RASSEGNA 29/05/2011 TAGLIATE 863 LAUREE DAL 2007 AL 2011 TAGLIATI 384 CORSI DI LAUREA NEL BIENNIO 2010-2011 UNIVERSITÀ SENZA PROGETTO IN UNA REGIONE SENZA TESTA ALMALAUREA: LAUREA E LAVORO SONO PIÙ VICINI UNIVERSITÀ, FUORI SEDE IN CALO LA LAUREA SI PRENDE SOTTO CASA STUDENTI PIGRI CONTRO AVVENTUROSI ECCO PERCHÉ SPARISCONO I FUORISEDE ALMALAUREA: SPESE ALTE, LE UNIVERSITÀ PERDONO MATRICOLE ALMALAUREA: LA METÀ DEGLI STUDENTI INSODDISFATTA DELLE SCELTE ALMALUAREA: LAUREA, UTILE “PEZZO DI CARTA” ALMALAUREA: CONTRO LA DISOCCUPAZIONE UNA LAUREA È MEGLIO I TEMPI DI ATTESA DEI NEO DOTTORI SPESA IN RICERCA ALL'1,23%: MEDIA UE ANCORA LONTANA ULTIMI IN ITALIA PER UNIVERSITÀ E SCUOLA COMMISSARIO PER GLI ATENEI IN DEFAULT LINEA DURA SUGLI ATENEI IN ROSSO GLI ATENEI D'EUROPA FANNO SISTEMA ATENEI FUCINE DI SOLUZIONI CENSIS: I GIOVANI ITALIANI? IN VIA D’ESTINZIONE UNIVERSITÀ, LA RICETTA ALL' INGLESE USA: LA BOLLA UNIVERSITARIA BERLINO, UN TERZO DEGLI UNIVERSITARI SI PROSTITUISCE IL DOSSIER SUGLI «SPRECHI» DEL CNR UNIVERSITÀ, ASSUNTI E SUBITO LICE DATI 37 DOCENTI SVOLTA SULL'ENERGIA A BERNA STOP AL NUCLEARE NEL 2034 QUEL THRILLER PRO-ATOMO DI CUI NESSUNO HA VOGLIA DI PARLARVI I CAVALLI, AMORE DEI SARDI LA VERITÀ SUL NOME DI BUENOS AIRES E LA MADONNA DI BONARIA SINDACATI EUROPEI E ITALIANI QUANTI SONO GLI ISCRITTI IGNORANZA INFORMATICA, 200 MILIONI BUTTATI ARRIVA IL «SUPERDIPLOMA» LA CARICA DELLE MEDUSE CONQUISTA IL MEDITERRANEO LE FORESTE ASSORBONO IL DOPPIO DELLA CO2 COMPUTER DAI DINOSAURI ALLA CORSA DEGLI ZETTABYTE ========================================================= AOUCA: CERTIFICAVANO LA PRESENZA DI GUARDIE GIURATE ASSENTI AOUCA: STIPENDIO PIENO MALGRADO L’ATTIVITÀ ESTERNA ASL3: FALSE DIAGNOSI, ARRESTATO CALAMIDA: «SONO SBIGOTTITO, LO SOSPENDEREMO» NUORO: SETTE MESI D’ATTESA PER LA MAMMOGRAFIA ASL6: MOLTI OVER 65 NON HANNO TESSERA SANITARIA. NUORO: CAMICI BIANCHI SOLO TRA ORGOSOLO E MARGHINE? IL REGISTRO REGIONALE DELLE MALFORMAZIONI SAN RAFFAELE, LE IMPRESE IN GINOCCHIO RANDACCIO: NON C'È TRACCIA DI URANIO IMPOVERITO ANTITRUST, CONGRESSI MEDICI E CODICE ETICO: LA SOLITUDINE DEL MEDICO TRA SUPER TECNOLOGIE E TAGLI PERDITE: MONTI CURERÀ LE PENSIONI DEI MEDICI L' EMICRANIA È UN MECCANISMO DI PROTEZIONE CEE: BANDIRE IL WI-FI IN OSPEDALI E SCUOLE» BISTURI: PRIVILEGIO PER POCHE SCLEROSI MULTIPLA, C’È UN CASO SARDEGNA DNA E SCLEROSI MULTIPLA CARDIOLOGIA PEDIATRICA: INNOVAZIONE IN SALA OPERATORIA CAN A VACCINE STOP DRUG ABUSE? PIEDI, ADDIO ALLA CIPOLLA NOVITÀ IN MEDICINA E CHIRURGIA ESTETICA BASTA LIMITI AI BUDGET PER I MALATI FUORI REGIONE UN NUOVO FARMACO PROMETTE BENEFICI CONTRO L'ARTRITE REUMATOIDE QUELLO CHE NON UCCIDE IL CERVELLO, LO RAFFORZA UNA PROTEINA PER TERAPIA ORMONALE NEL TUMORE DEL SENO PER IL CERVELLO UNA LINEA VALE UNA FOTO A SIENA SI SPERIMENTA UN VACCINO CONTRO IL CANCRO AL COLON SCOMMETTERE SULL’E-HEALTH OGNI GIORNO IN ITALIA SI FANNO 10 MILA TRASFUSIONI POCHI I MEDICI CHE SANNO DIRE «HO SBAGLIATO» UNA TAC RIVOLUZIONARIA PER GLI IMPIANTI AL TITANIO UNA BUONA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE UN TEST ONLINE PER L'AUTODIAGNOSI DELL'ALZHEIMER ========================================================= __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 mag. ’11 TAGLIATE 863 LAUREE DAL 2007 AL 2011 Università. Cura dimagrante de115,8% Tra le cancellazioni spiccano le triennali in ingegneria informatica In crescita invece i corsi legati a professioni con albo Eugenio Bruno ROMA Continua la dieta delle università italiane. Nell'ultimo anno accademico gli atenei del Bel- paese hanno ridotto del 7,8% i corsi di laurea portando al 15,8% il taglio complessivo dell'ultimo quadriennio. Con effetti più rilevanti al Mezzogiorno e nelle strutture piccole e medie. A confermarlo è l'ultima rilevazione condotta dal servizio informazione e comunicazione del Consiglio universitario nazionale (Cun) e diffusa ieri. Più che la riforma Gelmini - che deve ancora far sentire i suoi effetti visto che la riorganizzazione imposta dalla legge zoo/ 2c90 è ancor agli albori- è la crisi economica ad aver spinto gli atenei a ridimensionare la propria offerta formativa rendendo meno appetibili gli indirizzi più colpiti dalla recessione. Dei 384 corsi eliminati negli ultimii2 mesi,148 hanno riguardato l'area scientifica, 129 l'umanistica e 125 quella sociale laddove l'unica in controtendenza è parsa quella sanitaria con un saldo attivo di r3 unità. Nella "rosa" delle lauree cancellate spiccano alcune triennali in ingegneria informatica o industriale ovvero in scienze economiche e della formazione. Oltre ad alcuni indirizzi umanistici ormai di nicchia come filologia o storia antica. Diverso il destino di quelle a «ciclo unico» (medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, veterinaria, farmacia, chimica e tecnologie farmaceutiche, architettura, ingegneria edile e giurisprudenza) che, in quanto spesso collegate a professioni regolamentate, hanno aumentato i corsi da 250 a 266. Nel complesso, tra il 2007/2008 e il 2010/2011 i corsi sono passati da 5.460 a 4.597 (-863). Con un impatto più sensibile sui cicli di studio di tre anni: 541a fronte dei 3n tra le magistrali. Focalizzando l'attenzione sull'ultimo anno accademico, lo sfoltimento più evidente è stato registrato tra le università statali che hanno eliminato l’8,9% dei corsi di laurea (-379), a fronte di una riduzione del 44% di quelle private. Opposto il trend degli atenei non statali promossi da enti pubblici (Aosta, Bolzano ed Enna) che hanno aumentato l'offerta del 7,5 per cento. Dal punto di vista territoriale la sforbiciata più pesante si è verificata nel Mezzogiorno, con l’11,7% di riduzioni nell'ultimo anno. A seguire le Isole (-8,9%), il Nord-est (-8,9v.), il Nord- ovest (-7 %) e il Centro (- 6,8%). Quanto alle dimensioni, sono statigli atenei di media grandezza (cioè con un numero di iscritti compreso tra io e 2omila) a stringere di più la cinghia, con 130 lauree eliminate a fronte delle 126 dei grandi (tra 20 e 4omila immatricolati) e agli appena 5o delle mega- università (oltre 4omila studenti). Nel commentare i dati il presidente Cun, Andrea Lenzi, ha parlato di «un risultato anche superiore alle attese e al quale il Cun ha contributo con un attento monitoraggio dei corsi di laurea». Auspicando però che ora si torni a «investire nel sistema dell'alta formazione, dando fiducia a questa capacità di rinnovamento che sta dimostrando l'apparato universitario». __________________________________________________________________ Il Manifesto 27 mag. ’11 TAGLIATI 384 CORSI DI LAUREA NEL BIENNIO 2010-2011 Prosegue la riduzione dell'offerta formativa negli atenei italiani. I tagli sono cominciati nell'anno accademico 2007-2008 e continuano oggi, come risulta dai dati del Servizio informazione e comunicazione del Consiglio universitario nazionale (Cun). I corsi di laurea passano da 4.986 a 4.597 con un taglio del 7,8 percento. Cancellati 384 corsi di laurea per l'anno 2010/2011, mentre negli ultimi 4 anni il calo è stato del 15,8%, passando da 5.460 corsi a 4.597 con una perdita di 863 corsi di laurea. Nel dettaglio, nell'ultimo anno, sono stati eliminati 170 corsi di laurea triennali che sono passati da 2.411 dell'anno accademico 2009-2010 ai 2.241 attuali (-7,1 percento). La riduzione più marcata, però, si registra per i bienni di specializzazione (le lauree magistrali) con meno 214 corsi, passando da 2.304 corsi di laurea dell'anno 2009-2010 a 2.090 di questo anno (-9,3 percento). Negli ultimi quattro anni si è passati da 2.782 lauree triennali a 2.241 (-19,4 percento, tagliati 541 corsi) e da 2.401 lauree magistrali o specialistiche a 2.090 (-13 percento, persi 311 corsi). «I corsi di laurea - spiega Andrea Lenzi, presidente del Cun - sono decisamente diminuiti eliminando quei percorsi troppo di nicchia, superflui o con pochi iscritti». Negli ultimi 4 anni il pubblico, che copre oltre il 90 percento dell'offerta formativa, ha tagliato di più (- 19,7 percento) rispetto al privato (-9,7 percento). Nell'ultimo anno il pubblico ha eliminato ancora l'8,9 percento dei corsi di laurea, le private ne hanno cancellati il 4,4 percento. _____________________________________________________ Sardi News 27 mag. ’11 UNIVERSITÀ SENZA PROGETTO IN UNA REGIONE SENZA TESTA di Marco Pitzalis La Legge di “riforma” dell’Università (L. 240/2010) è un pastrocchio. Ciononostante è l’unico strumento che abbiamo per cercare di migliorare il sistema universitario a tutti i livelli. Occorre dunque utilizzare la riforma, per il meglio, per rendere i processi organizzativi più efficienti e valutabili: in particolare, l’organizzazione della ricerca e la sua produttività, la qualità dell’offerta formativa, la qualità del reclutamento universitario, la qualità e la quantità dei rapporti con il territorio e l’internazionalizzazione. Rischio-esplosione del modello universitario nazionale. Nella Legge 240 non c’è niente che possa far nascere dei processi virtuosi. Il contesto politico e il travagliato percorso parlamentare ne hanno fatto un testo pieno di trappole. La Legge 240 è un testo scritto male, contiene refusi ed errori di carattere tecnico, non ultimo, la mancata abolizione di una legislazione precedente che ora rischia di sovrapporsi alla nuova normativa. Il ritardo nella promulgazione degli attesi decreti attuativi rischia di far esplodere il sistema universitario. In questo quadro, le università stanno elaborando i loro statuti “alla cieca” e rischiamo di non avere più un modello di università nazionale, producendo una panoplia di modelli universitari comparabile all’esplosione prodotta dal processo di Bologna. La politica senza progetto e senza strategia. In tutto questo, appare eclatante il silenzio degli attori politici, a livello nazionale e regionale. Da Roma, dopo inutile strepitare, Maria Stella Gelmini è afona proprio nel momento in cui dovrebbe dare un senso culturale (ed anche etico, se ne avesse la credibilità) alla sua riforma. La Regione autonoma della Sardegna è, dal canto suo, totalmente assente e si mostra incapace di proporre un disegno strategico per il sistema universitario regionale. L’assenza della politica e di una visione strategica si riflette sul processo di riforma che viene messo in atto nelle università in Sardegna. Le due università si muovono in solitudine confortando il vecchio dualismo universitario sardo. Ciascun ateneo costruisce il suo statuto e riflette sulla propria offerta formativa. Da questo punto di vista, il processo è profondamente conservatore. Non potrebbe essere diversamente: questa è la logica delle organizzazioni. Solo l’attore politico potrebbe tentare di modificare questo processo, indicando obiettivi di politica culturale e un progetto complessivo per il sistema di istruzione superiore sardo. La Giunta regionale non dispone, evidentemente, di un assessore alla pubblica Istruzione all’altezza del compito. A livello locale, i processi di conservazione prevalgono poi nel costruire un assetto di governance che garantisce i gruppi accademici e gli assetti esistenti. I nuovi dipartimenti: fallimento annunciato. I gelminiani (di destra e sinistra) hanno salutato la riforma in virtù della sbandierata nuova relazione tra ricerca e didattica che si sarebbe dovuta costruire nei nuovi dipartimenti. In realtà, la legge è totalmente confusa e questo dualismo non solo rischia di riprodursi ma di essere aggravato con una ulteriore perdita di coerenza del sistema universitario soprattutto nel versante della gestione dell’offerta formativa. I nuovi dipartimenti saranno dei grandi assemblamenti di discipline costruiti non sulla base di obiettivi di ricerca ma sulla base degli interessi accademici. I nuovi dipartimenti saranno confederazioni di gruppi e di individui, avranno una funzione puramente amministrativa, saranno tutto salvo che dipartimenti di ricerca. Soprattutto rischiano di non essere in grado di offrire una maggiore attenzione alla qualità dell’offerta formativa. Leggibilità dell’offerta formativa. L’unica certezza è ciò di cui la legge non si occupa, infatti la Legge 240/210 non ha abolito i Corsi di laurea, non ne parla nemmeno. L’insegnamento è dunque l’unica cosa certa e dovrebbe costituire, se ci fosse ancora un minimo di saggezza, l’elemento da cui partire per ridare un senso all’intera costruzione accademica. Al contrario, un’ingegneria organizzativa imposta senza riflessione (e sperimentazione) rischia di travolgere proprio l’offerta formativa (e con essa le aspettative e la residua capacità di discernimento delle famiglie). Nella totale incoscienza di studenti e docenti, di amministratori e politici, la struttura dell’offerta formativa superiore in Sardegna rischia di subire profonde modificazioni senza che si espliciti un ragionamento politico e un programma culturale e scientifico. I tempo dei baroni non è finito. Per quanto riguarda, la moralizzazione del reclutamento, altro obiettivo presunto della Gelmini, le nuove regole, finiscono per blindare il localismo delle università. I dipartimenti potranno reclutare i nuovi ricercatori (a tempo determinato) sulla base di selezioni nelle quali gli interessi locali non saranno più contrastati dall’esistenza di commissioni nazionali. D’altronde, il localismo è imposto dagli stessi vincoli di bilancio, alle università “conviene” che un proprio ricercatore diventi associato piuttosto che reclutare personale esterno (che “costerebbe” di più). Sul reclutamento occorre fare un ragionamento di interesse generale ed uscire dalla separatezza tra i due atenei regionali. Il modello didattico-pedagogico. Il problema centrale è l’insegnamento, la didattica universitaria, l’organizzazione dei corsi, la valutazione. È il medesimo problema che individuò Antonio Gramscinel primo dei Quaderni dal Carcere. Oggi, come ai tempi della denuncia di Gramsci, il modello di insegnamento prevalente è quello della lezione-conferenza. Non funzionava allora, non funziona adesso. Su questo modello si fonda tutto l’arbitrio professorale, così come quello studentesco (che si traduce in passività e assenza). La valutazione degli studenti negli esami non è mai, allo stato attuale, una questione che riguarda i corsi di laurea, è una questione privata del docente. Ancora oggi, molti difendono la forma di esame in cui l’arbitrio professorale si manifesta con maggiore violenza: l’esame orale. I corsi di laurea non sono il luogo della responsabilità e della programmazione collettiva, né sono un luogo di discussione e riflessione sugli obiettivi di formazione, sui processi di valutazione e sul curriculum La centralità dello studente. Il punto di partenza dovrebbe essere una reale riorganizzazione degli studi e della vita universitaria. Ma questa riforma non interessa nessuno. Non interessa i professori che possono considerare la funzione di ricerca come una sine cura (anche quelli la cui ricerca non ha alcun reale interesse per la loro disciplina e per la società) e non interessa gli studenti, che agiscono in modo opportunistico in un sistema dove per laurearsi è sufficiente sopravvivere. Una effettiva e concreta riorganizzazione della vita universitaria dovrebbe partire dallo statuto dello studente: in particolare la definizione degli obblighi di presenza, di valutazione, e le forme dell’inquadramento. Collegare il livello macro e quello micro. Un processo riformista sano dovrebbe coniugare il livello macro e quello micro del cambiamento. Per intervenire sul livello “macro” ci sarebbe bisogno di una classe dirigente in grado di elaborare un progetto, per il livello micro ci vorrebbero intellettuali all’altezza dei compiti loro affidati dalla società. Intervenire al livello macro significa definire un obiettivo strategico regionale. Al contrario, tutti gli attori istituzionali si concentrano sul livello intermedio, quello nel quale abitualmente si gioca la dimensione del potere accademico per il controllo delle risorse universitarie. Ciononostante, l’università ci sta provando, lo sforzo è insufficiente, ma ci sta provando. La politica purtroppo, a tutti i livelli, è assente. L’Università della Sardegna. Il rettore dell’università di Sassari, Attilio Mastino in un recente articolo (La Nuova Sardegna, 4 aprile 2011) invoca la necessità di costruire delle "sinergie" tra i due atenei. In realtà, questa è una posizione di retroguardia che mira al mantenimento dell'attuale dualismo. La politica del governo Berlusconi rischia di accelerare la decadenza delle due università sarde e soprattutto la marginalizzazione dell'ateneo sassarese. Per evitare questo processo, occorre ripensare l'intero sistema regionale di istruzione superiore e di ricerca. Certamente i rettori delle due università sarde non sono "portati" a farlo spontaneamente. Occorre l'azione di una Politica capace di darsi obiettivi strategici generali. Innanzitutto, il superamento dell'attuale forma di dialogo tra i due atenei. Dobbiamo pensare a una "Università della Sardegna" che inglobi anche "Sardegna Ricerche" e che costituisca un governo unitario del sistema regionale di istruzione superiore e di ricerca. In questo progetto, i due atenei storici, devono poter conservare la propria individualità e autonomia ma nello stesso tempo occorre superare per sempre l'attuale modello campanilistico. L'università della Sardegna potrebbe consentire la realizzazione di corsi universitari anche in altre realtà urbane, superando il vecchio modello della gemmazione ma costruendo una università sarda reticolare e potrebbe consentire di programmare lo stesso reclutamento dei ricercatori e dei docenti in una dimensione di sistema. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 mag. ’11 ALMALAUREA: LAUREA E LAVORO SONO PIÙ VICINI Gianni Trovati IL LEGAME Gli studenti-lavoratori che arrivano al titolo sono 1110% del totale In crescita i periodi di studio effettuati all'estero MILANO Quasi dieci laureati ogni 100 nel 2010 sono arrivati al titolo dopo aver lavorato in modo stabile nel corso degli studi universitari. Il dato, contenuto nella nuova indagine annuale sul «Profilo dei laureati» diffusa ieri da AlmaLaurea (il consorzio che riunisce ormai 62 atenei italiani), mostra che uno degli obiettivi-chiave nelle riforme universitarie può essere considerato raggiunto: il legame fra studi universitari e mondo del lavoro si fanno sempre più stretti. Non è solo l'aumento degli studenti-lavoratori, target cruciale negli ordinamenti del «3+2», a disegnare questa tendenza. Crescono ancora a ritmi importanti anche gli stage e i tirocini durante il corso di studi, che hanno riguardato il 57% dei laureati 2010 (nel 2004, per fare un confronto, solo 20 studenti ogni Zoo potevano vantare un'esperienza in azienda prima di discutere la tesi). La media è alzata dalle facoltà di agraria, che assicurano stage e tirocini al 92% dei loro laureati, dai corsi del gruppo «insegnamento» e da quelli dedicati alle professioni sanitarie, ma la diffusione di esperienze formative sul campo .è (quasi) a tutto campo: ne hanno una in curriculum anche i148% dei laureati di area economico-statistica, e anche giurisprudenza arriva ormai a quota 31 per cento. Il risultato, grazie anche alla crescita di periodi di studio all'estero, sono curriculum più "raffinati": la conoscenza «buona» o «ottima» dell'inglese scritto e parlato è aumentata dell'8% fra 2004 e 2010, e la capacità dei neolaureati di utilizzare applicativi telematici professionali è salita in media del 13% (ovviamente anche grazie alla maggiore diffusione dei Pc). Tutto bene, allora? No. Nel ventaglio dei numeri messi in fila dall'indagine AlmaLaurea emerge anche più di uno spunto preoccupante, a partire dallo scarso richiamo che gli studi universitari sembrano esercitare su chi ha appena ottenuto il diploma. Le immatricolazioni fra 2004 e 2010 si sono ridotte del 13%, ma la parabola non si spiega solo con il calo della curva demografica: l'anno scorso i134,3% dei neodiplomati non si è presentato all'ufficio matricola delle università, mentre sette anni fa la stessa scelta era stata compiuta dal 26,5 per cento. «Queste tendenze - sottolinea Andrea Cammelli, presidente di AlmaLaurea - aggravano il ritardo dell'Italia nel contesto internazionale; da noi solo uno su cinque fra i giovani di 25-34 anni è laureato, mentre nella media Ocse si è ormai al 35 per cento». Su questa «fortuna» declinante degli studi universitari può pesare anche la crisi economica, che colpisce l'investimento in istruzione da parte delle famiglie; è un fattore alla base anche della distribuzione degli studenti, che ormai nel 51% dei casi si laureano senza cambiare la provincia di residenza. Una scelta che taglia i costi, ma che certo non aiuta l'ampliamento di prospettive che di solito dovrebbe accompagnare gli studi universitari. _____________________________________________________ Corriere della Sera 28 mag. ’11 UNIVERSITÀ, FUORI SEDE IN CALO LA LAUREA SI PRENDE SOTTO CASA La causa: i costi elevati. Più della metà fa uno stage ROMA— Sono bravi i laureati italiani, «migliori di quelli pre riforma» , sono più giovani, non stanno a lungo fuori corso anzi si laureano in tempo, prendono una buona votazione finale, anche vicinissima al massimo, e fanno più stage. Ma si muovono poco verso l’estero, si confrontano poco, e si laureano «sotto casa» per i costi troppo elevati che le famiglie dovrebbero sostenere per mandarli a studiare in un’altra città. In compenso, una volta laureati sono costretti a emigrare, non solo da Sud a Nord ma anche Oltralpe, perché non trovano un’adeguata collocazione. Offre luci e ombre il tredicesimo rapporto curato da Almalaurea. I passi in avanti si vanno consolidando, il tutto però con notevoli differenze tra aree disciplinari. Primo punto: non è vero che i laureati italiani sono troppi. Sono invece sempre pochi e anzi negli ultimi 7 anni c’è stata una diminuzione del 13%. Siamo al 20%di laureati nella fascia 25-34 anni, assai al di sotto dell’obiettivo strategico europeo del 40%. La Germania è al 24, il Regno Unito al 38 e la Francia al 41%. A lievitare, più che i laureati sono stati i titoli universitari, passati dai 172 mila del 2001 ai 293 mila del 2009. La qualità dell’insegnamento è cresciuta: la regolarità nel concludere per tempo gli anni di studio è più che raddoppiata. Il 67%dei laureati delle professioni sanitarie e il 39%del chimico farmaceutico ed economico statistico si laurea nei tre anni. All’estremo opposto ci sono i laureati del gruppo giuridico (14%) e di quello agrario (28%). I laureati pre riforma conseguivano il titolo a 27,8 anni contro i 26,9 anni del 2010. I più giovani a concludere gli studi sono quelli del gruppo linguistico (24,6 anni), geobiologico e ingegneristico (entrambi a 24,7 anni) mentre l’età più elevata si riscontra tra i laureati del gruppo insegnamenti (28,5 anni) e giuridico (29,2). La votazione finale, pur con ampie diversità, si assesta al 103 su 110 e raggiunge valori vicini al massimo tra i corsi specialistici (108,1 su 110). Aumenta anche la frequenza alle lezioni: 68 studenti su cento frequentano i corsi di almeno tre quarti degli insegnamenti. Le esperienze di lavoro, i tirocini formativi e gli stage aumentano (57 laureati su cento). «L'università ha bisogno di un convinto supporto finanziario da parte del governo, di adeguati servizi agli studenti e infrastrutture della ricerca— ha commentato il presidente della Conferenza dei rettori (Crui), Marco Mancini —. Dal rapporto emerge un dato di sedentarietà interna ed esterna preoccupante. C’è poca mobilità degli studenti e quindi scarso confronto. Il diritto allo studio necessita di un segnale più forte» . Mariolina Iossa _____________________________________________________ Corriere della Sera 28 mag. ’11 STUDENTI PIGRI CONTRO AVVENTUROSI ECCO PERCHÉ SPARISCONO I FUORISEDE Secondo un’indagine realizzata da Almalaurea e presentata ieri al convegno «Qualità e valutazione del sistema universitario» presso l’Ateneo di Sassari, sono sempre di più gli studenti che preferiscono laurearsi sotto casa, cioè nella provincia dove risiedono: nel 2010 sono risultati il 51 per cento, due punti in più rispetto al 2004. Mentre in parallelo aumentano i giovani che valicano le Alpi o vanno al di là dell’Oceano, nel desiderio di dare uno sbocco lavorativo ai propri studi o di una ricerca successiva. È un andamento che divide gli studenti in due categorie: quelli che reclamano per la mancanza di strutture di accoglienza nei grandi centri urbani e quelli che preferiscono investire per la propria formazione. In realtà la contrapposizione è tra giovani pigri e invece avventurosi. Non è affatto detto che nei capoluoghi (Roma, Milano e Torino) e in centri di alta tradizione culturale (Pisa, Pavia e Padova) non ci siano soluzioni uguali a quelle delle capitali europee. L’indagine offre altri dati positivi sul rapporto con i docenti e le strutture didattiche nelle sedi periferiche, ma non sfiora neppure per un attimo le ragioni per cui sono venute a creare queste situazioni. Per motivi politici chiaramente campanilistici quasi ogni provincia italiana ha almeno una facoltà universitaria che è nata come un’estensione di quella del capoluogo e che poi si è resa autonoma. In queste facoltà sono andati (salvo casi straordinari) professori mediocri che si sono presto circondati di loro pari, creando scuole cordiali ma scadenti, apprezzate comunque da studenti ignari di altre situazioni. Purtroppo posso portare un esperienza personale: ho chiuso precocemente la mia vita universitaria a Vercelli, dopo aver insegnato per trent’anni a Torino. L’ho chiusa per disperazione, per la pochezza dei miei colleghi ma anche per la qualità degli studenti: farli muovere da Vercelli, rendere a loro familiari, per esempio, le biblioteche di Torino o Milano è stata un’impresa impossibile. Ho finito per non dare tesi di laurea: il che significa rinunciare a un vero lavoro universitario. Giorgio De Rienzo __________________________________________________________________ Avvenire 28 mag. ’11 ALMALAUREA: SPESE ALTE, LE UNIVERSITÀ PERDONO MATRICOLE AlmaLaurea: negli ultimi sette anni le iscrizioni sono calate del 13%, anche perché le famiglie non reggono più i costi DA MILANO PAOLO FERRARIO Le università italiane perdono matricole anche a causa dei costi elevati che, complice la crisi e l'assenza di un'adeguata politica per il diritto allo studio, le Famiglie non sono più in grado di sostenere. Lo rivela il 13esimo Profilo dei laureati italiani, presentato ieri all'Università di Sassari da AlmaLaurea. La ricerca ha coinvolto 191.358 laureati usciti dalle università nel 2010 (110.257 con laurea di primo livello, 53.180 con laurea specialistica/magistrale e 15.291 con laurea a ciclo unico) in uno dei 56 Atenei aderenti da almeno un anno ad AlmaLaurea. Negli ultimi sette anni, si legge nel Profilo, le immatricolazioni sono calate del 13%, una riduzione, spiegano ad Alma- Laurea, dovuta all'effetto combinato di molti fattori: il calo demografico, il minor passaggio dalla scuola superiore all'università (dal 74,5% dei diplomati del 2002 al 65,7%de12009) e il ridotto interessamento dei 19enni per gli studi universitari (solo 1131% di loro vi si iscrive). Una parte importante di responsabilità ce n'aiuto, come detto, anche i costi, diretti e indiretti, dell'istruzione universitaria, spese che le famiglie italiane fanno sempre più fatica a sostenere. Questo comporta anche un freno alla mobilità degli studenti; nel 2010 il 51% dei giovani si è laureato in un ateneo operante nella provincia di residenza. Il calo delle immatricolazioni e le difficoltà crescenti delle famiglie non contribuiscono certo a togliere l'Italia dalle ultime posizioni delle classifiche internazionali. Mentre da noi soltanto il 20% dei 25-34enni è laureato, la media dei Paesi Oc- se è pari al 35% (i124% in Germania, i138% nel Regno Unito, il 41% in Francia, il 42% negli Stati Uniti, il 55%in Giappone). Anche l'obiettivo strategico del 40% della popolazione di 3034 anni laureata, che la Commissione Europea ha individuato come meta da raggiungere entro il 2020, (obiettivo già raggiunto da quasi la metà de gli Stati dell'Unione Europea), per il nostro Paese risulta ancora lontano, denuncia sempre AlmaLaurea. E non basta. Nella fascia di età 30- 34 anni, strategica per realizzare la società della conoscenza e per competere a livello internazionale, fra il 2004 e il 2009 la presenza di laureati in Italia è cresciuta solo dal 16 al 19%. Fortunatamente, nel Profilo di AlmaLaurea non mancano le note positive e riguardano il confronto tra i laureati pre e post riforma del 2004. I laureati re- riforma conseguivano il titolo a 27,8 anni contro i 26,9 anni relativi al complesso dei laureati 2010. Un valore che migliora al netto del ritardo all'immatricolazione: per il complesso dei laureati, l'età alla laurea passa da 26,9 a 24,9 anni. La regolarità nel concludere gli studi negli anni previsti dagli ordinamenti, che era a livelli ridottissimi anche ha i laureati pre- riforma nel 2004 (15 lau-reati su cento), si è più che raddoppiata ed è raggiunta oggi, complessivamente, da 39 laureati su cento (sino al 47,5% tra i laureati di secondo livello). Infine, la votazione finale, sia pure molto diversificata anche nell'ambito dei medesimi corsi, rimane sostanzialmente immutata nei suoi valori complessivi (103 su 110 nel 2010) e raggiunge valori prossimi al massimo fra i corsi specialistici (108,1 sii 110). _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 mag. ’11 ALMALAUREA: LA METÀ DEGLI STUDENTI INSODDISFATTA DELLE SCELTE Identikit post-diploma AlmaLaurea punta sul profilo attitudinale per contrastare la dispersione universitaria LARA GARGANO SASSARI. Su cento studenti a un passo dal diploma ben 47 cambierebbero corso di studi superiori se potessero tornare indietro: un segnale di incertezza confermato dal tasso di abbandono dell’Università, che oscilla fra il 20 e il 30 per cento degli iscritti al primo anno. La performance deludente degli studenti sassaresi esige risposte: per orientare i diplomandi alle soglie dell’Università, AlmaLaurea e AlmaDiploma sono scese in campo con il progetto di sperimentazione Adao: un metodo per offrire ai ragazzi del territorio un profilo attitudinale, cui hanno collaborato la Provincia, l’Università di Sassari e l’Ufficio Scolastico Regionale. A fare il punto sono stati il direttore del consorzio interuniversitario AlmaLaurea, Andrea Cammelli, con la sua équipe, e il direttore dell’associazione degli istituti secondari, AlmaDiploma, intervenuti al convegno nazionale AlmaDiploma, svoltosi ieri nell’aula magna dell’ateneo. All’incontro sono state presentate le condizioni occupazionali e formative dei diplomati del 2009 e del 2007 di nove regioni italiane, a un anno e tre anni dalla maturità. Ma il pezzo forte del convegno è stato il percorso orientativo che ha coinvolto 26 istituti del Sassarere: un progetto avviato a marzo, rivolto a 2.354 studenti alla vigilia della maturità, che ha messo a disposizione di ciascuno un profilo individuale su attitudini formative e professionali: «Uno strumento per determinare il loro futuro con maggiore consapevolezza, evitando il rischio della dispersione universitaria con le ricadute economiche che ne derivano», ha precisato Cammelli. Su cento ragazzi sassaresi vicini al diploma, ben 47 si dicono insoddisfatti del corso di studi scelto: un numero preoccupante, in linea col trend nazionale, che interessa il 45,5 per cento degli iscritti agli indirizzi professionali, il 36 per cento degli allievi degli istituti tecnici e il 51 per cento dei liceali. Un dato sintomatico di difficoltà di orientamento che dalle scuole superiori si trascinano fino all’università. Di qui l’esigenza di offrire al ragazzo un set informativo a tutto tondo sulle sue inclinazioni. Il profilo, costruitogli su misura da docenti qualificati ed esperti, si articola in quattro sezioni: la prima, risultante dal questionario AlmaDiploma, mette in luce i punti di forza di ciascuno e la sua percezione del corso di studi superiori appena concluso. La seconda, col percorso AlmaOrientati, fornisce indicazioni a quanti vogliano proseguire gli studi. La terza chiede di dare un voto alle 29 materie presenti nell’offerta formativa universitaria, e restiuisce una scala di corsi di laura ordinata in base alle preferenze espresse. La quinta sezione, invece, sonda quali sono gli aspetti del lavoro ritenuti rilevanti dal ragazzo e li mette a confronto con quelli indicati da laureati che a cinque anni dalla maturità già lavorano. Al diplomando viene così restituito il percorso formativo del predecessore modello che ha dato le sue stesse preferenze. Il convegno è stato la seconda tappa di una tre giorni, iniziata a Cagliari con l’incontro tra i rappresentanti di AlmaLaurea e AlmaDiploma e le imprese, e che prosegue oggi nell’auditorium di Porto Conte Ricerche. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 26 mag. ’11 ALMALUAREA: LAUREA, UTILE “PEZZO DI CARTA” Dopo tre anni ha un'occupazione il 65,9% dei giovani Studio di Alma Laurea: il 38,3% dei neo dottori ha un lavoro stabile dopo un anno I genitori lo dicono sempre ai loro figli: «La laurea non è un pezzo di carta». A dar loro ragione arriva uno studio del consorzio Alma Laurea che riunisce 62 università e, da 17 anni, raccoglie i curricula dei laureati. I numeri non lasciano adito a dubbi: una laurea da maggiori possibilità di lavoro. Addirittura, a un anno dal conseguimento del titolo di studio, il 30,4% dei dottori cagliaritani ha trovato un lavoro a tempo indeterminato. Nell'elenco di chi ha trovato una sistemazione stabile va inserito anche il 9% che fa un lavoro autonomo. Sistemazioni atipiche, invece, sono il contratto a tempo determinato (18,4%), i collaboratori o consulenti (15,8%) e altre collocazioni atipiche (12,5%). Il resto della “torta” è formato da chi è senza contratto (12,5%) e chi segue un percorso di inserimento (2,1%). LA FOTOGRAFIA La laurea, dunque, serve. Lo dimostra un altro dato: se a un anno dall'ottenimento del titolo di studio, lavora il 38,3% dei laureati, la percentuale sale al 65,9% nei tre anni. Un dato incoraggiante. Anche se i cagliaritani sono meno fortunati degli altri giovani analizzati da Alma Laurea: la percentuale nazionale di impiego a un anno è del 55,7% mentre a 3 è del 75,4%. Non che trovare lavoro significa stare bene economicamente: dopo un anno dalla laurea, il guadagno medico è di 895 euro al mese per le donne e di 1.075 per gli uomini (970 la media); in questo caso, però, le cifre sono quasi identiche rispetto a quelle nazionali. LE FACOLTÀ Laurearsi, dunque, serve. Ma in quale facoltà? Quella che sembra dare maggiori possibilità è medicina: dopo un anno, il 68,6% dei dottori lavora mentre il 7,1%, oltre a essere impiegato, segue la specialistica. Percentuali più basse per Scienze della formazione (16,3% più 24,2%), Farmacia (lavora il 36,4%, un terzo è iscritto alla specialistica, un altro terzo cerca lavoro), Economia (17,2% più 16,3%), Lingue (21,3% più 7,1%), Lettere (16,1% più 12,1%), Scienze naturali (15,1% più 8,1%). Nei gradini più bassi, a parte Architettura, facoltà aperta solo di recente (il 9,4% lavora e segue la specializzazione), a sorpresa ci sono Ingegneria (13,6% di occupati più 9% di lavoratori che seguono la specialistica) e Giurisprudenza (11,2% più 9,6%). IL RETTORE I dati sono stati presentati ieri nel corso di un convegno nell'aula magna della facoltà di Ingegneria: c'erano, oltre all'assessore regionale al Bilancio Giorgio La Spisa («La Regione», ha detto, «è in controtendenza rispetto alle altre perché aumenta gli accantonamenti per le due università sarde»), il direttore di Alma Laurea Andrea Cammelli. Non poteva mancare il rettore dell'ateneo Giovanni Melis. Il quale gongola per i numeri proposti dal consorzio. «I dati», afferma, «dimostrano che un'adeguata preparazione dà maggiori possibilità di migliorare le proprie possibilità di inserimento nel mondo del lavoro». E consente anche quell'elevamento sociali inseguito da tante famiglie. «Nonostante le difficoltà e i tagli, l'università consente a tanti giovani che provengono da famiglie non abbienti di crescere». Solo 18,4% dei laureati cagliaritani proviene da un nucleo con almeno un genitore laureato. Gli studi superiori servono. E, tutto sommato, vale la pena anche di studiare a Cagliari: l'ateneo, spiega il rettore, è in crescita. Tra le 75 università italiane, quella del capoluogo sardo occupava il 24° posto; adesso è salita al 21°. Marcello Cocco _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 26 mag. ’11 ALMALAUREA: CONTRO LA DISOCCUPAZIONE UNA LAUREA È MEGLIO Melis: «La Regione fa bene a investire in cultura per fronteggiare la crisi del nostro sistema» La retribuzione dei laureati più alta dei soli diplomati Convegno. I dati dell’università sull’occupazione e sulla crescita sociale delle famiglie, dimostrano la validità dell’alta formazione CAGLIARI. Una laurea serve: per trovare lavoro più facilmente, per trovarlo più in fretta, per guadagnare un po’ di più. Ma serve anche al sistema Paese. Si conferma che l’alta formazione è una delle poche, vere scappatoie alla crisi. L’università di Cagliari assieme al consorzio Almalaurea ha lavorato per rispondere a una domanda: ma laurearsi serve? Una serie di dati li ha presentati in occasione della Settimana dell’Orientamento, una manifestazione irrinunciabile perché richiama gli studenti superiori di tutta l’isola che vengono di persona e trovano facoltà aperte, docenti e studenti tutor pronti a spiegare tutto sulle diverse discipline. Ma siccome l’argomento del «cosa fare dopo l’università» è importante nelle scelte dei giovani e delle famiglie, ecco che l’ateneo ha ricavato dati dai documenti in suo possesso e dalle statistiche, li ha incrociati e ha ottenuto una serie di indicatori che i giovani e le loro famiglie devono conoscere. Per questo ieri su quei dati è stato organizzato un convegno che si è tenuto all’aula magna della facoltà di Ingegneria e nelle slide è comparsa la storia di un futuro possibile per i giovani sardi. Dunque, «l’alta formazione del capitale umano aiuta a uscire dalla crisi», ha sintetizzato il rettore, Giovanni Melis. «Le regioni italiane più deboli sono le più colpite dalla crisi che sta attraverso l’occupazione a livello nazionale, in questo quadro l’università di Cagliari continua a esercitare il suo ruolo nella formazione dei giovani sardi, rappresentando lo strumento decisivo per trovare con meno difficoltà un’occupazione». Su scala nazionale il tasso di occupazione aumenta sensibilmente con il conseguimento del diploma di laurea (77 per cento di laureati, contro il 66 per cento di diplomati) mentre il tasso di disoccupazione dei laureati ad un anno dalla laurea si ferma al 16 per cento. A tre anni dalla laurea, il 65,9 per cento di coloro che hanno conseguito a Cagliari la laurea specialistica ha un’occupazione. La laurea incide anche sulla retribuzione: nella popolazione tra i 25 e i 64 anni, il paragone fra i dati dei diplomati e i lavori dei laureati rivela che gli stipendi dei secondi risultano essere in media più alti del 50 per cento. La laurea è un «ascensore sociale»: solo il 18,4 per cento dei laureati di Cagliari nel 2010 proviene da nuclei con almeno un genitore laureato. Infine, Melis: «L’investimento della Regione in cultura e formazione aiuta a fronteggiare la crisi». I TEMPI DI ATTESA DEI NEO DOTTORI Lavoro in tre anni e per alcune facoltà anche dopo uno solo Farmacia, Ingegneria Scienza formazione: numeri interessanti CAGLIARI. Il tasso di occupazione a tre anni dalla laurea è in media dell’81 per cento al Sud e del 91 per cento al Nord. Guardando all’università di Cagliari, il 76 per cento dei laureati in Farmacia è al lavoro dopo tre anni, il 76 per centi dei laureati in Ingegneria, mentre solo il 23 per cento dei giovani medici lavora, ma il dato basso si spiega col fatto che i neodottori in Medicina non cercano lavoro perché si iscrivono subito alle scuole di specializzazione. I farmacisti trovano lavoro molto bene già a un anno dalla laurea, Ingegneria al 39 per cento, il 50 per cento di Scienze della formazione. Sempre valutando i tre anni: il 72 per cento dei laureati in Economia ha un’occupazione, il 71 per cento di Scienze della formazione, molto meno per Giurisprudenza (34 per cento) ma per lo stesso motivo di Medicina: i giovani dottori non cercano lavoro a tre anni perché sono ancora in formazione post laurea __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 24 mag. ’11 SPESA IN RICERCA ALL'1,23%: MEDIA UE ANCORA LONTANA – Peggiore la Sardegna Il target fissato da Europa 2020 è a quota 3% ROMA L'Italia si colloca attualmente a metà classifica fra i paesi Ue con l'1,23% di spesa in ricerca e sviluppo (la media Ue è attualmente pari all'1,92%) anche se la crescita negli ultimi tre anni segnala una tendenza positiva di poco inferiore a quella della Germania e superiore a quella di Francia e Regno Unito. Lo segnala il rapporto dell'Istat che dedica un intero capitolo ad esaminare il posizionamento italiano in rapporto alla strategia Europa 2020, quella che sostituisce la strategia di Lisbona nel delineare le grandi direttrici politiche per stimolare lo sviluppo e l'occupazione nella Ue. Per la ricerca, l'obiettivo di Europa 2020 è pari al 3% anche se l'Italia fissa l'obiettivo a poco più della metà (1,53%). Il rapporto Istat osserva inoltre che inter- mini di composizione non sembra lontano il traguardo della spesa in R&S a carico delle imprese, mentre il distacco dai partner europei è in progressiva riduzione, grazie a un tasso medio annuo di crescita (in termini nominali) del 7,9 per cento. Intesta, fra le regioni, si collocano Piemonte e Lazio: al Sud, invece, ci sono regioni che hanno visto decrescere nel tempo le risorse dedicate (Basilicata e Sardegna) mentre in Calabria c'è una tendenza all'incremento e in crescita, seppure in misura minore, appaiono anche Campania Il vero problema da risolvere, però, sembra connaturato alla struttura industriale del paese, che poggia sulle imprese di piccole e medie dimensioni, mentre la spesa in R&S si concentra in particolar modo sulle imprese grandi(le aziende con 500 o più addetti assorbono da sole quasi il 72 per cento della spesa). L'Istat ha elaborato un'analisi secondo la quale se l'Italia disponesse di una struttura industriale analoga a quella della Germania, a parità di scelte e di comportamenti messi in atto dalle imprese la spesa in R&S italiana si moltiplicherebbe di 2,6 volte. Un problema molto serio riguarda invece un altro target di Europa 2o2o, quello degli abbandoni scolastici: entro nove armi, infatti, gli abbandoni scolastici prematuri dovrebbero essere limitati al di sotto del lo per cento. Purtroppo in Italia questo fenomeno resta piuttosto consistente : nel 2010 la media dei ragazzi in età compresa fra i 20 e i 24 anni che hanno abbandonato gli studi senza conseguire un diploma di scuola media superiore è pari al18% ed è particolarmente elevato fra i ragazzi (22,0% contro il 15,4% delle ragazze). Sotto il profilo territoriale è molto grave la situazione in Sicilia, dove più di un quarto dei giovani lascia la scuola con al più la licenza media. L'obiettivo fissato dal Pnr pari al15-16%, osserva il rapporto, «non appare particolarmente ambizioso e non consente un avvicinamento deciso rispetto agli obiettivi comunitari». __________________________________________________________________ Roma 24 mag. ’11 ULTIMI IN ITALIA PER UNIVERSITÀ E SCUOLA ROMA. Le immatricolazioni universitarie in Italia continuano a calare, ma le differenze sono sostanziali da Nord a Sud. La peggiore situazione è quella del Mezzogiorno, particolarmente in: Campania, Puglia e Sicilia, anche Veneto e Friuli-Venezia Giulia si collocano al di sotto della media nazionale, mentre la situazione migliore si registra con le regioni del centro: in Umbria, Marche e Lazio più di un giovane su quattro è laureato. Lo mette in evidenza il Rapporto annuale Istat 2011. Secondo la Strategia Europa 2020 il 40% dei 30-34enni deve avere un'istruzione universitaria o equivalente. La media Ue è pari al 32,2% e dieci paesi (tra i quali Francia e Regno Unito) hanno già superato il livello atteso. Il Piano nazionale delle riforme fissa l'obiettivo per l'Italia tra il 26 e il 27%, con un incremento atteso di circa 7 punti percentuali rispetto al valore attuale (19,8%), in linea con la tendenza media degli ultimi 6 anni. Le differenze di genere appaiono consistenti a favore delle donne (24,2% di laureate a fronte del 15,5% cento dei coetanei 30-34enni) e anche la tendenza premia la componente femminile, con incrementi medi di poco inferiori al punto percentuale annuo (più del doppio della corrispondente tendenza per gli uomini). Per quanto riguarda gli abbandoni scolastici prematuri, continuano a essere una spina nel fianco del sistema scolastico italiano. Nel 2010 la percentuale di chi ha lasciato gli studi senza conseguire un diploma di scuola superiore si è attestata al 18,8%, ben lontano dalla soglia del 10% indicata nella Strategia Europa 2020, e a fronte di una media europea del 14,4%. Percentuali superiori al 23% si registrano in Campania, Sardegna e Puglia, particolarmente grave la situazione della Sicilia, dove più di un quarto dei giovani lascia la scuola con al più la licenza media. Più in linea con il traguardo europeo del 2020 appare il Nord-est, con un tasso di abbandono scolastico intorno al 12% nella provincia autonoma di Trento e in Friuli- Venezia Giulia. In Italia, dove è occupata meno della metà dei giovani che hanno lasciato precocemente gli studi, a un tasso di abbandono femminile più contenuto (16,3%) non corrispondono maggiori chances di occupazione: risulta occupato il 31,9% delle giovani donne che hanno abbandonato gli studi contro tassi di abbandono e di occupazione tra i maschi rispettivamente del 22 e 56,8%. La tendenza alla riduzione degli abbandoni, più incisiva fino al 2007, mostra negli anni recenti un andamento stagnante. Le regioni del Mezzogiorno, pur partendo dai livelli più elevati, sono quelle che mostrano la maggiore contrazione del fenomeno. Il sistema tuttavia - si fa notare nel Rapporto - offre ampie opportunità legate alla prosecuzione degli studi: dai dati dell'indagine Excelsior nel periodo compreso fra l'anno scolastico 2004-05 e quello 2007-08 il numero di diplomati degli istituti tecnici italiani si è ridotto da 181.099 a 163.915, con un gap rispetto alla domanda potenziale da un minimo di circa 24 mila unità (nel 2005) a un massimo di oltre 127 mila diplomati tecnici (nel 2007). __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 mag. ’11 COMMISSARIO PER GLI ATENEI IN DEFAULT Piani di rientro e commissariamento per gli atenei in default. Lo prevede la bozza di decreto legislativo sul dissesto finanziario delle università che ha superato ieri l'esame del preconsiglio dei ministri e sarà mercoledì prossimo sul tavolo di Palazzo Chigi per il via libera preliminare Il provvedimento - che dà attuazione alla delega contenuta nell'articolo 5, comma i, lettera b) della riforma Gelmini (legge 240/2010) - fissa innanzitutto i presupposti per arrivare alla dichiarazione di dissesto: incapacità di svolgere le proprie funzioni indispensabili; impossibilità di far fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi. A emetterla sarà il consiglio di amministrazione con una delibera che andrà trasmessa entro cinque giorni al ministero dell'Istruzione e pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale». Nei 3o giorni successivi il Miur emanerà una diffida a realizzare un piano di rientro di durata triennale che dovrà indicare, tra l'altro, massa passiva, debiti esclusi dalla procedura, entrate con cui finanziare il piano, possibili costi operativi e tempi previsti per il rientro. Tutti elementi su cui il dicastero è chiamato a vigilare. Qualora in sede di verifica annuale l'attuazione del piano risultasse «in tutto o in parte compromessa», su proposta dell'Istruzione, il Consiglio dei ministri potrebbe nominare uno o tre commissari (a seconda delle dimensioni dell'ateneo) che non potranno restare in carica per più di un quinquennio. Fino all'emanazione del decreto ministeriale di chiusura della procedura. __________________________________________________________________ Italia Oggi 25 mag. ’11 LINEA DURA SUGLI ATENEI IN ROSSO Al prossimo consiglio dei ministri lo schema di decreto legislativo con le procedure di rientro Commissariamento per le università senza soldi in cassa DI BENEDETTA PACELLI E LUIGI CHIARELLO Lo spauracchio del commissariamento per gli atenei con i conti in rosso diventa realtà. La rivoluzione nella gestione delle entrate e delle uscite per le università italiane e il conseguente commissaria- mento in caso di dissesto finanziario è contenuta, infatti, nello schema di decreto legislativo, attuativo della riforma di settore (240/10), che dovrebbe approdare al consiglio dei ministri del prossimo 31 maggio. Il decreto, che estende all'ambito universitario le disposizioni sul commissariamento straordinario degli enti locali, mette nero su bianco tutti i presupposti di dissesto e le conseguenti modalità per commissariare gli atenei inadempienti. Ma quando è che ci sono le condizioni per il commissariamento? Quando, dopo aver accertato lo stato di dissesto le università non hanno predisposto il piano di rientro nei termini, oppure quando questo stesso spauracchio del commissariamento per gli atenei con i conti in rosso diventa realtà. La rivoluzione nella gestione delle entrate e delle uscite per le università italiane e il conseguente commissaria- mento in caso di dissesto finanziario è contenuta, infatti, nello schema di decreto legislativo, attuativo della riforma di settore (240/10), che dovrebbe approdare al consiglio dei ministri del prossimo 31 maggio. Il decreto, che estende all'ambito universitario le disposizioni sul commissariamento straordinario degli enti locali, mette nero su bianco tutti i presupposti di dissesto e le conseguenti modalità per commissariare gli atenei inadempienti. Ma quando è che ci sono le condizioni per il commissariamento? Quando, dopo aver accertato lo stato di dissesto le università non hanno predisposto il piano di rientro nei termini, oppure quando questo stesso piano non fosse stato approvato In base alla riforma Gelmini, le procedure d'emergenza per le università italiane potrebbero scattare nel momento in cui le università non dimostrino di avere quei fondi utili, in cassa, per saldare debiti «liquidi ed esigibili, nei confronti di terzi», o comunque se si accertasse un mancato «assolvimento delle proprie funzioni indispensabili». In questo caso, qualora fosse confermato lo stato di allarme, il ministero dell'università darà un massimo di 180 giorni all'ateneo per attuare un piano di rientro. Un piano, di durata triennale, che dovrà portare l'equilibrio nelle casse universitarie entro un periodo massimo di cinque anni. Questo dovrà individuare e quantificare debiti e spese, così come le entrate economiche e patrimoniali che potranno con-correre a finanziare il piano di rientro, «comprese le liquidazioni di beni valutati a valori di mercato». Ma non solo, perché nel piano dovranno essere indicate in maniera dettagliata le attività da intraprendere anno per anno e gli obiettivi annuali da raggiungere, parametrati a degli indicatori economico finanziari». Qualora però, nella verifica annuale, il piano si riveli un falli-mento o la sua realizzazione sia in parte compromessa, sarà compito del ministero dell'università designare uno specifico commissario. A lui sarà consentito di adottare tutti i provvedimenti necessari per riportare i bilanci in regola e quindi di stipulare contratti, alienare beni, acquisire risorse, riscuotere crediti. Il tutto avvalendosi delle strutture d'ateneo sia in termini di risorse umane sia strumentali. La durata del commissariamento non potrà essere superiore a cinque anni, durante í quali il funzionario è tenuto ad elaborare «annualmente una relazione sullo stato di avanzamento del piano» e di trasmetterla al consiglio di amministrazione in occasione dell'approvazione del bilancio di previsione. Sarà poi un decreto interministeriale università-economia emanato entro 60 giorni dal ricevimento della relazione a dichiarare chiuso il commissariamento. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 25 mag. ’11 GLI ATENEI D'EUROPA FANNO SISTEMA Istruzione. Da oggi a venerdì si riunisce a Padova il Coimbra group, per discutere le nuove sfide che dovrà affrontare la didattica Tra gli obiettivi dei prossimi anni il rilascio di titoli accademici congiunti e più mobilità di allievi e ricercatori Conviene fare la valigia e iscriversi a una delle università ultra specialistiche americane o cinesi? O fermarsi in uno degli atenei europei, culle di cultura e carichi di storia? Come affronteranno la sfida che parte dall'America e dall'Asia gli atenei di tradizione? Nella fase più difficile per i giovani italiani, laureati e non, già entrati nel mercato del lavoro o ancora sui banchi dell'università, la conferenza annuale delle università del gruppo di Coimbra si propone di dare una risposta alle domande che tanti studenti si pongono oggi. I trentanove atenei d'eccellenza del Coimbra group si riuniscono da oggi a venerdì 27 maggio all'università di Padova per proporre il loro contributo alla politica europea sui temi dell'istruzione superiore e della ricerca. All'incontro, ospitato nell'antica città universitaria, è stato dato il titolo "The mission of European universities in a globalized world”. È nella collaborazione internazionale che il network nato a Coimbra nel 1986 e di cui fanno parte prestigiosi atenei- da Bologna a Cambridge, da Heidelberg a Lovanio, da Oxford a Salonicco a Uppsala - ha individuato uno strumento per migliorare le proprie performance e contribuire alla costruzione di uno spazio europeo della formazione. Con iniziative come «il rilascio di titoli accademici congiunti, gli incentivi ai progetti di scambio, la partecipazione alle summer school e ai programmi di mobilità di studenti e ricercatori», spiega il rettore dell'università di Padova Giuseppe Zaccaria. Il lavori cominceranno oggi con incontri che interesseranno nell'ordine i paesi africani, caraibici e dell'area del Pacifico, poi i vicini orientali, l'impiegabilità e la carriera, la cultura, le arti e le scienze umane Il secondo giorno invece si entrerà nel merito della missione delle università europee nel mondo globalizzato con i contributi del sociologo Zygmunt Bauman, il ministro della scienza, della tecnologia e dell'istruzione del Portogallo José Mariano Gago, il rettore dell'università di Aarhus, il rettore dell'università di Poitiers, Jean Pierre Gesson, di Tartu Ulikool Alar Karis, della Georg August Universitat di Gottingen. Il panel di ospiti sarà chiamato a dare il loro contributo per affrontare una sfida importante, e cioè «offrire un livello qualitativo di eccellenza per la ricerca, la didattica e i servizi che lo ponga come riferimento durevole nel panorama accademico e culturale mondiale», dice Zaccaria. Per questo tra i temi che si affronteranno c'è «il potenziamento della ricerca, la conoscenza e l'innovazione come principali fattori di crescita sostenibile e creazione di nuovi posti di lavoro». Ma ci sarà anche un tema molto caro al rettore dell'università di Padova Zaccaria, e cioè il rapporto con il territorio. Il convegno sarà infatti anche l'occasione per «dimostrare la vicinanza tra il nostro ateneo e il suo territorio e per promuovere la collaborazione con il mondo economico e professionale per poter integrare sempre più il mondo della cultura e quello del lavoro». __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 mag. ’11 ATENEI FUCINE DI SOLUZIONI I centri ricerca. Il salto di qualità dall'interazione tra informatica, meccanica, elettronica e Tlc Dai veicoli intelligenti di Parma alle mani artificiali di Napoli e Bologna PAGINAACURADI Darla Vesentini IIEW «La novità è che mentre fino a qualche anno fa nelle università italiane si facevano progetti puramente teorici, oggi negli stessi progetti, anche di frontiera, le imprese sono sempre nostri partner. Perché la ricerca ha valore in quanto capace di tradursi in maggiore competività del sistema produttivo. E in questo i giapponesi hanno fatto scuola». Bruno Siciliano, professore di Controllo e robotica del Federico II di Napoli con il suo team del laboratorio Prisma (Progetti di robotica industriale e di servizio meccatronica e automazione) è un esemplo dell'eccellenza raggiunta dalla ricerca italiana nel settore. DaDexmart, la mano robotica con abilità di manipolazione e sensorie, ad Airobots, elicotteri con bracci meccanici e mani intelligenti - due progetti europei che Napoli sta sviluppando assieme all'Università di Bologna e ad altri partner Ue - passando dai veicoli autonomi di Parma e Torino o dai nasi elettronici di Brescia, i frutti della ricerca universitaria sono sempre più strategici per lo sviluppo della "fabbrica del futuro". «Il problema è il basso livello di finanziamenti nazionali, nonostante una comunità accademica apprezzata internazionalmente. Per fortuna ci sono le risorse comunitarie», sdrammatizza Siciliano, portando un dato esemplificativo della virtù italiana: noi riceviamo dall'Ue più di quanto versiamo (12% contro il 7%) all'interno dei fondi per la robotica del VII Programma quadro. Se la ricerca per l'automazione industriale è tradizionalmente sinonimo di robot per l'automotive (è del 1976 il Centro ricerche Fiat, il più grosso polo privato di innovazione nel settore), la contaminazione con gli studi sull'intelligenza artificiale ha portato poi a esplorare nuovi confini arrivando alla meccatronica e alla robotica avanzata - di esplorazione e di servizio - con applicazioni trasversali a tutta l'industria. E gli atenei si stanno ritagliando un ruolo di primissimo piano, mettendo a sistemale molteplici competenze interne e dialogando con le imprese del territorio, in linea con gli obiettivi dell'Ue, che coni progetti in corso Echord ed Eurobotics mira proprio a rafforzare la cooperazione tra scienza e industria per spingerne lo sviluppo e la comunicazione all'esterno. «Il salto di qualità-spiega Claudio Bonivento, docente di Automatica all'Università di Bologna e responsabile scientifico della unità operativa Automazione del nuovo Centro interdipartimentale di meccanica avanzata e materiali - è stato possibile grazie all'integrazione tra ingegneria dell'informazione (automatica, elettronica, informatica e Tlc) con la più tradizionale ingegneria industriale (meccanica ed elettrica)». Un'integrazione che determina di fatto il cammino futuro dei sistemi di automazione industriale e che si rispecchia nei temi chiave di Sps a Parma: manifattura sostenibile, flessibile, customizzata, ad alte prestazioni e bassi consumi, che utilizza nuovi materiali e nuovi modi di comunicare e interagire con autonomia grazie all'Ict. Bologna ha perciò sviluppato trasmissioni di potenza elettriche e ibride, algoritmi e prototipi per il controllo e la diagnostica dei malfunzionamenti, in sinergia con i poli automotive e del packaging della via Emilia. Catania si è focalizzata sulla sperimentazione industriale dei microsistemi e sui nanomems, in virtù delle game con StMicroelectronics all'interno dell'Etna valley, in una rete che coinvolge ateneo, Cnr, imprese. Sensori, nasi elettronici, sistemi integrati compatti in grado di recuperare informazioni dal contesto e trasmetterli con interfacce wireless sono filoni in cui eccelle l'Università di Brescia Il laboratorio di automazione industriale dell'ateneo di Cassino (Fr) lavora in parallelo con la locale sede Fiat e il suo indotto nel revanting (ossia l'ammodernamento) &processi e prodotti con tecniche mini invasive e su misura.11nuovo dipartimento di ingegneria informatica gestionale e dell'automazione del Politecnico di Ancona sta studiando veicoli automatici per usi industriali e civili, sistemi a visioni laser e interfacce uomo-macchina Bci (brain computer interface, per guidare i supporti esterni con segnali celebrali). Gran fermento sui processi continui e la factory automation orientata al consumatore (sistemi flessi' bili e modulari che autoapprendono, garantiscono sicurezza in azienda e minimizzano emissioni nell'ambiente e consumi energetici) si respira anche a Genova, dove dal 2002 industria e scienza vanno a braccetto grazie al Polo della robotica. L'Università - storicamente legata al settore energia (Ansaldo) e navale - si è specializzata «sia nella comunicazione industriale, da cui è nato lo spin-off Gecc, che opera con Ethernet e altre reti per lo scambio di dati tra automi e dispositivi di campo distribuiti, sia nei rendimenti energetici, da cui lo spin-off Sunwise», spiega Paolo Pinteti, ricercatore della facoltà di Ingegneria, che ha coordinato i lavori della prima norma internazionale made in Italy: la CEI 62/603, in votazione in questi giorni in tutto mondo che uniforma le specifiche dei sistemi di automazione. La meccatronica è protagonista a Torino e Modena, dove le rispettive Regioni hanno creato dei poli di innovazione dedicati (all'interno delle reti regionali per l'alta tecnologia): se l'Università di Modena e Reggio Emilia sta sperimentando simulazioni virtuali dei processi e dei sistemi robotizzati che permettono di pianificare a tavolino le soluzioni da ingegnerizzare, il Politecnico di Torino sta investendo sui cuscinetti magnetici, i veicoli elettrici e ibridi e la robotica mobile cooperativa. Protagonisti della "rivoluzione" industriale a suon di sensori, Ict, microprocessori e software sono spesso giovani ricercatori. Come Alberto Broggi, classe 1966, padre dei veicoli a guida autonoma che hanno attraversato l'autunno scorso la via della seta da Parma all'Expo di Shanghai grazie al suo Vislab, il Laboratorio divisione artificiale e sistemi intelligenti dell'Università di Parma O il trentasettenne Luca Ferrarli, professore di Automazione industriale al Politecnico di Milano, portavoce della "model based automation" e del progetto europeo Medeia, «per un approccio modellistico, basato su algoritmi, dei sistemi di controllo dei processi di automazione, in grado di incrementare efficienza, modularità e ridurre tempi e costi». _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 mag. ’11 CENSIS: I GIOVANI ITALIANI? IN VIA D’ESTINZIONE Censis rivela: in dieci anni persi 2 milioni di cittadini tra 15 e 34 anni ROMA. «I giovani sono in via di estinzione. Negli ultimi 10 anni, dal 2000 al 2010, abbiamo perso più di 2 milioni di cittadini di età compresa tra i 15 e i 34 anni». A rivelare il dato sorprendente il direttore del Censis, Giuseppe Roma che ieri ha preso parte all’audizione della Commissione Lavoro pubblico sul tema dell’accesso al mercato del lavoro. «Sono una merce rara», ha aggiunto Roma spiegando Roma che «i dati strutturali ci dicono che stiamo perdendo la fisiologia di ogni società: ovvero che le nuove generazioni rimpiazzano quelle vecchie». E «i pochi giovani che ci sono - continua il direttore dell’istituto - viste le poche prospettive del mercato nazionale del lavoro diventano i nuovi immigrati “di lusso” che studiano e trovano un’occupazione all’estero». A fare compagnia all’Italia in Europa c’è la Germania, mentre «la Francia e la Gran Bretagna sono più dinamiche, anche perchè hanno popolazioni giovani “nuove” che arrivano dalle comunità straniere». I dati raccolti dal Censis fanno poi un quadro sui giovani italiani: uno su dieci non studia e non lavora; quelli che prendono una laurea lavorano meno dei diplomati e meno anche dei colleghi laureati degli altri Paesi europei (una «situazione» che Roma conferma essere «peggiorata nel tempo»). Ma un dato positivo c’è: in controtendenza rispetto all’andamento generale, aumenta l’occupazione nelle campagne dove un lavoratore dipendente su quattro ha meno di 40 anni. Il presidente della Coldiretti Sergio Marini sottolinea che «per un numero crescente di giovani, il lavoro nei campi è diventato una valida alternativa alla disoccupazione, sia per chi vuole fare impresa che per chi cerca un lavoro estivo: è un pezzo dell’Italia che ci tirerà tutti». _____________________________________________________ Corriere della Sera 21 mag. ’11 UNIVERSITÀ, LA RICETTA ALL' INGLESE IDEE & OPINIONI STRATEGIE PER SOPRAVVIVERE AL TAGLIO DEI FONDI Come riusciranno a sopravvivere le università italiane ai drastici tagli del governo? Un analogo processo di riorganizzazione sta avvenendo anche negli altri Paesi europei. In particolare in Gran Bretagna si sta cercando di attuare un progetto per riorganizzare il sistema dei finanziamenti universitari ispirato da Lord Browne, a lungo presidente della British Petroleum. Le università inglesi sono autorizzate ad aumentare le tasse universitarie degli studenti, che sono addirittura triplicate dalle 3 mila sterline alle 9 mila circa a seconda delle università. Si tratta di un onere pesantissimo per le famiglie e questo provvedimento rischia di chiudere le porte agli studenti meno abbienti. Per ovviare a questa situazione si è messo in atto un sistema di finanziamento per gli studenti che non hanno le risorse economiche, «The Student Loans Company», che fornisce un contributo economico consistente per coprire le tasse universitarie e le spese di mantenimento in modo proporzionale rispetto al reddito familiare. Si tratta di un prestito d' onore a basso interesse che potrà essere recuperato quando il laureato inizierà a lavorare e la sua retribuzione supererà le 21 mila sterline annue con dei rimborsi non superiori al 5% dello stipendio. È una soluzione che potrebbe facilitare o perlomeno non penalizzare l' ingresso all' università degli studenti meno abbienti. E in Italia quali sono le strategie per compensare i tagli dei finanziamenti e per facilitare l' ingresso degli studenti meno abbienti? In Italia le tasse nelle Università pubbliche si collocano per le fasce sociali più alte mediamente attorno ai 2 mila euro, ben al disotto delle 3 mila sterline e soprattutto delle attuali 9 mila sterline. Proporre di aumentare le tasse universitarie si scontra con resistenze molto forti, perché si teme che un tale provvedimento possa colpire il diritto allo studio e ostacolare l' ingresso degli studenti meno abbienti. Nei provvedimenti del governo è proprio il settore del diritto allo studio e degli investimenti per le residenze degli studenti ad essere maggiormente penalizzato dai 246 milioni di euro ai 25 milioni del 2011 per ridursi ulteriormente a 13 milioni di euro nel 2014. Potremmo anche in Italia ispirarci al sistema inglese aumentando le tasse per gli studenti provenienti da famiglie a reddito medio-alto? I vantaggi sarebbero rappresentati dal fatto che i bilanci universitari potrebbero disporre di maggiori risorse anche se non potrebbero in nessun modo compensare i gravi tagli da parte del governo. Allo stesso tempo pagando tasse più alte gli studenti e le loro famiglie avrebbero un maggior potere contrattuale nei confronti dell' università richiedendo ad esempio aule e spazi di studio più adeguati, tutoraggio didattico più puntuale e servizi più efficienti, mentre fino ad ora valeva un accordo implicito, siccome non pago molto non posso richiedere molto, in una concezione quasi assistenziale dell' università. Su un altro versante occorrerebbe creare un fondo per aiutare gli studenti meno abbienti con prestiti d' onore in modo da coprire le tasse e le spese di mantenimento, che potranno essere restituiti quando lo studente comincerà a lavorare. La situazione lavorativa in Italia è piuttosto complessa, secondo i dati di Alma Laurea i disoccupati a un anno dalla laurea sono il 50% e gli occupati non arrivano ai mille euro di stipendio. A 5 anni dalla laurea la disoccupazione raggiunge il 20% circa fra i laureati delle lauree specialistiche e il 15% per i laureati che provengono da corsi di laurea a ciclo unico, come i medici, i veterinari e gli architetti. Per questi motivi il rimborso del debito può essere più complesso in Italia, anche se questa strada potrebbe essere percorsa. Naturalmente il prestito d' onore dovrebbe essere vincolato al regolare superamento degli esami di ogni anno e a votazioni adeguate. Probabilmente questa forma di incentivazione potrebbe essere più utile rispetto ai premi di studio previsti dalla legge Gelmini, che dovrebbero essere assegnati agli studenti meritevoli indipendentemente dalla propria condizione sociale. Naturalmente si tratterebbe di provvedimenti che potrebbero provocare proteste degli studenti, ma forse potrebbero contribuire a migliorare lo stesso diritto allo studio che non significa solo l' accesso all' università ma un corso di laurea che dia una qualificazione e che venga effettuato nell' arco di tempo previsto. I costi dell' università sono legati anche a un sistema di formazione poco efficiente che non è in grado di laureare gli studenti nei tempi previsti creando una deriva che poi rallenta i tempi di ingresso nel mondo del lavoro. Probabilmente il compito attuale è quello di superare un' ottica più assistenziale per favorire l' investimento individuale degli studenti sul proprio futuro, che tuttavia deve essere sostenuto da adeguati provvedimenti. AMMANITI MASSIMO __________________________________________________________________ Internazionale 26 mag. ’11 USA: LA BOLLA UNIVERSITARIA Malcolm Harris, negli, Stati Uniti. Foto di Philippe Brault Negli Stati Uniti andare all'università è sempre più costoso. E anche se ottenere un finanziamento per pagarsi gli studi è facilissimo, la laurea non è più una garanzia per trovare un posto di lavoro. Così il debito degli studenti aumenta I Project on student debt, che valuta i costi dell'istruzione negli Stati Uniti, ha calcolato che nel 2009 gli studenti statunitensi si sono laureati con un debito medio di 24mila dollari. Nell'agosto del 2010 i prestiti agli studenti hanno superato le carte di credito come maggiore fonte di debito del paese, avvicinandosi a mille miliardi di dollari. Quando si parla del debito al consumo, i politici, sia democratici sia repubblicani, assumono subito un atteggiamento moralistico. Ma nessuno ha il coraggio di dire che l'istruzione universitaria è un cattivo investimento. La convinzione che una laurea rappresenta un vantaggio per la società americana ha permesso la crescita di una bolla dell'istruzione universitaria che adesso sta quasi per scoppiare. Dal 19781e tasse dei college statunitensi sono aumentate di oltre il 900 per cento, 650 punti più dell'inflazione. Per capirne meglio le proporzioni, basta pensare che l'aumento del prezzo delle case - la bolla immobiliare che ha mandato in crisi prima l'economia statunitense e poi quella mondiale- è stato solo di 50 punti rispetto all'indice dei prezzi al consumo. Ma mentre la fiducia degli studenti nell'istruzione universitaria è aumentata, quella dei datori di lavoro è diminuita. Secondo Richard Rothstein dell'Economie policy institute, al di fuori del mercato gonfiato della finanza i salari dei laureati sono rimasti fermio sono diminuiti. La disoccupazione ha colpito in modo particolare i neolaureati, e dopo la recessione del 2007 è quasi raddoppiata. Il risultato è che la generazione più indebitata della storia americana non trova un lavoro che le permetta di estinguerei suoi debiti. Per quale motivo, allora, i finanziatori continuano a concedere somme a cinque zeri a giovani che vanno incontro a uno dei tassi di disoccupazione più alti degli ultimi decenni e a un mercato del lavoro globale sempre più competitivo? Nel caso della bolla immobiliare, le banche si sentivano protette perché potevano trasformare i prestiti a rischio in titoli garantiti dai mutui ipotecari, facili da vendere in un mercato convinto che i prezzi delle case potessero solo salire. Combinando prestiti diversificati a seconda delle regioni (quindi, in teoria, distribuendo il rischio), le banche riuscivano a convincere le agenzie indipendenti di rating che i loro prodotti finanziari erano sicuri. Ovviamente non lo erano. Ma dato che non saremmo americani se non potessimo monetizzare il futuro dei nostri figli, nel settore dell'istruzione quei prodotti finanziari esistono ancora. Sono gli student loan asset-backeci securities, o Slabs. Gli Slabs sono stati inventati nei primi anni novanta dall'ex colosso del rifinanziamento dei mutui Sallie Mae e si sono diffusi nell'ambito dell'ondata di asset-backed security (titoli negoziabili emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione) che ha raggiunto il culmine nel 2007. Nel 1990 circolavano Slabs per un valore di 75,6 milioni di dollari; al loro apice hanno superato i duemila miliardi. Il valore degli Slabs scambiati è passato da 2oomila dollari nel 1991 a quasi 250 miliardi nel quarto trimestre del 2010. Però lo scambio di titoli garantiti da carte di credito, finanziamenti per l'acquisto di automobili e mutui fondiari è diminuito di circa il 50 per cento, mentre gli Slabs non hanno subito la stessa sorte. Sono ancora considerati investimenti sicuri, tanto che i consulenti finanziari li vendono ai fondi pensione e agli anziani. Ai finanziatori non è parso vero di trovare un mercato secondario così fiorente, e non hanno avuto alcun problema a sostenere le spese fuori controllo degli studenti. Oltre a sapere che possono liberarsene facilmente, hanno anche un altro motivo per non preoccuparsi: le garanzie federali. Con il programma federale di prestiti alle famiglie per l'istruzione. (Federal family educationoa program o Ffelp) che nell'eventualità di un crollo del mercato e di un'ondata anomala di insolvenze, il governo aveva previsto per legge il salvataggio delle banche che avevano erogato i prestiti. Come se non bastasse, nel maggio del 20o8 il presidente Bush ha firmato l' Ensuring continued access to stu-dent loans act, che autorizzava il dipartimento dell'istruzione ad acquistare direttamente i Ffelp nell'eventualità di un calo della domanda. Nel zow, per compensare i costi della riforma sanitaria, Barack Obama ha interrotto il programma, che però era ormai diventato un affare da 6o miliardi di dollari all'anno. Anche se il tesoro ha smesso di garantire i prestiti, gli Slabs continueranno a essere concessi ancora per parecchio tempo. Quello che hanno scritto gli analisti di Barclays Capital nel 2006 sembra ancora valido: "Per questo settore prevediamo una crescita sostenuta del volume delle concessioni perché l'aumento dei costi dell'istruzione continua a superare quello dei redditi delle famiglie, delle borse di studio e dei prestiti federali". A scopo di lucro Prestiti e costi sono entrati in quel tipo di circolo vizioso che si verifica quando prestare diventa remunerativo e al tempo stesso apparentemente privo di rischi: il continuo aumento delle tasse universitarie significa che gli studenti devono chiedere più soldi in prestito, più prestiti significano che le banche possono creare più pacchetti di titoli da vendere, più vendite significano che le banche hanno più capitale da prestare e quindi le università po ssono continuare ad aumentare i costi. Il risultato è che gli studenti sono indebitati per 8o o miliardi di dollari, più del 3o per cento dei quali sono convertiti in titoli negoziabili, e il governo federale ne è direttamente o indirettamente garante. Se tutto questo vi suona familiare, è normale, e i paralleli con il mercato immobiliare alla vigilia della crisi non finiscono qui. Il corrispettivo dell'aspetto più deteriore del mercato dei subprime sta nelle università private a scopo di lucro. Un tempo erano le disuguaglianze nell'istruzione primaria e secondaria a impedire a una grossa fetta della classe lavoratrice di affrontare i costi delle lauree quadriennali. Oggi istituzioni private come l'università di Phoenix o la Kaplan sono la risposta del mercato a questo problema. Se per i corsi quadriennali il debito è alto, le cifre per le università a scopo di lucro che offrono corsi biennali sono apocalittiche: il 96 per cento dei loro studenti si accolla un prestito e dopo quindici anni il 4o per cento non è ancora riuscito a estinguerlo. Nel 2010 il Government accountability office ha avviato un'indagine sul loro funzionamento: gli agenti hanno finto di essere studenti e hanno scoperto che le quindici istituzioni a cui si sono rivolti usavano tecniche di reclutamento e finanziamento ingannevoli, mentre in quattro casi si trattava di vere e proprie truffe. È emerso che le università pagavano i reclutatori, li sceglievano sulla base di false credenziali, camuffavano i costi reali e incoraggiavano i candidati a mentire quando compilavano i moduli per il sussidio federale. I corsi dei college a scopo di lucro non sono affatto convenienti come dichiarano gli spot televisivi, anzi sono quasi tutti più costosi delle loro alternative non proflt. E per riuscire a vendere le loro lauree spendono un capitale in pubblicità. Come nel caso della crisi immobiliare, anche in questo settore è difficile capire quali sono le mele marce. Le istituzioni a scopo di lucro hanno subito cercato l'appoggio dei poteri tradizionali nel mondo dell'istruzione, della politica e dei mezzi d'informazione. Richard C. Blum, consigliere d'amministrazione della California University (e marito della senatrice californiana Dianne Feinstein), tramite la sua società di investimenti è anche l'azionista di maggioranza di due dei più grandi college a scopo di lucro degli Stati Uniti. La Washington Post Company possiede la Kaplan higher education, e costringe il Washington Post a pubblicare articoli con imbarazzanti apprezzamenti sulle università a scopo di lucro. L'università leader del settore, quella di Phoenix, è addirittura entrata in società con la rivista Good, finanziando un redattore specializzato nei temi dell'istruzione. Grazie a questi contatti, ai miliardi spesi in pubblicità e ai quasi nove milioni di contributi alle lobby e alle campagne elettorali solo nel 2010, nell'ambito dell'istruzione statunitense il settore delle università a scopo di lucro cresce più di ogni altro. Il valore dell'istruzione Cosa ci ha insegnato la crisi immobiliare? Cosa succede quando i ragazzi non possono pagare? Il governo federale raccoglie solo i dati degli studenti morosi nei primi due anni di restituzione del finanziamento, ma dal 2005 a oggi la percentuale di quelli che non riescono a pagare è aumentata ogni anno. Secondo gli analisti, solo il 4o per cento è in regola con i pagamenti, gli altri hanno chiesto una proroga o non pagano. L'anno prossimo il dipartimento dell'istruzione calcolerà iltasso di morosità sulla base di tre anni dall'inizio delle rate anziché due. Secondo le proiezioni, i risultati saranno sconcertanti: la morosità della classe 20 O 8 passerà dal 7 al13,8 per cento. Poiché sempre meno studenti hanno il reddito necessario per restituire i prestiti (se non facendo altri debiti), la morosità di massa sembra inevitabile. A differenza di quanto è accaduto durante la crisi dei mutui, la risposta del governo a un'eventuale bolla dell'istruzione universitaria è già scritta nella legge. Se non può restituire un prestito garantito dallo stato, il titolare presenta una richiesta a una cosiddetta agenzia di garanzia statale, che a sua voltala gira al governo federale. Il contributo federale è legato al tasso di morosità annuale dei clienti che si rivolgono all'agenzia: per i prestiti emessi dopo l'ottobre 1998, se il tasso supera i15 Per cento, il rimborso scende all'85 per cento del capitale e degli interessi maturati, se supera il 9 per cento, cala al 75 per cento. Ma i tassi delle agenzie di garanzia sono calcolati in modo da non riflettere il vero tasso di morosità degli studenti. Tra tutte le agenzie che hanno chiesto il rimborso federale l'anno scorso, nessuna ha raggiunto il fatidico 5 per cento. Con tutte queste protezioni alle spalle, gli Slabs sono un investimento migliore di quanto lo fossero la maggior parte dei titoli garantiti dagli immobili. Il vantaggio del salvataggio preventivo è che spesso non è necessario: se gli investitori sanno di essere protetti dai rischi hanno meno motivo di innervosirsi quando i titoli scendono, e quindi è meno probabile che si verifichi un crollo speculativo. Nel peggiore dei casi è il governo che paga per mandare al college gli studenti e, a parte l'arricchimento dei finanziatori privati e degli speculatori, questo non sarebbe un gran male se si crede nell'intervento dello stato, nell'istruzione gratuita o anche negli stimoli fiscali keynesiani. Ma finora abbiamo esaminato solo una faccia della medaglia. Non c'è dubbio che gli studenti che prendono un prestito attribuiscono un grande valore all'investimento che vogliono fare. Se un ragazzo di 18 anni prende in prestito 200mila dollari, non può permettersi di fare un cattivo investimento. L'istruzione superiore può sembrare un terreno improbabile per una bolla speculativa simile a quella immobiliare. Mentre il prezzo delle case si basa su quanto i potenziali acquirenti in competizione tra loro sono disposti a pagare, si presume che il prezzo dell'istruzione universitaria sia legato ai suoi costi (fatta eccezione perle università a scopo di lucro). Ma il rapido aumento delle tasse universitarie non corrisponde al valore dell'istruzione: nessuno può sostenere che la qualità dell'insegnamento o il valore di mercato di una laurea sono aumentati di dieci volte negli ultimi quarant'anni. Allora perché le università aumentano le tasse così tanto e così spesso? "Perché possono farlo" è una risposta che può andar bene per i proprietari di casa che vogliono ottenere il massimo dai loro investimenti, o per le università a scopo di lucro che cercano di avere più soldi dallo stato, ma sembra una risposta terribilmente cinica nel caso dell'istruzione non profit. Innanzitutto i soldi non vengono usati per migliorare la qualità dell'insegnamento. Come ha scritto Marc Bousquet, un ricercatore che studia il funzionamento dell'istruzione universitaria, in How the university works: "Se in questo momento siete iscritti a quattro corsi, ci sono buone probabilità che uno sia tenuto da una persona che ha un dottorato e che sul piano professionale, della preparazione e del ser- vizio, non ha subìto i controlli normah-nente riservati ai titolari di cattedra. A tenere gli altri tre corsi, invece, potrebbe esserci qualcuno non ancora laureato, che è stato scelto da un dirigente amministrativo e non dai professori di ruolo, che forse non pubblicherà mai nulla sulla materia che insegna, che è nella rosa di possibili candidati perché è disposto a lavorare per un salario da farne (spesso nell'illusione di poter prima o poi arrivare a una cattedra) e che non ha intenzione di rimanere in quell'università per più di tre anni". Obiettivi da manager Questo non si può certo definire un miglioramento. Circa quarant'anni fa, quando le tasse universitarie hanno cominciato ad aumentare a ritmi esponenziali, le proporzioni erano invertite. Oggi una buona percentuale degli insegnanti precari che lavorano nelle università è formata da studenti appena laureati. Con i debiti che hanno, le università li possono costringere ad accettare un salario inferiore al minimo: sono una grande fonte di manodopera didattica a buon mercato. E poiché ci sono meno possibilità di ottenere una cattedra, i giovani che hanno un dottorato di ricerca, travolti dai debiti, possono solo accettare incarichi precari e salari tenuti bassi dal nuovo esercito di laureandi- lavoratori. Invece di produrre un corpo insegnante più preparato e più professionale, l'aumento delle tasse e dei debiti ha ottenuto il risultato opposto. Ma se gli insegnanti ben pagati non sono né l'origine né i destinatari dell'aumento delle tasse, forse vale la pena di vedere chi c'è in cima alla piramide. Mentre gli incarichi didattici sono diventati sempre più precari e mal pagati, non si può dire lo stesso di quelli amministrativi. In passato, gli amministratori erano in genere docenti con qualche responsabilità in più. Oggi somigliano ai manager delle grandi aziende, e ricevono stipendi simili. Alcune università piene di spirito imprenditoriale hanno introdotto questo cambiamento, e le pressioni del mercato hanno costretto le altre a seguire l'esempio, pagando stipendi da capogiro per i tanto richiesti amministratori. Anche nei college senza scopo di lucro gli amministratori di alto livello e i responsabili finanziari portano a casa stipendi a cinque o sei zeri, più vicini a quelli dei loro colleghi dell'industria che a quelli dei docenti. E mentre la percentuale dei professori che possono aspirare a una cattedra è diminuita, il numero dei dirigenti è salito alle stelle, in termini sia relativi sia assoluti. Se continuerà così, il dipartimento della pubblica istruzione calcola che entro il 2014 nelle università senza scopo di lucro che offrono corsi quadriennali ci saranno più amministratori che docenti. Un settore amministrativo più grande consuma anche una fetta maggiore dei fondi disponibili, quindi è comprensibile che negli ultimi quindici anni le quote di bilancio per i docenti e i servizi agli studenti siano diminuite. Quando si assumono manager aziendali, si finisce per essere gestiti come un'azienda. Così, la gara per ottenere fondi dal governo e dai privati è diventata l'obiettivo principale delle amministrazioni universitarie. Sia le grandi università statali sia i college privati d'élite non sono più interes sati (se lo sono mai stati) a formare dei cittadini istruiti. Non si preoccupano quasi più nemmeno dì formare la futura classe dirigente. Prevalgono, per usare le parole di Bousquet, "le istanze imprenditoriali, la vanità e le manie degli amministratori: digitalizzare il curriculum! Costruire la pisci- naia campo da golf/lo stadio migliore dello stato! Portare più anime a Dio! Vincere il campionato interuniversitario!". Questi costosi progetti fanno parte di un nuovo ciclo: le università- azienda devono essere competitive nel reclutare gli studenti che potrebbero diventare ricchi ex alunni, quindi devono spendere in attività extracurricolari interessanti, il che significa che hanno bisogno di più soldi, e quindi di più studenti che pagano. I college a scopo di lucro non sono gli unici fissati con la vendita del loro prodotto. E se un corso di studi umanistici non riesce a dimostrare la sua utilità economica per l'università (che non può permettersi di avere "pesi morti") e per gli studenti (che capiscono la necessità di una laurea spendibile sul mercato), allora subisce dei tagli: la strategia di gestione neoliberista per eccellenza. Gli studenti sembrano aver recepito il messaggio, perché la laurea in economia è diventata la più popolare del paese. Quando nel suo discorso sullo stato dell'unione Barack Obama ha parlato della necessità di mandare più americani all'università, l'ha fatto nel contesto della competizione economica con la Cina, come se sfornare laureati equivalesse a produrre acciaio. Da quando il tirocinio non retribuito per accumulare crediti (in cui praticamente gli studenti pagano le tasse per lavorare gratis) sostituisce sempre più le ore di lezione, l'università commerciale borghese sta soppiantando l'accademia. Anche i ge nitori, comprensibilmente preoccupati, incoraggiano i figli ad avere innanzitutto un curriculum attraente. Per gli studenti era più facile credere che l'istruzione universitaria avesse un valore inestimabile quando non era in vendita. Favole Dunque le tasse sono aumentate vertiginosamente e la quota spesa per i docenti e i servizi agli studenti è diminuita, il valore di mercato di una laurea è calato e la maggior parte degli studenti non può più permettersi di godersi gli anni del college come un periodo di avventura intellettuale. Ma c'è un'altra cosa chiara: l'istruzione universitaria somiglia sempre più a una truffa. Conosciamo le conseguenze della morosità per i creditori, gli investitori e i loro garanti del tesoro, ma che succede ai morosi? I proprietari di case che si sono trovati con un debito superiore al valore dei loro immobili potevano sempre liberarsene. Gli studenti non sono cosi fortunati: non possono liberarsi della loro laurea, anche se hanno preso in prestito più denaro di quanto possono guadagnarne nel mercato del lavoro. Gli americani sopraffatti da debiti normali (come quelli accumulati sulla loro carta di credito) hanno la possibilità di dichiarare bancarotta, e anche se è un processo doloroso che,gli impedirà di ottenere credito in futuro, liberarsi di migliaia di dollari che non si possiedono non è sempre una cosa negativa. Gli studenti non hanno questa scelta. Prima del 2005 anche loro potevano usare la formula della bancarotta, ma la "legge per impedire l'abuso dell'istituto della bancarotta e difendere i consumatori" ha esteso l'inestinguibilità a • Nel 1970 gli Stati Uniti avevano quasi un terzo dei laureati di tutto il mondo, e circa la metà dei dottori di ricerca in scienza e tecnologia. Oggi il numero dei dottorati assegnati è raddoppiato, arrivando a 64mila all'anno. Ma il divario con gli altri paesi sta diminuendo. Tra i11998 e il 2006 il numero dei dottorati assegnati nei paesi dell'Ocse è cresciuto del 40 per cento, rispetto al 22 per cento degli Stati Uniti. L'aumento è stato particolarmente forte in Messico, Portogallo, Italia e Slovacchia. Anche in tutti i prestiti per l'istruzione e alle carte di credito usate per pagare le tasse universitarie. Oggi i debiti per l'istruzione sono diventati eccezionalmente punitivi. Non solo gli studenti non pos sono dichiarare bancarotta, ma i loro prestiti non hanno una scadenza e i creditori possono reclamare stipendi, contributi previdenziali e perfino indennità di disoccupazione. Se uno studente non paga, l'agenzia di garanzia, anche se è stata rimborsata dal governo federale, ha diritto a riprendersi tutto quello che può (anche se è già stata risarcita per la sua perdita), quindi è incoraggiata a perseguitare gli ex studenti fino alla tomba. Quando è scoppiata la bolla immobiliare le conseguenze erano prevedibili, ma non prestabilite. Nel caso della bolla dei prestiti agli studenti la conclusione sarà la stessa, ma la forma è stata decisa in anticipo. In aggiunta ai miliardi che hanno speso in pubblicità, attività sportive, abbellimento dei campus e lussi vari, i college hanno beneficiato di un'opinione pubblica che considera l'istruzione universitaria un bene sociale supremo. Da quando i baby boomer hanno cominciato a fare figli, la laurea è sembrata la panacea per tutti i mali sociali, la metafora di un tipo speciale di successo. Sentiamo ancora raccontare favole sulle persone sfuggite ai ghetti andando all'università, sulle lauree che garantiscono una vita soddisfacente e su un capolavoro dell'istruzione americana come la legge che consente di pagarsi gli studi con il servizio militare. Ma questi non sono veri modelli di vita, sono solo trovate pubblicitarie. E di solito sono accompagnate dal modulo per la richiesta di un prestito. • bt Da sapere Giappone, dove l'età media della popolazione è sempre più alta, i dottorati sono aumentati de146 per cento. Ma ovunque le università approfittano degli studenti di dottorato per affidargli ore di insegnamento risparmiando sui costi. Nel 2009 lo stipendio medio di un professore universitario statunitense era di io 9mila dollari all'anno, più dello stipendio medio di un magistrato o di un giudice. Il numero dei dottori di ricerca supera largamente la richiesta sia di docenti sia di ricercatori. Negli Stati Uniti tra il 2005 e il 2009 sono stati conseguiti più di centomila dottorati di ricerca e sono stati attribuiti solo 16mila nuovi incarichi di professore. Per quelli che lavorano fuori dall'università la situazione non è migliore. Secondo uno studio dell'Ocse, cinque anni dopo aver conseguito il titolo più del 6o per cento dei dottori di ricerca in Slovacchia e più del 45 per cento in Belgio, nella Repubblica Ceca, in Germania e in Spagna aveva ancora un contratto a tempo determinato. The Economist __________________________________________________________________ Repubblica 23 mag. ’11 BERLINO, UN TERZO DEGLI UNIVERSITARI SI PROSTITUISCE Un terzo degli studenti universitari berlinesi di ambo i sessi è disposto a prostituirsi per arrotondare le proprie entrate. Lo rivela uno studio condotto su 3.200 iscritti nelle università della capitale tedesca mentre per altri 400 universitari interrogati a Parigi e Kiev le percentuali sono più basse. Nella capitale francese il 29,2% di chi aspira ad ottenere un titolo accademico si dice disponibile ad esercitare parallelamente la prostituzione, mentre nella capitale ucraina solo il 18,5% lo farebbe. I quattro autori dello studio, che alti guadagni verrà presentato ufficialmente all'Accademia delle Scienze di Berlino Brandeburgo, si dicono sorpresi dell'elevato numero di universitari maschi pronti a prostituirsi. Tra gli studenti e le studentesse universitarie che dichiarano di prostituirsi veramente (il 3,7% del totale), il 52,3% dichiara di avere un partner fisso, il 49% si definisce eterosessuale, il 13,3% omosessuale ed il 37,8% bisessuale. Il motivo principale alla base della scelta sono gli elevati proventi: una studentessa, per esempio, dichiara di guadagnare da 2mila a 5mila euro a settimana, mentre altre colleghe stimano i loro guadagni fra 50 e 300 euro al giorno. Il risvolto della medaglia sono, dicono gli intervistati, l'emarginazione sociale e il rischio di contagio di malattie sessuali. (r. rap.) _____________________________________________________ Corriere della Sera 22 mag. ’11 IL DOSSIER SUGLI «SPRECHI» DEL CNR IL CASO «VENDITA DI IMMOBILI E DIRIGENTI PAGATI DAL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE MA IMPIEGATI IN ALTRI ENTI». IL FASCICOLO FINISCE ALLA CORTE DEI CONTI La Ragioneria dello Stato: irregolarità anche sui conti Fondi mai usati Bilanci con oltre diecimila variazioni e finanziamenti pubblici rimasti inutilizzati MILANO - Che il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) fosse in rosso era già tristemente noto. Ma il documento riservato a firma del Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, già inviato per le opportune verifiche alla Procura generale della Corte dei Conti lo scorso 9 marzo, cade ora come un macigno sulla testa del fisico di fama e presidente del Cnr dal 2008, Luciano Maiani. Il linguaggio è quello degli ispettori della finanza. L' oggetto sono i soldi pubblici. E come in un copione consunto il contenuto sembra iscriversi a pieno titolo al capitolo «sprecopoli». Insomma, non ci sono solo i tagli anoressici assestati dal governo Berlusconi alla ricerca in questi ultimi anni tra le cause del rosso. Qui la lista dei casi di malagestione è impressionate: «Inattendibilità della rappresentazione finanziaria risultante dal bilancio di previsione», anche per «l' abnorme numero di variazioni di bilancio (circa 10 mila ogni anno), talune delle quali successive alla fine dell' esercizio». Con il risultato che tra bilancio previsionale, quello conclusivo e le somme effettivamente accertate dagli ispettori balla un quarto del totale a causa della pratica di «escludere buona parte degli introiti che gli Istituti sono in grado di acquisire all' esterno per finanziare le ricerche»; ancora, «gravi irregolarità nell' utilizzo di alcuni immobili», un patrimonio che nel 2009 risultava di 646 milioni di euro. E non solo per il caso, già emerso, del complesso in località Anacapri, da adibire a un centro congressuale a livello internazionale che mai è stato avviato e mai ci sarà visto che - a soli due mesi dalla fine del restauro costato al ministero dell' Istruzione 2,48 milioni - il board del Cnr aveva deliberato che «la struttura non risultava funzionale alle esigenze dell' ente» (le aste per la cessione sono andate tutte deserte). Spunta ora un «mancato utilizzo di finanziamenti sempre del Miur per la ristrutturazione di un edificio situato in località Calata Porta di Massa, Napoli». Si tratta di 12,271 milioni che dovevano servire per il completamento della ristrutturazione dell' Istituto per l' ambiente marino costiero. Lavori lasciati a metà a causa dell' occupazione abusiva da parte di una ditta privata, l' Officina meccanica Fratelli Solla, srl. Una situazione che va avanti dal 2006. Ci sono poi gli appartamenti romani venduti dal Cnr nel 2006 e ripresi in affitto con un costo che negli ultimi quattro anni è stato di 7,9 milioni, un quarto di quanto incassato: una gestione del tutto antieconomica. Nel documento, nero su bianco, ce n' è per tutti. Al capitolo gestione del personale risultano addirittura dei dirigenti in posizione di comando e in forze presso altre realtà il cui stipendio è pagato dal Cnr, come se non avesse già abbastanza problemi con il proprio «buco». Le persone in questa situazione sono decine con un onere complessivo a carico del Cnr di 3,5 milioni. In particolare si legge di 4 dirigenti per il progetto San Marco pagati nonostante la convenzione sia scaduta nel 2009: da due anni. Stessa situazione risulta per l' Università degli Studi di Palermo. Sarà ora la magistratura contabile a soppesare l' eventuale rilevanza penale delle 108 pagine della relazione sulla verifica amministrativo-contabile eseguita dagli ispettori Filippo D' Alterio e Patrizia Padroni nel corso del 2010 che accompagna la lettera di Canzio. Le note di spese passate al vaglio dagli esperti e risultate incongrue sono centinaia. Come quelle relative all' anticipo richiesto dal Cnr dalla regione Lazio per finanziare dei corsi per pediatri in cui all' importo accertato pari a 314.916 euro fa eco un importo fatturato dall' ente alla Regione di 524.860 euro. Tra i passaggi caldi c' è anche quello delle irregolarità delle partecipazioni societarie con la «mancata inerenza al perseguimento dei fini istituzionali del Cnr delle partecipazioni in Rete Ventures e Quantica Sgr». Una delle molte «guerre» su cui si è concentrato Maiani tra il 2009 e il 2010 insieme alla sua fedelissima, Manuela Arata. La società partecipata dal Cnr aveva avuto vita tranquilla fino a quando aveva vinto la maggiore fetta per la gara di Brunetta per il Fondo per il Sud. Da lì una scontro con i due manager di Quantica, Pierluigi Paracchi e Stefano Peroncini (usciti di recente), che si erano opposti alla partecipazione all' aumento di capitale da parte del Cnr per evitare la gestione troppo «pubblica» di fondi pubblico-privati per finalità private. A distanza di un anno il documento della Ragioneria sembra dargli ragione. Troppi gli intrecci e le opacità. Massimo Sideri msideri@corriere.it **** La «villa» di Anacapri La ristrutturazione del complesso di Anacapri è costata 2,48 milioni al Miur ma il centro congressuale non è mai stato fatto e le aste per la cessione sono andate fino ad ora deserte L' istituto marino Sempre il Miur aveva finanziato con 12,2 milioni la ristrutturazione di un edificio in località Calata Porta di Massa per l' Istituto sulle ricerche marine. L' edificio è abusivamente occupato dal 2006 Il make-up sui conti Diecimila gli interventi apportati sui bilanci ogni anno, taluni anche oltre la fine dell' esercizio, un indizio che i documenti vengono sistemati più e più volte anche fuori tempo massimo Stipendi «fantasma» L' onere complessivo a carico del Cnr per i dipendenti è di 3,5 milioni ma sono decine i casi di dirigenti che lavorano per altri enti, con convenzioni concluse da anni, pagati dal Cnr I corsi per pediatri Tra le irregolarità segnalate anche i finanziamenti della Regione Lazio per i corsi di pediatria. I conti non tornano: ai 314.916 euro accertati corrisponde una fattura del Cnr alla Regione di 524.860 euro Scontro su Quantica Sotto la lente anche la guerra per il controllo della governance di Quantica, fondo di venture capital con 61 milioni per il Sud stanziati dal ministro Brunetta. Uno scontro lontano dalle finalità del Cnr Sideri Massimo __________________________________________________________________ La discussione 28 mag. ’11 UNIVERSITÀ, ASSUNTI E SUBITO LICE DATI 37 DOCENTI Bufera all'ateneo "D'Annunzio" dopo una delibera revocata. Pioggia di ricorsi IORANCESCO DI MITARO CHIETI - Bufera sull'università "D'Annunzio" di Pescara-Chieti. Il consiglio di amministrazione assume 37 docenti ordinari delle varie facoltà e 17 associati, ma dopo poche settimane licenzia tutti perché il collegio dei revisori rileva che sulla base della legge Gel- mini non ci sono i fondi necessari per far fronte alla nuova spesa che supererebbe il milione di euro. Insomma il Cda dell'ateneo ha sconfessato sé stesso revocando i provvedimenti adottati e provocando la reazione degli assunti- licenziati, che minacciano fuochi e fiamme con denunce penali e richieste di risarcimento danni persino nei confronti dei revisori. Questi, nella loro relazione hanno fatto presente che le assunzioni rappresentavano una "violazione dell'articolo 29 (comma 18) della legge 240 del 2010 che fissa le condizioni per procedere alle assunzioni". Nel mezzo il rettore Franco Cuccurullo da un decennio alla guida dell'Università e non più ricandidabile tra un anno. Di fronte alla revoca delle assunzioni e al malumore dei docenti che si sono sentiti defraudati, dopo aver maturato un curriculum di tutto rispetto e vinto i vari concorsi, la palla è passata al Senato accademico presieduto dallo stesso rettore e composto dai presidi, anch'essi sul piede di guerra perchè i docenti diventati ordinari e subito rimossi sono cresciuti professionalmente nelle loro facoltà. Ma il Senato accademico, contrariamente alle aspettative di quanti auspicavano una condanna dell'operato schizofrenico del consiglio di amministrazione, ha deciso di presentare un ricorso al Tar del Lazio per contestare la norma Gel- mini sulla riduzione del budget a disposizione dell'ateneo. Nel frattempo si spera che il Tribunale amministrativo laziale conceda la sospensiva del Cda per evitare che i docenti assunti debbano ritornare subito alla situazione precedente. Nel frattempo si sono appresi particolari sulla votazione con cui il Cda dell'ateneo abruzzese ha fatto un rapido dietrofront. Tre componenti hanno ammesso candidamente che, non essendo esperti di questioni amministrative, hanno votato la revoca delle assunzioni basandosi, sic et simpliciter, sulle osservazioni dei revisori dei conti. La revoca si configurerebbe come una sorta di autotutela per non finire nel mirino della Corte dei-conti per un presunto danno erariale. Insomma un guazzabuglio senza precedenti che ha creato nella "D'Annunzio" uno stato di tensione. Singolare la posizione del professore Massimo Sargiacomo che nelle scorse settimane era stato nominato da Cuccurullo pro rettore e che figura tra i 37 docenti assunti e retrocessi. Il tutto mentre è ancora in atto la polemica sullo "scippo" che avrebbe subito l'ateneo dannunziano e, in particolare la facoltà di lettere, con il trasferimento da Chieti a L'Aquila del corso quinquennale di formazione degli insegnati di scuola superiore. I vertici dell'ateneo sostenengono che il trasferimento riguarderebbe un numero limitato di iscritti, insegnanti di lettere nella sola scuola media. __________________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 mag. ’11 SVOLTA SULL'ENERGIA A BERNA STOP AL NUCLEARE NEL 2034 LUGANO IL Governo potenzierà [e fonti alternative e le importazioni Il Governo svizzero ha deciso ieri l'abbandono graduale dell'energia nucleare. Le cinque centrali elvetiche dovranno essere disattivate quando avranno raggiunto un ciclo di vita di 50 anni e non saranno sostituite. L'ultimo impianto dovrebbe quindi chiudere i battenti nel 2034. Il Parlamento - a cui l'Esecutivo ha inviato una raccomandazione in questo senso - sí pronuncerà nella sessione estiva. «Si tratta di una giornata storica», ha dichiarato il ministro dell'Ambiente e dell'energia, Doris Leuthard, esponente del partito demo- cristiano. «Il Governo - ha aggiunto la Leuthard - è convinto che l'abbandono del nucleare sarà pagante a lungo termine, anche da un punto divista economico». La Leuthard ha ammesso che uno dei fattori che hanno fatto pendere la bilancia verso l'abbandono del nucleare è stato l'incidente alla centrale giapponese di Fulcushima. Ma ci sono anche altri motivi: «Rispetto alla politica energetica elaborata nel 2007, il nucleare sta perdendo a poco a poco i vantaggi competitivi, cioè energia meno cara e assenza di produzione di CO2, che all'epoca ci avevano spinto a mantenere aperta questa opzione», ha detto la Leuthard. I costi economici elevati per lo smantellamento graduale del nucleare e per una diversa copertura del fabbisogno energetico per Berna dunque nel lungo periodo possono essere recuperati. Ben il 40% dell'energia elettrica in Svizzera oggi è legato al nucleare. Ora il Governo di Berna intende per i prossimi anni fare maggiore affidamento sul risparmio energetico, sul potenziamento dell'idroelettrico, sulle energie rinnovabili e sulle importazioni di energia (in particolare probabilmente dalla Francia, uno dei Paesi che più ha puntato negli anni passati sul nucleare). «Se necessario - ha sottolineato la Leuthard - dovremo ricorrere a elettricità prodotta da centrali a gas, alternativa pensata come un ponte che ci dovrà traghettare verso le energie pulite». * Oltre ai democristiani, solo socialisti e verdi (che avrebbero voluto una chiusura anticipata degli impianti) hanno appoggiato la decisione del Governo. Per il partito liberale sarebbe stato meglio aspettare, non chiudere definitivamente la porta al nucleare. Per l'Udc, partito della destra populista, la decisione è affrettata e irresponsabile. Economie suisse, l'associazione delle imprese elvetiche, ha espresso timori per l'approvvigionamento di elettricità in Svizzera nei prossimi anni __________________________________________________________________ Il Giornale 25 mag. ’11 QUEL THRILLER PRO-ATOMO DI CUI NESSUNO HA VOGLIA DI PARLARVI Si intitola «L'anomalia» ed è scritto da un vero scienziato, racconta quello che nessuno vi ha mai detto sulle centrali Stefania Vitulli Poi dice che uno deve capire, per scegliere, le ragioni dei pro e le ragioni dei contro il nucleare. E che cosa c'è di meglio di un'opinione che si legge come un romanzo per capire le ragioni di una parte o di un'altra? La fiction allarmista antinuclearista, a partire da Sindrome cinese, ha sempre avuto spazio di grandezza apocalittica. Sicché, per colmare il vuoto dei pro, il fisico Massimiliano Pieraccini ha deciso addirittura di scriverci un thriller. Si chiama L'anomalia (p agg. 432, euro 18,50), lo pubblica Rizzoli e in teoria, vista Fukushima, visto il referendum in arrivo, dovrebbe andare a ruba. Non soltanto in libreria, dove il romanzo è arrivato da due giorni, ma anche come titolo prediletto dai media. I giornali dovrebbero contendersi le interviste all'esordiente Pieraccini. Potenziale pericolo dell'atomo contro imprevisti attesi sulla fioritura di un balcone: in teoria dovremmo essere più preoccupati per la prima minaccia. Dovremmo gettarci a pesce su un romanzo ambientato in quel «tempio mondiale della fisica» che è Erice, in cui i cervelloni del nucleare si sarebbero riuniti per raddrizzare alcune emergenze planetarie in un clima di pressione psicologica che ricorda Intrigo a Stoccolma (e là, anno 1963, Paul Newman protagonista, il soggetto era di Irving Wallace). Nel borgo medievale il fisico ucraino Alexander Kaposka viene trovato in fin di vita dai colleghi e un movente ci sarebbe: è lui che ha firmato il rapporto sulla sicurezza della centrale di Chernobyl. È stato necessario ricostruire punto per punto il disastro dell'86: Pieraccini impiega pagine di dialogo - tra i due personaggi Massimo Redi, un professore universitario anticonvenzionale e Fabio Moebius, analista informatico e hacker - per un resoconto puntuale, oggettivo e, naturalmente crudo, di quei giorni e degli anni successivi. Pagine di romanzo scritte da uno scienziato: roba di prima mano, che dovremmo compulsare avidamente. E invece: il «thriller scientifico» di Pieraccini, docente di Elettronica all'Università di Firenze, attivo nel campo delle microonde, contributor di numerose riviste internazionali, viene bellamente ignorato. Nemmeno una minuscola anticipazione, un virgolettato, un contributo di spalla sulle conseguenze di Fukushima. Eppure Rizzoli ci ha investito parecchio, ha vinto il titolo all'asta contro Mondadori, ha messo in piedi una campagna online di tutto rispetto (quel «marketing virale» così trendy che suscitò copertine e paginate per il lancio di XY di Sandro Veronesi). Un sito ricco di contenuti speciali, di download accattivanti, di un blog aggiornato costantemente e statement di vendita all'americana: «La scienza è potere, passione, conflitti e sangue». Ce n'è di che ingolosire nerd, young adults e ingegneri annoiati dall'ultimo Dan Brown. Eppure, nessuno se lo fila. Sarà brutto e frigido, ci siamo detti. La solita ambizione nel cassetto dello scienziato che voleva fare lo scrittore, non sa muoversi in un intreccio e lo infarcisce di teorie astruse. Invece poi l'abbiamo letto. E scoperto che non soltanto il romanzo è ben costruito. Ma che è pure "a chiave": «Ho deciso di usare il mondo che già esiste: ho inventato il meno possibile» spiega appunto sul sito Pieraccini, che ci ha messo cinque anni a ultimare il tomo. «Non c'è dettaglio di Erice che non sia reale. La stanza dove dorme Massimo Redi, il protagonista dell'Anomalia, è quella dove ho dormito durante uno dei miei sopralluoghi. Ogni volta che i personaggi si muovono da un posto all'altro nel piccolo borgo, io conto i passi e decido il numero di battute che possono dire. Quando Alexander Kaposka, fisico ucraino che nel romanzo ha un ruolo di primo piano, entra nel sarcofago di Chernobyl, non c'è dettaglio che non abbia visto in un filmato o in una foto. La mappa del reattore che Kaposka studia prima di entrare nell'inferno del reattore numero 4 è la stessa che mi sono fatto io per decidere il percorso della discesa. L'isola segreta nel mar d'Aral esiste esattamente come la descrivo. E poi la scienza. La sola idea di travisare un fatto scientifico a fini narrativi mi fa venire i brividi. D'altra parte ne va della mia reputazione. E l'Accademia su queste cose non scherza». Gli ingredienti per un bestseller ci sono tutti. Può darsi, ma è solo è un'ipotesi, che il fatto venga ignorato dai media perché Pieraccini è un nuclearista convinto, che non si lascia prendere dall'emotività. «Che ne pensa delle centrali?» gli chiediamo «Le paure che abbiamo derivano ancora da 40 anni di guerra fredda. La parola nucleare è ancora associata all'olocausto. Se non avessimo avuto le bombe avremmo molti più reattori. Sono uno dei modi meno costosi e più sicuri per produrre energia elettrica. Il romanzo tratta il soggetto in modo molto razionale». E pare che nemmeno per promuoverlo Pieraccini sia disposto a cambiare idea. SUSPENSE Un intrigo internazionale, che comincia con la morte di uno scienziato russo _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 mag. ’11 I CAVALLI, AMORE DEI SARDI In tutte le epoche si onorava l’ospite con una cavalcata MARIO ATZORI * Il rapporto che i sardi, fin dall’epoca fenicio-punica, hanno con il cavallo si colloca nel più ampio patrimonio di saperi che, nell’isola, sono stati elaborati e stabiliti con gli animali. Nella Sardegna preindustriale, il cavallo veniva impiegato sfruttando la sua forza e la sua docilità nel lavoro e nelle feste. Un momento festivo di tipo laico, nel quale i cavalli hanno ancora un ruolo importante, è la «Cavalcata Sarda». Un corteo di cavalieri e fanciulle che siedono in groppa ai cavalli con accanto altri che procedono in fila. Tutti in abiti tradizionali. Gli organizzatori di quella del 1951 avevano tenuto presente che, in Sardegna, esisteva l’usanza di andare a cavallo, fuori dell’abitato, incontro alle autorità che giungevano in visita. E identica scorta con cavalieri avviene ancora oggi per accompagnare in processione verso i santuari campestri i simulacri dei santi. Secondo Enrico Costa nella sua monumentale opera su Sassari, riferisce di cortei equestri organizzati in città. Uno di questi avvenne nel 1556 in occasione dell’assunzione al trono di Filippo II di Spagna. La manifestazione si fece in onore di don Antonio Cardona che prendeva possesso del governo dell’isola in «nome di Sua Maestà». Nonostante a Sassari fosse ancora vivo il ricordo della peste che, si era diffusa da Alghero, il 17 maggio 1656 fu organizzata una cavalcata per andare incontro, verso la periferia orientale, a «Escala de gioca, como es costumbre», al Conte di Lemos. Tuttavia, riporta sempre il Costa, una «Cavalcata particolarmente riverente verso il personaggio ospite fu quella che si organizzò il 26 marzo 1696 in onore del Conte di Altamura, che giungeva da Cagliari con l’intento di “reprimere” i contrabbandi che vi facevano anche i preti e i frati». L’accoglienza fu così predisposta: «I consiglieri, cavalieri e molte distinte persone a cavallo gli andarono incontro fino al sito Los Laqueddos e di là si mossero per riunirsi nella chiesa di San Sebastiano; indi si diressero verso gli orti (l’attuale Giardino pubblico); di là fino a Porta S. Antonio per risalire il Corso». Sempre in epoca spagnola, nel 1711, in occasione dell’incoronazione di Filippo V fu organizzata un’altra cavalcata. E ci fu cavalcata il 28 febbraio 1796 per andare incontro all’Alternos Giovanni Maria Angioi che «seguito da oltre mille cavalieri... entrò in Sassari, dopo dieci giorni di marcia... L’accoglienza fu schietta di liberalismo... Tutti correvano incontro ad Angioni; per le vie era un’onda di popolo... Il grido generale era: Abbasso i nobili! Abbasso i preti! Viva Angioi, viva la libertà, viva la Repubblica». Fra gli spettacoli che si svolgevano in occasione delle cavalcate, il Costa riferisce che si organizzavano manifestazioni quali corride, gare di abilità equestre come «La corsa all’anello». Spettacoli molto popolari che durarono per diverso tempo fino a quando «le corse lungo la piazza furono proibite dal Consiglio comunale in seduta del 23 febbraio 1844». Qualche anno prima il Costa annota che il Valery scrive, per quanto riguarda il 1834, «d’esser stato presente alle feste fatte in Sassari all’arrivo del Viceré Montiglio, nel maggio del detto anno: In quell’anno, i cavalieri, montati in sella ai loro più bei cavalli, eseguirono innanzi a S.E. nella piazza Castello, una sorta di giostra, o gioco dell’anello». Una delle più interessanti cavalcate del passato fu quella del 20 aprile 1899, organizzata per accogliere re Umberto I e sua moglie Margherita che giungevano a Sassari a inaugurare in piazza d’Italia la statua di Vittorio Emanuele II. In pratica, fu una prima prova di esibizioni spettacolari di costumi tradizionali, che in seguito diventerà sempre più frequente. Come avvenne in successive cavalcate organizzate sempre in onore della famiglia reale. La tradizione delle «Cavalcate» organizzate per onorare l’arrivo di personaggi illustri dimostra che, nel 1951, gli amministratori del tempo ebbero una felice intuizione istituendo la manifestazione con cadenza annuale nel Maggio sassarese per attrarre correnti turistiche. In quel tempo, lo sviluppo economico dell’isola era orientato soprattutto al miglioramento dei comparti agro-zootecnici e alla formazione dell’industria turistica, sfruttando le bellezze ambientali e il patrimonio culturale. L’industrializzazione petrolchimica non era ancora entrata nei dibattiti politici; allora era prematuro pensare di fare indossare al pastore la tuta dell’operaio per aiutarlo ad acquisire «la coscienza di classe» e così abbandonare repentinamente la mastrucca. Agli inizi degli Anni Cinquanta si era ai primi momenti della progettazione del Piano di Rinascita ed era ancora lontana l’ideologia dell’«immaginazione al potere» degli ultimi Anni Sessanta, così come non erano immaginabili la fine delle gradi ideologie e il diffondersi della globalizzazione. Professore ordinario Storia delle tradizioni popolari Università di Sassari _____________________________________________________ L’Unione Sarda 19 mag. ’11 LA VERITÀ SUL NOME DI BUENOS AIRES E LA MADONNA DI BONARIA Il nuovo libro dello storico Roberto Porrà pubblicato da Arkadia mette fine alle polemiche tra gli studiosi Il nome della capitale argentina deriva dal culto per la Madonna di Bonaria. Ormai non ci sono più dubbi. Non è una leggenda per stupire i turisti, ma un fatto storico che getta saldamente un ponte tra l'isola nel Mediterraneo e il paese sudamericano dove vivono tantissimi emigrati sardi. Che il toponimo Buenos Aires arrivi da Cagliari lo dimostrano i documenti di archivio e l'analisi storica frutto di un lungo lavoro dello studioso cagliaritano Roberto Porrà, docente universitario e dirigente della Soprintendenza archivistica per la Sardegna. Per molti anni, attratto anche lui dal fascino di questa vicenda spesso contrastata dagli storici spagnoli e argentini, ha scavato nelle fonti, ha esaminato decine di carte e volumi, alla fine ha riassunto tutto in un piccolo quanto succoso saggio: "Il culto della Madonna di Bonaria di Cagliari", edito dalla giovane, ma già affermata casa editrice Arkadia. Cento pagine per raccontare cinquecento anni di una leggenda che oggi non è più tale perché - come dimostra Porrà - confortata dagli storici. PRESENTAZIONE Il volume verrà presentato domani alle 18, nel teatro del Convento di Bonaria, dall'autore con il rettore del santuario padre Salvatore Mura, l'assessore alla cultura Giorgio Pellegrini, il presidente della Provincia Graziano Milia, gli storici Gianfranco Tore e Luciano Gallinari, il giornalista Mario Girau. IL CULTO La basilica di Bonaria è uno dei luoghi più visitati dai turisti col suo fascino antico, le storie della conquista aragonese e il richiamo della statua miracolosa della Vergine. Ma soprattutto è un luogo di culto per gli abitanti legati profondamente alla Signora di Bonaria che venerano come dispensatrice di grazie e madre protettiva. Una tradizione secolare per la città e anche per i marinai che, in passato, a cominciare dalla fine del 1300, non mancavano mai di recarsi sul colle per una preghiera di auspicio per una buona navigazione. E al santuario tornavano per ringraziare la Madonna per un salvataggio o per una grazia dopo avventurosi e spesso tragici viaggi. LA SCOPERTA Ed è proprio attraverso i marinai e l'ordine dei padri mercedari che il primo insediamento nella foce del Mar della Plata fu battezzato porto di Nuestra Senora Santa Maria del Buen Aire o de los Buenos Aires. Qui nel febbraio del 1536 era giunta la spedizione guidata dallo spagnolo Pedro de Mendoza. Porrà spiega con ricchezza di particolari che l'avamposto fu dedicato alla Madonna cagliaritana per adempiere al voto alla Vergine protettrice dei naviganti, in quanto i beneficiati dell'intervento provvidenziale non potevano effettuare un pellegrinaggio di ringraziamento al santuario o fare una donazione di denaro. MENDOZA A bordo della nave del capitano Pedro de Mendoza c'era uno scudiero di origini cagliaritane o genovesi, Leonardo Gribeo, già scampato a un naufragio insieme a un'immagine della Madonna di Bonaria a cui attribuì il merito della propria salvezza. Appena sbarcati sulla spiaggia del Rio della Plata il Gribeo suggerì al comandante di dedicare quel luogo ancora misterioso alla Vergine sarda. Qui nei secoli sorgerà una delle più vaste capitali del mondo: la municipalità di Buenos Aires non nasconde questo legame e da un decennio ha riservato uno spazio importante a una copia della statua cagliaritana nella piazzetta di fronte alla Direccion de los migrantes (sede del museo nazionale dell'immigrazione), lungo l'avenida Antàrtida argentina nel Nuevo Puerto. Sul lato mare si scorge la verde piazzetta con una significativa targa: Plazoleta Isla de Sardegna. LA STATUA La bianca statua è lì, ingabbiata in una cancellata di protezione, con accanto tre bandiere: argentina, italiana e i "quattro mori". Realizzata dallo scultore Emilio Del Fiandra su marmo di Carrara, era stata donata alla municipalità portena da un gemmellaggio tra il Lions Club di Cagliari e l'omologo sodalizio di Buenos Aires nel 1968. Il 21 aprile di quell'anno, con una solenne cerimonia, fu collocata sopra un piedistallo di cinque metri sul molo d'ingresso al porto così che potesse essere vista dalle navi in avvicinamento. Negli anni Novanta fu spostata in seguito ai lavori portuali e alla fine sistemata dove si trova oggi. La custodia è stata affidata ai circoli degli emigrati sardi. LA STORIA La statua bianca è il simbolo di una storia che Roberto Porrà ricostruisce minuziosamente pezzo a pezzo: «La presenza nella spedizione di Mendoza di due frati mercedari - racconta lo studioso, - di un buon numero di marinai liguri, di molti militari iberici che avevano combattuto nel Mediterraneo contro i corsari barbareschi o nelle guerre della penisola italiana, giustifica e comprova la derivazione del nome in catalano o in castigliano dal culto della Vergine venerata nel santuario cagliaritano. Il porto di Cagliari, infatti, fu frequentato nel XVI secolo da navi e marinai di diverse nazionalità, animato da traffici commerciali diretti anche verso porti oceanici come Siviglia». Da questo scalo partirono anche gli isolani che si recarono poi nel Nuovo Mondo. Leonardo Gribeo, fu probabilmente il primo, ma non l'unico. Ai marinai e ai commercianti seguirono numerosi missionari sardi. Porrà sottolinea che i sardi di allora erano a tutti gli effetti spagnoli, per lingua e cultura, perché l'isola faceva parte dell'impero castigliano. Da qui il dibattito e le polemiche che a lungo hanno diviso gli storici (come per le origini di Colombo) riguardo all'italianità o all'ibericità di un personaggio. «Merito di Porrà- afferma nella prefazione il ricercatore del Cnr Luciano Gallinari esperto di viaggi della scoperta - è nel confutare correttamente le teorie interpretative del nome di Buenos Aires che lo storico spagnolo Miguel Herrero Garcìa tendeva invece a ricollegare a un grande retablo dedicato alla Virgen del Buen Aire in vista sin dal 1530 nella Casa de Contrataciòn di Siviglia». Il dipinto, la presenza di una cofradìa di naviganti intitolata alla stessa Madonna cagliaritana e un convento dei padri mercedari nella città andalusa, sono elementi - secondo Porrà - che potrebbero aver influito su Pedro de Mendoza, ma che comunque si ricollegano indirettamene come fonte primaria di ispirazione alla Madonna isolana. Carlo Figari _____________________________________________________ Corriere della Sera 21 mag. ’11 SINDACATI EUROPEI E ITALIANI QUANTI SONO GLI ISCRITTI Leggo in vari articoli e lettere sui giornali come gli extracomunitari siano preferiti alle persone locali perché possono essere sfruttati più facilmente e anche perché spesso vengono pagati «in nero». È vero? E che cosa fanno i sindacati per cambiare la situazione? Perché si continuano a fare scioperi inutili? Eppure un sindacato moderno e intelligente è necessario in ogni società. Qui in Australia i sindacati hanno perso molti dei loro membri. Mentre per esempio nel 1980 il 55% della forza lavorativa apparteneva ad un sindacato, oggi la percentuale è solamente ad un massimo del 20%. Succede così anche in Italia? Franca Arena , Sydney Cara Signora, L a sua prima domanda - se i lavoratori stranieri vengono assunti perché lavorano in nero e sono pagati meno - è stata fatta a Maurizio Ambrosini, professore di sociologia dell' immigrazione all' Università statale di Milano, durante una conferenza di Osservatorio sul mondo (un' associazione milanese che organizza da molti anni incontri sulla politica internazionale). Ambrosini ha risposto che il lavoro «nero» degli immigrati è particolarmente concentrato là dove è più forte l' economia sommersa, vale a dire nelle regioni meridionali del Paese. È un fenomeno che tutti deplorano, che i sindacati denunciano da tempo e che le politiche governative cercano di affrontare, talora con qualche risultato. Ma tutti, anche i sindacati, si scontrano con una certa complicità dell' ambiente sociale. Alla sua domanda sul tasso di sindacalizzazione, rispondo con alcuni dati europei tratti da un rapporto del Cnel (Consiglio italiano dell' Economia e del Lavoro), apparso nel 2010, sulle relazioni sindacali in Italia e in Europa. Secondo la Commissione di Bruxelles, il numero degli iscritti, nell' attuale Unione a 27, ha superato la soglia dei 42 milioni (lavoratori dipendenti, esclusi pensionati e disoccupati, aggiungendo i quali si arriverebbe a quasi 60 milioni), vale a dire una densità sindacale media del 25,1%. Secondo gli ultimi dati disponibili, le differenze da un Paese all' altro sono considerevoli. Si passa dall' 8,6% della Francia al 76% della Svezia. Superano il 40% anche Finlandia, Danimarca, Cipro, Malta, Belgio e Lussemburgo; mentre al di sotto del 20% si trovano, insieme alla Francia, Lettonia, Ungheria, Portogallo, Estonia, Spagna, Lituania e Polonia. L' Italia è in una posizione intermedia con il 33,8%. In tale fascia vi sono, con tassi superiori all' Italia, Slovenia, Romania, Irlanda; e, con tassi inferiori al nostro Paese, Austria, Slovacchia, Regno Unito, Grecia, Olanda, Germania, Repubblica Ceca, Bulgaria. Come lei avrà notato la tendenza generale è verso la diminuzione ed è particolarmente visibile negli ultimi dodici Paesi membri, vale a dire in quelli che hanno fatto parte del blocco sovietico sino alla fine della Guerra fredda. La sua domanda più controversa, naturalmente, è quella sulla utilità degli scioperi. La mia personale impressione è che i sindacati di alcuni Paesi europei, fra cui l' Italia, abbiano attraversato una lunga fase durante la quale hanno concepito se stessi come forze politico-sociali organizzate per promuovere la trasformazione dell' intera società e accompagnare il lavoratore dalla culla alla tomba: una concezione che li ha trasformati spesso in partiti d' opposizione. Per questi sindacati non è facile comprendere che il loro compito principale è quello di negoziare i contratti di lavoro. _____________________________________________________ Corriere della Sera 16 mag. ’11 IGNORANZA INFORMATICA, 200 MILIONI BUTTATI È il costo pagato dagli enti locali. Eppure la produttività salirebbe di 2,1 miliardi con la formazione G uasti hardware, ignoranza degli utenti, «leggerezze» degli specialisti Ict agli help-desk. Il conto alla cassa per la pubblica amministrazione locale — composta da circa 600 mila dipendenti tra regioni, comuni, province e comunità montane — è di oltre 200 milioni di euro di perdita di produttività annuale. E in media sono 47 i minuti, ogni settimana, impiegati da ciascun dipendente per tornare a un corretto funzionamento del proprio computer. Ancora: se dirigenti, funzionari e impiegati degli enti locali seguissero un normale corso per il conseguimento della patente europea del computer (l’Ecdl), il delta di produttività supererebbe i 2,1 miliardi di euro all’anno. Cifre da capogiro, certificate da uno studio congiunto Sda Bocconi e Aica, l’associazione italiana per l’informatica e il calcolo automatico. Assumono un peso maggiore se si considerano i vincoli di bilancio a cui sono sottoposti gli enti locali. Eppure il teorema del dipendente pubblico scarsamente preparato in ambito informatico (che sembrerebbe il corollario di questi dati) viene in parte disatteso. Perché chi lavora nel privato ha una conoscenza dei principali applicativi in uso (word processor, foglio elettronico, presentazioni, gestione dati, software per la navigazione in Rete e per l’utilizzo della posta elettronica) inferiore in media del 13%rispetto ai colletti bianchi degli enti locali (ma i più ferrati restano i dipendenti delle banche). Pubblico batte privato, quindi. E l’Italia è persino meglio di Stati Uniti e Paesi scandinavi, perché se le nostre imprese staccano in media un assegno di 885 euro all’anno per dipendente a causa del tempo perso dovuto a imperizia informatica, le aziende yankee lasciano sul terreno 2.600 dollari all’anno: uno scontrino a quattro cifre, dal Paese pioniere del progresso tecnologico. Poca formazione, ma non siamo i soli. «Vero — dice Fulvia Sala, responsabile area progetti e ricerche di Aica —. Si parla molto di nuove tecnologie, ma il mondo delle imprese non ha ancora ben capito la necessità di fare formazione informatica ai dipendenti» . Forse perché i costi sono spropositati rispetto al ritorno dell’investimento? «Non proprio — sostiene Pier Franco Camussone, tra gli autori dello studio e docente di sistemi informativi alla Sda Bocconi —. Abbiamo calcolato il Roi (ritorno sugli investimenti, ndr. ) di un corso di formazione per il conseguimento dell’Ecdl: 3.900%in un triennio» . Come dire: per ogni euro investito, il ritorno è di 1.300 euro all’anno per ciascun dipendente, in maggiore efficienza e produttività. Certo, è necessario formare gli utenti, «ma è necessario fare altrettanto con i sistemisti — aggiunge Camussone —. Lo impone la Ue (esiste da tempo l’attestato Eucip, lo standard europeo per lo sviluppo delle competenze dei professionisti Ict, ndr. ), e in questa direzione si stanno muovendo anche i colossi Microsoft e Cisco Systems» . FABIO SAVELLI _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 mag. ’11 ARRIVA IL «SUPERDIPLOMA» ROMA. Un «super-diploma» alternativo al percorso universitario che formi «super tecnici» con i profili richiesti dalle imprese del territorio. E’ l’obiettivo dei 58 nuovi Istituti tecnici superiori (Its) che da settembre apriranno i battenti in tutte le regioni per «dare una risposta concreta al problema della disoccupazione giovanile e dell’abbandono scolastico». Si tratta, ha spiegato Gelmini, di «fondazioni costituite da scuole, università e imprese per dare via a un’autentica integrazione tra istruzione, formazione e lavoro, al fine di fornire al mercato quei profili tecnici che consentano l’occupazione dei giovani, nel rispetto della loro inclinazione naturale ma avvicinando il sistema del lavoro al mondo della scuola». Un percorso «obbligato», ha insistito il ministro per «non rassegnarsi al precariato e per orientare al meglio la scelta formativa dei ragazzi, che spesso si pentono degli indirizzi scelti e non assecondano le richieste di professionalità e competenza che arrivano dal mondo delle imprese». Lo scopo principale è quello rafforzare il binomio «istruzione-lavoro», passando per una formazione ad hoc che «immetta sul mercato i profili tecnici richiesti dalle imprese nel rispetto della cultura di base dei ragazzi». Ecco allora che a Novara, dove Finmeccanica ha investito nel settore dell’elicotteristica, uscirà a settembre una sorta di bando di gara per giovani diplomati interessati a lavorare nel settore: i corsi sono a numero chiuso e ogni fondazione organizza la didattica con una parte teorica e una pratica, da svolgere prevalentemente in azienda. La partenza di ogni Its è garantito da un finanziamento di circa 460mila euro da parte del ministero dell’Istruzione che, di concerto con il dicastero del Lavoro, sta mettendo a punto un regolamento per il canale Its. __________________________________________________________________ Repubblica 23 mag. ’11 LA CARICA DELLE MEDUSE CONQUISTA IL MEDITERRANEO Niente pesce nel menù del futuro, solo zuppa di meduse. Quando gli ingredienti del mare diventano poveri, ad approfittarne sono gli invertebrati urticanti, a loro agio tra l'altro negli oceani riscaldati dal mutamento climatico. Il risultato è un Mediterraneo sempre più agitato dai cappelli pulsanti di queste creature per il 95% fatte di acqua. E quindi poco sensibili anche a condizioni ambientali degradate. Se quest'anno le meduse non sono comparse in anticipo sull'estate è solo perché non se ne sono andate neanche d'inverno. Le osservazioni sono state continue nell'Adriatico come nel Tirreno, a Malta e in Tunisia. L'effetto urticante che si farà sentire sui bagnanti non è l'unico problema. L'esplosione dei banchi di meduse danneggia anche i pescatori, perché gli invertebrati e i giovani pesci competono per lo stesso cibo, le meduse vengono prese nelle reti appesantendole e per il motivo infine che gli allevamenti ittici sono soggetti agli sconfinamenti di questi animali, che da 500 milioni di anni non fanno altro che adagiarsi sulle correnti marine. In altri paesi è capitato che enormi masse di meduse siano finite nelle condotte per il raffreddamento degli impianti industriali. Nel 2006 una centrale nucleare giapponese, ad Hamaoka, è stata fermata per pulire urgentemente i filtri. Se le punture urticanti non mancano, i dati ufficiali sulle popolazioni di meduse sono scarni. "Le campagne di monitoraggio scientifico scarseggiano - spiega Ferdinando Boero, professore all'università del Salento e ricercatore del Cnr - per questo abbiamo deciso di chiedere aiuto ai cittadini. Dal 2009 abbiamo avviato la campagna "Occhio alla medusa" promossa dalla Commissione del Mediterraneo e dalla rivista Focus, chiedendo a chi frequenta i mari italiani di inviarci un messaggio e una foto in caso di avvistamento. Quest'anno, grazie alla collaborazione con la Lega Navale, contiamo di ricevere dati anche dalle barche che navigano al largo". L'Istituto di scienze marine del Cnr organizza delle campagne di monitoraggio lungo le coste italiane: "È vero, ormai osserviamo le meduse durante tutto il corso dell'anno. D'estate vengono notate di più per via del turismo, ma sono presenti nei nostri mari anche nella stagione fredda" spiega il ricercatore Mauro Bastianini. "Le difficoltà nella stima precisa del loro numero sono molte. Mentre i pesci sono "osservabili" tramite speciali sonar, le meduse hanno praticamente la stessa consistenza dell'acqua e sfuggono alla maggior parte degli strumenti. Affidarsi agli avvistamenti diretti resta spesso Tunica possibilità". Sui motivi dell'esplosione di meduse ormai ci sono pochi dubbi residui. "In un ecosistema sempre più povero di pesci, il posto vuoto viene riempito dalle meduse" spiega Boero. In un habitat equilibrato i pesci si nutrono dei piccoli invertebrati. Ma con i piatti della bilancia così fuori asse sono piuttosto le meduse a nutrirsi delle uova e dei piccoli dei pesci, alimentando il circolo vizioso. "Il passaggio da un ecosistema ricco di pesci a uno ricco di meduse rischia di essere irreversibile, poiché le prime si nutrono delle larve dei secondi" spiega uno studio dell'università scozzese di Saint Andrews pubblicato su Current Biology. "E il riscaldamento globale - prosegue Boero - favorisce questi animali gelatinosi. La loro stagione riproduttiva si allunga fino a creare popolazioni di grandi dimensioni". "In passato - spiega una ricerca della Foundation for Ocean Science apparsa fanno scorso su Current Biology - le esplosioni di meduse avvenivano ogni 12 anni e duravano circa 4 anni. Con un riscaldamento del Mediterraneo occidentale di mezzo grado dal 2002 a oggi e di un grado nell'Atlantico nord-orientale, il boom è diventato continuo". Il risultato: centinaia di bagnanti urticati in una sola giornata in Spagna la scorsa estate, banchi lunghi 100 chilometri e larghi due di fronte alle coste israeliane, un impianto di desalinizzazione bloccato sempre in Israele l'inverno passato, una "cucciolata monstre" di 12 milioni di tonnellate di meduse nel 2006 al largo della Namibia. E quest'anno una prima invasione della Pelagia, una delle specie più urticanti, è stata notata già a gennaio nelle acque di Malta e si prepara a raggiungere anche l'Italia _____________________________________________________ Corriere della Sera 24 mag. ’11 LE FORESTE ASSORBONO IL DOPPIO DELLA CO2 UNA RICERCA USA CAPACE DI INFLUENZARE I CONTI DEL GLOBAL WARMING Valutazioni riviste: ora si arriva al 40 per cento Giungono buone notizie dalle foreste nell' anno ad esse dedicato dall' ONU. Il loro effetto «spugna» nell' assorbire il carbonio dall' atmosfera e sottrarne quindi l' anidride carbonica (principale imputato dell' effetto serra e del conseguente riscaldamento globale) è superiore a quanto finora ritenuto. Un gruppo di ricercatori di 35 Istituti universitari statunitensi è giunto alla conclusione che le foreste negli Usa riescono a sequestrare il 40 % del carbonio della nazione derivante dalle emissioni di gas prodotti da combustibili fossili. E' una quantità significativamente superiore a quanto stimato in precedenza (intorno al 20-25 per cento), che viene sottratta all' atmosfera se non intervengono periodi di straordinaria siccità o altre catastrofi che perturbano l' ambiente. La nuova misurazione imporrà una revisione dei conteggi nel bilancio del carbonio anche a livello globale. Da ricordare che il protocollo di Kyoto, così disatteso, prevedeva una riduzione di solo il 5% delle emissioni di CO2 entro il 2012. Lo studio, condotto in 48 Stati degli Usa, è stato pubblicato sulla rivista Agricultural and Forest Meteorology, ed è basato su misurazioni satellitari e sui dati di decine di siti di osservazione della rete AmeriFlux. Visto che molti sono i nuovi dati, che non erano stati incorporati in precedenti stime, la ricerca fornisce una delle valutazioni più accurate del bilancio del carbonio della nazione che si colloca al primo posto nel mondo per l' emissione pro capite di anidride carbonica derivante da combustibili fossili. E' pur vero che la Cina nel 2007 ha superato gli Usa diventando il leader mondiale delle emissioni totali (6.018 milioni di tonnellate) ma è anche vero che l' americano medio ne è responsabile per 19,8 tonnellate a persona, mentre un cinese per sole 4,6. «Il fatto che le foreste e altri tipi di vegetazione terrestre possano sequestrare il 40% delle emissioni di carbonio è un dato sostanzialmente più elevato rispetto alle precedenti stime che indicavano come questi ecosistemi potessero assorbire solo il 25 % delle emissioni o anche meno» commenta il co-autore dello studio Beverly Law del Dipartimento ecosistemi forestali della Oregon State University. Tuttavia, gli scienziati avvertono che i disturbi più importanti come la siccità (nel 2002 e nel 2006 negli USA), incendi (come quello nel sud-ovest dell' Oregon, nel 2002, che fu uno dei più grandi per quanto riguarda le foreste nella storia moderna degli Stati Uniti) e uragani (quali Katrina nel 2005, particolarmente devastante) possono influenzare la quantità di carbonio sequestrato in un dato anno. Questa riduzione può anche essere di circa il 20% rispetto a un anno normale. Dalla ricerca è emerso che l' aumento del carbonio assorbito delle foreste temperate nella parte orientale degli Stati Uniti è dovuto principalmente alla ricrescita forestale in seguito all' abbandono dei terreni agricoli, mentre in alcune aree del Pacifico nord-occidentale il carbonio viene assimilato durante gran parte dell' anno a causa del clima mite della regione. «I nostri risultati mostrano che gli ecosistemi degli Stati Uniti giocano un ruolo importante nel rallentare l' accumulo di anidride carbonica in atmosfera» concludono i ricercatori. Ma l' efficacia di questa «spugna» è legata alla salvaguardia della vegetazione, in particolare le foreste sempreverdi e di latifoglie. Il WWF in un rapporto redatto in occasione dell' anno internazionale delle foreste, evidenzia come quest' ultime siano il più grande deposito di carbonio della Terra, ma come allo stesso tempo la deforestazione sia la terza fonte di gas serra, dopo la combustione di carbone e petrolio. Massimo Spampani **** 35 sono gli istituti universitari coinvolti nell' indagine in 48 Stati americani e che hanno valutato le emissioni di carbonio **** 250 milioni di anni fa le più grandi eruzioni vulcaniche mai avvenute sulla Terra hanno portato all' estinzione del 95% degli esseri viventi (Università di Calgary). **** I tagli Distruzioni In aree tropicali, rileva la Fao, la deforestazione ha assunto un ritmo sconcertante. In particolare in Brasile, Congo e Indonesia. L' inizio A partire dall' Olocene, circa 10 mila anni fa, l' 80 per cento delle foreste è stato distrutto e quel che rimane è degradato. Incendi Ogni ettaro di foresta bruciata scarica nell' aria fino a 14 tonnellate di anidride carbonica Spampani Massimo _____________________________________________________ Corriere della Sera 23 mag. ’11 COMPUTER DAI DINOSAURI ALLA CORSA DEGLI ZETTABYTE EVOLUZIONE COSA CAMBIA CON IL NUOVO CODICE UEFI CHE STA SOSTITUENDO IL TRADIZIONALE BIOS. APPARECCHI PIÙ SICURI CHE SI AVVIANO IN MENO DI 5 SECONDI È l' unità di misura della memoria del futuro: un triliardo di byte. In due anni, macchine veloci il doppio. E fine dei «crash» C hi azzarda similitudini antropomorfiche parla di «salto evolutivo del Dna dei computer» e, addirittura, di un «cambio di paradigma dell' inconscio dei pc». Di certo per i computer è iniziata la svolta della velocità: i manager dei più importanti produttori di microprocessori (Intel in testa) ne sono sicuri. Decollerà, dicono, in un paio di anni. Di che cosa si tratta? I pc saranno più stabili, sicuri, non andranno in «crash»; e, soprattutto, quando si accenderanno avranno velocità di avvio sbalorditive. «Oggi per potere visualizzare sullo schermo la prima immagine del sistema operativo occorrono in media una trentina di secondi - dice il guru dell' informatica Mark Doran -. Tra poco il tempo si conterà su una sola mano». Il codice Doran guida l' Uefi Forum (Unified extensible firmware interface), dedicato appunto all' Uefi, il prossimo «codice innato» dei computer, il Dna della macchina, il suo lato più affascinante e ignoto. Uefi sta sostituendo, con un andamento in rapida crescita, il decrepito Bios (Basic input output system) che da oltre trent' anni governa i pc. Non l' avete mai visto? È semplice, basta premere una combinazione di tasti durante l' avvio per averlo di fronte. Non ha proprio l' aspetto complicato e affascinante dell' elica del Dna animale; è una schermata, solitamente di colore grigio-azzurro, disegnata per riconoscere le interfacce necessarie per l' avvio del sistema operativo. Nonostante i progressi tecnologici dei computer e dei microprocessori, il Bios è rimasto quasi simile alla prima versione, quella che all' inizio degli anni Ottanta fece partire i primi pc. Insomma, la legge di Gordon Moore (il fondatore di Intel) con la quale, seguendo una filosofia darwiniana, si stabilisce il raddoppio della potenza dei chip ogni 18 mesi, non ha neppure sfiorato il vecchio Bios. Il numero dei transistor di un microprocessore è passato dai 2.250 del 1971 a ai 2,3 miliardi del 2010. E la memoria dai kilobyte degli anni Ottanta ai giga e ai terabyte attuali. Ma se nel vecchio Dna dei computer c' è poco Darwin, è forte la presenza di Thomas Kuhn, l' epistemologo americano che, anziché l' evoluzione costante, preconizzava il salto di paradigma, un balzo in avanti nell' evoluzione. L' Uefi, il nuovo Bios, è proprio un salto nel futuro. Lo ha capito Apple che ha attrezzato già i suoi computer con il nuovo e futuro standard. I vantaggi? L' Uefi integra i driver (software che comandano le varie componenti hardware) senza bisogno di caricarli a ogni avvio e poi, a differenza del Bios che lavora a 16 bit, ha una velocità di 64 bit: gestisce al meglio l' architettura di un moderno computer. La memoria Concretamente, significa una velocità di avvio anche dieci volte superiore a quella attuale, massima stabilità e la possibilità di inserire nella memoria programmi di sicurezza. Quali? Il controllo di software maligni come virus e spyware, ancora prima di avviare il sistema operativo. Un' operazione che può aumentare sensibilmente la sicurezza. I nuovi computer saranno capaci inoltre di gestire grandi dischi di memoria. Oggi è limitata a 2 terabyte, ma con le nuove schede Uefi si proietta verso numeri da fantascienza: 9 zettabyte, più di 9 miliardi di terabyte, 9 triliardi di byte. Un' esagerazione? Probabilmente no, meglio evitare i giudizi affrettati. In molti ricordano la gaffe di Bill Gates che dichiarò di ritenere sufficienti i miseri 640 kbyte del pc. Oggi le memorie interne superano abbondantemente i 4 gigabyte. Vincenzo Ambriola, ordinario di Informatica all' Università di Pisa, parla di una nuova «stirpe» di computer. «I dinosauri, cioè i pc di oggi, si stanno rapidamente estinguendo - dice - e stiamo assistendo a una nuova evoluzione di macchine. Per la prima volta, daranno vantaggi contemporaneamente a scienziati e quotidiani utilizzatori. Potranno utilizzare grandi quantità di memoria e saranno anche più facili e veloci da utilizzare». Secondo Intel, che al nuovo Bios sta lavorando da 11 anni, l' Uefi può essere considerato un micro sistema operativo innato nella memoria del pc. «Capace di sfruttare al massimo l' evoluzione hardware delle macchine - dice Andrea Toigo, ingegnere di Intel Italia -. I sistemi operativi dovranno però adeguarsi molto velocemente per non restare indietro». Una scommessa anche questa da vincere per avere il miglior computer possibile. mgasperetti@corriere.it ========================================================= _____________________________________________________ L’Unione Sarda 26 mag. ’11 AOUCA: CERTIFICAVANO LA PRESENZA DI GUARDIE GIURATE ASSENTI Chiusa l'inchiesta sui responsabili della “Vigilanza centro sicurezza” Truffa all'università Nei documenti apparivano come se fossero regolarmente in servizio, ma in realtà le guardie giurate incaricate di sorvegliare la Cittadella universitaria e al policlinico di Monserrato non c'erano. Alcuni vigilantes sarebbero stati costretti a firmare i registri delle presenze anche quando erano assenti, o impegnati altrove, con la minaccia di essere licenziati e perdere il lavoro. Giampaolo Lampis, 57 anni, originario di San Nicolò d'Arcidano ma residente in città, ed il cagliaritano Andrea Alfarano, 28 anni, sono finiti nel registro degli indagati perché accusati di truffa ai danni dell'Università e di vari episodi di violenza privata denunciati dai vigilantes. Si tratta del titolare della società cagliaritana “Vigilanza Centro Sicurezza” e del direttore dell'istituto privato, responsabile anche dei turni di lavoro delle guardie. L'inchiesta, scattata a fine 2009 e condotta dal sostituto procuratore Giancarlo Moi, si è chiusa nei giorni scorsi con la notifica agli indagati, difesi dall'avvocato Pierandrea Setzu, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Al titolare e al direttore dell'istituto di vigilanza, che si era aggiudicato l'appalto per la sorveglianza del polo di Monserrato, la Procura contesta di aver costretto alcuni dipendenti a firmare varie volte i registri dei turni nonostante non fossero presenti. Ora il pm deciderà se chiedere il rinvio a giudizio degli indagati. (f.p.) I TRE FIGLI Cristina Avanzato ha dovuto subire diversi interventi chirurgici e nei prossimi mesi probabilmente dovrà sottoporsi all'ennesima operazione per la ricostruzione delle pareti addominali. «Sciocchezze» per chi pensava di morire, di non rivedere più il marito e quei tre bambini, tutti maschi, che ieri sera giocavano a pallone nel giardino della loro casa in via Pascoli indossando la maglietta della Juventus. Felici con la loro madre vissuta due volte. _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 mag. ’11 AOUCA: STIPENDIO PIENO MALGRADO L’ATTIVITÀ ESTERNA E LE VISITE IN PRIVATO Sollecitato il processo anche per il direttore della Santa Rita L’inchiesta dei Nas partita nel 2008 con numerosi indagati Pazienti dirottati sulle cliniche: chiesto il rinvio a giudizio per due medici dell’università CAGLIARI. C’è anche il nome di un terzo medico nella richiesta di rinvio a giudizio che il pm Giangiacomo Pilia ha firmato a conclusione dell’inchiesta sull’oculista e docente Maurizio Fossarello, direttore della clinica oculistica del San Giovanni di Dio, accusato di truffa e peculato aggravati per aver incassato gli stipendi di un professionista che lavora in esclusiva per l’ospedale per poi operare anche all’esterno: è Enrico Peiretti, titolare di un assegno di ricerca concesso dall’Università. Peiretti deve rispondere soltanto di concorso in peculato con Fossarello per aver usato farmaci ospedalieri per prestazioni private su cinque pazienti. I due medici sono accusati anche di aver indirizzato quattro persone che si erano rivolte alla struttura sanitaria pubblica alle cliniche in cui esercitavano la libera professione. Sotto accusa anche Francesco Sias, direttore della clinica privata Santa Rita: per il pm Pilia dev’essere rinviato a giudizio per ricettazione. Stando all’indagine condotta dai Nas avrebbe utilizzato farmaci rubati da qualcuno al San Giovanni di Dio e dalla casa di cura ‘Clinica di Quartu’ per curare pazienti all’interno della sua struttura privata. Stando alle accuse Fossarello, 58 anni, originario di Savona, ha incassato per quattro anni di seguito lo stipendio maggiorato che spetta a chi lavora solo in ospedale e a tempo pieno con la formula dell’intramoenia. Ma di nascosto all’amministrazione sanitaria ha eseguito da gennaio 2005 a gennaio 2008 almeno 112 interventi chirurgici nella casa di cura Villa Santa Rita, nel centro oculistico laser Santa Lucia srl di cui possedeva il cinquanta per cento delle quote e di cui è stato amministratore fino al 2008. Fossarello operava anche alla Global Vision srl e in uno studio privato. Stando all’indagine condotta dai carabinieri del Nas, pazienti di Fossarello venivano indirizzati al San Giovanni di Dio per le visite di controllo e qui esentati dal pagamento del ticket. Se poi qualcuno si rivolgeva a lui quando si trovava all’ospedale pubblico, qualche volta partiva un suggerimento discreto: per curare la maculopatia o la cataratta meglio andare alla clinica privata Santa Rita. L’accusa di peculato è riferita alla quota che il medico avrebbe dovuto versare alla struttura pubblica sulle parcelle incassate per l’attività interna - e autorizzata - all’ospedale: ha incassato interamente anche quella. Fossarello - stando alla ricostruzione del Nas, confermata dal magistrato - ha interrotto la doppia attività soltanto nel 2008, quando ha optato per il tempo ospedaliero definito. Una scelta che a giudizio della Procura non può cancellare il reato commesso nei quattro anni precedenti, quando il direttore della clinica oculistica ha percepito 141 mila euro di indennità sullo stipendio come compenso economico di un rapporto esclusivo che non ha rispettato. Ogni anno finivano nelle tasche del direttore da venti a ventisei mila euro in più. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 25 mag. ’11 ASL3: FALSE DIAGNOSI, ARRESTATO Il medico di Carbonia avrebbe terrorizzato i pazienti più anziani per convincerli a fare esami costosi e inutili nel suo studio privato Spaventava i pazienti che visitava nel poliambulatorio di via San Ponziano a Carbonia stilando diagnosi false o esagerate. «Ci sono tutti i segnali dell'insorgenza del Parkinson», «lei ha un'arteriosclerosi galoppante», «nel suo cervello c'è uno scarso afflusso di sangue, rischia da un momento all'altro ictus e trombosi». MEDICO IN MANETTE In questo modo Mariano Auro Carcassona, 57 anni, chirurgo vascolare molto noto nella città sulcitana, convinceva i malcapitati utenti della sanità pubblica, perlopiù anziani con normali acciacchi dovuti all'età, a effettuare un «urgente» “ecodoppler transcranico” nel suo studio privato di via Toscana. Esami in realtà non necessari o inutili per i quali incassava 100 euro per la prima visita e 50 per le successive, senza naturalmente rilasciare alcuna fattura e omettendo di versare all'Asl di Carbonia, con la quale aveva un rapporto di esclusiva intramoenia, la quota dovuta per legge. Un giochino che solo dal 2008 al 2010 gli avrebbe consentito - stando all'ipotesi del pm Giangiacomo Pilia - di mettere via un gruzzolo di oltre 27 mila euro in indennità di esclusiva riconosciutegli dall'azienda sanitaria. A smascherarlo sono stati i carabinieri del Nucleo tutela per la salute di Cagliari coordinati dal capitano Giovanni De Iorgi (ai quali il comandante del gruppo di Roma Giovanni Capasso ha voluto fare di persona i complimenti), la cui indagine ha convinto il Gip Cristina Ornano a emettere nei confronti del medico il provvedimento degli arresti domiciliari eseguito ieri. Gravi le accuse: peculato, abuso d'ufficio, falso materiale e ideologico, truffa aggravata ai danni dell'Asl e dei pazienti. DIETOLOGA INDAGATA Nell'inchiesta è indagata anche Laura Petrini, 67 anni, endocrinologa in servizio al policlinico di Monserrato che usava lo studio sulcitano di Carcassona per svolgere consulenze in nero come dietologa. Anche lei avrebbe truffato il datore di lavoro, cioè l'Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari, riscuotendo dal 2006 al 2009 le indennità di esclusiva per oltre 67 mila euro. Inoltre avrebbe prescritto ai suoi pazienti farmaci dimagranti a base di fendimetrazina - una sostanza inserita nell'elenco degli stupefacenti utilizzata solo nei casi di obesità patologica - a clienti che avevano appena qualche chilo in più, dunque in assenza di qualunque ragione clinica. Il che le è costato l'incriminazione per «prescrizione non terapeutica di sostanza stupefacente». L'INCHIESTA L'indagine parte nell'agosto 2009, quando i militari del Nas effettuano un controllo di routine nella farmacia Corda-Curreli a Carbonia scoprendo un numero anomalo di prescrizioni di capsule a base di fendimetrazina firmate dalla Petrini. Così scatta una verifica nel centro di via Toscana e subito viene fuori che sia l'endocrinologa che Carcassona svolgono in nero attività professionale privata. Spulciando l'agenda del chirurgo i Nas risalgono inoltre a dodici persone che, nel 2009, dal poliambulatorio di via San Ponziano sono finite a fare uno o più ecodoppler nello studio privato del medico. È grazie ai loro racconti che si scopre il trucco delle false diagnosi. Un inganno terribile, visto che ai pazienti e ai loro familiari si rappresentavano situazioni gravissime in realtà inesistenti. In due casi Carcassona avrebbe pure utilizzato un referto del San Giovanni di Dio, debitamente taroccato, relativo a un'altra paziente (da qui le accuse di falso materiale e ideologico). Nel centro vengono inoltre ritrovati anche medicinali ad esclusivo uso ospedaliero, probabilmente trafugati dal Sirai dove il medico ha lavorato sino al 2005. I SEQUESTRI Nei confronti dei due indagati sono scattati anche i sequestri preventivi a garanzia delle somme dovute all'Asl: a Carcassona sono stati messi sotto chiave un appartamento a Portoscuso e un conto bancario, alla Petrini quattro terreni a Villasimus e 30 mila euro. Massimo Ledda _____________________________________________________ L’Unione Sarda 25 mag. ’11 CALAMIDA: «SONO SBIGOTTITO, LO SOSPENDEREMO» Parla il direttore della Asl Calamida «Sono rimasto sbigottito: aspetterò la comunicazione formale della magistratura e poi scatterà automaticamente la sospensione dal servizio». Maurizio Calamida, direttore generale della Asl 7 del Sulcis Iglesiente, si dichiara doppiamente indignato per le accuse contro il dottor Mariano Carcassona, il medico chirurgo arrestato ieri per truffa aggravata, peculato, abuso di ufficio, falso materiale e ideologico a danno dei suoi pazienti. «Se le contestazioni dovessero venire provate - tiene a precisare il direttore generale della Asl - la cosa mi lascerebbe allibito sia come privato cittadino sia perché in questo caso i reati sarebbero stati commessi contro la pubblica amministrazione sanitaria del territorio che io, in questo momento, amministro». Come immediata conseguenza del provvedimento dei carabinieri del Nas, oggi il medico (cui sono stati concessi gli arresti domiciliari) verrà sospeso cautelativamente dal servizio. «È il minimo che dobbiamo fare - aggiunge il direttore Calamida - in attesa di una procedura disciplinare interna che, in base ai risultati che porterà, potrebbe condurre sino al licenziamento del nostro dipendente». Tuttavia il manager, di fronte alle accuse rivolte a un suo dipendente, non si sbilancia: «Le contestazioni sono gravissime - conclude - ma aspetteremo i risultati delle indagini e, a questo punto, dell'eventuale processo, prima di stabilire quali provvedimenti definitivi adottare». Per oggi è prevista una riunione con i direttori sanitario e amministrativo della Asl 7 per un esame più approfondito della vicenda. In questa occasione è molto probabile che i vertici dell'Azienda sanitaria decidano quali provvedimenti adottare nei confronti del medico. Fermo restando, comunque, che fino alla sentenza definitiva, vale il principio della presunzione di innocenza. Ragion per cui, qualsiasi decisione verrà presa, si tratterà comunque di un provvedimento a carattere provvisorio. _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 mag. ’11 NUORO: SETTE MESI D’ATTESA PER LA MAMMOGRAFIA Tempi biblici per le visite al San Francesco. In crisi anche lo Zonchello NUORO. Liste d’attesa che spesso superano i sei mesi e carenza di medici e infermieri. Sono i due problemi più gravi emersi dalla visita all’ospedale San Francesco fatta ieri dai consiglieri regionali Giannetto Mariani e Roberto Capelli. Sono i politici nuoresi che fanno parte della commissione consiliare che si occupa di Sanità. Capelli e Mariani, accompagnati da Pasquale Arca, direttore sanitario del San Francesco, e da Maria Carmela Dessì, direttore dello Zonchello, per tutta la mattina hanno ascoltato medici e infermieri e visitato alcuni reparti: «Vogliamo renderci conto delle problematiche dell’ospedale». Che sono tante ed evidenti. A cominciare dalle liste d’attesa: se ci sono alcune eccellenze, come cardiologia (tre giorni d’attesa per la visita) quasi tutti i reparti faticano a star dietro alle richieste. Per una visita angiologica, per esempio, bisogna aspettare 140 giorni, 202 per una colonscopia (prima data utile a dicembre), 193 giorni a geriatria per la diagnosi dell’osteoporosi (in attesa 2.156 anziani), 201 per una visita gastroenterologica ed epatologica (si finisce a dicembre) e 159 giorni per una visita neurochirurgica. Ma il record negativo se lo aggiudica odontoiatria: chi deve subire un intervento ai denti, un’estrazione, un’otturazione o l’ablazione del tartaro, deve aspettare più di una gravidanza. Almeno nove mesi: chi si prenota oggi verrà visitato non prima del febbraio 2012. Meglio comprarsi una dentiera. Oltre i 200 giorni di attesa anche in radiologia: 243 giorni perl’ecografia all’addome (530 pazienti in attesa, prima data utile dicembre 2011) e 201 per una tac di contrasto al capo. Per una visita urologica, invece, i giorni di attesa sono 245 (726 prenotazioni e si finisce a dicembre 2011). Allo Zonchello spiccano i 231 giorni necessari per un’ecografia all’addome e i 216 giorni che servono per una mammografia: oltre sette mesi per una visita che serve a prevenire il tumore al seno, un lasso di tempo che al contrario impedisce qualsiasi discorso realistico sulla prevenzione. Le poverette in attesa sono 432. Al poliambulatorio di Nuoro spiccano i 221 giorni per una visita endocrinologica, i 188 necessari per un’ecografia all’addome e i 137 per una visita oculistica (in attesa 3.080 persone). In provincia i tempi non migliorano: a Sorgono il record negativo è di chirurgia vascolare (171 giorni per una eco doppler), a Macomer radiologia (218 giorni), mentre per una mammografia passano 108 giorni e 160 per una eco mammaria. A Siniscola servono 124 giorni per una visita cardiologica e a Orosei 217 per una visita endocrinologica. «Per il 2011 la finanziaria regionale ha messo a disposizione 21 milioni di euro per abbattere le liste d’attesa - dice Capelli - ma non si sa niente. Si è partiti dallo stanziamento ma stiamo ancora aspettando il progetto. Il problema è che la politica non tiene il passo con le esigenze della sanità». _____________________________________________________ L’Unione Sarda 23 mag. ’11 ASL6: MOLTI OVER 65 NON HANNO TESSERA SANITARIA. A qualcuno hanno cambiato il medico di base A Serrenti e Nuraminis sono centinaia i pazienti fantasma Per la Asl 6 non esistono, no all'esenzione del ticket Per la Asl sono pazienti fantasma: senza assistenza e mai inseriti nel sistema elettronico della Tessera sanitaria. È quanto accade a molti ultrasessantacinquenni che agli sportelli del poliambulatorio della Asl 6 di Sanluri, in via Bologna, non possono compilare il modulo di esenzione del ticket per età anagrafica (che spetta proprio a chi ha superato i 65 anni). LE PROTESTE «Dovete andare a Senorbì», si sentono dire, oppure «dovete cambiare medico». A Elvira Marras, serrentese di 86 anni, addirittura avrebbero cambiato d'ufficio il dottore. L'anziana, in lacrime, ha protestato col suo medico, Sandro Casale: «Io non la voglio cambiare, voglio restare con lei». Proprio il camice bianco in questione ora segnala il problema dei pazienti fantasma privati dell'assistenza. «Quello che sta succedendo a molti miei pazienti ha dell'inverosimile: nessuno degli ultrasessantacinquenni che assisto è inserito nel sistema Tessera sanitaria», denuncia Casale, che assiste 490 persone a Serrenti, dove ha un ambulatorio in via Nazionale 105, e altrettanti a Nuraminis, dove risiede e presta servizio alla locale guardia medica. IL PROBLEMA Serrenti sta nel Medio Campidano e i suoi residenti fanno riferimento alla Asl 6 di Sanluri; Nuraminis, prima sede del medico, si trova in provincia di Cagliari e i suoi cittadini fanno parte della Asl 8 di Cagliari ma del distretto sanitario di Senorbì. Sarebbe questa l'origine dei problemi che complicano la vita ai pazienti serrentesi. LA LETTERA «Di fronte alla mia richiesta di esenzione del ticket mi è stato risposto che il mio nome non figurava nell'elenco, che avrei dovuto cambiare medico», protesta Angelo Farci, 70 anni, altro paziente che, alcuni giorni fa, ha fatto protocollare alla Asl di Sanluri una lettera di diffida «essendo venuto a conoscenza», spiega, «che i pazienti residenti in Serrenti non vengono adeguatamente assistiti in quanto allo sportello non vengono compilati certificati di esenzione per reddito e patologia. Inoltre non è presente la lista degli aventi diritto nel sistema informatico Tessera sanitaria». Così Casale, che teme di perdere i pazienti, nella missiva diffida l'azienda «nel continuare con questo atteggiamento. In questo caso procederò per vie legali». Ignazio Pillosu _____________________________________________________ Sardi News 27 mag. ’11 NUORO: CAMICI BIANCHI SOLO TRA ORGOSOLO E MARGHINE? A Nuoro (e dintorni) la chiamano Parentopoli Interrogazione di due consiglieri regionali sulle assunzioni e sui concorsi alla Asl di Nuoro di Riccardo Mulas “Parentopoli durante la gestione commissariale a guida sardista dell’Azienda sanitaria di Nuoro? Oltre ai rumors e malumori del popolo web c’è anche un’interrogazione regionale. A chiedere lumi su ipotetiche assunzioni clientelari - o meglio «parentali» - nell Asl del capoluogo della Barbagia durante la fase di commissariamento straordinario inaugurata da Antonio Onorato Succu (di Orgosolo) nel settembre 2009 e terminata il 31 marzo 2011 conMariano Meloni, attuale direttore generale dell’Asl di Oristano, sono stati i consiglieri regionali Claudia Zuncheddu e Luciano Uras. Tra l’altro i commissari sono due tecnici molto vicini al consigliere recentemente passato al Psd’az Paolo Maninchedda di Macomer: ex giovane leader prima democristiano e poi popolare, ma anche ex soriano di ferro in quota Progetto Sardegna. Ma è soprattutto Succu, il cui mandato è durato, tra una proroga e l’altra, un anno e tre mesi, a essere maggiormente coinvolto. Nell’interrogazione, risalente al novembre scorso, Uras e Zuncheddu sottolineano che «in questi ultimi tempi le denunce anonime su tali irregolarità sono state rese pubbliche attraverso canali telematici e lettere indirizzate agli uffici competenti e ai rappresentati delle istituzioni locali». Ma già da diversi mesi sarebbero emersi «dubbi e sospetti su possibili irregolarità nelle assunzioni attraverso concorso presso la Asl di Nuoro da parte di operatori del settore sanitario, di semplici utenti e di comuni cittadini di Nuoro e provincia». I due consiglieri regionali affermano tra l’altro che «se tali indiscrezioni fossero accertate dalle autorità competenti, confermerebbero la mancanza di trasparenza e gli abusi, legati a interessi personali, nella gestione degli atti di questi enti da parte delle rispettive amministrazioni locali». Negli ultimi due anni le denunce anonime su presunte irregolarità amministrative sono state rese pubbliche attraverso canali telematici (come blog) e lettere indirizzate agli uffici competenti e ai rappresentati delle istituzioni locali, con l’intento di denunciare questa “grave situazione irregolare” all’interno dell’azienda sanitaria nuorese. «Nella documentazione che è stata fatta pervenire anche a noi - spiegano i consiglieri - è allegato l’elenco dei concorsi contestati e i relativi nomi dei vincitori e degli assunti e le modalità che premierebbero alcuni discriminandone altri, prescindendo dai meriti, dai titoli, dalle professionalità. In particolare si fa riferimento agli stretti legami di parentela fra i vincitori e gli ammessi ad alcuni concorsi e selezioni con i vertici della Asl». A finire nel mirino dei due consiglieri regionali di opposizione sono una pubblica selezione per la copertura temporanea di posti di dirigente medico nella disciplina Chirurgia plastica e ricostruttiva (pubblicazione online: 24 novembre 2009; scadenza: 9 dicembre 2009), e un concorso per la copertura, a tempo indeterminato, di 7 posti di assistente amministrativo - categoria C (pubblicazione online: 9 settembre 2008; scadenza: 6 ottobre 2008 - rettifica: 22 settembre 2008). «Tra gli ammessi ai concorsi sopra citati - spiegano i consiglieri - risultano un dipendente Asl a tempo determinato con contratto interinale e la moglie dello stesso. La donna risulta essere in stretti rapporti di parentela con rappresentanti degli alti vertici della dirigenza della sanità nuorese». Nel mirino poi un terzo concorso per la copertura a tempo indeterminato di 5 posti di autista di ambulanza (pubblicazione online: 10 febbraio 2010; scadenza: 11 marzo 2010): «Qui tra i vincitori del concorso c’è un candidato già dipendente Asl - continuano gli interroganti - come autista di ambulanze, e - caso strano - presenta ancora lo stesso grado di parentela con lo stesso dirigente di cui prima». Infine la delibera 119 del 26 gennaio 2010. «Anche in questo caso - continuano i consiglieri Uras e Zuncheddu - la dipendente a cui si fa riferimento nella succitata delibera, assistente sociale trasferita dal Comune di Bosa alla Asl di Nuoro, è in stretti rapporti di parentela con gli alti vertici cui si è accennato sopra». Per questo «chiediamo al presidente della Regione, all’assessore regionale dell’Igiene e sanità e dell’assistenza sociale e tutti gli assessori competenti se siano a conoscenza delle irregolarità sopra descritte. E, in tal caso - chiudono Zuncheddu e Uras - se intendano far chiarezza su tali irregolarità e se eventualmente abbiano già provveduto in questo senso. E quali siano stati i criteri di assunzione e le modalità della gestione dei suddetti concorsi presso la Asl di Nuoro». Al termine del suo mandato, terminato in anticipo il 31 dicembre 2010 causa indisponibilità ad ulteriore proroga fino a marzo, Antonio Onorato Succu aveva commentato con un secco «abbiamo dato incarico ai legali». Nativo di Orgosolo, classe 1960, Succu continuerà a fare il ginecologo e il capogruppo di maggioranza nel Comune di Macomer, paese nel quale è cresciuto. Ma i sospetti di “parentopoli” nell’Azienda sanitaria barbaricina, sollevati dall’interrogazione regionale Uras-Zuncheddu, finora non sono stati mai del tutto fugati. Come si diceva all’inizio i rumors sono tanti. E sono notevoli i malumori tra medici, infermieri, personale di servizio. Ma a Nuoro e dintorni più di uno sostiene con convinzione che “le vere professionalità in camice bianco sono localizzate soprattutto tra Orgosolo e il Marghine”. Da qui la presenza di professionisti che provengono soprattutto da quelle due aree precise geografiche. Il resto sembra vicino alla calunnia da venticello gelido. Ma sembra anche che i consiglieri Zuncheddu e Uras dubitino di queste eccellenze sanitarie localizzate sotto pochi campanili. E attendono che l’assessore risponda in aula. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 28 mag. ’11 IL REGISTRO REGIONALE DELLE MALFORMAZIONI Primi passo verso Un impegno comune di 45 primari sardi per far nascere il Registro regionale delle malformazioni congenite. I direttori delle principali strutture pubbliche e private dell'isola si sono incontrati ieri nell'Aula “Cicu” dell'Azienda ospedaliera Brotzu insieme a diversi specialisti in pediatria, neonatologia, genetica e ginecologia. Erano inoltre presenti Pierpaolo Mastroiacovo, direttore “Alessandra Lisi Icdb” Roma, Domenica Taruscio, direttore del Centro nazionale delle malattie rare dell'Istituto superiore di Sanità, il presidente nazionale dell'Asbi Cristina Dieci, e il responsabile regionale dell'Osservatorio epidemiologico Antonello Antonelli. «In Sardegna non esiste ancora un Registro delle malformazioni congenite - spiega il Giuseppe Masnata (responsabile della struttura di Urologia pediatrica del Brotzu) - la sua creazione è fondamentale perché costituisce un importante strumento di prevenzione primaria. Inoltre incide nell'organizzazione del Piano sanitario regionale e quindi nella distribuzione delle risorse. Tutto questo si traduce in una migliore presa in carico dei pazienti e in un miglior coordinamento tra i vari centri ospedalieri». Sono circa 300 i bambini sardi che ogni anno nascono con difetti congeniti, alcuni dei quali molto gravi. «Ma bastano delle semplici azioni per prevenire malattie come la spina bifida - continua Masnata - nell'arco della vita del paziente le cure per questa complessa patologia costano fino a 500 mila euro, per non parlare degli altissimi costi immateriali. Eppure è dimostrato che per una donna basterebbe assumere la giusta quantità di acido folico (vitamina B9) minimo tre mesi prima del concepimento del bambino e seguire uno stile di vita e alimentare sano per ridurre almeno della metà il rischio di insorgenza di difetti del tubo neurale nel nascituro. Manca però un'adeguata diffusione di queste conoscenze spesso anche tra gli specialisti». L'incontro di ieri anticipa il convegno nazionale “La prevenzione primaria delle malformazioni congenite”, in programma oggi dalle 9 nel palazzo dei congressi della Fiera. Le iniziative sono possibili anche grazie al Rotary club di Cagliari e l'Asbi (Associazione spina bifida italiana), impegnate in campagne di prevenzione delle malattie congenite. (c. e.) _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 25 mag. ’11 SAN RAFFAELE, LE IMPRESE IN GINOCCHIO OLBIA. I debiti di don Verzè, l’apertura che continua a slittare e ora le imprese d’appalto che denunciano mancati pagamenti per centinaia di migliaia di euro. Il San Raffaele sembra non aver pace. L’ultima tegola è la denuncia di un’impresa di costruzioni metalliche fino a pochi mesi fa impegnata nei lavori del solaio del nuovo ospedale. «Siamo in ginocchio - dice, senza far giri di parole, il titolare Giuseppe Baire, di Capoterra -. Dall’aprile 2010 a marzo ci siamo occupati degli impianti termotecnici del San Raffaele per conto della Progetti srl di Vicenza, e di una sua sub-appaltatrice, la Stea srl di Olbia, ma da giugno non abbiamo visto un euro. Solo qualche anticipo, ma nulla a che vedere con quello che ci spetta. Non parlo di spiccioli ma di diverse centinaia di migliaia di euro. Soldi che mi servono, perché altrimenti non posso andare avanti. Ho bussato anche alle porte della Regione, perchè a Cagliari non possono fare finta di niente, ma nessuno mi ha dato risposte. Ho dato tutto in mano al mio legale, Antonello Meloni, perché chi ha responsabilità di questo deve pagare». L’avventura di Baire a Olbia comincia più o meno un anno fa, nell’aprile del 2010. La sua impresa viene chiamata per importanti lavori in quello che dovrà essere il fiore all’occhiello della sanità isolana, e non solo. «All’inizio avevo tra 20 e 25 dipendenti, che poi da giugno si sono ridotti a una dozzina. Abbiamo lavorato pure 11 ore al giorno per finire l’opera con puntualità, ma purtroppo non possiamo dire lo stesso di chi ci doveva pagare. L’avessi saputo non avrei mai accettato un lavoro del genere. Avrei fatto meglio a starmene a Capoterra con i miei lavoretti. Per 17 anni non ho mai avuto problemi, sono sempre stato un orologio svizzero nei pagamenti. Ora invece sono in ginocchio. Ho dovuto vendere parte della mia attrezzatura per pagare i dipendenti. Non volevo che questa disgrazia cadesse anche sulle loro spalle. Ora mi auguro che la Regione ci venga incontro, non sono l’unico in questa situazione. La mia è da un lato un’esigenza di giustizia, dall’altra una richiesta di aiuto, perché ora come ora non sono neppure nelle condizioni di riprendere a lavorare». _____________________________________________________ L’Unione Sarda 27 mag. ’11 RANDACCIO: NON C'È TRACCIA DI URANIO IMPOVERITO Quirra, bersagli “puliti” VILLAPUTZU. I carri armati dissequestrati dal procuratore Fiordalisi Nessuna traccia di uranio impoverito nei carri armati utilizzati come bersagli di razzi e mitragliatori nel poligono di Perdasdefogu e Quirra. Lo ha stabilito l'équipe del professor Paolo Randaccio, docente di fisica dell'Università di Cagliari. La qui la decisione del Procuratore di Lanusei, Domenico Fiordalisi: i bersagli sono stati dissequestrati e potranno essere di nuovo utilizzati per le esercitazioni militari. Perché - occorre ricordarlo - l'area militare resta sotto sequestro ed entro due mesi i pastori dovranno lasciare aree e pascoli concessi dal Ministero della Difesa dal 1956 a oggi (66 aziende e novemila capi di bestiame, ma sono consentite tutte le attività autorizzate dallo Stato (guerre simulate della Nato, test di industrie belliche, collaudo di armi da vendere all'Estero). I PERITI Il parere di Randaccio non è una completa assoluzione del poligono (sospettato di aver provocato disastro ambientale e la morte per tumore di sette pastori della zona) né certifica che mai proiettili arricchiti con sostanze radioattive, pericolose per la salute umana, siano stati utilizzati nel poligono. Un altro consulente della Procura di Lanusei, il fisico docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino, Massimo Zucchetti, ha firmato un documento che attesta il contrario: c'è uranio impoverito nelle ossa di un agnello nato con due teste nel 2003 in un ovile di Quirra, da genitori che sarebbero venuti a contatto con pascoli o pozze d'acqua contaminate. E un ex ufficiale del poligono, aveva raccontato agli inquirenti i test dei missili tedeschi cormoran con testata contenente uranio impoverito nel 1989. LE RIESUMAZIONI Una ulteriore risposta poi arriverà dell'esame delle 19 salme di pastori morti nella zona di tumore o in seguito a misteriosi incendi dal 1980 a oggi, affidata a un altro fisico Lodi Rizzini, docente nell'università di Brescia e inserito tra i ricercatori del Cern di Ginevra che lavorano all'acceleratore di particelle più grande al mondo. IN KOSOVO Come sia possibile non trovare uranio impoverito dove altri riscontri ne segnalano la presenza lo spiega il professor Massimo Zucchetti. «Quando è stata formata un'équipe di fisici per studiare la contaminazione dei territori dell'ex Jugoslavia bombardati dalle forze Nato, ci siamo presentati in Kosovo e Bosnia addirittura con le mappe delle zone dove sicuramente erano stati usati munizionamenti uranio impoverito che ci erano state fornite dagli stessi Usa. Ebbene, il risultato fu lo stesso ottenuto nei bersagli di Quirra: zero assoluto. Questo perché l'uranio impoverito si dissolve nei terreni, nelle acque e nell'aria: si deve cercare negli organi di particolari animali, nei muschi, nei licheni». IN FRANCIA E infatti un gruppo di studiosi lo ha trovato nello scheletro di un soldato francese morto dopo una missione nell'ex Jugoslavia. Proprio per questo da più parti, per esempio dal Comitato “Gettiamo le Basi”, è stato chiesto in tante occasioni uno studio specifico sui cosiddetti bioaccumulatori in grado di certificare l'inquinamento bellico causato in solo dall'uranio impoverito, ma anche da altre sostanze pericolose per la salute. I PERICOLI Secondo le esperte dell'Enea e la docente universitaria Maria Antonietta Gatti, negli anni le attività svolte all'interno del poligono, soprattutto il brillamento di munizioni esauste, i test di razzi, le esercitazioni a fuoco e i test degli oleodotti, avrebbero provocato una contaminazione di acque, suoli e aria che rende pericoloso l'utilizzo dei pascoli all'interno del poligono. Una situazione ambientale che spiegherebbe anche perche gli agnelli, in un numero molto elevato, siano nati nella zona sventrati, con le orecchie al posto degli occhi oppure ultimamente sordi. Da qui la decisione del gip di Lanusei di sgomberare le aziende agro-pastorali. Passo importante nell'inchiesta che vede quattro ex ufficiali accusati di omicidio volontario con dolo eventuale. Paolo Carta _____________________________________________________ Corriere della Sera 28 mag. ’11 ANTITRUST, CONGRESSI MEDICI E CODICE ETICO: non si possono «vietare» gli hotel 5 stelle Le associazioni delle industrie farmaceutiche avevano stabilito l'esclusione di alberghi di lusso. Ma è stata giudicata una scelta contraria alla libera concorrenza ROMA – I medici possono tornare nei 5 stelle. Il lasciapassare è firmato dall’Antitrust. In una comunicazione l’autorità garante della concorrenza di mercato ha dato infatti ragione al ministero del Turismo che, accogliendo le proteste degli albergatori, aveva contestato alcune norme dei codici deontologici di Farmindustria (l’associazione delle aziende farmaceutiche) e Assobiomedica (che riunisce i produttori di apparecchi e dispositivi sanitari). Per riportare lungo il binario dell’etica il settore congressuale (convegni, riunioni scientifiche, conferenze formative, work shop) i due testi di autodisciplina avevano tracciato alcuni confini. A cominciare appunto dal servizio alberghiero che doveva risultare «di classe non superiore a quattro stelle». NON CI SAREBBE LIBERA CONCORRENZA - La discriminazione delle strutture era stata segnalata dal ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla. E questa settimana l’Antitrust ha tratto le conclusioni: «Escludere dall’organizzazione di eventi i 5 stelle può produrre effetti distorsivi nella libera concorrenza». L’obiettivo dei due codici è stato quello di moralizzare un’attività che presta il fianco al conflitto di interessi. Stroncare un fenomeno diffuso negli anni precedenti. Medici invitati a manifestazioni scientifiche direttamente organizzate dalle aziende con attenzioni eccessive sul piano dell’ospitalità, spesso in periodi di alta stagione e nell’ambito di pacchetti fin troppo lussuosi. Anziché viaggi di lavoro con finalità scientifiche potevano essere scambiati per vacanze e occasioni di villeggiatura. Così Farmindustria e Assobiomedica erano intervenute con regole contestate a suo tempo dalle categorie colpite (medici e consulenti): voli in classe turistica (la business solo per trasferte intercontinentali), durata della trasferta ridotta all’essenziale, divieto di portare con sè un accompagnatore, pasti di costo contenuto, esclusione delle località a carattere prevalentemente turistico in certi periodi dell’anno ( no al mare dal 1 luglio-15 settembre, niente montagna dal 1 luglio al 31 agosto). LE ASSOCIAZIONI AVEVANO DETTO DI NO - Sergio Dompè, presidente di Farmindustria, spiega così l’iniziativa: «Ci sembrava doveroso che le imprese che si dedicano alla salute delle persone rispettassero principi etici incontestabili. Bisognava evitare la percezione che ci fossero momenti non collegati all’evento formativo e non sufficientemente sobri. Non è necessario rinchiudere i partecipanti in un convento benedettino, sia chiaro, ma è bene che la cornice sia appropriata ai contenuti». Dompè accoglie senza polemica la decisione dell’Antitrust: «Lavoreremo anche col ministero della Salute per trovare nell’ambito del codice una indicazione di rigore». Secondo Maria Carmela Colaiacovo, presidente di Confindustria alberghi: «l’intervento dell’autorità è un risultato importante. Auspichiamo un incontro con le due associazioni per superare insieme i vecchi vincoli riguardo località e periodi di svolgimento degli eventi congressuali». Il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, osserva: «L’esclusione tout court a prescindere dal prezzo effettivamente offerto delle strutture a 5 stelle tra quelle abilitate appaiono restrittive della concorrenza in quanto slegate da qualunque valutazione relativa alla tipologia tariffaria offerta o alle agevolazioni proposte dalla struttura interessata. I 5 stelle potrebbero praticare prezzi uguali o inferiori a quelli di strutture di categoria più bassa». Il ministro Brambilla chiarisce: «L’obiettivo di neutralizzare possibili conflitti d’interesse in campo medico va perseguito, ma senza creare distorsioni, limitazioni e ingerenze nel mercato». Margherita De Bac _____________________________________________________ Corriere della Sera 17 mag. ’11 LA SOLITUDINE DEL MEDICO TRA SUPER TECNOLOGIE E TAGLI Soli nelle corsie ospedaliere a decidere quando negare cure troppo costose, a che linea di chemioterapia fermarsi, quando intubare o meno un paziente, i medici temono di ritrovarsi a decidere del destino dei loro malati abbandonati dal vuoto di una politica che riduce le risorse ma non dice cosa fare. Tra bisogni di salute in crescita, tecnologie e terapie mediche sempre più moderne e costose e risorse economiche limitate, cosa succederà alla sanità di domani? L' Europa riuscirà ancora a garantire quel sistema pubblico gratuito e con alti standard assistenziali che l' hanno contraddistinta e che rappresenta uno dei suoi maggiori traguardi di civiltà? In questi giorni nei quali la scure dei tagli della Finanziaria si sta abbattendo sul nostro sistema sanitario, ne ricominciano a discutere economisti, medici, amministratori. I tagli degli sprechi possono migliorare un po' i conti ma sono lungi dal poter risolvere un problema ormai strutturale della sanità, difficile continuare a garantire tutto a tutti, continuare a far finta che la vita non abbia un prezzo è solo ipocrisia. I nuovi modelli organizzativi ospedalieri, in stile Toyota, non è affatto detto che diano risposte efficaci ai nuovi bisogni assistenziali ultraspecialistici e sono subiti dai professionisti della salute con malcontento, prova ne sia la pioggia di dimissioni di primari registrate in questi mesi al Niguarda di Milano. Cresce ovunque la demotivazione nella classe medica, ridotta a manodopera specializzata e schiacciata da una politica sempre più lottizzatrice e da amministrazioni lontane e dirigiste. La sfida per i medici è partecipare attivamente all' innovazione riaffermando in primis il merito al di sopra di intrallazzi politici e baronie, la scienza deve dare un segnale al Paese. L' introduzione di nuove terapie deve essere sostenuta da studi di superiorità (ovvero una nuova cura va favorita quando non solo è uguale alle terapie già in uso ma è superiore e garantisce un netto vantaggio per i malati) e, infine, è indispensabile promuovere una forte integrazione tra ricerca, assistenza e formazione. Sergio Harari Harari Sergio __________________________________________________________________ MF 19 mag. ’11 PERDITE: MONTI CURERÀ LE PENSIONI DEI MEDICI ALL'ENPAM SCOPPIA IL CASO DI UNA POSSIBILE PERDITA Di 1 MLD, INGAGGIATO IL PRESIDENTE BOCCONI Una consulenza solleva il nodo dei cdo in bilancio. Esposto alla procura di 5 ordini ma l'Ente centrale rassicura e contrattacca DI LUISA LEONE Un brivido scorre lungo la schiena di migliaia di medici prossimi alla pensione: sull'Enpam, l'ente previdenziale di categoria, si allungherebbe un ombra da oltre un miliardo di euro. E per scacciare l'incubo è stato ingaggiato come super consulente addirittura Mario Monti. Il miliardo di euro è la possibile perdita attuale generata da alcuni investimenti speculativi ad alto rischio, a cominciare dalle obbligazioni strutturate (cdo), che scadranno con tempi differenti a partire dal 2013. La bomba, se confermata, finirà sicuramente nelle sedi giudiziarie competenti e, a quanto pare, ha fatto anche accendere un faro al ministero dell'Economia che segue da vicino la vicenda. Questi i fatti. Ieri i presidenti di cinque consigli provinciali (Catania, Ferrara, Potenza, Bologna e Latina) e un membro del consiglio di amministrazione dell'ente, Salvatore Sciacchitano, hanno depositato un esposto «relativo ad alcuni aspetti dell'amministrazione finanziaria della Fondazione Enpam», come si legge in un comunicato pubblicato ieri sul sito dell'Ordine dei medici di Bologna. Il documento, consegnato ai Carabinieri del capoluogo romagnolo, è indirizzato alla Procura della Repubblica di Roma, a quella presso la Corte dei Conti e alla commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale. Gli ordini provinciali mirano così a stimolare il vaglio delle Autorità competenti su alcuni aspetti del bilancio perché, questa la paura dei denuncianti, nei complessi investimenti finanziari della fondazione sarebbe emersa, dopo una ricognizione di una società di consulenza, una possibile perdita «di oltre un miliardo di euro». Una cifra monstre, che, ovviamente, deve essere verificata. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, i titoli incriminati sarebbero stati acquistati prima dello scoppio della crisi del 2007 (si tratta di un quinto degli investimenti mobiliari complessivi per circa 5 miliardi) e ora, come in tanti altri casi, avrebbero creato non pochi problemi. Per questo i cinque ordini locali vogliono vederci chiaro e hanno pensato che il modo migliore per farlo fosse investire della questione la magistratura. Anche perché la possibile perdita patrimoniale sarebbe emersa in seguito a una consulenza sugli investimenti immobiliari in essere richiesta proprio dall'Enpam, anzi per la precisione, dal precedente consiglio di amministrazione dell'ente (il nuovo si è insediato solo nel luglio del 2010). Il rapporto della società incaricata, la Sri Capital Advisers, sarebbe stato ultimato a dicembre 2010, ma il cda non sarebbe stato messo a conoscenza delle risultanze della consulenza. Ecco quindi la mossa dei presidenti degli ordini provinciali, i quali, tra l'altro, hanno centellinato le informazioni fornite con il comunicato. Durissima, comunque, la reazione dell'organo centrale: «La Fondazione Enpam, venuta a conoscenza del comunicato stampa, ha trasmesso gli atti al proprio ufficio legale», recita una secca nota di risposta. In-somma a Roma non sembrano avere apprezzato la mossa dei presidenti di Catania, Ferrara, Potenza, Bologna e Latina. Anche perché, secondo quanto risulta a MF-Mitano Finanza, proprio domani è atteso nella sede romana dell' Enpam Mario Monti che, in veste di consulente di Goldman Sachs, presenterà uno studio (commissionato dall'ente) proprio su nuovi modelli organizzativi in materia di gestione degli investimenti _____________________________________________________ Corriere della Sera 22 mag. ’11 L' EMICRANIA È UN MECCANISMO DI PROTEZIONE NUOVE TEORIE IL MAL DI TESTA FUNZIONA «DA ALLARME» PER EVITARE FATTORI NOCIVI NEUROLOGIA QUESTA CEFALEA SAREBBE LEGATA ALL' EVOLUZIONE Il comportamento I sintomi hanno lo scopo di obbligare a interrompere ogni dispendio di energie Lo svantaggio I sistemi di allerta sono così sensibili da far scattare l' allarme anche se non serve Emicrania: non una vera malattia, ma una risposta difensiva frutto di milioni di anni di evoluzione che, per quanto invalidante, ha finito col favorire la sopravvivenza della nostra specie risultando vantaggiosa per alcuni individui. Questa la sorprendente interpretazione che il presidente onorario dell' Anircef (Associazione Neurologica Italiana Ricerca Cefalee) Vincenzo Bonavita, dell' Università di Napoli, presenterà a fine maggio al congresso internazionale sul mal di testa organizzato a Stresa dal Centro Cefalee dell' Istituto Besta, di Milano. «Possiamo considerarla un meccanismo di difesa che, ad esempio, evita l' ingestione o l' inalazione di particolari tossine: il cervello dell' emicranico le identifica subito dando l' allarme - dice Bonavita -. Se nell' ambiente si verifica un cambiamento (temperatura, illuminazione, umidità) che può turbare l' equilibrio dell' organismo, il cervello di queste persone è il primo ad accorgersene e innesca il sistema difensivo dell' attacco emicranico che le allontana subito dal pericolo». Quando non diventa un eccesso di difesa, l' attacco è dunque un' utile risposta. Gli emicranici hanno sviluppato sistemi che entrano in allerta con largo anticipo, ma sono così sensibili che talvolta fanno scattare l' allarme anche quanto non servirebbe. Se parte l' allarme del dolore, s' innesca il cosiddetto sickness behaviour, comportamento plasmato dall' evoluzione e comune a tutti i mammiferi che, quando si ammalano, interrompono le consuete attività ritirandosi in un luogo tranquillo e protetto dove giacere o assopirsi per ottenere una rapida guarigione. L' emicranico si comporta proprio così: cerca il riposo al buio e in silenzio. I principali sintomi che avverte (dolore, ipersensibilità ai movimenti) hanno un unico scopo: obbligarlo a interrompere ogni attività che comporti dispendio di energie, costringendolo a giacere immobile, col desiderio di dormire in un luogo appartato, lontano da stimoli nocivi. «Negli emicranici il sickness behaviour è la cosiddetta crisi emicranica con la sua ipersensibilità a luce, rumori, odori e stimoli tattili che segue l' attacco doloroso - spiega il responsabile del Centro Cefalee del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell' Università Federico II di Napoli, Roberto De Simone, coautore dello studio presentato dal professor Bonavita -. In queste persone la sequenza allarme-dolore-sickness behaviour si attiva fin troppo facilmente per l' imperfetto controllo degli "interruttori" di questa reazione difensiva». Ma se avere una soglia troppo bassa come gli emicranici può provocare una vera invalidità seppure permanente, perché l' emicrania non si è estinta come altre malattie che comportavano uno svantaggio evolutivo? «Perché la particolare sensibilità degli emicranici a stimoli eccessivi o tossici che si conserva anche negli intervalli tra le crisi e il dover ogni tanto staccare per forza la spina - risponde De Simone - li ha tenuti lontano dal pericolo, con un effetto protettivo vantaggioso per la loro sopravvivenza». Cesare Peccarisi * * * L' aura A volte c' è soltanto l' «avvertimento» Chi soffre di emicrania talvolta avverte solo i prodromi dell' attacco ma non il dolore vero e proprio. «Nel sickness behaviour - chiarisce il professore Gennaro Bussone, direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche del Besta - a volte si presenta la cosiddetta "aura sine haemicrania" con scintillii, formicolii, nausea, eccetera, senza che però il dolore emicranico poi arrivi. In questi casi l' atteggiamento di difesa è indotto da una forte componente emotiva legata all' aspettativa ansiosa del dolore e al suo ricordo che per alcune persone è più forte che per altre, forse per una predisposizione genetica che, come stiamo ancora verificando con nuove indagini diversifica i circuiti cerebrali del dolore e quelli dell' emozione». Peccarisi Cesare __________________________________________________________________ Il Giornale 24 mag. ’11 BISTURI: PRIVILEGIO PER POCHE «In Italia solo 5 donne sono professori ordinari di chirurgia. Cresceremo». Lo dice Cristina Marmorale, una delle poche a ricoprire una posizione di leadership in ambito universitario di Paola Maruzzi I camici rosa sono in fase di sorpasso. Solo nel 2009 le donne impiegate nel servizio sanitario nazionale hanno raggiunto il 63% e, come ha ricordato lo scorso 9 marzo il ministro Ferruccio Fazio in occasione della prima conferenza dedicata all'approfondimento del fenomeno, i numeri sono destinati ad aumentare. Molteplici le ragioni del trend positivo, che a velocità diverse coinvolge tutta l'Italia. Da non sottovalutare la maggiore preparazione dimostrata dalle studentesse alle prese con il test d'ammissione alle facoltà di medicina. Insomma, gli assi nella manica ci sono ma oltre ai risultati brillanti va detto che solo una donna su 10 ricopre un ruolo di leadership nelle strutture complesse. Inoltre, all'interno dei 106 ordini provinciali dei medici appena 2 hanno come presidente una donna. Sono quelli delle provincie di Gorizia e di Fermo. E non lontano dal comune marchigiano ci si imbatte in un'altra eccezione: Cristina Marmorale, una delle poche a dirigere una scuola di specializzazione, quella di Chirurgia generale dell'Università Politecnica delle Marche. A buon diritto è quindi entrata nella lista delle poche donne con un ruolo di dirigenza nel settore sanitario (oggi sono il 13,2%, 1.284 su 9.692 totali). Tra le novità dell'indagine promossa dal ministero della Salute, la creazione di un tavolo di monitoraggío permanente sullo sviluppo delle carriere femminili: l'obiettivo è capire se, anche grazie a queste apripista, si possa generare un fenomeno virtuoso. Sistema sanitario nazionale e università: un'indagine del ministero della Salute ha rivelato che è solo apparente, nella pratica manca quasi del tutto. Ad Ancona com'è la situazione? «Nella nostra regione l'integrazione tra sistema sanitario nazionale e università non è solo apparente. Seppur con le note difficoltà, i protocolli d'intesa vengono applicati e quindi definirei la situazione soddisfacente. La nostra scuola di specializzazione da anni si è aperta al territorio regionale, coinvolgendo le strutture ospedaliere nella rete forma- riva. Abbiamo inoltre più di un caso di colleghi ospedalieri che hanno intrapreso la carriera universitaria dimostrando così l'integrazione tra due mondi fino a poco tempo fa chiusi e distanti». Lei è una delle poche donne in Italia a dirigere una scuola di specializzazione: si sente chiamata a promuovere l'abbattimento del tetto di cristallo? «Non parlerei di abbattere il tetto di cristallo, piuttosto di aprirlo all'altra metà del cielo. Gli antichi assetti sono oramai anacronistici e personalmente devo riconoscere che sono stata valutata al pari dei miei colleghi. Forse solamente all'inizio della carriera ho dovuto dimostrare di essere "almeno" come un uomo. Non è stato difficile, anche se devo riconoscere che esistono forti discriminazioni di genere, in particolare in ambito universitario». La chirurgia è forse più di tutti l'ambito in cui le figure femminile sono carenti. «Vorrei citare alcuni nu meri: su circa 5.700 iscritti alla Società italiana di chirurgia, 413 sono donne, pari al 7%. È ovvio, quindi, il motivo per cui sono ancora poche coloro che ricoprono ruoli apicali o di potere. Per quanto riguarda la scuola di specializzazione che dirigo, la componente femminile, dopo una lenta e graduale crescita in questi ultimi anni, ha raggi unto oggi il 45% » . Secondo un classico luogo comune, la chirurgia sarebbe appannaggio degli uomini. Come la professionalità è in grado di sfatare i luoghi comuni? «Per lungo tempo, e accade ancora oggi, la chirurgia è stata refrattaria alle donne. Le uniche figure femminili del secolo scorso nei nosocomi erano le suore. Il perché va ricercato nella loro rinuncia alla maternità; infatti, la donna sarebbe distolta dall'apprendimento continuativo che la nostra professione richiede dalla cura dei figli. Ma questo è svincolato dalle capacità oggettive proprie delle donne, come la manualità, la precisione e il rigore. Con il tempo abbiamo dimostrato che la maternità rappresenta un "plus" e infatti siamo in grado di lavorare durarne la gravidanza, prendendoci cura della famiglia. Il problema è solo organizzativo e molte mie colleghe lo hanno dimostrato sul campo». _____________________________________________________ Corriere della Sera 15 mag. ’11 CEE: BANDIRE IL WI-FI IN OSPEDALI E SCUOLE» IL CASO. APPELLO DEL CONSIGLIO D' EUROPA. Il Consiglio d' Europa teme che si ripetano gli errori del passato, commessi con l' asbesto, il fumo di sigaretta e il piombo della benzina, e avverte: i cellulari, i sistemi wireless (Wi-Fi) e i telefoni cordless, potrebbero essere dannosi per la salute. E invita a bandire, almeno nelle scuole, questi strumenti, per proteggere i più piccoli. Secondo l' organizzazione di Strasburgo (che raccoglie rappresentanti di 47 Stati membri e ha il compito, fra le altre cose, di promuovere i diritti dell' uomo e la ricerca di soluzione ai problemi sociali) le onde elettromagnetiche, emesse da questi dispositivi, potrebbero provocare danni soprattutto ai più giovani, stando alle ultime evidenze della ricerca scientifica. In particolare, potrebbero interferire con lo sviluppo del cervello e aumentare il rischio di cancro. Ma non tutti sono d' accordo: l' Organizzazione Mondiale della Sanità assicura che l' uso di questi dispositivi non rappresenta alcun pericolo. E come spesso succede, quando si parla di nuove tecnologie (basti pensare agli organismi geneticamente modificati, gli Ogm) e di effetti sulla salute, prendono forma due partiti contrapposti: quello dei «tecnologici fiduciosi» (che, ovviamente, include chi ha interessi nel campo: uno studio del 2007, promosso dalla Britain' s Mobile Telecommunications, per esempio, ha escluso rischi da cellulare) e quello dei «sospettosi precauzionisti» (che trova oggi grande spazio nei blog e nei social network). Le risposte certe dovrebbero arrivare dalla ricerca scientifica, ma questa tecnologia è troppo giovane e ancora non si riescono a valutare gli effetti a distanza. Studi condotti sul breve periodo (dieci anni) e pubblicati l' anno scorso hanno escluso il rischio tumore, ma secondo gli esperti è ancora tutto da valutare l' impatto sullo sviluppo cognitivo e sul sonno. Nel frattempo, c' è, appunto, chi non rinuncia al progresso e chi invoca il principio di precauzione e propone una limitazione dell' uso prima che faccia danni (anche se soltanto ipotetici). La risoluzione del Consiglio d' Europa (che comunque andrà approvata dall' Assemblea generale e rappresenta soltanto un indirizzo per gli stati membri) suggerisce tre o quattro cose, nell' ottica di una «precauzione morbida»: chiare etichettature sui prodotti che sottolineino i rischi dei campi elettromagnetici, bando nelle scuole di cellulari e sistemi Wi-Fi, promozione di campagne sui rischi e di ricerche che studino dispositivi meno dannosi. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it Bazzi Adriana _____________________________________________________ La Nuova Sardegna 22 mag. ’11 SCLEROSI MULTIPLA, C’È UN CASO SARDEGNA In aumento i casi mentre nel resto d’Europa la situazione è stabile ALESSANDRA SALLEMI CAGLIARI. In Sardegna ogni anno 140 persone che sono andate dal neurologo per un disturbo magari di lieve entità si ritrovano con una diagnosi di sclerosi multipla, la malattia autoimmune che attacca il rivestimento delle cellule nervose e, col tempo, provoca gravi disabilità. E’ noto che in Sardegna è una malattia che ha un’elevata incidenza, ma quel che sembra di poter affermare è che nella nostra isola è sempre maggiore il numero di pazienti cui viene diagnosticata. Il raffronto con altre realtà conferma come il dato sia preoccupante: in Danimarca, dove esiste un registro nazionale dei malati di sclerosi multipla (Sm), non si assiste a una crescita altrettanto significativa di casi di nuovi malati. Insomma, nel mondo medico-scientifico che segue ricerca e assistenza sulla malattia, la Sardegna è diventata un caso. Questo e altro spiegava venerdì Maria Giovanna Marrosu, direttore della scuola di specializzazione in Neurologia di Cagliari e direttore del centro per la diagnosi e la cura della sclerosi multipla all’ospedale Binaghi. La specialista era al convegno dei neurologi ospedalieri che si è tenuto alla Fiera e dove in varie sessioni si è parlato delle novità farmacologiche in arrivo sul mercato, prodotte una dalla Novartis (in commercio entro la fine del 2011) le altre due da Merck Serono (fra circa diciotto mesi). I farmaci sono composti da molecole nuove che hanno caratteristiche di grande interesse. La prima, che tocca subito la sensibilità dei malati di Sm, è che sono farmaci da assumere per bocca: pastiglie al posto dell’iniezione sottocute che un paziente deve fare circa tre volte la settimana. La forma di assunzione del farmaco è molto importante se, come spiegava venerdì alla Fiera Claudio Gasperini neurologo dell’ospedale San Camillo di Roma, si valutano gli studi condotti negli Stati Uniti dove addirittura il quaranta per cento dei pazienti sospende il «trattamento iniettivo». Delle punture, dopo un po’ di tempo, si arriva a non poterne più. Ma le molecole studiate nei laboratori delle case farmaceutiche hanno anche altre caratteristiche giudicate valide dai neurologi per l’efficacia della terapia: sono più potenti rispetto ai «farmaci iniettivi». L’aspetto da tenere sotto controllo è che provocano vari effetti collaterali. Maria Giovanna Marrosu spiega che questi farmaci, allo stato attuale delle conoscenze, autorizzano a sostenere che faranno ritardare di altri tre anni, rispetto ai quattordici con le terapie tramite iniezione, l’arrivo della prima difficoltà a camminare senza un sostegno. «Si tratta di valutare il rapporto rischi-benefici delle nuove molecole che hanno effetti collaterali superiori ai vecchi - spiegava la docente - e questo si farà con grande accuratezza, personalizzando la somministrazione e, soprattutto, aumentando ancora di più il dialogo col paziente: il medico e il paziente assieme devono assumersi la responsabilità della terapia. In futuro vedo una terapia combinata, dove si comincia con la molecola più aggressiva e poi si passa a una seconda fase con farmaci diversi». Una medicina potente somministrata appena la malattia viene diagnostica sembra una frontiera importante soprattutto qui, in Sardegna, perché un’altra delle caratteristiche della sclerosi multipla «sarda» che sta aumentando è che si sta anche abbassando l’età in cui questa compare, oggi tra i ventioquattro e i venticinque anni: «Prima - diceva ieri Marrosu - trovavamo pazienti di cinquant’anni, ora sono sempre più spesso sotto i trenta e non convince il fatto che il mezzo di diagnosi più affidabile sia la risonanza magnetica: questa metodica esiste da tempo». Infine, due parole sul sistema sanitario sardo e la sclerosi multipla: il piano sanitario ha un programma speciale per le malattie ad alta incidenza in Sardegna. Non una virgola è stata realizzata. Marrosu dirige un centro ben organizzato e la direzione generale dell’Asl 8 sta preparando nuovi locali per la sua struttura: ma nel resto dell’isola i malati devono ricoverarsi in divisioni di neurologia che non ricevono le necessarie dotazioni di personale, di spazi, di strumenti. Ed è una situazione che dovrà essere sanata al più presto. _____________________________________________________ L’Unione Sarda 22 mag. ’11 DNA E SCLEROSI MULTIPLA Si cercano i geni che incidono sul sistema immunitario UNIVERSITÀ. Progetto promosso dal dipartimento di Scienze biomediche Realizzare un catalogo di tutti i geni che influenzano le risposte del sistema immunitario. È il cuore di un progetto a cui sta lavorando il gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università di Cagliari, guidato da Francesco Cucca, direttore dell'Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del Cnr di Cagliari, intervenuto ieri ad un incontro sulla sclerosi multipla, organizzato dall'Aism, nell'ambito delle iniziative per la Settimana nazionale della Sclerosi multipla, fino al 29 maggio. «Il nostro gruppo sta portando avanti uno studio su oltre 6.000 persone in Sardegna», afferma Cucca, «nel tentativo di mettere in correlazione l'assetto genetico degli individui con altre variabili quantitative, come peso, altezza ed età». Incrociando questi dati si potrebbe arrivare a definire alcuni tratti identificativi delle malattie multifattoriali come sclerosi multipla o diabete. Il gruppo di ricerca di Sassari, da tempo è impegnato sulla sclerosi multipla, anche grazie agli studi finanziati dall'Aism e nel 2010 ha individuato un nuovo gene coinvolto nella malattia, il suo nome è CBLB. «Gli esperimenti sul modello murino», aggiunge Cucca, «hanno mostrato come i topi privi di questo gene vengano colpiti dall'encefalomielite autoimmune, una malattia simile alla sclerosi multipla». Tutto questo grazie ai passi avanti fatti dalla ricerca genetica negli ultimi anni. __________________________________________________________________ La Stampa 19 mag. ’11 CARDIOLOGIA PEDIATRICA: INNOVAZIONE IN SALA OPERATORIA In Italia l'approccio ibrido che combina i vantaggi della mini-invasività dell'utilizzo del catetere con quelli di accuratezza dell'intervento chirurgico è utilizzato presso il Policlinico San Donato per varie lesioni complesse, soprattutto nel lattante. Mario Carminati, direttore della Cardiologia Pediatrica del Policlinico San Donato di Milano, illustra alcuni esempi di approccio ibrido: «Al fine di mantenere la circolazione sistemica nel cuore sinistro ipoplasico (col tessuto poco sviluppato), per esempio, í chirurghi possono eseguire un bendaggio bilaterale delle arterie polmonari, mentre un cardiologo interventista pone uno stent nel dotto di botallo al fine di mantenerne la pervietà. Questo evita la necessità di un by-pass cardiopolmonare per il primo stadio dell'operazione di Norwo od. Altri approcci ibridi includono la chiusura del difetto interventricolare. Le indicazioni principali sono i difetti interventricolari medio muscolari o apicali che possono ri- velarsi di difficile accesso durante l'intervento chirurgico, come, per esempio, nel caso di bambini molto piccoli (sotto i 4 kg di peso). L'approccio ibrido consiste nella chiusura del difetto attraverso sternotomia mediana, ma senza l'uso di bypass cardiopolmonare, impiantando un device attraverso il ventricolo destro, il tutto sotto guida ecocardiografica . Mediante l'approccio ibrido, inoltre, possono essere effettuate procedure di angioplastica e di impianto di device nei rami polmonari, in situazione di accesso difficile o impossibile». Una nuova filosofia dove le tecnologie non sono più dominio del singolo specialista ma sempre più integrate. IS __________________________________________________________________ The Economist 27 mag. ’11 CAN A VACCINE STOP DRUG ABUSE? It may be possible to vaccinate people against addictive drugs THE idea of vaccinating drug addicts against their affliction is an intriguing one. In principle, it should not be too hard. The immune system works, in part, by making antibodies that are specific to particular sorts of hostile molecule. Such antibodies recognise and attach themselves to these molecules, rendering them harmless. Vaccines work by presenting the immune system with novel targets, so that it can learn to react to them if it comes across them again. The problem is that the molecules antibodies recognise and react to are the big ones, such as proteins, that are characteristic of bacteria, víruses and other infectious agents. Small molecules, such as drugs, go unnoticed. But not for much longer, if Kim Janda of the Scripps Research Institute un San Diego has his way. In a paper just published in the Journal of the American Chemical Society, Dr Janda and his colleagues suggest how a vaccine against methamphetamine, a popular street drug, míght be made. If their method works, it would open the possibility of vaccinating people against other drugs, too. The idea of a methamphetamine vaccine is not new. The problem is getting the immune system to pay attention to a mole-cule that is such a small target. The way that has been tried in the past is to build the vaccine from several components. First, there is a large carrier protein that forms a platform for the target. Then there is the target itself, a set of smalier molecules called haptens that are attached to the carrier. These may either be the drug in question or some analogue of it that, for one reason or another, is reckoned to have a better chance of training the immune system. Finally, there is a chemical cocktail called an adjuvant that helps get the immune system to pay attention to the carrier protein and the haptens. Dr Janda noticed that past experiments on methamphetamine vaccines had alt revolved around tweaking either the carrier protein or the adjuvant, rather than tínkering with the haptens. He thought he might be able to change that, on the basir of work he had carried out previously, trying to design a vaccine against nicotine. In partícular, nicotine is a highly flexible molecule. That makes it hard for the immune system to recognise. To overcome this, his team on the nicotine project had to work out how to fix their haptens to the carrier protein in a way that rendered them less capable of twisting and turning, and thus made them easier for the immune system to identify. In the new study, Dr Janda and his colleagues report that they have performed a simular trick with methamphetamine hap-tens. They used computer models to visualise the haptens in three dimensions and thus work out how the molecules could be rearranged such that they could not spring, twist or turn when being examin ed by the immune system. In light of this informa-tion they desígned six new methamphetamine-like haptens. Once built, they attached the new hapten molecules to carrier proteins, mixed them with adjuvant, injected the results into mìce and waited. After severat weeks they tested the mice to see if the animals' blood contained antibodies to methamphetamine. Of the six new haptens, three successfully provoked the mice to make such antibodies. As a bonus, one of those three also stimulated the production of antibodies against another widely used drug, amphetamine. That is stili a long way from providing a working vaccine, but it is an important step forward. And if human immune systems react in the same way to the new vaccines as murine ones do, the day when a drug addict might be offered vaccination rather than opprobrium will have come a little closer. __________________________________________________________________ MF 24 mag. ’11 PIEDI, ADDIO ALLA CIPOLLA Salute Le tecniche mininvasive più aggiornate per correggere l'alluce valgo e il dito a martello Sull'arco piantare piatto si può intervenire già nei bimbi tra 8 e 12 anni di Elena Correggia Dolore, gonfiore localizzato, difficoltà a camminare: l'alluce valgo è la più comune deformità del corpo umano e colpisce soprattutto le donne, con tipica insorgenza in periodo premenopausa, benché anche le giovani ne possano essere affette, specie se con familiarità, in associazione a piede piatto. Oggi grazie a sofisticate tecniche chirurgiche questo antiestetico e fastidioso disturbo può essere curato minimizzando l'invasività e migliorando notevolmente la qualità di vita dei pazienti. La patologia deriva dalla deviazione all'esterno del primo dito del piede con allargamento dell'avampiede e comparsa di borsiti, la cosiddetta «cipolla» alla base del dito. Nel caso di alluce valgo lieve o modesto, ma anche di problemi quali il dito a martello o metatarsalgie laterali si rivela particolarmente indicata la Minimally Invasive Surgery (M.LS.), una tecnica chirurgica che non richiede l'utilizzo di viti o chiodi, ma un semplice bendaggio postoperatorio e la possibilità di camminare subito dopo con un'apposita calzatura. «La tecnica è stata di recente aggiornata con l'affinamento degli strumenti che consentono un controllo molto preciso dei risultati, anche se la manualità del chirurgo rimane essenziale e richiede un accurato apprendimento», spiega Antonio Volpe, responsabile dell'Unità di chirurgia del piede e della caviglia del Policlinico di Abano Terme. Questo metodo prevede la realizzazione di piccoli fori con mierofrese motorizzate per sagomare e allineare progressivamente l'osso, riducendo l'aggressività sulle parti molli del piede. L'operazione avviene in day surgery praticando un'anestesia regionale nella zona della caviglia «È una tecnica valida ma da applicare in casi ben selezionati», prosegue Volpe, «il paziente deve infatti presentare una deformità non eccessiva, non soffrire di artrosi né di un'osteoporosi importante. Risulta poi adatta per i pazienti diabetici, dato che senza l'uso di viti si vede ridotto il rischio infettivo. Se invece si è in presenza di un consistente allargamento del ventaglio metatarsale, ovvero della parte anteriore del piede, ritengo più opportuno utilizzare la tecnica con microviti in titanio. Anche in questo caso si tratta di un approccio mininvasivo, poiché si pratica una incisione di soli 3 centimetri con la stessa anestesia regionale. Inoltre, non è necessario il controllo radiografico continuo dell'operazione, indispensabile invece con la Minimally Invasive Surgery eseguita a "tetto coperto"». Un'altra deformità del piede spesso diagnosticabile in età infantile è l'appiattimento dell'arco piantare. «Di norma non è un problema, ma nei casi più gravi si può intervenire chirurgicamente, in età compresa fra 3 e 12 anni, inserendo una piccola protesi i li 8 millimetri di diametro in day surgery 13 in anestesia locale», continua Volpe, «la protesi ha l'obiettivo di rimettere in asse il piede favorendo, durante la crescita, il giusto rapporto di allineamento. Nei bambini è meglio evitare plantari e scarpe correttive incentivare invece lo sport, la corsa, le camminate a piedi nudi sulla sabbia che aiutano a rafforzare la muscolatura piantare. Nell'adulto invece il plantare è l'occhiale del piede che corree la curvatura dell'arco, da abbinare alla fisioterapia indicata per ridurre il dolore, l'infiammazione e prevenire l'irrigidimento». Solo qualora si verifichi un cedimento del tendine tibiale posteriore, che sostiene la volta plantare, è consigliabile intervenire chirurgicamente. Mediante osteotomia si sposta la parte posteriore del calcagno per ricentrare l'asse di carico. Anche in questo caso la degenza è breve, il paziente è dimesso il giorno dopo l'intervento, ma per cominciare a caricare il peso va atteso un mese circa __________________________________________________________________ Il GIornale 26 mag. ’11 NOVITÀ IN MEDICINA E CHIRURGIA ESTETICA LA RICERCA SCIENTIFICA HA PORTATO A DEFINIRE MOLTI NUOVI TRATTAMENTI IN GRADO DI OFFRIRE RISULTATI ECCELLENTI, TEMPI DI RECUPERO MINIMI, E MINIMA INVASIVITÀ. IL PUNTO DEL DOTTOR MARCO VIGANÒ Il dottor Marco Viganò, specialista in chirurgia plastica in Milano. www.chirurghiestetici.net www.marcovigano.it Dal filler al botox, dal laser alla lipo struttura, le tecniche impiegate oggi in medicina estetica sono sempre più innovative, migliorate dai continui sviluppi della ricerca scientifica. Se il filler a base di acido ialuronico di sintesi, riassorbibile ma di lunga durata rispetto a qualche tempo fa, permette di riempire le rughe e di aumentare i profili di labbra, mento, zigomi, la tossina botulinica è indicata per distendere le rughe d'espressione, per risollevare il sopracciglio o per rialzare gli angoli della rima labiale caduta, ma anche per correggere gli spasmi palpebrali, i cosiddetti tic, o lipersudorazione palmare, piantare, ascellare. «Accanto a questi trattamenti che sono tra i più conosciuti — precisa il dottor Marco Viganò, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva-estetica in Milano — c'è tutta un'altra serie di metodi, in grado oggi di dare risultati sorprendenti». Quali per esempio? «In medicina estetica, i laser moderni sono in grado di intervenire con piccole sedute ambulatoriali su problematiche quali: invec-chiamento cutaneo del volto tramite l'effetto di fotobiomodulazione, foto ristrutturazione e foto termolisi frazionale. Si può così trattare e ridurre drasticamente le rughe, migliorare l'elasticità e il tono cutaneo; si ha una formazione di nuovo collagene. Importanti risultati si hanno anche sull'acne, sia in fase acuta che in quella cicatriziale, per l'effetto fotodinamico e fototermolitico, con pelle liscia ed elastica grazie a nuovo collagene. Un'altra importante azione è quella dell'endo light lift: una microfibra, delle dimensioni di un ago, che, inserita nel volto senza incisioni, consente di correggere i piccoli cedimenti di viso e collo, rimuove i piccoli depositi di grasso (i cosiddetti bargigli), inducendo una retrazione cutanea. È adatto per tutte le età, per tutti i tipi di pelle e ha tempi di recupero minimi, ideale per coloro che non vogliono ancora affrontare degli interventi chirurgici». Come si può intervenire, invece, sullo svuotamento progressivo degli zigomi e sul cedimento dell'area palpebrale e delle guance? «Con il trascorrere degli anni vi è uno svuotamento progressivo della tonicità degli zigomi, una caduta per gravità del terzo medio del volto, quindi delle guance che, cadendo, accentuano le pliche naso geniéne. Al contempo, con questa trazione verso il basso, si accentuano le cosiddette occhiaie, soprattutto nelle parte mediale in prossimità nasale. Se un tempo si poteva intervenire solo mediante lifting facciale, oggi è possibile ricorrere alla tecnica della lipostruttura, che si esegue tramite un modesto prelievo adiposo autologo (da addome, fianco, ginocchia) eseguito in anestesia locale o con una blanda redazione. Il tessuto adiposo è una straordinaria sorgente di cellule staminali che vengono reimpiantate nel soggetto nell'area desiderata». Quali risultati si ottengono con la lipostruttura? «La lipostruttura nei follow up a distanza ha dato ottimi risultati, sia perché l'effetto è stabile nel tempo, sia perché è stato dimostrato scientificamente che migliora la qualità della cute del paziente, rendendola più elastica e luminosa. Oltretutto si effettua in day hospital, ha tempi di recupero brevi, è molto più veloce di un tradizionale intervento chirurgico, ed è meno traumatizzante. Il risultato migliorativo, con poco sforzo da parte del paziente, è veramente ottimale, anche perché è stabile, e per di più sovrapponibile a quello di interventi chirurgici più importanti. Le applicazioni, inoltre, spaziano anche per l'aumento del volume di labbra, seno, glutei, polpacci, per gli esiti di mastectomia, per il trattamento di aree depresse e di tutte le cicatrici cutance». Un'altra novità in chirurgia plastica è il trattamento delle adiposità localizzate con la tecnica della LLS, liposuzione laser assistita. In cosa consiste? «Consiste nel trattare il modellamento adiposo del corpo, non più con la tecnica della lipoaspirazione, ma con un fascio luminoso laser in grado di modellare alla perfezione il contorno corporeo rimuovendo in maniera selettiva le cellule grasse (adipociti). È un intervento che nella maggior parte dei casi è ambulatoriale, e si esegue in anestesia locale e/o sedazione. Non prevede le incisioni della normale lipoaspirazione ma l'introduzione, a livello cutaneo, di un piccolo ago di 1 mm in cui si inseriscono delle fibre ottiche. Un impulso di luce del laser permette di sciogliere, denaturare e rompere la membrana degli adipociti favorendo la fuoriuscita del contenuto cellulare. Si viene così ad avere una soluzione oleosa che viene in parte aspirata e in parte eliminata dal corpo senza assolutamente ledere alcun vaso e, quindi, senza perdite ematiche ed ematomi. In pochissimi giorni si può tornare alle normali attività. Il recupero cutaneo (skin tightening) grazie al fascio laser è eccellente, il risultato definitivo. Lo skin tightening, quindi l'effetto tensore e tonicizzante sui tessuti, è applicabile in distretti come interno braccia, interno cosce, glutei e addome, sostituendo in maniera meno invasiva l'intervento chirurgico». Ci sono altre novità riguardo il laser in campo chirurgico? «S1, il laser viene applicato nella patologia del setto nasale deviato e dei turbinati ipertrofici, sempre in costante aumento per problematiche allergiche, che ostacolano una corretta respirazione e anche nella patologia del russamento e delle apnee notturne. Con una sottile fibra il fascio di luce laser riduce la volumetria del turbinato, permette di non applicare tamponi e consente un'immediata e spontanea respirazione da parte del paziente. Il laser interviene anche sui pilastri palatini e sul palato molle rimediando al problema del russamento e/o delle apnee notturne. Tutti gli interventi sono in day hospital». Come si può intervenire sul seno? «Una buona proiezione del cono mammario con un ripristino della forma in seguito a gravidanza, perdita ponderale o per ipertrofia è il desiderio di ogni donna. Una corretta chirurgia mammaria eseguita da mani esperte porta a questo ripristino. L'obiettivo è il medesimo quando abbiamo un iposviluppo o un'asimmetria della ghiandola mammaria. In questo caso si aumenta il volume del seno mediante mastoplastica additiva. Le protesi mammarie che si utilizzano oggi sono bio- compatibili, innovative, più sicure e di forme e dimensioni varie». _____________________________________________________ Corriere della Sera 26 mag. ’11 TERAPIA MIRATA CONTRO IL GENE DEI CARCINOMI MILANO - Attacco al gene leader che guida e favorisce lo sviluppo del cancro. Lo guida Paolo Comoglio, dell' Istituto dei tumori di Candiolo, a Torino, con la sua task force di 97 ricercatori. Un progetto che viene da lontano, da studi iniziati 20 anni fa che hanno portato alla scoperta di geni che controllano i segnali della «crescita invasiva». «Lo studio è focalizzato sui carcinomi del colon-retto resistenti alle terapie convenzionali - spiega Comoglio -. Le informazioni fin qui raccolte dalla genetica molecolare e della patologia sperimentale ci permettono ora di fare il balzo verso la "terapia mirata". L' inattivazione del gene leader blocca la sequenza dei segnali sbagliati responsabili del cancro». Rimane ancora molto da studiare. Il punto da oggi a Torino dove, al convegno Molecular clinical oncology organizzato da Comoglio, sono riuniti i migliori ricercatori. Primi artefici di una nuova coscienza scientifica che in Italia ha avuto come «motore» l' Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) che ha dedicato il 5x1000 a progetti di Oncologia molecolare clinica. Un piano di ricerca che coinvolge quasi mille persone, 48 tra centri di ricerca e cura, università e ospedali. Un investimento di 120 milioni reso possibile da 1.200.000 contribuenti. Tra gli obiettivi Airc, aiutare la creazione di una nuova generazione di medici-ricercatori. A Torino, tra le star c' è il clinico molecolare Jeffrey A. Engelman (Massachusetts General Hospital Cancer Center di Charlestown, Usa). Si occupa di neoplasie polmonari. Come? Da oncologo clinico molecolare, naturalmente, come ha avuto l' intuizione di fare tempo fa. A lui la scelta Airc in Italia piace molto. «È la via giusta e non è futuro». Mario Pappagallo Pappagallo Mario _____________________________________________________ Corriere della Sera 19 mag. ’11 BASTA LIMITI AI BUDGET PER I MALATI FUORI REGIONE Se un malato da Roma va a Milano a farsi curare in una struttura pubblica lombarda, la Polverini rimborsa il collega Formigoni. Se avviene il contrario, però, il governo nazionale ha imposto alla Regione Lazio dei tetti di spesa, superati i quali il rimborso non scatta. Lo ha raccontato ieri la presidente dell' Aiop Lazio, Jessica Faroni (nella foto), durante l' assemblea annuale dell' associazione che raccoglie una fetta importante della sanità privata locale. «Abbiamo sofferto molto per i tagli ai finanziamenti da parte della Regione (il 20% sulla riabilitazione e il 25 alla lungodegenza ndr) - ricorda la Faroni - ma vorremmo proporre alla presidente Polverini di fare una battaglia insieme per l' apertura ai pazienti "fuori regione": la Lombardia con questo sistema incassa circa 500 milioni in più l' anno...». Il Piano di riordino ospedaliero «lo condividiamo - ricorda la Faroni - ma vorremmo fosse messo in piedi il prima possibile un adeguamento delle tariffe. E notiamo pesanti ritardi nel pagamento da parte dei Comuni della quota di assistenza sociale». Sul Recup, il Centro unico di prenotazione di visite e tac della Regione, aperto anche ai privati convenzionati, la presidente dell' Aiop sottolinea: «Mi sono opposta perché non vogliamo che le liste della Regione si sommino alle nostre. Per questo daremo al Recup soltanto il 5-10% di appuntamenti al giorno». La legge sull' accreditamento «erano anni che l' attendevamo». Ciocchetti promette che «insieme all' assessore alle Politiche sociali, Aldo Forte, la revisione delle tariffe delle Rsa e dei budget». E sull' ingresso dei privati nel Recup sottolinea rivolgendosi ai manager dell' Aiop: «Questo è un primo passo per portare la parità tra strutture pubbliche e private: voi dovreste cogliere questa opportunità e dare anche un contributo a potenziare i servizi territoriali». Sui privati nel Recup Maurizio Marotta, direttore della Cooperativa Capodarco che gestisce il Centro unico, commenta: «È positiva la disponibilità dell' Aiop perché così si potranno alleggerire le liste d' attesa soprattutto per le prestazioni di diagnostica». F. D. F. Di Frischia Francesco _____________________________________________________ Sanità News 27 mag. ’11 UN NUOVO FARMACO PROMETTE BENEFICI CONTRO L'ARTRITE REUMATOIDE Sono stati presentati a Londra, durante il Congresso Europeo di Reumatologia EULAR, i dati dello studio scientifico ACT-RAY sull’artrite reumatoide, una malattia cronica che colpisce le articolazioni di circa 20 milioni di persone nel mondo e più di 300 mila in Italia. Dallo studio emerge che il farmaco biologico tocilizumab possa migliorare l’attuale standard terapeutico rappresentato dal metotrexato, un farmaco antireumatico modificante la malattia ampiamente utilizzato nei pazienti affetti da artrite reumatoide a cui non tutti rispondono adeguatamente e che presenta eventi avversi. I dati ACT-RAY confermano l'efficacia del tocilizumab indipendentemente dal fatto che sia somministrato in combinazione a MTX o in monoterapia (Sn) _____________________________________________________ Le Scienze 25 mag. ’11 QUELLO CHE NON UCCIDE IL CERVELLO, LO RAFFORZA In seguito a un danno non letale, viene prodotta una proteina, chiamata iduna, destinata a proteggere le cellule nervose dai danni sucessivi legati allo scatenamento dei meccanismi di apoptosi Un nuova proteina "della sopravvivenza" che potegge il cervello dagli effetti di un ictus è stata identificata da ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine a Baltimora in un modello murino della malattia. La proteina - come viene descritto in un articolo pubblicato su Nature Medicine - interferisce con un particolare processo di morte cellulare che si scatena anche in molte altre patologie, dall'infarto al diabete. In particolare la proteina viene prodotta quando, in seguito a un danno non letale, vengono innescati dall'organismo meccanimi volti a proteggersi da danni successivi. La proteina è stata chiamata Iduna, dal nome di una divinità mitologica norvegese che era a guardia di un albero di mele dorate in grado di restituire la salute agli dei feriti o malati. Iduna agisce in particolare interrompendo una cascata di eventi molecolari che esita in un comune e diffuso tipo di morte cellulare, dovuta alla frammentazione del DNA cromosomico indipendente dalla caspasi (via partanathos), che si riscontra sovente nei casi di ictus, Parkinson, diabete e infarto. Legandosi a una molecola nota come polimero PAR, Iduna previene lo spostamento del fattore di induzione dell'apoptosi (AIF) all'interno del nucleo cellulare. Nel corso dei loro esperimenti i ricercatori hanno appurato che il gene per la proteina si attiva in seguito all'esposizione delle cellule cerebrali a sostanze tossiche. Inoltre, i topi geneticamente modificati per produrre quantitativi più elevati di Iduna riuscivano a superare più facilmente un ictus o altri danni cerebrali, con una migliore conservazione della funzionalità dei tessuti cerebrali e minori conseguenze a lungo termine. "L'identificazione di molecole protettive come Iduna potrà un giorno portare a farmaci che innescano meccanismi di sopravvivenza nelle persone colpite da un ictus o dalla malattie come il Parkinson", ha detto Ted Dawson, che ha coordimato la ricerca con Valina Dawson, che ha osservato: "A quanto pare, quello che non uccide, rende più forti". (gg) _____________________________________________________ Le Scienze 23 mag. ’11 UNA PROTEINA PER LA RESISTENZA ALLA TERAPIA ORMONALE NEL TUMORE DEL SENO I risultati dello studio portano a ipotizzare che la resistenza alla terapia ormonale possa manifestarsi quando il recettore per gli estrogeni è modificato da enzimi denominati chinasi Una nuova proteina coinvolta nello sviluppo della resistenza ai farmaci nel tumore del seno è stata scoperta dai ricercatori del' Imperial College di Londra che firmano in proposito un articolo pubblicato sulla rivista Nature Medicine. Più di due terzi dei tumori della mammella sono dotati di recettori per gli estrogeni, il che significa che richiedono questi ormoni per crescere e possono essere trattati con farmaci antiestrogenici come il tamoxifene. Tuttavia, molti pazienti sviluppano resistenza a questi trattamenti al punto che questi farmaci finiscono per non essere più efficaci. Nel corso dello studio, i ricercatori hanno riscontrato come inibendo l'azione della proteina denominata LMTK3 nelle cellule tumorali umane resistenti al tamoxifene si riesca a rendere tali cellule più reattive al farmaco. Da una sperimentazione sui topi di laboratorio si è riscontrato come bloccando la produzione della proteina con tecniche di ingegneria genetica si riesca a indurre una riduzione della massa tumorale. I ricercatori hanno misurato anche i livelli di LMTK3 nei campioni di tessuto di tumore della mammella: le donne in cui tali livelli erano più alti tendevano a vivere meno a lungo e a rispondere meno alla terapia ormonale. Inoltre, hanno trovato che particolari mutazioni nel gene che codifica per l'LMTK3 ha un'influenza anche sulla longevità dell'individuo. “I farmaci anti-estrogeni hanno avuto molto successo nel prolungare la vita delle donne affette da tumore del seno, ma la resistenza a questi farmaci è un problema comune”, ha spiegato Justin Stebbing, del dipartimento di chirurgia e oncologia dell'Imperial College, e autore senior dello studio. “I nostri risultati suggeriscono che l'azione dell'LMTK3 sul recettore per gli estrogeni ha un ruolo cruciale nello sviluppo della resistenza ai farmaci. Questi risultati di laboratorio portano a ipotizzare che la resistenza alla terapia ormonale possa manifestarsi quando il recettore per gli estrogeni è modificato da enzimi denominati chinasi. Il gruppo ha identificato l'LMTK3 proprio da uno screening delle chinasi in grado di influenzare la risposta delle cellule cancerose agli estrogeni. I ricercatori hanno anche confrontato le sequenze nucleotidiche dei geni che codificano per l'LMTK3 negli esseri umani e negli scimpanzé, poiché questi ultimi non sono esposti al rischio di tumori della mammella positivi al recettore per gli estrogeni. Si è così riscontrato come tra queste due specie sono emerse sostanziali differenze genetiche. “È molto interessante che uomini e scimpanzé abbiano evoluto queste differenze nelle sequenze del gene LMTK3, poiché i geni analoghi nelle due specie sono molto simili”, ha concluso Georgios Giamas, che ha disegnato e guidato lo studio. “Potremmo speculare sul fatto che simili cambiamenti evolutivi possano aver dato agli uomini qualche vantaggio sconosciuto, ma ci hanno anche reso più esposti a un maggior rischio di tumore del seno”. (fc) _____________________________________________________ Le Scienze 20 mag. ’11 PER IL CERVELLO UNA LINEA VALE UNA FOTO Le rappresentazioni cerebrali che identificano una scena - distinguendo per esempio una spiaggia da una strada - sono decisamente più astratte di quanto si potesse pensare Poche linee al tratto sono in grado di attivare gli stessi schemi di attività cerebrale di una fotografia a colori dettagliata. Lo stesso vale per altre strutture naturali o meno, come montagne, città foreste autostrade o uffici. "I nostri risultati indicano che il nostro cervello può ricreare una scena dettagliata a partire da poche linee", osserva Dirk Bernhardt-Walther, della Ohio State University, che firma come primo autore dell'articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences in cui viene descrittolo studio. "Le rappresentazioni cerebrali che categorizzano queste scene appaiono dunque alquanto più astratte di quanto si potesse pensare: non servono caratteristiche come i colori e la tessitura per distinguere una spiaggia da una strada", ha proseguito Bernhardt-Walther. Nello studio a un gruppo di partecipanti sono state mostrate alcune di fotografie a colori e di schizzi al tratto che rappresentavano sei categorie di scene, fra cui appunto spiagge, strade, montagne e foreste, mentre la loro attività cerebrale veniva monitorata con la risonanza magnetica funzionale. Usando i dati ottenuti vedendo le immagini a colori i ricercatori hanno poi addestrato un software a indicare il tipo di scena che stavano vedendo i partecipanti sulla base della struttura dell'attività cerebrale, che hanno poi testato per vedere se riusciva a identificare altre scene viste dai soggetti. Significativamente il software si mostrato in grado di identificare le scene anche quando invece delle foto venivano mostrati gli schizzi al tratto, e anzi le performance della macchine erano in tal caso anche migliori. "Ciò suggerisce che il cervello usa la stessa informazione per decodificare una scena sia che sia presentata come tratto o come foto." A riprova i ricercatori hanno sottoposto ai soggetti immagini a cui erano stati sottratti dei pixel, constatando che gli schemi di errore nell'attribuzione di un'immagine a una categoria o a un'altra erano pressoché identici sia per le foto sia per gli schizzi al tratto. (gg) _____________________________________________________ Sanità News 27 mag. ’11 A SIENA SI SPERIMENTA UN VACCINO CONTRO IL CANCRO AL COLON Un team di ricerca, coordinato da Maria Grazia Cusi e Pierpaolo Correale dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Siena, sta sperimentando un vaccino, denominato TS/PP, destinato a combattere il cancro al colon . "I nostri studi - spiegano gli studiosi - hanno dimostrato che la vaccinazione con TS/PP addestra l'organismo del paziente a produrre linfociti killer in grado di distruggere cellule tumorali che producono grosse quantità di un enzima, noto come timilidato sintasi, che è indispensabile per la crescita neoplastica. Inoltre, abbiamo osservato che l'effetto del vaccino è ancora più efficace quando le cellule tumorali sono state preventivamente esposte ad un trattamento chemioterapico a base di fluorouracile, un farmaco antitumorale molto utilizzato in oncologia". Lo studio, di fase I, è già in corso, durerà 6 mesi e coinvolgerà 36 pazienti che saranno suddivisi in tre gruppi: al primo verrà somministrato solo il vaccino, al secondo il vaccino insieme ad un immunostimolante e al terzo il vaccino associato ad un immunostimolante e al chemioterapico. Tutti i pazienti presentano uno stadio avanzato di tumore già trattato con terapie standardizzate. _____________________________________________________ Sanità News 27 mag. ’11 SCOMMETTERE SULL’E-HEALTH PER RENDERE PIU’ EFFICIENTE IL SERVIZIO SANITARIO Controllo dei pazienti a distanza, cartelle cliniche on-line, risultati di analisi in rete: le tecnologie hanno completamente trasformato il concetto di cura e assistenza sanitaria. Attualmente in Italia circa il 7% del Pil è assorbito dalla sanità, una percentuale destinata ad aumentare, che rischia di compromettere da un lato le finanze pubbliche, dall’altro, considerata la necessità di ridurre le spese, l’efficienza del nostro sistema sanitario che pur nelle forti differenze regionali viene considerato oggi uno dei migliori al mondo. Una risposta può arrivare da un maggiore sviluppo della sanità elettronica: di questo si è discusso nel corso del convegno “La sanità del futuro. La sfida dell’e-health”, che si è tenuto a Torino, promosso dai giovani imprenditori dell’AIOP, Associazione italiana ospedalità privata, e realizzato in collaborazione con UEHP - Union Européenne de l'hospitalisation Privée, con l'Osservatorio ICT in sanità della School of Management del Politecnico di Milano e con il patrocinio del Politecnico di Torino. In Italia gli investimenti in ICT delle strutture sanitarie, pubbliche e private, raggiungono in media l’1,05% (pari a 920 milioni di euro) della spesa complessiva. Una forte differenza si registra tra il Nord e il Sud: gli investimenti, infatti, sono concentrati per il 79% dei casi tra le strutture del Nord, dove la spesa in ICT è di 21 euro pro capite contro i soli 9 euro per abitante nel Sud e nelle Isole. Anche se destinati ad aumentare nei prossimi 3 anni, tali investimenti risultano limitati e la sanità elettronica è una sfida ancora tutta da giocare soprattutto se si tiene conto che laddove è maggiore l’utilizzo degli strumenti di informazione e comunicazione tecnologica in sanità cresce la soddisfazione dei cittadini sulla qualità dei servizi ed è minore la spesa sanitaria procapite. Ad esempio, in Regioni quali Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - caratterizzate da una bassa spesa pubblica procapite per la sanità e da un’elevata qualità percepita del servizio sanitario – si registra un livello di investimenti in ICT tra i più elevati. Mentre, dall’altro lato, Regioni come il Lazio e il Molise – contraddistinti da un’alta spesa pubblica procapite e da un tasso di soddisfazione ai minimi livelli – la spesa per l’e-health è tra le più basse (Fonte: IV Osservatorio ICT in Sanità). La sanità elettronica è dunque un settore chiave che può aumentare l’efficacia nella gestione e nell’offerta di sanità, contribuendo alla razionalizzazione delle spese e realizzando il concetto di medicina centrata sul paziente. _____________________________________________________ Corriere della Sera 29 mag. ’11 OGNI GIORNO IN ITALIA SI FANNO 10 MILA TRASFUSIONI Entro il 31 dicembre 2014 bisognerà adeguarsi ai nuovi standard imposti dall’Unione Europea per la raccolta e la conservazione del sangue. Lo ricordano gli esperti e gli operatori della Rete nazionale, che si sono riuniti a Lucca nella seconda conferenza organizzata dalla Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia (Simti). La scadenza preoccupa, perché potrebbe provocare la chiusura di alcuni piccoli centri non in linea con i requisiti richiesti, portando a una conseguente diminuzione della raccolta di sangue. Il rischio è che, senza il nullaosta della Ue, il plasma raccolto non possa essere trasferito all’industria per la produzione di farmaci emo-derivati, andando perso. «Se oggi abbiamo quasi raggiunto l’autosufficienza, imposta dalle leggi nazionali— sottolineano gli esperti— è anche grazie alla capillarità del Sistema sangue italiano, che può contare su tantissimi punti di raccolta. Per questo, occorre arrivare preparati al primo gennaio 2015» . Le 10 mila trasfusioni al giorno e i 3 milioni di volontari rendono il modello italiano un’eccellenza, che spesso però non viene riconosciuta. _____________________________________________________ Corriere della Sera 29 mag. ’11 POCHI I MEDICI CHE SANNO DIRE «HO SBAGLIATO» L’atteggiamento dei dottori se qualcosa va storto in sala operatoria N egli ultimi anni molto è stato fatto negli ospedali per capire come nascono gli errori medici e per arginarli. Parecchie strutture e Asl si sono dotate di un professionista dedicato a prevenire e gestire il rischio clinico, il risk manager. Ma è irreale pensare che in corsia o in sala operatoria fili sempre tutto liscio. E allora, chi comunica al malato o ai suoi familiari che qualcosa non è andata come avrebbe dovuto? Ci sono regole da seguire? «Esistono raccomandazioni ministeriali, ma nella pratica ognuno si gestisce a modo suo» ammette Gabriele Munegato, coordinatore, durante il recente congresso nazionale dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), di un’apposita sessione dedicata alla comunicazione fra medico e paziente in caso di errori. «Malati e familiari— spiega Piera Poletti, responsabile del Centro ricerca e formazione CEREF, di Padova — desiderano verità e giustizia: se percepiscono omertà sono più propensi a intraprendere azioni legali. E naturalmente chiedono misure di prevenzione per evitare che l'evento avverso si ripeta» . Il timore che ammettere lo sbaglio porti a una denuncia è spesso il maggiore ostacolo alla comunicazione. «Ma non ci sono prove che sia così— continua Poletti —. I pochi dati a disposizione lasciano piuttosto intendere che, se si comunica bene l’accaduto, le probabilità di un contenzioso legale sono minori» . Le scuse, poi, paiono fondamentali per indicare che il medico comprende la gravità dell’accaduto e, quindi, per limitare la frustrazione di chi subisce un danno. Dei 320 mila "eventi avversi"che si verificano ogni anno in Italia (su 8 milioni di ricoveri) circa la metà avviene in sala operatoria, ma i nostri chirurghi non sanno come sia meglio comportarsi, dall’Università in poi nessuno glielo insegna. Così, secondo un’indagine (presentata durante il Convegno) che ha raccolto l’opinione di oltre 700 specialisti, emerge che i chirurghi nostrani trovano grandi difficoltà a comunicare un eventuale sbaglio (il 86,5%) e sono in gran parte scettici sul fatto che scusarsi serva ad arginare le richieste di risarcimento (l’ 87%). Se il medico è a disagio, impreparato a gestire la situazione e tende quindi a essere reticente, malato e parenti oscillano fra ansia, ira, frustrazione. Si sentono traditi. «Serve — dice Poletti — un colloquio in una zona riservata e a parlare deve essere il medico diretto responsabile dell’errore, persona con la quale dovrebbe già essersi instaurato un rapporto. Si deve usare un linguaggio chiaro» . Bisogna, poi, avviare immediatamente un’analisi degli eventi (utile al risk manager per evitare che il fatto si ripeta) e spiegare tutto a pazienti o familiari non appena possibile, rassicurandoli non solo sul pieno rispetto dei loro diritti, ma garantendo anche sostegno psicologico e assistenza. «Ad aver bisogno di supporto, però, è anche il chirurgo, — sottolinea Munegato— che percepisce l’errore come un fallimento, teme azioni disciplinari e un procedimento giudiziario a suo carico, prova imbarazzo verso i colleghi» . Come convincerlo, allora, a "confessare" sempre l’errore? «Servono linee guida e formazione fin dall’Università. Lui per primo deve essere preparato al fatto di non essere infallibile» conclude Munegato. Vera Martinella _____________________________________________________ L’Unione Sarda 29 mag. ’11 UNA TAC RIVOLUZIONARIA PER GLI IMPIANTI AL TITANIO Ha riscosso l'interesse degli odontoiatri la presentazione di uno studio sulla riabilitazione implanto protesica Tac guidata presentato ieri al T Hotel dall'equipe di Antonio Tullio, responsabile della Chirurgia maxillo facciale, dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Sassari, e da Olindo Massarelli e Silvio Meloni. La ricerca, prima al mondo, è finanziata dall'azienda svedese NobelBioCare e dal ministero italiano dell'Università. «La metodica, rivolta ai pazienti che hanno subito la ricostruzione dei mascellari, con l'utilizzazione di lembi liberi di fibula e cresta iliaca (gamba e bacino), dopo traumi balistici o resezioni per l'asportazione di tumori maligni - chiarisce il professor Antonio Tullio - permette con grande precisione l'inserimento di impianti in titanio, a supporto della protesi dentale. La novità è nell'estrema accuratezza garantita dalla simulazione che lo specialista esegue prima dell'intervento attraverso la Tac e un software dedicato». La programmazione virtuale permette di individuare i punti più idonei per l'inserimento degli impianti: il paziente potrà così recuperare le funzionalità dell'apparato stomatognatico (complesso costituito da organi e tessuti che svolgono funzioni digestive, di salivazione, masticazione e deglutizione). «Finora sono stati coinvolti otto pazienti con risultati incoraggianti», aggiunge Tullio. «Concluderemo nel 2012 con l'applicazione della metodica su altre due persone». Carla Etzo _____________________________________________________ Sanità News 24 mag. ’11 UNA BUONA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE E' ALLA BASE DELLA PREVENZIONE DEL RISCHIO CLINICO "Durata dei consulti, ascolto e attenzione per la salute emotiva del paziente sono elementi cruciali che aiutano il medico a stabilire un rapporto di fiducia e a diminuire il rischio di eventuali denunce. Secondo uno studio del Journal of American Medical Association (JAMA), infatti, i consulti medici che durano meno di quindici minuti suscitano diffidenza nel paziente, mentre basterebbero solo tre minuti in più per iniziare a costruire una positiva alleanza terapeutica. L’analisi di 45 casi di malpractice ha messo in luce che molti dei medici coinvolti nelle denunce avevano scarsa capacità di comunicazione e sminuivano l’opinione del paziente". Così Ignazio Marino, presidente della Commissione d'inchiesta sul servizio Sanitario Nazionale, durante il convegno "Il rischio clinico: da problema a opportunità", tenutosi al Senato della Repubblica. "Sempre per il Journal of American Medical Association (JAMA) - continua Marino - il 72% dei medici interrompe la prima frase del paziente dopo 23 secondi. Ai pazienti non interrotti, bastavano solo 6 secondi in più per completare il concetto. Il JAMA ha poi effettuato un altro studio con 21 medici di un ambulatorio universitario in un centro urbano, svelando un'altra tendenza da correggere: quando un paziente introduce indizi emotivi, il medico spesso li ignora e riconduce la conversazione su dettagli più tecnici e concreti". _____________________________________________________ Sanità News 17 mag. ’11 UN TEST ONLINE PER L'AUTODIAGNOSI DELL'ALZHEIMER Diagnosi di Alzheimer fai-da-te, online e gratuita. Da oggi e' possibile grazie al 'Cognitive Function Test', un nuovo esame messo a punto dai ricercatori dell'Oxford University (Regno Unito) guidati da Celeste de Jager. Piccoli problemi cognitivi o vuoti di memoria possono essere le prime ''spie'' della comparsa della malattia diventano facilmente individuabili grazie al test che, spiega Jager, e' gratuito e deve essere svolto da tutte le persone con piu' di 50 anni; il risultato, infatti, e' rilevante solo per coloro che hanno sperato questa eta'. La somministrazione dell'esame dura solo 15 minuti, e puo' essere completata direttamente dal proprio computer. Il risultato del test e' immediato ma, precisano i ricercatori, non puo' sostituire la diagnosi dello specialista, al quale deve rivolgersi chiunque abbia effettuato il test e abbia ravvisato vuoti di memoria, anche piccoli, o cali cognitivi.