Questa rassegna in http://medicina.unica.it Mailing list: medicina@medicina.unica.it NELLA SFIDA DEI SAPERI L'UNIVERSITÀ SIA «LAICA» INSEGNARE? PROFESSIONE PER POCHI TRENTANOVE ATENEI NELLA RETE DEI TALENTI AT SCHOOL, TRAINING THE BRAIN TO INTUIT ANCHE CASTRO JUNIOR SI FIDA DELLE TECNOLOGIE SARDE LA RIVOLUZIONE DEI DOMINI INTERNET PERSONALIZZATI MODELLO TEDESCO POST-NUCLEARE L'EUROPA TEME NUOVI BLACK OUT ========================================================= LAVORO ASSICURATO AI CAMICI BIANCHI FRA DUE ANNI IMPORTEREMO MEDICI FAZIO: UN ANNO IN MENO PER LE SPECIALIZZAZIONI. MILANESE IL PRIMO "CSI" DELLA STORIA «ASSISTENTI DOMICILIARI DI SERIE B» DENTISTI, LA PAURA DEL TRACOLLO PROFESSIONE DORATA AL DECLINO VERONESI VUOLE L'ADROTERAPIA CONTRO IL CANCRO VERONESI: L'AMORE PURO? «QUELLO GAY» DON VERZÉ: SAN RAFFAELE, SPERO NELLA GRAZIA OSPEDALE SAN RAFFAELE: C’È IL VIA DELLA REGIONE SAN RAFFAELE: LA GIUNTA ASSEGNERÀ I POSTI LETTO OSPEDALE SAN GAVINO: SI ALLUNGANO I TEMPI AOUCA:SCOPERTA UNA NECROPOLI DI MILLE METRI AL SGD ASLSS: LA SFIDA DEL MANAGER-RAGAZZINO: I GIOVANI NON USANO IL CONDOM SANITÀ CONVENZIONATA IN RIVOLTA ASLNUORO: BRACCIO DI FERRO SUI NUOVI DIRETTORI BROTZU: PENE FINO A QUATTRO ANNI PER DUE EX DIRIGENTI SANTA CRUZ: A GIUDIZIO L'EX RETTORE, TRE DIRIGENTI E IL PRIMARIO NANNI BROTZU: «NON POTEVAMO PIÙ LAVORARE» NANNI BROTZU: SANTA CRUZ AL POLICLINICO NON FACEVA NULLA» AIOP: SANITÀ E ASSISTENZA: IL FUTURO È A PORTATA DI MANO CON ICT TELEMEDICINA: 55 MILIONI RISPARMIATI PER GLI OSPEDALI CANADESI TELEMEDICINA: MA IL DOTTORE DEVE «TOCCARE» TELEMEDICINA: DIAGNOSI, TERIPIE E CONTROLLI: SI PUO FARE A DISTANZA TELEMEDICINA: LONTANO DAGLI OCCHI MA NON LONTANO DAL CUORE TELEMEDICINA: UNA MANO-ROBOT PER IL BISTURI SO AL 93% COSA FARETE: SIETE TUTTI PREVEDIBILI I MANCINI? LO FANNO MEGLIO ANAAO SULLA PROROGA AL 13 SETTEMBRE DEI CERTIFICATI ONLINE LA GENETICA FA LUCE SUL 30% DELLE NEUROPATIE INSPIEGABILI PSA: SERVE ANCORA IL TEST DI CONTROLLO PER LA PROSTATA? LE MORTI IN CULLA SONO DIMUNUITE DEL 60% AL PRONTO SOCCORSO DELLA ASL DI SASSARI IL KIT PER LA TERAPIA INTRAOSSEA PAZZI PER LA CITTÀ: ATTENTI ALLO STRESS LA MUTAZIONE DEL GENE DAT E' ASSOCIABILE AL DISTURBO BIPOLARE ========================================================= ____________________________________________________ Avvenire 24 giu. ’11 NELLA SFIDA DEI SAPERI L'UNIVERSITÀ SIA «LAICA» DA ROMA GIANNI CARDINALE Non c'è dubbio che l'università debba essere, secondo la terminologia ormai d'uso, "laica", purché con questo termine non si intenda concepirla come "indifferente" alle visioni sostantive, siano esse religiose o laiche». Ogni università, anche cattolica, «sarà per-tanto laica perché aperta al confronto che sta alla base, tra l'altro, dell'ormai necessaria pratica della transdisciplinarietà». Lo ha detto il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, nella relazione che ha introdotto l'VIII Simposio internazionale organizzato dall'Ufficio della pastorale universitaria del Vicariato di Roma, presieduto da monsignor Lorenzo Leuzzi sul tema: "L'Università e la sfida dei saperi: quale futuro?". In programma fino a domani, è iniziato ieri pomeriggio con una cerimonia ospitata dalla pontificia Università lateranense. Hanno salutato i partecipanti il rettore dell'ateneo "del Papa", il vescovo Enrico dal Covolo (che ha ribadito come «nel contesto dell'emergenza educativa il tema dell'università occupa un posto decisivo»), il Sindaco di Roma Gianni Alemanno e il ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini. Dopo la presentazione della tre giorni da parte del professor Cesare Mirabelli, il rettore della Università Roma Tre, Guido Fabiani, ha introdotto i tre relatori: il cardinale Scola, Eric McLuhan che ha parlato di "Cattolicesimo e comunicazione" e Jakob Rhyner che è intervenuto su "Onu, un modello per una università globale". Nel suo discorso il patriarca di Venezia ha spiegato che comunque «un quadro di adeguata, buona, laicità deve consentire a me universitario credente di vivere nella convinzione che Dio regge la storia, con decisive implicazioni sul vivere civile (qualcuno ha citato i principi irrinunciabili) e sul lavoro universitario, così come de ve riconoscere pari diritti e doveri a chi nega questa ipotesi con tutte le fibre del suo essere». Ma come è possibile perseguire «tale complessa armonia»? «Attraverso — ha risposto il porporato — un confronto sempre aperto tra "soggetti" portatori di ermeneutiche diverse», confronto «che implicherà che la mia visione dovrà essere sempre e solo proposta, mai imposta, alla libertà dell'altro e implicherà l'attendersi uguale rispetto e interesse dialogico da parte degli altri». Alla cerimonia hanno assistito, tra gli altri, i rettori della Cattolica Lorenzo Ornaghi e della Lumsa Giuseppe Dalla Torre, nonché il segretario della pontificia Commissione per l'America latina, Guzman Carriquiry. ____________________________________________________ Italia Oggi 21 giu. ’11 INSEGNARE? PROFESSIONE PER POCHI Il ministero ha stimato il fabbisogno di nuovi docenti fino al 2015. Nelle università corsi a rischio Solo 23 mila disponibilità. Superiori: 75 posti a Lettere DI ALESSANDRA RICCIARDI A una prima lettura, sembra tutto ok, anzi Sapere che la scuola italiana, da qui a 4 anni, ha bisogno di 23 mila nuovi docenti da abilitare alla professione può apparire addirittura consolante, dal punto di vista delle opportunità formative ma anche occupazionali. Ma quando si leggono i dati disaggregati per grado di scuola e per classe di concorso, la percezione cambia radicalmente. Perché i 23 mila docenti che le università potranno formare fino al 2015 si traducono tra primaria e secondaria, spalmati tra matematica, lettere, inglese e lingue, storia e filosofia, latino e greco, e poi suddivisi su tre annualità accademiche, in una manciata di posti. Risicate chance lavorative che parlano di una professione in declino, in cui c'è poco spazio per nuovi docenti. In alcuni casi, come per esempio la classe 050 alle superiori, ovvero Lettere, vi sarebbero in tutta Italia solo 75 posti disponibili da occupare. Del resto, ci sono già circa 230 mila insegnanti abilitati, quelli delle graduatorie permanenti, che vanno immessi in ruolo. Una situazione choc che, se confermata, renderebbe l'organizzazione di alcuni nuovi corsi un affare in perdita per le università. Già, perché i nuovi percorsi abilitanti previsti dalla riforma Gelmini (laurea magistrale e tirocinio attivo) sono blindati: per evitare il for-marsi di nuovo precariato, gli atenei formeranno solo in base ai flussi programmati a livello regionale. Le prime stime sul abbisogno di nuovi docenti fatte dal ministero dell'istruzione, università e ricerca sono state trasmesse in questi giorni ai direttori scolastici regionali. Obiettivo: prendere contatto con le varie università del territorio perché queste abbiano l'ordine di grandezza dei corsi di laurea a decorrere dal 2012. Italia Oggi ha avuto modo di leggere le stime. Complessivamente, ci sono 23.200 disponibilità per la formazione: 4.550 per il 2012/2013; poco più di 7.400 per il 2013/2014 che salgono a 11.200 per il 2014.2015. L'ordine di scuola più affamato sarà la scuola media con 8.200 nuovi docenti, seguito dalla secondaria di secondo grado con 5.100 e poi la scuola dell'infanzia quasi a quota 5 mila e la primaria a poco meno di 4.900. Le stime sono state elaborate tenendo conto, su un organico di 605 mila unità, dei posti vuoti in organico e delle cessazioni dal servizio che si avranno, a legislazione vigente. Sommando i due dati, vanno poi sottratti gli abilitati ad oggi già iscritti in graduatoria. Ovviamente le stime non sono in grado di dire cosa accadrebbe in caso di ulteriori strette sugli organici. A spulciare i dati emerge per esempio che per la Campania alle superiori la classe di concorso A013, Chimica, avrà una disponibilità di 4 posti; A034, ovvero elettronica, in Abruzzo avrà un fabbisogno di zero docenti per il 2012, sempre zero per il 2013 e un solo nuovo docente per il 2014/2015. Va meglio per Igiene, A040: a li-vello nazionale quasi 400 posti, sempre su tre anni ovviamente. Per A036, ovvero Filosofia e pedagogia, ce ne saranno nel triennio 75; 184 per Storia e Filosofia. Difficile immaginare che le università possano realizzare corsi per un solo potenziale aspirante o comunque poche decine. Ecco perché il ministero sta studiando integrazioni legislative per accorpare presso un solo ateneo regionale o anche nazionale i corsi di laurea più poveri. Se la strategia, avviata dal precedente governo di centrosinistra, è quella di non formare più docenti di quelli che presumibilmente potrà assorbire il sistema, per un po' di anni bisognerà inevitabilmente mettere il lucchetto ad alcune classi di concorso. Ed evitare che, come invece avvenuto per le Siss, le maglie per l'accesso vengano via via allargate __________________________________________________ Corriere della Sera 24 giu. ’11 TRENTANOVE ATENEI NELLA RETE DEI TALENTI FORMAZIONE IL COIMBRA GROUP E L' INCONTRO DI PADOVA Un network che unisce 39 università storiche europee con l' obiettivo di promuovere progetti di internazionalizzazione e di eccellenza. È il Coimbra Group (www.coimbra-group.eu), il cui nome deriva dal primo incontro ufficiale del gruppo avvenuto nella città portoghese nel 1986. Oggi l' organizzazione annovera atenei di grande prestigio, come Oxford, Cambridge, Lovanio e Barcellona. Quattro le università italiane: Bologna, Padova, Pavia, Siena. Proprio a Padova si è svolto, a fine maggio, il convegno annuale, dedicato al tema «La missione delle università europee in un mondo globalizzato». Spiega il rettore Giuseppe Zaccaria: «Nel corso della conferenza abbiamo cercato di dare una risposta agli interrogativi che tanti studenti si pongono, e ci pongono». Durante la tre giorni padovana si è così parlato del ruolo che gli atenei europei possono ricoprire in un sistema sempre più aperto e fluido e del bagaglio di sapere e competenze che devono fornire ai loro studenti. Sottolinea Zaccaria: «L' università europea di oggi, e tanto più di domani, deve saper navigare tra tradizione e futuro. Deve, cioè, essere orgogliosa della propria storia e, nel contempo, saper fornire una formazione di qualità, al passo con le esigenze di una società planetaria, aperta a sfide sempre nuove». Di fatto il Coimbra Group è molto attivo nella promozione di progetti di interscambio. Basti pensare che oltre il 60% degli studenti che si muovono con l' Erasmus appartiene a uno degli atenei del gruppo. Non solo: il network organizza programmi di mobilità per studenti, dottorandi e ricercatori e promuove la partecipazione alle summer school che si tengono nelle diverse strutture del gruppo. Va nella stessa direzione l' istituzione del «Premio Arenberg», che viene assegnato ogni anno a un giovane neolaureato in un' università del Coimbra Group, la cui tesi si connota per il respiro europeo. «Pensiamo che la collaborazione internazionale sia uno strumento essenziale - afferma Zaccaria - non solo per contribuire alla costruzione di uno spazio europeo della formazione, ma anche per migliorare le performance delle singole università». Anna Zinola Zinola Anna ____________________________________________________ The New York Times 20 giu. ’11 AT SCHOOL, TRAINING THE BRAIN TO INTUIT By BENEDICT CAREY For years students have been expected to learn the rules first — the theorems, the order of operations, Newton's laws — then make a run at the problem list at the end of the chapter. Yet recent research has found that true experts have something at least as valuable as a mastery of the rules: an instantaneous grasp of the type of problem they're up against. Like the chess master who "sees" the best move, they've developed a great eye. Now, a small group of cognitive scientists is arguing that schools and students could take far more advantage of this ability, called perceptual learning. The brain is a pattern-recognition machine, after all, and when focused properly, it can quickly deepen a person's grasp of a principle, new studies suggest. "Once the brain has a goal in mind, it tunes the perceptual system to search the environment" for relevant clues, said Steven Sloman, a cognitive scientist at Brown University in Providence, Rhode Island. Experts develop sensitive perceptual radar the old-fashioned way, of course, through years of study and practice. Yet there is growing evi- dence that a certain kind of training — visual, fast-paced, often focused on classifying problems rather than solvìng them — can build intuition quickly. In one recent experiment, researchers found that people were better able to distinguish the painting styles of 12 unfamiliar artists after viewíng mixed collections of works from ali 12 than after viewing a dozen works from one artist, then moving on to the next painter. In a 2010 study, researchers had sìxth graders in a Philadelphia public school use a perception-training program to practice workíng with fractions. On the computer module, a fraction appeared as a block. The students used a "slicer" to cut that block into fractions and a "cloner" to copy those slices. They used these pieces to build a new block from the originai one to represent different fractions. In a test afterward, on problems the students hadn't seen before, the group got 73 percent correct. A comparison group of seventh graders, who'd been taught how to solve such problems as part of regular classes, scored just 25 percent on the test. "The impressive thing for me was that we went back five months later, after the summer, and the gains had held up," said Christine Massey, di- rector of the University of Pennsylvania Institute for Research in Cognitive Science. "I find that often students will try to solve problems by doing only what they've been told to do, and if that doesn't work they give up," said Joe Wíse, a physics instructor at New Roads, a school in Santa Monica, California, that is using online perceptual training. "Here they're forced to try what makes sense to them and to keep trying. The brain is very good at sorting out patterns if you give it the chance and the right feedback. " Ideally, perceptual training does more than breathe life into abstract principles. It also primes students to apply the principles in other contexts. This ability to transfer, as it's known, is fundamental to scientific reasoning and is among the hìghest goals of teachers at all levels. Here, too, perceptual learning may help. Researchers at Indiana University have had students practice on software that models scientific principles, like positive feedback loops. In one, middle school students use a mouse to add "slime mold" to a slide and watch as it spreads faster the more they add. The process fuels itself. "The kids who have seen this situation will transfer it to other positive feedback loops, like global warming," said Rob Goldstone, director of the cognitive science program at Indiana University. "The more ice that melts, the more heat that's absorbed into the earth, the warmer it gets, which melts more ice, and so on." The future of such perceptual learning efforts is far from certain. But researchers are convinced that if millions of children can develop a trained eye for video combat games and doctored Facebook photos, they can surely do the same for graphs and equations ____________________________________________________ Il Mondo 1 Lug.. ’11 ANCHE CASTRO JUNIOR SI FIDA DELLE TECNOLOGIE SARDE GRUPPO MORATTI AKHELA PUNTA ALL'ESTERO Nato sulle ceneri di Atlantis, l'ex incubatore di Cagliari è tornato in utile, triplicando il giro d'affari. Ha aperto uffici a Milano, Torino, Roma. E persino a Maranello... È nata nello stesso anno di Tiscali, il 1998. E come il portale internet di Renato Soru, anche Atlantis puntava in grande: Massimo e Gianmarco Moratti pensavano al loro incubatore sardo nientemeno che come a una Città dell'innovazione, un luogo anche fisico in cui riunire imprenditori, ricercatori e venture capitalist per dar vita a nuove start-up e occupazione. Di quel sogno, costato all'epoca la bellezza di quasi 500 miliardi di vecchie lire grazie a un contratto di programma sottoscritto con il ministero del Tesoro, è rimasto ben poco. «Le start- up incubate non avevano né un mercato né un prodotto finito, si continuava a rinviare la loro quotazione», ricorda oggi Piercarlo Ravasio. Già responsabile della ricerca mondiale in Olivetti ed Elsag Bailey (gruppo Finmeccanica), Ravasio è stato chiamato nel 2004 dai Moratti per mettere ordine in Atlantis, che nel frattempo è stata ribattezzava Saraslab, con perdite quattro volte il fatturato. «Abbiamo preso tutte le idee migliori e le tecnologie che si concentravano in una decina di società partecipate, e dalla loro fusione per incorporazione è nata Akhela», continua Ravasio. Da allora la società è tornata in utile e ha triplicato il giro d'affari, raggiungendo i 26-27 milioni di ricavi attesi quest’anno. «Siamo cresciuti quasi di un 20% l'anno, in evidente contro- tendenza rispetto al mercato dei servizi informatici», osserva ancora l'ingegnere, che attualmente ha il ruolo di ad di Akhela. La sede principale è rimasta in Sardegna, nella zona industriale di Macchiareddu, alle porte di Cagliari, ma nel frattempo sono stati aperti altri quattro uffici, a Milano, Torino, Roma e anche Maranello. Perché Akhela è uno dei partner tecnologici della Ferrari, per la quale realizza i sistemi di controllo e gestione dei motori, in tandem con Magneti Marelli. E lo stesso fa per altre case automobilistiche come Maserati e Peugeot-Citroén, Bmw, la svedese Saab e la cinese Saic. Sfruttando sempre le competenze sviluppate in questi anni nel campo dell'outsourcing di sistemi per infrastrutture critiche (un know-how formatosi in casa, con la gestione della raffineria Saras di Sarroch), della sicurezza e della virtualizzazione (la cosiddetta cloud migration), o degli «embedded systems», Akhela è riuscita a convincere clienti del calibro di Telecom ed Enel, Alitalia e Ferrovie, Poste, Intesa Sanpaolo, Bnl e Generali. Così che più del 30% delle transazioni elettroniche tramite carta di credito è gestita oggi in Italia dall'ex incubatore dei Moratti, che ha continuato a investire nei giovani e nella ricerca, coerentemente con lo spirito con cui nacque. Tanto che il grosso dei 340 dipendenti, oltre a essere per lo più di origine sarda, ha una laurea tecnico scientifica, e meno di 30 anni. Nell'ultimo anno e mezzo, infine, la società ha iniziato a muoversi al di là dei confini nazionali: «Abbiamo avviato un percorso di internazionalizzazione», osserva Ravasio, «perché le nostre piccole e medie aziende non considerano l'informatica un asset strategico. Non capiscono che può invece servire anche a vendere dei sanitari». E dopo i primi contratti in Libano, Ucraina e Iran, è arrivato ora anche il turno di Cuba. Il figlio di Fidel Castro ha chiamato Akhela per gestire un centro di ricerche sulle nanotecnologie che richiede sistemi con una grandissima potenza di calcolo. Sandro Orlando ____________________________________________________ Il Sole24Ore 22 giu. ’11 LA RIVOLUZIONE DEI DOMINI INTERNET PERSONALIZZATI Dal 12 gennaio 2012 una svolta per il marketing delle aziende in Rete Rivoluzione nell'utilizzo dei domini internet. Le imprese private potranno utilizzare il loro nome nel suffisso del dominio, per esempio al posto dei suffissi .org o .net. Questa è la decisione presa dall'ente internazionale preposto ai nomi a dominio Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers). Dal 12 gennaio 2012, dunque, le aziende potranno registrare domini con il proprio nome come estensione. Il modello di base avrà una forma di questo tipo: www.nomechesidedisera.nomeimpresa. Si potranno registrare anche nomi di luoghi. "L' Icann ha aperto il sistema dei nomi per scatenare l'immaginazione globale - ha detto il consiglio dell'ente -. La decisione di oggi rispetta il diritto dei gruppi di creare domini a livello massimo in ogni lingua o scrittura". "Speriamo che questa permetta al sistema dei nomi a dominio di servire meglio tutta l'umanita'", ha spiegato il presidente dell'Icann Rod Beckstrom. Grandi gruppi come Apple, Toyota o Bmw, ad esempio, potranno lanciare a pagamento siti con il loro nome a suffisso. A beneficiare di più di questa novità saranno le "grandi marche con un marketing chiaro e una strategia orientata verso i clienti, che consente loro di sfruttare il proprio nome in modo competitivo", ha spiegato Theo Hnarakis, direttore del Melbourne It Digital Brand Services, società con sede in California specializzata in servizi internet. Al momento esistono solo 22 gTLD (come ".com", ".info", ".org"), più circa 250 domini con nomi di paesi (come ".it", ".uk"). Ora si attendono centinaia di nuovi gTLD. "Si tratta del maggiore cambiamento concernente i nomi di dominio dalla creazione di 'dotcom' (.com) 26 anni fa", ha aggiunto Hnarakis. Intanto, da una ricerca eseguita dall'Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (lit-Cnr) e presentata nel corso dell'Internet Festival (Pisa, 5-8 maggio scorsi), emerge che in Italia la rete è fondamentalmente maschile e settentrionale, con più aziende che persone fisiche. Al fine 2010, il 57,7% dei domini .it risultavano registrati da imprese contro il 29,6% di persone fisiche, a cui seguono liberi professionisti (5,76%) ed enti no- profit (4,48%). ____________________________________________________ Il Sole24Ore 23 giu. ’11 MODELLO TEDESCO POST-NUCLEARE Dopo i referendum. Durante la crisi il settore italiano dei pannelli fotovoltaici è stato l'unico a veder crescere ricavi e addetti La Germania entro il 2050 vuole produrre l'80% di energia da fonti rinnovabili Enrico Bronzo L’inequivocabile risultato del referendum sul nucleare impone di tornare a parlare di programmare il futuro energetico italiano. La Germania, locomotiva d'Europa in economia, lo sta già facendo, decidendo di mettersi alla testa del convoglio della green economy già da tempo, prima essendo leader nell'approvazione del pacchetto 20-20-20, poi ponendosi l'obiettivo dell'8o% dell'energia elettrica da fonti rinnovabili al 2050 e infine con quello ambizioso davvero di sostituire il 17% di contributo del nucleare cui hanno deciso di rinunciare dopo Fukushima senza aumentare gas o carbone e ricorrendo esclusivamente a nuove rinnovabili. I tedeschi ci indicano una strada che possiamo e dobbiamo percorre anche noi. Già oggi le rinnovabili contribuiscono per oltre un quarto all'energia elettrica che produciamo in Italia, in questi mesi di gravissima crisi quello delle rinnovabili è stato l'unico settore economico in crescita, di fatturato e in termini occupazionali – sono 120mila ormai gli addetti che lavorano nel settore. Nel 2010 numero di impianti fotovoltaici è più che raddoppiato passando da 71.288 a 155.977 (+119%). Ancora più ampia la crescita della potenza efficiente lorda che è passata da 1144 a 3469,9 MW (+203%) nel corso del2olo ed è continuata a crescere molto rapidamente superando i 6mila MW in questi giorni. Sul territorio la diffusione del solare è particolarmente rilevante in Trentino, Marche e Puglia, in cui ad una media nazionale di 57 W per abitante si superano le tre cifre. La Puglia è leader nazionale con circa il 20% della produzione. Numeri che dimostrano come le imprese e il mondo della ricerca sono pronti, come confermato dalla ricerca Green Italy sviluppata dalla Fondazione Symbola, Unioncamere e Istituto Tagliacarne. Lo studio ricostruisce una geografia della filiera italiana delle rinnovabili, dallo stabilimento più grande d'Italia e uno dei grandi d'Europa per la produzione di pannelli fotovoltaici che verrà inaugurato 1'8 luglio a Catania, nato dalla collaborazione di Stm elettronica, Enel green power e Sharp, progettato dallo studio Am architetti, alla Archimede solar energy (Ase), azienda del gruppo Angelantoni, unico produttore al mondo di tubi ricevitori solari a sali fusi per le centrali del solare termodinamieo, passando per l'Università di Ferrara che sta lavorando nel campo dei dispositivi solari fotovoltaici a concentrazione. Un'altra linea di ricerca interessante è quella condotta nei laboratori del polo solare organico del Lazio che ospitano una linea pilota per la produzione di celle solari organiche. Il polo, nato dalla volontà della Regione Lazio e del dipartimento di Ingegneria elettronica dell'Università di Roma Tor Vergata, è uno dei tre centri d'eccellenza alivello mondiale, insieme a quelli del Giappone e della Germania, per la ricerca e l'industriali7zazione di queste nuove celle solari fotovoltaiche. Sullo sviluppo di tecnologie avanzate per l'impiego dell'energia solare sta lavorando anche il centro di ricerca Eni perle energie non convenzionali Guido Donegani di Novara, impegnato nello studio di materiali organici polimerici e nano- strutturati che garantiranno costi minori delle attuali tecnologie commerciali. Su questo fronte si segnala un gruppo di ricercatori di Lecce che sta studiando l'evoluzione dei materiali per la fabbricazione di cellule Dssc (dye sensitized solar celi, sensibilizzate a colorante): a catturare la radiazione solare è una tintura organicao metallorganica. Mentre è l'aretina La Fabbrica del sole che ha recentemente lanciato sul mercato l'ecobox un sistema che permette distaccare dalle reti del gas, elettriche e idriche una abitazione. Gli ingredienti ci sono, ora è necessario ragionare sul sistema, a un moderno piano nazionale di efficienza energetica, rivedere gli obiettivi del piano sulle rinnovabili che inviato a Bruxelles nel giugno scorso, largamente superati dai fatti, infine emanare decreti attuativi relativi al decreto Romani, che permettano al settore di rilanciarsi. 17% LA CONVERSIONE Il governo tedesco ha deciso di convertire il 17% di contributo dal nucleare dopo il disastro giapponese ricorrendo esclusivamente alle rinnova bili e senza aumentare gas o carbone, ponendosi anche l'obiettivo dell'80% dell'energia elettrica da fonti rinnovabili ne12050. +119% GLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI In Italia nel 2010 sono passati da 71mila a 156mila. La diffusione del solare è particolarmente rilevante in Trentino, Marche e Puglia. La Puglia è leader nazionale con circa il 20% della produzione. +203% LA POTENZA Dopo essere passata da 1.144 a 3.469,9 megawatt nel 2010 in questi giorni sono stati superati i 6mila megawatt. La media nazionale è di 57 watt per abitante. ____________________________________________________ Il Sole24Ore 23 giu. ’11 L'EUROPA TEME NUOVI BLACK OUT Scenari. Dopo la decisione tedesca di fermare otto centrali atomiche tagliando il 10% della capacità nazionale di generazione Federico Rendina ROMA Prima i tremori nucleari del dopo Fukushima. Ora i tremori, inattesi (ma non dagli esperti), per le conseguenze del primo dietro front dei tedeschi, che hanno chiuso otto delle loro centrali atomiche tagliando di colpo almeno il ioni", per 8.300 megawatt, della loro capacità di generazione. Scoperta: il sistema europeo è ormai una realtà interconnessa, un mercato già semi-integrato fatto di scambi elettrici transfrontalieri. Ed eccolo il grande tremore. Rischi di blackout? Non vanno esclusi. Conviene attrezzarsi, anche per evitare qualche possibile effetto domino. Buon per noi che il nostro Paese, una volta tanto, sembrerebbe messo meglio di altri, Germania e nuclearissima Francia in testa. A lanciare il sasso sono direttamente i manovratori del sistema elettrico europeo, che peraltro raccolgono l'allarme già lanciato dagli esperti: il taglio nella capacità tedesca - avverte in un rapporto l'Entso-E, l'associazione dei gestori di rete europei di cui fa parte anche la nostra Terna - mal si combina con una fase critica del nucleare francese, frenato dalla siccità dei fiumi che raffreddano le centrali, molte delle quali sono oltretutto in manutenzione straordinaria (chissà se "incentivata", come si mormora, dalle paure giapponesi). Europa già in crisi? Forse no. Ma siamo al limite, dice in sostanza l'Entso-E. Se tra luglio e agosto le condizioni meteo si manterranno nella media storica stagionale, e se non si apriranno nuove impreviste falle tecniche, potremmo farcela. Ma se qualche variabile (climatica o tecnica) risulterà fuori controllo problemi, anche grossi, potrebbero arrivare. Innescati in Germania dalla inevitabile pressione sull'import dalla Francia. Che a sua volta potrebbe moltiplicare le sue richieste di import nei momenti di punta persino dall'Italia, come è successo più volte in passato, anche se normalmente la Francia è il nostro principale fornitore abituale, specie di notte quando la loro energia atomica ci costa meno. Alle falle di Francia e Germania, i due maggiori produttori di elettricità dell'Europa occidentale, si aggiunge l'instabilità che potrebbe venire dai quattro paesi europei che in estate sono importatori "cronici" di energia transfrontaliera• Finlandia, Ungheria, Lettonia e perfino la Polonia, che solo nei prossimi anni promette di pareggiare e poi addirittura di esportare energia grazie alle nuove centrali che vorrebbe realizzare dopo aver scoperto in patria immensi giacimenti di gas non convenzionale (shale gas). Tutto vero, confermano gli analisti di Sia Partners: «La Germania, da ordinario esportatore di elettricità si priva di una produzione di energia equivalente al suo saldo commerciale». È dunque prevedibile «uno squilibrio in tutta Europa». Italia questa volta relativamente al sicuro, dicevamo. Ce lo riconosce anche l'Entso-E: negli ultimi sette-otto anni (dal blackout del 2003, per capirci) è cresciuta di molto sia la nostra capacità di generazione, ora persino sovrabbondante, sia l'efficienza della rete elettrica (i rapporto Entso apprezza in particolare il nuovo elettrodotto Sapei con la Sardegna). I responsabili di Terna promettono in ogni caso un monitoraggio certosino per tutto il periodo potenzialmente critico. Che per noi, dice l'Entso-E, potrebbe essere quello tra il io luglio e il io settembre, con una congrua tregua nel "tutti in vacanza" delle prime tre settimane di agosto, quando i consumi elettrici scendono di molto. ========================================================= ____________________________________________________ Il Sole24Ore 20 giu. ’11 LAVORO ASSICURATO AI CAMICI BIANCHI A un anno dal titolo oltre l’'81% dei laureati trova un impiego: quota più che doppia rispetto alla media generale. Record assoluto per gli infermieri: solo il 7% resta disoccupato Paolo Del Bufalo A un anno dalla laurea oltre 1'81% di medici e professionisti della salute lavora. Un record al confronto degli altri laureati, occupati in modo stabile solo nel 36% dei casi. Tra le 22 professioni sanitarie non mediche il 93% degli infermieri a un anno dalla laurea lavora, mentre "solo" il 56% dei tecnici di fisiopatologia cardiocircolatoria è occupato. I198,6% dei medici a tre anni dalla laurea si sta specializzando ed è retribuito, ma il 36,5% di dottori - quasi tutti quelli che hanno concluso íl corso dí medicina generale e sono tornati all'università per una specializzazione - in media è già a tempo indeterminato. A tracciare il quadro e stilare la classifica dell'occupazione per le professioni di area medica (quelle che fanno capo alle facoltà di medicina) è per fi §ole-24 Ore Sanità Angelo Mastrillo, esperto dell'Osservatorio delle professioni sanitarie del Miur e segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie. Mastrillo ha analizzato i dati Almalaurea e Cilea, il consorzio tra le università di Milano, Milano Bicocca, Pavia, Brescia, Varese, Palermo, Pisa. Nelle università del Nord per le professioni sanitarie il lavoro a un anno dalla laurea è sempre sopra la media (84%), ma al Sud per i =profili resta indietro Catanzaro che rispetto al 93,4% di occupati di Padova, prima in classifica, ha solo il 63,4% di laureati già al lavoro. Dato confermato sempre per le professioni da quello regionale: la Calabria è il fanalino di coda con il 63% di occupati, mentre intesta ci sono Piemonte (93%), Liguria, Veneto e Lombardia (92 per cento). Per i medici invece la geografia non conta e se al Sud c'è qualche "disoccupato" in più, il livello occupazionale è sempre molto al di sopra di quello di tutte le altre lauree a ciclo unico. Tra le professioni di area medica (28mila "profili" e circa 9mila medici), insomma, la parola "disoccupazione" è rara e medici, infermieri e operatori sanitari battono tutte le altre attività nei livelli occupazionali come in quelli retributivi, visto che la media di incasso mensile, sempre a un anno dalla laurea è già oltre i 2 mila euro, contro i poco più di mille delle altre professioni. «I dati - spiega Mastrillo - dicono che in media 1'83% dei professionisti sanitari lavora a un anno dalla laurea. Tasso che si stacca nettamente dal valore medio del 45% dell'insieme di tutti gli altri gruppi disciplinari» Ad esempio, nota Mastrillo, la cosiddetta "ultima in classifica" tra le professioni, con il 56% di occupazione, è comunque superiore alla seconda in classifica generale, ovvero al 43% del gruppo di educazione fisica e al 41% del gruppo disciplinare dell'insegnamento. «Va inoltre considerato - aggiunge - che il tasso occupazionale delle professioni sanitarie sale al 95% nel corso dei successivi 3 anni dal conseguimento del titolo». E anche per gli ultimi posti nella classifica occupazionale Ma- strillo dà una spiegazione. A esempio per il tecnico di neurofisiopatologia (62%), «la causa è nota e anche già risolta», afferma. «Si tratta dell'eccessiva offerta formativa annuale di 250 posti nel triennio 2004- 2006 per sostituire circa 500 infermieri; esubero che, tuttavia, è stato ridotto a circa 140 dal 2007, proprio in coerenza con gli sbocchi occupazionali». Per i medici invece nessun problema: «La specializzazione è un lavoro retribuito e deve essere considerato tale, anche se a termine (5 o 6 anni) - spiega Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale e della conferenza nazionale dei presidenti di corso di laurea specialistica in Medicina e chirurgia- e la specializzazione è comunque a tutti gli effetti la "porta del lavoro", senza eccezioni». E la conferma arriva dal gradimento dei medici: il 99% è convinto dell'efficacia della laurea per l'occupazione (solo lo 0,8% ne dubita) e dovendo dare un voto da o a io alla soddisfazione per il lavoro svolto, la media è 8,2. Come dire: i medici proseguono tutti gli studi post-laurea, ma il lavoro davvero non manca e la soddisfazione per quel che fanno è pressoché totale. ____________________________________________________ Libero 26 giu. ’11 FRA DUE ANNI IMPORTEREMO MEDICI Il piano sanitario nazionale 2011-2013 Dottori anziani e pochi laureati per via del numero chiuso: fino al 2020 ospedali in sofferenza FOSCA BINCHER La data fatidica sarà quella del primo gennaio 2013. Da quel giorno per due anni lasceranno il servizio sanitario nazionale per limiti di età 17mila medici. E in gran parte non verranno sostituiti. Non perché ne manchi l'esigenza: colpa del numero chiuso alle facoltà di Medicina. Fu introdotto quando sembrava fosse inarrestabile il fascino della professione e ci fosse il rischio di consegnare buoni laureati alla disoccupazione. Solo troppo tardi il ministero della Salute si è accorto che non era così, e che la curva demografica unita all'età media assai elevata dei medici in servizio, avrebbe causato un buco nero che ora rischia di mettere in crisi il sistema sanitario ameno che non si importino per qualche anno professionisti dall'estero, cosa che già avviene con gli infermieri. A raccontare con la schiettezza che gli è propria la crisi di vocazioni mediche è il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, nello schema di piano sanitario nazionale 2011- 2013 appena inviato in Parlamento peri pareri di rito. Spiega che il sistema sanitario nazionale oggi è composto oltre che di burocrati di 112 mila medici e 276 mila infermieri. E che per i medici pubblici si evince "una forte concentrazione di personale nella fascia di età superiore o uguale ai 60 anni. Per cui è possibile stimare che circa 17 mila medici lasceranno il Ssn entro il 2015. Considerando il numero medio di laureati in medicina e chirurgia per anno accademico e la quota di questi che viene annualmente immessa nel Ssn, ci si aspetta, a partire dal 2013, un saldo negativo fra pensionamenti e nuove assunzioni. Si stima inoltre che la forbice fra uscite ed entrate nel Ssn tenderà ad allargarsi negli anni a seguire data la struttura per età e il numero di immatricolazioni al corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Verosimilmente, tale scenario risulterà ancora più marcato nelle Regioni impegnate con i piani di rientro a causa del blocco delle assunzioni". Fazio naturalmente è preoccupato, ma cerca di non drammatizzare, spiegando che "il ministero della Salute ha richiesto un ampliamento della offerta formativa, ossia del numero delle immatricolazioni al corso di laurea in Medicina e Chirurgia già a partire dall'anno accademico 2008/2009". Ma lo stesso ministro sa bene (pur non volendo gettare la croce sui predecessori cui l'allarme medici è sfuggito) che il tampone è arrivato troppo tardi: "tenendo conto che il percorso formativo di un medico si completa in circa 11 anni, occorrerà attendere il 2020 Anche il maggior numero di laureati/specializzati sia disponibile sul mercato del lavoro". Secondo Fazio la futura carenza dei medici "è un fenomeno che interesserà non solo il Ssn ma l'intero sistema italiano, anche se - data la specificità della struttura per età di questi professionisti del Ssn - il saldo fra entrate ed uscite dal mercato del lavoro si registrerà negativo con due anni di anticipo nel settore pubblico". Secondo le curve del ministero con questo trend ci sarà un buco di quasi 50 mila medici entro il 2028 in caso di pensionamento a 66 anni, di 40 mila con pensionamento a 68 anni e di 35 mila circa con pensionamento a 70 anni. ____________________________________________________ Libero 23 giu. ’11 MILANESE IL PRIMO "CSI" DELLA STORIA Uno studio ricostruisce l'identità di un medico legale e le condizioni di vita nel Rinascimento DINO BONDAVALLI Elia Sarà anche diventata popolare nel mondo grazie a Csi e alle altre serie televisive americane che hanno mietuto successi negli ultimi anni. Ma la figura professionale del medico legale è nata a Milano. Il primo medico legale della storia le cui attività siano state documentate operava a Milano in pieno Rinascimento. È la scoperta fatta dai ricercatori dell'università Statale e del Policlinico di Milano, che stanno conducendo uno studio parallelo sui "Mortuorum libri" conservati nell'Archivio di Stato cittadino, i quali censiscono in maniera accurata un milione e mezzo di decessi, e sul Sepolcreto dell'ospedale, vera e propria necropoli milanese nella quale sono stati rinvenuti i resti di decine di migliaia di persone vissute tra la fine del quattrocento e il seicento. Un lavoro che ha portato a individuare la figura di un medico legale ante litteram, il "catelano", il cui lavoro consisteva anche nel tracciare un collegamento fra la sala autopsie e l'ufficio dell'autorità giudiziaria. «Il catelano» spiega Cristina Cattaneo, direttore del Laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano (Labanof) «svolgeva una funzione soprattutto sanitaria, registrando in maniera molto accurata la causa di morte per tutti i decessi, non solo per quelli sospetti» come facevano invece i primi coroner inglesi. Proprio questa peculiarità, insieme al fatto che «il suo è un lavoro che era molto più dettagliato di quello che veniva fatto in Inghilterra» prosegue Cattaneo, fa presupporre «che ìl primo medico legale venga proprio da qui». E a dimostrare la puntualità del suo impegno, c'è il censimento dei decessi di un milione e mezzo di persone tra il 1452 e il 1801, grazie al quale è possibile avere uno spaccato della popolazione di Milano nel Rinascimento. Non solo. A contribuire all'indagine sulle condizioni di vita e salute dei milanesi nei secoli passati, condotta in collaborazione con Francesca Vaglienti, docente di Storia medievale all'Università degli Studi di Milano, è anche l'analisi dei resti rinvenuti nel Sepolcreto del Policlinico. Realtà unica a livello europeo, la necropoli custodisce infatti cumuli di ossa appartenenti a decine di migliaia di persone, e ospita anche i resti del primo morto della peste del Seicento, quella raccontata da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Un patrimonio storico di valore inestimabile sul quale «le analisi sono cominciate da poco» sottolinea Cattaneo, ma che ha già consentito di scoprire che nel Rinascimento lo stato di salute della popolazione era «infinitamente peggiore rispetto a quello delle epoche precedenti, periodo romano e Medioevo compresi». Colpa di condizioni di vita notevolmente peggiorate rispetto ai secoli precedenti, testimoniate "dalla diffusione di malattie come l'artrite reumatoide, malattia autoimmune che attacca le ossa, e stress nutrizionali" spiega il direttore del Labanof. Non solo. Tra le malattie più diffuse all'epoca ci sono anche rachitismo, infezioni gastrointestinali, e gravi avvelenamenti da piombo, causati con tutta probabilità dagli oggetti adoperati e dall'abuso di cosmetici tossici. Con queste premesse, non sorprende scoprire che cinque secoli fa l'altezza media della popolazione femminile fosse compresa tra i 150 e 160 centimetri e che quella degli uomini fosse trai 160 e 170 centimetri. L'aspettativa di vita media? Tra la popolazione si fermava tra i 35 e i 50 anni. IL PRIMO MEDICO LEGALE? NELLA MILANO DEL RINASCIMENTO Sembra strano, ma la figura professionale del medico legale è nata a Milano in pieno Rinascimento. È la scoperta fatta dai ricercatori dell'università Statale e del Policlinico di Milano, che stanno conducendo uno studio parallelo sui "Mortuorum libri" conservati nell'Archivio di Stato cittadino, i quali censiscono in maniera accurata un milione e mezzo di decessi, e sul Sepolcreto dell'ospedale. Studiando migliaia e migliaia di reperti, si è individuata la figura di un medico legale ante litteram, il "catelano". Il suo lavoro consisteva anche nel tracciare un collegamento fra la sala autopsie e l'ufficio dell'autorità giudiziaria. «Il catelano» spiega Cristina Cattaneo, direttore del Laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano (Labanof) «svolgeva una funzione soprattutto sanitaria, registrando in maniera molto accurata la causa di morte per tutti i decessi, non solo per quelli sospetti» come facevano invece i primi coroner inglesi. Altri risultati: l'altezza media della popolazione femminile era compresa tra i 150 e 160 centimetri e che quella degli uomini fosse tra i 160 e 170 centimetri. L'aspettativa di vita media? Tra la popolazione si fermava tra i 35 e i 50 anni. __________________________________________________ IlSole24Ore 21 giu. ’11 LA RICETTA DI FAZIO: UN ANNO IN MENO PER LE SPECIALIZZAZIONI. Specializzandi contrattualizzati a tempo per lavorare in corsia con compiti e responsabilitá cliniche, durante gli ultimi 2 anni della scuola. Riequilibrio dei posti e delle scuole a seconda del fabbisogno delle Regioni, e taglio di un anno della durata di alcune scuole. È il piano del ministero della Salute per le scuole di specializzazione medica, anticipato sul n. 22/2011 de Il Sole-24 Ore Sanità e confernato oggi dal ministero della Salute Ferruccio Fazio, intervenuto al convegno «Rapporto Ospedale-Universita» organizzato dalla Regione Lombardia oggi. Per far fronte alla futura carenza di medici segnalata in particolare da alcune Regioni, Lombardia in prima fila, Fazio delinea alcune proposte in cantiere. «Una è giá in Parlamento - spiega - e il Governo è sicuramente favorevole. Si tratta di un emendamento al disegno di legge sul governo clinico che propone di trasformare gli specializzandi degli ultimi due anni in assistenti con compiti clinici, con assunzione a tempo da parte delle Asl e delle aziende ospedaliere. Questo libererebbe due quinti dei corrispondenti posti per contratti di formazione, permettendoci di aumentare le risorse». L'idea è di importarè dagli Usa una figura: quella del 'resident', uno specializzando che ha responsabilitá e autonomia clinica. Un'ipotesi che «potrebbe andare in porto rapidamente, al massimo entro ottobre», con l'approvazione del Ddl sul governo clinico. In pratica negli ultimi due anni gli specializzandi sarebbero stipendiati dalle strutture sanitarie in cui operano, e i fondi con cui venivano finanziate le loro borse di studio servirebbero per mantenere altri specializzandi, aumentando di fatto i posti disponibili. «Un altro modo per liberare posti sarebbe quello di ridurre da 5 a 4 anni la durata di alcune scuole di specializzazione. Così si recupererebbe un altro 20% di risorse», prosegue Fazio. Con queste misure si potrebbero aumentare le nuove leve arrivando dalle attuali 5 mila unitá «a 7.500-8.000», stima il ministro. Le azioni da mettere subito in campo riguardano anche il riequilibrio delle borse di studio: «Oggi sono maldistribuite - riflette Fazio - Bisognerebbe dividere le scuole tra le Regioni a seconda del fabbisogno e anche riequilibrare la distribuzione degli specializzandi a livello interregionale». Fazio è ottimista sul ricambio generazionale dei camici bianchi: «C'è chi avanza preoccupazioni per la futura carenza di laureati in medicina. Noi siamo a quota 9.500, il 30% in più rispetto al 2008. Il Piano sanitario nazionale suggerisce di attestarci su 10 mila. Dunque siamo in linea. Oggi siamo a 4,1 medici per mille abitanti in Italia, contro una media Ocse di 3,3. E anche se ci sará una diminuzione in futuro, noi dovremmo comunque riuscire a mantenerci sui livelli giusti». L'integrazione fra ospedali e universitá potrebbe essere affrontata «nell'ambito dei decreti attuativi interministeriali del ministro Gelmini che ci darebbero la possibilitá di ovviare alla situazione non omogenea. Ad oggi non esiste una bozza nè del ministero dell'Universitá nè del ministero della Salute. Ma io penso a un decreto che dovrá contenere norme di principio, a salvaguardia delle autonomie regionali. Proprio per questo l'iter prevede il passaggio obbligatorio in Conferenza Stato-Regioni» ha concluso. Questo il servizio con la proposta dettagliata anticipato il 7 giugno su Il Sole-24 Ore Sanità. Riduzione a 4 anni della durata delle scuole di specializzazione mediche, cambio di rotta nel sistema di finanziamento dei contratti per gli specializzandi che dovrebbero essere finanziati per un triennio dallo Stato e per il resto (due anni al massimo) con contratto di lavoro dipendente presso il Servizio sanitario regionale, accorpamento delle specializzazioni. Sono queste alcune soluzioni, in mancanza di finanziamenti aggiuntivi, all'annunciata impossibilità di garantire un numero adeguato di contratti di formazione dal 2012 in poi, che gli assessori regionali alla Sanità hanno ipotizzato in un incontro di fine maggio del coordinamento della Commissione Salute delle Regioni e del ministero della Salute sulla determinazione dei fabbisogni formativi. Il rischio annunciato è che con le previsioni del Dm 1° agosto 2005 (riassetto delle scuole di specializzazione di area sanitaria) e il previsto allungamento della durata delle scuole da 4 a 5 anni e da 5 a 6 anni per neurochirurgia, dall'anno accademico 2012-2013 manchino le risorse per i contratti di formazione. Da quell'anno infatti, secondo la previsione delle Regioni e della Salute, ci saranno circa 2.800 contratti da finanziare per un anno aggiuntivo ai quali dall'anno accademico 2013-2014 si aggiungeranno anche quelli per il sesto anno di neurochirurgia. A «invarianza dei fondi», è l'allarme, si potranno finanziare poco più di 2mila nuovi contratti dal 2013-2014: oggi lo Stato ne finanzia 5mila rispetto a un fabbisogno indicato dalle Regioni di 8.851 unità per il 2010-2011, in sostanza il 43% in meno di quelli ritenuti necessari. La variazione dei fabbisogni. Un'attenta revisione delle Regioni del fabbisogno di specialisti basato sulle necessità territoriali (sistema formativo universitario, dinamiche demografico-occupazionali, popolazione residente-fluttuante come studenti, turisti, extracomunitari ecc., patologie di forte rilevanza) mette in evidenza una riduzione del 4,6% dei contratti per l'anno accademico 2011-2012 rispetto al precedente 2010-2011 (si veda tabella a pag. 25). Ma all'interno delle diverse specialità il calcolo si differenzia. Si hanno così alcune scuole il cui fabbisogno sarebbe in calo oltre il 20% e altre che al contrario avrebbero un fabbisogno in aumento di oltre il 20%. Tra le prime c'è medicina del lavoro, di comunità, di emergenza e urgenza, legale (con il calo maggiore del -34,5%), microbiologia e virologia, neurofisiopatologia e tossicologia medica. Tra le specialità in aumento oltre il 20% è al top chirurgia pediatrica (63,1%), seguita da chirurgia plastica e ricostruttiva, pediatria, endocrinologia e malattie del ricambio, ematologia. La suddivisione dei contratti. Altro obiettivo - e su questo gli assessori sono al lavoro - è giungere a una metodologia di rilevazione dei fabbisogni che avvicini ogni Regione a un "punto di equilibrio" oggi distante. Infatti, se a esempio il fabbisogno formativo delle singole Regioni si parametra sulle grandezze demografiche, territori con analoghi livelli di popolazione presentano fabbisogni molto diversi. A esempio Veneto e Sicilia con circa 5 milioni di abitanti (8%) richiedono, rispettivamente, 432 (5%) e 842 unità (10%); Puglia, Piemonte ed Emilia Romagna con 4.400.000 abitanti (7%) richiedono 288 (3%), 674 (8%) e 556 unità (6%). Poi c'è il Lazio, che con il 9% della popolazione nazionale richiede il 24% del totale del fabbisogno formativo nazionale. Differenze anche in base al fabbisogno formativo per 100mila abitanti (il rapporto percentuale tra totale del fabbisogno e totale della popolazione). Rispetto alla media nazionale di 15 unità ogni 100mila abitanti, solo il Piemonte (15) è in linea. Dodici Regioni (Puglia, Lombardia, Trento, Marche, Veneto, Liguria, Calabria, Toscana, Friuli, Emilia Romagna, Umbria, Campania) hanno un valore inferiore alla media e cinque (Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta, Abruzzo e Bolzano) superiore. Molise, Lazio e Basilicata hanno valori quasi doppi della media. L'iscrizione ai corsi di laurea. Oltre al fabbisogno di specialisti, le Regioni hanno affrontato anche quello delle iscrizioni ai corsi di laurea in Medicina. Per due ragioni. La prima è la carenza annunciata di medici a partire dal 2014-2015. La seconda è che a fronte di un basso numero di iscritti e con una "mortalità" studentesca in media del 10%, alla fine del corso di laurea a esempio 2009-2010 su un totale di quasi 8.100 posti i laureati sono stati 6.709, di molto inferiore al fabbisogno di specialisti regionale indicato in quasi 8.500 contratti (si veda grafico). Per il 2010-2011 i posti disponibili per le immatricolazioni sono cresciuti del 29% (l'offerta formativa è stata di 9.527 posti su un fabbisogno richiesto di 10.160) e se il trend di mortalità si mantenesse costante il numero di laureati (8.500 circa) sarebbe appena sufficiente al fabbisogno 2011-2012 di specializzandi (8.438). Sul versante della carenza futura di medici le Regioni confermano i dati già elaborati dalla FnomCeo: oltre la metà dei medici dipendenti dal Ssn ha tra i 50 e i 59 anni e tra i Mmg fanno parte di questa fascia d'età 30mila medici su 45mila. Prevedendo l'uscita dal lavoro a 66 anni, il saldo negativo di medici sarebbe tra il 2014 e il 2031 e la carenza 2011- 2031 di circa -61mila unità. "Correggendo" il numero dei laureati secondo l'aumento già registrato, il saldo negativo si avrebbe tra il 2014 e il 2027 e la carenza 2011-2031 sarebbe di -34mila unità. Scenario un po' più soft con l'uscita a 68 anni: il saldo negativo si avrebbe con il numero attuale di laureati dal 2016 al 2033 e la carenza 2011-2031 sarebbe di - 51mila unità, mentre in caso di correzione dei posti disponibili il saldo negativo si conterrebbe tra il 2018 e il 2029 e sempre nel periodo 2011-2031 la carenza sarebbe di -24mila dottori. __________________________________________________ L’Unione Sarda 23 giu. ’11 «ASSISTENTI DOMICILIARI DI SERIE B» Assimilate alle collaboratrici domestiche. «La Regione modifichi il bando» Ascolta la notizia Tiziana Podda da trent'anni si occupa di assistenza domiciliare. È una libera professionista e collabora anche con i servizi sociali del Comune (c'è un albo apposito) i cui funzionari la chiamano quando hanno bisogno di qualcuno che assista pazienti costretti al letto. Quando l'assessorato regionale alla Formazione professionale ha organizzato corsi per Operatore socio sanitario, ha pensato che avrebbe potuto finalmente avere il titolo che le consente di fare un salto di qualità e concorrere per un posto in un ospedale pubblico. Ma quando ha presentato la sua candidatura le hanno detto che la sua categoria non può farlo. Per questo assieme a centinaia di colleghi ha deciso di manifestare davanti all'assessorato al Lavoro se non sarà modificato il bando, che scade il prossimo 12 luglio. «Mi sembra una follia», protesta. «Siamo preparati, assistiamo da anni pazienti in gravi condizioni a cui la legge 162 dà diritto all'assistenza domiciliare. Inoltre con il nostro lavoro liberiamo gli ospedali dai pazienti consentendo un risparmio consistente. Eppure, come ho scoperto in questa occasione, ci equiparano alle collaboratrici domestiche. Perché non ci devono essere date pari opportunità?» __________________________________________________ Corriere della Sera 21 giu. ’11 DENTISTI, LA PAURA DEL TRACOLLO PROFESSIONE DORATA AL DECLINO PROFESSIONI & PRODUTTORI. DA VITALDENT A VACUPAN E CAREDENT, SI MOLTIPLICANO LE INIZIATIVE SUPPORTATE DA SOCIETÀ DI CAPITALI E «FRANCHISING». LA CRISI DEL MODELLO TRADIZIONALE Nel 2010 fuga di pazienti, il 30% dei medici pensa alla chiusura Il dato è impressionante: nel 2010 gli studi dentistici hanno fatto registrare 2,5 milioni di accessi in meno ovvero almeno 1,8 milioni di italiani si è dimesso da paziente. E i primi riscontri dell' anno in corso sono ancora più preoccupanti, evocano il termine «tracollo» e segnalano un ulteriore 30% in meno di visite. Secondo un' indagine promossa dall' Andi, l' associazione nazionale dei dentisti italiani, il 30% dei medici odontoiatrici sta valutando di rottamare lo studio. Un effetto automatico della Grande Crisi che ha fatto diminuire i soldi nelle tasche degli italiani? No, secondo la dirigenza Andi, c' è di più: due anni di recessione hanno ridotto i ricavi ma soprattutto hanno scavato in profondità e hanno determinato quello che viene considerato il declino di un modello professionale che aveva fatto dei dentisti italiani la serie A del ceto medio. E siccome il calo di accessi è più ampio nelle aree del Paese a maggiore industrializzazione (soprattutto nel triangolo Bergamo-Brescia-Milano) la conclusione che se ne trae è che in qualche maniera i dentisti stiano pagando la selettività nella spesa da parte di operai, impiegati e altre categorie del settore privato. Questa valutazione è confermata dal fatto che i ricavi hanno tenuto invece a Roma e nei capoluoghi dove prevalgono le attività della pubblica amministrazione. Un caso a sé è rappresentato, poi, dalle zone frontaliere per l' impatto sul mercato dell' offerta di odontoiatria low cost d' oltre confine. «Bisogna prendere atto - dice Roberto Callioni, ex presidente Andi e ora responsabile del Servizio Studi - che la mutazione professionale in atto è vissuta con maggiore sofferenza dai dentisti meno giovani, più legati quindi alle consuetudini. Invece i trentenni che si approcciano alla professione solo ora e non hanno vissuto l' età dell' oro si adeguano con maggiore facilità e duttilità alla nuova turbolenza del mercato». Insomma quelli a maggior rischio (psicologico) sembrano essere i cinquantenni, dentisti professionalmente maturi ma ancora giovani per poter aspirare a una pensione, costretti a rinunciare al tenore di vita precedente e troppo in là per poter tornare sui loro passi. Contenimento In verità di fronte agli effetti della crisi non tutti gli odontoiatri sono rimasti con le mani in mano, in tanti hanno provato a mettere in atto strategie di contenimento. Il 63,9% si è posto un problema di maggiore efficienza degli studi, il 54% ha investito sull' aggiornamento professionale mostrando quindi lungimiranza, il 43,6% ha semplicemente attuato una politica di contenimento delle spese e il 35% invece ha deciso di aggregarsi, di ricercare una collaborazione con altri studi o un' associazione con altri singoli dentisti, infine il 32% ha investito nello studio per aumentare la gamma delle cure praticate alla clientela. Solo il 17,4% ha pensato di affrontare la congiuntura negativa rivedendo al ribasso le tariffe e un altro 16% ha varcato il confine tra privato e pubblico (un vero tabù!) e ha ricercato collaborazioni con l' odontoiatria statale. «Usando una terminologia aziendale si può dire che ci si sta avviando velocemente a una professione di mantenimento più che di espansione e per rilanciarla pensiamo a un progetto di network per i nostri associati» dice Gianfranco Prada, presidente in carica dell' Andi. Di conseguenza solo una fetta di odontoiatri risponde investendo sulla qualità, il resto è portato a rattrappirsi. Del resto un dentista non si può riciclare facendo altri lavori e le prestazioni che vengono a mancare sono quelle a maggior valore (e reddito) aggiunto come le riabilitazioni protesiche o l' implantologia. Se il mercato si restringe il guaio è che aumentano i soggetti in campo. Non a caso l' indagine Andi testimonia che l' 82,6% dei dentisti manifesta una certa preoccupazione per il propagarsi di forme di esercizio professionale supportate da società di capitali e franchising. Insomma se una volta l' odontoiatria privata era monopolio del dentista, ora le iniziative «capitalistiche» si moltiplicano e giocano su terreni che il professionista tradizionale non conosce. La pubblicità, i negozi al piano terra, l' offerta di prestazioni gratuite (l' ablazione del tartaro) per catturare il cliente. Lo spauracchio dei dentisti italiani si chiama Vitaldent, usa Barbara D' Urso come testimonial, ha 54 studi in Italia di cui 11 nella sola Milano e sta pianificando anche l' ingresso nel Sud. E Vitaldent non è più sola, l' elenco delle sigle si arricchisce di continuo: Vacupan Italia, Caredent, Smile Factory. I dentisti si lamentano anche che lo Stato sia diventato concorrente tramite le Asl pubbliche e le sedi universitarie che per aiutare il proprio conto economico intercettano pazienti potenzialmente appannaggio della libera professione con onorari calmierati. In una situazione che l' Andi definisce di mercato selvaggio cresce anche l' abusivismo, si esercita la professione negli studi senza averne il titolo o magari con un giovane dentista come prestanome. Ruoli nuovi Per i trentenni la problematica è differente specie se non hanno un papà o uno zio del mestiere. Hanno studiato da dentisti spinti da genitori condizionati dallo stereotipo di una professione facile e ricca. Si definiscono free lance dell' odontoiatria e devono spostarsi durante il giorno tra diversi studi collocati persino in differenti città, si considerano sottopagati pur arrivando a 70 ore settimanali, non avranno mai un loro studio e eserciteranno la professione come collaboratori o come dipendenti. Di fronte alla drammaticità dei problemi l' Andi si lamenta che l' odontoiatria conta poco per le istituzioni ma probabilmente la chiave del rilancio non è in termini di lobby bensì di «specializzazione delle competenze» come sostiene la sociologa Silvia Cortellazzi dell' Università Cattolica di Milano. Gli studi odontoiatrici dovrebbero avere uno o più persone che si occupano degli aspetti organizzativi e consentano ad altri professionisti di concentrarsi sulla pratica clinica. Associarsi è quindi la ricetta perché se è vero che la professione in passato ha goduto di un eccesso di protezione, oggi paga il conto con una mancanza di regolamentazione nel presente e l' assenza di programmazione per il futuro. Inseguire la società che cambia, è il consiglio della sociologa. Occorre riuscire a immaginare ruoli nuovi che possano soddisfare i bisogni dei pazienti e riportare indietro la clientela fuggita. Magari specializzandosi nella cura dei pazienti anziani, solo per fare un esempio. L' impressione è che gli odontoiatri non siano più visibili, riconoscibili grazie a un ruolo chiaro e a un' identità definita e che i compiti che svolgono non siano più riconosciuti da tutti come un servizio di valore, tanto più che le prestazioni offerte in Paesi oltrefrontiera sembrano più appetibili anche se la salute viene trattata come pura merce. Che fare, allora? C' è chi propone la formazione degli studenti negli ospedali provando l' esperienza del pronto soccorso perché darebbe un riconoscimento più solido all' esterno e integrerebbe la nuova figura del dentista nel sistema di cura del Paese. Ma è chiaro che non basta e comunque varrebbe solo in futuro. E così la sociologa Cortellazzi parla di proporre «una reinvenzione soggettiva del ruolo del dentista», una formula accattivante ma tutta da delineare in concreto. Dario Di Vico (ha collaborato Fabio Savelli) Generazionepropro.corriere.it Di Vico Dario ____________________________________________________ Libero 23 giu. ’11 VERONESI VUOLE L'ADROTERAPIA CONTRO IL CANCRO La forza dei protoni scagliata a folle velocità contro le cellule malate di cancro. È la terapia del futuro, «l'adroterapia, nuova arma che permette di distruggere il tumore senzabisturi. Perché un bravo chirurgo deve lavorare per evitare di tagliare il corpo umano. Ecco perché in futuro sogno un centro per l'adroterapia anche vicino all'Istituto europeo di oncologia di Milano». A parlare è l'oncologo Umberto Veronesi che ieri ha incontrato le pazienti dell'Istituto da lui fondato con il banchiere Enrico Cuccia. Dal palco allestito per l'incontro annuale "Ieo per le donne", l'ex ministro della Sanità ha ripercorso i progressi della tecnologia alleata delle donne contro il cancro al seno. Su tutte l'adroterapia. «A breve cominceremo a mandare le nostre pazienti a Pavia, dove si trova, per ora, l'unico centro italiano che fornirà a partire da fine 2011 prestazioni di adroterapia. La cura basata sui protoni mille volte più corposi degli elettroni. Come scagliare una pietra invece di un pugno di sabbia». __________________________________________________ L’Unione Sarda 24 giu. ’11 VERONESI: L'AMORE PURO? «QUELLO GAY» ROMA «Quello omosessuale è l'amore più puro, al contrario di quello eterosessuale, strumentale alla riproduzione»: queste parole di Umberto Veronesi sono cadute ieri «come sassi nello stagno», come ha commentato l'esponente di un'associazione omosessuale, provocando le ire del sottosegretario con delega alla famiglia Carlo Giovanardi. L'oncologo ed ex ministro della Sanità rispondeva alle polemiche scatenate in questi giorni dalle dichiarazioni del sindaco di Bologna, Virginio Merola e a quelle del sindaco di Sulmona, Fabio Federico. Federico aveva equiparato certi tipi di omosessualità ad una «aberrazione sessuale», mentre Merola aveva lanciato un'iniziativa per la tutela «delle coppie sposate» a dispetto di quelle di fatto, omosessuali comprese. «Io, come potete immaginare - ha detto Veronesi - la penso all'opposto: l'omosessualità è una scelta consapevole e più evoluta. L'amore omosessuale è quello più puro»; in quello eterosessuale, invece, una persona direbbe «io ti amo non perché amo te, ma perchè in te ho trovato la persona con cui fare un figlio. Nell'amore omosessuale invece non accade: si dicono 'amo te perché mi sei vicino». Per Veronesi, poi, «è difficile dire se la chimica abbia un ruolo nella sessualità. Avere qualcosa di chimico dentro vorrebbe dire che uno è predisposto e che geneticamente nasce così: questo non lo penso. La sessualità si diffonde in rapporto agli stili di vita, alla cultura del momento, è anche un atteggiamento contagioso». Le dichiarazioni di Veronesi vengono subito «bocciate» da Giovanardi, che accomuna il medico al cantante Vasco Rossi - «colpevole» di aver definito vergognose le leggi che impediscono di guidare ubriachi - e dice che entrambi «sono in corsa per il premio delirio d'estate «Dai grandi uomini provengono parole di verità e di luce» commenta Imma Battaglia, presidente di DiGay Project, mentre Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center, spera che «la riflessione di Veronesi contribuisca a un sano confronto e non ad aggiungere acqua nello stagno, come sta invece facendo Carlo Giovanardi». __________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’11 DON VERZÉ: SAN RAFFAELE, SPERO NELLA GRAZIA MILANO— Soldi, benedetti e alla svelta. Il polo ospedaliero milanese del San Raffaele, gravato da quasi un miliardo di debiti, ne ha maledettamente bisogno per evitare il fallimento. Saranno le banche a dare ossigeno alla creatura di don Luigi Verzé? Sarà la cordata di imprenditori (Ennio Doris, i fratelli Moratti, Emilio Riva e altri) con Giuseppe Rotelli partner industriale? O sarà il «partito» della scienza e della ricerca finanziato da un’ente benefico (charity) anglo-americano? Contatti, riunioni e analisi contabili proseguono anche nel week end. La sopravvivenza dell'ospedale San Raffaele, il polo sanitario milanese fondato e tuttora gestito dal prete manager don Luigi Verzé, si gioca su tre tavoli. Intanto, con qualche giorno di ritardo rispetto alla data canonica del 21 giugno (in onore di San Luigi Gonzaga), ieri sera don Verzé, 91 anni, ha festeggiato il suo onomastico, come tutti gli anni, nel paese natale di Illasi in provincia di Verona, tra i vigneti e gli olivi di proprietà della Fondazione Monte Tabor, l’ente che governa il San Raffaele. Era insieme ad amici e conoscenti più stretti, circondato in particolare dai «raffaelliani» di stretta osservanza. Il momento è assai critico per la vecchia guardia e per lo stesso don Verzé: molti, anche tra i «suoi» medici e ricercatori più autorevoli e quotati, lo considerano un «tappo» alla soluzione della crisi. Durante la messa il sacerdote, nella predica, ha ricordato la missione che l’ha spinto a fondare l’ospedale. Ma ha anche accennato alla crisi attuale per dire che non bisogna avere paura perché il San Raffaele continuerà a essere grande, nella cura e nella ricerca, anche dopo di lui. E infine ha evocato una «grazia» che il Signore regalerà al San Raffaele. Nell’attesa, giovedì prossimo, 30 giugno, si riunirà il consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor e sarà un cda decisivo per verificare la concretezza delle ipotesi sul tappeto: le banche non hanno ancora espresso formalmente un assenso al piano di salvataggio che presuppone il via libera del Tribunale al concordato con i creditori; la cordata Rotelli-Berlusconi è ancora sulla carta e comunque il premier sarebbe stato consigliato di non entrare direttamente in campo; l’organizzazione no profit, appoggiata all’Università Vita-Salute San Raffaele, è un’ipotesi alla quale alcuni medici e ricercatori del gruppo starebbero lavorando da mesi, ma la fattibilità giuridica è tutta da vedere. Il coinvolgimento della charity prevede modalità tali da valorizzare gli asset «scientifici» , una grande risorsa dall'immenso valore sociale ma senza fini di lucro. Ecco perché la porta d'ingresso dei soldi (un miliardo in cinque anni, si dice) sarebbe l'Università Vita-Salute. Al San Raffaele la speranza è che il cavaliere bianco, chiunque esso sia, abbia davvero i soldi per rilanciare il gruppo e allo stesso tempo garantisca risorse per la ricerca e la formazione. Mario Gerevini Simona Ravizza __________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 giu. ’11 OSPEDALE SAN RAFFAELE: C’È IL VIA DELLA REGIONE Più incertezza nelle votazioni a favore di Abbanoa e degli aeroporti. Scontro tra Pd e Sel CAGLIARI. In un clima di grande tensione ieri notte il Consiglio regionale si è espresso a favore dell’accreditamento dell’ospedale privato realizzato ad Olbia da don Luigi Verzè. Tempi più lunghi sui temi che riguardano Abbanoa e gli aeroporti. Scontro in aula tra Pd e Sel. San Raffaele. Tra i principali temi politici del disegno di legge «collegato» alla Finanziaria 2011, ieri a tarda sera il primo a essere discusso e votato è stato quello del San Raffaele. Tutti, pur distinguendosi nel voto e nel dibattito sui posti letto da convenzionare (da 100 a 250), si sono pronunciati a favore dell’accreditamento della struttura realizzata a Olbia dal don Luigi Verzè. Sulla sanità c’è stato l’ennesimo scontro maggioranza-opposizione. Il centrosinistra, in particolare il Pd, ha picchiato sul centrodestra per l’aumento del deficit, mentre settori della maggioranza hanno messo sotto accusa la legislatura precedente. Polemiche anche per il mancato via libera (c’era un emendamento del Pd) alla realizzazione del nuovo ospedale di San Gavino, anche se l’assessore Giorgio Oppi, parlando comunque dai banchi dell’Udc, e il titolare del settore, Antonello Liori, hanno rivelato che la giunta ha assunto la decisione politica di realizzare il progetto. Abbanoa. L’intervento finanziario per salvare l’«idromostro» dal crac ha diviso centrodestra e centrosinistra, ma divergenze sono emerse anche nella stessa maggioranza. Il voto era previsto a tarda notte. La soluzione più probabile era quella prospettata dalla giunta: 50 milioni di euro come fondo di garanzia per la ricontrattazione del debito con le banche. Aeroporti. E’ l’unico argomento su cui maggioranza e opposizione si sono trovati d’accordo (la votazione era prevista a tarda notte), anche se le polemiche non sono mancate, soprattutto sul fatto che la precedente legge non è entrata in vigore per la mancata notifica alla Commissione europea. Lo stanziamento è di 9 milioni. Il provvedimento a favore delle società di gestione era ritenuto urgente soprattutto per evitare il crac ad Alghero. Scontro Pd-Sel. Sui temi del lavoro Pd e Sel ieri hanno votato quasi sempre in modo differente e alle 23, sulla richiesta di Luciano Uras (Sel) di rinviare tutto alla settimana prossima, Mario Bruno (Pd) ha invitato l’aula ad andare avanti a oltranza. Ne è nato un conflitto, che la presidente Claudia Lombardo ha faticato a domare. __________________________________________________ L’Unione Sarda 25 giu. ’11 SAN RAFFAELE: LA GIUNTA ASSEGNERÀ I POSTI LETTO È fatta. Per il San Raffaele sembra questione di settimane. Perché «il Consiglio regionale, a maggioranza, ha votato una norma che assegna alla Giunta il potere di definire i posti letto». La buona novella ha la voce di Renato Lai e Gianfranco Bardanzellu. «L'Esecutivo potenzierà anche l'ospedale pubblico, visto che la nostra città ha uno storico gap da recuperare». A Olbia ci sono 1,7 posti letto ogni mille abitanti «contro la media sarda del 4,4». Lai e Bardanzellu dicono: «Siamo davvero soddisfatti, il San Raffaele è polo di assoluta eccellenza che andrà di pari passo con la crescita del Giovanni Paolo II. Perché la migliore sanità è quella che mette in connessione pubblico e privato». Poi un dettaglio: «Sul comma 5 è arrivato anche il “sì” di Sanna (Fli) e Corda (Pd)». Bardanzellu e Lai sottolineano: «Per la Gallura si è aperta una nuova stagione. La Regione sta riconoscendo al territorio quel ruolo chiave nell'economia e nello sviluppo isolani che da anni difendiamo. Ringraziamo per questo il presidente Cappellacci che ha reiterato l'impegno sulla crisi Meridiana».( a.c. ) __________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 giu. ’11 OSPEDALE SAN GAVINO: SI ALLUNGANO I TEMPI L’incontro tra la delegazione degli amministratori del Medio Campidano e l’assessore alla sanità Antonello Liori Tutto fermo sino all’approvazione del piano regionale, poi i mutui e la gara d’appalto «Assurdo proseguire con la struttura attuale vecchia e degradata» SAN GAVINO. La marcia su Cagliari degli amministratori provinciali e dei sindaci del Medio Campidano per il nuovo ospedale di San Gavino non è stata vana: l’assessore regionale Liori li ha ricevuti. I risultati dell’incontro sono stati soddisfacenti solo in parte. L’assessore Liori ha spiegato alla delegazione guidata dal presidente della Provincia Fulvio Tocco e dall’assessore Nicola Garau, presenti anche i consiglieri regionali del territorio, dove sta il blocco per la costruzione del nuovo ospedale del Medio Campidano. In poche parole occorre che prima venga approvato il piano regionale della rete ospedaliera, poi fare uno stralcio e liberare così i 46 milioni di euro già messi in conto - ma non più disponibili perchè riassorbiti nel budget regionale - per poi valutare la possibilità di assumere un mutuo di altri 30 milioni necessario per realizzare l’opera sino in fondo e aprirla ai cittadini. Ma tutto il piano deve essere portato in giunta e approvato, così come lo stralcio. E questo compete al presidente Cappellacci, fermo restando che tanti sostengono che occorra una delibera di consiglio e non della giunta. Liori ha spiegato che se le cose procederanno come lui auspica, entro l’anno potrebbe essere finalmente bandita la gara d’appalto. «Staremo a vedere - ha poi commentato l’assessore provinciale alle politiche sanitarie, Nicola Garau - ma è pacifico che nel territorio non sarà abbassata la guardia». Anche perchè ci sono da onorare dodicimila firme di cittadini che chiedono con forza un nuovo ospedale e il diritto ad avere una sanità che non sia di serie B. «Non è pensabile ormai - avverte il sindaco di Serrenti, Luca Becciu - rimanere con l’attuale ospedale, vecchio e degradato». __________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’11 AOUCA:SCOPERTA UNA NECROPOLI DI MILLE METRI AL SGD VEDI LA FOTO «Una necropoli di mille metri quadri sotto l'ospedale San Giovanni di Dio». L'importante scoperta è stata fatta venerdì dagli speleo-archeologi del Gruppo cavità cagliaritane. Sarà ora compito della Sovrintendenza archeologica attribuire una data precisa al sito che si trova a trenta metri di profondità rispetto al piano stradale. LA SCOPERTA «Abbiamo trovato centinaia di scheletri che giacciono sottoterra», riferisce il presidente del gruppo, Marcello Polastri, «oltre la parete di un vecchio rifugio di guerra abbiamo avvistato le ossa». Prima una, poi due, infine centinaia che ricoprono il pavimento di una caverna che in parte si dipana, con i suoi cunicoli e sale, sotto il bastione di Santa Croce. IL SITO «L'accesso all'antica grotta è una sorta di eremo rupestre occultato dietro un'intercapedine, tra il muro del vecchio ospedale e la parete rocciosa della grotta che lo ha ospitato dal 1940». Nel 1980 nella zona venne scoperto un altro ossario, ma questo riportato alla luce l'altra sera «non è un semplice deposito di ossa», assicura Polastri, «bensì una sorta di catacomba labirintica per un tratto allagata, al punto che siamo stati costretti a procedere con la muta». Nei prossimi giorni gli speleologi Eleonora Murgia, Fabrizio Raccis, Luigi Bavagnoli, Andrea Verdini, Alessandro Argiolas, Antonello Cau e Arcadio Cavalli, concluderanno i rilievi con la massima cautela per non alterare il sito. Per ora hanno prelevato campioni ossei che consegneranno alla Sovrintendenza insieme a una dettagliata relazione testuale e fotografica. All'esplorazione ha partecipato il team Teses di Vercelli. Presente anche una troupe televisiva di un'importante network televisivo nazionale. LO STORICO «Potrebbe trattarsi dei resti delle vittime della pestilenza del '600 o di quella del 1348», afferma il docente di storia dell'Università di Cagliari, Stefano Pira, «ma prima di affermarlo bisogna analizzare i reperti e le ossa. Le ipotesi sono tante, inclusa quella che si tratti di una necropoli più antica, ad esempio romana. In tutti i casi è una scoperta importante». Paolo Loche __________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’11 ASLSS: LA SFIDA DEL MANAGER-RAGAZZINO: «L'avidità uccide gli ospedali» di GIORGIO PISANO Fisico e abito d'ordinanza, yuppie del terzo millennio: asciutto ma non palestrato, capelli scuri con sontuosa onda a vista, completo grigiochiaro summertime non da cumenda, camicia straordinariamente candida con pochette abbinata, polsino a doppio bottone, scarpe nero- lucidissime (probabilmente Church's), cravatta celestina che fa il paio con occhi dello stesso colore. Il manager-ragazzino di una delle più grandi Asl d'Italia dimostra meno dei suoi 39 anni e sa molto bene che potrebbero scambiarlo per un protagonista da fiction. O da fotoromanzo, ammesso ne producano ancora. Non fa nulla perché non si veda che è un primo della classe. Figlio di un ispettore di polizia e di un'insegnante, due fratelli più piccoli, Marcello Giannico è tornato a Sassari dopo dodici anni di assenza. Laurea in Economia e commercio, master in management pubblico alla Bocconi, attualmente frequenta la London business school. Casomai non bastasse, ha lavorato con una multinazionale (Price Waterhouse), è stato consulente per il Comando generale della Guardia di Finanza e direttore generale del San Camillo di Roma per quattro anni. Siccome si sente “cittadino del mondo”, quando l'hanno chiamato a Sassari aveva appena spedito il curriculum ad un'azienda di Singapore. Elencata con puntigliosa precisione, questa raffica di titoli è la risposta ai pettegolezzi locali che lo danno privo dei requisiti necessari per fare il manager e semplicemente miracolato dalla giunta regionale per via dell'amicizia col dg dell'assessorato alla Sanità, il quale però risulterebbe targato a sinistra (leggi Spissu, ex presidente del Consiglio regionale). A questo punto, tre le ipotesi: il centrodestra ha infiltrati sul fronte nemico, centrodestra e centrosinistra qualche volta si scambiano favori sottobanco oppure trattasi di inciucio non ideologico. Qualunque sia la verità, Giannico appare come un professionista serio. «Sveglio, rampante e anche bravo», dice di lui un signore che ha tentato di mettersi al suo posto. Un altro avverte a titolo preventivo che «odio e rancore attentano alle coronarie». Questo per dire che la Asl di Sassari vive in fibrillazione permanente. Del resto, l'impero da amministrare è vasto, il potere infinito: 336mila assistiti, cinque ospedali, 900 posti letto, oltre quattromila dipendenti (compresi i medici convenzionati), bilancio di 508 milioni di euro. Tutto in mano, da pochissimi mesi (e molti mal di pancia) a un giovane manager che non sembra fatto di pasta frolla. Da che parte stia, politicamente parlando, non lo svela (anche perché non ce n'è bisogno) ma precisa di aver lavorato in passato «in regioni rosse come Umbria, Toscana e Marche», altre più scolorite come la Campania o irrimediabilmente azzurre come la Sicilia. Ne è uscito indenne, giura. Moglie “non italiana” (nazionalità non meglio precisata) che vive a Roma, Giannico è un emigrato coniugale del fine settimana: va e viene ogni weekend. Ha casa nella capitale (e la conserva, senso di previdenza), amici sparsi dovunque e un certo numero di consiglieri regionali che si candidano a diventarlo. Era in vacanza negli Stati Uniti quando ha ricevuto dalla remota Sardegna la notizia ufficiale dell'incoronazione a manager. Annesso stipendio di 120mila euro l'anno più un 20 per cento se raggiunge gli obiettivi. Sorpreso della nomina? «Sapevo che circolavano voci ma niente di certo. C'erano degli onorevoli regionali che mi telefonavano per dirmi che ero in dirittura d'arrivo. Che ci crediate o no, non li conoscevo». Beh, c'era il timbro di Temussi a garantire per lei. «Temussi è stato un collega di lavoro alla Price Waterhouse e, oltre a essere concittadini, abbiamo in comune la passione per il motociclismo. Secondo me, è stata una coincidenza». Cosa? «Che mi abbiano affidato questo incarico». Le coincidenze non esistono in politica. «Vuole la verità? Non avevano nomi. Uno fuori dai giochi ha fatto il mio, Temussi ha certamente assicurato che sono una persona seria ed eccomi qui, niente di misterioso». Ha portato in dote avvisi di garanzia? «Neppure l'ombra ma per il futuro li ho messi in conto. Il benvenuto me l'ha dato una multa di 3.800 euro perché certi bagni non erano a norma». Tra gli abbracci d'auguri erano molti quelli sospetti? «Più d'uno. Ci sono persone di cui non mi fido che mi hanno fatto tanti tanti tanti auguri. Qualche consigliere regionale mi ha pure rivelato di aver premuto per far passare il mio nome ma io so che non è vero». I manager sono una portentosa macchina acchiappavoti. «Verissimo. Mi hanno raccontato dei molti e intensi collegamenti con la politica. Io spero di riuscire a farne a meno, non m'interessa fare da ponte. Tornando dopo tanti anni nella città dove sono cresciuto non cerco l'alloro del trionfo, mi accontenterei di fare un buon lavoro. Però...». Però? «Però la mentalità clientelare non è esclusivo appannaggio dei politici. Penso anzi che la politica sia lo specchio del modo di essere e di pensare dell'italiano medio. In ogni caso, io non sono venuto qui per sistemare amici e amici degli amici». A proposito di benvenuto, lei ha esordito con due siluramenti. «Quando sono arrivato, sul mio tavolo c'erano le dimissioni del direttore sanitario. Accolte. Il direttore amministrativo invece è stato confermato». Quindi un solo siluramento, non due. «Non volevo cominciare con uno strappo ma allo stesso modo non costringo nessuno a lavorare con me». Assenteismo. «Quindici per cento, siamo in media regionale. Le massime si toccano in occasione dei ponti infrasettimanali e delle partite dell'Italia». Provvedimenti disciplinari? «Abbiamo due commissioni disciplinari ma né l'una né l'altra s'è mai riunita negli ultimi due anni. Il che mi ha meravigliato parecchio se si pensa che al San Camillo ci si riuniva e si prendevano decisioni ogni quindici giorni». I suoi saranno tutti dipendenti esemplari. «Può darsi ma qualche dubbio mi resta. Ragione per la quale ho azzerato le vecchie commissioni e ne ho istituito di nuove. Sono già al lavoro. Non punto a fustigare il personale ma è necessario dare un esempio a chi lavora bene e onestamente». Tangenti. «In Sardegna il connubio politica-affari non l'ho percepito. Qui la politica è ossessionata dalla ricerca di posti di lavoro. Nel Lazio invece c'era un maggiore interesse verso gli appalti. Io spero che tutti i miei dirigenti siano leali con la Asl. Lo spero fino a prova contraria, ovviamente». Comparaggio. «Malattia endemica della sanità pubblica. Per corrompere i medici si punta soprattutto sulla spesa farmaceutica». Tu prescrivi questo farmaco e io ti regalo una Land Rover. «Quel sistema non si usa più, troppo pericoloso. Adesso si offrono carte di credito con addebito su un conto corrente estero. Così, non si corrono rischi». Per fare carriera bisogna essere amici del manager, altrimenti... «Altrimenti niente, apprezzo chi ha una visione diversa dalla mia, fermo restando che poi a decidere sono io. La compiacenza verso il dg tra l'altro non paga: i dg cambiano, e allora che fai?, tenti di renderti simpatico anche col successore?» Come se la cava con l'ego dilatato di certi medici? «Ci convivo purché non diventi dannoso per la Asl. Mi stupisce comunque che i medici si lamentino sempre. Da quando sono qui non ho ricevuto un solo progetto che utilizzasse le risorse esistenti. Nossignore, tutti lì sempre a chiedere. Quanto alle star, ci sono ma va benissimo: fanno immagine». Dicono sia seduto su un vespaio. «In effetti all'interno di questa Azienda c'è una forte conflittualità e grande disorganizzazione. Difficile identificare i ruoli, rimettere ordine e fare chiarezza. Inoltre, un'aggravante: assoluta mancanza di volontà a lavorare in gruppo per trovare soluzioni comuni». Quante denunce ha incassato finora? «Per il momento manco una però so bene che dovrò familiarizzare coi messi del Tribunale. Quando ho accettato l'incarico, non avevo tenuto conto di un problema che ha dimensioni serie: la sicurezza». Nel frattempo baroni e figli d'arte continuano a fiorire? «Fino adesso ci sono stati pochi concorsi e, ch'io sappia, non hanno premiato figli d'arte o baroni. Credo tuttavia che serva dare continuamente il buon esempio. E mi spiego: personalmente lavoro dodici- quattordici ore al giorno, rinuncio o quasi ad avere una vita privata, sono figlio d'un poliziotto e dunque la prova vivente che chiunque può farcela. Se vali non hai bisogno di corrompere nessuno». Quanti medici ospedalieri hanno bottega? «Vuol dire quanti fanno libera professione? Possono esercitare intra moenia. Confido sulla lealtà e la correttezza dei camici bianchi. Tuttavia mi rendo conto che l'attività intra moenia presenta qualche criticità: come si fa a fare dieci visite in regime libero-professionale nell'arco di un'ora e due soltanto quando si è in corsia?» È la politica o l'avidità che danneggia maggiormente la sanità pubblica? «L'avidità, senza dubbio. La politica, tutt'al più, ti chiede di non fare la fila». Ritiene in coscienza di garantire a tutti il diritto alla salute? «Faccio il direttore generale della Asl proprio per questo. Ma se ho capito bene la domanda devo precisare che il rapporto sanità pubblica- sanità privata va migliorato». Parliamo di attese. «Ce ne sono. Oltre 230 giorni per una visita oculistica, quasi 180 per una di gastroenterologia; per una colonscopia arriviamo a duecento giorni». C'è tempo a sufficienza per morire. «Purtroppo sì, in certi casi. Per una Tac si attende quattro mesi». Allora ripetiamo la domanda: è garantito il diritto alla salute? «Stiamo facendo grossi sforzi ma non voglio dare al problema una connotazione soltanto negativa. Il fatto è che dietro i ritardi c'è la mancanza di apparecchiature idonee oppure disorganizzazione». Stiamo andando verso una sanità all'americana: chi ha soldi vive, pazienza per gli altri? «Sono un forte sostenitore di questa politica. Non c'è scandalo se il privato interviene dove il pubblico non c'è o non funziona. Non mi spaventa un rafforzamento della sanità privata a patto che l'ente pubblico la controlli con serietà e rigore». Quindi il diritto alla salute sarà sempre più collegato al portafogli? «Parliamoci chiaro: è sempre stato collegato in qualche misura al portafogli. In futuro prevedo anzi che crescerà la partecipazione del cittadino alla spesa sanitaria. In caso contrario non se ne esce». Cioè? «La sanità in Sardegna assorbe il 50 per cento dell'intero bilancio regionale, in alcune zone d'Italia si arriva addirittura all'80. Questo significa che bisogna razionalizzare ma razionalizzare soltanto non basta». Perciò si chiederà aiuto ai privati. «Il problema dei problemi non sono gli imprenditori della sanità privata ma la correttezza e la vigilanza che eserciterà l'ente pubblico. In fondo, torniamo sempre alla questione della lealtà». Annunci un traguardo ambizioso. «Ne annuncio tre, prendete nota: entro ottobre aprirò il padiglione sud del Santissima Annunziata di Sassari; entro agosto aprirò la Radiologia ad Ozieri; entro venti giorni dalla pubblicazione di questa intervista riaprirò Ostetricia e Ginecologia ad Alghero». pisano@unionesarda.it __________________________________________________ L’Unione Sarda 26 giu. ’11 I GIOVANI NON USANO IL CONDOM MEDICINA. La sessuologa del San Raffaele di Milano in città per un convegno sui contraccettivi Graziottin: «Solo pochi adolescenti conoscono i metodi anticoncezionali» Il modello sardo di contraccezione (il 30% per cento delle isolane usa la pillola, percentuale che ricalca la media europea più che quella italiana, ferma al 16%) è un unicum su cui gli specialisti si interrogano e che ieri ha attirato al T Hotel i migliori esperti nazionali per un confronto sull'esportabilità di questo esempio. LA FORMULA Un buon dialogo tra ospedali, consultori, medicina di base e farmacie garantisce la circolazione della cultura della contraccezione ormonale di cui le sarde, più di tutte, sembrano aver compreso i vantaggi, non solo in termini di prevenzione di gravidanze indesiderate. LE NOVITÀ Su questo aspetto si è concentrata Alessandra Graziottin, direttrice del Centro di Ginecologia e sessuologia medica del San Raffaele di Milano che ha parlato degli anticoncezionali ormonali di ultima generazione in particolare quelli con estrogeni naturali a base di estradiolo, ormone identico a quello prodotto dall'ovaio a cui si affianca un progestinico, il dienogest (la pillola si chiama Klaira ed è arrivata in Italia nel 2009): «È un contraccettivo che protegge l'endometrio, limita il flusso mestruale abbondante collegato all'abbassamento del livello di ferro nell'organismo, a sua volta legato alla comparsa di sintomi depressivi, calo di concentrazione e di memoria che possono essere ridotti grazie a questo tipo di contraccettivo». I BENEFICI Ma non finisce qui: le pillole di ultima generazione proteggono la fertilità delle donne e attenuano la sintomatologia della menopausa. Eppure tutte conoscono questi vantaggi, per questo anche per Graziottin diventa fondamentale una rete allargata che oltre agli specialistici e ai consultori coinvolga anche medici di base e farmacie. Si tratta infatti di figure professionali in grado di indirizzare i pazienti verso l'utilizzo corretto dei farmaci. I PROBLEMI Restano problemi che richiedono uno sforzo comune che riguarda non solo il mondo della sanità ma anche quello della scuola e della famiglia. «I nostri adolescenti fanno sesso ma sanno poco di contraccezione: basti pensare che ogni anno in Italia si consumano 350.000 pillole del giorno dopo e il 55% delle richieste arriva da giovanissime». Scarso anche il ricorso al preservativo per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Un fronte questo su cui c'è da fare molto anche in Sardegna. ( c.e.) __________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 giu. ’11 SANITÀ CONVENZIONATA IN RIVOLTA Lunedì in programma un sit-in davanti alla Asl Centinaia di lavoratori da mesi senza stipendi regolari SASSARI. Un sit-in davanti alla sede della Asl in via Monte Grappa per chiedere a gran voce il pagamento degli stipendi arretrati e l’attenzione da parte delle istituzioni. Protagonisti della protesta saranno i lavoratori della sanità convenzionata (Policlinico, San Giovanni Battista di Ploaghe, la Gena e le altre strutture socio-assistenziali). L’obiettivo è denunciare con forza il grave stato di malessere in cui versa il settore e trovare soluzioni al fine di assicurare regolari flussi finanziari che consentano il puntuale pagamento degli stipendi. I lavoratori del settore convenzionato del Sassarese infatti a tutt’oggi non hanno ancora ricevuto i pagamenti delle loro spettanze e nulla si sa quando potranno riceverle. Inoltre Non hanno ricevuto gli aumenti contrattuali scaduti da anni. Sembrano anche caduti nel nulla, per il momento, gli impegni assunti anche di recente dall’assessore regionale alla Sanità Liori e dal direttore generale della Asl Giannico. I rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto alle direzioni delle tre strutture sanitarie presenti a Sassari: il Policlinico Sassarese, l’Ipab di Ploaghe e l’istituto “Gesù Nazareno” di Sassari la certificazione dei crediti scaduti sulle prestazioni erogate e pertanto dovuti dalal Asl. Il Policlinico vanta crediti per circa 900 mila euro, il SAn Giovanni Battista circa un milione e la Gena un milione e 300 mila euro. «I dati dicono inequivocabilmente che oltre 3 milioni di euro di risorse da destinare al settore sono trattenute “coattivamente” dalla Asl e dall’assessorato regionale - affermano i rappresentanti sindacali -. Questo è uno scippo a danno dei lavoratori, a scapito dei servizi ai cittadini e a svantaggio della crescita professionale e di sviluppo. Abbiamo altresì avviato una serie di verifiche negli fici competenti della Asl n.1 per capire meglio i motivi dei ritardi sui trasferimenti delle risorse in regime di convenzione». Un sistema, quello riabilitativo e sanitario, in grave difficolttà che vede diverse centinaia di operatori della sanità “convenzionata” in una situazione di precarietà. «L’assessore regionale alla Sanità, il direttore generale della Asl e anche i sindaci non possono far finta di nulla su quanto sta accadendo nel settore convenzionato, un settore ormai in evidente asfissia gestionale, che utilizza le retribuzioni dei lavoratori per onorare le casse delle banche e di Equitalia». __________________________________________________ La Nuova Sardegna 24 giu. ’11 ASLNUORO: BRACCIO DI FERRO SUI NUOVI DIRETTORI Maninchedda contesta la nomina di Altana. Corsa a due per il «sanitario» Seddone (Apan) difende il Project «Bloccarlo vuol dire mandare a fondo le piccole imprese del territorio» NUORO. Richiesta di accesso agli atti sulla nomina del nuovo direttore amministrativo dell’Asl. Fatta nella convizione che non abbia i requisiti necessari per ricoprire l’incarico. Questo il benvenuto del leader sardista Paolo Maninchedda all’avvocato olbiese Mauro Altana, 47 anni, arrivato nei giorni scorsi nell’azienda sanitaria barbaricina per sostituire Giorgio Tidore. Una staffetta (Tidore è stato nominato direttore amministrativo dell’Asl olbiese) che non è andata giù all’onorevole sardista. Che vuole verificare se Altana ha i requisiti previsti dalla legge per ricoprire l’incarico. Convinto che l’avvocato olbiese non li abbia (né dunque li avesse quando ricopriva il medesimo incarico nell’azienda sanitaria gallurese). Ancora in alto mare intanto la nomina del direttore sanitario. Con un furioso scontro su due nomi: il direttore dello Zonchello Maria Carmela Dessì e il direttore del reparto di nefrodialisi dell’ospedale San Camillo di Sorgono Francesco Logias. Aspettando di risolvere il rebus il nuovo manager Antonio Maria Soru ha riorganizzato i quadri dirigenziali con una serie di avvicendamenti e spostamenti ratificati ieri mattina. Eccoli: Piero Carta va alla guida del servizio Bilancio al posto di Angelo Serusi destinato a Programmazione e controllo di gestione. Mariagrazia Figus torna al timone del Provveditorato, subentrando a Carta. Al Tecnico-logistico arriva dal Distretto di Sorgono Paola Raspitzu, che sostituisce Valerio Carzedda. Francesco Bomboi, fino a ieri responsabile del Personale, assume le funzioni amministrative del dipartimento di Prevenzione e del servizio di Cure primarie dell’area di integrazione interdistrettuale. Al Personale viene assegnata Caterina Capillupo che comunque continuerà a dirigere anche l’Ufficio Formazione ospedaliera. Alla guida del Servizio socio-sanitario da oggi ci sarà Graziella Pirari, affiancata da Luigi Gazzaniga con funzioni amministrative. Continuano nel mentre le polemiche sul project, in attesa che il consiglio di Stato fissi la data della definitiva sentenza sul maxi progetto Asl da 700 milioni. «Bloccare il project significherebbe causare un grosso danno non solo all’economia nuorese, ma alle diverse aziende locali che ne sono coinvolte». Parole del direttore dell’Apan Sardegna Gian Franco Seddone. Che, dopo aver espresso una serie di dubbi sulla «scarsa difesa» che il progetto ha avuto durante la gestione sardista dell’Asl, attacca: «Non si capisce inoltre il senso delle polemiche da parte di alcuni politici che tentano di salvare i conti della Regione non tagliando a Cagliari, a Sassari o ad Olbia, ma nella provincia in cui sono stati eletti. Quando, soprattutto in questo momento di grossa difficoltà, sarebbe invece utile un’azione a garanzia del lavoro delle aziende nel nostro territorio». «È infatti troppo semplicistico - continua - asserire in via astratta che se il project financing venisse invalidato in ultimo appello dal Consiglio di Stato, si potrebbe comunque garantire la continuità dei lavori. Realisticamente, si chiede come si possa andare avanti senza fondi e come un’impresa possa assicurare l’acquisto dei materiali, gli stipendi ai lavoratori e gli oneri sociali che deve sborsare ogni fine mese». «Certo è che se la Cofely - chiude Seddone - fosse costretta a lasciare, non sarà facile trovare immediatamente una soluzione: non lo sarebbe per l’Asl contrarre un mutuo di 66 milioni per eseguire i lavori e non basterebbero la disponibilità, la capacità, la forza di volontà e la competenza tecnica da parte delle nostre aziende. Se venisse a mancare il capitale di una multinazionale come Gdf Suez non si potrà realizzare un piano d’investimento cosi importante per tutta la provincia. Se ci fosse un’alternativa la prenderei in considerazione, ma fra il project e il nulla scelgo il project». __________________________________________________ L’Unione Sarda 23 giu. ’11 BROTZU: PENE FINO A QUATTRO ANNI PER DUE EX DIRIGENTI Il Brotzu fece affilare i ferri chirurgici a un arrotino spagnolo Bisturi, tre condanne Periodicamente lo vedevano arrivare all'ospedale Brotzu col suo furgoncino, prendere in consegna i bisturi e le altre attrezzature chirurgiche da affilare o rigenerare, poi riportarle a lavoro finito. L'arrotino spagnolo Ramos Jorge Bosque, da tutti conosciuto come “Lo zingaro” per le sue presunte origini slave, è andato avanti così per anni, incassando decine di milioni di vecchie lire e arrivando, una volta, a presentare una parcella da un miliardo e mezzo sempre di lire. Tutto con affidamento diretto, senza gare, con prezzi che, almeno secondo l'accusa, talvolta superavano addirittura quelli delle attrezzature nuove di zecca. LA CONDANNA Poco dopo le 14 di ieri, i giudici della prima sezione penale del Tribunale hanno condannato l'arrotino spagnolo a quattro anni di reclusione con l'accusa di peculato. Stessa pena inflitta a Franco Cabras, l'ex responsabile dell'ufficio economato dell'ospedale, mentre per il direttore sanitario dell'epoca, Andrea Corrias, la condanna è stata di 3 anni e mezzo di carcere. Tutti e tre sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, con i giudici che hanno accolto quasi per intero le richieste del pm Gaetano Porcu. LE ACCUSE I tre imputati erano accusati di alcuni episodi di peculato (in parte solo tentato), avvenuti tra il 1997 e il 1999. La vicenda era esplosa quando i vertici ospedalieri si erano visti recapitare dall'arrotino spagnolo una parcella da un miliardo e mezzo di vecchie lire per quattro giorni di lavoro. Da qui l'inchiesta della Procura condotta dall'ex procuratore aggiunto Mario Marchetti che aveva indagato l'artigiano spagnolo e i due dirigenti ospedalieri che avevano autorizzato il lavoro. È emerso così durante il processo che non solo, da tempo, Bosque ricevesse l'incarico di rigenerare i ferri chirurgici, ma che addirittura in alcuni casi avesse proposto forme di garanzia “a vita” sull'affilatura. Promesse impossibili per strumenti così delicati. Otto gli episodi contestati, metà dei quali oggi dichiarati prescritti: tra questi anche quelli relativi alla maxi parcella da un miliardo e mezzo di lire, mai saldata dal Brotzu. LO SPAGNOLO Ormai irrintracciabile da tempo, l'arrotino spagnolo non si è mai visto in aula, dove però ha dato battaglia l'avvocato difensore Stefano Pisano. Ad assistere i due dirigenti, entrambi presenti, c'era il professor Luigi Concas, che dopo il verdetto ha commentato: «Questa sentenza mi lascia una forte sensazione di stupore, fortunatamente esiste l'appello». Il collegio presieduto da Mauro Grandesso depositerà le motivazioni in 90 giorni. Francesco Pinna __________________________________________________ L’Unione Sarda 21 giu. ’11 SANTA CRUZ: A GIUDIZIO L'EX RETTORE, TRE DIRIGENTI E IL PRIMARIO del reparto La guerra del Policlinico Anatomia bloccata: danni per oltre due milioni Cinque anni di guerra interna al Policlinico universitario hanno un costo: due milioni e 350.000 euro. La Procura della Corte dei conti non ha dubbi su chi debba restituire quei soldi: da un lato l'ex direttore di Anatomia patologica Giuseppe Santa Cruz che ha dato il via alle operazioni belliche; dall'altro l'ex rettore Pasquale Mistretta, il direttore generale Rosa Coppola, il direttore amministrativo Ennio Filigheddu e il direttore sanitario Andrea Corrias che hanno ovviato con «complicate e costose soluzioni» al fatto che dal 2002 al 2007 Santa Cruz avesse impedito il funzionamento del servizio diagnostico di Anatomia patologica. Gli esami, come hanno accertato i carabinieri del Nas, sono stati eseguiti in altri ospedali con convenzioni stipulate dalla direzione del Policlinico. Nella corposa citazione a giudizio (il processo è fissato per il 13 dicembre mentre la prima udienza penale, di cui si dà conto nel pezzo a fianco, si è svolta ieri mattina) il pm Mario Murtas definisce «incredibile» la vicenda, «caratterizzata dall'indifferenza verso la salute del cittadino, i principi e le regole della deontologia medica, i criteri della gestione aziendalistica della sanità pubblica». Gli incolpati respingono le accuse e ora sarà la Corte dei conti a valutare se Mistretta, Cioppola, Filigheddu e Corrias avessero altre strade per risolvere la questione. MISTRETTA La responsabilità dell'ex Rettore dell'Università è legata al fatto che, secondo il pm, «nonostante avesse il potere, e il dovere, di intervenire, ha omesso di farlo». Secondo l'accusa Mistretta «ha sempre avuto piena e tempestiva conoscenza della totale inoperosità di Santa Cruz e del servizio, degli illeciti, della loro gravità, dei disservizi in danno del Policlinico. Eppure ha tollerato scientemente quell'autentica degenerazione gestionale..., ha esortato la direzione a procedere con la stipula di convenzioni esterne dichiarando che non fossero più costose della costituzione di un'unità operativa presso il Policlinico». SANTA CRUZ «È rimasto totalmente e costantemente inoperoso manifestando diffusa ostilità e rancore con un'escalation di ostentata delegittimazione degli organi di direzione del Policlinico... La sua condotta è stata orientata a creare una situazione ambientale di estrema invivibilità, della quale astutamente si lamentava vittima, contrassegnata da gravissima avversione verso i primari doveri di medico e docente e le iniziative da altri intraprese per cercare di rendere autonomo il servizio del quale, però, manteneva ben stretta la direzione» Secondo il pm Murtas «l'accanimento sarebbe legato alla perduta possibilità, nel 2002, di dirigere il servizio di Medicina legale dopo che il Tar aveva annullato il decreto del Rettore. Santa Cruz ha ritenuto che l'esito di quel giudizio non fosse da ricondurre all'assenza di titoli scientifici (come in quella sede inequivocabilmente accertato) ma a lacune formali dei provvedimenti del Rettore e del direttore generale». I DIRIGENTI Coppola, Filigheddui e Corrias sono chiamati a rifondere il danno provocato all'erario per aver «tollerato e mai contrastato» l'attività di Santa Cruz. Di più: «Hanno aggravato quella patologica situazione attraverso l'affidamento dell'intero servizio diagnostico- assistenziale a soggetti esterni al Policlinico, tramite onerose convenzioni con altri presidi ospedalieri, così determinando a carico del bilancio dell'azienda inutili costi e ingenti spese aggiuntive». Secondo l'accusa «tutti gli incarichi per attività diagnostica nella specialità di Anatomia e istologia patologica sono stati conferiti in assenza dei presupposti di legge che consentivano il ricorso alle consulenze e agli incarichi esterni». Maria Francesca Chiappe __________________________________________________ L’Unione Sarda 21 giu. ’11 NANNI BROTZU: «NON POTEVAMO PIÙ LAVORARE» Nanni Brotzu non ha peli sulla lingua: primo testimone al processo, aperto ieri, contro l'ex direttore di Anatomia patologica del policlinico universitario Giuseppe Santa Cruz, l'ex direttore di Chirurgia ricorda i fatti che, nel 2002, lo convinsero a presentare l'esposto che diede il via all'inchiesta. «Ci veniva negato il servizio di analisi dei reperti durante gli interventi chirurgici», ha spiegato Brotzu ai pm Daniele Caria e Gaetano Porcu. «Ho scritto ai direttori generale e sanitario, ho urlato con lo stesso Santa Cruz ma il servizio, indispensabile, non è mai decollato. La mia impressione è che Santa Cruz non avesse alcun interesse a far partire il servizio di Anatomia patologica nel neonato policlinico: voleva lavorare in Medicina legale dov'era stato trasferito dal Rettore ma il Tar aveva annullato quel provvedimento». La battaglia di Anatomia patologica viene rievocata davanti ai giudici molti anni dopo i fatti costati il rinvio a giudizio di Santa Cruz (difeso da Francesco Onnis e Raffaello Spano) per rifiuto di atti d'ufficio, interruzione di pubblico servizio, abuso d'ufficio, violazione di domicilio. Non solo: sul banco degli imputati ci sono anche la figlia Rosa Santa Cruz (concorso in abuso d'ufficio) alla quale il padre aveva affidato l'incarico di responsabile dei laboratori di biologia, i medici Davide Matta e Stefano Angius e il tecnico Antioco Angelo Casula (violazione di domicilio): il 26 gennaio 2007 si erano introdotti clandestinamente nel laboratorio di Tossicologia forense dove avevano effettuato riprese con una telecamera. Tutto è, dunque, cominciato con la denuncia di Brotzu che ieri mattina ha ricostruito i fatti rispondendo alle domande dei pm Daniele Caria e Gaetano Porcu: «Non ho mai capito le ragioni per cui non si potessero fare quegli esami, il rettore aveva speso 420.000 euro per l'acquisto di apparecchiature ma per quelle analisi bastava un solo strumento. Io ne ho trovato uno buttato in cantina e l'ho usato per almeno dieci volte per lavori di ricerca, l'ho segnalato ma nessuno è mai venuto a prenderlo, dicevano che non si poteva usare. È rimasto nella mia stanza fino a quando sono andato in pensione». Il processo continua il 7 novembre. (mfch) __________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 giu. ’11 NANNI BROTZU: SANTA CRUZ AL POLICLINICO NON FACEVA NULLA» Accuse al collega Santa Cruz: «Credo che al Policlinico non facesse nulla» CAGLIARI. «Non so che cosa facesse Giuseppe Santa Cruz al Policlinico in quegli anni, penso nulla»: parole di Nanni Brotzu, chirurgo vascolare in pensione e autore della denuncia alla Procura che ha condotto in tribunale il collega, tra il 2002 e il 2005 direttore dell’anatomia patologica al Policlinico universitario. Quasi tre ore davanti ai giudici del tribunale - presidente Mauro Grandesso - per rispondere alle domande dei pm Daniele Caria e Gaetano Porcu, poi a quelle dei difensori Raffaello Spano e Francesco Onnis, il sanguigno e stimatissimo ex cattedratico ha ribadito punto per punto, alzando anche la voce, la ricostruzione della vicenda per la quale Santa Cruz è imputato di rifiuto d’atti d’ufficio, abuso d’ufficio e violazione di domicilio. Vicenda semplice, nella sua complessità politica: aperto il Policlinico, tutti i servizi funzionavano tranne l’anatomia patologica. Per ragioni mai del tutto chiarite: «C’erano 420 mila euro pronti da spendere per le attrezzature - ha spiegato Brotzu - ma per un motivo o per l’altro Santa Cruz non si muoveva. Ha ricevuto sollecitazioni dal preside Gavino Fa, dai colleghi, lettere, di tutto... ma il suo servizio restava inoperoso, neppure un vetrino, neppure un’esame estemporaneo. Mai capito perchè». Così i chirurghi dovevano arrabattarsi tra mille difficoltà: «Io mandavo i pezzi anatomici in un altro ospedale - ha raccontato Brotzu - sospendevo l’intervento, lo riprendevo quando mi arrivava la telefonata con i risultati dell’analisi istologica o citologica...». Santa Cruz lamentava ogni sorta di problema, poi si fece trasferire a medicina legale: «Ma ci restò due settimane - ha tagliato corto Brotzu - perchè il Tar accolse i ricorsi di alcuni colleghi». Tornato al Policlinico, la situazione restò immutata: «Ricordo di aver protestato con chiunque, compreso il rettore Pasquale Mistretta - ha insistito il chirurgo - alla fine ho scritto l’esposto, non avevo altro tempo da perdere». Brotzu ha ricordato che alcuni attrezzi utili per gli esami di base - un criostato e uno strumento per realizzare le sezioni istologiche - c’erano «ma nessuno li usava». Eppure - ha spiegato il testimone - per «l’estemporanea (gli esami fondamentali da compiere in parallelo agli intreventi chirurgici) bastava davvero poco, un microscopio, i coloranti, un vetrino e poche altre cose a basso costo». Ma nessuno, in Anatomia patologica, si muoveva: «Erano almeno in quattro, non so che cosa facessero al Policlinico... penso nulla». I difensori Spano e Onnis hanno cercato di esplorare i rapporti tra Brotzu e Santa Cruz: «Ottimi fino al 2002 - ha spiegato il docente - poi zero. Mi rifiutavo di parlargli. Ma quello che dovevo dirgli gliel’ho detto chiaramente in faccia, senza problemi». In faccia e per iscritto, perchè l’esposto inviato alla Procura e al Rettore in quello stesso anno contiene ogni passaggio di una vicenda che si è via via trasformata in una guerra a tutto campo. Con l’intervento inevitabile della Corte dei Conti, che chiede i danni a Santa Cruz e Mistretta (un milione e 95 mila euro), ai direttori generale, sanitario e amministrativo del Policlinico Rosa Cristina Coppola, Ennio Filigheddu e Andrea Corrias (un milione e 253 mila euro) per un servizio rimasto anni inattivo, a spese dei contribuenti. Gli stipendi correvano ma di attività neanche a parlarne. Nel processo - che andrà avanti il 7 novembre - sono coinvolti anche i medici Davide Matta e Stefano Angius col tecnico Antioco Angelo Casula, imputati della sola violazione di domicilio per essersi introdotti con una telecamera nel laboratorio di tossicologia forense. L’accusa di abuso d’ufficio contestata a Santa Cruz riguarda __________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 giu. ’11 AOUSS: TANDA E MORETTI NUOVI DIRETTORI Dirigenti sanitario e amministrativo SASSARI. Finalmente l’Azienda mista ospedaliero universitaria potrà lavorare a pieno ritmo. Dopo quasi due mesi di attesa, tra liti e veti incrociati, sono stati finalmente nominati i direttori sanitario e amministrativo. Il direttore generale Sandro Catani ha infatti firmato la nomina con la quale ha assegnato l’incarico di direttore sanitario a Francesco Tanda, professore ordinario responsabile della struttura complessa di Anatomia patologica dell’università. Direttore amministrativo è stato invece nominato Lorenzo Moretti (nella foto) esperto funzionario che nella sua carriera ha ricoperto incarichi di rilievo soprattutto in ambito comunale. È stato segretario comunale a Ozieri e in numerosi altri comuni prima di fare il salto di qualità diventando segretario generale del Comune di Oristano. Incarico che aveva lasciato per diventare direttore generale del Comune di Sassari quand’era sindaco Nanni Campus. ____________________________________________________ Panorama Sanità 13 giu. ’11 AIOP: SANITÀ E ASSISTENZA: IL FUTURO È A PORTATA DI MANO CON ICT A Torino il convegno dell'Associazione Italiana Ospedalità Privata di Ernesto Bodini Il futuro sanitario e assistenziale si gioca sulla scelta e sugli investimenti della tecnologia informatica. Un contributo dell'Aiop (pro federalismo) per la riduzione dei tempi di attesa e soprattutto per contenere i costi della spesa sanitaria. Sanità privata e pubblica in "competizione" ma nel massimo rispetto della trasparenza... Un intenso programma convegnistico come osservatorio sulla sanità del futuro all'insegna della sfida dell'e-Health, voluto dai giovani imprenditori dell'Aiop e dall'Aiop Nazionale, in collaborazione con l'Union Européenne de I'Hospitalisation privée e il Politecnico di Milano, con l'intento di analizzare quale possa essere il futuro per i cittadini e dei sistemi sanitari, con il pieno coinvolgimento delle imprese che fanno parte di tali sistemi. Una due giorni che ha coinvolto esperti italiani e stranieri: da Martin Curley, responsabile di Intel Labs Europe, a Maria Gilardi, direttore dell'Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del Cnr ed esperta del Ministero della Salute in materia di e-Health, e Claudio Vella, responsabile scientifico dell'Osservatorio Ict in Sanità del Politecnico di Milano; da Mauro Moruzzi, responsabile di Cup 2000, a Stephen Yeo, Marketing Director Panasonic Europe (Londra); da Francesco Nesci, di Healthcare Management a Francesco Nicosia, dell'ospedale Galliera di Genova. Per scommettere sull'e-Health al fine di rendere più efficiente il servizio sanitario è implicito che tra gli investimenti, quelli per sanità elettronica costituiscono una scelta mirata (e vincente) considerando, ad esempio, l'esigenza di effettuare sempre e meglio il controllo dei pazienti a distanza, realizzazione di cartelle cliniche online con ottimi risultati in rete; obiettivi che, proprio grazie alla tecnologia informatica impiegata a vasto raggio, ha trasformato e trasformerà maggiormente il concetto di cura e assistenza sanitaria. Attualmente in Italia circa il 7% del Pil è assorbito dalla sanità, una percentuale tendente ad aumentare con il rischio di compromettere sia le finanze pubbliche che l'efficienza del nostro sistema sanitario, dovendo inevitabilmente ridurre le spese. Conseguenze che tuttavia si possono contenere (o ridurre al minimo), secondo gli esperti del settore, se si vorrà dare maggior sviluppo alla "sanità elettronica". Secondo le più recenti statistiche nel nostro Paese gli investimenti in Information and Communications Technology (Ict) delle strutture sanitarie, pubbliche e private, raggiungono in media l'1,05% (circa 920 milioni di euro) della spesa complessiva. Una notevole differenza la si riscontra tra il Nord e il Sud: gli investimenti sono concentrati per il 79% dei casi tra le strutture del Nord, dove la spesa Ict è di 21 euro pro capite contro i soli 9 euro per abitante nel Sud e nelle Isole. Pur considerando l'ipotesi di investimenti per i prossimi tre anni, gli stessi risulterebbero limitati e la sanità elettronica costituisce una vera e propria sfida tenendo conto che laddove è maggiore l'utilizzo degli strumenti di comunicazione tecnologica in sanità, è auspicabile una maggiore soddisfazione dei cittadini per la qualità dei servizi e, conseguentemente, per una minore spesa pro capite. In quest'ultimo senso particolarmente virtuose risultano essere alcune Regioni quali Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna all'interno delle quali si registra un livello di investimenti in le tra i più elevati; mentre Regioni come Lazio e Molise la spesa per l'e-Health è tra le più basse. La sanità elettronica e il relativo apparato informatico oggi a disposizione è un settore determinante in quanto può contribuire ad aumentare l'efficacia nella gestione e nell'offerta in sanità, realizzando in modo più soddisfacente il concetto di medicina centrata sul paziente. Nel suo intervento Martin Curley, che è anche senior principal engineer di Intel Corporation (la più grande produttrice di microprocessori), ha illustrato un quadro sugli investimenti in tecnologie per la salute in Europ, dove, ad esempio, si distinguono la Gran Bretagna con investimenti pari all'1,48%, la Finlandia (1,46%), Belgio e Irlanda (1,1%), Francia (0,8°/o), Germania (0.6%), Italia, Spagna, e Austria (0,4%), Portogallo (03%) e Grecia (0,2%). Il coordinatore di Aiop Giovani, Averardo Orta, e Fabio Miraglia, docente di Economia Sanitaria all'università Mediterranea di Reggio Calabria, hanno presentato la nuova applicazione per iphone e i-pad, i-Aiop, il primo passo verso un vero proprio cen-tro unico di prenotazione interattivo che mette in rete le oltre 500 Strutture Aiop. Un italiano su tre si affida oggi alla rete per informarsi in materia di sanità. Nel 2010 il 34% ha cercato in rete informazioni relative all'assistenza sanitaria e il 18,4% si è rivolto al web per trovare informazioni sulle strutture a cui rivolgersi sia per prenotare una visita che una esame diagnostico. Oggi, chi intende scegliere dove farsi curare per una piccola emergenza anche quando è distante dal luogo di residenza o di abitazione, può prenotarsi e contattare in tempo reale la struttura (tra quelle che aderiscono al sistema) che gli è più vicina grazie alla applicazione per i-phone, ipad e "i-Aiop". «La possibile applicazione con funzione "gps"» hanno spiegato «è possibile individuare la struttura sanitaria più vicina al luogo in cui ci si trova e prenotare una prestazione nel minor tempo possibile. La ricerca potrà essere effettuata specificando un luogo oppure filtrando per tipologia e specialità della visita che si richiede. Le case di cura visualizzate in elenco, su una mappa, con una scheda informativa multipagina possono essere contattate direttamente tramite e-mail o telefono per verificare in tempo reale la disponibilità e i tempi di attesa». L'applicazione è in grado dí fornire anche il percorso dettagliato da seguire per rag- giungere la casa di cura, a partire dal punto in cui ci si trova. L'archivio delle case di cura presenti comprende un elenco di oltre 500 strutture sanitarie distribuite su tutto il territorio nazionale, che erogano assistenza sanitaria per tutte le specialità sia che si intenda usufruire di una prestazione privata (a pagamento), sia di una prenotazione convenzionata con il Ssn. L'ar-chivio, hanno specificato gli esperti, potrà crescere nel tempo per la possibile applicazione di questo sistema anche ad altre realtà. L'i-Aiop è completamente gratuita ed è possibile scaricarla direttamente su i-phone o i-pad. IN AUMENTO GLI SPRECHI IN SANITÀ È necessaria una riforma strutturale, ma quali gli effetti di un possibile e concreto federalismo? È stato calcolato che nel 2014 la spesa sanitaria in Italia arriverà a superare i 120 miliardi di euro; un incremento assai notevole se si considera che nel 2010 è stata di circa 109 miliardi di euro. Dati che richiamano l'attenzione degli operatori sanitari (e anche dei cittadini-utenti) sull'importanza del concetto di federalismo inteso come la cura per la sanità. Nel corso di questi ultimi anni stiamo assistendo ad un cambiamento del Sistema Sanitario Nazionale. Con la Legge costituzionale n. 3 del 2001, creatrice di un sensibile impulso all'autonomia delle Regioni, per giungere allo schema di provvedimento sul federalismo fiscale, sui costi e sui fabbisogni nel settore sanitario, si sta delineando ora un nuovo profilo del Ssn. Se il federalismo può rappresentare la cura della sanità italiana, quali saranno i suoi effetti sulla qualità delle cure? E quali sulla responsabilità di politici e amministratori? Ed ancora: quali gli effetti sulla consapevolezza dei cittadini ai quali spetterà premiare o sanzionare la gestione della cosa pubblica? E evidente che ci troviamo ad una svolta "epocale" tanto da dividere l'opinione pubblica tra pro e contro. Interrogativi ai quali l'Aiop ha cercato di rispondere ponendosi in prima persona sostenendo la tesi del "pro", ossia che tale scelta potrà risultare una opportunità, ma con la convinzione che non potranno essere escluse alcune premesse, come ha precisato nell'invito al convegno il suo presidente Enzo Paolini. Tra queste, tre in particolare. La solidarietà invocata da molti non dovrà costituire l'alibi per atteggiamenti gattopardeschi, dove tutto cambia nella forma tranne la sostanza delle scelte politico-amministrative; lo spirito della grande riforma del Dlgs 502/92 da centralità del paziente e le sue scelte, i meccanismi di competizione degli erogatori, con le conseguenze premianti- sanzionatorie) dovrà essere la "barra dritta" e unificante delle scelte regionali; la necessità del risanamento dei conti senza toccare la qualità delle cure dovrà essere la sfida degli amministratori moderni. L'Italia ha raggiunto una qualità eccellente nelle cure sanitarie riconosciuta nel mondo, ma per non impoverire queste competenze e professionalità è necessaria una lotta senza quartiere agli sprechi e non un semplicistico taglio alle spese. «Ancora una volta» puntualizza Paolini «il Ssn è ad una svolta e l'Aiop, giunta alla sua 46a Assemblea Generale, fedele alla sua storia, vuole dare un contributo di idee che nascono dall'esperienza di servizio svolto quotidianamente in tutte le Regioni italiane». Ed è proprio su queste premesse l'Aiop intende confermare la propria tradizione istituzionale in previsione di questo grande processo che si sta avviando con forte senso di responsabilità, lavorando con impegno nell'interesse della collettività e proponendosi come soggetto attivo e collaboratore di tutti gli organi di Governo. «Noi vogliamo essere propositivi» ha sottolineato Gabriele Pelissero, vice presidente Aiop «e porci al servizio con la nostra attività quotidiana. In una fase iniziale è importante, io credo, porre dei principi e soprattutto fare delle proposte costruttive. Il processo federalista pone una serie di interrogativi e auspichiamo possa offrire delle opportunità. Noi non conosciamo i contenuti del federalismo in sanità, e questa è la ragione di fondo per la quale abbiamo chiesto ai protagonisti di questo processo di essere presenti per iniziare a darci le opportune indicazioni». Il relatore ha voluto sottolineare alcuni concetti partendo da una considerazione sullo stato di tatto, ossia sullo scenario nel quale il federalismo in sanità prende le sue prime mosse. «Il nostro Paese ha una spesa sanitaria bassa» ha ricordato «e se noi non ricordiamo ogni volta questo concetto rischiamo di avere una rappresentazione falsata della realtà. Ricordo, a questo proposito, che rispetto a grandi Paesi europei completamente comparabili al nostro, quali la Francia e la Germania, l'Italia ha una spesa pubblica inferiore di 2 punti Pil; un valore notevole che ci consente di sostenere che la nostra sanità, rispetto ad altri Paesi, è sottocapitalizzata. A fronte di questo dato, va anche detto, un altro fattore altrettanto significativo è rappresentato dalla presenza, all'interno della spesa sanitaria pubblica, di aree consistenti di inefficienza e di spreco». Lo studio annuale dell'Aiop ha dimostrato con dati concreti che l'inefficienza è presente nella spesa pubblica un po' in tutte le Regioni italiane, ed è molto distribuita con delle punte che raggiungono dei valori preoccupanti collocati intorno al 40-45%. «La nostra posizione prende spunto da due elementi» ha ribadito energicamente «il basso costo della sanità pubblica in Italia e la presenza di un alto spreco, due aspetti che vanno coniugati. Questa situazione rappresenta, a nostro giudizio, una opportunità straordinaria, se naturalmente ci sarà la capacità e la forza di utilizzare in modo positivo tale opportunità. Siamo consapevoli che le condizioni complessive del disavanzo pubblico impongono una severità di carattere finanziario che la nostra generazione difficilmente potrà eludere». LA PROPOSTA DELL'AIOP Ma in un comparto fondamentale e strategico come quello della sanità, sia per il suo "valore assistenziale" che economico, la possibilità di riconvertire lo spreco in una risorsa è una opportunità straordinaria. La concreta e "decisa" proposta dell'Aiop, così come il suo forte richiamo ai governanti del nostro Paese, consiste nell'affrontare il percorso federalista alla luce di questo principio fonda mentale. Si tratta in particolare di riconvertire l'inefficienza in prestazioni, riportare nell'alveo della produzione sanitaria i servizi reali erogati ai cittadini e ai pazienti quella quota di risorsa che oggi già esiste (prevista nei bilanci pubblici della sanità), ma che va sprecata. Ma come è possibile giungere alla concretizzazione di questo obiettivo? «Non vogliamo fare delle richieste che non contengano anche delle proposte» ha spiegato Pelissero «desideriamo essere concreti: siamo un'organizzazione di imprenditori (con oltre cinquant'anni di esperienza) e il valore dell'imprenditorialità si vede sul campo nella vita quotidiana, nell'affrontare i bilanci, l'organizzazione delle attività, la struttura del lavoro, etc. Le nostre proposte di partenza sono semplici e chiare. Noi suggeriamo al nascente processo federalista tre linee di indirizzo che, a nostro avviso, sono praticabili e che riteniamo essenziali per far sì che questo processo non sia soltanto una grande operazione di finanza pubblica, ma anche una feconda opera riformatrice del sistema sanitario nazionale. Il "rischio-impegno" è alto perché se riusciremo tutti insieme ad introdurre veri elementi di riforma nella sanità delle Regioni italiane, sicuramente potremmo andare incontro ad un'operazione che, sul breve o medio termine, forse in qualche misura potrà migliorare i conti pubblici; ma questa misura se abbandonata a se stessa, ossia se accompagnata da una profonda riforma di sistema, potrebbe veramente di tradursi solo e soltanto in una riduzione delle prestazioni erogate ai cittadini». Il contributo dell'Aiop, secondo il SLIO intendimento, che vuole concretizzarsi con l'impegno ideativo e propositivo, è proprio in suggerimenti che provengono dall'esperienza quotidiana dei suoi imprenditori, avvalorata da alcuni semplici interventi che possono contribuire alla realizzazione del federalismo. Ma quali le componenti che, in questo momento storico sembrano essere importanti? «Prima di tutto» ha precisato «il vice presidente Aiop — dobbiamo affrontare due nodi critici del sistema sanitario. E i punti sono: la mancanza di trasparenza e di pubblicità dentro ai sistemi di bilancio delle aziende di diritto pubblico, e poi la costante presenza di un conflitto di interessi gravissimo che impedisce lo sviluppo di una autentica cultura dei controlli della sanità italiana: oggi non è possi-bile leggere e conoscere i bilanci delle Aziende sanitarie e delle Aziende ospedaliere pubbliche. Uno dei più grandi settori economici di questo Paese è sottratto a quel minimo di trasparenza e pubblicità che il Codice civile impone giustamente a qualunque tipo di Azienda, e che per la quota di erogatori ospedalieri di diritto privato che Aiop rappresenta, è la normalità. Noi compiliamo ogni anno un bilancio civilistico nel quale è possibile leggere con chiarezza ricavi e costi, e dal quale si deducono con evidenza eventuali perdite; lo depositiamo al fine di renderlo pubblico. Questa è una riforma a "costo zero", ed un principio di risanamento fondamentale, tra l'altro determinante per la tenuta dei conti pubblici. Se riusciremo in questo intento riscontreremo nelle Regioni italiane e nelle Aso di diritto pubblico il coraggio di far vedere i propri bilanci, e io credo che avremo fatto un grande passo, avanti verso un sistema quale esso sia, trasparente e governabile». Siamo un Paese nel quale il sistema di controllo è arrivato al punto per cui un terzo della Rete ospedaliera è sottoposta ai controlli di qualità, di appropriatezza, di sicurezza sul lavoro dallo stesso amministratore che gestisce l'Azienda. Il direttore generale dell'Asl invia gli ispettori al Presidio ospedaliero, gli stessi fanno il verbale rilevando eventuali disfunzioni o anomalie e lo consegnano allo stesso direttore dell'Asl che li ha inviati. Un modo di procedere che secondo il relatore potrebbe essere definito in vari modi...; ma il problema è che non tutte le Regioni hanno saputo utilizzare le risorse presenti nella propria Rete sanitaria e, sicuramente, anche come una risorsa fondamentale in grado di introdurre efficienza e qualità, in quanto è la presenza del privato all'interno del sistema pubblico. E questo in applicazione, ad esempio, di un principio di sussidiarietà che sarebbe, a giudizio degli imprenditori privati, il modello ottimale; o in applicazione al principio di tipo utilitaristico, che può anche essere invocato, ma non c'è dubbio che là dove le Regioni hanno ben usato il privato, il risultato complessivo è stato uno straordinario guadagno di efficienza e di qualità. «Per ragioni di ricerca scientifica» ha concluso Pelissero «è bene ricordare che sul nostro territorio c'è un modello vincente: la Lombardia ha adotta-to un sistema di completa parità tra pubblico e privato, imponendo e consentendo al privato di fare tutte le cose che fa il pubblico... Se questa Regione ha avuto un grande successo su tutti i parametri nazionali e internazionali, è certamente dovuto al fondamentale contributo del privato». LUCI ED OMBRE DEL FEDERALISMO Il federalismo contabile è sorto nel 2001 ed è stato uno degli errori più clamorosi della Riforma di quell'anno, in quanto tale istituzione implica libertà di scelta sulla spesa e sulle entrate, ma non implica invece il mantenere non trasparente la relativa contabilità e impedendo di conseguenza i confronti... Il federalismo, come ha ricordato Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, cerca di correggere la "anomalie" nei limiti in cui si riesce a fare le cose confrontandosi con la resistenza degli apparati, sia centrali che locali. Ma come funziona in ambito sanitario? «Considerando in "primis" l'aspetto fiscale» ha spiegato Antonini «non si possono immaginare grandi obiettivi in quanto è un sistema troppo "scordato"; deve essere un processo graduale correggendo le storture dell'impostazione. Sull'aspetto fiscale quello che si vuole togliere è l'aspettativa del ripiano statale. In Sanità nel 2007 è iniziato un processo popolarmente noto come "Chi rompe paga", quindi se si giunge ad un disavanzo nella sanità bisogna aumentare l'addizionale Irpef». Partendo da una valutazione di carattere più generale Enrico La Loggia, presidente della Commissione parlamentare per l'attuazione del Federalismo fiscale, ha sintetizzato che se per puro caso, in un mondo migliore del nostro gli amministratori fossero persone per bene, non ci sarebbe bisogno di regole. Ma poiché la selezione della classe politica amministrativa e imprenditoriale non segue il criterio della qualità e dell'efficienza, non di rado ci troviamo di fronte a persone che vogliono fare carriera e utilizza determinati strumenti che nulla hanno a che vedere con l'incarico pubblico. Occorre quindi stabilire delle regole, precisando che la migliore regola senza sanzione è sostanzialmente un "flatus vocis", ossia un nulla di fatto. E allora, su che cosa ci si sta muovendo da questa considerazione di carattere generale? «Il federalismo fiscale>, ha spiegato il parlamentare «è una opportunità straordinaria per il nostro Paese (negativa per i "cattivi" amministratori, ma positiva per i cittadini che sono stati male amministrati). Ma bisogna imporre delle regole che consistono nel l'armonizzazione dei bilanci perché, troppo spesso, non siamo nelle condizioni neanche di poter ricostruire l'ammontare dei trasferimenti statali nei confronti dei Comuni, dei quali non si sa come siano stati gestiti...» E allora che cos'è il federalismo fiscale se non responsabilità e solidarietà? «Responsabilità» ha concluso La Loggia «nel senso che bisogna rispondere di come vengono utilizzati i soldi dei cittadini, e le Istituzioni preposte alla tutela della salute e all'assistenza ai cittadini-pazienti garantendo loro l'applicazione e il rispetto dei Lea e dei Lep; e solo quando avranno soddisfatto appieno tali diritti secondo i parametri stabiliti, ci si potrà occupare di tutto il resto...». Partendo invece da alcune considerazioni di ordine macroeconomico sugli ordini di grandezza (in relazione agli sprechi), è intervenuto Luca Ricolfi, docente di Analisi dei dati all'università di Torino, ricordando che nel nostro Paese, secondo alcune stime, l'ordine di grandezza dello spreco (intendendo come tale tutto ciò che si spende in più rispetto a quello che si spenderebbe se ci si organizzasse come i territori più efficienti) relativo ad un anno di gestione ammonta a circa 80-100 miliardi di euro; e l'ordine di grandezza dell'evasione fiscale contributiva in Italia è pari a 128 miliardi di euro (stima del 2008). «Di questi sprechi» ha precisato il relatore «una parte considerevole è dovuta allo Stato Centrale, un'altra parte è dovuta alle Regioni (soprattutto in ambito sanitario), e un'altra parte è dovuta ai Comuni; mentre lo spreco delle Province è meno rilevante in quanto il loro bilancio è modesto». L'ordine di grandezza degli sprechi dello Stato Centrale, secondo il docente torinese, è piuttosto impressionante se si va contabilizzare la gestione negli ambiti della Scuola, dell'Assistenza e della Giustizia (sia civile che penale). Ma ancora più significativo è lo spreco causato dalle cosiddette "false" pensioni di invalidità per un ammontare di 10 miliardi di euro l'anno, ossia il 10% del bilancio della Sanità. «Quando si parla di sanità» ha concluso Ricolfi «noi come Fondazione abbiamo fatto una stima degli sprechi qualche anno fa (esercizio 2004-2005), quantificabili in 18 miliardi di euro, e oggi intorno ai 20 miliardi di euro. Una delle aspettative che avevamo quando si è cominciato a parlare di federalismo, era anche che l'eliminazione di alcuni di questi sprechi o la riduzione degli stessi, avrebbe liberato risorse per risolvere uno dei problemi fondamentali dell'Italia». ____________________________________________________ Il Mondo 1 Lug.. ’11 TELEMEDICINA: 55 MILIONI RISPARMIATI PER GLI OSPEDALI CANADESI La telemedicina è una delle tante applicazioni per le nuove connessioni internet super-veloci, ma quanto può aiutare gli ospedali (e anche i pazienti) a far quadrare i conti? Uno studio commissionato da Canada Health infoway e condotto da Praxia Information Intelligence e Gartner rivela che gli ospedali canadesi, grazie ai 5.700 sistemi di telehealth implementati in 1.175 comunità sparse in tutto il Paese (che è all'avanguardia da questo punto di vista), hanno risparmiato l'anno scorso 55 milioni di dollari, mentre i pazienti hanno evitato 70 milioni di dollari di spese legate agli spostamenti verso gli studi medici. «I canadesi non devono più viaggiare ogni volta per farsi visitare, la telemedicina migliora l'accesso alle cure, la qualità dell'assistenza e la produttività del sistema sanitario», afferma Jennifer Zelmer, senior vice-president della Clinical adoption and innovation di Infoway. I canadesi usano questa tecnologia non solo per le videoconferenze con pazienti (e altri medici) ma anche per trasmettere in tempo reale immagini e in generale dati da esaminare prima della diagnosi. Nel 2010 sono state condotte più di 260 mila sessioni di telemedicina in Canada, di cui la metà per assistere pazienti in aree remote, ma molte anche per la formazione del personale sanitario o per esigenze amministrative. __________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’11 TELEMEDICINA: MA IL DOTTORE DEVE «TOCCARE» di OVIDIO BRIGNOLI* U na giovane affetta da sclerosi multipla da oltre venti anni telefona per una visita domiciliare. Mi reco da lei e, dopo averla scrupolosamente visitata, controllo che il respiratore, la pompa per il farmaco, la cannula endotracheale, il sondino per la nutrizione enterale e il catetere vescicale funzionino bene. Rilevo che tutti i parametri sono nella norma. Eseguo anche un elettrocardiogramma con un apparecchio di telecardiografia e dopo pochi minuti ricevo una tranquillizzante risposta dal cardiologo. A quel punto mi rivolgo alla paziente per rassicurala e per dirle che, grazie a tutte le apparecchiature tecnologiche che la supportano, io sono molto tranquillo. Lei mi guarda intensamente e poi a fatica mi dice: «Dottore sono tre settimane che non viene a trovarmi e io ho bisogno di vederla e di sentire la sua voce» . Credo che questa vicenda inquadri bene il rapporto tra l'innovazione tecnologica e la relazione medicopaziente. La telemedicina è uno strumento sofisticato, che riduce i tempi di attesa, facilita la gestione del paziente a domicilio, aiuta e coinvolge il paziente nel monitoraggio delle malattia, ma è, e rimarrà, uno strumento a disposizione del medico e del paziente. La relazione medico-paziente è invece l'essenza del problema. Il paziente ha bisogno di affidarsi a una persona di fiducia, intessendo con il curante un rapporto fatto di competenza, abilità e philía, ha la necessità di comunicare e di essere ascoltato, di toccare e di essere toccato, perché il gesto è taumaturgico e non può essere sostituito da fili cavi o reti telematiche. A sua volta il medico è tale se cura il paziente usando consapevolmente e responsabilmente tutte le innovazioni farmaceutiche o le strumentazioni diagnostiche che la tecnologia gli mette a disposizione, senza paura di essere superato o espropriato del ruolo. Egli deve essere consapevole che la parte più importante della cura è il prendersi cura del malato, cioè entrare in una relazione profonda basata su un approccio biopsicosociale, che resta uno strumento unico e specifico della medicina di famiglia. *Vicepresidente Simmg (Società italiana medici di medicina generale) __________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’11 TELEMEDICINA: DIAGNOSI, TERIPIE E CONTROLLI: SI PUO FARE A DISTANZA Funzionano le sedute via computer Diagnosi, terapie e controlli: si può fare tutto a distanza Più prestazioni con meno spostamenti e spese V isite mediche a casa dialogando col medico via computer, esami e referti trasmessi per email, videoconsulti fra specialisti, monitoraggio in continuo dei pazienti, riabilitazione a domicilio grazie alla "connessione"con il terapista: la telemedicina sarebbe tutto questo e molto altro ancora. Il condizionale non è scelto a caso, perché di telemedicina si parla tanto, ma nei fatti se ne fa molta meno. I progetti e le sperimentazioni non mancano, tra l’altro quasi sempre con ottimi risultati, e continuamente ne vengono avviati di nuovi: gli ultimi esempi in ordine di tempo sono, fra gli altri, un progetto finanziato dalla Regione Toscana in atto presso la Asl di Grosseto per la tele riabilitazione di pazienti con trauma cranico, l’avvio di un telemonitoraggio di pazienti con problemi respiratori cronici alla Asl di Ferrara, il primo progetto italiano per la tele-riabilitazione di bambini autistici coordinato dall’Istituto di Fisiologia del CNR in avvio a Messina. Il problema è che tutte queste iniziative sono frammentarie e non c’è un programma comune per far decollare a livello nazionale quella che potrebbe essere la sanità del futuro, nonché un modo per contenere la spesa sanitaria. «I motivi per cui la telemedicina stenta a espandersi, nonostante le tecnologie attuali, sono numerosi — interviene Sergio Pillon, vicepresidente della Società Italiana di Telemedicina e Sanità elettronica —. Innanzitutto i medici, le Asl e i pazienti sono meno "maturi"di quanto si potrebbe credere: finché ci saranno medici che usano il pc come una macchina da scrivere o che utilizzano programmi datati e poco efficienti, è difficile che la telemedicina si diffonda. E anche i pazienti devono avere la connessione internet ed essere capaci di usare certi strumenti. Ci sono poi questioni di ordine legale, dalla tutela della privacy all’autenticazione di medico e paziente, che devono essere precisate al meglio» . «Manca anche una formazione adeguata dei medici in tema di telemedicina — aggiunge Francesco Amenta, presidente del Centro Internazionale RadioMedico che dal 1935 si occupa di teleassistenza ai marittimi, in pratica un servizio di telemedicina ante-litteram —. Perché le nuove tecnologie entrino davvero nella vita di tutti i giorni occorre tempo ed è necessario che tutti le conoscano e le accettino» . Anche all’estero le esperienze sono abbastanza variegate. Per trovare un modello che funzioni bisogna andare in Scandinavia, dove la telemedicina offre servizi tangibili ai cittadini. Qui si è dovuto fare di necessità virtù: molti abitanti vivono lontani dagli ospedali o sono addirittura irraggiungibili in inverno, così negli ambulatori spesso c'è solo un tecnico per eseguire gli esami e il tele-referto arriva da medici a chilometri di distanza. La Norvegia, non a caso, ospita il Centro di riferimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la telemedicina. Che cosa si può fare per rendere la telemedicina un po’ più concreta anche in Italia? «Intanto smetterla con le sperimentazioni e, imparando dalle esperienze che funzionano, renderle più "sistematiche", allargarle; poi bisogna superare l’arretratezza digitale, pensando a incentivi per riuscirci» risponde Pillon. Farlo in tempi brevi potrebbe aiutare non poco i conti della Sanità per una popolazione che invecchia. «La telemedicina consente di snellire i percorsi e risparmiare sui costi diretti e indiretti: pensiamo agli spostamenti per andare in ospedale o in ambulatorio, o a chi deve accompagnare parenti anziani alle visite prendendo permessi sul lavoro — osserva Amenta —. Per non tagliare l’assistenza bisogna migliorare l’efficienza dei servizi sul territorio: non aprire decine di ambulatori, ma far sì che quelli esistenti diventino un punto di collegamento telematico con grandi ospedali, come avviene in Scandinavia» . Resta un dubbio: i pazienti sono contenti di perdere il contatto reale con il medico? «Il pensiero che in ogni momento ci si può rivolgere a qualcuno, via email o perché si è sottoposti a tele- monitoraggio, per molti è tranquillizzante» considera Amenta. «Ma — aggiunge Pillon — per un paziente che abita a cinque minuti dall’ospedale il monitoraggio via email di una ferita ha il sapore dell’abbandono. La telemedicina si deve affiancare alle altre modalità di assistenza come il ricovero, il day hospital o l’ambulatorio: è insensato non sfruttarla, ma lo è anche volerla applicare sempre e comunque. Il medico non sparirà: soltanto, ci andremo un po’ meno di prima» . Elena Mel __________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’11 TELEMEDICINA: LONTANO DAGLI OCCHI MA NON LONTANO DAL CUORE In Italia le prime esperienze di telemedicina risalgono alla fine degli anni 70, quando si cominciarono a inviare a distanza gli elettrocardiogrammi. La cardiologia sembra fatta apposta per essere "teletrasmessa", visto che i dati dell’attività cardiaca sono in gran parte elettrici. Così, non a caso la cardiologia è il settore in cui la telemedicina ha fatto passi da gigante: oggi l’ipotesi di farsi monitorare costantemente il cuore, magari anche se si è sani, non è più futuribile. In questi giorni, ad esempio, è in partenza un progetto pilota che coinvolge il Centro Medico Sanpietro di Milano, Telecom Italia e STMicroelectronics. Ciascuno dei partner contribuisce con le proprie specificità: gli specialisti del centro medico; la soluzione di telemonitoraggio Nuvola IT -Home Doctor di Telecom Italia, che utilizza le nuove tecnologie del Cloud Computing, sperimentata con il nome di MyDoctor@Home presso l’Azienda Ospedaliera Molinette di Torino e in fase di diffusione in Piemonte su 5 mila pazienti in ospedalizzazione domiciliare in 3 anni; la soluzione integrata di ST, che garantisce la flessibilità necessaria alle specifiche esigenze di medici e pazienti. A 20 cardiopatici sarà applicato un "cerotto"sul petto che potrà rilevare tracciato cardiaco, ma anche frequenza respiratoria, attività motoria e posizione del corpo. Il sensore invierà allarmi in base al protocollo clinico, dati significativi rilevati e, su richiesta del medico, l’intero elettrocardiogramma a un cellulare in dotazione al paziente. Dal cellulare i dati saranno automaticamente trasmessi a una centrale operativa dove i cardiologi, 24 ore su 24, potranno valutare la situazione e, ad esempio, chiamare il paziente per chiedergli come sta o consigliargli una visita se vedono qualcosa di anomalo. Una vera sentinella del cuore, come spiega il direttore sanitario del Sanpietro, Marcello Ruspi: «Il punto critico è garantire in ogni momento la presenza di un adeguato numero di cardiologi nella centrale operativa, per far fronte alle richieste che potrebbero verificarsi contemporaneamente. È questione di organizzazione: il futuro è questo, e verosimilmente entro breve questo tipo di tecnologia potrà essere offerto a moltissime persone. Penso, ad esempio, a chi per lavoro viaggia molto e vuole essere monitorato e seguito ovunque si trovi, anche se magari non ha avuto particolari problemi c a r d i a c i , sfruttando l a pervasività delle reti radiomobili che consentono di essere connessi praticamente in ogni luogo. Un monitoraggio a tutto tondo come questo potrebbe essere vantaggioso anche per gli anziani che vivono soli, oppure per chi abita in aree isolate e lontane da presidi di pronto soccorso» . Un altro esempio di impiego di queste tecnologie è la sperimentazione in corso presso il Centro Cardiologico Monzino di Milano, dove un dispositivo in grado di accendersi e registrare i dati, inviandoli ai cardiologi solo in caso di anomalie del ritmo, è utilizzato per un periodo di 7 giorni su pazienti con sospette aritmie. «Il progetto dovrebbe coinvolgere un migliaio di pazienti nel giro di un anno, da gennaio ne stiamo seguendo più di 200 — racconta Gianluca Polvani, responsabile di Telemedicina Cardiovascolare al Monzino —. Lo stiamo sperimentando sia per la diagnosi di soggetti con sintomi di aritmie, sia per il controllo di pazienti con fibrillazione atriale. Oggi prima di avere una diagnosi e iniziare un trattamento possono passare settimane dalla comparsa dei sintomi, "perse"fra la visita cardiologica, l’applicazione di un holter cardiaco, la valutazione dei risultati: con un monitoraggio continuo di questo tipo, invece, nel giro di un paio di settimane il paziente ha già la cura più adatta per lui» . Al Monzino da anni vengono seguiti in telecardiologia i pazienti reduci da un intervento cardiochirurgico, attraverso un protocollo che si è guadagnato una certificazione ISO ed è diventato un modello internazionale da seguire: il paziente, nella tranquillità di casa sua, fa l'elettrocardiogramma, misura la pressione, il peso, risponde ad alcune domande degli operatori che telefonano regolarmente (come in reparto, c’è il "giro"dei medici al mattino, dopo pranzo e alla sera). Il telemonitoraggio dura fino a tre settimane dopo le dimissioni dall’ospedale, copre cioè il periodo più critico per le complicazioni post-intervento; il Centro ha già seguito a casa un migliaio di pazienti, riducendo del 55%i costi rispetto a un ricovero in riabilitazione cardiovascolare. «Gestiamo a domicilio il 15-18%degli operati, potremmo arrivare al 40%— dice Polvani —. In futuro avremo un numero sempre maggiore di strumenti per il monitoraggio a distanza: sono in arrivo sensori che "prevedono"lo scompenso cardiaco e ci consentiranno di prevenire crisi acute richiamando tempestivamente il paziente in ambulatorio. Un paziente cardiovascolare su due potrebbe essere seguito a distanza grazie alla telemedicina» . Servono però "centrali"di analisi e gestione dei dati; al Monzino con tre medici e tre infermieri gestiscono circa mille pazienti. Ampliare le possibilità di tele-monitoraggio, insomma, non sembra impossibile. E. M __________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’11 TELEMEDICINA: UNA MANO-ROBOT PER IL BISTURI A tre metri o a tremila chilometri dal malato I robot chirurgici sono stati pensati e sperimentati soprattutto da medici militari per poter operare in situazioni molto difficili, in ospedali da campo durante i conflitti. Si era pensato che un chirurgo robot, manovrato a distanza da un chirurgo in carne e ossa al sicuro a chilometri di distanza, potesse essere la soluzione. Il chirurgo robot, invece, oggi si chiama Da Vinci e viene usato nelle strutture più all’avanguardia del mondo. «Esistono ancora limiti che non rendono possibile l’utilizzo del robot chirurgico per interventi a grande distanza — spiega Andrea Coratti, direttore della Scuola internazionale di Chirurgia robotica di Grosseto, punto di riferimento mondiale per questa tecnica —. La trasmissione del segnale diventa imprecisa e ha ritardi di frazioni di secondo che possono pregiudicare i risultati, inoltre accanto al tavolo operatorio deve comunque essere presente un chirurgo che possa intervenire se qualcosa va storto. Per questi motivi la tele-chirurgia si pratica ancora soltanto a livello sperimentale» . Chi manovra il chirurgo robot è invece in sala operatoria o poco fuori e Da Vinci è una risorsa preziosa per moltissimi interventi. «Dopo gli Stati Uniti, l’Italia è il Paese con maggior numero di robot chirurghi e dove si eseguono più interventi con questa tecnica che, di fatto, è l’evoluzione della chirurgia mininvasiva laparoscopica — spiega Coratti — . Si opera attraverso minuscoli forellini dove entrano le "braccia"del robot, c’è minor sanguinamento, minor dolore, un recupero più rapido. Il robot, in più, consente un'esecuzione tecnica migliore: il sistema visivo è in 3D ad alta definizione, gli strumenti robotici possono fare movimenti più precisi, più fini e ampi. Il robot ha reso operabili in laparoscopia, con migliori risultati, pazienti che prima non potevano essere trattati per via mininvasiva ed è indicato nei casi ad alta complessità, dove fa davvero la differenza» . «Il robot si è rivelato utilissimo, per esempio, nella chirurgia della prostata, in quella renale, per risparmiare l’organo» spiega Ottavio De Cobelli, direttore dell’Urologia all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, centro di riferimento europeo per la chirurgia robotica urologica. «Ed è usato molto anche per i tumori femminili: — aggiunge Angelo Maggioni, direttore della Ginecologia allo IEO— si rispettano di più i tessuti circostanti, si riduce la sofferenza» . Di fatto, anche i pazienti, in generale, reagiscono bene all’idea di essere operati da un robot. Resta, però, la questione dei costi. I maggiori esperti italiani, riuniti a Forlì per un convegno durante il quale hanno valutato sia l’efficacia della tecnica sia le spese necessarie ad acquistarla e mantenerla, sono giunti alla conclusione che il robot è un indubbio vantaggio, per il quale si paga una cifra importante. Il prezzo dell’ultimo modello si aggira intorno ai due-tre milioni di euro; a oggi sono circa 50 gli ospedali, quasi tutti pubblici, che hanno un robot (alcune strutture, come l’Istituto europeo di oncologia e il San Raffaele a Milano, dopo valutazioni mediche ed economiche hanno deciso di comprarne un secondo; l’ospedale di Grosseto ha già acquisito il terzo). «Diversi studi ed esperienze italiane hanno però dimostrato che i costi si possono abbattere: con un utilizzo multidisciplinare, con una scelta mirata dei pazienti, con un adeguato addestramento dei chirurghi e di tutto il personale medico» dice Domenico Garcea, direttore del Dipartimento di chirurgia dell’Ausl forlivese. FrancaMelfi, esperta in chirurgia robotica toracica, riporta i dati uno studio promosso dalla Chirurgia toracica dell’Università di Pisa: «Se si usa il macchinario per circa 300 interventi all’anno, la chirurgia robotica non soltanto non è dispendiosa, ma consente anche di risparmiare risorse. Basandosi su questo principio la Regione Toscana ha approvato un progetto di ampliamento della robotica "economicamente compatibile". In pratica, la Regione ha stanziato i fondi per l’acquisto di nuovi robot, che verranno usati però in modo inter-dipartimentale: fisicamente allocati in alcune strutture verranno usati a turno da più chirurghi di più ospedali» . Dalle conclusioni del convegno di Forlì emerge un’ultima fondamentale regola: per utilizzare il robot serve una precisa e adeguata formazione. «È come guidare un’auto di Formula uno: non tutti siamo capaci e, in ogni caso, per essere bravi piloti bisogna prepararsi molto e aggiornarsi costantemente» esemplifica Garcea. «Bisogna acquistare destrezza e, come in ogni campo, s’impara e si migliora con la pratica— spiega Paolo Bianchi, direttore dell’Unità di chirurgia mini invasiva all’Istituto europeo di oncologia e membro fondatore della Clinical robotic surgical association —. In questo modo, non solo si garantisce la migliore riuscita dell’intervento per i pazienti, ma si limitano le spese (di usura, di costose attrezzature monouso, di tempo). Il robot è uno strumento che agevola il chirurgo e rende possibili interventi mininvasivi sempre più complessi che, con la tecnica laparoscopica tradizionale, sarebbero molto lunghi e praticabili solo da pochi chirurghi molti esperti» . Elena Meli e Vera Martinella ____________________________________________________ TST 22 giu. ’11 "SO AL 93% COSA FARETE: SIETE TUTTI PREVEDIBILI" Le ricerche della "network theory" sui comportamenti umani "Obbediscono alla logica dei lampi, tra frenesia e pigrizia" GABRIELE BECCARIA Siamo prevedibili. Così banali da far ghignare di gioia gli spioni che controllano ogni nostro movimento e decisione, lungo un'infinita scia di foto, video, tracce fisiche ed elettroniche. Ed è proprio l'universo della sorveglianza 24 ore su 24 e dei social networks, a cui entusiasticamente ci abbandoniamo, a erigere oggi il più mastodontico archivio dei comportamenti individuali e collettivi: esplorando i suoi segreti e saccheggiandone i dati, un fisico della Northeastern University, AlbertLàszló Barabàsi, sta costruendo la sua teoria, affascinante e controversa. E' convinto che le azioni umane si muovano lungo modelli decifrabili (e dunque prevedibili) e ha cercato di dimostrarlo con un saggio, «Lampi», nel quale annoda e riannoda il presente e il passato ed eventi in apparenza scollegati, come l'era dei cellulari e della mobilità compulsiva con l'epoca delle rivolte contadine nell'Ungheria del XVI secolo. Professore, la «network theory» - la teoria delle reti - ipotizza che viviamo e agiamo attraverso una serie di «bursts», lampi di frenetica attività inframmezzati a lunghi periodi di calma e perfino di passività: è solo colpa di una malaccorta gestione del tempo che non ci basta mai o ci sono anche ragioni biologiche e genetiche? «In realtà questo tipo di comportamento si può osservare in un vasto campione di sistemi, compresi i processi che hanno luogo all'interno delle nostre cellule. E anche la stessa attività dei geni segue il modello dei "lampi". Questo, però, non significa che ci siano delle ragioni note di tipo genetico. E' probabile che il motivo principale dei "bursts" sia legato al modo con cui prendiamo le decisioni e le distribuiamo nel tempo, vista la quantità di compiti che dobbiamo affrontare in contemporanea». Lei pensa- che e-mails e social networks stiano trasformandoci? Siamo oggi più scontati di quanto non fossimo nel passato, nelle epoche pre- high tech? «Sotto certo aspetti le e-mails, il social networking e i cellulari, in effetti, ci cambiano. E tuttavia non ci rendono più prevedibili. Grazie a questi strumenti elettronici, semmai, le nostre azioni diventano più semplici da seguire e da misurare e in alcuni casi la precisione di queste analisi può essere sorprendentemente alta». Un esempio? «Si è scoperto che i nostri modelli di mobilità presentano un 93% di prevedibilità: significa che diventa possibile scrivere un software che predica i nostri futuri spostamenti con un livello di precisione pari a 93 su 100». Se siamo così «trasparenti», quali trucchi ci restano per sfuggire alla «società della sorveglianza» che minaccia di- comprimere la nostra libertà e il diritto alla privacy? «Abbiamo sempre la libertà di cambiare i nostri comportamenti, anche in modo drastico, ma la verità è che lo facciamo di rado. Almeno in linea teorica tutti possiamo abbandonare il lavoro e cambiare casa, cominciando da zero uno stile di vita libertario e anarchico. Poche persone, però, scelgono di farlo davvero. La maggior parte di noi è intrappolato sia nel tempo sia nello spazio: non è pensabile aprire un nuovo business a mezzanotte, se i clienti vogliono venire a mezzogiorno. Significa che siamo costretti a seguire modelli preordinati e conformisti». Ma come pensa di riuscire a combinare questa prevedibilità degli individui con le continue sorprese dei comportamenti sociali e degli eventi collettivi? La storia è molto meno scontata di quanto lei non suggerisca. «I processi storici rappresentano la somma di milioni di scelte individuali e, quindi, è perfettamente logico che le diverse componenti possano essere prevedibili, mentre il sistema - nel suo complesso – risulta più difficile da studiare. Le leggi di Newton, per esempio, forniscono la traiettoria delle molecole in un gas e, tuttavia, è impossibile prevedere quella di trilioni di particelle, senza dimenticare che si deve tenere conto di una serie di altri elementi come la temperatura, la pressione o la viscosità. Ecco, quindi, dove si colloca la sfida scientifica: come sia possibile innalzarsi dalle azioni di miliardi di singole persone fino alla società nella sua globalità. Al momento non abbiamo ancora una risposta, ma è proprio questo il "Santo Graal" della complessità». Nel libro lei ha raccolto una serie di esempi delle «power laws» - le leggi di potenza - che ci governano (o ci governerebbero), dall'irregolare corrispondenza di Albert Einstein alte disavventure di un artista americano con l'Fbi: crede di poter estendere queste invisibili linee al futuro prossimo e di tentare qualche previsione sull'evoluzione di una serie di tendenze attuali, dalle mode alla finanza? «Le "power laws", di per sé, non sono uno strumento di previsione, perché, in realtà, rappresentano una caratteristica dei nostri comportamenti. E c'è da aggiungere che queste leggi sono piuttosto stabili e costanti nel tempo: erano le stesse un decennio fa e ritengo che persisteranno invariate anche nel futuro. Questa è già - essa stessa - una previsione: è proprio la permanenza delle leggi che caratterizzano i sistemi complessi come la nostra società >. Lei scrive che non siamo altro che «robots sognanti»: non lo trova un giudizio inquietante? «I nostri sogni sono liberi di fluire. Sono le nostre azioni a essere profondamente prevedibili ____________________________________________________ Il secolo XIX 22 giu. ’11 I MANCINI? LO FANNO MEGLIO Come aiutare i bambini Sono più creativi e veloci, si laureano e guadagnano di più L’importante è assecondarli da bambini COSA hanno in comune il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e Fidel Castro? O Carlo d'Inghilterra e la regina Elisabetta? Che sono tutti mancini. Proprio come Valentino Rossi, Bruce Willis, Demi Moore, Sylvester Stallone, Tom Cruise e tanti altri personaggi celebri di ogni epoca, da Alessandro Magno a Michelangelo. E sono in buona compagnia, visto che coloro che usano la mano sinistra costituiscono 1'11% della popolazione mondiale. E pensare che un tempo essere mancini era considerato, se non proprio una maledizione, almeno un difetto da correggere. Oggi, al contrario, è ritenuto un segno di genialità. Se nel 1630 il poeta spagnolo Francisco de Guevedo scriveva che «i mancini sono gente che non può fare cose diritte, gente fatta a rovescio», oggi i genitori sanno che, se il loro bambino è sinistrorso, da adulto avrà il 18% di probabilità in più di laurearsi e di guadagnare in media fino al 21% in più di quegli stessi compagni di scuola che lo prendevano in giro. La scienza ha dimostrato che l'essere mancini non è un handicap, e che dipende dalla presenza di un particolare fattore genetico, ovvero dal gene che controlla quale emisfero del cervello sia predisposto al controllo delle emozioni e del linguaggio. Tuttavia, il bambino mancino può in realtà ancora incontrare molte difficoltà a inserirsi in un mondo dominato dai destrorsi, in una società in cui gli oggetti, dai computer fino alle automobili, dalle penne alle forbici, dai coltelli agli apribottiglie, sono pensati e costruiti per chi usa la mano destra. Come si può aiutare, quindi, il bambino mancino? Secondo gli esperti della Abertay University of Dundee, in Scozia, e della Queen's University of Belfast, in Irlanda, fra i maggiori centri di studio del mancinismo al mondo, bisogna compiere tre passi: capire, non ostacolare e assecondare. Capire significa individuare, il prima possibile, l'orientamento del proprio figlio attraverso, ad esempio, i test dell'applauso o dell'occhio dominante che riportiamo qui a fianco. Addirittura gli scienziati del Fetal Behaviour Research Centre of Belfast sostengono che l'orientamento all'uso delle mani sia sviluppato già nei feti e che sia sufficiente una serie di semplici ecografie per individuare se il nascituro è mancino. Il secondo passo è non ostacolare. Il principale problema che il bambino mancino incontra è quello della scrittura: copre con la mano le parole che sta scrivendo e si macchia. Ma non è giusto correggerlo. In età prescolare, qualsiasi divieto viene interpretato come una proibizione a compiere l'atto stesso. E la forzatura contro una naturale predisposizione è una violenza cui il bambino può rispondere in modo grave. In altre parole, correggere il bambino significa forzarlo a utilizzare la parte del cervello a lui innaturale, con conseguenti squilibri psicologici che possono essere l'anticamera di tic nervosi o balbuzie. Al contrario, dicono i ricercatori scozzesi e irlandesi, bisogna assecondare le loro inclinazioni. Ovvero, i bambini mancini si accorgono presto da soli di vivere in un mondo non concepito a loro misura. Il cavatappi "gira nel verso sbagliato", le forbici non tagliano, il pennarello macchia le mani. Per questo adattano il mondo intorno a loro: disegnano con il foglio spostato o tagliano le pietanze aiutandosi con il bordo del piatto. Piccoli accorgimenti che possono, è vero, far sembrare buffo il bambino, ma che sono anche una testimonianza d'impegno e consentono di trovare una soluzione personale ai problemi che si presentano. Capire, non ostacolare e assecondare. Basta questo. E niente paura: statisticamente, il 42% per cento dei bambini mancini diventa primo della classe. TUTTI I PERCHÉ DELLA STNISTRA È EREDITARIO? È un fattore genetico, ma non dominante: perché un bambino nasca mancino basta che abbia anche un solo zio o un nonno mancino A CHE ETÀ SI SCOPRE? Mancini si è per nascita, ma fino ai 3 anni spesso si usano entrambe le mani SONO PIÙ CREATIVI? I mancini hanno l'emisfero destro del cervello più sviluppato: si pensa che siano più portati per le arti PIÙ ABILI NEGLI SPORT? Hanno una maggiore velocità di riflessi e un vantaggio sui destrimani di 15/20 millesimi di secondo, fondamentali in tennis e scherma ESISTE UNA FESTA? Sì, la "Left Handed Society", la più grande comunità online di mancini, ha scelto per la Giornata mondiale il 13 agosto Come "smascherare" un bimbo mancino: L'APPLAUSO È la prova più semplice da effettuare: chi batte la mano destra sulla sinistra è destrimane, chi fa il contrario è mancino. Se un bambino batte le mani in modo simmetrico o verticale, si può provare a ripetere il test facendogli poggiare le mani sulle gambe e dicendogli di applaudire tenendo una mano ferma e battendovi sopra con l'altra. La mano che muove è quella dominante L'OCCHIO Fate un buco del diametro di circa un centimetro al centro di un foglio. Dite al bimbo di tenere il foglio con le due braccia tese davanti a sé e fategli inquadrare attraverso il foro e con entrambi gli occhi aperti un oggetto posto a qualche metro di distanza. Fategli chiudere uno dopo l'altro gli occhi: riuscirà a vedere l'oggetto solo con uno dei due. Quello è il suo occhio dominante mancini nel mondo In Europa sono addirittura il 20% ma la percentuale scende al 14% in Italia 42% diventa primo della classe __________________________________________________ Sanità News 24 giu. ’11 ANAAO SULLA PROROGA AL 13 SETTEMBRE DEI CERTIFICATI ONLINE Il Ministero della Funzione Pubblica, con la proroga al 13 settembre del sistema di trasmissione telematica dei certificati, ha dichiarato conclusa la “pratica” certificazione online. Ma l’Anaao Assomed non condivide questo entusiasmo. “Potrà essere conclusa per la commissione di controllo, per l’INPS, per il Ministero della Funzione Pubblica, in considerazione del raggiungimento (finalmente!) di un buon livello di affidabilità strettamente tecnica - ha dichiarato Costantino Troise, Segretario Nazionale dell’Anaao Assomed -. Ma non per i medici che operano in ospedale laddove sono ancora rilevanti le carenze strutturali e scarsa la implementazione del sistema, in particolare nell’area dei Pronto Soccorso. Ove accorrono i cittadini che devono, entro le 24 ore dall’inizio della malattia, trasmettere al proprio datore di lavoro la certificazione, specie nei periodi di chiusura degli studi dei propri Medici di Medicina Generale. Queste difficoltà – prosegue Troise - ancora tutte da risolvere erano state ampiamente previste dall’Anaao Assomed quando lanciavamo gli allarmi sulle pesanti ricadute che la certificazione online avrebbe avuto sulle già critiche condizioni di lavoro dei Pronto Soccorso. Avevamo anche anticipato come non era sufficiente il riconoscimento delle carenze strutturali degli Ospedali per la non applicabilità delle sanzioni nei confronti dei medici. L’impatto negativo e l’aumento di lavoro per gli operatori è ora tangibile con la conseguente distrazione dai compiti assistenziali.Le Regioni – conclude Troise - non possono più sottrarsi dall’obbligo di informare i cittadini che le strutture ospedaliere ed i Pronto Soccorso possono non essere attrezzati per fornire questo tipo di servizio, sottraendo i medici dall’obbligo di dichiarare, ogni volta che sono costretti ad emettere certificati cartacei, la impossibilità tecnica della trasmissione online, allo stesso tempo dichiarandone la non perseguibilità". (Sn) __________________________________________________ Sanità News 24 giu. ’11 LA GENETICA FA LUCE SUL 30% DELLE NEUROPATIE INSPIEGABILI Nelle mutazioni genetiche di un gene risiede la causa del 30% delle neuropatie finora ritenute ''inspiegabili''. E' quanto emerge da uno studio pubblicato su Annals of Neurology da un gruppo di ricercatori della Yale University e del Veterans Affairs Medical Center di West Haven, negli Stati Uniti, e dell'Universita' di Maastricht, nei Paesi Bassi, che avrebbero individuato, nel gene SCN9A, l'origine di molte neuropatie periferiche, disturbi per i quali ancora non esiste un trattamento, caratterizzati dalla degenerazione dei nervi e dal dolore che puo' manifestarsi anche in modo molto severo. Lo studio e' stato condotto su 28 pazienti affetti da neuropatie ''senza causa nota'', scoprendo che il 30% di questi soggetti presentava mutazioni nel gene SCN9A. __________________________________________________ Corriere della Sera 26 giu. ’11 PSA: SERVE ANCORA IL TEST DI CONTROLLO PER LA PROSTATA? Gli uomini curano più l’auto che se stessi I l «Psa» (test del sangue che misura l’antigene prostatico specifico) è al centro delle discussioni scientifiche da tempo. Sui modi del suo utilizzo e sulla sua efficacia non c’è un consenso unanime fra gli specialisti. Su due punti però tutti concordano: farne un uso mirato per determinate categorie di uomini e valutare bene l’esito del test prima di procedere con qualsiasi altro esame o intervento per evitare diagnosi e trattamenti inutili. Dal congresso della Società italiana di urologia oncologica, tenutosi nei giorni scorsi a Napoli, arrivano indicazioni per fare chiarezza: «Valori elevati di Psa provano la presenza di un disturbo della ghiandola prostatica: — spiega Giario Conti, responsabile dell’urologia Sant’Anna di Como — può essere un’infiammazione, un’infezione o un tumore» . Diversi studi hanno dimostrato che il Psa non è adatto per lo screening di massa a cui sottoporre periodicamente tutti i maschi di una certa età, come si fa con la mammografia per il cancro al seno o con il sangue occulto nelle feci per il colon. «È utile invece— dice Conti, che è anche presidente Auro (Associazione urologi italiani) — per i soggetti a rischio, quelli che hanno una familiarità positiva per carcinoma della prostata e che dovrebbero eseguire il test almeno una volta tra i 45 e i 50 anni: sulla base del risultato si possono poi disegnare le strategie dei controlli e la frequenza» . Per la diagnosi precoce di un tumore oggi sono poi disponibili (non rimborsabili dal Sistema sanitario nazionale perché ancora "sperimentali") i nuovi test PCA3 e -2proPSA che, affiancati al Psa, possono aiutare a prendere decisioni in situazioni dubbie. Nulla, per ora, sostituisce la biopsia come strumento per la diagnosi certa, «ma— chiarisce Conti — un valore molto elevato di PCA3, per esempio, potrebbe spingere a effettuare una biopsia prostatica anche in pazienti con Psa non altissimo. E il -2proPSA potrebbe darci informazioni in più sull’aggressività o meno di un carcinoma prostatico» . Capire se un tumore progredisce velocemente è importante per la possibilità di inserire i pazienti in un programma di sorveglianza attiva invece che sottoporli subito a una cura. «Di fronte a una diagnosi di tumore esistono varie possibilità e non sempre è necessario "fare qualcosa"— sottolinea Riccardo Valdagni, direttore del Programma Prostata all’Istituto Tumori di Milano —. Tutto dipende dall’estensione e dall’aggressività del tumore e dalle caratteristiche del paziente, la sua età, le eventuali malattie concomitanti» . Nelle forme iniziali, quando la malattia è localizzata alla prostata, l’intervento di prostatectomia radicale, la radioterapia e la brachiterapia possono essere usate come alternative terapeutiche che, a parità di efficacia, presentano effetti collaterali differenti (diverse percentuali di incontinenza e impotenza). Ma se il carcinoma è piccolo e poco aggressivo ci si può affidare a programmi di sorveglianza attiva: «Si fanno visite ed esami a distanza di mesi — spiega Valdagni— e s’interviene con una terapia solo se il tumore cambia comportamento» . E quando l’aspettativa di vita del malato per motivi fisiologici o per altre patologie, è inferiore a 10 anni, in presenza di un tumore a basso rischio di progressione, c’è la vigile attesa: si fanno solo controlli (visita e Psa, non biopsie), più dilazionati rispetto alla sorveglianza attiva, preservando la qualità di vita del paziente evitandogli terapie inutili, visto che arriverà alla fine della sua vita per cause diverse dal cancro. Vera Martinella __________________________________________________ Sanità News 21 giu. ’11 LE MORTI IN CULLA SONO DIMUNUITE DEL 60% Sono 4 le azioni fondamentali per la prevenzione che, insieme alla ricerca condotta anche dall'Istituto Gaslini, stanno portando negli ultimi anni ad una diminuzione del 60% dei casi di ''morte in culla''. ''Recenti studi - spiega Pasquale Di Pietro, direttore del Dipartimento di Emergenza del Gaslini in occasione del primo corso sulla morte improvvisa del lattante - hanno permesso di escludere alcune di queste morti, individuando nuove malattie quali difetti dell'ossidazione degli acidi grassi, sindrome di Romano-Ward, tra i reali responsabili dei decessi, precedentemente attribuiti alla Sids (Sudden Infant Death Syndrome)''. Importantissimi i 4 punti su cui si basa la prevenzione: far dormire il neonato sulla schiena, evitare il fumo in gravidanza e, alla nascita del bimbo, negli ambienti dove vive, non coprirlo troppo e mantenere la temperatura ambientale sui 18-20 gradi, infine si' al ciuccio nel sonno dopo il primo mese di vita. La Sids, comunemente conosciuta anche come ''morte in culla'', e' stata classificata come malattia a se' stante nel 1969. Si verifica, in lattanti sani, generalmente durante il sonno e rimane inspiegata anche dopo l'esecuzione di un'indagine completa comprendente l'autopsia, l'esame delle circostanze del decesso e la revisione della storia clinica del caso. Nonostante la sua relativa rarita' rappresenta la prima causa di morte tra il primo mese ed il primo anno di vita e il 60% dei bambini che muoiono sono di sesso maschile.(Sn) __________________________________________________ Sanità News 21 giu. ’11 AL PRONTO SOCCORSO DELLA ASL DI SASSARI IL KIT PER LA TERAPIA INTRAOSSEA Il Pronto soccorso della Asl di Sassari ha in dotazione un kit per la terapia intraossea che consentira' al personale della struttura di Viale Italia di disporre di uno strumento salvavita. La strumentazione, un dispositivo a batteria di dimensioni contenute con set ago cavo a punta smussa, e' un dispositivo progettato per intervenire nel momento in cui, nel paziente politraumatizzato o in arresto cardiaco, non sia possibile effettuare l'accesso venoso per la somministrazione delle terapia, perche' non si ''trova'' appunto la vena per somministrare attraverso l'ago cannula i farmaci, i liquidi o il sangue. Il piccolo apparecchio allora consente l'accesso vascolare intraosseo sicuro e controllato. Con un ago apposito, posizionato nella parte mediale della tibia, il medico o l'infermiere riescono a forare l'osso tibiale, all'interno del quale e' presente la cavita' con il midollo osseo. Si crea cosi' una comunicazione stabile e sicura che consente l'accesso nello spazio intraosseo. I fluidi e i farmaci somministrati raggiungono il sistema vascolare centrale immediatamente. L'apparecchio e' stato sviluppato per pazienti di ogni eta' e peso, dai neonati agli adulti e si sta diffondendo, in adesione alle linee guida internazionali, per la gestione delle emergenze. (Sn) __________________________________________________ Le Scienze 24 giu. ’11 PAZZI PER LA CITTÀ: ATTENTI ALLO STRESS Uno studio, condotto utilizzando la risonanza magnetica funzionale, ha mostrato come due distinte regioni cerebrali che regolano le emozioni e lo stress vengano influenzate dalla vita in città Nascere e crescere in una grande area urbana è un fattore di rischio per disturbi psicologici quali ansia e disturbi dell’umore nel corso della vita, ma finora non esisteva alcuno studio in grado di chiarire la biologia di questa correlazione. Un nuovo studio internazionale guidato da Jens Pruessner del Douglas Mental Health University Institute colma ora questa lacuna, mostrando come due distinte regioni cerebrali che regolano le emozioni e lo stress vengano influenzate dalla vita in città. “Precedenti studi avevano mostrato come il rischio di ansia è del 21 per cento maggiore per le persone che vivono in città, che hanno anche un rischio di disturbi dell’umore maggiore del 39 per cento”, ha spiegato Pruessner. “Oltre a ciò, l’incidenza della schizofrenia è quasi doppia nella popolazione nata e cresciuta in città. Si tratta di cifre che destano preoccupazione e la determinazione della biologia sottesa al disturbo è il primo passo per porre rimedio a questo trend”. Pruessner e colleghi hanno studiato - grazie al protocollo “Montreal Imaging Stress Task” (MIST) da loro stessi sviluppato e basato sulla tecnica di risonanza magnetica funzionale - l’attività cerebrale di un gruppo di volontari in salute vissuti in aree sia urbane sia rurali. L’analisi dei dati raccolti ha mostrato come la vita in città fosse associata a una più intensa risposta di stress dell’amigdala, un’area del cervello coinvolta nella regolazione emotiva e nell’umore. Inoltre, l’essere cresciuti in un contesto urbano è risultato associato all’attività della corteccia cingolata, una regione coinvolta nella regolazione degli stati affettivi negativi e dello stress. “Questi risultati suggeriscono come differenti regioni cerebrali siano sensibili all’esperienza di vivere in città per diversi periodi nel corso della vita”, ha concluso Pruessner. “Occorreranno ulteriori studi per chiarire la correlazione tra psicopatologia e stati affettivi in soggetti con disturbi mentali e salute in generale. Questi risultati contribuiscono a migliorare la nostra comprensione dell’ambiente urbano come fattore di rischio per i disturbi mentali e la salute in generale. Oltre a ciò, si tratta di un punto di partenza per arrivare a un nuovo modello dell’interfaccia tra sicenze sociali, neuroscienze e politiche sociali per rispondere ai problemi sanitari connessi ai fenomeni di urbanizzazione”. (fc) __________________________________________________ Sanità News 24 giu. ’11 LA MUTAZIONE DEL GENE DAT E' ASSOCIABILE AL DISTURBO BIPOLARE Identificata una mutazione nel gene DAT (dopamine transporter) specificamente associata al disturbo bipolare, ma non alla schizofrenia e alla depressione. Lo dimostra uno studio pubblicato su Neuropsychopharmacology, frutto della collaborazione di ricercatori italiani e statunitensi. Analizzando la presenza di varianti mutate di DAT in autopsie cerebrali di pazienti affetti da diversi disturbi del sistema nervoso centrale - come disturbo bipolare, schizofrenia e depressione - i ricercatori hanno osservato che diverse mutazioni in questo gene possono essere coinvolte nello sviluppo di queste patologie, ma solo la forma rs27072 e' risultata significativamente associata al disturbo bipolare. Gli autori affermano che ''questo risultato supporta il ruolo centrale di DAT nel disturbo bipolare''. Per approfondimenti(Sn)