RASSEGNA 06/02/2011 CAGLIARI: PARTE LA RIFORMA, ATENEO VERSO IL NUOVO STATUTO - RIFORMA GELMINI: POLEMICA SULLE COMMISSIONI PER GLI STATUTI - È SCONTRO A TOR VERGATA SU CHI RISCRIVE LO STATUTO - GAETANO DI CHIARA: MISURIAMO IL MERITO CON L'H - F.RAGA: INDICE H ESALTA MEDICI E BIOLOGI - SCIENZIATI E TENNISTI: INDICE H SOMMARE PERE CON PATATE - S.LABINI: COME TI DIVENTO UNO SCIENZIATO ‘CITATO - REGIONE E UNIVERSITÀ, I SOLDI NON BASTANO - FIGA’: GLI STUDENTI E I CORSI DI LAUREA - UNIVERSITÀ, CALA L’OFFERTA MA AUMENTANO LE TASSE - LE ILLUSIONI DEI (POCHI) LAUREATI D' ITALIA - A SORPRESA GLI STUDENTI PROMUOVONO I PROF - DOTTORATI: OCCUPABILITÀ AL 93% - DOCENTI: RICAMBIO GENERAZIONALE TRA 5 ANNI - AL TOP I SITI DI FIRENZE E PARMA - PERICLE CONTRO LA GELMINI - LA RIFORMA IN ANTEPRIMA - UNIVERSITÀ, ANNO ZERO: LA MANNAIA GELMINI - TREDICIMILA ASSEGNISTI A RISCHIO «SFRATTO» - A RISCHIO L'UNIVERSITÀ PUBBLICA (IN USA) - TUTTE LE «BUFALE» CANCELLATE DALLE RIVISTE SCIENTIFICHE - ELEZIONI CUN, LA RETE 29 APR 5 RICERCATORI SU 7 - GERMANIA A CACCIA DI LAUREATI - LAUREA FACILE PER LE STELLETTE - CAGLIARI: L’UNIVERSITÀ LICENZIA GLI ASSEGNISTI - BRUNETTA CHIARISCE LE NORME SULL'ALBO PRETORIO ON LINE - STOP ALLE AFFISSIONI IN COMUNE, PUBBLICAZIONI ON LINE O NIENTE NOZZE - MENO DEL 67% DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E IN REGOLA - COL TIMBRO DIGITALE ORA I DOCUMENTI SI RICHIEDONO ON LINE - DALL’UNIVERSITÀ ALL’OVILE, ANDATA E RITORNO - STUDENTI IN FILA LA DOMENICA PER STUDIARE IN BIBLIOTECA - PAGELLE ALLE SCUOLE? PROMOSSE DAI PRESIDI - 2011, ANNO DEL RADIOTELESCOPIO DI PRANU SANGUNI - IRAN: UN VIRUS PUÒ FARE ESPLODERE BUSHEHR - TASSE UNIVERSITARIE,Finanza INDAGA SUGLI STUDENTI «EVASORI» - IL MIO CERVELLO LO LASCIO ALL'ESTERO - LA MIA SFIDA A NEW YORK VOGLIO VINCERE LE LEUCEMIE» - IO, LE PIANTE PREISTORICHE E LA NATURA DI CERA: SUSINI E LE PIANTE - IL CONTO SALATO DEL SOLARE BOLLETTE PIÙ CARE DEL 10% - IL FUTURO DELL'ENERGIA NON È SOLO PETROLIO MA ANCHE LE RINNOVABILI - SOLARE, DIETRO LE TRUFFE C’È UNA LEGGE CATTIVA - ========================================================= MEDICINA: TEST IN ROMANIA? VALIDO IN ITALIA! - IL MESTIERE DELL'INFERMIERE TRA STEREOTIPI E OPPORTUNITÀ - SANITÀ, INCHIESTA SULLE NOMINE - «BASTA CON I COMMISSARI ALL ASL» - TAR:STOP ALL’ISOLA DEI COMMISSARI - BORGHETTO: «E ORA SUBITO AL LAVORO» - TAGLI AGLI AMBULATORI PRIVATI SI VA AL TAR CONTRO LA REGIONE - OSPEDALE CIVILE, LE BRANDE NEI CORRIDOI - UN CONVEGNO SULLE MALATTIE DELLA TIROIDE - MALATTIE RARE IN CERCA DI CURA - MICORCITEMICO: MALATTIE RARE, COLPITE 12 MILA PERSONE - POCHISSIME ORE ALL’ANNO DI ASSISTENZA A DOMICILIO - MACCARINI: IL RE DEI TRAPIANTI DELLA TRACHEA RESTA SENZA CATTEDRA - A.TESI: IL CASO DEL PROF.MACCHIARINI - SASSARI: OCULISTICA, RICORSO CONTRO CARTA JUNIOR - OPTIMAL BALANCE BETWEEN RESEARCH AND EXPERIENCE - PROTEINA «ITALIANA» PER BLOCCARE IL TUMORE AL SENO - LE RUGHE DELLA BELLEZZA - NESSUNA CONTROINDICAZIONE PER IL SESSO IN GRAVIDANZA - ANTINFIAMMATORI DA USARE CON PRUDENZA - 28.000 VARIANTI GENOMICHE DIETRO LE PATOLOGIE UMANE - UNA NUOVA FORMA DI COMUNICAZIONE NEURONALE - H1N1: QUEL MALEFICO VIRUS DI UN ANTICA MALATTIA - CANI SANNO FIUTARE IL CANCRO DEL COLON - DIFFICOLTA' DISTRIBUTIVE PER ALCUNI FARMACI - LE CIFRE DA PAURA DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE - TIBERIO: LA PENICILLINA, UNA SCOPERTA ITALIANA - FLEMING: SI MERITÒ IL NOBEL GRAZIE A UNA CAPSULA DIMENTICATA APERTA - I BATTERI CI CONTROLLANO LA MENTE - COME SI FOTOGRAFA UN VIRUS - ========================================================= ____________________________________________________ L’Unione Sarda 3 Feb.’11 CAGLIARI: PARTE LA RIFORMA, ATENEO VERSO IL NUOVO STATUTO Università. Riunione di senato accademico e cda per attuare la legge Gelmini Università di Cagliari verso il nuovo statuto: senato accademico e consiglio di amministrazione si sono incontrati in una riunione convocata dal rettore, Giovanni Melis, per elaborare la nuova carta dell’Ateneo sulla base delle modifiche apportate dalla riforma del ministro Gelmini. Il rettore ha presentato una prima bozza di discussione contenente le linee generali del nuovo statuto, le proposte per il governo e l’assetto delle nuove strutture, dai dipartimenti al consiglio di amministrazione. Si apre ora una discussione nelle strutture che vedrà la sintesi in una nuova riunione congiunta dei due organi di governo fissata per il 10 febbraio. Nei giorni successivi verrà nominata la commissione che dovrà predisporre la bozza del nuovo Statuto. Melis propone una rilettura “democratica” delle norme della riforma Gelmini: nel senato accademico - che diventa il perno del nuovo sistema di governo - verrebbero mantenute le rappresentanze del personale e dei ricercatori, oltre a quelle dei direttori di dipartimento e delle diverse aree tecnico-scientifiche. In particolare, si prevede che sia il senato accademico a nominare il consiglio di amministrazione, su proposta del rettore. Il cda (in cui entrerebbero degli “esterni”, come vuole la riforma) sarà composto da 9 membri, di cui una rappresentanza di studenti e due esterni. La riforma prevede poi la scomparsa delle facoltà a favore dei dipartimenti. La proposta di Melis prevede la riduzione dei dipartimenti (che scenderebbero a 20-22, oggi sono circa il doppio), composti in base all’omogeneità delle discipline insegnate dai docenti. ____________________________________________________ Il Messaggero 1 Feb.’11 RIFORMA GELMINI: POLEMICA SULLE COMMISSIONI PER GLI STATUTI ROMA - Dibattito aperto nelle università sulle commissioni che dovranno rivedere gli statuti in base alla riforma Geli/tini. E non mancano le proteste. Ieri un lungo striscione rosa è stato srotolato durante l'inaugurazione dell'anno accademico 2010/2011 dell'ateneo di Torino con sopra appuntate le firme di 800 ricercatori che chiedono di avere una rappresentanza nella commissione della loro università. In molte realtà sta emergendo la stessa necessità da parte del personale della ricerca. Ma spesso i rettori stanno prendendo un'altra direzione. Sul sito dell'Andu, l'associazione dei docenti universitari, si citano però i casi di due università dove si è scelta la strada della partecipazione: Trieste e Palermo. Nell'ateneo siciliano sarà eletta una rosa di docenti da cui verranno selezionati alcuni dei membri della commissione statuto. In Parlamento approda la polemica sulla nuova Agenzia di valutazione: in molti hanno contestato i nomi decisi dal governo per dirigerla perché non ci sono personalità del Sud né umanisti ____________________________________________________ Repubblica 3 Feb.’11 È SCONTRO A TOR VERGATA SU CHI RISCRIVE LO STATUTO VIOLA GIANNOLI ELEZIONI democratiche per uno statuto "dal basso". Contro le prime rivoluzioni della legge Gelmini nei singoli atenei tornano in campo ricercatori, precari e studenti. A Tor Vergata, attraverso una petizione indirizzata al Senato accademico e al Consiglio di amministrazione, gli universitari chiedono che il nuovo statuto dell'ateneo, previsto dalla riforma, venga costruito ascoltando tutte le voci del mondo accademico. Un appello che sta contagiando gli atenei italiani da Nord a Sud. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Gen.’11 REGIONE E UNIVERSITÀ, I SOLDI NON BASTANO di Giuseppe Marci Nella relazione tenuta per l'inaugurazione dell'Anno accademico, il rettore dell'Università di Cagliari ha illustrato la situazione economica dell'ateneo, caratterizzata da una progressiva riduzione del finanziamento ministeriale e da un crescente apporto di risorse erogate dalla Regione sarda. Grazie a tale apporto è stato possibile integrare, in parte, i tagli dello Stato: «L'attenzione della Giunta e del Consiglio regionale - ha detto il Rettore - è stata fondamentale». Naturalmente ciò è vero. Ora però, spogliandomi della veste di insegnante dell'Università e ragionando da cittadino, da cittadino sardo, vorrei ribadire ciò che vado sostenendo da tempo: quell'attenzione è fondamentale ma non ancora sufficiente. Non è sufficiente sul piano politico, intendo. Tutti noi sappiamo come si sia sviluppato, nei decenni, il rapporto fra Università e Regione Sardegna; abbiamo un'idea dell'entità dei finanziamenti erogati in maniera disorganica e sulla base di logiche discutibili; sappiamo che i risultati non sempre sono stati pari alle somme investite e che gli sprechi sono stati considerevoli. Le responsabilità di tutto ciò possiamo immaginare ricadano, in maniera eguale, su entrambi i partner. Non poteva durare, e difatti, anche per gli effetti della crisi economica, si intravedono segnali di una inversione di tendenza. Ma occorre dire subito che sono segnali deboli e sostanzialmente inadeguati rispetto alla prospettiva ampia che dovrebbe avere la politica. Un docente può avere l'umana (e accademica) debolezza di chiedere un finanziamento che serva soltanto per sé, per la sua scuola, per le proprie ambizioni di prestigio e potere. Il presidente della Giunta deve avere il coraggio di guardare più in là, costruendo una visione strategica che contempli la Sardegna del futuro. L'Isola del 2050 e degli anni successivi sarà quella che oggi si vorrà che sia. Bisogna allora predisporre subito un accorto disegno programmatico, sapendo che la competizione mondiale si va facendo sempre più intensa e che dobbiamo attrezzare le future generazioni per parteciparvi con possibilità di successo. I consiglieri regionali, il presidente della Giunta, l'assessore al Bilancio devono convincersi che un occasionale sostegno non basta: servono ragionati piani di investimento elaborati in una logica politica talmente savia da saper dettare, contemporaneamente, le regole che impongano al mondo accademico atteggiamenti più consapevoli. I comportamenti del passato ci hanno spinto in una condizione difficilissima, hanno reso precario il presente e mettono in discussione il futuro. La crisi può essere l'occasione per un colpo di reni; può essere la frustata che stimola la progettualità. A patto che ragioniamo sapendo che amministriamo pro tempore e dobbiamo dar conto a quelli che verranno. ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 4 Feb.’11 FIGA’: GLI STUDENTI E I CORSI DI LAUREA Nell'articolo sull'università di Giuseppe Bedeschi (Corriere, 1° febbraio), partendo dai dati dell'ultimo rapporto Cnvsu sulla percentuale degli immatricolati con voto di maturità superiore a 9D nelle diverse sedi, si osserva che queste percentuali sono molto più alte in alcune università non statali (non tutte e non quelle telematiche) e se ne deduce che gli studenti più bravi e le loro famiglie «sì indirizzano verso università non statali per l'effettiva preparazione che esse garantiscono». Che questa sia la motivazione per spendere di più è probabilmente vero. Tuttavia non sembra lecito paragonare le percentuali di studenti con voti alti alla maturità se il paragone è fatto tra istituzioni che possono scegliere i loro studenti, e istituzioni che, come le università statali non hanno questa facoltà, ma hanno invece l'obbligo di immatricolare chiunque abbia conseguito un diploma di maturità. Altro sarebbe se il confronto fosse fatto tra facoltà a numero chiuso. Si dovrebbe anche osservare che i corsi di lau'rea più impegnativi (matematica, fisica, chimica, ingegneria) sono offerti solo dalle università statali. Alessandro Figà Talamanca, Roma Il professor Figà Talamanca dice diverse cose giustaln primo luogo ha ragione di rimarcare il fatto che i corsi di laurea più impegnativi sono offerti oggi solo dalle università statali. Di qui il ruolo fondamentale dell'università statale in Italia, e la necessità assoluta di potenziarla e di migliorarla. La mia attenzione era rivolta soprattutto alle molte facoltà umanistiche, perché credo che in queste facoltà ci siano i molti problemi di crisi, di abbandoni, di assenteismo, di inefficienza, di bassa produttività eccetera, di cui io ho parlato (ma non sono certo il solo a parlarne). Non ho voluto fare analisi rigorose su percentuali e dati statistici circa il rapporto fra università statali e non statali: ho semplicemente detto che alcune università non statali esercitano oggi una forte attrazione sugli studenti e sulle loro famiglie, perché esse assicurano una serie di cose che le facoltà umanistiche statali in molti casi non assicurano, e da molto tempo. Credo che debba cambiare il modello della nostra università: la quale non deve essere un luogo in cui lo studente va ogni tanto (e soprattutto per gli esami), ma un luogo in cui lo studente frequenta coscienziosamente lezioni, seminari, esercitazioni, conferenze di studiosi italiani e stranieri, dibattiti eccetera, e vi acquisisce quella preparazione che rende l'esame non un temo al lotto, ma la tranquilla verifica di un iter formativo ricco e multiforme. Naturalmente, oggi c'è, per fortuna, una aliquota di studenti bravi e volenterosi che seguono questo iter: ma si tratta, purtroppo, di una minoranza. E tollerare che la maggioranza degli studenti segua l'università come fosse una università per corrispondenza costituisce secondo me il difetto più grave dell'università italiana (soprattutto nelle facoltà umanistiche). ____________________________________________________ Italia Oggi 31 Gen.’11 UNIVERSITÀ, CALA L’OFFERTA MA AUMENTANO LE TASSE Cominciano a farsi sentire gli effetti della cura dimagrante imposta dai ministri Gelmini e Tremonti Pagme a cura DI BENEDETTA PACELLI LaLa La cura dimagrante Gelmini- sta cominciando produrre i suoi effetti ul sistema universitario. Con i diversi provvedimenti che nell'ultimo periodo hanno travolto gli atenei, costretti a tagliare corsi, rivedere esami e riconteggiare crediti, l'offerta formativa ha subito la sua prima sforbiciata: dai 5493 corsi di laurea dell'anno accademico 2009-10, secondo i dati dell'ultimo rapporto del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, si è passati ai 4930 attuali E non solo, perché secondo le proiezioni del Consiglio universitario nazionale, per il pròssimo anno accademico la decurtazione sarà di ulteriori 500 corsi, nella migliore delle ipotesi. Perché oltre al decreto ministeriale 270/04 (revisione del 3+2) l'ultimo tassello al dimagrimento è imposto con il dm 17/10 (di applicazione della nota 160/09) che contiene i requisiti minimi per la razionalizzazione e qualificazione dell'offerta formativa. Un provvedimento che sta gettando di nuovo gli atenei in una frenesia da riforma e che con la complicità dei tagli sui finanziamenti li ha anche costretti a intervenire sulla tasse a carico degli studenti. Offerta formativa ridisegnata e contribuzione aumentata sono, comunque, le due diverse facce di un mondo in piena evoluzione, attraversato da dieci anni di riforme e che il Comitato nazionale per la valutazione, che passerà ora il testimone all'Anvur, ha messo nero su bianco nell'XI rapporto sullo Stato del sistema universitario. I dati del sistema. Da quando è partita la riforma didattica del 3+2 (dm 509/99), rileva il Cnvsu, il numero di corsi di studio di primo e di secondo livello è aumentato passando in modo generalizzato da 3.234 del 2001/02 a 5.835 del 2007/08, nonostante le raccomandazioni a livello centrale di razionalizzare l'offerta formativa. L'aumento complessivo, in particolare negli anni più recenti, dipende in buona parte dall'avvio generalizzato delle lauree specialistiche che, dall'a.a 2003/04 al 2008/09, sono passate da circa 1.400 ad oltre 2.700, comprese anche quelle a ciclo unico. Dopo il boom nel 2007-08 è cominciata, poi, la lenta retromarcia della macchina universitaria non del tutto completata. Ma quali sono le città che garantiscono la più variegata offerta formativa? Roma è la primo posto di un ideale classifica stilata per numero di corsi: sono 599 distribuiti tra tutti i 13 atenei pubblici e privati, ognuno dei quali ha un numero medio di 314,2 studenti per corso. Segue Milano con un totale di 326 per 492,9 iscritti in media a tutti i corsi distribuiti nei sette atenei e Napoli la cui offerta formativa scende, però, sotto la soglia dei 300, con 223 corsi in sei università. I precoci e i regolari. Esclusi gli atenei privati e telematici i cui dati di regolarità degli iscritti devono necessariamente far riferimento ad altri parametri (è diverso il rapporto docenti-studenti, esiste un numero chiuso e spesso test d'ingresso), il maggior numero di laureati «precoci» nelle università statali si trovano nell'ateneo di Chieti- Pescara con i123,3% degli studenti che ha concluso in anticipo il ciclo degli studi, pari a 815 sul totale di 3.504. Segue l'università di Siena dove, sul totale di 4 mila e 700 laureati nel 2009, 921 (circa il 20%) sono stati precoci e quella della Tuscia dove sono usciti 234 (12,1%) studenti in anticipo su 1.929 laureati. E i più regolari? Scorrendo le tabelle del Cnvsu si scopre che il maggior numero di studenti in corso nelle lauree di primo livello (triennale), pari al 74,2% si trova al Politecnico di Milano. Alta la percentuale degli studenti in corso anche nell'università di Modena e di Reggio Emilia e di Pavia entrambe pari al 70,2%. Il numero più alto dei fuori corso, invece, sempre prendendo come parametro di riferimento le lauree di primo livello, si colloca per lo più negli atenei del sud: Catania con una percentuale del 45,3%, Cagliari del 43%, Palermo del 42,6%. Non va meglio però anche in alcuni atenei del centro come l'università di Teramo con il 55% degli studenti fuori corso, e quella di Pisa con quasi il 50%. La tasse. Oltre il 44% degli studenti iscritti paga una contribuzione superiore a 800 euro. Ma la disparità è forte non solo tra le diverse aree geografiche (66,8% al Nord-ovest, 80% nel Nord-est, 39,5% al Centro, 19,7% al Sud e 19,1% nelle Isole), ma soprattutto tra atenei tradizionale e privati. La contribuzione media per studente è più che doppia negli atenei del Nord-ovest (1.270 euro circa per studente) rispetto a quella degli atenei del Sud (552 euro per studente). I picchi massimi sono al Politecnico di Milano dove gli studenti pagano in media 1700 euro l'anno, allo Iuav di Venezia 1677 euro e all'università dell'Insubria con 1658 euro, mentre quelli minimi sono all'Aquila dove la contribuzione media è di 149,8 euro, al Politecnico di Bari 316,4 e all'università di Foggia con 372,7 euro di tasse a studente. ____________________________________________________ Corriere della Sera 1 Feb.’11 LE ILLUSIONI DEI (POCHI) LAUREATI D' ITALIA I vizi dell' Università (e dell' Italia) Produciamo meno laureati del Cile Il recentissimo rapporto presentato dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario conferma tutti i mali tradizionali dell' università, e anzi ce ne dà un quadro ancora più preoccupante, sul quale è opportuno riflettere. In primo luogo c' è un costante calo delle matricole: se nel 2003 i diplomati che si iscrivevano all' università erano il 74,5%, nel 2008-09 erano calati al 66%, e nel 2009-10 essi hanno registrato un ulteriore calo (ora siamo al 65,7%). Naturalmente, questo costante calo nelle iscrizioni da parte dei giovani diplomati va di pari passo con il calo del numero dei laureati, scesi a 293 mila, cioè meno del 13% rispetto a otto anni fa, quando furono più di 338 mila. * * * Idee & Opinioni LE ILLUSIONI DEGLI STUDENTI I vizi dell' Università (e dell' Italia) Produciamo meno laureati del Cile Il rendimento degli studenti migliora quando aumentano le tasse universitarie pagate direttamente dalle famiglie È inutile dire che si tratta di dati negativi, pienamente in linea con il quadro di «un Paese che non cresce da due decenni e in cui tutto sembra fermo» (per riprendere le parole di Alberto Alesina, scritte in un contesto più generale sul Sole24Ore del 28 gennaio). Una deriva alla quale non pongono rimedio né i governi di centrosinistra né i governi di centrodestra, nonostante i buoni propositi sempre conclamati. Nelle nostre università produciamo ormai meno laureati del Cile, come ha fatto rilevare tempo fa il ministro Gelmini (il che, con tutto il rispetto per il Cile, non è un dato esaltante). Cosa c' è all' origine di questo trend negativo? Per quanto riguarda gli ultimi anni c' è in primo luogo, naturalmente, la crisi economico-finanziaria internazionale che anche noi stiamo attraversando. Ma la crisi economica rende soltanto più pesanti alcuni vecchi vizi tipici dell' università italiana. Basti pensare al tasso di abbandoni che si registra nelle nostre università, nelle quali si laurea solo il 32,8% degli studenti che si sono iscritti (e quasi 2 studenti su 10 abbandonano già dopo il primo anno): con lo spreco di risorse che si può immaginare. Sono dati impressionanti, questi, che mostrano ancora una volta la decadenza e il degrado del nostro sistema universitario. Si tratta di una situazione prodotta in primo luogo da una illusione di promozione sociale: parecchi giovani, con le loro famiglie, pensano che la laurea, il «pezzo di carta», darà loro il diritto di accedere a un posto ben remunerato (in ogni caso remunerato in misura superiore rispetto a un mestiere manuale). Ma molti di questi giovani, dopo essersi iscritti, abbandonano poi l' università, per disaffezione e mancanza di interessi, mentre quelli che riescono a laurearsi conseguono un titolo del tutto vuoto di contenuti culturali e scientifici (perché perseguito per soli motivi di carriera, scalando i vari gradini dell' «esamificio», in cui le nozioni apprese all' ultimo momento si perdono appena l' esame è finito). Ma è una situazione, quella attuale, prodotta anche da una università concepita e attuata come un ente assistenziale, in cui si può parcheggiare per lunghi anni, poiché le tasse sono basse (essendo la maggior parte dei costi universitari a carico dei contribuenti). In questo carattere assistenziale delle nostre università è da cercare anche la radice dello scarso impegno con cui un numero elevato di studenti le frequenta (o piuttosto non le frequenta, dato che nelle facoltà umanistiche solo una minoranza esigua è presente alle lezioni e ai seminari). Alberto Alesina ha ricordato che uno studio fatto su studenti dell' Università Bocconi dimostra che il rendimento degli studenti migliora quando aumentano le tasse universitarie pagate direttamente dalla famiglia dello studente stesso. «Invece, quando le rette universitarie vengono pagate dal contribuente, gli incentivi degli studenti si annacquano assai». Sarebbe molto meglio, quindi, che le tasse fossero più elevate e al tempo stesso si mettessero a disposizione dei meritevoli molte borse di studio, «prestiti d' onore», eccetera. La generale decadenza delle università statali (fatte salve, naturalmente, le isole di eccellenza, che pur ci sono) spiega perché gli studenti che conseguono un voto di maturità superiore a 90 si indirizzano sempre più largamente (come documenta con dati precisi Flavia Amabile sulla Stampa) verso università non statali, come la Luiss di Roma, la Bocconi di Milano, il Campus biomedico di Roma, il San Raffaele di Milano. A questi studenti, e alle loro famiglie, le lauree interessano non come «pezzi di carta», ma per l' effettiva preparazione che esse garantiscono, la quale permetterà anche un più agevole inserimento nel lavoro. Si manifesta qui una concezione meritocratica, che fa ben sperare, anche se essa è in forte contrasto con la concezione assistenziale che domina largamente nel Paese e che ne determina il ristagno. RIPRODUZIONE RISERVATA Bedeschi Giuseppe ____________________________________________________ Scienzainrete 1 Feb.’11 GAETANO DI CHIARA: MISURIAMO IL MERITO CON L'H Neuroscienze, Università di Cagliari LA VALUTAZIONE DELLA RICERCA: NECESSITÀ E OPPORTUNITÀ La necessità, nel quadro di una politica di contenimento della spesa pubblica, di razionalizzare la spesa per l'Università italiana può essere un'opportunità per migliorarne la qualità ed il livello. Così, 474 milioni di euro, corrispondenti al 66% dei 720 milioni di euro, finalizzati a «promuovere e sostenere l'incremento qualitativo delle attività delle università statali e di migliorare l'efficacia e l'efficienza nell'utilizzo delle risorse», (legge 9 gennaio 2009 numero 1), sono stati ripartiti tra le Università sulla base di una valutazione della ricerca. Come riportato nell'allegato1 del DM 21/12/2010 numero 655, i 474 M di euro di cui sopra, sono stati distribuiti, per il 70%, sulla base della partecipazione a finanziamenti pubblici nazionali (PRIN e FIRB), europei e internazionali e, per il restante 30%, sulla base del coefficiente di ripartizione destinato alle Aree dalla valutazione triennale della ricerca (VTR) 2001-2003, che peraltro è indipendente dalla qualità della ricerca di ciascuna Università. E' chiaro che misurare la qualità e la produttività della ricerca scientifica sulla base dei finanziamenti pubblici ottenuti sarebbe come valutare l'efficenza dello smaltimento dei rifiuti sulla base dei fondi a quel fine impegnati. Napoli avrebbe in questo modo la palma d'oro! Lo stesso discorso potrebbe farsi per la Sanità e così via. Perciò, la distribuzione alle Università dei fondi per la premialità è un perfetto esempio del fatto che una corretta politica del merito è strettamente dipendente dall'applicazione di appropriati criteri di valutazione: se questi sono fallaci, il principio meritocratico può tramutarsi nel suo opposto. Nel caso della valutazione della ricerca, questa deve partire dall'analisi dei suoi prodotti, cioè lavori scientifici e, per quella applicata, anche brevetti. L'uso dei finanziamenti come parametro di valutazione ha un senso solo in relazione ai prodotti, al fine, eventualmente, di calcolare il rapporto costo/beneficio.Purtroppo, seppure antico, il problema della valutazione della ricerca scientifica non è stato risolto in maniera semplice, univoca e universalmente accettata; non solo, ma i metodi utilizzati sono diversi a seconda della scala nella quale la ricerca viene valutata. Per esempio, per valutare una serie di progetti di ricerca nell'ambito di un programma di finanziamento di specifici temi di ricerca, come è il caso dei programmi di ricerca europei o dei progetti strategici nazionali, il sistema corrente è quello della cosiddetta study session cioè del confronto diretto tra i membri di una commissione di esperti, possibilmente internazionale. E' evidente che questo metodo non è applicabile ad una scala più ampia, per esempio alla valutazione della produzione scientifica di un gran numero di lavori scientifici all'interno dello stesso settore disciplinare. E' questo il caso del CIVR, istituito nel 2004 per valutare la ricerca nazionale nel triennio 2001-2003 ed è anche quello utilizzato per selezionare i progetti di ricerca del PRIN. In questo caso la valutazione di ciascun prodotto della ricerca è affidata ad almeno due valutatori anonimi, secondo uno schema ed una metodologia decisa da un panel di esperti per ciascuna delle 14 aree disciplinari o da un comitato di garanti. Gli esperti sono contattati e trasmettono i loro pareri al panel e interagiscono tra loro in maniera anonima e via internet. I problemi di tale metodo sono l'estrema parcellizzazione della valutazione che rende difficile se non impossibile l'applicazione di un uniforme metro di valutazione e consente di fatto, sotto la copertura dell'anonimato, l'esercizio della più estrema soggettività di giudizio. Su questo aspetto rinvio all'editoriale di Ernesto Carafoli su SciRE (Valutazione della ricerca? No grazie!). I problemi connessi all'utilizzazione di questa procedura ha portato all'introduzione, nella valutazione della ricerca su scala nazionale ed internazionale, all'introduzione di metodi basati su parametri bibliometrici che esprimono l'impatto dei lavori sulla comunità scientifica, quantificato in termini di citazioni. Per esempio, nel DM numero 8 2010 del MIUR, con cui si tracciano le linee guida della valutazione quinquennale della ricerca (VQR) per il periodo 2003-2008, si introduce, accanto alla valutazione da parte di revisori anonimi, l'analisi delle citazioni. Il numero di citazioni di un lavoro da parte della comunità scientifica non è una misura assoluta della qualità scientifica della pubblicazione ma sicuramente è un'espressione del suo impatto sull'elaborazione delle ipotesi e delle idee che formano la base dell'attività di ricerca. Ma fino a che punto questo parametro è utilizzabile per valutare la ricerca di un ricercatore e di un'istituzione di ricerca e per paragonare istituzioni diverse e operanti in aree di ricerca diverse? Per esempio, che senso ha paragonare il numero bruto di citazioni di lavori appartenenti ad aree così diverse come quelle delle scienze chimiche, le cui pubblicazioni spesso riguardano argomenti di ricerca estremamente specialistici coltivati da un numero ristretto di ricercatori, e delle scienze mediche, che si rivolgono a comunità scientifiche ben più numerose, oppure, paragonare le citazioni di lavori di biologia cellulare o di immunologia, che spesso circolano su periodici internazionali generalisti come Nature e Science, e quindi accessibili ad una larghissima audience, con quelle di lavori di matematica, che circolano all'interno di una ristretta cerchia di autori, magari su periodici nazionali e per questo nemmeno computati da certe banche dati? E' evidente che l'uso delle citazioni e degli indici da queste derivati, senza un'adeguata normalizzazione per la media delle citazioni dello specifico settore di ricerca, potrebbe produrre, almeno teoricamente, risultati fuorvianti. Ma, entrando nel merito, quali sono gli indici basati sulle citazioni correntemente utilizzati? INDICI BIBLIOMETRICI E BANCHE DATI Il primo e più antico e tuttora molto diffuso indice bibliometrico è l'impact factor (IF), sviluppato originariamente ad uso dei bibliotecari, come orientamento nella scelta dei periodici più diffusi ai quali abbonarsi. L'IF di un periodico scientifico è la media delle citazioni ottenuta dai lavori pubblicati in quel periodico nei due anni precedenti. Applicato ad un singolo lavoro scientifico, l'IF potrebbe teoricamente fornire una previsione sulle citazioni future di quel lavoro, a patto però che le citazioni che costituiscono l'IF siano distribuite su un numero sufficientemente ampio di lavori. Questo però non è il caso, dato che l'IF è determinato da una piccola percentuale di lavori, corrispondenti a circa il 5% del totale, che ottengono un elevatissimo numero di citazioni rispetto alla media. Per questo motivo non esiste correlazione tra IF e citazioni effettive di ciascun lavoro e, come ciascuno di noi ha sperimentato per i propri articoli, spesso succede che lavori pubblicati su riviste ad alto IF ricevano meno citazioni di quelli pubblicati su riviste a basso IF. Inoltre, l'IF appiattisce le differenze tra ricercatori di buon livello appartenenti alla stesso settore disciplinare e che, come tali, pubblicano sugli stessi periodici. D'altra parte, l'IF ha valore hic et nunc, cioè per quel periodico e per l'anno nel quale è stato pubblicato il lavoro e quindi ha poco senso utilizzare l'IF dell'anno in corso per un lavoro pubblicato anni addietro, come è invece pratica comune nei concorsi universitari. Ma ciò che taglia la testa al toro e decreta l'inevitabile obsolescenza dell'IF come indice di valutazione della ricerca è di natura squisitamente pratica: la disponibilità di banche dati che forniscono gratuitamente le citazioni dei lavori e di software capaci di calcolare istantaneamente, utilizzando quelle citazioni, una serie di parametri utili per valutare la ricerca . Attualmente sono disponibili tre diverse banche dati, due a pagamento, ISI Web of Science (Wos) e Scopus, e una gratuita, Google Scholar, i cui dati possono essere analizzati con due diversi software, Publish or Perish e un add-on di Mozilla Firefox. Le tre banche dati non sono equivalenti; per esempio, Scopus computa le citazioni solo a partire dal 1996 mentre ISIWos parte dal 1900 e Google scholar fin dall'800 (Darwin, The origin of Species, Appleton, 1859: 8.989 citazioni). Inoltre, la copertura dei diversi settori non è la stessa: per esempio, ISIWos, al contrario di Scopus e Google Scholar, utilizza come fonte un numero relativamente limitato di riviste di prestigio di lingua inglese sulla base dell'enunciato di Bradford (1934), secondo cui la ricerca di qualità è concentrata in un ristretto numero di riviste anglo-sassoni (sic!). Mentre ISIWos e Scopus utilizzano solo citazioni su riviste i cui lavori sono accettati solo dopo revisione da parte di esperti (peer reviewed), Google Scholar utilizza anche citazioni su libri e articoli di riviste non-peer reviewed. In pratica, le tre banche dati forniscono risultati, in termini di citazioni totali, qualitativamente e quantitativamente diversi. Tuttavia nella ricerca per autore, selezionando accuratamente i lavori ed eliminando le omonimie, ISIWos e Google Scholar danno risultati abbastanza in accordo tra loro se si utilizza come indice quello di Hirsch. Il vantaggio di questo indice è quindi anche quello di ridurre le differenze nelle citazioni totali tra le varie banche dati. Esistono anche banche dati delle citazioni per specifici settori, come l'Astrophysics Data System (ADS) e il Physical Review Online Archive (PROLA). E' da notare che per quanto riguarda l'astrofisica, ADS utilizza un database più ampio di quello delle tre banche dati generaliste e questo spiega il fatto che i valori di citazioni totali e di indice di Hirsh ottenuti è sensibilmente (30-50%) superiore ai valori forniti dalle altre banche dati. L'INDICE DI HIRSCH L'indice di Hirsch (h) di un autore è il numero di lavori di quell'autore che hanno ottenuto un numero di citazioni non inferiore a quel numero. L'h è un vero e proprio uovo di Colombo dato che esprime in maniera mirabilmente concisa la consistenza e affidabilità dell'impatto della produzione scientifica di un autore. Un elevato h indica che l'autore ha una produttività che si è mantenuta ad un livello elevato per un periodo di tempo prolungato. Perciò l'h ha il vantaggio di attenuare le differenze tra diversi settori disciplinari caratterizzati da diverse emivite dei relativi lavori fornendo una parziale normalizzazione tra settori diversi. Ciò non esclude che l'h, quando venga applicato alla valutazione degli istituti di ricerca pubblici e privati, possa essere normalizzato alla media degli h di quel settore. Un esempio di come l'h possa essere utilizzato per valutare la ricerca delle istituzioni pubbliche e private nazionali è stato fornito da Via Academy (VA), un'iniziativa del tutto autonoma di Mauro degli Esposti, professore associato presso l'Università di Manchester, e dei suoi collaboratori. VA ha prima creato una base di 1524 Top italian Scientists (TIS), che include gli italiani che lavorano all'estero, e comprende ricercatori con h uguale o superiore a 31. Raggruppando i TIS per istituzione di appartenenza è stata così ottenuta una classifica delle Top 50 Italian Institutions, che può essere eventualmente normalizzata sulla base dei ricercatori afferenti a ciascuna istituzione. L'h è naturalmente correlato all'età, ma questa caratteristica può costituire un plus se utilizzato per valutare la ricerca delle istituzioni, esprimendo la capacità dei suoi ricercatori di fare scuola. CONCLUSIONE Non c'è dubbio che suona fortemente riduttiva la pretesa di esprimere con un'unico numero il valore della ricerca di una vita o la produttività di un'intera istituzione. Ma, al fine di valutare la ricerca, l'indice di Hirsch è comunque preferibile a parametri, come la partecipazione a progetti nazionali o europei, correntemente utilizzati dal Ministero dell'Università. Siamo convinti che le classifiche delle istituzioni basate su un parametro obiettivo, trasparente e certamente conciso come l'h possa contribuire, eventualmente normalizzato, all'attuazione di una politica del merito nel finanziamento della ricerca e dell'Università in Italia. ____________________________________________________ Unica 3 Feb. ’11 F.RAGA: INDICE H ESALTA MEDICI E BIOLOGI Ho esaminato la lista dei Top Italian Scientist alla base delle passate discussioni . (http://www.topitalianscientists.org/Top_italian_scientists_VIA- Academy.aspx) Sono riportati i ricercatori italiani con un indice H superiore a 30. Vi figurano: 1088 Biologi e medici 299 Fisici e astrofisici 100 Chimici 25 Economisti 20 Ingegneri 16 Matematici 4 Umanisti 3 Geologi 1 Giurista I biologi ed i medici sono più del doppio di tutti gli altri messi assieme. Vuol dire che sono praticamente gli unici in Italia che fanno ricerca degna di questo nome? Non mi pare: vuole dire invece che: 1) Ogni area disciplinare è caratterizzata da un diverso modo di pubblicare i risultati della ricerca; 2) Chi ha fatto la lista non ha molta dimestichezza con la statistica. Con i potenti attuali metodi informatici si potrebbe: a) fare liste separate per ciascuna delle areee ufficiali (usate dal CIVR), con la sola condizione che sia H>0; b) da ogni lista estrarre i top scientists (basta ricavare ad esempio il nono decile o, se si vuole il supertop, il 95^ centile. c) all'interno di queste lop list ricavare la percenuale di cagliaritani. Tutto ciò, ammesso che l'indice H sia l'unico elemento da considerare. Francesco Raga ____________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 31 Gen. ’11 SCIENZIATI E TENNISTI: INDICE H SOMMARE PERE CON PATATE Si possono classificare gli scienziati come i tennisti? A seguito del mio post su Come ti divento uno scienziato citato sul tema della valutazione dell’attività di ricerca, ricevo e pubblico questa lettera da Mauro degli Esposti. Nell’ultimo di una serie di articoli su Il Fatto Quotidiano riguardanti la valutazione scientifica, Francesco Sylos Labini sostiene che è molto semplice capire quali non debbano essere i metodi per valutare quantitativamente la ricerca e chi la fa. Infatti parte dal presupposto che “la qualità della ricerca non si classifica con un numero, ovvero non è ragionevole fare una classifica di scienziati come se si trattasse di tennisti”. Affermazioni come queste si muovono in senso opposto all’iniziativa che insieme ai colleghi della Via-Academy abbiamo sviluppato. Si tratta del censimento delle eccellenze scientifiche italiane o Top Italian Scientists basato proprio su un numero, il parametro bibliometrico conosciuto come H-index o indice di H. Il quale è il numero X di pubblicazioni che hanno ricevuto almeno lo stesso numero X di citazioni. Se il lavoro di uno scienziato è citato significa che il lavoro di quello scienziato è importante, in genere. Nel citare le sue pubblicazioni si riconosce quindi che quello scienziato ha un impatto nel suo settore. Ma l’indice H misura anche la continuità di questo impatto, poichè il valore cresce col numero di pubblicazioni citate. In questo sta il valore dell H-index: sintetizza in un numero sia l’impatto (numero di citazioni) che la produzione (numero di pubblicazioni) di uno scienziato. Quindi risulta superiore, nel valutare il profilo scientifico di persone od istituti, sia al numero totale delle citazioni (che risente della popolarità e di distorsioni derivate dal tipo e campo di pubblicazione) che al numero delle pubblicazioni (certi campi ne producono volumi maggiori e con maggiore facilità di altri, e molte non vengono mai citate!). Chiarito questo, veniamo al metodo per calcolare l’H-index. Al giorno d’oggi, Google Scholar risulta migliore di tutti gli altri database per fare questo calcolo, come commenti recenti hanno sottolineato. Per settori specifici, Isi o altri database sono maggiormente accurati (e meglio considerati), ma se si vuole tracciare un quadro omogeneo delle eccellenze di un istituto universitario, o di una nazione, Google Scholar rimane la scelta globalmente più giusta. Soprattutto se poi i dati ottenuti con metodi diversi vengono esaminati da esperti nei vari rami della conoscenza, come regolarmente facciamo per verificare i Top Italian Scientists. Riguardo proprio a questo, è opportuno menzionare che in uno studio che verrà presto pubblicato sulla rivista specializzata Scientometrics (Marco Geraci e Mauro Degli Esposti, “Where do Italian universities stand? An in-depth statistical analysis of national and international rankings”), un’approfondita analisi statistica ha mostrato che una graduatoria delle università italiane basata solo sui dati dei Top Italian Scientists ha un forte correlazione con le graduatorie più conosciute a livello internazionale (come ad esempio quella elaborata dell’Università di Shangai Jiao Tong). Questo ed altri risultati dell’analisi supportano un principio che sarebbe irragionevole controbattere e su cui apparentemente siamo tutti d’accordo: la qualità e il volume della ricerca sono parametri fondamentali di valutazione. Ci sono poi, ovviamente, numerosi aspetti metodologici da discutere. Fra questi, rimane il problema dei falsi negativi nella valutazione basata su H-index, cioè dei casi di validissimi scienziati che risultano avere bassi valori di indice H. Ma sui casi singoli ci sarà da commentare ulteriormente, dato che la discussione sul tema proseguirà. Qui di seguito la mia risposta: La misura del numero di pubblicazioni e di citazioni di uno scienziato, e poi dell’indice H che è essenzialmente correlato al numero di citazioni (nella gran parte dei casi, la radice quadrata diviso 2), è uno strumento di cui è bene discutere pregi e difetti per usarlo ed interpretarlo in maniera sensata. Il numero di citazioni, che indica quanti ricercatori hanno letto e, in principio, trovato interessante ed utile un articolo, è un indice di popolarità e non direttamente di qualità. Il problema centrale è se popolarità implichi qualità: una semplice scorsa alla storia della scienza mostra che non la implica affatto in tantissimi casi. Alcune istituzioni scientifiche di prestigio, come l’Accademia delle scienze francese, si sono dunque preoccupate di stilare delle linee guida sul corretto uso degli indici bibliometrici come degli strumenti da usare con grande cautela e da persone esperte, da affiancare sempre e necessariamente ad una valutazione puntuale della qualità di un ricercatore basata sulla conoscenza effettiva dei suoi contribuiti scientifici (bisogna leggersi gli articoli e, possibilmente capirli, per giudicare). Questi indici sono soggetti a deformazioni di vario tipo, tra i cui l’incompletezza e la manipolazione dei database, come dimostrato dall’eclatante caso di Ike Antkare. Vi sono anche banche date certificate (ISI Web of Knowledge, ecc.), che indicizzano solo le pubblicazioni e le citazioni che compaiono su riviste in cui sia stata adottata la revisione da parte di pari: queste sono però sostanzialmente incomplete in tanti settori. In genere le scienze naturali, l’ingegneria e la medicina sono le più monitorate; un discorso completamente diverso andrebbe fatto per le scienze sociali, economia, letteratura, legge, ecc., dove le monografie (non censite sui database) sono le pubblicazioni principali. Inoltre vi è il problema delle auto- citazioni, del fatto che il numero di citazioni di un articolo è proporzionale al numero di autori dello stesso, ecc. In aggiunta, l’indice H è un indice integrale ed aumenta con l’età: è necessario perciò normalizzare l’indice H con gli anni di carriera altrimenti s’introduce un effetto sistematico per il quale si sovrastima l’attività di scienziati anziani e si sottostima quella di scienziati giovani. Ci sono poi i falsi positivi, ad esempio scienziati che orientano la propria carriera con l’intento di massimizzare non tanto la qualità scientifica, quanto i propri indici bibliometrici: questo può essere ottenuto in vari modi, alcuni dei quali non eticamente corretti, come ad esempio firmando articoli non propri, citando per essere citati, dirigendo grandi gruppi di ricerca e firmando un numero abnorme ed insensato di articoli, ecc. E’ noto inoltre che un’attenzione troppo grande al valore degli indici bibliometrici può influenzare in maniera artificiale ma importante sia l’attività scientifica del singolo ricercatore, che cerca così di orientare la sua attività sulle linee di ricerca che vanno più di moda e sono percorse dal maggior numero di ricercatori (e dunque sono più citate), sia la dinamica globale di un campo, ad esempio eliminando completamente coloro i quali cercano di studiare problemi considerati marginali ad un certo momento ma che potrebbero in seguito rivelarsi importanti. Come ho già avuto modo di osservare, su questi punti c’è un vivo dibattito a livello internazionale. Veniamo ora alla classifica della Via Academy. Supponiamo che i dati sui quali sia stata elaborata siano completi, ipotesi non verificata visto il database di provenienza (ScholarGoogle) e la varietà di discipline che include (dalla biologia alla letteratura passando per l’economia), supponiamo inoltre che le citazioni siano indice di qualità. Anche nel caso in cui queste più favorevoli ipotesi si verifichino questa classifica non è equivalente ad una di, ad esempio, tennisti, bensì ad una in cui i tennisti sono messi insieme ai calciatori, saltatori con l’asta, velisti, maratoneti, ecc. Questo avviene in quanto diversi campi scientifici (ed i sotto-settori di un campo) hanno delle modalità completamente diverse rispetto sia al numero di pubblicazioni che al numero di citazioni e dunque non sono semplicemente commensurabili. Ad esempio, si riscontrano variazioni enormi nel numero medio di citazioni ricevute da un articolo nell’arco di due anni: in matematica può raggiungere il valore di 2,55 mentre in medicina può arrivare a 51. Per superare questo problema sono stati proposti vari metodi, generalmente basati sull’idea di normalizzare il numero di citazioni a quantità standard appropriatamente scelte. Il problema non è banale e una soluzione recentemente proposta mostra che la distribuzione delle citazioni diviene la stessa quando normalizzata al numero medio di citazioni per articolo per disciplina. In questa maniera si trovano dei risultati sorprendenti, come ad esempio il fatto che un articolo pubblicato nel campo dell’ingegneria aerospaziale con sole 20 citazioni abbia “più successo” di un articolo in biologia con 100 citazioni. Ma questo chiaramente non significa che il primo è necessariamente più importante del secondo, ma solo che sia relativamente più citato e dunque più popolare. Il punto fondamentale è che non bisogna ridurre il dibattito sull’uso degli strumenti bibliometrici in questi termini: chi critica gli indici bibliometrici è contro la valutazione. L’idea che una valutazione della ricerca tramite i soli indici bibliometrici sia una cosa sensata da fare è ingenua e sbagliata, anche quando fatta usando database completi, normalizzando i dati appropriatamente per tener conto delle diverse discipline, considerando l’effetto integrato dell’età, delle auto- citazioni, ecc. La classifica della Via Academy, non soddisfacendo neanche queste condizioni basilari, per dirla con Francesco Vatalaro, “non aiuta alla comprensione del livello qualitativo del sistema accademico italiano: è solo un modo di sommare mele con patate”. ____________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 31 Gen. ’11 S.LABINI: COME TI DIVENTO UNO SCIENZIATO ‘CITATO’ di Francesco Sylos Labini Si fa un gran parlare di valutazione, parola intorno alla quale tutti sono d’accordo, finanche persone che dovrebbero nascondersi al solo suono della parola. Ma cosa significa valutare l’attività di uno scienziato? Come classificare la qualità della ricerca? Come scegliere i progetti a cui dare dei finanziamenti? Intorno a queste domande c’è nel mondo un grande dibattito, di cui in Italia non si sente una grande eco se non per schemi iper-semplificati e dunque sbagliati. Il problema è indubbiamente complicato e mettere a punto delle strategie a questo fine è una delle grandi questioni irrisolte della scienza moderna. Basti ricordare che più del 90% dei fisici mai vissuti in tutti i tempi, sono ora viventi. Questa situazione pone dei problemi nuovi che vanno affrontati cercando di trovare dei metodi ragionevoli ed efficaci. Come ho discusso in un post precedente se è difficile stabilire quali siano questi metodi è molto più semplice capire quali non debbano essere. La qualità della ricerca non si classifica con un numero, ovvero non è ragionevole fare una classifica di scienziati come se si trattasse di, ad esempio, tennisti. Certo è possibile studiare le metriche (quante pubblicazioni? Quante citazioni? E così via) che qualche indicazione la possono fornire se ben maneggiate, mai a prescindere da un’analisi accurata nel merito, ma un indice automatizzato di valutazione della ricerca rimane un miraggio. In matematica un controesempio è un fatto particolare che dimostra che una congettura è falsa. E’ sufficiente vedere una pecora nera per dimostrare che l’affermazione “tutte le pecore sono bianche” è falsa. Seguendo questa logica un gruppo di informatici francesi ha fatto il seguente esperimento. Ha generato con un software apposito dei falsi articoli scientifici, scritti usando l’appropriato linguaggio tecnico ma usando frasi a caso, e li ha messi in rete. Anche l’autore degli articoli, Ike Antkare, è un nome di fantasia. Perché un articolo sia identificato dal motore di ricerca di Google che indicizza gli articoli scientifici, Google Scholar, è sufficiente che questo abbia almeno una referenza ad un articolo già esistente nella lista di questo motore di ricerca. Dunque sono stati generati 101 articoli: in uno si sono messe referenze solo ad articoli reali ed in ognuno degli altri 100, 99 citazioni ai restanti 99 articoli di Ike Antkare. Per velocizzare l’identificazione da parte di Google si è usato un altro trucco ed in pochi mesi Ike Antkare è diventato una stella nel firmamento degli scienziati di tutti i tempi. Infatti molti degli strumenti correntemente usati per misurare il numero di pubblicazioni e di citazioni fanno uso dei dati forniti da Scholar Google (ad esempio, scholarmeter, publish or perish, Scholar H-index calculator, H-view, scHolar index,…). In base a questi strumenti (usati spesso nel computo delle pubblicazioni e delle citazioni degli scienziati che partecipano a concorsi veri!) dall’8 aprile del 2010 Ike Antkare è diventato uno degli scienziati più citati nel mondo moderno, in una posizione migliore, ad esempio, di Albert Einstein. Questo controesempio è stato fatto per dimostrare che alcuni strumenti usati correntemente, basati su Google Scholar, per misurare la performance degli scienziati non sono affidabili e che è molto semplice truccare i dati. E’ inoltre interessante notare che questa distorsione sarebbe potuta avvenire, nel bene o nel male, usando nomi di persone reali. Non si può che condividere la conclusione degli autori di questo interessante esperimento: “E’ generalmente accettato che importanti decisioni riguardo il futuro di uno scienziato non possano essere prese se basate su questi criteri. Inoltre il caso di Ike Antkare mostra che è necessario guardare in dettaglio non solo agli articoli ma anche agli articoli che citano gli articoli.” Ci sono altre banche dati da cui si possono ricavare informazioni riguardo le pubblicazioni e le citazioni vere, come ad esempio l’isi web of knowledge. Ma il problema di fondo, ovvero dare il giusto peso alle metriche di uno scienziato, rimane irrisolto anche quando si hanno dei dati certificati. Per capire la criticità di questi indicatori è però necessario inquadrare il problema da un punto di vista storico, e su questo spinoso argomento mi riprometto di ritornare a breve. ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 A SORPRESA GLI STUDENTI PROMUOVONO I PROF «Sei soddisfatto di come è stato svolto questo insegnamento?» . Il 91,9%dei ragazzi ha risposto sì nel questionario distribuito nella gran parte delle università italiane. È una maggioranza schiacciante quella che promuove i professori. I «peggiori» sono i docenti di architettura che hanno avuto il sì dall’ 86%degli studenti. Al primo posto lettere e filosofia, dove si supera il 96% Università, gli studenti danno i voti Promossi nove docenti su dieci Record a Lettere e Filosofia (96%), un po’ più severi i ragazzi di Architettura (86%) ROMA — È la stessa percentuale degli italiani che stanno a casa per il pranzo di Natale, dei ragazzi di 15 anni che ascoltano musica pop o delle persone che riconoscono nei cinque cerchi il simbolo delle Olimpiadi. Praticamente tutti. È dunque una maggioranza più che schiacciante quella degli studenti universitari che promuovono i loro professori. «Sei soddisfatto di come è stato svolto questo insegnamento?» . Il 91,9%dei ragazzi ha risposto sì nel questionario distribuito nella gran parte delle università italiane. Per una volta le differenze sono soltanto sfumature: la percentuale dei professori promossi è un po’ più alta al Nord rispetto al Sud, nelle università piccole rispetto a quelle grandi. Ma restiamo sempre sopra la soglia bulgara del 90%. Anche guardando alle singole facoltà il risultato è sempre da altissimo gradimento: i «peggiori» sono i professori di Architettura, promossi dall’ 86%degli studenti, mentre al primo posto c’è Lettere e Filosofia dove si supera il 96%. Addirittura più degli italiani che fanno Natale in casa. A pensarci bene sembra impossibile. E invece sono dati ufficiali, contenuti nell’ultimo rapporto del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, che tra qualche mese dovrebbe lasciare il posto alla nuova agenzia di valutazione, l’Anvur. Professori promossi in massa, dunque. Una buona notizia per un pezzo fondamentale del nostro Paese, spesso criticato per sprechi, sistemazione di parenti, varie ed eventuali? Certo. Ma il risultato è talmente clamoroso da aver seminato qualche dubbio negli stessi autori della ricerca. In discussione non c’è il valore statistico delle tabelle. In Italia i voti ai professori sono arrivati con una legge del 1999, qualcuno si era mosso già prima, e ormai riguardano tre insegnamenti su quattro. A far pensare, piuttosto, è il modo in cui viene organizzata l’intera operazione. I questionari possono essere riempiti solo dagli studenti che hanno seguito in aula le lezioni. Giusto, perché chi dà un voto deve conoscere costa sta giudicando. Ma c’è un problema: quasi sempre quei fogli vengono distribuiti verso la fine del corso, a pochi giorni dagli esami. «A quel punto in aula sono rimasti solo i fedelissimi ed è chiaro che il loro giudizio è sempre positivo» , spiega Guido Fiegna, componente del Comitato di valutazione. Secondo lui «fatti così, i questionari servono a poco» . Il problema non è la sincerità di chi partecipa: i questionari sono anonimi e quindi, almeno in teoria, non ci sono ritorsioni da temere al momento dell’esame. Il problema è che si taglia fuori il giudizio non solo di chi non ha frequentato, come è giusto che sia. Ma anche di chi ha seguito le prime lezioni e poi, proprio perché insoddisfatto, ha deciso di lasciar perdere. Per scelta non per pigrizia. Con ogni probabilità il loro giudizio abbasserebbe la media. E soprattutto sarebbe utile a correggere il tiro perché il questionario non chiede solo di promuovere o bocciare il professore ma anche un giudizio puntuale su diversi aspetti, dal carico di studio alla chiarezza nella spiegazione, fino alla disponibilità nell’orario di ricevimento. «Per questo— spiega il presidente del Comitato ed ex numero uno dell’Istat Luigi Biggeri— si potrebbe far partecipare non solo chi frequenta le lezioni ma anche gli altri. Ad esempio tutti gli studenti che si iscrivono all’esame» . Non un foglio di carta da riempire in classe ma una semplice mail ricevuta al momento dell’iscrizione. Possibile ma con qualche rischio. Qualche anno fa un’iniziativa simile venne organizzata dal mensile Campus. Potevano partecipare tutti gli iscritti all’università, usando la stessa votazione degli esami. Vennero bocciati quattro professori su dieci, persino Umberto Eco si beccò un triste 26. Lorenzo Salvi ____________________________________________________ Italia Oggi 31 Gen.’11 DOTTORATI: OCCUPABILITÀ AL 93% Il dottorato di ricerca paga. Non solo in termini concreti di retribuzione ma soprattutto di accesso al mondo del lavoro. Anche se i giovani laureati non la pensano così (sono circa 12 mila gli studenti che nell'anno 2009/10 si sono iscritti ad un corso di dottorato, quasi mille in meno dell'anno precedente), gli sbocchi occupazionali che offre il titolo di dottore di ricerca sono una garanzia, soprattutto se si sceglie il percorso giusto. Secondo i dati presentati dall'Istat su «L'inserimento professionale dei dottori di ricerca», rielaborati dal Cnvsu, a tre anni dal conseguimento del titolo, il 92,8% dei dottori di ricerca del 2006 svolge un'attività lavorativa a fronte di un-5,4% in cerca di occupazione e di un 1,8% che pur non lavorando, dichiara di non essere alla ricerca di lavoro. La quota di occupati tra i dottori di ricerca del 2004 (intervistati quindi a cinque anni dal conseguimento del dottorato) è pari al 94,2% e quella di quanti sono ancora in cerca di lavoro scende al 4,4%, mentre appare simile quella relativa a coloro che non lavorano e non cercano lavoro (1,5%). Se poi si scelgono determinati ambiti di specializzazione la percentuale dell'occupazione sale ancora di più. A tre anni dal titolo quanti hanno portato a termine il dottorato in ingegneria industriale e dell'informazione fanno registrare la quasi totale occupazione: oltre il 97% di questi lavora. La quota scende un po' di più nei corsi legati alle discipline umanistiche come le scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (88,2%) alle scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche (89%) e alle scienze politiche e sociali (89,5%) che restano comunque alte. Ma quanto guadagnano? I dottori di ricerca del 2006, che lavorano a tempo pieno, guadagnano in media 1.687 euro netti al mese. A cinque anni dal titolo, la retribuzione netta media mensile risulta solo leggermente più elevata: 1.759 euro. Tra i, dottori di ricerca del 2006, guadagnano di più quanti hanno concluso il dottorato nell'area delle scienze mediche (2.048 euro), seguiti da quelli di scienze giuridiche (1.898 euro), scienze fisiche (1.837 euro), ingegneria industriale e dell'informazione (1.833) e scienze economiche e statistiche (1.807). I dottori dell'area delle scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche registrano i guadagni più bassi, con una retribuzione media di 1.334 euro netti al mese. Non raggiungono i 1.500 euro di stipendio anche i dottori in scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (1.444 euro), scienze della terra (1.491 euro) e scienze agrarie e veterinarie (1.492 euro). Inoltre, il rapporto Cnvsu evidenzia l'esistenza di atenei maggiormente attrattivi per gli studenti esterni, che si identificano nei piccoli atenei del Nordovest (55,7%), nei medi del Nordest (48,6%) e nei medi del Centro (51%). Generalmente, si sottolinea nel rapporto, «il fatto che la percentuale di successo degli interni sía superiore a quella degli esterni è un elemento tendenzialmente non positivo, specie quando questo si accompagna ad una forte selezione degli idonei». ____________________________________________________ Italia Oggi 31 Gen.’11 DOCENTI: RICAMBIO GENERAZIONALE TRA 5 ANNI C'è chi parla di una fuga dall'università, chi invece la inquadra nella semplice mancanza di ricambio generazionale dovuto alla paralisi dei concorsi. Una cosa è certa: nei prossimi cinque anni secondo i dati del Comitato di valutazione ci saranno oltre 14 mila docenti in meno. Il che vuol dire, risorse permettendo nuove chance per chi sogna un futuro in cattedra in qualità di associato e di ordinario. Specie, poi, in alcu ni settori dove la quantità dei pensionamenti si fa sostanziosa. Basta dare uno sguardo ai numeri delle uscite per raggiunti limiti di età per accorgersi che nei prossimi anni il 16,5% dei docenti (890 su 5.381) in scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche lasceranno la cattedra per il raggiungimento dell'età pensionabile. Una percentua le analoga, 16,5% (583 su 3552) per i docenti in ingegneria civile e architettura, seguita da quelli di scienze fisiche 16,3% (368 su 2264). Molte cattedre si libereranno anche nell'area di scienze mediche dove uscirà il 13,6% tra professori e ricercatori pari a 1.300 sul totale attuale di 10.233.Del resto i numeri parlano chiaro- nelle università italiane ì professori ordinari con più di 60 anni sono quasi il 50% (circa 7.800) e oltre 3 mila di loro (circa il 20% del totale) ha più di 65 anni. Sono gli atenei meno giovani ad avere generalmente professori più anziani e l'età media dei professori ordinari passa dai 58 anni del 1998 ai 63 anni nel 2010. Soltanto il 15% dei professori ordinari ha un'età inferiore ai 51 anni (circa 1 su 7). Quelli con più di 65 anni sono circa il 6,5% e quelli con età superiore ai 60 anni sono il 23%. Soltanto uno su venti ha meno di 41 anni. Per quanto riguarda i ricercatori, quelli con fascia di età fra i 35 e i 40 anni risultano nel 201() più numerosi, mentre nel 1998 la fascia d'età con presenza maggiore di ricercatori era quella fra i 45 e i 50 anni. In ogni caso le età medie aumenta no: per i professori ordinari, l'età media nel 1988 era di 54 anni e diventa di 59 nel 2010. Quella degli associati era di 47 e diventa di 53. Quella dei ricercatori era di 39 e diventa di 45. Sul fronte del genere, tra gli ordinari la presenza di donne varia dal picco del 42,2% per 4 4r l'area di scienze dell'antichità al minimo del 5,8% di ingegneria industriale e dell'informazione. Le ricercatrici, nel 2010, rappresentano il 45% del totale Le donne sono in maggioranza nelle aree di scienze chimiche, scienze storiche, scienze biologiche e scienze dell'antichità. Donne o meno, nell'arco di dodici anni, dal 1998 al 2010 il numero dei docenti di ruolo è aumentato di 7.407 unità (+15%) e gli aumenti riguardano in particolare i ricercatori (+32%) ed i professori ordinari (+21%).È diminuito, al contrario, il numero degli associati (-8 %). Sia i professori ordinari che quelli associati sono aumentati fino al 2006, mentre successivamente hanno registrato una consistente riduzione (complessivamente di 6.063 unità, di cui 3.842 professori ordinari e 2.221 associati) mostrando il prevalere, per queste fasce, delle uscite sugli ingressi. ____________________________________________________ Italia Oggi 31 Gen.’11 AL TOP I SITI DI FIRENZE E PARMA Dalla trasparenza di informazioni sui siti web ai finanziamenti per il diritto allo studio, dalle borse di studio fino agli alloggi per i fuori sede. Il rapporto del Comitato di valutazione prende in considerazione, anche, tutta una serie di servizi resi agli studenti che, si legge nell'indagine, «potrebbero aiutare a contrastare l'irregolarità degli studi universitari». Uno dei parametri - per offrire un servizio efficiente è la qualità dei siti internet per gli atenei: i dati mostrano che oltre all'università di Firenze e quella di Parma testimoni di «un buon esempio di omogeneità per la facilità di accesso e reperibilità delle informazioni», gli altri atenei hanno una scarsità di informazioni relative agli alloggi, alle mense, al diritto allo studio. In molti casi le criticità si riscontrano anche per le informazioni relative agli stessi curricula dei docenti. Tra i servizi agli studenti il rapporto prende in considerazione anche i fondi messi a disposizione per le borse di studio. Questi finanziamenti sono diminuiti drasticamente (del 60% nel 2010 rispetto ai 246 milioni di euro nel 2009) con importi minimi per l'a.a. 2010/2011 pari a 4.701 euro per i fuorisede, 2.590 per í pendolari e 1.770 per gli studenti in sede. Non tutti coloro che hanno diritto alla borsa, però, ricevono il sussidio: la media nazionale è pari all'81,8%, con grandi differenze geografiche. In regioni del Centronord come Veneto (88,4%) e Marche (88,5%) la quasi totalità degli aventi diritto ottiene la borsa. Nel Mezzogiorno, invece, i valori medi di copertura sono appena superiori al 60%: dal minimo del Molise (42,8%) al massimo della Sardegna (85,7%). Una spiegazione risiede nel fatto che proprio in queste regioni si concentra la maggior percentuale di idonei per reddito: ben il 44,5% del totale. Scarso anche il servizio degli alloggi offerto agli studenti. Alla fine del 2009 i posti-alloggio messi a disposizione da parte degli Enti per il diritto allo studio sono quasi 38mila: un numero che è cresciuto negli ultimi anni, sicuramente anche per effetto del cofinanziamento ministeriale al 50% del costo delle nuove costruzioni. Tuttavia, come sottolinea il Cnvsn, rapportando gli alloggi disponibili al numero degli idonei alla borsa di studio, i dati evidenziano che in Italia appena il 22% degli aventi diritto ha ottenuto un posto-alloggio nell'a.a. 2008/2009. Una percentuale che scende drasticamente al 2,1% se si rapporta il numero dei posti disponibili al totale degli iscritti. ____________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 2 Feb.’11 PERICLE CONTRO LA GELMINI La riforma è stata imposta a colpi di maggioranza, senza una valutazione approfondita dei problemi alla base e ora che è stata approvata è sempre più evidente che non li risolverà di Ugo Arrigo professore di Scienza delle Finanze alla Bicocca di Milano A mente fredda è utile sollevare qualche interrogativo ulteriore sulla cosiddetta riforma Gelmini. È sufficiente qualsiasi cambiamento ampio di un settore per identificare una riforma? Una riforma per essere giudicata buona dovrebbe risultare ineccepibile nel metodo, condivisibile negli obiettivi, coerente negli strumenti. Sul metodo non può esserci dubbio, non è così che si fanno le riforme: "Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare" (Luigi Einaudi); "Noi stessi... esaminiamo con cura gli eventi: convinti che non sono le discussioni che danneggiano le azioni, ma il non attingere le necessarie cognizioni per mezzo della discussione prima di venire all'esecuzione di ciò che si deve fare" (Pericle, 25 secoli prima della Gelmini, nel celebre discorso riportato da Tucidide). La riforma è stata invece una deliberazione, imposta a colpi di maggioranza, senza una preventiva fase conoscitiva e di discussione. Usando i concetti del filosofo Habermas si può rappresentare come riforma strategica, volta a realizzare il successo della coalizione di governo, e non come riforma comunicativa, finalizzata a convincere parti in causa e opinione pubblica della necessità del cambia-mento e della bontà di percorsi cooperativamente individuabili. UNA RIFORMA è necessaria se la condizione di partenza è non efficiente e/o non equa. Se ha solo problemi di efficienza è tuttavia possibile, seguendo il criterio di Pareto, individuare percorsi di cambiamento che migliorino le condizioni di tutte le parti o che migliorino almeno le condizioni di qualcuna senza peggiorare le altre. Non dovrebbe essere difficile in tal caso ottenere un consenso generalizzato al cambiamento. Se invece vi sono anche problemi di non equità la riforma diviene più difficile, perché è necessario peggiorare qualcuna delle parti, togliere a chi ha avuto troppo. In tal caso bisogna far opera di convinzione sul fatto che le posizioni a difesa dello status quo, se si adotta un punto di vista non particolaristico, non sono difendibili: i congiunti di rettori e professori potranno anche essere ottimi studiosi, ma è tuttavia inaccettabile che siano i loro familiari a valutarli e assumerli; non è difendibile un'università che funzioni a rovescio, trasformando input produttivi chiamati studenti in output chiamati cattedre; non è difendibile che gli studenti appartenenti a famiglie agiate siano chiamati a partecipare ai costi universitari per una quota irrisoria del loro reddito familiare; non si può dire agli studenti meritevoli e privi di mezzi "avreste diritto alla borsa ma purtroppo abbiamo finito i fondi". LA RIFORMA Gelmini non incide su queste criticità: la norma anti- parentopoli è facilmente aggirabile; non c'è alcuna garanzia che le risorse pubbliche vadano agli atenei in funzione della domanda di iscrizione degli studenti; non c'è la possibilità di chiedere più contributi agli studenti più ricchi; quelli più poveri, già insufficientemente sostenuti prima di Tremonti, subiranno drastiche riduzioni ai fondi per il diritto allo studio. Se si estrapola dalla riforma Gattini e dalle politiche finanziarie di Tre- monti si può intravvedere da qui a dieci anni un'università pubblica molto più piccola e molto più povera, con pochi soldi e pochi professori, dato la limitata possibilità di sostituire il consistente numero di docenti che andrà in pensione. La riforma sostiene di voler combattere sprechi e inefficienze ma di fatto combatte il prodotto delle università: la ricerca e la formazione nelle loro correnti dimensioni di scala. Non sembra un caso che a riforma approvata si sia dichiarato che con essa finisce il '68: qualunque opinione si possa avere delle forme di quella contestazione non si può dimenticare che essa segnò il passaggio da una università per pochi, il cui compito era di riprodurre l'élite di una società statica e di un'economia statica, a una università di massa, indispensabile a un'economia in rapida crescita che si accompagnava a una società divenuta dinamica. ____________________________________________________ Il Manifesto 3 Feb.’11 LA RIFORMA IN ANTEPRIMA Sebastiano Canetta Ernesto Milanesi PADOVA Non hanno voluto aspettare che la «riforma» Gelmini diventasse operativa a tutti gli effetti. Né si sono preoccupati, sul serio, di petizioni, appelli e documenti sfornati da facoltà e dipartimenti protagonisti di quasi un anno di mobilitazioni. I vertici dell'Università di Padova dimostrano una fretta sintomatica nell'inquadrare il «nuovo statuto» della secolare libertà di pensiero, conoscenza e insegnamento del Bo (il Bove, la cui testa simboleggia l'ateneo padovano). A fine gennaio il magnifico rettore Giuseppe Zaccaria ha provveduto a far nominare l'apposita commissione. Così Chiara Cacciavillani, ordinario di Diritto pubblico; Cristina Marzano, ricercatrice di Scienze farmaceutiche; Maurizio Mistri, associato di Scienze economiche; Emanuela Ometto, dirigente dell'area finanza; gli ex rettori Gilberto Muraro e Vincenzo Milanesi (designati dal CdA) sono diventati i primi responsabili dell'organo che dovrà «aggiornare» le regole del Bo. Al Senato accademico spetta la nomina di altri sei commissari. Mentre la rappresentanza studentesca ha già storto il naso per le modalità di composizione della commissione: «Auspicavamo l'elettività almeno parziale. E i motivi del «no non cí hanno per niente convinto» spiega il consigliere Marco Maggioni. Sono rimasti letteralmente allibiti 'i 414 firmatari (tra cui 21 professori ordinari e 51 associati) della lettera aperta a Zaccaria, più che invitato a non tradire le attese di democrazia e partecipazione di un ateneo tutt'altro che pacificato dai tavoli istituzionali «Riteniamo fondamentale che nella stesura dello statuto vengano coinvolte tutte le componenti che rendono viva la nostra Università. È opportuno individuare appositi meccanismi partecipativi per l'indicazione della commissione. Su questo le chiediamo di aprire un confronto per individuare modalità e tempi dí attuazione. Vogliamo che la commissione riferisca periodicamente lo stato dei lavori in assemblea, non solo al Senato e al Cda». Oltre alla richiesta che l'elezione del rettore avvenga per suffragio universale. E che in ogni organo dell'ateneo di Padova «si preveda la rappresentanza di tutte le categorie coinvolte nell'università». Per ora è solo l'ombra di un sospetto. Maliziosamente allungata dall'archivio delle delusioni. Tuttavia, il fantasma dell'ateneo Veneto aleggia inevitabilmente nelle stanze felpate del palazzo del Bo che conserva i simboli dei cattivi maestri: la cattedra da cui Galileo ha «scomunicato» Aristotele e il teatro anatomico dei pionieri «fuorilegge» della medicina. Nessuno si è ancora azzardato a puntare esplicitamente l'indice. Anche se le pubbliche spiegazioni dell'ex rettore Milanesi (consigliere di amministrazione della multiutility AcegasAps e in lista di attesa per una candidatura con l'Italia dei valori) hanno moltiplicato le preoccupazioni. Perché l'Università si affanna a riscrivere lo statuto «nuovo di zecca»? Deve, forse, far combaciare contemporaneamente «riforma» e Ateneo Veneto? Domande più che lecite, alla luce di alcune certezze. La Regione del governatore leghista Luca Zaia e Confindustria Veneto lavorano da tempo alla sinergia universitaria tra Padova, Verona e Venezia. I parlamentari di Lega e Fli, invece, hanno messo sotto la lente d'ingrandimento la gestione di Milanesi & Zaccaria che si dichiarano appartenenti al centrosinistra. In particolare, un'interrogazione al governo del senatore futurista Maurizio Saia sollecita i ministri Gelmini e Brunetta ad assicurare la massima trasparenza sul contratto del portavoce del magnifico rettore. Mentre il deputato leghista Massimo Bitonci ha messo in agenda proprio la questione degli statuti per far mettere in tavola tutte le carte. Perfino dentro l'Udc di Antonio De Poli (braccio destro di Casini) si percepisce l'irrefrenabile impulso ad accendere i riflettori sul Bo. Silenzio tombale, invece, sulle sponde del Partito democratico che aveva sponsorizzato gli emendamenti al ddl Gelmini caldeggiati durante l'esplosione della «rivolta» di ricercatori e studenti. Stanno alla finestra anche le Fondazioni bancarie che dentro l'Università giocano una mano della partita che vale la «metamorfosi» di Padova. Carisparmio, cioé Intesa San Paolo, resta l'interlocutore «istituzionale»; Antoneveneta, cioé Montepaschi, fa leva sulla tesoreria del Bo. Soldi. Indispensabili a far quadrare í conti, non solo nel bilancio «virtuoso» in cui si sono dovuti accantonare 7 milioni per risarcire i 14 ex lettori che hanno vinto la causa di lavoro. E un esplicito link con ciò che ormai è diventato all'ordine del giorno: università «concertate» con le aziende e la politica. Proprio dalla rete rimbalza l'indisponibilità a tacere, sopportare, far finta di non sapere. Il valore patrimoniale del Bo, ufficialmente certificato dall'Agenzia del territorio, ormai è di pubblico dominio. È l'ultima vera grande «fabbrica» di Padova, che ha imparato dalla Fiat di Marchionne come si può dare scacco matto perfino al Senato accademico... ____________________________________________________ Il Manifesto 4 Feb.’11 UNIVERSITÀ, ANNO ZERO: LA MANNAIA GELMINI Dei 14 mila pensionamenti pochissimi saranno sostituiti. Parla Luigi Biggeri, direttore del Cnvsu BELPAESE Il blocco delle assunzioni e la legge Gelmini mettono a rischio il funzionamento degli atenei. «Non c'è programmazione», dice il direttore del Comitato di valutazione del sistema universitario. A impoverirsi di più sono le facoltà umanistiche. L'allarme della commissione Ue sul rapporto Ocse: il 21% dei ragazzi italiani non è in grado di leggere o scrivere un testo Roberto Ciccarelli Per Luigi Biggeri, già presidente dell'Istat e oggi a capo del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), il taglio di oltre 300 corsi di studio voluto dal governo per razionalizzare la formazione universitaria è avvenuto in assenza di un disegno strategico ed è basato su compromessi tra gruppi di potere. «Questi gruppi - afferma - dipendono dalla "forza" dei settori scientifico-disciplinari, e la loro prevalenza è dovuta alla mancanza di programmazione. A meno che non ci siano concorsi frequenti, un corso di studio verrà riorganizzato a partire dalla disponibilità del personale esistente. Nelle facoltà di scienze, dove andrà in pensione il 32 per cento degli ordinari di fisica entro il 2015, è inevitabile che i docenti che restano tenderanno ad aumentare i posti disponibili nelle loro materie». Quanto peserà il taglio di 1,3 miliardi di euro al Fondo ordinario degli atenei? In maniera massiccia. Nei prossimi anni diminuirà del 13-14 per cento. Sarà in parte compensato dai pensionamenti di 14 mila docenti su oltre 57 mila docenti, ma purtroppo non ci saranno altrettanti nuovi ingressi di personale. Questa situazione costringe ad operare un taglio forzato e non in base ad una programmazione. Se poi consideriamo che le spese per la ricerca e la formazione, sono allo 0,8 per cento del Pil, si capisce in quale dramma ci troviamo. E la messa in esaurimento entro il 2013 dei ricercatori a tempo indeterminato? Difficile dirlo. In Italia abbiamo i ricercatori più anziani d'Europa, la media è di 45-50 anni, anche se dal 1998 aumentano i 35enni. Tra i ricercatori si registra inoltre una crescita delle uscite, gran parte per limite d'età, ma anche per dimissioni volontarie. Nel 2010 i pensionati sono stati 437, 347 invece le dimissioni. Se pensa che le uscite erano 205 nel 2005 si capisce l'accelerazione in atto. Per quale ragione si dimettono? Verosimilmente, perché trovano una migliore occasione di lavoro. Perché i settori disciplinari più colpiti da questo processo di dismissione sono quelli umanistici? Perché la maggioranza dei concorsi nel 1980, nel 1986 e nel 1990 sono stati svolti in queste aree dove oggi si prevede una forte ondata di pensionamenti. Il personale è una risorsa rigida, almeno per come è gestito in Italia. In questi settori ci saranno meno concorsi visto che andranno in pensione molti professori ordinari, gli unici che li possono chiedere. La riforma del reclutamento prospettata nella riforma Gelmini aumenterà la soglia di accesso alla ricerca che già oggi è di 37 anni? Spero proprio di no. Questa soglia così elevata dipende dal fatto che esiste una terra di mezzo in cui ci sono gli assegni dí ricerca, le borse di studio e i contratti di ricerca. Ogni anno il sistema produce 12 mila dottori di ricerca, senza contare che gli assegnisti sono quasi 13 mila. Per come è congegnata la nostra università queste sono tutte figure in attesa di concorso. Senza una programmazione, che dovrebbe avvenire anche per settori disciplinari, si rischia che dei 14 mila pensionati solo pochissimi saranno sostituiti entro il 2015. Bisogna garantire l'entrata in ruolo entro 32 anni, se non prima. Purtroppo oggi non è così. Chi dovrebbe svolgere l'attività dl programmazione e quali i parametri seguirà? Dovranno farla il ministero e l'agenzia nazionale di valutazione della ricerca. I parametri devono essere ancora definiti. Quelli che esistono sono troppo vaghi. Per ora l'Anvur è una scatola vuota. Gli umanisti sono la maggioranza dell'accademia italiana, eppure non sono rappresentati nell'Anvur. Come lo spiega? Sono state fatte polemiche vane sapendo che i componenti del consiglio direttivo sono sette. Nell'analoga agenzia francese sono 25. Se si voleva una rappresentanza per territorio e per settore scientifico avrebbero dovuto essere di più. Non credo inoltre che gli esperti nominati per valutare l'efficienza degli atenei e della formazione orienteranno il lavoro in base alla loro provenienza scientifica. Il problema si pone sulla valutazione dei singoli lavori, ma non è questo il caso. Per fare questo l'Anvur avrebbe bisogno di assumere personale. In Francia ci sono 4 mila valutatori. Quindi ci vuolè un piano dl investimento? Esatto. Solo per l'accreditamento dei 5 mila corsi di studio esistenti nel 2005 occorrevano 13 milioni all'anno. Ora saranno di più. Non li abbiamo mai ricevuti. Nessun ministro ha mai preso in considerazione questo problema. Questa esigenza sarà presa in considerazione? Me lo auguro, ma occorrono risorse. Al momento il personale previsto è un decimo di quello francese. Quanto è stato stanziato per l'Anvur? Cinque milioni, quelli a disposizione del Cnvsu e del Comitato di valutazione della ricerca che confluiranno nell'agenzia. In Francia si spendono 70 milioni all'anno. ____________________________________________________ Il Manifesto 4 Feb.’11 TREDICIMILA ASSEGNISTI A RISCHIO «SFRATTO» ATENEI Il combinato disposto di un articolo della «riforma» e dei tagli al settore pubblico Ro. Ci. L’esordio della riforma Gelmini sta provocando il caos nelle università. Lo denuncia il Coordinamento dei precari della ricerca e della docenza (Cpu) secondo il quale l'abolizione degli assegni di ricerca stabilito dalla riforma sta spingendo gli atenei e il Consiglio Nazionale delle Ricerche a lanciarsi in interpretazioni fantasiose. Sono ormai numerosi i casi in cui le facoltà non procedono ai rinnovi dei contratti già previsti dai bandi originari. Arrivano anche notizie su quelle che hanno bloccato le procedure di svolgimento dei concorsi e la presa di servizio per i vincitori dei concorsi banditi prima del 29 gennaio, giorno in cui la legge è entrata in vigore. Molto dipende dal fatto che un comma dell'articolo 6 della legge è scritto male e si presta ad interpretazioni diverse. Indiscrezioni dal ministero dell'università sostengono che la prossima settimana l'ufficio legislativo diramerà una nota che permetterà di risolvere il problema. Per allontanare il rischio di un licenziamento di massa sembra che il governo darà parere favorevole ad un emendamento al Milleproroghe che rinvia lo stop al 1 gennaio 2012, in modo da permettere agli atenei di trovare una soluzione. Resta tuttavia il rischio che questo provvedimento venga dichiarato inammissibile in quanto non pertiene al Milleproroghe risolvere questi problemi. Al di là delle soluzioni di circostanza, i ricercatori precari denunciano l'esistenza di un più ampio disegno di compressione del numero degli assegni di ricerca, quasi 13 mila, che provocherà tra 10 mesi la graduale espulsione di decine di migliaia di precari con 5 o addirittura 10 anni di attività scientifica alle spalle. Questa misura rientra nelle linee approvate dalla finanziaria estiva voluta dal ministro Tremonti che stabilisce il taglio del 50 per cento delle collaborazioni nella pubblica amministrazione. In questo settore i contratti a tempo determinato sono almeno 430 mila, nella scuola sono 197 mila, il resto si divide tra le autonomie locali e nella sanità. Se questa misura non venisse abrogata, più di 200 mila contratti atipici verrebbero cancellati, creando una emergenza sociale nella scuola dove i tagli provocheranno conseguenze ancora non del tutto immaginabili. Naturalmente per queste persone non è previsto alcun sostegno al reddito. ____________________________________________________ Il Sole24Ore 4 Feb.’11 A RISCHIO L'UNIVERSITÀ PUBBLICA (IN USA) La riduzione dei sussidi colpisce anche la A&M di Austin LA SCURE DEL GOVERNATORE Obama ha indicato l'ateneo tra le eccellenze nazionali ma Rick Perry non fa sconti Senza i contributi federali ridimensionamento inevitabile AUSTIN. Dal nostro inviato Nell'ultimo discorso sullo Stato dell'Unione, Barack Obama ha presentato la sua formula per vincere le sfide del futuro. Ha riconosciuto che il deficit pubblico rischia di diventare una zavorra insostenibile, ma anche detto che i tagli devono essere accompagnati da investimenti in settori strategici. Primo tra tutti quello dell'istruzione. Obama ha poi spiegato che uno dei maggiori punti di forza del paese è la straordinaria qualità di alcune sue università. Texas A&M, ad Austin, è tra queste. E a differenza di Harvard o Columbia University è un istituto statale, quindi ha una retta molto più bassa e accessibile. Insomma, è uno di quei fiori all'occhiello da proteggere e coltivare. Ma non per il governatore texano, il repubblicano RickPerry, seduto sulla massima poltrona statale da quando George W. Bushla liberòper occupare quella nello Studio Ovale. Le spese per le università rappresentano i112,5% del bilancio del suo stato, ma nell'ultima tornata di tagli da lui imposta , il 41,47% - pari a oltre 518 milioni di dollari - ha interessato i sussidi al sistema universitario. E i tagli prospettati per il biennio avvenire saranno oltre tre volte tanto. Prima di diventare "cancelliere", o presidente, di Texas A&M, A/111(e Mc Kinney è stato capo di gabinetto di Perry. Ma seppur in modo estremamente diplomatico, non esita a manifestare il proprio disappunto: «Sarebbe sbagliato daparte mia chiedere trattamenti di favoreper Texas A&M a danno del resto dello stato, ma quello che fa bene a Texas A&M fa bene allo stato. E questi tagli non ci fanno bene». Oltre alla possibile riduzione dei sussidi statali, McKinney corre il rischio che il suo ex boss abolisca sette enti statali gestiti dalla sua università. Una cosa è certa: a meno che l'amministrazione Obama non metta a disposizione fondi federali, McKinney e gli altri cancellieri del sistema universitario statale texano possono dimenticarsi qualsiasi progetto di espansione. C'è un elenco di nuove costruzioni proposte per un totale di 4,6 miliardi che riposa da mesi in un cassetto del governatore. Nessuno si aspetta che vedrà la luce. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 Feb.’11 LA RETE 29 APRILE SCHIERA 5 RICERCATORI IN PRIMA LINEA Bettina Camedda CAGLIARI. L’Università in prima linea anche come voce critica. Sono cinque infatti gli esponenti della «Rete 29 Aprile» che rappresenteranno alcune delle aree disciplinari all’interno del Consiglio universitario nazionale (Cun). «È un ottimo risultato perché si è riusciti a far eleggere candidati che fossero espressione vera dei ricercatori e non dei gruppi di potere». È soddisfatta Valentina Onnis, referente dell’Ateneo di Cagliari per la «Rete 29 Aprile». C’è bisogno di tutti anche perché il Cun, l’organo consultivo del ministero, dovrà districarsi tra i decreti attuativi della legge approvata il 23 dicembre. Un processo di metamorfosi dell’università italiana avviato il 29 gennaio con l’entrata in vigore della riforma Gelmini (legge 240/2010) che parte dalla revisione degli statuti di ateneo. Entro sei mesi, cioè fino a luglio, si procederà infatti con la modifica degli statuti in materia di organizzazione e di organi di governo dell’ateneo. «Martedì c’è stata una riunione informale tra Cda e Senato dove si è espressa la volontà di arrivare a un dialogo affinché tutto si svolga in modo democratico, collegiale e condiviso - continua Onnis - perché la riscrittura dello statuto vuol dire organizzare l’università almeno per i prossimi vent’anni». Ancora: dopo il comunicato della Rete in cui si annunciava il prolungamento dell’indisponibilità alla didattica anche per il secondo semestre, oggi si apre uno spiraglio. «Siamo in trattativa - spiega Valentina Onnis - i ricercatori vogliono essere parte attiva in questo processo di riforma di ateneo e partecipare alla commissione che sarà nominata per riscrivere lo statuto. La nostra disponibilità potrà attivarsi soltanto con l’assolvimento di alcune richieste sulla partecipazione di tutti in un processo democratico. E si dovrà discutere del futuro dei ricercatori esistenti e del futuro di quei giovani ricercatori che saranno a tempo determinato». ____________________________________________________ L’Unità 31 Gen.’11 TUTTE LE «BUFALE» CANCELLATE DALLE RIVISTE SCIENTIFICHE Negli ultimi 10 anni sono state ritirate ben 788 pubblicazioni Il caso più clamoroso è quello dell'articolo che trovava un legame tra l'autismo e il vaccino contro morbillo, rosolia e orecchioni. Pubblicato nel '98 da Andrew Wakefield e colleghi su The Lancet, l'articolo è stato ritirato dalla rivista inglese a febbraio del 2010 e gli autori sono stai accusati di aver utilizzato una metodologia «immorale» e di aver descritto la ricerca in modo «disonesto e irresponsabile». Il fatto è che quella ricerca aveva avuto come conseguenza una diminuzione nel numero delle vaccinazioni e quindi un ritorno del morbillo anche nei paesi dove veniva tenuto sotto controllo ormai da anni. Ma il caso di Lancet non è solo. Negli ultimi dieci anni ben 788 pubblicazioni mediche sono state cancellate dalla letteratura scientifica, ritirate dalla rivista che le aveva pubblicate perché considerate inattendibili. Le ha contate Grant Steen, autore di un articolo pubblicato sul Journal of Medical Ethics, in cui ha calcolato che circa tre quarti di queste pubblicazioni sono state ritirate per ché contenevano un serio errore, mentre il resto per frode, ovvero per falsificazione dei dati o addirittura fabbricazione di dati inesistenti. Un alto numero delle pubblicazioni ritirate, circa un terzo, era a firma di ricercatori statunitensi e, di queste, una su tre era una vera e propria frode. A seguire, gli articoli provenienti da Gran Bretagna, India, Giappone e Cina. L'altro elemento su cui riflettere è che le pubblicazioni fasulle compaiono di più sulle riviste ad alto Impact factor, ovvero quelle che vengono citate più di frequente. Inoltre, più della metà di quelle che contengono una vera e propria truffa hanno come primo autore un recidivo, ovvero una persona che era già stato accusato di aver falsificato dati, mentre questo accade solo nel 18% dei casi per gli articoli che contengono un grave errore. Un dato che stupisce, dicono gli autori, perché la ritrattazione di un articolo dovrebbe essere la sanzione più dura da applicare a un ricercatore, ma oggi forse è un'arma spuntata ____________________________________________________ Avvenire 2 Feb.’11 GERMANIA A CACCIA DI LAUREATI Il caso tedesco: La ripresa chiede più cervelli DA MILANO PIETRO SACCO In Germania la ripresa è così forte che i tedeschi sono in ansia per la carenza di lavoratori specializzati. Il settimanale Spiegel una settimana fa citava l'allarme lanciato dall'Istituto di ricerca economica tedesca: se non s troveranno abbastanza lavoratori qualificati, presto i tedeschi dovranno mettersi a lavorare 45 ore alla settimana per tenere il ritmo degli ordini in arrivo da mezzo mondo. L'associazione tedesca delle compagnie dell'ingegneria calcola che all'economia nazionale già lo scorso ottobre mancavano 84mila addetti specializzati nei settori della tecnologia e 43mila ingegneri. Assenze che costano 30 miliardi all'economia nazionale, ha calcolato il quotidiano Die Welt. La coalizione di governo guidata dal cancelliere Angela Merkel starebbe già provvedendo. Si sta lavorando a un piano per portare in Germania i laureati europei che non trovano lavoro in patria. Il bacino da cui la Merkel può attingere — purtroppo — è molto ampio. È tutta l'Europa meridionale: dal Portogallo alla Grecia, passando per la disastrata Spagna e anche per l'Italia. I vagoni del treno europeo potrebbero essere costretti a lasciare che le loro migliori giovani menti scendano per l'assenza di posti e salgano sulla più rapida (e quindi spaziosa) locomotiva tedesca. In Germania la fiducia delle imprese, calcolata dall'Ifo, è ai livelli più alti della sua storia, quella dei consumatori, prevede Gfk, questo mese sarà ai massimi degli ultimi tre anni. L'agenzia federale del lavoro ieri ha comunicato che a gennaio sono stati recuperati 13mila posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione— corretto per le componenti stagionali — è sceso dal 7,5 al 7,4%. Sono 3 milioni e 315 mila i tedeschi che non hanno un lavoro. E il minimo dal novembre del 1992. Nel confronto con un anno fa il calo è di 270mila unità. Tra le grandi economie sviluppate il Giappone è l'unico ad avere un tasso di disoccupazione inferiore a quello della Germania (al 4,9%). Chiuso il 2010 con un Pil cresciuto del 3,6%, il governo tedesco conta di mettere a segno un altro +2,3% quest'anno. La stima è stata corretta al rialzo solo qualche giorno fa. Anche se c'è da dire che l'Italia, ancora a dicembre 2009, aveva un tasso di senza lavoro più basso, al 7,3%. Ci sarebbe anche da aggiungere che i tedeschi si aspettano di chiudere l'anno con un tasso di disoccupazione al 7%. Troveranno un lavoro altre 300mila persone. ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 2 Feb.’11 LAUREA FACILE PER LE STELLETTE Il disegno di legge firmato dal senatore pdl Ramponi: questione di giustizia, oggi anche i marescialli sono dottori Il titolo alla carriera per i generali in pensione ROMA — Sono 170 generali in pensione. Una pattuglia di arditi che fino a pochi anni fa ricopriva ruoli anche importanti. E che per una «evidente lacuna» normativa non ha la «possibilità di fregiarsi del titolo di laurea». Una beffa. Ma in aiuto della categoria accorre una leggina su misura all'esame del Senato. Un articoletto appena per allietare la pensione con un riconoscimento alla carriera sotto forma di laurea. Così il generale, insieme ai nipotini, si può godere anche il titolo di dottore. A firmare il disegno di legge è Luigi Ramponi, senatore del Pdl, ex comandante della Guardia di finanza e direttore del Sismi, il servizio segreto militare. «Si tratta di una piccola questione di giustizia che non costerebbe neanche un euro» minimizza lui. Oggi chi frequenta un'accademia militare, per poi diventare ufficiale e magari generale, una laurea la prende direttamente durante il corso grazie agli accordi che ci sono con le università. Non solo. Chi ha fatto l'accademia quando questi accordi ancora non c'erano, almeno 15 anni fa, può chiedere il riconoscimento degli studi fatti allora. E, magari con l'aggiunta di qualche esame, diventare dottore pure lui. Ma la laurea alla carriera resta un miraggio per un «ridotto numero di ufficiali ormai in congedo». Sono proprio quei 17o generali che non hanno fatto l'accademia ma hanno seguito un altro percorso: ufficiali di complemento, scuola di guerra e via a salire. Ramponi l'accademia l'ha fatta e quindi non ha problemi. Ma sulla questione si scalda: «A chi ha fatto quel percorso io di lauree ne darei due. La scuola di guerra, i corsi di Stato maggiore... Altro che università: sono molto più duri». Resta da capire cosa diavolo ci può fare un generale in pensione con la laurea nel cassetto? E una questione di onore e pennacchi, che solo chi conosce i militari può capire. Oggi anche un maresciallo si gua-dagna una laurea con i corsi fatti durante la carriera. E persino i soldati semplici possono diventare dottori, specie se impiegati nelle missioni internazionali. Un generale diplomato e un maresciallo laureato: non è facile, per chi ha comandato tutta la vita, avere un titolo in meno di un sottoposto. Nemmeno in pensione. Ma serve davvero una leggina come questa, specie in un Parlamento praticamente fermo? La commissione Cultura del Senato pensa di no e per questo ieri ha dato parere negativo. La riforma dell'università, appena entrata in vigore, ha reso più difficile per i dipendenti della pubblica amministrazione incassare la laurea facendosi riconoscere i corsi di formazione. Si possono ottenere al massimo iz crediti e non più 6o. «Estendere il beneficio sarebbe un segnale in controtendenza» hanno scritto nel parere. Adesso la palla torna alla commissione Difesa dove il Pd si prepara all'astensione e anche nella maggioranza affiora qualche dubbio. Ma il senatore—generale Ramponi ci crede ancora: «Loro dicono che non si può fare per colpa della legge Gelmini? E allora ce lo potevano dare prima questo benedetto parere». Lorenzo Salvia ____________________________________________________ L’Unione Sarda 1 Feb.’11 L’UNIVERSITÀ “LICENZIA” GLI ASSEGNISTI MASTER&BACK Master&back. A 60 laureati non verrà rinnovato il contratto di ricerca nell’ateneo «Ci dicono che non ci sono soldi ma la Regione li ha dati» Rientrati dal “Master and back”, hanno lavorato per due anni all’Università che, però, non concede il rinnovo per il terzo anno. Hanno seguito master nelle migliori università del mondo, sono riusciti a ottenere dottorati di ricerca con i più noti luminari. Sono i cervelli sardi che, grazie al programma “Master and back”, dovrebbero rappresentare il fiore all’occhiello. E, invece, al rientro nell’Isola, al “back”, sbattono contro la dura realtà. Come capita alla sessantina di assegnisti dell’Università di Cagliari: i loro contratti sono scaduti o sono in scadenza. Nel giro di pochi mesi questi specializzati saranno a spasso. LA SITUAZIONE Laureati in quasi tutti gli atenei, questa sessantina di giovani ha migliorato la propria preparazione nei centri d’eccellenza della Penisola o all’estero (dove ha vissuto per periodi che vanno dai dodici mesi ai tre anni). Tornati in Sardegna, sono stati impiegati per due anni nei vari dipartimenti universitari. Ma, ora, la loro esperienza sta per finire. Prima del tempo. «Tra le condizioni per l’ammissione al finanziamento dei progetti di ricerca», scrivono, «l’Agenzia regionale del lavoro aveva individuato l’assunzione dell’impegno da parte dei dipartimenti universitari al reperimento di fondi per il proseguimento dell’attività di ricerca del beneficiario per almeno un altro anno, successivo allo scadere del biennio». L’UNIVERSITÀ Dunque, quei finanziamenti erano legati al prosieguo dell’attività di ricerca. Invece, dopo due anni, si torna tutti a casa. E, questa volta, sul banco degli imputati non sale la Regione. Dalle casse di viale Trento sono usciti circa sette milioni destinati alla ricerca. «Ma questo denaro», spiegano gli assegnisti, «è stato destinato ad altri scopi: alle borse di dottorato che l’anno scorso, in parte, non sono state assegnate per mancanza di partecipanti. Altri fondi sono stati utilizzati per nuovi contratti a ricercatori precari». LE RICHIESTE Una vertenza, quegli degli assegnisti, che chiede soltanto il riconoscimento delle competenze. «Non pretendiamo che il rinnovo sia automatico: è giusto che veniamo esaminati da esterni sulla base delle pubblicazioni, delle partecipazioni ai seminari, delle nostre conoscenze. Soltanto dopo questo esame, vogliamo il rinnovo». Mentre nel resto del mondo si punta sulla ricerca, qui gli assegnisti si devono battere per un tozzo di pane o quasi. Lo stipendio di queste brillanti menti? «Circa 1.500 al mese. Ma non ci lamentiamo di questo anche se nel resto del mondo i nostri colleghi prendono molto di più. Ma a noi viene impedito di continuare il nostro lavoro». MARCELLO COCCO ____________________________________________________ Forum Pa 1 Feb.’11 IL MINISTRO BRUNETTA CHIARISCE LE NORME SULL'ALBO PRETORIO ON LINE Il ministro Brunetta ha pubblicato sul proprio sito ed inviato a tutte le amministrazioni pubbliche un comunicato nel quale chiarisce definitivamente gli obblighi per le amministrazioni in materia di pubblicità legali a partire dal 1 gennaio 2011 e fa luce su alcuni elementi della normativa su cui erano state sollevate perplessità. Pubblichiamo di seguito gli elementi centrali del comunicato, e le slide di sintesi. A partire dal 1 gennaio di quest'anno le pubblicazioni effettuate su carta non hanno più valore legale. E infatti entrato in vigore l'art. 32 della Legge n. 69/2009, che reca disposizioni finalizzate all'eliminazione degli sprechi. Grazie a questa rivoluzione digitale spariscono così fogli e foglietti affissi da decenni con le 'puntine' su migliaia di Albi pretori. Le amministrazioni pubbliche sono infatti obbligate a pubblicare sul proprio sito Internet (o su quello di altre amministrazioni affini o associazioni) tutte le notizie e gli atti amministrativi che necessitano di pubblicità legale: bandi di concorso, permessi di costruzione, delibere del Consiglio e della Giunta comunale, elenco dei beneficiari di provvidenze economiche, ecc. PUBBLICAZIONE DI MATRIMONI Anche le pubblicazioni di matrimonio devono comparire esclusivamente su Internet. In caso di inosservanza, ai sensi dell'art. 99 del Codice civile la cerimonia non potrà essere celebrata. E qualora questa avvenga lo stesso, il matrimonio non sarà nullo né annullabile, ma a carico degli sposi e dell'ufficiale di stato civile potrà essere comminata una sanzione amministrativa che va da 41 a 206 euro. BANDI GARA E BILANCI Per quanto riguarda i bandi di gara ("procedure a evidenza pubblica") e i bilanci, lo switch-off completo al digitale è invece stabilito al 1 gennaio 2013. Nel frattempo la pubblicazione online di questi atti accompagnerà quella cartacea secondo modalità operative che verranno definite nei prossimi giorni con un Decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del ministro Brunetta e di concerto con il ministro Matteoli (nelle materie di propria competenza). A partire dal 1 gennaio 2013 gli obblighi di pubblicità legale saranno pertanto assolti esclusivamente mediante la pubblicazione online sul sito istituzionale mentre la tradizionale pubblicità sui quotidiani sarà solo facoltativa e nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio. LA RILEVAZIONE CNR Nei giorni scorsi il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione ha effettuato, in collaborazione con il CNR, un'indagine approfondita sullo stato di applicazione della legge nei siti Internet delle pubbliche amministrazioni. Da questa è risultato che finora solo 5.133 Comuni (pari al 66,80% del totale) hanno predisposto una sezione online dell'Albo pretorio. La regione più inadempiente la Basilicata in cui solo il 40,5% (51 comuni) dei comuni ha ottemperato agli obblighi. L regione più virtuosa la Toscana con il 90,2% dei comuni. Nel caso particolare delle città metropolitane, è emerso invece che tutte sono in regola con la legge: non solo hanno collocato nell'homepage del proprio sito (seppure con evidenza diversa) la sezione dedicata all'albo pretorio, ma molte vi hanno già inserito anche i bandi di gara. Sia pure in presenza di un quadro così positivo, va però notato come non tutte le città abbiano utilizzato questa occasione come front-office di una corretta e integrata gestione documentale: in alcuni casi si tratta, infatti, di mera rappresentazione digitale dei documenti prima esposti in forma cartacea. Al contrario, alcune città (ad esempio Milano) hanno utilizzato l'obbligo dell'Albo pretorio online per rivedere tutto il processo documentale. ____________________________________________________ ADNKRONOS 1 Feb.’11 STOP ALLE AFFISSIONI IN COMUNE, PUBBLICAZIONI ON LINE O NIENTE NOZZE Roma, 1 feb. (Adnkronos) - A partire dal 1 gennaio di quest'anno le pubblicazioni effettuate su carta non hanno più valore legale. Il che vale anche per le tradizionali pubblicazioni di matrimonio che, se affisse su foglio di carta fuori dal Comune, sono a rischio di nullità. E infatti entrato in vigore l'art. 32 della Legge n. 69/2009, che reca disposizioni finalizzate all'eliminazione degli sprechi. Grazie a questa "rivoluzione digitale spariscono così - sottolinea una nota del ministero per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione - fogli e foglietti affissi da decenni con le 'puntine' su migliaia di Albi pretori". "Le amministrazioni pubbliche sono infatti obbligate a pubblicare sul proprio sito Internet (o su quello di altre amministrazioni affini o associazioni) tutte le notizie e gli atti amministrativi che necessitano di pubblicità legale: bandi di concorso, permessi di costruzione, delibere del Consiglio e della Giunta comunale, elenco dei beneficiari di provvidenze economiche", ricorda la nota. Anche le pubblicazioni di matrimonio devono quindi comparire "esclusivamente su Internet. In caso di inosservanza, ai sensi dell'art. 99 del Codice civile la cerimonia - ribadisce il ministero - non potrà essere celebrata. E qualora questa avvenga lo stesso, il matrimonio non sarà nullo né annullabile ma a carico degli sposi e dell'ufficiale di stato civile potrà essere comminata una sanzione amministrativa che va da 41 a 206 euro". Per quanto riguarda i bandi di gara ("procedure a evidenza pubblica") e i bilanci, lo switch-off completo al digitale e' invece stabilito al 1 gennaio 2013. Nel frattempo la pubblicazione online di questi atti accompagnerà quella cartacea secondo modalità operative che verranno definite nei prossimi giorni con un decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del ministro Brunetta e di concerto con il ministro Matteoli (nelle materie di propria competenza). A partire dal 1 gennaio 2013 gli obblighi di pubblicità legale saranno pertanto assolti esclusivamente mediante la pubblicazione online sul sito istituzionale mentre la tradizionale pubblicità sui quotidiani sarà solo facoltativa e nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio. Da un'indagine effettuata nei giorni scorsi in collaborazione con il Cnr è risultato che finora solo 5.133 Comuni (pari al 66,80% del totale) hanno predisposto una sezione online dell'Albo pretorio, così suddivisi su base regionale: 51 Comuni in Basilicata (40,5%), 50 in Molise (41,0%), 123 in Abruzzo (47,3%), 174 nel Lazio (52,7%), 119 in Friuli Venezia Giulia (56,4%), 167 in Trentino Alto Adige (56,6%), 140 nelle Marche (58,6%), 338 nel Veneto (59,1%), 152 in Puglia (60,8%), 239 in Sicilia (61,9%), 243 in Sardegna (64,5%), 47 in Valle d'Aosta (65,3%), 136 in Liguria (65,7%), 1.030 in Lombardia (68,8%), 243 in Emilia-Romagna (70,0%), 382 in Campania (71,4%), 291 in Calabria (74,6%), 68 in Umbria (78,2%), 882 in Piemonte (80,6%) e 258 (90,2%) in Toscana. Nel caso particolare delle città metropolitane, è emerso invece che tutte sono in regola con la legge: in alcuni casi si tratta però di "mera rappresentazione digitale dei documenti prima esposti in forma cartacea", sottolinea il ministero. Al contrario, alcune città (ad esempio Milano) hanno utilizzato l'obbligo dell'Albo pretorio online per rivedere tutto il processo documentale. RIVOLUZIONE DIGITALE. MENO DEL 67% DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E IN REGOLA Scritto da Redazione A partire dal primo gennaio scorso, le pubblicazioni effettuate su carta non hanno più valore legale. E infatti entrato in vigore 'articolo 32 della Legge 69/2009, che reca disposizioni finalizzate all’eliminazione degli sprechi. Eppure, nei giorni scorsi il ministero per la Pubblica Amministrazione e 'Innovazione ha effettuato, in collaborazione con il Cnr, una indagine approfondita sullo stato di applicazione della legge nei siti Internet delle pubbliche amministrazioni. Da questa è risultato che finora solo 5.133 Comuni (pari al 66,80% del totale) hanno predisposto una sezione online dellAlbo pretorio, così suddivisi su base regionale: 51 Comuni in Basilicata (40,5%), 50 in Molise (41,0%), 123 in Abruzzo (47,3%), 174 nel Lazio (52,7%), 119 in Friuli Venezia Giulia (56,4%), 167 in Trentino Alto Adige (56,6%), 140 nelle Marche (58,6%), 338 nel Veneto (59,1%), 152 in Puglia (60,8%), 239 in Sicilia (61,9%), 243 in Sardegna (64,5%), 47 in Valle d’Aosta (65,3%), 136 in Liguria (65,7%), 1.030 in Lombardia (68,8%), 243 in Emilia-Romagna (70,0%), 382 in Campania (71,4%), 291 in Calabria (74,6%), 68 in Umbria (78,2%), 882 in Piemonte (80,6%) e 258 (90,2%) in Toscana. Nel caso particolare delle città metropolitane, è emerso invece che tutte sono in regola con la legge: non solo hanno collocato nell’homepage del proprio sito (seppure con evidenza diversa) la sezione dedicata all’albo pretorio ma molte vi hanno già inserito anche i bandi di gara. Sia pure in presenza di un quadro così positivo, va però notato come non tutte le città abbiano utilizzato questa occasione come front-office di una corretta e integrata gestione documentale: in alcuni casi si tratta infatti di mera rappresentazione digitale dei documenti prima esposti in forma cartacea. Al contrario, alcune città (ad esempio Milano) hanno utilizzato l’obbligo dell’Albo pretorio online per rivedere tutto il processo documentale. Grazie a questa rivoluzione digitale spariscono così fogli e foglietti affissi da decenni con le puntine su migliaia di Albi pretori. Le amministrazioni pubbliche sono infatti obbligate a pubblicare sul proprio sito Internet (o su quello di altre amministrazioni affini o associazioni) tutte le notizie e gli atti amministrativi che necessitano di pubblicità legale: bandi di concorso, permessi di costruzione, delibere del Consiglio e della Giunta comunale, elenco dei beneficiari di provvidenze economiche. Anche le pubblicazioni di matrimonio devono quindi comparire esclusivamente su Internet. In caso di inosservanza, ai sensi dell’articolo 99 del Codice civile la cerimonia non potrà essere celebrata. E qualora questa avvenga lo stesso, il matrimonio non sarà nullo né annullabile ma a carico degli sposi e dell’ufficiale di stato civile potrà essere comminata una sanzione amministrativa che va da 41 a 206 euro. Per quanto riguarda i bandi di gara e i bilanci, lo switch-off completo al digitale è invece stabilito al primo gennaio 2013. Nel frattempo la pubblicazione online di questi atti accompagnerà quella cartacea secondo modalità operative che verranno definite nei prossimi giorni con un decreto del presidente del Consiglio, su proposta del ministro Renato Brunetta e di concerto con il ministro Altero Matteoli. A partire dalli gennaio 2013 gli obblighi di pubblicità legale saranno pertanto assolti esclusivamente mediante la pubblicazione online sul sito istituzionale mentre la tradizionale pubblicità sui quotidiani sarà solo facoltativa e nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 Feb.’11 OCULISTICA, RICORSO CONTRO CARTA JUNIOR Pier Giorgio Pinna SASSARI. Cattedre di padre in figlio e possibili successioni familiari in Oculistica, è il momento del Terzo atto. Martedì il Consiglio ristretto della facoltà di medicina (aperto ai soli ordinari e associati) si riunirà per la scelta finale. Dovrà decidere sulla chiamata di uno dei due professori di seconda fascia dichiarati idonei. Due in corsa: Arturo Carta, figlio dell’ex direttore della stessa clinica, Francesco, andato in pensione il primo novembre, e un docente della Sapienza, Alessandro Lambiase, romano. Seguirà poi un quarto atto per l’effettiva presa di servizio. Ma nel frattempo uno dei 16 ricercatori candidati alle prove per la promozione - Antonio Pinna, 47 anni, «interno» nella medesima struttura - ha ufficializzato davanti al Tar il suo ricorso contro l’esclusione. Lunedì ne sarà data comunicazione formale ai vertici dell’ateneo. Se la dovesse spuntare lui, il concorso verrà annullato. In ogni caso, però, non ci sarà la possibilità che uno dei candidati fin qui giudicati «non idonei» subentri al vincitore. In attesa della possibile nomina, Arturo Carta, 41 anni, sassarese come Pinna, opera da ricercatore a Parma. Se la facoltà supererà gli attuali problemi di budget per la copertura dei posti e chiamerà in servizio proprio lui, a prescindere dall’anzianità professionale il neovincitore sarà il più alto in grado nella clinica. In quest’eventualità, subentrerà al padre Francesco in linea diretta. Potrebbe così essere chiamato a coordinare anche il versante ospedaliero della divisione: complessivamente, tredici medici e decine d’infermieri, ogni anno duemila interventi, quarantamila visite e tremila ricoveri. E ciò perché Oculistica opera nell’Azienda Mista dove, con una sola eccezione, i primari sono esclusivamente universitari. Sebbene Medicina non appaia disposta a cedere alcuno dei posti di responsabilità, a ogni modo, sotto questo profilo il provvedimento conclusivo spetterà al rettore Attilio Mastino e ai vertici dell’azienda. La voce del ricorso circolava da settimane. Si aggiunge al clamore suscitato a Sassari dalla proliferazione di candidati alle promozioni risultati parenti di tanti professori andati di recente in congedo. La prova - in malattie dell’apparato visivo, Med 30 - rientrava nei concorsi per 21 docenti di seconda fascia banditi nel giugno 2008. Fase nella quale alla guida dell’università c’era Alessandro Maida. Come tutti gli altri, il test per esami e titoli con base a Sassari aveva infatti valenza nazionale. Con 4 commissari estratti a sorte. E il membro interno originario - il professor Francesco Carta - correttamente sostituito in via preliminare. Incarico affidato dalla facoltà di medicina sassarese a un collega docente in una diversa università (Giovanni Scorcia, ordinario nell’ateneo Magna Graecia di Catanzaro), dopo la notizia che alla prova avrebbe partecipato Arturo Carta. Per garantire il massimo della trasparenza, Mastino, aveva ottenuto che le prove non si svolgessero nell’Istituto di oculistica. Il concorso si è così tenuto nell’aula Milella della sede centrale d’ateneo e al Quadrilatero (Scienze politiche). Adesso che gli atti della commissione sono stati resi pubblici si è saputo come hanno votato i commissari. Alla fine delle prove, sette concorrenti sono stati esclusi dagli esaminatori dopo una prima «scrematura». Tra i nove rimasti in gara, nella successiva selezione Carta junior ha ottenuto il maggior numero di preferenze: 4 voti su 5. Lambiase ne ha invece avute 3 e Pinna 2. Per il candidato promotore del ricorso (che non è parente dell’autore dell’articolo, ndr) si sono espressi a favore il presidente Paola Pivetti Pezzi della Sapienza di Roma e Giovanni Calabria dell’università di Genova. Per Arturo Carta hanno invece votato lo stesso Calabria, il membro interno Scorcia, Roberto Ratiglia (Milano) e Stefano Miglior (Milano-Bicocca). __________________________________________________ L’Unione Sarda 4 Feb.’11 COL TIMBRO DIGITALE ORA I DOCUMENTI SI RICHIEDONO ON LINE Accordo Università-Regione Una piccola tessera, che contiene al suo interno tutte le informazioni sulla carriera universitaria degli studenti. Con il timbro digitale, adottato dall’ateneo cagliaritano grazie ad un protocollo d’intesa con la Regione, si potranno evitare le file in segreteria per la richiesta di un documento. Ieri la firma dell’accordo, valido per i prossimi cinque anni, fra l’assessore agli Affari generali della Regione, Mario Floris, e il Rettore Giovanni Melis.__ I DOCUMENTI Certificati, attestazioni, statini: tutto, comodamente, davanti al pc. La tecnologia del timbro digitale, infatti, consente di rilasciare agli studenti - attraverso internet - documenti con valore legale, che potranno essere stampati direttamente da casa, risparmiando tempo e risorse. Una settimana dopo l’ateneo di Sassari, anche quello di Cagliari potrà sperimentare questo particolare codice grafico, che può contenere al suo interno sia il documento che la firma digitale. Un meccanismo simile a quello dei codici a barre usati nei supermercati: per decodificare il timbro si utilizza un apposito software, la cui licenza d’uso è messa a disposizione gratuitamente dalla Regione. LA REGIONE «La politica sta collaborando con la cultura», ha spiegato l’assessore Floris. «Quest’anno abbiamo portato il Fondo unico universitario da 12 a 19 milioni di euro, e l’investimento sulla ricerca da 25 a 35 milioni. Oggi la Regione ha svolto appieno il suo ruolo di ente promotore, coinvolgendo anche le Università», continua Floris. «È un passo importante per lo sviluppo di una regione che pensiamo sempre più innovativa, anche grazie al contributo di quei soggetti pubblici che sono impegnati ad accrescere la competitività del territorio». L’ATENEO Un metodo pratico, sicuro e affidabile che prosegue la strada tracciata dal Rettore Melis: modernizzare e informatizzare tutti i servizi offerti agli studenti. «Il percorso, avviato l’anno scorso con la firma digitale, oggi si completa con il timbro digitale», ha spiegato Melis. «Grazie all’intesa con la Regione, necessaria in un periodo di grande difficoltà per gli atenei italiani, i nostri iscritti possono accedere ad una gamma sempre più completa di servizi online: dall’immatricolazione all’iscrizione agli esami, fino al rilascio sul web di certificati con pieno valore legale». Francesco Fuggetta ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Feb.’11 DALL’UNIVERSITÀ ALL’OVILE, ANDATA E RITORNO Stefano Lai, nato a Escalaplano, cagliaritano d’adozione con la vocazione del pastore riacquisisce i terreni dei nonni e fonda una coop Allevatore e apicoltore, vende miele in Giappone e produce un pecorino aromatizzato all’olio di lentischio «Chi perde il cuore non può produrre un formaggio buono» PIERLUIGI CARTA CAGLIARI. Tra i bacini di Flumineddu e Mulargia, nelle campagne di Escalaplano, pascolano le 200 pecore di Stefano Lai, 38 anni, escalaplanese di nascita, cagliaritano di adozione, che ha preferito seguire la vocazione dei nonni, piuttosto che scegliere la più comoda via della terziarizzazione. La sua cooperativa, o “comunella”, come preferisce chiamarla, viaggia in ottime acque e “incredibilmente” non ha debiti. Una mosca bianca in questa buia epoca del settore agropastorale. Stefano Lai ha seguito i genitori verso la città quando aveva 10 anni, a 16 anni ha tentato una sortita verso la sua vera passione: la pastorizia. Ma le spinte familiari per un po’ hanno prevalso. Il padre bancario e la madre insegnante, l’hanno indirizzato verso la carriera universitaria, in scienze politiche. - Esperienza bellissima - racconta Stefano - ma sapevo che sarei tornato qui -. Infatti negli ultimi anni ’90 è riuscito a riacquisire le terre vendute dai genitori, un tempo appartenute ai nonni, entrambi pastori, in parte comprandole e in parte grazie all’intervento dell’Ersat, e ha avviato la sua attività di allevamento e apicoltura. Lui infatti si definisce pastore di pecore e api (erbegaxu) e adotta la transumanza per entrambe; ed è grazie alla vendita di miele - con acquirenti anche in Giappone - che è riuscito a finanziare macchinari e locali per l’allevamento, mungitura e trasformazione. Dagli anni ’90 si è dedicato all’attività con un’idea precisa: puntare alla qualità del prodotto, alla diversificazione e alla sua unicità. Ovvero quella che lui chiama “l’impronta del territorio”. È convinto infatti che «se le pecore mangiano il fieno, il mirto e il lentischio di questa particolare zona, il formaggio avrà per forza un sapore diverso da un pecorino romano prodotto in Romania». L’Ersat (oggi Laore) gli aveva affidato le terre in uso, salvo “disastrosa gestione”. Ma la gestione è tutt’altro che disastrosa e la cura con la quale agisce sul territorio ne è la prova. Stefano Lai è già dubbioso sul nome del prodotto pecorino romano, e gli pare «incomprensibile che il nostro principale prodotto abbia quel nome. È normale poi che subiamo questa forte crisi identitaria - conclude. pecorino romano significa monocoltura; e mangimi, silomais e polverizzazione del latte non fanno formaggi saporiti». Suo nonno aveva un detto: «anti forrogau sa luna», rivolto agli industriali del latte, e chi «forroga sa luna perdi su coru». Chi perde il cuore, la passione per il mestiere, che Stefano considera degno di un Hidalgo o di un capitano coraggioso, non riesce a fare un buon formaggio. La sua coop, composta da 9 pastori, fa parte di una coop più grande, quella di Nurri, che conta quasi 900 allevatori. Il consorzio destina il latte alla produzione di pecorino romano, ma Stefano preferisce utilizzare il prodotto delle sue 200 pecore per la trasformazione in pecorino sardo, effettuata direttamente nel suo ovile. Tranne il latte delle tre capre beniamine, elevate al rango di “balie” dei suoi due figli. Un esempio di diversificazione è senza dubbio il suo pecorino: aromatizzato all’olio di lentischio, di sua produzione, e cappato di argilla, presente nei suoi terreni. Stefano precisa che la lavorazione viene effettuata con pasta cruda e assicura che l’esperienza tramandata dai suoi avi scagiona da qualsivoglia pericolo batteriologico. «I batteri vengono debellati dopo qualche mese di stagionatura - racconta - e il prodotto parla da solo: se si gonfia, vuol dire che c’è qualche elemento dannoso». Stefano Lai è anche Delegato all’Agricoltura della Provincia di Cagliari, e ha già un’idea da sviluppare per la valorizzazione del suo settore, che consisterebbe in una sinergia di varie Op (organizzazioni di produzione); ovvero nel creare piccole unità aziendali di allevatori, seguite professionalmente nel percorso produttivo, per incentivare la trasformazione autonoma del latte e per aumentare la qualità del lavorato. Si tratta di un progetto pilota per verificare se “l’impronta locale” del prodotto sia un modello perseguibile in altre zone della provincia o della regione. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 31 Gen.’11 STUDENTI IN FILA LA DOMENICA PER STUDIARE IN BIBLIOTECA Provincia. La sala di Villanova colma di universitari Molti studenti vorrebbero studiare fuori casa la domenica ma ci sono solo due biblioteche aperte. È domenica ma c'è la fila lo stesso. Come al supermercato o alle poste. E non si tratta di uno sportello di un ufficio o di un istituto di credito, ma di una biblioteca pubblica, quella provinciale. Una delle due sale di studio - l'altra è quella del Centro giovani di via Dante - dove gli universitari possono trovare concentrazione, caldo e, soprattutto, nessuna distrazione che li distolga dai loro doveri. Anche di domenica. L'ARRIVO I primi ad arrivare si siedono su un muretto. Non sono nemmeno le 15,30 e sono già lì, nonostante la saracinesca che dà l'accesso alle sale apra alle 16, quando ad accalcarsi saranno oltre trenta ragazzi. Tra loro c'è Marta Ladu, ventiduenne iscritta in Scienze politiche: «Per entrare c'è la calca, per questo sono arrivata presto. E poi c'è silenzio e il riscaldamento». Curiosamente, nel giorno in cui in città si celebrano le primarie del centrosinistra, le tocca studiare “Il partito democratico di Bersani”. PATETICO «È quasi patetico che si formi la fila per studiare di domenica», afferma Massimiliano Demartis, un collega di Marta: «Ma pur di non stare a casa a mangiucchiare e a navigare in internet si viene qui». La vera ragione per cui ci sono tanti studenti la spiega Elisabetta Cherchi, ventiduenne studentessa di Giurisprudenza: «È molto silenziosa, si studia bene». Ma oltre l'aspetto serio c'è il faceto: «Sto qui anche per fare delle pause in compagnia». A CASA NO Gli studenti si dividono in due tipologie: quelli che studiano a casa e non riescono a farlo in biblioteca e quelli che, al contrario, riescono a concentrarsi solo in una sala pubblica. Raffaella Atzori appartiene alla seconda categoria: «A casa ci sono troppe distrazioni», afferma la studentessa di Giurisprudenza, che svela un altro aspetto del successo della “provinciale”: «Rimane aperta fino alle 22». Più o meno per gli stessi motivi degli altri ragazzi, è in vico XIV San Giovanni anche Stefano Cariello, 25 anni, iscritto in Beni culturali. «Nelle biblioteche delle facoltà si studia male e ci sono pochi posti, qui si sta benissimo». LE ALTRE BIBLIOTECHE La grande affluenza in questa sala fa emergere con forza il problema della penuria di luoghi di studio pubblici accessibili la domenica. In città ci sono molte biblioteche: fra le più gettonate ci sono l'universitaria di via Università, la regionale di viale Triste, quella di Pirri in via Santa Maria Goretti, oltre la “Michelangelo Pira” dell'Ersu in via Trentino. Che pur essendo dell'ente per il diritto allo studio, di domenica è chiusa. Tra poco sarà inaugurata anche la Mediateca del Mediterraneo: l'auspicio è che possa colmare questa lacuna. MARIO GOTTARDI ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 31 Gen.’11 PAGELLE ALLE SCUOLE? PROMOSSE DAI PRESIDI Il caso. Dopo la denuncia presentata dalla Gilda si anima il dibattito sulla meritocrazia Bachisio Porru: è giusto valutare tutti, anche i docenti. Si discuta del metodo Ascolta la notizia VALERIA GIANOGLIO NUORO. «Pagelle alle scuole e ai docenti? Noi presidi non ci tiriamo indietro, a patto che siano innovazioni discusse e condivise». Bachisio Porru è da 35 anni nel mondo della scuola e da quattro anni dirige l’istituto superiore più popoloso del Nuorese, il Liceo scientifico Fermi. Da un po’ meno presiede l’associazione sarda dei presidi, e nella sua lunga carriera tra banchi e cattedre ne ha viste davvero di tutti i colori. Qualche giorno fa, nel corso di un’assemblea della Gilda, il malumore dei docenti per le recenti novità che i ministri Gelmini e Brunetta vogliono introdurre sul tema della meritocrazia, è arrivato anche a lui. E non lo ha lasciato indifferente. Una buona parte di insegnanti, insieme al sindacato, pur spiegando di non respingerla come principio, sostengono che la meritocrazia, così me l’hanno pensata i due esponenti del governo, sia una vera farsa. Che lascia le valutazioni degli insegnanti al giudizio di presidi, genitori e studenti. E non l’affida, invece, a una commissione indipendente di esperti. Un altro punto contestato dai docenti e dalla Gilda, poi, è il fatto che la meritocrazia sarà finanziata solo con i soldi dei tagli, e non con fondi propri, e che il ministro Brunetta ha previsto che solo il 25 per cento di ogni categoria di dipendenti pubblici potrà essere premiato con il giudizio più alto. Bachisio Porru la prende con filosofia. Parte da una premessa. Dice che lui, in quanto funzionario dello Stato, non può che applicare le riforme del ministero, ma aggiunge anche che in quanto insegnante e rappresentante dei presidi sardi, è sempre contento delle innovazioni introdotte nel mondo della scuola, soprattutto se contribuiscono ad animare un po’ l’intero sistema. «Sono a favore - spiega - della valutazione di tutte le professioni, insegnanti e dirigenti scolastici compresi. Del resto, sinora, l’Italia era ultima in Europa insieme alla Romania a non avere un sistema di valutazione degli istituti». Il rappresentante dei presidi sardi, ricorda che quattro anni fa, era stato lui stesso a dare l’esempio agli scettici. Aveva infatti aderito in modo volontario a un sistema di valutazione dei presidi. Era uno dei soli venti in Sardegna che lo aveva fatto. «Erano venuti degli ispettori del ministero - spiega - avevano controllato la scuola e fatto delle valutazioni. Insomma: mi ero messo in gioco, e lo avevo fatto in modo convinto. L’unico problema è che poi l’iniziativa si era arenata, tanto è vero che non mi avevano fatto sapere il loro giudizio. Speriamo che adesso non succeda così». Bachisio Porru, insomma, sulla questione è decisamente ottimista. Anche perché, precisa, «la meritocrazia che stanno facendo ora in alcune scuole d’Italia, è solo una sperimentazione, e in quanto tale immagino che dovrà subire ancora alcuni aggiustamenti. Per cui le paure degli insegnanti sono premature. Sono convinto che non sarà un’iniziativa calata dall’alto, e spero che sul metodo con il quale verrà fatta si discuterà tanto. Voglio anch’io che vi sia un’autorità terza, per giudicare la scuola e i docenti, e che la valutazione deve essere democratica, partecipata e indipendente. Ma ci tengo anche a dire che io sono sempre “aprioristicamente” a favore dell’innovazione». ____________________________________________________ SardiNews 31 Gen.’11 2011, ANNO DEL RADIOTELESCOPIO DI PRANU SANGUNI Gli astronomi studieranno il cielo dalla Sardegna Una parabola di 64 metri di diametro installata su un piedistallo di 34 metri nel cuore del Gerrei di Roberto Paracchini Il radiotelescopio nella collina di Pranu Sanguni, tra San Basilio e Silius: entrerà in funzione in estate. Sotto l’astronomo Nicolò D’Amico, responsabile del progetto del Sardinia Radio Telescope (Srt). (foto Sardinews) Alcuni lo considerano un grande orecchio, sensibilissimo a qualsiasi cambiamento. Solo che l’attenzione non è rivolta verso il basso, sulla terra per percepirne i rimbombi come dalla pelle di un grande tamburo, di scalpiccii e passi lontani. Un orecchio per il cielo. Questo orecchio è un sofisticato prodotto della tribù degli scienziati: guarda il cielo ed è capace di scorgerne anche i segreti più lontani, distanti milioni e miliardi di anni luce. L’immagine è quella di un gigantesco paraboloide montato su un altrettanto imponente piedistallo: è un radiotelescopio. Uno di questi sta sorgendo nel territorio di San Basilio, località Pranu Sanguni. Entro i primi di marzo saranno avvitati gli ultimi bulloni e saldate le giunture finali. Poi inizierà il trasporto degli strumenti e a maggio lo strumento diventerà vivo. Anche se un problema non è stato ancora risolto: potrà iniziare a funzionare, ma solo in parte perché dal ministero c’è un “no” generalizzato alle assunzioni, anche per l’astronomia e pure per quello che è considerato uno degli strumenti più innovativi del mondo. Ma andiamo per gradi. La storia è di quelle lente, ma fascinose. E non del tutto concluse. Una scultura post moderna. Per molti l’astronomia è un’arte da iniziati, importante perché ci dice da dove viene e come nasce l’universo, ma che non incide sulla vita di tutti i giorni. Mentre proprio da questo tipo di studi sono venute alcune delle innovazioni tecnologiche con cui viviamo quotidianamente “come quella dei wi-fi, delle connessioni senza fili e altre applicazioni importanti nelle situazioni più estreme, come i sistemi di atterraggio alla cieca degli aerei” informa Nicolò D’Amico, professore ordinario di astronomia nell’università di Cagliari e responsabile del progetto del Sardinia Radio Telescope (Srt), il radiotelescopio di San Basilio. I sessantasei milioni di finanziamento complessivo, di cui l’ultimo milione e mezzo è stato deliberato il 22 dicembre scorso dalla giunta regionale, fanno intuire che si tratta di un’opera imponente. Il colpo d’occhio mostra una parabola di 64 metri di diametro installata in cima a un piedistallo di 34 metri. Se sei a pochi metri di distanza, resti senza fiato. Se guardi da lontano hai l’impressione di una grande scultura, di un’opera post moderna in piena campagna: un mito atterrato dal futuro. Un universo violento. La prima pietra del Srt venne posata nel 2003. Ma l’idea nacque nei primi anni Novanta. Gli astronomi avevano da poco iniziato a capire le grandi potenzialità di un telescopio a onde radio: la nostra vista percepisce infatti solo alcune lunghezze d’onda, mentre l’universo parla soprattutto attraverso quelle ad alta frequenza, con lunghezza ridotta, invisibili a occhio nudo. Racconti che parlano di collisioni di galassie, formazione di buchi neri, collassamento di stelle e formazione di pulsar (stelle di neutroni), corpi che ruotano su se stessi a una velocità inimmaginabile. Si può dire, come recita un libro di Margherita Hack che siamo di fronte all’“Universo violento della radioastronomia”. Ed è in questo universo violento e nei primi passi che portano alla conoscenza di questi misteri che troviamo le tracce che portano a San Basilio e all’equipe di D’Amico. Un’avventura scientifica. La radioastronomia nasce negli anni Trenta del secolo scorso. Allora i “Bell Laboratories” (dal nome di Alexander Bell, 1847.1922, noto anche per la disputa con Antonio Meucci, 1808-1889, sulla primogenitura temporale nell’invenzione del telefono) stavano cercando di sviluppare l’uso delle onde radio per scopi commerciali e telecomunicazioni. Incaricarono l’ingegnere Karl Jansky (1905-1950) di approfondire lo studio su alcuni disturbi presenti nelle comunicazioni radio intercontinentali. Jansky costruì un radiotelescopio funzionante a 20,5 MHz (che indica l’unità di misura per la vibrazione elettrica) con lo scopo di ricercare la sorgente causa di tale disturbo. Jansky trovò una periodicità giornaliera e imputò la causa delle interferenze al sole. Dopo alcuni mesi però Jansky notò che il periodo di tale disturbo era di 23 ore e 56 minuti. E questo fece ipotizzare che si trattasse di una perturbazione extrasolare. I disturbi sembravano coincidere con una regione posta nella costellazione del Sagittario dove giace il centro galattico della Via Lattea. Un altro importante passo avanti fu realizzato, anch’esso per caso, negli anni Sessanta: i “Bell Laboratories” incaricarono due fisici di ripristinare le comunicazioni video intercontinentali tramite satellite. I due (Arno Penzias e Robert Wilson ) trovarono un disturbo uniforme presente in tutto il cielo. Si ripeteva la storia di Jansky con una scoperta del tutto inattesa, che però non passò inosservata. Robert Dicke (1916-1997), uno dei più grandi cosmologi di quel tempo, si accorse che alcune ipotesi cosmologiche prevedevano un universo in espansione nato da una grande esplosione iniziale. E che quel “disturbo” poteva essere spiegato proprio come effetto dell’espansione cosmica. Da Jocelyn Bele a Nicolò D’Amico. All’inizio degli anni ‘60 il professor Antony Hewish (premio Nobel nel 1974) dell’università di Cambridge decise di costruire con il suo gruppo di studenti un radio telescopio operante alla frequenza di 81,5 Mhz. Il suo scopo era di studiare l’emissione delle galassie. Lo strumento divenne operativo nel 1967 e nello stesso anno fu completata la prima ricognizione del cielo. All’analisi dei tracciati radio in funzione del tempo un’assistente di Hewish, Jocelyn Bell, si accorse della presenza di una sorgente periodica. A una prima analisi, l’oggetto era piuttosto enigmatico (si pensò anche che potesse trattarsi del segnale di un’intelligenza extraterrestre) poi, grazie agli studi teorici precedentemente svolti, lo si associò a una stella di neutroni, e così vennero scoperte le pulsar, dette appunto “di neutroni” perché contengono venti volte più neutroni che protoni. Entità cosmiche particolari e di grande fascino, con una densità enorme e una velocità di rotazione di frazioni di secondo. Ed è qui che ritroviamo D’Amico. E non solo perché Jocelyn Bell è stata nell’ottobre 2010 ospite del gruppo di astronomi di Cagliari, per visitare il radiotelescopio di San Basilio, ma anche perché la prima doppia pulsar (ruotano una attorno all’altra) è stata individuata proprio da D’amico e dalla sua allieva Marta Burgay nel 2003. L’accordo di programma. Alcuni anni prima, nel 1999 venne firmato l’accordo di programma tra ministero della Ricerca, Regione e Cnr (che poi lascerà il testimone all’Agenzia spaziale italiana) per la realizzazione del radiotelescopio a San Basilio. La scelta del luogo nasce dal fatto che il Srt, assieme allo strumento astronomico di Noto (in Sicilia) e di Medicina (in Emilia Romagna) forma un ideale triangolo in grado di mettere in sinergia le tre strutture facendole funzionare come se fossero un’unica potentissima antenna. Un fatto possibile grazie a un fenomeno chiamato interferometria e che si basa sul principio di interferenza delle onde elettromagnetiche : permette di ottenere elevati poteri risolutivi combinando coerentemente le informazioni che provengono da più osservatori astronomici distanti fra loro, siano pochi metri o migliaia di chilometri. In pratica l’interferometria permette di superare i limiti imposti dalle difficoltà tecniche di realizzazione di radiotelescopi a grande apertura. Per contro, l’applicazione di tecniche interferometriche comporta una elaborazione matematica dei dati più pesante e laboriosa rispetto a quella necessaria per un singolo osservatorio. Un aspetto, quest’ultimo, che il Srt di San Basilio ovvierà anche grazie a un progetto informatico e telematico (promosso dal Crs4) che permetterà di ottenere un grande potenziamento del calcolo. Il montaggio del paraboloide. A fine maggio nel 2010 c’è stato uno dei passaggi più emozionanti sia perché momento simbolico nella realizzazione del Srt, sia per la complessità meccanica di tutta l’operazione: il posizionamento del “cestello” sopra il piedistallo centrale. In apparenza un’operazione facile, ma si tengono a mente le dimensioni del paboloide, 64 metri di diametro e 500 tonnellate di peso, la questione diventa più complicata. Tutto venne calcolato al millimetro e al secondo. Innanzi tutto per il tempo atmosferico e per l’orario: è stato scelto un giorno indicato come poco ventoso e le prime luci dell’alba in quanto Eolo è, in genere, più calmo. Per l’operazione sono occorse quindici persone specializzate e in grado di assistere il guidatore di una gigantesca gru fatta arrivare appositamente dall’Olanda. Il costo dell’operazione è stato di circa un milione di euro. Sono stati infatti necessari ben 48 viaggi con 50 tir pesanti e ingombranti, e centinaia di pattuglie ed elicotteri della polizia stradale per coordinare la logistica internazionale via terra e via mare per il trasporto della gru, poi montata sul posto. Questo mostro della tecnologia in grado di sollevare sino a 1.200 tonnellate, ne pesa tremila, è alto come un grattacielo di trenta piani e ha un braccio meccanico di 100 metri. “Il lavoro è stato fatto - spiega D’amico - nelle prime ore della mattinata proprio per evitare probabili alterazioni atmosferiche”. Poi tutto è andato a buon fine. I segreti del gigantesco orecchio. In ultimo sono stati montati (i lavoro terminato a metà dicembre) i 1.064 tasselli che costituiscono la fodera interna del gigantesco “cestello”. E anche questa operazione ha richiesto un’attenzione particolare: sarà infatti grazie a questi tasselli che il Srt diventerà (una volta entrato in funzione) uno dei radiotelescopi più innovativi. Il sistema permette alla parabola di mantenere sempre il suo assetto geometrico ottimale, correggendo le pur minime alterazioni che derivano sia dalla gravità, che dalle deformazioni termiche in apparenza impercettibili, ma significative per la ricezione delle alte frequenze. Il sofisticato sistema informatico, a cui si è accennato in precedenza, servirà anche a questo: intervenire in tempo reale per eliminare ogni minima alterazione. In pratica è come avere una radio con un suono limpido e non incrostato e gracchiante. La partita finale. “Per funzionare a regime - spiega D’amico - l’impianto di San Basilio ha bisogno di circa trenta persone tra astronomi, tecnici e informatici, ma attualmente abbiamo solo una decina di persone disponibili. Il blocco delle assunzioni pubbliche ha coinvolto anche noi. Inizialmente saremo quindi costretti a fare assunzioni a tempo e in numero minore. Con in più il problema che queste persone, una volta formate e cresciute scientificamente col radiotelescopio, dopo alcuni anni, dovranno andare via”. Un problema importante perché rischia di penalizzare anche gli effetti di ricaduta sull’isola. San Basilio entra nella top mondiale A Effelsberg in Germania funziona un radiotelescopio con una parabola di cento metri di diametro, ma l’interno del “cesto” è rigido e quindi meno perfetto di quello che sta sorgendo a Pranu Sanguni, a San Basilio (anche se questo ha un diametro di 64 metri). Un altro moderno strumento per osservare il cielo è stato realizzato in Virginia, a Green Bank, con un sistema di tasselli ma con una tecnologia meno aggiornata e considerata meno efficace. Di grande rilievo anche il radiotelescopio Parkes, costruito in Australia. Si tratta di un impianto che, sebbene, sia stato realizzato quarant’anni fa, venne ideato in modo tale da permettere continui aggiornamenti. L’equipe che fa capo a Nicolò D’Amico ha lavorato molto a Parkes ed è qui che nel 2003 venne individuata la doppia pulsar. ____________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Feb.’11 IRAN: UN VIRUS PUÒ FARE ESPLODERE BUSHEHR CyberWar Il sistema informatico dell'impianto nucleare sarebbe stato contagiato da Stuxnet: Teheran costretta a rinviare l'avvio del reattore Iran. L'allarme di Mosca blocca la centrale Il nucleare iraniano torna a far paura, anche perché potrebbe fu-lire fuori controllo. La settimana scorsa il capo dell'intelligence militare israeliana, il generale Aviv Kohav, aveva di nuovo indicato il potenziale offensivo della centrale atomica di Bushehr. Ma il pericolo potrebbe venire da altro. Lo stesso giorno, infatti, Sergey Kiriyenko, numero uno della commissione nazionale russa per l'energia atomica Rosatom, ha bloccato l'accensione del primo reattore della centrale iraniana: i sistemi informatici dell'impianto di Bushehr erano stati colpiti dal micidiale virus Stwmet e una bonifica imprecisa delle procedure utilizzate potrebbe aver lasciato pericolosi focolai di infezione tecnologica tali da non garantire l'assoluta sicurezza della centrale. Con una procedura irrituale, il giorno dopo Mosca ha chiesto alla Nato un'indagine su quanto accaduto quando il reattore iraniano di produzione sovietica è stato oggetto di un attacco informatico, incaricando il proprio ambasciatore presso la Nato di illustrare la pericolosità del venefico Stuxnet. Qualcuno parla di una possibile Chernobyl 2.0 e il mondo guarda con apprensione l'evoluzione del programma nucleare iraniano Il timore di un'esplosione devastante ha fatto rinviare l'avvio del reattore destinato a esser collegato alla rete di distribuzione il prossimo 9 aprile. E al tempo stesso apre una concitata discussione internazionale. Cyrus Safdari, analista iraniano indipendente, sottolinea che in realtà nessuno sa davvero chi abbia progettato Stuxnet e aggiunge che nessuno è in grado di dire quali effetti possa avere quel "malware" sugli im-pianti nucleari. Secondo Safdari non c'è reale riscontro né che il virus in questione sia stato predisposto da tecnici israeliani o statunitensi e nemmeno che il bersaglio fosse il programma nucleare di Teheran. Qualche esperto sottolinea che Stuxnet - capace di passare da un computer all'altro mediante una semplice chiavetta Usb - è arrivato a Bushehr per mano (pur inconsapevole) di qualche tecnico (russo) che ha avuto accesso fisico alle blindatissime strutture della centrale, ribadendo così che la strada percorsa dal virus può essere difficile da ricostruirsi. Ma chi vive la trincea della cyberwar riconosce che poco importa quale sia la fondatezza delle notizie che si susseguono, ma piuttosto il peso che l'informazione (attendibile o no) possa avere nello scenario politico ed economico dei nostri giorni. I missili possono anche esser fatti di parole, persino infondate. È il nuovo modo di combattere. ____________________________________________________ Corriere della Sera 5 Feb.’11 TASSE UNIVERSITARIE,LE FIAMME GIALLE INDAGANO SUGLI STUDENTI «EVASORI» IL CASO A NAPOLI: C'È GIÀ UNA LISTA DI NOMI La Guardia di Finanza intende scovare quanti hanno chiesto e ottenuto l’esenzione dal pagamento dei tributi La centrale operativa della Guardia di Finanza a napoli (Pressphoto) NAPOLI — Molti studenti della Federico II cominceranno a tremare. E non per un esame dall’esito incerto; quanto per un’indagine che la Guardia di Finanza ha avviato per scovare quanti hanno chiesto (e ottenuto) l’esenzione dal pagamento delle tasse universitarie. C’è chi ne ha beneficiato in maniera illegittima. «Perché ci sono studenti — afferma il generale Giuseppe Mango, comandante regionale delle Fiamme gialle — che o sono percettori di reddito in proprio, o provengono da famiglie che non possiamo definire indigenti». I finanzieri hanno già un buon numero di nomi sui quali si sono avviati, e più in profondità scenderanno, controlli incrociati per scovare frodi. Perché anche quella, magari in forma diversa, è evasione. Sottrae risorse ‘‘dovute’’ all’università; acqusisce per sé un diritto sul quale non si ha disponibilità. «Per questo — continua Mango — giovedì prossimo con il rettore della Federico II Massimo Marrelli — stipuleremo un’intesa per scovare i furbi». Finanza e Università alleate. L’iniziativa è emersa ieri durante il consuntivo delle attività svolte nel 2010. AUMENTA L'EVASIONE IN CAMPANIA - La relazione delle Fiamme gialle è stordente per la messe di dati che offre. E dai quali emerge un panorama del tessuto produttivo che sfocia nell’illegalità. E costringe Mango ad un commento amaro. «L’evasione in Campania è aumentata — afferma — e non è così automatico, visto che in tempi di crisi e con meno soldi che girano e minori trasferimenti si dovrebbe registrare una contrazione». Nelle maglie dei circa 5.000 finanzieri che operano in regione sono finiti tutti quei redditi non tassati alla fonte. Sono 2,6 i miliardi sottratti al fisco e ‘‘ritrovati’’; 554 milioni di Iva evasa e 60 milioni di Irap non versata; 718 gli evasori totali. L’identikit dell’evasore è presto fatto. «Non c’è solo il commerciante che non emette scontrino (il 64% in Campania, il 66 nella sola Napoli, ndr) — riflette Mango — ma anche medici, avvocati e imprenditori che non fatturano. Insomma, i colletti bianchi portano la bandiera dell’evasione». Ed ecco perché i lavoratori in nero scoperti l’anno scorso sono 1.651 e 426 gli irregolari (+45% rispetto al 2009), con il conseguente recupero di ritenute fiscali per circa 20,6 milioni di euro (+42% rispetto al 2009) e di contributi previdenziali ed assistenziali per oltre 3,7 milioni di euro. Spulciando fra i dati, c’è dell’altro. «Anche la corruzione è aumentata», allarma il generale (207 le persone denunciate). TRUFFE ALLA UE - I finanziamenti comunitari e nazionali percepiti indebitamente ammontano a 61,5 milioni; 350 milioni di euro di danni erariali sono stati denunciati alla Corte dei conti (106 i soggetti responsabili accertati), 17 i milioni sequestrati. Anche l’industria del falso è stata setacciata. Arrivando al sequestro di circa 10 milioni di articoli merceologici recanti marchi contraffatti o con false (bloccate disponibilità per 7,5 milioni di euro, alle quali si aggiungono 144 opifici ed immobili, nonché 25 mila tra macchinari ed attrezzature industriali). Patrizio Mannu ____________________________________________________ L’Espresso 10 Feb.’11 IL MIO CERVELLO LO LASCIO ALL'ESTERO DI ELENA BONANNI Nonostante la Gelmini, il merito non viene premiato e la ricerca non viene valorizzata. Dopo l'analisi di Luigi Zingales, parlano i professori in fuga. Che spiegano perché non torneranno Vorrei tornare, poi guardo e mi viene la depressione. La riforma Gelmini mi dà qualche speranza in più. Ma qui l'ambiente è più brillante perché i ricercatori bravi sono concentrati in pochi centri e mi diverto a fare il mio lavoro». Matteo Barigozai ha 35 anni. Milanese, ha fatto sette traslochi tra l'Europa e gli Usa. Ora è a Londra: un contratto tre più tre da ricercatore e assistente professore nel dipartimento di Statistica alla London School of Economics. Un cervello in fuga. O meglio, in movimento. Perché i cervelli si muovono per natura; il problema è quando dall'Italia vanno via e basta. Servirà la riforma a fermarne la fuga? Per l'economista Luigi Zingales ("L'espresso", n. 5) fa enormi passi in avanti nel contesto della realtà italiana»: entro un certo numera di anni i ricercatori devono o essere promossi o licenziati (il meccanismo chiamato "up or out"); viene introdotta una differenziazione di stipendio basata sul merito; viene migliorata la governance (limite di mandato al rettore, distinzione tra responsabilità didattiche e amministrative). "L'espresso" ha chiesto ad alcuni ricercatori e professori italiani da anni all'estero cosa ne pensano della riforma e se rientrerebbero in Italia: è un buon segnale, hanno risposto, ma per ora non torneranno. Troppe ancora le criticità del sistema. Leggi: difficoltà di fare carriera, stipendi . più bassi e ingerenza della politica. «Gli spunti della Gelmini di ispirazione anglosassone», dice Alessandro Olivi, 57enne professore e vicepresidente del dipartimento di Neurochirurgia alla Johns Hopkins University di Baltimora, potrebbero trovare difficile applicazione se inseriti nella cultura italiana: io sono andato via da un ambiente che non coltivava i giovani e chi aveva voglia di produrre e dove non c'era sincronia tra la carriera e l'età biologica, Gianluca Manzo ha 32 anni, è ricercatore al Cnrs a Parigi e docente alla Sorbona e ha già rifiutato nei 2009 un posto in ItaGa come professore associato. Ricorda positivamente l'esperienza di insegnamento in Italia, ma precisa: «Entrai al Cnrs quando avevo ? 9 anni: in Italia, sarebbe impossibile occupare una posizione permanente così giovane. Andiamo a Londra. «Sapevo che non sarei stata neanche presa in considerazione per i concorsi da ricercatore. Semplicemente perché ero giovane. In Italia chi ha aspettato più a lungo ha più diritto di entrare», racconta Serena Ferente, 31 crine medievista al King c College di Londra che ha lasciato l'Italia tic[ 2006. Poi c'è il salto ad ostacoli tra parenti e allievi prediletti. La riforma Gelmini cerca di correre ai ripari: non potranno partecipare ai procedimenti per la chiamata a professore di ruolo e associato coloro che hanno un grado di parentela o affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore dell'ateneo (o rettore, o direttore generale o componente del cda). «È positiva perché diminuisce la capacità di piazzare regolarmente la propria progenie, ma non è a prova di bomba: il figlio di un professore a Roma potrà sempre essere assunto da un altro professore a Firenze», dice Enrico Benedetti, partito nel 1989 da Firenze, l'inglese parlato a fatica («Venivo da una famiglia di insegnanti e non avevo familiari autorevoli nel campo, all'epoca non avevo chance»). In 16 anni è diventato capo dipartimento di Chirurgia dell'Università dell'Illinois a Chicago. C'è poi la novità dell'abilitazione nazionale per accedere alla cattedra: un primo alt a chi non ha nemmeno i requisiti minimi. •< Ma rimane il problema che il posto è bandito dallo stesso ateneo che deve beneficiarne e che giudica chi deve averlo», dice dalla Francia Manzo. II risultato? La carriera in Italia rimane un grosso punto di domanda. «Mi piacerebbe molto tornare in Italia, ma la riforma non lo permette ancora e, osserva anche Salvatore De Vincenzo, 38 enne archeologo napoletano trapiantato da diversi anni in Germania: «II sistema rimane troppo incerto. Non me la sento di abbandonare una carriera meritocratica più sicura e perdere i contatti con le istituzioni che mi stanno appoggiando». In Germania, oltre alle norme anti-parenti, non è possibile partecipare a un concorso bandito dalla stessa università in cui si lavora già. li che significa: allievi prediletti fuori gioco e vinca il migliore. Il segreto è tutto qui: vogliono fortemente i migliori perché parte delle risorse ai dipartimenti dipende dalia qualità nella ricerca. In questo senso la riforma Gelmini innalza i finanziamenti distribuiti in base alla produttività. Ma è sui criteri di valutazione che rimangono le perplessità. «In Italia», dice Ferente da Londra, «la valutazione riguarda ('intero ateneo invece che il singolo dipartimento. E vengono presi in considerazione elementi anche non strettamente connessi alla qualità della ricerca><. Per Zingales, però, lo sforzo per premiare il merito nella riforma non manca: il meccanismo "up or out" impone che i ricercatori bravi vengano assunti, mentre gli altri licenziati. Eppure per alcuni le trappole sono dietro l'angolo: a fronte di posizioni a tempo determinato non viene creata la garanzia che ci saranno posti per i migliori. «Negli Usa», ribatte a Zingales un lettore sul sito de "L’espresso", «I'università stabilisce quali obiettivi il ricercatore deve raggiungere per la promozione a professore, e se li raggiunge è vincolata a promuoverlo». Non così in Italia. Anzi, il timore di molti è che poi manchino i fondi per assorbire il personale più preparato. Per Michele Boldrin, a capo del dipartimento di Economia della Washington University a Saint Louis, «il problema è che la riforma è fortemente incompleta». Due le cose fondamentali che mancano: ogni università deve essere indi pendente, la formula è una fondazione con un board che si auto- amministra; bisogna togliere valore legale al titolo di studio e cambiare lo stato giuridico dei professori: non dipendenti pubblici ma dell'università per cui lavorano. Questo permetterebbe di eliminare gli scatti di anzianità che ora ingessano l'intera carriera a prescindere dalla produttività. Io, da direttore di dipartimento, ad alcuni colleghi che non lavorano lo stipendio lo taglio». Negli Usa e altrove gli stipendi sono mediamente superiori a quelli italiani. La riforma ha comunque il merito dì introdurre una differenziazione di retribuzione basata sul merito e non sull'anzianità. Ma agirà solo sugli aumenti di stipendio e quindi avrà effetti limitati. E così, per i giovani, il problema dell'arrivare a fine mese non si risolverà rapidamente: «Uno stipendio da ricercatore in Italia sarebbe la metà», riprende Ferente da Londra: «Noti vivo come una nababba, Londra è cara, ma ho una sicurezza e posso farmi un mutuo e comprare casa». Per un giovane ricercatore all'estero lo stipendio medio si aggira intorno ai 2.400 curo. ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 «LA MIA SFIDA A NEW YORK NEL TEMPIO DELLA RICERCA VOGLIO VINCERE LE LEUCEMIE» ROMA — Mamma Gina adesso si commuove al telefono quando ripensa alla prima elementare della sua primogenita Luisa. «Scrisse un pensierino che vollero leggere in tutta la scuola: "Da grande aprirò una farmacia che si chiamerà l’Isola della guarigione della dottoressa Luisa Luciani"» . Lei, che non sta a casa con la mamma a guardare la tv, ma a lavorare in laboratorio anche se è sabato pomeriggio, scoppia a ridere: «Davvero ha detto questo? Beh sì, mi sono sempre sentita un po’ Madre Teresa» dice con quel pizzico di autoironia che fa di una ragazza intelligente e preparata una persona matura. Tra poco più di un mese, il 10 marzo, partirà per New York, dove ha vinto un post dottorato al Cancer center del Memorial Sloan Kettering, il più antico e famoso centro privato del mondo, che si occupa di prevenzione, cura e ricerca sul cancro. Insegue un sogno: scoprire come sconfiggere una volta per tutte la leucemia. Luisa Luciani ha 29 anni, è la prima di tre figli (Federica lavora in banca e Riccardo sta per laurearsi in Ingegneria civile) ed è nata in un piccolo paese della provincia di Pescara, una frazioncina dove si festeggia la Madonna nera di Loreto, Castellana di Pianella. Il papà Alfredo aveva una piccola impresa edile, ora è in pensione. La mamma è sempre stata a casa a badare ai figli. «Tutti e tre— dice mamma Gina — sono sempre stati portati per lo studio» . Soprattutto Luisa, che ha appena terminato i suoi quattro anni di dottorato internazionale nell’unica sede italiana dell’European molecular biology laboratory, l’Embl. E che ora si appresta a trasferirsi dall’altra parte del mondo per non smettere di sognare. «Fuori dall’Italia ci sono un sacco di opportunità — spiega lei con quel suo piglio pratico che la mamma le riconosce fin dall’infanzia —. In Italia c’è troppa burocrazia e ci sono troppi favoritismi. Sono rari gli istituti che dispongono di risorse economiche adeguate. Non puoi fare ricerca come vuoi, seguire i tuoi esperimenti in libertà, non sai se dopo qualche mese finiranno i soldi e non potrai continuare ad occuparti del tuo progetto» . Così Luisa, diploma con il massimo dei voti allo scientifico Galilei di Pescara, poi laurea in Biotecnologie farmaceutiche con il 110 e lode a Bologna con una tesi sull’Alzheimer, quindi dieci mesi di borsa di studio in Scozia all’Università di Dundee, ha semplicemente mandato una mail. La signora Gina dice che «sa parlare l’inglese meglio dell’italiano» . «Ho scritto al capo con cui lavorerò, gli ho detto che volevo fare un post dottorato nel suo laboratorio. Lui mi ha risposto di farci una chiacchierata al telefono. Abbiamo parlato per un’ora. Poi ha voluto tre lettere di referenze. Quindi mi ha invitata a New York per un colloquio. Ci sono andata a settembre» . Il lavoro, alla fine, Luisa l’ha ottenuto. E lei, la giovane abruzzese di provincia che ha scalato una montagna, è felice. «Lì fanno ricerca ad altissimo livello. Penso di rimanere a New York per tre, quattro anni, certo dipenderà anche dalle pubblicazioni che farò, devo darmi da fare» . Non le spiace che la sua vita sia così piena di lavoro. «Per me lavoro è passione, ma questo non significa che non mi diverta e che non abbia amici. Quando stavo all’Università a Bologna, andavo a ballare, uscivo nel weekend con le amiche. Adesso vado a cena, a teatro, ai concerti» . Una ragazza normale, insomma, come ce ne sono moltissime in Italia, tutte quelle di cui non si legge tanto spesso sui giornali. «Non ho un fidanzato — continua Luisa —. Ma è solo perché non ho trovato la persona giusta, non ancora. Io voglio sposarmi, voglio avere dei bambini e, chissà, forse un giorno tornerò in Italia. Ma solo se potrò lavorare con la stessa efficienza con cui si lavora all’estero. Non mi interessa avere la cattedra di professore se poi non ho i soldi per la mia ricerca» . Mariolina Iossa ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 Feb.’11 IO, LE PIANTE PREISTORICHE E LA NATURA DI CERA: SUSINI E LE PIANTE Cagliari. La Wollemia nobilis, ritenuta estinta fino al '94, all'Orto botanico Due storie intrecciate. Una pianta preistorica, la Wollemia Nobilis, ritenuta estinta da qualche milione di anni, ricomparsa in Australia nel '94 e oggi in fiore nell'Orto botanico di Cagliari. E una biologa speciale - Cristina Delunas, 40 anni, nuorese trapiantata a Quartu - che, oltre a curare il piccolo museo, è una delle due specialiste ancora in attività in Italia per quanto riguarda la ceroplastica (l'arte di ricostruire esemplari in cera secondo criteri scientifici). Potrebbero finire nelle sue mani le cere botaniche di Susini da restaurare. «Io e le piante preistoriche»Cristina Delunas, la natura mozzafiato è di ceraSabato 05 febbraio 2011 Vedi le altre foto di LORENZO PAOLINI Tutto merito (colpa?) di un'intervista. Pasquale Mistretta, allora rettore dell'Università di Cagliari, sull'Unione Sarda si disperava per la fuga dei cervelli all'estero. Siamo nel 2003: la giovane naturalista aveva nelle mani un contratto a tempo con un museo di Londra. È in partenza ma viene assalita dal furore. Butta giù una lettera pepatina al magnifico spiegando che fa parte dell'esercito di emigranti di lusso per assenza di alternative. Non produrrà nulla, si ripete, ma almeno si è tolta la soddisfazione di non sentirsi compianta a costo zero. Sorpresa: Mistretta alza il telefono e fa convocare Cristina Delunas, nuorese trapiantata a Quartu. Scopre che è un'artista prestata alle Scienze naturali in cui si è laureata, seguendo una passione divorante. Le prospetta un periodo da cococo ma le giura che, per gli impavidi, c'è luce alla fine del tunnel. Per farla breve: oggi, a 40 anni, è la curatrice del minuscolo museo verde di viale Sant'Ignazio collegato - insieme all'Orto - al dipartimento di Scienze botaniche (diretto da Mauro Ballero). Una che si emoziona parlando della preistorica Wollemia nobilis e poi realizza con la cera un modello di Euphorbia da mozzare il fiato, tutto compreso, perfino la mosca impollinatrice. Una delle due ceroplaste italiane in servizio, una categoria semiestinta di scienziati-artisti che ricostruiscono modelli («scientifici, con tutto ciò che significa») in cera dal vivo. Parente stretta di quel Clemente Susini i cui pezzi fiorentini (le cere botaniche, sorelle di quelle anatomiche cagliaritane) potrebbero finire nelle sue mani per un restauro. «Vedremo, l'Università di Cagliari per adesso ha messo a disposizione le sue competenze. Deciderà l'Opificio delle pietre dure, l'istituzione di questo genere più importante d'Italia». LA NONNA SUPERSTAR Resiste al freddo e al caldo, zero gradi o quaranta, e regala sorprese con un'altezza media di quaranta metri. All'Orto botanico di Cagliari è arrivata tre anni fa, dopo che tutte le istituzioni gemelle di mezzo mondo (Kew Gardens di Londra in testa) si erano contese i primi esemplari. Quando i botanici cagliaritani si sono accorti che aveva già fiorito, hanno gridato al miracolo. Se le loro informazioni sono corrette, è il primo esemplare in Europa in piena terra ad aver regalato i fiori. Che, beninteso, non sono tutti petali colorati e stami. La Wollemia nobilis ha dei piccoli coni ruvidi. Niente di speciale per un profano: pigne verdi al cui interno maturano semi preziosi. Gli esperti concordano sul fatto che sia un prodigio. Ragione semplice: è una sorta di zombi delle conifere, un morto vivente. Fino al 1994 era conosciuta solo in forma di fossile, il più antico aveva oltre 90 milioni di anni. Questo finché un guardiaparco, tal David Noble, non ne scovò un boschetto in un canyon remotissimo del già lontano Wollemi park australiano, più o meno duecento chilometri da Sidney. Studi, verifiche, mistero. Basta dire che a tutt'oggi gli scienziati ammessi (è prevista una cernita severa) sotto l'ombra preistorica, arrivano bendati e in elicottero perché non possano poi ritrovare le piante del mistero. «Per rendere l'idea, è come se gli zoologi oggi ritrovassero un dinosauro vivo e vegeto a passeggio con alcuni amichetti. L'importanza scientifica sarebbe identica, un essere vivente che tu avevi finora solo ipotizzato. Peccato che il riscontro sui media sia diverso». Anche perché la Wollemia non ruggisce. E anzi, sotto una pioggia battente e con qualche foglia ingiallita, ha perfino un'aria sfigatella. Preistoria in disarmo. PARADISO IN CITTÀ Ha conservato come feticcio la sedietta che ha utilizzato per anni da collaboratrice. Scarpe da mezza maratona («corro al Poetto tutti i giorni, ultima prova la Roma-Ostia»), Cristina Delunas ha scarpinato nell'ombra per anni, studiando con passione l'Orto botanico di Cagliari in cui non le sembrava vero di poter lavorare. Trema ancora di gioia sotto la Metasequoia Glyptostroboides : anche questa era considerata una pianta scomparsa da qualche milione di anni. Poi, negli anni Quaranta, una spedizione in sconosciute province cinesi lungo il fiume Giallo, aveva svelato una foresta nascosta. Da allora gli alberi sono protetti, si sono riprodotti, e i rischi di estinzione sono lontani. Propone una sosta di riflessione sotto la chioma dell'Argania spinosa, dai cui noccioli i marocchini ricavano olio di Argan (cosmetico e alimentare): «È l'unico esemplare in Europa acclimatato in piena terra». L'osceno groviglio di radici aeree del Ficus magnolioides le suggerisce invece un pensiero per Eva Mameli Calvino, sassarese, madre dello scrittore Italo, che si occupò - da direttrice cagliaritana - di far arrivare nelle aiuole a due passi dall'anfiteatro le piante tropicali più preziose. «Consultando gli archivi degli ordini, si scopre praticamente la storia della città». IL BUSINESS VERDE Nelle discussioni degli appassionati di piante e giardinaggio, il nome della Wollemia suscita discussioni al calor bianco. La scoperta non si discute, il marketing neppure. Sarà che la scienza costa. Fattostà che la prima uscita pubblica della conifera è iniziata con una vendita da Sotheby's nell'ottobre del 2005. Gli esemplari della pianta preistorica riprodotti per talea sono andati via come il pane, il più costoso a 150 mila dollari. Dopodiché alcune società hanno preso in carico la vendita nel mondo. Si parla di investimenti colossali, di studi ipersofisticati su tecniche di produzione che non contemplano i semi. La pubblicità ha funzionato egregiamente, puntando sull'esclusività e la specialità. Se ne producono pochissimi esemplari l'anno. In Italia la baby edition (si chiama davvero così), la piccolissima di casa insomma, costa 99 euro. Ma basta puntare sulla versione media e si arriva agevolmente a 350 euro. Si ordinano tutte via internet e arrivano nella loro confezione regalo, con corredo di certificato d'autenticità e dvd e consigli utili per farla crescere. In condizioni ottimali l'albero viene su a trenta centimetri l'anno. Per inciso: l'Università di Cagliari ne aveva comprato tre, ma due sono tornate rapidamente nel paradiso delle piante estinte. MANI DI FATA I foglietti di cera sono apparentemente rigidi. Decine, di ogni colore. Sono i pigmenti minerali a regalare sfumature: «È l'unica cosa su cui puoi contare, questi modelli sono fatti per durare». Un pentolino a bagnomaria (quello per la cioccolata è perfetto), una torcia sempre accesa. Non è richiesto nient'altro se non scienza, talento e una superdose di calma. La ceroplastica non è un'arte che va per la maggiore. Anzi. Può capitare di dover realizzare il Punteruolo rosso delle palme (l'insetto più temuto dell'anno, si sta mangiando di gusto tutte le piante del Mediterraneo). In questo caso bisogna recuperarne un bell'esemplare, metterlo in condizione di nuocere e poi scattargli una fotografia con gli occhi della mente. Non c'è trucco né inganno: un pezzetto di cera dopo l'altro, l'animale vedrà la luce. Dieci giorni, più o meno. L'ultima creatura è il Tarlo asiatico, pericolosissimo,approdato da qualche anno nel Nord Italia. Dimensioni, proporzioni, dettagli. Tutto al millimetro. Ma anche piante, funghi di tutte le specie, prati di ovuli che sembrano perfetti per un'insalata. «La mia laurea di Scienze naturali, con la passione per gli insetti e tesi in Entomologia, si fonde con gli studi artistici». Certo non le si può rimproverare mancanza di duttilità. In attesa di approdare dove sognava, ha fatto di tutto: Biennali di scultura (a Ravenna), lavori con bronzo e ferro, artigianato orafo. Ma il sogno era e restava la cera. «Purtroppo questo lavoro si è estinto agli inizi del Novecento e nessuno ha lasciato scritti, manuali». Anche la miscela va inventata ogni volta, un po' cera d'api, un po' colofonia (una resina vegetale), un po' carnauba (si estrae da un tipo di palma). Susini usava lo spermaceti (estratto da capodogli e balene) ma oggi sarebbe politicamente scorrettissimo. Dosi variabili, tipo pozione da strega, alla ricerca della durezza perfetta. Del colore più vero. Del dettaglio fotografico. Bisturi e fiamma, nient'altro. Per metter su il museo (aperto due anni fa senza alcun clamore ma ricco di pezzi importanti, come un erbario storico e alcuni strumenti d'epoca) ha fatto ricorso anche a legno e cartapesta. Maxi-fiori, enormi pistilli. Non sono i suoi pezzi prediletti ma ce n'era bisogno in vista delle visite dei ragazzi delle scuole. Per far ottenere all'Università l'onore di ristrutturare le cere storiche di Firenze, ha appena finito una pianta grassa delle Canarie più vera del vero. Con l'insetto impollinatore in testa. E forse, a stare in silenzio, in sottofondo si sente un leggero ronzìo. UN'ATMOSFERA Sulla stessa pagina web in cui si vende la Wollemia (tutte le carte di credito sono ben accette), si può comprare l'indispensabile per costruire il contesto. Il pezzo forte è il modello di velociraptor, temibile carnivoro, 60 chili di peso per 3,10 di lunghezza e 1,75 di altezza. Consegna in tutta Italia, Sardegna compresa. Costa 1720 euro, conifera a parte. Pianta preistorica più dinosauro. Sarà un po' kitsch ma una battuta su Jurassic Park non si nega a nessuno. paolini@unionesarda.it ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 2 Feb.’11 IL CONTO SALATO DEL SOLARE BOLLETTE PIÙ CARE DEL 10% Energia Le responsabilità del governo e il ruolo del presidente designato dell' Autorità Una tassa di fatto che vale 88 miliardi in vent' anni La fiscalità Bortoni: gli oneri per le rinnovabili sulla fiscalità generale? Condivisibile ma irrealizzabile di questi tempi I satelliti dell' Agenzia spaziale italiana controlleranno dall' alto dei cieli i campi fotovoltaici disseminati lungo la penisola. Glielo ha chiesto il Gestore del servizio elettrico che non può monitorare le oltre 200 mila installazioni per produrre energia elettrica dal sole e perciò titolari di ricchissimi incentivi di Stato. Una manna per i proprietari, un onere di 88 miliardi di euro per la bolletta degli italiani nei prossimi vent' anni: una tassa di fatto, superiore al 10% della bolletta elettrica nazionale e tuttavia non dichiarata dal governo che promette nucleare e meno tasse per tutti. L' ufficio del Gestore, guidato da Nando Pasquali, ha non più di una settantina di squadre di ispettori: troppo poco per verifiche a tappeto, ma abbastanza per constatare come, nel primo campione, almeno un terzo degli impianti fotovoltaici autocertificati realizzati (per accedere agli aiuti in scadenza al 31 dicembre scorso) fosse in realtà tutto da finire. Tra illeciti penali e sprechi del denaro dei consumatori, la green economy in salsa di pomodoro sta minando la credibilità sia della via d' uscita ambientalista dalla recessione che la delega della produzione al capitalismo diffuso al di fuori di qualsiasi piano energetico nazionale. A rendere gigantesca la speculazione è stato soprattutto il governo di Silvio Berlusconi che, da ministro dello Sviluppo economico a interim, vi ha anche personalmente contribuito accogliendo nel decreto dell' agosto 2010 l' impostazione del capo dipartimento energia, Guido Bortoni, che aveva recepito la linea delle lobby del fotovoltaico e che, da presidente designato dall' Autorità per l' energia, nell' audizione di ieri alla Camera si pone il problema di come diminuire l' iniquità del prelievo sui consumatori a favore delle rinnovabili senza peraltro indicare soluzioni. Ma andiamo con ordine. Gli incentivi al fotovoltaico vengono istituti dal governo Prodi il 19 febbraio 2007, su proposta del ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani. Si tratta, in media, di 435 euro per megawattora (Mwh). L' incentivo, posto a carico della componente A3 della bolletta elettrica, viene limitato a una capacità produttiva massima di 1200 MW destinata a generare 1,5 milioni di Mwh l' anno entro il 2010. A regime, l' onere per i consumatori sarebbe stato di 652,5 milioni di euro l' anno per 20 anni, in totale 13 miliardi nell' intero periodo. Una cifra assai rilevante, giustificata con la necessità di introdurre l' Italia in un settore produttivo nel quale era rimasta indietro rispetto, per esempio, alla Germania. Con il ritorno di Berlusconi a palazzo Chigi, il nuovo ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, svuota i limiti posti da Bersani, che prevedeva ulteriori installazioni incentivate per 18 mesi una volta raggiunti i 1200 Mw, ma senza garanzie sull' entità del premio. Ad agosto, nel decreto che riformula la materia, il premier-ministro non corregge Scajola, ormai ritiratosi dopo le rivelazioni sui suoi rapporti con la Cricca, e opera una modesta riduzione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici che il progresso tecnologico rende meno costosi. Secondo il Gestore del servizio elettrico, la riduzione lascia gli incentivi a un livello comunque più che doppio rispetto a quelli tedeschi. Un successivo codicillo, inserito nel decreto «salva Alcoa» (dal nome dello stabilimento sardo di alluminio che rischiava la chiusura), estende il vecchio incentivo di 435 euro agli impianti installati al 31 dicembre 2010 ma non ancora allacciati alla rete elettrica nazionale. L' avvenuta installazione è autocertificata e le false dichiarazioni abbondano. Il conto è salato: da 1200 Mw si sale a 7 mila con un peso nella bolletta che balza da 0,6 a 3,8 miliardi l' anno. Con i 1500 altri Mw che verranno installati nel 2011 con incentivo ridotto (ma di poco), l' onere per i consumatori sale a circa 4,4 miliardi l' anno, ben oltre il 10% dell' intera spesa elettrica nazionale. Nei vent' anni di durata dell' incentivo arriveremo gli 88 miliardi indicati all' inizio. Gli obiettivi di sviluppo del fotovoltaico in relazione al taglio delle emissioni di anidride carbonica dettato dal Protocollo di Kyoto, l' Italia avrebbe dovuto avere 8 mila Mw di fotovoltaico operativi nel 2020. Ci arriva con 9 anni di anticipo per assicurare a chi ha vinto la lotteria una rendita ventennale a spese di tutti gli altri cittadini su impianti che tra poco saranno superati. Massimo Mucchetti Mucchetti Massimo ____________________________________________________ Il Corriere della Sera 4 Feb.’11 IL FUTURO DELL'ENERGIA NON È SOLO PETROLIO MA ANCHE LE RINNOVABILI Caro Direttore è positivo che il Corriere della Sera con l'articolo di Massimo Mucchetti del 2 febbraio abbia deciso di «aprire una finestra», sulle fonti rinnovabili e sulla loro disciplina. Il rischio di questo dibattito, legittimo e opportuno nel segnalare abusi e truffe innescati dagli incentivi, è che sotto accusa finiscano non il malaffare ma le rinnovabili tout court. Per questo credo che il discorso sull'energia pulita meriti un approfondimento. Oggi le rinnovabili sono la frontiera della green economy. Le economie emergenti, come Cina e India, che hanno maggiore bisogno di elettricità, e le grandi economie sviluppate stanno sostenendo lo sviluppo e la diffusione delle rinnovabili con misure incentivanti e con investimenti massicci: 525 miliardi di dollari tra il zoo8 e il 2010, con una crescita del 3o% nell'ultimo anno, nonostante la crisi economica. E' tuttavia certamente vero che, se ci si affida a considerazioni puramente economiche, le fonti rinnovabili comportano un costo maggiore delle fonti convenzionali. Ma il valore strategico delle fonti rinnovabili è legato alla sicurezza energetica, e alla diversificazione delle fonti per non essere totalmente dipendenti dalle importazioni di carbone, petrolio e gas. Dal punto di vista economico, va poi rilevato che la diffusione delle fonti rinnovabili nell'ultimo quinquennio ha determinato economie di scala con una riduzione dei costi fino a 5 volte, mentre il valore degli incentivi di supporto alle fonti rinnovabili, come rilevato recentemente dall'Agenzia Internazionale dell'Energia, è inferiore alle misure di supporto all'uso dei combustibili fossili tradizionali. Inoltre la crescita rapida delle fonti rinnovabili si accompagna allo sviluppo di nuove imprese che competono nel mercato mondiale dell'energia con tecnologie innovative impensabili fino a qualche anno fa. Parlare di rinnovabili quindi non significa discutere del mascalzone che pianta le pale, magari deturpando un paesaggio suggestivo, e non le collega alla rete cercando di lucrare sull'incentivo, significa parlare dell'energia che muoverà il mondo (e quindi l'economia e quindi il lavoro) di domani. I dati del World Energy Outlook 2010 dell'Agenzia Internazionale dell'Energia stimano gli investimenti nel settore nei prossimi 25 anni in 5700 miliardi di dollari. In Italia l'economia legale (non quella truffaldina) legata alle rinnovabili è in straordinaria espansione certamente anche grazie agli incentivi pagati nella bolletta dai cittadini e che sono stati rivisti recentemente al ribasso. Lo stesso ha fatto ad esempio la Germania che nel 2009 ha prodotto oltre il lo% dei consumi finali di energia da rinnovabili e punta a sfiorare il 20 nel 2010. Investendo in questo comparto circa 20 miliardi di euro. L'Italia ha l'obiettivo del 17% di energia prodotta da rinnovabili nel 2020, fissato dall'Unione Europea. Oggi siamo all'8% (nel 2005 era il 5%) con un trend di crescita positivo che rende raggiungibile l'obiettivo Ue anche se ci sarà molto da lavorare ma anche molta occupazione da creare, ioo mila nuovi posti di lavoro secondo una stima del Cnel. Quella delle rinnovabili è una sfida ambientale globale, una sfida economica per il futuro della nostro Paese, oltre che una esigenza dí sicurezza energetica nazionale che l'Italia sta affrontando anche col ritorno al nucleare. Gli incentivi in prospettiva sono destinati inevitabilmente ad un calo (per la riduzione dei costi e l'avvento di nuove tecnologie) e ad una diversificazione sulla base delle caratteristiche fonti rinnovabili (sole e vento sono gratis, le biomasse ad esempio hanno un costo). Ma l'Italia ha un posizione geografica favorevole, soprattutto per il solare, un bisogno forte di autonomia energetica, e un ambiente prezioso da tutelare. Quindi facciamo tesoro dei rilievi di Mucchetti, ma non mettiamo in discussione il futuro che in parte, una parte non piccola, è delle rinnovabili. Stefania Prestigiacomo ministro dell'Ambiente ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 SOLARE, DIETRO LE TRUFFE C’È UNA LEGGE CATTIVA Con una lettera al Corriere, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, ha promesso che fermerà le truffe sul fotovoltaico, che chi scrive aveva denunciato con un articolo sull’incredibile corsa agli incentivi miliardari del governo. Stefania Prestigiacomo, sua collega all’Ambiente, ha poi messo in guardia dal rischio che il dibattito sugli abusi finisca per mettere sotto accusa le fonti energetiche rinnovabili tout court. Impegni giusti, avvertimenti condivisibili. Ma l’arte del governo dovrebbe esercitarsi su altri due punti: a) perché tante truffe; b) come diminuire l’impatto del fotovoltaico sulla bolletta che abbiamo stimato superiore al 10%senza essere smentiti. Proviamo a rispondere noi. Punto primo: le truffe dilagano quando le procedure fanno acqua e si regalano i soldi. Se si lascia mano libera a regioni e comuni senza un piano; se si consente il commercio delle autorizzazioni senza vincoli fideiussori; se anche l’opposizione propone norme, deroghe e proroghe che invitano al Far West, chiamandolo liberalizzazione, allora si mobilita l’orda dei furbetti. Specialmente se gli incentivi sono così alti, più del doppio di quelli tedeschi, che consentono di farsi finanziare dalle banche quasi per intero l’investimento perché il ritorno è sicuro per tutti. Dov’è finito il rischio d’impresa per i capitalisti senza capitale del fotovoltaico? Forse c’è un decreto da rivedere, ponendo attenzione alla filiera industriale dell’impiantistica se siamo ancora in tempo. Punto secondo: in attesa del nucleare (ne parleremo un’altra volta), c’è da ridurre l’extra costo delle rinnovabili rimodulandone i tempi d’installazione e tagliando davvero gli incentivi così da evitare di finanziare per 20 anni con i soldi dei consumatori impianti presto obsoleti. Il protocollo di Kyoto ci dà come termine il 2020. Che senso ha anticipare al 2011? È straordinario il silenzio bipartisan su questa materia, interrotto soltanto dal lamento delle lobby che ci accusano di essere sostenitori dei poteri forti legati al gas. Il fatto è che denunciare le pur legittime speculazioni finanziarie legate agli incentivi, oltre alle illegittime truffe, è segno d’amore verso le rinnovabili e un atto d’accusa verso chi ci marcia e chi fa marciare. Quanto al gas, questa rubrica ha più volte appoggiato l’Autorità dell’Energia, presieduta ormai ancora per pochi giorni da Alessandro Ortis, quando chiede nuovi stoccaggi, nuovi tubi, altri rigassificatori e consiglia di affidarli a una Snam Rete Gas non più controllata dall’Eni, che ha rallentato gli investimenti in infrastrutture per raffreddare il mercato e tenere alto il prezzo del metano. Un minore prezzo del gas, già oggi possibile grazie alle nuove produzioni non convenzionali in Usa e, domani, in Cina, aiuterebbe a produrre energia meno cara con le centrali già in funzione. Ma il governo ha piegato la testa di fronte all’Eni in barba alle chiacchiere sulla «frustata liberalizzatrice dell’economia» . E con la collaborazione del Pd ha varato una nuova Autorità dove solo 2 membri su 5 sanno di energia e tutti hanno già smentito i predecessori raccogliendo il pronto applauso del monopolista. mmucchetti@corriere. it ========================================================= ____________________________________________________ Roma 4 Feb.’11 MEDICINA: TEST IN ROMANIA? VALIDO IN ITALIA! UNIVERSITÀ, NIENTE BARRIERE AI TEST IL TAR DÀ RAGIONE A UNO STUDENTE "EMIGRATO" DALLA ROMANIA NAPOLI. Per gli aspiranti all'iscrizione del corso di laurea in Medicina o in Odontoiatria una buona notizia. Molti giovani, come è noto, non riescono a superare i test d'ingresso al Corso di laurea in Medicina o in Odonotoiatria. Ora esiste un'alternativa. Infatti, un giovane di Caserta, non avendo superato i test d'ingresso in Italia, ha effettuato tale test in Romania, Paese appartenente alla Comunità Europea. Dopo aver superato i test ed essere stato ammesso al Corso di laurea in Medicina, ha concluso il primo anno di corso e ha chiesto di proseguire gli studi in Italia presentando la domanda di trasferimento all'Università degli Studi dell'Aquila. L'Università ha rigettato tale richiesta. Il giovane, non si è arreso e tramite il patrocinio dell'avvocato amministrativista di Caserta, Pasquale Marotta (nella foto) ha presentato ricorso al Tar dell'Abruzzo, sede dell'Aquila. L'avvocato Marotta, richiamando, a sostegno della tesi difensiva del proprio assistito, principi affermatisi in ambito comunitario, ha sostenuto che il diritto al trasferimento ad altra Università è un diritto che va riconosciuto sempre a prescindere dalla disponibilità dei posti programmati dal Ministero e dalle Università. La tesi innovativa del legale casertano è stata ritenuta valida dal Tribunale amministrativo regionale che, proprio sulla base di tali considerazioni, ha accolto il ricorso. Per questo motivo, per effetto di tale sentenza il ricorrente avrà, in questo modo, diritto a trasferirsi dalla Università romena a quella italiana. ____________________________________________________ Repubblica 2 Feb.’11 IL MESTIERE DELL'INFERMIERE TRA STEREOTIPI E OPPORTUNITÀ Meno del 10% di chi ha affrontato i test per entrare in Medicina è stato ammesso. Non è bastato l'altissimo voto di diploma né la preparazione. I quiz non tengono conto della disposizione alla relazione di cura, ma considerano "cultura" una memoria da Chi vuol essere milionario. Siscartano così ottimi futuri medici. I figli dei ricchi vanno all'estero, gli altri si rassegnano, o tentano ancora, invecchiando. La pletora di medici laureati negli anni '80 grazie alla liberalizzazione del post- '68 ha fatto storia e ne vediamo i cattivi risultati. La rigida selezione di ora ne darà altri, che valuteremo. Nel frattempo mancano infermieri e le Asl li importano dall'estero. Perché chi ha passione per curare i malati non studia Scienze infermieristiche? Il salario non è più una ragione, visto che un giovane medico guadagna poco e raggiunge un salario dignitoso dopo i quarant'anni. La seconda ragione è sociale. L'infermiera resta, nella coscienza collettiva, "ancella" del medico. Non è così, ma gli scartati dai test non lo sanno. camici.pigiami@gmail.com PAOLO CORNAGLIA FERRARIS ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 2 Feb.’11 SANITÀ, INCHIESTA SULLE NOMINE Le scelte della giunta all’esame della commissione speciale Ascolta la notizia CAGLIARI. Sarà la commissione d’inchiesta sull’applicazione delle leggi regionali a verificare se i commissari delle Asl e il direttore generale dell’assessorato alla Sanità hanno i requisiti prescritti dalla legge. La richiesta, accolta dal vicepresidente del Consiglio regionale Michele Cossa, è stata fatta dal capogruppo sardista Psd’Az, Giacomo Sanna che ha così rinunciato a illustrare in aula l’interpellanza, firmata anche dall’Udc, sullo stesso argomento. Sanna si è detto soddisfatto. «Gli atti che abbiamo allegato all’interpellanza - ha detto - saranno sicuramente vagliati con attenzione dalla commissione presieduta dal capogruppo di Sel, Luciano Uras». Nel’interpellanza, Psd’Az e Udc avevano suggerito alla giunta di rimuovere, come forma di «autotutela», gli «atti illegittimi». Sulla gestione della sanità nuovo attacco del Pd. Il capogruppo Mario Bruno e u consiglieri Marco Espa, Pierluigi Caria e Valerio Meloni hanno denunciato che anziché fare la riforma sanitaria la giunta porta avanti «logiche clientelari». Solo così la decisione di «creare dal nulla» tre nuovi posti da primario (due a Cagliari e uno a Sassari). ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Feb.’11 «BASTA CON I COMMISSARI ALL ASL» Paoletta Farina SASSARI. L’assessore Liori aveva detto: «Sassari e il suo territorio dicano quali sono le loro proposte sulla sanità». La Provincia l’ha preso in parola: definirà un piano sanitario, raccogliendo le voci dei sindaci. Che intanto chiedono la fine del commissariamento all’Asl 1 e servizi efficienti. La commissione sanità guidata dal consigliere del Pd Mario Pala, medico alle cliniche universitarie, è già al lavoro. In programma un fitto calendario di incontri. Il primo si è tenuto con gli amministratori del Mejlogu, il secondo ha coinvolto i sindaci del Coros Logudoro e il prossimo venerdì, alle ore 11, in Provincia ci saranno quelli di Ozieri e del Goceano. «E la convocazione sarà estesa in seguito ad Alghero e Porto Torres e ai sindacati, mentre è già fissato il confronto con l’Università e la facoltà di Medicina - afferma il presidente Pala -. Sia ben chiaro, non si tratta di riunirci per lamentarci, ma per tirare fuori proposte. Quelle che invece l’assessore regionale non ci ha fatto. Dobbiamo riorganizzare l’assistenza che penalizza i cittadini del territorio provinciale e sovraccarica gli ospedali cittadini». Pala e i sindaci come un sol uomo dicono basta al commissariamento all’Asl n. 1. «Occorre la nomina di un direttore generale che abbia pieni poteri e possa decidere - afferma Pala -. Ma occorre anche investire sull’università che ha problemi sempre più urgenti da risolvere. La Regione ha affossato il piano regionale della giunta Soru, senza offrire alternative». Non c’è tempo da perdere, soprattutto. A Cagliari, invece, si litiga sul nuovo piano sanitario. Ma a Sassari intanto ci si preoccupa dei provvedimenti che comunque la giunta regionale sta prendendo, provvedimenti che sembrano dettati da logiche diverse da quelle del riordino complessivo dell’assistenza. Il 26 gennaio scorso,, su proposta dell’assessore Antonello Liori, è stata approvata una delibera che istituisce nell’Asl n. 1 una struttura complessa dipartimentale di cardiologia riabilitativa, e strutture complesse all’oncologico regionale «Businco» (Algologia) e al «Brotzu» (cardiologia pediatrica e cardioanestesia). Davvero ce n’è bisogno? È la domanda che ci si pone nel Capo di Sopra, dove si fanno i conti con liste d’attesa insopportabili, reparti fatiscenti, macchinari che non funzionano. E ospedali che chiudono. Il sindaco di Ittiri Tonino Orani ha rimarcato che l’«Alivesi» «rischia di essere lasciato morire di morte naturale». E Giovanni Biddau, sindaco di Uri, Lucia Cocco (Tissi) e il primo cittadino di Villanova Monteleone Quirico Meloni hanno ribadito l’insufficienza di servizi primari per i loro cittadini. Il consigliere Mariano Mameli, portavoce della minoranza, ha sottolineato come il territorio soffra su vari fronti, dalla scuola alla giustizia, dalla sanità ai trasporti. La Provincia quindi, estenda a tutti i livelli, la programmazione. Una speranza l’ha lasciata la vicepresidente del consiglio provinciale Alba Canu. «Nel 2008 riuscimmo a concordare con la Regione azioni di riorganizzazione concrete, proseguiamo su quella strada. Nella quale coinvolgeremo anche tutti i rappresentati del territorio eletti nelle diverse istituzioni». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 Feb.’11 STOP ALL’ISOLA DEI COMMISSARI Sono 28 tra Asl, consorzi e agenzie gli enti messi sotto tutela dalla Regione: verso nuovi ricorsi La sentenza del Tar sull’Asi di Sassari gela Cappellacci CAGLIARI. Lo stop del Tar al commissariamento dell’Asi di Sassari (c’è anche un giallo su comunicazioni mai aperte) rischia di avere effetti anche sugli altri consorzi industrali. Si va verso nuovi ricorsi e tutta la politica dei commissariamenti di Cappellacci è messa in discussione, anche nella maggioranza. «Il Tar ha bocciato Cappellacci» La decisione sul consorzio di Sassari radicalizza l’attacco dell’opposizione FILIPPO PERETTI CAGLIARI. La Regione dei commissariamenti (28 tra Asl, enti, agenzie e consorzi) deve iniziare la retromarcia dopo la decisione del presidente del Tar di sospendere la delibera sul Consorzio industriale di Sassari. Il giudizio di merito è stato fissato dalla stessa presidente del tribunale amministrativo, Maria Rosa Panunzio, per il 2 marzo, ma sull’operato della giunta Cappellacci è già nato un autentico giallo politico-giuridico: secondo attendibili fonti confidenziali, l’assessorato all’Industria a metà dicembre non avrebbe letto le delibere inviate dal Consorzio presieduto da Franco Borghetto, delibere che rimettevano le cose a posto rispetto a precedenti rilievi (ad esempio la nomine degli organismi e la correzione di alcuni atti) e che, se protocollate dalla Regione, avrebbero impedito alla giunta, alla fine dello stesso mese di dicembre, di esautorare Borghetto e di nominare il commissario straordinario. La mancata lettura è stata provocata da una misteriosa direttiva politica per far fuori la gestione consortile di centrosinistra o dal fatto che l’Industria, come altri settori dell’amministrazione, è da quattro mesi priva dell’ufficio di gabinetto dell’assessore per la scelta del presidente di rinviare le nomine? L’assessore Oscar Cherchi ieri non ha voluto rispondere alle domande del giornalista e si è limitato a dire: «La delibera sul commissariamento è una proposta degli uffici, è stata scritta dai funzionari e approvata dalla giunta su mia proposta. Io non ho ora alcun commento da fare». Si è invece sbilanciato un tantino un altro assessore, Mario Floris (Uds), responsabile degli Affari generali: «Rispetto i pronunciamenti dei giudici e penso quindi che se la delibera è stata sospesa vuol dire che c’è qualcosa che non va e che i dubbi sollevati dall’altro consigliere del mio partito, Massimo Mulas, erano evidentemente fondati». Durissimo l’attacco delle opposizioni, che avevano già messo sotto accusa la giunta Cappellacci in Consiglio regionale. «E’ un primo segnale di stop a una giunta - ha detto il capogruppo del Pd, Mario Bruno - che commissaria la Sardegna. In aula avevamo parlato di atto arrogante e illegitimo nella forma e nei contenuti e pensiamo che il pronunciamento del Tar possa essere esteso anche agli altri commissariamenti, che riguardano non solo i Consorzi industriali di Nuoro e dell’Ogliastra, ma anche gli Enti e le Agenzie della Regione». Secondo Bruno «la gestione del potere è l’unico collante di questa maggioranza di centrodestra, che non ha sinora manifestato altri idee e progetti, limitandosi a discutere, litigando, solo di sistemazione di pedine». Di fronte a questi atti «emergerà in tutta chiarezza la contraddizione di una giunta e una maggioranza che ornai utilizzano anche le norme a proprio uso e consumo». Il capogruppo del Pd ha inoltre affermato che se fosse vero che non siano state registrate le delibere del Consorzio industriali di Sassari, «vorrebbe dire che il governo della Sardegna è bloccato persino dall’assenza degli staff degli assessori, cioé da ragioni di pura spartizione dei posti di sottogoverno». Anche se «noi riteniamo che la vera ragione dei commissariamenti, compreso quello del Consorzio di Sassari, Alghero e Porto Torres, sia politica, cioé legata al tentativo di controllare la gestione del territorio attraverso illegittimi atti di ribaltamento del pronunciamento popolare». Di «bocciatura» per la giunta Cappellacci parla anche l’Upc di Antonio Satta, che critica duramente la politica dei commissariamenti. Dopo il duro scontro nato in seguito ai commissariamenti decisi dalla giunta il 30 dicembre, il caso di Sassari riaccenderà i riflettori politici su queste vicende. Ancor prima che il 2 marzo il Tar, stavolta in sede collegiale, decida se respingere o accettare i ricorsi presentati dal Comune e dalla Provincia di Sassari e dal Consorzio. BORGHETTO: «E ORA SUBITO AL LAVORO» Soddisfatto il presidente reintegrato dai giudici amministrativi Ganau e Giudici: è stato censurato un atto illegittimo e arrogante GIANNI BAZZONI SASSARI. Franco Borghetto si prepara a tornare al suo posto. Il presidente del Consorzio industriale provinciale di Sassari domani, o al più tardi martedì, riprenderà da dove si era fermato prima del commissariamento. «Giusto il tempo di ricevere la notifica del provvedimento del Tar - ha spiegato ieri Borghetto - dopo di che ricomincio. Chiederò agli uffici di predisporre la convocazione degli organismi affinchè si possa operare da subito e recuperare il tempo che ci hanno fatto perdere». Franco Borghetto ha espresso soddisfazione, anche personale, «perchè il decreto del Tar, con una procedura che è eccezionale, stabilisce che non c’è stato alcun pasticcio da parte nostra. Insomma, era tutto regolare, anche gli Enti locali hanno agito correttamente: i pasticci la Regione li cerchi altrove». Anche il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, che non era stato tenero nei giudizi dopo il provvedimento di commissariamento da parte della Regione, ieri è tornato sulla vicenda. «Accolgo con favore la decisione del Tar di sospendere la delibera della giunta regionale e attendo con fiducia gli esiti della camera di consiglio del 2 marzo - ha detto Ganau - ma è evidente che viene censurato un atto illegittimo e arrogante. E l’Asi viene restituita agli enti che lo rappresentano». Per il presidente della Provincia Alessandra Giudici «la decisione del Tar è il riconoscimento per il lavoro corretto fatto dall’Asi e dagli Enti locali. Mi auguro che per il futuro la giunta regionale scelga la linea del dialogo e non quella dei commissariamenti, un confronto più attento e meno arrogante avrebbero evitato una situazione di questo genere». Anche il presidente del consiglio provinciale di Sassari, Enrico Piras, ha chiamato in causa «l’arroganza della giunta regionale, che ha commissariato l’Asi con un intervento intempestivo e illegittimo». Piras, che è segretario regionale dell’Upc, ha sottolineato che la decisione del Tar di sospendere la delibera del 30 dicembre 2010 «è un duro colpo per la Regione e per l’assessore all’Industria Oascar Cherchi. E’ evidente che quella delibera aveva solo una valenza politica, per accontentare qualche consigliere regionale di maggioranza di Sassari deluso forse dalle ultime elezioni tenute in città e in Provincia. Confido nel presidente Ugo Cappellacci - ha concluso Enrico Piras - affinchè possa capire che il Consorzio industriale di Sassari-Porto Torres-Alghero è legittima espressione degli Enti locali del territorio, così come previsto dalla legge. E’ operativo e attivo (come bilancio) e ha un ruolo fondamentale nella soluzione dei problemi industriali nel nord-ovest della Sardegna». ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 Feb.’11 TAGLI AGLI AMBULATORI PRIVATI SI VA AL TAR CONTRO LA REGIONE Enrico Carta ORISTANO. Cagliari domina? Oristano non vuole subire. E allora sei studi medici privati scelgono la via del tribunale per riavere quello che la Regione ha deciso di togliere. Si pensava o si sognava che la giunta Cappellacci avrebbe rimodulato verso l’altro i contributi per le strutture mediche convenzionate con la Asl e invece è accaduto l’esatto contrario. Se i soldi del precedente triennio non erano sufficienti, quelli del trienno iniziato nel 2010 saranno ancora meno. La decisione di operare il taglio alle risorse riapre vecchie ferite e contrasti mai sopiti del tutto con la Regione che, con questa operazione, secondo i ricorrenti, favorirebbe ancora una volta gli studi medici privati cagliaritani a discapito di quelli che operano nel territorio della Asl oristanese. Senza dimenticare poi, che dietro quella che appare come una scelta di carattere esclusivamente politico e fatta per accontentare potentati economici che fungono da bacini di voti, si muovono centinaia di utenti che nel caso della sanità dovrebbero essere prima di tutto pazienti. Al di là di questo aspetto, il caso dei tagli delle risorse per gli studi convenzionati finirà di fronte ai giudici del Tar. Il ricorso è stato presentato dall’avvocato Stefano Porcu per conto laboratorio Centro Analisi Mediche di Oristano, dal laboratorio Patologia clinica Melis & Ponti, del laboratorio L.A.A.O. S.a.s di Abbasanta, del dottor Francesco Fiorini, del Centro medico Fisiokinesiterapico e dello studio di radiologia medica San Giacomo. Vogliono una cosa semplice: la sospensione immediata della delibera firmata dalla giunta a ottobre, dove si stabiliva la “determinazione dei tetti di spesa per stipula dei contratti tra le Asl e gli erogatori privati per gli anni 2010, 2011 e 2012”. Quella dove si stabilisce che la cifra da destinare alla Asl di Oristano sarà di sei milioni e 700mila euro, ovvero 182mila euro in meno rispetto a quanto stabilito proprio per il 2010. L’esatto contrario di quanto invece ci si sarebbe aspettato, dopo l’analisi fatta recentemente dalla stessa Asl, nella quale si rimarcava il fatto che la provincia di Oristano è quella con il maggior numero di assistiti che sono costretti a rivolgersi a strutture delle altre Asl. Un incremento nel trasferimento dei fondi quindi non comporterebbe degli aggravi di spese, perché l’azienda sanitaria andrebbe a risparmiare proprio su quel fiume di soldi che esce per pagare le prestazioni mediche che gli utenti ricevono dagli ambulatori della altre Asl. Ma evidentemente la Regione è rimasta sorda di fronte a questi dati e ha anzi dato un ulteriore giro di vite, non facendo altro che incrementare i disagi che un numero sempre maggiore di utenti sarà costretto a sopportare e mettendo a rischio anche diversi posti di lavoro. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 1 Feb.’11 OSPEDALE CIVILE, LE BRANDE NEI CORRIDOI Pazienti dei reparti di Medicina ricoverati negli anditi tra correnti d’aria e poca privacy L’Azienda mista: tutta colpa dell’epidemia di influenza Scatta l’emergenza nei reparti di Medicina del San Giovanni di Dio. Pazienti nei corridoi dietro a un paravento. Nonna Maria ha 97 anni e una busta attaccata per i bisogni. Forse è al capolinea, forse no. È rannicchiata su una branda, gli occhi chiusi e la labbra rattrappite. Un paravento non è sufficiente per ripararla dalle correnti d’aria del corridoio di Medicina 2 dell’Ospedale Civile dove è ricoverata da alcuni giorni. Discutere di privacy sembra un’eresia. Figuriamoci parlare di ambiente protetto quale dovrebbe essere una corsia ospedaliera. Pochi passi più avanti, un’altra branda con una giovane extracomunitaria. Un piano sotto, a Medicina 1, la situazione è più allarmante: i pazienti nei corridoi sono nove. Per i vertici dell’Azienda mista il sovraffollamento è causato dal picco dei ricoveri di anziani colpiti dall’influenza che ha provocato il tutto esaurito anche nei padiglioni del Policlinico universitario di Monserrato. RICOVERI NEI CORRIDOI Ieri mattina nei reparti di Medicina del San Giovanni di Dio c’era gran fermento. Soprattutto al secondo piano. «Abbiamo cinque pazienti in più rispetto alla capienza regolamentare», afferma una dottoressa che preferisce non vedere il suo nome sul giornale. «Influenza? Macché. Qui l’emergenza ha radici più profonde», dice indicando un articolo di giornale appeso nella porta della stanza dei medici che annunciava «Mai più brande nei corridoi» e arricchito con commenti non certo benevoli nei confronti della direzione. «Il bello è che abbiamo finito i letti e, visto che siamo l’unico reparto del piano, non possiamo neanche chiederli in prestito». A Medicina 1 la situazione non va certo meglio, anzi, i pazienti in più sono nove. L’AZIENDA MISTA Per il direttore sanitario dell’Azienda mista Gian Benedetto Melis la situazione è sotto controllo. Eppure neanche due mesi fa aveva diffuso una circolare che imponeva alle divisioni mediche e chirurgiche di ricoverare i malati fino a occupare i posti letto disponibili. «La causa del ricovero dei pazienti nei corridoi è la pandemia che sta colpendo soprattutto gli anziani», spiega Melis dal suo ufficio con vista sull’Orto botanico. «Ovviamente il primo posto libero lasciato dalle persone dimesse verrà immediatamente occupato da chi stava nell’andito». E trasferirli a Monserrato? «Tutto occupato anche al Policlinico». LA NOVITÀ In questi giorni - aggiunge Melis - è entrato in funzione un nuovo sistema informatico interno che consente ai medici del pronto soccorso di conoscere in tempo reale la situazione nei reparti». Una novità che consente di smistare i pazienti evitando così imbarazzanti sovraffollamenti. «È importante però che tutti i pronto soccorso degli ospedali cagliaritani facciano il loro dovere». Anche il commissario straordinario dell’Azienda mista Ennio Filigheddu ammette la criticità. In cuor suo spera che i finanziamenti per la conclusione dei lavori nel padiglione Q del Policlinico di Monserrato si traducano velocemente in denaro contante. «Per il blocco Materno infantile ci sono in gioco tre finanziamenti da poco meno di 8,5 milioni di euro. Con 1,8 milioni di euro della Comunità europea contiamo di realizzare la sala operatoria di Ginecologia e la Terapia intensiva neonatale; con 3,6 milioni procederemo all’acquisto di arredi e attrezzature; 3,035 milioni, al vaglio della Commissione sanità del Consiglio regionale, saranno destinati a lavori edili». All’orizzonte, anche se nessuno vuole ammetterlo per evitare ulteriori brutte figure, si intravede uno spiraglio per il trasferimento a Monserrato. Chissà. ANDREA ARTIZZU ____________________________________________________ L’Unione Sarda 2 Feb.’11 UN CONVEGNO SULLE MALATTIE DELLA TIROIDE Parteciperà anche Aldo Pinchera, uno degli scienziati più esperti a livello nazionale, al convegno sul gozzo endemico e le malattie della tiroide in programma a fine mese al “Caesar's hotel”. L'iniziativa è organizzata da Stefano Mariotti, direttore dell'unità complessa di Endocrinologia e Diabetologia del Policlinico universitario di Monserrato. Le patologie autoimmuni sono diffuse in Sardegna, a causa della maggiore consanguineità dei suoi abitanti, dovuta all'isolamento: le iniziative scientifiche su queste malattie sono dunque importanti. Proprio il professor Mariotti è stato inserito di recente nella classifica degli scienziati italiani più influenti redatta dall'associazione “Via Academy”, sulla base delle citazioni delle pubblicazioni scientifiche. Il punteggio minimo per entrare in questa lista non dev'essere inferiore a 30, Mariotti è stato inserito con una valutazione di 39. Secondo la stessa ricerca, l'Università di Cagliari è al 27° posto tra quelle italiane: circa a metà classifica, con un miglioramento di dieci posizioni rispetto alla precedente. ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 Feb.’11 MALATTIE RARE IN CERCA DI CURA Atassia di Friedreich: pochi i casi ma molti portatori sani Convegno alla facoltà di Medicina organizzato dal comitato Rudi Onlus PIERLUIGI CARTA CAGLIARI. Tutti sappiamo cosa significa camminare, parlare, scrivere e sfogliare un libro. Immaginare di essere condannati a fare queste cose sempre peggio fino a smettere del tutto, è il primo passo per comprendere cosa prova una vittima dell’Atassia di Friedreich. Si tratta di una malattia genetica rara, scoperta da Nikolaus Friedreich nel 1863, e orfana; non ha infatti un padre che se ne occupi e non è appetita dalle case farmaceutiche che di certo non scalpitano per trovare una cura prima dei concorrenti. I casi di malattia sono pochi, ma i portatori sani sono tantissimi, fatto che costituisce un rischio in quanto si tratta di una patologia autosomica recessiva (entrambi i genitori devono essere portatori). Maria Giovanna Cappai, la delegata per la Sardegna del Comitato Rudi Onlus, in apertura del primo convegno scientifico nell’isola sulla Frda (Friedreich’s Ataxia), afferma: «Si tratta di una ricerca importante per l’umanità intera, e in particolar modo per la Sardegna, terra che per la sua insularità è maggiormente esposta al rischio di trasmissione ereditaria». Il convegno si è svolto nella mattinata di ieri presso la Sala Congressi della Spina Didattica nella Facoltà di Medicina; vi hanno partecipato il preside della facoltà Mario Piga e il neurologo Massimo Pandolfo dell’università Libera di Bruxelles. La delegata Giovanna Cappai, anch’essa colpita dall’atassia, afferma che la campagna che sta portando avanti, la Gofar (Go Friereich Ataxia’s Reserarch), comincia a dare, finalmente, i suoi primi frutti. Il neurologo Massimo Pandolfo, inoltre, ha comunicato che quest’anno è stato lanciato il progetto Efacts, un consorzio europeo finanziato dai fondi della Comunità Europea, per creare una banca dati a livello internazionale per fini di sperimentazione rivolti a trovare una cura. ____________________________________________________ L’Unione Sarda 5 Feb.’11 MICORCITEMICO: MALATTIE RARE, COLPITE 12 MILA PERSONE Sanità. Nasce in Clinica pediatrica un nuovo servizio con numero verde e sito internet Sono circa 5.000 le patologie classificate sotto questa voceSabato 05 febbraio 2011 Nuovi servizi per le malattie rare, che in Sardegna colpiscono 12 mila persone. Un numero verde e un sito internet dedicati alle malattie rare per informare e orientare i pazienti, i loro familiari e rafforzare la rete assistenziale. Tutto questo è possibile grazie a finanziamenti regionali e ministeriali, e l'iniziativa parte della Clinica Pediatrica II dell'ospedale Microcitemico di Cagliari sede del Centro di riferimento regionale per le malattie rare (Crr), entrambi diretti dal professor Renzo Galanello. I NUMERI «Più malattie rare danno una malattia frequente», sottolinea Galanello evidenziando la necessità di trovare strategie comuni per affrontare queste patologie che, in Europa, colpiscono 30 milioni di persone. Una malattia è considerata rara quando la sua prevalenza è di un caso ogni 2000 persone. In Sardegna dal 2004 al 2006 ci sono stati 12 mila ricoveri di pazienti con malattie rare. Nell'elenco delle cinquemila patologie riconosciute a livello nazionale rientrano la talassemia (mille i casi sardi), la malattia di Wilson, le alterazioni cromosomiche, la neurofibromatosi, le distrofie muscolari, alcune patologie autoimmuni e alcuni ritardi mentali. Poi ci sono le forme rarissime come la sindrome di Crisponi (poco più di dieci i casi registrati nell'Isola), le sindromi di Lowe, Laron e Kostman. Difficili da diagnosticare e in molti casi da curare, le malattie rare hanno spesso una sintomatologia complessa a fronte di scarse conoscenze scientifiche in merito. Un problema che tocca i pazienti e le loro famiglie, spesso sole e disorientate. NUMERO VERDE E SITO Il numero verde 800 095 040, operativo dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e il lunedì e mercoledì pomeriggio dalle 15 alle 17, punta proprio a colmare questo vuoto di informazione. Si tratta di un filo diretto con personale medico opportunamente formato, rivolto a pazienti, familiari ma anche medici di base che potranno chiedere chiarimenti e, di fronte al sospetto di una malattia rara, inviare il paziente a un presidio della rete che farà la diagnosi e attiverà il percorso di assistenza e quello per l'esenzione dal ticket. Un passaggio fondamentale dato che le cure possono essere molto onerose. «Il numero verde e il sito internet costituiscono un ulteriore tassello per le attività del Crr che garantisce anche supporto alla Regione nella gestione del Registro epidemiologico delle malattie rare e si occupa della definizione dei protocolli clinici e diagnostici», precisa Galanello. Il professore ricorda che l'iniziativa si traduce anche in un rafforzamento per la Rete sarda delle Malattie rare: 64 Centri di riferimento per le patologie, oltre 160 Centri assistenziali a cui si connettono i 63 Centri correlati, basilari per il monitoraggio delle complicanze e la consulenza genetica. Sul sito www.malattieraresardegna.it, realizzato dal Crr con la Regione e la Asl 8 di Cagliari, è possibile accedere alle normative, conoscere le novità scientifiche, i riferimenti sui percorsi di diagnosi e cura e collegarsi ai siti ufficiali delle malattie rare. LA RICERCA Galanello richiama infine la necessità di un collegamento sempre più stretto tra il mondo della ricerca e quello normativo. Una sempre più avanzata ricerca genetica, sostiene il medico, si affianca infatti a una legislazione più attenta rispetto al passato. Una conferma del mutato atteggiamento verso le patologie rare arriva anche dalle numerose iniziative promosse sul territorio sardo dalle associazioni dei pazienti, dal volontariato e dagli stessi medici. CARLA ETZO ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 POCHISSIME ORE ALL’ANNO DI ASSISTENZA A DOMICILIO Secondo il rapporto del «Network non autosufficienza» oggi le cure domiciliari raggiungono sempre più anziani, quasi il doppio nel giro di otto anni. Cala invece l'intensità dell'assistenza: dalle, già scarse, 26 ore addirittura a 22 ore in media all’anno per ciascun paziente. Nel complesso il pianeta dell' assistenza a casa, nonostante i passi in avanti, non è ancora in grado di «garantire la permanenza a domicilio di quegli anziani che soffrono di gravi limitazioni dell'autonomia personale» sottolinea il rapporto. Inoltre, se alcune regioni del Nord — Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia— offrono buone performance sia nell’assistenza domiciliare che in quella residenziale, fanalini di coda in entrambi i servizi sono ancora le regioni del Sud (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia). La necessità di incrementare esigenze, di cui tenere conto. l’assistenza domiciliare è sottolineata anche in un recente volume della collana «Quaderni del Ministero della Salute» , che fotografa la popolazione anziana come composta da persone affette da diverse patologie con specifiche ____________________________________________________ Corriere della Sera 31 Gen.’11 MACCARINI: IL RE DEI TRAPIANTI DELLA TRACHEA RESTA SENZA CATTEDRA IL PERSONAGGIO MACCHIARINI ERA STATO CHIAMATO A FIRENZE NEL 2008. DOVEVA USARE LA NUOVA LEGGE SUL RIENTRO DEI CERVELLI, SI È BLOCCATO TUTTO «Volevo tornare in Italia, fermato dai baroni» Ostacoli «Sono ritornato nella mia Firenze e ho trovato gli stessi baroni di un tempo, più forti che mai, circondati da figli, parenti e amici degli amici. Persone che non hanno esitato a ostacolarmi in tutti i modi. Io voglio solo lavorare» MILANO - Il professore mette le mani sul corpo di pazienti che solo fino a due tre anni fa sarebbero stati destinati alla morte. Trapianta trachee. È l' unico al mondo in grado di farlo. Tanto che quando un' équipe internazionale ha deciso di compiere l' operazione del secolo in California, trapiantare in contemporanea laringe, trachea e tiroide a una signora che da 11 anni respirava solo con un tubo e aveva perso la parola, si sono rivolti a lui, Paolo Macchiarini. La signora Brenda Jensen, miracolata, s' è fatta fotografare sorridente con i dottori che l' hanno riportata alla vita normale. Nella foto c' è pure un impettito Macchiarini. I media di mezzo mondo ne hanno parlato. Molto probabilmente in un altro Paese questo dottore sarebbe stato trattato come fiore all' occhiello della medicina avanzata. Vanto nazionale. Ma non è andata così. La storia che vi raccontiamo potrebbe essere vista come una brutta esperienza di mobbing: Macchiarini che prima di operare Jensen ha istruito sui maiali due dell' équipe californiana, Gregory Farwell e Peter Belafsky, a Firenze non può lavorare. Dall' Italia era partito 20 anni fa. Ha lavorato in Spagna, Germania, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Russia. L' ultima cattedra gliel' ha offerta il Karolinska Institutet di Stoccolma. «Sono ritornato dopo 20 anni nella mia Firenze ed ho trovato gli stessi baroni di un tempo, più forti che mai, circondati da figli, parenti e amici di amici. Che non hanno esitato ad ostacolarmi in tutti i modi». Nel 2008 Macchiarini effettua il primo trapianto di trachea mondiale a Barcellona, riportato con enfasi sulla rivista scientifica The Lancet. L' articolo lo legge pure l' assessore alla Sanità toscana Enrico Rossi (oggi Presidente) che lo chiama per digli: «Rientra in Italia, uno come te ci serve». L' esperienza all' estero lo fa crescere professionalmente: parla inglese, francese, spagnolo, tedesco e inizia con lo svedese. Le prime pubblicazioni scientifiche su laringe e trachea risalgono al 1992. Si accorge di lui pure il Presidente della Repubblica che lo nomina Cavaliere al merito. Del suo ritorno in Italia sembra essere entusiasta anche il preside della facoltà di Medicina di Firenze, Gianfranco Gensini. Gli offre la cattedra. Ma qui cominciano gli ostacoli. «Credo che Gensini volesse davvero darmi la cattedra. Anche per rafforzare il suo potere. Inconsapevolmente però sono finito in lotte di potere all' interno del mondo accademico. Il consiglio di facoltà di Medicina ha stoppato Gensini». Macchiarini potrebbe rientrare come cervello dall' estero grazie alla legge Gelmini del 2009 che facilita il percorso «chiara fama». Si riunisce una commissione per valutare il curriculum. Dentro c' è pure Clemente Crisci, professore che va in pensione ma che riesce ad ottenere la guida della Scuola di specializzazione di chirurgia toracica, alla soglia dei 70 anni. Per valutare il curriculum di Macchiarini non basta una seduta. «Si riuniscono almeno quattro volte per decidere» dice Macchiarini. «A Stoccolma hanno valutato e deciso in una giornata». I mesi passano e la cattedra promessa resta vuota. Intanto però le voci che escono dall' interno della facoltà sul conto del chirurgo non sono edificanti. «Mi accusano di aver falsificato il curriculum, leggo sui giornali che il Karolinska Institutet di Stoccolma non mi avrebbe mai chiamato, che i pazienti operati da me non stanno bene. Nove su nove stanno benissimo e sono vivi». Nei giorni scorsi gli ultimi affondi: «Leggo ancora che avrei effettuato visite in nero e che avrei utilizzato cellule staminali trattate, in barba alla legge. Io nemmeno li conosco i colleghi che mi fanno questa guerra. Possono verificare, ho ottenuto tutte le autorizzazioni e non faccio visite in nero». Macchiarini resta a Firenze, in attesa. Continua il suo lavoro in sala operatoria all' ospedale Careggi e a luglio compie altri due trapianti: su una ragazza inglese e su una della Repubblica Ceca. «A Firenze lavoro come semplice dottore e mi fanno operare solo i casi disperati. Non ho poteri operativi, non decido su nulla. Invece devo averne». Il suo progetto è ambizioso: creare un centro-laboratorio di ricerche tra Firenze, Stoccolma, Londra e Mosca. Il concetto è semplice: «Anziché costringere i pazienti a emigrare per ricevere i trapianti voglio far venire a Firenze il meglio dei cervelli. E far crescere i giovani chirurghi nostrani». Macchiarini non piace - dice una sua collega, Chiara Lestuzzi - «perché è diretto e schietto. Dà fastidio alle baronie». Cosa dice Macchiarini? Per esempio che «a Careggi ci sono 5 reparti uguali creati per produrre posti. La sanità dovrebbe risparmiare soldi». Durante un convegno a Napoli nel 2009 ha fatto incavolare i cardio-chirurghi presenti. Alla domanda della dottoressa Lestuzzi: «Nei casi di tumori agli organi tra polmone e cuore chi deve operare: il cardiochirurgo o quello toracico?». «Chi se la sente ed è capace», è stata la risposta di Macchiarini. Uno degli organizzatori del convegno avvisò Lestuzzi: «Questo qui non lo invitiamo più. Ma chi si crede di essere?». Agostino Gramigna RIPRODUZIONE RISERVATA **** Chi è Il chirurgo Fiorentino, dall' Italia era partito 20 anni fa per fare esperienza all' estero dopo essersi laureato a Pisa. Ha lavorato in Spagna, Germania, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Russia. L' ultima cattedra al Karolinska Institutet di Stoccolma Trapianti Ha effettuato il primo trapianto al mondo di trachea nel 2008 a Barcellona. A ottobre ha fatto parte del pool di luminari internazionali che ha trapiantato a una paziente laringe, trachea e tiroide Gramigna Agostino ____________________________________________________ Corriere della Sera 2 Feb.’11 A.TESI: IL CASO DEL PROF.MACCHIARINI Alberto Tesi Rettore dell'Università di Firenze L'Università di Firenze non si riconosce nella ricostruzione riportata dal Corriere del 31 gennaio («Il re dei trapianti della trachea resta senza cattedra») relativa alla chiamata diretta del prof. Paolo Macchiarini. Desidero in primo luogo ribadire l'apprezzamento e la stima per il lavoro che il prof. Macchiarini sta continuando a svolgere presso l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi, anche grazie alla fattiva collaborazione operativa di tanti colleghi accademici e ospedalieri e di tutta la struttura. La condotta dell'ateneo su questa vicenda — da me seguita in prima persona — è stata lineare: per poter chiamare un professore a tempo indeterminato l'università italiana deve attenersi a precise normative che costituiscono una garanzia per quella trasparenza troppe volte contestata alla nostra comunità. La chiamata diretta è una procedura eccezionale e di conseguenza tale deve essere anche il percorso che porta ad essa, in modo da rispettare l'autonomia, il prestigio e la dignità scientifica e professionale dell'ateneo, senza cedere all'emotività e alle pressioni che l'attenzione dell'opinione pubblica sul tema suscita da oltre un anno. D'altra parte, non è mai sembrato opportuno a nessuno dei soggetti interessati al rientro del prof. Macchiarini proporre la chiamata per «chiara fama», procedura adoperata molto di rado negli anni scorsi, ad esempio dall'ateneo fiorentino per il premio Nobel per la Fisica Theodor Hansch. Comunque anche la chiamata diretta deve inquadrarsi all'interno della programmazione generale dell'ateneo. Le note e travagliate vicende finanziarie dell'università pubblica italiana hanno di fatto bloccato negli ultimi anni tale programmazione, ripartita soltanto da pochi mesi soprattutto per consentire di prendere servizio a vincitori di concorso di vecchia data e per usufruire di un finanziamento straordinario programmato dal precedente Governo per l'assunzione di ricercatori. Ora, il nuovo quadro normativo — in vigore da pochi giorni — prevede l'abilitazione nazionale, l'idoneità alla quale permette poi agli atenei di chiamare coloro che l'avranno ottenuta; potrebbe essere una strada percorribile per superare i sospetti e le insinuazioni che troppo spesso l'hanno fatta da protagonista in questa vicenda, e offrire al prof. Macchiarini l'occasione di vedersi riconosciute — come auspica — le sue qualità scientifiche dal consesso accademico nazionale. Alberto Tesi Rettore dell'Università di Firenze ____________________________________________________ Finalcial Times 1 Feb.’11 OPTIMAL BALANCE BETWEEN RESEARCH AND EXPERIENCE From Dr Jonathan P. O'Brien. Sir, I wish to respond to criticisms of my research paper that have recently appeared in the FT. One criticism is the suggestion that the relationship between research productivity and MBA outcomes is just a byproduct of some tertiary unmeasured factor. In truth, our research methodology did take into account a myriad other factors (for example, reputation, financial strength, alumni network) that could produce mi "illusory" correlation between research productivity and MBA student outcomes. There also seems to be rejection of the notion that business school research might be meaningful to practitioners. Common business sense would suggest otherwise. Competition drives weak companies from the market, and businesses increasingly have to survive in a competitive global marketplace. Businesses would not hire MBAs and pay them handsome salaries if those employees did not add value for the company. Moreover, business schools also compete against each other in a competitive global marketplace. If academic research constituted a squandering of valuable resources, then it would be extinguished by market forces. While I do not claim that all academic research is relevant to business practice, much of it is and being research-active helps keep faculty members abreast of the new developments in the field. Many academics (for example Michael Porter, C.K. Prahalad, Gary Hamel and so on) have become business gurus who have reshaped the business landscape with their writings and consulting, much of it heavily informed by their academic research. My colleagues and I work on such topics as: how better to implement mergers and acquisitions; how effettive corporate governante varies across countries as a function of the local legai regime; how to motivate employees who telecommute; how better to measure risk and price bonds. I cannot fathom how one could contend that such research lacks any relevance to practice. Finally, I wish to address a misconception that my results devalue the contributíons made by current or former practitioners at business schools (denoted as "professionally qualified faculty" by the Association to Advance Collegiate Schools of Business). Asserting that marketing can add value to the company does not mean that research and development fails to do so. There is likely an optimal mix of the two. Likewise, I believe that there is an optimal balance between rigorous theory-driven research which helps develop new frameworks for making sense of the chaotic landscape of business, and the practical experience of accomplished executives. I have greatly benefited from working with such individuale. As a professional school, we need to educate our studente on both theory and practice. Jonathan P. O'Brien, Assistant Professor of Strategie Management, Lally School of Management & Technology, Rensselaer Polytechnic Institute, Troy, NY, US ____________________________________________________ Il Sole24Ore 1 Feb.’11 PROTEINA «ITALIANA» PER BLOCCARE IL TUMORE AL SENO Francesca Cerati MILANO Interrompere la comunicazione tra due particolari geni, già noto per essere implicati nel cancro al seno, riduce l'aggressività della neoplasia. E quanto scoperto da un team di ricercatori italiani coordinati da Paola Nisticò, del Laboratorio di Immunologia dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena in collaborazione con l'Università Sapienza di Roma e con l'Istituto San Raffaele di Milano I geni implicati sono l'Herz e la proteina hMena: se entrambi sono positivi (coespressi) - come hanno dimostrato nello studio, in parte finaniiato da Airc e pubblicato sulla rivista Plos-One - il cancro al seno è particolarmente aggressivo. E, la maggior parte dei, casi (70%) di tumori che esprimono Herz è positivo anche alla presenza di hMena. Ma questa importante informazione non è l'unica che lo studio ha messo in luce. Gli esperimenti, condotti in vitro su cellule di carcinoma della mammella, hanno evidenziato che inibendo la proteina hMena si rallenta la proliferazione tumorale indotta dal gene Herz. Quindi, i dati ottenuti dalla ricerca italiana non solo evidenziano il ruolo fondamentale di hMena nello sviluppo delle neoplasie mammarie, ma suggeriscono anche che tagliando i "ponti molecolari" tra hMena e Herz si potrebbe, arrestare la progressione tumorale. «I risultati che abbiamo ottenuto ci consentono di affermare che hMena rappresenta un utile marker sia diagnostico sia prognostico di tumore al seno - ha spiegato Paola Nisticò -. Ma ancorapiù importante è la ricer- caper individuare farmaci capaci di bloccare la proteina hMena così da interromperei segnali che ne permettono la cooperazione col gene Herz, migliorando così il decorso clinico dei tumori più aggressivi». Insomma si apre una nuova categoria di molecole anti-cancro specifiche che avranno come target solo le donne positive a entrambi i geni. La proteina hMena era stata identificata per la prima volta proprio all'Istituto Regina Elena dalla stessa Nisticò e da Francesca Di Modugno: «È assente nell'epitelio delle mammelle sane e compare invece nelle lesioni benigne che evolvono in tumori». Sono però ancora incerte le modalità di "cooperazione" tra i due geni: i ricercatori ipotizzano che possa essere decisivo il ruolo di hMena nella regolazione del complesso di filamenti proteici che costituiscono l'impalcatura delle cellule (citoscheletro), che controlla forma e funzione di ogni cellula. È probabile che l'aumentata espressione di hMena e delle sue variabili giochi un ruolo decisivo nei cambiamenti che avvengono in questa struttura. «Il ruolo di questi filamenti proteici e le loro modificazioni nei tumori - aggiunge Nisticò - rappresenta anch'esso una nuova area di ricerca per indagare i meccanismi biochimici e biomeccanici che aiutano la crescita tumorale ____________________________________________________ Il Mattino 2 Feb.’11 LE RUGHE DELLA BELLEZZA Fronte, bocca e occhi: uno studio vela come cancellare i segni del tempo senza alterare la fisionomia Alessandra Garglulo Un lavoro da «cartografi». Se non fosse che l'area di mappatura questa volta non è geografica: ecco zigomi, fronte, bocca e contorno occhi. Sì, proprio il nostro viso dove si annidano gli odiati segni del tempo che passa, nemici pubblici del nostro aspetto per il quale medicina e chirurgia estetica si fanno validi alleati. Ma a patto che il risultato non ne alteri la fisionomia: oggi la parola d'ordine è «effetto naturale». Mai più quindi volti paralizzati da lifting stira-tutto. il definitivo addio arriva dall'Università La Sapienza di Roma, dove è stata messa a punto la «mappa delle rughe» che permette di individuare e cancellare solo quelle che invecchiano e di valorizzare quelle che invece danno un toccò di unicità al volto. Perché ci sono rughe e rughe, belle o brutte, giuste o scomode. Alloro formarsi contribuiscono numerosi fattori: il passare del tempo, l'invecchiamento delle fibre elastiche e del collagene per l'esposizione solare, i movimenti muscolari e articolari, la forza di gravità e il dimagrimento. Alcune rughe, però, andrebbero sempre eliminate, altre invece solo attenuate: risulta quindi utile sottoporre ogni persona che desideri un aspetto più fresco e giovane a una mappatura di tutti i segni sulla pelle del viso proprio per tutelarne l'espressività. «Si deve lavorare sulla qualità e lo spessore della pellè senza stravolgerla» spiega Vmcenzo Argenzio, chirurgo plastico della Seconda Università di Napoli, tra i primi sostenitori dell'«effetto naturale». Ed ecco la mappa delle nostre rughe: «Esistono quelle "dinamiche", legate alla mimica del volto, mentre quelle profonde sulla fronte sono tipiche delle persone che hanno una vivace espressività umorale. Chi invece ha problemi di vista tende a corrucciare le arcate sopraccigliari verso il basso. Alle cosiddette zampe di gallina in torno agli occhi - prosegue Argenzio - contribuisce l'esposizione solare, mentre il "codice a barre", ovvero quelle rughe verticali sopra le lab bra, saranno più evidenti nei fumatori per il costante movimento aspira- torio». Ma non è finita: «Ci sono poi le rughe statiche che caratterizzano l'immagine che gli altri percepiscono. Un esempio è la ruga della "marionetta", effetto del rilassamento della guancia che si spinge fino all'angolo della bocca per perdita di volume adiposo della regione zigomatica. Per eliminarla sono sufficienti dei riempimenti adeguati che non determinino inestetismi di forma e di volume del viso». Per ciascun segno del tempo, quindi, una giusta soluzione. «In presenza di rughe da eccessivo movimento muscolare si utilizza un botox selettivo dinamico che permette di mantenere l'espressività alleggerendo il movimento. In caso di rughe statiche - prosegue il prof - l'intervento è mirato sulla qualità, la quantità e l'elasticità della pelle. Si utilizzano inoltre laser innovativi quali i frazionali ablativi e non, infrarossi e radiofrequenze che contribuiscono ad eliminare macchie solari, levigando e donando alla pelle elasticità». SI ALL'ACIDO IALURONICO NO AL SILICONE Per un effetto naturale bisogna conservare le concavità e le convessità senza stravolgere lineamenti del viso. Per recuperare i volumi che mancano si possono effettuare micro iniezioni di grasso autologo o acido ialuronico, mai ricorrere al silicone. L'esperto «Mai più volti paralizzati da lifting stira tutto Elisir di giovinezza? Magari Ecco l'effetto Eesistesse davvero. In attesa di affidarsi, per chi ne avesse voglia, a interventi estetici messi a segno da mani esperte, per una utile prevenzione e soprattutto per iniziare a combattere gli effetti del tempo, si può comunque ricorrere a semplici trattamenti anti-aging. Secondo le ultime ricerche effettuate, i più efficaci risultano essere quelli a base di Aquaporine, proprio gli specifici canali proteici trans- membrana presenti nel nostro corpo la cui attività regola il flusso d'acqua all'interno e all'esterno delle cellule, assicurando così una distribuzione ottimale dell'idratazione nei differenti strati epidermici. Meno incisiva, invece, l'azione del Rhamnose, lo zucchero vegetale estratto da alcune piante che crescono in Brasile, studiato per rallentare il processo di invecchiamento dei flbroblasti papillari, ovvero le cellule produttrici naturali di collagene ed elastine che popolano il nostro derma capillare e che rendono la pelle morbida e levigata. Il loro potenziale di crescita, tuttavia, diminuisce con l'età e in gran parte anche per effetto dei raggi del sole, fino a perdere del tutto il loro potere rigeneratore: così, si accentuano drammaticamente le rughe, diminuiscono tono, elasticità e luminosità della pelle. ____________________________________________________ Sanità News 3 Feb.’11 LA CHIRURGIA CONTRO L'EMICRANIA ELIMINA I SINTOMI IN UN MALATO SU TRE Uno studio pubblicato dalla rivista Plastic and Reconstructive Surgery evidenzia i benefici della chirurgia contro l'emicrania, procedura che è in grado di eliminare completamente i sintomi in un malato su tre. La tecnica messa a punto da Bahman Guyuron della Case Western Reserve University School of Medicine di Cleveland, in Ohio, consiste nel disattivare i muscoli o i nervi che producono il dolore. Nel caso di emicrania frontale, ad esempio, i muscoli della fronte vengono rimossi, e questo riduce gli attacchi diminuendo la pressione nei nervi dell'area. Altri approcci simili sono stati sperimentati in siti diversi. Lo studio ha esaminato l'esito della procedura su 69 pazienti per cinque anni, determinando che nell'89 per cento dei casi c'e' stato un miglioramento, con una guarigione completa nel 30 per cento. "La tecnica puo' essere ulteriormente messa a punto - ha spiegato l'esperto - ma di sicuro si puo' affermare che e' efficace". ____________________________________________________ Sanità News 2 Feb.’11 IL SONNO POTENZIA LA MEMORIA E SELEZIONA I RICORDI 0001 (Sn) - Roma, 02 feb. - Il cervello, durante il sonno, sceglie i ricordi da tenere vividi e quelli da dimenticare. E' quanto emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience da un gruppo di studiosi dell'Universita' di Lubecca, in Germania, secondo cui i ricordi mantenuti piu' a lungo sarebbero quelli che potranno tornare utili in futuro. ''Lo studio dimostra che il consolidamento della memoria durante il sonno comporta un processo di selezione che determina quali delle molte informazioni immagazzinate durante il giorno possano venire 'stoccate' a lungo termine - spiega Jan Born, che ha coordinato i ricercatori -. I nostri risultati indicano che vengono selezionate per la conversazione soprattutto le informazioni utili per esigenze future''. I ricercatori hanno sottoposto 191 soggetti a due esperimenti che consistevano nel dover ricordare coppie di parole o abbinamenti di immagini di animali e oggetti, e hanno permesso poi di dormire solo alla meta' di loro. Dopo 10 ore sono stati ''interrogati'': ed e' emerso che coloro che avevano dormito avevano una memoria migliore riguardo cio' che era accaduto prima degli esperimenti, e che dopo aver riposato avevano effettivamente ''filtrato'' i ricordi Sleep Selectively Enhances Memory Expected to Be of Future Relevance Ines Wilhelm,1 Susanne Diekelmann,1 Ina Molzow,2 Amr Ayoub,1 Matthias Mölle,1 and Jan Born3 1Department of Neuroendocrinology, University of Lübeck, 23538 Lübeck, Germany, 2Center for Integrative Psychiatry, 24105 Kiel, Germany, and 3Institute of Medical Psychology and Behavioral Neurobiology, University of Tübingen, 72074 Tübingen, Germany Correspondence should be addressed to Jan Born, Institute of Medical Psychology and Behavioral Neurobiology, University of Tübingen, Gartenstrasse 29, 72074 Tübingen, Germany. Email: born@kfg.uni-luebeck.de The brain encodes huge amounts of information, but only a small fraction is stored for a longer time. There is now compelling evidence that the long-term storage of memories preferentially occurs during sleep. However, the factors mediating the selectivity of sleep-associated memory consolidation are poorly understood. Here, we show that the mere expectancy that a memory will be used in a future test determines whether or not sleep significantly benefits consolidation of this memory. Human subjects learned declarative memories (word paired associates) before retention periods of sleep or wakefulness. Postlearning sleep compared with wakefulness produced a strong improvement at delayed retrieval only if the subjects had been informed about the retrieval test after the learning period. If they had not been informed, retrieval after retention sleep did not differ from that after the wake retention interval. Retention during the wake intervals was not affected by retrieval expectancy. Retrieval expectancy also enhanced sleep-associated consolidation of visuospatial (two-dimensional object location task) and procedural motor memories (finger sequence tapping). Subjects expecting the retrieval displayed a robust increase in slow oscillation activity and sleep spindle count during postlearning slow-wave sleep (SWS). Sleep- associated consolidation of declarative memory was strongly correlated to slow oscillation activity and spindle count, but only if the subjects expected the retrieval test. In conclusion, our work shows that sleep preferentially benefits consolidation of memories that are relevant for future behavior, presumably through a SWS-dependent reprocessing of these memories. ____________________________________________________ Sanità News 1 Feb.’11 NESSUNA CONTROINDICAZIONE PER IL SESSO IN GRAVIDANZA Alla gravidanza non deve corrispondere necessariamente l'astinenza: le donne incinte possono fare tranquillamente sesso senza preoccuparsi del loro bambino. Ad assicurarlo e' uno studio canadese e americano pubblicato sulla rivista 'Canadian Medical Association Journal', secondo cui non ci sono prove scientifiche che fare l'amore regolarmente causi complicazioni o un parto prematuro. I risultati della ricerca contraddicono la diffusa convinzione che un rapporto sessuale faccia male al bambino. Gli scienziati sono invece convinti che il sesso durante la gravidanza debba essere considerata una cosa normale. E non ci sarebbero controindicazioni neanche per le ultime settimane di gestazione. Quindi nessun rischio di partorire prematuramente, di coauguli di sangue e di infezioni. Secondo i ricercatori, solo coloro che aspettano due o tre gemelli dovrebbero astenersi per precauzione, ma anche in questi casi non ci sono prove scientifiche che dimostrino un rischio maggiore. Per arrivare a queste conclusioni sono stati esaminati diversi studi precedenti sull'argomento. Una ricerca, ad esempio, ha confrontato la gravidanza e il parto di 11mila donne, meta' della quali attiva sessualmente, e non sono state riscontrate differenze tra i due gruppi. Un altro studio ha invece preso in esame le donne che hanno avuto almeno una volta un parto prematuro, e anche in questo caso non e' stato trovato alcun legame con il sesso. '"Il sesso in gravidanza e' normale", ha commentato Clair Jones, medico del dipartimento di Ostetricia al Mount Sinai Hospital di New York, "i pazienti con gravidanze a basso rischio dovrebbero stare tranquilli". ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 ANTINFIAMMATORI DA USARE CON PRUDENZA Il dolore è dolore e quando l’artrosi si fa sentire alle articolazioni e impedisce persino di muoversi, ricorrere a un antinfiammatorio diventa spesso inevitabile. Con qualche rischio e pericolo, come ci ha appena informato una ricerca pubblicata sul British Medical Journal. Lo studio, coordinato da ricercatori svizzeri dell’Università di Berna, ha analizzato sette dei più usati antinfiammatori non steroidei (chiamati anche Fans) ed è arrivato alla conclusione che non solo i prodotti di ultima generazione, ma anche i farmaci più vecchi e collaudati possono, se somministrati a lungo, aumentare la probabilità di andare incontro a infarto e di ictus. Fino a qualche tempo fa si pensava che fossero soltanto gli antinfiammatori selettivi (cioè quelli più nuovi, che inibiscono l’enzima cicloossigenasi 2, o Cox 2, prodotto nei processi infiammatori) a dare problemi cardiovascolari e uno di questi, il rofecoxib (il famoso Vioxx) è stato ritirato dal mercato nel 2004 perché accusato di avere provocato numerosi morti. La nuova indagine suggerisce, invece, che anche gli inibitori non selettivi (naproxen, diclofenac e ibuprofen che interferiscono con entrambi gli enzimi, Cox 1 e 2) possono comportare gli stessi rischi, anche se in misura minore, rispetto agli altri (etoricoxib, celecoxib, lumiracoxib e rofecoxib). E sembrerebbe anche, ma i dati andrebbero forse confermati, che il naproxen sia il più sicuro sotto il profilo del rischio cardiovascolare. «Questa metanalisi è interessante — commenta Giampaolo Velo professore di Farmacologia all’Università di Verona — perché ha preso in esame 31 studi, per un totale di oltre 115 mila pazienti. Una casistica molto ampia le cui conclusioni non vanno sottovalutate» . Il rischio cardiovascolare, dunque, c’è, anche se è minore per gli antinfiammatori non selettivi rispetto ai selettivi. Non bisogna però dimenticare che i non selettivi provocano, più degli altri, disturbi gastrointestinali, ulcera compresa (inibendo, infatti, anche l’enzima Cox1 interferiscono con la produzione di sostanze che proteggono la parete dello stomaco): vanno sempre assunti a stomaco pieno ed eventualmente, quando il trattamento è prolungato, vanno associati a un farmaco gastroprotettore. «Per questo — aggiunge Velo — quando si prescrive un farmaco a un paziente è indispensabile tenere sempre conto di tutti i rischi a fronte dei benefici della terapia» . E soprattutto è indispensabile che il paziente non abusi di questi farmaci e segua correttamente le indicazioni del medico. Adriana Bazzi abazzi@corriere. it ____________________________________________________ Le Scienze 3 Feb.’11 28.000 VARIANTI GENOMICHE DIETRO LE PATOLOGIE UMANE Nell'ambito del 1000 Genomes Project La conoscenza dell'esatta sequenza genetica delle varianti potrebbe consentire di spiegare l'insoergenza di patologie in giovane età Sono 28.000 le varianti strutturali – ampie porzioni del genoma umano che differiscono da individuo a individuo – individuate grazie a una dettagliata analisi del DNA di 185 soggetti svoltasi nell'ambito del 1000 Genomes Project dai ricercatori dello European Molecular Biology Laboratory (EMBL) di Heidelberg, in Germania, in collaborazione con il Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge, con la Università di Washington e la Harvard Medical School. Lo studio, i cui risultati sono ora pubblicati sulla rivista Nature, potrebbe aiutare a capire per quale motivo alcune parti del genoma umano cambiano più di altre. Nel corso della ricerca sono state individuate oltre un migliaio di varianti strutturali che interrompono la sequenza codificante di uno o più geni. Si ritiene che tali mutazioni possano essere collegate all'insorgenza di alcune patologie e che di conseguenza conoscere l'esatta sequenza genica di tali variazioni possa essere utile a restringere il campo alla ricerca di quelle effettivamente dannose. “La conoscenza dell'esatta sequenza genetica delle varianti potrebbe per esempio consentire di spiegare perché alcune persone vengano colpite da patologie anche in giovane età mentre altre si mantengono in salute fino alle vecchiaia”, ha spiegato Jan Korbel, che ha guidato la ricerca. Questo catalogo senza precedenti delle varianti su larga scala getta anche luce sul perché alcune parti del genoma mutino più frequentemente di altre. Si è scoperto infatti che le delezioni, in cui il materiale genetico è mancante, e le inserzioni, in cui le sequenze di coppie di basi sono in sovrappiù, tendono a presentarsi in loci differenti del genoma e in seguito a diversi processi molecolari. Per esempio le delezioni su larga scala avvengono con maggiore frequenza in regioni in cui il DNA si “rompe” e deve essere “ricucito”: nel processo vanno perduti pezzi di materiale genetico. “Abbiamo individuato 51 'punti caldi' in cui alcune varianti come le ampie delezioni sembrano avvenire con particolare frequenza”, ha aggiunto Korbel. “Sei di questi sono regioni note per essere correlate alla sindrome di Miller-Dieker, una patologia cerebrale congenita che può causare la morte infantile”. Precedenti ricerche avevano collegato le varianti – note anche come variazioni nel numero di copie – a molti disturbi e patologie genetici, come il daltonismo, la shizofrenia e alcune forme di tumore. Tuttavia, a causa delle loro ampie dimensioni e della complessa sequenza di geni, le varianti erano difficili da identificare. Tali difficoltà sono state superate grazie a nuovi approcci computazionali che hanno permesso di individuare le esatte posizioni delle variazioni su scala più ampia. (fc) ____________________________________________________ Le Scienze 3 Feb.’11 UNA NUOVA FORMA DI COMUNICAZIONE NEURONALE In un esperimento, soggetti sottoposti a stimolazione elettrica transcrarnica ai lobi temporali anteriori raggiungevano la giusta prospettiva per la soluzione di un problema complesso tre volte più spesso dei soggetti di controllo Gli innumerevoli campi elettrici che si sovrappongono nel cervello a seguito dell'attività neuronale delle diverse aree non sarebbero un semplice epifenomeno, ma rappresenterebbero un'ulteriore forma di comunicazione neuronale. A mostrarlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology (Caltech), del Politecnico di Losanna e della Korea University diretti da Christof Koch e Henry Markram e pubblicata su Nature Neuroscience. "Finora la comunicazione fra i neuroni è stata pensata come se avvenisse in una macchina localizzata, quella della sinapsi. Il nostro lavoro suggerisce l'esistenza di un altro mezzo di comunicazione neuronale attraverso lo spazio extracellulare, indipendente dalle sinapsi", spiega Costas Anastassiou, primo firmatario dell'articolo. "Le perpetue fluttuazioni di questi campi extracellulari sono il tratto distintivo del cervello vivo e in azione di ogni organismo, e la loro assenza è indice di un profondo stato di coma, se non di morte, del cervello." In precedenza si riteneva che questi campi fossero in grado di influenzare o controllare l'attività dei neuroni solo in particolari condizioni patologiche, come le crisi epilettiche, che generano campi molto intensi. Pochi studi avevano studiato l'impatto dei campi non epilettici, molto più deboli ma molto più comuni. Nel nuovo studio i ricercatori si sono concentrati sui campi, relativamente forti e dotati di una lenta oscillazione, detti potenziali di campo locali (LFP), di circuiti neurali di poche cellule. Per misurarli hanno posizionato in cervelli di topo una serie di microelettrodi a una distanza l'uno dall'altro di appena 50 micron. "I campi di un millivolt per millimetro alterano notevolmente l'attivazione di singoli neuroni e aumentano la cosiddetta spike-field coherence, ossia il sincronismo con cui i neuroni si attivano in relazione al campo. E nel cervello di mammifero sappiamo che ci sono campi che eccedono facilmente i due o tre millivolt per millimetro", aggiunge Anastassiou. "L'aumento di questa coerenza può incrementare notevolmente la quantità di informazione trasmessa fra neuroni. Inoltre, si sa da tempo che gli schemi di attività cerebrale correlati alla memoria e alla navigazione spaziale generano forti campi e aumentano la SFC." Ciò ha conseguenze interessanti anche per la possibilità di influire sull'attività cerebrale, dato che fisica ci dice che un campo esterno imposto influirà sulla membrana neuronale, osservano i ricercatori. L'effetto dipenderà però anche dallo stato del cervello, e dal fatto che non tute le aree mostrano sempre lo stesso livello di attivazione: "Se il campo imposto avrà un'influenza dipende da quale area è interessata". Proprio in questa direzione va un'altra ricerca pubblicata su PLoS ONE, dalla quale è risultato che l'applicazione di un campo attraverso una stimolazione transcrarnica ai lobi temporali anteriori è in grado di aiutare la persona a vedere i problemi sotto una luce nuova: nell'esperimento eseguito dai ricercatori dell'Università di Sydney che hanno condotto lo studio, i soggetti sottoposti a simili campi riuscivano a raggiungere la giusta prospettiva per la soluzione di un problema complesso tre volte più spesso dei soggetti di controllo ____________________________________________________ La Nuova Sardegna 1 Feb.’11 H1N1: QUEL MALEFICO VIRUS DI UN ANTICA MALATTIA Tornano i titoli ad effetto sull’influenza e la “conta” dei morti sui giornali, un esercizio cominciato l’anno scorso dopo l’annuncio, da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità, della comparsa di un nuovo ceppo l’H1N1, responsabile dell’influenza suina, ribattezzata poi in influenza A. Un nome asettico, neutro, che allontanava l’ombra di quegli animali dal malefico virus che per diverse settimane ha tenuto in ansia autorità sanitarie, esperti e governi in ogni angolo del pianeta, aprendo una polemica sui vaccini che ha lasciato molti strascichi. E, mentre ci avviciniamo al picco epidemico, è ancora allarme, sia pure meno chiassoso di quello dell’anno scorso. In realtà - dicono infettivologi virologi medici - non vi sono motivi di particolare preoccupazione, in condizioni normali, come si sa. Dal 2005, dalla comparsa alla ribalta del virus H5N1 (ben più temibile se avesse fatto il salto di specie e «imparato» a diffondersi da uomo a uomo), organismi internazionali, governi, ricercatori lavorano alla ricerca su vaccini e antivirali e alla costruzione di un sistema di monitoraggio dei virus. E questo, una sorta di gioco a guardia e ladri, non ha riscontrato mutazioni, capaci di rendere più aggressivo il virus H1N1 - ben conosciuto - che sta circolando accanto ad altri. Dai Paesi dove la fase epidemica è più avanzata - come la Gran Bretagna - non giungono notizie d’impennate della mortalità, anche se viene segnalato un numero abbastanza elevato di ospedalizzazioni per influenza grave negli adulti con fattori di rischio (diabetici, obesi, cardiopatici). Tutto nella norma, dunque. Il fatto è che ci si dimentica troppo spesso che il virus influenzale è uno degli agenti patogeni a più alta diffusione e capacità di contagio e che l’influenza, accompagnata, per abitudine, dall’aggettivo “banale” - uccide, ogni anno, nel nostro Paese, circa novemila persone, l’80 per cento delle quali è rappresentato da anziani di età superiore ai 65 anni. Mentre diverse centinaia soccombono a complicanze varie, polmoniti e broncopolmoniti. Non per niente l’influenza è un serio, serissimo problema sanitario nei Paesi industrializzati, dove occupa il terzo posto, dopo Aids e Tbc, come causa di morte per malattie infettive. Senza parlare dei costi diretti e indiretti dell’ospedalizzazione e delle assenze dal lavoro. Battezzata con questo nome in Italia nel XVI secolo, quando si pensava che il moto degli astri influisse sui processi patologici del corpo, l’influenza è una delle più antiche malattie dell’umanità; e anche una delle meglio documentate, tanto che, a fine Ottocento, alcuni studi erano in grado di ricostruire, dal Medioevo, l’itinerario di 128 epidemie. Di alcune delle quali - come quella del 1562 - abbiamo dalla corte di Maria Stuarda una descrizione che potrebbe andar bene per l’oggi: Colpisce alla testa e produce dolori allo stomaco e una forte tosse che in alcuni dura a lungo, in altri meno... Non parve che vi fosse pericolo, né furono numerose le vittime della malattia, se si escludono persone di età avanzata. E anche allora, l’influenza non guardava in faccia nessuno: «Tale malattia ha colpito l’intera corte, senza risparmiare signore, signori, o damigelle, fossero francesi o inglesi». Negli ultimi anni quest’antica malattia, contro la quale abbiamo tante armi (prima tra tutte il vaccino), ha cominciato a fare notizia, a far evocare lo spettro della Spagnola: siamo o non siamo una “società eccitata” sempre alla ricerca di stimoli, choc, sensazione? ____________________________________________________ Le Scienze 3 Feb.’11 CANI SANNO FIUTARE IL CANCRO DEL COLON Lo studio conferma che anche ai primi stadi della malattia le cellule cancerose emettono sostanze potenzialmente rilevabili con sensori dedicati I cani sono in grado di fiutare i segni del cancro del colon nell'espirato e in campioni di feci con un livello di accuratezza molto elevato anche nei primi stadi della malattia. A rivelarlo è una ricerca condotta presso Kyushu University a Fukuoka, in Giappone, e pubblicata online sulla rivista Gut. Per il loro studio i ricercatori hanno appositamente addestrato un labrador retriever. I campioni provenivano da 48 persone con un cancro del colon accertato, a vari stadi della malattia, e da 258 volontari che non ne soffrivano o che ne avevano sofferto in passato. Circa la metà dei campioni dei volontari proveniva da persone affette da polipi intestinali che, seppure benigni, sono considerati delle formazioni che possono degenerare in cancro. Il 6 per cento e dei campioni di espirato e uno su 10 dei campioni di feci di questo gruppo proveniva da soggetti sofferenti di altri problemi gastrointestinali, come ulcera, sindrome del colon irritabile, diverticolosi e appendicite. Il cane ha identificato con successo quali fossero i campioni cancerosi con un accuratezza del 95 per cento nei campioni di espirato e del 98 per cento in quelli di feci, con il tasso di rilevazione più elevato proprio fra i campioni presi da persone ai primi stadi della malattia. I livelli di affidabilità sono paragonabili a quelli della colonscopia. I risultati hanno mostrato che gli altri problemi gastrointestinali e il fatto che la persona fosse un fumatore non rappresentavano per il cane fattori confondenti. Il cane è dunque in grado di fiutare gli odori legati a sostanze prodotte dalle cellule cancerose che circolano nell'organismo, osservano i ricercatori, confermando altre ricerche e resoconti aneddotici che già avevano indicato la capacità di questi animali di rilevare i cancri della prostata, della pelle, del polmone, del seno e dell'ovaio. L'uso di cani addestrati per lo screening, aggiungono i ricercatori, è verosimilmente poco pratico, ma potrebbe venire sviluppato un sensore in grado di rilevare specifici composti. Il test del sangue occulto nelle feci è un efficace metodo di screening non invasivo per il cancro del colon, ma, osservano gli autori, è in grado di rilevare la malattia nelle sue fasi iniziali solo nel 10 per cento dei casi. "La rilevazione e il trattamento precoci sono un fattore critico per il successo della terapia e rappresentano un mezzo eccellente per ridurre sia gli oneri economici sia la mortalità del cancro del colon", commentano gli autori. (gg) ____________________________________________________ Sanità News 31 Gen.’11 DIFFICOLTA' DISTRIBUTIVE PER ALCUNI FARMACI La carenza di alcuni farmaci segnalata dall'associazione dei farmacisti del Piemonte e del Veneto qualche giorno fa e' in realta' generalizzata a tutto il territorio nazionale, anche se le specialita' interessate non sono molte e non ci sono situazioni di emergenza. Lo afferma Annarosa Racca, presidente di Federfarma nazionale, che sul tema ha indetto una riunione con distributori e produttori per il 3 febbraio. "Il fenomeno non e' isolato - spiega l'esperta - noi stiamo per incontrare sia i distributori intermedi che l'industria farmaceutica per discuterne e cercare di risolvere il problema". Secondo Racca ad essere interessati sono solo pochi farmaci: "In realta' sono pochi i farmaci, forse quello piu' in uso e' la folina, che si prescrive alle donne in gravidanza - continua - ma noi comunque vogliamo che ci siano tutti in farmacia, e lavoreremo per questo. Purtroppo l'Italia e' il paese in cui i farmaci costano meno, quindi i distributori preferiscono talvolta rifornire il mercato estero lasciando scoperto il nostro. La folina, ad esempio, qui costa un terzo". ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 LE CIFRE DA PAURA DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE Gli italiani sono un po'più sporchi, servirebbero mani un po'più pulite. Tutto ciò non ha niente a che vedere con la situazione politica ed etica. È il risultato di un'indagine internazionale (Reckitt Benckiser), presentata all'Università di Parma in un convegno sull'igiene casalinga, da cui si evince che lo stato della pulizia nelle nostre case va peggiorando. Niente di grave in verità, perché gli italiani, checché se ne dica, partono da un livello di assoluta eccellenza in confronto agli altri Paesi. A proposito di mani, per esempio, sono tra i primi igienisti al mondo, con una media di otto lavaggi al giorno. Tuttavia si registra un arretramento. Le cause? La crisi economica (si spende meno in sapone e detersivi), l'aumento degli alloggi sovraffollati (quelli degli immigrati) e curiosamente la crisi delle coppie. Perché chi resta solo, magari un po'depresso, tende a "lasciarsi andare". La preoccupazione è che questo trend si sposti anche negli ospedali, dove non siamo per niente eccellenti. Secondo gli ultimi dati dell'Istituto superiore di Sanità le infezioni ospedaliere colpiscono ancora 400mila pazienti all'anno, provocando 8mila morti, 22 al giorno. Qui, come si vede, gli effetti possono essere davvero pericolosi. Tenendo conto che almeno due dei fattori di rischio, la crisi economica e il sovraffollamento, aggravato in questi giorni dall'epidemia influenzale, colpiscono anche gli ospedali. Mentre la crisi di coppia non dovrebbe incidere. ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 TIBERIO: LA PENICILLINA, UNA SCOPERTA ITALIANA Celebrazioni Per i 150 anni dell’Unità d’Italia onori anche per un’intuizione non riconosciuta Per i 150 anni dell’Unità d’Italia onori anche per un’intuizione non riconosciuta di RUGGIERO CORCELLA La domanda è più che legittima: perché tanti anni di silenzio? Giulio Capone continua a chiederselo. «È passato più di un secolo dalla pubblicazione di quel lavoro semplice, chiaro, di gran rigore scientifico e tutto è rimasto nascosto» . Giulio Capone è medico di base a Roma, specializzato in dermatologia: il lavoro a cui si riferisce lo ha scritto Vincenzo Tiberio, suo nonno. Un nome ancora sconosciuto al grande pubblico, ma non alla comunità scientifica italiana e internazionale. Sì, perché nel 1895 quel giovane medico igienista, un po’ burbero e geniale, pubblicò lo studio «Sugli estratti di alcune muffe» negli Annali di Igiene Sperimentale, una rivista prestigiosa dell’epoca. Il fascicoletto conteneva i risultati delle ricerche che lo avevano portato a scoprire il potere battericida delle muffe, ben 34 ann i p r i m a c h e Alexander Fleming pubblicasse le sue osservazioni sul British Journal of Experimental Pathology. Insomma, l’inventore della penicillina è, per molti, l’italiano Vincenzo Tiberio. «Primo nella scienza, postumo nella fama» , recita la lapide commemorativa che il comune di Sepino, in provincia di Campobasso, ha voluto collocare sulla facciata della sua casa natale. Ora il Consiglio nazionale delle ricerche ha deciso di rendere onore al merito dello scienziato, promuovendone la figura con il documentario «Vincenzo Tiberio. Il vero papà della penicillina» (si veda il box a sinistra). ÈChi era dunque Vincenzo Tiberio e come arrivò a precorrere Fleming? La storia è affascinante e merita di essere raccontata attraverso la testimonianza del nipote e di Salvatore De Rosa, scienziato dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb) del Cnr di Pozzuoli, appassionato studioso di Tiberio. «Mio nonno nacque nel 1869 a Sepino, città costruita dai Romani dopo la vittoria sui Sanniti. Suo padre, Domenico Antonio, era un notaio e quindi la famiglia stava bene. La casa era un piccolo centro di cultura, frequentata da studiosi e professionisti. E Vincenzo mostrava una spiccata propensione per gli studi scientifici» . Dopo il liceo, il padre lo iscrisse alla facoltà di Medicina di Napoli e lo mandò a vivere dagli zii Graniero, ad Arzano. La casa di Arzano e il suo pozzo, che forniva l’acqua per le necessità domestiche, saranno fondamentali per la scoperta. T iberio notò che gli inquilini della casa soffrivano di infezioni intestinali ogni volta che il pozzo veniva ripulito dalle muffe. I disturbi, invece, cessavano quando le muffe ricomparivano sui bordi del pozzo. «Noi nipoti non abbiamo conosciuto il nonno, perché è morto nel 1915 a causa di una febbre mal curata— dice Giulio Capone —. Tutto quello che sappiamo ce lo ha raccontato nonna Amalia, che è stata una delle due passioni del nonno, assieme all’Istituto di igiene di Napoli dove fu assistente, prima volontario e poi strutturato» . Nonna Amalia raccontava di Vincenzo impegnato a raschiare le muffe dal pozzo con una spatolina, per portarle in laboratorio. «Nei documenti scritti da Vincenzo Tiberio — riferisce Salvatore De Rosa — sono descritte in dettaglio le condizioni di crescita delle varie muffe isolate, il metodo di estrazione acquoso delle muffe e il loro potere battericida sia in vitro sia in vivo. Viene evidenziato il potere chemiotattico degli estratti delle muffe nelle infezioni da "Bacillo del tifo"e "Vibrione del colera", Vincenzo Tiberio nasce a Sepino nel 1896 da Domenico Antonio, notaio, e Filomena Guacci. Nel 1905 sposa la cugina Amalia Graniero dalla quale ha tre figlie: Maria, Rosetta e Tomassina, quest’ultima madre di Giuliano Capone (qui nella foto). Dopo il diploma, Tiberio si iscrive alla Facoltà di medicina di Napoli e dal 1893 al 1895 diventa assistente di cattedra. Nel 1895 si arruola in Marina come medico di bordo. Muore nel 1915, ucciso da una febbre mal curata con l’utilizzo come cavie dei conigli e la tecnica delle infusioni sottocutanea e intraperitoneale. Il lavoro risulta molto meticoloso, con dettagli sperimentali e una serie di tabelle in cui riporta l’azione degli estratti sulle cavie utilizzate» . E ppure Tiberio fu costretto a portarlo avanti tra difficoltà e diffidenza. Dalle prime osservazioni alla pubblicazione della relazione conclusiva passarono circa cinque anni. L’ambiente scientifico ufficiale non dette peso alla scoperta e le conclusioni sul potere battericida delle muffe furono registrate come una coincidenza. «Mio nonno rimase profondamente deluso da come il lavoro venne accolto. Nel 1895, dopo la pubblicazione dello studio, lasciò l’Istituto di igiene per contrasti con il nuovo direttore di cattedra e si arruolò in Marina» racconta ancora Capone. Il fascicoletto della sua ricerca rimase relegato in uno scaffale polveroso dell’Istituto di igiene fino al 1955, quando un «topo di biblioteca» lo riscoprì e fu ristampato a cura dell’Istituto di Igiene stesso. I nipoti ne hanno difeso il nome e la memoria, scrivendo anche un libro. E Fleming? Il grande microbiologo scozzese riconobbe mai i meriti di Tiberio? «Chain, uno dei tre premi Nobel assieme a Fleming, — dice Capone — affermò in un’intervista che il suo illustre collega conosceva mio nonno e i suoi lavori. Lui però non lo disse mai apertamente» . Tiberio comprese che non avrebbe avuto il giusto riconoscimento in patria, ma la passione per la scienza non lo abbandonò mai. Racconta il nipote che, dietro una foto di nonna Amalia, Vincenzo scrisse una frase emblematica: «Lunga e difficile è la via della ricerca, ma alla base di tutto c’è l’amore» ____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Feb.’11 ALEXANDER FLEMING SI MERITÒ IL NOBEL GRAZIE A UNA CAPSULA DIMENTICATA APERTA Viene citato come il caso più famoso di serendipity. Nel laboratorio di Alexander Fleming al St. Mary’s Hospital di Londra, nel 1928, i germi proliferavano nelle capsule di Petri. Il microbiologo lavorava su molecole capaci di uccidere germi ma innocue per l’uomo. Una di queste capsule venne dimenticata aperta. Tornando dalle vacanze il ricercatore vide che una delle scatolette era stata contaminata da una muffa. Stava per buttarla, ma si accorse che dove c’era la muffa gli staffilococchi non crescevano. Che cosa li aveva uccisi? Una sostanza prodotta dalla muffa stessa. Questa apparteneva alla specie Penicillium notatum, così Fleming dette alla sostanza il nome di «penicillina» . Fleming non riuscì tuttavia a dare seguiti pratici all’osservazione. Non c’erano soldi e ci si rivolse alla Fondazione Rockefeller di New York, che finanziò la ricerca per un anno. Dovettero però passare 11 anni prima che altri due ricercatori, Howard Florey e Ernst Chain, riuscissero a dare il giusto valore alla scoperta. Bastò invece pochissimo tempo perché il nuovo farmaco, usato dai soldati alleati durante la II guerra mondiate, si diffondesse in tutto il mondo. Sul finire della vita, ripercorrendo la vicenda, Fleming, che insieme con Florey e Chain ricevette il Nobel per la medicina nel 1945, annoterà: «La storia della penicillina ha qualcosa di romanzesco e aiuta a illustrare i l peso della sorte, della fortuna, del fato o del destino, come lo si vuole chiamare, nella carriera di ogni persona» . Quello stesso fato che invece non arrise a Vincenzo Tiberio e a Ernest Duchesne. Nel 1897, due anni dopo la scoperta di Tiberio, questo studente francese riportò nella sua tesi di laurea l’interazione tra il fungo Penicillium glaucum e il batterio Escherichia coli. Anche nel suo caso lo studio fu abbandonato e i suoi risultati dimenticati. R. Cor. ____________________________________________________ Wired 4 Feb.’11 I BATTERI CI CONTROLLANO LA MENTE Cambiamenti di umore, felicità inspiegabile, memoria migliorata, depressione. Tutti effetti spiegabili da un'infezione batterica in corso, per la gioia degli ipocondriaci 04 febbraio 2011 di Caterina Visco Contento o con il morale a terra, con atteggiamenti strani o affetto da veri e propri disturbi mentali. La causa potrebbe essere, almeno in parte, di un’infezione batterica e della conseguente risposta del sistema immunitario. Alcuni studi, infatti, mostrano che questo processo può influenzare il nostro umore, la memoria e le capacità di apprendimento. E persino modellare la nostra personalità, secondo quanto racconta un articolo su New Scientist. La buona notizia? Comprendere questi legami tra cervello e sistema immunitario potrebbe portare a un nuovo modo di trattare alcuni disordini, dalladepressione alla sindrome di Tourette. Comportamento Sammy Maloney era un dodicenne di Kennebunkport nel Maine, sano, che suonava nella banda della scuola e che più di ogni altra cosa amava andarsene in giro con i suoi amici dopo le lezioni. Nel 2002, però, qualcosa cominciò a cambiare nella sua personalità. Prima cominciò a camminare a occhi chiusi per tutto il cortile, poi a usare solo la porta sul retro per entrare in casa, a indossare solo alcuni indumenti, a impedire che le finestre venissero aperte o che le luce fossero spente. Nel giro di quattro-sei settimane al ragazzo venne diagnosticato prima un disturbo ossessivo compulsivo, poi una sindrome di Tourette. Fortunatamente, qualche tempo dopo un amico di famiglia suggerì ai genitori di Sammy di sottoporlo a un test per lo streptococco, un comune batterio che di solito non provoca più di un mal di gola. Sam non mostrava nessun sintomo da infezione da streptococco, ma le analisi rivelarono l’infezione in atto; quando il medico prescrisse una terapia antibiotica, i suoi sintomi cominciarono a migliorare. Oggi è un ventenne come tutti gli altri. Per quanto raro, il caso di Sammy, non è del tutto inusuale. Almeno secondo Madeline Cunningham della University of Oklahoma che ha passato anni a studiare i disturbi comportamentali legati a infezioni infantili da streptococco, inclusa la sindrome di Tourette, un disturbo chiamato Pandas e la Corea di Syndenham (associata a tic e incapacità di controllare le proprie emozioni). Cunningham ha dimostrato che alcuni anticorpi contro un tipo di streptococco legano i recettori di alcune aree del cervello che controllano i movimenti, portando al rilascio del neurotrasmettitore dopamina. Il che spiegherebbe i tic e i problemi emotivi sperimentati in alcuni dei bambini con questi disordini. Betty Diamond del Feinstein Institute for Medical Research in Manhasset, New York, ha inoltre dimostratoche alcuni anticorpi associati con il lupus, una malattia autoimmune, riescono a distruggere i neuronilegandosi a particolari recettori nel cervello. Questo potrebbe in parte spiegare i cambiamenti di umore e il declino cognitivo associato alla malattia. Felicità Esiste un batterio che regala il buon umore, si chiama Mycobacterium vaccae. Inizialmente doveva essere un nuovo modo per sconfiggere il cancro. L’idea era che iniettando un certo batterio nelle persone si sarebbe stimolato il loro sistema immunitario a distruggere il tumore. Sfortunatamente, il trattamento non ebbe l’effetto desiderato. Tuttavia i ricercatori notarono che quanti si erano sottoposti al trattamento avevano sperimentato un radicalemiglioramento dell’umore e della qualità della vita. I dettagli ancora non sono chiari, ma alcuni studisu animali suggeriscono che la risposta immunitaria provocata dal Mycobacterium vaccae faccia rilasciare ai neuroni della corteccia prefrontale grandi quantità di serotonina, migliorando l’umore e il benessere. Graham Rook della Royal Free and University College Medical School di Londra ha recentemente suggerito che la depressione è prevalente nelle società occidentali perché le persone non sono più esposte naturalmente a organismi come M. vaccae nei primi anni di vita. A questo punto la domanda sorge spontanea: questo batterio potrebbe essere usato per rendere felici le persone? Ovviamente è più difficile ottenere l’approvazione per iniettare batteri vivi in persone depresse che non in pazienti malati di cancro in fase terminale. Quindi il prossimo passo previsto è lo studio clinico in pazienti con il cancro alla prostata. Se ci sarà un forte effetto di miglioramento dell’umore, allora forse le aziende farmaceutiche potranno concentrarsi di più sul potenziale antidepressivo del batterio. Se poi venisse scoperto il meccanismo preciso, chissà forse potrebbe essere possibile sviluppare un farmaco che ne mimi l’effetto. Memoria Migliorare il sistema immunitario per mantenere efficace la memoria con il trascorre del tempo?Jonathan Kipnis della University of Virginia ne è convinto. Con il suo team di ricerca, infatti, ha fatto crescere alcuni topi deficitarii delle cellule Cd4 (un tipo di cellule del sistema immunitario), scoprendo che gli animali avevano limitate capacità di apprendimento e scarsa memoria. Quando poi i ricercatori somministravano ai topi le cellule Cd4, la memoria migliorava. Analogamente, quando Kipnis induceva la morte di queste cellule in roditori sani, la loro memoria diminuiva. Inoltre, altri studi del ricercatore mostrano che l’apprendere di nuovi compiti implica una l’arrivo di cellule Cd4 alle meningi, le membrane che circondano il cervello. Qui il rilascio di interleuchina 4, (che controlla la risposta immunitaria) dice alle cellule del cervello di rilasciare un fattore neurotico, una proteina che migliora l’apprendimento. Kipnis ora sta sviluppando un tipo di farmaci mirati al miglioramento della memoria in risposta a un rafforzamento del sistema immunitario. Secondo il ricercatore, i farmaci potrebbero essere usati non solo per invertire il declino cognitivo legato all’età o a determinate patologie, ma anche per migliorare la memoria nelle persone sane. Depressione, sospetto ed empatia Quando siamo malati, spesso ci sentiamo letargici e perdiamo il nostro appetito. La nostra concentrazione soffre e noi possiamo sentirci ansiosi, depressi e antisociali. Questi cambiamenti sono causati da molecole segnale, chiamate citochine, che sono rilasciate dalle cellule del sistema immunitario in risposta allo stress e alle infezioni. Recenti studi hanno mostrato che se si inietta in una persona sana l’ interferone alfa, un farmaco antivirale che promuove il rilascio di citochine, questa inizierà a mostrare i sintomi della depressione. “ Teoricamente le citochine possono interagire con ogni meccanismo rilevante nella depressione”, spiega Andrew Miller della Emory University School of Medicine di Atlanta, in Georgia. Miller, inoltre, ha recentemente scoperto che il farmaco attiva la corteccia cingolata anteriore, una regione coinvolta nell’ individuazione degli errori e nella gestione del conflitto. Simili meccanismi di attivazione sono stati osservati nelle persone con gravi nevrosi e comportamenti ossessivo compulsivi. “ Se aumenti l’attività in questa area del cervello le persone tendono a essere più sospettose e a interpretare segnali innocenti come minacce”, spiega il ricercatore. Oltre alle infezioni e alle tossine, anche stress e obesità possono provocare il rilascio di citochine. Gli effetti di queste sostanze, tuttavia, non sono tutti negativi tuttavia, come sottolinea Naiomi Eisenberger della University of California Los Angeles. Insieme ai suoi colleghi, ha scoperto che alcune persone diventano più sensibili al dolore degli altri e ai problemi della società se veniva iniettata loro tossina batterica che aumenta la secrezione di citochine. In particolare una citochina, chiamata interleuchina 6, sembra aumentare l’attività del cervello coinvolta nell’ empatia. ____________________________________________________ Wired 3 Feb.’11 COME SI FOTOGRAFA UN VIRUS Il Linac Coherent Light Source è riuscito a catturare, in una frazione di secondo, l’immagine di un mimivirus. Prima di mandarlo in mille pezzi 03 febbraio 2011 di Tiziana Moriconi È possibile fotografare un virus. La singola particella virale deve restare in posa solo per qualche frazione di un miliardesimo di secondo: tanto basta per ricreare la sua struttura. Considerando che per dare una forma all’adenovirus (quello delle congiuntiviti e delle gastroenteriti) ci sono voluti 12 anni di lavoro, potremmo dire che ci troviamo davvero di fronte a uno di quegli avanzamenti tecnologici che cambiano la storia della scienza. Questa è, in effetti, la speranza, confessata su Nature, di un’ottantina di ricercatori (di 21 diversi centri) che hanno collaborato allo scatto. Il primo nome dei credit dell’immagine, però, spetta a Janos Hajdu, dell’ Università di Uppsala in Svezia. La macchina fotografica è il Linac Coherent Light Source ( Lclc), il primo laser al mondo a elettroni liberi che produce raggi X duri (con una lunghezza d’onda di 0,1 nanometri). È proprietà del dipartimento per l’energia statunitense e si trova presso lo Stanford Linear Accelerator Center ( Slac). Il fascio di Lcls è un miliardo di volte più luminoso dei classici raggi X, e così intenso che può attraversare l’acciaio. In teoria, grazie a questa macchina si potrebbero osservare gli atomi in movimento, o la formazione e la distruzione dei legami chimici in tempo reale; per ora, gli studi appena pubblicati (gli articoli su Nature sono in realtà due) danno un assaggio delle potenzialità di questo laser nel campo della biologia. Veniamo al sodo. Come hanno fatto a fotografare un virus intatto? Hanno preso quello più grande che si conosca, il mimivirus, e lo hanno messo sulla traiettoria del laser, poi hanno aperto il fuoco. Ovviamente il virus viene disintegrato, ma ciascun impulso è talmente veloce, dura pochi milionesimi di un miliardesimo di secondo, che si riescono a ottenere tutte le informazioni necessarie a ricreare la sua immagine prima che esploda. Dei centinaia di mimivirus messi sotto i raggi X, solo due hanno prodotto abbastanza dati. Le loro foto mostrano la struttura a 20 lati dell’ involucro virale; un’area di materiale più denso è inoltre visibile all’interno, e potrebbe essere il dna. Secondo i ricercatori, impulsi ancora più brevi e più brillanti, focalizzati su aree più piccole, potrebbero aumentare di molto la risoluzione di queste immagini, per rivelare dettagli grandi quanto un nanometro. Magari, per riuscire a cogliere persino le variabilità individuali. Hajdu aveva immaginato questo metodo di indagine circa un decennio fa, e i ricercatori all' Arizona State University, dello Slac e dell’ Università di Uppsala hanno speso anni per sviluppare la strumentazione specializzata: quella necessaria a iniettare il campione nel fascio di raggi; poi, il Max Planck Advanced Study Group ha prestato la sua strumentazione ultrasensibile, Camp, in grado di registrare ogni singolo fotone. “ Questi primi dati e queste prime immagini lasciano davvero scorgere una nuova frontiera della ricerca”. Parola di Persis S. Drell, direttrice dello Slac.