, il top, sono stati declassati in fascia C, con la sola eccezione del capo di gabinetto del rettore Francesco Luigi Sotgiu», aggiunge Mancosu. «Ora, con questo atto immediatamente operativo, approvato a fine anno, solo alcuni funzionari hanno ricevuto un aumento e non si capisce il criterio seguito dall'amministrazione. La temerarietà dell'operazione sta nel presumibile impatto negativo del provvedimento sui reali assetti organizzativi dell'Ateneo. Se fino ad ora molte strutture, pur con la costante diminuzione di personale, hanno mantenuto e spesso incrementato la loro produttività, grazie al sacrificio di lavoratori zelanti e responsabili d'ora in avanti crediamo sarà difficile che l'ateneo possa contare su un simile spirito di abnegazione». LA LETTERA Stesse critiche piovono dalla Cgil che, ieri mattina, ha inviato una lettera al rettore Giovanni Melis, al direttore amministrativo e, per conoscenza anche, all'ufficio relazioni sindacali. «Se è vero che alcuni settori sono stati interessati da processi di riorganizzazione», protesta Emanuele Usai, «la gran parte delle strutture non ne risulta coinvolto ed è impossibile anche solo intuire le differenze tra posizioni promosse e il resto dell'organizzazione confermata dall'Amministrazione, cosa che individua una inaccettabile difformità di trattamento ed una banalizzazione delle professionalità in Ateneo». FRANCESCO PINNA _______________________________________________________ L’Unione Sarda 6 gen. ’11 «DANNEGGIATI DUECENTO FUNZIONARI» Università. Ieri il direttore amministrativo ha inviato una lettera di chiarimento Anche l'Ugl si schiera contro gli aumenti a 24 dipendenti Ieri il direttore amministrativo Fabrizio Cherchi avrebbe inviato una lettera di chiarimenti ai dipendenti dell'ateneo. «Questo sistema di effettuare le promozioni è un modo un po' curioso di intendere l'ottimizzazione della produttività, l'efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Un atto che farebbe rabbrividire persino il ministro Brunetta». Ninni Pillai, segretario regionale dell'Ugl Università, ha vissuto i recenti aumenti dell'indennità di responsabilità a 24 funzionari, decisi del direttore amministrativo dell'Ateneo, Fabrizio Cherchi (che ha firmato l'atto il 30 dicembre), nella duplice veste di sindacalista e dirigente universitario. LA PROTESTA «A fronte di queste promozioni», denuncia il rappresentante dei lavoratori, «ci sono più di duecento persone che restano a bocca asciutta. Non è modo di far migliorare la produttività, perché così si demotiva completamente un'infinità di persone che rispettosamente, da un anno e mezzo, cercano di adattarsi ad una congiuntura molto difficile». Dopo la Cgil e la Uil, che da subito sono scese sul piede di guerra e hanno scritto al Rettore Giovanni Melis scagliandosi contro la decisione del direttore amministrativo, ora arriva dunque anche la presa di posizione dell'Ugl, in linea con gli altri sindacati. LA LETTERA Ieri pomeriggio, intanto, nella mailing list “Utenti” dell'Università, quella che raggruppa la stragrande maggioranza di indirizzi di posta elettronica di dipendenti, tecnici amministrativi e docenti dell'Ateneo sarebbe arrivata una e-mail, inviata dalla casella del direttore amministrativo. All'interno, i chiarimenti sulla decisione di procedere alle promozioni. «L'amministrazione», si legge, «a più riprese ha espressamente manifestato l'intenzione di operare degli scorrimenti di fascia per le posizioni EP (dirigenti) e D (funzionari), senza che le organizzazioni sindacali manifestassero il proprio dissenso, anche perché tendevano a riconoscere al personale miglioramenti di carattere economico». Rispondendo alle accuse dei sindacati, il dirigente amministrativo avrebbe anche smentito eventuali declassamenti. «In particolare», si legge ancora nella missiva, «con l'accordo sindacale del 22/12/2009, tutto il personale di categoria D di fascia A, B e C è stato collocato nelle fasce C, D ed E col mantenimento delle medesime indennità». E sull'ultimo atto si è operato con «una valutazione delle differenti responsabilità e decidendo di attribuire una fascia superiore ai responsabili di settori molto importanti per dimensioni e complessità delle mansioni svolte». Francesco Pinna ______________________________________________________________ Il Fatto 31 Dic. ’10 LA RIFORMA GELMINI E LEGGE Ma Napolitano chiede al premier di correggere "talune criticità" Rilievi sul diritto allo studio e sulle norme contraddittorie Il ministero: "Non sono punti portanti" di Caterina Perniconi Giorgio Napolitano non ha trovato un elemento "evidente e grave" per rinviare alle Camere la riforma dell'Università. A soli 7 giorni dall'approvazione in Parlamento, il Capo dello Stato ha firmato e promulgato la legge promossa dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini. La scorsa settimana, durante l'incontro con gli studenti, Napolitano aveva spiegato quali fossero le sue prerogative costituzionali, tra le quali l'impossibilità di entrare nel merito del provvedimento. Cosa che invece ha fatto, con una lunga lettera al presidente del Consi- glio, Silvio Berlusconi, nella quale ha illustrato "talune criticità" rilevate nella riforma. ALL'INTERNO ci sono infatti anche due norme che si contraddicono tra loro, sul titolo onorifico di professore aggregato per i ricercatori, errore che la Gelmini ha ammesso in aula. Il presidente della Repubblica ha chiesto "eventualmente la soppressione del comma 5 dell'articolo". Un passaggio che il Partito democratico aveva invitato il governo a fare riportando la legge a Montecitorio, ma che Napolitano evidentemente non ha condiviso. Un'altra delle criticità individuate dal Quirinale riguarda l'emendamento della Lega Nord che riserva ai residenti di una regione una quota delle borse di studio. "Appare non pienamente coerente con il criterio del merito scrive Napolitano nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell'appartenenza territoriale". Nessun rilievo, invece, su un'altra questione fondamentale relativa al diritto allo studio che gli studenti avevano portato all'esame del Colle la settimana scorsa: nei parametri proposti dalla Gelmini per la distribuzione delle borse di studio c'è appunto il merito ma non il reddito. I soldi, quindi, potrebbero andare ai più bravi, anche se non bisognosi. Contraddicendo l'articolo 34 della Costituzione, secondo il quale "i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Altri due rilievi tecnici sono stati fatti sull'articolo 23, relativo ai contratti d'insegnamento e sull'articolo 26. E poi un appello al dialogo e al confronto. Il ministro dell'Istruzione ha subito precisato che "appare evidente dall'analisi dei punti rilevati come nessuno di essi tocca elementi portanti e qualificanti della legge". Non sarà quindi difficile "tenere in massima considerazione le sue osservazioni". GLI STUDENTI si sono detti "delusi" dalla firma, ma hanno giudicato la lettera "una piccola conquista del nostro movimento". Forse una decisione lampo non se l'aspettava nemmeno il Partito democratico: "Manteniamo fermo il giudizio negativo sui contenuti del provvedimento ha dichiarato la capogruppo in Commissione Cultura, Manuela Ghizzoni e il Pd non farà mancare le proprie sollecitazioni anche su quei decreti ministeriali che non prevedono ulteriori passaggi parlamentari". Molto contrariata invece l'Italia dei Valori: "Prendiamo atto della decisione del Colle ma riteniamo questo provvedimento ingiusto, iniquo ed incostituzionale. Ci auguriamo che i dibattiti e le riflessioni successive possano frenare la portata devastante che caratterizza la riforma. Su questo vogliamo rassicurare gli studenti, i ricercatori e gli insegnanti che non rimarranno soli". ______________________________________________________________ Il Manifesto 12 gen. ’11 PROSPERI: PER GLI ATENEI CI VUOLE UNA RIFORMA ALTERNATIVA» INTERVISTA • Lo storico Adriano Prosperi Roberto Ciccarelli Le proteste degli studenti contro la riforma Gelmini sono state uno spettacolo rallegrante che ha aperto la speranza verso il futuro — afferma Adriano Prosperi, accademico dei Lincei e uno dei più grandi storici italiani — quella che manca è una proposta alternativa di riforma dell'università. È un problema serio perchè tutto rischia di essere ridotto ad uno scambio tra ricercatori, dottori di ricerca e precari, mentre gli studenti restano sullo sfondo». Molti dopo l'assedio al Senato del 24 novembre e il tumulto del 14 dicembre a Roma hanno creduto che fossero tornati i black bloc... Anch'io l'ho pensato, ma la realtà mi ha rincuorato. La gestione della protesta è stata salda, sana e liberatrice. Come nelle lotte dei metalmeccanici, gli studenti pongono il problema dei diritti delle persone. Sia pure distinte, sono entrambe espressioni dell'intollerabilità del clima che si è creato in Italia per la natura culturale del dominio che questo governò esercita sul costume e il modo di vivere. Mi auguro che tutte le forze che resistono continuino a farlo. Oggi l'avversario è temibile per la sua capacità di corruzione, non solo fisica. Il disprezzo con il quale tratta la cultura mi ricorda Scelba e il suo «culturame». Qual è il suo giudizio sulla riforma Gelmini? Difficile definirla una riforma perché non è finanziata. La Gelmini è passata in un momento in cui la legge finanziaria toglie ossigeno alla scuola, all'università e alle istituzioni culturali, mentre fiumi di denaro vanno verso l'imprenditoria privata e c'è la tenta-zione di ridurre ai minimi termini la sanità pubblica con il progetto di federalismo fiscale. Ormai per una famiglia mandare un figlio all'università non è più un investimento valido, la scuola e l'università sono diventate contenitori sociali senza prospettiva. In passato la riforma Berlinguer ha cercato di affrontare il problema, ma è stata una pessima riforma. Per quale ragione? In Italia avevamo un corso di studi la cui ragione d'essere stava nella compattezza del percorso e nella possibilità di prepararsi liberamente alla tesi di laurea, il momento della prova di ricerca dell'allievo. Con questa prima laurea si è dato un indirizzo liceale agli studi universitari, anche se i licei di una volta erano migliori di questa università. Il danno per gli studenti è stato altissimo. La loro è un'età straordinaria dove la maturazione fisiologica e mentale rende preziosi anni che invece si sprecano in esercizi ripetitivi, manualistici, noiosi, con un numero di crediti legati al numero delle lezioni seguite. Quella di Berlinguer è stata una riforma decisionistica per soddisfare i suoi pedagogisti. Il suo tre più due è uguale a zero. Sta dicendo che esiste una continuità tra le riforme di diverso colore politico varate degli ultimi vent'anni? Non sono in grado di sostenere l'esistenza di una simile continuità, ma è senz'altro vero che con questo governo c'è un progetto di dismissione di tutto ciò che è pubblico, affidandosi ciecamente alle forze selvagge de] liberismo economico. Non posso negare però che il centro-sinistra indulga nella demagogia sin dai tempi del pedagogista socialista Tristano Codignola che risolse il problema dell'accesso all'università liberalizzandone l'accesso e scaricando sugli atenei l'obbligo di far fronte a chi veniva da scuole diversissime senza dotarli degli strumenti necessari. Quali sono le «criticità» della riforma Gelmini? L'affidamento del potere al rettore e al consiglio di amministrazione in cui rappresentanti della società dovranno ad esempio in-dicare le discipline o le cattedre da fondare. Questa regola permette apparentemente di fare entrare nell'università gli interessi sociali, ma impone in realtà un meccanismo dirigistico deprimendone l'autonomia ed inchiodandola all'economia. E poi ci sono i concorsi... Quelli che dovrebbero facilitare l'ingresso dei giovani nell'università? Proprio quelli, ma non faranno altro che rafforzare lo ius loci, l'idea che una sede universitaria abbia diritto di nominare un suo rappresentante nella commissione esaminatrice. In via di principio si fa un concorso nazionale, ma se nessuna sede locale chia-ma il migliore tra i vincitori, allora tutti si rivolgono al proprio fringuello in libertà vigilata. Questa legge dello ius loci è nefasta. Adesso che sono in pensione, ma ho ancora la possibilità di incidere in qualche modo sull'università, sto facendo dei concorsi. Le con-fesso che non c'è al mondo meccanismo più assurdo e barocco. Ha davvero l'impressione che questa legge sia contro i «baroni»? Vede, rispetto al tempo in cui professori universitari entravano in Parlamento non per insegnare ma per delega politica, oggi la loro presenza garantisce che nessuna riforma passi se non soddisfa le esigenze della loro corporazione. Questa campagna governativa è solo un'altra strizzatina d'occhio demagogica verso chi aspetta di entrare in ruolo dicendogli che presto la strada sarà libera. Ma questo non avverrà perché finora il nostro pensionamento a 70 anni non è servito ad aprire nuovi spazi e i soldi del nostro stipendio sono andati sempre in economia. E un problema noto a tutti. Pensi che Croce lo scrisse in una lettera a Gentile già nel 1923. In compenso sembra che sia stato abolito il 68. Un risultato storico, non crede? Più una provocazione in tempi in cui ogni critica contro un governo che dovrebbe servire una società, e non comandarla, viene giudicata come un atto di insubordinazione. Il 68 ha manifestato la volontà di rinnovamento dei giovani in un mondo che non rispondeva al bisogno di libertà, socialità e cultura. Sconfiggere il 68 per il ministro Gelmini significa mettere a guardia della disciplina un rettore circondato da un consiglio che decide tutto e obbligare un professore a tenere lezioni frontali per non subire decurtazioni di stipendio. E una risposta miseranda. Se la scuola diventa un luogo di asservimento, non è più quella che vuole la Costituzione. P solo un luogo di trasmissione dei valori elaborati da classi dirigenti che hanno un'idea repressiva della società. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 gen. ’11 IL MERITO NON SALE IN CATTEDRA SCUOLA & UNIVERSITÀ Tra i banchi. Difficile fissare criteri per un giudizio sui docenti In ateneo. statuti da adeguare in fretta, pena commissariamento Da due insegnanti su tre ok alla valutazione ma la sperimentazione arranca di Andrea Ichino Sono poche le scuole che hanno accettato di ospitare le due sperimentazioni k..., ministeriali finalizzate a disegnare un sistema di valutazione e di riconoscimento del merito nel mondo dell'istruzione. Eppure, numerose indagini dicono che almeno due insegnanti su tre vorrebbero essere valutati e vedere riconosciuti i meriti individuali. Il ministero si era proposto di sperimentare da un lato un sistema di valutazione delle scuole basato sulla misurazione dell'incremento dei livelli di apprendimento a parità di contesto e su indicatori qualitativi forniti da valutatori esterni. Dall'altro di avviare un sistema di valutazione dei singoli insegnanti che, attraverso una commissione interna di "pari", consentisse di premiare quelli la cui buona reputazione fosse comprovata e indiscussa anche tra le famiglie. E soprattutto contro quest'ultimo dei due progetti ministeriali che si è manifestata un'opposizione plateale da parte degli insegnanti interessati. Come membro del comitato tecnico scientifico che ha ideato queste sperimentazioni mi sto chiedendo perché esse incontrino così tanta freddezza non solo tra i sindacati, ma anche tra i singoli docenti meno schierati. Chiunque voglia affrontare con onestà questo problema sa che le difficoltà sono enormi e nessuna soluzione è a priori esente da critiche. Proprio per questo la strada di una sperimentazione su piccola scala che aiuti a distinguere ciò che forse può funzionare da ciò che invece appare destinato a fallire, sembrerebbe una strada alla quale nessuno dovrebbe opporsi: né coloro che vedono con favore la procedura da sperimentare, e per questo cercano conferme, né coloro che la ritengono dannosa e proprio nell'esperimento possono trovare la dimostrazione di quanto giuste siano le loro convinzioni. Sarebbe una strada che una volta tanto ci metterebbe in linea con le più avanzate esperienze internazionali, come illustrato dall'Economist del 6 gennaio. Accade invece che chiunque veda in queste sperimentazioni un singolo aspetto che non corrisponde alle sue convinzioni a priori conclude che il progetto vada rifiutato per intero. Così, ad esempio, chi ritiene che la valutazione degli insegnanti possa solo basarsi su parametri oggettivi, boccia tutto perché una delle due sperimentazioni studia proprio se sia possibile identificare quell'imponderabile complesso di caratteristiche che fa la reputazione del "buon maestro". Dimentica però che l'altra sperimentazione si basa invece sui parametri quantitativi costruiti dall'Invalsi per misurare in modo oggettivo, a livello di scuola, gli incrementi di apprendimento a parità di contesto dove questo è possibile (attualmente solo nelle medie inferiori per matematica e italiano). Viceversa, proprio l'uso dei test Invalsi è ragione sufficiente per buttare tutto a mare da parte di chi è convinto che essi non possano cogliere interamente ciò che una scuola può dare ai suoi studenti. Pochi si fermano a riflettere sul fatto che è il "complesso" delle due sperimentazioni ad offrire la possibilità di capire, laicamente e con gli strumenti disponibili, quale di queste strade funzioni meglio. Quanto ai valutatori, c'è chi lamenta l'uso d'ispettori esterni per le scuole (chi sono? chi li sceglie), ma non per questo approva il tentativo di verificare come invece funzionerebbe una commissione interna, nella sperimentazione che si propone d'identificare gli insegnanti di buona e comprovata reputazione. Oppure vorrebbero vedere burocraticamente dettagliati i criteri usati da chi deve valutare gli insegnanti non rendendosi conto che una delle due sperimentazioni fa questo nelle griglie che verranno utilizzate dagli ispettori esterni, mentre l'altra lascia liberi "i pari" di definire, entro binari ampi, i parametri da prendere o non prendere in considerazione. Altro oggetto di forte opposizione è l'idea di premiare, anche solo sperimentalmente, singoli insegnanti perché questo minerebbe la cooperazione tra i docenti di una scuola, che invece devono lavorare in squadra. Ma chi così obietta, trascura che, nell'altro progetto, le scuole valutate come migliori riceveranno un finanziamento premiale che potrà essere distribuito liberamente al loro interno, anche a pioggia, proprio per vedere se l'effetto team funziona. Contro la distribuzione a pioggia si schierano invece quelli che vedono solo una soluzione basata su percorsi differenziati di carriera, senza però spiegare come dovrebbero essere selezionate le persone da promuovere. E senza nemmeno notare che la sperimentazione sui singoli insegnanti potrebbe in futuro suggerire un metodo condiviso per capire chi maggiormente meriti ruoli di leadership. Io per primo, come tutti, ho delle idee a priori su quali di queste diverse soluzioni possa funzionare meglio, ma non me la sentirei di mettere la mano sul fuoco in difesa dell'una o dell'altra: vorrei semplicemente vedere come funzionano nel concreto di una scuola e faccio davvero fatica a capire perché questo desiderio di "comprendere sperimentalmente" non debba essere da tutti condiviso indipendentemente dalle proprie convinzioni. Capisco chi vorrebbe la perfezione qui e subito, ma non è nelle possibilità umane soprattutto perché non siamo tutti d'accordo su come sia fatta. C'è chi dice che i due terzi d'insegnanti che affermano di voler essere valutati sono in malafede perché in realtà, alla resa dei conti, non lo vogliono affatto. Io non ci credo. Penso invece che gli insegnanti non abbiano avuto modo di capire quali opportunità queste sperimentazioni possono offrire, in primo luogo per difetto di chiarezza di chi, come me, le ha proposte. ___________________________________________________ Corriere della Sera 2 gen. ’11 I PROF CHE DARANNO I VOTI AGLI ATENEI UNIVERSITÀ LA FORMAZIONE DELL' AGENZIA PER LA VALUTAZIONE DEL SISTEMA CHE ATTRIBUIRÀ I FONDI IN BASE AL MERITO Una rosa di 15 nomi, il ministro ne indicherà 7. C' è l' economista Kostoris ROMA - Molti si aspettavano pezzi da novanta, nomi famosi o almeno conosciuti dal grande pubblico. E invece il comitato d' esperti guidato da Salvatore Settis, ex direttore della Normale di Pisa, ha scelto una strada diversa. Tra i quindici candidati per l' Anvur, l' agenzia per la valutazione del sistema universitario, ci sono professori sì di livello ma lontani dallo star system accademico. Tre donne e dodici uomini, la lista non è ancora ufficiale ma secondo indiscrezioni l' unico nome noto è proprio quello già circolato: Fiorella Kostoris, economista, docente della Sapienza ed ex moglie di Tommaso Padoa Schioppa. Gli altri sono materia per addetti ai lavori, professori scelti dando la precedenza a chi ha già esperienza nel difficile campo della valutazione visto che l' Anvur sarà chiamato a mettere i voti alle università italiane e giocherà un ruolo importante nella distribuzione dei fondi. Alla lista dei quindici il comitato è arrivato esaminando più di 300 domande. Oltre al curriculum pesava il cosiddetto impact factor, cioè il numero di citazioni sulle riviste scientifiche. Il comitato ha poi cercato di garantire un certo equilibrio non solo tra i vari campi disciplinari ma anche tra le diverse università. Adesso il ministro Mariastella Gelmini dovrà scegliere sette nomi e i sette eleggeranno fra di loro il presidente. Chi sono gli altri candidati? Partiamo dalle donne, dove la competizione è meno serrata. Da regolamento, nell' Anvur ci dovranno essere almeno due donne e quindi delle tre candidate solo una potrebbe restare fuori. Oltre alla Kostoris i nomi in lizza sono Gloria Pungetti, che arriva da Cambridge e si occupa di geografia umana, ed Anna Laura Trombetti, che insegna storia a Bologna ed ha lavorato sulla valutazione in varie università italiane. Tre gli ingegneri: Sergio Benedetto, del politecnico di Torino, Alberto Felice De Toni, docente a Udine e presidente della commissione che ha ridisegnato gli istituti tecnici e professionali, e Andrea Bonaccorsi, che insegna a Pisa, ha un ottimo curriculum nel campo della valutazione e viene considerato vicino all' area Pd. Ci sono poi il fisico Stefano Fantoni, che arriva dalla Sissa di Trieste, la scuola internazionale superiori di studi avanzati, ed ha un ottimo nome nel suo campo. Due gli astrofisici: Giovanni Bignami, ex presidente dell' agenzia spaziale italiana e docente a Pavia, e Nazzareno Mandolesi del Cnr di Bologna. Per la medicina i professori in lizza sono Giuseppe Paolisso, della seconda università di Napoli, e Carlo La Vecchia, della Statale di Milano, mentre per veterinaria il nome è quello di Massimo Castagnaro, ordinario a Padova, grande esperto del morbo della mucca pazza. Restano Agostino Cortesi (matematica a Venezia), Giacinto Della Cananea (diritto a Roma Tor Vergata) e Andrea Graziosi (storia alla Federico II di Napoli). La lista dei quindici non è stata ancora firmata dal comitato d' esperti che l' avrebbe informalmente trasmessa al ministero dell' Istruzione. Per l' ufficialità bisogna aspettare una decina di giorni. Lorenzo Salvia RIPRODUZIONE RISERVATA **** L' agenzia che misura l' efficienza **** Il decreto istitutivo e le finalità L' Anvur è l' agenzia nazionale preposta a valutare il sistema universitario e della ricerca. È costituita dal decreto legge 262 dell' ottobre 2006 **** Il via libera per l' inizio dei lavori Il regolamento dell' Anvur entra in vigore solo l' 11 giugno scorso. Segue il bando per i componenti: al ministero arrivano oltre 300 candidature **** Creazione e durata del Consiglio Presidente e membri del Consiglio direttivo restano in carica quattro anni. Vengono nominati con decreto del presidente della Repubblica **** 300 Le domande Al comitato d' esperti sono arrivate oltre 300 richieste di candidati al consiglio dell' Anvur **** 5 I membri del comitato Il consiglio è selezionato da un comitato di selezione. Il presidente è Salvatore Settis, ex direttore della Normale Salvia Lorenzo ___________________________________________________ Corriere della Sera 31 dic ’11 TROPPI COMITATI PER MISURARE GLI ATENEI La legge Gelmini - firmata ieri dal Capo dello Stato seppure con qualche riserva - riguarda la riforma dell' università secondo «criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e meritocrazia». Alla lettura, stile e sostanza della legge appaiono stranamente di stampo sovietico. La ragione è evidente: i provvedimenti istituzionali, che nella legge in questione sono tesi a rendere il nostro sistema universitario migliore, mettono in moto processi sempre dall' alto verso il basso e mai all' incontrario. In questo modo, essi svuotano di importanza il ruolo degli studenti, che anche per questo motivo protestano. Questi non possono decidere quale università funziona meglio di un' altra nel modo più semplice di tutti, cioè andandoci. Devono invece aspettare che sia il ministero a farglielo sapere. Ora, non c' e dubbio che le università italiane debbano fare uso di criteri di valutazione. Tra l' altro, se si vuole internazionalizzare, bisogna che le università italiane accedano ai ranking degli atenei. Uno studente cinese o indiano, per venire da noi, vuole che la tua università appaia in buona posizione nelle classifiche internazionali. La legge Gelmini tiene meritoriamente conto di questa esigenza, e ne fa anzi il suo punto di forza. Non sono però d' accordo sul modo in cui la legge stessa pretende di formulare e risolvere il problema. Il problema in questione non ha infatti a che vedere con il riconoscimento in linea di principio che il merito sia una qualità fondamentale di un sistema universitario, e che esso debba essere pubblicamente e se possibile internazionalmente riconosciuto. Su questo dovremmo essere tutti d' accordo. Il problema concerne invece il come si possa affermare il merito attraverso un disegno istituzionale. La risposta della legge consiste nel dire che il merito si affermerà attraverso un metodo burocratico di valutazioni comparate. Ma proprio nel cuore del sistema di valutazione comparata si nasconde l' aspetto sovietico della legge e la sua difficile applicabilità. Perché chi decide sulla natura delle valutazioni? Un «Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario» (Cnvsu), istituito presso il ministero su parere dell' Agenzia di valutazione nazionale chiamata Anvur, coadiuvata da analoghi comitati valutatori presso i singoli atenei e da un comitato di sette garanti chiamato Cngr. La scelta dei membri del Cngr avviene infine sotto l' egida di un comitato di selezione «composto da cinque membri di alta qualificazione, designati, uno ciascuno, dal ministro, dal presidente del Consiglio direttivo dell' Anvur, dal vice presidente del Comitato di esperti per la politica della ricerca (Cepr), dal presidente dell' European Research Council, dal presidente dell' European Science Foundation». Insomma, il nostro ministro non si è fatto mancare niente. Ma si può mai pensare che un meccanismo così zdanoviano funzioni davvero? L' impossibilità pratica che la riforma funzioni diventa trasparente quando si nota che tra testo e disposizioni «transitorie e finali» si contano tra quattro e cinquecento norme (sono tante che è difficile contarle). Il tutto con uno stile imbarazzante. D' accordo, le leggi non sono un esercizio letterario, ma tutti noi abbiamo letto di un tale di nome Azzeccagarbugli... Lo si noti, non vi sta parlando un rivoluzionario. Non ritengo che una legge sull' università dovrebbe aiutarci a costruire Harvard in Italia. Piuttosto, mi sembra che un indirizzo legislativo basato sulla volontà di aiutare studenti e famiglie a decidere dove frequentare l' università sia assai più semplice di quanto non lo sia un insieme di comitati composti di comitati. Finora ho comunque parlato del punto più alto della riforma. Ho trascurato quelli più deboli. Primo di tutti l' assoluta mancanza di certezza sulla copertura finanziaria. Qui, la questione non è solo pratica: «Visto che non ci sono i soldi pubblici, chi altro può pagare?». Ma anche etica: «Con quale coraggio si fanno certe proposte senza soldi?». Per esempio, non è chiaro come si faccia a promettere la tenure (cioè una sorta di assunzione futura sottoposta a controllo di merito) ai futuri ricercatori a tempo determinato se non ci sono i fondi necessari per farlo. Anche sulla questione centrale della valutazione comparata degli atenei e dei dipartimenti non c' è previsione di spesa. Il meccanismo dei concorsi, poi, pare perverso, con tutti quei sorteggi da trasmissione tv generalista. La lista unica nazionale degli idonei senza numero limitato rappresenta inoltre un lasciapassare indiscriminato. Sullo sfondo, in conclusione, emerge un' intenzionalità repressiva nei confronti dei docenti: non li si immagina mai come ricercatori ma sempre piuttosto come burocrati destinati a passare la vita saltando da un comitato all' altro. RIPRODUZIONE RISERVATA MAFFETTONE SEBASTIANO ______________________________________________________________ Multiveritas 7 gen. ’11 UNIVERSITÀ E ANVUR. RIFORMA O CARROZZONE? di Marinella Lo”rinczi Marco Pitzalis ci ha segnalato un editoriale di Francesco Giavazzi apparso sulCorriere della Sera del 22 dicembre scorso, alla vigilia dell’approvazione definitiva della “epocale” riforma universitaria che porta la firma del ministro Gelmini. L’articolo, intitolato Più risorse a chi le merita. Voti (severi) agli atenei, è di una penosa miseria intellettuale. Riassumo la tesi: la classe dirigente attuale (in cui Giavazzi fonde maggioranza ed opposizione per evitare di indicare direttamente ed unicamente il governo) non è capace di fare meglio in materia di riforma universitaria; spetta ora all’opposizione vigilare sui decreti attuativi. Il professor Giavazzi gode della fama di “graffiante” opinionista, ma qui anziché ascoltare un ruggito felino, ci pare di sentire squittii preoccupati ed impauriti. L’illustre economista, addottorato alla MIT, in questi ultimi anni o era all’estero oppure non capisce nulla. Egli sostiene che al ministro Gelmini “va il merito dell’unica riforma varata in due anni e mezzo di governo”. Noi, vice versa, abbiamo ripetutamente sentito dal ministro recitare discorsi legnosi e preconfezionati dal cui stampo non poteva uscire perché non avrebbe avuto null’altro da dire oltre agli slogan e ai luoghi comuni demagogici. Donde, come si è visto, il di lei rifiuto di discutere della legge con chiunque, perché non ne sarebbe stata capace. Per cui l’elogiativo “merito” andrebbe sostituito con la secca ed oggettiva “responsabilità”. A conferma di quanto asserito circa la comprensione della situazione da parte del ministro si leggano i comunicati stampa sul sito del MIUR (http://www.istruzione.it/web/ministero/comunicati_10, in particolare quello del 1 dicembre 2010), contenenti affermazioni degni di extraterrestri appena sbarcati. Ad esempio, la piena di buon senso “Se le università saranno gestite male riceveranno meno finanziamenti”. Perché è detto al tempo futuro se la riforma sarebbe necessaria proprio perché le università SI SONO gestite male; e se si erano gestite male perché nessuno è intervenuto per tempo: minist(e)ro, Crui, revisori dei conti, senati, CdA? Altra bella affermazione gelminiana: Si porrà un limite massimo di sei anni per i mandati dei rettori, perché invece ogni università ha deciso al riguardo autonomamente. Ora, le modifiche di statuto che permettono gli allungamenti dei mandati sono state sempre vagliate ed approvate dal MIUR. E ministro è stato tra il 2001- 2006, negli anni caldi della riforma ascritta in genere a Luigi Berlinguer, la berlusconiana LETIZIA MORATTI. E via di questo passo: nel sito del nostro ministero dell’università e della ricerca, non nel sito di un circolo ricreativo dell’uomo qualunque. Il ministro Gelmini ha il “merito” di non aver ecceduto nella bontà della legge, il cui testo non prefigura perciò “una riforma perfetta” – continua il graffiante opinionista. D’altronde da questa classe politica è il migliore testo che possiamo attenderci (ma non diceva prima che era tutto merito del ministro Gelmini?): tutti ne sarebbero corresponsabili, a suo avviso. Il PD avrebbe proposto variazioni soltanto per proteggere chi all’università c’è già. Dimentica, Giavazzi, il caso dei lettori di madrelingua e dei CEL la cui carriera non verrà ricostruita dalla prima assunzione e che lavorano per uno stipendio inadeguato, da veri paria della docenza universitaria italiana. “La legge è un canovaccio tutto da riempire” – prosegue – con i regolamenti attuativi, possibilmente buoni, la cui responsabilità ricade – udite, udite! – sull’OPPOSIZIONE “che nei prossimi mesi non dovrà dimenticarsene” e che dovrà “tenere accesa l’attenzione”. Traduzione: il ministro Gelmini ha il “merito” di aver fatto approvare un testo pieno di lacune (per non parlare d’altro), dal momento che non era in grado di fare di più (limiti imposti dalla qualità della classe politica, NON del suo governo), e ora è compito dell’opposizione rimediare. “Le nostre [università] telematiche sono per lo più delle truffe” – scopre indignato l’illustre economista; ma non aggiunge il nome di chi le ha autorizzate. L’università telematica/a distanza è stata istituita in base alla Legge finanziaria del 27 dicembre 2002, n. 289, art. 26, comma 5 (http://it.wikipedia.org/wiki/Università_telematica); ministro dell’istruzione era LETIZIA MORATTI. Il 10 aprile 2006 lo stesso ministro emana il decreto ministeriale n. 216 (Definizione delle linee generali di indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2007- 2009; http://attiministeriali.miur.it/anno-2006/aprile/dm-10042006-n- 216.aspx) anche perché le università telematiche istituite, sei a partire dal 2004, presentavano inadeguatezze (segnalate dal CUN e dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario). Ma non le ha chiuse. Successivamente il ministro Mussi voleva intervenire, anche per chiuderle, ma non ne ha avuto il tempo. Tutta questa storia fino al 9.10.2008, essendo già ministro Gelmini, è riassunta al http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/repubblica-bari- universita-telematiche-denunce-in-parlamento.flc. A vigilare sull’università sarà d’ora in poi l’ANVUR, ma l’agenzia dovrà ricevere risorse adeguate. “La credibilità del ministro si giocherà anche sui fondi di cui riuscirà a dotarla: se questi verranno lesinati, la riforma sarà stata un esercizio inutile.” Così finisce l’articolo. Detto diversamente: se il ministro riesce a raggranellare fondi in più, li darà all’ANVUR affinché questa faccia funzionare, attraverso la valutazione, un’università priva di fondi adeguati. O, anzi: la riforma è stata fatta soltanto per far funzionare l’ANVUR, prevedibilmente, partendo da queste premesse, un altro carrozzone. 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Insomma, il professore-senatore non sa o non dice una serie di cose che dovrebbe invece sapere e dire. Non foss’altro che per l’etica della sua professione (si ricorda, professore, del Weber di La scienza come professione?) Uno degli argomenti principali cavalcati tanto dalla Gelmini quanto da Quagliarello è quello secondo cui l’università italiana versa in un pessimo stato e ciò è certificato dai rankings internazionali: nessuna università italiana è tra le prime 200. Questo basta e avanza per giustificare la riforma “epocale”. Tutto chiaro allora? Per niente, siamo in piena mistificazione. Nel 2008 il Times Higher Education Supplement, accanto ai ranking per singola istituzione, ha fatto anche quelli dei sistemi di istruzione superiore. Sorpresa! L’Italia si piazza all’ottavo posto nel mondo e primo in Europa per la probabilità che uno studente ha di ricevere una buona istruzione e al dodicesimo posto nel mondo in termini di qualità complessiva del sistema. Il professore ignora, o vuol ignorare, questo dato proveniente da una delle fonti che cita per screditare l’università. Ma mica finisce qui. Il nostro accademico-senatore non sa, o non vuol sapere, che è appena uscito un rapporto UNESCO, secondo cui il sistema americano, per quanto riguarda la didattica, è uno dei peggiori al mondo, sebbene le sue istituzioni di vertice egemonizzino i ranking internazionali. Perché? Perché ha ottimi e ben finanziati centri di ricerca, ma per il resto e nel complesso non è che se la sfanghi bene. C’è un’altra mistificazione presente nel Quagliarello-pensiero e nel non- pensiero gelminiano: la ricerca italiana se non è pessima poco ci manca, gli accademici italiani passano il tempo a scrivere di cose eccentriche e irrilevanti, si produce poco e con scarsissima rilevanza internazionale. Una recente ricerca del CNRS francese ci dice tutt’altro. La ricerca italiana si piazza all’ottavo posto nel mondo e al quarto in Europa per numero di pubblicazioni; è al settimo posto nel mondo per numero di citazioni; le eccellenze sono nei campi della medicina, matematica, fisica, biologia molecolare e genetica, scienze spaziali, neuroscienze e scienze del comportamento; i giovani ricercatori italiani si piazzano al secondo posto in termini di successo nell’ottenimento dei finanziamenti del Consiglio Europeo della Ricerca; delle 45.000 pubblicazioni prodotte nel 2007 il 40% sono frutto di collaborazioni internazionali. Va sottolineato che i Paesi che ci precedono sono quelli in cui il finanziamento dell’università e della ricerca è nettamente più alto del nostro. E a proposito di finanziamento, il professore-senatore non dice che l’Italia si trova al trentaseiesimo posto dei paesi OCSE relativamente alla spesa per l’istruzione universitaria sul PIL, al ventiseiesimo posto per quanto riguarda il rapporto docenti-studenti e tra gli ultimi relativamente al numero di studenti che beneficiano di sussidi e borse di studio. Ancora qualche numero. Sin dall’inizio il ministro Gelmini e i suoi corifei vanno dicendo che in Italia ci sono più di 5.500 corsi di studio, tra lauree e lauree specialistiche (dato corretto) e che ciò non ha corrispettivo in Europa. Davvero? In Germania i corsi sono 11.000 (quasi 7.000 quelli universitari), in Francia 15.000, in Gran Bretagna circa 10.000. Che benchmark hanno usato il ministro e i corifei per sostenere il loro pseudo-argomento, i Paesi Baltici? E che dire dell’argomento che ci sono troppe università? Ricordo che in epoca Moratti sono stati istituiti una dozzina di atenei telematici (in Gran Bretagna ce n’è uno: la Open University di Birmingham con 11.00 iscritti e una rilevante attività di ricerca), con un numero di iscritti ridicolo: si va da un minimo di 41 iscritti (Italian University Line di Firenze) al massimo di 3900 (Unisu di Roma). Solo l’università telematica Marconi può vantare più di 11.000 iscritti (dati MIUR Ufficio Statistica, 2009-2010). Ora la Gelmini dà a questi fantasmi telematici la possibilità di trasformarsi in atenei privati, CEPU compresa. Professore, perché non ne parla? Infine, ma ci sarebbe ancora molto altro da dire, il professore-senatore dice che «L’Inghilterra era uscita da qualsiasi classifica di merito e grazie a quei tagli [epoca Thatcher, NdA] ha ripreso a scalare le classifiche mondiali». A parte il fatto che le “classifiche di merito” esistono dal 2003 e che al tempo dei tagli non ve ne era traccia, quello che il professore non sa è che negli anni ’90 la politica universitaria britannica si accorge del disastro prodotto da quei tagli in termini di qualità della didattica e della ricerca. A partire dalla metà degli anni ’90 il sistema viene fortemente finanziato e questa politica è continuata fino a quest’anno (governo Cameron). Giusto per dare l’idea, tra il 2000 e il 2007 la spesa pubblica in istruzione superiore britannica è cresciuta del 50% contro il nostro 12% dello stesso periodo (dati OCSE). Se la Gran Bretagna oggi è in alto nelle classifiche è perché il suo sistema è stato ben finanziato, non de-finanziato. E lo stesso si deve dire della Germania e la Francia che hanno immesso miliardi extra per finanziare le rispettive politiche per l’eccellenza dell’istruzione superiore. Questa riforma produrrà effetti molti negativi e pochissimi positivi (il caso britannico insegna) sull’università italiana. Questo, il professore- senatore lo sa, ma non lo vuole né può dire. Massimiliano Vaira Università degli Studi di Pavia Una versione di questo articolo è stata pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” ______________________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 5 gen. ’11 OCSE: SCUOLA E UNIVERSITÀ, ITALIA BOCCIATA dal rapporto Ocse sull’istruzione I nostri docenti sono pagati meno che negli altri Paesi. Investiamo meno della media europea in questo settore: solo la Slovacchia ha un dato peggiore La pagella dell’Italia è negativa. Non riserva sorprese la pubblicazione del nuovo Rapporto Ocse sull’educazione “Education at a glance 2010?. Le 500 pagine che fanno il punto sull’istruzione dei 30 Paesi aderenti all’organizzazione per lo sviluppo economico, parlano chiaro: il nostro Paese spende solo il 4,5% del Pil nelle istituzioni scolastiche contro una media europea del 5,7%. Dietro di noi, tra i paesi industrializzati, solo la repubblica slovacca. Persino il Brasile, con il 5,2% e l’Estonia (5%) spendono di più. Ogni anno il documento si arricchisce di nuovi indicatori che analizzano e confrontano lo stato dell’istruzione ai diversi livelli dei rispettivi sistemi scolastici, adulti compresi. Oltre alla percentuale della spesa per l’istruzione sul prodotto interno lordo, a rivelare in che condizioni è l’istruzione anche il numero degli stranieri iscritti all’università, il numero di ore di insegnamento dalle primarie alle secondarie superiori, gli stipendi dei docenti e il numero di allievi per classe. Nella scuola primaria il costo salariale per studente, è 2.876 dollari, 568 dollari in più della media Ocse, ma il salario medio dei docenti è inferiore di 497 dollari alla media Ocse che è di 34.496 dollari. A spingere in alto i costi sono le maggiori ore di istruzione (+534 dollari), il minore tempo di insegnamento (+202 dollari) e le dimensioni delle classi (+330 dollari). Più nello specifico i docenti italiani sono pagati meno anche dopo aver raggiunto l’anzianità di servizio con 601 ore di insegnamento, che ci piazzano tra gli ultimi paesi anche in questo campo (media Ocse 703). Un maestro di scuola elementare che inizia con 26 mila dollari non supererà i 38 mila (media Ocse 48 mila), un professore di scuola media parte da 28mila per arrivare a un massimo di 42mila (51mila Ocse), mentre un docente di liceo a fine carriere arriva a 44mila (55mila Ocse). Inutile dirlo l’Italia è sotto la media, anche se si guardano gli altri numeri. La situazione del nostro Paese, infatti, è tutt’altro che incoraggiante, la spesa pubblica nella scuola, raggiunge solo il 9% della spesa pubblica totale inclusi sussidi alle famiglie e prestiti agli studenti. Anche in questo caso il livello più basso tra i paesi industrializzati contro il 13,3% della media Ocse. Senza considerare che l’80% della spesa corrente è assorbito dalle retribuzioni del personale, docente e non, contro il 70% medio negli altri Paesi aderenti all’organizzazione. A rimetterci sono le università. Sul rapporto si legge che la spesa media per studente inclusa l’attività di ricerca è 8.600 dollari contro i quasi tredici mila Ocse. Va meglio alle scuole primarie e secondarie con un investimento pro capite di 7.950 dollari contro lo standard individuato in 8.200. Ma la spesa cumulativa per uno studente dalla prima elementare alla maturità è di centouno mila dollari (contro 94.500 media Ocse), cui vanno aggiunti i trentanovemila dollari dell’università contro i cinquantatremila della media Ocse. Ne risulta dunque che l’Italia investe ancora poco e male nell’istruzione con un contraccolpo importante per lo sviluppo economico. Lo stesso segretario generale dell’organizzazione Angel Gurria, durante la presentazione del rapporto, ha sottolineato come “ l’istruzione, mentre siamo alle prese con una recessione mondiale che continua a pesare sull’occupazione, costituisce un investimento essenziale per rispondere alle evoluzioni tecnologiche e demografiche che ridisegnano il mercato del lavoro”. Ne trarrebbero beneficio anche le entrate fiscali, l’insegnamento stimolerebbe l’occupazione perché dice l’Ocse mediamente nei paesi dell’area un uomo con un diploma di scuola superiore genera 119.000 dollari in più di entrate fiscali e di contributi sociali rispetto ad un uomo diplomato della scuola secondaria. Mentre la concorrenza si intensifica sul mercato mondiale dell’istruzione, gli Stati, sottolinea l’organizzazione internazionale, devono puntare per i loro sistemi educativi ad una qualità di livello internazionale in modo da assicurare una crescita economica di lungo termine. Ma il nostro è un Paese dove la percentuale degli abbandoni è ancora alta. Si sta sui banchi più degli altri, solo Israele ci supera e chi arriva alla fine degli studi non lo fa in ambito universitario, ma si ferma al diploma. Anche se i dati in questione fanno riferimento al 2008, e non tengono conto delle novità intervenute, viene da chiedersi come possa il nostro Paese diventare più competitivo sul piano economico visto che la riforma Gelmini, con otto miliardi di euro di tagli spalmati in tre anni, mette l’istruzione italiana in ginocchio. Se poi si aggiungono i diecimila precari che rischiano il posto, le 3700 classi in meno dello scorso anno con ventimila alunni in più negli istituti, il conto è presto fatto. E non serviranno certo i prossimi dati Ocse per conoscere il futuro di un settore condannato al peggioramento. di Luigina D’Emilio ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 gen. ’11 TEMPI E FONDI I NODI DELLA RIFORMA GELMINI di Dario Braga QUESTIONI DI CASSA Servono risorse per i concorsi di seconda fascia, gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica e per la dote premiale La legge 1905 Gelmini ci chiede (impone?) di ripensare l'università e, nelle i università, alcuni si preparano alla resistenza ad oltranza, altri invece stanno studiando il testo uscito dal Senato per gli atti conseguenti. Tuttavia, la vera partita si gioca su altri campi. A mio avviso, se la legge 1905 sarà, come sostengono alcuni, l'eutanasia di un sistema moribondo, oppure, come sostengono altri, l'iniezione di vitalità che tornerà a far correre la vecchia signora, o qualcosa d'intermedio, dipenderà da due fattori indipendenti: uno ovvio, i finanziamenti, e uno meno ovvio, i tempi. Servono le risorse per i concorsi di seconda fascia e serve il fondo per il merito per gli studenti e servono risorse per il fon-do sanitario nazionale, per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica e per il fondo premiale degli atenei. L'obiettivo deve essere prossimo, molto prossimo, altrimenti si verrà a creare un vuoto di passaggio nel quale potrebbero sì precipitare tantissime istanze di giovani capaci e svanire definitivamente le aspettative dei ricercatori più motivati. Un "brain waste" che questo paese non può tollerare oltre. L'altro fattore è il tempo. Mi riferisco alle numerose scadenze previste dalla legge, all'avvio delle procedure d'idonei-tà da associato o da ordinario (entro 90 giorni dalla data di emanazione), alle certezze sull'erogazione dei finanzia-menti, alla revisione dei settori scientifico disciplinari (attualmente più di 370) indispensabile per snellire le procedure di reclutamento e le idoneità. Il fattore tempo è anche cruciale sul fronte dell'accesso alle carriere e qui c'è molto da fare anche per le università. Non solo abbiamo da risolvere uno spaventoso problema "transitorio" rappresentato dalle migliaia di "ricercatori fantasma" che già operano nei nostri atenei, ma dobbiamo anche prevenire il formarsi di nuovo precariato. Precari non si nasce, precari si diventa se il ricercatore in formazione non si muove e se "invecchia" sul posto. La legge 1905 stabilisce un tempo massimo di io anni per la permanenza in posizioni di tempo determinato. Dieci anni sono tanti, ma sono sicuramente troppi se si esce dal percorso formativo (laurea triennale, magistrale e dottorato) già troppo vecchi. La legge si basa sul presupposto che l'aspirante accademico "tipo" abbia (tranne forse che a medicina) 27/28 anni, non 30/31 o oltre, a cui aggiungere un paio d'anni di postdoc, oppure un contratto da ricercatore a tempo determinato, per poi decidere se puntare a un contratto di "tipo tenure", magari in altra sede, e quindi all'idoneità da professore. In altri paesi funziona abbastanza, ma da noi? Se le cadenze della formazione prima, e la burocrazia dei concorsi e delle idoneità poi, non si adeguano all'obiettivo da raggiungere, la "tenure track" continuerà a essere una mera gara di sopravvivenza e non otterrà lo scopo di selezionare i migliori e più motivati. Giusto infine far dipendere l'erogazione di risorse "premiali" dalla valutazione. È quindi indispensabile che l'Anvur, l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, parta e divenga rapidamente operativa. Agli atenei la legge impone tempi stretti per adeguare gli statuti, pena il commissariamento. Sarebbe auspicabile che altrettanta fermezza venisse applicata all'avvio delle procedure di valutazione degli atenei e alle scadenze che riguardano le erogazioni di finanziamenti e l'avvio dei concorsi. Tempi certi, valutazione tempestiva e affidabile, e risorse certe consentono la programmazione e sgonfiano le tensioni da perpetua "ultima spiaggia". L'autore è prorettore dell'Università di Bologna ______________________________________________________________ La Discussione 11 gen. ’11 DAL CAPO DELLO STATO GLI STUDENTI A FAVORE DELLA RIFORMA GELMINI «Non era più sostenibile un sistema basato su concorsi truccati inefficienze clientele muri burocratici baronati e sprechi» Il capo dello Stato ha ricevuto ieri al Quirinale il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, guidato dal presidente Mattia Sogaro e dal vicepresidente Pietro Smarrazzo. Al centro dell'incontro la recente riforma dagli atenei varata dal Parlamento. I rappresentanti degli studenti hanno consegnato a Napolitano un documento nel quale sono espressi i motivi del loro "sì" alla legge elaborata dal ministri Gelmini e hanno ribadito come la maggioranza degli studenti eletti da tutti gli universitari nelle ultime due tornate elettorali abbia scelto una rappresentanza nazionale pro-riforma. Per Andrea Volpi, coordinatore Nazionale di Azione Universitaria e Erio Buceti capogruppo al Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari di Studenti per la Libertà Azione Universitaria «l'incontro è la chiara smentita della piazza che ha contestato questa riforma universitaria». «Al Presidente Napolitano continuano abbiamo ribadito il nostro totale appoggio alla riforma e sottolineato la costanza negativa dei tagli all'Università e alla Ricerca che tutti ì Governi hanno apportato all'Università, pur apprezzando e recependo i suoi appunti, già espressi in sede di ratifica». «Saremo vigili nella stesura dei decreti attuativi — hanno, altresì, assicurato i due rappresentanti degli studenti attraverso un continuo controllo per evitare che la legge venga stravolta nei principi, riformatori e meritocratici. Siamo consapevoli che questa sia una riforma perfettibile ed è per questo che continueremo a spenderci per il suo miglioramento e completamento. Non era più sostenibile un sistema basato su concorsi truccati, inefficienze, clientele, muri burocratici, baronati e sprechi. Il prossimo passo concludono non può che essere una riorganizzazione del sistema del diritto allo studio per rendere davvero la nostra università trasparente e merito-cratica». Per Gianluca Scuccimarra dell'Udu e membro dell'ufficio di presidenza del Cnsu il faccia a faccia di Napolitano con gli studenti rappresenta, «in maniera inopinabile», la conferma di una mancanza di dialogo con il Governo e con il ministro Gelmini sui temi della riforma accademica. A suo dire il capo dello Stato avrebbe confermato «grande preoccupazione per i tagli agli atenei e al diritto allo studio, che aggravano ulteriormente quelli che saranno i danni di questa riforma». Gli studenti che si oppongono alla riforma hanno confermato che stanno preparando la nuova strategia di opposizione al testo. Le scelta da attuare sono in discussione all'interno degli organi accademici degli atenei. L'intento è quello di modificare «gli statuti delle università pubbliche» ma anche avviare «una ripresa delle assemblee studentesche per proseguire ha concluso Scuccimarra con una mobilitazione che vede ormai nella caduta del Governo l'unica soluzione per arenare questa riforma e per fermare il vero e proprio stupro che questo Governo sta portando avanti contro il futuro del nostro Paese». Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni si è detta «grata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per aver ascoltato il parere e le analisi esposti dai rappresentanti degli studenti universitari italiani eletti nel Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari». «Era importante ha proseguito dare spazio alla voce degli studenti democraticamente eletti. Ritengo sia un segnale di grande importanza il fatto che ad ascoltare le loro ragioni sia stato proprio il capo dello Stato che nei giorni scorsi aveva accolto anche una delegazione di manifestanti anti-riforma. Naturalmente tutte le opinioni solo legittime, anche quelle di forte dissenso. Tuttavia conclude il ministro il nostro ordinamento universitario prevede sistemi di rappresentanza democratici la cui autorevolezza è data dalla libera espressione di voto degli studenti». ______________________________________________________________ Libero 14 gen. ’11 QUATTRO RAGAZZI SU CINQUE STUDIANO PER NIENTE Il fallimento di scuola e università Solo il 16% dei giovani ha un'occupazione corrispondente al titolo di studio. E per i laureati si sale appena al 24% DINO BONDAVALLI Uni Difficile dire cosa sia peggio: se il fatto che solo il 16,5% dei giovani diplomati svolga un lavoro per cui ha studiato, o il fatto che anche tra i laureati la coerenza tra studi compiuti e lavoro svolto non superi il 24,5%. Ciò che è certo, è che il quadro che emerge dall'indagine sui giovani e il lavoro realizzata da S&G Kaleidos per Job, il mensile free press della Cisl di Milano, è a dir poco sconfortante. Così come è certo che l'orientamento rappresenta un grosso problema, se in un territorio come la provincia di Milano solo un ragazzo su cinque - considerando la media di diplo - mari e laureati - riesce a svolgere un'attività corrispondente al suo titolo di studio. L'indagine, rivolta ai giovani milanesi tra i 18 e i 34 anni di età, mette infatti in evidenza che ben il 40% dei diplomati e il 33% dei laureati svolge un impiego che non ha nulla a che vedere con i suoi studi, mentre il resto del campione utilizza le competenze acquisite a scuola o all'università solamente in rarissimi casi. Non deve quindi stupire se solo il 27% degli under 35 in provincia di Milano dichiara di aver trovato un impiego soddisfacente, a fronte di un 54% di giovani poco o per nulla stimolati da ciò che fanno. Colpa di un orientamento agli studi che non tiene conto delle reali necessità del mercato del lavoro, ma anche di «una gerarchia idealistica che porta le famiglie e i giovani a snobbare determinati percorsi a favore di altri», ha commentato Alberto Barcella, presidente di Confindustria Lombardia. Basti pensare a quanto accade con gli istituti tecnici superiori. «Pur offrendo una qualità molto alta degli insegnamenti, che garantisce ai giovani la possibilità di scegliere se inserirsi nel mondo del lavoro dopo la maturità o proseguire la formazione a livello universitario, gli istituti tecnici ancora oggi vengono tenuti in scarsa considerazione», ha proseguito Barcella. D'altra parte, se solo un ragazzo su cinque svolge il lavoro per cui ha studiato, la responsabilità è dell'intero sistema scolastico. Un sistema incapace di «indirizzare i giovani verso corsi che si attagliano ai loro talenti, anziché verso corsi che vanno di moda o che sembrano preferibili in base a una serie di considerazioni che rappresentano solo un residuo del passato», ha concluso il presidente degli industriali lombardi. In questo contesto diventa inevitabile che «il lavoro sia sempre meno un modo per realizzarsi e per mettere in gioco le proprie capacità, e sempre più un mezzo per fare altro, perché la vita è altrove. - ha sottolineato Danilo Galvagni, segretario generale della Cisl meneghina - Non a caiso il rapporto con il lavoro è diventato quasi utilitaristico: un giovane su due dice di guardare soprattutto allo stipendio, e tanti ragazzi finiscono per ripiegare su mansioni che non corrispondono alle loro aspettative e inclinazioni». Di fronte a un quadro del genere non sorprende che il numero di immatricolati alle università lombarde stenti a crescere; nonostante in Italia «la percentuale di laureati trai 25 e 35 anni sia soilo del 19% - ha sottolineato Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea - poco meno della metà rispetto alla media dei paesi Ocse». E nemmeno che a Milano un giovane su due sarebbe disposto ad andare all'estero per trovare un lavoro. Magari coerente con il percorso di studi seguito. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 gen. ’11 UNIVERSITÀ E PECORE L'attualità educativa dell'Icare» A insospettire doveva bastare il progetto di una rivoluzione in Italia. Una scuola dimagrita dal sindacalismo, redenta dalla retorica dei bidelli, liberata dal familismo baronale. Salvata soprattutto dalla miseria e dalla noia, per Nietzsche il contrappasso della sua democratizzazione. Il ministro Mariastella Gelmini aveva promesso la luna. Vendicarci addirittura di Napoleone, che piegò l'educazione allo Stato condannandola al più tragico dei destini: costruire l'ignobile élite dell'Ottocento, la famelica burocrazia del Novecento, l'industria dei consumatori attuali. Totalmente incapaci di visione ma imbattibili nel perseguire il valore economico decisivo, quello televisivo Scampata al politicamente corretto per ragioni ignote, Gelmini aveva intuito che la nostra educazione era il delirio coronato dai ministri-notaio delle volontà postume del Sessantotto. Una scuola che produce il livello d'ignoranza più alto d'Europa, soggiogata da libri di testo e programmi a misura di madri uscite dai Grandi Fratelli e padri reduci da campi di calcetto. E un'università che dopo aver fornito il modello al mondo non entra nemmeno fra le prime duecento, ridotta com'è alla parodia di un campus americano. Senza campus, però, senza americani e con falangi di maoisti nelle sale di comando. Anche solo per questo la riforma Gelmini era un piano incendiario. Una scuola guidata da fondazioni avrebbe cancellato le partouzes con la politica, ridotto le lauree in Igiene del gatto e Storia del fiore, impiegato le risorse nell'assunzione di professori selezionati non sulla cooptazione dei provveditorati ma sul merito, che avrebbe stabilito il loro stipendio e quello futuro degli allievi. Sgravata dall'ipoteca del valore legale del titolo di studio questa scuola avrebbe infine sostituito l'immorale sistema dei corsi di recupero con una nuova moralità, garantita dall'aggettivo "statale". Perché questa rivoluzione rischia di fallire? O peggio diventare l'exit strategy del berlusconismo? Forse una risposta può darla Università e pecore, l'ultimo scritto di don Lorenzo Milani. L'unico che il priore di Barbiana (1) non volle distruggere tornando, malato, a casa dalla madre, dove scomparse il 26 giugno 1967 a soli quarantaquattro anni. Università e pecore è il testamento intellettuale di un personaggio straordinario e assolutamente eccentrico nel panorama italiano del Novecento, molto di più di un borghese ebreo illuminato da Cristo. Dopo L'obbedienza non è più una virtù e Lettera a una professoressa, in cui i ragazzi della scuola di Barbiana denunciavano i limiti e il modello di sfruttamento umano e intellettuale di un sistema scolastico dassista, Università e pecore è un testo quasi profetico, dove si svelano i meccanismi del processo culturale per cui una parte dell'umanità viene obbligata a dimenticare la propria coscienza fino a diventare uno strumento, un soggetto passivo vittima del potere e delle mode. Invece, solo una scuola centrata sulla persona e sulla umanità irripetibile può riportare alla realtà, cioè al riconoscimento fra persone, siano esse contadini, dottori, preti o professori. «Così Adolfo», scrive don Milani descrivendo la dialettica tra signori e servi, «ha passato la sua infanzia colle pecore e ora è grande e lavora invece il podere e colle pecore manda Adriano. E Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché non può andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da fare la lana e gli agnelli e il cacio. E poi si vende la lana e gli agnelli e il cacio e la metà d'Adolfo basta solo per campare mentre la metà del signorino messa insieme a altre metà di altri poderi basta bene per andare a scuotatori di senso prima che di istanze e proteste. A proposito di proteste. Come per Danilo Dolci e Ivan Illich, anche per don Milani i difficili, gli emarginati e gli esclusi dalla retorica di un sistema scolastico violento in quanto classista devono rivendicare i loro legittimi diritti. Sapendo però che il rischio è diventare a propria volta parte del sistema di oppressione. L'unica salvezza sta nell'insegnare a riconoscersi come uomini, dunque uguali a ogni altro uomo, che per natura è a immagine e somiglianza di Dio, quindi artista e creativo. Un messaggio profetico, antimoralistico e non violento. A condizione però d'intendere la non violenza come energia attiva, impegnata contro l'autoritarismo del sapere e di chiunque approfitti dell'indifferenza per generare caos. «Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti. Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell'arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti». «La testa di Marconi non vale un centesimo di più della testa di Adolfo davanti all'unico Giudice cui ci dovremo presentare. Se quel Giudice quel giorno griderà "Via da me nel fuoco eterno" per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica? E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà riconoscere l'aggravante della provocazione? A quale dei due l'attenuante dell'estrema ignoranza? D'una ignoranza così grave da non esser neanche più uomini. Neanche forse più soggetti d'una qualsiasi responsabilità interiore» LORENZO MILANI TRA AMORE E REALTÀ Lorenzo Milani Comparenti nasce il 27 maggio 1923 in una ricca famiglia fiorentina, da padre laico, Albano Milani, e madre ebrea non credente, Alice Weiss. Un'infanzia di privilegi in una borghesia illuminata: il cugino materno Edoardo Weiss fu uno allievo di Freud e fondatore dell'Associazione italiana di psicoanalisi; il bisnonno paterno era Domenico Comparetti fu filologo tra i maggiori dell'Ottocento. Da questo humus nasce l'attenzione che Lorenzo darà alla parola. A vent'anni, dopo un periodo all'Accademia di Brera, si converte. Una conversione che da "signorino" lo trasforma in fratello degli emarginati e dei poveri. Scriverà monsignor Raffaello Bensi, suo padre spirintale: «Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire». Ordinato prete, nel 1947, fu inviato come cappellano nella parrocchia di San Donato, dove diede vita alla prima scuola popolare che continuò quando, nei 1954, fu mandato "in esilio" a Barbiana, una frazione di nicchio dei Mugello sull'Appennino toscano. Avversato dalla gerarchia ecclesiale e dalla politica di destra e sinistra, fu processato, nel 1965, per apologia di reato avendo invitato all'obiezione di coscienza nella Lettera ai cappellani militari. Con i suoi ragazzi scrisse Letterari una professoressa, denuncia delle disuguaglianze prodotte dalla scuola di classe fatta solo per i ricchi. Mori nel 1967, per leucemia, a 44 anni. Esempio di una vita dedicata ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 12 gen. ’11 NIENTE TOGA PER I RICERCATORI Patrizia Maciocchi Con due distinte sentenze la Cassazione torna ad occuparsi degli avvocati. In particolare le Sezioni unite civili hanno affermato la discrezionalità del giudice nello scegliere tra la sentenza e l'ordinanza nell'ambito dell'impugnazione a un decreto ingiuntivo di pagamento per gli onorari dovuti dal cliente al difensore (sentenza 390/2011). La Suprema corte, sempre in composizione collegiale, ha escluso la possibilità per i ricercatori universitari a tempo pieno di svolgere la professione di avvocato (sentenza 389/2011). La lite sulle tariffe applicate da un legale al suo cliente ha fornito alla Cassazione l'occasione per scegliere, tra orientamenti contrastanti, il criterio da adottare per individuare il mezzo d'impugnazione al decreto che impone il pagamento delle somme contestate. Secondo gli ermellini va lasciata al giudice la possibilità di optare tra sentenza e ordinanza, con una scelta che incontra il solo limite della consapevolezza e della «tutela dell'affidamento delle parti». La strada che il giudice imboccherà può essere desunta dall'iter del procedimento. Nel caso esaminato, il primo grado era stato trattato nelle forme di un ordinario procedimento contenzioso civile nel pieno consenso delle parti e in assenza di un tentativo di conciliazione dei magistrati che si erano avvicendati nel corso del processo. Modalità di gestione del processo che hanno coerentemente portato a una decisione in forma di sentenza appellabile dunque secondo le regole generali. Nessuna possibilità di scelta è invece concessa ai ricercatori universitari a tempo pieno, a cui la Cassazione nega la possibilità di restare iscritti all'albo degli avvocati e di esercitare la libera professione. I giudici di piazza Cavour affermano che i ricercatori a tempo indeterminato sono soggetti alla stessa incompatibilità prevista dal Dpr 382/1980 per i professori ordinari. Un'estensione che è prevista proprio dalle «disposizioni urgenti per i ricercatori universitari» (Dl 57/1987). Il decreto legge, anche in assenza di una espresso riferimento all'incompatibilità, stabilisce, al comma 5-bis, che l'impiego a tempo pieno nella struttura universitaria comporta l'obbligo di «sanare tutte le eventuali pregresse situazioni di incompatibilità con l'ufficio di ricercatore». È dunque chiaro l'intento del legislatore di sbarrare la strada alla libera professione ai ricercatori "full-time" mentre l'accesso all'albo è consentito a chi fa ricerca a tempo definito. ______________________________________________________________ Repubblica 13 gen. ’11 LE FACOLTÀ "AMENE" SECONDO LA GELMINI Tonino e Adele Gemma gemma tonino@libero.it A "Ballarò" il ministro Gelmini ha liquidato come «amenità» il corso di laurea in Scienze della comunicazione. Riteniamo che un ministro della Repubblica mai debba permettersi di liquidare una facoltà in modo irridente, poiché offende la sensibilità di persone che hanno investito sui propri figli e che, magari come noi, ne hanno due, entrambe laureate in Scienze della comunicazione con esiti brillantissimi. ______________________________________________________________ Repubblica 5 gen. ’11 ECCO I MIGLIORI "CERVELLI" ITALIANI IN TESTA LE UNIVERSITA' PUBBLICHE ROMA In Italia la ricerca migliore è quella pubblica e in particolare universitaria. Lo segnala la prima classifica dei centri di ricerca che ospitano i migliori "cervelli". Tra i primi dici, sette sono atenei pubblici: l'Alma Mater di Bologna apre la graduatoria, seguita dal Cnr e dalla Statale di Milano. I primi due istituti privati sono in ottava e decima posizione: l'Ospedale San Raffaele e l'Istituto nazionale dei tumori, entrambi milanesi. A precederli, università di Padova (quarta), Roma La Sapienza (quinta), Statale di Torino (sesta), l'Istituto nazionale di astrofisica (settimo), mentre l'università di Firenze è nona. La classifica è basata sul numero di scoperte di rilievo dei migliori scienziati e ricercatori. A contarle, i loro colleghi, anch'essi italiani, che però lavorano all'estero, riuniti nell'associazione Virtual italian academy (Via-academy), nata a Manchester. Via-academy ha prima classificato i migliori cervelli attivi in Italia, tenendo conto della quantità e della rilevanza accademica delle loro scoperte. Poi li ha suddivisi per posto di lavoro, ricavando una classifica delle strutture. Il valore delle ricerche di ciascuno studioso è misurato col cosiddetto indice "h": se uno scienziato ha un h-index di 32, ad esempio, significa che ha fatto 32 scoperte citate ciascuna almeno 32 volte, in scoperte di altri suoi colleghi. L'indice "h" privilegia in particolare i ricercatori che ottengono molti risultati di rilievo, a scapito di chi ne produce tanti, ma di scarso interesse, o di chi fa il colpo isolato. Per la graduatoria, sono stati considerati solo gli studiosi con un indice "h" di almeno 30. Poi sono stati raggruppati per centri di ricerca, e per ognuno di questi si sono sommati gli indici "h" dei relativi ricercatori. Più alta la somma, più alta la posizione in classifica. Via-academy si è soffermata sui primi 50 enti. Sono per lo più università statali, ma comprendono anche 11 università e istituti privati. L'ateneo di Pisa è undicesimo, seguito dall'Istituto Mario Negri e dagli atenei di Ferrara, Napoli e Genova. La Normale di Pisa è ventiduesima, la Bocconi trentanovesima, il Politecnico di Milano, quarantasettesimo. Il limite principale della classifica, nota l'università di Bologna che ha diffuso la notizia, è forse il fatto che la valutazione non è necessariamente esaustiva. Gli studiosi considerati sono infatti solo quelli rintracciati dai loro colleghi. E però plausibile che col tempo, e la notorietà, la classifica (aggiornata in tempo reale) vada via via completandosi con un numero crescente di partecipanti. Altro limite di cui tener conto è che l'indice "h" funziona principalmente come paragone tra ricercatori del medesimo campo disciplinare, e che privilegia chi ha una lunga carriera alle spalle rispetto ai giovani, per quanto brillanti. L'indice varia infatti sensibilmente tra ambiti diversi (è piuttosto alto ad esempio in campo biomedico). Inoltre, dall'uso di questi dati bibliometrici escono di solito svantaggiati i ricercatori che non pubblicano in inglese. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 gen. ’11 ATENEI VIRTUOSI: PREMI DA 720 MILIONI Gianni Trovati MILANO Il fondo di finanziamento delle università per la prima volta «sfora» l'anno di competenza, ma è in dirittura d'arrivo e prevede una quota «premiale» più sostanziosa dell'anno scorso. Il ministero ha terminato le grandi manovre per l'assegnazione, e sta comunicando i risultati ai singoli atenei: i «premi Gelmini», introdotti a fine 2008 per incentivare le università con i risultati migliori in fatto di didattica e ricerca, per il 2010 salgono a 720 milioni di euro, contro i 550 del 2009, e abbracciano, quindi, il 10% delle risorse complessive (l'anno scorso si erano attestati al 7%, e lo stesso decreto prevedeva un aumento progressivo negli anni). Accogliendo le richieste di una parte importante del mondo accademico, a partire dagli atenei riuniti nell'associazione Aquis, il decreto aggiorna i criteri per misurare il merito delle università, e decide di assegnare il66% del peso ai risultati della ricerca, limitando al 34% il valore delle performance della didattica. I nuovi parametri si pongono poi il problema dell'aggiornamento dei valori di riferimento, e di conseguenza cambiano la distribuzione degli indicatori impiegati per giudicare le attività di ricerca. Un peso preminente (35% del giudizio) viene assegnato al tasso di successo ottenuto dai docenti di ogni ateneo nei progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin); questo diventa quindi il dato più importante, e supera quello relativo ai giudizi assegnati dal Civr, il comitato per la valutazione della ricerca, a cui è assegnato il 30% del giudizio. Il problema è che i dati Civr sono molto datati, perché risalgono al 2001/2003, mentre il nuovo ciclo di valutazione, nonostante i decreti ministeriali, non è ancora partito. Completano la pagella della ricerca di ogni ateneo i successi ottenuti nei finanziamenti europei e internazionali (30% del giudizio) e i tassi di partecipazione nei programmi destinati ai giovani ricercatori (progetti Firb). I parametri di valutazione della didattica sono divisi in due capitoli equivalenti: quello sulla domanda si basa sul numero di studenti attivi, quello sui risultati misura, invece, i crediti ottenuti. Escono però temporaneamente di scena due dati chiave: il giudizio degli studenti (su cui, chiarisce il ministero, bisogna «rivedere le modalità») e il successo occupazionale, in attesa che venga costruita• l'anagrafe dei laureati (finanziata con due milioni di euro). L'aumento dei premi rispetto al 2009 interviene su un paniere complessivo che nel 2010 è sceso a 7,206 miliardi contro i 7.485 dell'anno prima. Per evitare penalizzazioni eccessive nei confronti degli atenei meno brillanti, però, il ministero interviene prevedendo una clausola di salvaguardia, finanziata con una quota da Li.,5 milioni del fondo ordinario queste risorse andranno distribuite fra chi perde troppo, per garantire che la flessione rispetto al 2009 nelle risorse totali • ricevute non superi il 5,5 per cento. In modo speculare, nessun ateneo potrà ricevere un assegno complessivo superiore a quello dell'anno scorso. Il meccanismo I PREMI Sale a 720 milioni la quota di fondo ordinario alle università destinata ai premi per i risultati in ricerca e didattica, introdotti dal decreto Gelmini del 2008 I CRITERI Sale il peso della ricerca (66% del giudizio), mentre viene limitato quello della didattica (34%). La voce più importante per valutare la ricerca è rappresentata dai tassi di successo di professori e ricercatori nei progetti di ricerca di interesse nazionale I LA CLAUSOLA Nessuna università potrà perdere più del 5,5% rispetto al 2009 ______________________________________________________________ La Stampa 11 gen. ’11 UNA PIOGGIA DI CONCORSI PER I PRECARI DEGLI ATENEI Ne sono stati banditi 470 da metà dicembre a fine anno FLAVIA AMABILE ROMA Il miracolo dei ricercatori a tempo indeterminato è avvenuto in quindici giorni. Dopo mesi di concorsi a singhiozzo, dal 14 dicembre alla fine dell'anno, in due sole settimane ne sono stati banditi circa 470. È l'ultima possibilità per chi vuole occuparsi di ricerca nelle università a tempo indeterminato ma anche per gli atenei di stabilizzare i precari e di usare dei fondi che sono già in cassa e che altrimenti, con tutta probabilità, dovrebbero restituire. Quando si è capito che la riforma Gelmini sarebbe diventata legge e, quindi anche la cancellazione definitiva dei ricercatori a vita, le università hanno deciso di muoversi. Anche perché il provvedimento non è ancora stato pubblicato e comunque non avrà decreti attuativi ancora per qualche tempo. Dopodiché ogni università dovrà redigere i propri regolamenti. Nel frattempo ogni assunzione è ferma. Ed ecco che se dal 1 gennaio del 2010 al 13 dicembre i concorsi sono stati circa 600, nelle ultime due settimane dell'anno è arrivata una pioggia di bandi che da sola vale quasi gli undici mesi e mezzo precedenti. E molto più abbondante di quel che ci si aspettava. Esisteva infatti un pacchetto di circa 200 assunzioni ancora da mettere a segno entro il 2010. Facevano parte del programma lanciato nel 2007 durante il governo Prodi dal ministro dell'epoca Fabio Mussi. I bandi del 2009 sono slittati al 2010 e non sono mancate confusione e contestazioni. Ad Agraria all'Università di Milano, la stessa commissione ha valutato in modo diverso i brevetti e alla fine ha vinto una candidata senza pubblicazioni internazionali. Oppure a Sassari dove, nonostante siano passati due anni dall'introduzione delle nuove norme, ancora hanno provato a inserire i tetti alle pubblicazioni. Rimanevano circa duecento posti da ricercatore a tempo indeterminato che gli atenei avrebbero dovuto bandire perché avevano già ricevuto i fondi per farlo. Ne sono arrivati quasi 300 in più perché le università che avevano anche una minima possibilità per bandire indipendentemente dai fondi Mussi ricevuti l'ha fatto. «È l'ultima speranza per i precari di poter ottenere un lavoro in tempi abbastanza brevi spiega Alessio Bottrighi, presidente dell'Apri, associazione dei precari della ricerca italiani-. Alcune università hanno perso l'occasione di fare molto di più: hanno deciso di non bandire concorsi ma nel frattempo hanno intascato fondi che potevano essere utilizzati». E sui quali ora non c'è chiarezza. Sono circa 130 i posti in totale non banditi ma i fondi per il momento sono nelle casse delle università a cui erano stati assegnati: Palermo, Tor Vergata, Siena, Chieti-Pescara, Trento, Sum, e Iuss Pavia. E nessuno sa se dovranno restituirli oppure no. Nel frattempo ieri al Quirinale è stato ricevuto il Cnsu, il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, l'organo ufficiale di rappresentanza degli studenti presso il ministero. «Il Presidente ha condiviso la preoccupazione per il rischio di un'estremizzazione delle posizioni, valorizzando la funzione del Cnsu e invitando nuovamente tutto il mondo studentesco ad esprimere il proprio giudizio e ad essere propositivo, in particolare considerando che la riforma non è soltanto una legge, ma un processo appena iniziato che richiede di essere attuato», ha raccontato il presidente Matteo Sogaro. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 15 gen. ’11 PER I RETTORI È NECESSARIO RENDERE PIÙ FORTE L'AUTONOMIA Sì al rafforzamento dell'autonomia istituzionale degli atenei, no a un modello che replichi in ambito universitario il rapporto che oggi c'è fra regioni e sistema sanitario. L'appello arriva dal presidente della Crui, Enrico Decleva, intervenuto ieri a Milano al convegno «Università di qualità per gli studenti meritevoli: il nuovo ruolo delle regioni». Per Decleva, «è necessario che l'intervento delle regioni non sia in competizione, ma in coordinamento con le università». L'occasione per discuterne è stata il ventennale della Fondazione Ceur (centro europeo università e ricerca), che ha coinciso con l'inaugurazione, a Milano, del dodicesimo collegio universitario «Camplus» in Italia. Per il presidente Roberto Formigoni, «una delle richieste storiche della regione, il federalismo differenziato, è stata accolta nella legge Gelmini. Gli accordi con il ministero dell'Università - ha aggiunto Formigoni - ci permettono di tenere conto delle specificità del territorio». (Fr.Mi.) ______________________________________________________________ Italia Oggi 11 gen. ’11 DOCENTI UNIVERSITARI, ACCESSO AL RESTYLING Regolamento ministero università Ci vorranno due monografie e otto saggi significativi per ottenere l'idoneità di professore ordinario in giurisprudenza, almeno cinque per quella di associato in matematica e 5- 10 lavori originali per quella di ricercatore in medicina. Il passaggio in cattedra d'ora in poi transiterà da qui: attraverso l'attestazione di pubblicazioni scientifiche di qualità presupposto indispensabile per ottenere quell'abilitazione scientifica nazionale che modifica, in modo sostanziale, l'accesso alla docenza. I requisiti sono contenuti in un regolamento del ministero dell'università guidato da Mariastella Gelmini che ItaliaOggi ha potuto visionare e che mette in atto uno dei punti più significativi e attesi della riforma universitaria. In sostanza se fino ad ora chiunque, dopo aver superato un concorso locale, poteva vincere un posto come ricercatore o professore associato e ordinario, senza dover necessariamente vantare nel proprio curriculum una lista più o meno nutrita di pubblicazioni, d'ora in poi la strada per salire in cattedra sarà in salita. E per ottenere la fatidica abilitazione nazionale di durata quadriennale ci saranno indicatori oggettivi di qualità sull'attività scientifica e di ricerca (messi a punto dal Consiglio universitario nazionale e recepiti nel regolamento ministeriale) a stabilire, area per area, i livelli minimi per l'ammissione alle diverse fasce della docenza. Bisognerà quindi aver prodotto pubblicazioni scientifiche ad hoc e aver maturato esperienze internazionali e didattiche (si vorrebbe introdurre anche il superamento di un test di inglese).Secondo la bozza di testo, quindi, ognuna delle nuove 14 aree in cui è suddiviso il sapere avrà un numero minimo di pubblicazioni che ciascun candidato dovrà presentare per ottenere l'abilitazione. Ma chi sarà a stabilire l' idoneità? Per ciascun settore concorsuale ci sarà un'unica commissione nazionale di durata biennale di cui non dovrà far parte più di un commissario della stessa università. La commissione sarà formata mediante sorteggio di quattro rappresentanti all'interno di una lista di professori ordinari appartenenti a un determinato settore scientifico disciplinare. Dalla lista degli idonei, poi, avverranno le assunzioni vere e proprie che saranno, però, decise dai singoli dipartimenti universitari in base al voto della maggioranza dei professori. Le università con un proprio regolamento disciplineranno, poi, nel rispetto del codice etico la chiamata. ______________________________________________________________ L’Unità 11 gen. ’11 RICERCA: PERCHÉ L'ITALIA NON E’ LA COREA TREMONTI, SACCONI E L'EDITTO DI COSTANTINO Pietro Greco MASTER GIORNALISMO SCIENTIFICO SISSA Ha iniziato Giulio Tre monti, ministro dell'Economia, sostenendo che la cultura non si mangia e che in tempo di vacche magre è lì che bisogna risparmiare. Poi, con assoluta coerenza, ha tagliato 1,5 miliardi di euro alle università e 8 miliardi alla scuola di primo e secondo livello. Poi ha continuato Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sostenendo che per i laureati non c'è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Ha chiuso Stefano Zecchi, filosofo estetico, sostenendo che in Italia i laureati sono troppi e che nel settore del lavoro intellettuale c'è spazio solo per i laureati figli di laureati. Non c'è dubbio, la destra italiana sta sposando la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo di Costantino (274-337, Imperatore dal 306) quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. Ma anche le idee più reazionarie devono basarsi sui fatti. E i fatti dicono cose diverse. Non è vero che la cultura non si mangia: nell'era della conoscenza è la principale fonte di crescita economica. Non è vero che in Italia ci sono troppi laureati. E non è vero che i giovani laureati italiani hanno più difficoltà a trovare lavoro. Basta spulciare gli ultimi rapporti dell'Ocse su università e ricerca e prendere a esempio un paese, la Corea del Sud, che solo trenta anni fa era più povero dell'Italia (il reddito medio di un coreano nel 1980 era di 2.300 dollari, contro i 9.000 di un italiano) e aveva un tasso di giovani laureati inferiore. Ebbene oggi in Corea il numero di giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni con una laurea in tasca sfiora il 60%: la più alta percentuale al mondo. Contro il 40% della media Ocse. Quanto all'Italia, altro che sovrannumero: solo il 20% dei giovani in questa fascia di età ha una laurea. La metà della media dei paesi avanzati. Un terzo della Corea. Nel medesimo tempo gli investimenti coreani in ricerca e sviluppo hanno superato i 42 miliardi di dollari l'anno, pari al 3% del Pil. Il che fa della Corea il quinto paese al mondo sia per investimenti assoluti sia per intensità di ricerca. L'Italia investe in ricerca meno della metà: 18,7 miliardi di dollari, 1'1,1% del Pil. La politica dell'alta educazione diffusa e della ricerca spinta ha arricchito la Corea. La cui economia, tra il 1985 e il 2005, è aumentata in media del 5,7% annuo: la crescita più sostenuta al mondo dopo quella della Cina. Oggi un coreano, con un reddito di 29.800 dollari l'anno, è più ricco di un italiano (29.400). I laureati in Corea trovano lavoro. In Italia, a 5 anni dalla laurea, oltre il 20% non ha ancora un lavoro. Ma tra i giovani che non hanno una laurea il tasso sfiora il 30%. Anche in Italia, dunque, la laurea serve. ______________________________________________________________ la Stampa 6 gen. ’11 UNIVERSITÀ INGLESE, FUORI UNO SU TRE Megatasse e sovraffollamento, gli atenei in crisi: oltre 700 mila persone in coda Retroscena ANDREA MALAGUTI Non c'è stato bisogno del tam tam. L'idea era nell'aria e per prenderla bastava allungare la mano in dicembre l'hanno fatto in 344 mila. Terrorizzati dal 2012, indifferenti a qualunque nefasta profezia Maya, spinti dalla rabbia innescata dall'aumento vertiginoso delle tasse universitarie destinate a passare da 3.290 a 9.000 sterline l'anno tra poco più di dodici mesi battaglioni di ragazzi appena maggiorenni hanno riempito pile di questionari e di richieste di ammissione da inviare a ogni singolo ateneo costruito sul corpo instabile del Regno Unito, da Edimburgo ad Oxford, da Newcastle a Cambridge. «Per favore, apriteci le porte». È l'Inghilterra che ha paura di non farcela, quella dei 500 mila dipendenti pubblici destinati a perdere il lavoro, quella dei ceti medi soffocati dall'aumento dell'Iva e dai tagli ai servizi assistenziali, un Paese che prova disperatamente a salire sull'ultimo treno verso un futuro decente, prima che il peso delle gabelle spezzi la schiena alle famiglie più fragili. «Siamo destinati a convivere con i debiti. Ma anche riuscire a contrarli sarà un privilegio, perché vorrebbe dire non essere stati espulsi dal sistema». Aaron Porter, presidente dell'Associazione degli studenti universitari, scatta la fotografia di una generazione de stinata a prendere la vita a gomitate, prima che la vita tiri gomitate a lei. «Guadagneremo meno dei nostri padri, questo è certo. Ma riusciremo almeno a stare al mondo in modo decente?», dice alzando la voce, come se fosse un comizio. Si scusa. «Enfatico, lo so. Ma restare sereni è complicato». Nel grande banchetto dell'ultimo livello di istruzione i posti a tavola sono limitati e un ragazzo su tre si dovrà accomodare fuori dalla porta. L'Universities and Colleges Admissions Service (Ucas) ha calcolato che le richieste d'ammissione saliranno a 705.500 prima dell'estate, frantumando qualunque record precedente. «Ma i nostri atenei non saranno in grado di dire di sì a più di 479 mila persone. È questo è il tetto massimo imposto dal governo». Significa che 226.500 ragazzi dovranno rivedere le proprie aspettative al ribasso. Il conservatore David Willets, sottosegretario all'Università, un uomo pallido, leggermente sovrappeso, con pochi capelli rossi, commenta sprezzante: «Gli atenei non sono obbligati a triplicare le rette. Abbiamo calcolato che la nuova media annua si attesterà sulle 7.500 sterline. Presteremo i soldi a chi non li ha. C'è sempre stata competizione in questo Paese per iscriversi ai corsi di laurea. È ovvio che anche questa volta non tutti ce la faranno». Ovvio. Sally Hunt, segretario generale della University and College Union, lo attacca frontalmente: «Il governo sembra pensare che il nostro mondo sia in grado di dare di più ricevendo di meno e che oltretutto gli studenti siano felici di pagare le tasse il triplo di prima. È una follia assoluta». L'Ufficio nazionale di statistiche prevede che il debito medio di uno studente a fine corso, tra tasse e alloggi, sarà di circa 28 mila sterline. Soldi che dovranno essere restituiti nell'arco di trent'anni una volta che il neolaureato sarà in grado di garantirsi un salario di 21.500 mila sterline. È la Big Society, bellezza. Gli interessi sui prestiti passeranno dall'1,5 al 3%. «Migliaia di famiglie resteranno schiacciate. Stiamo per perdere una generazione intera», giura il leader laburista Ed Miliband. La Gran Bretagna che non trova pace. Edimburgo l'ultimo teatro di una protesta destinata a riprendere corpo nelle prossime settimane. Gli scontri alla vigilia del nuovo anno, quando gli studenti hanno occupato l'Università. Nella marcia sono saltati vetri e vetrine, la sagoma di NickClegg, leader liberaldemocratico che in campagna elettorale aveva garantito il proprio impegno contro l'aumento delle rette, è finita ancora una volta al rogo. La polizia ieri mattina ha arrestato due ventenni. Sono più di cento quelli finiti nei commissariati nel dicembre delle rivolte. Fa effetto un Paese che mette in galera i suoi figli. Li sono andati a fermare all'Ateneo. I due ragazzi non hanno fatto resistenza. La strada era intasata, l'Università parzialmente nascosta dalla neve, come i resti di una civiltà ormai semisepolta. ______________________________________________________________ Europa 12 gen. ’11 ISTANBUL:UNA TESI TROPPO HARD NICOLA MIRENZI ISTANBUL Niente porno, siamo turchi. Tre docenti universitari sono stati licenziati e messi sotto inchiesta per aver consentito a un laureando di lavorare a una tesi sulla pornografia. Il fatto è successo pochi giorni fa alla Bilgi University di Istanbul, una delle più liberali università private del paese, nota pare per l'alto livello degli studi sul cinema. Il protagonista del caso si chiama Deniz Ozgun, uno studente di visual design. È lui che ha proposto al professore Ihsan Derman di lavorare a un progetto sul cinema pomo, con tanto di scene girate con studenti e studentesse dell'ateneo, il cui obiettivo dichiarato era mostrare quanto sintetico e immediato fosse il linguaggio delle pellicole hard. Il docente, all'inizio dubbioso sul da farsi, ha accettato l'idea. A una condizione, però: che l'elaborato avesse un «solido contenuto intellettuale». Lo studente non è riuscito a superare la prova e non si è laureato. Il fatto non ha destato il minimo scandalo, fino a quando un magazine non ha intervistato Ozgun e si è fatto descrivere per filo e per segno come ha potuto girare il film nel campus. A quel punto decine di genitori hanno cominciato a chiedersi che genere di cose accadessero nell'università dove mandavano i loro figli, iniziando a protestare con le autorità accademiche. Che dal canto loro hanno provato in tutti i modo a rassicurare le famiglie, cercando di non far assumere alla vicenda le dimensioni dello scandalo pubblico. Senza successo. Perché — dicono fonti interne all'università — il Consiglio dell'educazione (dove siedono molte persone vicino all'orientamento islamico del governo) ha fatto forti pressioni sul rettore perché prendesse provvedimenti seri. E quest'ultimo, messo con le spalle al muro, ha licenziato i tre professori che avevano firmato il progetto, sperando che le cose si calmassero così. Invece la polizia è corsa all'ateneo e ha sequestrato il dipartimento di cinema e i computer dei docenti incriminati, copiando il contenuto dei loro hard disk, alla ricerca di prove utili per il procedimento penale aperto nei loro confronti. Sì, perché in Turchia la pornografia è illegale dal 1980, data del terzo e più violento colpo di stato dei militari. Un particolare secondario, se non fosse che l'intera politica dell'attuale governo islamico è orientata a trasformare le sembianze restrittive delle istituzioni e dell'ordinamento giuridico messi in piedi proprio in quel frangente. L'ultimo passo in questa direzione è stato compiuto a settembre del 2010, quando un referendum popolare ha approvato le modifiche costituzionali effettuate in parlamento. Modifiche che diminuiscono di molto il potere dell'esercito nella vita pubblica, togliendo numerose prerogative che i militari si erano arrogati per la difesa delle laicità repubblicana. I cambiamenti costituzionali sono stati così presentati come passi necessari e non più rinviabili per l'adeguamento degli standard di libertà e democrazia della Turchia a quelli dell'Unione europea, della quale Ankara è un aspirante membro. Il problema è che la libertà di cui si parla non contempla la libertà di una facoltà di cinema di girare un film porno tra gli studenti. I vertici del governo, imbarazzati, hanno preferito non commentare la vicenda, diventata nel frattempo un caso nazionale. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 gen. ’11 LA BOCCONI SU ITUNES CON LEZIONI E VIDEO MILANO Da ieri l'Università Bocconi è sbarcata su iTunes, il negozio online della Apple, con oltre 120 contenuti audio e video, fra cui eventi, lezioni e ricerche che possono essere scaricati su computer, iPhone, iPod o iPad. I dati, che saranno presenti in un'area dedicata, iTunes U, che propone contenuti audio e video gratuiti delle principali università e scuole, vengono incontro alla do-manda di formazione in mobilità degli studenti e di tutti coloro che desiderano rimanere aggiornati sul mondo dell'economia e del management. «I prodotti Apple sono sempre più spesso utilizzati come strumenti di studio e lavoro per via della flessibilità che consentono nell'utilizzo di contenuti audio e video», spiega Ferdinando Pennarola, delegato del rettore per il technology enhanced learning. «Gli studenti e il pubblico ora potranno conoscere l'Università Bocconi su iTunes U». Intanto la Bocconi ha raggiunto un altro record: con un tempo medio di 2,25 anni l'Mba della Sda è risultata prima al mondo come investimento in formazione che si ripagherà più velocemente. Ad affermarlo è il nuovo ranking di Bloomberg Businessweek sul ritorno dell'investimento. Il ranking si basa sul tempo che i diplomati del 2010 impiegheranno a recuperare la loro spesa di partecipazione. Il risultato è ottenuto dividendo tale spesa (che include il costo del programma, le spese di vitto e alloggio e il mancato salario medio nel periodo di frequenza) per l'incremento salariale medio post Mba dei diplomati. «Questo risultato illustra quanto il nostro Mba sia una scelta ottimizzante, coniugando una formazione di alta qualità con un rapido rientro nel mercato del lavoro», spiega Alberto Grando, dean della Sda Bocconi. Con questo piazzamento la Sda Bocconi, unica scuola italiana presente in tutti i più importanti ranking internazionali, prosegue i risultati positivi ottenuti nel 2010. Nelle classifiche delle migliori business school a livello mondiale, la Sda si è posizionata al vesimo posto in Europa nel ranking del Financial Times, scalando sette posizioni, ed è entrata in quella di Bloomberg Busi-nessweek, posizionandosi al Besimo posto al mondo, esclusi gli Stati Uniti. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 14 gen. ’11 IL SUPERCOMPUTER BATTE L'UOMO SA RISPONDERE MEGLIO AI QUIZ Decisive le ricerche sul linguaggio naturale dell'Università di Trento YORKTOWN (New York) — Si rinnova la sfida fra uomo e computer. E questa volta non si tratta di una partita di scacchi (come quella di Deep Blue contro Garry Kasparov nel 1997), ma di un gioco a premi, Jeopardy!, il più popolare quiz televisivo in America. Nelle puntate che andranno in onda sulla rete Abc il 14, 15 e 16 febbraio il nuovo supercomputer Watson dell' Ibm (dal nome di chi ha fondato il colosso informatico Usa 100 anni fa) cercherà di battere i due supercampioni della storia quasi trentennale di Jeopardy!, Ken Jennings e Brad Rutter. La posta in gioco: 1 milione di dollari il primo premio (tutto in beneficenza se vince Watson); ma soprattutto un balzo in avanti enorme nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, con un computer in grado per la prima volta di capire il linguaggio naturale umano in tutte le sue sfumature, rispondere alle domande in modo preciso e ultraveloce, «imparando» e aggiustando le sue strategie nel corso del gioco e assumendo rischi calcolati nello sfidare gli altri concorrenti. Un risultato cui hanno contribuito anche tre scienziati italiani nel team di 25 ricercatori Ibm guidati dall'italoamericano Dave Ferrucci: Roberto Sicconi, 53 anni, Alfio Gliozzo, 33 e Bonaventura Coppola. Gli ultimi due vengono dall'Università di Trento, che dal 2008 è l'unica istituzione europea a collaborare con Ibm a questo progetto, insieme alle americane Massachusetts Institute of Technology (Mit), University of Texas, University of Southern California (Usc) e Camegie Mellon University. «Trento è molto forte nella ricerca sul linguaggio naturale», ha spiegato al Corriere della Sera Ferrucci — nato nel Bronx 49 anni fa da padre italiano di Caserta e sposato con un'insegnante di italiano — durante la prima dimostrazione pubblica di Watson ieri mattina nei laboratori Ibm di Yorktown, New York. Ferrucci è il «Principal investigator» del progetto Watson, a cui ha lavorato dal 2007. «Abbiamo creato milioni di linee di nuovi codici, aggiungendo via via nuovi algoritmi per arrivare a un sistema automatico di domande/risposte che cambia profonda-mente il modo di interagire fra uomo e macchina — ha spiegato Ferrucci —. Il gioco degli scacchi, per sua natura matematico, è molto più facile di un quiz dove conta anche l'umorismo». L'hardware dove sono immagazzinate tutte le conoscenze di Watson è costituito da dieci file di server «Power 750», i più potenti di Ibm. Al test di ieri mattina Watson è uscito vincente: dopo una serie di una decina di domande il computer stava guadagnando 4.40o dollari contro 3.400 di Jennings e 1.200 di Rutter. Ma i due concorrenti umani erano arruggi niti, mancando dal gioco da cinque anni, e hanno promesso di rimettersi in forma per la sfida di febbraio. «Gli algoritmi sviluppati per Watson possono facilmente essere adattati a qualsiasi applicazione pratica — ha detto Ferrucci Il primo settore su cui ci concentreremo sarà quello della salute, dove il "dottor Watson" aiuterà a fare diagnosi accurate e veloci». «Abbiamo scelto questo campo perché è importante sia per il business sia per la qualità della vita di tutti gli uomini — ha spiegato al Corriere Fred Balboni, global leader del Business analytics optimization —. Ma le future applicazioni possono riguardare per esempio l'assistenza alle forze vendita di qualsiasi azienda, lo sviluppo di modelli finanziari per Wall Street, strumenti per giudici e avvocati che devono trovare precedenti in un mare di casi legali». Ibm spende ogni anno 6 miliardi di dollari in ricerca. «Una parte va nelle sfide "impossibili", come mandare l'uomo sulla luna — ha detto John Kel ly III, direttore della Ricerca Ibm —. Watson è un modo per celebrare il centenario di Ibm con un progetto che avrà un impatto storico sull'uomo». E parlando di spazio e astronavi, Ferrucci ha detto che il «personaggio» della fantascienza che più lo ha ispirato è il supercomputer di «Star Trek». Maria Teresa Cometto ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 13 gen. ’11 LA RICERCA ECCELLENTE Di LUCA DELLO IACOVO A pochi chilometri da Ginevra l'acceleratore Lhc riposa per manutenzione, in attesa di riprendere l'attività a metà febbraio. A guidare i quattro esperimenti nel tunnel circolare di 27 chilometri sono i fisici italiani: Pierluigi Campana (Lhcb), Fabiola Gianotti ( Atlas), Guido Tonelli (Cms) e Paolo Giubellino (Alice). La posta in gioco è trovare indizi per rispondere a sfide di frontiera, come la materia oscura che aiuterebbe a comprendere il 20% dell'universo o il bosone di Higgs, la particella descritta sulla cartarna finora non rilevata dagli strumenti. Al Cern di Ginevra un decimo dei ricercatori scientifici arriva dall'Italia: la squadra tricolore è la punta di diamante dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). E diventa un asset strategico all'interno dell'area «matematica e fisica», settore di competenza ad alto valore aggiunto rilevato dall'analisi di Scival Spotlight di Elsevier: è uno strumento per esplorare i paper accademici pubblicati negli ultimi cinque anni (2005-2009) in modo da mostrare nicchie di eccellenza riconosciute dalla comunità scientifica globale. «A fare la differenza per l'Infn contribuisce l'esperienza nelle infrastrutture di frontiera, a partire dall'acceleratore di Frascati costruito alla fine degli anni 50. Sono aggregatori che hanno una forza trainante per attrarre competenze anche dall'estero e favoriscono, dunque, l'internazionalizzazione. Inoltre abbiamo una simbiosi storica con l'università», dice Roberto Petronzio, presidente dell'Infn. Nella fisica la fertilizzazione reciproca tra più discipline è facilitata: «Progettare gli acceleratori significa, per esempio, contribuire ai progressi in meccanica, elettronica, criogenetica, superconduttività. E i nostri ricercatori imparano a parlare un linguaggio comune per comprendersi». Dal laboratorio all'industria, poi. il passo è breve: alcuni strumenti di misurazione per le bobine superconduttive sviluppati all'interno del Cern sono stati venduti a un'azienda italiana. L'interdisciplinarietà è terreno fertile per la ricerca di base e applicata. Dalle applicazioni di geofisica arrivano negli anni 8o i primi impulsi per la progettazione di radar ad apertura sintetica (sar): attraverso i satelliti in orbita ricostruiscono immagini anche durante la notte, oppure in condizioni meteorologiche incerte. Sono strumenti che uniscono competenze ingegneristiche all'avanguardia nel remote sensing e nella costruzione di antenne: hanno applicazioni per l'analisi del territorio in agricoltura, energia, mineralogia, sicurezza, soccorso. Aresys, per esempio, è uno spin-off del Politecnico di Milano specializzato nello sviluppo di radar sar. «Uniamo la matematica necessaria per gli algoritmi di elaborazione dei segnali e la fisica per Io studio della propagazione delle onde: sono tecnologie richieste anche in nazioni come Cina, India e Argentina», osserva Andrea Monti-Guarnieri, presidente di Aresys e professore associato al Politecnico di Milano. La ricerca nelle aule universitarie e nello spin-off diventa brevetti. E i brevetti contribuiscono ad alimentare il fatturato: nel 2009 Aresys ha raggiunto 1,2 milioni di euro. La scintilla per l'idea è scoccata a partire dalle scienze della terra circa trent'anni fa: «La geofisica aveva un background che ha permesso un rapido sviluppo dei radar sar», aggiunge Guarnieri. Fino a diventare una tecnologia all'avanguardia utilizzata anche per i quattro satelliti di Cosmo-Skymed. L'analisi dei paper prodotti negli ultimi cinque anni in Italia porta alla luce competenze interdisciplinari meno note al pubblico e, talvolta, anche agli addetti ai lavori. Secondo le elaborazioni di Elsevier le ricerche sull'olio di oliva sono un punto di incontro fra nanotecnologie, chimica, biologia, scienze della salute. Includono studi su nanotubi di carbonio, composti fenolici e attività cerebrali che riguardano, in particolare, la morte cellulare, il morbo di Parkinson, le linee cellulari Nelle scienze informatiche, invece, l'indagine di Elsevier mostra la complessità dei progetti di data mining, la ricerca avanzata di informa-. zioni ai confini tra statistica, matematica, logica. Ha vasti campi di applicazione: in astronomia, per esempio, permette l'identificazione in tempi rapidi delle galassie all'interno delle immagini catturate dai telescopi e in genetica facilita il sequenziamento dei frammenti del dna. In Italia gli studi sul data mining hanno luoghi di eccellenza internazionali come il Politecnico di Torino, il Politecnico di Milano, l'università di Bologna (vicina al Cineca, il centro nazionale di calcolo) e l'ateneo di Pisa che gestisce il laboratorio Kdd in collaborazione con il Cnr. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 gen. ’11 LA MACCHINA DEI QUANTI DI LUCA TREMOLADA Una macchina che non obbedisce alle leggi della fisica classica. Che risolve problemi impossibili anche per i calcolatori più potenti, talmente sofisticata da poter guardare alla realtà con un approccio meccanico-quantistico. Insomma, una macchina che non esiste ma che tutti i più grandi dipartimenti di fisica stanno studiando. L'anno scorso una serie di scoperte pubblicate su altrettanti articoli scientifici hanno accorciato i tempi di quello che da vent'anni è considerato un miraggio: il computer quantistico, un macchina che differisce da quello tradizionale in quanto ogni suo elemento logico elementare, o "qubit", può assumere allo stesso istante numerosi stati. Per capire meglio, prendiamo una moneta, una volta lanciata mostrerà o testa o croce, o zero o uno per usare ad esempio il codice binario. Il qubit si comporta in modo diverso. Una volta lanciata la moneta non si fermerà, continuerà a ruotare su se stessa mostrando contemporaneamente multiple quantità di informazioni. La ricerca su un sistema così difficile anche solo da immaginare è stata finora costante teorica. Ora sta conoscendo inattese accelerazioni e si comincia addirittura a vedere qualche cosa. Negli Stati Uniti e precisamente in California a Santa Barbara un team di fisici ha spiegato su Nature come sono riusciti a costruire un dispositivo attraverso cui osservare gli effetti della meccanica quantistica su un fotone. A Bristol sono andati oltre, realizzando un chip fisico che ha compiuto l'impresa di far compiere a due fotoni una tipica operazione quantistica, una "passeggiata quantica". Il chip ottico che a differenza dei precedenti funziona a temperatura ambiente ha praticamente dimezzato i tempi della ricerca dando un nuovo importante impulso. Ma è da Berlino che arrivano le novità più interessanti. I fisici della Humboldt University sono arrivati al primo prototipo di macchina quantistica. Lo hanno fatto sfruttando l'eccitazione atomica che si ottiene nei nanodiamanti, raccolta ed elaborata da nanostrutture ottiche chiamate cristalli fotonici. A capo del team Janik Wolters primo firma dell'articolo pubblicato su Applied Physies Letters. Ma altre scoperte si attendono proprio dal gruppo di Nano Optics, particolarmente prolifico nell'ultimo anno. Una decina gli studi pubblicati nel 2010, i più interessanti sulla fotonica. Da questo gruppo di lavoro ci si attendono importanti novità sul computer quantistico. Ma per come si sta strutturando la ricerca è più probabile assistere a una serie di piccole- grandi scoperte in tutte il mondo che andranno poi a confluire nella realizzazione di un chip, su cui, a dire il vero, pochissimo si può dire con certezza. Janik Wolters si sbilancia, dichiarando che finalmente sono stati compiuti passi decisivi Allargando lo sguardo non si può non constatare che il percorso resta ancora lungo ma per la prima volta i filoni di ricerca sono particolarmente chiari. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 6 gen. ’11 MESSO A PUNTO IN GIAPPONE UN SISTEMA DI REALTÀ AUMENTATA PER «INGANNARE» LA RICERCA DEL SENSO virtuale DI BRUNO BALLARDINI C’è una scena indimenticabile del film "Matrix" in cui il traditore Cypher suggella con una cena in un ristorante di lusso il patto con cui consegnerà al sistema il protagonista Neo. Dopo aver tagliato un boccone di bistecca e averlo infilzato con la forchetta, lo osserva e si rivolge all'impassibile agente Smith dicendo: «Vede? Toso che questa bistecca non esiste. So che quando la infilerò in bocca Matrix suggerirà al mio cervello che è succosa e deliziosa. Dopo nove anni sa che cosa ho capito? Che l'ignoranza è un bene». E addenta il boccone avidamente. Ignorare la realtà virtuale per poterla vivere appieno potrebbe diventare presto una delle nostre prossime abitudini. Di fatto, oggi siamo arrivati finalmente a sperimentare i "sapori virtuali" concretizzando ciò che pochi anni fa era ancora fantascienza: in Giappone Pequipe di ricercatori guidata dal professor Michitaka Hirose del Research Center for Advanced Science and Technology della Tokyo University, ha messo a punto un sistema di realtà virtuale e aumentata che fa compiere un notevole balzo in avanti alla ricerca sui "sensi artificiali" (http://3.1y/uxf4). Il sistema consente di variare il sapore di un biscotto, utilizzando informazioni visive e olfattive. Hirose ci ha detto: «La nostra ricerca si basa su un concetto di "realtà virtuale espansa" e cioè che oltre alla vista includa anche un'interazione con altri sensi come il gusto e l'olfatto. A partire dalla possibilità di indossare il computer (che si trova all'interno del casco per la realtà virtuale, ndr) abbiamo sviluppato un dispositivo che riproduce i sapori digitalmente e quindi amplia l'orizzonte della realtà virtuale». Il protagonista dell'esperimento, è stato definito "meta-cookie", ovvero "meta-biscotto". La sua posizione viene rilevata da una telecamera posta sul casco e grazie alla realtà aumentata è possibile variarne l'aspetto trasformandolo di volta in volta in biscotto al limone, alla crema, al cioccolato. Le variazioni vengono accompagnate dall'emissione di un mix di sette aromi attraverso le cannule del visore che, ingannando l'olfatto, permette di sperimentare il gusto del biscotto psicologicamente. «È solo un primo passo, ma pensiamo a una tv che possa trasmettere anche i sapori» ci ha detto Hirose. Sullo stesso ramo di ricerche, il professor Kenichi Okada, presidente del Department of Information and Computer Science della Keio University, ha appena presentato un nuovo dispositivo: una stampante che riproduce gli odori di ciò che si vede su uno schermo (http://dai.ly/bWNDGK). Il progetto realizzato insieme alla Canon sfrutta la capacità delle stampanti ink-jet di emettere impulsi di colore in millesimi di secondo. Questa permette di avere il pieno controllo dell'output anche con degli aromi. L'idea nasce nel 1960 quando per il film "Scent of Mystery", prodotto da Mike Todd Jr., Hans Laube creò un apparecchio che diffondeva nei posti a sedere di un cinema odori attivati dalla colonna sonora del film Nemmeno Okada nasconde l'ambiziosa prospettiva di questa ricerca: «Abbiamo già pensato a una tv con gli odori, ma anche all'applicazione con riproduttori digitali di musica, e con qualsiasi apparecchio o sistema per la comunicazione. Queste tecnologie avranno un notevole impatto sui futuri sviluppi della realtà virtuale e aumentata: già da ora è possibile realizzare spazi virtuali che stimolino sensazioni realistiche riproducendo gli odori...». Ma possiamo immaginare anche noi cosa ci sarà oltre. In campo medico, apparecchiature per la prima diagnosi in grado di comprendere dagli odori la tipologia di una piaga o di una infezione, oppure sistemi per rieducare i pazienti che in base a un trauma abbiano perso la sensibilità agli odori e ai sapori. E ancora oltre, quando questa ricerca si congiungerà con quella sull'intelligenza artificiale, avremo macchine capaci di distinguere gli odori e i sapori, robot assaggiatori, sistemi di domotica in grado di trasformare gli ambienti casalinghi in ambienti naturali con la realtà virtuale estesa fino ai profumi, cinema VR basato su sistemi sempre più immersivi, prove d'assaggio sui punti vendita con realtà aumentata e sapori virtuali. Da qui in poi, ne vedremo, anzi ne sentiremo delle belle. ______________________________________________________________ La Stampa 7 gen. ’11 QUELLA PLASTICA INVISIBILE CHE SOFFOCA IL MEDITERRANEO Una ricerca scientifica: peggio che nelle "isole della spazzatura" degli oceani PARIGI Il Mediterraneo è largamente inquinato dalla plastica: una campagna di misurazione effettuata nell'estate 2010 i cui risultati vengono resi pubblici ora mostra come vi si trovino livelli di diffusione delle microplastiche paragonabili alle zone identificate come «isole di spazzatura» nel Pacifico e nell'Atlantico. «Sono stati prelevati quaranta campioni nel Nord del Mediterraneo dice Frangois Galgani, ricercatore nella stazione della Corsica dell'Istituto francese di ricerca per lo sfruttamento del mare (Ifremer) -. Abbiamo constatato un valore medio di 115 mila microscarti per kmq. È una concentrazione media superiore a quella dell'Atlantico e del Pacifico». In questi due oceani le ricerche condotte a partire dal 1997 avevano rilevato zone molto estese dove grandi quantità di plastica galleggiante si accumulano in modo permanente. Il primo a individuare il fenomeno nel Pacifico era stato Charles Moore della Fondazione Algalita in California. Studi successivi avevano mostrato che il fenomeno si ripete identico nell'Atlantico e nell'Oceano indiano. La concentrazione di plastica si forma in acque relativamente ferme, intrappolate dalle grandi correnti circolari (gyre), che percorrono gli oceani. Nel Mediterraneo non era mai stato fatto uno studio analogo. Un anno fa l'ha promosso una associazione, Expédition MED, che ha convinto ricercatori di diversi laboratori a parteciparvi. I prelievi sono stati fatti e studiati secondo i metodi scientifici codificati. «Abbiamo utilizzato una rete standard per lo studio dello zooplancton dice Jean Henri Hecq, del laboratorio di oceanologia dell'Università di Liegi. Questi organismi hanno una dimensione che va da 200 a 500 micron (un millesimo di millimetro), la stessa della microplastica». La rete, di nylon a maglie fini e con una bocca larga 60 cm, viene trascinata dietro la barca, il suo contenuto è raccolto a intervalli regolari e conservato per la selezione e l'analisi. «Il prelievo viene fatto solo su qualche centimetro di superficie precisa Hecq cioè una porzione molto piccola dell'ecosistema». La densità di plastica osservata è elevatissima. «Se la estrapoliamo dice Frangois Galgani si arriva a un ordine di grandezza di 250 miliardi di microdetriti che galleggiano nel Mediterraneo. Occorre però essere prudenti, si dovranno fare altre campagne di misurazione in altri bacini del mare». Il Mediterraneo comunque già così non risulta meno contaminato degli oceani dalla plastica. Anche se le quantità in gioco sembrano piccole i microframmenti dispersi nel Mediterraneo equivalgono a 500 tonnellate potrebbero però avere un effetto tossico sugli organismi viventi che le ingeriscono. Plastiche di dimensioni superiori si trovano spesso nello stomaco degli uccelli: per esempio il ricercatore olandese Jan Van Frakener ha rilevato la presenza di 0,6 grammi di plastica nello stomaco di uccelli morti nel Mare del Nord in proporzione sarebbero 60 grammi in un essere umano. Gli specialisti sottolineano che, in appena sessant'anni di vita su grande scala, la plastica è riuscita a contaminare tutti i mari del globo, mentre la sua biodegradazione è estremamente lenta. Negli Anni 70 si studiavano le macroplastiche, cioè quelle con dimensioni superiori a un centimetro, mentre è solo da una decina di anni che si studiano le micro, più difficili da raccogliere perché le campagne in mare sono relativamente costose. La ricerca è una ricaduta di quella sul plancton, avendo le due sostanze dimensioni comparabili. Secondo Richard Thompson dell'Università di Plymouth, in Inghilterra, la quantità di microplastiche, dopo un aumento sensibile tra gli Anni 70 e 90, si sarebbe stabilizzata a partire dal 2000. Nell'emisfero Sud, però, le quantità osservate, benché inferiori all'emisfero Nord, aumentano rapidamente. Sia i livelli esatti di concentrazione delle microplastiche che i loro effetti sugli ecosistemi richiedono studi più approfonditi. Finora questi sono stati condotti soprattutto da associazioni o fondazioni. Ora però una decisione presa nel settembre 2010 dalla Commissione europea impone a tutti gli Stati Ue di seguire l'andamento di una serie di indicatori dell'ambiente marino, tra i quali le sostanze inquinanti, di cui fanno parte le microplastiche. Gli Stati dovranno dunque organizzare da sé lo studio delle conseguenze dell'inquinamento da sostanze plastiche sulle loro coste, soprattutto nel Mediterraneo. Copyright Le Mónde ________________________________________________ L’Unione Sarda 24 Dic. ’10 INTORNO ALLA CITTÀ RIEMERGE L'ALTRA NORA Pula. Sarà necessario approfondire l'indagine per valutare l'entità del ritrovamento Nuove scoperte durante i saggi di scavo per i servizi igienici Durante i saggi di scavo obbligatori per la costruzione dell'edificio per i servizi igienici, spuntano altri tesori intorno a Nora. Ne avevano quasi la certezza, la consapevolezza che lì sotto, tra la laguna e la città punico-romana di Nora ci fosse ben altro che terra. Per questo - almeno loro, gli archeologi - non sono rimasti particolarmente sorpresi quando i saggi di scavo, predisposti per valutare l'idoneità dell'area dove sistemare i servizi igienici del futuro parco archeologico di Nora, di Sant'Efisio e dei Quattro mari, hanno rivelato nuove emergenze , per dirla con gli studiosi di cose antiche. Manufatti, edifici, ricchezze rimaste nascoste duemila e passa anni e che costituiscono l'altra Nora, l'altra fetta della città antica mai riportata in superficie, mai scoperta, mai studiata. GLI STUDIOSI Non sono rimasti sorpresi ma gongolano, gli archeologi. Perché nuove prospettive di ricerca si aprono su questa meraviglia fondata dai Fenici e poi vissuta dai Punici e ancora dai Romani su cui, oltre la Soprintendenza e l'Università di Cagliari stanno scavando e studiando da ormai oltre dodici anni anche le Università di Padova, Viterbo, Milano e Genova. LA SOPRINTENDENZA «Ancora non possiamo esprimerci sulla consistenza del ritrovamento, i saggi di scavo dove costruire i servizi iginenici sono prassi oggi obbligatoria quando si devono realizzare nuove opere pubbliche e questo ci ha permesso di mettere in evidenza quanto probabilmente è estesa Nora, anche oltre l'area recintata delle rovine», spiega il responsabile della Soprintendenza archeologica di Cagliari, Marco Minoia. «Dovrebbe trattarsi delle strutture legate alla parte di confine della città. Bisognerà indagare ancora e solo allora, ma verosimilmente accadrà così, l'ipotesi di realizzare in quel punto i servizi igienici potrebbe saltare. Se poi i nuovi sondaggi dovessero dirci di emergenze davvero rilevanti, allora si potrebbe anche pensare a una vera campagna di scavo». IL COMUNE Si dichiara assolutamente entusiasta il sindaco di Pula, Walter Cabasino. «Questa scoperta la dice lunga su quanto sia estesa Nora e su quanto non le renda merito l'attuale recinzione che circonda le rovine. Questo mi fa pensare a quanti tesori potrebbero esserci sotto le casermette militari, in quella parte del promontorio che stiamo cercando di ottenere dal ministero della Difesa per farlo diventare parte integrante dell'istituendo parco archeologico». Un progetto iniziato davvero molti anni fa (la Giunta Soru aveva inserito proprio la zona delle casermette militari tra le zone da dismettere per essere restituite a un uso civile) ma che ancora non ha concluso il suo iter di trasferimento dallo Stato alla Regione e dalla Regione al Comune. ANDREA PIRAS _________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 gen. ’11 RADIOTELESCOPIO: SUPERTECNOLOGICO MA SENZA PERSONALE Pronto il radiotelescopio di San Basilio costato 66 milioni I dipendenti dell’osservatorio sono 20 in meno ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. Il radiotelescopio di San Basilio è pronto: a dicembre sono stati montati gli oltre mille pannelli del paraboloide. E la Regione ha stanziato l’ultima trance di finanziamento, un milione e mezzo, che permetterà il trasferimento degli strumenti all’interno dell’osservatorio. Ma c’è un problema: per funzionare l’impianto ha bisogno di circa trenta persone tra astronomi, tecnici e informatici, «ma attualmente - informa Nicolò D’Amico, direttore del progetto dell’osservatorio e professore nell’università di Cagliari - abbiamo solo una decina di persone disponibili. Il blocco delle assunzioni pubbliche ha coinvolto anche noi. «Inizialmente saremo costretti a fare delle assunzioni a tempo - continua D’Amico - sempre in numero minore e col problema che le persone formate e cresciute scientificamente col radiotelescopio, dopo alcuni anni, dovranno andare via». Il Sardinia Radio Telescope (Srt) è stato realizzato a Pranu Sanguni, nel comune di San Basilio e dovrebbe diventare operante a partire dalla fine del prossimo mese, «appena arrivati tutti gli strumenti». La scelta del luogo nasce dal fatto che il Srt, assieme allo strumento astronomico di Noto (in Sicilia) e di Medicina (in Emilia Romagna) forma un ideale triangolo in grado di mettere in sinergia le tre strutture facendole funzionare come se fossero un’unica potentissima antenna. Complessivamente il radiotelescopio è costata 66 milioni di euro. Ma tutto nell’osservatorio di San Basilio è gigantesco, a partire dalla parabola, di 64 metri di diametro, che per essere montata (nel maggio scorso) ha avuto bisogno di una enorme gru venuta appositamente dall’Olanda e trasportata con venti tir. A metà dicembre è stata terminata la sistemazione dei 1.064 pannelli che costituiscono la fodera interna del gigantesco cestello. Ed è proprio questo sistema di lamine che rende il Srt all’avanguardia in campo internazionale: permette infatti alla parabola di mantenere sempre il suo assetto geometrico ottimale, correggendo le alterazioni che derivano sia dalla gravità, che dalle deformazioni termiche in apparenza impercettibii, ma significative per le alte frequenze. L’importanza di un telescopio a onde radio deriva dal fatto che la nostra vista percepisce solo alcune lunghezze d’onda, mentre l’universo parla soprattutto attraverso quelle ad alta frequenza, con lunghezza d’ona ridotta, invisibili a occhio nudo. Per la scala del nostro mondo gli avvenimenti dell’universo sono fatti catastrofici, con potenze inammissibili sulla terra e che emettono raggi particolari in grado di viaggiare per miliardi di anni luce, e che i radiotelescopi leggono. Da qui i racconti che parlano di collisioni di galassie, di formazione di buchi neri, di collassamento di stelle e di formazione di pulsar, corpi che ruotano su se stessi a una velocità inimmaginabile, solo per fare alcuni esempi. Per molti, però, l’astronomia resta un’arte per «iniziati», importante perchè ci dice da dove viene e come nasce l’universo, ma che non incide sulla vita di tutti i giorni. Mentre proprio da questo tipo di studi sono venute «alcune delle innovazioni tecnologiche con cui viviamo come quella dei wi-fi, delle connessioni senza fili», precisa quasi con orgoglio D’Amico. ========================================================= ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 gen. ’11 TESSERE SANITARIE, IN ARRIVO LE NUOVE Il sistema di emissione delle Tessere sanitarie prevede che in prossimità della scadenza indicata sulla tessera, senza che se ne faccia richiesta, ne venga automaticamente inviata una nuova a tutti i cittadini per i quali non sia decaduto il diritto ad usufruire dei servizi del Sistema sanitario. In Sardegna si stanno avvicinando alla scadenza quelle distribuite nel 2006. Le nuove - ha spiegato l'agenzia delle Entrate - sono innovative, dotate di microchip per svolgere anche le funzioni di Carta nazionale dei servizi (Ts-Cns) e consentire l'accesso in rete ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione tramite Internet. Alcuni problemi hanno portato ad un ritardo nell'avvio della produzione e distribuzione delle tessere che potrebbero quindi arrivare ai cittadini dopo la scadenza della tessera in loro possesso. «Non è comunque necessario che i cittadini, nel frattempo, chiedano il rilascio di duplicati - specifica la nota - perché le nuove carte arriveranno automaticamente. La tessera, anche scaduta, è valida quale certificazione del codice fiscale e può essere utilizzata per agevolare le farmacie e le strutture sanitarie nell'acquisizione del codice». ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 gen. ’11 SULLA SANITÀ LO SCONTRO È A 360 GRADI Sui disabili rissa verbale Liori-Espa, Fli contro il direttore dell’assessorato Ascolta la notizia CAGLIARI. Si surriscalda il clima politico sulla sanità dopo le nomine dei commissari nelle Asl. Pd: «Totale fallimento, rischio ticket». Nella conferenza stampa sulla Finanziaria gli esponenti del Pd si sono soffermati a lungo sulla sanità. «La copertura del disavanzo con 160 milioni - ha detto Franco Sabatini - è stata un autogol, perché per coprire il 2010 sono stati presi fondi previsti per il 2011, che quindi mancheranno. A, senza contare questi, mancano altri 100 milioni». Anche Maroi Bruno e Marco Espa hanno picciato duro: «E’ la certificazione del fallimento del centrodestra, difficilmente la riforma sarà fatta entro il 31 marzo, è concreto il rischio di nuovi ticket». Espa: «Mancano 30 milioni per i disabili». Il consigliere del Pd ha detto inoltre che nel bilancio «mancano all’appello 22 milioni di euro per i progetti personalizzati per i disabili gravi relativi al 2012 ed altri 8 milioni per il progetto “Ritornare a Casa”, del quale usufruiscono malati di Sla». E’ assurdo che le persone con disabilità «debbano combattere per vedere riconosciuti i livelli essenziali di assistenza». Liori: «Opposizione, falsità e propaganda». «Chiacchiere propagandistiche che vanno cianciando da oltre un anno». Così l’assessore alla Sanità, Antonello Liori, ha replicato al Pd. «Sono pronto a recepire le loro giuste considerazioni - ha detto Liori - soprattutto se fossero in perfetta discontinuità con quelle che hanno sposato nell’era Soru- Dirindin, nota per aver portato la sanità isolana allo sfascio economico». Sul rischio ticket, Liori ha detto: «Non cambio idea, è una misura antipopolare e socialmente ingiusta». Sulla riforma: «La faremo entro marzo». Sull’assistenza ai disabili «non è in pericolo». Confermando che nel 2011, anche con un ulteriore milione e mezzo, tutti gli impegni saranno soddisfatti». Espa conferma: «L’assessore rimedi». «L’assessore - ha replicato il consigliere del Pd dicendosi «stupito e amareggiato» - sa bene che nessuno mette in dubbio le risorse per l’anno in corso, ma ribadiamo che per il 2012 mancano complessivamente 30 milioni. Liori non nasconda la testa sotto la sabbia ma trovi le risorse». Il giallo del vertice Pd-commissari. A sollevare il caso è stato in aula Gian Valerio Sanna (Pd): «E’ stato convocato nell’assessorato alla Sanità un incontro tra i commissari delle Asl e il Pdl». Immediata la smentita del capogruppo vicario degli “azzurri”, Pietro Pittalis: «E’ tutto frutto di un equivoco, la riunione sulla riforma è tra la giunta e i consiglieri del Pdl, nessuno ha mai pensato di convocare i commissari». La riunione è prevista per questo pomeriggio. I commissari erano stati invitati per errore o sono stati convocati dopo la denuncia di Sanna? Fli all’attacco del direttore Temussi. I finiani Ignazio Artizzu e Matteo Sanna, che sulla Finanziaria si sono astenuti, hanno preso di mira il direttore generale dell’assessorato alla Sanità, Temussi. «La sua nomina del febbraio scorso - hanno detto - è da revocare per mancanza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente». I consiglieri di Fli hanno presentato ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Dic. ’10 AOUCA: 3 MILIONI PER IL BLOCCO Q STANZIAMENTO REGIONALE PER INTERVENTI ALLA ASL 8, AL BROTZU E AL POLICLINICO UNIVERSITARIO In arrivo 15 milioni per gli ospedali L'assessore: serviranno per il miglioramento dei servizi Il finanziamento sarà destinato al Santissima Trinità, al Marino, al Businco, al Brotzu e al Blocco Q del Policlinico di Monserrato. Sorpresa natalizia per gli ospedali cagliaritani. Con una delibera approvata martedì dalla Giunta regionale sono stati stanziati circa 15 milioni di euro per la realizzazione del Piano di investimenti della Asl 8, del Brotzu e dell'Azienda mista. L'ASSESSORE «Per questi fondi si è tenuto conto delle esigenze e dei criteri di priorità e urgenza individuati dalle Aziende», ha sottolineato l'assessore regionale alla Sanità Antonello Liori. «Gli interventi riguardano l'acquisizione di attrezzature, apparecchiature, arredi e tecnologie necessarie per l'ammodernamento, per la messa a norma di impianti e per interventi di miglioramento strutturale di servizi sanitari essenziali». Quando saranno disponibili i soldi? «Dobbiamo aspettare i tempi tecnici, la delibera deve ottenere un parere non vincolante della Commissione consiliare», fanno sapere i vertici dell'assessorato. «Un periodo che può oscillare fra i due e i quattro mesi». AZIENDA MISTA Il direttore sanitario dell'Azienda mista Gianbenedetto Melis non nasconde la soddisfazione. «Con l'assegnazione di 3 milioni di euro saremo in grado di istruire le gare per i lavori più importanti del “blocco Q” del Policlinico universitario di Monserrato. In sostanza renderemo a norma quello che diventerà il nuovo polo materno-infantile, con la realizzazione degli ascensori, degli apparati di condizionamento. Effettueremo i lavori di sistemazione esterna e creeremo la camera calda per le ambulanze e il collegamento con il resto del Policlinico». Quanti soldi mancano per concludere i lavori. «Servono ancora altri 7 milioni di euro». BROTZU Tonino Garau, commissario del Brotzu, avrebbe voluto di più. «Hanno destinato all'ospedale più importante della Sardegna meno di 2 milioni di euro. Presto incontrerò l'assessore per chiedergli un incremento: abbiamo bisogno di un'apparecchiatura per la risonanza magnetica che costa 3,6 milioni. Stanzino almeno la differenza per un acquisto per noi fondamentale: i sardi ci chiedono prestazioni ad alto livello e noi dobbiamo fornirle». ASL 8 All'Azienda sanitaria più vasta dell'Isola è stato destinato il finanziamento più cospicuo: poco meno di dieci milioni di euro. Emilio Simeone, commissario della Asl 8, analizza nel dettaglio la sovvenzione regionale. «Tre milioni saranno destinati all'ospedale Santissima Trinità per una serie di interventi strutturali nei reparti di Chirurgia e Cardiologia. Due milioni e 400 mila euro andranno al Businco per l'acquisto di un acceleratore lineare 12 Mev che contribuirà al processo di miglioramento della Radioterapia. Quasi 538 mila euro finiranno nelle casse del Marino per un'apparecchiatura diagnostica digitale e due apparecchi radiologici digitali. Avremo anche a disposizione - conclude Simeone - quattro milioni per ulteriori attrezzature destinate all'Azienda». ANDREA ARTIZZU ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 gen. ’11 AOUCA: LA PROSSIMA SFIDA? IL POLO SANITARIO A MONSERRATO Il sogno è quello di riuscire ad accorpare finalmente tutte le attività cliniche L'azienda ospedaliera mista e il Policlinico di Monserrato stentando a decollare, tanto da non riuscire nemmeno a prevedere quando sarà possibile attivare il pronto soccorso nel nuovo moderno ospedale della Cittadella. «Pochi giorni fa», ha chiarito il rettore Giovanni Melis, «l'assessorato alla Sanità ha individuato le risorse per completare il blocco Q e avviare così la riunificazione delle attività sanitarie universitarie. Il protrarsi del regime commissariale non consente la necessaria visione, nonostante il vantaggio della presenza di 157 docenti e 312 personale Ata, il cui stipendio è a carico dell'Ateneo». Con la ripresa dei lavori il rettore ha chiarito che riprenderà corpo il progetto del completamento del Policlinico: «Con l'accorpamento a Monserrato delle strutture cliniche», ha poi affermato, «si potrà attivare la riunificazione dei dipartimenti delle facoltà scientifiche, liberando spazi nel centro storico per le facoltà umanistiche ed economico-giuridiche». E proprio sul centro storico e col rapporto con la città, il rettore ha teso la mano al Comune: «A Cagliari è in atto un processo di ristrutturazione del centro storico. Si tratta di capire come utilizzare i beni demaniali dismessi: l'Ateneo deve dare il suo contributo e siamo disponibili a collaborare proponendo una serie di soluzioni». ( f. p. ) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 gen. ’11 IL SAN GIOVANNI DI DIO SVUOTATO PUÒ ESSERE IL MUSEO DEI MUSEI» CAGLIARI. Dopo l’alta formazione e la ricerca, l’Università ha ormai una terza missione: rapportarsi al territorio per cooperare a un nuovo modello di sviluppo basato sulla conoscenza e sull’innovazione. «E anche sul turismo», aggiunge il rettore Giovanni Melis: «Si immagini di quale interesse sarebbe un complesso unitario formato da Orto Botanico, Anfiteatro, San Giovanni di Dio museo, la cittadella dei musei. L’Università vuol lavorare perché si arrivi a un accordo con Regione, Comune, Ersu per muoversi in modo unitario con progetti coordinati, come già d’altronde prevede il piano strategico comunale». Nell’integrazione università-città «si genera un’intera gamma di opportunità: si crea conoscenza, si investe sul capitale umano, si diffonde tecnologia e innovazione, si favoriscono gli investimenti di capitali perché la conoscenza ha bisogno di luoghi e strumenti e ai suoi artefici servono case, attrezzature, spazi ricreativi». D’altronde, la connessione col «tessuto urbano» serve molto anche alla vitalità di una struttura universitaria: a proposito di Monserrato, il «limite della mancata connessione alla città è oggi forse uno dei vincoli maggiori alla sua piena affermazione». (a.s.) ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 gen. ’11 SISTEMA INFORMATICO IN TILT, DISAGI AL POLICLINICO Sanità. Domani mattina sospeso il servizio di prenotazioni telefoniche dell'Asl 8 Salta il sistema informatico e al Policlinico universitario si scatena il caos. Mattinata più lunga del previsto per le persone che, ieri, si sono recate al presidio ospedaliero di Monserrato per eseguire le analisi del sangue. Intorno alle 7.30 il blocco del Sisar (il sistema informativo della sanità sarda), ha causato la sospensione delle attività e il conseguente disappunto degli utenti, alcuni di essi già in fila dalle prime luci dell'alba in attesa del proprio turno. In tanti hanno così deciso di andarsene per non perdere la giornata di lavoro, altri invece sono rimasti sebbene consapevoli che le procedure alternative avrebbero provocato forti ritardi. Tenendo conto delle continue segnalazioni sembra che non si tratti di un evento raro e le lamentele riguardano anche il trattamento che i dipendenti sono soliti riservare ai pazienti, non certo a loro agio quando costretti a perdere ore per un semplice esame. L'ufficio stampa dell'Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari riferisce che «il funzionamento del Sisar non dipende da ogni singola struttura, essendo questo gestito in maniera integrata per tutto il territorio regionale». In particolare, sui fatti di ieri mattina, l'azienda mista fa presente che «non c'è stato alcun tipo di problema significativo, tranne un normale allungamento dei tempi che è solito registrarsi quando si verificano certi disguidi tecnici». Intanto, la Asl di Cagliari informa gli utenti che domani, dalle 8.30 alle 13, sarà sospeso il servizio telefonico per la prenotazione di esami e visite. Sarà comunque possibile effettuare le prenotazioni recandosi presso gli sportelli ticket del poliambulatorio di viale Trieste o presso gli stessi sportelli presenti negli ospedali aziendali della città (Businco, Binaghi, Marino, Microcitemico e Santissima Trinità). DANIELE GAMBERINI ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 gen. ’11 AOUCA: IL MONTACARICHI GUASTO RITARDA IL RICOVERO DI UNA NEONATA CON PROBLEMI RESPIRATORI Il montacarichi guasto ritarda il ricovero di una neonata con problemi respiratori: l'Azienda mista apre un'inchiesta Clinica Macciotta, aperte due indagini Verifiche dei carabinieri nella struttura pediatrica I genitori non erano presenti al momento dell'episodio: padre e madre erano ancora nell'ospedale Santissima Trinità. Perché martedì il montacarichi della Clinica Macciotta era guasto? E il ritardo con cui la neonata (ancora ricoverata nella struttura pediatrica) è arrivata nel reparto di Terapia intensiva, al terzo piano, ha influito sulle sue condizioni di salute? È quello che vogliono capire i carabinieri della stazione di Stampace, che mercoledì mattina (dopo aver letto l'articolo de L'Unione Sarda ) si sono presentati in via Ospedale, dove hanno ascoltato sia il commissario straordinario dell'Azienda ospedaliera universitaria Ennio Filigheddu, sia il primario del dipartimento Vassilios Fanos. Per ora quella avviata dai militari è un'indagine conoscitiva, semplici verifiche, nel senso che non ci sono né indagati né ipotesi di reato, ma conferma la gravità della vicenda avvenuta martedì pomeriggio, poco prima dell'una. IL PARTO La piccola, nata qualche minuto dopo mezzogiorno al Santissima Trinità, ha iniziato a respirare male, forse per il cordone ombelicale che si è attorcigliato al collo al momento del parto. Un particolare che non si trasforma per forza in difficoltà respiratorie, ma i medici di Is Mirrionis hanno preferito trasferire la bambina nella Clinica Macciotta. Dopo il viaggio in ambulanza, l'équipe che accompagna la neonata trova il montacarichi guasto nella struttura di via Ospedale. La piccola è dentro una culla-incubatrice che la aiuta a respirare, impossibile da trasportare nelle scale. Così i medici decidono di portarla a piedi, in braccio, fino al terzo piano. Nella prima rampa però la bambina inizia a respirare a fatica, diventa cianotica e gli specialisti decidono di tornare a bordo dell'ambulanza per usare una maschera d'ossigeno. Dopo qualche minuto, un secondo tentativo con un altro ascensore: che funziona, sì, ma le portine sono troppo strette e l'incubatrice non può entrare. A risolvere il problema sono i medici della Terapia intensiva, che scendono al piano terra con una bombola portatile: la bambina viene tolta dalla culla, viene aiutata a respirare con una maschera e fatta salire, in braccio al personale sanitario, in ascensore fino al terzo piano. Qui viene ricoverata: dopo quasi tre giorni, grazie alle cure dei pediatri, le sue condizioni sono migliorate e sarebbe fuori pericolo. I GENITORI Un capitolo importante è quello che riguarda i genitori. Nel frattempo il padre e la madre della bambina sono rimasti al Santissima Trinità e solo più tardi hanno raggiunto la Clinica Macciotta. A quel punto hanno scoperto quello che è successo. Ieri hanno parlato con il primario del reparto, che li ha rassicurati sulle condizioni di salute della piccola. L'INDAGINE INTERNA Oltre alle verifiche dei carabinieri - che però non avrebbero, al momento, riscontrato nessuna anomalia - mercoledì è stata aperta anche un'inchiesta interna. Non è la prima volta che si verifica un guasto del genere, e una delle cause può essere «l'inadeguatezza strutturale» a cui tutti si riferiscono quando parlano della Macciotta, costruita alla fine degli anni Trenta. Il commissario straordinario Ennio Filigheddu ha dato mandato all'ufficio tecnico dell'Azienda mista di raccogliere tutte le informazioni necessarie a chiarire l'episodio. Per sapere cosa è successo martedì. E per evitare che la storia si ripeta in futuro. MICHELE RUFFI ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 gen. ’11 AOUCA: OTORINOLARINGOIATRIA, IL NUOVO PRIMARIO VIENE DALL'INGHILTERRA Nuovo cambio della guardia nella direzione della Clinica otorinolaringoiatrica del San Giovanni di Dio: dopo 5 anni di servizio come primario, il professor Ernesto Proto lascia l'incarico di direttore a Roberto Puxeddu, già docente di Otorinolaringoiatria dell'Università di Cagliari e fino a ora Consultant nel Sistema sanitario inglese. LA NOVITÀ Il quarantacinquenne Roberto Puxeddu guiderà la clinica universitaria per almeno vent'anni e la nuova conduzione sarà all'insegna della continuità con il passato ma con nuovi spunti nella gestione clinica e amministrativa che provengono da cinque anni di esperienza britannica. L'ESPERIENZA Roberto Puxeddu è approdato al San Giovanni di Dio nel 1995 proveniente da Brescia, dove ha completato la scuola di specializzazione in Otorino con i professori Antonio Antonelli e Piero Nicolai. Dapprima come ricercatore universitario e successivamente come professore Associato ha operato nella Clinica fino al 2005, quando ha deciso di ampliare l'esperienza lavorativa partecipando e vincendo un concorso per un posto di Consultant presso il dipartimento di Otorinolaringoiatria del Queen Alexandra Hospital di Portsmouth. IL PROGRAMMA «Dopo cinque anni in cui mi sono dedicato ai “pazienti inglesi” in uno dei più grandi ospedali del Sud del Regno Unito, con un bacino di un milione e duecentomila pazienti, sono stato richiamato a dirigere la clinica di Otorinolaringoiatria - afferma Roberto Puxeddu - e sono indubbiamente felice della nuova sfida. Sono soprattutto contento di riprendere a curare i pazienti sardi, mettendo loro a disposizione un bagaglio di conoscenze che indubbiamente è più ampio rispetto a qualche anno fa. L'obiettivo è di fondere l'esperienza del nostro sistema sanitario con quello inglese, dove il paziente è al centro dell'attenzione e delle cure. Mi sono dedicato prevalentemente alla patologia tumorale della testa e del collo, ma ho sempre continuato a rivolgermi anche alla patologia infiammatoria del naso e dei seni paranasali e dell'orecchio. Le risorse del sistema sanitario inglese mi hanno permesso inoltre di ampliare la chirurgia microinvasiva endoscopica laser della testa e del collo, estesa ora anche alle ghiandole salivari». ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 15 gen. ’11 AOUCA: DIAGNOSI IN RITARDO, CONTAGIA LA SCABBIA La malattia della donna, ricoverata al Policlinico, individuata dopo 40 giorni Diagnosi in ritardo, contagia la scabbia Una paziente l'ha trasmessa a operatori sanitari e parenti Una donna, malata di scabbia, ha contagiato alcuni infermieri e medici del reparto. Vedi le altre foto P er più di un mese è stata a contatto con medici, infermieri e con gli altri pazienti ricoverati come lei nel blocco D del Policlinico di Monserrato. L'anziana, affetta da una grave malattia, aveva anche la scabbia. Ma prima che le venisse diagnosticata sono trascorsi quaranta giorni. La conseguenza: la malattia della pelle è stata trasmessa ai figli, ai nipoti, a due infermieri, a un operatore socio sanitario e a un medico. Questi i casi acclarati, ma non è escluso che anche altre persone abbiano contratto l'infezione. Dopo la morte della donna i dipendenti del Policlinico sono stati sottoposti, precauzionalmente, alla profilassi. Un trattamento non di poco conto, visto che si sta parlando di circa 600 persone. LA VICENDA L'anziana è arrivata nel reparto di medicina interna e oncologia a fine ottobre, trasferita dalla clinica Lay. Oltre alla grave patologia, si lamentava di avere prurito in tutto il corpo. E in alcuni casi avrebbe fatto esplicito riferimento a una sua vecchia compagna di stanza: «Si grattava sempre, come se avesse i pidocchi. Poi ho iniziato anche io ad avere un prurito fastidioso». Per più di un mese non è stata sottoposta ad alcun test dermatologico. Così è rimasta ricoverata in una stanza con altre pazienti. Anche i medici e gli infermieri entrati in contatto con lei non hanno preso le precauzioni necessarie nei casi di scabbia. Solo l'8 dicembre la donna è stata accompagnata nel reparto di dermatologia per un controllo, risultando positiva alla scabbia. È stata immediatamente lasciata in una stanza singola. Il giorno dopo, la malattia della pelle è stata diagnosticata anche a un'infermiera. I FAMILIARI Anche i parenti dell'anziana, alle prese con un fastidioso prurito, hanno fatto il test. Il risultato è stato scontato: quasi tutti, compresa una nipotina della donna, avevano contratto l'infezione. Per l'infermiera e per i familiari della donna è scattata la profilassi: trattamento con apposita terapia e isolamento per quaranta giorni. Per evitare ulteriori contagi, le persone con l'infezione hanno dovuto sterilizzare le loro abitazioni e tutti i capi d'abbigliamento. Poche settimane dopo anche un'altra infermiera ha scoperto di avere la scabbia. Stessa amara sorpresa per un operatore socio-sanitario dello stesso reparto e per una dottoressa. L'AZIENDA Soltanto dopo la morte dell'anziana (la causa del decesso non ha alcun collegamento con la scabbia), avvenuta a fine anno, la stanza dove era ricoverata è stata chiusa e disinfettata. «In questi casi», sottolinea Ennio Filigheddu, commissario straordinario dell'Azienda ospedaliera mista, «non è facile riscontrare la scabbia, soprattutto se il paziente è affetto da patologie gravi. Non è stata riconosciuta, se non dopo un mese. A quel punto è scattato il piano di profilassi». Oltre alla stanza della donna, è stata sterilizzata una parte del reparto. «Per precauzione», continua Filigheddu, «tutti i dipendenti verranno sottoposti al trattamento per prevenire eventuali infezioni, anche se le probabilità di contagio a questo punto sono pari allo zero». Sulla vicenda interviene anche Gian Benedetto Melis, direttore sanitario dell'Azienda mista: «Se il personale medico e infermieristico avesse applicato il protocollo non avrebbe contratto la malattia. Sarebbe bastato il semplice accorgimento dell'utilizzo dei guanti per ridurre al minimo le possibilità di contagio». Intanto, il reparto sta lavorando in una situazione di difficoltà per la contemporanea assenza per malattia di due infermiere e un operatore socio sanitario, ancora in quarantena. MATTEO VERCELLI _________________________________________________________ L’Unione Sarda 29 Dic. ’10 AOUCA: OTTANTA MILIONI PER LA METROPOLITANA Presentato il piano investimenti per il prossimo anno, i lavori finirebbero nel 2015 L’ARST VUOLE COLLEGARE IL POLICLINICO UNIVERSITARIO ALLA STAZIONE Il sindaco Emilio Floris però resta sulle sue: «Non conosco il progetto, abbiamo già un piano urbano della mobilità». Collegare in trenta minuti piazza Matteotti con il policlinico universitario di Monserrato e poi con Sestu. È questa la scommessa del consiglio d’amministrazione dell’Arst, l’azienda per i trasporti regionali della Sardegna che, nella serata di ieri, ha deliberato il nuovo piano d’investimenti 2011. METRO LEGGERA Tra i vari punti del piano, che riguarda molteplici interventi in tutto il territorio sardo, spunta dunque quell’idea che da anni tiene banco quando si parla della realizzazione di una mobilità più snella nell’area vasta di Cagliari, tesa a ridurre i tempi di percorrenza per spostarsi dall’hinterland in città e viceversa: una metropolitana leggera che, invece di fermarsi al capolinea di piazza Repubblica, possa arrivare fino alla stazione delle Ferrovie dello Stato, transitando per via Dante, viale Diaz e via Roma, sfruttando gli spartitraffico centrali come nel caso di viale Cimitero. SERVONO 79 MILIONI I finanziamenti richiesti all’amministrazione regionale, circa 79 milioni di euro, sarebbero inoltre decisamente inferiori rispetto al progetto targato Ctm (non meno di 600 milioni di euro), proprio grazie alla caratteristica essenziale di voler far viaggiare i treni esclusivamente in superficie, senza passaggi sotterranei. Un piano figlio della pressante richiesta da parte degli utenti (sono circa 4700 quelli che ogni giorno utilizzano la metropolitana leggera a Cagliari), soprattutto studenti e lavoratori, che sperano nel prolungamento della tratta che da piazza Repubblica porta in via San Gottardo a Monserrato (nel piano è previsto il raddoppio dei binari, per un costo di 6,6 milioni di euro, che permetterà di aumentare la frequenza del servizio) e che, dalla fine del 2012 con l’ultimazione dei lavori, farà sì che si possa raggiungere direttamente su rotaia il Policlinico universitario e le varie facoltà scientifiche presenti oltre la statale 554. TEMPI DIMEZZATI Dall’azienda insistono molto sul fatto che, in questo modo, si potrà finalmente avere la possibilità di avere tempi di percorrenza certi, dimezzati rispetto a quelli che offre l’autobus, l’unico mezzo di trasporto pubblico attualmente disponibile e che, peraltro, non è in grado di garantire orari precisi. È previsto che il numero delle auto (e l’inquinamento) diminuirà grazie all’utilizzo della metro, ma potrebbe aumentare il traffico per via dei nuovi semafori installati lungo il percorso. L’estensione del tracciato da piazza Repubblica a viale Diaz costerà 23 milioni di euro, quella da viale Diaz a piazza Matteotti altri 10,5 milioni, mentre per il tratto dal Policlinico di Monserrato a Sestu si prevede una spesa di 38,7 milioni. IL NODO COMUNE I cantieri potrebbero aprire già alla fine del 2011 per chiudere non più tardi del primo semestre del 2015, sempre che si riescano a reperire i fondi richiesti e sempre che l’amministrazione comunale si esprima favorevolmente. A tal proposito il sindaco di Cagliari Emilio Floris fa sapere di non volere «rilasciare alcuna dichiarazione ufficiale su un argomento che non sia stato già discusso nel tavolo Regione-Comune, soprattutto non conoscendo dettagliatamente né il progetto né i relativi percorsi che si vorrebbero realizzare. È intenzione della giunta proseguire con le modalità che si sono sempre attuate, facendo rientrare il tutto, nel Piano urbano della mobilità, lo strumento a disposizione dei comuni per definire adeguati progetti relativamente al sistema territorio-trasporti». Daniele Gamberini ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 gen. ’11 MASTINO: SULLA SANITÀ SASSARI È PENALIZZATA SASSARI. Dopo scossoni politici e sostituzioni ai vertici continua il confronto sulla sanità nel nordovest sardo, a rischio marginalizzazione. Il rettore dell’università di Sassari chiede che la Regione faccia la sua parte sino in fondo, ospedalieri e medici di base continuità gestionale e rispetto degli impegni. Pagina 2 - Fatto del giorno «L’ateneo valorizza la sanità, la Regione faccia la sua parte» Parla il rettore Da correggere la costante tendenza a concentrare risorse verso Cagliari PIER GIORGIO PINNA SASSARI. Scossoni politici sulla sanità e sostituzioni ai vertici delle aziende non ne hanno turbato l’abituale flemma. Ma il rettore dell’università di Sassari ora chiede alla Regione di fare sino in fondo la sua parte: certo com’è che l’ateneo contribuisca già a valorizzare l’assistenza in un Nord Sardegna a rischio marginalizzazione. «Con nostri fondi stiamo consegnando chiavi in mano tre importanti complessi clinici, altri sono in fase di rilancio grazie alla nostra sola autonomia finanziaria e nel frattempo l’ateneo paga stipendi per 4 milioni all’anno a 80 operatori che lavorano per l’azienda ospedaliero- universitaria - dichiara Attilio Mastino, dal novembre 2009 alla guida dell’accademia turritana - Francamente non riesco a comprendere allora come mai l’Aou, dove manca sempre la figura del direttore sanitario, sia in deficit. Oggi il commissario, di rinnovo in rinnovo, non ha neppure la possibilità di elaborare una programmazione adeguata. Credo perciò sia giunto il momento di un altro protocollo d’intesa con la Regione. E comunque va corretta la tendenza a concentrare risorse su Cagliari. La possibile nascita al sud di un’unica macroarea per la sanità di tutta l’isola mi pare una scelta sbagliata: noi avevamo suggerito che ce ne fosse una seconda a Sassari». A chi ricorda come sulla sanità il centrodestra in Regione resti spaccato e rammenta le diverse valutazioni fatte dal centrosinistra Mastino replica richiamando subito uno dei nodi cruciali: «Si parla sempre di una questione data per preliminare: l’Asl 1 e l’Aou devono fondersi o no? Bene, io penso che il cammino verso una sola grande azienda possa venire percorso gradualmente. Ma da subito si possono evitare duplicazioni nei servizi. È il caso dei ticket, del pronto soccorso, del centro di prenotazione. Più in prospettiva immagino che sia indispensabile trovare un dialogo costruttivo con gli ospedalieri: medici che hanno quasi tutti studiato nella nostra università, che sanno quanto è possibile far risaltare le professionalità di ciascuno, senza tensioni e contrasti, riconoscendo a ciascuno il proprio ruolo. Fra l’altro molte argomentazioni avanzate in ambito ospedaliero, a cominciare dall’esigenza di far crescere la produttività dell’assistenza in alcune aree universitarie, sono fondate. Credo a ogni modo che, con il dialogo, equivoci e malintesi possano venire superati». A preoccupare il rettore è inoltre la futura sovrapposizione dei problemi locali con quelli nazionali legati al varo della Riforma Gelmini. «Anche da noi si andrà verso l’eliminazione della facoltà di medicina e la nascita di 4 dipartimenti - dice - Ma è da vedere come questi dipartimenti interagiranno con i servizi e le innovazioni annunciati nel disegno di legge predisposto dall’assessore regionale». S’intravedono poi altre nubi da far diradare all’orizzonte. «La politica dei commissariamenti non può proseguire - sostiene infatti Mastino - L’ossatura di una azienda può essere tratteggiata solo da un direttore generale. E c’è bisogno di continuità gestionale. Così come del mantenimento degli impegni sui Fas per completare gli interventi edilizi ed eliminare condizioni di grave criticità». Altro tema rilevante, per il rettore, è che «Sassari possa nel territorio operare ad armi pari con nuove strutture sanitarie che tra breve sorgeranno nella Sardegna Nord- Orientale, con occasioni di sviluppo e di efficaci sinergie». Chiaro il riferimento all’apertura in marzo a Olbia del San Raffaele (110 posti letto iniziali che forse raddoppieranno presto). «Per il rettore «Sassari deve riacquistare il proprio ruolo storico di polo regionale di riferimento, in grado di offrire prestazioni in linea con i livelli di eccellenza europea». «Ma ciò richiede investimenti adeguati a superare il gap tecnologico che dura da anni e rischia di dequalificare sia le strutture universitarie sia quelle ospedaliere - afferma il Magnifico - Strumento essenziale, a questo fine, è dunque un progetto di gestione della formazione e dell’assistenza che permetta l’uso appropriato delle risorse e la creazione di centri d’eccellenza che ne aumentino la competitività». Anche da qui le considerazioni finali di Mastino: «Si deve rapidamente arrivare alla nomina dell’Organo di indirizzo: il suo compito sarà di proporre iniziative e misure per assicurare la coerenza generale dell’attività assistenziale con la programmazione didattica e di verificarne la corretta attuazione». ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 gen. ’11 ECCO L’ISOLA DEI COMMISSARI la Giunta Cappellacci inventa un nuovo mostro giuridico BUROCRAZIA REGIONALE Ascolta la notizia Infrante le regole della democrazia Alla competenza e trasparenza viene sostituita la sola ragione dell’appartenenza DOCENTE FACOLTÀ DI AGRARIA UNIVERSITÀ DI SASSARI Neanche Camilleri, inventore del più celebrato commissario italiano, l’avrebbe potuta pensare: l’Isola dei Commissari. Commissariate le ASL, i consorzi di bonifica, i consorzi industriali, le agenzie regionali, l’Istituto Zooprofilattico, insomma commissariata la Sardegna. L’istituto del commissariamento si fonda su ragioni di urgenza e impone limitazioni sia nel tempo (pochi mesi non prorogabili) che nelle funzioni da svolgere. Questa Giunta Regionale ha invece inventato un nuovo mostro giuridico, il “Commistra digeneralis Capp. 2008”, un ibrido, fortunatamente non fecondo, fra commissario straordinario e direttore generale (per chi non si occupa di tassonomia, Capp. sta per Cappellacci), degno di inclusione nel compendio dei “Minima Animalia” del mio omonimo cugino filosofo. Uno strano animale, capace di contravvenire al secondo principio della logica aristotelica (della non contraddizione) in quanto dotato contemporaneamente di status straordinario e di poteri ordinari. Una figura che infrange le basilari regole della democrazia laddove, alla competenza e alla trasparenza per la nomina dei direttori generali, é sostituita la sola ragione dell’appartenenza per la designazione dei commissari (i quali accidentalmente possono anche essere competenti nel merito della struttura che vanno a gestire, ma questo è un dettaglio). A parte i dubbi sulla legittimità di alcune nomine commissariali, va rimarcata la sospensione delle garanzie dell’informazione democratica quando, ad esempio, nel caso della recente “ulteriore proroga” del commissario straordinario di Agris, si richiama una fantomatica procedura di evidenza pubblica in corso di definizione per l’individuazione degli idonei a ricoprire la carica di direttore generale, omettendo che tale procedura è già stata avviata, chiusa con l’idoneità sembrerebbe di sette candidati, e annullata, e sottacendo che una analoga procedura pubblica era stata espletata dalla giunta Soru, con il risultato di una ventina di idonei. Oppure nel caso delle strutture sanitarie (ASL e Zooprofilattico) da mesi gestite da “Commissari- direttori- generali” (sic!) come se non esistesse una sterminata lista (mi pare più di quattrocento) di aventi titolo a ricoprire l’incarico di direttore generale. Tutte le delibere della Giunta Regionale relative a queste nomine agiscono “nelle more di...” (una riforma inesistente? una procedura non avviata? una elezione non indetta?..). A me sembra che l’unica messa in mora sia la moralità di questo modo di procedere della giunta, irrispettosa dei sardi e delle regole della democrazia. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 13 gen. ’11 IL MEDICO DEL CAVALIERE CONTESTA IL TEST D'INGRESSO IN MEDICINA MILANO - «Trovo che le modalità che regolano l' accesso alla facoltà di Medicina siano deludenti e inique»: parole pesanti quelle usate dell' anestesista dell' ospedale San Raffaele di Milano e medico del premier Silvio Berlusconi, Alberto Zangrillo, il cui primogenito tre anni fa non era riuscito a superare la prova d' ingresso. L' intervista è stata pubblicata sul mensile Ok Salute. «Più o meno 100 domande in 100 minuti - ricorda Zangrillo -: un quiz che comprende quesiti di diverse discipline, dai classici all' attualità, ai quali bisogna rispondere in condizioni di grande stress. E pensare che mio figlio voleva seguire le mie orme». Una passione, quella del figlio, nata sui banchi della scuola superiore. «Negli ultimi tre anni di liceo - racconta Zangrillo - era nata in lui una passione fortissima per la professione medica. Chiedeva spesso del mio lavoro, mi tampinava con continue domande. Dopo la maturità, ha passato l' estate sui libri. Eppure non è bastato. La frustrazione di non passare quelle prove è stata grande per mio figlio». D' accordo con il medico sull' inadeguatezza del test anche il Codacons: «Condivido quanto ha denunciato Zangrillo - dice il presidente Marco Maria Donzelli - e ci appelliamo al presidente Napolitano perché sia eliminato il numero chiuso all' università». ______________________________________________________________ Corriere della Sera 13 gen. ’11 «TEST DI MEDICINA, IL SOLO MERITOCRATICO» UN ASPIRANTE MEDICO RISPONDE AD ALBERTO ZANGRILLO «La sanità dovrebbe accogliere solo i "migliori" perché è in gioco la vita delle persone, non "i più sponsorizzati"» * NOTIZIE CORRELATE Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una lettrice in risposta all'intervista rilasciata da Alberto Zangrillo, medico personale di Silvio Berlusconi, al mensile "Ok Salute". Martedì pomeriggio, di ritorno dal reparto ospedaliero che sto frequentando per potermi abilitare alla professione di medico chirurgo e prima di cominciare a studiare per l'esame di Stato, ho fatto un salto su Corriere.it e mi sono imbattuta nell'intervista estrapolata da Ok Salute al dott. Alberto Zangrillo. E così ho potuto leggere - con grande commozione - del suo dispiacere di padre di fronte a un figlio, così meritevole e perfetto per la professione medica, che non è riuscito a superare l'INIQUO test di ingresso di Medicina. È buffo notare come la mia esperienza discordi totalmente con quella del dottor Zangrillo e di suo figlio: il caso voglia che il test di ingresso per la facoltà di Medicina, attualmente ministeriale, con domande a risposta multipla casuali e non estratte da un database presistente, sia l'unico (assieme a quello per l'ingresso al corso di Medicina generale) in tutto il panorama della facoltà e del post-laurea ad essere realmente meritocratico. Esso, pur con molti limiti, ha al momento il grande, grandissimo merito di far si che i più bravi e preparati (pur senza conoscere alcun professorone o alcun parlamentare che possa dargli "un aiutino") riescano a mettere a frutto gli anni di studio e le proprie conoscenze, e riescano a inserirsi nell'ambito della sanità, ambito che dovrebbe accogliere solo i "migliori" perché vi si gioca la vita delle persone, ma che spesso invece va ad accogliere "i più conosciuti" o "i più sponsorizzati" a discapito della qualità del servizio erogato. A dirla tutta, leggendo il testo dell'articolo (cosa che ho fatto ripetutamente), non si riesce bene a capire quale sia la critica di base che Zangrillo fa a questo famigerato test di ingresso: il problema è il numero eccessivo delle domande in poco tempo? O forse che l'emozione gioca brutti scherzi? Oppure che le materie su cui verte il test sono troppo numerose? Qualsiasi sia la risposta, occorre ricordare al dott. Zangrillo che spesso in medicina ci si trova a combattere con l'emozione e con l'ansia, e che forse un ragazzo o una ragazza che si fanno prendere dal panico per un test a risposta multipla non sono poi così indicati per il ruolo del medico che spesso è costretto a lavorare sotto tensione. O ancora: se un ragazzo non riesce a rispondere a quelle domande così numerose in così poco tempo, mentre altri suoi coetanei che partono dalle medesime possibilità vi riescono, forse non può essere inserito nel gruppo dei "più meritevoli". O ancora: se le materie del test di ingresso sembrano al dottor Zangrillo troppo numerose, forse dovrebbe dare un'occhiata al numero attuale di esami e materie che uno studente di medicina deve affrontare per il conseguimento della laurea. O forse, e questo è quello che pensa la sottoscritta e che qualsiasi persona onesta intellettualmente e che si sia almeno una volta scontrata con l'ambiente medico, così ricco di favori, nepotismo e "figli di", il vero problema per il dottor Zangrillo è che questo è un test che bypassa qualsiasi tipo di raccomandazione: questo sì che è un vero problema. Perchè un test in cui mamma e papà non possono aiutarti, dove non conta se sei figlio del medico di Berlusconi o del falegname che non sa con certezza dove sia situata la colecisti, è un test che dà la certezza all'utente di trovarsi, un domani, non di fronte al solito "figlio di" col nome famoso e che poi magari non riconosce un tumore quando lo dovrebbe fare, ma di fronte a medici preparati che, pur con tutti i limiti umani che ciascuno può avere, hanno studiato e si sono preparati a dovere per ricoprire l'incarico che hanno. Certo, comprendo che il dottor Zangrillo preferirebbe per l'accesso alla facoltà di Medicina un concorso simile a quello per l'accesso alle Scuole di Specializzazione: là è probabile che suo figlio e i tanti, tantissimi "figli di" che affollano gli ospedali e le università, potrebbero arrivare addirittura primi. Là, dove il potere è tutto in mano ai direttori di Specializzazione, dove i cognomi stranamente sono tutti molto simili, dove la seconda prova (discussione di un caso clinico) è miracolosamente svolta bene da ragazzi che fino all'anno prima balbettavano a tutti gli esami frasi incomprensibili e logicamente non corrette (salvo poi avere sul libretto fior fior di trenta). È strano che su questo test di ingresso nessuno (tranne i poveri studenti che non conoscono nessuno di famoso) abbia mai niente da ridire. Trovo assurdo che un giornale come Corriere possa dare spazio a un'intervista del genere, almeno (per par condicio) riportate anche l'intervista a uno dei tanti ragazzi che, entrati tra i primi posti al test di ingresso a medicina, laureatisi in tempissimo con 110 e lode, si sono visti superare al concorso di specializzazione dal raccomandato di turno. Chiedete a loro, quale dei due concorsi possa dirsi meritocratico. Lettera firmata ______________________________________________________________ Sanità News 13 gen. ’11 SECONDO ANAAO PER I CERTIFICATI ONLINE E' NECESSARIA UNA PROROGA (La Trasmissione telematica dei certificati di malattia, nonostante gli sforzi e le promesse, non può dirsi ancora un sistema a regime considerato che anche le Regioni che vantavano il numero più elevato di trasmissione di certificati stanno incontrando difficoltà. L’Anaao Assomed ribadisce che l’espansione ed implementazione dei sistemi di informatizzazione in ambito sanitario sono un processo non solo necessario ma auspicabile, ritiene inammissibile mantenere la scadenza del 31 gennaio per l’avvio delle sanzioni ai medici inadempienti. In particolare per le strutture ospedaliere, e soprattutto per i Pronto Soccorso, tale procedura è ben lungi dall’essere operativa a causa di carenze strutturali non imputabili certo agli operatori sanitari. Il tempo che deve dedicare il medico per ottemperare a questo ulteriore onere amministrativo, sotto minaccia di pesanti sanzioni, non farebbe che allungare ulteriormente i tempi delle procedure, già stressate in questi giorni dall’epidemia influenzale. Anaa ritiene che tale processo, oltre che per l’obbligo di specifica responsabilità e per i necessari investimenti economici, deve in primo luogo coinvolgere le Regioni e le dirigenze delle Aziende/AUSL Sanitarie e che laddove Regioni e aziende sanitarie non abbiano ancora garantito i necessari supporti logistici, e soprattutto di organico, non potrà essere elevata alcuna contestazione di responsabilità nei confronti dei singoli medici dipendenti. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 9 gen. ’11 QUANTO SI RISCHIA NON RISPETTANDO LE SCADENZE DEI CIBI Più rigore Il 2011 è l' anno europeo contro la spesa superflua in generi alimentari O gni anno finiscono nei cassonetti quasi 18 milioni di tonnellate di alimenti. Si calcola anche che 75 mila tonnellate di cibo siano ritirate dalla catena distributiva prima della scadenza. Le cifre, contenute nel Libro nero dello spreco alimentare in Italia - rapporto curato da Last minute market, società spin-off dell' Università di Bologna - sono state snocciolate più volte negli ultimi mesi, anche perché il Parlamento europeo ha deciso di dedicare il 2011 alla lotta contro questo fenomeno e da più parti si è sottolineata la necessità di cambiare rotta. Le settimane che seguono le festività di fine anno sono un ottimo "banco di prova": da una parte, molti si ritrovano con un surplus di acquisti gastronomici non consumati; dall' altra molti prodotti - dai tipici dolci natalizi a cotechini, frutta secca, lenticchie, spumanti - sono proposti in "saldo", con la possibilità per i consumatori di risparmiare (dato Coldiretti) fino ad un 30% rispetto ai soliti prezzi. Allora, che cosa fare: seguire gli appelli anti-spreco, mangiando anche alimenti scaduti? Fare incetta di cibi in offerta anche a rischio di riuscire a consumarli solo dopo il termine indicato in etichetta? Oppure seguire la regola numero uno della sicurezza alimentare: controllare le etichette e rispettare rigorosamente le scadenze? «Se i cibi hanno una scadenza c' è un motivo - premette Laura Toti, microbiologia del Dipartimento di sicurezza alimentare dell' Istituto superiore di sanità -. I prodotti tipici del Natale però hanno scadenze che vanno ben oltre il periodo delle feste: qualche mese per panettone e pandoro, due anni per i cotechini precotti e anche tre per le lenticchie secche. Possono quindi essere consumati tranquillamente nei mesi che seguono le festività». «Per tutti i prodotti alimentari, natalizi o no, va tuttavia tenuto presente che dopo la data indicata sulle confezioni si verificano alterazioni chimiche e microbiologiche che modificano le caratteristiche nutrizionali e organolettiche. E che queste modificazioni a volte sono pericolose per la salute. Chi mangia alimenti scaduti, inoltre, lo fa a suo rischio e pericolo: se subisce danni non può avanzare rivendicazioni di nessun tipo, perché la legge non lo tutela - precisa Laura Toti -. Detto questo, un pò di margine può esserci, ma non per tutti gli alimenti e, soprattutto, soltanto se i cibi sono conservati in condizioni ottimali». Una distinzione importante è quella fra i prodotti che riportano una scadenza perentoria ("da consumarsi entro ...") e quelli su cui è scritto "da consumarsi preferibilmente entro ...". «Mentre questi ultimi possono essere consumati anche per qualche tempo oltre la scadenza senza danni per la salute, i primi si deteriorano molto più rapidamente, con una perdita netta delle loro qualità, con possibili conseguenze per la salute - spiega la microbiologa -. Per esempio, lo yogurt può essere mangiato anche il giorno dopo la scadenza, ma la quantità di fermenti sarà inferiore a quella indicata e i benefici saranno minori». In generale, la normativa prevede che sui prodotti che si conservano meno di tre mesi (come yogurt e mozzarelle) siano specificati giorno e mese di scadenza; per quelli che durano fino a 18 mesi (per es. maionese, pasta all' uovo, merendine) siano indicati mese e anno, mentre sugli alimenti che possono superare i 18 mesi (pasta, succhi di frutta, conserve...) va indicato solo l' anno. Questi ultimi tollerano meglio l' invecchiamento e quindi possono essere consumati per tempi più lunghi dopo la scadenza. Margherita Fronte RIPRODUZIONE RISERVATA **** Chiedete all' esperto Il nutrizionista risponde alle vostre domande su corriere.it/salute/nutrizione Fronte Margherita ______________________________________________________________ La Stampa 8 gen. ’11 I SARDI PIÙ MALINCONICI, ABRUZZESI FUMATORI ACCANITI L'Istituto Superiore di Sanità: "Ecco caratteri, vizi e virtù regione per regione" La ricerca LAURA ANELLO poeti, santi e navigatori, d'accordo. Ma anche modesti fumatori, blandi bevitori, un po' depressi, sovrappeso pur se non troppo sedentari. Ecco gli italiani fotografati dal rapporto «Passi» dell'Istituto superiore di Sanità, ecco gli abitanti del Belpaese passati ai raggi X regione per regione. E se il quadro d'insieme è questo con luci, ombre e qualche sorpresa ancora una volta lo Stivale è diviso in due per benessere, prevenzione, abitudini, comportamenti alla guida. Da una parte il Nord in testa il Trentino-Alto Adige e la Liguria virtuoso e rispettoso di sé e degli altri. Dall'altro il Sud, indulgente e refrattario alle regole, come da copione. L'unica rivincita è sull'alcol. Ma c'è poco da stupirsi se a Bolzano, con le temperature intorno allo zero per metà dell'anno, il 41 per cento degli abitanti ci dà dentro con vin brulé, punch e bombardini, seguiti a ruota dai vicini di Trento (30,5) e dai valdostani (26,4), mentre nella calda Campania a bere oltre misura sono soltanto l'8 per cento, in Sicilia il 10, in Basilicata il 12. Per il resto, a scorrere i dati, ci si diverte ad attribuire patenti e primati regionali, con la stessa divertita leggerezza con cui il film campione d'incassi «Benvenuti al Sud» si muove tra cliché e pregiudizi. I più sedentari? I lucani: oltre il 47 per cento non si schioderebbe dalla poltrona. I fumatori più accaniti? Gli abruzzesi, con la sigaretta in mano nel 31 per cento dei casi. I depressi? I sardi, che precedono di poco calabresi e liguri, a dispetto della terra meravigliosa in cui vivono. Distante da tutto, però, e forse per questo incline alla malinconia. I grassi? I calabresi, con un 50,8, seguiti da molisani e campani. A guardarli dall'alto in basso, è proprio il caso di dirlo, sono i trentini (solo il 35 per cento di rotondetti), che immagini sempre arrampicati su cime e pendii. Per non parlare dei comportamenti alla guida, con i virtuosi liguri che giurano nel 95 per cento dei casi di mettere sempre la cintura di sicurezza (seguiti da friulani e bolzanini, entrambi intorno al 92) e solo il 70.3 di calabresi che dicono di farlo. Magari munendosi di cornetto rosso sul cruscotto. Quanto al casco sulla moto, sono ancora i liguri a vincere il premio delle buone pratiche, con il 99,7 per cento che assicurano di metterselo sempre sulla testa (precedendo Friuli- Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, che si attestano intorno al 98 per cento) mentre soltanto 1'82 per cento dei calabresi rinuncia al vento tra i capelli. Il 18 per cento confessa candidamente che non ne vuole sapere di indossarlo, a dispetto di controlli e statistiche sugli incidenti. Raccontato così, è quasi un divertissement. Ma in realtà l'indagine è seria, commissionata dal ministero della Salute al Centro nazionale di epidemiologia dell'Istituto superiore di Sanità e condotta a tappeto su 126 aziende sanitarie locali. Circa 40 mila questionari distribuiti a italiani tra i 18 e i 69 anni, poi passati al vaglio del medico di famiglia, pesati, elaborati. Obiettivo, quello di avere dati dettagliati per monitorare l'andamento dei fattori di rischio e degli interventi di prevenzione. Le sorprese non mancano, se dalle classifiche per regioni ci si sposta a quelle per età, condizione sociale, livello di istruzione. Per esempio, se il fumo, il sovrappeso, la sedentarietà crescono con povertà e ignoranza, l'alcol no: il consumo a rischio è più frequente tra i giovani (in modo particolare dai 18 ai 24 anni) con istruzione medio-alta e senza problemi di soldi. E seppure la maggioranza degli italiani non beva alcol (43 per cento) o beva moderatamente (39 per cento), il rapporto stima che più di un adulto su sei abbia abitudini sbagliate per quantità o modalità di assunzione. Quanto alla depressione, c Bisce soprattutto le donne con un b 3o livello di istruzione, difficoltà economiche e malattie croniche, ma non è confermata un'associazione con l'età o con il tipo di lavoro. Se le Italie sono proprio due quando si guardano allo specchio (quasi 1'80 per cento di bolzanesi e trentini si dichiarano in buona o ottima salute, a fronte del 56 per cento dei calabresi), su una cosa il Paese è unito: lo scetticismo o forse il fatalismo. A dispetto degli allarmi mondiali sull'influenza A, neanche il 40 per cento è andato a vaccinarsi. Sopravvissuti a carestie, dominazioni e pestilenze, gli italiani non si scompongono certo per un virus. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 gen. ’11 SARDI PIGRI, SOVRAPPESO, FUMATORI E SOPRATTUTTO I PIÙ MALINCONICI D’ITALIA SASSARI. I sardi sono convinti di essere in perfetta forma e si ritengono virtuosi cittadini che rispettano le regole sociali. Ma a far vacillare tanta sicumera, anzi a dargli una forte spallata, è intervenuto l’Istituto superiore della Sanità con il rapporto Passi relativo al 2009, che ha disegnato il profilo degli italiani elaborando interviste e dati messi a disposizione da 149 aziende sanitarie. La ricerca ha preso in considerazione un campione di 21.498 persone di età compresa tra i 18 e i 69 anni in 20 Regioni italiane. E’ così che i sardi si piazzano tra i più sedentari, i fumatori, i ciccioni e, soprattutto, sono in pole position tra i depressi in barba al luogo comune che vorrebbe le popolazioni che vivono dove il sole scalda per molti mesi l’anno tra i più allegri del mondo. Noi siamo tristi come gli eschimesi. Ci consola sapere che sì, ci piace l’alcol, ma che il primato tra chi solleva il gomito appartiene al Nord. I sardi poi sono buoni cittadini: non avrebbero difficoltà a rispettare le regole. E infatti l’85,36% ha acquisito bene il concetto che, nei locali pubblici, non si deve fumare, l’80% usa le cinture di sicurezza (ma questo dato non è disarticolato per Regione e riguarda il Centro) ed è ligio nell’assicurarsi il casco sulla testa prima di salire sulla moto. Quindi, se sul fronte sociale possono essere promossi, il loro stato di salute richiede almeno qualche riflessione. Va detto che per quanto riguarda l’isola, mancano elementi su alcune aree: l’Ogliastra e una parte del Campidano e della Planargia, per cui le conclusioni della ricerca potrebbero risultare drogate, e lo stesso assessore alla Sanità Antonello Liori, del resto, lascia intendere di non essere completamento convinto delle conclusioni, ma resta il fatto che il rapporto Passi è un sistema di sorveglianza promosso dal ministero del Welfare. Il dato che balza agli occhi nella ricerca sulla Sardegna quindi è quello relativo alla depressione che pesa sul 9,83% dei sardi, 1 a 10, mentre la media nazionale è di 1 a 15. Malinconici compagni, in seconda e terza posizione, sono i calabresi, con il 9,28% e i liguri con 8,90%. «Ma è un dato che non sorprende - commenta Noemi Sanna, dirigente medico dell’istituto di Psichiatria e docente all’Università di Sassari - la depressione è una malattia molto diffusa soprattutto nel centro della Sardegna dove si manifesta con sintomi differenti rispetto alle zone costiere e alle città. E inoltre i sardi sono un popolo provato dalla mancanza di speranze e dalla disoccupazione ormai da troppi anni». Vittime donne e uomini in uguale misura, anche se la bilancia pende un po’ più verso le prime. «Nelle zone del centro della Sardegna alle donne è toccato sempre un falso ruolo di matriarcato - spiega Noemi Sanna - ma di fatto prima erano costrette ad assumere un ruolo maschile perchè i loro mariti vivevano lontani appresso alle greggi; ora devono avere un compito consolatorio, perchè è sulle loro spalle che vengono riversate le frustrazioni accumulate sul fronte del lavoro». Insomma, devono essere sempre granitiche, forti, «guai a lasciarsi andare - dice Noemi Sanna - questo è un lusso che non le viene concesso». E la depressione così inizia a farsi strada. Per quanto forse (per ora) troppo azzardato, gli psichiatri valutano un possibile legame tra la malattia e il corredo genetico. «Non parliamo di familiarità, che nella depressione è appurata - ma come esistono studi sulla longevità della popolazione che ha vissuto a lungo isolata, così come è certo che ci sia una relazione tra genetica e sclerosi multipla, non si può escludere a priori che la depressione faccia parte del pacchetto genetico di una popolazione». E contemporaneamente la prostrazione trova nutrimento nel disagio sociale. «Chi non vede un futuro da proiettare cade in depressione - dice Noemi Sanna - i giovani come il padre che perde il lavoro. Quel che è certo è che anche in questo caso sono le donne a pagare il prezzo più alto perchè alle madri e alle mogli spetta il ruolo consolatorio e quello di far quadrare i bilanci anche quando l’operazione è impossibile». Sempre più spesso chi cade in depressione cerca aiuto. Secondo i dati nazionali il 40% si rivolge al medico di base che indica le strutture idonee. «In clinica negli ultimi anni il numero dei pazienti è aumentato - conferma la psichiatra Noemi Sanna - ed è vero che la percezione e la sensibilità nei confronti della malattia è aumentata». ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 gen. ’11 PREOCCUPANTI ANCHE LE STATISTICHE SU IPERTENSIONE E COLESTEROLO ALTO Bacco, tabacco e pastasciutta Il 16 per cento rientra nella categoria dei bevitori a rischio SASSARI. Buone notizie per dietologi e beauty farm: il 17,02% dei sardi è sovrappeso. Fanno poca attività fisica e amano il cibo. Per carità, non sono i più pigri, ma il 23% degli intervistati ha dichiarato di condurre una vita sedentaria. Certo, se si raffrontano con i siculi, di cui il 41,54% pare eviti di muovere un muscolo, i sardi sono un popolo di ipercinetici. Ma se ai dati della sedentarietà si aggiungono altri particolari, beh, allora qualche campanello d’allarme potrebbe suonare, soprattutto perchè il 62,65% degli intervistati ha dichiarato di essere in «salute buona o molto buona», ma le bugie hanno le gambe corte e il cuore a rischio. Dunque, dopo avere appurato che stanno seduti o al balcone, o in auto, si scopre che il 16,22% sono bevitori a rischio, cioè si fanno un paio di cicchetti uno dietro l’altro fuori dai pasti. I siciliani, per restare tra isolani, sarebbero il 10,38%. Per consolarci: a Bolzano ci dà dentro il 41%. Quindi poco moto, un po’ troppo alcol e tra un sorso e l’altro una sigaretta. La percentuale dei fumatori infatti è del 30,64%, battuta solo dalla Toscana con il 31,28%. Un passo dietro i sardi ci sono ancora i siciliani, il 30,82%. I più virtuosi sono i veneti, con il 24,88%. Bacco, tabacco e... pastasciutta. Il 4,43% della popolazione tra i 18 e i 69 anni soffre di diabete e il 24% di ipercolesterolomia, forse non è difficile ipotizzare che i sardi se ne freghino della moderna alimentazione (pochi grassi), soprattutto gli adulti. E’ così che schizza l’ago della bilancia mentre i siciliani sovrappeso sono appena il 6,61% e in Piemonte il 9,6%. Bisogna andare a Trento per trovare il 16,4%. La somma di questo mix potrebbe condensarsi nell’ipertensione di cui soffrono il 21,11% degli intervistati sardi superati solo dai calabresi con il 27,9%. Che sollievo, ’a supizzata batte la salsiccia. «La depressione incide spessissimo anche sull’alimentazione - spiega la dottoressa Noemi Sanna - non è raro che un depresso sia anche bulimico, cioè mangi disordinatamente. Le condizioni sociali e ambientali incidono sui recettori del cervello e sul nostro comportamento. Mangiare, cercare continuamente cibo, significa tentare di riempire un vuoto, colmare una mancanza, ma non appaga, se non per qualche istante per poi lasciare spazio ai sensi di colpa. Così il cerchio del bisogno non si chiude mai». (cm.p.) ______________________________________________________________ Sanità News 10 gen. ’11 UNO STUDIO ASSOCIA L'OBESITA' CON LA GRANDEZZA DEL CERVELLO L'obesità può ridurre le dimensioni del cervello. Lo hanno scoperto i ricercatori della New York University School of Medicine (Usa), in uno studio in via di pubblicazione sulla rivista 'Brain Research'. L'obesità è legata a un aumento del rischio di diabete di tipo 2, malattia nota per essere associata a una compromissione cognitiva. Antony Convit e il suo team hanno voluto però approfondire la questione, verificando in particolare quale sia l'impatto dei chili di troppo in corrispondenza del punto vita sulla struttura fisica del cervello. Gli scienziati hanno utilizzato la risonanza magnetica per confrontare il cervello di 44 pazienti obesi con quelli di 19 persone magre della stessa età e livello di istruzione. Ne è emerso che gli individui obesi hanno più acqua nell'amigdala, una parte del cervello coinvolta nel comportamento alimentare, e una corteccia orbito-frontale, zona importante per il controllo degli impulsi e sempre coinvolta nel comportamento alimentare, di dimensioni più piccole. Secondo Convit, i cambiamenti nelle dimensioni del cervello potrebbero essere dovuti alla costante infiammazione provocata nell'organismo dall'obesità ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 14 gen. ’11 SLA, UN “PADRE SARDO” PER LA MALATTIA Uno studio: mutazione genetica trasmessa poi a tutti gli eredi Una mutazione genetica trasmessa da un “untore” alle generazioni successive. Lo prova uno studio. di LUCIO SALIS Circa un terzo dei casi di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) che si registrano in Sardegna è legato alla mutazione di un gene chiamato TARDBP . La scoperta dirà poco all'uomo della strada, ma rappresenta un significativo passo avanti nella conoscenza di una malattia degenerativa del sistema motorio, particolarmente diffusa in Sardegna, e nello studio di terapie adeguate. Non a caso, ne dà notizia l'ultimo numero dell'autorevole rivista americana “ Archives of Neurology” . L'indagine scientifica è stata infatti condotta in collaborazione fra centri sardi, della penisola e degli Stati Uniti. Riguarda il gene TARBDP (che sintetizza la proteina TDP 43) scoperto nel 2008 da un gruppo di ricercatori inglesi, considerato responsabile di meno dell'1 per cento di tutti i casi di Sla nella popolazione europea. Fra i malati sardi di Sla la mutazione è invece frequentissima e sarebbe legata al cosiddetto effetto fondatore , cioè al manifestarsi in uno o più individui, diverse generazioni fa, e alla successiva trasmissione sino ai tempi nostri. Chiedendo scusa agli studiosi, si può immaginare una sorta di antico untore , vittima della mutazione genetica, che l'avrebbe poi trasmessa ai discendenti. Dove e come sarebbe avvenuto è ancora oggetto di studio. Ma è interessante rilevare che il fenomeno riguarda soprattutto la popolazione del Medio Campidano e Oristanese. Sulla portata della ricerca interviene uno degli autori, Giuseppe Borghero, della Clinica neurologica del Policlinico di Cagliari. Che ritiene però necessaria una premessa: «I pazienti di Sla si dividono (sia pure non nettamente) in due categorie: nel 90 - 95 per cento dei casi rientrano nella cosiddetta forma sporadica, cioè senza parenti che abbiano contratto la malattia; nel 5-10 per cento invece la Sla è familiare, nel senso che ci sono familiari portatori di questi disturbi». La distinzione trova conferma anche nel vostro studio? «No, perché nell'esaminare circa 130 pazienti, abbiamo rilevato che l'incidenza di Sla familiare raggiunge circa un terzo del totale. Questo non sorprende, perché la popolazione sarda ha caratteristiche storiche di isolamento che già hanno influito sullo sviluppo di malattie come la sclerosi multipla, il diabete mellito, il morbo di Wilson e altre». Come sono distribuiti nel territorio isolano i casi di Sla familiare? «In maniera non omogenea. Nel senso che ci sono zone a più elevata incidenza, come Medio Campidano e Oristanese, rispetto ad altre. Questo induce a pensare che i fattori genetici possano giocare un ruolo preponderante in certe aree, sino a far ipotizzare il ruolo di un effetto fondatore». Che significa? «Si può pensare che un piccolo gruppo di fondatori, se non addirittura un singolo individuo, abbia secoli addietro portato nell'Isola o sviluppato questa mutazione genetica, poi trasmessa attraverso le generazioni sino a disperdersi nel territorio. La base di partenza potrebbe essere proprio quell'area in cui abbiamo trovato la maggiore incidenza di Sla». La mutazione è presente solo nelle zone che abbiamo detto? «No, anche nel nord Sardegna, nella Penisola e in altre parti del mondo. Ma un altro aspetto fondamentale del nostro studio è che in tutti i casi rilevati nell'Isola la mutazione è avvenuta sempre nello stesso punto del gene. Questo rafforza l'ipotesi di un effetto fondatore, cioè di un individuo a di un piccolo gruppo da cui la mutazione si sia trasmessa alle generazioni successive». Ma perché la mutazione è così importante? «Si tratta di un gene di grande rilievo per il funzionamento del Dna, degli acidi nucleici in generale. E potrebbe spiegarci alcuni aspetti delle cause molecolari e biochimiche alla base della malattia». E quindi porre i presupposti per terapie? «Sì, perché lo sviluppo delle conoscenze sulle cause della Sla consente di concentrare gli sforzi nella ricerca di sostanze farmacologiche e di trattamenti efficaci». È ciò che si aspettano i malati sardi. Un passo importante è stato compiuto attraverso questo studio, condotto dalla Cliniche neurologiche di Cagliari, Sassari (Maura Pugliatti), dall''spedale di Nuoro (Anna Ticca), in collaborazione con alcuni istituti di Torino (Dipartimento universitario di Neuroscienze, Ospedale San Giovanni Battista, Ospedale Sant''nna) e il National institute of health di Bethesda. Col contributo della Regione Sardegna, Ministero della Salute, Fondazione Vialli e Mauro (calciatori) e della Federazione italiana gioco calcio. Un impegno scientifico e finanziario che vede enti pubblici e sportivi uniti per il raggiungimento di un obiettivo ancora lontano: lo studio non è terminato e ha necessità di aiuti consistenti. I malati di Sla aspettano. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 13 gen. ’11 MATERNITÀ, TAGLI IN SARDEGNA ADDIO AI REPARTI DOVE I PARTI SONO MENO DI 500 Direttiva nazionale. A rischio Alghero (370 nascite), Bosa (170), Sorgono (100), La Maddalena (20) La parola chiave è salute e sicurezza per un bambino che viene al mondo. Ma anche tutela per la mamma che lo partorisce. È questa la linea-guida che cambierà nei prossimi tre anni i reparti di maternità della Sardegna, esattamente come accadrà nelle altre regioni. «Non ci saranno tagli - assicurano all'assessorato regionale alla Sanità, né imposizioni tout court - ma una riorganizzazione è indispensabile. Lo prevede il piano del ministero della Salute per il riordino dei punti nascita, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso dicembre». Il piano in questione prevede che siano chiusi come reparti di maternità quelli nei quali si registrano meno di 500 parti l'anno e la riorganizzazione di quelli con meno di 1000. I PUNTI NASCITA Questo accade ad Alghero (370 nascite in un anno); a Bosa (170); Sorgono (meno di 100); La Maddalena (20); Iglesias e Carbonia che si attestano entrambe sui 470 parti in un anno. «In realtà come quelle di Alghero e Bosa - osservano ancora in assessorato - è ragionevole ipotizzare un unico punto nascita che fa riferimento ad Alghero, il centro più grosso». LA LOGICA Dietro questa prospettiva non c'è una logica di tagli o di risparmio ma piuttosto la tutela della salute. È vero che partorire è un evento naturale, che si nasce anche nelle più disparate condizioni. Ma anche la statistica parla chiaro: un reparto maternità dove ci sono poche nascite è un reparto dove i rischi sia per il nascituro che per la mamma si moltiplicano. È l'esperienza a fare la differenza. «Non sono reparti condannati a morte, ma destinati a offrire un servizio diverso, un'assistenza durante la gravidanza». Più delicato il problema di Iglesias e Carbonia. Le due città minerarie gemelle hanno un'offerta di servizi sanitaria che spesso rappresenta un doppione, data la distanza tra i due centri. «Logica vorrebbe che ci fosse un solo punto nascita». Dove? È questa la partita più delicata. GLI STANDARD «Quando si parla di punto nascita - spiega l'assessore alla Sanità Antonello Liori - si pensa a un reparto di maternità che abbia accanto una rianimazione, un laboratorio, un centro trasfusionale, un reparto in grado di affrontare l'emergenza neonatale, tutti quei servizi che consentono di partorire con elevati standard di sicurezza». Il rischio, sempre in agguato, si fronteggia solo se c'è una rete capace di far subito fronte al caso straordinario. D'altra parte i recenti fatti di cronaca lo dicono con chiarezza. I DATI Nell'arco di tempo tra giugno e settembre dello scorso anno sono stati 19 su 47 i casi di neonati o puerpere, morti in seguito al parto, per un cesareo mancato o ritardato o per il pellegrinaggio tra le diverse strutture. «Se noi spieghiamo a una mamma che il piccolo reparto dove vorrebbe partorire - precisano ancora in assessorato - è molto meno sicuro di un centro attrezzato, non ci sarà donna che dirà no alle garanzie per il piccolo e per se stessa». LE NASCITE Naturalmente sono punti nascita i tre ospedali di Cagliari (San Michele, San Giovanni di Dio e Santissima Trinità), Sassari, Olbia, Nuoro, Oristano. In tutti questi centri il numero delle nascite supera di gran lunga le 500 unità. In questa lista si inserisce San Gavino, il centro del Medio Campidano dove si registrano oltre 650 nascite l'anno. LANUSEI Diversa invece la situazione di Lanusei. All'ospedale ogliastrino potrebbe restare in carico la gestione dell'emergenza. «Quando si parla di Lanusei non si può non tener conto della situazione geografica». L'ELISOCCORSO «Vogliamo offrire la migliore assistenza possibile», incalza ancora l'assessore Liori. E per rendere questo impegno ancora più vero, Liori annuncia per un futuro non lontano la partenza dell'elisoccorso. Una necessità per un'isola come la Sardegna. «Il presidente - spiega Liori - ha promesso 40 milioni per il progetto». La nuova geografia sanitaria della Sardegna non avrà diktat. «Ogni passo - assicurano in assessorato - sarà fatto dialogando con le parti sociali». I GINECOLOGI Il piano nazionale ha il pieno sostegno della Società italiana di ginecologia e ostetricia. «Sappiamo - avverte il presidente nazionale dell'associazione Nicola Surico - che i veri problemi si presenteranno ora, sul territorio, perché le nuove disposizioni prevedono la razionalizzazione e la riduzione progressiva dei centri. Per scongiurare la resistenza a livello locale spiegheremo con forza l'unica ragione che sta dietro a queste scelte: la tutela della donna e del suo bambino». I TAGLI Sotto i colpi della forbice dovrebbero sparire 158 punti nascita su 559 in tutto il Paese. E come sempre le regioni coinvolte in misura robusta sono quelle del Sud: 38 punti su 75 in Sicilia, 22 su 72 in Campania, 15 su 29 in Calabria. Ben più modesto l'impatto nelle regioni del Nord: 8 su 75 in Lombardia e addirittura nessuno in Piemonte e in Veneto. CATERINA PINNA ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 gen. ’11 PE MANCONI «CURIAMO IL LUPUS IN SARDEGNA DA ANNI» La replica. L’immunologo Paolo Emilio Manconi risponde a chi chiede l’apertura di un centro nell’Isola «Non è necessario andare fuori dall’Isola o creare strutture che si chiamino per esempio Lupus Hospital per curare questa patologia. I nostri centri già lo fanno da anni e sono all’avanguardia, intervenendo con il massimo dell’efficacia». L’immunologo Paolo Emilio Manconi (nella foto), ordinario di Medicina interna all’Università di Cagliari, interviene dopo l’appello lanciato da Federica Floris, referente sarda dell’associazione nazionale contro il lupus che nei giorni scorsi aveva chiesto la realizzazione di una lupus clinica anche in Sardegna, denunciando la necessità di effettuare viaggi fuori dall’Isola per curarsi. «Lanciare solo il sospetto che nella nostra regione non si possa essere curati è pericoloso», prosegue il docente che è anche direttore della struttura complessa di medicina interna, allergologia e immunologia clinica dell’azienda mista San Giovanni di Dio-Università di Cagliari. «Anche perché chi già lo sta facendo potrebbe pensare che le cure qui siano inadeguate. Al contrario la nostra isola è tra le regioni in cui questa malattia è affrontata al meglio. Mi occupo di pazienti con lupus dal 1968 e posso assicurare che le strutture all’avanguardia non mancano: ci sono centri a Cagliari e Sassari, più quelli territoriali di allergologia, immunologia clinica e reumatologia, che affrontano quotidianamente e con successo un elevato numero di casi». Malattia autoimmune che si manifesta con molti volti, i pazienti colpiti dal lupus vengono aggrediti nel proprio sistema immunitario. «Lavoro presso strutture di Immunologia clinica da 42 anni», prosegue, «e da 12 anni ne dirigo una. Il lupus fa parte delle patologie di cui mi sono sempre occupato, essendo legato ad alterazioni del sistema immunitario. Nel complesso, non abbiamo niente da invidiare agli altri centri italiani, neanche i più prestigiosi, ma non c’è bisogno di nomi roboanti, come Ospedale del LES: la diagnostica e la terapia che servono, quel poco di ricerca scientifica che è necessaria ci sono già». E anche sulle liste d’attesa, il primario è chiaro: «Se necessario nei casi urgenti i tempi sono inferiori alle 24 ore, per gli altri casi qualche settimana, massimo qualche mese per i primi accertamenti non urgenti. Spero che questa guerra non dichiarata», conclude, «questa smania di dichiarare quanto la sanità sarda in questo settore sia insufficiente, abbia presto termine. In questo modo, si creano strumentalmente difficoltà alle persone che ne hanno meno bisogno: i pazienti». FRANCESCO PINNA ___________________________________________________ L’Unione Sarda 3 gen. ’11 SARDI VIRTUOSI CON LE PILLOLE MA LA SPESA FARMACEUTICA NEGLI OSPEDALI È MOSTRUOSA CAGLIARI. Non sarà una pillola, gialla o blu che sia, ad abbattere per adesso il bilancio della Sardegna. Non sono le medicine il pozzo nero della spesa sanitaria, comunque mostruosa e capace da sola di triturare quasi tre miliardi. Anno dopo anno i costi sono esplosi, ma la colpa è soprattutto dell’assistenza ospedaliera. Non dei farmaci. Da sole le otto Asl da sole, più le aziende autonome e miste Regione-Università, si accaparrano quasi l’ottanta per cento del finanziamento scaricato dal Servizio sanitario nazionale: due miliardi e 837 milioni nel 2010. I sardi non sono più mangioni di capsule e neanche mandano giù gli sciroppi a gogò. Meglio così. Sono oculati con le medicine e non solo perché, grazie a dio, godono di buona salute ma hanno anche imparato (e sono stati educati) a non essere bulimici di “principi attivi” come accade in quasi tutte le altre venti regioni. Regioni in cui l’aumento nei consumi di pillole e antibiotici è salito fino a un esagerato più venti per cento negli ultimi cinque anni, mentre nel raffronto 2000-2010 l’aumento è persino più spaventoso: sei pastiglie in più ogni dieci acquistate. Tanto da far scrivere all’Osservatorio sull’impiego dei farmaci: «È come se ogni italiano mandasse giù una medicina al giorno». Una follia su cui da sempre indagano in molti, ma nessuno è ancora riuscito a metterci mano, a contrastare gli abusi e il deficit. Per fortuna i sardi non sono altrettanto pazzi, ma questo non vuol dire che i conti della spesa farmaceutica regionale siano in pareggio. Il rosso c’è ed è stato di 130 milioni nel 2009. Sono pochi o molti? Sono abbastanza. La Sardegna non è una delle regioni più virtuose - comunque è tra le migliori del Sud - ma neanche una delle peggiore: Calabria, Sicilia, Puglia, Lazio e Liguria stanno molto peggio. Di sicuro l’isola potrebbe saltare il fosso ed entrare nel club parsimonioso del Centro-Nord (dall’Emilia Romagna al Trentino) se i sardi pagassero il ticket, ma dal 2002 uno dei più odiati balzelli italiani qui è stato abolito per meritoria scelta politica. Oggi da La Maddalena a Carloforte l’unico esborso per il cittadino è solo nella differenza, spesso minima, massimo cinquanta centesimi, fra il prezzo dei medicinali equivalenti (quelli non famosi, ma con lo stesso principio attivo dei più noti) e le medicine delle maison multinazionali. I ticket veri e propri non ci sono più da otto anni, e comunque finora la Sardegna ha tirato a campare con quello che finora è arrivato dallo Stato. Ma non sarà più così: da quest’anno la spesa sarà interamente a carico della Regione, secondo quel bozzolo di federalismo voluto a suo tempo dalla Giunta Soru. Per dire se andrà meglio o peggio, bisognerà aspettare dodici mesi. Oggi tra capsule, pastiglie e antibiotici convenzionati, sono quelli venduti nelle farmacie e a totale carico del Servizio sanitario, più i farmaci distribuiti dai distretti sanitari e i medicinali ospedalieri (utilizzati dalle strutture pubbliche di ricovero) la Sardegna spende in tutto 586 milioni. È circa il venti per cento dell’intera spesa sanitaria. Questa somma in sé dice poco, bisogna sezionarla. La verità è che a travolgere come un uragano gli steccati del temuto Patto nazionale della Salute - impone alle Regioni di rispettare alcuni parametri per non essere commissariate - sono soprattutto i medicinali ospedalieri. Lo dicono gli ultimi rilevamenti ufficiali di un anno fa e sono questi ad assolvere la spesa farmaceutica territoriale pubblica (cioè l’acquisto dei medicinali nelle farmacie più quelli comprati dalle Asl e distribuiti direttamente dalle stesse Aziende oppure dalle farmacie). Ebbene, il costo è stato di 418 milioni e 272 mila, non doveva superare il 13,6 per cento della spesa sanitaria regionale, sì ha sforato ma appena dell’1,32. Il 2009 è stato invece un anno nero per i farmaci ospedalieri: 158 milioni e mezzo la spesa complessiva, l’asticella dei massimi consumi doveva fermarsi attorno al 2,4 per cento ma purtroppo in dodici mesi ha sforato e accumulato altri tre punti e mezzo in più. Tirate le differenze, oggi sul deficit sanitario regionale ballano ben 91 milioni e 374 mila di extra-spesa proprio per i farmaci ospedalieri, questi sì numeri che sono i peggiori a livello nazionale. Dunque, a essere colpevoli degli sprechi non sono i cittadini, gli studi dei medici di base o le farmacie ma gli ospedali. La stortura è stata denunciata più volte. Nella sua bozza di riforma, l’assessorato regionale alla Sanità vorrebbe metterci una pezza con le macro-aree di acquisto, una per il Nord Sardegna e l’altra al Sud, che dovrebbero servire ad accentare gli appalti e ad abbattere i prezzi, così come avviene nella grande distribuzione quando si parla di beni al consumo. Ma a parte le ovvie bordate dell’opposizione, il Pd di recente ha tirato fuori un libro nero sulla sanità nell’era Cappellacci-Liori, anche parte del centrodestra ha criticato la Giunta. Sono stati i Riformatori e il Psd’Az a puntare il dito: «Qualcuno, sui conti, ha commesso gravi errori e corriamo il rischio che ritornino i ticket». Al Pd l’assessore Antonello Liori ha replicato subito: «Dalla stagione Soru-Dirindin abbiamo ereditato il triste record di peggior regione per spesa farmaceutica ospedaliera e se vogliamo risalire presto la china, oggi dobbiamo dare subito un segnale di forte discontinuità rispetto alle precedenti sciagurate gestioni». Silenzio assoluto invece sulle picconate alleate, ma è chiaro che Liori prima o poi dovrà bonificare anche questo pozzo senza fondo. Altrimenti riappariranno i balzelli sulle ricette. ___________________________________________________ Corriere della Sera 5 gen. ’11 LO SPONSOR IN CORSIA Che cosa direste vedendo sul camice bianco del medico che vi sta visitando il logo di uno sponsor, ad esempio una casa farmaceutica, come sulle magliette dei calciatori? So che si tratta di un' immagine provocatoria, ma consentitemela per aprire un discorso molto serio: chi informa il medico, che poi a sua volta deve informare e curare il paziente? Vorrei attirare l' attenzione sul fatto che non esiste un' informazione «istituzionale» sui farmaci da parte degli organi tecnici del ministero della Salute per orientare i medici nel mare magnum dell' offerta farmaceutica. A ciò si aggiunga la crisi dei Comitati di etica che dovrebbero svolgere un ruolo cruciale nella comunicazione tra ospedali, operatori sanitari, malati e imprese farmaceutiche. Ad informare sulle nuove terapie farmacologiche sono i produttori stessi, attraverso l' opera dei collaboratori scientifici che hanno il compito di marcare strettamente i medici, e attraverso una pubblicità incalzante che non fa eccezione alla regola commerciale di essere «marketing oriented». Si tratta di un' informazione a volte anche pregevole, ma che sfuma o lascia in ombra aspetti critici come la differenza tra cura e guarigione, e i danni collaterali prodotti dai farmaci. Ma, prima ancora che ai medici, la pubblicità si rivolge, con sistemi diversi, agli utenti stessi. La comunicazione di massa è una caratteristica della nostra società, tanto che si parla di una vera e propria «industria della comunicazione». Sarebbe ingenuo immaginare che questo non accada anche nell' ambito medico, e che quella che è stata a sua volta chiamata «l' industria della salute» (con gli enormi interessi delle multinazionali) non pratichi un tipo di comunicazione in cui gli interessi degli ammalati diventano gregari di altri obiettivi. Se è vero che un paziente informato corre minori rischi di ammalarsi e riesce a curarsi meglio quando è ammalato, il carattere di verità di questa affermazione dipende strettamente dalla «qualità» della comunicazione. Al contrario, la comunicazione medico-scientifica è caratterizzata da una massa enorme di informazioni che rispondono ad obiettivi di mercato oppure sono fornite in maniera acritica. Questo è vero non solo per i farmaci, ma anche per le tecnologie e per i congegni prodotti dalla bioingegneria. In questo tipo di comunicazione, si profilano alcuni grossi rischi. Per esempio, il mito dell' efficienza di alcune strutture sanitarie, (e in Lombardia se ne contano molte) che sembrano implicitamente offrire il meglio quando fanno sfilare sotto i riflettori le tecnologie più sofisticate, o quando lanciano notizie, molto precoci e ancora in attesa di conferme, di «scoperte» scientifiche che creano false aspettative nei pazienti. I media poi chiudono il cerchio enfatizzando gli aspetti più «miracolistici» di queste notizie. L' altro grosso rischio è quello del linguaggio. All' Università non s' insegna ai futuri medici a comunicare coi pazienti, ed il linguaggio della Medicina resta quasi come quello messo in burla da Molière. Sui giornali e in televisione, i medici continuano ad usare una lingua aliena e non fanno tesoro della semplicità praticata dalle medicine alternative che sono magari fabbriche di illusioni, ma hanno capito le regole elementari della comunicazione. RIPRODUZIONE RISERVATA Lambertenghi Deliliers Giorgio ___________________________________________________ Corriere della Sera 4 gen. ’11 E IL PAZIENTE INGLESE PRENOTERÀ IL MEDICO A NEW DELHI Drastica proposta per salvare la sanità pubblica britannica: delocalizzare alcuni servizi in India DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - Migliorare il servizio sanitario ma eliminarne gli sprechi: come? Il governo britannico da luglio scorso cerca la ricetta adeguata. Non è facile perché l' obiettivo dichiarato dal ministro della sanità, il conservatore Andrew Lansley, è quello di risparmiare fino a 20 miliardi di sterline entro il 2014, così come impone il drastico il programma quinquennale di ridimensionamento dei conti pubblici. Le strade sono due: o si tagliano selvaggiamente le prestazioni o si cercano soluzioni di ripiego che consentano comunque di tenere i bilanci della sanità sotto controllo. La prima soluzione è esclusa. Ai sudditi di sua maestà vengono già chiesti molti sacrifici di natura economica che toccare uno dei pilastri del welfare significherebbe aprire una nuova ferita. Sarebbe come accendere la miccia di una conflittualità sociale che sotto-sotto già cova. E allora si possono delineare altre proposte, figlie dei tempi che viviamo: ad esempio, delocalizzare determinati servizi che, oggi in carico al National Health Service, pesano sui suoi conti. Mister John Neilson che dirige la società (Nhs Shared Business Service), per metà controllata dallo Stato, incaricata di valutare e valorizzare la produttività nonché le performance della sanità l' ha detto chiaro e tondo due giorni fa, senza ricorrere a giri di parole: «Se vogliamo risparmiare milioni di sterline dobbiamo trasferire la gestione di determinate prestazioni fuori dal Regno Unito». L' outsourcing, l' esternalizzazione, è la salvezza, come lo è per quasi tutte le aziende private. Magari verso l' India o verso un Paese anglofilo che garantiscono costi di gestione contenuti. In pratica un paziente che vive a Londra o a Liverpool e ha bisogno di fissare un appuntamento con il general practitioner (il medico convenzionato), o il paziente che su indicazione dello stesso medico deve sottoporsi a esami o a ricovero potrà chiamare un call center di base a New Delhi che gli fisserà l' appuntamento e la camera. E non finirebbe qui: sempre all' estero, preferibilmente in India, sarebbero installate le banche dati che immagazzinano le cartelle con tutte le indicazioni sulle famiglie britanniche iscritte al National Health Service. «I lavoratori indiani sono bravissimi nell' informatica, non c' è ragione di temere sulla tenuta dei database». L' alternativa? Per John Neilson è il taglio delle cure e dei rimborsi previsti dal sistema pubblico. La proposta, accolta con giudizi favorevoli da molti membri della coalizione governativa, non è arrivata nel momento più propizio: le tasche dei cittadini britannici, già provate dall' austerità, dal primo gennaio hanno subito il previsto prelievo determinato dall' aumento dell' Iva (fino al 20 per cento) sui prodotti al consumo e il dibattito sull' uscita dalla crisi economica e sui conti pubblici si è surriscaldato. I sindacati minacciano scioperi. Downing Street aveva promesso, anche nel corso dell' ultimo voto parlamentare sulla manovra di rientro dal deficit di bilancio, di volere salvare il National Health Service dalla scure del cancelliere dello scacchiere, il ministro responsabile delle finanze. Ma i rapporti consegnati nelle ultime settimane sulla organizzazione del sistema sanitario hanno segnalato gravi e improduttive dispersioni di fondi. Il risultato è che il budget del Nhs, cresciuto, in questi anni del 70%, è fuori controllo. David Cameron promette efficienza e qualità, maggiore autonomia gestionale e responsabilità lasciata ai medici e alle strutture convenzionate, chiede però che la spesa sia ricondotta nei binari della ragionevolezza. Sono necessari 20 miliardi di risparmi: altrimenti il welfare sanitario è al collasso. Che sia la delocalizzazione la ricetta magica? Fabio Cavalera **** Cosa cambia Medico di famiglia 1 In Gran Bretagna si chiama general practitioner: la riforma della sanità pubblica, in grave crisi, potrebbe demandare a centralini in India il compito di fissare un appuntamento Esami e ricoveri 2 Anche eventuali esami e i ricoveri negli ospedali della Gran Bretagna verranno, secondo questo piano, organizzati da call center con base in India, Paese anglofilo per storia e tradizione Cartelle cliniche 3 Per facilitare il compito degli impiegati «delocalizzati», in futuro i dati sensibili dei pazienti britannici saranno conservati in archivi in India o in altri Paesi con dimestichezza della lingua inglese Centri di costo 4 Il servizio sanitario britannico si affida a 130 differenti centri di costo che hanno la facoltà di stipulare contratti per le forniture in maniera autonoma: il piano intende ridurli drasticamente I risparmi previsti 5 L' obiettivo dichiarato dal ministro della Sanità, il conservatore Andrew Lansley, è quello di risparmiare fino a 20 miliardi di sterline (24 miliardi di euro) entro l' anno 2014 Cavalera Fabio