RASSEGNA STAMPA 30/01/2011 DA OGGI IN VIGORE LA RIFORMA GELMINI - CAOS PER LA RIFORMA: I "RIBELLI" DEI TETTI NEL CUN - STUDENTI IN FUGA, SOS UNIVERSITÀ - MATRICOLE IN CALO E I PIÙ BRAVI SI ISCRIVONO AGLI ATENEI PRIVATI - COSÌ I BARONI REGALANO GLI STUDENTI DA LODE ALL'UNIVERSITÀ PRIVATA - IN ATENEO CRESCONO I FUORI CORSO - METÀ DEGLI ORDINARI OLTRE I 60 ANNI: TROPPI COSTI PER IL PERSONALE - I NUOVI DATI DEL COMITATO DI VALUTAZIONE ACCADEMICO - UNIVERSITÀ, LA RIFORMA DIMEZZA I CDA - ATENEI ALLA PROVA DEL MERITO - VALUTARE LA RICERCA? DALL'INDICE DI HIRSCH A UN'ANALISI OBIETTIVA - MARRONI: UNIVERSITÀ PROF DEL SUD DIMENTICATI - LA RIVOLTA DEGLI UMANISTI: "DISCRMATI DAL GOVERNO" - I RETTORI: L’EUROPA INVESTA DI PIÙ IN RICERCA - GELMINI: «170 MILIONI PER DOTTORATI» - SCATTA LA CORSA AL DOTTORATO: 1.406 DOMANDE PER 441 POSTI - TUTTE LE CHANCE NEGLI ATENEI D’ITALIA - LAUREATI E UMILIATI - ATENEI, LA SFIDA INGLESE - INTERNET, E IL SAPERE DIVENTA COME LA MUSICA - NON SI PUÒ VIVERE DI SOLI TAGLI - OBAMA ALLA DESTRA: SÌ AI TAGLI MA SCUOLA E RICERCA VANNO SALVATE - DALLA CRUSCA LEZIONE DI SEMPLICITÀ PER I DOCUMENTI DEI BUROCRATI - «BUROCRATI D'ITALIA BASTA PARLARE ASTRUSO - CURRICULUM, GLI ERRORI DA NON FARE - BREVETTI E INNOVAZIONE, RIVINCITA DEI DISTRETTI HI-TECH - IL MISTERIOSO DIMAGRIMENTO DEL CHILO UFFICIALE - UN POPOLO DI LETTORI: IN SARDEGNA LE LIBRERIE NON CONOSCONO LA CRISI - BIBLIOTECHE ALLA RIVOLUZIONE DIGITALE - MANCAVA SOLO L’INDICE DEI LIBRI PROIBITI - ENTI REGIONALI A SCARSO RENDIMENTO: UNDICI AGENZIE SPENDONO 135 MILIONI - LE MAESTRE E I VOTI (AI GENITORI) AL COLLOQUIO SEMPRE PIÙ STRESSATI - MEMORIA LA SCIENZA RISCOPRE POESIE E TABELLINE - PARIGI VUOLE RIEMPIRE LE COSTE DI PALE EOLICHE - ========================================================= CDM APPROVA PIANO SANITARIO NAZIONALE 2011-2013 - SANITÀ, C’È LA RIFORMA. ED È SUBITO SCONTRO - PIU' DEL 60% DEGLI ITALIANI NON E' SODDISFATTO DEL SSN - PIANO DELLE LISTE D'ATTESAPRONTI 21 MILIONI - MANCONI: SULL’ H1N1 I MEDICI FANNO OSTRUZIONISMO - ANGIONI: H1N1 UN VIRUS ANCORA AGGRESSIVO - MELONI: LA NOSTRA ISOLA SARÀ UNA REGIONE DI VECCHI - ISTAT: CRESCE LA POPOLAZIONE E L'ASPETTATIVA DI VITA - IN INGHILTERRA SI SPERIMENTA IL CONSULTO MEDICO VIA EMAIL ED SMS - CAGLIARI, VINCONO GLI SPECIALIZZATI - LA FIALS: «BASTA PRECARI NELLA SANITÀ» - SAN GAVINO. NUOVO OSPEDALE ARRIVANO 76 MILIONI - BIMBI ZERO IN CONDOTTA: STUDIO UE SUI FARMACI - GRUPPI SANGUIGNI QUEI FORTUNATI DEL TIPO «O», MENO A RISCHIO INFARTO - CORRI, DIMAGRISCI, DORMI. E RIDI COSÌ SI DÀ SCACCO ALL'INFARTO - UN TEST DEL SANGUE MANDA IN PENSIONE L’AMNIOCENTESI - SCREENING ANTI-TUMORI: PERCHÉ GLI ITALIANI RISPONDONO SOLO A METÀ - SCREENING: È PIÙ FACILE SE IL KIT ARRIVA A CASA - SCREENING: ANCHE DUE VESCOVI SOSTENGONO I TEST - SCREENING: SULL’EFFICACIA E SUI RISCHI I PARERI RESTANO DIVERSI - SCREENING: PRENOTAZIONI PER CONTROLLI INTASANO LE LISTE D’ATTESA? - SAN RAFFAELE: VALVOLA MITRALICA IMPIANTATA CON CATETERE - AREVA INNOVE DANS LA MÉDECINE NUCLÉAIRE - NASCE A TAVOLA UN TUMORE SU TRE - TIR E ASSUNZIONI ILWELFARE DELLA SPAZZATURA - JAMA RICHIAMA L'ATTENZIONE SUI RISCHI DA ABUSO DI ENERGY DRINK - STOMACO: UNA CAPSULA (SARDA) PER NON SOFFRIRE - RICERCA PRIMO STUDIO SULLA PSORIASI DIFFERENZIATO TRA UOMINI E DONNE - IL SANGUE RUBATO AGLI YANOMAMI - ========================================================= ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 29 gen. ’11 DA OGGI IN VIGORE LA RIFORMA GELMINI A15 giorni dalla pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» n. io del 14 gennaio (supplemento ordinario u/L) entra in vigore la riforma dell'università (legge 240/2010). Da oggi, dunque, gli atenei avranno sei mesi di tempo per rivedere i loro statuti, con tolleranza di tre mesi. ______________________________________________________________ Il Messaggero 29 gen. ’11 ATENEI, CAOS PER LA RIFORMA: I "RIBELLI" DEI TETTI NEL CUN di ALESSANDRA MIGLIOZZI ROMA La riforma dell'università entra ufficialmente in vigore da oggi "a quindici giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. La svolta avrà conseguenze immediate: da questa mattina, denunciano dal sindacato studentesco Link, per effetto dell'articolo 18 della legge, i laureati triennali che stanno facendo tesi sperimentali o progetti di ricerca non hanno più titolo per farlo. Per i ragazzi il danno è «gravissimo». Ed è allarme anche fra gli assegnisti di ricerca: è caos sui rinnovi. Chi è in scadenza finisce nel limbo, in attesa che gli atenei dispongano appositi regolamenti per rivedere le modalità di assegnazione degli assegni. Regolamenti che, però, devono essere preceduti da un decreto del ministro sugli importi minimi con cui stipendiare i giovani studiosi. Negli atenei regna la confusione e sul web serpeggia il malumore di chi è incappato nel rinnovo in questo periodo. «La riforma spiega Alessio Bottrighi, presidente dell'Apri, Associazione precari della ricerca non chiarisce se i vecchi assegni di ricerca possono essere rinnovati. Mentre per i nuovi bisogna attendere il decreto del ministro. La mancata proroga potrebbe riguardare il 40% dei 16mila assegnisti italiani. Intanto si useranno formule contrattuali diverse: contratti a progetto o borse di addestramento alla ricerca». Queste ultime, però, non prevedono contributi. Insomma, almeno in questa prima fase, la riforma rischia di danneggiare i più giovani. Ma anche la didattica: da oggi i contratti esterni di nuova stipula per attività di insegnamento sono bloccati finché il ministro non farà un regolamento per dire quanto devono guadagnare questi prof. Intanto ieri gli studenti sono scesi di nuovo in piazza con i Cobas e la Fiom. Riprende la contestazione, ma con una svolta: la Rete 29 Aprile, quella che ha inventato le proteste sui tetti, entra con un buon numero di rappresentanti nel Consiglio universitario nazionale (Cun), organo di consulenza del ministro Gelmini, che è andato al rinnovo parziale negli scorsi giorni. Dei sette ricercatori eletti, cinque sono della Rete. «Oraspiega uno dei portavoce, Piero Gragliapotremo dimostrare che non siamo terroristi, come ci hanno detto dopo le proteste di piazza. Siamo professionisti che vivono l'università e proveranno a cambiarla dall'interno». Il Cun farà da consulente al ministero nell'applicazione della riforma. «Ci sono stati molti eletti conferma ti dice il presidente Cun, Andrea Lenzisegno che il Consiglio ha operato bene é questo lavoro ci viene riconosciuto. Ora speriamo che il ministro faccia subito il decreto per integrare i nuovi membri». Le elezioni hanno segnato una massiccia partecipazione. Fra associati e ricercatori ha votato, rispettivamente, il 38,7% e il 39,4% degli .aventi diritto. Più del 2006. Fra gli ordinari i votanti sono stati il 44,5%. ______________________________________________________________ La stampa 27 gen. ’11 STUDENTI IN FUGA, SOS UNIVERSITÀ Calo costante nel numero di iscrizioni: in 8 armi perso il 10%. E i migliori scelgono atenei privati FLAVIA AMABILE ROMA Nemmeno l'Università è più quella di mia volta e gli italiani l'hanno capito. Il rapporto presentato ieri dal Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario mostra la grande fuga degli studenti dalle facoltà. Al decimo posto nel mondo e al quinto in Europa il sistema universitario italiano sembra aver perso appeal negli ultimi anni. Calano innanzitutto le matricole. Nel 2003 erano stati il 74,5%, oltre 7 su 10, i diplomati che avevano deciso di proseguire gli studi e iscriversi all'università. Nel 2008/2009 dopo una serie di diminuzioni progressive siamo al 66%, il 2% in meno rispetto all'anno precedente. E i dati provvisori del 2009/10 registrano ancora un calo: i diplomati che si trasformano in matricole sono il 65,7%. «È cambiato l'atteggia-mento culturale delle famiglie – spiega Luigi Biggeri, presidente del Cnvsu. Una volta si cercava nella laurea la promozione sociale, ora ci si è resi conto che proseguire gli studi nella maggior parte dei casi non permette di fare alcun salto di classe sociale». E quindi ormai meno di un diciannovenne su due si iscrive all'Università. Negli ultimi anni questo dato è stato in continua diminuzione: se nel 2003-2006 si era ancora intorno al 56%, nel 2007/08 si era già scesi al 50,8%, e nel 2009/2010 siamo al 47,7%. «L'università italiana manifesta pertanto una ridotta capacità di attrarre i diciannovenni, rispetto a quanto accade in molti paesi all'estero», commenta il Comitato. «È il fallimento di questo modello di università – spiega Biggeri ma anche del mercato del lavoro e della capacità di creare lavoro da parte delle imprese». Il fallimento è evidente soprattutto se si va a vedere che cosa accade nelle diverse regioni. Dove c'è occupazione i giovani non perdono tempo a iscriversi all'università. «L'Indicatore di proseguimento degli studi dalla scuola superiore all'università presenza infatti differenze non banali tra le varie provincie: i valori più alti si hanno nelle provincie di Teramo, Bologna, Isernia e Rieti con oltre 80 immatricolati ogni 100 maturi -, mentre i valori più bassi si registrano nelle provincie di Catania, Sondrio e Vercelli con una percentuale di immatricolati su maturi tra il 40% ed il 50%». In altre parole, a Teramo, Bologna o Isernia non avendo alternative ci si iscrive all'università. A Catania, Sondrio e Vercelli, dove un lavoro si trova più facilmente, si preferisce non perdere tempo se non si è convinti di voler proseguire. La conseguenza è un forte calo dei laureati, scesi a quota 293 mila, il 13% in meno rispetto a otto anni fa quando erano oltre 338 mila. Tutto questo perché è molto alto anche il numero di abbandoni. «Soltanto il 32,8% degli studenti porta a termine un corso di laurea, a fronte di una media Ocse pari al 38%», precisa il Comitato. Nell'anno accademico 2009/2010 c'è un'ulteriore diminuzione di oltre 15mila unità, con un tassi di abbandono (mancate iscrizioni al secondo anno di corso) pari al 16,7%. Insomma, meno uno studente su tre si laurea e quasi quasi 2 su 10 abbandona dopo il primo anno. Cresce anche la quota di «immatricolati inattivi», rispetto all'anno precedente, è arrivata al 13,3%. Ed anche la regolarità degli studi è in diminuzione: ogni dieci studenti iscritti, quattro sono fuori corso, e le facoltà con gli studenti più assidui risultano quelle con prove di selezione all'ingresso e accessi programmati. La fuga non è però generalizzata, ma riferita soprattutto alle università pubbliche. Altre attirano i più bravi, infatti gli studenti che hanno un voto di maturità superiore a 90 si rivolgono ad università non statali. La Luiss di Roma (con il 68,1%), la Bocconi di Milano (con il 58,0%), il Campus Biomedico di Roma (con il 52,6%) e il San Raffaele di Milano (con 1152,5%). Seguono l'Università della Calabria ed il Politecnico di Bari, con il 40,8%. Ancora un segnale di allarme arriva dalla cifra sui pensionamenti. Nei prossimi 5 anni si possono stimare oltre 14 mila cessazioni dal servizio del personale docente. A rischio emorragia sono soprattutto le aree scientifiche. Particolarmente critica la situazione nelle aree delle Scienze fisiche, di Ingegneria civile e Architettura dove le uscite dei professori ordinari saranno almeno del 32%. «È impensabile non affrontare quest'uscita con una programmazione adeguata», avverte Biggeri. ______________________________________________________________ Il Messaggero 27 gen. ’11 MATRICOLE IN CALO E I PIÙ BRAVI SI ISCRIVONO AGLI ATENEI PRIVATI Un "maturo" su due prosegue gli studi Sempre meno i prof scientifici UNIVERSITA' Rapporto del Comitato valutazione Siamo al quinto posto in Europa di ALESSANDRA MIGLIOZZI ROMA I neo diplomati bocciano il sistema universitario italiano, soprattutto quello statale: gli atenei attraggono sempre meno i ragazzi freschi di maturità che, dove c'è lavoro di qualità, preferiscono un contratto all'iscrizione ad un corso di laurea. In Italia meno di un diciannovenne su due prosegue gli studi dopo il diploma. E chi lo fa, se ha una bella pagella in uscita dalle superiori, punta sugli atenei privati di maggior prestigio per completare il proprio percorso: università come la Luiss e la Bocconi raccolgono le percentuali più alte dei migliori diplomati, quelli che prendono voti dal 90 in su. È la fotografia scattata dall'annuale Rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), che racconta di un sistema accademico in buona salute (siamo quinti in Europa per qualità e decimi al mondo), ma sempre meno attraente per i giovani. Un dato, quest'ultimo, che impone una riflessione agli atenei, in particolare quelli pubblici, bocciati dai migliori studenti. Entro 5 anni, poi, il sistema perderà 14mila professori che andranno in pensione, ma, segnala Luigi Biggeri, presidente Cnvsu, «manca una programmazione dei posti da mettere a concorso per coprire i buchi». LA FUGA Nel 2002/2003 il 74,5% dei neo diplomati sceglieva l'università. Nel 2009/2010 sono scesi al 65,7%. In particolare, meno di un 19enne su due (47,7%) nel 2009/2010 ha scelto di proseguire gli studi. Un calo drastico rispetto al 56% del 2006. Dove c'è occupazione, si legge nel ~porto, i giovani non si immatricolano: l'università non viene percepita come un volano per la propria carriera, meglio partire da un contratto. Gli immatricolati sono scesi a quota 293mi1a contro gli oltre 338mila di otto anni fa. Un giudizio preciso sulla qualità del sistema accademico emerge poi dai super bravi: chi prende più di 90 alla maturità sceglie università private. Alla Luiss il 68,1% delle neo matricole fa parte della rosa dei diplomati migliori, alla Bocconi sono il 58%. Seguono il Campus Biomedico di Roma (52,6%), il San Raffaele di Milano (52,5%). Un giudizio che, forse, vale più di qualunque classifica. L'ABBANDONO Gli abbandoni fra il primo e il secondo anno calano dal 17,5% al 16,7%, ma il 40% degli studenti è fuoricorso. La regolarità è in diminuzione, la situazione è migliore solo nelle facoltà a numero chiuso. I laureati sono scesi, nel 2009, sotto la soglia dei 300mila. Da soli quelli triennali sono diminuiti di 2mila unità. In calo anche i dottori precoci, che si laureano prima del previsto, ma la gran parte si concentra ancora in modo anomalo in alcune università telematiche. BORSE DIMEZZATE L'università attrae poco, forse, anche perché per chi non ha i mezzi frequentarla può essere difficile: nel 2010 sono stati dimezzati i fondi per le borse di studio, calati del 60%. Solo 1'81% degli idonei riceve il sussidio e solo il 22% di chi ha una borsa ha accesso ad alloggi universitari. PROF OVER 60 Il corpo accademico invecchia a vista d'occhio; gli ordinari over 60 sono il 50%. La loro età media è passata dai,58 anni del -1998 ai 63 del 2010. Fra gli associati solo il 5% ha meno di 41 anni. Invecchiano anche i ricercatori. Aumenta la quota di donne: sono il 20% degli ordinari e il 45% di chi fa ricerca. L'età media elevata spiega il fatto che nei prossimi 5 anni andranno in pensione oltre 14mila docenti. Per facoltà come Architettura e Ingegneria Civile è allarme: uscirà il 32% dei prof ordinari. «Vanno riprogrammati gli accessi sottolinea il presidente Biggeri o si rischiano emorragie di docenti in determinate aree di studio». C'è poi il caso dei ricercatori in fuga dall'università: tra il 2000 e il 2010 il 50% di quelli che sono usciti dal sistema sono stati dimissionari, hanno scelto di fare altro, soprattutto fra i più giovani, gli under, 45. ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’11 IN ATENEO CRESCONO I FUORI CORSO I dati del rapporto del comitato nazionale di valutazione del sistema formativo Il 40% degli studenti non risulta in regola con gli esami Sempre più «maturi» scelgono di non continuare I migliori diplomati preferiscono immatricolarsi negli istituti non statali Claudio Tucci Roma Gli studenti più bravi che escono da scuola "snobbano" le università statali. I "maturi" con un voto superiore a 90 (sui 100 complessivi del diploma) preferiscono iscriversi ad atenei privati. In pole position, la Luiss di Roma, che ha il 68,1% di matricole con voto tra 90 e 10°. A seguire la Bocconi di Milano (58%), il campus Biomedico, sempre di Roma, (52,6%) e il San Raffaele di Milano (52,5 per cento). "Solo" al quinto posto, il primo ateneo statale: l'università della Calabria (40,8 percento). Il dato è contenuto nell'undicesimo rapporto del Cnvsu, il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, organo tecnico e consultivo del ministero dell'Istruzione, presentato ieri. Probabilmente si tratterà dell'ultima pubblicazione del Cnvsu, visto l'imminente avvio dell'Anvur, l'Agenzia che d'ora in avanti dovrà occuparsi di valutazione di atenei e ricerca (e ín cui confluirà anche il Civr, il Comitato di valutazione della ricerca). «Lasceremo all'Anvur un patrimonio di analisi, studi e un sistema informativo-statistico che non ha precendenti», ha detto al «Sole 24 Ore» il presidente del Cnvsu (ed ex numero uno dell'Istat), Luigi Biggeri, ed è essenziale che la fase transitoria non metta a rischio questa mole di informazioni. D'accordo, il ministro Mariastella Gelmini, che in un messaggio ha ringraziato il Cnvsu per il «prezioso contributo assicurato al sistema universitario» e per il «ruolo propulsivo» nella sperimentazione, applicazione e diffusione, delle metodologie di valutazione. Sfogliando le 300 pagine dello studio spicca come l'offerta universitaria nel 2009-2010 si sia retta su 95 atenei, 5.493 corsi di studio attivi, 57.363 docenti,56.991impiegati amministrativi. A fronte di poco meno di milione e 800mila iscritti (in calo di più di 15mila unità rispetto al2008-2009) A diminuire è anche la percentuale di immatricolati: il 65,7 per cento. Rispetto al picco registrato nel 2002-2003 quando si erano iscritti all'università il 74,5% di "maturi" il calo è stato di 8,8 punti percentuali. L'allarme, scrive il Cnvsu, arriva principalmente nei territori dove c'è occupazione e questo dimostra, commenta Biggeri, che «il binomio laurea- lavoro qualificato è meno avvertito che in passato». Al contrario, prosegue il rapporto, la quota di studenti che non si iscrive al secondo anno si riduce al 16,7% (rispetto al 17,5% del 2008-2009). Cresce invece la percentuale di "immatricolati inattivi", che si attesta al 13,3 per cento. Ogni dieci studenti iscritti quattro sono fuori corso. La regolarità degli studi è in diminuzione e le facoltà con gli studenti più regolari si confermano quelle «con prove di selezione all'ingresso e accessi programmati». Soltanto il 32,8% degli studenti porta a termine un corso di laurea (a fronte di una media Ocse del 38%) e nel 2010 i fondi per le borse di studio si sono ridotti del 6o per cento. Al Sud poco più di sei studenti idonei su dieci ottengono la borsa. Al Nord, quasi tutti. Tra le conferme anche la bassa spesa pubblica per l'istruzione universitaria: lo o,8% in rapporto al Pil. Un valore, ricordano dal Cnvsu, «che coincide con quello della Slovacchia e superiore soltanto a quello di Cile, Corea, Giappone ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 gen. ’11 METÀ DEGLI ORDINARI OLTRE I 60 ANNI: TROPPI COSTI PER IL PERSONALE Gianni Trovati MILANO Sei università «fuorilegge», altre cinque a rischio e almeno un'altra ventina in sospeso, nella fervida attesa che il parlamento proroghi gli «sconti» riconosciuti fino al 2010. È il quadro disegnato dal comitato nazionale di valutazione sulla voce «spese di personale», che negli ultimi anni ha continuato a occupare sempre più spazio nei bilanci degli atenei italiani; la situazione più critica è a Cassino, dove nel 2009 gli stipendi hanno assorbito i195,7% del fondo di finanziamento ordinario (con un aumento di quasi 18 punti in sei anni), seguita da Bari, L'Aquila. A Siena il quadro è in leggero miglioramento ma si continua a lottare contro le conseguenze del maxi- buco scoperto tre anni fa Migliorano anche i numeri all'Orientale di Napoli, che ha chiuso le porte per le assunzioni da più di due anni e nel consuntivo 2009 si attesta ormai a un soffio dal rientro nei ranghi. Il parametro chiave è la «regola del 90%», che impone agli atenei di non dedicare agli assegni fissi del personale più dei nove decimi delle risorse ottenute ogni anno con l'assegno statale. Com'è ormai tradizione, quelle del milleproroghe sono settimane di attesa negli atenei, che sperano nell'ennesima proroga degli «sconti» contabili con cui si permette di contare solo per 2/3 il personale convenzionato con il servizio sanitario. I numeri nella tabella qui a fianco tengono in considerazione gli «sconti», che tuttavia per 112011 non hanno ancora fatto capolino: una delle versioni iniziali del milleproroghe li conteneva, ma la norma è stata stralciata e ora bisogna vedere se riuscirà a imbarcarsi in corsa sul treno degli emendamenti. Non è una partita da poco: senza sconti il rapporto medio fra stipendi e fondo statale sale di circa i17%, e nelle realtà che hanno spinto al massimo sulle convenzioni (per esempio la seconda università di Napoli) i costi effettivi sono anche del 25% superiori a quelli contabilizzati. I pensionamenti, in tempi di magra per i finanziamenti statali, sono un fattore che promette per i prossimi anni di far invertire la rotta. La foto di gruppo ai docenti italiani scattata dal comitato nazionale mostra un corpo docente invecchiato, che nei prossimi cinque anni dovrebbe veder uscire dai ranghi almeno 14mila professori. Un ordinario su due ha più di 60 anni, uno su cinque ha superato i 65 e solo uno su sette non è arrivato al mezzo secolo. I pensionamenti di massa, avviati con la prima fuga scattata nel 2010 anche per il blocco degli stipendi e le misure sulla liquidazione a rate, non sono però un processo ordinato e programmato, e rischiano di aprire buchi preoccupanti in facoltà importanti: fisica e ingegneria civile e architettura, stima il comitato, perderanno il 32% dei propri ordinari e le cattedre vuote si moltiplicheranno anche a lettere classiche, storia e scienze della terra. Non sono solo i pensionamenti, però, a far uscire molti dall'accademia italiana. Metà dei ricercatori che ha abbandonato la cattedra negli ultimi anni lo hanno fatto per dimissioni, e il 20% ha meno di 45 anni: segno che anche in anni difficili il mercato del lavoro è stato in grado di fornire offerte più allettanti di quelle garantite dall'università. ______________________________________________________________ Il Giornale 27 gen. ’11 I NUOVI DATI DEL COMITATO DI VALUTAZIONE ACCADEMICO Prof sempre più vecchi, aule sempre più vuote In sei anni 45.000 matricole in meno e al secondo anno si ritira un altro 17%. La metà dei docenti ha più di 60 anni Francesca Angeli Roma Immatricolazioni in calo. Tra gli iscritti soltanto uno su tre si laurea e i140 per cento è fuori corso. Professori sempre più anziani. Carenza di docenti nei settori scientifici. La fotografia dell'Università italiana scattata nel rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu) conferma la necessità di radicali cambiamenti nel sistema. L'Università infatti attrae sempre di meno i giovani diplomati. Non soltanto calano le nuove iscrizioni che sono scese al 47,7 per cento, in crollo verticale dal 74,5 del 2002. Dalle 338.000 matricole del 2003 alle 293.179 del 2009. In particolare calano le iscrizioni nei territori dove sono maggiori le opportunità di lavoro. I diplomati con i voti più alti scelgono gli Atenei privati: la Luiss (68,1) e il Campus Biomedico (52,6) di Roma; la Bocconi (58) e il San Raffaele (52,5) di Milano. Tra i dati che destano le maggiori preoccupazioni quelli che riguardano l'uscita dei docenti per raggiunti limiti di età. Entro il 2015 andrà in pensione il 32 per cento dei professori ordinari della aree delle Scienze Fisiche e di Ingegneria Civile e Architettura. E non è stata fatta nessuna programmazione che tenesse conto del fabbisogno di docenti in determinate aree, come spiega il presidente del Cnvsu, Luigi Biggeri. Soltanto uno studente su tre si laurea e già al secondo anno il 17 per cento abbandona. Sugli iscritti i laureati sono il 32,8 per cento contro una media Ocse del 38. Gli atenei italiani continuano a non essere presenti fra le prime cento università nella classifica mondiale. Bisogna scendere al numero 176 per trovare Bologna e al 190 per l'Università La Sapienza di Roma ______________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 gen. ’11 UNIVERSITÀ, LA RIFORMA DIMEZZA I CDA Cura dimagrante per Brescia che perderà 16 consiglieri su 27 A Pavia in uscita sono 14 MILANO Marco Ferrando Finora l'eccezione era una sola, la Statale, dove tra i quattro componenti esterni del cda rientrava anche un rappresentante della Fondazione Cariplo. Nelle altre università lombarde, invece, consigli di amministrazione off limits per i privati: 145 componenti in tutto per i sette atenei pubblici regionali, 24 i membri non accademici ma tutti in rappresentanza di comuni, province, camere di commercio, Miur e regione; con la sola eccezione, appunto, del sodalizio Cariplo-Statale. Adesso, con la riforma Gelmini pubblicata in Gazzetta ufficiale il 14 e in vigore da sabato prossimo, si cambia: sei mesi di tempo per redigere nuovi statuti, consigli ristretti a un massimo di u poltrone e spazio ad almeno tre componenti «laici», che stando almeno alle dichiarazioni di principio della legge saranno privati, «personalità italiane o straniere di comprovata competenza» provenienti dal mondo della ricerca o dell'impresa. La sforbiciata Per ora, l'unico dato certo è la dieta forzata: già all'articolo 2 la legge Gelmini fissa come tetto massimo per i cda gli 11 componenti, un vincolo che nei sette atenei pubblici lombardi porterà alla riduzione di 68 posti: da 145 si scenderà a 77 consiglieri totali, coni sacrifici più pesanti per le Università di Brescia, che attualmente conta 27 consiglieri d'amministrazione e Pavia, con 25. LE NEW ENTRY Ma la sfida è duplice. Perché se da un lato la riforma impone di asciugare l'organo, dall'altro consente di aprirlo a figure che finora non si erano mai viste in università, vale a dire le imprese. Il terna è delicato e i contrasti interni sono spesso violenti, ma l'attenzione è concentrata in modo particolare sulle imprese diventate partner (e finanziatori) strategici d'ateneo, e alla possibilità di con-solidare i legami assegnando un posto in cda a imprenditori o manager. L'università dell'Insubria, ad esempio, spera di poter cogliere l'occasione del nuovo statuto e dei nuovi cda per «migliorare i rapporti con le realtà produttive del territorio», anticipa il rettore, Renzo Dionigi. «L'importante è non ridursi a una presenza simbolica aggiunge -. La condizione fondamentale è che si tratti di figure illuminate e rappresentative». A Bergamo, dove oggi in cda siedono i delegati degli enti locali, l'eventuale presenza di privati non sembra un tabù: «Se la ratio della norma è l'apertura agli stakeholder, non ci vedo niente di male», osserva il rettore, Stefano Paleari. Ricordando, però, che «una rappresentanza a costo zero non ha senso», e dunque facendo intendere che l'ateneo è pronto a dare ma an-che a chiedere. «Il problema sarà quello di trovare figure in grado di dare un contributo positivo», ragiona da Pavia Angiolino Stella, che pensa a «personalità con una lunga esperienza gestionale o nel campo della ricerca», ma non esclude la possibilità di reclutare veri e propri luminari, «e magari pure qualche premio Nobel», sospira. Mentre i rappresentanti delle imprese, magari quelle con cui l'Università lavora di più (StMicroelectronics, Eni, Marvell, Valvitalia), potranno continuare a esprimersi attraverso una presenza o una collaborazione con la fondazione Alma mater ticinensis, l'ente che ha per scopo quello di pro-muovere la collaborazione con l'esterno. Come al Poli tecnico di Milano, che ha deciso di gestire le sue numerose collaborazioni le più significative con Eni, Techint, AgustaWestland attraverso la Fondazione Politecnico e un organo apposito, la consulta d'ateneo, «che consideriamo il luogo ideale per raccogliere il contributo dei privati», dice il rettore, Giovanni Azzone. Ma proprio il Politecnico, che in estate ha approvato il nuovo statuto, è l'ateneo più avanti nell'applicazione della riforma; comprese le norme relative al nuovo cda: «L'abbiamo ridotto da 19 a n componenti», ricorda Azzone; dì questi, tre sono laici e ieri hanno partecipato alla loro prima seduta di cda: sono Bruno Ermolli e Vico Valassi (confermati) e Livia Pomodoro. Situazione molto più complessa alla Statale, dove i numeri e la multidisciplinarietà consigliano un approccio più prudente. Privati in cda? «Dobbiamo ancora valutare», spiega il prorettore, Dario Casati. Per ora l'ateneo si è concentrato sulle modalità per la costituzione del comitato incaricato di elaborare il nuovo statuto: «Puntiamo a eleggerne i componenti il primo febbraio anticipa Ca-sati durante una seduta congiunta di senato e cda». La soluzione. «La consulta d'ateneo, più che il consiglio d'amministrazione, è il luogo ideale per raccogliere il contributo dei privati» Il profilo. «Abbiamo intenzione di reclutare personalità dì alto profilo in campo gestionale o in quello della ricerca» ______________________________________________________________ Repubblica 25 gen. ’11 ATENEI ALLA PROVA DEL MERITO Il presidente della commissione cultura di Confindustria punta il dito contro i 50 passaggi necessari per l'attuazione «Il rischio è trasformare l'Agenzia di valutazione in un carrozzone politico» Affilio Geroni Alla celebrazione dei primi vent'anni dell'Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Varese) si è molto parlato della riforma Gelmini. Anche se la Liuc non è un ateneo statale, più o meno tutti nel mondo accademico si sentono giustamente toccati dai cambiamenti che questa produrrà nel mondo dell'istruzione superiore e della ricerca. Lo ha ricordato lo stesso rettore dell'ateneo, Andrea Taroni, sospendendo però giudizi di merito sul nuovo dispositivo: «È ancora presto per dire se si tratta di una buona riforma. Da alcuni è stata definita epocale, da altri irrilevante; credo che occorrerà aspettare almeno i dodici mesi lasciati ai 49 provvedimenti delegati e all'auspicabile reperimento di risorse a sostegno del provvedhnento per arrivare a un giudizio definitivo». Sono comunque preoccupazioni di fondo condivise nella stessa sede da Alessandro Laterza, editore, presidente della commissione cultura di Confindustria, anch'egli in apprensione sulla tempistica: «Abbiamo 50 passaggi, tra regolamenti e decreti attuativi, prima di arrivare alla riforma. Speriamo che i tempi non si dilatino, come spesso accade in Italia», avverte. L'altro aspetto potenzialmente critico riguarda l'Anvur, l'agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca: «Il primo segnale non è positivo osserva Laterza perché subito ci si è preoccupati dell'appartenenza politica dei componenti dell'agenzia, quasi fosse più importante della loro competenza tecnica e professionale. Speriamo che non si crei un altro carrozzoncino politico». C'è poi il problema delle risorse finanziarie, che andranno in qualche modo reperite, «perché non si possono fare le nozze coi fichi secchi», e infine il merito, che di per sé è soltanto una bella parola «se non si trovano i parametri giusti per determinalo». Discorsi che rimbalzano nelle aule e nei corridoi di un'università creata vent'anni fa «dalle imprese e per le imprese». E che di questo legame ha fatto la propria ragion d'essere, come testimoniano anche gli ultimi master organizzati per rispondere a domande precise, spesso di industrie del territorio, come Helicopter & Airplane – management per il settore aeronautico, che oggi fa riferimento al distretto lombardo del settore. Nel 1991 la Liuc partì con 303 studenti. Oggi ne ha 2mila e ne ha laureati circa 7mila, con dati di placement positivi visto che per trovare un'occupazione si impiegano mediamente due mesi dalla fine degli studi. Anche la dimensione internazionale ha acquisito importanza negli anni. La Liuc detiene il primato, tra le università italiane, per numero di studenti che svolgono periodi all'estero in rapporto alla popolazione studentesca. Sul merito, la Liuc respinge coi fatti l'antica accusa di essere l'università "dei figli di papà". Si torna a parlare di merito perché col merito acquisito durante il liceo o altre scuole superiori, gli studenti usciti con una buona maturità possono vedersi ridotte fino al so% le tasse universitarie: «In vent'anni ha ricordato Paolo Lamberti, presidente dell'università abbiamo distribuito tra borse di studio e sussidi a diverso titolo, 17 milioni di euro». ______________________________________________________________ TST 26 gen. ’11 VALUTARE LA RICERCA? DALL'INDICE DI HIRSCH A UN'ANALISI OBIETTIVA PIER ANDREA BOREA E JACOPO MELDOLESI UNIVERSITA DI FERRARA UNIVERSITA VITA SALUTE Inoltre nelle diverse discipline, e anche in settori diversi di singole discipline, le citazioni possono variare. Ad esempio, esse sono in genere poche in matematica, molte nella ricerca medica e così via. Quindi gli HI di ricercatori di discipline o anche di settori diversi non sono immediatamente confrontabili. Il ruolo svolto in un progetto dai vari autori di un articolo può essere diverso. Per una convenzione accettata il giovane ricercatore che ha condotto gli esperimenti firma per primo, lo scienziato esperto che guida la ricerca, il senior author, firma per ultimo, chi svolge ruoli meno importante firma nel mezzo, fa parte dei così detti middle names. Queste differenze, fondamentali nei concorsi e nell'assegnazione di finanziamenti, non emergono dal classico HI. Infine la dimensione dei gruppi di ricerca è molto variabile. Alcuni coincidono con interi Istituti, altri possono includere solo 405 studenti o ricercatori appena addottorati. La produzione dei capi di due strutture così diverse, anche se eccellente in entrambi i casi, è in genere molto diversa in termini di numero, con conseguente diversità del RI. Queste limitazioni non sono opinioni personali di chi scrive ma sono discusse e condivise nella comunità scientifica. E' quindi assai importante la disponibilità alla integrazione del HI dichiarata da Mauro Degli Esposti, Senior Lecturer dell'Università di Manchester e responsabile della VIA Academy, nel corso di una recente conferenza all'Università di Ferrara. Finora la "classifica" è stata stilata in base ai dati da un programma web, il Google Scholar che, pur non essendo perfetto, è più accurato di altri. Partendo da questi e da altri dati disponibili la VIA Academy potrà affinare un po' la "classifica", distinguendo per esempio tra senior authors e middle names. Se si stabiliranno collegamenti operativi adeguati tra l'Academy e almeno alcuni Istituti di Ricerca e Università italiani, interessate a fornire informazioni obiettive e dettagliate, la valutazione dei ricercatori di quegli Istituti/ Università diventerà assai più significativa. Se poi al RI dettagliato seguirà un' analisi particolareggiata da parte dì Commissioni nominate dalle stesse strutture scientifiche, ciascun Istituto/Università potrà acquisire un quadro obbiettivo della sua ricerca, che oggi non è disponibile se non in pochi Istituti avanzati. Un quadro a cui fare riferimento per decisioni importanti quali l'acquisto di attrezzatura dì interesse generale, l'apertura di nuovi posti di ricercatore, lo sviluppo di Centri di Eccellenza interuniversitari, la partecipazione a piani regionali di ricerca. Un quadro prezioso per ottenere finanziamenti pubblici e privati che già oggi sono erogati sempre più in base all'eccellenza della ricerca. ______________________________________________________________ Il Mattino 24 gen. ’11 MARRONI: UNIVERSITÀ PROF DEL SUD DIMENTICATI Massimo Marroni Rettore della Federico II Tutte le Università da tempo hanno manifestato convinta adesione alla proposta, ormai da tempo sul tavolo dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni, di costituzione dell'Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione delle Università e della Ricerca). Le sue funzioni, in sintesi, sono: valutare l'efficienza e l'efficacia dell'attività didattica sulla base di standard qualitativi di livello internazionale, anche con riferimento ai livelli d'apprendimento degli studenti e del loro inserimento nel mondo del lavoro; valutare le strutture delle università e degli enti di ricerca, i corsi di studio universitari, i dottorati di ricerca, i master universitari e le scuole di specializzazione; valutare la qualità e i risultati dei progetti ricerca; monitorare l' acquisizione dí finanziamenti esterni, l'attivazione di rapporti di collaborazione e lo scambio di ricercatori con soggetti pubblici e privati; valutare attraverso criteri internazionali la qualità e i risultati della ricerca. Si tratta di funzioni molto rilevanti e che investono aspetti diversi del ruolo che le Università rivestono nel sistema Paese: la loro capacità di formare capitale umano e la toro efficacia nel rapportarsi con il mondo del lavoro, la loro qualità nei diversi settori della ricerca scientifica all'interno del siste-ma mondiale della ricerca, la loro capacità di gestire e acquisire risorse interne ed esterne, ecc. D'altro lato, a fronte dei diversi obbiettivi attribuiti all'Anvur, esistono nel nostro Paese realtà differenti che costituiscono spesso vincoli rilevanti alla efficacia delle azioni delle Università a seconda del contesto economico-territoriale in cui agiscono (si pensi ad esempio alle diverse realtà del mercato del lavoro, alla distribuzione territoriale delle imprese e delle istituzioni finanziarie, non escluse le fondazioni bancarie, ecc...). Suscita quindi molta sorpresa la distribuzione delle competenze dei sette membri dell'Anvur nominati di recente dal governo. >Segue a pag. 8 Si trattacertamente di autorevoli esponenti della comunità scientifica nazionale (ognuno nel proprio settore), ma non c'è tra di loro nessun ricercatore del sistema universitario meridionale e tra loro alcuni macro-settori sono sovra rappresentati, mentre altri risultano del tutto assenti. Eppure, circa il 28% delle Università italiane ha sede nelle regioni del Mezzogiorno, e circa un quarto dei migliori ricercatori in termini di citazioni dei loro lavori scientifici (vedi ad esempio i dati riportati da ViaTop Italian Scientists) lavora presso Università meridionali in generale. E presso la Federico n in particolare. Nessuno di loro è stato coinvolto. Inoltre, alcune aree scientifiche non sono assolutamente rappresentate mentre si è forse preferito seguire una logica per Facoltà (si guardi ad esempio al caso di Medicina e Veterinaria, che appartengono entrambe all'area della Salute). Ma non è una logica che la riforma appena approvata vuole cambiare? È ben noto che i processi di valutazione hanno effetto quando i criteri su cui sono basati e i responsabili del processo sono generalmente accettati dai soggetti sottoposti a valutazione. Non mi sembra che in questo caso si cominci bene. Anzi si co mincia decisamente con il piede sbagliato. È proprio perché crediamo profondamente che il sistema delle Università debba e voglia essere valutato in maniera seria e rigorosa che solleviamo questi problemi. Crediamo che il governo e il ministro debbano seriamente ripensare al problema, se non si vuole rischiare di continuare ad alimentare un clima in cui l'elemento fondante della fiducia non prende il giusto sopravvento. ______________________________________________________________ Repubblica 25 gen. ’11 LA RIVOLTA DEGLI UMANISTI: "DISCRMATI DAL GOVERNO" Solo scienziati e università del Nord nell'agenzia che valuta gli atenei SIMONETTA FIORI e discipline umanistiche? Non esistono per il governo italiano. Non esiste la storia. Non esiste l’italianistica. Non esiste lo studio dell'arte e dell'archeologia. Non esistono la filosofia né l'estetica. Non esiste, in sostanza, quella tradizione di saperi che conserva il patrimonio e la memoria di un paese. Dal consiglio direttivo dell'Anvur (l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), nominato dal Consiglio dei ministri, sono stati esclusi gli studiosi delle scienze umanistiche. Ed è stato escluso l'intero Mezzogiorno, nel senso che non vi figura nessun rappresentante delle facoltà collocate a Sud di Roma. All'agenzia spetta un compito fondamentale: giudicare la qualità degli atenei e degli enti di ricerca. Dalle valutazioni discendono i finanziamenti che premiano i risultati migliori. Per questa ragione l'esclusione dell'area umanistica solleva allarme e preoccupazione nella comunità intellettuale. E diventa anche un caso politico. «Ora che finalmente l'Agenzia viene attivata», ha dichiarato Luigi Zanda, vicepresidente del gruppo del Partito Democratico a Pala77o Madama, «il governo ricade nella cattiva abitudine di dividere la cultura tra discipline buone e discipline cattive, e le Università tra quelle del Nord e quelle del Sud». Uno squilibrio che non ha turbato i sonni di Giulio Tremonti, secondo alcuni preoccupato solo di analizzare il colore politico dei consiglieri: ma la sua "furibonda" telefonata alla Gelmini è stata smentita dal Miur. Mentre Paola Binetti mugugna per la nomina dell'illustre genetista, del quale non gradisce il genere di ricerche. «Sono uno scienziato, non un agitatore politico», è la replica di Giuseppe Novelli. Centrale rimane la questione dell'esclusione delle scienze umane e del Mezzogiorno. «Sbalordito» e «deluso» si dice Salvatore Settis, che fa parte del comitato che aveva proposto una rosa di quindici candidature al ministro Gelmini, la quale poi ha selezionato sette nomi rappresentativi delle varie aree disciplinari, ma non delle scienze umane. «Non riesco a comprendere le ragioni dell'esclusione», interviene lo studioso. «Abbiamo lavorato con serietà e rigore, mettendo in gioco la nostra esperienza internazionale e le nostre competenze. E ora vediamo che sono state tagliate fuori le scienze umane e l'intero Mezzogiorno». Nella rosa dei sette nomi approvati, compaiono due economisti (Fiorella Kostoris e Andrea Bonaccorsi), una sociologa (Luisa Ribolzi), un genetista (Novelli), un veterinario (Massimo Castagnaro), un fisico (Stefano Fantoni) e un ingegnere (Sergio Benedetto): in sostanza le scienze sociali (in larga rappresentanza), le scienze biomediche e le scienze fisiche. «È evidente la sproporzione», continua Settis, che nel suo comitato era l'unico rappresentante delle discipline escluse. In una lettera alla Gelmini ha chiesto che al più presto sia posto rimedio allo squilibrio. Identiche perplessità provengono da Enrico Decleva, storico dell'età contemporanea e presidente della Conferenza dei Rettori. «Colpisce l'assenza delle discipline umanistiche. E colpisce anche la mancanza delle università del Mezzogiorno. Ma confido nel fatto che il governo provveda ad ampliare il consiglio direttivo». In fermento è la comunità degli studiosi che operano nelle Facoltà di Lettere e Filosofia, le più penalizzare dalla scelta del ministro. «Il rischio è che alle nostre discipline vengano trasferiti parametri di valutazione che hanno senso solo in campo scientifico», interviene Amedeo Quondam, presidente degli italianisti. In un documento firmato dalle diverse associazionioltre gli italianisti, gli slavisti, i latinisti, gli storici dell'arte, i filosofi, gli studiosi di estetica, gli anglisti, gli storici dell'età medievale, moderna e contemporanea, la conferenza dei presidi di Lettere e Filosofia si chiede che nel consiglio direttivo dell'Anvur «ci sia una rappresentanza qualificata dell'area umanistica» tenendo conto del fatto «che questo ampio settore ha da tempo elaborato una condivisa cultura della valutazione, in grado di tenere conto con equilibrio di quanto lo rende omogeneo a tutti gli altri settori e di quanto invece lo distingue». Valutarlo secondo criteri sbagliati, in sostanza, porterebbe danno alla memoria e al patrimonio di un paese già in forte crisi di identità. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 28 gen. ’11 I RETTORI: L’EUROPA INVESTA DI PIÙ IN RICERCA La Lega delle Università Europee di Ricerca (Leru, League of European Research Universities) sostiene la necessità di investimenti rilevanti e a lungo termine nella ricerca di base. La ricerca europea presenta livelli di produttività e di eccellenza tra i più alti nel mondo, ma concentrati in quelle aree che sono state sostenute da investimenti nazionali ed europei a lungo termine e che hanno stabilito rapporti positivi con il mondo delle imprese. Gli investimenti pubblici nella ricerca sono essenziali. Il loro impatto sociale è rilevante e tangibile in ambiti che vanno dai progressi nella diagnostica medica e nelle terapie che migliorano la salute e la qualità della vita, all’innovazione e allo sviluppo di nuove tecnologie essenziali alla competitività dell’Europa negli anni a venire. Molto semplicemente, la ricerca è la condizione e la chiave della capacità europea di competere nel mondo globalizzato. In questo quadro le università e gli enti di ricerca svolgono un ruolo fondamentale, in quanto si concentrano sulla ricerca di base. Questa pone le fondamenta per nuove scoperte e per l’innovazione, e i laboratori delle università formano il capitale umano di cui il mondo delle imprese ha bisogno per competere con successo. L’innovazione è un processo complesso, non c’è una progressione lineare tra ricerca di base e nuovi prodotti. È raro che la nuova conoscenza prodotta da una scoperta scientifica abbia immediate ricadute pratiche. Spesso si tratta di un percorso Cos’è La Lega delle Università Europee di Ricerca (Leru, League of European Research Universities) è stata fondata nel 2002 e raggruppa le ventidue Università europee di punta nella ricerca scientifica Per l’Italia L’Università Statale di Milano è l’unico ateneo ammesso nella Leru legato al caso. Nel 1975 due scienziati dell’Università di Cambridge, Milstein e Köhler, hanno messo a punto la metodica degli anticorpi monoclonali che difendono il corpo da invasioni esterne. Oggi gli anticorpi monoclonali costituiscono un terzo di tutte le nuove cure farmacologiche, e il mercato dei farmaci a base di anticorpi monoclonali è attualmente stimato in 32 miliardi di dollari. Il processo che ha portato alla «scoperta» del Dna ricombinante ha avuto letteralmente inizio a causa di un incidente, una provetta rotta, avvenuto negli anni Sessanta. Facendosi dare da un collega una coltura di un ceppo batterico, il ricercatore scoprì che questi batteri erano immuni al virus con il quale cercava di infettarli. Basandosi su questo fenomeno Arber, un giovane scienziato dell’Università di Ginevra, riuscì a individuare un enzima che taglia a pezzi in modo specifico il Dna dei virus. Per questo a lui e ai suoi colleghi fu assegnato il premio Nobel per la medicina nel 1978. Questo strumento rivoluzionò le possibilità di studiare la biologia a livello molecolare e ha prodotto una tecnologia il cui impatto economico è attualmente enorme. La ricerca di frontiera richiede pazienza, perseveranza e investimenti. Le università europee ad alta intensità di ricerca hanno la capacità unica di combinare i tre elementi essenziali per assicurare all’Europa competitività e benessere nel lungo termine: istruzione superiore, ricerca e innovazione. Ma il mondo non sta fermo ad aspettarci. Ad esempio, gli investimenti della Cina in scienza e tecnologia, attraverso le sue università e istituzioni specializzate, sono già in forte crescita. I Rettori della Lega delle Università Europee di Ricerca confidano che i Capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione europea abbiano consapevolezza di quanto forti investimenti nella ricerca di base siano decisivi per la competitività dell’Europa e per la società europea in generale. Essi confidano che il Consiglio europeo, che si incontrerà il 4 febbraio a Bruxelles, terrà questo aspetto in debito conto nel corso della discussione in merito al documento della Commissione europea su «Innovation Union» . Questo documento sarà la base per la futura politica europea nel campo della ricerca e dell’innovazione. Dovrebbe essere chiaro all’Unione europea e agli Stati membri che la ricerca di base, focalizzandosi sull’eccellenza, ha bisogno di un supporto continuo e rafforzato! I Rettori della Lega delle Università Europee di ricerca Dymph van den Boom (Universiteit van Amsterdam), Dídac Ramírez i Sarrió (Universitat de Barcelona), Leszek Borysiewicz (University of Cambridge), Timothy O'Shea (University of Edinburgh), Hans-Jochen Schiewer (Albert-Ludwigs-Universität Freiburg), Jean-Dominique Vassalli (Université de Genève), Bernhard Eitel (Ruprecht- Karls-Universität Heidelberg), Thomas Wilhelmsson (Helsigin yliopisto), Paul F. van der Heijden (Universiteit Leiden), Mark Waer (Katholieke Universiteit Leuven), Keith O'Nions (Imperial College London), Malcolm Grant (University College London), Per Eriksson (Lunds universitet), Enrico Decleva (Università degli Studi di Milano), Bernd Huber (Ludwig- Maximilians-Universität München), Andrew Hamilton (University of Oxford), Jean-Charles Pomerol (Université Pierre et Marie Curie), Guy Couarraze (Université Paris-Sud), Harriet Wallberg-Henriksson (Karolinska Institutet), Alain Beretz (Université de Strasbourg), Hans Stoof (Universiteit Utrecht), Andreas Fischer (Universität Zürich) ______________________________________________________________ Repubblica 26 gen. ’11 GELMINI: «170 MILIONI PER DOTTORATI» Il ministero dell'Istruzione «sta lavorando al regolamento attuativo per il rilancio del dottorato di ricerca». Lo ha detto ieri il ministro Mariastella Gelmini, durante una conferenza stampa sul piano di occupabilità dei giovani a Palazzo Chigi. Gelmini ha affermato che per questo rilancio «ci sono 170 milioni di euro a disposizione» e che attraverso questo strumento si intenderà «potenziare l'ingresso» dei dottorati «nei canali del lavoro e della ricerca privati», oltre che in quelli accademici. «Le riforme che stiamo portando avanti sono l'unico modo per dare delle risposte alla disoccupazione giovanile, e aiutare quindi i giovani», ha commentato il ministro. ______________________________________________________________ Il Mattino 29 gen. ’11 SCATTA LA CORSA AL DOTTORATO: 1.406 DOMANDE PER 441 POSTI Luisa Maradei È scaduto ieri il termine ultimo per presentare le domande di partecipazione ai posti per i dottorati di ricerca banditi dall'università Federico II. Per 441 posti ín tutte le facoltà dell' ateneo napoletano sono giunte 1.406 domande. Insomma meno di un laureato su tre riuscirà ad accedere alla scuola di dottorato di durata triennale e saranno ancora di meno quelli che riusciranno ad avere una retribuzione. Circa la metà dei posti messi a concorso, infatti, sono privi di borsa di studio mentre quei candidati che riusciranno a conquistare la borsa dovranno comunque accontentarsi di 13.638,47 euro Vanno. «Numeri esigui», commentano i ricercatori della Rete 29 aprile, impegnati nella lunga battaglia autunnale di contrasto al ddl Gelmini, poi diventato legge. Ricercatori che, nonostante l'approvazione del testo da loro duramente contestato, intendono ribadire anche per il secondo semestre la loro indisponibilità alla didattica mettendo così a serio rischio le docenze dei corsi che partiranno nelle prossime settimane. E sempre nelle prossime settimane, tra fine febbraio e inizio marzo, è previsto un fitto calendario di prove scritte e orali per selezionare i futuri dottorandi. Le date per ogni facoltà sono pubblicate nel bando e disponibili sul web, così come on line sono dovute pervenire tutte le domande di partecipazione, previa registrazione e pagamento di una tassa concorsuale di 20 euro. Ma vediamoli questi dottorati di ricerca. La parte del leone la fanno le facoltà scientifiche, in alcuni casi anche grazie all'aiuto di aziende private che finanziano parte delle borse di studio. È il caso, per esempio, del dottorato in Scienze biotecnologiche: 13 posti a disposizione, 11 con borsa di studio e 2 senza borsa; 2 borse sono finanziate dalla multinazionale Novartis vaccini. O ancora è il caso di Scienze chimiche: 14 borse di studio, di cui 7 finanziate, una dalla Conser spa; così come pure Scienze del farmaco: 22 borse di studio, di cui solo 11 finanziate, una dalla società Merck Serono spa. Ingegneria industriale, nelle varie branche, conta ben 72 posti di dottorato, mentre medicina clinica solo 20, filosofia appena 8, giurisprudenza 28 mentre, nella regione del Vesuvio e delle numerose frane, studieranno i sistemi vulcanici e i rischi idrogeologici-ambientali solo due dottorandi, ma uno solo sarà pagato. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 28 gen. ’11 TUTTE LE CHANCE NEGLI ATENEI D’ITALIA Sono 170 i concorsi per ricercatori universitari aperti in questi giorni, distribuiti in una trentina di atenei con prevalenza nelle discipline matematiche e fisiche, ingegneristiche, mediche e statistiche. Riferiamo quelli con maggiori opportunità. L’università di Chieti con 35 ricerche: fisica, architettura, chimica, farmacia, lingue, psicologia, geologia, attuariato, filosofia. Scadenza 17 febbraio. L’università di Messina con 22: economia, farmacia, lettere e filosofia, matematica e fisica, scienze politiche. Domande entro il 31 gennaio. Stessa data anche per più di 30 ricerche a Roma, sia alla Sapienza sia a Roma 3, per aree molto diverse: da architettura e giurisprudenza fino a ingegneria e scienze politiche. Tredici opportunità entro febbraio all’università di Padova: ingegneria, scienze matematiche e scienze della formazione. Infine, sempre riferendoci a chi ha più di una ricerca, l’università di Potenza cerca 6 ricercatori e 5 ciascuna Bergamo e L’Aquila mentre Genova e Reggio Calabria ne selezionano 4 a testa. Candidature tra il 31 gennaio e il 14 febbraio. L’università Bocconi ha invece una diversa impostazione e per incrementare le sue strutture di ricerca non bandisce posti di ricercatore ma di Assistant professor (una ventina all’anno). Sono ancora aperte 3 possibilità e altre 10 se ne apriranno nel secondo semestre. Infine un accenno alla Borsa della ricerca: un career day dedicato (prossima edizione a Bologna il 20 e 21 maggio) con portale collegato per facilitare l’incontro fra le aziende che desiderano sviluppare progetti e i dottori di ricerca. E’ gestito da Emblema in collaborazione con la Fondazione Crui (www. borsadellaricerca. it). Chi invece desidera sviluppare una tesi di ricerca (o di laurea) che possa fare da ponte con il mercato del lavoro, grazie a Tesi on demand potrà scegliere tra gli argomenti proposti da alcune aziende (www. tesionline. it). L. Ad. ______________________________________________________________ Il Manifesto 26 gen. ’11 LAUREATI E UMILIATI Ancora maggiore flessibilità al primo impiego, riallocamento dei laureati disoccupati nel «lavoro manuale», incentivazioni dei contratti di apprendistato già nelle scuole, finanziamento dei privati che «rischiano e investono sulle capacità degli under 35»: è questa la ricetta dei ministri Sacconi, Gelmini e Meloni per rilanciare l'occupazione giovanile. LAVORO Il governo fa il punto sul «Piano per rioccupabilità dei giovani»: «Manca l'attitudine all'umiltà Marina della Croce ROMA Si muoverebbe su otto linee d'azione, il «Piano per l' occupabilità dei giovani» lanciato nei mesi scorsi dal governo senza che nessuno nel Paese se ne sia mai accorto. Per scoprirlo c'è voluta una conferenza stampa organizzata ieri a Palazzo Chigi dai ministri Maurizio Sacconi (Lavoro), Mariastella Gelmini (Miur) e Giorgia Meloni (Gioventù) che nel trarre un bilancio sul programma di attuazione del Piano hanno anche annunciato di aver stanziato all'uopo oltre un miliardo di euro. Ma dopo aver tagliato 1,3 miliardi all'Ffo degli atenei nel triennio 2010-2013, ieri Gelmini ha anche annunciato la disponibilità di 170 milioni di euro per «potenziare l'ingresso dei dottorati nei canali del lavoro e della ricerca privati». Un miliardo, dunque, ma a cosa serve? A «scardinare il sistema Italia. fare una rivoluzione culturale che sia in grado di tirarci fuori dal '68, abbattere i privilegi acquisiti e adeguare la società al mercato del lavoro che cambia». È Giorgia Meloni a de-scrivere la vera ambizione governati-va, che è tutt'altro che porre rimedio all'inoccupazione giovanile arrivata in Italia a livelli record. Meloni però ha già individuato il primo ostacolo al suo orizzonte rivoluzionario: l'« inattitudine all'umiltà» di cui soffre la nostra «Gioventù». Tradotto da Sacconi, il Piano che sarà monitorato da una task force dedicata ruota attorno ad una se possibile maggiore flessibilità ad accettare contratti atipici di primo impiego, all'incardinamento del sistema scolastico e universitario alla formazione lavorativa e professionale, e alla riscoperta del lavoro manuale come proposta occupazionale per i tanti giovani che hanno avuto la velleità di laurearsi. Incuranti del richiamo dell'Il° a dare priorità assoluta alla disoccupa- zione giovanile, e del fatto che il 47,1% dei giovani italiani, secondo l'ultima indagine Istat, possiede un titolo superiore a quello richiesto per svolgere la propria attività professionale o lavorativa, i ministri hanno individuato gli assi portanti del Piano governativo in azioni che vanno sostanzialmente in un'unica direzione: l'ulteriore erosione dei diritti. Per Sacconi infatti bisogna riadattare «una parte delle norme dello Statuto dei lavoratori. quelle che riguardano diritti universali e fondamentali, alle diverse condizioni di impresa di territorio o di settore». E per rilanciare l'occupazione il governo punta sul monitoraggio —tramite la ristrutturazione del sistema informativo Excelsior disponibile in ciascuna provincia — delle professionalità maggior-mente richieste nel mondo del lavoro; sull'incentivazione del contratto di apprendistato di primo livello pe raga77i tra i 15 e i 18 anni e la costituzione di 58 scuole speciali di tecnologia («è in corso di predisposizione — ha spiegato Sacconi — il decreto legislativo per rendere effettivo l'obbligo formativo degli apprendisti»); e sui contratti di primo impiego. Un punto, quest'ultimo, su cui il titolare del Welfare auspica «che le parti sociali siano disponibili a discutere il salario». Ci sarebbero poi 100 milioni di euro destinati ad incentivare «l'autoimprenditorialità» finanziando «iniziative messe in campo da soggetti privati che decidano di rischiare e investire sulle capacità e il talento dei giovani under 35» e «l'apertura di 21 sportelli per lo start-up d'impresa nelle università italiane». Per il resto, il governo ha fissato sul calendario, il 17 maggio prossimo, un bel «Giorno per il futuro», da dedicare nelle scuole alla diffusione del la cultura della previdenza e della sicurezza sul lavoro, e al contrasto del lavoro giovanile irregolare e sommerso. Un Piano, questo, che se per la Uil ridà «speranza lavorativa a molti giovani», per la Cgil invece tradisce l'in-concludenza delle politiche governative sull'occupazione giovanile. «Se il governo intende investire un miliardo, aggirando le tagliole di Tremonti — ha commentato il capogruppo Pd in commissione lavoro alla Camera Cesare Damiano suggeriamo di reintrodurre il credito di imposta automatico per far costare di meno alle imprese le nuove assunzioni a tempo indeterminato». ______________________________________________________________ Il Giornale 27 gen. ’11 COSÌ I BARONI REGALANO GLI STUDENTI DA LODE ALL'UNIVERSITÀ PRIVATA Gli allievi col voto di maturità alto in fuga verso Luiss e Bocconi: chi frena le riforme affossa gli atenei pubblici di Stefano Zecchi Nel corso degli anni si è tra-scurato il rapporto organico che le università dovrebbero avere con la realtà economica del Paese. Una trascuratezza non dovuta a miopia legislativa, ma a una visione coerente con quell'idea di Accademia che nasceva dalla legge di Giovanni Gentile degli inizi del secolo scorso, e che più o meno esplicitamente ha sempre re-golato il funzionamento delle università statali. Queste ave-vano il compito istituzionale di formare l'élite culturale che sarebbe diventata classe dirigente del Paese. Una tale visione delle università non richiedeva un'apertura organica alla vita economica della società, semmai erano le imprese che dovevano accogliere le conoscenze della ricerca scientifica svolta nelle accademie. Un caso emblematico è stato il celebre istituto di fisica in cui lavorava, tra i più celebri scienziati. Enrico Fermi. Insomma, l'università intesa come «torre d'avorio» più o meno isolata dal contesto economico imprenditoriale della società italiana. È trascorso del tempo dalla legge Gentile, ma pur con le più diverse riforme che hanno modificato l'università, l'idea di ateneo come «torre d'avorio» non è cambiata di molto. Si osservi come uno dei temi che hanno caratterizzato la contestazione alla legge Gelmini, fosse proprio la garanzia di autonomia della gestione delle università da ingerenze di privati. La riforma infatti prevede che i consigli di amministrazione degli atenei debbano avere consiglieri esterni. Queste presenze venivano considerate dai contestatori un'inaccettabile interferenza nella vita universitaria, non invece un miglioramento delle sue potenzialità di ricerca. Non c'è da stupirsi se oggi le università private aumentino le iscrizioni. Non è soltanto una questione di efficienza, di rispetto delle professionalità e del merito: il motivo per cui si preferisce il privato dipende dal fatto che università come la Bocconi, la Luiss, il San Raffaele hanno con l'economia della nostra società un rapporto organico. Questo significa sviluppare una ricerca che non è autoreferenziale. L'ingresso dei giovani è molto più probabile studiando in un ateneo che si dà come missione quella di interagire conia realtà economica, piuttosto che in un ateneo che presume di preparare una classe dirigente astratta dalle esigenze del Paese. C'è anche da sottolineare un altro aspetto importante nella visione proprio degli atenei privati. La loro apertura al mercato (di idee, non solo economico) favorisce l'ingresso di capitali privati. Di conseguenza, l'ateneo non solo risolve più agevolmente i propri problemi di gestione finanziaria, ma i suoi laureati sono tenuti sotto la lente di ingrandimento delle imprese stesse, che hanno ovviamente ogni interesse ad inserire nel lavoro quei giovani meritevoli che hanno studiato, rispettando certi livelli di qualità della ricerca. In questa circostanza è chiaro come la meritocrazia, che oggi sembra essere la soluzione di ogni problema universitario, non viene risolta astrattamente, ma in un rapporto tra studio, impresa che partecipa alla gestione dell'università e qualificazione professionale del giovane. Infine va ricordato che se nell'ateneo privato lo studente non rovinato da assurdi ideologismi coglie immediatamente le opportunità lavorative per il suo futuro, l' iscrizione ai corsi è cara, spesso molto cara. Ciò significa che se le università statali non si adegueranno in fretta agli standard culturali di quelle private, noi avremo un' istruzione accademica classista: chi ha soldi studierà bene e troverà lavoro, gli altri verranno ingiustamente penalizzati ______________________________________________________________ Europa 27 gen. ’11 ATENEI, LA SFIDA INGLESE LORENZO VALER Con il regolamento per il reclutamento dei professori associati e ordinari e iniziato il percorso della riforma Gelmini. Un passaggio difficile per il nostro paese i cui risultati li vedremo fra alcuni anni. Il problema università, compreso l'accesso, rimane e non solo nel nostro paese ma anche a livello internazionale. Un problema che non deve essere visto solo dal punto di vista organizzativo ma come punto di snodo per la creazione di elite internazionali come argomentato recentemente dall'Economist. Nel passato l'accesso alla scuola primaria e secondaria era una tappa obbligata per la formazione di questa élite. Ora l'università svolge questa funzione. Un paese dove, seppur con un forte senso della meritocrazia, la difficoltà nell'accesso all'università potrebbe diventare causa di conflitti sociali è la terra di Oxford, Cambridge e della London School of economics. Ricordiamo le manifestazioni dello scorso dicembre contro l'aumento delle tasse universitarie e quelle future contro l'abolizione del Education Maintaince Allowance, un programma di aiuto per le spese didattiche degli studenti. Scontri simili erano avvenuti anche durante il governo Blair che aveva iniziato un simile percorso. Oggi la situazione inglese è differente con la crisi economica che ha ampiamente ridotto il margine di azione di Downing Street per favorire l'accesso all'università per studenti meno abbienti. Ecco quindi l'intervento di Simon Hughes, deputy leader dei liberai democratici, con il richiesta di aumentare borse di studio e di spingere gli atenei ad ammettere un numero crescente di liceali dei licei pubblici. Mentre solo il 7.2% dei liceali inglesi frequenta scuole private, questi rappresentano il 25% nelle università fino a toccare il 46.6% ad Oxford e a Cambridge. Questo non significa che le università inglesi dovranno abbassare i loro standards. Il governo di coalizione dovrà invece intervenire attivamente per contenere l'impatto sociale dell'aumento delle tasse vista la sicura crescita dell'indebitamento personale degli studenti inglesi nel tempo. Bisognerà anche trovare il modo di finanziare tutto il postlaurea visto che i laureati inglesi diventeranno ancora più selettivi nello scegliere i master per via del loro crescente indebitamento personale. Già molti di loro stanno vagliando la possibilità di studiare all'estero, che significa non solo Usa, soprattutto quando non si riesce ad essere ammessi alle migliori università del paese. Per scongiurare questi conflitti Cameron e Clegg saranno costretti a rivedere in meglio il programma di prestiti d'onore e di diritto allo studio nel complesso. Si rivolgeranno al mondo privato anche se questo non può essere una soluzione visto che è già molto presente nella vita accademica degli atenei inglesi con ottimi risultati. Serve invece un forte intervento per evitare di compromettere gli obiettivi di fairness e di crescita sociale di cui Cameron e Clegg si sono fatti portavoce e, soprattutto, per preservare quell'assett strategico nazionale che sono gli atenei. ______________________________________________________________ Il Fatto 28 gen. ’11 INTERNET, E IL SAPERE DIVENTA COME LA MUSICA SI MOLTIPLICANO I PORTALI DAI QUALI SCARICARE E ASCOLTARE (O VEDERE) LE LEZIONI UNIVERSITARIE. TUTTO GRATIS di Federico Mello Cosa ascolto oggi? Nell'era di Internet, l'offerta di musica e contenuti da fruire ogni giorno non ha limiti. Ma tra mp3, vecchi cd, radio on e off-line, una nuova forma di intrattenimento-apprendimento si sta diffondendo tramite la rete, il podcast e i lettori digitali: quella che era una volta conoscenza elitaria, destinata a discenti universitari nel chiuso delle loro aule, oggi tramite iTunes e YouTube è a disposizione di tutti. Le lezioni delle Università del mondo compresi alcuni atenei italiani vengono scaricate a migliaia, e poi fatte "suonare" in casa, in auto, nell'iPod così come le trasmissioni radiofoniche di successo. iTunes U è la sezione "University" del negozio digitale della mela morsicata Apple Store. Conta 350 mila lezioni, ma anche video, film presentazioni power point e risorse gratuite dalle Università più prestigiose del mondo: Stanford, Yale, Harvard, il Massachusetts Institute of Technology, Oxford, la Uc di Berkeley ma anche le italiane Bocconi, l'Università di Pisa, la Federico II di Napoli, l'Università degli Studi di Trento, l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e l'Università di Trieste. OGNI UNIVERSITÀ può decidere se restringere la fruizione delle lezioni ai propri studenti, o metterle a disposizione di tutti (questa l'opzione più diffusa). Le lezioni, tutte gratuite, si possono sfogliare per argomento: economia, storia, scienze, matematica, letteratura, arte; ed è possibile effettuare una ricerca per ateneo o per docente. La maggior parte dei corsi, per ora, sono in lingua inglese, ma aumentano di continuo anche quelle in italiano. Oltre alle discipline classiche, spazio anche a riflessioni originali, approfondimenti fuori dai canoni: uno dei corsi più scaricati è quello in "Giustizia" del professore Michaell Sandel di Harvard. Le sue lezioni sono seguite da centinaia di studenti, attratti dai suoi studi che puntano a "sviluppare un pensiero critico sulle decisioni morali che incontriamo nella vita di ogni giorno" perché "le motivazioni morali non sono mai in bianco e in nero". La lezione di Sandel più scaricata in assoluto è, non a caso, "Cosa c'è di morale in un omicidio: un caso di cannibalismo". Per le lezioni in italiano, invece, è confermato l'interesse dei concittadini per Dante Alighieri, ma non mancano le lezioni di economia, management, storia contemporanea (in particolare l'Università di Napoli Federico II, con il suo canale Federica, è una delle più attive). Se iTunes coniuga le lezioni di alto profilo con la comodità di fruirle su qualsiasi supporto, compresi quelli portatili (i file si possono scaricare e si possono ricevere gli aggiornamenti via podcast), anche il portale video YouTube ha puntato sulla cultura universitaria. Ispirata al meccanismo di iTunes U, all'indirizzo youtube.com/education è disponibile un'ampia collezione di video degli atenei mondiali. ANCHE IN QUESTO CASO i Big americani e anglosassoni la fanno da padrone ma non mancano quelle di casa nostra. Già attivi i canali del Politecnico di Milano, l'Università Bocconi, l'Università di Ferrara e la Luiss Guido Carli di Roma (su YouTube Edu gli atenei non hanno puntato solo sulle lezioni, ma anche su video interni, presentazioni per gli studenti, dibattiti e contributi specifici dei docenti). Su Internet, infine, anche i video della Luw, libera università del Web. Le lezioni sono tenute da Youtubers, utenti competenti in una materia specifica (presenti i corsi di Filosofia, Studi Sociali ed Economici, Scienze Teologiche, Scienze Matematiche, Lettere e "Sicurologia"). Nato nel 2009, il progetto della Luw fa fatica a decollare. Molto meglio le lezioni di Yale. ______________________________________________________________ Corriere della Sera 24 gen. ’11 «NON SI PUÒ VIVERE DI SOLI TAGLI» Strategie Bordoni (Centromarca): «La corsa al ribasso dei prezzi comporta meno posti di lavoro e meno fondi per la ricerca» Una ricerca dell'Università Bocconi spiega i vantaggi per chi punta su produzioni di qualità Due percorsi, due strategie, due filosofie aziendali a confronto. Meglio aumentare la competitività sul mercato abbassando i prezzi, tagliando i costi e limitando gli investimenti oppure rilanciare costi e qualità puntando a prodotti di standard superiori? All'interrogativo ha cercato di rispondere una ricerca di Centromarca. «AI di là degli specifici risultati ottenuti — spiega Maurizio Dallocchio, responsabile dell'indagine condotta dall'Università Bocconi — il lavoro di ricerca mette in luce che, sebbene chi investe in qualità e non si concentra sulla minimizzazione dei costi possa nel breve termine non risultare più concorrenziale di chi punta alla competizione sul prezzo, nel lungo termine è in grado di garantirsi una migliore sostenibilità e quindi porre le basi per una più efficiente e durevole salute economico e finanziaria». I numeri, dunque, ci dicono che in un lasso di tempo limitato le due strategie portano risultati economici quasi identici. Il che significa che per gli azionisti e i proprietari delle imprese i due modelli sono sovrapponibili. Diverso però è il percorso di arrivo a questi risultati: il taglio dei costi (cost driven) e dei prezzi spreme la filiera ed elimina investimenti di social resportsability L'investimento sulla qualità (value driven) punta a un rilancio investimenti, della ricerca e quindi provoca una lievitazione dei costi. «Usando una metafora possibile in entomologia — spiega Andrea Illy, presidente e amministratore delegato dell'azienda triestina di caffè la strategia cost driven può essere assimilata a un predatore, mentre la value driven funziona come simbiosi, una collaborazione per sviluppare vantaggi competitivi». In questi anni di crisi economica e di calo dei consumi che ha fatto balenare lo spettro della recessione, sono state molte le imprese che hanno cercato di seguire la corsa al ribasso dei prezzi, soprattutto nell'area alimentare e nella grande distribuzione. «È vero — ammette Illy — però non è stato un fenomeno molto diffuso. Almeno due terzi delle imprese italiane competono più per valori che per, costi, fatta eccezione per una certa fascia di alimentare, il resto ha pensato a migliorare il prodotto e la filiera produttiva». Anche con la dovuta attenzione alla sostenibilità? «Certo — ribadisce Illy — l'attenzione a questi temi è una discriminante fondamentale soprattutto nei mercati esteri. E sappiamo quanto sia importante l'export in questa fase. Alla Illy, per esempio, abbiamo portato avanti il protocollo per ottenere una certificazione sulla sostenibilità della filiera, un riconoscimento che finora non esisteva ma che adesso fornisce un'importante biglietto da visita per i prodotti che lo possono esporre». Anche la strategia cost driven però ha diverse frecce al suo arco: garantisce ottimi risultati economici e non richiede investimenti immediati. «Ma è una scelta di corto respiro — obietta Luigi Bordoni, presidente di Centromarca — negli ultimi anni i beni di consumo hanno avuto un percorso deflattivo. Soprattutto nel settore della grande distribuzione la competizione continua ad essere imperniata sui costi: la battaglia dei ribassi però non può essere eterna e presto potrebbe portare pericolosi contraccolpi». Di contro, cresce l' attenzione dei mercati internazionali per una produzione sostenibile, per prodotti che siano eco-compatibili, e poco inquinanti. Tutti aspetti che richiedono investimenti anche sulla formazione del personale: se infatti è vero che la strategia del contenimento dei costi garantisce una maggiore occupazione, gli investimenti in qualità assicurano una migliore retribuzione del personale. «È inevitabile che i prezzi in futuro siano destinati a crescere — continua Bordoni — del resto, se così non fosse, il sistema pagherebbe il conto in altro modo: perdita di posti di lavoro, calo della qualità media e mancanza di fondi per l'innovazione e la ricerca». ISIDORO TROVATO ______________________________________________________________ L’Unità 26 gen. ’11 OBAMA ALLA DESTRA: SÌ AI TAGLI DI SPESA MA SCUOLA E RICERCA VANNO SALVATE Grande attesa negli Usa per il discorso che Obama doveva tenere sullo stato dell'Unione quando in Italia erano le 3 di notte. Era previsto l'annuncio di una svolta bipartisan sui temi economici. RACHELE GONNELLI rgonnelli@unita.it C'era grande attesa ieri negli Usa per il discorso sullo stato dell'Unione, che Barack Obama doveva tenere quando in Italia erano le tre del mattino. «Un'attesa quasi da Superbowl», scherzavano i commentatori del Wall Street Journal, paragonando l'avvenimento allo show più seguito sui teleschermi, la finalissima di calcio americano del prossimo 6 febbraio. L'attesa era per un giro di boa, sia politico sia economico. I temi del discorso erano stati anticipati nei giorni scorsi da Obama, annunciando che nel prosieguo del suo mandato si concentrerà sui modi in cui ridare smalto e competitività al sistema americano, farlo tornare a crescere creando posti di lavoro e stimolando gli investimenti delle imprese nazionali. Già in uno degli ultimi discorsi in North Carolina aveva parlato di «sputnik momeni», ricordando la grande sfida scientifica e tecnologica affrontata da Eisenhower prima e da Kennedy poi per recuperare il gap con i sovietici. «Come allora l'America è in gara e rischia di cadere all'indietro», aveva detto. Il problema ricorda Huffington Post è che su come attrezzarsi per questa sfida, evidentemente questa volta con la Cina, ci sono ricette divergenti tra repubblicani e democratici. Per i repubblicani si tratta di operare profondi tagli alle spese e limitare l'intervento statale. Per Obama l'innovazione passa per investimenti nell'istruzione, nella ricerca, nelle infrastrutture. Ma Obama dovrà cercare di governare il più possibile in modo bipartisan, dati i numeri della sua maggioranza. TUCSON MAI PIÙ Per dare una sterzata centrista alla sua amministrazione, l'inquilino della Casa Bianca dovrà emarginare l'ala estrema dei repubblicani: il Tea Party. Già dagli inviti alle personalità ammesse ad assistere al discorso, affidati come d'uso alla First lady, era chiaro il monito. Oltre al seggio vuoto di Gabrielle Giffords, ancora in ospedale dopo l'attentato subito in Arizona, spiccavano i posti assegnati al neurochirurgo che operò la deputata democratica, al giovane collaboratore che le tamponò la ferita alla testa e ai familiari di Christina Green, la bimba di 9 anni uccisa nella sparatoria. Il marito della Giffords, l'astronauta Mark Kelly, invitato anche lui, ha fatto sapere che avrebbe seguito il discorso dalla camera d'ospedale della moglie. ______________________________________________________________ Il sole24Ore 25 gen. ’11 DALLA CRUSCA LEZIONE DI SEMPLICITÀ PER I DOCUMENTI DEI BUROCRATI Valentina Melis Evitare parole come testé, altresì, onde e ove. Scrivere «si tratta» anziché «trattasi», «consultabile» anziché «ostensibile». E «capo progetto» anziché «project manager». Di regola, usare l'indicativo presente. Sono alcuni consigli del manuale «Regole e suggerimenti per la redazione degli atti amministrativi», messo a punto dall'Accademia della Crusca insieme con il Cnr, la regione Toscana e alcuni comuni e università, con l'obiettivo di sburocratizzare il linguaggio della pubblica amministrazione. Una lotta a dir poco titanica, già intrapresa in passato da vari ministri della Funzione pubblica, che negli anni novanta ha già portato alla diffusione di un «Manuale di stile» per le pubbliche amministrazioni voluto dall'allora ministro Franco Bassanini. Il traguardo è ancora lontano, come evidenzia il paragrafo di una ordinanza comunale di 73 parole che l'Accademia della Crusca propone di ridurre a 37, senza perdere neanche una delle informazioni del testo. «Perché in inglese basta dire safety area e in italiano parliamo di luogo statico sicuro?» si chiede il presidente emerito dell'Accademia della Crusca Francesco Sabatini. «Il burocratese spiega è una vecchia malattia dell'italiano, frutto di una scarsa diffusione della lingua viva fino all'unità d'Italia. Dopo l'Unità, la diffusione della cultura è stata più ampia e abbiamo fatto passi avanti, ma alcune strutture linguistiche complesse hanno resistito». Tra le regole del nuovo manuale, spiccano l'abolizione di congiunzioni inutili e pronomi incomprensibili (tipo esso ed essa quando non si riesce a riferirli al soggetto), l'addio alla doppia negazione («si deve esprimere» anziché «non si può non esprimere»), il cartellino rosso per l'abuso del congiuntivo. Perché mettere al bando il congiuntivo? «I codici e le leggi spiega ancora Sabatini usano l'indicativo presente. L'uso del congiuntivo nei testi giuridici è fonte di incertezza». Alla presentazione del Manuale, che avverrà l'u febbraio a Firenze, seguiranno i corsi di formazione per i dipendenti delle amministrazioni che aderiranno al progetto. Hanno cominciato ieri, con una presentazione in anteprima delle regole-base, 50 dipendenti del comune di Prato. ______________________________________________________________ Il Mattino 25 gen. ’11 «BUROCRATI D'ITALIA BASTA PARLARE ASTRUSO» L'iniziativa Fronte comune giuristi-linguisti 11 Cnr dichiara guerra ai testi oscuri delle leggi stallo di sosta? No, posto auto Santa Di Salvo Alzi la mano chi non prova l'irresistibile desiderio di sfasciare la macchinetta mangia biglietti appena legge il pressante invito a "obliterare il titolo di viaggio". È come ai tempi del colera a Napoli, raccontava Luciano De Crescenzo, quando il telegiornale -dava la colpa ai mitili e i napoletani, non sapendo bene, continuavano a mangiare le cozze. Certo, i mitili non appartengono al burocratese, ma la tentazione del linguaggio astruso è la stessa. P l'antica vocazione italica gergo, al sottocodice, agli specialismi inutilmente contorti che affollano ogni giorno banche, scuole, mass media, tribunali, ospedali, computer e pubblica amministra-zione. Dopo alcuni lodevoli tentativi isolati, ecco il primo passo concreto verso la "sburocrazia linguistica". Stop al burocratese. Un team di esperti del Cnr, specializzati in teoria e tecniche dell'informazione giuridica, ha lavorato a un progetto di semplificazione che si è tradotto in una Guida al linguaggio amministrativo chiaro e scorrevole. Primo corso pratico a Firenze, ma già si lavora ad altri corsi presso le università di Catania, Modena e Reggio Emilia in collaborazione con molte realtà locali. E l'Accademia della Crusca ha aperto la sua sede prestigiosa per un "brain stormi/1g" che si terrà a febbraio sul tema "La redazione degli atti amministrativi: linguisti e giuristi a confronto". Infarciti di formule astruse, di vocaboli desueti, di aulici gerundi e arcaici participi presenti, i nostri documenti amministrativi sono il brodo di coltura ideale del burocratese. Già oggetto di studi linguistici che ne hanno tentato la traduzione in italiano, i linguaggi ufficiali puntano a rappresentare una realtà sterilizzata, asettica, senza sentimenti. Ma soprattutto, sotto l'apparenza dell'efficienza, essi nascondono un grave pericolo per la democrazia: l'oscurità. Che è l’unico modo per mantenere il potere. Per la stessa ragione, subito dopo converrà attaccare anche la cittadella inespugnabile dei finti gerghi specialistici. Ma come? Francesco Romano, uno degli esperti del Cnr coinvolti nell'iniziativa, dice che la novità assoluta è nel lavoro interdisciplinare: «Gli atti amministrativi devono essere chiari per venire compresi dai cittadini, ma allo stesso tempo devono rispondere a esigenze di legittimità e facilitare l'uso di strumenti informatici. Ciò ha reso necessaria la presenza di linguisti, giuristi, informatici e funzionari pubblici». Speriamo che stavolta la formula funzioni. Da almeno un decennio i ministri della Funzione Pubblica annunciano misure di semplificazione, compresi i manuali di stile per leggi e circolari, mai risultati finora sono stati insignificanti. Uniche eccezioni alcune lodevoli iniziative locali come quella del comune dì Padova, che affidò al linguista Michele Condiamo un manuale di riscrittura che è già un modello significativo con testo a fronte. Dove si legge che "sanzionare penalmente" può diventare un semplice "punire" e che al posto di "provvedere alla copertura assicurativa" si può solo "assicurare". Nel corso del Cnr si fa proprio così: si riscrivono gli atti seguendo le regole della Guida. E qualcuno scopre con sorpresa che la "destituzione temporanea di uno stallo di sosta" è la soppressione di un posto auto. Molti gli enti locali che hanno già richiesto seminari illustrativi con tanto di prontuario per i funzionari tornati nei banchi di scuola. Al convegno di febbraio presso l'Accademia della Crusca toccherà fare la sintesi del lavoro svolto e illustrare le nuove proposte. Con la promessa che ci sarà spazio per sforbiciare anche sul "politicamente corretto", che ormai sfiora il ridicolo. Finiremo col chiamare "non masticante" lo sdentato? si chiedeva Ceronetti. Probabile, in una società in cui gli anziani oggi sono tutti "diversamente giovani". ______________________________________________________________ Corriere della Sera 28 gen. ’11 CURRICULUM, GLI ERRORI DA NON FARE Molti candidati scivolano sulle cose più semplici, come l’ortografia Una buona parte di colpa è dell’informalità dei social media, dagli sms alle email a Facebook. I giovani (ma dilaga anche nei più maturi) abituati a comunicare con i «xché invece dei «perché» o i «cmq» al posto dei «comunque» , dimenticano le regole dell’ortografia e della grammatica. O quantomeno non distinguono più gli ambiti in cui l’informalità e l’approssimazione sono lecite da quelli dove risultano inopportune. Così rischiano di veder cestinata la propria candidatura quando sono alla caccia di un posto di lavoro. Lo conferma un’indagine della multinazionale della «caccia di teste» Robert Half, che ha preso un campione di 2.400 manager europei delle risorse umane ed ha posto una secca domanda: «Come vi comportate se trovate errori di ortografia nei curricula?» . Il risultato è che all’ 11%dei selezionatori basta un solo errore per cestinare la domanda e che la maggioranza relativa, il 32%, è più indulgente ma non tollera più di due o tre minime imperfezioni. «Anche i piccoli errori di battitura — avverte Carlo Caporale, associated director di Robert Half— danno l’idea di una scarsa attenzione del candidato e di una sottovalutazione dell’importanza del curriculum testuale, sia esso cartaceo che inviato via email. Tanto più che il tempo disponibile per valutarlo è molto limitato» . Più precisamente, secondo l’indagine, meno di 5 minuti per il 19%del campione, tra 5 e 10 per il 48%, più di 10 per il restante 33%. Per Alessandro Pivi, presidente di Cesop communication, società di consulenza per le risorse umane, è proprio l’abitudine a frequentare i social network che può far distorcere la percezione dei candidati: «In quei contesti si abbattono le barriere di età e i livelli di professionalità, così un giovane tende a trattare tutti nello stesso modo. Invece in un curriculum viene valutata anche la capacità di capire quale sarà il ruolo che si dovrebbe assumere» . Nel panorama europeo, però, i selezionatori italiani si rivelano come i più indulgenti. A fronte di una media continentale del 28%che ritiene non contino nulla gli errori di ortografia — valore che scende al 21%per i francesi e al 16%in Germania— i manager italiani che minimizzano toccano quota 39%. «Da noi i curricula sono mediamente più lunghi e discorsivi rispetto alla sintesi di quelli anglosassoni — commenta Caporale— quindi qualcuno lascia correre un po’ di più. Ragione ulteriore per non avere la minima sbavatura ortografica quando si invia un curriculum in lingua a un’azienda straniera» . Un’alternativa (già abbastanza diffusa negli Stati Uniti) al documento testuale è il cosiddetto video curriculum. «In Italia però è ancora molto poco frequente— spiega il presidente dell’associazione di direttori del personale Gidp Paolo Citterio—. È un peccato, perché sarebbe apprezzabile, soprattutto per le figure commerciali. Attenzione, però, va realizzato molto bene, perché se non si è capaci di stare davanti a una videocamera in modo disinvolto ed efficace, diventa un autogol» . Enzo Ribon ______________________________________________________________ Corriere della Sera 25 gen. ’11 BREVETTI E INNOVAZIONE, RIVINCITA DEI DISTRETTI HI-TECH I settori interessati sono quattro: farmaceutica, biomedicale, aeronautica e informatica Sono 18 i poli censiti da Intesa Sanpaolo Da Varese, a Mirandola e Napoli Passera: crescita italiana insufficiente Li avevano dati per morti e invece tengono botta. I distretti, il modello italiano di industrializzazione diffusa, sono pienamente in campo e il protagonismo della Cina e dell' India ne ha esaltato la capacità di reazione. La certificazione dell' avvenuto miracolo viene dall' ufficio studi di Intesa Sanpaolo, che arriva a chiedersi se non sia iniziata «una nuova stagione per i distretti italiani». A supportare questo giudizio ci sono le performance dell' export dei Piccoli in Cina grazie alla metalmeccanica, all' oreficeria di Vicenza, alla concia di Arzignano e alle calzature di Fermo - e persino alla seta di Como -, ma anche un' intensa attività brevettuale che sosterrà la competitività futura. Tutte cose che fanno dire all' amministratore delegato Corrado Passera che «la grande capacità di reazione fa leva sul diventare più flessibili e sulla capacità di investire in innovazione e internazionalizzazione». La riprova viene dalla prima mappatura che proprio Intesa Sanpaolo ha fatto dei distretti tecnologici. I ricercatori ne hanno censiti ben 18 e hanno constatato come siano proprio loro ad avere raggiunto i migliori risultati. Dove l' innovazione si fa largo il mercato la premia. Ma attenzione, i distretti tecnologici nascono in maniera diversa da quelli tradizionali, l' innesco è dato quasi sempre da un forte investimento nel campo della ricerca ad opera di istituzioni pubbliche o aziende private. «Un distretto tecnologico - dice la ricercatrice Serena Fumagalli - si distingue per la presenza di imprese high tech con manodopera particolarmente qualificata e collegate a poli universitari e centri di ricerca». Insomma per crescere nell' high tech non basta lo spontaneismo ma ci vuole un' azione combinata. E quindi ha buon gioco Passera a sottolineare come «la crescita prevista per il nostro Paese non è sufficiente, dobbiamo crescere di più per creare occupazione». Se lo facessimo anche solo alla media di Francia e Germania il nostro Pil aumenterebbe, secondo Passera, «di 27 miliardi di euro in due anni». I 18 poli censiti hanno già iniziato a produrre beni commercializzabili e con un grado di internazionalizzazione commerciale sufficiente. I settori interessati sono quattro: farmaceutica, biomedicale, aeronautica e informatica. La loro presenza sul territorio è sostanzialmente equilibrata tra Nord e Sud e questa è a suo modo una novità perché i distretti tradizionali sono invece addensati in Padania. Nei poli farmaceutici prevalgono imprese di dimensioni medie (attorno ai 100 addetti) a causa di un mercato con alte barriere all' ingresso e nel quale operano in qualità di competitor numerose multinazionali straniere. Due terzi degli addetti sono concentrati nelle aree milanese e laziale, e in quest' ultima regione spicca il peso della provincia di Latina, dove sono insediati anche i maggiori gruppi esteri. Nei distretti lombardi e laziali si brevetta molto e si esporta anche molto. I mercati più accoglienti sono quelli emergenti, dall' America latina alla Russia, passando per Cina, India, Romania e Repubblica Ceca. Due terzi delle vendite all' estero del farmaceutico italiano si devono ai distretti. Intesa Sanpaolo ne indica quattro: il polo milanese, quello laziale (tra Roma, Frosinone e Latina), quello toscano (tra Firenze, Siena e Pisa) e quello napoletano. In tutto circa 70 mila addetti che hanno prodotto dal ' 98 al 2007 ben 1.100 brevetti. Il distretto biomedicale è quello di Mirandola in provincia di Modena, piuttosto conosciuto e che si è specializzato nella produzione di componenti monouso, apparecchiature per la emodialisi, prodotti per la cardiochirurgia, la trasfusione e l' anestesia. Nato attorno agli anni 60 grazie all' intuizione di un imprenditore locale, Mario Veronesi, il distretto presenta oggi realtà molto diverse tra loro sia per dimensione sia per campo di azione. Grandi multinazionali operano accanto a piccole imprese e hanno in comune l' impegno nelle attività di ricerca e innovazione. In tutto si tratta di 243 unità locali che danno lavoro ad oltre 2 mila addetti. Più complesso si è rivelato il lavoro dei ricercatori per individuare le filiere dei Piccoli dell' information and communication technology (Ict). Sono stati selezionati 8 poli che rappresentano alla fine il 59% del totale degli addetti italiani del settore (circa 200 mila). La prevalenza è di piccole e piccolissime imprese (media di 7 addetti) con elevata propensione all' export. A guidare il plotone sono Milano e Roma, ma esiste un polo Ict veneto, uno torinese, uno genovese, uno catanese, uno dislocato tra Bologna e Modena e infine uno a L' Aquila. Milano da sola occupa quasi 70 mila persone e Roma 50 mila. Segue Torino con 25 mila. A far registrare il maggior numero di brevetti è la provincia di Milano (quasi 2 mila), seguita da Torino, ma il dato di ciascun distretto è sottostimato perché non tiene conto dei brevetti registrati dalle università o dai centri di ricerca, nonché delle innovazioni introdotte nel software e non brevettabili. L' ultimo settore preso in considerazione è l' aeronautico con cinque distretti. Gli addetti totali sono 24 mila e Varese, Napoli e Torino si contendono il primo posto. Le imprese in questo caso sono di dimensioni più grandi. A Varese c' è la dimensione più elevata che però si giova tutto intorno di una filiera di piccole e medie. Tutto ciò genera una grande capacità di esportazione, il 34% del volume nazionale. Varese brevetta anche molto di più degli altri. La Grande Crisi è stata una iattura anche per i distretti tecnologici che però sono riusciti - meglio di quelli tradizionali - a contenere le perdite dell' esercizio 2009 nel 3,7%. Ma quattro aziende su 10 anche in condizioni difficilissime sono riuscite a crescere di fatturato specie nel farmaceutico e nell' aerospaziale, settori caratterizzati da una domanda meno sensibile al ciclo economico. La specializzazione high tech ha dunque pagato e la conferma viene anche dall' analisi dei dati di bilancio come margine operativo, Roe e Roi. Quale sarà il futuro dei 18 poli non è ovviamente facile dirlo, ma dall' indagine di Intesa Sanpaolo emerge come anche nei settori ad alta innovazione la formula distrettuale abbia campo e si batta con buoni risultati. «Per assistere le imprese - chiosa Passera - è necessario adoperarsi come banche non soltanto assicurando il credito ma anche mettendo a disposizione il capitale per favorire la crescita dimensionale anche attraverso il consolidamento tra aziende». Sulla struttura proprietaria delle imprese italiane un commento viene anche dal professor Andrea Beltratti, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo. «Un sistema in cui il capitale produttivo è detenuto soprattutto da famiglie imprenditoriali, e non dal grande pubblico degli investitori attraverso la Borsa, impedisce agli imprenditori di godere dei benefici della diversificazione e quindi in ultima analisi non li incentiva a rischiare per crescere». Dario Di Vico Generazionepropro.corriere.it ddivico@rcs.it Di Vico Dario ______________________________________________________________ Repubblica 27 gen. ’11 MEMORIA LA SCIENZA RISCOPRE POESIE E TABELLINE Uno studio americano rivaluta un metodo didattico passato di moda e spiega perché è più efficace Ricordare un testo, dei versi o una sequenza di numeri non è nozionismo ma aiuta a elaborare i concetti DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREATARQWNI BERLINO Nel mezzo del cammin di nostra vita...", oppure "Sempre caro mi fu quest' ermo colle ...":chi ricorda ancora a memoria passi della Divina Commedia di Dante o L'Infinito di Leopardi? Negli ultimi decenni imparare a memoria, assimilare passivamente, ripetere e annotare, era andato fuori moda come metodo didattico: nozionismo sorpassato. Invece no: imparare a memoria, leggere e rileggere, ripetere, è spessissimo il metodo migliore per apprendere, fino ai massimi livelli accademici e non solo alle elementari o alle medie. A questa conclusione, rilanciata dai media tedeschi, sono arrivati Jeffrey Karpicke e Janell Blunt, psicologi alla Purdue University di West Lafayette, Indiana, Usa.Alloro studio la rivista "Science" ha dedicato un ampio resoconto. Il sogno degli studenti universitari, si dice qui scherzando, è arrivare all'esame con un metaforico imbuto che ti immette nozioni e concetti nella memoria. Ma come darsi da soli un "imbuto" funzionante? Jeffrey Karpicke e Janell Blunt suggeriscono in sostanza "keep it simple", quindi impara a memoria, ripeti e ricorda. E prendi appunti, se possibile a mano perché il collegamento dell'attività motoria dello scrivere col cervello aiuta a ricordare ben più dell'uso della tastiera di un computer. Imparare amemoria eripetere, dicono Karpicke e Blunt, è un metodo molto più efficace per assimilare nozioni e concetti, e p oi averli nella propria memoria e quindi utili77arli nel ragionamento, in connessioni logiche, rispetto a metodi nuovi come l'uso di cosiddette "concept maps" o "mind maps". Cioè schizzi e grafici, come nelle illustrazioni scientifiche moderne, in cui i punti e i concetti principali della materia d'apprendi mento vengono messi in correlazione tra loro. Viva l'imparare a memoria e la ripetizione, scrivono i due psicologi su "Science", spiegando due esperimenti che hanno condotto. Nel primo, hanno consegnato a 80 studenti un testo scientifico da leggere. La metà dei giovani doveva tenere bene a memoria quanto appreso, l'altra metà doveva invece seguire il metodo delle "concept maps" e schizzare una specie di schema-carta geografica con i contenuti più importanti logicamente collegati tra loro. Poi tutti i partecipanti al test hanno dovuto redigere quanto avevano imparato, e quali erano le loro conclusioni logiche. A sorpresa, quei 40 studenti su 80 che avevano semplicemente riscritto e imparato a memoria quanto avevano letto sono andati meglio all'esame-test: ricordavano meglio anche a lungo termine e usavano meglio con la loro logica quanto avevano appreso. La spiegazione dei due scienziati chi impara a memoria e prende appunti riesce meglio non solo a ricordare le informazioni apprese, ma anche a ordinarle poi autonomamente secondo logica. Insomma, aiuta a sviluppare le capacità cerebrali, e indirettamente anche a essere meno dipendenti dai computer. Dettaglio curioso: scrivere a mano aiuta a ricordare e a usare la logica molto più che non scrivere con la tastiera d'un computer, perché i segnali della mano scrivente a penna al cervello imprimono meglio la memoria. Il metodo dell'imparare a memoria, ripetere, ricordare e scrivere non è comunque universale, ammonisce Elsbeth Stem, docente di didattica a Zurigo. «Haun senso imparare a memoria i nomi di tutte le capitali europee, solo se gli studenti hanno un'idea generale di cos'è l'Europa, il metodo perfetto non esiste», aggiunge. Eppure il rapporto pubblicato da "Science" sembra consigliarci di riabilitare il cosiddetto nozionismo demodé. Sempre ricordando modesti che l'essere umano non “infinito" come il capolavoro di Leopardi. ______________________________________________________________ Il secolo XIX 27 gen. ’11 IL MISTERIOSO DIMAGRIMENTO DEL CHILO UFFICIALE GLI SCIENZIATI: «INSPIEGABILE. MA FORSE ORA OCCORRE STUDIARE UNA NUOVA FORMULA PER LA MISURAZIONE DEL PESO Ha perso 50 microgrammi il prototipo registrato nel 1889 e conservato in una camera blindata a Parigi ALESSANDRA BALDINI IL CHILOGRAMMO perde peso e pone gli scienziati di fronte a un dilemma: come definirlo? Il cilindro di platino e iridio conservato in una camera blindata a Sèvres, presso Parigi, ha fatto per 122 anni da pietra di paragone ma ha cominciato per ragioni imperscrutabili a pesare di meno: di qui la riunione di emergenza organizzata in questi giorni alla Royal Society di Londra per correre ai ripari. Il chilogrammo è in un certo senso un anacronismo: l'unica unità di misura del sistema internazionale ancora definita su un oggetto materiale, il prototipo registrato nel 1889 e conservato sotto una cappa di vetro all'Ufficio Internazionale Pesi e Misure. Tutte le altre unità sono collegate a costanti atomiche o fondamentali come la velocità della luce (per il metro) o la carica dell'elettrone (per il secondo). Urgente dunque adeguarsi al più presto, anche e soprattutto perché il chilogrammo di Sèvres, uscito dalla sua cassaforte solo tre volte in oltre un secolo, ha perso 50 microgrammi (50 millionesimi di un grammo o la massa di un piccolo granello di sabbia) senza nessuna spiegazione soddisfacente. Un'ipotesi è che la lega di platino (al 90 per cento) e iridio abbia emesso qualcuno dei gas che erano stati incorporati nel blocco metallico quando venne confezionato nel 1879 a Londra, ha indicato Michael Stock, l'esperto dell'Ufficio Pesi e Misure nella capitale britannica per la riunione: «Dobbiamo anticipare problemi e migliorare la nostra definizione di unità di misura standard. Come dire: se devi fare una misurazione accurata di lunghezza, ti serve un buon metro». L'obiettivo dell'incontro di Londra è arrivare dunque a una nuova definizione basata su quantità stabili: ad esempio sulla Costante di Planck, una costante fondamentale della fisica dei quanti sembra essere in apertura la soluzione preferita. Perché però la nuova formula diventi realtà occorrerà comunque del tempo: «Gli esperimenti vanno avanti ma è troppo presto per porre in atto la nuova definizione di chilogrammo» ha chiosato Stock. Probabilmente non se ne parlerà in concreto prima della prossima Conferenza sui pesi e le Misure già in programma per il 2015 nella capitale francese. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 gen. ’11 UN POPOLO DI LETTORI: IN SARDEGNA LE LIBRERIE NON CONOSCONO LA CRISI Giacomo Mameli I colossi dell’editoria nazionale sbarcano in Sardegna con proprie librerie. Lo fanno Feltrinelli e Mondadori. Una delle più quotate case editrici sarde, la Ilisso, non sta a guardare. Sotto Natale ha aperto a Nuoro in pieno centro, portando il capoluogo della Barbagia ad avere cinque librerie, una delle percentuali più alte in Italia rispetto alla popolazione. E con un direttore, Daniele Naitza, promosso libraio da un master dell’università di Venezia. Nuove librerie, quindi. Un boom. “Perché quello sardo è un mercato interessante, da sempre”, dice Armida Lugani, responsabile franchising Feltrinelli. “Gli indici di lettura sono buoni, soprattutto nelle città”, fanno eco dalla Mondadori. A Cagliari Mondadori è stato l’apripista. Dall’11 dicembre ha aperto il primo punto vendita in franchising per la sezione junior in Italia. Partner sardo è il gruppo Fozzi-Della Torre, distributori ed editori allo stesso tempo. La libreria (280 metri quadri) in via Toscana. “Interamente dedicata alla fascia d’età fino ai 16 anni con ampia esposizione di titoli utili ai genitori. Abbiamo anche una sezione audiovisivi”, dice la direttrice Donatella Fozzi, 39 anni. E dopo un mese di attività? “Soddisfatti. Al debutto avevamo uno degli illustratori italiani di punta, Alessandro Sanna. Stiamo continuando con serate e matinée di educazione alla lettura. I clienti apprezzano”. Il colpo grosso è firmato Feltrinelli. Ieri a Cagliari, via Roma 65, sotto i portici, ha aperto il primo Feltrinelli-point in Italia, in franchising, partner la Ubik che negli stessi locali gestiva un avviato punto vendita. Serata di gala col presidente Carlo Feltrinelli e l’amministratore delegato Dario Giambelli. Superficie di 250 metri quadrati, 25 mila titoli, sei dipendenti (direttore Alessandra Siddi, 33 anni, laurea in Lettere). A tre isolati, nei locali della ex Casa del Disco sorge una home entertainment, cento metri, quattromila titoli di musica, 1500 titoli video, 1500 referenze di cartoleria e tre addetti. Feltrinelli evoca il “Fronte del porto” perché - a chi passeggia lato- mare - intendiamo offrire “il meglio della narrativa italiana e straniera”, dice Paolo Soraci, capo dell’ufficio stampa. “Offriremo anche le proposte della piccola editoria di qualità, la saggistica in tutte le sue articolazioni e tanti libri per bambini. Con i due punti vendita vicini creeremo un megastore multimediale capace di dare risposte a ogni esigenza dei lettori. Finora avevamo un presidio alla Feltrinelli Village di Quartucciu. Ma a Cagliari volevamo dare di più”. E così le librerie Feltrinelli diventano 103, con numeri di tutto rispetto: fatturato 2009 di 325 milioni, 1615 dipendenti, 46 milioni di visitatori, due milioni e mezzo di titolari della Carta Più Feltrinelli. E ora Cagliari. Sarà possibile, anche in Sardegna, passare dolci ore a consultare libri da Feltrinelli come succede a Roma Santa Susanna, in piazza Castello a Torino, in via Zamboni a Bologna? “Vogliamo continuare a stringere un ottimo rapporto con i lettori”, dice Alessandra Siddi. Gruppi nazionali operano da tempo. A Cagliari, Nuoro e Sassari fanno buoni affari le Paoline. Mondadori ha 12 punti franchising (il primo era stato aperto a Sassari nella libreria Dessì del mito Piero Pulina). La catena Edicolè e Gulliver è presente in 16 località. Un gruppo sardo si era formato per rilevare le librerie Tiziano e Il Bastione di Cagliari con la società Miele Amaro costituita da Mario Peddio (agente Feltrinelli), Sebastiano Congiu (Ilisso), Massimo Dessena (Max di Tempio), Aldo Addis (Koinè di Sassari) e Celestino Pilloni (promotore Laterza e Mauri Spagnol). Adesso l’arrivo di Feltrinelli increspa le acque. Sebastiano Congiu (Ilisso): “L’effetto delle librerie a catena sulla società è paragonabile a quello del giacinto d’acqua o dell’alianto sulla natura. Invadono tutto, uccidono le altre piante e impediscono la biodiversità. Le librerie indipendenti stanno scomparendo, andrebbero tutelate. Poiché non lo fa lo Stato è da sperare che lo facciano i lettori. Le piccole librerie garantiscono la sopravvivenza di una miriade di piccoli editori che rendono possibile la pluralità del pensiero, quindi della cultura”. Mario Peddio: “La concorrenza stimola quando si è ad armi pari non quando da una parte c’è Davide dall’altra Golia. In Sardegna le vere librerie, quelle che sanno prenotare e attendono le novità, sono appena 42. Che fine faranno? Certo: la presenza di Feltrinelli e Mondadori darà un contributo alla crescita e alla diffusione della cultura”. Aldo Addis, vicepresidente nazionale dell’associazione dei librai italiani, precisa. “Distinguerei il moltiplicarsi delle librerie di catena dall’apertura di Ilisso a Nuoro. Segue quella di via Manno a Cagliari e prosegue una tradizione che da anni vede i principali editori sardi essere anche proprietari di librerie: è un fatto positivo, dimostra che in Sardegna non si vuole cedere all’omologazione dilagante che altrove sta facendo sparire le librerie indipendenti e le piccole case editrici. Non è negativo neanche il fatto che alcuni librai, scelgano la formula del franchising: si tratta di scelte dovute all’impossibilità di fronteggiare un mercato che purtroppo non ha alcuna regolamentazione su sconti e promozioni. La vera anomalia italiana è che i quattro maggiori gruppi editoriali, oltre a produrre i libri, li distribuiscono con proprie strutture e li vendono nelle proprie librerie. Insomma i grandi editori decidono cosa pubblicare e il prezzo dei libri, poi decidono con quali condizioni distribuirli alle librerie indipendenti e spesso li vendono nelle librerie della propria catena con sconti che per quelle indipendenti sono insostenibili. L’alternativa, già presente in molte realtà, è vedere i libri trattati come detersivi, e di sentirsi non più lettori, ma consumatori di un prodotto. Scegliete un libraio allora, è un modo anche questo di resistere”. Mario Argiolas, editore Cuec, responsabile dell’ufficio studi dell’Aes (Associazione editori sardi) vorrebbe che la Regione “ridesse efficacia alla legge 22 per incentivare la diffusione del libro edito in Sardegna”. E lo sbarco dei colossi? “L’offerta diventerà standardizzata, l’esposizione sarà uguale in tutt’Italia senza la necessaria bibliodiversità. Scompariranno molti librai e - soprattutto - i quattro quinti del territorio sardo resterà senza librerie proprie di riferimento. Ci interessano le elites o tutti i cittadini? Ecco: noi non abbiamo nulla in contrario contro i grandi gruppi, vorremmo solo lavorare ad armi pari, servire tutti i cittadini in ciascuno dei 377 Comuni dell’Isola. Solo così si può diffondere la terapia sociale della lettura”. ____________________________________________________ Corriere della sera 29 gen. ’11 BIBLIOTECHE ALLA RIVOLUZIONE DIGITALE Daranno in prestito ebook ed e-reader e diventeranno luoghi di dibattito di IDA BOZZI I l futuro delle biblioteche di pubblica lettura sarà digitale, e in parte lo è già. La biblioteca non sarà solo il luogo in cui prendere in prestito ebook da leggere sui device, cioè gli e-reader (propri, o in prestito a loro volta). Offrirà piattaforme virtuali su Internet, spazi di social reading o addirittura «sale ologrammi» dove sperimentare le tecnologie più avanzate. Tante opportunità, e tante questioni aperte, dai diritti d’autore alla conservazione del digitale: se ne parlerà il 3 febbraio a Milano, al convegno «If Book Then» , con molti esperti. Tra loro, l’americano Peter Brantley (con cui abbiamo realizzato un’intervista), che sarà anche il 4 febbraio alla Mediateca Santa Teresa. Intanto, nelle biblioteche del presente, anche in Italia, i progetti digitali crescono e non riguardano solo gli ebook, ma anche le piattaforme multimediali e l’accesso al patrimonio digitalizzato (ci riferiamo alle biblioteche di pubblica lettura, mentre quelle universitarie o di conservazione sono già in fase avanzata). Cominciamo con le piattaforme: ne parla Gianni Stefanini, direttore del Csbno, tra le realtà più strutturate di cooperazione tra biblioteche, con 1 milione 800 mila prestiti l’anno in 34 comuni. «Il digitale è centrale per affrontare la crisi delle biblioteche. Noi, con altre reti (ben nove, e presto altre 20, dalla Toscana alla Lombardia), lavoriamo da anni a un progetto, aperto al pubblico dal 2009: si tratta della piattaforma Mlol, Media Library On Line (realizzata da Horizons Unlimited), un sistema di condivisione di documenti digitali che offre gratis una quantità di contenuti» . L’utente di Mlol ha a disposizione online decine di migliaia di ebook, oltre 1300 tra giornali e riviste di tutto il mondo, audiolibri, film, musica, banche dati e altri strumenti cui accedere anche dal proprio computer 24 ore su 24, all’indirizzo www. medialibrary. it. «Misurarsi con gli ebook — conclude Stefanini— significa però anche misurarsi con il download sugli e-reader degli utenti. Vorremmo realizzare (con i produttori di ebook) modelli di landing per le biblioteche: significa che, se gli accordi si concluderanno, nel 2011 si potrà scaricare un ebook in prestito a tempo determinato» . A proposito di ebook, una biblioteca tra le più attive in tal senso è quella di Cologno Monzese: 163 mila prestiti all’anno, una vocazione al multimediale e alla promozione della lettura, con gruppi di lettori e associazioni di utenti. Da un anno offre in prestito gli e-reader, una quarantina. Con quali risultati, lo spiega il direttore Luca Ferrieri: «I device, cioè gli e-reader, contengono già una biblioteca digitale consistente, di 400 titoli. Il senso è creare una familiarità e quindi aprire un mercato. Accanto a ciò, sviluppiamo focus group tra utenti: ne è emerso che chi prende in prestito il device, poi è interessato ad acquistarne uno proprio. Il contrario di quel che molti temono» . È lo stesso Ferrieri a introdurre l’argomento dei diritti nel prestito digitale: «Va detto che all’inizio del 2010 non c’era in commercio nessun ebook, quindi abbiamo dovuto reperire i contenuti liberi in Rete. Ma questa attività ha preparato un’ulteriore fase, appunto il prestito digitale: l’utente scaricherà dal nostro catalogo sul proprio e-reader. È una fase complessa, per la questione dei Drm» . G ià i Drm, cioè i software di Digital Rights Management usati dai produttori per proteggere i diritti d’autore degli ebook. È la questione principale del futuro della biblioteca digitale, un argomento di cui si discuterà a lungo. Anche perché le esperienze si moltiplicano: altro esempio è la Biblioteca Fucini di Empoli, come illustra il direttore Carlo Ghilli: «Per due anni ci siamo occupati di digitalizzare 30 mila tra fondi antichi e documenti locali. Inoltre, abbiamo 11 e-reader (e 11 arriveranno nel 2011) con una selezione di libri elettronici. Su questa scia abbiamo pensato alla possibilità di utilizzare sui device il nostro catalogo, arricchito con le risorse libere disponibili su Internet» . Proseguono anche le sperimentazioni delle Regioni, nell’ambito del progetto di Biblioteca digitale italiana del ministero: da un paio di mesi è partita quella della Lombardia, con 4 biblioteche a Bergamo, Brescia, Voghera e Monza, dopo un anno di studio del software. «Si tratta— spiega Claudio Gamba, dirigente dell’Ufficio musei, biblioteche e archivi— di digitalizzare i documenti in modo che chiunque possa consultare documentazione storica, opere fuori diritti o esaurite, manoscritti e periodici. Un progetto da coordinare con altri come Google books o Europeana. E da conservare: al fine di depositare le risorse digitali, collaboriamo con Lombardia Informatica per creare un repository» . Un repository è un archivio di memoria digitale, altra nuova frontiera (di cui si parlerà anche al convegno milanese). In questo campo sono già attivi progetti come «Magazzini digitali» , cofinanziato dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze e dalla Fondazione Rinascimento Digitale, per conservare e aggiornare le risorse digitali — sempre più diffuse e preziose — nel tempo. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 gen. ’11 MANCAVA SOLO L’INDICE DEI LIBRI PROIBITI L’assurda crociata degli assessori veneti rivela anche aspetti comici Dopo aver letto la lista dei libri proscritti da Raffaele Speranzon, Assessore alla Cultura e alle politiche giovanili della Provincia di Venezia, mi sono fatto l’idea che si possa guardare con ottimismo il futuro nostro e dei nostri figli ai quali con tanto fervore l’assessore indirizza le sue politiche educative. Soprattutto se si confronta la sua illuminata lista con l’Index Librorum Prohibitorum, redatta nel 1558 dal Sant’uffizio, o con le liste dei libri degenerati stilate durante i regimi totalitari. Nella crociata di Speranzon, a dimostrazione che il tempo nell’evoluzione della sua materia grigia non è passato invano, non c’è nessun accenno alla proibizione della lettura di questi libri nel privato della propria casa, nel tepore di un camino o, che ne so, sdraiati in una spiaggia assolata. L’ottimismo si è trasformato in vera e propria gioia quando mi è pervenuta notizia che anche nel delirio del suo omologo regionale, Elena Donazzan, non c’era nessun biasimo alla lettura dei testi eretici in contesti privati e familiari. E’ chiaro, tuttavia, che se i due campioni leggeranno quest’articolo potrebbero addirittura avventurarsi nella compilazione, a quattro mani, di un’appendice che possa dare a entrambi carta bianca per una vigilanza più capillare del territorio. Per scusarmi di tanta leggerezza provo a dare qualche pratico consiglio al lettore con la speranza d’essere perdonato. Se affacciandovi alla finestra intravedete un gruppo di invasati che, armati di piede di porco e di torce incendiarie, cercano di scardinare il vostro portone cantando “Viva l’amore”, non perdete tempo: sbarrate la porta come meglio potete e cominciate a scorrere i grani del rosario. Se invece, quest’estate, vi vengono incontro alcuni energumeni che vi guardano in cagnesco con l’immancabile foulard bianco rosso e verde stretto a bandana sulla fronte, avete due alternative: ingollate senza pensarci il libro eretico o chiamate immediatamente il 118. Nel secondo caso, dopo l’ovvio comizio di protesta improvvisato sul vostro ombrellone, che verrà usato come predellino, potete continuare a leggervi in santa pace il vostro libro proscritto. Ma, mi raccomando, leggetelo con circospezione. Magari occultandolo con l’ultimo numero di Oggi. Rivista, a quel che si dice, molto apprezzata dai due assessori. Le ultime indiscrezioni, peraltro non confermate, dicono che questa preferenza sia dovuta al fatto che la rivista sia piena zeppa di figure. Ma queste sono le solite insinuazioni comuniste alle quali, il Nostro, e la Nostra, risponderanno facendo spallucce o, si capisce, acquistando gli arretrati della rivista che invieranno gratuitamente alla biblioteca di San Donà di Piave che, qualche anno fa, ha tolto dai suoi abbonamenti la rivista Micromega che faceva venire spaventose emicranie ad alcuni utenti che amano vestire di verde. Ma anche qui c’è un lato positivo che non può essere taciuto: la visione della rivista sopraccitata non ha controindicazioni. L’assenza di emicranie, ad esempio, è garantita. E questa, con i tempi cupi che corrono, non è cosa da poco. ____________________________________________________ Corriere della sera 29 gen. ’11 LE MAESTRE E I VOTI (AI GENITORI) AL COLLOQUIO SEMPRE PIÙ STRESSATI. Gli errori dei figli vissuti come propri di ANNACHIARA SACCHI «I l rosso non lo tollerano» . Meglio usare toni più tenui per correggere i compiti dei bambini. «Il rosa. O il verde» , dice la maestra Rosella Alberizzi. E avverte: «Non faccio ironia. Il rosso è vissuto male dalle mamme» . È troppo. Evidenzia l’errore dei figli, «e quindi il loro» . Circonda «con ferocia» parole sbagliate e operazioni che non tornano. Crea sensi di colpa e angosce. Tra gli adulti, si intende. Sempre più preoccupati, fragili. A volte aggressivi, altre disarmanti. Genitori a colloquio. Sempre più stressati. Tra sbalzi di umore e reazioni imprevedibili, tic e tratti distintivi. Eccone alcuni. La mamma ansiosa Lavora, e già si sente colpevole. Arriva trafelata, per avere il colloquio ha chiesto un permesso. Sulla sedia, davanti a prof e maestre, frigge come se stesse sostenendo l’esame di maturità. Inizia così: «Come sta mio figlio?» . Differenza abissale, rispetto al «Come va? Come si comporta?» . Rosella Alberizzi, vicepreside e insegnante all’elementare milanese «Cavalieri» , spiega: «Dieci anni fa si informavano sull’andamento scolastico dei bambini, ora vogliono la loro radiografia emotiva» . Perché inconsciamente la domanda è un’altra: «Sono o non sono un bravo genitore?» . Insicurezza, mancanza di punti di riferimento, di codici di comportamento. Le ragioni sono tante: «La famiglia— dice la maestra — non è più un fulcro etico, ma affettivo» . L’insegnante educa, la mamma coccola. E se qualcosa non va, «la colpa è della scuola» . «Mi dica cosa succede qui» , altro interrogativo della mamma ansiosa. Sembra aggressiva, ma trattiene a stento le lacrime. «In questo caso, dobbiamo cercare di essere rassicuranti: solo aprendo un canale di dialogo si instaura un rapporto di fiducia» . Il papà giustiziere La moglie, con un filo di voce, gli ha appena spiegato che le cose, in classe, non vanno bene. «Sei stata troppo remissiva, ci penso io» , dice il papà giustiziere. E il giorno dopo si presenta dalla maestra. Sguardo accusatore e una sola battuta: «Lei non ha capito» . Un classico. «Capita che picchino anche i pugni sul tavolo, io dico "guardi che così non iniziamo neanche a parlare"e allora si calmano» . Ci vuole polso. E autorevolezza. Sospiro: «Troppo spesso l’insegnante è visto come un lazzarone il cui metodo di lavoro può essere giudicato sempre e comunque» . Ma dopo i primi confronti accesi «sono tanti i padri che cercano di allearsi con il nemico e diventano disponibili» . I separati In caso di divorzio, il colloquio con il docente prevede vari attori e varie situazioni: i due ex coniugi che litigano davanti al docente, la «fidanzata di papà» che si propone come nuova figura di riferimento, i nonni che non accettano critiche, gli assistenti sociali che cercano di mediare. Il bambino è nervoso in classe? «Colpa del mio ex marito» . Non ha fatto i compiti? «La mia ex moglie non lo segue abbastanza» . E allora l’insegnante diventa terapista di coppia, confidente, psicologo. «Anche dietologo — sorride la docente — e baby-sitter» . Esempio: «Scusi maestra, può controllare lo zaino di Carolina? Ha mangiato la merenda?» . Gli internauti Il colloquio e la sua rielaborazione. Familiare e collettiva. Capita spesso che la mamma «condivida» le parole della docente con gli altri genitori della classe. Via Internet, ovviamente. Con un bel forum. Tono compreso: «Ho saputo che nella nostra sezione non c’è un bel clima» . E giù con una trentina di commenti, scambi di accuse, dichiarazioni di guerra. Rosella Alberizzi ha conosciuto anche questa deriva della genitorialità: «Durante il discorso di inizio d’anno— racconta— consiglio ai genitori di partecipare sempre alle assemblee. E aggiungo: la scuola non si fa via mail o sul marciapiedi» . I nuovi barbari «Mamma, quello di Filosofia mi ha dato tre» . «Quello di Filosofia è un deficiente: domani ci vado a parlare io e gliene canto quattro» . Esperienze di vita raccolte da Antonella Landi, professoressa fiorentina e autrice di «Tutta colpa dei genitori» (Mondadori). Un ironico j’accuse contro i nuovi nemici degli insegnanti. «Devo chiedere di darmi del lei — aggiunge Rosella Alberizzi — evitando, possibilmente, il diminutivo Rosi» . Troppo amichevoli o troppo aggressivi: «Ma spesso, dietro a questo atteggiamento, c’è la paura. Vogliono conferme sul fatto che i figli, più che fenomeni, siano normali. E non degli stupidi» . Timori, aspirazioni, ambizioni dei genitori contemporanei. «Ma il rapporto, col tempo, migliora sempre» . Certo, ci sono anche padri e madri «vecchio stile» . La maestra sorride: «Ci chiedono rigore e rispettano il nostro ruolo» . I migliori. «Ma sono sempre più rari» . ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 gen. ’11 ENTI REGIONALI A SCARSO RENDIMENTO: UNDICI AGENZIE SPENDONO 135 MILIONI Undici Agenzie spendono 135 milioni l’anno per tremila dipendenti. La sinistra: «Rivediamo il sistema» Sel: «L’Area doveva dare la casa ai giovani, ha solo promosso i dirigenti» Proposta l’istituzione di una task force che aiuti la burocrazia ALFREDO FRANCHINI CAGLIARI.Una pubblica amministrazione dal volto inumano. La denuncia è venuta ieri, dati alla mano, da Luciano Uras e Massimo Zedda, consiglieri di Sel. Uras e Zedda mettono sotto accusa le Agenzie regionali, un sistema che vale 3.000 dipendenti e 135 milioni di euro per il solo costo del personale. Erano undici, le Agenzie, ma dopo l’ultima finanziaria, per colpire la Giunta, ne sono state cassate due a voto segreto: l’Osservatorio economico e l’Agenzia delle entrate. Che fanno le altre? I dati sono impietosi, vediamo due esempi. Case. Si chiama Area, ha 173 dipendenti di cui 18 dirigenti. Il suo compito è quello di costruire o ristrutturare case per aiutare le giovani coppie e gestire il canone sociale. Nel triennio 2007-2009 il costo del personale ha superato i 26 milioni. «Ha cumulato 130 milioni di residui», denuncia Luciano Uras, «in compenso è stato pagato il premio di... produttività ai diciotto dirigenti». Lavoro. L’Agenzia regionale del lavoro ha un costo per il personale nel biennio 2008-2009 che supera i sette milioni e mezzo; vi lavorano a tempo indeterminato 57 persone. «Non ha prodotto nulla», afferma Uras, «a parte Master and back. Ci chiediamo se nelle condizioni in cui si trova l’economia sarda è ancora possibile mantenere un apparato di queste dimensioni». La commissione Autonomia - è la tesi di Uras e Zedda - avrebbe dovuto avviare il processo di riforma per il funzionamento dell’apparato pubblico regionale contro il saccheggio. Non sono stati capaci di eleggere nemmeno il presidente». Insomma siamo di fronte a sprechi enormi e a disfunzioni pagate dal cittadino costretto a subire lo choc burocratico; le Agenzie da una parte, dall’altra gli assessorati. Ad esempio agli Enti locali sono in arretrato di seimila pratiche e il personale è ridotto all’osso. Uras e Zedda propongono di costituire, a costo zero, una task force di una cinquantina di persone, selezionate nell’organico della Regione, per individuare le criticità burocratiche che impediscono il buon funzionamento del sistema. Qual è la migliore agenzia? Uras non ha dubbi: «Quella della Sanità perché dopo due anni non ha mai cominciato a funzionare». ______________________________________________________________ La Stampa 25 gen. ’11 PARIGI VUOLE RIEMPIRE LE COSTE DI PALE EOLICHE Maxiprogetto francese da 10 miliardi di euro ALBERTO MATTIOLI E DA PAPIGI Un oceano di mulini a vento. Nicolas Sarkozy annuncerà oggi da Saint- Nazaire, il porto sull'Atlantico, la svolta «marina» dell'eolico francese. Nulla di donchisciottesco ma molto di concreto: il progetto, atteso da tempo dalle aziende specializzate ma sbloccato soltanto di recente, prevede 600 «pale» distribuite in cinque «parchi eolici» al largo delle coste della Manica e dell'Atlantico. Un affare da 10 miliardi di curo, e in tempi rapidi: appalto nel 2012, prima distribuzione di energia nel 2015. La Francia, all'avanguardia nel nucleare, non è invece nella pole position dell'eolico. Questa iniziativa dovrebbe servire a colmare il ritardo, stati scelti: tre in Normandia, a Dieppe-Le Tréport, Fécamp e Courseulles-sur-Mer, uno in Bretagna, a Saint-Brieuc, e l'ultimo appunto a Saint-Nazaire. Le pale saranno collocate a una decina di chilometri dalla riva, a una profondità di 30 metri. Ognuna sarà alta 110 metri (sottoterra, da un minimo di 20 a un massimo di 40 metri), con un diametro dell'elica di 78. Gli ecologisti sono già divisi: l'entourage della ministra competente, Nathalie Kosciusko-Morizet, ovviamente «si felicita» della decisione di Sarkò; ma nella zona di Dieppe, dove un progetto analogo, su scala più piccola, è già iniziato da cinque anni, pescatori, amministratori locali e difensori del paesaggio sono in rivolta. Idem l'Unesco, che ha chiesto alla Francia «spiegazioni» sul progetto di impiantare le pale in prossimità del Mont-Saint-Michel, la «quasi isola» normanna occupata da un santuario gotico che è uno dei più celebri, visitati e fotografati monumenti francesi. prezzo a cui sarà venduta l'energia, che sarà oggetto di negoziati. In un Paese dove, grazie al nucleare, l'energia è più a buon mercato che in Ita- lia, i sondaggi parlano chiaro: il 97% dei francesi è favorevole all'energia pulita, ma solo il 34 è disposto a pagarla di più. Intanto, sembra proprio che il futuro energetico francese sia in acqua, anzi sotto. Sono già vivaci le polemiche sull'ipotesi di costruire delle centrali nucleari «tascabili» da collocare sui fondali marini al largo delle città costiere. Un progetto portato avanti dal gruppo Dc-ns, specialista di sottomarini nucleari, insieme ad Areva, Edf e alla Cea, l'agenzia per l'energia atomica: prototipo nel 2013, entrata in servizio nel '16 o nel '17. Costruite a Cherbourg, le minicentrali, cilindri dal diametro di 15 metri, saranno portate al largo da una nave speciale, immerse a cento metri, collegate da cavi sottomarini e «governate» da terra. Puro Arles Verne. Nel Paese c'è molto nucleare, che in bolletta pesa meno dell'eolico L'obiettivo è produrre 6 mila MegaWatt di energia pulita ========================================================= ______________________________________________________________ MinSAn 2 gen. ’11 Bollettino istituzionale del 27.1.11 Ministero Salute CONSIGLIO DEI MINISTRI APPROVA PIANO SANITARIO NAZIONALE 2011-2013 Il Piano Sanitario Nazionale (PSN) 2011-2013 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute Prof. Ferruccio Fazio, nella seduta del 21 gennaio 2011. L'iter prosegue con l'invio alle Commissioni parlamentari per il Parere e alla Conferenza unificata per la prevista Intesa. Il Piano evidenzia come macro obiettivo del Servizio Sanitario Nazionale la promozione del “benessere e della salute dei cittadini e delle comunità”, nella consapevolezza che “la vera ricchezza del sistema sanitario è la salute dei cittadini”. Esso si basa dunque sui principi di: * responsabilità pubblica per la tutela del diritto di salute della comunità e della persona; * eguaglianza ed equità d’accesso alle prestazioni; * libertà di scelta; * informazione e partecipazione dei cittadini; * gratuità delle cure nei limiti stabiliti dalla legge; * globalità della copertura assistenziale come definito dai livelli essenziali di assistenza (LEA). Il PSN, valorizzando le eccellenze del servizio sanitario, investe in settori strategici quali la prevenzione, la ricerca e le innovazioni mediche. Una delle novità riguarda l'apertura h24 degli ambulatori, gestiti dai medici di famiglia, che per i casi meno gravi consente di evitare il ricorso ai pronto soccorso degli ospedali. Tra gli obiettivi da raggiungere nel Piano, vanno promossi e sviluppati una serie di interventi, tra cui: * prestazioni sulla base del quadro clinico del paziente; * percorsi diagnostici terapeutici (Pdt), fissando i relativi tempi massimi di attesa; * gestione degli accessi attraverso l’uso del sistema Cup; * vigilanza sistematica delle situazioni di sospensione della prenotazione e dell’erogazione delle prestazioni; * comunicazione sulle liste d’attesa attraverso campagne informative e apertura di Uffici relazioni con il pubblico. http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1454_allegato.pdf http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/piano_sanitario_2011_13/inde x.html ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 gen. ’11 SANITÀ, C’È LA RIFORMA. ED È SUBITO SCONTRO Pdl: «Bozza migliorata». Ma Campus lascia la commissione: voleva il taglio delle Asl A Sassari proposto l’accorpamento dell’ospedale Ss.Annunziata con l’azienda mista Asl-Università CAGLIARI. Dopo il commissariamento delle Asl il centrodestra si è impegnato a fare la riforma entro marzo, ma non sarà facile. Ieri, prima giornata di discussione della «bozza di sintesi» del centrodestra, nel Pdl è riesploso lo scontro; Nanni Campus, in dissenso, ha deciso di lasciare la commissione Sanità (da oggi va in Cultura). Ieri all’ordine del giorno della commissione Sanità, presieduta da Felicetto Contu (Udc), c’era l’audizione dei sindacati. Sulla riforma sono stati presentati due testi: uno dei Riformatori (un’unica Asl e otto distretti provinciali) e uno dell’assessore Antonello Liori (una macroarea con alcuni compiti accentrati e otto Asl più nuove aziende ospedaliere. Successivamente, il centrodestra ha elaborato una «bozza di sintesi», non blindata, che è considerata comunque la base della discussione. La «bozza del centrodestra. Le principali novità organizzative sono queste: 1) una macroarea per l’acquisizione di beni e servizi, per l’intero settore della farmaceutica e per alcune funzioni sul personale; 2) otto Asl trasformate in Asp: Aziende sanitarie provinciali; 3) sette aziende ospedaliere: oltre al Brotzu (a cui verrebbe accorpato il Microcitemico) e alle attuali «miste» Asl-Università di Cagliari e Sassari, ci sarebbero Nuoro (con accorpamento di S.Francesco e Zonchello), Gallura (ospedali civili di Olbia e Tempio), Oristano (S.Martino più Ghilarza) e Sulcis (Sirai, Santa Barbara e Cto). Ecco le nuove proposte del Pdl. Ieri il gruppo consiliare di maggioranza relativa ha modificato la linea su alcuni punti della «bozza» del centrodestra. Vediamo: 1) due macroaree (centronord e centrosud) con gli stessi compiti accentrati; 2) conferma di otto Asp; 3) niente aziende ospedaliere a Oristano, Gallura e Sulcis (l’unica novità resterebbe quella di Nuoro), conferme per Brotzu e le due «miste». Altra novità proposta dal Pdl è l’accorpamento dell’ospedale sassarese Ss.Annunziata con l’azienda «mista» Asl-Università. Una novità anche a Cagliari: al Brotzu verrebbe accorpato anche l’Oncologico. Locci: «Più risparmi e meno incarichi». Nel Pdl soddisfatto Giorgio Locci, uno dei membri della commissione. «Con le macroaree si arriverà a risparmiare il 30 per cento delle risorse nei tre campi di intervento. E rispetto alla bozza della maggioranza, il Pdl propone un minor numero di incarichi: rispetto alla situazione attuale ci sarebbe solo un’azienda ospedaliera in più oltre alle due macroaree». Secondo Locci, «per essere istituite le aziende ospedaliere devono avere un certo numero di posti letto e Gallura, Sulcis e Oristano non arrivano a quel livello». Nanni Campus sbatte la porta. L’ex sindaco di Sassari aveva chiesto una sensibile riduzione delle Asl: da otto a tre (una del nord, una per il centro, una per il sud). E ha insistito anche ieri nella riunione del gruppo ma la sua linea non è passata (Locci gli aveva obiettato che le Asl che stanno funzionando meglio anche sotto il profilo finanziario sono proprio quelle più piccole). A quel punto Nanni Campus ha scelto la linea della rottura: ha immediatamente comunicato la decisione di uscire dalla commissione Sanità («non posso sostenere e difendere una linea che non condivido») e già questa mattina lavorerà nella commissione Cultura ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 gen. ’11 «LA NOSTRA ISOLA SARÀ UNA REGIONE DI VECCHI, LA SANITÀ NE TENGA CONTO» Sono a favore del servizio pubblico ma ho visto che il privato non eroga una medicina di scarto CAGLIARI. Con la bozza di riforma del sistema sanitario presentata più di un anno fa assieme al suo gruppo (i Riformatori), il consigliere regionale ex manager del Brotzu Franco Meloni è diventato un po’ l’assessore ombra del collega in carica nella giunta Cappellacci, il cardiologo Antonello Liori. Dall’ombra, lui, Meloni, sarebbe uscito volentieri (e questo non lo ha mai negato) ma Liori può star tranquillo perché i Riformatori all’interno del loro partito hanno sancito l’incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di assessore. Dunque il dialogo sulla sanità sarda nasce sincero per forza e Franco Meloni lo conduce con una certa schiettezza di toni. Il ministro Ferruccio Fazio è venuto a Cagliari di recente per dire che la sanità sarda è troppo ospedalocentrica e che, destinati come siamo ad invecchiare tutti e restare tali a lungo, i posti letto per acuti ancora in eccesso devono essere ricovertiti in presìdi per lungodegenti e riabilitazioni di varia natura. Una autorevole smentita alla bozza dei Riformatori, quella di Fazio: «No - risponde Meloni -. Il ministro, animato da buone intenzioni, ha detto una sciocchezza. È chiaro che, con una popolazione che invecchia, nel 2035 il 35 per cento dei sardi sarà over 65, ci vogliono riabilitazioni, post degenze, non c’è bisogno di troppi posti letto per acuti, ma servono piattaforme diagnostiche- terapeutiche dove fare controlli, day service, percorsi ambulatoriali. Il punto è un altro». - Dica. «In Sardegna siamo un milione e 600 mila abitanti sparsi su 24 mila chilometri quadrati, l’ospedalocentrismo nasce dal fatto che, con una popolazione rarefatta, l’ospedale è un centro di erogazione dei servizi e così i costi diventano sopportabili». - Anche voi avete sostenuto la necessità di riformare la rete ospedaliera. «Certo, è indispensabile. E’ vero che c’è un’inadeguatezza strutturale della rete dei servizi con poche prestazioni territoriali: queste ultime vanno potenziate, ma erogate in ospedale perché altrimenti i costi diventano insostenibili. Noi siamo già preoccupati: il disavanzo della sanità regionale è di 260 milioni rispetto all’assegnazione del Cipe». - La sanità sarda è un colabrodo. «No, la sanità pubblica risente degli sprechi tipici della pubblica amministrazione, si può risolvere trasferendo una parte delle competenze ai privati, come residenze sanitarie assistite, post acuti. In Lombardia c’è uno dei migliori sistemi sanitari che accoglie il 30 per cento delle emergenze italiane, lì il 45 per cento dei posti letto per acuti è in mano ai privati e, pur perseguendo la qualità delle prestazioni erogate, la Lombardia ha i conti in ordine. Il pubblico vuol dire che, se si deve assumere un autista in più lo si assume, se lo si chiede al privato questo dice di no perché non se lo può permettere». - Onorevole Meloni, è un’idea diffusa che il centrodestra sia stato molto votato nel mondo della sanità privata e che questa adesso goda di un ritorno di consenso. «Lei vuol dire che sosteniamo i privati perché ci hanno votato? Purtroppo non siamo così efficienti da premiare chi ci ha sostenuto... Io su questo punto non ho dubbi: sono a favore del servizio pubblico, non importa chi lo eroga. Io ero un manager pubblico, andai con difficoltà nel privato quando dovetti lasciare il Brotzu (rimosso dal precedente assessore Nerina Dirindin). Invece ho scoperto che non si fa una medicina di scarto, che si eseguono prestazioni corrette e che esiste attenzione al rapporto col paziente mentre nel pubblico si avverte di meno». - Comunque c’è la sensazione che il centrodestra stia lavorando a pezzi e non su un sistema. In altre parole: la giunta fa quello che le lasciano fare. «No, non abbiamo padroni esterni, abbiamo amicizie, sia nel pubblico che nel privato. Comunque credo che manchi una regìa complessiva. Noi abbiamo presentato una proposta. L’assessore ne ha un’altra. Ma il problema resta questo: le asl oggi sono strutture amministrative, non si occupano di sanità. Ecco perché noi abbiamo proposto l’asl unica: perché ci devono essere 11 uffici del personale? perché si devono tenere 11 concorsi per infermieri? Sa come mai Lanusei ha i conti in ordine? E’ la più piccola, la più gestibile. Con la qualità media dei manager che la Sardegna può esprimere, la misura piccola si gestisce meglio». - Qualità media? «Sì. In Sardegna non produciamo una classe dirigente di alta qualità. La classe dirigente la fanno l’università, le scuole, che a noi mancano. E’ noto che molto dei nostri giovani vadano fuori e tendano a restarci. Poi c’è un altro difetto, molto italiano: nelle università eccellenti ci possono andare solo i ragazzi con possibilità economiche e quindi non c’è mobilità sociale. Harvard eroga 25 mila borse di studio: la fortuna di quell’università è anche in quei giovani meritevolissimi. Negli States sono rari quelli che hanno successo perché il padre li ha agevolati. La nostra università pubblica non è meritocratica. La riforma Gelmini secondo me è perfino timida. Comunque comincerà a finire la vergogna dei concorsi fatti in casa che ovviamente soffrono del peso delle raccomandazioni». - A proposito di pesi e spinte: lei è stato il promotore dei trapianti di organo in Sardegna. Al Brotzu si cominciò col cuore, seguì il fegato. La vicenda dei trapianti di cuore fu ben gestita anche sul piano emotivo, quella del trapianti di fegato, successiva, venne sovrastata invece dal clamore di un preteso scippo: Cagliari che portava via l’autorizzazione verso la quale correva anche Sassari. «La verità invece è un’altra. Che fosse uno scippo lo sostenne solo l’allora direttore del suo giornale e io chiarii ampiamente che così non era stato. Noi arrivammo all’autorizzazione già pronti da parecchio tempo per fare i trapianti di fegato. Il primo, anzi, lo facemmo nel 2004 senza autorizzazione e andò tutto benissimo proprio perché eravamo preparati: personale addestrato, attrezzature al completo, procedure messe a punto in ogni dettaglio. Era il nostro modo di lavorare, al Brotzu: ci preparavamo molto, prima, per anni. E puntavamo sull’alta specialità. Nell’82 al San Giovanni ci occupavamo di blatte e topi, al Brotzu facemmo il salto di qualità, che giovò a tutta la sanità perché trainò un po’ tutti verso un miglioramento». - Lei è un animatore della sanità. Solo cagliaritana, però. «Proprio no. Io sono stato in predicato per andare a fare il direttore generale all’azienda mista di Sassari, nel 2007. Sassari mi piace: è elegante come Cagliari, ma ha più sapore. E sono stato anche studente per un anno all’università di Sassari. Ma non diedi esami: di notte si facevano le ore piccole. E mio padre mi richiamò qui». ______________________________________________________________ Sanità News 25 gen. ’11 ISTAT: CRESCE LA POPOLAZIONE E L'ASPETTATIVA DI VITA Nel corso dell’ultimo anno la popolazione in Italia ha continuato a crescere superando i 60 milioni 600 mila residenti al 1° gennaio 2011, con un tasso d’incremento del 4,3 per mille. Cresce anche la vita media, rispetto al 2009. Lo rende noto l'Istat, rendendo disponibili le stime anticipate dei principali indicatori demografici relativi all’anno 2010. L’anno appena conclusosi farebbe così riscontrare un incremento di 261 mila unità, determinando una popolazione totale di 60 milioni 601 mila residenti a fine 2010. Rispetto all’anno precedente risultano in calo tanto le nascite quanto i decessi, le prime in misura maggiore dei secondi. Ne consegue una dinamica naturale di segno ancor più negativo (- 0,5 per mille) rispetto all’anno precedente. La fecondità è in lieve calo (1,4 figli per donna) e sembra essersi conclusa, rileva l'Istat, soprattutto da parte delle donne italiane, la fase di recupero cui si era assistito per ampia parte dello scorso decennio. La vita media compie ulteriori progressi: 79,1 anni per gli uomini, 84,3 anni per le donne con, rispettivamente, un guadagno di tre e due decimi di anno sul 2009. L'Istat sottolinea che, dopo la diffusione del 'Bilancio demografico nazionale – Anno 2010', previsto il 24 maggio, le stime degli indicatori demografici saranno aggiornate grazie alla disponibilità dei dati aggregati consolidati per l’intero 2010.(Sn) ______________________________________________________________ Sanità News 25 gen. ’11 IN INGHILTERRA SI SPERIMENTA IL CONSULTO MEDICO VIA EMAIL ED SMS Sms ed e-mail potrebbero sostituire il consulto con il medico di famiglia, almeno per i casi meno gravi. Lo spera il Dipartimento per la Salute inglese, che sta portando avanti alcuni esperimenti per evitare ai medici il tempo, ma soprattutto i soldi, sprecati nelle visite inutili. La proposta, descritta dal Daily Mail, ha gia' fatto alzare il sopracciglio alle associazioni di medici, che temono che in assenza del contatto diretto medico-paziente possano passare inosservati sintomi anche gravi. Secondo lo schema pensato dai dirigenti sanitari, in sperimentazione a Dundee, coloro che hanno qualche sintomo non grave dovrebbero inviarne la descrizione al medico via sms o e-mail, aspettando le indicazioni su cosa fare sempre per via elettronica. Se applicato a tutto il paese, spiega uno studio, si risparmierebbe un miliardo di sterline, ma la prospettiva non convince la British Medical Association: "Questo sistema farebbe peggiorare gli standard di cura - afferma l'associazione - e farebbe passare piu' tempo ai medici davanti al computer che a contatto con i pazienti. Un'infezione toracica potrebbe essere scambiata per una banale tosse ______________________________________________________________ Sanità News 28 gen. ’11 PIU' DEL 60% DEGLI ITALIANI NON E' SODDISFATTO DEL SSN Italiani poco contenti del Servizio Sanitario Nazionale. Lo rivela l'Eurispes riferendo, dati alla mano, che il il 44,3% del campione intervistato si e' dichiarato 'poco soddisfatto' e che il 17,1% ha dichiarato di non esserlo affatto. Il livello di insoddisfazione generale e' dunque molto alto e coinvolge piu' del 60% (61,4%) della popolazione, con picchi negativi che superano il 70% nel Meridione. Ed e' cresciuto rispetto allo scorso anno. Il grado di soddisfazione si attesta invece al 35,8% (31,9% abbastanza e 3,9% molto soddisfatto). Le lamentele maggiori riguardano i tempi di attesa negli ospedali (79,4%), seguiti dalla scarsa qualita' delle strutture ospedaliere (66,1%), il costo del ticket (60,3%) e l'assistenza ospedaliera (56%). Una lancia viene spezzata solamente quando ad essere chiamata in causa e' la professionalita' degli addetti ai lavori, medici e infermieri, che fanno registrare rispettivamente un indice di gradimento che si attesta a quota 64,2% per i primi e 60,2% per i secondi. A proposito dei casi di malasanita' che interessano alcuni ospedali, ad essere tirati in ballo sono per quasi la meta' del campione (47%) un insieme di fattori, dalle norme igieniche al sovraffollamento, dai medici ai tagli alla sanita', agli infermieri. E a conferma della scarsa fiducia accordata agli ospedali italiani diminuisce del 10,1% rispetto al 2010 la preferenza accordata alle strutture pubbliche piuttosto che alle cliniche private. Maggiore soddisfazione per il nostro sistema sanitario si registra nel Centro (41,3%), seguito da Nord-Ovest (39,1%), Nord-Est (38,6%), Isole (26,4%) e Sud (26,3%). esprimono malcontento il 71,2% degli abitanti delle Isole, il 70,7% del Sud, il 58,5% del Nord-Est, il 58,2% del Nord- Ovest e il 55,6% del Centro.(Sn) ____________________________________________________ L’Unione Sarda 29 gen. ’11 PIANO DELLE LISTE D'ATTESA OSPEDALI E AMBULATORI, PRONTI 21 MILIONI OSPEDALI E AMBULATORI, PRONTI 21 MILIONI Liori: è uno degli obiettivi strategici «La riduzione delle liste d'attesa è uno degli obiettivi strategici della sanità isolana e lo stanziamento di 21 milioni approvato dal Consiglio regionale durante la Finanziaria rappresenta una risorsa fondamentale per affrontare e conseguire l'obiettivo». È quanto sostiene l'assessore alla Sanità Antonello Liori. «A questa cifra si aggiungono 2,5 milioni che la Giunta regionale aveva già stanziato a fine anno per la raccolta dei dati necessari al monitoraggio dei tempi di attesa». Per l'utilizzo di questi fondi «sarà predisposto un programma di interventi che riguarderà l'intero ciclo di prescrizione, prenotazione ed erogazione delle prestazioni sanitarie». Liori va avanti: «Un'apposita commissione, da me nominata, ha praticamente ultimato il piano». D'altronde, «risolvere questo problema è un'esigenza primaria del nostro sistema sanitario». L'assessore parla di «diritto dei cittadini, finora negato, che non possiamo continuare a disattendere e sul quale la mia attenzione è massima». LE NOVITÀ IN ARRIVO Nella Finanziaria è stata stanziata una spesa di 21 milioni per la riduzione delle liste d'attesa dei pazienti costretti a ricorrere ai servizi sanitari. Queste risorse verranno divise in due filoni: 9 milioni saranno destinati alle prestazioni «in regime di ricovero ospedaliero», mentre altri 12 verranno utilizzati per le prestazioni di tipo ambulatoriale. Le risorse per il versante ospedaliero prevedono una ripartizione con 6 milioni per il settore pubblico e 3 per quello privato. Divisione a metà, invece, per i servizi ambulatoriali: 6 milioni andranno al settore pubblico e 6 a quello privato. RIABILITAZIONE Il Consiglio regionale ha stanziato risorse aggiuntive pari a 5 milioni anche per la riabilitazione dei malati post-acuti nelle Residenze sanitarie assistite. Ogni Asl dovrà proporre (entro metà aprile) «un progetto di espansione dell'attività delle strutture sanitarie già presenti sul territorio». Tali progetti «devono mirare alla progressiva riduzione delle attività di ricovero ospedaliero tradizionale». Il tutto «in rapporto all'espansione dell'attività di assistenza» UNITÀ OPERATIVE La Giunta regionale, intanto, su proposta dell'assessore alla Sanità, ha istituito due nuove unità operative nella Asl di Cagliari, nell'Azienda ospedaliera Brotzu e nell'Asl di Sassari. Saranno le direzioni aziendali di competenza ad avviare i processi per attivare, nell'Asl di Sassari, la struttura complessa dipartimentale di Cardiologia riabilitativa, nell'ospedale oncologico regionale Businco di Cagliari la struttura complessa di Algologia e, al Brotzu, la struttura complessa di Cardiologia Pediatrica e la struttura complessa di Cardioanestesia. LA POLEMICA SUI MANAGER «L'assessore alla Sanità deve rispondere alla nostra interrogazione sui curricula dei commissari straordinari e dei direttori amministrativi delle Asl sarde, e sulla loro attendibilità e veridicità, diversamente useremo gli strumenti legali a nostra disposizione». Lo affermano i consiglieri regionali di Fli Matteo Sanna e Ignazio Artizzu, che oltre venti giorni fa hanno presentato un'interrogazione al presidente della Giunta regionale e all'assessore della Sanità: «L'assessore ha il dovere di ottemperare all'attività di sindacato ispettivo dei consiglieri. Se non lo farà in tempi rapidi interesseremo la presidenza del Consiglio e useremo le vie legali». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 gen. ’11 MANCONI: SULL’ H1N1 I MEDICI FANNO OSTRUZIONISMO L’immunologo: «I vaccini sono importanti ma non sono consigliati» MANCONI L’H1n1 è stato trascurato, bisognava intervenire prima: immunizzarsi è ancora possibile ROBERTO PARACCHINI CAGLIARI. «L’anno scorso i medici hanno fatto ostruzionismo alle vaccinazioni e ora si sta sviluppando l’epidemia», afferma Paolo Emilio Manconi, docente di medicina interna e immunologia clinica. E ora sta aumentando anche la paura. «In diversi pronto soccorso si vedono già persone che vi si recano per timore dell’influenza di quest’anno». Ma il comportamento migliore, spiega Giorgio Steri (responsabile del settore Igiene e sanità della Asl 8), «non è quello di recarsi all’ospedale: se una persona ha l’influenza è quello il modo migliore per trasmettere il virus. Nel pronto soccorso vi sono, con maggiore probabilità, persone debilitate e, quindi, più vulnerabili». L’influenza è alle porte. «Il picco vi sarà - continua Steri - verso metà febbraio». Ma il problema è quello del vaccino. Quest’anno ne sono stati fatti molto pochi, secondo la Asl in tutto il territorio interessato (una popolazione di circa 550-600mila persone) sono state immunizzate ottantacinquemila persone, «molto meno di quelle che ci saremmo aspettati - sottolinea il responsabile Igiene della Asl - secondo le norme ministeriali i sanitari dovrebbero essere i primi a vaccinarsi, mentre sono stati solo il 15-20 per cento. L’anno scorso si era data indicazione di intervenire sul quaranta per cento di tutta la popolazione. Normalmente si punta a immunizzare dal 75 al 95 per cento delle categorie sensibili»: dai sanitari a cardiopatici e dai bimbi più piccoli ai più anziani, dai dipendenti pubblici a chi soffre di patologie respiratorie. Manconi è chiaro: sono i medici che fanno ostruzionismo al vaccino. «L’anno scorso la prevenzione dell’influenza ha funzionato. Da qui le polemiche sul fatto che non c’era pericolo. E così quest’anno si è abbassata la guardia - spiega l’immunologo - mentre è proprio nel secondo anno che il virus diventa più pericoloso». Per il momento in città «non vi sono stati casi ufficiali denunciati. Ma molti medici non fanno le comunicazioni», informa Steri. Vi sono state invece molte persone contagiate da virus parainfluenzali con raffrddamento e disturbi gastro interstinali. «Ma il picco, ripeto, arriverà adesso, ai primi di febbraio. Chi vuole vaccinarsi dovrebbe farlo subito, altrimenti non vi saranno i tempi tecnici. Teniamo presente infatti che l’immunizzazione ha bisogno di quindici-venti giorni prima di diventare “operativo”, per questo bisogna sbrigarsi. In questo momento sono tre i virus in circolazione: il ceppo “A”, l’H1N1 (detto anche “California”); quello “B” (il “Brisbane”) e l’H3N2”, «ma il più diffuso è l’H1N1 - continua Steri - lo stesso virus dell’anno scorso». Nel territorio della Asl 8 potrebbero esserci circa 35-40mila influenzati, centomila in tutta la Sardegna. Ai primi sintomi (debolezza, febbre, tosse, difficoltà respiraoria) «bisogna rivolgersi al medico di base e stare in casa: per evitare di contagiare altri, il virus è più virulento soprattuto agli inizi. Nei luoghi di lavoro è importante cambiare l’aria spesso, altrimenti se c’è qualcuno che sta male, contagia i colleghi. Ma questo discorso è valido anche nelle scuole, dove all’ora di ricreazione bisognerebbe aprire le finestre». Intanto c’è la raccomandazione a non drammatizzare: «Secondo i dati in nostro possesso questa influenza non dovrebbe svilupparsi in pandemia, con diffusione vasta in quasi tutto il mondo». Il virus H1N1 «è un po’ più aggressivo di quello precedente in quanto il nostro organismo non lo conosce - sottolinea Manconi - ma vi sono in commercio anche ottimi anti infuenzali, che i medici possono prescrivere e che vanno presi subito, appena contagiati». Quando arriva un nuovo virus influenzale, questo «prende in genere il sopravvento sugli altri - continua Manconi - per questo era importante vaccinarsi, ma si è creato un ambiente culturale che ha spinto, sbagliando, a forme diffuse di scetticismo verso l’immunizzazione». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 30 gen. ’11 ANGIONI: H1N1 UN VIRUS ANCORA AGGRESSIVO» Angioni: «Pericoloso per gli organismi debilitati» Al Santissima Trinità un settore di ricovero per i casi più gravi CAGLIARI. Per i casi più gravi, qualora «vi fossero delle complicazioni particolari, abbiamo un settore apposito dove ricevere i pazienti», afferma Giuseppe Angioni, già primario (ora consulente) del reparto Infettivi del Santissima Trinità. Ma il problema centrale, anche per Angioni, è il basso numero di vaccinazioni fatte nei mesi scorsi. «Probabilmente - precisa - è stata promossa una scarsa campagna di prevenzione e questo ha fatto sì che in pochi abbiamo richiesto l’immunizzazione che, pure, è gratis. Mi risulta infatti che siano stati pochi i vaccini utilizzati». Per il momento gli allarmi particolari sono stati a Muravera e Lanusei. Entrambe le persone colpite dal virus, che avevano patologie preesistnti, sono state trasferite nell’Ismet di Palermo dove c’è un macchinario particolare che permette di ossigenare il sangue e «che viene utilizzato in casi particolarmente gravi di difficoltà respiratoria». A Cagliari uno strumento analogo «esiste all’ospedale Brotzu, nel settore trapianti ma viene usato solo per quel tipo di interventi e non per altro - informa Paolo Emilio Manconi, docente di Medicina interna, allergologia e immunologia clinica - ma in tutta l’isola i casi gravi sono per fortuna limitati. Direi che alla fine questi casi potranno essere un centinaio, di cui dieci con complicazioni serie». Questo virus, l’H1N1, «colpisce in modo particolare - continua Angioni - le mucose dell’apparato respiratorio. Da qui l’importanza di un intervento immediato. Ma le persone più fragili sono sempre quelle che hanno patologie pregresse di vario tipo. Qualora vi siano casi particolari, per le analisi - e come previsto dal protocollo regionale - spediamo il virus all’istituto di microbiologia di Sassari». Ancora non esiste una casistica sull’incidenza di quest’anno della malattia a Cagliari in quanto il periodo di diffusione si è spostato di alcuni mesi e avrà il picco maggiore a metà febbraio. Tra le varie pratiche da adottare, i sanitari raccomandano, tra le altre cose, di lavarsi bene le mani. (r.p.) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 gen. ’11 CAGLIARI, VINCONO GLI SPECIALIZZATI Il 53 per cento di loro lavora prima e percepisce uno stipendio superiore CAGLIARI. Qui paga la specializzazione. I dati relativi ai laureati nel 2007 all’Università di Cagliari sono chiari: 12 mesi dopo, ha trovato un lavoro il 53,1 per cento dei laureati alla Specialistica, rispetto al 46,7 per cento dei “preriforma” e del 33,8 per cento dei laureati di I livello (corso triennale). Le percentuali, in tutti i casi, sono più basse rispetto a quelle nazionali venute fuori dall’indagine condotta dalla società AlmaLaurea. E a Cagliari, la specializzazione paga anche in termini economici: lo stipendio medio di un neolaureato è di 1064 euro, mentre i preriforma e i triennali guadagnano rispettivamente 940 e 933 euro. Con le donne che stanno sempre dietro agli uomini (circa 30 euro in meno di media) anche se, a Cagliari, proprio come a Sassari, la differenza di stipendio è più bassa che nel resto d’Italia. Chi consegue una laurea nell’ateneo cagliaritano impiega mediamente 4,8 mesi per trovare il primo lavoro. I tempi generalmente si allungano per i laureati in Lettere e filosofia (8 mesi) e Giurisprudenza (6,5 mesi). Ma, anche in questo caso con la laurea Specialistica i dati cambiano: i dottori in Lettere e filosofia trovano un’occupazione dopo 4 mesi, mentre quelli che pazientano di più sono i laureati in Scienze matematiche, fisiche e naturali, con 6 mesi e mezzo di attesa. Tra gli occupati, il record spetta alla facoltà di Ingegneria, in particolare al corso di Ingegneria meccanica: il 100 per cento degli intervistati un anno dopo la laurea aveva già un lavoro. Bene anche ingegneria elettronica e le classi di laurea Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali e Scienze economico-aziendali. Tra i laureati triennali, la percentuale più alta di occupati spetta invece a Medicina e Farmacia, in particolare ai corsi di laurea in Professioni sanitarie della riabilitazione, Infermieristica e professione sanitaria ostetrica: lavorano prima e guadagnano 100 euro in più al mese. Il contratto è quasi sempre atipico (40 per cento), per firmare quello a tempo indeterminato bisogna aspettare almeno 3 anni. (si. sa.) ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 29 gen. ’11 LA FIALS: «BASTA PRECARI NELLA SANITÀ» Il sindacato chiede all’assessore Liori di rafforzare l’elisoccorso CAGLIARI. Superare le difficoltà dei pazienti di zone impervie dell’Isola con una rete di elisoccorso, pianificare i servizi al cittadino nel lungo periodo attraverso direttori e non commissari straordinari. E stabilizzare i lavoratori precari e gli interinali, 120 solo a Cagliari, «che costano il 30 per cento in più rispetto a se fossero assunti, proprio per il compenso dell’agenzia interinale». Lanciano un appello all’assessorato regionale alla Sanità i vertici del sindacato autonomo Fials, che ieri in una conferenza stampa hanno illustrato ai giornalisti le loro riserve sulla riforma sanitaria al vaglio della Regione. «Tra i punti più critici, la questione che investe decine di tecnici, infermieri, operatori socio-sanitari, amministrativi e altri addetti a ruoli altrettanto importanti che però sono precari», ha spiegato il segretario regionaledel sindacato, Loredana Scanu. Il riferimento è ai 120 interinali che si alternano con contratti di prestazione d’opera, per i quali la Asl deve remunerare l’agenzia per l’intermediazione. Il messaggio è chiaro: «L’assessore regionale Antonello Liori non tiene conto delle difficoltà dei lavoratori della Sanità», ha sintetizzato la Scanu. Per i segretari provinciali di Cagliari, Paolo Cugliara e Pietrino Musini «resta il cronico problema delle liste d’attesa». «Ieri ho chiamato il Centro unico di prenotazione della Asl 8 per una risonanza magnetica - ha raccontato Musini - ma il primo posto libero è ad agosto prossimo. Dopo tutto questo tempo, uno potrebbe essere già morto». Per Cugliara, invece, tra le priorità della sanità cagliaritana c’è senza dubbio la creazione di «una rete per l’elisoccorso». «Solo così - ha spiegato - si può ovviare ai problemi delle distanze tra i piccoli centri dell’Isola, anche perché ora i pazienti e il personale del 118 devono dipendere dai mezzi dei vigili del fuoco o da quelli militari». Difficoltà anche per chi vive lontano dai principali centri ospedalieri, e rischia di vedersi chiudere i presidi vicini. «Il piano regionale prevede la soppressione degli ospedali di Thiesi e Ittiri», ha sottolineato il segretario Fials di Sassari, Salvatore Dettori. «E la loro conversione in “case della salute”. Ma se Sassari in linea d’aria sembra vicina, a causa della conformazione del territorio e delle strade, dista almeno mezz’ora di auto. E se un paziente ha la peritonite o rischia l’infarto?». (e.l.) ______________________________________________________________ L’Unione Sarda 27 gen. ’11 SAN GAVINO. NUOVO OSPEDALE ARRIVANO 76 MILIONI Via libera della Giunta regionale al progetto per realizzare un presidio super-attrezzato Nuovo ospedale, arrivano i soldi Duecento posti- letto, costerà 76 milioni di euro Il nuovo edificio affiancherà il vecchio ormai non più all'altezza delle esigenze sanitarie della popolazione. La delibera, proposta dall'assessore Liori, è stata accolta ieri sera dall'esecutivo presieduto da Cappellacci. Come cambieranno i reparti. Fumata bianca: il nuovo ospedale da 200 posti per una spesa di 76 milioni di euro si farà. Infatti sono stati sbloccati ieri sera i fondi per il nuovo nosocomio del Medio Campidano con una delibera della giunta regionale. Su proposta dell'assessore regionale alla sanità Antonello Liori, l'esecutivo presieduto dal governatore Cappellacci ha approvato il programma straordinario di investimenti della ex legge nazionale 20 del 1988. In questo modo si passa dalle parole ai fatti concreti ed ora la nuova struttura sarà perfettamente inserita all'interno della riorganizzazione della rete ospedaliera che punta al miglioramento del servizio sanitario regionale. POSTI LETTO Il nuovo ospedale, che sorgerà vicino a quello esistente, avrà tutti i posti per acuti che sono circa 200 mentre i post (50 posti) saranno gestiti in altre strutture del territorio: a Guspini, a Villamar e a Villacidro dovrebbe partire una Rsa (residenza sanitaria assistita) da 80 posti. Con la prima tranche del primo lotto funzionale sarà possibile costruire parte del nuovo presidio ospedaliero dove troveranno posto le sale chirurgiche, tutti i posti della chirurgia e i blocchi operatori e il centro di diagnostica in cui si faranno la radiologia, la tac, la risonanza e l'ecografia. Nel nuovo ospedale troveranno posto nuove specializzazioni come la neurologia, la pediatria, la cardiologia. Oltre ai posti per la degenza ordinaria, ci saranno quelli ad alta intensità suddivisi tra rianimazione, unità di terapia intensiva coronaria (Utic) e semintensiva neurologica a cui si aggiungono i posti per il day hospital e il day surgery. In questo modo al vecchio ospedale di 13.778 metri, se ne aggiungerà uno nuovo di zecca di oltre trentamila metri quadrati. Nella delibera della giunta si ricorda a chiare lettere l'urgenza del provvedimento dal momento che era pressoché impossibile mettere mano ad un edificio vecchio di oltre 40 anni e ormai superato alla luce delle linee guida di costruzione dei nuovi ospedali. LAVORI A questo punto l'appalto per i lavori potrà partire. Il commissario straordinario della Asl 6 Giuseppe Ottaviani aveva più volte evidenziato che una volta arrivato il finanziamento in un anno potrà essere completata tutta la procedura. Soddisfazione è espressa dall'assessore regionale Antonello Liori: «Il nuovo ospedale accoglie la legittima richiesta dei cittadini per una sanità adeguata nel territorio ed è interesse di tutti, istituzioni politiche e sanitarie, che possa essere completato nel più breve tempo possibile». Nel giro di qualche anno i cittadini del Medio Campidano avranno un ospedale più efficiente con nuove attrezzature e si spera con altro personale specializzato. ______________________________________________________________ La Nuova Sardegna 28 gen. ’11 BIMBI ZERO IN CONDOTTA: STUDIO UE SUI FARMACI E SUI MODELLI Educativi Alla cittadella universitaria oggi i gruppi italiani di ricercatori da cui l’Europa aspetta una risposta scientifica CAGLIARI. Un ragazzino aggredisce i compagni di scuola, appicca fuoco alle macchine, ruba, scappa di casa: nell’uno per cento dei casi, almeno, tutto questo succede perché il suo cervello funziona in maniera diversa dagli altri. Stamani gli studiosi di due gruppi di ricerca italiani saranno alla cittadella di Monserrato per un convegno coi colleghi di Cagliari che guidano il progetto Ue sui disturbi della condotta negli adolescenti. Un problema grave, ancora tutto da esplorare. Alessandro Zuddas è il responsabile del Centro terapie farmacologiche in neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza ed è il coordinatore del gruppo di ricercatori dell’ospedale Bambin Gesù di Roma e della Fondazione Stella Maris di Pisa. Stamani nell’aula magna dell’asse didattico di Medicina alla cittadella universitaria di Monserrato ci sarà l’incontro scientifico, nel pomeriggio (alle 3) la tavola rotonda con gli esperti di neuroscienze ma anche rappresentanti della scuola, del tribunale per i minori, dei servizi sociali dei comuni perché il comportamento dei bambini dai 6, 7 anni fino ai 13, 14 con un disturbo dell’attenzione e della condotta ha risvolti sociali di grande impatto. Il problema, come spiega in parole povere il professor Zuddas, è riconoscere l’origine di queste «cattive condotte» e quindi affrontarle. L’Unione Europea ha finanziato l’ateneo cagliaritano con 700 mila euro: «Questo è uno dei tre progetti che la comunità europea ha finanziato ai centri che da anni si occupano di farmaci per i bambini e riguarda i disturbi della condotta: questi bambini violano le regole sociali e di convivenza perché ‘funzionano’ in modo diverso. Si tratta di bambini che spesso si sceglie di sedare con farmaci e l’Unione europea, ai ricercatori, ha chiesto due cose: di condurre nuove ricerche sui farmaci utilizzati in questi casi, alcuni fuori brevetto ormai da tempo, e di lavorare attorno alla gestione dell’impulsività di questi bambini anche attraverso le attività educative. Con i due gruppi di Roma e di Pisa, assieme a Palermo, stiamo lavorando proprio all’elaborazione di una strategia educativa». Sui farmaci il discorso è molto delicato: «L’Ue ci ha chiesto di esaminare i medicinali che vengono somministrati per queste problematiche perché, per alcuni, non è documentata l’efficacia e la tollerabilità. L’Ue ci chiede uno studio rigoroso su tali farmaci come se fosse un prodotto nuovo ancora da registrare. Una di queste sostanze è il risperidone». L’intero argomento dei disturbi della condotta è delicato: «Dal punto di vista sanitario è poco battuto - continua Zuddas -, mentre è importante stabilire quando un certo comportamento nasce da una disfunzione e quando no. Il tribunale per i minori ha molta sensibilità, spesso, di fronte a condotte difficili, ci coinvolge. Anche di recente ci hanno chiesto una consulenza, ma i comportamenti del bambino nascevano da una situazione familiare precisa e su quella il tribunale ha scelto di promuovere interventi. I bambini cui ci riferiamo noi, invece, per esempio reagiscono in modo diverso dagli standard di normalità davanti al gesto di un compagno: in questi casi amore e comprensione non bastano. Non bisogna assolutamente sedarli, bisogna agire su alcuni ‘interruttori’. Alcuni ragazzi si è visto che guariscono da soli, altri hanno bisogno di aiuto». La novità sostenuta dall’Ue è che si debba intervenire anche con attività educative. Dati ufficiali sull’estensione del fenomeno non ce ne sono: «Anche qui a Cagliari abbiamo cercato di fare un’indagine epidemiologica: non ci sono risposte. E questo succede anche in altri paesi europei: famiglie e scuola - conclude Zuddas - tendono a non riconoscere la particolarità di certi comportamenti». ______________________________________________________________ L’Unità 24 gen. ’11 GRUPPI SANGUIGNI QUEI FORTUNATI DEL TIPO «O», MENO A RISCHIO INFARTO Lo stesso gene che porta le persone ad avere il gruppo sanguigno O protegge anche dagli attacchi di cuore: è quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet. 6.000VERSUS 7.400 La scoperta è stata effettuata da un gruppo di ricercatori americani dell' Istituto Cardiovascolare della Pennsylvania University (Usa) che hanno messo a confronto il patrimonio genetico di 6.000 persone che avevano subito un attacco di cuore con quello di 7.400 persone sofferenti di una malattia coronarica, ma che non avevano mai avuto un attacco cardiaco. E hanno così rilevato che un gene che determina il gruppo sanguigno O offre una certa protezione anche contro gli attacchi di cuore. I ricercatori hanno descritto la scoperta come «degna di nota, dati i decenni di lavoro in cui sono state suggerite le relazioni tra i gruppi sanguigni A, B, e O con le trombosi e le malattie coronariche». ______________________________________________________________ Repubblica 25 gen. ’11 CORRI, DIMAGRISCI, DORMI. E RIDI COSÌ SI DÀ SCACCO ALL'INFARTO Dal Perelman Heart Insitute di New York, avanguardia mondiale della cardiologia, per il benessere vascolare. A partire dal buonumore: valgono mezzora di camminata veloce GIUSEPPE DEL BELLO Scacco all'infarto — e all'ictus — in cinque mosse. Non ci vuole molto per costruirsi una buona salute di cuore e arterie, basta attenersi a poche semplici regole nel rispetto di una vita naturale. I suggerimenti arrivano da Oltreoceano attraverso una lezione tenuta dalla specialista HollyAndersen, del Ronald Perelman Heart Institute del Presbyterian Hospital di New York. «Secondo le statistiche gli americani cardiopatici sono 58 milioni e di questi circa mezzo milione è rappresentato da donne, spesso vittime di infarto e ictus», premette prima di elencare i cinque scalini della scala virtuale della salute cardiaca. Il primo invita a conoscere i propri valori: pressione arteriosa (compresa tra 140 e 85), colesterolo totale (mai al di sopra di 200), trigliceridi (inferiori a 150). A seguire, c'è l'esercizio fisico definito dalla dottoressa Andersen la «fontana della giovinezza»: «Basta una semplice passeggiata di 20-30 minuti poche volte a settimana per ridurre il rischio di morte prematura in oltre il 50 per cento dei casi». I vantaggi dell'attività fisica sono ad ampio raggio: riduce lo stress, migliorala qualità del sonno e dell'umore, fa diminuire il colesterolo, favorisce le capacità cognitive e previene la perdita della memoria. Il terzo consiglio, che si discosta dal solito cliché intimidatorio dei medici, invita a ridere. Una fragorosa risata risulterebbe più efficace di qualsiasi farmaco: «Quindici minuti di risate ad alta voce, ogni giorno, equivalgono a trenta minuti di esercizio aerobico finalizzato al benessere cardiovascolare. In questo modo si ottimizzano anche gli ormoni cerebrali e si riesce a ridurre il dolore e l'ansia». Al quarto step troviamo il "giro vita" che in centimetri non deve oltrepassare quota 94 per gli uomini e 80 perle donne. Meglio controllare la circonferenza addominale che focalizzarsi sul peso visto che la quantità di grasso che circonda l'addome è direttamente proporzionale alla pressione sanguigna e al colesterolo elevato. In più, è un fattore di rischio per l'insorgenza del diabete. «Ma niente trucchi», taglia corto Andersen, «sottoporsi a liposuzione dell'addome non conta». L'elenco si chiude col sonno. «Ogni notte fate una bella dormita», raccomanda, «serve a mantenervi in buona salute, perché la mancanza di sonno fa precipitare il metabolismo, causa l'aumento della pressione sanguigna ed è responsabile del calo dell' attenzione». I messaggi valgono per entrambi i sessi, ma la Andersen sottolinea che le donne dovrebbero impegnarsi di più nella prevenzione: «Si stanno facendo enormi passi avanti nel trattamento delle patologie cardiache, ma è necessario sviluppare i programmi di educazione femminile sui fattori di rischio. Sensibilizzare le donne equivale a sensibilizzare un'intera società, perché loro stesse diventano mediatrici dei metodi di prevenzione per la famiglia e gli amici». Per Roberto Ferrari, ordinario di Cardiologia dell'università di Ferrara, ex presidente della Società europea di cardiologia, occorrerebbe integrare i cinque punti con ulteriori consigli. Per esempio tenere a bada la frequenza cardiaca. «Durante l'attività fisica il numero di battiti ovviamente aumenta», premette, «perché il cuore ha il compito di inviare maggior quantità di sangue alla periferia. Tuttavia, se l'allenamento è costante, le pulsazioni, nell'arco della giornata diminuiscono. A riposo, dovrebbero rimanere tra 60 e 65 al minuto». «Il cuore di Bartali», aggiunge il professore, «aveva una frequenza di base di 40, mentre quella del campione olimpico Alex Schwazer corrisponde a 22». Un cuore normale registra all'incirca centomila pulsazioni al giorno e sp osta novemila litri di sangue, e per compiere questo lavoro ha bisogno continuamente di ossigeno. «Riducendo il numero di contrazioni, si riduce anche la benzina, cioè l'ossigeno di cui ha bisogno la macchina-cuore». L'altro punto su cui si sofferma Ferrari è l'esercizio fisico, da praticare non sporadicamente per soli venti minuti, ma «almeno per mezz' ora tre volte a settimana. E poi è importante la costanza: due mesi di seguito non bastano, mentre un'attività svolta tutta la vita riduce notevolmente la frequenza cardiaca». ______________________________________________________________ Repubblica 25 gen. ’11 UN TEST DEL SANGUE MANDA IN PENSIONE L’AMNIOCENTESI Un test sul sangue materno "made in China" manda in pensione l'amniocentesi. Attualmente, il prelievo di liquido amniotico è consigliato (e gratuito in qualche paese come il nostro) per le donne sopra i 35 anni di età. Tra breve questo nuovo test, visto il basso costo e l'assenza di rischio di aborto, potrebbe essere esteso a tutte le donne indipendentemente dall'età e relegare l'amniocentesi a pochi casi. Un ribaltamento totale delle linee guida seguite finora. La rivoluzione sta nelle nove pagine del primo numero di quest'anno del British Medical Journal (l'articolo è all'indirizzo web in alto destra della pagina) dove un pool di 24 ricercatori in 13 ospedali e università di Amsterdam, Londra e perlopiù di Hong Kong riferiscono il loro ampio studio. In sintesi: all'università di Hong Kong è stata messa a punto una versione ancora più raffinata e potente dei test genetici tipo Next Generation Sequencing (Ngs) che in poche ore decodificano i tre miliardi di "lettere" di un Dna umano contro i due anni richiesti dal test di prima generazione di dieci anni fa, quello con cui Craig Venter svelò la prima mappa del genoma umano. Il test poi è stato verificato su 753 partorienti cinesi ed europee. Risultato: amniocentesi, villocentesi e test genetico hanno la stessa capacità di individuare la trisomia 21, la causa della sindrome di Down, che è la principale preoccupazione che porta a fare l'amniocentesi. Ma senza il rischio (l'uno per cento) di aborto connesso a amniocentesi e villocentesi perché il test riesce a ripescare nel sangue della madre il Dna del feto e ad analizzarlo. Nulla a che vedere, infine, col Tritest che, misurando alcune proteine fetali nel sangue materno, fornisce solo una percentuale di probabilità che il feto sia un Down. La versione commerciale dello Ngs utilizzabile dagli ospedali dovrebbe essere pronta in un paio di anni. «È una ricerca rivoluzionaria e la sua pubblicazione era stata preceduta da alcune indiscrezioni circolanti da mesi nel nostro ambiente — dice Giuseppe Novelli, ordinario di Genetica umana, preside di Medicina e direttore del Centro di genetica medica all'Università Tor Vergata di Roma — Dimostra concretamente che l'impiego del test renderà inutile il 90% delle oltre centomila amniocentesi che ogni anno in Italia si praticano, quasi sempre per scoprire la trisomia 21». La validazione del test è stata realizzata recuperando nei vari ospedali le cartelle cliniche e il sangue di 753 donne incinte (in molti ospedali si conservano i prelievi dei degenti proprio per fare ricerche) che si erano sottoposte ad amniocentesi o villocentesi perché in età avanzata (media 35,6 anni), quando il rischio di mongolismo 21 sale sensibilmente. Infatti le mappe cromosomiche avevano svelato 86 casi di trisomia 21, poco più di una gravidanza su dieci. I campioni di sangue poi sono stati spediti a vari laboratori, tutti all'oscuro dei risultati delle amniocentesi, dotati della nuova tecnologia Ngs. In sintesi si tratta di una sofisticata apparecchiatura con il sistema di analisi molecolare del Dna, un computer per elaborazione dei dati biologici e una connessione Internet per il confronto delle sequenze di Dna decodificate con i database internazionali dove sono memorizzate le sequenze di Dna umano disponibili. In poche ore la macchina sforna le sequenze genetiche del Dna della madre, di quello del feto passato nel sangue materno e del numero di geni collocati nel cromosoma 21. Quando ne trova il triplo nel Dna del feto vuol dire che questo ha tre cromosomi 21, invece dei due che normalmente vi devono essere. Il confronto con le mappe cromosomiche prodotte con amniocentesi e villocentesi ha dato il cento per cento di coincidenze. «Abbiamo già avviato la validazione del test perle altre trisomie, più rare — scrivono i ricercatori a conclusione del loro articolo —Ma la possibilità più interessante che si apre è quella di eseguire sul Dna del feto recuperato nel sangue materno i test per tutte le malattie ereditarie». ____________________________________________________ Corriere della sera 30 gen. ’11 SCREENING ANTI-TUMORI: PERCHÉ GLI ITALIANI RISPONDONO SOLO A METÀ Il bilancio Come, quanto e dove funziona il servizio per la prevenzione oncologica Come, quanto e dove funziona il servizio per la prevenzione oncologica Aumentano le «chiamate» , ma molti non accettano «S e guardiamo al passato e a quel che abbiamo fatto negli ultimi anni, è un bilancio positivo. Ma molto rimane ancora da fare» . Il direttore dell'Osservatorio nazionale screening (Ons), Marco Zappa, legge così i dati che l'organo tecnico (a supporto del ministero della Salute e delle Regioni) incaricato di attuare, monitorare e valutare i programmi di screening in Italia, ha da poco pubblicato. «Oggi, il 70 per cento delle donne italiane dopo i 50 anni riceve un invito per sottoporsi allo screening mammografico, il 66 per cento riceve l’offerta di sottoporsi al Pap test per la diagnosi precoce del cancro del collo dell'utero, al 40 per cento delle donne e degli uomini tra i 50 e i 70 anni giunge l’invito per il test contro il tumore del colon retto. Valori quasi impensabili soltanto fino a cinque anni fa» . Le cifre del rapporto sugli screening in Italia parlano chiaro: nel corso del 2009, 1,3 milioni di donne ha eseguito la mammografia di screening, 1,6 milioni si è sottoposto al Pap test, mentre sono stati 1,4 milioni i cittadini che hanno eseguito la ricerca del sangue occulto nelle feci. I dati, che si riferiscono soltanto agli esami eseguiti all’interno dei tre programmi istituzionali di prevenzione oncologica attivi in Italia e non ai test fatti spontaneamente o su indicazione del proprio medico, mostrano tuttavia anche criticità che si stenta a superare. L'Italia si presenta infatti spaccata in due, con un Centro Nord che corre verso la copertura totale della popolazione e un Meridione, che, seppur in costante crescita, è ancora lontano dall'offrire a tutti questo servizio compreso nei Livelli essenziali di assistenza, cioè nelle prestazioni sanitarie che spettano a tutti i cittadini indipendentemente dalla regione di residenza. — se la mammografia viene offerta al 90 per cento delle donne tra i 50 e i 69 anni residenti al Nord, questa percentuale crolla al 37 per cento al Sud. Differenza ancora più marcata per la ricerca del sangue occulto nelle feci: è proposta al 66 per cento delle persone con età compresa tra i 58 e i 60 anni al Nord e soltanto il 7 per cento al Sud. Maggiore equilibrio si registra invece nell'offerta del Pap test, destinato alle donne tra i 25 e i 64 anni. In tal caso è il Centro l'area in cui si registrano i risultati migliori (87%), mentre si attestano intorno al 63 per cento il Nord e il Sud. «A questa prima criticità — prosegue Zappa — se ne aggiunge un'altra non meno importante: è ancora alta la proporzione di cittadini che, seppure invitati, non si sottopongono agli esame di screening » . Complessivamente, poco più del 50 per cento delle donne e degli uomini che ricevono la lettera a casa esegue poi effettivamente i test di screening per il cancro della mammella e del colon; meno del 40 per cento le adesioni allo screening per il tumore del collo dell'utero. «Sarebbe però sbagliato, o almeno incompleto, giudicare gli screening basandosi solo su questi dati— sottolinea l'epidemiologo a capo dell’Osservatorio nazionale —. I programmi di screening si caratterizzano per essere, non semplicemente un singolo esame, ma un "percorso"in cui al test iniziale, se positivo, seguono ulteriori indagini, fino ad arrivare, se necessario, al trattamento vero e proprio» . Tutto ciò, inoltre, avviene all'interno di un sistema che misura e valuta ognuno di questi passaggi. I dati dicono che le italiane accettano di buon grado (lo fanno 9 su 10) di sottoporsi a un approfondimento diagnostico nel caso in cui la mammografia faccia nascere un "sospetto". L'approfondimento consiste in un'ecografia e in una visita, seguite, soltanto se ci sono ulteriori sospetti, dal cosiddetto "ago aspirato"o da una microbiopsia. È inferiore, invece, la percentuale di chi si sottopone agli approfondimenti in caso di positività al Pap test, o all’esame per il sangue occulto nelle feci, cioè la colposcopia e la colonscopia. Sono rispettivamente L 80 e L 85 per cento le persone che passano al secondo "livello"di indagini. «È una lacuna importante — sottolinea Marco Zappa — . Le persone che il primo test ha già identificato come a rischio, sono quelle che presentano le maggiori probabilità di ammalarsi di tumore: per loro fare il primo test tralasciando i successivi è un grave errore. Questo comportamento, infatti, non dà la possibilità di intervenire, quando necessario, con opportune misure terapeutiche e non consente neanche di chiarire se il soggetto è malato o è sano» . La positività al tradizionale esame di screening, infatti, non è una sentenza di malattia: indica soltanto che quell’individuo potrebbe essere affetto da un tumore e necessita per questo di ulteriori indagini. In realtà, non tutte le persone che non completano il percorso predefinito degli screening tralasciano gli opportuni approfondimenti. Molti infatti si rivolgono altrove, a uno specialista di fiducia o direttamente a una struttura sanitaria. «Ciò avviene soprattutto al Sud — conclude il direttore dell'Ons — ed è un ulteriore indice delle difficoltà che ancora incontrano alcuni programmi di screening. Le difficoltà stesse, infatti, fanno sì che la fiducia dei cittadini nei confronti di questo "programmi di protezione"non sia piena. I nostri dati ci dicono che quando il programma è ben consolidato e la qualità percepita dai cittadini è buona, tutti gli invitati compiono per intero il percorso di diagnosi precoce» . Antonino Michienzi ____________________________________________________ Corriere della sera 30 gen. ’11 SCREENING: È PIÙ FACILE SE IL KIT ARRIVA A CASA Come convincere le donne restie a sottoporsi ai periodici esami per la diagnosi precoce del tumore del collo dell'utero? Una soluzione potrebbe venire da un kit di "auto-prelievo", la cui accettabilità è stata verificata in uno studio coordinato dall'Agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio e pubblicato sul British Journal of Cancer lo scorso dicembre. Il dispositivo è una sorta di lavanda vaginale in grado di catturare il virus Hpv, che poi viene inviata a un laboratorio per l'analisi. La ricerca è stata condotta su circa 2.500 donne tra i 35 e i 64 anni che non avevano risposto a una prima chiamata allo screening. Le donne, incluse negli screening di Roma, Firenze e Teramo, sono state divise in quattro gruppi: due hanno ricevuto la solita lettera d’invito per il Pap test o l'Hpv test; un terzo una lettera che invitava a ritirare il kit di auto-prelievo; al quarto è stato inviato il kit a casa. Questo gruppo ha registrato i tassi di risposta più alti: una donna su 5 ha usato il kit; all’invito per il Pap test ha aderito il 13,9%; inefficaci gli altri interventi. Questi risultati, però, sono stati osservati solo a Roma e Firenze. «L'invio del kit a casa può aumentare l'adesione, — concludono i ricercatori— ma l'efficacia in contesti specifici e i costi della procedura devono essere considerati» . ____________________________________________________ Corriere della sera 30 gen. ’11 SCREENING: ANCHE DUE VESCOVI SOSTENGONO I TEST Probabilmente, mai il vescovo di Caltanissetta e quello della vicina Piazza Armerina (in provincia di Enna) avrebbero immaginato di posare, un giorno, per un manifesto. E invece, nei mesi scorsi, i volti dei monsignori Mario Russotto e Michele Pennisi hanno campeggiato in città e paesini siciliani per promuovere i programmi di screening dell'Asl locale. Accompagnati da messaggi come "Un peccato non farlo…", ed "È quasi un miracolo", i due alti prelati hanno invitato i siciliani ad avvicinarsi ai programmi di prevenzione del cancro al seno, alla mammella e al colon retto. Succede anche questo nell'Italia degli screening. Oltre alle strategie tradizionali, fioriscono un po'dappertutto iniziative per far sì che i cittadini non dimentichino, o non siano esclusi dalle iniziative di diagnosi precoce. E così in Calabria, a Crotone, un cantastorie ha messo in parole e musica "La ballata del colon retto". La ballata, rigorosamente in dialetto calabrese, sarà parte della campagna di comunicazione dell'Azienda sanitaria provinciale. A L'Aquila, invece, dove il terremoto del 6 aprile 2009 ha spazzato via, insieme a vite ed abitazioni, anche gli indirizzi presso cui recapitare gli inviti per presentarsi agli esami di screening, da più di un anno, ci si sta dando da fare, per quanto a fatica. L'ultima risorsa messa in campo è un camper attrezzato per essere un vero e proprio ambulatorio mobile con cui raggiungere chi vive nelle nuove abitazioni costruite dopo il sisma. Per ora sul camper viene offerto soltanto il test per la prevenzione del cancro del collo dell'utero, ma nelle prossime settimane comincerà la distribuzione del kit per la ricerca del sangue occulto nelle feci. Il camper, inoltre, è già stato sperimentato per raggiungere alcuni comuni della provincia abruzzese ed evitare che la distanza dalle strutture sanitarie più attrezzate si potesse tradurre in un mancato accesso agli esami. Tuttavia, non c'è bisogno di essere in provincia per correre il rischio di perdere il contatto con la sanità organizzata ed essere costretti a rinunciare al diritto alla salute. Può accadere, per esempio, in carcere, dove è raro che esistano iniziative di prevenzione così strutturate e organizzate. È per questo che l'Azienda Usl Roma B ha deciso di portare gli screening per il cancro del seno e per quello del collo dell'utero dentro il carcere di Rebibbia. Nello scorso anno sono stati offerti il Pap test e la mammografia alle ospiti della struttura, che hanno apprezzato l'iniziativa accettando, quasi tutte, di sottoporsi agli esami. Un successo che ha consentito di raggiungere una fetta di popolazione spesso lontana dalla prevenzione. Come quella immigrata, il cui ingresso nei programmi di screening rappresenta una delle sfide più ardue per la sanità pubblica. Il rischio che le donne immigrate si ammalino di tumori suscettibili a essere identificati precocemente dagli screening è, infatti, più alto che nella popolazione italiana. Un rischio fotografato anche da un recente studio pubblicato sul Journal of Medical Screening. Dall'analisi dei dati del Registro tumori toscano è emerso che il tasso di tumori invasivi del collo dell'utero tra le italiane si attesta intorno a 9,5 per 100 mila. Una proporzione che si moltiplica nelle straniere: nelle donne provenienti dall’Est Europa raggiunge i 38,3 casi per 100 mila, fino ad arrivare, nelle donne di provenienza Centroamericana, ai 60,5 casi per 100 mila. A. M ____________________________________________________ Corriere della sera 30 gen. ’11 SCREENING: SULL’EFFICACIA E SUI RISCHI I PARERI RESTANO DIVERSI La storia della diagnosi precoce dei tumori è cominciata più di cinquant'anni fa. Eppure, la querelle sull'efficacia o meno degli screening nel raggiungere il loro obiettivo ultimo, cioè ridurre la mortalità per cancro, non si è ancora sedata. Lo screening più controverso è quello per il cancro del seno. Soltanto nell'ultimo anno sono decine gli studi che hanno indagato sull'argomento, giungendo a conclusioni discordanti. A marzo 2010 sul British Medical Journal un'analisi dei dati dei registri della mortalità danese, incrociati con quelli relativi agli screening, sembra mostrare che la riduzione della mortalità per cancro al seno nelle regioni in cui questi programmi funzionano è simile o inferiore rispetto a quella registrata dove non esistono. Pochi mesi e uno studio analogo condotto in Norvegia (sul New England Journal of Medicine) ribalta le carte: la mammografia riduce la mortalità. Ma più degli screening, negli anni, hanno fatto i farmaci e altre forme di prevenzione. Un dibattito spesso molto tecnico che rischia, però, di mandare all'aria gli sforzi fatti per conquistare la fiducia dei cittadini nella prevenzione. «Gran parte del problema — spiega Eugenio Paci, dell'Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica di Firenze— è metodologico. Tanto per cominciare gli studi spesso confrontano realtà diverse. Inoltre, la possibilità di osservare un risultato in termini di mortalità richiede molti anni e sono ancora pochi i programmi europei maturi per dare risultati concreti» . Paci è tra gli autori di uno studio che, pubblicato sul British Journal of Cancer due anni fa, ha fornito un ulteriore dato sull’efficacia dello screening mammografico: «I nostri dati, in accordo con diversi studi internazionali, mostrano che riduce del 50%la mortalità» afferma l'epidemiologo. Tuttavia, non si tratta solo di salvare vite. Sottoporsi a un esame di screening espone al rischio di un falso positivo, cioè a un sospetto di cancro che ulteriori indagini, talvolta invasive, escluderanno. Ma quanto è ampio questo rischio? Un recente editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine stimava che il 40%delle donne che si sottopongono regolarmente allo screening per 10 anni va incontro almeno una volta a un falso positivo. E la metà di esse è costretta a sottoporsi a un esame invasivo. Dati totalmente diversi da quelli pubblicati sulla stessa rivista la scorsa settimana e che si riferiscono al programma di screening di Firenze. «Dall'analisi dei dati relativi al nostro programma, in 10 anni il rischio di falso positivo è del 10%. È solo dell'1%, invece, quello di approfondimenti invasivi» illustra Donella Puliti dell'Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica di Firenze. C’è poi il problema della "sovradiagnosi": i casi in cui il tumore c'è, ma non sarebbe mai emerso nel corso della vita senza l'intervento dello screening. Gli esami di cui disponiamo oggi non consentono di discernere quale tumore diventerà pericoloso. Perciò, una volta identificato il cancro, s’interviene, anche se in una piccola percentuale di casi si va a trattare un tumore che non sarebbe diventato aggressivo. «Dai nostri dati questo effetto si mantiene nell'ordine del 10%dei casi complessivi: una percentuale accettabile se confrontata ai benefici che si traggono dall’intervento» aggiunge Paci. Tuttavia, non mancano studi in cui la proporzione raggiunge il 50%. Insomma, il dibattito è aperto. E ulteriori argomenti si aggiungono. Per esempio, quello dello "screening personalizzato". Sembra un ossimoro, dal momento che lo screening è un intervento che si rivolge all'intera popolazione. «Ma le donne non sono tutte uguali e non presentano tutte lo stesso rischio — sottolinea Pietro Panizza, responsabile dell'Unità funzionale di senologia diagnostica dell’Ospedale San Raffaele di Milano —. Studi recenti hanno dimostrato che esiste una correlazione tra mammella densa, vale a dire un seno caratterizzato da una maggiore presenza ghiandolare, e un maggior rischio di cancro. Un innalzamento del rischio è dovuto anche a ragioni familiari o genetiche, In questi casi l'ecografia o la risonanza magnetica potrebbero consentire una diagnosi più tempestiva e accurata rispetto alla mammografia» . L'efficacia e la fattibilità di questo nuovo approccio è al momento in fase di studio, di certo, però, le conoscenze scientifiche cambieranno gli screening nei prossimi anni. In parte lo stanno già facendo: la scoperta del papillomavirus umano quale causa del cancro del collo dell'utero potrebbe mandare in pensione il Pap test per sostituirlo, dopo un cinquantennio di onorata carriera, con l’Hpv test. Si tratta di un esame molecolare che identifica il Dna del virus responsabile delle lesioni che poi possono evolvere in cancro. In Italia sono diverse le aziende sanitarie che, all'interno di studi pilota, hanno cominciato la transizione; Abruzzo, prima Regione in Italia, da gennaio offre soltanto l'Hpv test alle donne. Ma era proprio necessario questo cambiamento, alla luce della dimostrata efficacia del Pap test? «Io credo di sì — afferma Guglielmo Ronco, del Centro di riferimento per l'epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte, tra gli autori di uno degli studi più ampi sull'argomento pubblicato lo scorso anno su Lancet Oncology —. L'Hpv test si è dimostrato più efficace, vale a dire che le donne che hanno eseguito questo esame sviluppano un minor numero di tumori invasivi rispetto a quelle che hanno fatto il Pap test» . Il nuovo esame è infatti in grado di identificare le donne a rischio di sviluppare il cancro molto più precocemente rispetto al Pap test. Un enorme vantaggio, ma anche un rischio: quello di esporre le pazienti a indagini e trattamenti non necessari. «Soprattutto nelle donne più giovani— aggiunge Ronco,— dal momento che il test identifica molte lesioni che sarebbero regredite spontaneamente. Per questa stessa ragione sarebbe opportuno allungare l'intervallo tra un esame e l'altro» ____________________________________________________ Corriere della sera 30 gen. ’11 SCREENING: È POSSIBILE CHE LE PRENOTAZIONI PER I CONTROLLI INTASINO LE LISTE D’ATTESA? In Emilia Romagna si era arrivati a liste di attesa di due anni per sottoporsi a una mammografia. «Ed è stato anche per questo — dice Carlo Naldoni, responsabile dei programmi di screening oncologici emiliani— che la Regione ha deciso di estendere, dallo scorso gennaio, lo screening mammografico a tutte le donne tra i 45 e i 74 anni» . Naldoni spiega come un intervento sull'organizzazione degli screening stia portando a smentire una delle "colpe"spesso attribuite ai programmi di diagnosi precoce organizzati: contribuire, con l'alto numero di esami richiesti, a intasare i servizi di senologia. La logica è semplice: più che il numero di esami è la disorganizzazione ad allungare le liste. Le donne tra i 45 e i 49 anni, poi, sono tradizionalmente escluse dagli screening, ma in una fascia di età in cui la sensibilità alla prevenzione è più alta. Per questo sono quelle che più fanno ricorso agli esami spontanei. Da qui la soluzione: «Le abbiamo informate del fatto che era stato attivato questo intervento, invitandole ad aspettare la chiamata piuttosto che a prendere spontaneamente un appuntamento» sottolinea l'esperto emiliano. In sostanza, i programmi organizzati stanno cercando di inglobare le iniziative spontanee, allo scopo di razionalizzare i servizi e organizzarli in maniera più efficiente. La tecnica sembra funzionare: «Non ci sono ancora dati definitivi, ma a oggi circa la metà delle donne appartenenti a questa fascia di età ha accettato il nostro invito. Col risultato che speravamo di ottenere: accorciare le liste di attesa» conclude Naldoni. ______________________________________________________________ Repubblica 25 gen. ’11 AL SAN RAFFAELE VALVOLA MITRALICA IMPIANTATA CON UN CATETERE IN ANESTESIA LOCALE interventi di cardiochirurgia si fanno sempre meno invasivi e cruenti. Per la prima volta al mondo, all'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano, i dottori Matteo Montorfano e Antonio Colombo, dell'unità operativa di emodinamica e cardiologia interventistica del Dipartimento cardio-toraco-vascolare, diretto dal professor Ottavio Alfieri, hanno eseguito l'impianto di una valvola mitralica senza dover ricorrere all'apertura del torace. L'intervento, durato circa due ore, è stato fatto su un paziente di ottant'anni, in anestesia locale. Dopo appena quattro giorni il paziente ha potuto lasciare l'ospedale. La nuova procedura consente di evitare un intervento di chirurgia maggiore "a cuore aperto" (che prevederebbe cioè sternotomia e circolazione extracorporea) e consiste nell'inserire uno speciale catetere nella vena femorale, attraverso la quale si risale fino alle sezioni destre del cuore; si punge quindi il setto per arrivare alle camere cardiache di sinistra e qui si impianta la nuova valvola mitrale che sostituisce quella malata. «Per il momento questo intervento è riservato ai pazienti che abbiano bisogno di sostituire una valvola mitralica precedentemente impiantata per via chirurgica — spiega il dottor Antonio Colombo, responsabile dell'unità operativa di Cardiologia interventistica ed emodinamica, Ircss San Raffaele— ma questo risultato riconferma la fattibilità di questa procedura proposta inizialmente dal dottor Alain Cribier di Rouen». La sostituzione di una valvola mitrale non funzionante per via percutanea, come anche la riparazione della stessa attraverso il sistema MitraClip (che funziona come una "spilla da balia" che riaccosta tra loro i lembi della valvola) rappresentano una grande opportunità di trattamento anche per tanti pazienti attualmente considerati non trattabili per via tradizionale, cioè attraverso l'intervento classico di cardiochirurgia. Secondo i recenti risultati della European Heart Survey, al cinquanta per cento dei pazienti con insufficienza mitralica grave viene attualmente negato l'intervento chirurgico. (maila rita montebelli) ______________________________________________________________ Le figaro 26 gen. ’11 AREVA INNOVE DANS LA MÉDECINE NUCLÉAIRE Sa filiale Areva Med démarre les essais cliniques d'un traitement contre le cancer, ARMELLE BOHINEUST SANTA Pour Areva, l'uranium ne mène, paS uniquenient à l'energie nucléaire. C'est aussi une noie veri la sante. Areva Med, sa filiale creée en 2009, vient d'obtenir l'accord des autorites sanitaires américaines pour mener des essais cliniques de phase 1 sur un traitement contre des cancers agressifs. • (:'est Mie première mmuliale et cela pourrait aboliti,- h .une autorisation de mise sul. le marche: d'un tmAicament inmwant dici .fin 2016 », souligne Patrick Bourdet, PDG d'Areva Med. Pour se transformer en laboraWire pharmaceutique, le groupe d'énergie nueléaire mise sur un atone radioactif denomini:. plomb 212. Adossè à un anticorps, le plomb 212 agii comme une charge explosive qui détecte les cellules malades et les détruit sani toucher aux autres cellules saines. De qtioi coni battre des cancers du parieréa.s ou des ovaires, par exemple, contre lesquels la ehinnothérapie ne petit riera aujourd'hui, prévoit Areva au vu