RASSEGNA STAMPA 23/01/2011 IL MINISTERO: L'ATENEO CAGLIARITANO AL 21° POSTO TRA LE UNIVERSITÀ - CAGLIARI: PREMIATO L’ATENEO: IN ARRIVO 11 MILIONI - RICERCA: ATENEO CAGLIARI AL 27° POSTO NELLA TOP ITALIAN SCIENTLIS - FRA I MIGLIORI SCIENZIATI 17 CAGLIARITANI - RICERCA, CAGLIARI SCALA LA CLASSIFICA DEI MIGLIORI 50 ATENEI - CAGLIARI BRILLA NELLA TOP LIST DELLE UNIVERSITÀ - CDM APPROVA ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE DEI DOCENTI - UNIVERSITÀ I, PER I DOCENTI ABILITAZIONE NAZIONALE - UNIVERSITÀ DOPO QUATTRO ANNI RIPARTONO I CONCORSI - IL GOVERNO SCEGLIE I VALUTATORI PER LE PAGELLE ALLE UNIVERSITÀ - LITE VALUTATORI: TREMONTI: SONO TUTTI DI SINISTRA - GELMINI: 120 MILIONI PER L' INNOVAZIONE - «SULLA RIFORMA GELMINI BISOGNA RESTARE VIGILI» - GISO AMENDOLA: «ECCO L'UNIVERSITÀ PER GLI STUDI SUDDALTERNI» - CHE BRUTTA ARIA NELLE SCUOLE D'EUROPA - LA DENUNCIA DELLO STORICO BEVILACQUA: CULTURA UN DISASTRO ANNUNCIATO - MILANO CHOC UNIVERSITÀ STATALE A LUCI ROSSE - FRATTINI: «PIÙ CERVELLI IN USCITA CHE IN ENTRATA» - MILLEPROROGHE: INSIEME EDITORIA, SPETTACOLO, SCUOLA E UNIVERSITÀ - CHE ROMANZO IL CINISMO DEL BARONE UNIVERSITARIO - DIGITALE E APERTO COME UN LIBRO - CAGLIARI: INDENNITÀ DI FUNZIONE PROCLAMATO LO STATO D’AGITAZIONE - CAGLIARI: INDENNITÀ, I SINDACATI CONTRO IL RETTORE - LA BIBLIOTECA SOCIALE SVOLTA USA, NON SOLO LIBRI ========================================================= NEI NOSTRI OSPEDALI MANCHERANNO PIÙ DI 20 MILA MEDICI - LA STRETTOIA DEL NUMERO CHIUSO E L’EMORRAGIA DEI NUOVI MEDICI. - DENUNCE E STIPENDI BASSI FUGA DALLA CHIRURGIA - A MEDICINA UN DOCENTE OGNI UNDICI STUDENTI - STATALE: ULTIMO CONCORSO, VINCONO I PARENTI - LIORI: NON CHIUDERÀ NEANCHE UN OSPEDALE» - MARINO:IN MILLEPROROGHE MANCANO 500 MILIONI PER IL TICKET - CAMERON RIFORMA LA SANITÀ PUBBLICA POTERE AI MEDICI E MENO MANAGER - VERS UNE PROFONDE RÉFORME DE LA SÉCURITÉ SANITAIRE - POLICLINICO: SANTACRUZ A PROCESSO PER ABUSO D’UFFICIO - POLICLINICO: RIFIUTO D’ATTI: A GIUDIZIO SANTACRUZ - POLICLINICO: UN CARTELLO IN CAMPIDANESE PER LE RICETTE MEDICHE - ATTACCO PD AL COMMISSARIO GARAU: «ASSUME PER ACCONTENTARE GLI AMICI» - AL BINAGHI LA BANCA DELLE STAMINALI - ASL1: AL PRONTO SOCCORSO PER UN BRUFOLO - CAMPANIA: POLICLINICI, IL MINISTRO BOCCIA IL PIANO - IL SECONDO PARERE SERVE AL MALATO MA ANCHE AL MEDICO - L’INTERPRETAZIONE DI UN VETRINO PUÒ CAPOVOLGERE IL DESTINO - UN PERCORSO DIFFICILE, PERÒ LA CONFERMA AUMENTA L’ADESIONE - IL «PATERNALISMO» È AL TRAMONTO - SUPERANTICORPI: VACCINO UNIVERSALE - PILLOLA ANTI-FAME, SCANDALO A PARIGI - QUARANTA MORTI SOSPETTE IL POLIGONO SOTTO ACCUSA - META’ DELLE ADOLESCENTI VACCINATE CONTRO l’HPV - ========================================================= ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 gen. ’11 IL MINISTERO: L'ATENEO CAGLIARITANO AL 21° POSTO TRA LE UNIVERSITÀ Secondo i dati riferiti nei giorni scorsi dal ministero dell'Università, riferiti alla ripartizione tra gli Atenei italiani della quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario, Cagliari guadagna tre posizioni. L'università del capoluogo sardo si colloca al 21° posto, rispetto al 24° occupato nel 2009 e la quota di finanziamento premiale è risultata di 11,5 milioni di euro. Nell'ultimo anno gli sforzi maggiori dell'Ateneo sono stati rivolti a una politica di sostegno alle attività di ricerca svolte nei Dipartimenti. La recente classifica Top Italian Scientist ha visto l'Ateneo cagliaritano occupare il 27° posto tra le maggiori 50 Istituzioni di ricerca nazionali e questo risultato conferma la presenza a Cagliari di alcuni gruppi di ricerca di eccellenza. Nei prossimi mesi l'attenzione dell'Ateneo si concentrerà sugli aspetti della valutazione della didattica e del miglioramento dei parametri della qualità, in parallelo alla definizione della nuova offerta formativa, con l'obiettivo di raggiungere significativi e tangibili risultati già nel corso del prossimo anno. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 gen. ’11 CAGLIARI: PREMIATO L’ATENEO: IN ARRIVO 11 MILIONI Un salto di tre posti nella graduatoria nazionale elaborata dal ministero dell’Istruzione grazie ai risultati di ricerca e didattica Per l’anno in corso il Rettore potrà contare su una disponibilità complessiva di 128 milioni Riconosciuta la qualità dei progetti europei «Vogliamo crescere» CAGLIARI. L’Università di Cagliari sale di tre posizioni nella graduatoria nazionale degli atenei e incassa un premio di undici milioni e mezzo di euro. Ora occupa il 21º posto grazie ai risultati raggiunti nella ricerca e nella didattica. Prestigio a parte, è una boccata d’ossigeno per il bilancio: nel 2009 il ministero dell’istruzione e della ricerca aveva mandato a Cagliari 136 milioni e 400 mila euro, quest’anno - coi tagli governativi - dovevano arrivarne solo 116. Grazie al salto in classifica e al premio conseguente il rettore Giovanni Melis potrà contare su quasi 128 milioni, che non sono una cuccagna ma rendono la cura-Gelmini meno indigesta. Tra l’altro l’iniezione finanziaria è il frutto del lavoro compiuto nel 2010 da docenti e studenti: per quanto riguarda la didattica il ministero infatti elabora la graduatoria nazionale tenendo conto del numero degli iscritti e dei crediti maturati, mentre per la ricerca conta la valutazione delle pubblicazioni e i risultati dei progetti di ricerca europei. Ed è in quest’ultimo campo che i ricercatori in forza all’Università cagliaritana si sono distinti. A conferma di una qualità che malgrado l’austerità finanziaria imposta da Roma continua a mantenersi alta. «Nell’ultimo anno - scrive il rettore Melis in una nota - gli sforzi maggiori dell’ateneo sono stati rivolti a una politica di sostegno alle attività di ricerca svolte nei dipartimenti». E i risultati sono arrivati puntualmente: «La recente classifica Tis (top italian scentist) ha visto l’ateneo cagliaritano occupare il 27º posto tra le maggiori cinquanta istituzioni di ricerca nazionali e questo risultato conferma la presenza a Cagliari di alcuni gruppi di ricerca di eccellenza». Ora si punta più in alto: «Nei prossimi mesi - è scritto nella nota del rettore - l’attenzione dell’ateneo si concentrerà sugli aspetti della valutazione della didattica e del miglioramento dei parametri di qualità, in parallelo alla definizione della nuova offerta formativa, con l’obiettivo di raggiungere significativi e tangibili risultati già il prossimo anno». ______________________________________________________________ ADNKRONOS 19 gen. ’11 RICERCA: ATENEO CAGLIARI AL 27° POSTO NELLA TOP ITALIAN SCIENTLIS Cagliari, 19 gen. - (Adnkronos) - L'Universita' di Cagliari ha raggiunto nei giorni scorsi la piazza numero 27 della classifica della Tis, la Top italian scientist, inerente le migliori 50 istituzioni redatta da Via-academy.org. Lo comunica l'ufficio stampa dell'ateneo sardo. La compilazione della graduatoria tiene conto dell'H-index, ovvero delle citazioni dei lavori scientifici. L'ateneo ha risalito 10 posizioni, passando dalla 37esima alla 27esima posizione della speciale classifica. Patrizia Farci (internista) e Gian Benedetto Melis (ginecologo) compaiono nella lista Tis con un H-index rispettivamente di 39 e 33. Nella lista sono presenti anche Antonio Cao (genetista e pediatria emerito), Walter Fratta (farmacologo) e Renzo Galanello (pediatra). Per l'ateneo di Cagliari, secondo i criteri H-index - tuttora in fase di aggiornamento - dovrebbero far parte della classifica anche altri docenti. Tra questi, Paolo Lusso (virologo), Marisa Marrosu (neuroscienze), Vito Lippolis (chimica inorganica). La classifica Tis, redatta da Mauro degli Esposti, Via-academy.org, vede al primo posto l'ateneo di Bologna (3155 punti). A seguire, Cnr (2746), Padova (2343), Inaf (Istituto nazionale astrofisica, 1899), Roma La Sapienza (1798), Torino (1619), Firenze (1372), San Raffaele (Milano, 1346) e Roma 2 (1392). Al ventisettesimo posto si piazza Cagliari (433). L'eccellente performance dell'universita' del capoluogo e' ad alto valore aggiunto se si pensa che al 33° posto compare l'Universita' Cattolica (Mi), al 41° il Politecnico di Milano, al 42° la Bocconi, al 46° Napoli 2 e al 48° la scuola superiore Sant'Anna di Pisa. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’11 FRA I MIGLIORI SCIENZIATI 17 CAGLIARITANI Classifica. Nella lista Top Italian scientist, i ricercatori dell’ateneo cittadino raggiungono ottimi punteggi Oltre i professori Patrizia Farci (internista) e Gian Benedetto Melis (ginecologo) che hanno riportato il miglior balzo in avanti nella classifica Top Italian scientists (Tip) redatta dalla Via Academy, sono 17 i docenti che lavorano nell’università cittadina presenti nella lista. I PRIMI La posizione migliore la raggiunge il farmacologo Gian Luigi Gessa, che si piazza al 50° posto con 73 punti. Segue il professore Gaetano Di Chiara, 67° in classifica. Terzo, con 56 punti, alla posizione numero 154, si trova il pediatra e genetista Antonio Cao, mentre con soli otto punti in meno ma alla posizione 324 c’è il virologo Paolo Lusso. GLI ALTRI Più avanti si trova il medico Francesco Cucca, piazzatosi 409° con 45 punti. Un altro farmacologo, Giovanni Biggio, si ferma alla posizione 417 con 45 punti. Più distante, alla piazza numero 694 c’è il professore di neruoscienze Antonio Argiolas, con 39 punti. Stesso punteggio dell’internista Patrizia Farci e l’ematologo Renzo Galanello, che però rispettivamente sono alla posizione 742 e 747. Un punto in meno per l’astrofisico Nicolò d’Amico (posizione 817) mentre i ricercatori di neuroscienze Giancarlo Colombo e Walter Fratta ottengono rispettivamente 35 punti e la posizione 1041 e 34 punti e la piazza 1170. Un punto in meno conquista il ginecologo Gian Benedetto Melis (piazza 1205) e la farmacologa Micaela Morelli (1226). Invece, 32 punti raggiungono la genetista Maria Antonietta Melis e la neuroscienziata Maria Rosaria Melis (posizione 1302 e 1303). Chiude la classifica il fisico Sandro Massidda, sempre con 32 punti ma alla posizione 1317. L’INDICE H Il punteggio è calcolato con l’indice di Hirsch, che si ottiene tenendo conto del numero di pubblicazioni e di quante volte queste vengono citate. Il punteggio base è 30, ovvero per essere inseriti nella lista servono almeno 30 pubblicazioni scientifiche e 30 citazioni in altri lavori. Per conoscere il numero di citazioni si possono utilizzare vari strumenti, come il gratuito Google scholar. Usato con alcune applicazioni per il navigatore Internet Firefox, fa ottenere buoni risultati. Oppure c’è anche il software Publish or perish. Strumenti ancor più completi sono le banche dati del portale dell’ Institute for scientific information web of knowledge o quelle di “Scopus”, entrambe a pagamento. VIA ACADEMY La Tip è redatta da Mauro Degli Esposti, ricercatore di tossicologia molecolare a Manchester, e da Luca Boscolo, ingegnere informatico, per la Via Acedemy, un’associazione di ricercatori italiani residente prevalentemente a Manchester e in altre città della Gran Bretagna. (m. g.) ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 gen. ’11 RICERCA, CAGLIARI SCALA LA CLASSIFICA DEI MIGLIORI 50 ATENEI L’Università di Cagliari avanza di dieci punti nella classifica Tis, Top italian scientists (www.topitalianscietists.org), piazzandosi al 27° posto nella lista delle migliori 50 istituzioni accademiche (pubbliche e private) realizzata dalla Via-academy, una rete di ricercatori italiani che si trovano in Gran Bretagna, il cui principale promotore è Mauro degli Esposti, dell’università di Manchester. L’INDICE Il Tis valuta il rendimento dei ricercatori nel Bel Paese utilizzando l’indice di Hirsch (H index), basato sul numero di citazioni di una pubblicazione scientifica. Un indice che valuta bene l’affidabilità e la produttività di un ricercatore negli anni. I DOCENTI Il punteggio minimo di questo indice è 30 (ovvero si accede con un minimo di 30 pubblicazioni e 30 citazioni della propria pubblicazione). Le posizioni migliori a Cagliari sono quelle ottenute da Patrizia Farci (internista) e Gian Benedetto Melis (ginecologo) rispettivamente con valori di 39 e 33. Nella lista compaiono anche Antonio Cao (genetista e pediatra emerito), Walter Fratta (farmacologo) e Renzo Galanello (pediatra). Secondo i dati dell’ateneo, nella lista dovrebbero essere presenti anche altri docenti: Paolo Lusso (virologo), Marisa Marrosu (neuroscienze) e Vito Lippolis (chimica inorganica). GLI ATENEI Nella classifica degli atenei, l’università di Cagliari si trova al 27° posto con 433 punti, staccando importanti concorrenti come le milanesi Università Cattolica, che si piazza al 33°, il Politecnico al 41° e la Bocconi, al 46°. Al vertice si trovano Bologna (3.155 punti), il Cnr (2.746) e Padova (2.343). GLI ESCLUSI Va precisato che l’indice H non valuta nel merito una pubblicazione ma solo la sua circolazione. E compie anche diverse discriminazioni. Una su tutte: esclude i giovani ricercatori, che non potranno mai competere con l’alto numero di pubblicazioni di un ordinario. La seconda è che esclude le materie umanistiche e giuridiche, le cui riviste non hanno un sistema di valutazione internazionale. L’OPINIONE «Questi indici funzionano bene nell’ambito delle scienze “dure”», afferma il professore di Statistica Mariano Porcu, «il problema sono i campi umanistici per cui non è stato ancora studiato un buon sistema di indici di valutazione». Anche all’interno delle scienze esatte ci sono differenze. «Le discipline biomediche la fanno da padrona», spiega il farmacologo Gaetano di Chiara, «perché sono ricerche che hanno un grande impatto su futuri sviluppi applicativi». (m. g.) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 gen. ’11 CAGLIARI BRILLA NELLA TOP LIST DELLE UNIVERSITÀ Iso 9001: Scienze Politiche è la prima facoltà italiana certificata CAGLIARI. La ricerca scientifica cagliaritana è fra le prime 50 migliori d’Italia. Dove per migliore s’intende la quantità di pubblicazioni per ciascun docente, le citazioni che questo riceve da altri studiosi in altri lavori, certificati a loro volta dal prestigio delle riviste che accolgono i lavori. Un risultato che dovrebbe far impallidire il ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini la quale àncora il sostegno alle università a parametri lontani dalla valutazione della qualità scientifica della ricerca condotta nelle facoltà. Il riconoscimento arriva da Via-academy.org che compila una Top italian scientist list (Tis) basata sull’H-index, «h» sta per Hirsch, l’inventore di questo metro di valutazione. Gaetano Di Chiara prorettore per la ricerca scientifica spiega in parole povere cos’è l’H-index: è un indice che misura la produzione scientifica di ciascun ricercatore, sia per quantità che per costanza. Quest’ultimo è un indicatore importante: si può brillare in ricerche condotte per pochi anni, poi sparire dalla scena. Il sistema H-index offre un panorama reale, aggiornatissimo, di chi fa che cosa. Dunque essere al 27° posto, prima dell’Università Cattolica di Milano, prima della celebrata Bocconi, prima di Napoli è un segno di indiscusso peso nella comunità scientifica nazionale che da tempo si è sprovincializzata e pubblica solo su riviste internazionali. Nella nota stampa si sottolinea che l’ateneo è risalito di dieci posizioni in breve tempo, nella classifica infatti in origine c’erano «solo» Gianluigi Gessa, lo stesso Di Chiara, Giovanni Biggio, Micaela Morelli e Maria Antonietta Melis, gli altri sono stati inseriti perché Di Chiara è andato a cercare tutta l’attività scientifica condotta dai ricercatori cagliaritani e altri 8 nomi hanno dimostrato i titoli richiesti dall’H-index. Ma il numero 27 nella classifica Tis non è l’unica segnalazione che esprime il livello raggiunto dalle facoltà cagliaritane. Scienze Politiche ha ottenuto la certificazione di qualità ISO 9001 per la progettazione e l’erogazione dei servizi generali (segreteria, gestione contabile e fornitori, mobilità internazionale), orientamento e management didattico. Il certificato dell’avvenuta verifica della qualità dei servizi è stato consegnato ieri alla preside Paola Piras da Licio Torre, responsabile per l’Italia centrale della Sgs, società leader nei servizi di ispezione, verifica, analisi e certificazione: «E’ la prima facoltà in Italia ad ottenere questo tipo di certificazione per i servizi offerti - ha spiegato il manager - altre strutture hanno per ora verificato soltanto la didattica. E’ un esito importante, anche perchè conseguito nel settore pubblico, in cui contano motivazione, leadership e condivisione continua di obiettivi e metodi». Soddisfatta la preside Piras: «E’ un ottimo risultato, ottenuto grazie al personale che lavora nei servizi generali della facoltà: è il punto di partenza di un percorso che ora si estenderà alla didattica. Ed è un punto importante per l’ateneo, che da qualche anno sensibilizza tutti sulla qualità». ______________________________________________________________ MIUR 21 gen. ’11 Roma, 21 gennaio 2011 UNIVERSITÀ, CDM APPROVA DECRETO SU ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE DEI DOCENTI E’ stato approvato stamattina in Consiglio dei Ministri il primo e il più urgente dei decreti attuativi della riforma dell’università sul reclutamento dei docenti universitari. Per emanare il decreto la legge prevedeva 90 giorni di tempo ma, come annunciato dal ministro, il decreto è stato presentato immediatamente nel primo Cdm utile dopo la pausa natalizia, per far sì che la riforma venga messa a regime subito. Il regolamento pone fine ai concorsi truccati e introduce l’abilitazione nazionale secondo criteri meritocratici e di trasparenza, i principi cardine del ddl Gelmini che vuole così colpire baronie, privilegi e sprechi. L’abilitazione scientifica nazionale diventa la condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Le procedure di abilitazione saranno bandite inderogabilmente ogni anno nel mese di ottobre per concludersi cinque mesi dopo e l’abilitazione avrà durata quadriennale. Le chiamate saranno effettuate dalle singole università con procedure pubbliche di selezione bandite, cui potranno accedere solo gli abilitati e i docenti di pari livello in università straniere. Le nuove procedure di abilitazione prevedono: commissioni di abilitazione nazionale autorevoli composte da 5 studiosi di elevata qualificazione scientifica di cui, per la prima volta, uno straniero o italiano attivo all’estero; orteggio dei commissari tra coloro che presentano un curriculum scientifico di qualità; Tutte le procedure saranno informatizzate anche per consentire la più ampia partecipazione all’estero; abolizione dell’elezione dei commissari per evitare cordate e accordi interni; attribuzione dell’abilitazione, a numero aperto, sulla base di rigorosi criteri di qualità stabiliti con Decreto Ministeriale, sulla base di pareri dell’ANVUR e del CUN; Due successivi Decreti ministeriali completeranno il quadro delle misure necessarie per mettere a regime il nuovo sistema di reclutamento: Il decreto che accorpa e dimezza i settori concorsuali (da 370 a 190) e quello che specifica, novità assoluta in Italia, area disciplinare per area disciplinare, i requisiti di qualificazione scientifica richiesti sia ai commissari sia ai candidati per l’abilitazione. ______________________________________________________________ Avvenire 22 gen. ’11 UNIVERSITÀ I, PER I DOCENTI ABILITAZIONE NAZIONALE IL FUTURO DEGLI ATENEI E’ Il primo decreto attuativo della riforma DA MILANO PAOLO FERRARLO Ripartono i concorsi nell'università, fermi ormai da quattro anni. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento sul reclutamento dei docenti, il primo e il più urgente dei decreti attuativi della riforma votata dal Parlamento poco prima di Natale. Contestualmente, il Cdm ha anche approvato la nomina dei componenti del Consiglio direttivo dell'Anvur, l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. «Il regolamento — si legge in una nota del Ministero — pone fine ai concorsi truccati e introduce l'abilitazione nazionale secondo criteri meritocratici e di trasparenza, i principi cardine del ddl Gelmini che vuole così colpire baronie, privilegi e sprechi». Per poter diventare professore associato e ordinario, d'ora in avanti sarà necessario possedere l'abilitazione scientifica nazionale, di durata quadriennale, rilasciata da commissioni appositamente selezionate, composte da cinque studiosi di elevata qualificazione scientifica di cui, per la prima volta, uno straniero o italiano attivo all'estero. Le procedure di abilitazione saranno bandite ogni anno nel mese di ottobre per concludersi entro marzo. «I posti— ricorda il Miur— saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati». Per garantire trasparenza e meritocrazia, è stata abolita l'elezione dei commissari membri delle commissioni di valutazione, «per evitare cordate e accordi interni». Inoltre, il sorteggio dei commissari sarà effettuato tra coloro che presenteranno un curriculum scientifico di qualità e l'attribuzione dell'abilitazione, a numero aperto, sarà effettuata sulla base di rigorosi criteri di qualità stabiliti per decreto sulla base di pareri dell'Anvur e del Cun il Consiglio universitario nazionale. Che ieri, con il presidente Andrea Lenzi, ha espresso soddisfazione per l'approvazione del decreto sul reclutamento dei professori. «È dal 2008— commenta il presidente del Cun — che non si bandiscono concorsi per progressione di carriera e reclutamento dei professori e nessuna istituzione può andare avanti così, tanto meno un'istituzione di ricerca e alta formazione dove la competizione è il pane quotidiano. Con questa approvazione si rimette in moto il sistema dei concorsi. I primi si potranno espletare a partire dal 2012, con avvio della abilitazione a fine 2011. Il nuovo sistema consente di selezionare i migliori e mette anche i commissari nella necessità di essere adeguati come curriculum per potere essere giudici: in università chi giudica deve essere superiore nettamente a chi viene giudicato». Per mettere a regime il nuovo sistema di reclutamento saranno presto emanati altri due decreti: uno per accorpare e dimezzare i settori concorsuali (da 370 a 190) e l'altro per specificare, novità assoluta in Italia, area disciplinare per area disciplinare, i requisiti di qualificazione scientifica richiesti sia ai commissari sia ai candidati per l'abilitazione. ______________________________________________________________ La Stampa 22 gen. ’11 UNIVERSITÀ DOPO QUATTRO ANNI RIPARTONO I CONCORSI La riforma dell'università muove i primi passi. II consiglio dei ministri ha varato ieri uno schema di regolamento che introduce nuove regole per l'accesso alla docenza e nominato i componenti dèll'Anvur, l'Agenzia per la valutazione del sistema universitario. Due pas-saggi importanti: il primo consente di far ripartire, dopo quattro anni di stallo, i concorsi, il secondo garantisce la distribuzione delle risorse agli atenei in base al merito. Intanto la Flc-Cgil lancia l'allarme sui finanziamenti: dal 2011 il sistema universitario deve fare i conti con gli ulteriori tagli lineari del 10%- circa 700 milioni - previsti dalla legge di stabilità sugli stanziamenti dell'anno precedente. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 gen. ’11 IL GOVERNO SCEGLIE I VALUTATORI PER LE PAGELLE ALLE UNIVERSITÀ La riforma degli atenei, Disco verde al primo decreto attuativo Claudio Tucci IL RECLUTAMENTO Abilitazione scientifica nazionale di quattro anni per accedere al ruolo di professore di prima e seconda fascia ROMA Disco verde al primo decreto attuativo della riforma Gelmini dell'università. Come anticipato dal «Sole 24 Ore» dello gennaio il consiglio dei ministri ha acceso ieri il semaforo verde al regolamento che disciplina le procedure per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale, il "titolo" che d'ora in avanti costituirà il requisito necessario per accedere al ruolo dei professori universitari di prima e di seconda fascia. L'abilitazione durerà quattro anni e il mancato conseguimento precluderà la partecipazione a tutte le procedure di abilitazione indette nel biennio successivo per la medesima fascia o per quella superiore. Le procedure di abilitazione saranno bandite inderogabilmente ogni anno nel mese di ottobre per concludersi cinque mesi dopo. Le chiamate saranno effettuate dagli atenei con procedure pubbliche, cui potranno accedere solo gli abilitati e i docenti di pari livello in università straniere. Sempre ieri il governo ha approvato anche la nomina del consiglio direttivo dell'Anvur, l'Agenzia di valutazione degli atenei, che quindi potrà fmalmente muovere i primi passi. Nella rosa dei sette nomi c'è anche l'economista della Sapienza Fiorella Kostoris. Gli altri sei commissari sono: l'ordinario di Trasmissione di dati al politecnico di Torino, Sergio Benedetto, l'economista Andrea Bonaccorsi, Massimo Castagnaro del consiglio superiore di Sanità, il fisico nucleare Stefano Fantoni, la sociologa Luisa Ribolzi e l'ordinario di Genetica medica all'università di Tor Vergata, Giuseppe Novelli. Il consiglio direttivo durerà in carica quattro anni e i suoi membri non potranno essere ri- nominati. Spetterà all'Anvur tra l'altro premiare con una parte del Fondo di funzionamento degli atenei le università che spendono bene le risorse e che producono più ricerca. Tornando al regolamento sull'abilitazione nazionale, esso dovrà acquisire i pareri di Cun, il Consiglio universitario, e Crui, la conferenza dei rettori. Dovrà poi passare al vaglio del consiglio di Stato e delle commissioni parlamentari. In più saranno necessari due decreti ministeriali. Il primo, per accorpare e dimezzare i settori concorsuali (da ro amo) e il secondo che specifichi, area disciplinare per area disciplinare, i requisiti di qualificazione scientifica richiesti sia ai commissari sia ai candidati per l'abilitazione. Per Mariastella Gelmini «si pone fine ai concorsi truccati», mentre per Manuela Ghizzoni del Pd: «serve un confronto costruttivo sull'università». Positivo il commento di Andrea Lenzi del Cun: «Con il regolamento si rimette in moto il sistema dei concorsi dopo quattro anni di stallo. I primi concorsi potranno partire dal 2012, con avvio dell'abilitazione a fine 2on». ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 LITE VALUTATORI: TREMONTI: SONO TUTTI DI SINISTRA Voti alle università, lite sull’agenzia Tremonti: sono tutti di sinistra Telefonata alla Gelmini. Tra i candidati anche l’ex moglie di Padoa Schioppa ROMA — Il decreto è stato approvato dal consiglio dei ministri appena due giorni fa. Ma potrebbero già riaprirsi i giochi per l’Anvur, l’Agenzia per la valutazione che dovrà dare i voti alle università pesando anche sulle distribuzione dei fondi pubblici. Non hanno convinto tutti i sette nomi scelti dal ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini in una rosa di quindici indicata dal comitato d’esperti guidato dell’ex direttore della Normale Salvatore Settis. Forse dubbi e critiche non hanno a che fare solo con l’università, ma la questione sta diventando un caso. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha telefonato alla Gelmini, criticandola per aver scelto professori troppo vicini alla sinistra. Tutte e sette le persone hanno una grande esperienza nella valutazione, e quindi un curriculum adatto all’incarico. Perché una critica del genere? E, soprattutto, a chi sarebbe rivolta? L’unico nome che ha una coloratura politica è quello di Andrea Bonaccorsi, apprezzato economista dell’Università di Pisa che alla valutazione ha dedicato molta della sua ricerca. Proprio per questa preparazione ha collaborato con il Pd, partito al quale viene considerato vicino, in particolare all’area di Enrico Letta. L’altro nome sarebbe quello di Fiorella Kostoris, stimata economista della Sapienza, anche lei con una ottima esperienza nella valutazione. Viene data come probabile presidente dell’Anvur, ed è l’unica figura nota non solo tra gli addetti ai lavori. La Kostoris è l'ex moglie di Tommaso Padoa Schioppa che, scomparso da poco, era proprio sulla poltrona di Tremonti nell’ultimo governo Prodi. Ed è noto che in passato fra Tremonti e Padoa Schioppa, oltre alla stima ed alla collaborazione, ci sia stata anche qualche tensione. Possono cambiare i professori scelti solo due giorni fa? In teoria sì perché il percorso del decreto è ancora lungo, con il parere delle commissioni parlamentari, l’esame del Consiglio di Stato ed un nuovo passaggio a Palazzo Chigi. E perché questa non è l’unica perplessità sulla lista uscita dal consiglio dei ministri. Secondo Enrico Decleva — presidente della Conferenza dei rettori e Magnifico della Statale di Milano — ci sono due problemi: «Mancano rappresentanti del Sud e non sono coperte le aree umanistiche e giuridiche» . Ci sono due economisti, un ingegnere, un fisico, un medico, un veterinario ed una sociologa. Ma restano scoperte discipline importanti come il diritto, le lingue, la storia, proprio quelle dove la valutazione è meno diffusa e anche più difficile. Per questo Decleva ha chiesto al ministro di aggiungere all’Anvur altri due componenti, con una modifica da introdurre nel decreto Milleproroghe in questi giorni all’esame del Parlamento. Del resto le stesse critiche sono state avanzate anche dal Pd con Luigi Zanda, vicecapogruppo al Senato. Ma è possibile questo cambiamento? I sette nomi scelti dalla Gelmini faranno parte del comitato direttivo, che dell’Anvur è sì la testa ma anche la parte meno operativa. A valutare in concreto le università sarà il braccio dell’agenzia, e cioè i 14 gruppi di lavoro, uno per ogni area disciplinare. È forse questa la sede migliore per garantire la competenza nelle singole materie. Resta il problema del Sud, perché è vero che ci sono Torino e Padova, Genova, Pisa e anche Trieste. Ma al di sotto di Roma, l’unica con due professori, non c’è neanche un rappresentante. Qui c’è stato un imprevisto. Nella rosa iniziale di quindici candidati c’erano due professori delle università di Napoli. Ma uno di loro, Giuseppe Paolisso, ha ritirato la sua candidatura all’ultimo momento. L’altro — lo storico Andrea Graziosi — è rimasto fuori anche perché dice la legge che nel comitato ci devono essere almeno due donne. Quote rosa sì, quote Sud no: e alla fine è stato impossibile far quadrare tutti i conti. Lorenzo Salvia ______________________________________________________________ MAnifesto 20 gen. ’11 GISO AMENDOLA: «ECCO L'UNIVERSITÀ PER GLI STUDI SUDDALTERNI» Francesca Pilla NAPOLI Si sono riuniti martedì per la prima volta all'Istituto Orientale di Napoli e hanno provato a costruire qualcosa di opposto al modello Gelmini, liberare il sapere, decompartimentarlo, unirsi per collettivizzare le informazioni e non renderle funzionali alla privatizzazione. L'iniziativa è andata bene, ed è stata accolta da un'aula magna stracolma ed entusiasta all'idea di creare uno «spazio dove sviluppare un discorso capace di attraversare la linea immaginaria che unisce tutti i sud dell'Italia, dell'Europa, del globo terreste». Si chiama Libera università studi suddalterni (Luss) ed è una rete di ricercatori, studiosi e rappresentanti dei movimenti che si riuniscono sul confine del fuori e dentro gli atenéi. A curare l'iniziativa Antonio Musei- la dei centri sociali, Leandro Sgueglia dei collettivi universitari, Tiziana Terranova docente dell' luo di studi postcoloniali, e Giso Amendola, docente di sociologia del diritto a Pisciano, con cui proviamo a capire di più il senso di questo progetto collettivo. Cerchiamo innanzitutto di spiegare: cosa sono gli studi subalterni? Si sviluppano in India nel territorio posi-coloniale per contestare l'idea chela modernità sia un senso univoco e uno spazio vuoto, dunque non come un'esperienza residua, ma una presa di parola partendo dalla consapevolezza di essere stati parlati lungamente dalla lingua degli altri. Da qui il gioco di parole della Luss, dove subalterni diventa «suddalterni». Questo perché vogliamo leggere in maniera differente la categoria del Sud in generale, e in particolare per quello italiano per smontare diversi luoghi comuni. Per esempio? L'intenzione è quella di mappare il Sud e cercare di comprendere se corrisponda a realtà il luogo comune generale, imposto dal discorso pubblico, che tende a rappresentarlo come un'economia arretrata per dimostrare l'ineluttabile necessità di seguire a tappe forzate il modello sviluppi- sta. La domanda è: siamo davvero un tessuto marginale oppure esiste una produzione meridionale originale, specifica e sommersa? Questo ci darebbe la possibilità di critica verso un'idea del capitale precostituita che riesce a condizionare anche un certa sinistra, bloccata dal linguaggio maggioritario. Crediamo che sia fondamentale attraversare le categorie di modernità e sviluppo imposte e domandarci, per esempio, se nel conflitto sulla produzione non esistano altri modelli già presenti sul territorio che vengono ignorati. Un percorso che in ogni caso non può prescindere dalla critica sui confini dell'Europa, che non possono essere prestabiliti, anzi vanno ridisegnati senza limitazioni. Il nord Africa, solo per citarne uno, non è un altro mondo, ma è parte integrante del nostro Mediterraneo. Dopo l'assemblea di martedì qual è il passaggio successivo? Ci siamo dati due priorità, iniziare il lavoro d'inchiesta e mappatura, nonché portare avanti un lavoro seminariale e di ricerca che sicuramente approderà ad altre assemblee di discussione e magari anche a delle pubblicazioni sul web. Ma non andremo avanti con metodi tradizionali, il Sud è stato sempre approcciato dal punto di vista emergenzialistico, usato come scusa per governarlo. Noi vogliamo guardarlo anche da un'altra angolazione per rielaborare le istanze del territorio non in chiave vittimista o marginale, ma con la capacità di prendere parola soggettivamente. Insomma basta con la solfa del Sud arretrato, bisogna smontare diversi luoghi comuni. Come vi collegate con il movimento anti-Geimini? Aprendo la costituzione di reti formate da studiosi e ricercatori sul confine del dentro e fuori l'Università, e in concreto ampliandola come una forma di vita che contraddice la compartimentazione funzionale del sapere culturale che è dentro la rifor-ma. Proponiamo dunque un metodo di ricerca che coinvolga i ricercatori in orizzontale, escludendo quel rapporto di docente/ discente che si instaura nei luoghi tradizionali di ricerca. Da qui la stretta interlocuzione con movimenti, la dialettica tra pratica e teoria, senza barriere o limiti. Movimenti GENERAZIONE ZERO ______________________________________________________________ Sapere 20 gen. ’11 CHE BRUTTA ARIA NELLE SCUOLE D'EUROPA EUROPA Nelle aule scolastiche europee non tira una buona aria. Lo ha dimostrato lindagine HESE (Health Effect of School Envi- ronment), promossa dalla Comunità europea e coordinata da Piersante Sestini, medico specialista in malattie dell'apparato respiratorio all'Università di Siena. Lo studio internazionale, í cui risultati sono stati pubblicati sull'European Re.spiratory Journal (ERJ), ha coinvolto alcune scuole di Siena, Udine. Aarhus (Danimarca), Reims (Francia), Oslo (Norvegia) e Uppsala (Svezia), frequentate da più di 600 alunni dell'età media di dieci anni. Per valutare la qualità dell'aria all'interno e all'esterno degli edifici, i ricercatori hanno analizzato diversi fattori ambientali, quali la temperatura, l'umidità relativa, le polveri sottili, l'anidride carbonica, il biossido d'azoto. i composti organici volatili, l'ozono, glì allergeni e le muffe, «I dati raccolti mettono in evidenza la mancanza di un'adeguata ventilazione in due terzi delle aule prese in esame, le stesse dove è presente la maggior parte dei bambini con problemi respiratori», ha commentato Marzia Simoni dell'Istituto di Fisiologia Clinica (IFC-CNR) e coautrice dell'articolo. Secondo lo studio, questa situazione espone gli studenti a livelli eccessivi di micropolveri e anidride carbonica, i cui valori registrati superano i limiti di sicurezza rispettivamente nel 78 e nel 66 per cento delle aule analizzate. Secondo le indicazioni internazionali, il ricambio minimo d'aria nelle scuole dovrebbe essere di 8 litri al secondo per persona, ma il 97 per cento di quelle esaminate non rispetta questo standard. Solo in Svezia e Norvegia, dove la maggior parte delle scuole è dotata di sistemi di ventilazione, questi valori risultano sempre al di sotto della soglia di guardia. Pessima la situazione in Italia, dove la concentrazione delle micropolveri nelle aule ha una media di 150 microgrammi per metro cubo, rispetto ai 50 microgrammi ammessi come limite per l'esposizione a lungo termine (e pari al livello massimo per l'esposizione a breve termine, fissato appunto a 150). Peggio del Belpaese solo la Danimarca, dove sono stati registrati 170 microgrammi per metro cubo. REGNO UNITO Rendere accessibili a tutti e in modo gratuito i dati sui cambiamenti climatici raccolti finora. Ne hanno discusso gli scienziati che si sono incontrati a settembre scorso a Exeter, al workshop internazionale organizzato dal Britain's Met Office, valutando l'opportunità di creare un archivio aperto on line. L'esigenza di ordinare i dati in maniera sistematica e trasparente in un'unica banca dati si è imposta lo scorso anno, dopo la grave perdita di credibilità che la comunità scientifica ha subito in seguito alla fuga di email dal CRLT (Climatic Research Unit) dell'Università di Norvvich. Episodio che seguiva di pochi mesi la richiesta del Freedom of Information Act al direttore del CRU, Phil Jones, di rendere pubblici al più presto i dati preliminari sul clima. Secondo la proposta lanciata dagli scienziati dello stesso Met Office in occasione del meeting, la nuova banca dati dovrebbe riunire le letture di tutte le temperature terrestri registrate finora; dovrebbe inoltre fornire informazioni aggiornate quotidianamente ed estremamente dettagliate, con una risoluzione spaziale di solo pochi chilometri, per consentire la costruzione di modelli predittivi sul clima sempre più precisi e affidabili. Due i principali problemi da affrontare per allestire l'archivio: l'analisi e l'omogeneizzazione dei dati. I sostenitori dell'iniziativa ritengono che creare un database potrebbe dare nuovo impulso alla ricerca e riconquistare la fiducia dell'opinione pubblica. Intanto, lo scorso aprile, era stato già inaugurato un database per rendere pubbliche tutte le informazioni sugli studi finanziati nell'ambito della Commissione europea riguardanti le emissioni di gas serra. TANZANIA Niente più monumentali migrazioni di gnu, quelle formidabili scene in cui migliaia di animali si riversano nelle praterie in una corsa inarrestabile. Al loro posto, nel Parco del Serenge ti sorgerà presto una strada ad alto scorrimento. L'inizio dei lavori è previsto per il 2012. A essere in pericolo è un paesaggio estremamente complesso e variegato che, oltre a gnu, ospita zebre, leoni, leopardi, elefanti, rinoceronti, licaoni, scimmie, manguste, e che ogni anno attira oltre 90.000 turisti da tutto il mondo. L'autostrada Arusha-Musoma, nei piani del governo della Tanzania, dovrebbe collegare i due distretti del Serengeti e del Loliondo, unendo la costa del paese con la parte più interna e tagliando in due la nazione e il parco. Il vantaggio principale sarebbe un più facile trasporto di prodotti e di bestiame che favorirebbe il mercato agricolo rurale. L'autostrada, tuttavia, impedirebbe agli animali migratori di raggiungere il fiume Mara, una fonte d'acqua indispensabile per la sopravvivenza dei mammiferi durante la stagione secca. Inoltre impedirebbe l'arrivo di altri animali dal Kenya alla risma Masai Mara, una delle mete turistiche più popolari della Tanzania. «Il parco è uno degli ultimi posti sulla Terra dove è possibile assistere alle grandi migrazioni, una delle immagini più emblematiche della natura selvaggia. Inoltre alimenta l'ecoturismo, un'importante risorsa economica della Tanzania», ha spiegato James Deutchs, presidente di WCS-Africa. L'organizzazione, insieme alle società zoologiche di Londra e Francoforte, stanno facendo forti pressioni sul governo della Tanzania per trovare soluzioni alternative. INDIA No alla miniera di bauxite della multinazionale inglese Vedanta sul Nyiamgiri, la montagna sacra della tribù indiana Dongria Kondh, nello Stato di Orissa. Lo ha deciso, lo scorso 24 agosto, il ministro dell'ambiente dell'India. jairam Ramesh, dopo che una commissione governativa incaricata cli valutare il progetto si è espressa in termini chiaramente contrari. L'opera mineraria potrebbe infatti distruggere la tribù, considerata ormai come la popolazione Na.vi di Pandora del film Avatar. Nel 2003 la Vedanta aveva firmato un accordo con il governo di Orissa per scavare i fianchi della montagna e costruire alle sue pendici una raffineria per la lavorazione della bauxite; due anni dopo aveva raso al suolo il villaggio dei Majhi Kondh, abitato da un'altra tribù della zona. Nel 2007 cominciano però le prime grane per la società inglese; il governo norvegese vende le sue azioni, lanciando l'allarme per la sopravvivenza dei Dongria Konclh — una tribù di circa 8 mila persone — qualora i piani della Vedanta in India fossero andati a buon fine. Nel 2008 iniziano le proteste della tribù contro la miniera e l'anno seguente i Dongria Kondh. insieme ai Majhi Kondh, protestano, formando una catena umana intorno al Nyiamgiri. Nel 2009 l'associazione ambientalista Survival International lancia il film-denuncia Mine - Storia di una montagna sacra, a oggi visto da oltre 600.000 persone. La comunità internazionale si mobilita: il governo britannico condanna ufficialmente la compagnia mineraria e accoglie un ricorso all'OCSE presentato da Survival. Intanto le società e le fondazioni proprietarie di azioni della Vedanta rivendono i propri pacchetti in segno di protesta: sono la società di investimenti Martin Curie, la Chiesa anglicana, la josepph Rowntree Charitable Trust e la PGGM. Il ministro dell'Ambiente Jairam Ramesh ammette che l'accordo con la Védanta viola la legge indiana sui diritti dei popoli tribali e commissiona due indagini separate sulla miniera. Entrambe le inchieste confermano i rischi per i Dongria Kondh: la miniera distruggerebbe la loro montagna sacra e soprattutto le foreste che la ricoprono, principale fonte cli sostentamento per la tribù. Così a Ramesh non è rimasto altro che confermare il "No" espresso dalle commissioni e negare í permessi alla compagnia britannica. «Abbiamo scelto una via puramente legale». ha dichiarato il ministro, che ha anche annunciato l'intenzione del governo di perseguire a sua volta la Vedanta. OMS «Le malattie neglette possono essere messe in ginocchio». Lo ha dichiarato Margaret Chan, direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). E ha fissato anche una scadenza precisa: entro il 2015 dovranno essere sotto controllo. La sfida, insieme alla richiesta di un forte e decisivo impegno, arriva da Ginevra in occasione della presentazione del primo rapporto dell'OMS in materia: «Working to overcome the global impact of neglected tropical diseases». Il documento analizza l'impatto globale di 17 malattie neglette tropicali — tra cui Malattia di Chagas, Dengue, Schistosomiasi, Lebbra, Rabbia, Tripanosomiasi (malattia del sonno), Elmentiasi e Leismaniosi — che colpiscono sopratutto le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, dove le pessime condizioni igieniche e abitative si coniu-gano con l'abbondanza di animali e insetti vettori di malattie. Le conseguenze a lungo termine di queste infezioni variano a seconda della patologia e includono cecità, cicatrici sfiguranti, ulcere, dolori acuti, arti deformi, carenze cognitive, ritardo nello sviluppo fisico e danni agli organi interni. Sono endemiche in 149 paesi del mondo e danneggiano la vita di almeno un miliardo di persone. «Le malattie tropicali costano miliardi di dollari ogni anno in perdita di produttività, e le aziende di settore devono esser incoraggiate a realizzare farmaci per la loro cura», ha dichiarato Chan. Spesso per trattare queste malattie basterebbero pochi centesimi. Per esempio, il costo dell'invermectina e dell'albenclanzolo per un bambino affetto da filariasi linfatica varia tra i 5 e i 10 centesimi di dollaro. Le attività intraprese finora per mitigare l'impatto di queste malattie negli ultimi anni stanno producendo risultati importanti: il trattamento con la chemioterapia preventiva, per esempio, ha raggiunto 670 milioni di persone nel 2008 e i casi di malattia del sonno hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi 50 anni, e la filariasi linfatica potrebbe essere eradicata entro il 2020. «Le malattie tropicali neglette sono debilitanti, talvolta letali ma, soprattutto, sono spesso accettate come parte integrante della povertà» ha proseguito Chan. «Le strategie messe a punto in questo rapporto sono innovative e se implementate correttamente e ampiamente possono realmente ridurre il carico di malattie e rompere il ciclo di infezione, disabilità e perdita di opportunità che mantiene le persone in uno stato cli povertà», ha concluso Margaret Chan. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 18 gen. ’11 GELMINI: 120 MILIONI PER L' INNOVAZIONE Centoventi milioni per ricerca e innovazione destinati ai settori agroalimentare, aerospazio, edilizia sostenibile, biotecnologie, ict, energia e fonti rinnovabili. Li hanno stanziati insieme Regione Lombardia e Ministero dell' Istruzione, per il triennio 2011-2013. Nei 61 milioni e mezzo del Pirellone sono contenuti fondi per Dote ricercatori e Dote ricerca applicata, per il sostegno a progetti innovativi e per la nascita di nuove imprese, anche i 59 milioni stanziati dal ministero di Mariastella Gelmini serviranno per far partire nuove imprese e per la ricerca industriale. L' accordo è la prima attuazione del protocollo d' intesa sottoscritto dal governatore della Lombardia Roberto Formigoni e dal ministro Gelmini l' estate scorsa che prevede un utilizzo sinergico dei finanziamenti statali e regionali, «un progetto pilota che riproporremo nella altre regioni», ha spiegato Gelmini. Il ministro ha sottolineato che con questa riforma i ricercatori non sono precarizzati ma sostenuti: «Questo accordo è un reale aiuto per la ricerca, con una parte di aiuti a fondo perduto e una parte con credito agevolato, ed è prevista la defiscalizzazione per i ricercatori che ricevono i fondi». Formigoni ha ricordato gli investimenti della Regione su ricerca e università, dal centro di Nerviano alle nuove residenze universitarie. E ha definito questi finanziamenti come «un turbo inserito nel motore dell' economia Lombardia». Il consigliere regionale del Pd, Sara Valmaggi ha commentato che «se si tratta di risorse aggiuntive, bene. Ma i fondi per la ricerca sono diminuiti progressivamente in questi anni e nessun accordo locale può colmare il vuoto di finanziamenti». ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 gen. ’11 «SULLA RIFORMA GELMINI BISOGNA RESTARE VIGILI» Bettina Camedda CAGLIARI. Dopo la batosta, gli studenti universitari ripartono con nuovi progetti e diverse iniziative. Una decisione impegnativa, se si considera che gennaio e febbraio, in quasi tutte le facoltà, sono riservati agli esami. Ma «continuare a parlarne, spiegare cosa cambia con l’attuazione della riforma Gelmini» è forse l’unico modo per non lasciare che i problemi dell’Università passino in secondo piano o facciano semplicemente da contorno a vicende lontane dalle reali difficoltà di studenti e lavoratori del Bel Paese dove la disoccupazione giovanile è salita al 28,9%. Perché con la nuova riforma della scuola e con il nuovo contratto ‘targato’ Mirafiori, le cose cambiano un po’ per tutti. «Nei prossimi sei mesi l’Università subirà diversi cambiamenti. In attesa che la commissione si riunisca - spiega Marco Meloni, presidente del consiglio degli studenti - preferiamo affrontare questo passaggio con dibattiti e iniziative culturali. Oggi ad esempio incontreremo il sindacato dei metalmeccanici perché di fatto quello che è accaduto a Mirafiori è simile alla situazione attuale dell’Università, si tratta di imposizioni che ledono i diritti e la dignità di studenti e lavoratori». Questo pomeriggio alle 17.30, infatti, nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza, l’unione degli studenti universitari e il gruppo Unica 2.0 in collaborazione con l’Università degli studi di Cagliari incontreranno la Fiom. Tematiche del dibattito le tutele e le opportunità nel mondo del lavoro in tempo di crisi. Reduce dal caso Fiat che ha messo in discussione il ruolo del lavoratore all’interno del sistema produttivo, interverrà una rappresentanza del sindacato, Mariano Carboni, segretario regionale Fiom-Cgil, e Simone Piddiu, segretario provinciale. Si parlerà di diritto al lavoro con i docenti Piera Loi, della facoltà di Giurisprudenza, e Gianni Loy, di Scienze Politiche. Al dibattito inoltre interverrà Nicola Marongiu, segretario generale della Camera del Lavoro Cgil. Studenti e lavoratori si daranno poi appuntamento al 28 gennaio, alla manifestazione regionale nell’ambito dello sciopero nazionale dei metalmeccanici organizzato dalla Fiom. ______________________________________________________________ Il Fatto 22 gen. ’11 LA DENUNCIA DELLO STORICO BEVILACQUA: CULTURA UN DISASTRO ANNUNCIATO Perché i giovani non trovano impiego nel settore artistico, che ha bisogno di nuova linfa e manutenzione? di Piero Bevilacqua a gioventù colta che oggi esce dalle nostre università, che ha in tasca dottorati di ricerca, master, PhD, vive oggi in Italia una vita grama. Essa viene tenuta fuori dalle università, dal Cnr, e dai centri di ricerca privati che in Italia, com'è noto, sono poca cosa. Simili a merce sovrabbondante e inutile i nostri giovani laureati sono lasciati nel buio dei "depositi" per mancanza di mercato. Si attende che da un momento all'altro arrivi lo sviluppo e li metta all'opera. Ma l'idea che oggi bisogna attendere lo sviluppo, la crescita dell'economia, per dare lavoro a queste figure, per valorizzare la loro cultura e le loro competenze, appartiene, con ogni evidenza, all'ambito delle non poche superstizioni che annebbiano la mente dei nostri contemporanei. Al contrario, anche per tali figure, si impone una progettualità politica articolata se non si vuole che un'intera generazione veda del tutto sprecata la sua formazione, le sue competenze, gli sforzi economici delle famiglie e dello Stato, la sua stessa vita. E QUI UN CETO politico capace di pensare avrebbe materia su cui esercitarsi. Se si riflettesse sulla collocazione che nella geografia economica internazionale, e perfino nell'immaginario, l'Italia ha ormai assunto - come paese della bellezza artistica, del bel paesaggio, della musica, della cultura umanistica - una classe dirigente degna di questo nome investirebbe molto in quest'ambito. E invece, proprio in questa sfera, i segnali, negli ultimi anni, mostrano una persistente bonaccia. Anzi si assiste spesso a una evidente re-gressione. Ad esempio, si lasciano le soprintendenze sotto organico, non si assumono giovani, si lesinano investimenti, come Salvatore Settis va denunciando solitariamente ormai da anni. Eppure c'è tanto lavoro potenziale in campo artistico e culturale per la nostra gioventù. Anche se alcune occupazioni potrebbero rivelarsi solo temporanee, si garantirebbe un grande impulso alla valorizzazione del nostro patrimonio. Si pensi a quanto utile impiego potrebbero essere destinate l'intelligenza e le competenze dei nostri ragazzi nella catalogazione dei beni artistici e culturali, nei musei, nelle città, nel territorio. Oggi quanti reperti, ammassati nei depositi, attendono di essere catalogati, e potrebbero dar vita a mostre temporanee in giro per l'Italia? Quanta produzione filmica promozionale - ad esempio con la creazione di dvd - si potrebbe realizzare sulle nostre bellezze, artistiche, naturali, paesaggistiche, da far conoscere in giro per il mondo? Anche nel campo della digitalizzazione dei beni documentari e librari si potrebbe fare tanto, visto l'immenso patrimonio archivistico e bibliotecario di cui godiamo. Quante utili risorse finanziarie potrebbero rientrare nel nostro paese grazie alla possibilità di far utilizzare a distanza i nostri preziosi documenti d'archivio, i nostri testi, facendo risparmiare a migliaia di studiosi sparsi per il inondo la spesa e il peso di un viaggio? Ma sono l'università e il inondo della ricerca il luogo centrale per l'occupazione e la valorizzazione della gioventù colta. E qui, davvero l'Italia mostra tutti i drammatici segni di un ventennio di inettitudine del suo ceto politico. E soprattutto indica la sua incapacità di utilizzare le sue stesse risorse intellettuali nella fase della loro maggiore creatività, quando cioè esse sono in grado di fornire i migliori contribuiti al paese che le ha formate. I dati che poco tempo fa ha illustrato Massimo Evi Bacci, non lasciano spazio alle repliche. Nell'ultimo ventennio l'invecchiamento all'interno dell'università italiana è stato impressionante. La percentuale del corpo docente al di sotto dei 45 anni si è dimezzata, passando dal 60% al 32% del totale. Nel frattempo è quasi triplicata quella al di sopra dei 55 anni, passando dal 15 al 41%. Nel 2005, su 60 mila persone, appena 4000 avevano meno di 35 anni, mentre oltre 6000 ne avevano più di 65. In vent'anni la percentuale con meno di 35 anni si è dimezzata, e se ne è formata una pari con oltre 55 anni. A questa drammatica senescenza il governo sta rispondendo da quando è in carica, vale a dire dal 2008, con una politica di annientamento dell'università pubblica. Si tagliano pesantemente, di anno in anno, le dotazioni finanziarie e si concede alle facoltà di assumere un ricercatore ogni 5 docenti che vanno in pensione. Nel giro di 5 o 6 anni molte grandi facoltà, soprattutto umanistiche - quelle da cui sono usciti i nostri maggiori intellettuali, figure fondamentali delle nostre classi dirigenti - saranno prive di docenti, ridotte a dimensioni insignificanti sia sotto il profilo didattico, che scientifico. Il silenzio, o il sommesso brusio, delle forze intellettuali, del ceto politico, del mondo imprenditoriale, dei media, dello stesso corpo accademico a noi appare forse come il segno più inquietante di un paese che ha scelto consapevolmente di mettersi da parte, di stare fuori dalla scena del mondo nel prossimo futuro. NESSUNO lancia l'allarme sulla distruzione che sta avanzando? Nessuno si chiede dove andremo senza ricerca, impoverendo le nostre università, preparando sempre meno laureati, e sempre meno all'altezza dei bisogni di conoscenza della nostra epoca? Diciamo la verità. Non colpisce tanto il balbettio del ceto politico, qualunque sia la sua collocazione di schieramento. Su di esso abbiamo già detto quanto era sufficiente dire. Ma davvero stupisce il silenzio del mondo delle imprese. O forse è la nostra ingenuità la causa dello stupore, fondato sull'illusione che gli imprenditori italiani abbiano qualche idea sul futuro industriale dell'Italia oltre la scadenza del prossimo mese? Il ri-dimensionamento delle università nella vita italiana non è certo questione che attiene agli schieramenti politici. Esso corrisponde alla scelta strategica di un ridimensionamento complessivo dell'Italia nel mondo. Senza ricerca scientifica, senza valorizzazione culturale della nostra gioventù, quale può essere l'avvenire economico del nostro paese? Anche a voler ragionare secondo una logica sviluppista che non ci appartiene e che crediamo ormai senza avvenire quale posto intende ritagliarsi l'Italia sulla scena economica internazionale? Ci trincereremo nella semplice difesa della nostra industria manifatturiera? Contiamo di vendere scarpe e magliette ai cinesi? O speriamo di fare affari nella speculazione finanziaria internazionale con le nostre banche, mentre l'economia reale si assottiglia? Benche tutto sembra opporsi al buon senso, all'evidenza di un interesse generale che coinvolge le sorti di un intero, grande paese, noi crediamo che oggi la valorizzazione della nostra gioventù studiosa e colta coincida esattamente con una strategia di protagonismo possibile dell'Italia nel inondo. Oltre che di difesa ed elevazione della nostra civiltà. Il nostro paese godrà di maggior benessere e sicurezza al suo interno, potrà affermare la sua visione di società solidale, la sua identità aperta agli altri se alla nostra gioventù sarà data la possibilità di formarsi e di avere un ruolo di primo piano nella ricerca e nell'insegnamento. ______________________________________________________________ Libero 22 gen. ’11 MILANO CHOC UNIVERSITÀ STATALE A LUCI ROSSE Nei bagni della Statale succede di tutto di SALVATORE GARZILLO «Ti va di guardarmi mentre mi masturbo?». Università Statale di Milano. Terzo piano. Ore 12,14. Da dieci anni Marco fa questa domanda ai ragazzi che passano davanti ai bagni del terzo piano dell'ateneo. E da dieci anni trova qualcuno che lo accontenti. Sono in tanti a frequentare la toilette in cerca di avventure, professori compresi. Pochi gradini e ognuno ottiene quello che vuole: palpeggiamenti, giochini, filmati, sesso in tutte le salse. Gratis o a pagamento. Tutti sanno che è un punto di ritrovo obbligato per la comunità omosessuale parallela, quella cioè che in tasca non ha la tessera di un movimento ma non rinuncia a vivere la propria sessualità, magari tra le pareti di un bagno studentesco. Sono queste voci, che circolano liberamente tra gli universitari e i dipendenti, a portarti li. Entri alla Statale dall'ingresso al numero 3 di via Festa del Perdono, poi sempre dritto fino al fondo del corridoio. Davanti alla libreria un capannello di studenti chiacchiera alla fine di un corso ma prima delle scale la strada è libera. Sul pianerottolo del terzo piano c'è un uomo sui quaranta, aspetta seduto su un muretto. Legge il giornale distrattamente, come un paziente in attesa del dentista. Ha cappello e occhiali e appoggiato al suo zainetto guarda l'intruso con un misto di curiosità e diffidenza. Passando accanto alla porta del bagno degli uomini si sentono rumori strani (per un bagno): dentro ci sono due tizi che fanno sesso nell'anticamera. Avranno pochi anni meno di quello che aspetta fuori e non si accorgono né della porta che si apre, né di uno «scusate» imbarazzato. Sali al quarto piano, dove ci sono i bagni delle donne e una porta tagliafuoco che conduce alle aule (a pochi metri una classe sta seguendo la lezione delle 12). Dopo tre minuti di sosta sale un ragazzo che chiede l'indicazione proprio per quell'aula. La domanda serve per rompere il ghiaccio e tastare il terreno. È il Marco di cui sopra, trentatre anni. Nel giro di pochi minuti arriva alla fatidica domanda: «Ti va di filmarmi mentre mi masturbo? ». Una volta all'interno del bagno («in quelli delle donne si sta più tranquilli, giù c'è gentaglia»), racconta un pezzetto della sua vita e il mondo nascosto dietro porte coperte di scritte oscene. Intanto, comincia a toccarsi. «Sono uno studente fuori corso di giurisprudenza, ma faccio il commerciante in Brianza per mantenermi. Vengo qui da dieci anni, c'è sempre qualcuno con cui fare qualcosa. Avrò visto centinaia di persone aprire queste porte e chissà quante altre mi sono perso». PROF A LUCI ROSSE Quanti partner hai trovato qui? «Se parliamo di "compagni di gioco", un'infinità. A me piace toccarmi davanti a un altro uomo ma non mi interessa il contatto fisico o il rapporto completo». Salta fuori che Marco è fidanzato con una donna. «Si, stiamo insieme da anni. Cosa credi? A me piacciono le ragazze. Io sono uno normale». A guardarlo sembra un tipo a posto, non ha l'aspetto da maniaco che uno immagina. E se non stesse agitando la mano nei pantaloni in un bagno dell'università, sembrerebbe una normale conversazione. «Sono etero - ripete - però mi eccita questa condizione di clandestinità omosessuale, che poi clandestina non è neppure tanto». In che senso? «Nel senso che ormai questa è diventata una meta famosa per gay e anche per etero. Vengono in tanti, incuriositi dalla propria reazione o magari per vedere se davvero alla Statale c'è quello di cui parlano gli altri». Perché cosa succede nei bagni dell'università lo sanno tutti. Studenti, inservienti e pure professori. «Alcuni docenti sono habituè. Vengono qui dopo una lezione, si "svuotano", e riprendono con quella successiva. In genere vanno al terzo piano, ma se la sala è occupata da qualcuno, si sale qui al quarto». SESSO A PAGAMENTO Marco è un fiume in piena. «Trovi gente di tutte le età e non ci sono barriere generazionali. Uomini di trenta, quaranta, cinquanta anni si "incontrano" con ragazzi molto più giovani. Certo, qualche volta c'è bisogno di un incentivo economico». Parliamo di prostituzione? «Parliamo di alcuni che vengono per arrotondare (i più giovani) e di altri che non amano il corteggiamento (quelli che devono scappare a lavoro). Il resto viene qui perché si sente tranquillo». Neanche a dirlo, Marco è interrotto dall'arrivo della donna delle pulizie che con l'aria di chi ripete un copione, ricorda che «questo è il bagno delle femmine, non dovreste essere qui». Le strade si dividono ma Marco non ha finito quello che ha iniziato e allora parte per un altro bagno. «Peccato che vai via. Vabbè, tanto tra poco arriverà qualcun altro». «A me piace toccarmi davanti a un altro uomo ma non mi interessa il contatto fisico o il rapporto completo. A me piacciono le ragazze. Io sono uno normale» «Ormai questa è diventata una meta famosa per gay e anche per etero. Vengono in tanti, incuriositi dalla propria reazione o magari per vedere se davvero alla Statale c'è quello di cui parlano gli altri» «Trovi gente di tutte le età e non ci sono barriere generazionali. Uomini di trenta, quaranta, cinquanta anni si "incontrano" con ragazzi molto più giovani. Certo, qualche volta c'è bisogno di un incentivo economico» ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 gen. ’11 FRATTINI: «PIÙ CERVELLI IN USCITA CHE IN ENTRATA» «Il flusso dei giovani che lasciano l'Italia continua a essere negativo. Sono più quelli che partono che quelli che rientrano». Così commenta il ministro degli Esteri Franco Frattini a "Giovani Talenti", condotta da Sergio Nava su Radio 24, il fenomeno del crescente esodo dei giovani professionisti dall'Italia. Di fronte ai dati resi noti nelle scorse settimane dal programma di Radio 24, che segnalavano un forte incremento - negli anni 2000 - dell'emigrazione dei laureati, originari del Centronord Italia, appartenenti alle classi più giovani e produttive, Frattini ha dichiarato: «Questi dati mi hanno fatto un effetto di tristezza, per l'incapacità di un grande Paese come l'Italia di trattenere i suoi giovani migliori». ______________________________________________________________ Il Manifesto 20 gen. ’11 NON SOLO MILLEPROROGHE • INSIEME EDITORIA, SPETTACOLO, SCUOLA E UNIVERSITÀ Tutti insieme oltre il ricatto della crisi Benedetto Vecchi Tutti insieme per contrastare un'operazione che, in nome di una politica di rigore, sta desertificando la società italiana. C'erano, infatti, i lavoratori dello spettacolo, i ricercatori dell'università e molti giornalisti e giornaliste ieri alla sede romana della Federazione nazionale della stampa. Tema dell'incontro, la draconiana riduziOne delle risorse destinate al Fus (il fondo unico dello spettacolo), al fondo per l'editoria, alla scuola, all'università e alla ricerca. Molte le proposte e le analisi presentate, a partire dalla necessaria mobilitazione affinché nel passaggio parlamentare per la conversione in legge del decreto «milleproroghe» i tagli imposti da Giulio Tremonti siano cancellati per tornare a una situazione che possa consentire alla produzione cinematografica e teatrale di non essere fortemente ridimensio-nata. Ma questo è solo il primo passaggio di una iniziativa che vuoi rompere i recinti di una drammatica contingenza e invertire la rotta che caratterizza il governo Berlusconi. L'obiettivo che si propone il mondo dello spettacolo, del teatro, dell'editoria e dell'Università è dunque di far portare il misero 0,21 per cento della spesa statale italiana al 2,21 per cento che caratterizza gli investimenti pubblici in Germania e in Francia, due paesi che hanno anch'essi un governo di centrodestra, ma che hanno deciso, nonostante la crisi economica, di puntare per uscire dalla crisi sulla produzione culturale e sulla ricerca scientifica. Negli interventi non c'era traccia di lamentele, né nessuno vuole chiedere elemosine o interventi compassionevoli del governo Berlusconi. Nessuno, infatti, crede più al premier che aiuta chi vive situazioni di disagio, come recita la retorica del centrodestra al governo. Traspare, invece, l'orgoglio di chi vede nella cultura uno degli elementi costitutivi della convivenza civile. Un paese senza cultura è infatti un paese dove le relazioni sociali sono marchiate da intolleranza e pulsioni xenofobe e populiste. Giornalisti, ricercatori e lavoratori dello spettacolo hanno appreso la dura lezione in base alla quale sanno .che per essere credibili devono articolare proposte che «sappiamo parlare al paese», Ma la strada è in salita. Finora il governo ha sempre rifiutato un confronto su come riformare i settori sotto attacco in nome dell'austerity e della crisi economica. «Dicono di essere riformatori e riformisti, ma poi si sottraggono al confronto sulle nostre proposte di riforma. Vogliono solo tagliare, tagliare e tagliare», aggiunge Roberto Natale della Fnsi. I lavora-tori dello spettacolo chiedono che il Fus sia reintegrato almeno ai livelli del 2008 e che la Tax Credit e il 'Fax Shelter siano in vigore per tre anni, il periodo minimo per porre le basi di un rilancio della produzione cinematografica. Allo stesso tempo propongono la valorizzazione di Cinecitt. Le testate giornalistiche a rischio di chiusura chiedono il ripristino del fondo dell'editoria che il blitz natalizio di Giulio Tremonti ha decurtato. Allo stesso tempo, vogliono che si apra un tavolo per discutere come riformare seriamente la legge di finanziamento di giornali, radio e tv che impedisca ai «furbetti del quartiere» di aprire giornali, radio e tv falsi. Ma cosa fare„ dunque? Non è la domanda da cento milioni di dollari a cui è quasi impossibile rispondere. 1,'incontro di ieri alcune risposte le ha date. In primo luogo ha lanciato la proposta di una settimana di mobilitazione che veda coinvolti tutti i settori legati al taglio dei finanziamenti. Incontri, seminari, momenti di confronto con il restio della società diventano appuntamenti non rituali, ma una sorta di «stati generali della cultura» che si pongono l'obiettivo di far diventare lo stato dell'arte della produzione culturale un tema centrale nella discussione pubblica. Ma cosa significa tutto ciò? In primo luogo ricostruire quei quelli elementi che attengono appunto la convivenza civile, cioè quei fattori che a una società consentono di riflettere su se stessa. E dunque consentono di analizzare la qualità delle relazioni sociali. In fondo, quando Roberto natale sostiene che il problema è di trovare quel dinamico equilibrio tra una funzione pedagogica dell'atto culturale e la sua rappresentazione mediatica - «Non è possibile che la televisione del pomeriggio distrugga ciò che ha costruito la scuola del mattino» - è la posta in gioco politica della modifica del decreto mille proproghe. ______________________________________________________________ Il Messaggero 22 gen. ’11 CHE ROMANZO IL CINISMO DEL BARONE UNIVERSITARIO di GENNARO SANGIULIANO L'ESPRESSIONE. "baroni universitari", fu coniata agli inizi del Novecento da Gaetano Salvemini, sulla rivista La Voce, la definizione appare per la prima volta il 3 gennaio 1909 in un numero della rivista di Giuseppe Prezzolini dedicato alla «crisi morale delle università italiane» che ospitò anche il celebre articolo "Coco all'università di Napoli o alla scuola della malavita". «Gli adolescenti», scrive Salve- mini, «dopo aver fatto il liceo in una città del Napoletano, lasciano la famiglia per andare ad addottorarsi all'Università' di. Napoli, sono forniti assai di rado di una perfetta e solida coscienza morale». Oltre cent'anni dopo un docente universitario napoletano, Lucio d'Alessandro, anzi fra i più giovani rettori dell'università italiana, ha voluto rappresentare in un romanzo, Il medico dei vicoli (Sperling& Kupfer, 184 pagine, 17,90 curo) una storia ambientata nel carrierismo professionale e universitario, dove la furbizia si rivela spesso l'arma più forte capace di stravolgere ogni gerarchia basata sul merito. Nel dopo guerra, Walter Episcopio, giovane ambizioso quanto privo di talento e di preparazione scientifica, giunge a Napoli dalla provincia per laurearsi in medicina. Il suo percorso universitario, coronato dalla laurea, è un campionario di piccole truffe sostenute anche da un fidanzamento di comodo con una ragazza insipida, Stellina, figlia di un potente barone della medicina, il "venerato" professor Caccese. Trai diversi ambiti universitari, quello della sanità è da sempre uno dei più feroci, il luogo dove i potentati si contendono carriere e posizioni attorno a baroni che si muovono come autentici padroni feudali. Il piano cinico del giovane protagonista è semplice quanto meschino: corteggiare Stellina, solo per il tempo utile a ottenere la laurea e poi tornare al paese d'origine con l'agognato titolo che a quel tempo significava sicura carriera. Solo che il professor Caccese, anche lui reduce di una spietata scalata sociale, è più volpe di tutti i suoi allievi e trova il modo di ricattare il giovane e costringerlo a sposare la figlia Stellina. Non solo pretende di dettare minuziosamente le condizioni di status della coppia. La vita di Walter d'ora ìn poi diventa scialba, scorrerà per inerzia, nella gabbia costruita dal suocero, tra insoddisfazione e il desiderio di vendetta. La sorpresa giungerà col tempo quando Walter ritroverà serenità, una certa perizia nella professione, data soprattutto dal rapporto umano con i pazienti, e gusto al lavoro. La moglie Stellina, goffa e non amata, quasi disprezzata, si è rivelata una donna capace, attenta al futuro che pian piano lo aiuterà a costruirsi un'autonoma credibilità professionale. Walter, cosa che non avrebbe mai creduto, col tempo comincerà ad amarla. Il romanzo di Lucio d'Alessandro è un'originale fotografia di un certo carrierismo amorale e familista e vale più di cento analisi statistiche nel rappresentare efficacemente questo mondo. Il racconto, inoltre, snoda le sue vicende anche attraverso pagine divertenti che rendono bene il servilismo, la prosopopea, i sotterfugi di un certo spaccato della professione medica, quei caratteri che Albero Sordi rese mirabilmente nel personaggio del primario "Guido Tersili", nel contempo cinico e simpatico. Senza voler proporre confronti impropri, il romanzo propone il tema portante dei personaggi dì Dostoevskij, «l'egoismo, l'amoralismo e l'ateismo», condannati perché ogni uomo, secondo il grande scrittore russo, ha sempre la percezione di ciò che è «bene» e ciò che è «male», eppure spesso si sceglie di vivere secondo gli istinti convenienti. Dostoevslcij si è guadagnato un posto unico nella letteratura mondiale per aver portato per primo alla ribalta categorie come «il santo, il malfattore, il comune peccatore», figure universali che lui scarnifica con la grandezza della sua prosa. Tornando al Medico dei vicoli la rappresentazioni della meschinità della vita resta sempre un banco di prova interessante per chi si misura con la scrittura. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 gen. ’11 DIGITALE E APERTO COME UN LIBRO Strumenti didattici adattabili e contenuti «open» sono oggi le esigenze di scuole e università, che guardano a supporti diversi dalla carta DI ALESSANDRA ANICHINI Alla vigilia di quella che si preannuncia come la scomparsa del vecchio testo di studio, del tradizionale manuale di storia o di geografia, dell'antologia letteraria o anche del sussidiario dí scuola elementare, compendio unico per ogni disciplina, ci si interroga su cosa prenderà il suo posto negli zaini degli studenti° sulle lavagne digitali di nuova generazione. Nuovi testi saranno quelli che docenti e studenti utilizzeranno a breve, per insegnare e per apprendere. Saranno simili a quelli che conosciamo, ma in parte anche molto diversi, se non altro perché la carta non sarà più l'unico supporto su mi poterli leggere. Se oggi il tema dei contenuti digitali per la didattica è centrale per le case editrici che si accingono a riconvertire i loro cataloghi, da anni se ne è discusso in ambiti specialistici e tra docenti attenti all'innovazione tecnologica. Al centro della disputa c'è sempre stata una questione di fondo: la contesa tra «contenuti chiusi» e «contenuti aperti», ovvero tra un tipo di testualità che ripropone l'assetto tradizionale del libro (seppure arricchito di immagini, audio e video) connotato da percorsi di studio disciplinari rigidamente calibrati sui programmi nazionali o, viceversa, testi flessibili che, puntando sulla caratteristica prima del nuovo supporto, permettono la manipolazione dei contenuti, anche in termini di parziale riscrittura del contenuto stesso. I docenti chiedono strumenti didattici adattabili; spesso amano costruirsi in proprio i manuali di lavoro, magari avvalendosi della collaborazione degli studenti, secondo una logica da web 2.0 e da user content generation. Del resto la scuola, quella di qualità, anche prima dell'avvento del digitale, ha scritto o riscritto i propri testi, si trattasse di una serie di dispense, piuttosto che di veri e propri volumi ciclostilati e riprodotti artigianalmente. Nella sedicesima edizione della conferenza Educa Berlin, che si è svolta appunto a Berlino nel dicembre scorso, si è dato grande rilievo alle esperienze di produzione e condivisione di contenuti didattici digitali per la scuola da parte di comunità di docenti. Il caso della Norvegia può risultare emblematico: per iniziativa pubblica si è costituita nel 2006 la Norwegian Digital Learning Arena (Ndla, http://2olo.arkiv.ndla.no/nb), uno spazio in cui i docenti di scuola secondaria di secondo grado condividono una serie di contenuti digitali pubblicati con Creative Commons license. Uno staff redazionale, com-posto proprio da docenti, controlla e pubblica il materiale e ne implementa eventuali modifiche ín base al feed-back degli utenti. La possibilità di proporre contenuti e di condividerli è da poco offerta anche agli stessi studenti. Le maggiori publisher norvegesi hanno tentato di ostacolare il progetto che riscuote tuttavia molto successo e ha ricevuto nel 2009 l'attenzione dell'Ocse («Beyond Textbooks -Digital LearningResources as systemic Innova-tion in the nordic countries»). Vecchia di qualche anno è anche l'iniziativa di Merlot (http://www. merlot.org/merlot/index.htm), una collezione di risorse costruita e controllata secondo la logica della peer reviewed. Collaborazioni individuali, partner istituzionali e anche gruppi editoriali possono partecipare a questo scambio di testi digitali suddivisi per ambito disciplinare, che halo scopo principale di contribuire alla costruzione di una comunità interessata alle nuove tecnologie della didattica. Potremmo citare ancora la Nation's online library for education and research in Science, technology, engineering, mathematics (http://nsdl.org/) dedicata tutta ad attività inerenti le materie scientifiche o anche la più nota The Le@rning Federation, che dal 2001, per volontà del Governo australiano è un punto di riferimento per chi si occupa dell'innovazione didattica. L'intento dichiarato dall'istituzione australiana è quello di aiutare la scuola «a intraprendere la strada di un'istruzione del ventunesimo secolo e a implementare la rivoluzione dell'istruzione digitale». (http://www.thelearningfederation.edu.au/default.asp). Difficile è ancora definire la natura dei testi che vi si trovano: con lo stesso termine si indica talvolta una semplice serie di schermate informative corredate di approfondimenti in linea odi java script, mentre in altri casi ci troviamo di fronte a veri e propri corsi che propongono allo studente percorsi formativi completi costituiti da approfondimenti, esercitazioni, lezioni registrate e anche servizi online in cui un docente (non virtuale) risponde ai quesiti posti. È questo il caso dei corsi proposti di recente dal Mit, accessibili e liberi per chiunque voglia seguirli senza la pretesa di nessun riconoscimento o attestato formale, un autoapprendimento nel senso più classico del termine. Per ora ilMit ne ha pubblicati cinque (http://ocw.mit.edu/index. htm) ín versione beta. Essi rappresentano «un significativo nuovo approccio a risorse educative aperte e condivisibili. Denominati "Ocw scholar courses", questi materiali sono destinati fin dall'inizio ad allievi indipendenti che non hanno molte altre risorse disponibili». Il momento è propizio così per chi abbia voglia di riconsiderare la natura del testo di studio, così congeniale alle logiche del digitale. Perché a scuola si legge e scrive assieme ed è difficile pensare a una sostanziale cesura tra le due attività. Alessandra Anichini lavora all'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’11 CAGLIARI: INDENNITÀ DI FUNZIONE PROCLAMATO LO STATO D’AGITAZIONE Prima la richiesta di revoca della determina, poi la proclamazione dello stato di agitazione. Non cessa il braccio di ferro all’Università tra il rettore Giovanni Melis e praticamente tutte le organizzazioni sindacali che operano rappresentano i dipendenti dell’Ateneo. A far esplodere la polemica, sfociata ora in una vera e propria vertenza sindacale, è stata la decisione del direttore amministrativo Fabrizio Cherchi di concedere un aumento dell’indennità di funzione a 24 capisettore su circa duecento funzionari che lavorano nelle varie facoltà. Ultimo capitolo, lunedì, l’incontro tra rettore e organizzazioni sindacali: un faccia a faccia finito con un nulla di fatto. «L’amministrazione», fanno sapere i sindacati, «ha affermato che l’obiettivo perseguito col provvedimento in questione era quello di dare un segnale in senso meritocratico, aumentando l’indennità di responsabilità (posizione) percepita da alcuni lavoratori più meritevoli». Una spiegazione che non è piaciuta ai sindacati, tanto da arrivare a chiedere la revoca del provvedimento. «Tutto ciò contrasta con quanto previsto dal contratto nazionale di lavoro dell’Università», spiegano ancora, «secondo cui i premi devono essere distribuiti in base ai risultati dell’applicazione del sistema di valutazione e le posizioni organizzative (non le persone) devono essere graduate e retribuite sulla base di criteri generali predeterminati». Come dire: prima si scelgono i criteri di giudizio, poi si concedono i premi. «In sostanza», attaccano Flc-Cgil, Cisl, Uil, Csa-Cisal, Cisapuni-Confasl e la Rsu, «gli aumenti di Capodanno appaiono come una premialità di nuovo conio, non conforme a quanto previsto dal nostro contratto nazionale. L’amministrazione, inoltre, non ha fornito gli atti che spiegano nel dettaglio come sia avvenuta la “ripesatura” delle posizioni organizzative». Terminata la riunione, i referenti dei sindacati e della Rsu (Giorgio Mancosu per la Uil, Emanuele Usai della Cgil, Tomaso Demontis per Cisl, Arturo Maullu di Cisal e Antonello Strazzera della Confsal) hanno deciso di sollevare ulteriormente il tono dello scontro. Nel volantino unitario in cui viene proclamato lo stato d’agitazione di tutto il personale tecnico e amministrativo dell’Ateneo, i delegati dei lavoratori si rivolgono nuovamente al rettore, chiedendo di conoscere quali “criteri generali” siano stati usati per l’assegnazione dei premi ai 24 funzionari. FRANCESCO PINNA ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 gen. ’11 INDENNITÀ, I SINDACATI CONTRO IL RETTORE Ancora polemiche dopo la decisione di aumentare la paga a 24 dipendenti «Non sono conformi al contratto, provvedimento da ritirare» Il rettore ha deciso di premiare 24 dipendenti con aumenti di stipendio, ma i sindacati chiedono il ritiro del provvedimento. «A seguito del confronto richiesto dalle organizzazioni sindacali e dalla rappresentanza sindacale unitaria, non avendo ricevuto dal direttore amministrativo e dal rettore delle spiegazioni credibili, conformi al contratto nazionale di lavoro, si chiede il ritiro del provvedimento». Non hanno badato tanto alla forma, visto che è scritta di pugno con un pennarello nero e ci sono alche delle correzioni, ma la sostanza c’è tutta. I sindacati dell’Università hanno chiesto la revoca della determina con cui, a fine anno, il direttore amministrativo ha concesso 24 aumenti dell’indennità di funzione. LA VICENDA Dopo le proteste e le prese di posizione dei rappresentanti dei lavoratori arrivate a inizio gennaio, non sembra essere servito l’incontro che il rettore Giovanni Melis e il direttore amministrativo Fabrizio Cherchi hanno tenuto lunedì mattina con le cinque organizzazioni sindacali dell’Ateneo (Cgil, Uil, Rsu, Cisl, Cisal e Cisapuni). Aprendo l’anno accademico, alcuni giorni fa, era stato il numero uno dell’Ateneo a chiarire la ragione degli aumenti. «In passato si promuoveva tutti indistintamente, come se fosse un obbligo», aveva detto in conferenza stampa, «ora stiamo puntando a utilizzare criteri di selezione e premialità dell’efficienza». Il rettore aveva rimarcato che si voleva modificare la pratica utilizzata in passato degli aumenti collettivi e che, una volta tracciata la strada, poi la valutazione sarebbe stata fatta di volta in volta. L’INCONTRO Passati gli impegni legati alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico, rettore e sindacati si sono trovati per cercare di chiarire definitivamente la questione. Ma alla fine la fumata è stata nera: il risultato negativo dell’incontro sta tutto nelle poche righe, scritte di getto al termine del faccia a faccia e firmate dai delegati di tutte le organizzazioni. In precedenza, Flc-Cgil, Cisl, Uil, Csa-Cisal, Cisapuni-Confasl, avevano fatto sapere le ragioni del dissenso, contestando anche una e-mail inviata a tutti i dipendenti dalla direzione amministrativa con cui si forniva una prima spiegazione del provvedimento. «L’amministrazione ha dato spiegazioni che a nostro avviso non sono conformi a quanto previsto dal contratto nazionale di lavoro», dice Giorgio Mancosu (Uil), «abbiamo chiesto unitariamente il ritiro del provvedimento e ora aspettiamo. Ora tutti assieme stiamo elaborando un’azione comune». In campo anche Emanuele Usai (Cgil), Tomaso Demontis (Cisl), Arturo Maullu (Cisal) e Antonello Strazzera (Confsal). Francesco Pinna ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 LA BIBLIOTECA SOCIALE SVOLTA USA, NON SOLO LIBRI MALAVORO E integrazione sociale di MASSIMO GAGGI N ello Stato di New York l’ 80%delle biblioteche pubbliche dichiara di svolgere anche attività di sostegno ai disoccupati in cerca di lavoro. I tavoli delle «library» diventano l’ufficio provvisorio di chi ha perso l’impiego, i computer e le connessioni gratuite a Internet il canale per presentarsi ai possibili datori di lavoro. Spesso con l’aiuto di volontari: professionisti che nelle ore libere vanno ad aiutare i disoccupati insegnando loro come si costruisce un curriculum o quali sono gli errori da non commettere quando ci si presenta in azienda per un colloquio. Nel Maine i fondi del «pacchetto» di stimoli fiscali anticrisi del presidente Obama sono stati utilizzati anche per finanziare corsi di aggiornamento professionale che spesso si svolgono proprio nelle biblioteche pubbliche. Che in Minnesota sono, invece, divenute il principale polmone dell’integrazione culturale delle comunità di immigrati nella società americana: «latinos» , vietnamiti, somali, hmong (un popolo che ha le sue radici nella penisola indocinese e nel sud della Cina) frequentano abitualmente le biblioteche di Minneapolis dove possono leggere online il «Times» di Mogadiscio, consultare i siti Internet delle loro comunità d’origine, compilare i documenti necessari per regolarizzare la loro posizione o per avere accesso ai servizi pubblici con l’aiuto di volontari e degli stessi bibliotecari. Che organizzano anche corsi d’inglese per i figli degli immigrati, attratti nelle biblioteche pubbliche con l’esca di qualche playstation messa a loro disposizione. Le biblioteche americane reagiscono allo sviluppo delle tecnologie digitali e alla diffusione dell’informazione online che le sta lentamente uccidendo inventandosi nuovi mestieri che trasformano sempre più questi austeri fari della cultura, silenziose cattedrali del sapere, in «community center» . Apparentemente l’operazione sta avendo un certo successo visto che, nonostante il continuo calo del numero dei libri consultati o presi a prestito, secondo uno studio della fondazione filantropica di Bill e Melinda Gates, nel 2009 il 69 per cento degli americani ultraquattordicenni ha varcato il portone di una biblioteca pubblica. Che però, nota Nicholas Carr — esperto di tecnologia ma anche coscienza critica della cultura internettiana— è ormai un luogo nel quale il rumore delle pagine sfogliate è stato sostituito da quello del ticchettio sulle tastiere dei «desktop» . Vero. Anzi, è il luogo vivace nel quale rimbombano sempre più anche voci e risate. Un’istituzione che, insieme all’attività tradizionale di consultazione dei testi, offre i servizi più impensati in un Paese a corto di strutture pubbliche d’accoglienza: dal «doposcuola» dove i ragazzi fanno i compiti e giocano in attesa che i genitori tornino dal lavoro fino, addirittura, all’ospitalità degli homeless. Sono ormai molte, da San Francisco alla Florida, le biblioteche che non solo forniscono (durante il giorno) un riparo ai senzatetto, ma organizzano per loro cineforum o, come avviene alla Mecklenburg Library di Charlotte, in North Carolina, veri e propri «book club» . Nulla di rivoluzionario: il Primo Emendamento della Costituzione americana, quello che garantisce a tutti libero accesso a ogni tipo d’informazione, vieta di selezionare gli utenti, un comportamento che verrebbe bollato subito come discriminatorio. Ma una legge federale autorizza i bibliotecari a imporre alcune regole minime di comportamento e loro la usano per spingere gli homeless a curare l’igiene personale e a non infastidire gli altri cittadini che si servono della struttura pubblica. La gente deve poter continuare ad andare in biblioteca senza il timore di essere infastidita: deve sapere che la «library» è un luogo di solidarietà che può visitare senza dover temere di ritrovarsi in sale maleodoranti o di subire l’aggressione di un ubriaco. La Central Library di Madison, in Wisconsin, che sta conducendo una ristrutturazione da 30 milioni di dollari, ha ripensato la sua architettura— dalla disposizione e dalla forma dei sedili alla struttura e collocazione dei bagni— proprio sulla base delle esigenze di chi vive in strada. La trasformazione in atto in qualche caso è favorita dalle autorità locali che non dispongono di altre strutture sociali per cercare di riavvicinare i disoccupati al mercato del lavoro e per gestire l’integrazione delle comunità di immigrati nella società americana. Nella maggior parte dei casi, però, il fenomeno è spontaneo: i bibliotecari si rimboccano le maniche per cercare di individuare un nuovo ruolo, una loro nuova utilità sociale, prima di finire anch’essi nella lista dei disoccupati. Come nel resto dell’Occidente che sprofonda nel dissesto delle sue finanze pubbliche, anche negli Usa le «cattedrali della lettura» sono in crisi: prima di ridursi a licenziare poliziotti, pompieri e maestri, i municipi fanno cadere la scure sui bibliotecari. Tanto più che, tra diffusione degli ebook e Google che ha già digitalizzato e messo online dieci milioni di volumi, spesso non serve più consultare il libro di carta: andando su Internet è facile trovare tutto l’essenziale. E infatti il numero dei volumi presi in prestito cala ovunque (meno 6%, in media). Nella sola Public Library di New York nel 2009 sono stati ritirati un milione di libri in meno. Eppure, come detto, le 123 mila biblioteche degli Stati Uniti oggi appaiono più affollate che in passato. O meglio, le volte gotiche delle sale di lettura sono spesso semivuote, ma i sotterranei, sempre più spesso attrezzati con «desktop» e playstation, sono un formicaio. La spiegazione sta proprio nella rapida trasformazione di questi luoghi in centri sociali che, oltre a dispensare cultura, offrono vari servizi, a partire dall’assistenza a chi cerca lavoro. Le domande d’impiego, ormai, si fanno online, ma più di un terzo della popolazione non ha un computer o non ha, comunque, accesso a Internet. Per risparmiare, molti hanno perfino disdetto l’abbonamento alla tv via cavo. Nella biblioteca queste persone trovano un posto caldo, sempre aperto, con schermi ad alta definizione e i «desktop» che garantiscono l’accesso gratuito alla rete: si può lavorare o semplicemente socializzare mentre si guardano i programmi della tv cable. I bibliotecari, poi, hanno imparato ad aiutare queste persone a preparare un curriculum o una domanda d’assunzione. L’anno scorso in tutti gli Stati Uniti le «library» hanno gestito 30 milioni di richieste di lavoro (un milione e 700 mila sono andate a buon fine) e hanno ospitato corsi di aggiornamento professionale per quasi 7 milioni di americani. Con i governi locali sempre più in crisi e la bancarotta che minaccia municipi e Stati come Michigan e California, cresce la pressione per tagli massicci di spesa accompagnati dall’abolizione di strutture considerate ormai inutili. E tra queste, molti cominciano a includere anche le biblioteche. Capita, ad esempio, di sentirne parlare da esponenti dei Tea Party, la destra radicale che ha alzato il vessillo del taglio della spesa pubblica e del ritiro dello Stato dalla vita dei cittadini. Ma molti, anche a livello di governo, resistono a questa pressione: ritengono che un presidio culturale pubblico sia necessario anche in un periodo di crisi economica e in presenza di una rivoluzione digitale che va assecondata facendo della biblioteca una casa della tecnologia. Un luogo nel quale si prova anche ad assecondare l’evoluzione dei gusti dei giovani che tendono a saltellare da una lettura all’altra senza soffermarsi quasi mai a lungo su un unico testo e che magari acquisiscono qualche «skill» professionale più alla console dei videogiochi che immergendosi in un manuale. Ovviamente gli scettici non mancano: «Se volete riempire sale di lettura poco frequentate con tavoli da ping pong e giochi elettronici, fate pure. Organizzate anche tornei di poker se volete. Ma non pretendete di continuare a chiamare quei luoghi biblioteche pubbliche» , protesta Michael Godman, ex presidente dell’American Library Association. «L’argomento secondo il quale i ragazzi vengono da noi per divertirsi coi videogame e poi pensano "già che sono qui quasi quasi prendo a prestito quel libro di Dostoevskij", a me pare semplicemente ridicolo» . Ma i più ritengono che non ci sia nulla di male a integrare la funzione tradizionale della biblioteca con l’offerta di nuovi servizi: gli utenti tradizionali non ne sono danneggiati e l’istituzione culturale viene utilizzata meglio. «E poi la vecchia biblioteca basata solo sui libri» , dice Romina Gutierrez, responsabile dello sviluppo tecnologico della "public library"di Princeton, «era un luogo passivo. Oggi le biblioteche devono essere luoghi che vivono e respirano, che cambiano ogni giorno» . Luoghi in cui la creatività degli individui può prendere pieghe mai pensate prima. Succede, ad esempio a Rangeview, in Colorado, dove, alcuni dei bibliotecari più innovativi d’America, dei veri visionari, hanno aperto perfino una scuola di giardinaggio che svela a chi la frequenta l’arte del landscaping, e un laboratorio musicale nel quale gruppi di giovani di talento producono opere rock basate sulle storie di Harry Potter. Ma il vero interesse dei politici è quello di fare delle biblioteche un polmone per la gestione di problemi sociali che una nazione con strutture di assistenza e accoglienza molto limitate ha pochi modi per affrontare. E le questioni sulle quali si concentra la loro attenzione riguardano una disoccupazione di lungo periodo che per la prima volta si sta cronicizzando anche negli Usa, come già accade da molto tempo in Europa e, soprattutto, l’assimilazione degli immigrati. Davanti all’esercito dei lavoratori stranieri — regolari e non — quasi sempre sospettosi dell’autorità costituita, la «library» si offe come una struttura «neutra» , pubblica ma non percepita come un luogo di sorveglianza governativa, alla quale l’immigrato in difficoltà si rivolge con una certa fiducia. E dove, sempre più spesso, trova la possibilità di frequentare corsi gratuiti d’inglese o viene istruito sulle procedure da seguire per avanzare su un percorso di naturalizzazione o per ottenere la cittadinanza americana. Quello che veramente manca ancora alla «public library» Usa in questa complessa transizione è una partnership con imprese private capace di funzionare anche da polmone economico, soprattutto ora che è più difficile ottenere contributi pubblici. In passato il partner naturale delle biblioteche erano le case editrici ben felici di sostenere, magari fornendo copie-omaggio, enti pubblici che finivano per funzionare anche da loro struttura promozionale. Nell’era digitale tutto cambia: gli editori sono molti più guardinghi e qualche volta trascinano addirittura in tribunale le biblioteche che distribuiscono copie digitali non autorizzate dei testi da loro pubblicati, infrangendo così il copyright. Molte biblioteche sono corse ai ripari rivolgendosi a società private come OverDrive Inc attraverso il cui software è possibile acquistare un certo numero di copie digitali di un libro. Chi lo prende a prestito riceve sul suo computer il file digitale del volume che si autocancella dopo due o tre settimane. Vale, ovviamente per le opere coperte da copyright, solo poche migliaia delle quali sono attualmente disponibili in versione digitale, mentre sono liberamente accessibili i 10 milioni di libri non più vincolati al diritto d’autore, scannerizzati da Google e inseriti nella sua biblioteca digitale. Nell’era di Internet a sostenere le biblioteche dovrebbero essere, al posto degli editori, le grandi industrie delle tecnologie informatiche. Oltre il 70 per cento degli americani vive, infatti, in comunità per le quali la biblioteca pubblica rappresenta l’unica possibilità di accesso gratuito ai computer e a Internet. Finora, però, solo la Sony— il precursore dei lettori per ebook anche se ora è stato in parte spiazzato dai Kindle di Amazon e dagli iPad della Apple— ha provato a percorrere la strada di una partnership pubblico-privata lanciando il Sony Reader Library Program per aiutare le biblioteche ad allargare la loro offerta di servizi tecnologici agli utenti. ========================================================= ______________________________________________________________ Corriere della Sera 22 gen. ’11 LA STRETTOIA DEL NUMERO CHIUSO E L’EMORRAGIA DEI NUOVIMEDICI. Nella sanità aziendalizzata la crisi si chiama manodopera: la carenza è già emergenza per chirurghi, ortopedici, ginecologi pediatri, geriatri, anestesisti e radiologi. Il risultato della programmazione sbagliata e del numero chiuso difeso con una raffica di inaccessibili test mette l’Italia nella condizione di dover importare, presto, nuovi medici. Le opportunità negate ai tanti giovani scartati nelle prove di ammissione delle facoltà diventeranno occasioni di lavoro per altri protagonisti del mercato globale, come già avviene negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Bisogna riflettere sui dati di un allarme che il piano sanitario nazionale mette in evidenza: da quest’anno, fino al 2018, i medici che andranno in pensione saranno il doppio di quelli che verranno assunti. Non solo per effetto dei tagli al personale ospedaliero, ma soprattutto perché i medici sfornati dalle facoltà universitarie non riescono a compensare i posti lasciati vacanti dai colleghi più anziani. A furia di stringere gli accessi per favorire l’assorbimento e la piena occupazione della pletora uscita dagli anni della liberalizzazione post ’ 68, si è creata una strettoia con effetti preoccupanti per il sistema ospedaliero nazionale: senza correttivi, che sono l’ingresso anticipato dei neolaureati nelle corsie ospedaliere e l’allargamento delle maglie d’ingresso alle facoltà, nel 2018 mancheranno più di 20 mila camici bianchi nel nostro sistema sanitario. Con queste cifre finisce per sempre l’anomalia rinfacciata tante volte ai medici italiani. Sono troppi, si diceva; adesso sono troppo pochi. E ne comincia una nuova: quella di un Paese che vede sguarniti i ricambi in alcune delle specialità che hanno fatto la storia della sanità italiana. Qualcuno dovrà presto ridefinire i contorni del mestiere di medico, una professione che burocrazia, contenziosi e stipendi inadeguati, per chi sceglie di lavorare a tempo pieno in un ospedale, stanno rendendo meno appetibile di un tempo. Le cifre snocciolate dal piano sanitario sono un avvertimento da non sottovalutare: fare il medico una volta era considerato il più bel mestiere del mondo. È ancora così? Giangiacomo Schiavi ______________________________________________________________ Corriere della Sera 22 gen. ’11 NEI NOSTRI OSPEDALI MANCHERANNO PIÙ DI 20 MILA MEDICI La stima è che entro il 2015 diciassettemila medici lasceranno ospedali e strutture territoriali per aver raggiunto l’età della pensione (nel 2018 mancheranno ben 22 mila medici). In parte non verranno rimpiazzati per la crisi economica e i tagli del personale. In parte mancheranno i rincalzi. I dirigenti ospedalieri, i primari e gli aiuti sono, quindi, in via di estinzione. È uno dei problemi da risolvere secondo lo schema di Piano sanitar i o p e r i l t r i e n n i o 2011-2013 approvato dal Consiglio dei ministri. Alcune specialità sono in uno stato di sofferenza cronica. Anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria e tutta la chirurgia. ROMA — È un’emorragia inesorabile. Se non verrà tamponata porterà in breve al dissanguamento della sanità pubblica in termini di medici. I dirigenti ospedalieri, i primari e gli aiuti per usare termini più masticati dai cittadini, sono in via di estinzione. Uno dei problemi urgenti da risolvere secondo lo schema di Piano sanitario nazion a l e p e r i l t r i e n n i o 2011-2013 approvato ieri dal Consiglio dei ministri nella sua forma preliminare. Il documento che indica obiettivi e correttivi è all’inizio del cammino. Dovrà essere votato dal Parlamento. Tra i capitoli nevralgici, le risorse umane. Previsioni nere. La stima è che entro il 2015 diciassettemila medici lasceranno ospedali e strutture territoriali per aver raggiunto l’età della pensione. In parte non verranno rimpiazzati per la crisi economica e i tagli del personale. In parte mancheranno i rincalzi. Dovremo anche noi ricorrere all’assunzione di stranieri come Gran Bretagna e Stati Uniti? La crisi italiana si avvertirà in modo sensibile a partire dal 2012, avvio di un «saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni» . La forbice tra chi esce e chi entra tenderà ad allargarsi anche per penuria di nuovi professionisti sfornati dalle scuole di specializzazione. Squilibrio ancora più evidente nelle Regioni in deficit che devono gestire rigidi piani di rientro. I tecnici del ministro della Salute, Ferruccio Fazio, propongono correttivi che consistono nell’aumento di risorse finanziarie per la formazione degli specialisti. Bisognerebbe innalzare il numero dei contratti finanziati dallo Stato. Ora sono 5 mila, insufficienti. L’analisi va nel dettaglio. Dal 2012 al 2014 è prevista una carenza di 18 mila medici che diventeranno 22 mila dal 2014 al 2018. Legato a questo il problema degli specializzandi in medicina veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia che oggi non ricevono borse di studio. Per la loro formazione viene indicata una copertura per 800-1.000 contratti. Per Stefano Biasioli, segretario della Confedir, la confederazione dei dirigenti in pubblica amministrazione, «lo squilibrio tra necessità e programmazione nelle scuole di specializzazione è un fenomeno già presente che si sta aggravando anche perché il numero di posti nelle scuole non viene adattato alle esigenze di mercato» . Alcune specialità sono in uno stato di sofferenza cronica. Anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria (con la popolazione che invecchia) e tutta la chirurgia. «Si guadagna molto poco agli inizi, si rischia molto. Due ragioni per scegliere altre strade» , testimonia le difficoltà dei colleghi il trapiantologo Antonio Pinna. Il Piano sanitario individua altri ingranaggi da cambiare nella sanità. Occorre riqualificare la rete ospedaliera con la riconversione degli ospedali di piccole dimensioni e la loro trasformazione nei nuovi modelli di offerta territoriali sviluppati dalle Regioni. Va rivista, poi, la rete dei laboratori di analisi, mal distribuiti. Soprattutto in considerazione della sua importanza: il 60-70%delle decisioni cliniche partono da qui. Il Piano si sofferma anche sul tema delle vaccinazioni con particolare attenzione a quella antimorbillo. Margherita De Bac mdebac@corriere. it ______________________________________________________________ Corriere della Sera 22 gen. ’11 DENUNCE E STIPENDI BASSI FUGA DALLA CHIRURGIA Sguarniti anche i posti da pediatra. «Troppo stress» MILANO— Studenti del 6 ° anno di Medicina che per essere motivati a diventare chirurghi vengono invitati in una sala operatoria virtuale del Policlinico di Milano. È la fine degli anni Novanta e, per la prima volta in Italia, Alberto Peracchia e il suo braccio destro Luigi Bonavina avvertono i segnali di disaffezione al bisturi. Sono trascorsi vent’anni e la crisi di vocazioni è esplosa: su 278 borse di studio annuali in Chirurgia generale una su cinque non viene assegnata per mancanza di candidati. È la stima di Jacques Megevand della Società italiana di Chirurgia: «Il troppo stress e le denunce penali in aumento hanno fatto perdere appeal alla figura del chirurgo— dice il medico, docente all’Università di Pavia—. Oltretutto gli stipendi sono rimasti al palo. Come si ricorda spesso in corsia la generazione dei nostri maestri, con la paga di un mese, poteva comprarsi la Cinquecento. Noi a malapena uno scooter» . Ma non è solo questione di numero di aspiranti. È emblematico il caso dei pediatri. All’Università Statale di Milano le 12 borse di studio vanno a ruba. Peccato, però, che le corsie pediatriche sono sempre più sguarnite: mancano almeno 70 pediatri in Lombardia sui 518 al lavoro. «Bisogna aumentare i contratti di specializzazione» , ripete da mesi Gian Filippo Rondanini, primario del reparto Materno infantile dell’ospedale di Vimercate e autore di un sondaggio sui posti scoperti nelle pediatrie lombarde. Non solo: «Turni massacranti, pochi weekend liberi e richieste di risarcimento danni spingono i già pochi neospecializzati a diventare pediatri di famiglia» . È racchiusa in questi due estremi l’emergenza medici in Italia. E il risultato è sempre lo stesso: gli ospedali si svuotano. Le avvisaglie ci sono già persino in città come Milano. Le professioni del chirurgo e del pediatra ospedaliero— per limitarsi solo ai cas i più e c l a t a n t i — perdono attrattività. In più c’è da fare tornare i conti tra le aspirazioni dei camici bianchi, il numero di borse di studio da 30 mila euro l’anno ciascuna che possono avere una copertura economica da parte del ministero dell’Istruzione (ancora poche rispetto al fabbisogno) e le richieste di specialisti avanzate dai singoli ospedali. Una sfida complessa che si intreccia con un altro drammatico problema: l’ondata di pensionamenti prevista nei prossimi 20 anni che rischia di spopolare definitivamente le corsie. Di qui l’allarme che trapela dal Piano sanitario per il 2011-2013 approvato ieri dal Consiglio dei ministri: entro il 2015 17 mila medici lasceranno ospedali e strutture territoriali per andare in pensione, nel 2018 saranno 22 mila. Le previsioni della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri guidata da Amedeo Bianco, sono ancora più fosche. Tra medici di famiglia, ospedalieri, pediatri di libera scelta e professionisti della Guardia medica tra cinque anni ci sarà un saldo negativo di 41 mila camici bianchi: dai 294.971 di oggi ai 253.420 del 2015. Per arrivare ai meno 90 mila del 2030 (205.952). «La sfida principale è riuscire a programmare in modo corretto il numero di ingressi a Medicina e nelle Scuole di specializzazione — spiega Amedeo Bianco —. Bisogna, poi, guardare al di là dello spirito corporativo per rispondere alle esigenze dei malati che si manifesteranno nei prossimi anni» . Così la Lombardia, per esempio, inizia già a correre ai ripari. Nelle linee guida per il 2011, appena varate dalla Giunta, sono stati finanziati 6 milioni di euro per aumentare le borse di studio messe a disposizione dal ministero dell’Istruzione. Oltre ai pediatri, servono rinforzi soprattutto per gli anestesisti, i ginecologi, i nefrologi e i gastroenterologi. Sullo sfondo resta il monito di Luigi Bonavina, oggi alla guida della Chirurgia generale dell’Irccs Policlinico San Donato di Milano, ma sempre dello stesso avviso: «Per tenerli a lavorare in ospedale, e soprattutto farli entrare in sala operatoria, i giovani vanno motivati» . Per bloccare l’emorragia in corso è necessario, insomma, anche ridare un nuovo appeal alla figura del medico. Simona Ravizza sravizza@corriere. it ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 gen. ’11 A MEDICINA UN DOCENTE OGNI UNDICI STUDENTI Record a Vercelli-Novara: 25,4 iscritti per ogni professore Il minimo (6,2) alla Cattolica di Roma Paolo Del Bufalo Troppi "prof' e spesso anche poco produttivi nelle facoltà di medicina italiane, dove negli ultimi anni si è passati dalla storica "pletora" di studenti, ormai sulla via del tramonto, a una "neo-pletora" di docenti. La media nazionale è di u studenti per ogni professore nelle lauree "a numero chiuso" in medicina e chirurgia, odontoiatria e delle 22 professioni sanitarie (infermieri, ostetriche, tecnici sanitari, della riabilitazione e della prevenzione). Ma si va dal minimo di 6,2 studenti per professore alla "Cattolica" di Roma, al massimo di 25,4 a Vercelli- Novara. Troppi, se si considera che nelle università più "giovani", nate già in tempi di risparmi e risorse limitate, si registra il numero maggiore di studenti per professore: a Varese, Udine, Foggia, Vercelli-Novara e Campobasso, il rapporto studenti/docenti va da 14,3 a 25,5 rispetto agli u per professore della media italiana. I dati sono stati elaborati dalla Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie e resi noti in un ampio servizio sul numero in distribuzione del settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità». Il calcolo è stato effettuato in base alla presenza di studenti e docenti nell'anno accademico 2010-2011 in tutti gli anni di corso delle rispettive lauree (6 per medicina, 5 per odontoiatria e 3 per le professioni sanitarie). Un altro dato dell'indagine sottolinea il numero spesso eccessivo di professori rispetto agli studenti. Ponendo come "indicatore ottimale" dell'equilibrio docenti/studenti una uguale incidenza percentuale degli uni e degli altri rispetto al totale delle due categorie, int/3 università la differenza è minima (pressoché nulla solo a Parma, Pavia e Roma Tor Vergata), in 12 la percentuale di studenti è superiore a quella di docenti e in io la percentuale di docenti è superiore a quella di studenti. Ma si va in quest'ultimo caso dal minimo di Trieste (0,96% di studenti e 1;13% di docenti) al massimo di Roma Cattolica: 3,2% di studenti e 5,9% di docenti, quasi il doppio, a conferma del rapporto molto basso (6,2) tra studenti e professori. Simile la situazione a Catania (6,9), Palermo (7,7), Napoli seconda Università (8,9), Siena (8,4) e Messina (9,1). Troppi quindi e spesso anche poco produttivi. In cinque atenei la media di pubblicazioni scientifiche registrate i nun anno per docente non raggiunge nemmeno quota 2. Anzi, a Campobasso ci si ferma a 0,59 pubblicazioni medie per professore. E che in questo caso siano cifre davvero basse lo dimostrano i numeri di altre facoltà: 112,37 pubblicazioni per docente a Torino, 38,58 a Milano, 32,42 a Palermo. Ma è la qualità delle pubblicazioni a fare la differenza e spesso anche questa è scarsa. Secondo il nuovo indice SClmago (messo a punto dalle università spagnole) che misura il cosiddetto "impact factor" (la qualità, appunto, delle pubblicazioni) si va da un massimo di 1,53 a un minimo di 0,91 con cinque atenei tutti al di sotto di 1. Un risultato "pericoloso": la riforma dell'Università del ministro Gel- mini prevede (già da quest'anno) che i fondi agli atenei siano distribuiti in base alle performance che si calcolano proprio con l'impact factor. I prof di medicina sono avvertiti. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 21 gen. ’11 STATALE: ULTIMO CONCORSO, VINCONO I PARENTI «ASSUNTI» FIGLIO E FRATELLO DI SUPER-MEDICI UNIVERSITÀ, «ASSUNTI» FIGLIO E FRATELLO DI SUPER-MEDICI. «MA IL LORO CURRICULUM È ECCELLENTE» di SIMONA RAVIZZA È il rush finale di assunzioni prima dell'entrata in vigore della riforma Gel- mini contro la Parentopoli universitaria. Dal 29 gennaio non potrà più essere assunto chi ha figli, fratelli e cugini fino al 4 ° grado nei dipartimenti che bandiscono il posto. Lunedì la Facoltà di Medicina della Statale ratificherà i vincitori degli ultimi concorsi. Dei cinque incarichi, due sono stati vinti da un «figlio di» e da un «fratello di» professori con una cattedra proprio nella stessa facoltà. Sono il ricercatore Lorenzo Moja, 36 anni, e il cardiologo Piero Montorsi, 55 anni. Il primo è figlio di Egidio A. Moja, docente di Psicologia clinica, il secondo è fratello di Marco Montorsi, docente di Chirurgia generale. Entrambi i vincitori hanno curricula eccellenti. Lorenzo Moja è autore di 43 pubblicazioni importanti e ricopre il ruolo di vicedirettore del Centro Cochrane italiano che ha sede al Mario Negri. E il vincitore del concorso per un posto di ricercatore di Igiene generale. Mentre Piero Montorsi, già ricercatore in Malattie dell'apparato cardiovascolare, diventerà professore associato. Al suo attivo ha 167 pubblicazioni. Nessuno, dunque, può mettere in dubbio le loro capacità. Ma — consultato ieri per un parere tecnico — il ministero dell'Istruzione è stato chiaro: «Entrambi sono chiamati dalla stessa facoltà (in cui lavorano i parenti). Dal 29 gennaio per legge non si potrà più farlo». Lorenzo Moja commenta: «La battaglia contro la Parentopoli universitaria è sacrosanta, anche se questa volta cí finisco dí mezzo io». E ora gli occhi sono puntati su chi sarà il vincitore di un altro concorso da ricercatore bandito a luglio. Quello di Endocrinologia. sravizza@corriere.it ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’11 LIORI: NON CHIUDERÀ NEANCHE UN OSPEDALE» L'assessore alla Sanità: la riforma vicina, pensiamo ai cittadini Prosegue il confronto sulla riforma della sanità, una delle prossime leggi che approverà il Consiglio. Due o tre certezze sulla sanità sarda: la spesa per dare i servizi essenziali ai cittadini cresce ed è impossibile - oggi - controllarne l'entità; la maggioranza di centrodestra non è unita nel disegnare la riforma del sistema. Il terzo dato di cui tenere conto, e questa sì che è una certezza, è una scadenza - il 31 marzo - giorno in cui andranno a casa i commissari delle aziende sanitarie ed entro quella data la riforma dovrà già essere legge. Il settore più pesante del bilancio regionale genera quasi sempre malumori, soprattutto di natura politica. Il centrosinistra, che ha governato dal 2004 alla fine del 2008, difende ancora quanto è stato fatto, mentre (come da tradizione) chi governa oggi, il centrodestra, propone la sua rivoluzione ospedaliera e amministrativa. «Un servizio migliore con una spesa più intelligente», la sintesi del confronto fra il Pdl e gli alleati è questa, ma non sarà facile arrivare a una soluzione condivisa. Il testo della riforma sanitaria è fermo in Settima commissione, quella riservata alle questioni sanitarie, proprio perché il centrodestra non trova un accordo. Una settimana fa, nel corso di un incontro con diverse presenze inedite (i parlamentari, insieme al governatore e a quasi tutto il gruppo), il Pdl ha provato a mettere da parte le polemiche, guidando l'alleanza verso la soluzione. Resta lo scoglio di una proposta, quella del consigliere sassarese Nanni Campus, che non mette tutti d'accordo, e la provocazione di un altro consigliere, Angelo Stochino, pronto a lasciare il Consiglio se il suo territorio - l'Ogliastra - dovesse perdere l'Azienda sanitaria. IL DEFICIT Il buco del settore, alla fine dei primi tre trimestri del 2010, era di 198 milioni di euro (fonte: Riformatori). In questo momento, dovrebbe aver toccato quota 265 milioni. Secondo il presidente della commissione Bilancio, il sardista Paolo Maninchedda, «a questo ritmo sarà inevitabile l'introduzione di nuovi ticket». Un primo passo è stato fatto, con l'approvazione in Finanziaria di uno stanziamento di 160 milioni di euro per dare un po' di respiro alle casse della sanità. L'ASSESSORE Secondo Antonello Liori, che guida l'assessorato dal marzo 2009, «stiamo preparando la riorganizzazione amministrativa e territoriale della sanità, questa è la sintesi della riforma. Gli ospedali non chiuderanno, cambieremo alcuni servizi, trasformando i centri non più attuali e utili in strutture che servono realmente le periferie». Liori parla di residenze sanitarie assistite, di poliambulatori, di centri «dove non saranno previsti ricoveri ma verrà assicurata un'assistenza capillare e al passo con i tempi». Troppi i settori dove l'offerta è esagerata (Medicina, Chirurgia), mentre - secondo l'assessore - è più utile «investire su reparti come Radiologia e Oncologia». Liori è reduce dalla tre giorni romana in commissione Sanità della Camera «dove si è parlato di ripartizione dei fondi, di un riequilibrio delle risorse verso quei territori, come il nostro, dove le condizioni socio-economiche sono diverse rispetto ad altre regioni». L'OPPOSIZIONE Il consigliere del Pd Marco Espa, vicepresidente della commissione Sanità, è sicuro: «La maggioranza è talmente spaccata che non si riesce a individuare interlocutori, la riforma è bloccata in Commissione. Un altro segnale di quanto sia difficile arrivare a un accordo è stato quello della proroga dei commissari della Aziende sanitarie». Espa sogna una «umanizzazione della sanità, i cittadini devono andare in ospedale e non sentirsi disorientati». Secondo il consigliere del Pd «c'è un patrimonio lasciato dalla riforma del centrosinistra, c'è il Piano sanitario da rendere operativo, noi restiamo contrari a una riforma che non veda il coinvolgimento dei Comuni». ENRICO PILIA ______________________________________________________________ Sanità News 21 gen. ’11 MARINO: IN DECRETO MILLEPROROGHE MANCANO 500 MILIONI PER IL TICKET “Dal prossimo giungo i cittadini italiani rischiano di dover pagare di tasca propria il ticket per le visite specialistiche. Mancano infatti all’appello 487 milioni di euro, previsti in teoria nel Patto per la salute, ma assenti nella pratica nel decreto milleproroghe”. Lo afferma il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul SSN. “Questo significa che le famiglie, che già oggi secondo l’ISTAT spendono per curarsi oltre 1.100 euro l’anno, fra quattro mesi dovranno aggiungere altri dieci euro per ogni ricetta per le visite mediche. Alla faccia di chi non mette le mani nelle tasche degli italiani”. “Se il Governo non modificherà il decreto e non mostrerà la volontà di porre rimedio a questa grave carenza – continua Marino - il passo successivo per molti sarà la rinuncia alle cure mediche. Il ministro Fazio forse non sa che in alcune famiglie del meridione, oggi si seleziona chi può curarsi e chi no, ovvero se un ragazzo deve curarsi i denti, il padre rinuncia alle terapie riabilitative dopo un incidente. Davvero un bel risultato della sanità federalista di stampo leghista e del partito che si spaccia per difensore della vita”. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 21 gen. ’11 CAMERON RIFORMA LA SANITÀ PUBBLICA POTERE AI MEDICI E MENO MANAGER Tagli alla burocrazia, più infermieri. La proposta piace ai blairianiDAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA — Tutto il potere ai medici di famiglia e ai Comuni. Il governo Cameron avvia la revisione della sanità pubblica con un progetto di riforma di 550 pagine, presentato al Parlamento e che piace al laburismo di impronta blairiana (assai meno ai sindacati) visto che alla filosofia di Tony Blair si ricollega. Al leader del New Labour andò male e fu costretto dai contrasti coi compagni di partito a rimangiarsi quelle idee controcorrente. Ora ci provano i conservatori e i liberaldemocratici. L'impianto di base dell'assistenza clinica viene ribaltato e, per dirla in breve, è come se in Italia venissero cancellate le Asl e le competenze delle Regioni. L'Inghilterra (i cambiamenti non toccano Scozia, Galles e Irlanda del Nord che hanno poteri autonomi) sceglie una strada davvero radicale perché sfoltisce i ranghi della burocrazia, accorcia la catena di comando, allontana la politica dalla gestione dei fondi statali, responsabilizza gli ospedali aprendoli al mercato e, in parte, ai privati, obbligandoli alla competitività qualitativa, e, almeno sulla carta, colloca il paziente al centro del sistema. «Nothing about me without me» : nessuna scelta senza il mio consenso. Ogni cittadino dovrà essere messo nella condizione di valutare i servizi e di sceglierli, dovrà dare il consenso agli interventi che lo riguardano. Il vecchio pilastro dei Primary Care Trusts (ciò che a grande linee può identificarsi con le nostre Asl) sarà abbattuto. Il che significa che ci sarà un taglio valutato fra le 16 mila e le 26 mila posizioni politico- manageriali con alte retribuzioni, controbilanciato da circa 50 mila assunzioni di personale infermieristico e medico. Il saldo di bilancio, calcola il governo, sarà positivo: un risparmio di 1,7 miliardi di sterline all'anno nel costo del lavoro e altri 12 miliardi, da qui al 2020, per la migliore gestione delle risorse. Assieme ai Primary Care Trusts, che hanno oggi la duplice funzione di dirigere l'esercito dei medici convenzionati e di finanziarie gli ospedali, spariscono anche le Strategic Health Authorities che, nella scala della burocrazia, stanno nel gradino più alto e assumono il ruolo ricoperto in Italia dalle Regioni. Le strategie della nuova sanità pubblica inglese, il National Health Service, si concentrano in una frase: meno intermediazioni e rapporti più diretti col cittadino. Ecco, allora, che alla testa della gigantesca macchina sanitaria (budget di 100 miliardi di sterline — 117 miliardi di euro — nel 2010) si collocheranno i «GP commissioning consortia» , associazioni formate dai general practitioner, i medici di famiglia. Saranno proprio loro, i medici di famiglia che si accorderanno liberamente per formare piccoli consorzi di professionisti, a coordinare e gestire il 70%dei finanziamenti statali destinati al National Health Service quindi a determinare, i modi e i mezzi per migliorare i servizi di assistenza e di cura dei pazienti, oltre che i fondi per modernizzare gli ospedali. Queste commissioni opereranno d'intesa con i Comuni, per le scelte sanitarie di base e risponderanno a un Board di controllo e supervisione. Come per tutte le riforme, l'accoglienza è oscillante fra l'adesione di un medico su 4 e le prudenza degli altri 3. La British Medical Association parla di «scommessa enorme» ma annuncia opposizione a programmi di eccessiva privatizzazione ospedaliera. I sindacati si attestano sulla difensiva: un errore di proporzioni titaniche. Ma il più contento è il professor Richard Titmuss della London School of Economics. Guarda caso è l'ex consigliere di Tony per le politiche sulla sanità. Il rischio che la competizione fra ospedali, dice, si fondi sulle tariffe e sui prezzi anziché sulla qualità delle prestazioni è reale. Ma nel complesso il progetto del governo Cameron ha una sua logica: «È l'estensione di ciò che aveva già in mente Tony Blair» . Fabio Cavalera ______________________________________________________________ Le Monde 18 gen. ’11 VERS UNE PROFONDE RÉFORME DE LA SÉCURITÉ SANITAIRE Y aura-t-il un « après » scandale du Mediator, comme il y a eu un « après » affaire du sang contaminé ? La volonté de « rebàtir » le système de sécurité sanitaire, et les pistes avancées par le ministre de la santé, Xavier Bertrand, samedi 15 janvier, à la suite de la remise du rapport de l'Inspection générale des affaires sociales (IGAS), le suppose. En 1993, après l'affaire du sang contaminé, la responsabilité du conti-Cile des produits de santé était passée du ministère de la santé à une structure indépendante, l'Agence du médicament. En zon, le constat de « graves défaillances de fonctionnement » de l'Agence fra ncaise de sécurité sanitaire des produits de santé (Afssaps) qui lui avait succede, devrait ouvrir la voie à une nouvelle réforme en réduisant le poids de l'industrie pharmaceutique. C'est l'un des constats troublants du rapport de l'IGAS. « La chaine du médicament fonctionne aujourd'hui de manière à ce que le doute bénéficie non aux patients et à la santé publique mais aux firmes, écrivent les inspecteurs. Il en va ainsi de l'autorisation de mise sur le marché qui est concue comme une sorte de droit qu'aurait l'industrie pharmaceutique à commercialiser ses produits, quel que soit l'état du marché et Remi intérét de santé publique ». Un projet de la loi devrait etre présenté « avant la fin de l'année », a indiqué M. Bertrand, lundi 17 janvier sur France Inter. Le ministre annonce son intention de réformer en profondeur la pharmacovigilance, les procédures d'autorisation de mise sur le marché (AMM) et de remboursement, pour « redonner confiance dans le système ». Mais ces choix seront difficiles à imposer. UFC-Que Choisir a d'ailleurs, dès samedi, mis engarde contre toute tentative d'« effets d'annonce ». « Ce qui a été avancé nous paraît indispensable, mais nous savons aussi qu'il y a une échéance présidentielle dans dix-huit mois », explique Grégory Caret, directeur des études de l'association. Pour surmonter les freins à la réforme, le ministre a annoncé le lancement d'une concertation, de fin janvier à fin mai, avec experts, patients, politiques et industriels. Elle alimentera, comme les travaux des missions parlementaires, la seconde partie du rapport de l'IGAS, consacrée à la réforme, qui sera rendu fin juin. « Le système est tellement discrédité que la pression politique doit pouvoir s'exercer », estime Didier Tabuteau, premier directeur de l'Agence du médicament, qui avait ceuvré pour l'interdiction des coupe- faim. « et l'Espagne ont réussi avec moins de signaux d'alerte à arréter la commercialisation du Mediator, il n'y pas de raison que l'on ne réussisse pas à procéder ainsi en France », estime le député (PS) de Haute-Garonne Gérard Bapt, qui a contribué à faire éclater le scandale. Samedi, Xavier Bertrand a plaidé qu'il ne suffisait plus qu'un médicament soit « simplement meilleur qu'un placebo » pour etre commercialisé. Il a estimé qu'il fallait qu'il soit au moins équivalent aux produits de référence déjà en vente. Mais réformer ces procédures pourrait etre compliqué, les décisions concernant les AMM étant européennes. En cas de doute sur la nocivité d'un produit, une fois sur le mar- ché, M. Bertrand a jugé souhaitable que ce soit à l'industriel de démontrer que son médicament presente un rapport bénéfice-risque positif, et non aux autorités sanitaires de prouver qu'il est devenu négatif. Le ministre a en outre affirmé que quand une étude de réévaluation d'un médicament était demandée à un laboratoire, l'autorisation de mise sur le marché « devrait étre suspendue de manière automatique lorsque le délaifixé par l'autorité sanitaire n'est pas respecté ». Il a aussi préconisé que l'Assurance-maladie ne rembourse plus du tout les médicaments au servi- ce médical rendu insuffisant. L'idée est lancée depuis 1999, et leur taux de remboursement a déjà baissé, jusqu'à 15 %. Mais les politiques n'ont pas encore osé aller jusqu'au déremboursement total, une telle décision étant très impopulaire chez les patients. Toutes ces mesures pourraient avoir un fort impact économique sur les laboratoires, toujours prompts à mettre en avant les risques pour l'i. « Ils s'adapteront. Cela fragilisera ceux qui ne sont pas capables de suivre, mais renforcera les plus innovants », juge M. Tabuteau. M. Bertrand a aussi indiqué qu'il faudrait des moyens supplémentaires, notamment pour les expertises publiques. Une question délicate, dans un contexte de rigueur budgétaire. « L'absence d'investissements publics suffisants dans les domaines de la formation, de la recherche, du soutien aux publica-tions..., permet à l'industrie pharmaceutique de prendre une piace exorbitante qui aliène l'indépendance des prescripteurs », a justement pointé, dimanche, la Mutualité francaise. Autre proposition, celle de faire siéger dans les commissions de l'Afssaps (pharmacovigilance, transparence, autorisation de mise sur le marché), les représentants des patients et les revues indépendantes de médecine, est une idée qui faisait déjà son chemin. Cela permettra, par exemple, une interpellation des scientifiques si un doute sur un médicament souvent évoqué tarde à etre levé. Le ministre ne s'est néanmoins pas prononcé sur la piace des laboratoires, contrairement à l'IGAS : « La présence encore aujourd'hui d'un représentant institutionnel du LEEM dans les commissions, et parfois les groupes de travail, paraît inacceptable », écrit-elle. Le LEEM, le syndicat des laboratoires, n'a pas encore réagi au rapport. Il le fera mardi 18 janvier. Ces derniers temps, il avait plutót pris ses distances avec la stratégie de défense du groupe Servier, qui a consisté à mettre en cause les études estimant de 50o à 2000 le nombre de décès attribuables au Mediator. «Dans l'état où elle se trouve en terme d'image après la grippe A et le Mediator, l'industrie pharmaceutique a tout intérét à coopérer dans ce renforcement de la rigueur », juge M. Bapt. T ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 gen. ’11 POLICLINICO. IL DIRETTORE DI ANATOMIA PATOLOGICA SANTA CRUZ A PROCESSO PER ABUSO D’UFFICIO FECE ASSUMERE LA FIGLIA? PROSCIOLTO Andrà a processo il direttore di Anatomia patologica del policlinico universitario, Giuseppe Santa Cruz. Ieri pomeriggio il gup Cristina Ornano lo ha rinviato a giudizio, sancendo che sarà un processo a chiarire tutti gli aspetti ancora intricati della battaglia che si è consumata tra il 2002 e il 2005 all’interno del dipartimento di Anatomia patologica, sfociata poi in un’inchiesta della Procura che ha indagato il dirigente universitario e i medici Davide Matta e Stefano Angius, più il tecnico Antioco Angelo Casula. La prima udienza davanti ai giudici del Tribunale penale si terrà l’11 aprile prossimo, ma Santa Cruz (difeso dagli avvocati Francesco Onnis e Raffaello Spano) non dovrà rispondere di tutti i reati che gli venivano contestati. Al termine dell’udienza preliminare, infatti, il gup Ornano lo ha prosciolto dall’accusa di calunnia, oltre che da un rifiuto e un abuso d’atti d’ufficio, perché il fatto non sussiste e costituisce reato. Restano in piedi, invece, altri tre casi di rifiuto d’atti d’ufficio. A giudizio anche gli altri coimputati. L’INCHIESTA La vicenda, intricatissima, si inquadra all’interno della battaglia che si è consumata negli anni scorsi nel dipartimento di Anatomia patologica. Secondo l’accusa, rappresentata in aula dal pm Enrico Lussu (che ha sostituito il titolare Daniele Caria che ha svolto anche le indagini), il dirigente avrebbe costretto i chirurghi a ricorrere a un altro ospedale per l’analisi dei pezzi anatomici, calunniato alcuni dirigenti del Policlinico universitario di Monserrato, fatto irruzione in un laboratorio armato di telecamera e, infine, fatto assumere la figlia. Ma quella riguardante la figlia è proprio una delle contestazioni per cui, ieri mattina, il gup Ornano ha prosciolto Santa Cruz. Matta e Angius, invece, si sarebbero introdotti clandestinamente nel laboratorio di Tossicologia forense per effettuare riprese con una telecamera. I risultati della lunga inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica sono poi stati trasmessi alla Corte dei Conti per verificare se vi siano stati danni all’erario e quantificarne l’entità. FRANCESCO PINNA ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 gen. ’11 POLICLINICO: RIFIUTO D’ATTI: A GIUDIZIO SANTACRUZ La guerra del Policlinico CAGLIARI. Restano in piedi soltanto le accuse di rifiuto d’atti d’ufficio e calunnia per Giuseppe Santacruz, il primario di anatomia patologica al Policlinico universitario che l’11 aprile dovrà presentarsi in tribunale per difendersi. A rinviarlo a giudizio è stato il gup Cristina Ornano su richiesta del pm Daniele Caria, che gli contestava una serie di altri reati analoghi legati a una lunga e sofferta controversia nata nel 2002 all’interno della struttura sanitaria. Santacruz è stato prosciolto dal giudice da una parte delle imputazioni. Il centro della contesa, poi diventato argomento d’accusa per la Procura, è il servizio di anatomia patologica: istituito nel 2000, per anni e anni non è entrato in funzione malgrado attrezzature e personale fossero pienamente disponibili. Santacruz - difeso dall’avvocato Francesco Onnis - sosteneva che la situazione non glielo consentiva e per questo spediva ogni giorno i reperti istologici destinati ad essere analizzati al Brotzu, con un’ambulanza. Fu il collega Giovanni Brotzu a segnalare le disfunzioni alla Procura, sostenendo che il realtà era il primario a bloccare il servizio perchè si rifiutava di far collaudare le apparecchiature. Da quell’intervento partì un’indagine, cui in seguito si sovrapposero ispezioni interne e un’azione di contrasto di Santacruz: denunce contro l’amministrazione universitaria, finite in archivio. (m.l) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 19 gen. ’11 POLICLINICO: UN CARTELLO IN CAMPIDANESE PER LE RICETTE MEDICHE CAGLIARI. Il cartello pubblicato nella foto accanto è appeso all’ingresso del policlinico universitario di Monserrato. In quasi perfetto campidanese, spiega come devono essere compilate le ricette, chi può e non può ritirare i referti, quali tipi di documenti si devono esibire quando si richiede una prestazione con una ricetta di un medico di famiglia. Artigianale nella grafica, è certo efficace nel risultato. ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 19 gen. ’11 AOB: ATTACCO PD AL COMMISSARIO GARAU: «ASSUME PER ACCONTENTARE GLI AMICI» «Nonostante sia sotto regime di proroga quale Commissario straordinario per l'ospedale Brotzu, Antonio Garau non rinuncia a prendere iniziative in materia di personale che non trovano riscontro nelle esigenze dei reparti, ma, con maggiori probabilità, dal desiderio di accontentare gli amici e gli amici degli amici». Lo sostengono i consiglieri regionali del Pd Chicco Porcu e Mario Bruno in un'interrogazione all'assessore alla Sanità Antonello Liori. Il riferimento è all'avviso di mobilità regionale diramato dal Brotzu per coprire un posto di dirigente medico in Radiologia specializzato in Diagnostica interventistica neuro radiologica. «Un posto già abbondantemente coperto per quantità», secondo gli esponenti del Pd. Porcu e Bruno attaccano pesantemente: «Siccome abbiamo imparato a conoscere Garau non corriamo il rischio di commettere peccato affermando che tanto attivismo a scadenza del suo mandato sia legato alla volontà di trasferire a Cagliari persone di cui si conoscono già nomi e cognomi utili a soddisfare richieste che poco hanno a che fare con le effettive esigenze dell'ospedale Brotzu, la cui situazione, crediamo, merita maggiore attenzione e prevenzione da parte dell'assessore Liori». ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 gen. ’11 AL BINAGHI LA BANCA DELLE STAMINALI Ok del ministero: in Sardegna ora è possibile donare il cordone ombelicale Ascolta la notizia GIOVANNI BUA CAGLIARI. «Rivoluzione staminale». Per le cellule raccolte dal sangue del cordone ombelicale cambia tutto. A partire dal 28 dicembre è infatti possibile (ancora solo teoricamente) donarle anche nell’isola. Ma conservarle per se stessi spedendole in qualcuna delle numerose banche estere (in Italia la cosiddetta autologa non è consentita dalla legge) costerà trecento euro in più. Eterologa. Balzelli a parte (la Regione ha applicato il massimo ticket previsto), a breve le neo mamme isolane potranno finalmente donare le preziose staminali. Procedura fino ad oggi di fatto impossibile. In Sardegna infatti non c’era nè la banca del cordone (in Italia sono diciotto, il dieci per cento di quelle presenti in tutto il mondo) nè la necessaria rete di punti nascita collegata. Problema risolto: dal 28 dicembre infatti il Binaghi di Cagliari è stato ufficialmente accreditato dal ministero come «Banca del sangue cordonale». La struttura, ospitata in un’ala dell’ospedale cagliaritano, e gestita in collaborazione dall’Asl 8 e dal Centro trasfusionale dell’ospedale Brotzu, sarà diretta da Marino Argiolas e il responsabile scientifico sarà Carlo Carcassi. Si chiude così un processo iniziato con la delibera di giunta del novembre 2006, in cui l’allora assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, stanziò 800mila euro per la creazione della banca del sangue, e «cantierato» il 29 gennaio 2009, con l’inizio dei lavori al Binaghi. Ospedale che potrà raccogliere le donazioni «eterologhe» del sangue che rimane nella placenta e nei vasi cordonali dopo la nascita del neonato e il taglio del cordone ombelicale. Sangue che contiene preziose cellule «primitive» emopoietiche (che, molto grossolanamente, possono essere usate per creare altro sangue) utilizzate in patologie potenzialmente curabili con il trapianto. Tumorali come leucemie e linfomi. E non tumorali come gravi forme di anemie, ad esempio la talassemia e l’aplasia midollare, e deficit immunitari ed errori congeniti del metabolismo cellulare (deficit enzimatici). Si parte? Ma per tutto questo ci sarà ancora da aspettare. All’atteso accreditamento dell’ospedale cagliaritano deve infatti seguire quello dei «punti nascita» interessati a collaborare con la «banca». Che devono preliminarmente richiedere l’autorizzazzione d’esercizio e l’accreditameno regionale. E dotarsi del personale necessario per garantire la raccolta anche durante notte e festivi. Oltre che di quello per informare le neo mamme e attivare tutte le non semplici procedure necessarie. La Regione invita tutti «ad attivarsi tempestivamente per l’avvio delle procedura dando massima diffusione alla notizia». Ma i punti oscuri sono ancora parecchi. A iniziare dal fatto che ancora non si sa quali saranno «i punti nascita» che si possono accreditare. Anche perché le strutture pubbliche sono messe sotto pressione in questi mesi dal piano di riordino del ministero della Salute, che prevede la chiusura dei reparti di maternità che effettuano meno di 500 parti l’anno e la riorganizzazione di quelli che ne registrano meno di mille. Autologa. A complicare ulteriormente le cose (anche se a regime in realtà dovrebbe semplificarle) è arrivato l’accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010, recepito dalla Sardegna il 24 dicembre. La Regione dal primo gennaio ha preso in carico (demandandole alle direzioni sanitarie degli ospedali) alcune incombenze che precedentemente erano di competenza del Centro nazionale trapianti (counselling) e del ministero (rilascio del nulla osta per l’esportazione del cordone), inserendo inoltre il pagamento di un ticket di trecento euro (il massimo applicabile). «Balzello» che va a sommarsi ai duemila euro medi che le principali banche internazionali chiedono per «tenere al fresco» le cellule staminali, recuperate dal cordone ombelicale, per 25 anni. Un passaggio di competenze che, aggravio di costi a parte, dovrebbe rendere più snella la proceduta per la conservazione «privata» alle neo mamme. Ma che in realtà deve essere ancora totalmente rodata. Con le direzioni sanitarie degli ospedali che sono in piena fibrillazione e a caccia di moduli e informazioni. Gennaio di fuoco. Insomma si annuncia un gennaio di fuoco. Animato prima di tutto dalle solite polemiche tra fan della donazione delle staminali (che danno dei truffatori a chi le conserva a pagamento) e dei «banchieri esteri» (che sfoderano statistiche dalle quali risulta che solo il 25 per cento delle donazioni in Italia - dove ci sono il 10% delle 180 banche pubbliche di tutto il mondo - va a buon fine, e liste di malattie che già oggi si possono curare con le proprie staminali). Dibattito a parte, la bella notizia è che - conservato o donato che sia - finalmente in Sardegna sarà più facile non perpetrare l’unico vero crimine che si può fare con le cellule staminali presenti nel cordone ombelicale: buttarle via. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 gen. ’11 ASL1: AL PRONTO SOCCORSO PER UN BRUFOLO La struttura ospedaliera scoppia tra scarsi mezzi e accessi non giustificati ATTESE INFINITE ALL’OSPEDALE Gli utenti però rilanciano l’accusa «Non ci sono risposte nel territorio» GABRIELLA GRIMALDI SASSARI. C’è chi si presenta al pronto soccorso perchè ha la febbre oppure un brufolo «strano». Chi invece si è chiuso il dito nella portiera dell’auto e gli fa male. Ma non mancano i ragazzi che, all’uscita della discoteca, si trovano a passare davanti all’ospedale e ne approfittano per far vedere al medico di turno un neo sospetto. È sicuramente la cattiva educazione sanitaria, insieme ad altri fattori che invece non dipendono dagli utenti ma dalla precaria organizzazione del sistema, a fare del pronto soccorso di Sassari una delle strutture più affollate di tutta Italia con i conseguenti gravissimi disagi per i pazienti ma anche per i medici, che di tanto in tanto ricevono la visita dello psicologo aziendale che accerti il loro stato di salute mentale. Che c’è crisi lo dicono i numeri emersi dal bilancio annuale reso pubblico dall’Asl nei giorni scorsi. Sono 50.174 gli accessi registrati al pronto soccorso di Sassari nel 2010. Una cifra importante se si considera che Sassari conta circa 120 mila abitanti (fino a 240 mila considerando il territorio). Oltretutto c’è da registrare un dato non certo positivo: rispetto al 2009 (con 49.623 persone) è agli atti un incremento di 551 accessi. Se 500 persone in un anno potrebbero anche non essere tantissime in assoluto gli addetti ai lavori esprimono comunque preoccupazione. Il numero di codici rossi (quando arrivano pazienti in pericolo di vita: il pronto soccorso blocca la propria attività e si prepara a ricevere il paziente approntando l’ambulatorio a maggiore tecnologia possibile) è stato di 684; quello dei codici gialli (lesioni gravi) è stato 14.529. I codici verdi (il paziente non è in pericolo di vita e viene assistito dopo i casi più urgenti) sono stati 25.484. I codici bianchi infine (generalmente si tratta di situazioni che potrebbero essere risolte dal medico di famiglia) sono stati 9.485. Come è evidente, il maggior numero di interventi (codice verde) riguarda problemi che vengono trattati all’interno della struttura ma bisogna sottolineare che il ministro Fazio di recente in visita in Sardegna ha detto che anche questi problemi, con una adeguata organizzazione, potrebbero essere risolti fuori dall’ospedale. «I dati a disposizione mostrano un numero molto elevato di accessi - afferma Sergio Rassu, responsabile dell’Unità operativa complessa di pronto soccorso e medicina d’urgenza -. Questo dato deve far riflettere». Così se da una parte può essere motivo di soddisfazione il fatto che un numero elevato di utenti veda nell’ospedale la struttura che soddisfa comunque le loro richieste, «dall’altra - secondo Sergio Rassu - questo andamento è estremamente fuorviante rispetto alla missione dell’ospedale e del Pronto soccorso in particolare, come struttura finalizzata ad interventi di alta specializzazione e tecnologia». In poche parole una quantità esagerata di risorse umane e tecnologiche viene «sprecata» per casi che teoricamente dovrebbero essere risolti in altre strutture, quelle della medicina di base nel territorio e dalle guardie mediche, per la precisione. In questo modo si eviterebbero le attese spaventose nel triage del pronto soccorso e la spesa altissima determinata da una ospedalizzazione impropria. Tanti utenti affermano di essersi rivolti al pronto soccorso perchè non hanno avuto risposte altrove. «Ma ci sono tante cose che non sono state fatte - aggiunge Rassu - a cominciare dai corsi di primo soccorso che in altre realtà vengono inseriti nei programmi scolastici». In realtà il tanto atteso trasferimento del pronto soccorso nella nuova ala del Santissima Annunziata non ha dato i risultati sperati. Doveva essere creata una radiologia dedicata ma ancora non se ne è fatto niente così come il reparto di osservazione breve, 12 posti letto, per il quale è stato avviato il percorso di accreditamento. È attiva invece da circa due anni la medicina d’urgenza che costituisce poi la seconda componente, al momento operativa, della struttura complessa. Nel corso del 2010 ha effettuato 2.548 ricoveri, quasi esclusivamente pazienti urgenti ricoverati dal Pronto soccorso o trasferiti da altre unità operative del presidio ospedaliero. La Medicina d’urgenza è considerata una struttura con specifiche competenze e, all’interno dell’organizzazione dell’ospedale, deve svolgere un ruolo proprio, non sovrapponibile a quello di altre Unità operative esistenti. Al suo interno vengono trattati pazienti che accedono al Pronto soccorso in condizioni critiche che non richiedono ricovero in terapia intensiva, ma hanno necessità di ulteriore trattamento di stabilizzazione e monitoraggio non invasivo. ______________________________________________________________ Roma 20 gen. ’11 CAMPANIA: POLICLINICI, IL MINISTRO BOCCIA IL PIANO di Enzo Musella DISASTRO SANITA. GLI ACCORDI PREVEDEVANO 191 MILIONI DI EURO PER LA FEDERICO II E 117 PER LA SUN, PIÙ INCENTIVI ANNUALI DI 20 MILIONI NAPOLI. Un nuovo ciclone si abbatte sulla Sanità pubblica in Campania. Lo scorso 21 dicembre i ministeri della Salute e dell'Economia hanno rinviato al mittente i nuovi protocolli d'intesa con le Università Sun e Federico II. La cosa coinvolge circa 5mila lavoratori: medici, infermieri, docenti universitari e, cosa ancora più grave, decine di migliaia di ammalati. Gli accordi, siglati ad ottobre del 2010, dovevano regolare i rapporti giuridici e finanziari tra la Regione e i due Policlinici napoletani, ossia l'Università degli Studi di Napoli Federico II e la Seconda Università di Napoli. I documenti sono stati ritenuti dal Governo incompleti, lacunosi e soprattutto poco chiari e precisi. Tanti i punti sui quali Roma ha chiesto chiarezza: dal personale ai posti letto, dal ripianamento del deficit all'organizzazione dei reparti. Uno dei punti riguarda il personale, infatti nella nota inviata dal Ministro della Salute e dell'Economia all'ex sub commissario Zuccatelli, si legge: "Non risultano chiaramente definiti gli aspetti concernenti il riparto tra Azienda ospedaliera e Università degli oneri relativi al personale universitario, laddove si fa genericamente riferimento al pagamento degli stipendi riconosciuti". Un'altra questione che pone il Ministero è di carattere economico, cioè la copertura a carico dei Servizi sanitari regionali dei disavanzi degli esercizi accumulati dai due poli universitari fino al 31 dicembre 2010. «Non è chiarito quale sia l'entità degli stessi - si legge nella nota - ne tanto meno le motivazioni per le quali tali disavanzi debbano essere totalmente a carico del Servizio sanitario regionali e non coperti almeno in parte dalle Università". Ma il punto nodale sul quale il Governo punta i piedi riguarda l'entità delle risorse economiche richieste. Per ben capire, dobbiamo fare un passo indietro. Le nuove intese, miravano a disciplinare per i prossimi tre anni i rapporti tra l'ente di Palazzo Santa Lucia e i due poli universitari di Medicina e Chirurgia. Nei due protocolli, bocciati dal Governo, era previsto che tra fondi dell'Università e della Regione ogni anno dovevano essere stanziati ben 191 milioni di euro per la Federico II e 117 milioni di euro per la Sun. E ognuno di questi fondi era incrementabile ogni anno, in modo graduale, di una certa percentuale. Per entrambi i Poli universitari, inoltre, era prevista pure la possibilità di ottenere ogni anno finanziamenti aggiuntivi, del valore massimo di 20 milioni di euro per la Federico II e di 13 milioni di euro per la Sun, nonché delle "risorse premiali" in caso di comportamenti virtuosi, come la riduzione dei cosiddetti "ricoveri impropri". Soldi che per il momento non arriveranno nelle casse dell'assessorato alla sanità campana; il tutto ricadrà sull'as-sistenza ai pazienti sempre che ci sia denaro sufficiente per pagare il personale medico e paramedico. Intanto, lo scorso 13 gennaio Giuseppe Zuccatelli ha rassegnato le sue dimissioni che - dice - sono dovute unicamente a motivazioni personali. È possibile, non si sono motivi per metterlo in dubbio. Sta di fatto che ora è tutto da rifare. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 IL SECONDO PARERE SERVE AL MALATO MA ANCHE AL MEDICO Diritto È utile sentire un altro specialista? O può creare confusione? È utile sentire un altro specialista? O può creare confusione? Il secondo parere serve al malato Ma anche al medico Può aiutare a decidere e a evitare errori e sprechi R acconta un medico ospedaliero, sul sito inglese di un associazione di malati di cancro. «Io come medico sopportavo con fastidio il fatto che i miei pazienti chiedessero un secondo parere sulla mia diagnosi. Mi sembrava che non si fidassero di me. «Poi mi è stato diagnosticato un piccolo tumore del colon. Altro che secondo parere: di pareri ne ho chiesti sei o sette prima di decidermi a intervenire» . Il medico che deve curare se stesso dà sempre grandi lezioni. E scopre quello che appare evidente alla maggior parte dei pazienti. Che di fronte alla diagnosi di una malattia grave nasce il bisogno di una conferma, di un confronto che sia anche conforto. «Il momento della comunicazione della diagnosi di una malattia severa è molto delicato— dice un medico di grande esperienza, Pasquale Spinelli, una carriera come gastroenterologo all'Istituto dei tumori di Milano —. È importante che in quel momento il professionista sappia dare consigli sul da farsi, sulle diverse opzioni, sulle possibilità. Ed è giusto non solo accettare ma anche consigliare un secondo parere, guidare il paziente anche in questo» . Troppo spesso invece la realtà mostra un altro quadro. Quello del neomalato in ansia, con la cartella clinica sotto il braccio, ottenuta spesso a fatica, che inizia il giro delle sette chiese e delle altrettante speranze. Lo guida, nella maggior parte dei casi, il passaparola, l'amico dell'amico, il sentito dire. Oppure, oggi sempre più frequentemente, procede lungo le strade insidiose di Internet. In ogni caso al caro prezzo degli onorari che si moltiplicano. Ci si chiede: il secondo parere è un lusso o è un diritto del malato? Secondo molti è uno spreco di risorse, che crea confusione e rischia di screditare il valore del "primo parere". Secondo altri, oltre che una comprensibile necessità psicologica, è un diritto che il medico ha il dovere di rispettare almeno per le patologie importanti. La medicina più avanzata, a livello internazionale, propende decisamente per questa seconda tesi. Nei Paesi anglosassoni, in Francia e nella maggior parte dei Paesi europei la "second opinion"è una pratica comune, naturale, che non scandalizza nessuno. Nel sistema sanitario americano, basato sulle assicurazioni private, in molti casi è addirittura obbligatoria, tutti i principali centri di eccellenza forniscono questo servizio in varie specialità e le linee guida delle associazioni mediche lo raccomandano. Anche perché le ricerche condotte in questo campo (si veda articolo qui a fianco) hanno dimostrato l'efficacia dei consulti, che permettono di "correggere"un numero significativo di diagnosi, evitando anche molti interventi inutili. E quindi risparmiando anche denaro. Per esempio la British medical association impone di rispettare la richiesta del paziente di un altro parere e raccomanda di fornire le indicazioni utili e tutti i dati clinici in possesso. I medici si adeguano volentieri, anche perché sono più protetti da eventuali rivalse legali. Ma in Italia il Servizio sanitario ignora il "secondo parere": le strutture pubbliche non forniscono questo servizio e la maggior parte dei medici si dimostra comunque poco disponibile ad aiutare il paziente. E non è previsto alcun rimborso. Il diritto alla "second opinion"compare solo nella carta dei diritti del malato, proposta da Umberto Veronesi. «La situazione italiana è molto arretrata in questo campo. Chi non ha la capacità o la possibilità di gestirsi in proprio il "secondo parere"non è protetto dal sistema» , afferma deciso Sandro Mattioli, specialista di chirurgia generale all'università di Bologna. Con Luigi Bolondi, ordinario di clinica medica, sta organizzando per il prossimo 11 febbraio un convegno dal titolo "Mobilità sanitaria e second opinion", per conto della Società medico chirurgica della città. «Direi anzi che la situazione va peggiorando — prosegue Mattioli — . Una volta c'era l'illustre clinico, il "barone", che non aveva difficoltà a spedire i pazienti per un consulto, con il viatico di un "Dì che ti mando io". Questo sistema paternalistico è giustamente finito, ma non è stato sostituito da qualcos'altro. Nella sanità italiana c'è anzi una sorta di sindrome del "maso chiuso": ciascuno cerca di tenersi stretti i propri pazienti, anche per motivi economici» . Ma i pazienti "viaggiano"lo stesso, anche non invitati. «Lo stato dice: devi andare nella tua Asl di competenza, altrimenti sono fatti tuoi. E così il paziente si arrangia. Mentre dovrebbe favorire un sistema di consulti tra gli specialisti, per quel che riguarda la clinica medica. E fornire una "second opinion"concreta per quel che riguarda la chirurgia, basata su una rete di centri specialistici e di riferimento per le varie patologie, distribuiti sul territorio. Anche perché in chirurgia non conta soltanto la competenza del singolo medico, ma quella dell'intera squadra» . «Il servizio sanitario deve farsi carico del secondo parere — ribadisce Spinelli — perché fa parte integrante dell'assistenza al malato. Per evitare dispersioni di energie e denaro. E prevenire anche che il paziente, nella sua ricerca a volte disperata, finisca per affidarsi a "guaritori"di vario tipo, che promettono soluzioni miracolistiche» . Riccardo Renzi ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 L’INTERPRETAZIONE DI UN VETRINO PUÒ CAPOVOLGERE IL DESTINO QUANTO incide il secondo parere sull’esito finale in termini di diagnosi o di trattamento? Nella maggior parte degli studi più recenti in cui vetrini ottenuti dalle cellule o dai tessuti prelevati da un malato di cancro sono stati fatti controllare da un secondo esperto, il margine di errore emerso non sembra a prima vista clamoroso: in media, solo in poco più dell'1 per cento dei casi la diversa interpretazione del reperto capovolge il destino del paziente o il tipo di cure a cui deve essere sottoposto. «Anche se la percentuale in sé sembra bassa, sui grandi numeri rispecchia una moltitudine di casi trattati in maniera inappropriata, con enormi costi umani ed economici» commenta Jonathan Epstein, del Johns Hopkins Hospital di Baltimora. «Le cose cambiano poi a seconda dell’organo coinvolto: in un nostro studio su oltre 6 mila campioni, la seconda lettura da parte di un altro esperto ha cambiato la diagnosi nel 9,5 per cento dei campioni provenienti dalla pleura o dal peritoneo, per i cosiddetti mesoteliomi, e nel 5 per cento dei tumori dell'apparato genitale femminile» . Un altro studio dello stesso ospedale ha dimostrato come la diagnosi può cambiare nel 7 per cento dei tumori della testa e del collo: in un quarto dei casi di errore si era falsamente rassicurato il paziente, mentre nel 15 per cento dei casi si era etichettata come maligna una lesione benigna. Tra i tumori della testa e del collo, quelli della tiroide in particolare traggono facilmente in inganno il patologo. Uno studio americano appena pubblicato su Surgery ha dimostrato su più di 300 vetrini che in un terzo dei casi la diagnosi iniziale è stata contraddetta in un centro specializzato: con un secondo parere l'intervento si sarebbe potuto evitare in un caso su quattro dei pazienti a cui la ghiandola è stata asportata per sicurezza, perché la biopsia era dubbia. E non si sbaglia solo in laboratorio. Anche il verdetto della mammografia non è inappellabile. Uno studio pubblicato su Cancer nel 2006 ha mostrato che la valutazione di un tumore al seno da parte di un team specializzato può modificare in più della meta dei casi il trattamento previsto in un primo tempo. E anche accertata la diagnosi, pure le cure sono da discutere: in una casistica raccolta al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, tra due diversi specialisti l'indicazione per la mastectomia totale o la chirurgia conservativa cambiava nel 12%dei casi. «Su 466 pazienti oncologici che hanno chiesto al Centro Erasmus di Rotterdam un secondo parere sull'intervento cui sottoporsi — dice Theo Wiggers, che ha coordinato uno studio pubblicato sul'European Journal of Surgical Oncology — un disaccordo sull'opportunità o il tipo di intervento da eseguire si è registrato in un terzo dei casi e nella metà di questi il secondo parere ha cambiato la prognosi o la terapia» . Anche se ci sono linee guida condivise dalla comunità scientifica, un secondo parere serve sempre, secondo gli esperti del Gruppo di ricerca in economia sanitaria di Lione. «Perché non si tratta solo di trovare la cura più efficace in assoluto,— commenta Sandro Spinsanti, che ha insegnato etica medica nella facoltà di medicina dell'Università Cattolica di Roma — ma anche quella che risponda meglio alla scala di valori del singolo individuo» . Roberta Villa ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 UN PERCORSO DIFFICILE, PERÒ LA CONFERMA AUMENTA L’ADESIONE ALLE terapie O ggi molto spesso il paziente vuole essere al centro del processo decisionale che riguarda la propria salute, vuole essere informato e compiere autonomamente le proprie scelte. È quel che si dice l'empowerment del paziente, termine inglese che fa riferimento alla sensazione di "avere potere", di sapere che cosa fare. Ma di fronte a una diagnosi, di quelle che i medici definiscono "severe", anche il più empowered dei malati vacilla. In tal caso le reazioni sono diverse, a seconda del carattere, del livello culturale, del rapporto con il proprio medico di "primo parere". Alcuni, una minoranza, preferiscono affidarsi totalmente alle scelte del medico. Ma la gran parte di loro cerca di avere tutte le informazioni possibili e non vuole essere lasciato solo nelle scelte. Oggi può rivolgersi a Internet, che in questo svolge, almeno dal punto di vista psicologico, una funzione positiva, nei siti dove i malati scambiano le loro opinioni ed esperienze, dove si può condividere l'ansia. Un'altra possibilità, anch'essa oggi in crescita, è rivolgersi alle associazioni di malati, che spesso gestiscono gli stessi siti. Oltre a svolgere un compito informativo le onlus aiutano spesso a canalizzare le ricerche di un "secondo parere". Anche in questo sopperiscono a un compito che il Servizio sanitario non svolge e spesso lo fanno bene, specie quando (è questa una garanzia di serietà) sono collegate e si appoggiano alle Società medico scientifiche. Ma la "second opinion"non rischia comunque di creare ulteriore incertezza al malato in un momento già difficile? «Secondo la mia esperienza — dice Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di salute mentale dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano— la "second opinion", nelle persone che vengono poste di fronte a una diagnosi severa e impegnativa, aumenta la capacità di aderire alle cure, il che è molto importante per la riuscita delle terapie. Rinforza la convinzione di aver fatto la scelta giusta e aumenta la consapevolezza della propria situazione. Svolge quindi in questo senso una funzione molto positiva» . «Certo— — prosegue Mencacci esistono degli atteggiamenti estremi: quelli che preferiscono un atteggiamento passivo, fideistico, e che in realtà scelgono la fuga dalla realtà. Così come quelli che invece esagerano in "secondi pareri", che diventano innumerevoli, lo fanno in realtà per procrastinare la scelta, per rimandare le decisioni. A parte questi casi i medici comunque devono sapere che favorire la "seconda opinione"è un bene per il malato e anche per il medico, che deve essere animato da spirito collaborazione. E anche dimostrare un po'di salutare umiltà» . Sì alla "second opinion", dunque, anche da parte dello psichiatra. E per quelli che esitano forse valgono le semplici e dirette raccomandazioni messe a punto dagli oncologi americani sul sito del Cancer Supportive Care Program, un'associazione che aiuta i malati di cancro. Sono i quattro buoni motivi per chiedere un secondo parere, che in questo caso riguardano i malati oncologici, ma valgono in fondo per tutte le malattie importanti. Primo buon motivo: «Quando si tratta di una malattia molto seria, se la diagnosi viene sbagliata la prima volta, potrebbe non esserci una seconda chance» . Secondo motivo: «Il medico è un essere umano e quindi può sbagliare» . Terzo: «Un altro medico può notare delle cose che il primo non ha visto» . Quarto: «Un altro medico può sapere delle cose che il primo non sa» . R. R. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 IL «PATERNALISMO» È AL TRAMONTO Da alcuni anni ormai si parla di «medicina centrata sul paziente» per distinguerla da quella del passato, segnata invece da un approccio «paternalistico» , in cui il medico assumeva la funzione di tutore del paziente; il malato aveva un'assoluta fiducia nel suo curante e non era neanche immaginabile che potesse partecipare alle decisioni terapeutiche. La medicina centrata sul paziente, invece, porta allo sviluppo di un nuovo modello di relazione terapeutica, in cui il paziente è coinvolto in modo attivo nel processo decisionale, è informato, e può esprimere il proprio parere sul percorso da intraprendere. Naturalmente questo non significa che il paziente debba diventare un esperto, o peggio, l'esperto, che decide in maniera autonoma. Piuttosto significa che egli assume un ruolo attivo nella decisione di un percorso che, più di qualunque altro, lo riguarda in prima persona. Partendo da questo modello, si sta oggi cercando di fare un ulteriore e significativo passo avanti che trova la sua maggiore espressione teorica e applicativa nel cosiddetto approccio della personalized medicine (ovvero, medicina personalizzata o «p-medicine» ). La p-medicine considera il paziente nella sua unicità e si pone come obiettivo quello di giungere alla miglior cura possibile, considerate tutte le sue caratteristiche. La possibilità di creare un profilo molecolare e genetico dell'individuo permette oggi di sviluppare un modello di intervento specifico per quel paziente, che sappiamo, così, rispondere a certe terapie e a certi dosaggi, a certi fattori di rischio e non ad altri. E c'e'di più. La personalizzazione non si ferma alla genetica, ma può e deve estendersi a tutti i tratti dell'individuo, ai suoi bisogni, alle sue richieste, alla sua storia familiare e sociale, alle sue caratteristiche psicologiche. Le scelte e i valori etici del paziente assumono un ruolo centrale nel processo terapeutico; in questo modo la persona agisce, e non subisce, il processo decisionale insieme al medico Il concetto di «empowerment» , ovvero l'accrescimento della fiducia in se stessi e il rafforzamento consapevole della capacità di scelta, entra a pieno titolo nella medicina, potenziando il valore della soggettività. Chi studia i processi decisionali ben sa che in medicina, più che in altri ambiti, prendere decisioni significa muoversi spesso in zone di totale incertezza, in mezzo a variabili soggette a repentini e spesso inattesi cambiamenti, molte volte con la fretta dell'urgenza e il rischio sempre in agguato. In queste condizioni l'errore non è, purtroppo, del tutto eludibile, ma può essere arginato, compreso, e non ripetuto. Oggi la medicina è abbastanza avanzata per proporre, in molti casi, interventi diversi per una stessa patologia. Questo ci permette, in larga misura, di identificare e ascoltare i bisogni del singolo e di intervenire con la cura più appropriata, meno rischiosa e meno dannosa. E i medici sono pronti ad abbandonare la «cura standardizzata» , per ragionare invece sulle specificità biologiche, sociali e culturali dell'individuo. È dunque il caso di trasmettere un messaggio più positivo, per arginare la perdita di fiducia dei pazienti, che per sfuggire al rischio di imbattersi in un medico impreparato, ne corrono uno ben peggiore, che è quello di affidarsi in modo acritico alla miriade di informazioni che possono essere raccolte da Internet. Queste informazioni , oltre ad essere spesso una fonte dubbia e non affidabile, rappresentano, in un certo senso, l'esatto opposto della medicina personalizzata. Gabriella Pravettoni Professore di psicologia cognitiva Università degli Studi di Milano ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 gen. ’11 SUPERANTICORPI: VACCINO UNIVERSALE Il santo Graal delta lotta ai virus influenzali potrebbe essere più accessibile del previsto, grazie alla pandemia di suina del 2010 data dal virus H1N1. Coloro che l'hanno superata, infatti, hanno sviluppato superanticorpi dai quali ricavare vaccini per contrastare moltissimi ceppi. A sperarlo sono i ricercatori della Emory University, che hanno analizzato il corredo anticorpale di 9 pazienti, scoprendo che gli anticorpi presenti erano in grado di sconfiggere virtualmente tutti i ceppi degli ultimi 10 anni più quello responsabile della Spagnola del1918 e quello dell'aviaria, noto come H5N1. Da qui, come hanno raccontato sul «Journal of Experimental Medicine», hanno sviluppato un totale di 86 anticorpi, cinque dei quali attivi contro più ceppi, e ne hanno confermato la potenza su topi. Gli anticorpi più attivi hanno molte similitudini con altri vaccini proposti negli ultimi anni e sviluppati non contro la parte sferica dell'emoagglutinina, ma contro la parte a forma di stelo, più protetta e meno variabile. Al momento sono già in corso trial sull'uomo. (a. cod.) ______________________________________________________________ Corriere della Sera 18 gen. ’11 PILLOLA ANTI-FAME, SCANDALO A PARIGI FRANCIA CENTINAIA LE VITTIME DENUNCIATE, IL CASO MEDIATOR IMBARAZZA SARKOZY. E IN ITALIA SOTTO ACCUSA IL MEDIAXAL, IN COMMERCIO FINO AL 2005 Il fondatore della casa farmaceutica Servier accusato di omicidio Alleanze Sarkozy fu a lungo avvocato dei laboratori Servier prima di diventare ministro dell' Interno DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI - «In fondo il Mediator ha fatto solo tre morti, gli altri erano già malati...», ha ritenuto di osservare Jacques Servier alzando i calici con i dipendenti, durante il brindisi per il nuovo anno. Ma l' 11 febbraio prossimo l' 88enne fondatore della seconda casa farmaceutica di Francia (dopo Sanofi-Aventis) dovrà comparire davanti al tribunale di Nanterre: per quei poveri tre morti che lui stesso con leggerezza riconosce, per le 500 vittime che il suo farmaco Mediator avrebbe provocato invece secondo l' istituto Gustave Roussy di Villejuif, o forse per le oltre 2.000 ipotizzate ancora dall' Inserm (l' Istituto della sanità francese). La prima accusa è «truffa aggravata», poi a Servier saranno contestati «lesioni personali e omicidio involontario»: per 35 anni la casa farmaceutica che porta il suo nome avrebbe commercializzato il Mediator vantandone inesistenti virtù anti-diabetiche, nascosto la sua vera natura di anoressizzante derivato dall' anfetamina, e lasciato che venisse usato come pillola anti-fame nelle diete dimagranti. Dal 1976 al 30 novembre 2009, giorno della sua tardiva messa al bando, cinque milioni di francesi hanno usato il Mediator, 3.500 sono finiti all' ospedale, riportando in alcuni casi danni irreversibili. E per la prima volta il miliardario Jacques Servier, nona persona più ricca del Paese, sarà chiamato a risponderne. Lo scandalo del Mediator tocca anche l' Italia, dove il suo principio attivo «benfluorex cloridrato» è stato commercializzato - sempre dai laboratori Servier, sempre in compresse da 150 mg - con il nome di Mediaxal, a partire dal 1980 e fino al 2005. Sul «bugiardino» italiano, alla voce «indicazioni terapeutiche», si può leggere: «Iperlipidemie che non rispondono al trattamento dietetico. Coadiuvante nella obesità associata ad alterazioni del metabolismo glico-lipidico». Il Mediator/Mediaxal ha ben presto suscitato dubbi - sia in Francia sia in Italia - quanto alla sua sicurezza, mostrando di avere pesanti effetti collaterali sul sistema nervoso centrale (aggressività, depressione, confusione), sul cuore (malattie delle valvole cardiache) e sui polmoni (ipertensione arteriosa polmonare). Nel 1999 i ricercatori italiani Giuseppe Pimpinella e Renato Bertini Malgarini, incaricati dall' Agenzia europea del farmaco, avvertirono della nocività della sostanza, ma la pillola anti-fame è restata in commercio in Italia fino al 2005, e in Francia fino al novembre 2009. È possibile che alcuni pazienti italiani abbiano continuato ad assumere il «benfluorex cloridrato» anche dopo il 2005, ottenendo il preparato galenico in farmacia. L' entità dei danni alla salute in Italia non è stata ancora calcolata. In Francia, l' affaire è scoppiato grazie all' ostinazione della dottoressa Irène Frachon, pneumologa dell' ospedale di Brest, che a differenza delle autorità non ha ignorato i cinque differenti allarmi lanciati dagli esperti nel corso degli anni, e ha scritto il libro «Mediator, 150 mg». «Sono felice che questa storia di morte sia finalmente venuta alla luce - dice -. Sono stata ricevuta dal ministro della Sanità, Xavier Bertrand, ma per riuscire ad andare fino in fondo mi sono rivolta a Gérard Bapt, deputato socialista e cardiologo. Lui ha chiesto nuovi studi e finalmente siamo arrivati alla messa al bando del Mediator». E qui si arriva all' aspetto politico della questione. Perché tutti i moniti precedenti erano caduti nel vuoto? Forse per la grande vicinanza di Servier al potere politico? La questione imbarazza le autorità sanitarie francesi e il presidente Nicolas Sarkozy, che fu a lungo avvocato dei laboratori Servier prima di diventare ministro dell' Interno, e che il 7 luglio 2009 conferì la Legion d' Onore, massima onorificenza della Repubblica, al vecchio amico Jacques Servier. Con queste sfortunate parole: «Jacques, voi siete un imprenditore come ce ne sono pochi in Francia. E in qualità di imprenditore, siete stato spesso severo nei confronti dell' amministrazione francese. Siete solito criticarne la montagna di regole, norme e strutture, e avete ragione». Non la pensano così i 116 francesi, con la salute rovinata dal Mediator e dai mancati controlli, che hanno già presentato denuncia al tribunale di Parigi. Stefano Montefiori RIPRODUZIONE RISERVATA **** Rischi Mediator Dal 1976 al 2009, 5 milioni di francesi hanno usato l' antidiabetico Mediator. L' Istituto della sanità ipotizza che il farmaco abbia causato 2.000 vittime Mediaxal In Italia il principio attivo del Mediator, il «benfluorex cloridrato», è stato commercializzato dal 1980 al 2005 con il nome Mediaxal, in compresse da 150 mg * * * Il precedente nel 1985 Con Fabius premier Il caso del sangue infetto Nel 1985 lo scandalo del sangue infetto in Francia: in centinaia contraggono l' Aids in ospedali pubblici. Alla sbarra membri del governo di Fabius accusati di aver ritardato i test obbligatori anti-Aids sui donatori. Montefiori Stefano ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 QUARANTA MORTI SOSPETTE IL POLIGONO SOTTO ACCUSA NUORO — Più di 40 morti per tumore, il 65%dei pastori colpiti da leucemie e linfomi, bimbi nati con malformazioni, centinaia di agnelli con due teste, sei zampe, un solo occhio e altre deformazioni: la chiamano «sindrome di Quirra» , dall’omonima base militare sulla costa sudest della Sardegna. Dopo decenni di sospetti la Procura della Repubblica di Lanusei ha aperto un’inchiesta. Reati gravi: omicidio plurimo, omissione d’atti d’ufficio per mancati controlli sanitari, inquinamento ambientale. Sono stati sequestrati una ventina di carri armati, jeep, blindati e mezzi militari utilizzati per sperimentare proiettili, forse all’uranio impoverito. Sospesa ogni attività di esercitazione a fuoco nella base. L’indagine riguarda un periodo di almeno 10 anni e una decina di piccoli paesi vicini al poligono: i più esposti Escalaplano, 2.500 abitanti, e Quirra, frazione di 150 persone. Il procuratore Domenico Fiordalisi ha inviato la squadra omicidi di Nuoro e un nucleo specializzato dei vigili del fuoco per acquisire documenti sugli ultimi 25 anni di esercitazioni ed effettuare rilievi sulla radioattività. Gli accertamenti sono partiti dopo la pubblicazione di un rapporto dei servizi veterinari delle Asl di Cagliari e Lanusei su 60 allevamenti e, pare, in seguito alla segnalazione di una madre: il figlio di 17 anni si è ammalato di una forma di tumore, rarissima per l’età. L’inchiesta giudiziaria sarà complessa e non sarà facile neanche accertare quante persone sono decedute: almeno 40 civili e 23 militari, assicura il Comitato pacifista «Gettiamo le basi» . L’ultimo appena una settimana fa: Alessandro Bellisai, 28 anni, meccanico carrista della Brigata Sassari, stroncato da un tumore emolinfatico diagnosticato al rientro dall’Afghanistan (ma era stato anche a Quirra). La base, 12 mila ettari, la più grande d’Europa, è stata realizzata nel ’ 56. È comandata da un generale di brigata dell’aeronautica, ma utilizzata anche da esercito e marina. Ha un poligono a terra nella zona di Perdasdefogu e uno a mare a Capo San Lorenzo su 2 mila ettari e 40 chilometri di coste. Nei poligoni vengono effettuati lanci di missili e razzi, sperimentati proiettili sparati da carri armati e aerei. Sulle coste si svolgono esercitazioni aeronavali con sbarchi di truppe d’assalto. Il ministero della Difesa affitta la base per 1 milione e 200 mila euro al giorno anche alla Nato e a Paesi membri, in passato anche alla Libia. Le autorità militari hanno sempre negato un collegamento fra le attività della base e l’anomala diffusione di tumori e leucemie. Nel 2003 ci fu una smentita ufficiale del ministero: «L’origine dei tumori deve essere attribuita a una miniera di arsenico dismessa» . Ma Maria Antonietta Gatti, medico dell’università di Modena e consulente del ministero della Difesa nella commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, è di diverso parere: «Le leucemie sono causate da nanoparticelle sprigionate durante test bellici» . Alberto Pinna ______________________________________________________________ Corriere della Sera 23 gen. ’11 META’ DELLE ADOLESCENTI VACCINATE CONTRO l’HPV Sanità Variabilità regionale nella prevenzione del cancro alla cervice Variabilità regionale nella prevenzione del cancro alla cervice Metà delle adolescenti vaccinate contro l’Hpv D elle adolescenti italiane nate nel 1997, il 59 per cento ha completato il ciclo vaccinale di tre dosi contro il papillomavirus umano (Hpv), causa del tumore al collo dell'utero. Come prevedibile il traguardo di una copertura completa è ancora lontano, ma i nuovi dati elaborati dall'Istituto superiore di sanità potrebbero aiutare a orientare meglio gli sforzi, vista anche l'alta variabilità regionale (vedi tabella). I dati preliminari sul bilancio della vaccinazione anti-Hpv, al primo semestre 2010, sono stati resi noti nel recente convegno "La vaccinazione tra diritto e dovere", organizzato dall'Istituto superiore di sanità. «Dall’inizio della Campagna vaccinale per l'Hpv — spiega Stefania Salmaso, direttore del Centro nazionale di epidemiologia dell'Iss — è attivo un monitoraggio sull’avanzamento dei programmi vaccinali nelle regioni e sui dati di copertura» . L'Italia è il primo Paese europeo ad aver adottato, già dal 2007 in alcune Regioni, una strategia vaccinale pubblica contro l'Hpv. Il vaccino ha un'efficacia massima in chi non ha ancora avuto rapporti sessuali e quindi non può essere entrato in contatto col virus. Da qui il fatto che la scelta della fascia d'età per la vaccinazione gratuita sia caduta principalmente sulle adolescenti che ancora non hanno compiuto 12 anni. «All’avvio dell’offerta di vaccinazione ci si è posti l’obiettivo di raggiungere entro il 2013 la copertura del 95%attraverso la somministrazione di tre dosi di vaccino — ricorda Salmaso —. Siamo a poco più di metà dell’opera; le forti differenze regionali ci dicono che c’è ampio margine di miglioramento e che fattori comunicativi e organizzativi possono fare la differenza. Ad oggi la Basilicata -la prima che ha avviato l’offerta di vaccinazione gratuita -ha la copertura più elevata, nonostante sia l’unica Regione che offre attivamente la vaccinazione a quattro coorti di nascita (12enni, 15enni, 18enni e 25enni)» . «Gli scettici nei confronti della vaccinazione sono ancora molti — osserva Francesco Raspagliesi, responsabile dell'Unità operativa di oncologia ginecologica dell'Istituto dei tumori di Milano — ma i vaccini si sono dimostrati sicuri, privi d’effetti collaterali importanti e in grado di proteggere per almeno 5 anni. Gli studi in corso sulla durata complessiva dell’effetto protettivo ci diranno se saranno necessari richiami. E sebbene la vaccinazione non prevenga la totalità delle infezioni da Hpv che possono provocare un tumore, dati recenti suggeriscono che possa proteggere anche da altri ceppi virali simili a quelli presenti negli attuali vaccini» . Antonella Sparvoli