RASSEGNA STAMPA 16/10/2011 UNIVERSITÀ, APPROVATO IL NUOVO STATUTO APPROVATO LO STATUTO. NASCE LA VECCHIA UNIVERSITÀ? STATALE, ARRIVA IL NUOVO STATUTO «MAGGIOR SPAZIO AI DIPARTIMENTI» L'UNIVERSITÀ, E IL FUTURO DELLA RICERCA TAJANI«NON RELEGHIAMO LA RICERCA NELLE UNIVERSITÀ» RICERCA SCIENTIFICA E PARADOSSI ITALIANI LE MIGLIORI ACCADEMIE: IN CLASSIFICA STATALE E BICOCCA RIFORMA GELMINI, NUOVO TASSELLO GLI STUDENTI: NO ALLA GELMINI "HA FATTO SOLO DANNI COMMISSIONI «CHIUSE» AL PROF CHE NON PUBBLICANO AREA11: LA CITAZIONE E’ UGUALE PER TUTTI NELL'ERA DELL'UMANESIMO 2.0 IL SAPERE DIVENTA CONDIVISO UN MILIARDO SOLO AL SUD: IN RIVOLTA I RETTORI AL NORD PRONTI 1,6MILIARDI PER LA RICERCA PER I TIROCINI DISPONIBILI 26.364 POSTI OMBRE SUGLI INTRECCI TRA RICERCATORI E CORPORATION L'ITALIA NON È UN PAESE PER GIOVANI DAL CERN AL GRAN SASSO SI PASSA PER LA SARDEGNA CI MANCAVA SOLO IL NEUTRINO PIÙ VELOCE DELLA LUCE ALLA LUCE IL PAPÀ DI TUTTI I SARDI LE NANOTECNOLOGIE SONO UN «MIRACOLO» O UNA «MINACCIA»? ISTITUTI TECNICI SUPERIORI: NEL LAZIO È GIÀ FLOP UNIVERSITÀ, CORSA A CHIMICA LA LAUREA SENZA PRECARIATO LO SPETTRO DI LASCAUX SULLE GROTTE DI ALTAMIRA LE ARSELLE VERACI SOCCOMBONO ALLE FILIPPINE CAGLIARI, L’INPS IN AFFITTO DA ZUNCHEDDU ========================================================= LOMBARDIA SENZA MEDICI: APRIAMO IL NUMERO CHIUSO QUANDO IL NUMERO DI MEDICI DIVENTA UNA «MALATTIA» INSEGNAMENTO DI MEDICINA: SARÀ PUNTO E A CAPO MEDICINA, NUOVA MAPPA DEL POTERE NUMERO CHIUSO A SORPRESA: 858 POSTI RIMASTI VACANTI MESSINA, TEST ANNULLATI A MEDICINA SOPRUSI E TRASFERIMENTI, AL BROTZU MONTA LA POLEMICA SAN RAFFAELE, IL PIANO PROFITI NON CONVINCE RIFORMA SANITARIA, OBAMA COSTRETTO A UNA PARZIALE MARCIA INDIETRO CELLULARI PIENI DI BATTERI: A LONDRA «COLPITO» ALMENO UNO OGNI SEI LAVARSI LE MANI A SCUOLA RIDUCE DAVVERO LE INFEZIONI SEMAFORO SPENTO SULLA 554, RIVOLTA A IS CORRIAS E SU PEZZU MANNU PROSTATE CANCER TESTS AGLI USA ARRIVA IL NO AL PSA PER CHI E’ SANO PSA: È LA QUALITÀ DELLA VITA IL VERO INDICATORE UN INEDITO MODELLO DELLA CRESCITA FETALE SCREENING COLLO UTERO: DUE TEST IN UNO DNA: LA LINGUA SEGRETA DEI GENI TRACCE DI METALLI PESANTI NEI MALATI DI SLA IN GARA CONTRO LA VITA SEDENTARIA LA STRANA STORIA DELLA “GLOBESITÀ” PSICOSI E AFFARI TBC, NEL 2010 È CALATO IL NUMERO DEI MALATI TUMORE SENO: CON LA MAMMOGRAFIA 45% DI MORTALITA' IN MENO L'ACIDO ZOLEDRONICO PROTEGGE LE OSSA DAI FARMACI PER LA CURA DEL TUMORE AL SENO ========================================================= _________________________________________________ L’Unione Sarda 13 Ott.’11 UNIVERSITÀ, APPROVATO IL NUOVO STATUTO Cda e Senato accademico tirano dritto, critiche dai rappresentanti degli studenti L’Università ha un nuovo Statuto. Ieri mattina, a maggioranza, è stato approvato un documento che, figlio di un serrato confronto, assimila con i necessari adeguamenti le misure introdotte dalla riforma Gelmini. Obiettivo raggiunto? La valutazione negativa arriva dagli studenti che, all’atto della votazione, sia in seno al Senato accademico che al Cda, hanno fatto (tranne il gruppo Uxs, che si è astenuto) mancare il loro supporto. Volontà che era stata già anticipata nelle fasi di discussione del testo congedato ieri. Il dissenso, tuttavia, non scoraggia il rettore: «Le posizioni di studenti e personale sono state fortemente condizionate da logiche di tipo politico sulla legge Gelmini. Sono certo che nella fase operativa tale dissenso potrà essere superato». IL RETTORE «Nell’elaborazione dello Statuto - sottolinea Giovanni Melis - è prevalsa l’esigenza di realizzare la necessaria convergenza su posizioni anche distanti tra loro, a difesa dell’autonomia». A riprova di scelte operate nel rispetto di una piattaforma di valori condivisa il rettore prosegue: «Il documento prevede la più ampia partecipazione democratica. In particolare, la presenza degli studenti è assicurata in tutte le fasi del processo decisionale in materia di didattica (dal Consiglio di corso di laurea fino agli organi collegiali, Cda e Senato accademico), così come la partecipazione del personale tecnico- amministrativo è stata ampliata nei diversi organi e nel “peso” sull’elezione del rettore». UNICA 2.0 Il gruppo di rappresentanza studentesca non ha approvato lo Statuto e spiega le ragioni della decisione: «Pur riconoscendo l’impegno della commissione statuto (cui abbiamo scelto di partecipare), degli organi accademici, del rettore e dell’amministrazione, e valutando come importante la rappresentanza di due studenti nel nuovo Cda, l’istituzione della commissione paritetica docenti-studenti ad ogni livello, la salvaguardia della partecipazione della componente studentesca all’elezione del rettore, riteniamo l’assenza della rappresentanza degli universitari nei consigli di dipartimento, organo alla base della governance secondo il modello previsto dalla legge, un attacco alla democrazia per noi inaccettabile. Gli scenari più critici da noi prospettati si sono alla fine concretizzati». UNITI E LIBERI Critica anche la posizione degli studenti espressa dall’altra sigla dei rappresentanti: «Utilizzando lo spauracchio del Ministero si è fatto passare, senza che il rettore ci abbia dato un adeguato spazio di dialogo, un testo incapace di cambiare nella sostanza la situazione di crisi del nostro Ateneo. Due le richieste che avremmo voluto vedere accolte: oltre alla presenza degli studenti dei corsi dei laurea nei consigli di dipartimento, abbiamo chiesto con forza che la nostra rappresentanza nel nucleo di valutazione venisse eletta dagli studenti o non dal consiglio degli stessi». Manuela Arca _________________________________________________ MULTIVERITAS 12 Ott.’11 APPROVATO LO STATUTO. NASCE LA VECCHIA UNIVERSITÀ? Il Senato e il Consiglio di amministrazione dell’Università di Cagliari hanno adottato e approvato il nuovo statuto dell’Università di Cagliari. Nessun giubilo ha accompagnato l’atto liberatorio. Vediamo cosa è successo ( e cosa potrebbe succedere). I nuovi equilibri accademici. Vincono le facoltà scientifiche. I nuovi equilibri dell’ateneo spostano decisamente verso Scienze, Farmacia, Ingegneria e Medicina l’asse del potere. Guadagnano fortemente peso nel nuovo Senato e saranno dunque in grado di far valere il loro giudizio nella composizione del futuro CdA. Nel vecchio Senato le facoltà umanistiche avevano un peso superiore a quello reale. Da ora in poi sarà l’inverso. Forse non è un male. D’altronde, negli anni recenti, questa forza non si è tradotta in reale egemonia politica e culturale. E la vicenda di questo Statuto ne è testimonianza. Dalle facoltà scientifiche sono venute le sole proposte di discussione che corrispondevano ad un’Idea di Università. Il risultato, d’altronde, esprime i reali rapporti di forza, materiali e simbolici, tra le diverse aree scientifiche dell’Ateneo. La debacle politica dell’area umanistica è, da questo punto di vista, l’espressione e il risultato di una debolezza strutturale. Le facoltà scientifiche hanno fatto valere in maniera arcigna i loro legittimi interessi, mentre un senatore, preside di Lingue, recita Foscolo. Un modello accademico nuovo? E’ ancora presto per dirlo. Si modifica la natura degli organi accademici ma prima di capire quale sarà il rapporto tra Dipartimenti-Senato e CDA occorrerà sperimentare i nuovi modi di regolazione nei processi di governo. Il tentativo di rompere con il vecchio modello accademico della Repubblica delle Facoltà – che costituisce il l’aspetto migliore della Legge Gelmini – però, se non è fallito, è certamente indebolito. La Legge Gelmini infatti non è stata uno strumento adatto per scardinare i vecchi e polverosi assetti di potere accademico. I dipartimenti probabilmente prenderanno il posto delle vecchie facoltà e ne svolgeranno la funzione. In sostanza, rischiamo di portarci appresso uno degli elementi patologici del vecchio sistema, cioè la difficoltà dell’Università di emergere come soggetto di governo forte rispetto agli interessi delle facoltà (da ora dei dipartimenti) in competizione tra loro. Il nemico è dentro di noi ed è la logica paternalistica (a volte tribalistica) e patrimonialista della cultura accademica italiana. La partita è aperta: ma la posta in gioco è questa: far emergere un governo di ateneo affrancato dagli interessi particolaristici e dalle camarille. Libero dal potere ricattatorio dei dipartimenti (o facoltà). Questo è stato uno dei temi di fondo del conflitto che si è svolto tra consiglieri e senatori in questi mesi. Il personale amministrativo. La maggioranza dei rappresentanti del personale ha votato contro lo Statuto. È il risultato paradossale di una serie di atti politici esagerati, plateali, inutili. Il personale si è infilato in un vicolo cieco. E ha finito per votare contro se stesso tirandosi fuori dalla comunità universitaria. Per i rappresentanti del personale si tratta di un sconfitta politica sonora. Hanno incendiato la base con proclami fasulli e inesatti. Hanno fatto credere al personale che fosse stata messa in questione la dignità degli amministrativi, pur non essendo vero. I sindacati maggioritari alle elezioni si sono trovati così scavalcati dai sindacati minoritari che hanno avuto buon gioco a prendere in mano una situazione in cui si mischiavano elementi di isteria e di indignazione montata ad arte. La maggior parte dei rappresentanti ha dunque rinunciato alle prerogative della propria funzione accettando di sminuire la portata del proprio mandato (elettivo) al ruolo di “portavoce” di un’assemblea la cui legittimazione è perlomeno discutibile. Il voto contrario allo Statuto pone inoltre il personale in una posizione di estrema debolezza. Nei prossimi mesi ci sono ancora numerosi nodi da sciogliere ma questa rottura pesa come un macigno sulla credibilità politica dei rappresentanti. Gli studenti ritrovano l’unità, da CL a rifondazione contro la Gelmini. L’opposizione su singoli punti marginali dello statuto non basta a spiegare questo voto. I rappresentanti degli studenti sono espressione di soggetti politico-sindacali che rispondono ad obiettivi politici che vanno al di là di questo statuto. Hanno perso di vista, così come il personale amministrativo, il senso della costruzione di una cultura universitaria condivisa. Un mondo universitario scisso. Lo Statuto è un atto fondativo la cui natura non è soltanto normativa ma anche simbolica. Per questo non passa inosservato il voto contrario della gran parte dei rappresentanti del personale amministrativo e quello degli studenti. Studenti e personale amministrativo hanno contribuito a scrivere questo Statuto ma se ne sono tirati fuori all’ultima curva. Chi chiedeva pari dignità nella comunità universitaria se n’è tirato fuori. Si è deciso di non condividere la responsabilità storica rompendo anche l’ultima finzione e possibilità di una comunità universitaria. Votare lo Statuto, nonostante tutto, aveva almeno un significato politico: essere un soggetto costituente della propria università. Rimangono molti nodi da sciogliere. In particolare, la governance concreta dell’ateneo (regolamenti funzionamento organi, applicazione del codice etico, relazione tra didattica e ricerca). E manca, ancora, un progetto di università. _________________________________________________ Corriere della Sera 11 Ott.’11 STATALE, ARRIVA IL NUOVO STATUTO «MAGGIOR SPAZIO AI DIPARTIMENTI» UNIVERSITÀ. LA BOZZA GIÀ APPROVATA DAL CONSIGLIO. OGGI PREVISTO IL VOTO DEL SENATO ACCADEMICO Membri esterni e quote rosa, così cambia il cda L' ateneo dei dipartimenti, non più delle facoltà. Il nuovo ruolo del consiglio d' amministrazione, la sua designazione, il peso dei membri esterni. Ma anche: le quote rosa (passate) e il limite d' età (bocciato). E un nuovo Garante degli studenti. Oggi pomeriggio tocca al Senato accademico l' approvazione del nuovo Statuto (previsto dalla legge 240 o riforma Gelmini) che riorganizzerà la Statale, con i dipartimenti al centro: a questi, responsabili della didattica, non soltanto della ricerca, competerà anche la chiamata dei docenti. La bozza presentata della commissione è già stata approvata dal cda il 27 settembre. Ma il dibattito è stato acceso per mesi e su più punti. La mediazione raggiunta è buona, secondo il prorettore Dario Casati: «La governance dell' università ne esce rafforzata, prima era dispersa e non era in grado di decidere. Sia il cda sia il senato erano troppo legati alla base elettorale». Ma anche la «designazione» del cda è stato uno dei temi controversi. «Il cda gestirà tutta la vita dell' ateneo e non c' è controllo da parte della base, è una riforma verticistica», sostiene Piero Graglia, ricercatore a Scienze Politiche e membro del senato accademico. «La legge prevede che sia designato non eletto. C' è un bilanciamento dei poteri, non c' è possibilità di prevaricazione da parte del rettore - è la considerazione di Casati - È una designazione di secondo grado, da parte del senato». Il confronto è stato acceso anche sul peso dei membri esterni nel cda: minimo tre su undici, è l' indicazione della legge. E la Statale avrebbe scelto di farne quattro. Difende questa linea il prorettore Casati: «Non abbiamo paura di essere amministrati da personalità con alti requisiti». E si è discusso a lungo sul numero dei direttori di dipartimento in senato, minimo di legge otto, qualcuno ne voleva dodici, l' accordo è stato raggiunto sui dieci. Critici, su diversi punti, gli studenti. Per esempio avrebbero voluto introdurre il limite di età per gli esterni nel cda. «La proposta non è passata - dice Federico Leva (Sinistra universitaria), nella commissione statuto -. E quella sulle pari opportunità è stata accolta soltanto in parte». La quota rosa (o azzurra) scelta dalla maggioranza sarà di tre componenti su otto. «Almeno siamo riusciti a ottenere il Garante degli studenti e sarà un punto di riferimento importante», dice Leva. Oggi sulla nuova Statale il parere del senato accademico. Se sarà un altro sì lo statuto verrà trasmesso al Ministero per il via libera e la pubblicazione in Gazzetta. Federica Cavadini RIPRODUZIONE RISERVATA **** La scheda Nuovo statuto Così prevede la legge di riforma dell' università. La bozza è già stata approvata dal cda. Oggi tocca al senato accademico I dipartimenti Saranno centrali nel nuovo ateneo. A questi competerà anche la chiamata dei docenti Il nuovo cda Oltre al rettore e a due rappresentanti degli studenti, ci saranno otto membri e fra questi gli esterni saranno quattro: la legge prevedeva un minimo di tre Quote rosa La proposta sulle pari opportunità è stata accolta in parte: nel cda tre donne su otto Cavadini Federica _________________________________________________ Il Manifesto 11 Ott.’11 L'UNIVERSITÀ, E IL FUTURO DELLA RICERCA Piero Bevilacqua Lo sforzo delle classi dominanti è di subordinare sempre più strettamente il processo di formazione delle nuove generazioni alle domande del mercato del lavoro. La legge Gelmini è il compimento in Italia di questo processo. Studenti e ricercatori devono capire che possono far cambiare registro e incidere sulle scelte politiche E’ tempo di riprendere la discussione sull'Università, una delle istituzioni che è entrata tardivamente nel vortice delle politiche neoliberiste e che oggi le subisce con particolare asprezza. Vorrei qui richiamare l'attenzione soprattutto sull'art. 12 della legge Gelmini, relativa ai ricercatori a tempo determinato (per il commento critico sistematico a questa legge rinvio al sito www.amigi.org ). Stabilisce il Gomma 4: «I contratti hanno durata triennale e possono essere rinnovati una sola volta per un ulteriore triennio previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte». Ecco d'un sol colpo e quasi di soppiatto inserito nel corpo dell'Università un dispositivo che sconvolge l'assetto storico della riproduzione scientifica e intellettuale nel nostro Paese. Il "lavoro flessibile", dunque, il precariato è legge anche dentro le nostre vetuste strutture dell'alta formazione. Come non esaltarsi di fronte a tanta modernità che avanza, alle invocate riforme che finalmente si realizzano? La prima riflessione da fare, a proposito di questo punto della norma, riguarda la sua ratio. A che serve? L'unica spiegazione "nobile" - a parte quella economica, mirata a ridurre drasticamente il peso dell'Università pubblica nel bilancio dello stato - è quella di rendere i futuri ricercatori competitivi, sempre "sulla corda" rispetto alla loro posizione, costretti ad essere sempre produttivi per non essere espulsi dall'istituzione. Ora, c'era davvero bisogno di inserire la precarietà per legge al fine di dar slancio competitivo ai nuovi ricercatori? Credo che solo chi ha frequentato la nostra Università attraverso corsi per corrispondenza possa essere stato sfiorato dall'idea dí una simile fandonia. Le nostre facoltà, scientifiche o umanistiche che siano, non hanno alcun bisogno di stimoli o incentivi: la competizione è già elevatissima. Lo è anche per il fatto che dalla produttività scientifica dipende l'avanzamento della carriera, in maniera assolutamente più limpida che in altri ambiti dell'amministrazione pubblica. Chi vuole diventare ricercatore, professore associato, professore ordinario, deve pubblicare, essere riconosciuto meritevole dalla comunità scientifica di riferimento, superare regolari concorsi. Piuttosto è l'Università italiana, soprattutto per la miseria in cui versa da decenni e per la cattiva amministrazione, che non riesce a premiare una produttività e competitività che sono invece elevate. Sono stato di recente presidente di commissione in un concorso per ricercatore di storia contemporanea e ho dovuto esaminare - e necessariamente bocciare, perché il posto assegnabile era soltanto uno - decine e decine di candidati con titoli scientifici così numerosi e pregevoli da meritare la cattedra di professore ordinario. Dunque, non è la competizione il problema, ma l'assenza totale di prospettive per i tantissimi nostri studiosi che fanno ricerca di alta qualità. Ma c'è nell'art.12 della legge l'introduzione di un dispositivo che va esaminato più da vicino per coglierne tutte le potenzialità distruttive di prospettiva. Innanzi tutto - è forse il primo aspetto da sottolineare - la norma istituisce solenne-mente la subordinazione intellettuale e il conformismo culturale come principio cardine della formazione dei futuri ricercatori e dei docenti. Chi non riesce a immaginare che cosa succederà a queste figure che hanno solo tre anni di lavoro sicuro davanti a sé e la cui conferma dipende dal docente cui sono legati? Qualcuno si ricorda le polemiche della Gelmini contro i «baroni»? Ecco, il vassallaggio personale al loro potere diventa ora assoluto. Nessun giovane si arrischierà a pubblicare ricerche eterodosse che possano urtare il proprio professore. Quindi il conformismo culturale e scientifico e l'uccisione sul nascere di ogni spirito di innovazione è assicurato. Ma questo è solo una parte del cammino predisposto da questa esaltante trovata della legge Gelmini, che per la verità riprende strategie già in atto in altre Università, soprattutto negli Usa. Anche nelle nefandezze la destra italiana è debitrice del pensiero altrui. E qui sono costretto a notare che si è poco riflettuto su un aspetto ancora più grave e di più straordinarie implicazioni avvenire. Qualcuno si è chiesto quale mai grande impresa di ricerca, quale ambizioso progetto intellettuale, sia scientifico che umanistico, potrà mai essere concepito in futuro dai nostri giovani ricercatori su cui graverà - nella fase di fondazione dei loro studi - un orizzonte di così evidente incertezza e precarietà? Quale ricerca di lunga durata verrà mai progettata senza nessuna sicurezza dell'avvenire? E' evidente, dunque, che verranno intrapresi solo studi di breve periodo, immediatamente utili, per la carriera o per la produzione di brevetti, finalizzati al tempo veloce di valorizzazione del capitale, cui dovrebbe ormai subordinarsi l'intero mondo degli studi. Dunque, va detto con la solennità che l'evento merita: per la prima volta, nella storia d'Italia, tramite la legge Gelmini, un governo della Repubblica programma il decadimento dei nostri studi e della nostra cultura, progetta cioè per i decenni futuri l'immiserimento della nostra civiltà e la creazione di un corpo docente ridotto al rango di frettolosi tecnocrati di un pulviscolo di discipline strumentali. Certo, la legge Gelmini ha il merito di mostrare con limpidezza il progetto sempre più dispiegato del capitale di piegare le strutture dell'alta formazione e della ricerca pubblica ai propri fini immediati e di breve periodo. Essa mostra cioè, in filigrana, l'orizzonte di immiserimento antropologico verso cui la cosiddetta crescita vuol condurci. Ma qui debbo ricordare almeno una pratica in corso, in atto da tempo nel nostro Paese, che si muove nella stessa direzione e che invece sembra godere di un tacito consenso universale. Mi riferisco alla istituzione ormai dilagante del numero chiuso che sbarra ai giovani l'accesso a un numero crescente di facoltà. Ora metto da parte i criteri della selezione: l'utilizzo dei test attitudinali, vale a dire i cascami degenerati di una branca della psicologia americana. Quanti giovani di valore non superano questi test ?Ma il punto da discutere è: perché lo sbarramento? Non sono sufficienti gli stessi esami universitari a selezionare l'attitudine dei giovani a proseguire negli studi intrapresi? Ricordo che i nostri esami sono tra i più severi che si praticano nelle varie università del mondo. Perché non possono iscriversi a una Facoltà se hanno il titolo di studio necessario e pagano le tasse? Non ci hanno assordato per trent'anni col ritornello che bisogna assecondare il mercato ? E allora perché, se c'è una così elevata domanda di istruzione superiore, non si risponde con una offerta adeguata? L'offerta, e dunque l'investimento, si ha solo per fini immediati di profitto? Si obietta, ad esempio, che ci sono troppi medici e bisogna scoraggiare nuove iscrizioni. E se si vuole diventare ugualmente medici perché si ama la medicina, se si ha in progetto di fare il medico nel Senegal o in Bangladesh? Che fine fa la tanta esaltata nobiltà della conoscenza, che fine fa il cosmopolitismo del cosiddetto mondo globale? In realtà la ragione non detta è un'altra, ed è di vasta portata strategica, destinata - se non verrà sconfitta - a distruggere la civiltà culturale dell'Occidente e dell'Oriente. Lo sforzo delle classi dominanti è di subordinare sempre più strettamente il processo di formazione delle nuove generazioni alle domande del mercato del lavoro. Dopo che, per almeno tre secoli, mondo della formazione e della ricerca e attività produttiva capitalistica erano stati ambiti correlati, ma dotati di relativa autonomia, oggi il capitale finanziario non è più disponibile a finanziare una formazione culturale "disinteressata", non destinata a produrre immediate ricadute di profitto. Un tempo i giovani sceglievano liberamente di diventare maestri o ingegneri, poi il mercato del lavoro offriva loro varie opportunità d'impiego. Ora questo appare, al senso comune dominante, parassitizzato fin nel midollo dall'economicismo dell'epoca, non più tollerabile, diseconomico. Che cos'è questa voglia disinteressata di studiare chimica o letteratura greca se non ci sono i posti di lavoro in cui renderle "produttive"? Possiamo forse quotare in borsa la letteratura italiana, la linguistica, la filologia romanza? Non sono costi che ci possiamo permettere urlano gli economisti. Invito a riflettere . L'abisso in cui il capitalismo cì sta trascinando è visibile in questo paradosso: la società più opulenta che mai sia apparsa nella storia umana dichiara di non potersi consentire il lusso di finanziare saperi che non valorizzano immediatamente il capitale investito. Com'è noto, del resto, in Usa e Gb si fanno indebitare gli studenti perché essi possano conseguire la formazione universitaria. Imprenditori di se stessi, essi sono diventati una fonte di lucro per le banche e un segmento dell'economia del debito, il cui successo è sotto gli occhi di tutti. Infine un modesto consiglio agli studenti e ai ricercatori che hanno scritto negli ultimi due anni una pagina importante di lotta civile nel nostro Paese. Essi debbono rammentarsi che non costituiscono solo un gruppo sociale capace di mobilitazione. In moltissimi casi, essi sono i membri più colti e consapevoli delle proprie famiglie. Talora di estese parentele. Essi cioè sono in grado di avere una influenza politica di vasta portata anche al di fuori del proprio ambito. Occorre ricordarsene, perché, quando avremo cacciato via il presente governo, non è per nulla scontato che chi si candida a sostituirlo cambi radicalmente registro. E allora bisognerà esser consapevoli di poter influenzare un vasto bacino elettorale, avere la forza di incidere su scelte di decisiva rilevanza. www.amigi.org _________________________________________________________ Libero 14 Il vicepresidente della Commissione Ue TAJANI«NON POSSIAMO PIÙ PERMETTERCI DI RELEGARE LA RICERCA NELLE UNIVERSITÀ» Tajani: «Per ripartire dobbiamo coinvolgere le imprese e investire sulle persone» GIULIA CAllANIGA Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l'Industria e l'Imprenditoria, Antonio Tajani non vuole sentir parlare di "commissariamenti". «L'Europa, oggi, deve dare risposte ai cittadini laddove i governi o i territori non siano in grado di farlo. Nessuno viene commissariato: serve invece sempre più Europa, un'Europa che agisca unita, governata in modo sempre più chiaro dal punto di vista politico ed economico». Tajani, Barroso ha appena presentato una "road map" per ristabilire la fiducia. QUALI SONO I PASSI PER SVILUPPARE OCCUPAZIONE E CRESCITA? «Bisogna che si ricominci a guardare all'economia reale. La Commissione ha indicato cinque fasi: risposta decisa ai problemi della Grecia, miglioramento delle protezioni dell'area dell'euro, rafforzamento delle banche europee anche attraverso ricapitalizzazioni, politiche per stabilità e crescita e governance economica più solida e integrata. Non sono questi tempi "ordinari". E l'Europa è troppo indebitata e troppo poco competitiva». Dunque bisogna rivedere le regole che la costituiscono? «In prospettiva possiamo anche pensare si debbano rivedere i trattati, certo. Ma che questa non sia una scusa: è una prospettiva a lungo termine e oggi servono risposte efficaci e urgenti per la crescita. Serve sì un'Europa più politica e meno "burocratica", visto che la competizione è con colossi come Cina, India, Brasile. Occorre il salto di qualità, per poter vincere la sfida». Qual è la situazione dell'Italia in merito? «Domani (oggi per chi legge, ndr) la Commissione Ue comunicherà i livelli di performance degli Stati. La situa zione fotografata getta luci e ombre sul nostro Paese. In generale siamo nel gruppo centrale della classifica, ma potremmo certo far di più. Siamo maglia nera, ad esempio, nel ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione. Che è stata rimodernata in modo efficace ma che se non paga le piccole e medie imprese rischia di farle colare a picco. Siamo a bassi livelli in classifica anche per quanto riguarda ricerca e sviluppo: nonostante il ministro Gelmini abbia compiuto passi importanti c'è da fare di più». Come potremmo creare innovazione? «Noi facciamo le scoperte, gli altri le applicano. Occorre dunque che la ricerca sia applicata all'industria, che non sia relegata all'università. Anche perché in questo modo rischiamo di perdere cervelli. E senza innovazione non c'è crescita nè competitività. Le migliori idee innovative devono tradursi in tecnologie e prodotti e, di conseguenza, raggiungere il mercato ed essere commercializzate». Servono riforme? «Certo, riforme strutturali. Per uno Stato sociale più sostenibile, che adegui sistemi previdenziali e aspettative di vita. Per tagliare spese improduttive, liberando risorse per la crescita. Il carico fiscale sul lavoro e sulle imprese deve essere a tutti i costi alleggerito, spostandolo su rendite e consumi. E non dimentichiamo che la strategia Europa 2020 chiede investimenti in ricerca e innovazione maggiori, con l'obiettivo de13% del Pil. L'innovazione è coraggio applicato alle idee. Ma perché questo coraggio possa liberare tutto il suo potenziale è necessario esporsi, rischiare. Ad esempio, attraverso il finanziamento di start up, prototipi, progetti pilota e dimostratori. Ma, ricerca e innovazione richiedono, prima di tutto, investimenti in risorse umane. Solo una università europea appare nella lista delle migliori a livello mondiale. Del resto, già nel 2008 il numero di ricercatori cinesi ha superato quello dell'Europa. E il loro ritmo di crescita è il doppio rispetto al nostro. Dobbiamo investire maggiormente sui giovani». Giovani che oggi si sentono costretti a protestare nelle piazze, indignati... «Cominciamo a capire che serve un cambiamento nella formazione, di questi giovani. Università e scuola sono da collegare all'industria. E i giovani scelgano settori altamente innovativi. Ci occorrono meno laureati in finanza e più in ingegneria. Meno economisti e più periti elettronici. Bene, anche, rimettere al centro l'agricoltura. Ma che questa diventi impresa, che punti alla qualità. L'Europa ha abolito gli aiuti stabiliti in base all'estensione del territorio, privilegiando quelli in base al prodotto. Un segnale importante per ritornare all'economia reale. Meno finanza e più imprese». Come fare impresa se le banche non concedono fiducia? «L'accesso al credito è infatti l'altro tema al centro dell'impegno della Commissione europea. Nel nuovo quadro finanziario europeo abbiamo proposto un incremento da 54 a 80 miliardi di euro per le attività di ricerca e sviluppo e il raddoppio dei fondi per la competitività delle Pmi. Fondi destinati a facilitare ulteriormente l'accesso al credito e al venture capital. A sostenere settori chiave, come la green economy e le tecnologie abilitanti fondamentali: nano-elettronica, materiali avanzati, micro -elettronica, bio-tecnologie... Solo per i prodotti basati sulle nanotecnologie si prevede di passare dai 254 miliardi di dollari del 2009 a 2500 miliardi nel 2015 a livello globale, con la creazione di oltre 2 milioni di nuovi posti di lavoro». _________________________________________________ Corriere della Sera 14 Ott.’11 RICERCA SCIENTIFICA E PARADOSSI ITALIANI Dagli ostacoli posti da Gregorio XVI alle scelte di oggi Della morte di Cavour e del racconto che ne hanno fatto «Lancet», il «British Medical Journal» e il «New England Journal of Medicine» s' è già scritto («Corriere della Sera» 23 aprile). E del declino della scienza e della medicina nell' Italia della prima metà dell' Ottocento. Mentre in Francia, Bichat e Laennec, in Germania Muller e Virchow andavano avanti sulla via tracciata da Morgagni, in Italia il pensiero medico sprofondava nelle sabbie mobili di un «dottrinismo sterile» così Antonio Cazzaniga in La grande crisi della medicina italiana dell' inizio del XIX secolo. Lo stetoscopio di Laennec fu il simbolo di una medicina che passava dai pregiudizi all' evidenza: osservazione, esame fisico, valutazione dei tessuti al microscopio. Tutti in Europa abbracciarono queste novità. In Italia no, i dottori erano rimasti ciarlatani e la gente se ne rendeva conto. I Congressi degli Scienziati Italiani avrebbero dovuto essere occasione per discutere di cose mediche e aprirsi alle idee che ormai avevano preso piede all' estero. Il primo di questi congressi, quello del 1839, lo fecero a Pisa e il papa Gregorio XVI spaventato all' idea che questo diventasse un congresso di liberali e sovversivi impedì a Carlo Matteucci di prendervi parte. Le conseguenze di quel brutto periodo si sono fatte sentire e forse ne risentiamo anche oggi. Dal 1930 al 1960 in medicina è successo di tutto. La scoperta del primo sulfamidico è del ' 32, il pentothal fu usato per la prima volta in anestesia nel ' 34 e questa scoperta ha coinciso con l' esplosione della chirurgia, la scoperta della struttura del Dna è del ' 53, i primi vaccini sono comparsi dal ' 54, il primo tentativo di dialisi del ' 56, i primi interventi a cuore aperto del ' 60. Qual è stato il contributo degli italiani? Quasi nessuno con una importante eccezione, la scoperta del primo farmaco anticancro nel 1960. Poi più nulla. Sempre, prima delle elezioni, si sente dire che ci saranno più soldi per la ricerca, che si riformeranno le università, che i ricercatori migliori e i medici migliori potranno avere una carriera accademica anche da noi. Tutte promesse che svaniscono qualche settimana dopo, c' è sempre qualcosa di più urgente. Negli ultimi quindici anni abbiamo avuto governi di destra e di sinistra ma di qua e di là c' è chi è contro la scienza per principio. Lo si è visto con le leggi più recenti. Quella che regola la fecondazione assistita è in contrasto con le regole della medicina e col buonsenso. Non si possono produrre più di tre embrioni per volta e li si devono trasferire tutti e tre nell' utero della madre ed è vietata qualsiasi forma di selezione degli embrioni. Ma se uno dei genitori è portatore di anomalie genetiche, si vorrebbe evitare di trasmetterle ai figli. Da noi non si può. Gli embrioni che vengono dalla fecondazione in vitro, vanno messi tutti nell' utero, così come sono. Se mai si abortirà dopo. Così dal momento che questi limiti non ci sono in Francia, Regno Unito, Spagna e Grecia, gli italiani vanno all' estero. Lo stesso per la ricerca con le cellule staminali embrionali. Le possiamo usare (e le si prendono all' estero) ma non le possiamo produrre nemmeno da embrioni che se no si butterebbero via. Intanto chi è contro continua a sostenere che di cellule embrionali, non ce n' è bisogno, si può far tutto con le cellule adulte. Ma questo non è vero. Anche le disposizioni di fine vita e i diritti dell' individuo sono da noi materia di scontro politico. Entrare nel merito di questioni così delicate importa poco. L' importante è compiacere gli elettori, se questo va contro le regole della medicina che sono le stesse in qualunque parte del mondo, pazienza. RIPRODUZIONE RISERVATA Presentiamo una sintesi dell' intervento che il professor Remuzzi svolgerà oggi a Roma all' Accademia dei Lincei (Palazzo Corsini, ore 16.30) intitolata: «Medicina di domani e etica di ieri». Anche la rivista «Lancet» dedica un lungo articolo a questo intervento. Remuzzi Giuseppe _________________________________________________ Corriere della Sera 12 Ott.’11 LE MIGLIORI ACCADEMIE: IN CLASSIFICA STATALE E BICOCCA MA SONO OLTRE IL DUECENTESIMO POSTO Non c' è gara con Stati Uniti e Regno Unito. La vetta della classifica è un interminabile elenco di California Institute of Technology, Harvard, Stanford (il podio tutto Usa), Oxford e Cambridge, le eccellenze britanniche separate dall' americana Princeton al quarto e al sesto posto. E così via. Per trovare una località italiana nella più prestigiosa graduatoria dell' istruzione universitaria - Times Higher Education , stilata in Inghilterra, sceglie i 400 migliori istituti del mondo - bisogna arrivare alla posizione 228 dove si collocano a pari merito la Statale e la Bicocca (foto) . Milano è in testa alle connazionali, seguita da Trieste (237), Bologna (246) e Padova (249). Non è il migliore dei risultati possibili, nessuna delle università italiane riesce a collocarsi tra le prime duecento. Ci superano abbondantemente in Europa la Svizzera (dopo le britanniche, punteggio altissimo per l' Institute of Technology di Zurigo, 15esimo al mondo), tutti i Paesi scandinavi (soprattutto la Svezia, che conta più di un' eccellenza a partire dal Karolinska Institutet, 32esimo), la Germania, la Francia, l' Austria, pure dall' Università di Dublino, Irlanda, posizione 117, fino alla Spagna, che piazza l' Universitat Pompeu Fabra di Barcellona nella casella 186. Bisognerebbe entrare nel merito dei criteri per capire meglio. Intanto un dato consolatorio: rispetto alle classifiche degli anni scorsi il nostro sistema d' istruzione universitaria guadagna nel complesso diverse posizioni. _________________________________________________________ ItaliaOggi 13 Ott.’11 RIFORMA GELMINI, NUOVO TASSELLO C'è il regolento sui concorsi. Aia serve L’Ok dell Anvur Un altro tassello si aggiunge alla riforma dei concorsi universitari. Ma non sarà l'ultimo. Perché in realtà al nuovo regolamento che contiene i criteri di valutazione di candidati e commissari appena licenziato dal ministro dell'università Mariastella Gelmini, manca ancora un passaggio, questa volta per mano dell'Agenzia di valutazione. Sarà questa, in fatti, che dovrà mettere a punto quei metodi di valutazione della ricerca (gli indicatori bibliometrici) che serviranno per far salire in cattedra i futuri abilitati dei nuovi con corsi modello-Gelmini chiamati a sostituire le vecchie prove locali. Il piano di attuazione della riforma, infatti, prevede tre provvedi menti attuativi: il primo per fissare la nuova architettura dei settori scientifici (già pubblicato in Gazzetta Ufficiale), il secondo per stabilire le procedure di abilitazione (conte stato dal Consiglio di stato ma ora in via di pubblicazione) e il terzo, appunto, che mette nero su bianco i criteri per valutare i futuri prof ma anche chi dovrà giudicarli, cioè i commissari. Un testo su cui c'è molta attesa da parte della comunità accademica (che, in alcuni casi, potrebbe essere tagliata fuori se l'asticella dei requisiti minimi fosse troppo alta) e che ha imboccato la strada del giudici di Palazzo Spada per il via libero definitivo. Ma quali sono, dunque, i requisiti che si dovranno possedere per ottenere l'abilitazione? Per salire sulla cattedra i candidati ordinari e associati dovranno dimostrare di aver prodotto titoli e pubblicazioni «di rilevante qualità e originalità, tali da conferire una posizione riconosciuta nel panorama anche internazionale della ricerca». Ovviamente queste dovranno essere congrue con il settore concorsuale ed essere collocate in «collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale che utilizzino procedure prestabilite e trasparenti di revisione tra pari». Nella valutazione dei titoli la commissione si atterrà agli indicatori definiti dall'Anvur, Ma anche ad altri parametri che dimostri-no che il candidato abbiamo partecipato o diretto riviste o collane editoriali. Nella valutazione complessiva si valuterà, poi, l'impatto delle pubblicazioni all'interno del macrosettore o del settore concorsuale. Tra 20 e 18, poi, il numero massimo delle pubblicazioni che l'aspirante ordinario dovrà presentare, mentre tra 12 e 14 quelle per il futuro associato. Ma anche prima di sedersi da commissari bisognerà dimostrare di avere i requisiti adeguati. Primo tra tutti quello di essere un docente ordinario e in possesso «di una qualificazione scientifica coerente con i criteri e i parametri stabiliti» e di aver una continuità della produzione scientifica «con particolare riferimento all'ultimo quinquiennio». Questa dovrà essere almeno pari a quella richiesta per il conseguimento dell'abilitazione per la fascia dei professori ordinari nel settore concorsuale di appartenenza. In ogni caso i criteri e i parametri non saranno immutabili nel tempo, ma saranno adeguati ogni cinque anni dall'Anvur. di Benedetta Pacelli _________________________________________________ Repubblica 10 Ott.’11 DAGLI STUDENTI CORO DI NO ALLA GELMINI "NESSUNA TREGUA, HA FATTO SOLO DANNI Respinto l'invito del ministro a un incontro. Si schiera anche l'opposizione: "Piange lacrime di coccodrillo" CORRADO ZUNINO ROMA — Mariastella Gelmini apre, gli studenti chiudono. «Nessun dialogo, siamo fuori tempo massimo». Nell'intervista concessa a "Repubblica", il ministro dell'Istruzione aveva detto: «Nel tempo si è perso qualsiasi rapporto» con gli studenti della protesta, «ma sono pronta ad ascoltare i ragazzi». La replica è arrivata subito, ieri di prima mattina, con comunicati lanciati a raffica dalle componenti studentesche. Scrive la Link: «La faccia tosta della ministra ha dell'incredibile. I 100 milioni per le borse di studio universitarie arrivano quando solo nel 2009 eravamo a quota246 milioni, e già eravamo ultimi nella media Ocse. Non è vero, poi, che si fermano i tagli: la legge 133 del 2008 prevede altri due scaglioni che toglieranno alle università 417 milioni per i12012 e455 per i12013. La Gelmini sottoponga a un referendum negli atenei la sua riforma e fermi davvero i tagli». Quelli dell'Udu aggiungono: «Non abbiamo la memoria corta e sappiamo riconoscere l'ipocrisia: la politica di questo ministro per la scuola è stata fatale. Se crede nel merito, valorizzi tutti quegli studenti che hanno ottenuto una borsa di studio, la parte più meritevole della nostra università». I collettivi, accusati dalla Gelmini di fomentare disordini a ogni suo arrivo in un ateneo, sostengono (la sigla è "Ateneinrivolta"): «Nessuna tregua, è stata l'esecutrice dei tagli di Tremonti approvando una riforma dell'università che cancella il diritto allo studio». Critici persino gli studenti dell'Udc ("Studicentro"). I ricercatori della Rete 29 aprile, infine, sottolineano: «Troppe bugie, vent' anni di berlusconismo e propaganda stanno uccidendo lo sviluppo di questo paese». Tutta l'opposizione si schiera. «Lacrime di coccodrillo, la Gelmini sarà ricordata come l'Attila della scuola pubblica», sostiene Francesca Puglisi, responsabile scuola per il Pd, «il ministro dice basta tagli, ma nei documenti del governo le risorse per la scuola scenderanno fino al 2025». Giulia Rodano, Idv, torna a chiedere dimissioni: «La scuola italiana non può restare appesa alle sorti della trattativa fallimentare GelminiTremonti». Per Sel «l'intervista della Gelmini è l'ammissione più plateale del proprio fallimento». Nessunavoce a sostegno del ministro si è levata dalla maggioranza. _________________________________________________ Il Sole24Ore 15 Ott.’11 COMMISSIONI «CHIUSE» AL PROF CHE NON PUBBLICANO Obbligo di attività scientifica negli ultimi cinque anni Gianni Trovati MILANO Gli aspiranti commissari nelle procedure di abilitazione nazionale dei docenti universitari dovranno dimostrare di pubblicare con continuità, in particolare negli ultimi cinque anni, e vantare una qualificazione almeno pari a quella che serve a diventare ordinari nel proprio settore disciplinare Nella valutazione della produzione scientifica di chi invece corre per un'abilitazione da associato o da ordinario, il numero, la continuità e il peso dei titoli dovranno pesare per almeno i140 per cento nella valutazione delle pubblicazioni; nei settori disciplinari in cui gli indicatori internazionali che misurano oggettivamente la qualità scientifica dei titoli sono già diffusi, i vincitori dovranno raggiungere un punteggio superiore rispetto alla mediana del totale dei candidati, mentre nelle altre aree di studio sarà l'Anvur a definire una griglia di valutazione con lo stesso scopo.. Lo prevede la bozza di decreto sui parametri di valutazione per l'abilitazione scientifica nazionale ultimata nei giorni scorsi dal ministero dell'Istruzione, e inviata al Consiglio di Stato per i passaggi che precedono la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale». Mentre nella legge di stabilità l'università trova 420 milioni per il 2012, che riportano verso quota 7 miliardi il fondo ordinario, emerge il provvedimento che rappresenta l'ultimo, e più importante, tassello nella costruzione del «concorsone nazionale», che la legge Gelmini approvata a fine 2010 chiama a sostituirete selezioni locali cancellate sull'onda delle accuse di "parentopoli" e favoritismi. I due decreti già approvati riguardano la divisione in settori scientifici in cui si articoleranno le abilitazioni nazionali, prodotto di una semplificazione nella giungla dei 450 filoni in cui era prima articolata l'accademia italiana, e le modalità di svolgimento dei concorsi, che dovranno ripetersi ogni anno e conferiranno abilitazioni di durata quadriennale. L'attenzione di aspiranti commissari e concorrenti, però, è tutta puntata sui criteri di valutazione, che rappresenteranno il cuore vero delle nuove selezioni. Quando si concentra sui «criteri» e «parametri» per giudicare chi vuole ottenere il patentino da associato o da ordinario, il decreto fissa una serie di elementi di valutazione con un occhio di riguardo alla dimensione internazionale dell'attività, dalla responsabilità scientifica per progetti di ricerca alla direzione di riviste o collane o l'attribuzione di incarichi in atenei e istituti di ricerca all'estero. Sulle pubblicazioni, il tentativo è di mettere in piedi una misurazione il più possibile oggettiva, con l'impiego degli indicatori bibliografici internazionali dove ci sono e dei parametri che saranno costruiti dall'Anvur dove mancano. Un punto considerato critico dai diretti interessati riguarda il giudizio sulle pubblicazioni di chi oggi è ricercatore, e aspira all'abilitazione da associato, oppure occupa una casella nel ruolo di seconda fascia e punta all'ordinariato: per la valutazione, spiega la bozza di decreto, «saranno prese in considerazione esclusivamente le pubblicazioni prodotte dopo la nomina nella posizione in godimento». In pratica, questo rischia di tradursi in un vantaggio diretto all'anzianità nel ruolo più che alla qualità della produzione scientifica, perché per esempio un ricercatore giovane chiamato da un anno ha meno armi di un collega magari meno brillante, ma in grado di presentare decenni di pubblicazioni. A preoccupare gli attuali ordinari è invece il rischio di essere esclusi dalle commissioni, che secondo la bozza preparata dal ministero saranno chiuse a chi non è in grado di certificare pubblicazioni continuative di livello negli ultimi cinque anni Un rischio per molti, come mostra il fatto che l'anagrafe dei docenti, chiamata a misurare "in tempo reale" l'attività dei professori secondo il decreto Gelmini del 2008, non è mai partita. giammtrovatl@ilsole24ore.com _________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Ott.’11 AREA11: LA CITAZIONE E’ UGUALE PER TUTTI Il coordinatore del gruppo dei valutatori dell'Anvur (Area 11) spiega i meccanismi che verranno adottati per assegnare i punteggi in una prospettiva internazionale di Andrea Graziosi L'importanza della lingua inglese e il suo utilizzo, e l'esatta classificazione delle collane editoriali, sono gli argomenti più sentiti La valutazione nelle discipline umanistiche solleva problemi che toccano la dignità individuale e di disdplinare i casi migliori, e interessi, anche gretti, in quelli peggiori Occorre quindi ragionarne in modo pacata basandosi su quella filologia che è al cuore .delle nostre discipline. Ciò è tanto più necessario perché non abbiamo certezze. La maggioranza degli studiosi di queste aree scrive in italiano, su riviste di rado presenti nelle grandi banche dati, e le monografie - che dalle banche dati sono escluse per definizione - sono ancora il frutto più importante del nostro lavora Poiché solo r esistenza di banche dati esaustive rende possibile utilizzare criteri bibliometrici, prima di scontrarsi sulla bontà di questi ultimi andrebbe quindi ricordato che si tratta per ora di discussioni accademiche. Mancano infatti gli strumenti per introdurli e verificarne la bontà. Si tratta quindi di inventare strumenti che oggi non esistono. Alcuni obiettano che non ve n'è bisogno: basta continuare a fare quel che si è sempre fatta La valutazione operata dai professori ha però alle spalle due insuccessi catastrofici: sono stati gli ordinari a guidare il todos cabalieros dei giudizi di idoneità dei primi anni Ottanta; e sono stati di nuovo loro a governare la promozione di massa, fondata sul localismo, che ha aggravato i problemi finanziari, e il provincialismo, delle università nei primi anni Duemila. Non solo. Le assunzioni di massa, e i dottorati di ricerca, hanno generato ordini di grandezza che i vecchi sistemi non sono in grado di affrontare: concorsi con decine di candidati richiedono la lettura di centinaia di titoli che è in buona fede difficile sostenere che verrà fatta, semplicemente perché sarebbe impossibile. Per far sì che una parte dei fondi sia ripartita in base a criteri qualitativi, è stata inoltre introdotta anche in Italia la valutazione di dipartimenti e atenei, e questo vuol dire valutare non centinaia ma decine di migliaia di titoli. La sola arean (storia, filosofia, psicologia, pedagogia, geografia, demoetnoantropo logia) comprende più di 5.000 studiosi, che dovranno inviare tre lavori ciascuno, per un totale di quasi 15.000 pubblicazioni. La loro valutazione, affidata ad almeno due esperti, produrrà quindi circa 30.000 "giudizi", di cui sarebbe bello poter controllare la coerenza con delle verifiche bibliometriche. Numeri tali implicano problemi nuovi, anche perché pretendere che centinaia di studiosi abbandonino per mesi il loro lavoro per valutare decine di libri ciascuno non è realistica Come, ottenere che questo grande esercizio di valutazione sia il più serio possibile Seguendo un'intuizione del 2009 dei Comitati io e n del Cun, credo che ciò si possa fare solo coinvolgendole Società scientifiche nell'elaborazione di criteri e standard differenziati per disciplina, che funzionino da linee- guida peri singoli valutatori. Si tratterebbe insomma di sostituire la vecchia valutazione affidata alle sole preferenze dei professori con un sistema in cui il giudizio dei singoli sia affiancato da regole elastiche capaci di innalzare il livello della valutazione, rendendo più difficili i fallimenti precedenti. In particolare si potrebbe chiedere alle Società scientifiche, le cui risposte andranno verificate attraverso controlli esterni, di stabilire quali sono le riviste migliori e le collane editoriali più valide nelle rispettive discipline, e quali quelle di secondo, ma dignito so, livello. Non potrà che trattarsi di numeri limitati, capaci di operare una selezione che lasci sullo sfondo le pubblicazioni autoreferenziali. Una volta fatte queste liste, coinvolgendo nel caso delle collane anche gli editori, si avrà a disposizione un corpus di sedi di pubblicazione buone e di eccellenza, che coadiuverà lo sforzo dei singoli valutatori, senza però vincolarli. Sarà, nel caso, loro compito spiegare perché una pubblicazione in una sede oscura valga quanto quella uscita in una delle migliori riviste nazionali. Avremmo così tra l'altro raggiunto lo scopo di individuare la nostra migliore produzione in campo umanistico, che si potrebbe valorizzare equiparandola a quella migliore in campo internazionale, facendo in alcuni casi una forzatura che mi sembra tuttavia per il momento accettabile. Occorre però ragionare anche sul lungo periodo, cominciando a costruire le banche dati necessarie ad affiancare il giudizio dei pari. Si tratta, in particolare, dì spingere le riviste italiane a entrare inIsi, Jstor, Scopus eccetera, e di convincere il Ministero e il Cnr a sostenere la digitalizzazione completa di quelle più importanti, com'è stato fatto in Francia con Per sé e. Si potrebbero così avere in futuro banche dati affidabili, capaci di sostenere l'introduzione anche nelle scienze umane di una valutazione di massa coadiuvata da indici bibliometrici che, se sofisticati, possono rispondere alle obiezioni più frequenti: che succederà ai lavori originali apparsi su riviste minori? E quale sarà la sorte di chi studia fenomeni importanti ma molto specialistici, e quindi con poche, citazioni? Buone banche dati, capaci di ponderare le citazioni per rivista, e per parola chiave, potrebbero risolvere questi problemi e fornire ai valutatori (la peer review non andrebbe mai abbandonata) un ausilio prezioso. Ciò appartiene però al futuro. Oggi occorre fare i conti con problemi più elementari, e al tempo stesso più complessi e delicati, come dimostrali dibattito sui rapporti tra italiano e inglese, una nuova "questione della lingua" legata a problemi d'identità e orgoglio nazionale acuiti dal declino della posizione dell'Italia, e dell'Europa, nel nuovo mondo nato dalla decolonizzazione. L'italiano è stato per secoli, ed è rimasto fino a pochi decenni fa (il che spiega le resistenze a prendere atto di una realtà sgradevole), una delle grandi lingue di cultura, e il bacino, linguistico dei suoi parlanti era ai primi posti nel mondo. Non è più così: a eccezione di singoli settori, che dovremmo difendere, l'italiano non è più, ahi- mè, una grande lingua di cultura internazionale, e il nostro bacino linguistico figura tra la ventesima e la trentesima posizione, e sta rapidamente scivolando verso il basso. Abbiamo tuttavia ancora dimensioni tali da permetterci di rifiutare la soluzione adottata da Paesi come l'Olanda() quelli scandinavi, dove nell'istruzione superiore l'inglese è ormai la norma. Possiamo cioè continuare a pubblicare in italiano. Ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà e quindi dobbiamo al contempo stimolare e premiare la presenza della nostra migliore produzione, anche in campo umanistico, nel sopramondo costruitosi intorno all'inglese, come del resto fanno i tedeschi e stanno cominciando a fare i francesi. Gli strumenti e le idee per farlo non mancano e se ne discuterà. È però necessario porsi, prima di tutto, un problema culturale più vasto. Per secoli il mondo occidentale e il nostro Paese hanno operato con una pluralità di lingue che andavano dal latino dei dotti a un volgare illustre che nei ceti elevati ha convissuto col francese, ai grandi "dialetti" di cultura. Gli Stati nazionali hanno, per ragioni comprensibili, distrutto questa realtà, sostituendo le monoculture linguistiche che hanno aiutato i singoli Paesi a crescere, ma li hanno anche impoveriti e isolati, favorendone la tendenza, in situazioni di crisi, all'auto-marginalizzazione. Forse la prospettiva in cui occorre mettersi, e non solo nel campo degli studi, è quella del ritorno a un nuovo plurilinguismo, capace di mantener vivo, e arricchire, il suo nucleo italiano. Università di Napoli Federico II Coordinatore gruppo valutatori Anvur Area 11 _________________________________________________ Corriere della Sera 14 Ott.’11 NELL'ERA DELL'UMANESIMO 2.0 IL SAPERE DIVENTA CONDIVISO di CRISTINA TAGLIETTI Da Harvard a Trento, un nuovo modello di narrazione S e c'è qualcuno che può incarnare le cosiddette «Digital Humanities», nuovo campo del sapere che si sta sempre più affermando, soprattutto in America, e che consiste nel ripensare la funzione delle discipline accademiche di stampo umanistico nell'era della Rete, della condivisione e dei formati aperti, questi è Jeffrey Schnapp. Cinquantasette anni, orecchino al lobo e una vaga somiglianza con Michel Foucault, forse per via del dolcevita e dei capelli rasati, Schnapp, storico medievalista di formazione, docente di letteratura italiana ad Harvard (attualmente sta tenendo un corso sulla Divina Commedia) è ormai considerato uno dei massimi esperti del settore. Direttore e cofondatore dello Humanities Lab della Stanford University, Jeffrey Schnapp è oggi alla guida del MetaLab di Harvard insieme a James Burns, Daniele Ledda, Kara Oehler, Gerard Pietrusko e Jesse Shapins. Questo incubatore di idee è una comunità di ricercatori, appassionati di tecnologia, designer, artisti, architetti, giornalisti e studenti impegnati in progetti collettivi che mirano a convogliare ricerca, insegnamento, scrittura, interventi sociali. Si occupa anche dello sviluppo e dell'uso di nuovi strumenti digitali, lanciando un vero e proprio ponte tra due campi apparentemente distanti. Il laboratorio si basa su un forte impegno per avere un impatto sul mondo culturale (ma non solo), spostando i confini tradizionali tra l'accademia e il pubblico, portando la cultura fuori dalla pura speculazione e configurandosi non tanto come un «think tank», ma come un vero e proprio «act-and-make tank». «Il nucleo operativo di questo spazio di ricerca — spiega Schnapp — è interdisciplinare e lavora in diversi settori. Quello degli archivi, prima di tutto, perché il patrimonio culturale nel passaggio dalla conservazione tradizionale a quella digitale permette un processo di democratizzazione straordinaria. Lavoriamo anche sul rapporto tra gli archivi, le collezioni culturali di vario genere, i repertori museali e il mondo digitale che, dal punto di vista tecnico offre moltissime possibilità, basti pensare alla tridimensionalità. Ci interessano i modelli di comunicazione espositiva, il settore della museologia in senso lato, campo in cui lavoriamo attraverso progetti che collegano gli spazi fisici ai nostri strumenti digitali. E poi facciamo un lavoro che potremmo chiamare di genomica culturale: studiamo e cerchiamo di mappare i fenomi culturali attraverso l'uso di strumenti informatici». Nato all'inizio dell'anno, il MetaLab ha prodotto, tra le altre cose, «Sensate», un nuovo giornale accademico che sfrutta le potenzialità multimediali della Rete per ripensare la funzione stessa della critica (ha fatto un remix interattivo de Il medium è il messaggio di Marshall McLuhan), o il progetto Extramuros, basato sulla necessità di reimmaginare l'archivio come una biblioteca multimediale senza mura. Il progetto (che è candidato tra i finalisti del concorso per la costruzione della Biblioteca Digitale degli Stati Uniti) permette al pubblico di creare la sua propria collezione, prendendo materiali dalle biblioteche nazionali, musei di storia locale, social media e altri depositi. È di Schnapp anche l'ideazione, per la Fondazione Museo Storico del Trentino, delle Gallerie di Piedicastello (Trento), presentata nel padiglione italiano della Biennale dell'architettura di Venezia del 2010 e realizzata dallo Studio Terragni. Seimila metri quadri convertiti in museo permanente, esperimento riuscito di riqualificazione di un sito industriale abbandonato, le Gallerie sono uno spazio espositivo dedicato alla storia raccontata attraverso brevi sequenze filmiche, immagini, documenti sonori e documenti riguardanti vari settori, come l'Autonomia, le Dolomiti, l'Immigrazione, lo Sport. Accanto, la topografia umana della regione è rappresentata attraverso una stretta galleria di biografie raccontate, volti e voci. Nello stesso senso va un progetto non ancora realizzato a Gjiri e Panormus (Porto Palermo) in Albania: un museo della guerra fredda che appartiene proprio al quadro di attività di MetaLab. Il laboratorio ha creato anche (e questa è la parte più strettamente tecnologica) una piattaforma di editoria multimediale, Zeega, che permette l'accesso a questi grandi repertori senza scaricare file, restando dentro la «nuvola». «Zeega — spiega Schnapp — è come un Power Point incentrato sull'utilizzo di video e documenti sonori per creare dei racconti, dei servizi utilizzando file già esistenti. Accanto a questo c'è l'uso di strumenti geospaziali per nuove forme di mappatura e cartografia non necessariamente referenziali, ma anche speculative, che ci permettono di indagare come organizziamo il sapere». Zeega arriva ora anche in Italia, precisamente in Trentino, attraverso la fondazione Ahref, creata da Luca De Biase, che intende usare la piattaforma del MetaLab per creare narrazioni locali condividendo materiali, video, suoni, foto, dati, mappe. Zeega verrà utilizzata per permettere alle comunità di raccontare la propria storia e organizzare la propria memoria. «Si tratta di costruire una rete di comunicazione a livello regionale per rendere più facile la partecipazione di cittadini, enti e istituzioni ai grandi dibattiti della vita sociale — spiega Schnapp —. Noi possiamo mettere a disposizione gli strumenti, di facile uso, che rendono possibile la partecipazione e la comunicazione, per costruire narrazioni condivise, ma anche per invitare i cittadini a una gestione del patrimonio. Questo contribuisce anche alla costruzione di meccanismi di trasparenza per le istituzioni e al progetto di democratizzazione. Oggi prevale ancora la tendenza a pensare che i patrimoni pubblici, artistici e no, appartengano alle grandi istituzioni. L'accessibilità e la messa a disposizione degli archivi digitali è un passo importante e una sfida a collegare una regione montagnosa come il Trentino, dove i collegamenti fisici non sono così immediati». _________________________________________________________ Il Mondo 21 Ott.’11 UN MILIARDO SOLO AL SUD: IN RIVOLTA I RETTORI AL NORD Se ci fosse una Lega Nord di lotta (e non di governo) dentro le università settentrionali, ma anche del Centro Italia oggi farebbe il pieno di consensi tra rettori e vertici degli atenei. Tanto è lo stupore, subito mutato in indignazione finora silenziosa, dopo aver appreso del provvedimento Cipe di fine settembre. Quello che ha liberato l'astronomica cifra di 1.160 milioni di euro per gli atenei del Sud. Dal Veneto alla Lombardia, dal Piemonte fino al Lazio, sono molti i magnifici irritati per una mossa che riversa su 25 accademie un fiume di denaro così suddiviso: in Puglia 315 milioni per 5 atenei, in Sardegna 301 per 2 enti, 64 milioni alla Calabria che conta 3 sedi, 68,5 in Campania (7) e 88 in Sicilia (4). Inoltre, una trentina di milioni saranno divisi tra Basilicata e Abruzzo. Altri 150 andranno a finanziare non ancora meglio specificati «poli di eccellenza» in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. A completare il quadro, partirà un bando milionario per potenziare le infrastrutture di ricerca. Insomma, per alcuni rettori pronti a vestire gli inediti panni da indignados anche dentro la Crui, è stato un fulmine ciel sereno. In realtà, i ministri Maria Stella Gelmini (Miur) e Raffaele Fitto (Regioni) hanno sbloccato soldi fermi da tempo. Certo, così tanti tutti insieme nel passato non erano mai stati messi sul tavolo. Basta un confronto semplice: il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) nel 2010 ha sfiorato i 7 miliardi di euro, contesi tra 67 atenei pubblici. Però qui, l'aspetto più clamoroso è il ritorno alla vecchia distribuzione a pioggia, per saldare debiti a piè di lista, oppure guardando il solo criterio geografico. Con tanti saluti a parametri quali valutazione, merito, premio. L'unica consolazione, fanno notare alcuni esperti, è che il mega assegno escluderà tali atenei da una piccola torta sull'edilizia residenziale pari a 120 milioni. Alla Gelmini erano già arrivate richieste per 380. _________________________________________________ Il Sole24Ore 16 Ott.’11 PRONTI 1,6MILIARDI PER LA RICERCA I capitoli più importanti: progetti industriali e infrastrutture per il Mezzogiorno Eugenio Bruno ROMA Dalla crisi si esce solo puntando sulla ricerca. L'ultimo in ordine di tempo a sottolinearlo è stato giovedì da Genova il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Proiettato sull'Italia questo auspicio diventa quasi un obbligo se si considera lo storico ritardo del nostro Paese rispetto ai partner europei: 1,23% di spesa media complessiva in R&S rispetto all'1,92% della media Ue. Ma il ministro Mariastella Gel- mini - chiuso l'incidente sul presunto "tunnel" sotto il Gran Sasso che ha portato alle dimissioni del suo portavoce Massimo Zennaro - si dice pronta a invertire la rotta e arrivare in 24 mesi, come messo nero su bianco nel Programma nazionale della ricerca (Pnr) 2011-2013, almeno all'1,53 per cento e chiama a sostegno i numeri: da inizio 2010 a oggi il Miur ha stanziato per l'innovazione circa 2,7 miliardi di euro, di cui 2,45 miliardi di fondi europei e 228 milioni di risorse nazionali Tutto ciò in attesa del decreto sviluppo da cui la responsabile dell'Istruzione si aspetta gli strumenti in grado di «favorire la pianificazione congiunta tra ministero ed enti di ricerca che ci consenta di arrivare ai livelli delle eccellenze europee e recuperare risorse». I FONDI UE Partiamo dalla parte di competenza del Miur del programma operativo nazionale (Pon) ricerca e competitività2oo7-2o13. Sono arrivate tre diversi linee di intervento suddivise in quattro bandi. Il primo, del valore di 1,1 miliardi di euro, è destinato ai progetti di ricerca industriale. La selezione si è chiusa prima dell'estate e l'istruttoria terminerà entro dicembre. Sono stati scelti 146 iniziative che movimenteranno risorse complessive per 1,6 miliardi. Della lista fa parte anche un progetto che vede insieme il centro ricerca Fiat, il Cnr, la Magneti Marelli e una serie di atenei meridionali nello sviluppo di un nuovo motore a benzina (Euro5 o 6) a bassissima emissione di CO2. Entro la fine del 2011 il ministro Gelmini conta di chiudere anche il bando infrastrutture da 400 milioni che è destinato al Mezzogiorno e ha già visto la presentazione di 81 domande. Le finalità le spiega lei stessa: «Con queste risorse, che si sommano al miliardo recentemente stanziato dal Cipe grazie al lavoro del ministro Fitto e delle Regioni, vogliamo dare sostegno e compiutezza al Piano per il Sud, valorizzandole eccellenze e rafforzando i servizi nell'ambito del sapere». A una condizione, dice: «Siccome non sarà facile averne alte occorre fare sistema con enti di ricerca, università e Regioni. Le risorse - aggiunge -vanno concentrate su grandi progetti». Completano il poker i due bandi sui distretti tecnologici che richiederanno necessariamente tempi più lunghi. Nel primo semestre dell'anno prossimo dovrebbero essere chiuse le pratiche per la selezione da 389 milioni, rivolta al rafforzamento delle strutture già esistenti. Mentre per quella da 526 milioni, destinata alla creazione di nuovi distretti o laboratori pubblico-privati, la dead line dovrebbe essere fissata a dicembre 2012. A quel punto del Pon ricerca e competitività resteranno da spendere 300 milioni che • viale Trastevere ha per ora "congelato" inattesa di eventuali compensazioni tra territori o costi da contenzioso. LE RISORSE NAZIONALI Qui ci si assesta su cifre decisamente minori anche perché l'Economia non ha finora acconsentito al rifinanziamento del Fondo per l'innovazione e ricerca tecnologica (First) che costituisce il principale veicolo delle risorse nazionali. Tant'è che, in gran parte dei casi, le poste utilizzate sono residui dei finanziamenti stanziati dal precedente Esecutivo. È il caso, ad esempio, dei progetti di rilevante interesse nazionale (Prin). Delle 3.896 domande presentate da atenei ed enti di ricercane sono state selezionate 543 per un esborso complessivo di 105,9 milioni. L'altro fondo interessato è stato il Firb sull'innovazione di base. Attraverso il bando giovani futuro in ricerca sono stati finanziati 99 progetti sui 2.416 presentati, per un costo di 55,5 milioni. Sempre nell'ambito del Firb sono stati rep eri- ti altri 67 milioni per retribuire 25 accordi di programma nel campo della biomedicina e delle nanotecnologie. Tra cui uno sullo studio del genoma nei tumori al pancreas e un altro sulla protezione del territorio dal rischio di terremoti. _________________________________________________ Avvenire 15 Ott.’11 UNIVERSITÀ, PER I TIROCINI DISPONIBILI 26.364 POSTI PER MEDIE E SUPERIORI MILANO. Dopo la denuncia dei promotori dell Appello per i giovani insegnanti, pubblicata ieri da Avvenire, il ministero della Pubblica istruzione ha comunicato, dal proprio sito, i dati dell'offerta formativa delle università per i Tirocini formativi attivi per gli aspiranti docenti. In tutto si tratta di 26.364 posti: 7.239 per le scuole medie e 19.125 per le superiori. Ora questi dati saranno incrociati con il reale fabbisogno del sistema scolastico. Soddisfatti i promotori dell'Appello: «E un segnale di trasparenza molto importante», dice Francesco Magni, presidente del Coordinamento liste per il diritto allo studio (Clds), che auspica siano attivati almeno 18mila posti per Tfa. _________________________________________________________ Il Riformista 15 Ott.’11 L'ITALIA NON È UN PAESE PER GIOVANI Nei mesi scorsi il Ministero del Lavoro ha pubblicato alcuni rapporti sulla condizione giovanile in Italia, mentre la Commissione Europea ha da poco fatto uscire i dati sulla formazione superiore. Emerge con chiarezza come i nostri giovani stiano pagando pesantemente le conseguenze di una stagione che dura ormai da anni, in cui l'Italia ha avviato un declino della crescita che è conseguenza di investimenti inadeguati nei settori chiave della scuola, dell'Università e del lavoro, prioritari per il futuro delle nuove generazioni. La qualità della scuola e del sistema della formazione superiore, l'efficienza del sistema universitario, la diffusione dei servizi per l'orientamento ed il lavoro, la rete territoriale per la promozione delle opportunità e la creazione di impresa, il sostegno all'innovazione. Sono questi gli strumenti per la capacità d'agire, con cui le nuove generazioni sono dappertutto chiamate ad impegnarsi, per creare progetti per il futuro. Sono proprio questi invece i settori chiave su cui in questi anni l'Italia si è arenata, come è evidente da tutti i report sulla capacità competitiva, da cui esce un impietoso confronto tra il nostro Paese ed il resto dell'Europa. I dati sono davvero preoccupanti. La percentuale di laureati disoccupati in Italia è superiore al dodici per cento. In Francia è del quattro per cento, in Gran Bretagna del due per cento, nella media dei paesi europei ad alta scolarizzazione è del cinque per cento. Siamo gli ultimi in Europa. Questo fenomeno è un chiaro indice di come non funzioni il rapporto tra il sistema universitario ed il mercato del lavoro, ma anche di come l'impoverimento qualitativo del nostro sistema delle imprese faccia sì che le imprese italiane richiedano meno laureati delle imprese delle altre nazioni europee. Infatti la maggiore presenza di donne laureate rispetto agli uomini da noi non realizza l'effetto di una maggiore occupazione: l'Italia è il paese in Europa in cui le differenze di opportunità tra maschi e femmine restano forti anche tra i giovani. Il sottoinquadramento riguarda poi quasi il quaranta per cento dei giovani laureati o diplomati e mostra non tanto la necessità di seguire la gavetta, quanto i ritardi delle nostre imprese nei processi di innovazione. Nella ricerca di lavoro i giovani italiani ricorrono ai servizi specializzati per il quaranta per cento dei casi, contro il novanta per cento dei giovani tedeschi od inglesi. Non hanno forse torto: le opportunità di impiego arrivano dai servizi per il lavoro per meno dell'otto per cento, contro il sessanta per cento delle opportunità che mediamente arrivano ai giovani europei grazie al ricorso a strutture specializzate, che operano grazie ad un sistema molto sostenuto e capillare. Questo sistema si regge sul principio che ogni persona che cerca un lavoro ha diritto ad un intervento personalizzato di ricerca di impiego a cui è collegata l' erogazione di una indennità, che viene meno se si rifiuta l'offerta di lavoro. In Italia questo sistema non esiste, quantomeno come diritto-dovere realmente esigibile: il risultato è che abbiamo milioni di persone che si rivolgono ai servizi per il lavoro senza ottenere risposte e proposte, perché non è un diritto chiederle ne un dovere aderire. Siamo il paese in Europa con il minor numero di persone tra i quindici ed i ventiquattro anni ed al tempo stesso il paese europeo con il maggior numero di anziani con più di ottanta anni. Non essere un paese di giovani ha fatto diventare l'Italia un paese che non è per i gio-vani. Le conseguenze disastrose di questa disattenzione si misurano nella qualità e nella quantità degli investimenti sostenuti per dare opportunità alle nuove generazioni. ROMANO BENINI _________________________________________________________ Tst 12 Ott.’11 OMBRE SUGLI INTRECCI TRA RICERCATORI E GRANDI CORPORATION ANALISI PAOLO VINEIS IMPRIALCOLLEGE-LONDRA Spesso gli articoli che compaiono sulla stampa a proposito dei rischi di cancro associati con esposizioni ambientali non hanno passato un filtro critico e accentuano gli aspetti spettacolari della ricerca scientitifica. E' difficile, per esempio, credere che i biscotti provochino il cancro dell'endometrio, come recente-mente riportato da diversi quotidiani. E' difficile crederlo sia perché l'articolo scientifico originale non è stato riassunto nella sua interezza (e la notizia più curiosa è stata estrapolata la plausibilità biologica del flesso causale è assolutamente assente Ma sul complesso ferimento delle informazioni dalla stampa specializzata a quella quotidiana è già stato detto molto. Si è largamente (e spesso a ragione) ironizzato sulla assenza di specificità e anche di plausibilità di al- uni dei rischi di cancro identificati dalla ricerca epidemiologica (per cui «tutto è cancerogeno»). Molto meno spazio è tato dedicato al processo inverso, ovvero della minimizzazione interessata di rischi ambientali di cancro. Eppure i conflitti di interesse e le interferenze con la ricerca sono all'ordine del giorno. Molto noto e' il caso dell'industria del tabac co, che per anni ha corrotto i ricercatori, ha estorto informazioni e distorto i risultati. I documenti disponibili su un sito Web interamente dedicato alla Philip Morris sono estremamente eloquenti. L'industria del tabacco a questo punto è largamente (e giustamente) criminalizzata, ma sembra che l'interesse dei media si fermi lì. Eppure vi sono molti altri esempi. Alcune recenti rassegne sui rischi ambientali e lavorativi di cancerogenesi, per esempio, sminuiscono il ruolo delle diossine, dell'acrilamide, dello stirene e di altre sostanze chimiche, per le quali vi sono invece prove di cancerogenicità secondo autorevoli gruppi di lavoro. C'è un cartello di ricercatori, in particolare, che fa capo ad alcune ditte specializzate (Environ ed Exponent Inc) e riceve finanziamenti dall'industria, che prepara gran parte di queste rassegne. Alcuni di questi ricercatori sono italiani. Al di là del giudizio che si può dare sulla qualità scientifica degli articoli (non è questa la sede per valutarla), colpisce tuttavia la contradditorietà di alcune affermazioni. Per esempio, l'articolo sull'acrilamide, che è un sottoprodotto della frittura delle patate e pertanto si trova nelle patatine fritte, è sponsorizzato da Fritolay, ditta produttrice di snacks fritti, come per esempio «pelle di maiale fritta», oltre a patatine e altri tipi di «junk food». Ora, gli stessi autori dell'articolo hanno scritto decine di altri contributi scientifici sul ruolo dell'obesità e del consumo di grassi nel promuovere le principali malattie croniche. Ma un'altra contraddizione si rileva nel fatto che gli stessi ricercatori dichiarano alla fine dell'articolo che «non hanno conflitti di interesse» (ma come? Essere pagati dalla ditta produttrice della sostanza che si valuta non è un conflitto di interesse?). In una società già largamente disorientata sia dai conflitti di interesse sia dalla pletora di informazioni scientifiche contradditorie e mal digerite non è certo opportuno che gli stessi ri-cercatori rinuncino a una tradizione deontologica di indipendenza economica e di pensiero. _________________________________________________________ Tst 12 Ott.’11 DAL CERN AL GRAN SASSO SI PASSA PER LA SARDEGNA Ora i neutrini rischiano di diventare le prime donne della nuova fisica. Non resta che aspettare e vedere per capire se davvero questi elementi infinitesimali viaggiano a una velocità superiore a quella della luce. Certo è che nel rivoluzionario esperimento condotto tra il Cern e i Laboratori del Gran Sasso c'è anche un po’ di Sardegna. Nel 2005, infatti, alcuni fisici e ingegneri del Crs4, il centro di calcolo a 30 km da Cagliari, si trovavano nei laboratori di Ginevra per realizzare una simulazione numerica del «target di carbonio», l'obiettivo contro cui si indirizza il fascio di protoni e da cui si generano i neutrini, poi intercettati dai laboratori abruzzesi. In pratica, i ricercatori cagliaritani avevano il compito di valutare la resistenza del bersaglio nella parte finale dell' acceleratore di protoni e nel quale viene concentrata l'energia. «L'impatto dei protoni sul target disgrega la materia, rilasciando le particelle che la costituiscono, tra cui i neutrini - Luca Massidda, protagonista dello studio -. Il sistema può essere paragonato a quello di un fucile collocato a Ginevra che spara un proiettile di neutrini verso un bersaglio al Gran Sasso. Il nostro contributo era realizzare il modello delle "cartucce" e verificarne le prestazioni». Il team ha utilizzato delle asticelle di carbonio (dello stesso tipo dei freni di F1), lunghe meno di due metri e con un diametro di pochi millimetri: «Dovevano assorbire la giusta quantità di energia immessa attraverso il fascio di protoni e soprattutto resistere alle sollecitazioni senza rompersi - prosegue il 39enne Massidda -. Abbiamo analizzato l'interazione dei protoni con la materia da vari punti di vísta, strutturale e termico, e per farlo ci siamo serviti dei codici di calcolo sviluppati al Crs4, perché i normali processori non sono in grado di affrontare problemi simili». Il centro situato a Pula, in effetti, vanta padri nobili (il primo presidente è stato Carlo Rubbia) ed è all'avanguardia nell'ambito delle tecnologie computazionali abilitanti e nelle applicazioni alla biomedicina, alla società dell'informazione, all'energia e all'ambiente. Non è un caso che il 12 e il 13 settembre scorsi, a Cagliari, si sia tenuta una conferenza per la ricerca e l'innovazione a cui hanno partecipato 500 ricercatori da tutto il mondo, con lo scopo di rafforzare le strategie dei propri centri di studio. «Non si tratta dì un episodio casuale - spiega Paolo Zanella, presidente del centro di calcolo -. La Sardegna si è costruita un ruolo importante: è la regione italiana che investe di più in ricerca (300 milioni in due anni) e possiede le risorse per trasformarsi in una sorta di California: un luogo in cui si studiano nuove tecnologie con ricadute industriali». Il Crs4, che compie 20 anni e ha una potenza di 47 teraflop (47 milioni di operazioni al secondo), ha già raggiunto risultati ragguardevoli: negli ultimi 12 mesi, per esempio, ha completato il sequenziamento di oltre mille genomi, un numero pari a quello di tutti i sequenziamenti completati nel mondo nello stesso periodo. Grazie a questa banca dati i ricercatori di Cagliari e Sassari hanno individuato il gene responsabile della sclerosi multipla. «Viviamo in una società in cui occorre gestire un'infinita quantità di dati - prosegue Zanella calcolo scientifico numerico diventa quindi indispensabile: dalla medicina all'energia, fmo al visual computing». E la capacità di creare modelli in 3D è stata usata anche dall'imprenditoria: il centro ha contribuito a realizzare il primo modello di aereo tridimensionale «manipolabile». Questo Boeing 747 virtuale promette l'ennesima rivoluzione per progettisti e ingegneri. _________________________________________________ Il Sole24Ore 10 Ott.’11 CI MANCAVA SOLO IL NEUTRINO PIÙ VELOCE DELLA LUCE DOBBIAMO DIRE ADDIO ALLA VECCHIA IDEA DI TEMPO di Walter Mariotti L'esperimento tra il Cern di Ginevra e il laboratorio del Gran Sasso rischia di sacrificare all'altare della distruzione delle certezze anche le teorie di Einstein. Tramontata la religione, la filosofia, la psicoanalisi, la relatività era ormai l'ultima grande sicurezza, e il suo inventore l'estremo cardine a cui aggrapparsi per la costruzione di un'identità in un mondo sempre più incerto ha fine ora non è importante se i neutrini siano davvero più veloci dei fotoni. Il punto è che si possa mettere in discussione l'idea di tempo, margine superiore della fisica contemporanea (quello inferiore è lo zero assoluto, -273,15 gradi Celsius) ma soprattutto della nostra identità di esseri prima che di uomini. Fisica e filosofia a parte, basta pensare alla finanza dei derivati che sta devastando le nostre vite. Per quanto complessi i derivati sono simulazioni matematiche basate su una costante: la duration, cioè la permanenza temporale. Se crolla l'idea di tempo che conosciamo prima dei conti della Grecia o la finanziaria di Tremonti salta l'impalcatura della finanza. E non solo di quella perché tutto l'Occidente nasce sull'idea greca di tempo. o meglio sulla differenza tra il tempo quantitativo, il chrónos, e quello qualitativo, il kairos. Fino a ieri l'unica incertezza possibile stava tutta qui: nella valutazione non "del" futuro ma "sul" futuro. Del resto solo in un mondo dove il domani è sicuro il mercato è l'insieme degli operatori che fanno previsioni sull'altalena tra tempo come successione dí momenti e tempo come flusso d'incertezze. Invece le cose cambiano se questo domani non è più certo, come potrebbe dimostrare l'esperimento Opera del Cern del settembre scorso che rischia di rivoluzionare per sempre l'idea di universo. D'altra parte era inevitabile. Dopo Dio, Marx e Freud mancava soltanto Einstein da sacrificare all'altare della distruzione delle certezze. Tramontata la religione, la filosofia, la psicoanalisi, la relatività era ormai l'ultima grande narrazione ed Einstein l'estremo cardine a cui aggrapparsi per la costruzione di un'identità in un mondo sempre più liberato, trasparente e facile e forse proprio per questo divenuto complesso, instabile, incomprensibile. Un mondo in cui ogni categoria d'interpretazione classica della realtà è saltata proprio come su Internet. Oggi i comici fanno i politici, i politici indulgono nel gossip, gli intellettuali animano i talk show, gli studenti editano riviste hard — fra le più accreditate ovviamente quelle di Harvard —, le casalinghe fanno le selezioni del Grande fratello e le soubrette le consulenti di multinazionali. Al di là della fine della teoria di Einstein, l'universo a più dimensioni è stato già realizzato dal Web, che ha abolito il passato e il futuro, come l'intelligenza e la stupidità, in un contemporaneismo amorale che è la chiave della nostra vita. Proprio come la televisione che sembra fornire esperienze più intense della vita perché ormai la vita stessa non è che il punto di intersezione e sutura tra outlet, programmi televisivi e politica spettacolarizzata. E dire che l'idea di tempo formulata dalla relatività ristretta di Einstein era stata messa in discussione anche da teorie non sperimentali. La più affascinante resta quella raccontata da Philip K. Dick, geniale autore di capolavori tra cui Do Androids Dream of Electric Sheep?, da cui fu realizzato il film cult Biade Runner (i). Rileggendo le lettere di san Paolo. Dick afferma che l'universo ci appare al contrario perché la nostra percezione interiore del tempo sarebbe ortogonale al flusso reale del tempo stesso. Ci sarebbero insomma due tempi Nel ciclo alfa e omega si confondono, e la fine diventa l'inizio di una nuova epoca. Il tempo di Esiodo non è lineare né continuo e irreversibile E non differisce dall'idea che se ne fanno storici greci e tragici. Semplicemente per Esiodo il corso della storia si dipana come il corso delle stagioni. Dalla successione degli stadi si coglie un movimento di decadenza, dalla primeva età dell'oro alla contemporanea età del ferro, pericolosamente compromessa dalla tracotanza che via via soppianta la giustizia trionfante nell'età dell'oro. «Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so». Secondo Sant Agostino, vissuto tra il IV e il V secolo de., il tempo é stato creato da Dio assieme all'Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa. Nelle sue Confessioni il vescovo di ippona (Padre e dottore della Chiesa) afferma che il tempo è distensione dell'animo ed è riconducibile a una percezione dell'individuo che, pur vivendo solo nel presente, ha coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell'attesa. «Historia se repetit?» Giambattista Vico parla di corsi e ricorsi storici. Ma la storia non si ripete. Piuttosto é l'uomo a essere sempre uguale a se stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. Ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato. La storia. dunque, è sempre uguale e sempre nuova, perché il suo artefice è sempre lo stesso: l'uomo. Solo cosi è possibile comprendere il passato, che altrimenti ci rimarrebbe oscuro. E possibile un mondo in cui si riconosce che per due punti non passa nemmeno una retta? Lo afferma, contro Euclide, il matematico e rettore dell'università di Kazan Nikolaj Lobacevskij prendendo in considerazione spazi a curvatura negativa, come l'iperbole. Se si dimostra che non esistono rette capaci di passare per due punti disposti su una superficie curva, come possono essere legati due eventi che non accadono in contemporanea? Può esistere ancora il tempo? O se ne annuncia l'illusorietà? Se Euclide considera figure geometriche tracciate su un piano, Bernhard Riemann le adagia su una curvatura positiva, tipo una superficie sferica. Secondo il greco per due punti disposti su un piano passa una sola retta; ma se questi sono appoggiati su una sfera possono essere percorsi da infinite rette: quali conseguenze spalancano le matematiche non euclidee per la concezione lineare del tempo? Quante sono le linee temporali che uniscono due eventi accaduti in momenti diversi? Infinite? stesso anno, ogni primavera la stessa primavera, ogni scorrere d'acqua la stessa acqua. L'invecchiamento dell'uomo gli ha fatto abbandonare la convinzione che egli si rinnovi eternamente come le messi e i fiori, da cui la necessità di una concezione temporale più adatta di quella dei cicli. Il tempo lineare, ricorda Dick seguendo Henri Bergson, è un "tempo accumulato", che viaggia in un'unica direzione e via via che viaggia diventa eterno perché raggiunge Dio. Così, al contrario di quello lineare che percepiamo, il tempo circolare si muoverebbe su una ruota immensa. Per questo san Paolo considera la fine del mondo come la restaurazione di tutte le cose, perché con la fine del mondo avverrebbe la fine del tempo. ovvero l'esperienza di passaggio dalla percezione del tempo lineare a quella ortogonale che racchiude in sé tutto ciò che è che è stato e che sarà. Dick fa l'esempio di un disco che contiene la musica già suonata e da suonare che non scompare dopo che è stata suonata né prima di essere suonata. Uno scarto nella puntina del grammofono o un temporaneo black-out non solo sono possibili ma ci fanno fare un salto in avanti o indietro, permettendoci di vivere contemporaneamente il passato o il futuro. Secondo Dick questi funzionamenti cattivi succedono continuamente, ma il nostro cervello li neutralizza appunto con un dokos, un velo di falsi ricordi creato per ingannarci al fine di farci sopportare il tempo lineare. Un po' come nella concezione di Plotino (2), dove l'universo e il tempo coincidono in una serie di anelli concentrici a intensità crescente di Essere, cioè a una quantità di realtà sempre maggiore: il tempo lineare sarebbe una sfera che aggiunge strati a strati e il tempo ortogonale una mano che li sfoglia. Non rinasceremmo dunque ogni anno come le stagioni e le piante, ma grazie all'accumulazione giungeremmo lentamente alla perfezione. Come nella dottrina del samsara, la reincarnazione, e del debito karmico. Se confermato, l'esperimento Opera potrebbe aprire la teoria di Einstein all'universo a 43 dimensioni di cui parla la teoria del Supermondo. Già san Paolo però aveva predetto che il giorno del giudizio le nostre categorie ontologiche crolleranno e ci sveglieremo dal sogno che chiamiamo vita accettando l'unica realtà: la vita eterna. che altro non e che il nostro essere in relazione con Dio, cioè con tutti gli universi. Una dimensione finalmente senza tempo ma soprattutto libera da quella maschera che chiamiamo "io". _________________________________________________ L’Unione Sarda 11 Ott.’11 ALLA LUCE IL PAPÀ DI TUTTI I SARDI Uno scheletro di 9000 anni fa, il più antico trovato nell’isola ARBUS. La scoperta di due archeologhe in un anfratto davanti al mare della Costa Verde Con pazienza da chirurgo l’hanno strappato alla terra che lo conservava da millenni: millimetro dopo millimetro usando il bisturi. Non potevano permettersi di danneggiare quelle ossa umane raccolte in posizione fetale in un anfratto di arenaria davanti al mare di Costa Verde. Circondato da un corredo votivo di conchiglie, lo scheletro dovrebbe avere novemila anni, il più antico trovato in Sardegna. È il papà di tutti sardi. Gli hanno dato anche un nome, Amsicora, l’eroe della rivolta anti-romana. UNIVERSITÀ Rita Melis, ricercatrice nella Facoltà di Scienze della Terra a Cagliari usa tutti i condizionali del caso. Ma definisce comunque «una scoperta di eccezionale valore scientifico internazionale» quella del litorale di Arbus, fatta assieme a Margherita Mussi, archeologa del Dipartimento delle scienze antiche della Sapienza a Roma. Sono le stesse ricercatrici che da anni seguono il sito archeologico, scoperto quindici anni fa per caso da un gruppo di ragazzi. BENIAMINO Da una parete franata intravidero uno scheletro (poi ribattezzato Beniamino) che però risultò inutilizzabile per il test sul carbonio 14 (assenza di collagene). Quattro anni fa le due studiose ritrovarono altri reperti stavolta utili: all’Università di Tucson in Arizona le analisi stabilirono che risalivano a 8500 anni fa. Un punto fermo. Amsicora è stato invece recuperato in uno strato più profondo e quindi è ipotizzabile una datazione più lontana «nell’Olocene antico», tra i Neolitico e il Mesolitico. GLI SCAVI La scoperta è avvenuta qualche giorno fa nel corso di una campagna scavi-lampo, finanziata dalla Provincia e dall’Università: da martedì a sabato. «Sapevamo dove cercare -spiega la professoressa Melis - il sito è al centro delle nostre ricerche da anni». Le due studiose, aiutate da un appassionato, Giorgio Orrù, del Gruppo archeologico Neapolis, hanno lavorato giorno e notte, perfino sotto la pioggia per riuscire a completare il lavoro. C’era un rischio: il sito (in località Su Pistoccu) è a pochi metri dal mare e una mareggiata prima o poi l’avrebbe danneggiato, portando via le ossa di Amsicora, cancellando per sempre una traccia unica sulla storia antica della Sardegna. Pezzettino a pezzettino alla luce è venuta tutta la parte inferiore, gambe e bacino. Attorno allo scheletro un corredo funebre di conchiglie. LA SCHIUMA Per metterlo in salvo senza rovinarlo, le ricercatrici hanno usato la schiuma speciale conosciuta nell’edilizia e dopo aver ricevuto l’ok della Soprindentenza l’hanno portato a Cagliari. Ora è in una cassa nella Facoltà di Geologia in attesa delle analisi. Test sul carbonio 14 e sul Dna, prima di tutto. «Non solo: bisogna effettuare un’altra serie di ricerche interdisciplinari sui reperti raccolti. Sono certa che daranno tantissime informazioni», conclude Melis. Tanto per capire: com’era l’ambiente, quali modificazione ha subito nel tempo, come mangiavano i nostri antenati, perfino da dove venivano. Amsicora può farci scoprire chi siamo. Antonio Martis _________________________________________________ Corriere della Sera 11 Ott.’11 LE NANOTECNOLOGIE SONO UN «MIRACOLO» O UNA «MINACCIA»? ESPERTI INTERNAZIONALI AL MUSEO DELLA SCIENZA Sulla rivista Nature Bisogna essere flessibili verificando caso per caso le caratteristiche dei materiali In un convegno al Museo Nazionale della scienza «Leonardo da Vinci» di Milano esperti internazionali hanno discusso possibilità e rischi delle nanotecnologie. Paolo Milani traccia un bilancio della situazione che ha bisogno di indagini e di regole ancora inesistenti per consentire un corretto utilizzo della tecnologia D a circa vent' anni le nanotecnologie sono considerate come foriere di una rivoluzione epocale scientifica e tecnologica in grado di modificare moltissimi processi produttivi e di permettere progressi cospicui nel campo dell' elettronica, medicina, biotecnologia, produzione di energia, agricoltura. Le nanoparticelle sono oggetti composti da poche migliaia di atomi: il numero di atomi che compongono una nanoparticella ne determina le proprietà. Una nanoparticella di ferro di poche centinaia di atomi non è attirata da una calamita anche se i mattoni fondamentali sono sempre gli stessi: atomi di ferro. Da ciò deriva che le proprietà delle nanoparticelle possono essere eccezionali ma sono anche eccezionalmente difficili da prevedere perché basta la differenza di un atomo in più o in meno per cambiarle radicalmente. Le nanoparticelle sono usate come additivi per migliore le caratteristiche di prodotti tradizionali per esempio in plastiche con maggiore resistenza meccanica o ignifughe, in vernici, oppure in cosmetica (crema solari, dentifrici). La loro dispersione nell' ambiente durante i processi di produzione o alla fine del ciclo di vita dei prodotti può avere conseguenze sull' ambiente e sulla salute umana che vanno individuate e caratterizzate. La Comunità Europea ha stanziato ingenti quantità di denaro per finanziare progetti di ricerca che studino gli effetti delle nanoparticelle sulla salute ed ha intrapreso iniziative per giungere alla definizione ed approvazione di regolamenti per l' uso di nanoparticelle in campo industriale, agricolo, alimentare. Nonostante gli sforzi non si è ancora raggiunto un consenso su cosa sia nanostrutturato e quali precauzioni debbano essere prese nel manipolarlo. Le proprietà di un nanoparticella dipendono dalle sue dimensioni ma anche dalla sua forma, struttura e composizione chimica, quindi la definizione di nanomateriale o nanosistema non può corrispondere semplicemente ad ogni materiale caratterizzato da componenti aventi una o più dimensioni al di sotto di una certa soglia (di solito 100 nanometri, miliardesimi di metri) e quindi potenzialmente pericoloso o dannoso. Stando così le cose, la definizione di nanomateriale a fini regolatori è difficile se non impossibile da assegnare in maniera univoca. Recentemente sulla rivista Nature è apparso un articolo di un «nanoregolatore» pentito: si tratta di Andrew D. Maynard direttore del Risk Science Centre dell' Università del Michigan che da paladino delle rigide definizioni di nanomateriale a fini regolatori, ora ritratta la sua posizione e sostiene che invece di accanirsi a trovare una definizione universale di nanomateriale, sarebbe più utile essere flessibili e considerare caso per caso senza presumere a priori che per il fatto stesso di essere nano un materiale sia pericoloso e soprattutto senza usare etichette «nano» precostituite. Insomma il prefisso «nano» non è più sinonimo di «miracolo» o «minaccia» ma semplicemente una indicazione di una caratteristica, tra le tante, di un materiale, occorre piuttosto concentrarsi su specifici problemi e poi verificare se nano è utile, pericoloso o semplicemente non influente per quel tipo di problema o ambito di applicazione. *Università di Milano RIPRODUZIONE RISERVATA Milani Paolo _________________________________________________ Corriere della Sera 11 Ott.’11 ISTITUTI TECNICI SUPERIORI: NEL LAZIO È GIÀ FLOP A Roma, Latina e Viterbo gli iscritti sono meno di un terzo dei posti disponibili Antonino Petrolino Questo è un tipo di istruzione che in Italia mancava e che invece in altri Paesi come la Francia esiste da vent' anni Maria Pia Bucchioni In un momento in cui si taglia proprio nell' istruzione, non posso accettare che venga sprecata questa opportunità Proposti dall' allora ministro Fioroni sotto il governo Prodi nel 2008, ereditati dal ministro Gelmini che ne aveva colto la rilevanza sociale e occupazionale, «parcheggiati» per un triennio in Regione, gli «ITS», istituti tecnici superiori, partiranno entro fine ottobre. Si tratta di corsi post-diploma superiore, rivolti alla formazione di profili tecnici specializzati, i cosiddetti «quadri» o capi reparto, facilmente spendibili sul mercato del lavoro. In Italia si contano 58 consorzi, 7 nel Lazio, con una potenziale richiesta, da parte delle aziende, presenti all' interno della compagine consortile attraverso Confindustria, Unioncamere e Confartigianato, di 15 mila tecnici qualificati. Peccato che le iscrizioni, soprattutto nel Lazio, a differenza della Lombardia o del Veneto dove c' è molta attesa anche da parte delle famiglie, continuino a scarseggiare, nonostante i rilevantissimi investimenti del Miur e della Regione che, in un momento di crisi e di scuole pubbliche con le casse vuote, hanno finanziato gli istituti con fondi che variano dai 500mila ai 900mila euro ciascuno. L' ammissione ai corsi, di durata biennale, è a numero chiuso, per un massimo di trenta partecipanti (un minimo di 20 per essere attivati) ma a Viterbo, come a Roma, Latina o Pomezia, al momento i candidati alla selezione sono in media 12-13». Scarso interesse per un posto in aziende meccaniche o elettroniche? Conservatorismo culturale verso le novità o una semplice carenza di comunicazione? «Forse un po' di tutto questo - spiega Antonino Petrolino, presidente dell' Associazione presidi del Lazio - questo tipo di istruzione è il naturale prolungamento degli istituti tecnici e professionali che sono stati recentemente riformati, un segmento che in Italia mancava e che invece in altri Paesi come Francia, Inghilterra o Spagna esiste da vent' anni. Le "Fondazioni di partecipazione", è questa l' esatta forma giuridica, sono nate proprio su spinta del mondo imprenditoriale, sempre all' affannosa ricerca di tecnici altamente qualificati, che da anni non si trovano più. Purtroppo il solo diploma tecnico e professionale non è direttamente spendibile nelle aziende mentre questi due anni molto specialistici consentono di fare un notevole salto di qualità nell' ambito professionale e un immediato ingresso nel mercato del lavoro». Tra i settori strategici su cui hanno puntato i sette ITS del Lazio, figurano: «Mobilità sostenibile» a Gaeta, «Nuove Tecnologie per il made in Italy nel sistema agroalimentare» a Viterbo e a Borgo Piave (Latina), «Nuove Tecnologie per il made in Italy - Servizi alle Imprese» a Viterbo, «Tecnologie innovative per le attività culturali e il turismo», «Tecnologie dell' informazione e della comunicazione» a Roma, «Nuove Tecnologie della vita» a Pomezia. I due istituti di Roma, quello di Gaeta e Viterbo (agroalimentare) hanno avuto, ciascuno, 448mila euro dal Miur e 530 mila dalla Regione, gli altri tre, ciascuno 448mila euro dal Miur e 156 mila dalla Regione. «Credo nel valore della scuola pubblica dove ho lavorato per trent' anni - aggiunge Maria Pia Bucchioni, presidente dell' Itis di Viterbo che si occupa delle «Nuove Tecnologie per il made in Italy , servizi alle imprese» - e in un momento in cui si "taglia" proprio nell' istruzione, non posso accettare che venga sprecata un' opportunità del genere. Ad oggi i candidati alla selezione sono una media di 12-13 a ITS, forse con una modesta eccezione per il nautico di Gaeta, che attinge direttamente ai maturati dei nautici, e quello della Comunicazione che avendo come capofila l' istituto Rossellini (cinema) raccoglie adesioni anche da altre regioni che non hanno questo tipo di secondaria. Così ho inviato una lettera a tutti i presidi del Lazio perché informino gli studenti sull' esistenza di questa scelta alternativa all' università che prevede anche corsi d' inglese e il conseguimento di certificazioni che, privatamente, costerebbero diverse migliaia di euro». Flavia Fiorentino RIPRODUZIONE RISERVATA **** 500.000 **** 15.000 **** 30 **** Gaeta Latina Viterbo **** Roma Roma Pomezia Fiorentino Flavia _________________________________________________ Corriere della Sera 10 Ott.’11 UNIVERSITÀ, CORSA A CHIMICA LA LAUREA SENZA PRECARIATO SCUOLA ISCRITTI TRIPLICATI E CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO. «SERVE ALLO SVILUPPO DEL PAESE» Confindustria: il 90 per cento trova lavoro in 3 anni Il minimo nel 2000, con soli mille iscritti. Poi la risalita. Consigli su come scegliere l' indirizzo giusto ROMA - È una delle scelte decisive per costruire il proprio futuro. Ma non sempre viene affrontata con la necessaria consapevolezza, sapendo davvero a cosa si va incontro. Meglio Legge, che «lascia aperte tutte le porte», oppure Ingegneria, «perché poi un lavoro lo trovi sempre», o ancora Lettere «sempre piena di ragazze»? Da 18 anni, con gli incontri di Orientagiovani, Confindustria cerca di fornire qualche strumento più utile ai ragazzi che devono decidere in quale facoltà iscriversi. L' appuntamento del 2011 ha il titolo cinematografico di «Tutti pazzi per la chimica» ed è proprio su questo settore che concentra l' attenzione. È vero che negli ultimi anni le facoltà di chimica sono tornate a macinare numeri non più irrilevanti. Dopo il minimo del 2000, quando in tutta Italia gli immatricolati erano poco più di mille, adesso siamo sopra quota 3 mila. Ma perché oggi un ragazzo dovrebbe scegliere questa strada? Orientagiovani - l' appuntamento è per domani mattina a Milano, hangar Bicocca - ha più di una risposta. E per farsi un' idea basta scorrere i dati del dossier preparato insieme ad Assolombarda e Federchimica, la federazione che riunisce le imprese del settore. Qualche esempio. Il 90% dei chimici trova lavoro entro tre anni dalla laurea. E non è un lavoro qualsiasi ma adatto ai propri studi, mentre per Scienze politiche si scende al 46%. Il precariato è ancora una rarità, visto che il 95% degli addetti ha un contatto a tempo indeterminato. E questo perché - spiega Cesare Puccioni, presidente di Federchimica - le «persone che lavorano nel nostro settore non sono intercambiabili, occorrono professionalità specifiche con un livello più elevato della media». Anche per la pensione, araba fenice per chi comincia a lavorare oggi, la situazione è migliore che altrove grazie ad un fondo per la previdenza integrativa che ha una quota così alta di iscritti (4 su 5) da garantire una buona tenuta in futuro. In più c' è anche un fondo per l' assistenza sanitaria. Vantaggi pratici che, specie in tempo di crisi, potrebbero attirare studenti in cerca di un approdo sicuro. Ma ci sono anche altre ragioni, più generali, per spingere su questo tipo di imprese: «La chimica - dice Gianfelice Rocca, vice presidente di Confindustria per l' education - è uno dei più grandi settori industriali a livello mondiale e costituisce una base irrinunciabile per lo sviluppo economico del nostro Paese». Senza la chimica, in sostanza, è molto difficile che l' Italia possa tornare a crescere. Ma finora, nelle scuole e nelle università del nostro Paese, come materia non ha avuto molto spazio. Solo uno studente italiano su due ha frequentato nella sua vita un corso di chimica contro il 67% della media Ocse. Ma nonostante questo ritardo la preparazione dei nostri ragazzi è solo di poco inferiore a quella dei loro colleghi stranieri: nei test internazionali sulle materie scientifiche raggiunge la sufficienza il 79,4% degli italiani contro l' 80% della media Ocse. «Dobbiamo orientare meglio i giovani su percorsi di studio concretamente spendibili sul mercato del lavoro - dice ancora Rocca per Confindustria - e quindi indirizzare risorse verso gli istituti tecnici, le facoltà tecnico scientifiche». È in questa cornice più ampia che si punta sulla chimica. Anche se ai ragazzi alle prese con la scelta della facoltà, interesseranno di più aspetti pratici come quello che ricorda il presidente di Federchimica, Puccioni: «Abbiamo livelli di stipendio più alti rispetto agli altri settori. Anche perché assumiamo più laureati, tre volte la media degli altri». Lorenzo Salvia lsalvia@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA Salvia Lorenzo _________________________________________________ Le Scienze 12 Ott.’11 LO SPETTRO DI LASCAUX SULLE GROTTE DI ALTAMIRA La riapertura al pubblico delle grotte, famose per le magnifiche pitture rupestri risalenti a 15.000 anni fa, potrebbe metterne a rischio la conservazione Le autorità spagnole stanno contemplando l'eventualità di riaprire al pubblico le grotte di Altamira, dichiarate dall'Unesco Patrimonio dell'umanità, soprattutto per cercare di rilanciare il turismo nella zona, che aveva risentito sensibilmente della loro chiusura. L'ipotesi è discussa in un articolo pubblicato suScience, a firma di un gruppo di ricercatori che in questi anni hanno studiato le condizioni del sito. Altamira è famosa per le magnifiche pitture rupestri risalenti a 15.000 anni fa, dipinte dalle popolazioni di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore che popolavano all'epoca la regione. Nel 1977, quando attirava quasi 200.000 visitatori all'anno, la grotta di Altamira venne chiusa alle visite a causa del deterioramento che avevano iniziato a subire le pitture rupestri, per essere riaperta nel 1982, dopo un'analisi microclimatica, ma con una forte limitazione del pubblico ammesso, attorno alle 10.000 persone all'anno, in modo da mantenere a livelli ridotti le quantità di anidride carbonica rilasciate dalla respirazione dei visitatori in quell'ambiente, come pure i tassi di umidità, i principali fattori di deterioramento individuati all'epoca. Nel 2002, peraltro, la caverna ha dovuto essere nuovamente chiusa al pubblico a causa della presenza di microrganismi fototrofi suoi dipinti, un fenomeno simile a quello subito dalle pitture della grotta di Lascaux 50 anni prima: la colonizzazione delle pareti da parte di questi microrganismi è legata all'utilizzo della luce artificiale. Ora gli studi condotti nel corso degli ultimi 15 anni nella grotta di Altamira e le simulazioni condotte dai ricercatori fanno pensare che una riapertura anche parziale del sito comporti il serio rischio di un processo di degrado analogo a quello avvenuto a Lascaux, che una volta innescato potrebbe rivelarsi inarrestabile. Per questo i ricercatori suggeriscono la possibilità di considerare anche opzioni alternative. L'ipotesi avanzata dagli autori è quella si seguire le orme di quanto fatto proprio a Lascaux per ovviare al problema: le sale più importanti della caverna sono state perfettamente ricostruite in grandezza naturale, sulla base di un'accurata rilevazione in 3D dell'ambiente, realizzata fra il 2004 e il 2005 con sofisticate tecnologie. Ovviamente, queste scelte richiedono investimenti, che peraltro si ripagano: attualmente, il nuovo sito così approntato - noto come Lascaux II - accoglie ogni anno oltre un milione di visitatori. "Archeologi, ambientalisti e microbiologi - scrivono gli autori - concordano sugli effetti positivi della chiusura dei siti sotterranei ai fini della loro conservazione, come dimostra anche il recente annuncio che anche alcune tombe egizie, tra cui quella di Tutankhamon, saranno chiuse al pubblico, reindirizzando i turisti a una replica." (gg) _________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 Ott.’11 LE ARSELLE VERACI SOCCOMBONO ALLE FILIPPINE Luca Rojch OLBIA. A un passo dal capolinea genetico. Dalla scomparsa di uno dei tesori del golfo sempre più raro tra i granelli di sabbia. Le arselle mediterranee sono vicinissime all’estinzione, alla catastrofe cellulare, al dissolvimento del dna. Rottamate dalle leggi dell’evoluzione. Sconfitte dalle cugine filippine, arrivate nel golfo nella pancia di qualche mercantile e in poche decine di anni in grado di rubare metro quadro dopo metro quadro lo spazio vitale all’arsella autoctona. Il resto lo hanno fatto l’alterazione del golfo e la febbre del mare. La conferma arriva dal signore del golfo, il presidente della commissione ambiente in Comune, Benedetto Cristo. «Non sono mai stato allarmista - spiega Cristo -, come scienziato mi attengo ai dati, ai risultati scientifici e all’osservazione. Più volte ho lanciato l’allarme sul proliferare di specie aliene. Come Ruditapes phlippinarum che in questi anni ha in modo progressivo preso il sopravvento sull’arsella autoctona, Ruditapes deucussatus. Ora siamo a un livello ulteriore. Dobbiamo intervenire subito. Se non si crea un’area protetta, recintata, in cui far crescere solo l’arsella autoctona, si arriverà in brevissimo tempo all’estinzione della nostra arsella». Non solo una questione di palato. Una difesa del piatto, ma il segnale di una pericolosissima alterazione dell’ecosistema delicatissimo del golfo. A sostenere la denuncia di Cristo anche i risultati di alcuni test scientifici che dimostrano come la decussatus sia sempre più rara nel golfo e come questo fenomeno sembri incontrovertibile. «A meno che non intervenga l’uomo - continua Cristo -. Per questo proporrò in commissione Ambiente di creare in tempi rapidissimi una zona di tutela integrale per le nostre arselle, in cui farle crescere al riparo dall’altra specie, particolarmente invasiva, e dai prelievi indiscriminati». Cristo si è dedicato al tema con una full immersion. Da anni monitora lo stato di salute del golfo nelle sue immersioni e studia con attenzione le alterazioni che ha subito il delicatissimo habitat. Microscopio e muta, in collaborazione col Dipartimento di zoologia e genetica evoluzionistica dell’università di Sassari studia il fenomeno sopra e sotto il mare. «Troppi errori e troppe speculazioni - spiega -. Per decenni si è vissuti di quello che il golfo regalava agli olbiesi. Un serbatoio prezioso, un ammortizzatore sociale nei periodi di magra. Oggi non è più così. Il delicato equilibrio del golfo è stato alterato. L’introduzione della arsella filippina è solo l’ultimo passaggio. Da tempo ho messo in evidenza che si correva il rischio di vedere estinta la nostra arsella che ha qualità organolettiche e nutrizionali superiori. Ora siamo arrivati quasi a un punto di non ritorno. Se non interveniamo in brevissimo tempo la nostra arsella sparirà per sempre dal golfo. Possiamo anche ipotizzare lo svilupparsi dei primi fenomeni di ibridazione. Che porterebbero a un processo di estinzione ancora più rapido». Le arselle sono strumento per misurare la febbre del golfo. Cristo da medico del mare cerca di salvare uno dei simboli del territorio. La salvezza potrebbe arrivare da questa zona protetta che il Comune, da sempre in prima linea nella difesa delle arselle, potrebbe creare. «C’è stato anche un altro evento che ha decimato l’arsella. Negli anni’90 è comparso un mitile asiatico, Musculista senhousia. Simile a una piccola cozza tesse una tela in una catena interminabile di filamenti creati col bisso. Una specie di filtro che non fa nutrire l’arsella e la uccide». _________________________________________________ La Nuova Sardegna 14 Ott.’11 CAGLIARI, L’INPS IN AFFITTO DA ZUNCHEDDU CAGLIARI. L’Inps vende gli immobili, accorpa le sedi cagliaritane e dove va? Negli edifici di proprietà del costruttore-editore Sergio Zuncheddu, dove potrebbe pagare per l’affitto dei locali un canone di 900mila euro l’anno. Su nove offerte selezionate con un bando pubblico dalla direzione Inps, quattro sono state bocciate e delle cinque giudicate idonee dall’organo tecnico di valutazione tre sono arrivate dall’imprenditore di Burcei. Si tratta dell’attuale sede dell’Unione Sarda in viale Regina Elena più due settori del gigantesco complesso dei Fenicotteri, a Santa Gilla. L’11 ottobre scorso il comitato regionale si è opposto con sei voti contrari, cinque astenuti e sette favorevoli. Ma il direttore generale Salvatore Putzolu, il solo in base alle norme a dover scegliere, andrà avanti comunque: «L’ultima parola spetta alla direzione generale nazionale - spiega il dirigente - io ho dato le mie indicazioni, basate su un’istruttoria tecnica. Esattamente come stabilisce la procedura». Putzolu non rivela quali siano le sedi prescelte per riorganizzare gli uffici dell’Inps regionale («sono tenuto al riserbo, mi dispiace») ma alcuni membri del comitato hanno appreso che l’indicazione è partita ed è arrivata a Roma: per ragioni di economicità, di collegamenti stradali e di adeguabilità dei locali gli immobili di Zuncheddu sarebbero ideali. Ma vediamo le cose dal principio. È stato il direttore generale a chiedere alle sedi regionali di «razionalizzare» gli uffici territoriali. Si tratta di vendere quelli sovradimensionati e di acquisirne altri a prezzi convenienti, accorpando sedi e tagliando costi inutili. Tecnicamente si chiama cartolarizzazione, un’operazione di cassa sul patrimonio edilizio che in questo caso affianca un progetto di riorganizzazione. Cagliari si è allineata alle direttive: le attuali sedi di via Grandi e di via dei Giudicati verranno smantellate e gli uffici («che hanno solo funzione di coordinamento, non ci sono sportelli destinati al pubblico» avverte Putzolu) saranno trasferiti in un solo edificio. Al bando, pubblicato sui giornali, hanno risposto in nove. Tra le offerte gli uffici di via Cesare Pintus dov’era l’agenzia territoriale delle Finanze, palazzo Tirso in piazza Deffenu e palazzo Doglio, proprietà dell’ex presidente del Bologna Sergio Porcedda. Tutte queste sono state respinte sulla base dell’istruttoria tecnica: non sono idonee. Al vaglio della direzione sono rimaste le tre offerte targate Zuncheddu, l’ex Biochimico sardo in via Dante e i locali delle Poste centrali di piazza del Carmine. Fra questi, per ragioni esposte nella relazione tecnica trasmessa a Roma, sarebbero stati scelti gli edifici dell’editore. Una decisione ancora da definire ma che ha fatto balzare sulla sedia sindacalisti e rappresentanti delle associazioni datoriali - compresa Confindustria - riuniti a votare nel comitato regionale. Se il direttore Putzolu liquida l’opposizione con un giudizio essenziale («soprattutto ragioni politiche») la voce del dissenso si lega anche all’opportunità di investire pesantemente sulla sede direzionale quando la previdenza italiana e sarda sembrano avere problemi più urgenti da risolvere. D’altronde però i criteri dell’operazione sono stabiliti nell’«iter procedurale per l’acquisizione dei locali da destinare a fini istituzionali» e uno di questi è la «baricentricità» per la quale è stata costituita addirittura una commissione. Ebbene stando al parere della commissione gli edifici di Zuncheddu sono i più baricentrici e tra l’altro costano meno. Se le offerte di canone vanno da 17 a 22 euro al metro quadrato, i locali dell’editore verrebbero presi in affitto a 19 euro. Prezzo giudicato conveniente dai tecnici, in rapporto anche alle caratteristiche e alla posizione degli immobili. I giochi però non sono ancora fatti: «Per quanto riguarda l’indicazione delle sedi decido io - avverte Putzolu - ma ora la proposta passerà al coordinamento generale tecnico-edilizio per un esame di merito basato sull’istruttoria tecnica. Poi alla direzione generale risorse strumentali e infine alla direzione centrale organizzazione. Quindi l’ultima parola sarà di Roma». Finita l’odissea burocratica e accolta la proposta, si dovrà determinare il canone: per questo entrerà in gioco la commissione per la congruità, formata da ingengeri e tecnici di finanza. Ma se tutto andrà come sembra, Zuncheddu rimedierà in parte alla mancata vendita delle torri alla Regione, un progetto bloccato da Renato Soru che per questo non sarà mai perdonato. ========================================================= _________________________________________________ MF 15 Ott.’11 LOMBARDIA SENZA MEDICI: APRIAMO IL NUMERO CHIUSO L’assessore regionale alla Sanità, Luciano Bresciani, lancia la proposta di rivedere le regole per l'accesso alla facoltà di Medicina. [ diede di aprire i corsi di speciali/fazione ai finanziamenti privati in Lombardia gli ospedali rischiano di restare senza medici: entro il 2015 ce ne saranno 7.600 in meno rispetto a oggi a causa dei pensionamenti, con un calo del 40%. "Una voragine", la definisce l'assessore regionale alla Sanità, Luciano Bresciani, che spiega di essere stato "il primo a lanciare l'allarme sulla futura carenza di camici bianchi e sulla cattiva programmazione romana. Lo continuo a ripetere da mesi. Tante, troppe sono le specialità a rischio: medicina interna, anestesia e rianimazione, chirurgia generale, ginecologia e ostetricia, cardiologia, ortopedia e traumatologia, pediatria, psichiatria e nefrologia". Sotto accusa i posti disponibili per i corsi post- laurea, che in Lombardia, per tutte queste specialità, sono solo 750. "Pochissimi — prosegue Bresciani — tanto che la Regione da tempo ha chiesto che vengano portati ad almeno 1.280". L'assessore, però, va oltre, e avanza "una proposta dirompente: credo sia giusto lavorare perché entro la fine del 2012 si ripensi al cosiddetto numero chiuso della facoltà di medicina. Guardo al mio territorio, ai suoi fabbisogni, e se non modifichiamo il numero programmato la Lombardia rischia di soffrire una pesante carenza di medici e di doverli importare da altre Regioni. Se non addirittura dall'estero, dove non abbiamo garanzie sugli standard di qualità". Facoltà di medicina più "aperta", dunque, ma nelle intenzioni di Bresciani va anche riequilibrata la distribuzione dei corsi universitari: "la Lombardia — spiega infatti - con i suoi 9 milioni e 743mila abitanti, ha il 13,19% dei corsi di medicina in Italia, mentre il Lazio, che ha una popolazione di 5 milioni e 727mila persone, ne ha il 15,93%. Uno squilibrio assurdo. Dove ad aggravare la sproporzione tra le necessità del sistema ospedaliero e i giovani medici ci sono anche le percentuali di chi abbandona: una cifra che sfiora il 6%". Poiché per formare un medico specialista sono necessari almeno 10 anni, però, anche prendendo provvedimenti immediati non sarà possibile averne a sufficienza per il 2015. E quindi servono altre soluzioni. Che, secondo Bresciani, sono il ripensamento del sistema del numero chiuso el' apertura dei corsi di specializzazione ai finanziamenti privati, per "dare la possibilità al mondo delle imprese — spiega l'assessore — di investire sul futuro dei nostri ragazzi". Per raggiungere questi obiettivi sarà necessario un tavolo tecnico permanente con i ministeri interessati (MIUR, Salute e Finanza), ma Bresciani sottolinea di aver "già lanciato la proposta dí fare della Lombardia un laboratorio sperimentale, perché qui è in discussione il federalismo in Sanità: anche questa è una grande battaglia federalista, basata sulla forza dei fabbisogni e non sull'imperio del centralismo romano. Non possiamo più permetterci che sia proprio la burocrazia romana a dirci di quanti medici ha bisogno la nostra comunità, non c'è più tempo per una cultura scientifica slegata dai fabbisogni del territorio. Dobbiamo essere coraggiosi e affrontare la competizione europea quali attori protagonisti dello sviluppo tecnologico sanitario, per non subirlo". _________________________________________________ Corriere della Sera 13 Ott.’11 QUANDO IL NUMERO DI MEDICI DIVENTA UNA «MALATTIA» Il saldo La Regione stima un saldo negativo pari a 7.600 unità nei prossimi 5 anni I n Italia è ormai emergenza medici: si stima che entro i prossimi 10 anni andranno in pensione circa 30 mila medici, un esercito di professionisti. E una delle regioni nelle quali la situazione è più critica è proprio la Lombardia. Secondo un recente studio sviluppato dall' associazione di categoria Anaao-Assomed nel 2021 nel nostro Paese mancheranno all' appello 3.400 pediatri, 1.950 internisti, 950 chirurghi generali, oltre a diverse centinaia di altri professionisti delle altre specialità mediche. Solo nella nostra Regione l' assessorato alla Sanità stima un saldo negativo tra pensionamenti e neospecialisti pari a 7.600 unità nei prossimi 5 anni. L' Italia malgrado ciò continuerà ad avere un numero di medici superiore alla media Ue, ma liquidare così il problema sarebbe semplicistico. Non tutti i laureati in medicina infatti esercitano la professione e poi esistono significative difformità nella distribuzione regionale dei dottori: basti pensare che il Lazio ha uno specializzando ogni 7.000 abitanti e la Lombardia uno ogni 13.000. Nei prossimi anni molti compiti potranno essere delegati dai medici a nuove figure professionali e agli infermieri oggi laureati, ma questo processo è ancora in divenire e molta strada resta ancora da fare. La realtà è che oggi cominciano a registrarsi concrete difficoltà a coprire le posizioni negli ospedali, così come anche sul territorio, basti pensare alla grave carenza di pediatri di libera scelta. Anche il ricambio generazionale nelle posizioni apicali è a rischio. Il Senato sta per licenziare un decreto, già approvato alla Camera, che corre ai ripari non tanto allargando il numero programmato di ingressi nelle facoltà di medicina o nelle scuole di specializzazione (misure che comporterebbero anche cospicui investimenti economici) ma offrendo la possibilità agli specializzandi nel biennio conclusivo della loro formazione universitaria di lavorare all' interno di tutte le strutture del Ssn e non più solo nei poli universitari: questo garantirà così una maggiore presenza medica. Il tutto mantenendo la stessa retribuzione oggi garantita dalle scuole di specialità (circa 1.800 euro al mese) e senza partecipazione ai turni di guardia attiva. È un primo passo utile ma molto probabilmente insufficiente a risolvere un problema ormai strutturale. sharari@hotmail.it RIPRODUZIONE RISERVATA Harari Sergio _________________________________________________ La Gazzetta del Mezzogiorno 10 Ott.’11 INSEGNAMENTO DI MEDICINA: SARÀ PUNTO E A CAPO di NICOLA SIMONETTI Università alle battute finali. La si vuole chiudere per farne dipartimenti, fino a ieri deputati al coordinamento della ricerca. Si vuole che le facoltà mediche si trasformino in scuole mediche od ospedali di insegnamento. Con quale coerenza con l'attività didattica e scientifica per la ricerca? Tra dieci anni - facile profezia - torneremo indietro. La crisi dell'università e del Sistema Sanitario - lo ha auspicato anche l'assessore Tommaso Fiore - siano almeno provvidenziali per un recupero di provvedimenti ed orientamenti idonei e coerenti». Se lo è augurato il prof. Antonio Quaranta, ordinario di otorinolaringoiatria e preside della facoltà di medicina e chirurgia, inaugurando, a Bari, il XXXIII congresso nazionale di audiologia, foniatria e scienze correlate. "Lascio la facoltà di Bari, dopo due consecutivi mandati di presidenza, con una qualificata offerta didattica rispondente alla richiesta del territorio. Abbiamo chiuso 30 corsi di laurea perché non formavano e ne sono rimaste 23 in piena, caratteristica, utile attività. Ho rilevato e denunciato che il 40% dei ricercatori e docenti (come in tutte le Università) non è interessato a fare ricerca mentre l'altro 60% si impegna e qualifica tanto che l' impact factor (metodo per la valutazione della qualità della ricerca prodotta), negli ultimi due anni, è passato, per la nostra Facoltà, da 1.000 a ben 5.000. Quel 40% di colleghi percepisce stipendio ma non lavora adeguatamente mentre i giovani ricercatori che si impegnano continuano ad essere retribuiti con 1.200 euro. Se i primi che bloccano un ruolo che non li appassiona andassero a casa, non ne risentirebbe la ricerca ma gli stipendi di chi resta e lavora potrebbero diventare almeno dignitosi. Facile fare lezione. Su una preparazione remota si può innestare la consultazione di libri (autoapprendimento) e prepararsi. La ricerca, invece, richiede impegno, dedizione, sacrificio. La faccia e ne sia titolare ed usufruisca dei relativi vantaggi chi la compie con passione. La produttività dell'assistenza - denuncia Quaranta - vede tutti i policlinici universitari con minore indice di attrazione. Una lacuna da colmare. Il protocollo di intesa facoltà- azienda ospedaliera di Bari, un accordo che stabilisce le regole per un buon funzionamento è stato licenziato dalla Commissione relativa e tende a migliorare l'aspetto qualitativo dell'assistenza. Speriamo che si chiuda il protocollo d'intesa. Se non ci sono regole l'immagine ed il rendimento scadono. La facoltà medica da me presieduta - prima in Italia - si è dotata del Codice Etico, ha introdotto controllo (metal detector e vigilanza qualificata) per gli esami di ammissione". Il prof. Quaranta ha, quindi, sottolineato il concetto di utilità sociale delle specialità ed ha denunciato che quella di Audiologia e Foniatria sta per essere cancellata per confluire nell'otorino. Un errore perché riduce le capacità e possibilità didattiche, di ricerca ed aggiornamento. "Non vogliamo preparare gli specialisti che servono per i malati che aumentano ... andranno alle Terme, essendo stata introdotta questa specialità. L'ordinamento didattico è in confusione: non lo si capisce più". È stato un "congedo" franco fatto in pubblico dal prof. Quaranta il quale ha anticipato il proprio pensionamento. Continuerà, per un biennio (con il benestare della Facoltà), una ricerca in corso, già finanziata dal Ministero. _________________________________________________ Corriere della Sera 12 Ott.’11 MEDICINA, NUOVA MAPPA DEL POTERE LA RIFORMA GELMINI APPROVATO IERI A MAGGIORANZA LO STATUTO CHE TRASFORMA L' ORGANIZZAZIONE DELL' UNIVERSITÀ Facoltà divisa in dipartimenti. Il preside: rischio ingovernabilità La riforma Gelmini cancella la facoltà di Medicina e in via Festa del Perdono è cominciata la lotta di potere per chi comanderà i nuovi dipartimenti. La mappa dell' insegnamento ai 6.700 futuri dottori sarà frammentata, infatti, in almeno sette dipartimenti guidati da altrettanti capi super potenti: uno che fa riferimento all' ospedale Sacco (con promoter Gianluca Vago), uno al San Paolo (con Annamaria Di Giulio), due al Policlinico (con Paolo Beck-Peccoz e Luciano Gattinoni), un altro per l' Humanitas (con Paola Viani e Marco Montorsi), poi c' è l' odontoiatria (con Roberto Mattina) e il polo di Città Studi (con Chiarella Sforza). Ma i giochi sono aperti, il numero dei dipartimenti può ancora cambiare, le relative poltrone aumentare. Una cosa è certa: con l' approvazione (18 contro 12), ieri alla Statale, dello Statuto di attuazione della legge Gelmini, è partita la rivoluzione del sistema di governance dell' università. Il preside della facoltà di Medicina, Virgilio F. Ferrario, allarga le braccia: «Gli effetti saranno dirompenti soprattutto per la facoltà di Medicina di Milano che negli ultimi sei anni ha aumentato del 50% studenti e corsi di laurea a fronte di una riduzione dei docenti di più del 20% - dice Ferrario -. Dove andrà a finire adesso la programmazione unitaria e il ruolo di confronto autorevole con il sistema sanitario regionale?». I direttori dei futuri dipartimenti avranno il potere di gestire la nomina dei docenti, la chiamata dei ricercatori e la modalità di spesa dei fondi a disposizione. Sotto la guida di ciascuno ci sarà da un minimo di 40 professori a un massimo di 115. Il loro ruolo dev' essere decretato da una elezione interna: e non è scontato che i promoter di oggi si candideranno alla guida dei dipartimenti nei prossimi mesi. Ma il posto è decisamente ambito, con divisioni già annunciate tra fazioni di medici riconducibili a Comunione e Liberazione e altri laici. Il preside, Virgilio F. Ferrario, non nasconde l' amarezza: «È probabile, anzi è già in atto nella costituzione dei nuovi dipartimenti, un processo di disgregazione che trasforma la vecchia facoltà, paradossalmente, in piccole facoltà focalizzate in corrispondenza dei poli ospedalieri, di difficile comunicazione fra di loro e, sotto sotto, fortemente dipendenti dal relativo ospedale». Ferrario è al suo secondo mandato e, dunque, non più rieleggibile: «Le mie impressioni, giuste o sbagliate che siano - assicura - sono libere da ogni possibile conflitto di interesse». Per esprimere i propri timori il preside usa la frase che l' editorialista del Corriere, Pierluigi Battista, riferiva recentemente al quadro politico nazionale: «Il rischio è che le singole parti sconfinino in un terreno in cui gli interessi particolari, frammentati e parcellizzati, siano scambiati per l' interesse generale». Ma non tutti sono d' accordo in università con la visione di Ferrario. Tra i medici si respira voglia di cambiamento e di maggiore coinvolgimento nelle decisioni che riguardano la didattica e la ricerca, irraggiungibili in una facoltà mastodontica. La speranza è che all' alzata di mano mensilmente organizzata per ratificare decisioni già prese si sostituisca il dialogo per decidere carriere e utilizzo dei fondi. La partita è appena cominciata. Simona Ravizza sravizza@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA **** I protagonisti **** La «rivoluzione» Il nuovo statuto È previsto dalla riforma Gelmini. Il Senato accademico della Statale ieri lo ha approvato con 18 voti favorevoli, 7 contrari e 5 astenuti I dipartimenti Saranno centrali nel nuovo ateneo. La facoltà di Medicina ne avrà verosimilmente almeno sette Il cda Oltre al rettore e a due rappresentanti degli studenti, ci saranno otto membri (tra cui almeno tre donne) Ravizza Simona _________________________________________________ Corriere della Sera 12 Ott.’11 NUMERO CHIUSO A SORPRESA: 858 POSTI RIMASTI VACANTI UNIVERSITÀ RISERVATI AGLI EXTRACOMUNITARI MA MAI ASSEGNATI Punteggio minimo Nei test era necessario prendere 20 punti su 80: molti non ce l' hanno fatta ROMA - Lo studio in piena estate dopo la maturità. La scelta dell' università giusta, quella buona e più affollata o quella meno buona dove è più facile entrare? Lo stress dei test di ingresso con quelle domande un po' così, grattachecca compresa. L' attesa dei risultati, la delusione per non avercela fatta e l' urgenza di trovare un piano B, sullo sfondo le continue richieste di aumentare i posti o addirittura eliminare il numero chiuso. E poi, quando i giochi sono fatti, si scopre che 858 posti da matricola sono rimasti scoperti. Non assegnati, difficilmente assegnabili, almeno per ora sprecati anche per le nuove regole sui test che hanno debuttato a settembre. Che cosa è successo? Il problema riguarda le quattro facoltà a numero chiuso: Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura. Oltre ai 20 mila posti messi in palio per gli studenti italiani e comunitari ce ne sono altri 1.210 riservati agli extracomunitari che non vivono nel nostro Paese. Il primo problema è che si sono presentati meno candidati rispetto ai posti disponibili. Ai test di settembre gli studenti extracomunitari erano solo 859 e quindi un quarto dei posti messi in palio comunque non sarebbe stato assegnato. Ma a far salire il numero degli «scoperti» è stata anche la nuova regola sul punteggio minimo introdotta quest' anno. Adesso nei test è necessario prendere almeno 20 punti su un voto massimo di 80. Chi resta sotto non si può iscrivere anche se ci sono posti a disposizione. Una regola che vale per tutti, italiani, comunitari ed extracomunitari. Ma che proprio su questi ultimi ha pesato di più viste le inevitabili difficoltà con la lingua italiana. E infatti tra gli extracomunitari che hanno partecipato ai test solo 352 sono riusciti a superare l' asticella dei 20 punti mentre altri 507 sono rimasti sotto e quindi fuori dall' università. Fino all' anno scorso questa regola non c' era. E con il meccanismo dei posti riservati agli extracomunitari sono entrati nelle facoltà a numero chiuso studenti con un voto bassissimo. Anzi, considerato che per ogni risposta sbagliata si perde un quarto di punto, è capitato pure che venissero promossi ragazzi con un punteggio negativo, sotto lo zero. Cosa fare adesso? «Vorrei che questi posti fossero riassegnati agli studenti italiani e comunitari che sono rimasti fuori dalle graduatorie» dice il ministro dell' Istruzione Mariastella Gelmini. Ma non è cosa semplice, visto che i giochi ormai sono chiusi e a sbarrare la strada c' è anche un parere contrario del Consiglio di Stato. Più probabile che gli 858 posti vengano recuperati l' anno prossimo. Alcuni Paesi stranieri hanno protestato con il nostro ministero degli Esteri. Ma la soglia minima dei 20 punti su 80 dovrebbe rimanere anche l' anno prossimo. In fondo è come chiedere ad un liceale di prendere almeno 2 e mezzo in un compito in classe. L. Sal. lsalvia@corriere.it RIPRODUZIONE RISERVATA Salvia Lorenzo _________________________________________________ Corriere della Sera 16 Ott.’11 MESSINA, TEST ANNULLATI A MEDICINA MESSINA — Accanto al nome del candidato veniva annotato il codice riservato. In questo modo si sapeva a chi faceva riferimento ogni elaborato sin dall'inizio della prova e non alla fine. Per questo il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimi i test di ammissione alla facoltà di medicina di Messina sin dall'istituzione del numero chiuso, nel 1999. Per il giudice «è stato violato il principio di anonimato», dunque dovranno essere riammessi 13 studenti che hanno fatto ricorso. Ma c'è da aspettarsi un effetto valanga con altri 100 ricorsi. Un pasticcio nelle mani della Procura. A Scienze politiche invece 36 laureati dovranno sostenere di nuovo due esami a causa di un'errata attribuzione dei crediti. Alfio Sciacca _________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 Ott.’11 SOPRUSI E TRASFERIMENTI, AL BROTZU MONTA LA POLEMICA CAGLIARI. Nonostante l’ottimismo profuso dalla direzione generale del più grande ospedale dell’isola, al Brotzu il malumore cova sotto i sorrisi di circostanza. Ad uscire allo scoperto, con una nota al direttore Garau e all’assessore De Francisci, è adesso il personale d’assistenza. «La sofferenza del personale d’assistenza - scrivono nella nota Cgil, Fsi, Uil-Fpl, Fials e Usae - è a livelli, oramai, non più sopportabili. Il Brotzu è sempre stato, per sua natura, un importante crocevia di interessi politici ma, negli ultimi tempi, si va sempre più palesemente trasformando in appetibile terra di conquista politico-clientelare. «Sono inquietanti - continua la nota - le dubbie interpretazioni degli accordi decentrati già siglati e approvati dall’Aran, adottate per il recupero delle famose indennità, con metodi alquanto discutibili. È gravissimo che l’amministrazione, in disaccordo coi sindacati firmatari, interpretando ed applicando unilateralmente accordi da tempo consolidati, metta le mani nelle tasche dei Lavoratori, e guarda caso di quelli già sofferenti per turni e carichi di lavoro gravosi. Nel più grande ospedale della Sardegna si vive, insomma, una drammatica situazione organizzativa: col rischio concreto di gravi ripercussioni assistenziali. È, ugualmente, forte il rischio che il malessere, che questa complessiva disorganizzazione sta generando, possa addirittura sfociare in deprecabili reazioni individuali. È inevitabile che le conseguenze di tutto ciò si riversino a cascata sull’intero personale dei reparti». I sindacalisti citano «trasferimenti e soprusi subiti da alcuni coordinatori, infermieri ed anche Oss, come recentemente accaduto in Medicina 2 sfociando, addirittura, in gravi manifestazioni di intolleranza e totale disprezzo sia personale che professionale degli stessi». La azione della direzione andrebbe in direzione opposta. «Anzichè adeguare le dotazioni organiche del personale di assistenza, rimpolpandole congruamente di infermieri e di Oss, si assiste ad un irrefrenabile tourbillon di promozioni, incarichi e controincarichi amministrativi, tempestivamente indennizzati, all’insegna della più becera discrezionalità». Per questo motivo il sindacato chiede la revoca di tutte le promozioni, incarichi e indennità e preannuncia lo stato di agitazione, foriero di altre clamorose azioni di protesta.(g.cen.) _________________________________________________ La Nuova Sardegna 13 Ott.’11 SAN RAFFAELE, IL PIANO PROFITI NON CONVINCE OLBIA. Per la sorte dell’ospedale San Raffaele è il momento della verità. Ieri a Milano, nella sezione fallimentare del tribunale, il vicepresidente della fondazione Monte Tabor, Giuseppe Profiti, ha illustrato il piano di risanamento che sostiene l’ammissione al concordato preventivo. Per il gruppo fondato da don Verzé, gravato da un miliardo e mezzo di debiti, è l’ultima spiaggia per evitare il fallimento. Ieri il presidente del tribunale fallimentare, Filippo Lamanna, e anche la procura hanno richiesto una serie di chiarimenti tecnici e integrazioni riguardo al piano di risanamento e l’udienza è stata rinviata al prossimo 26 ottobre. Tra i chiarimenti e le integrazioni richieste c’è anche quella che riguarda l’ospedale San Raffaele di Olbia, oggi quasi ultimato e legato a un contratto di leasing con le banche del valore di circa 150 milioni. Altro chiarimento importante riguarda l’offerta del gruppo Malacalza, 250 milioni, condizionata alla omologa definitiva del concordato. Le integrazioni richieste (13 punti) sono state considerate semplici «puntualizzazioni» dagli avvocati della fondazione che hanno già annunciato l’imminente presentazione delle dovute integrazioni. _________________________________________________ Corriere della Sera 15 Ott.’11 RIFORMA SANITARIA, OBAMA COSTRETTO A UNA PARZIALE MARCIA INDIETRO Salta il piano per le cure a lungo termine, troppo costoso MILANO - L'amministrazione Obama è costretta a rinunciare a uno dei cardini della riforma della Sanità, il piano assicurativo «Community Living Assistance Services and Supports» (Class) per le cure a lungo termine: alla notizia danno grande risalto i quotidiani statunitensi, che parlano di «marcia indietro» e «battuta d'arresto» per una delle battaglie politiche su cui il presidente aveva scommesso di più. PIANO INSOSTENIBILE - Il ministro della Sanità Kathleen Sebelius ha messo in evidenza alcune lacune che rendono impossibile la sostenibilità finanziaria del piano, fra le condizioni imprescindibili per la sua approvazione. In una lettera indirizzata al Congresso, l'ex governatrice del Kansas ha scritto che «in questo momento non si è trovato il modo per realizzare il Class» proprio perché il piano assicurativo è «insostenibile a livello finanziario». «Continueremo a lavorare perché le cose cambino» ha assicurato la vice di Sebelius, Kathy J. Greenlee. Il segretario della Sanità ha voluto comunque precisare che la sua decisione «non influirà sul resto della riforma» che punta a fornire una copertura sanitaria a oltre 30 milioni di americani che attualmente non sono assicurati. PREMI VERSATI - Il capogruppo dei Repubblicani al Senato, Mitch McConnell ha però valutato che il Class era «solo uno degli ingredienti insensati e insostenibili di una riforma insensata e insostenibile». Gli analisti hanno sempre espresso dubbi sulla sostenibilità del programma, pensato in origine per superare i limiti del sistema vigente che in molti casi impone oneri gravosi per l'assistenza sul lungo periodo di persone non autosufficienti, favorendone fra l'altro l'ospedalizzazione in luogo della «home care». In origine il piano doveva essere finanziato esclusivamente dai premi versati da qualsiasi lavoratore che vi volesse contribuire, senza alcun sostegno da parte del governo federale: con un contributo mensile di meno di 100 dollari i volontari avrebbero garantito benefici pari a 50 dollari al giorno per i bisognosi; dalle medicine ad altre cose necessarie come una sedia a rotelle. Se gli iscritti fossero stati pochi a fronte dei numerosi ammalati, però, sarebbe venuta a mancare l'autonomia finanziaria su cui il Class si reggeva. Da qui la decisione del Dipartimento della Sanità, che potrebbe rappresentare un nuovo ostacolo per il cammino di Obama verso la rielezione nel 2012. Le organizzazioni a sostegno degli anziani e dei disabili hanno già espresso il loro grave disappunto per via dell'«enorme bisogno» di una copertura assicurativa per i malati che necessitano di cure a lungo termine. _________________________________________________ L’Unione Sarda 14 Ott.’11 SEMAFORO SPENTO DALL'ANAS SULLA 554, RIVOLTA A IS CORRIAS E SU PEZZU MANNU «Isolati nei nostri rioni» Protestano i sindaci di Monserrato e Selargius Si tratta di una sperimentazione, ma a Is Corrias e a Su Pezzu Mannu è già rivolta: ieri gli operai dell'Anas, tra le proteste dei residenti, sono entrati in azione per spegnere l'ultimo semaforo, in direzione aeroporto, sulla statale 554. Resterà inattivo almeno fino al 30 novembre: poi si tireranno le somme. Odiato dai pendolari, che nelle ore di punta restavano imbottigliati nel traffico in attesa del verde, l'impianto garantiva agli abitanti dei due rioni di muoversi in tutte le direzioni. Ora, invece, dovranno fare i conti con una barriera spartitraffico che impedisce di attraversare la circonvallazione e di svoltare a sinistra. LE PROTESTE All'arrivo degli operai, per protesta i residenti si sono immediatamente riversati all'incrocio. Ci sono stati attimi di tensione, ma la proteste non ha impedito che il lavoro dell'Anas venisse eseguito. «Saremo completamente isolati, come prigionieri», contestano gli abitanti. «Ci dicano come possiamo muoverci dalle nostre abitazioni. Chi ha la macchina sarà ora costretto a lunghissime deviazioni, ma chi è a piedi non ha alcuna possibilità di attraversare la strada. Inoltre i mezzi di soccorso, ambulanze e vigili del fuoco, avranno difficoltà a intervenire». I SINDACI La mobilitazione ha coinvolto anche le amministrazioni comunali che si dividono il territorio di Is Corrias. Prima il sindaco di Monserrato Gianni Argiolas e poi il primo cittadino di Selargius, Gian Franco Cappai, ieri mattina hanno effettuato un sopralluogo. Quest'ultimo ha ribadito la totale contrarietà all'intervento dell'Anas. «È questa soluzione che rende realmente pericoloso l'incrocio», contesta Cappai. «Le auto in uscita da Is Corrias e Su Pezzu Mannu dovranno immettersi sulla 554 senza alcuna corsia di accelerazione: la sicurezza degli automobilisti è stata anteposta alla logica della velocità. Non solo: persino il servizio scuolabus per gli alunni di queste località è destinato a subire pesanti ripercussioni». ATTIVITÀ A RISCHIO Preoccupazioni condivise dalla consigliera comunale di Monserrato, Tiziana Terrana, che ieri ha portato la propria solidarietà ai residenti. «È incomprensibile e molto estensivo il concetto di sicurezza stradale dell'Anas», contesta in una nota l'esponente del Pdl. «Da una parte penalizza tantissime attività produttive chiudendo le uscite laterali, dall'altra ne crea di fatto due che risulteranno molto pericolose». LA RIUNIONE Lunedì alle 17, nell'aula consiliare del Municipio di Selargius, si terrà un assemblea pubblica proprio su viabilità e infrastrutture. All'incontro, organizzato dal sindaco Cappai e dal suo vice Fabrizio Canetto, prenderà parte anche l'assessore regionale ai Lavori pubblici Angela Nonnis e il docente universitario della facoltà d'ingegneria civile di Cagliari, Francesco Annunziata, esperto in trasporti e viabilità. Giovanni Manca di Nissa _________________________________________________ Corriere della Sera 14 Ott.’11 GRAN BRETAGNA CELLULARI PIENI DI BATTERI: A LONDRA «COLPITO» ALMENO UNO OGNI SEI Gravitano su schermi e tastiere per la scarsa igieniche di chi usa il telefonino Un cellulare su 6 conterrebbe il batterio MILANO – Ceppi del batterio Escherichia Coli (E. Coli), vivrebbero nelle fenditure e tra i tasti dei cellulari inglesi. Uno su sei dei telefonini britannici infatti sarebbe positivo alle analisi batteriologiche svolte da un istituto londinese. E l’Escherichia Coli non sarebbe il solo batterio, colpevole di infezioni intestinali, ad abitare tastiere e minischermi: anche altri batteri come lo Stafilococco aureo infatti sono stati trovati dai ricercatori inglesi della London School of Hygiene & Tropical Medicine, che ha raccolto campioni di cellulari in 12 città britanniche, sugli apparecchi: il totale dei diversi responsabili di virus e malattie è di 9 cellulari infettati su 10. LO STUDIO – I ricercatori inglesi hanno raccolto in tutto 390 campioni in 12 diverse città della Gran Bretagna, da Londra a centri minori, analizzando sia le mani sia i cellulari di chi si è sottoposto al test. Perché proprio le mani, sempre a contatto con il cellulare, sarebbero le portatrici dei batteri: lavate poco o male, a contatto con porte, mezzi pubblici, toilette non igienizzate. Sui palmi dell’82 per cento degli analizzati è stata riscontrata la presenza di batteri di ogni tipo, mentre nel 92 per cento dei casi era il cellulare a ospitare un batterio: in 6 casi su 10 si trattava dell’E. Coli (noto alle cronache per un suo ceppo particolare che produsse la crisi che investì la Germania la scorsa estate), ma anche lo Stafilococco Aureo e altri sono stati rilevati dagli studiosi. Nonostante i risultati, raccontano i ricercatori londinesi, tutti i partecipanti dichiaravano di lavarsi più volte al giorno le mani, anche dopo essere stati alla toilette. BATTERI E CELLULARI – Non è la prima volta che i cellulari vengono accusati di essere portatori di virus e malattie, per via dei batteri che vi si annidano, così difficili da debellare: nel 2010 fece scalpore la ricerca che dimostrò come ci fossero più batteri sul cellulare che non alla toilette, ma la stessa sorte toccava anche alla tastiera del Pc, ai carrelli del supermercato e ai seggioloni per bambini dei ristoranti americani. In tutti i casi, i batteri passano sempre dalle mani: una volta trasportati su una superficie come quella del cellulare, difficile da lavare, dove si annidano e continuano a vivere, rimbalzando nuovamente sulla pelle (sulle mani stesse, ma anche sulle orecchie, sulla bocca). UNA GIORNATA MONDIALE PER LE MANI LAVATE - Il solo modo di combattere questi batteri? Lavarsi tanto, e spesso, le mani, senza scordare il sapone, e un’asciugatura perfetta. Non a caso proprio sabato 15 ottobre il mondo festeggia il Global Handwash Day, la giornata mondiale per le mani lavate, sponsorizzata da grandi aziende e da associazioni e organizzazioni mondiali per la salute (come Unicef e il programma sanitario della Banca mondiale), per ricordare a tutti quanto una lavata di mani sia la migliore prevenzione per molte malattie. Eva Perasso _________________________________________________ Corriere della Sera 16 Ott.’11 LAVARSI LE MANI A SCUOLA RIDUCE DAVVERO LE INFEZIONI Una corretta igiene delle mani riduce l'incidenza dell'influenza stagionale e delle principali infezioni. Lo dice l'Organizzazione mondiale della sanità secondo la quale questo semplice gesto quotidiano ridurrebbe le infezioni gastrointestinali del 30% e quelle respiratorie del 40%. In occasione della IV Giornata Mondiale della pulizia delle mani celebrata ieri e mettendo in pratica le indicazioni dell'Oms, la Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) ha concluso la prima campagna educativa, rivolta a bambini e insegnanti delle scuole primarie con l'obiettivo di incoraggiare l'igiene delle mani nelle scuole. La scuola è uno degli ambienti a maggior diffusione di infezioni, in particolare respiratorie e gastrointestinali. Alcune abitudini tipiche degli alunni, infatti, come mettere in bocca gli oggetti o utilizzare i bagni comuni, associate ad una scorretta igiene personale, facilitano la diffusione di microrganismi che possono causare malattie. Usare acqua e sapone per almeno un minuto e chiudere il rubinetto con una salviettina sono alcuni dei gesti "salva salute". _________________________________________________________ Herald Tribune 12 Ott.’11 PROSTATE CANCER TESTS A warning that P.S.A. testing might do more harrn than good should be taken seriously by both doctors and patients. American men now have an authoritative warning that getting a blood test for prostate cancer may push them toward »eedless tests and treatments that would do them more harm than good. The United States Preventive Services Task Force, after an exhaustive review of the scientific evidence, has suggest ed that healthy men should no longer receive the P.S.A. blood test to screen for a protein that may indicate cancer. The task force of 16 independent experts advises the Department of Health and Human Services on which screening I ests have clinica] benefits and which do not. It gave the P.S.A. test its lowest rating, a Grade D, because the harm caused by having it outweighs the benefits. The test has become widely used because it can help detect I iny tumors at a very early stage, when they are theoretically most treatable. Unfortunately, a vast majority of the results are false-positives; the men don't actually have cancer. And musi of those found to have cancerous cells would not suffer effect s because their cancer is so slow-growing that it would not cut short their lives. Those with faster-growing cancers may also not be helped if the cancer is extremely aggressive. The biopsies given to patients with positive P.S.A. tests can cause infections and the treatments can cause harm to many nal lents. Surgery to remove a tumor kills or seriously harms a small percentage of the patients. Both surgery and radiatitivi therapy leave 20 percent to 30 percent of the patients impotent, incontinent or both. Drugs to block male hormones leave 40 percent with erettile dysfunction. Critics, including urologists, charge that the task force's recommendations are misguided and will hurt patients. They have already been held up for two years Test they ignite charges of government rationing. That's absurd. The recommendations are intended as guidante to help men and their doctors decide whether to use the test and how to react if it is positive. This is information patients need to know. _________________________________________________ Sanità News 11 Ott.’11 AGLI USA ARRIVA IL NO AL PSA PER CHI E’ SANO Gli uomini sani non dovrebbero piu' effettuare il test del sangue per lo screening del cancro alla prostata (Psa), perche' non salva la vita a tutti e spesso porta a ulteriori esami e a cure inutili o persino dannose per i pazienti, vittime di dolore, impotenza e incontinenza. E' quanto potrebbe raccomandare negli Usa la United States Preventive Services Task Force a partire dalla prossima settimana. La raccomandazione si basa sui risultati di cinque studi clinici destinati a cambiare in modo sostanziale la salute degli uomini 'over 50', circa 44 milioni Oltreoceano. Trentatre milioni hanno gia' effettuato il test del Psa, a volte a loro insaputa, durante gli esami medici di routine. Le decisioni della task force vengono seguite dalla maggior parte delle associazioni mediche. Due anni fa raccomando' che le donne intorno ai 40 anni non si sottoponessero a mammografia di routine, scatenando una tempesta di polemiche. (Sn) _________________________________________________ Corriere della Sera 16 Ott.’11 PSA: È LA QUALITÀ DELLA VITA IL VERO INDICATORE Ne «patiscono» persino le donne Per l'ipertrofia prostatica la cura va decisa caso per caso Interessa circa un italiano su due dopo aver superato la soglia dei 50 anni, quasi 11 milioni di connazionali in tutto. L'ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (Ipb), nota anche come adenoma prostatico, è una condizione fisiologica in tutti gli uomini dai 50 anni in poi. Ma è anche un disturbo "imbarazzante" che la maggior parte degli interessati tende a ignorare il più a lungo possibile. «Un atteggiamento sbagliato, con conseguenze negative sul piano psicologico, sessuale e persino lavorativo — esordisce Sebastiano Spatafora, coordinatore delle nuove Linee guida sull'Ipb dell'Associazione degli urologi italiani (Auro) —. Anzi, visto l'allungamento della vita media, oggi l'ipertrofia può a pieno titolo essere considerata una malattia cronica, con la quale si dovrà convivere per molti anni. Ecco allora il messaggio che vorremmo far passare: il paziente non deve far finta di niente all'apparire dei disturbi, ma i medici devono decidere quando far iniziare le cure e quali trattamenti prescrivere insieme al paziente stesso, in base alla sua vita e alle sue esigenze, valutando con lui gli effetti collaterali». Ed è a questo proposito che sembra emergere una nuova tendenza: sono in aumento i pazienti ancora giovani che, alla diagnosi di ipertrofia prostatica, chiedono al medico: «Vorrei evitare di prendere pillole "a vita", dottore. Non c'è un modo per non pensarci più? E se mi opero?». Ma allora: farmaci o bisturi? Che cosa indicano le nuove linee guida? «Cominciamo col dire che, prima di iniziare una cura, si può fare molto per arginare i sintomi solo cambiando il proprio stile di vita» puntualizza Sebastiano Spatafora. Basta, ad esempio, bere in modo più "intelligente": non più di un litro e mezzo d'acqua al giorno, evitare l'assunzione di liquidi prima di mettersi in viaggio e due ore prima di andare a letto. Sempre per evitare i disturbi urinari tipici di chi soffre di ipertrofia sono sconsigliati cibi liquidi (tipo minestre), alcolici e caffè, soprattutto di sera, onde evitare di alzarsi per andare in bagno di notte. «Deve essere chiaro che le terapie iniziano solo quando i sintomi influenzano la normale attività quotidiana — aggiunge Ciro Niro, medico generale a San Severo (Foggia), fra i curatori delle Linee guida —. A tal proposito è utile il test Ipss (vedi infografica), utilizzato a livello internazionale per classificare i segnali che accompagnano un ingrossamento della prostata e che prevede un'apposita domanda sulla qualità di vita». L'ipertrofia benigna, insomma, può essere semplicemente tenuta sotto controllo fino a quando i disturbi non diventano fastidiosi. Soltanto a quel punto si apre davvero la scelta fra la terapia medica e quella chirurgia. Riuniti a congresso in questi giorni, gli specialisti dell'Auro hanno presentato le indicazioni aggiornate per la cura dell'Ipb seguendo una filosofia che mette al centro delle decisioni l'uomo più che i numeri e le statistiche. «Gli studi scientifici — spiega Spatafora —, dimostrano l'efficacia di un medicinale o di una tecnica operatoria e in base ai loro esiti noi stiliamo una gerarchia di opzioni valide per i pazienti. Quella gerarchia, però, non è intoccabile e deve essere discussa con l'interessato, che può e deve essere parte attiva nella scelta della cura». Insomma, resta certo valida la tradizionale graduatoria: le prime cure sono a base di farmaci e quando la situazione è più complessa si passa all'intervento di disostruzione della ghiandola. Ma si può anche procedere subito alla chirurgia. Il medico espone le possibili cure in base al tipo e grado di ipertrofia, il paziente sceglie valutando gli effetti collaterali e i propri desideri. La chirurgia — spiegano gli esperti — elimina il disturbo alla radice. Fra le conseguenze indesiderate da valutare, oltre ai normali rischi connessi a un intervento, ci sono però l'eiaculazione retrograda e la possibilità di sanguinamenti anche post-operatori. Dal canto loro, i medicinali arginano soltanto i sintomi e hanno effetti secondari in meno del cinque per cento dei casi: problemi cardiovascolari (come ipotensione e vertigini) e disturbi eiaculatori in caso di assunzione di alfalitici; problemi erettili e calo della libido per gli inibitori della 5-alfa redattasi; secchezza delle fauci nel caso degli anticolinergici. In materia di farmaci le nuove linee guida evidenziano l'efficacia della combinazione fra alfalitici e inibitori della 5-alfa reduttasi per i pazienti con una ghiandola prostatica ingrossata, nei quali il mix riesce a limitare la progressione della malattia e a migliorare la qualità di vita. L'associazione di alfalitici e anticolinergici, invece, è indicata per chi ha sintomi di ostruzione della vescica e soffre di vescica iperattiva. Infine, anche gli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE-5) (quelli che aiutano in caso di deficit dell'erezione) possono essere validi alleati contro l'Ipb, ma vanno utilizzati solo in quei soggetti che già li assumono a causa della disfunzione erettile. Per quanto riguarda la chirurgia, invece, la resezione transuretrale della prostata resta fra le tecniche preferite, affiancata però dalla Turp (resezione endoscopica della prostata)» conclude Niro. _________________________________________________ Le Scienze 12 Ott.’11 UN INEDITO MODELLO DELLA CRESCITA FETALE Una battaglia tra placenta e utero all'origine della preeclampsia La placenta sembra creare un diversivo per ingannare la madre, tenendo occupati i suoi linfociti La preeclampsia, una grave patologia che colpisce le donne gravide, potrebbe essere spiegata in termini biologici come l’esito di una battaglia che si svolge nel grembo materno tra l’obiettivo biologico paterno di produrre il bambino più grande e sano possibile e la necessità della madre di sopravvivere al parto. Il curioso modello bioevoluzionistico è frutto di uno studio apparso sulla rivista Reproductive Sciences a firma di Harvey J. Kliman, e colleghi del Dipartimento di ostetricia, ginecologia e scienze riproduttive della Yale School of Medicine. La battaglia avverrebbe tra l’utero della madre e la placenta del bambino, in cui sono presenti cellule chiamate trofoblasti, che sono controllate dall'espressione d geni di origine paterna. Nello studio, i ricercatori hanno osservato come la placenta cerchi d’ingannare l’organismo materno in modo che non vengano attaccati i trofoblasti che stanno cercando d’incrementare il flusso di sangue verso la placenta. Se questo “trucco” non funziona, allora la madre può sviluppare preeclampsia, una condizione che si manifesta con ipertensione arteriosa e presenza di proteine nelle urine. L’unica cura conosciuta è l’induzione del parto. Il compito della placenta, com’è noto, è quello di portare i nutrienti dalla madre al bambino. Secondo Kliman, nel corso di una gravidanza normale,trofoblasti specializzati lasciano la placenta per invadere i tessuti della madre e distruggere le pareti dei vasi sanguigni, al fine di aumentare al massimo il sangue che entra nella placenta e massimizzando con ciò le dimensioni del bambino. A questo processo si oppongono i linfociti della madre, che cercano di distruggere i trofoblasti invasori. La manovra diversiva della placenta si realizza con il rilascio nel flusso sanguigno della proteina placentale 13 (PP13), nota anche come galettina 13. Arrivata nell’utero, la PP13 scatena una reazione immunitaria, che si manifesta come una zona d’infiammazione e di necrosi. “Ipotizziamo che queste zone di necrosi possano servire per tenere occupati i linfociti materni mentre i trofoblasti invasori cercano di portare più sangue al bambino”, ha concluso Kliman. “Riteniamo che il mantenimento di questo equilibrio possa essere la chiave per una gravidanza senza problemi; al contrario, una disregolazione dei meccanismi implicati potrebbe essere all’origine della preeclampsia”. (fc) _________________________________________________________ Corriere Medico 13 Ott.’11 Al Regina Elena OPZIONE SCREENING, DUE TEST IN UNO PER LA PREVENZIONE DEL TUMORE DEL collo dell'utero Roma - Prevenzione del tu more del collo dell'utero: è il momento del co-test, cioè il pap-test su fase liquida e con temporaneo test virale (Hybrid Capture 2 - HC2) per il rilevamento di papillomavirus umano. La strategia preventiva unisce l'estrema sensibilità del test virale, in grado di identificare le donne con lesioni pre-tumorali, alla specificità del pap-test che permette di escludere quelle che (sebbene positive al l'HC2) non necessitano di ulteriori approfondimenti. Il co test è ora a disposizione delle donne che si rivolgono all'Istituto Regina Elena (Ire) di Roma, dove è stato adottato come primo livello dello screening spontaneo. «L'esecuzione del co-test - precisa Enrico Vizza, Direttore della Ginecologia Oncologica Ire - come test di screening spontaneo è indirizzato alle don ne di età AO anni, al fine di non medicalizzare inutilmente la fascia di popolazione più giovane, che presenta altissima positività all'Hpv, ma scarsissima patologia pre-tu morale clinicamente significativa». La doppia negatività (pap-test e HC2) corrisponde ad un profilo di rischio estremamente basso, tale cioè da allungare sensibilmente l'intervallo di sorveglianza fino a tre anni. _________________________________________________ Repubblica 16 Ott.’11 DNA: LA LINGUA SEGRETA DEI GENI Destinata ad aprire nuove strade nella lotta contro il cancro e altre malattie, la scoperta è stata fatta nei laboratori dell 'università di Harvard diretti dall 'italiano Pier Paolo Pandolfi Che qui spiega cosa racconterà a nostra "materia oscura" ARNALDO D'AMICO Il Dna ha una seconda lingua, finora rimasta segreta, p er parlare alle cellule e al corpo. Comunica istruzioni per la vita molto più complesse ed è più usata di quella conosciuta. Quando sarà completamente svelata ci farà comprendere anche il linguaggio del cancro e, si spera, gli ordini giusti per riportarlo alla non nafta. Ma la scoperta finalmente dipana anche molti altri misteri in cui si sono impantanate la medicina e la biologia e contribuisce a spiegare il perché delle tante e drammatiche mancate promesse. La decodificazione della lingua segreta dei geni è iniziata alla Harvard University, in uno dei laboratori di ricerca biomedica più grandi e dotati di risorse al mondo. È diretto dall'italiano Pier Paolo Pandolfi. Da lì è partita la rivoluzione che il New York Times ha definito «il BigBang dellavita» perché avrà sulla medicina lo stesso impatto che sull'astronomia ebbe la teoria sull'origine dell'universo. Le promesse «Negli anni Novanta sembrava tutto chiaro», ricorda Pandolfi. «Il Dna porta le istruzioni per la vita depositate sotto forma di lunghe frasi. Le parole del suo vocabolario sono appena 64, risultanti da tutte le possibili combinazioni ternarie di un alfabeto di sole quattro lettere: A, C, G, T. Le 64 parole si traducono in 20 aminoacidi che a loro volta si attaccano in sequenza a formare le proteine. Sono queste l'impalcatura (proteine di struttura delle cellule, dei muscoli, eccetera) e il motore (gli enzimi che gestiscono le reazioni chimiche) degli organismi viventi. Le lettere, le parole e i significati del codice genetico sono universali, valgono per tutti gli organismi. "Errori" in queste parole sono stati considerati finora l'unica causa di molte malattie, compreso il cancro». "Vado al potere. Vado al podere". Lo scambio di una sola lettera, la "t" con la "d", fa assumere non solo alla parola ma anche alla frase un significato diverso. Così basta una sola mutazione (la sostituzione di una delle quattro lettere dell'alfabeto del Dna) perché la "parola genetica" corrisponda a un altro aminoacido, che cambia la funzione della proteina. E, se la proteina mutata regola la moltiplicazione della cellula, è il cancro. "Scoperto il gene del tumore al...". Sono questi i titoli che negli anni '90 rimbalzano sui quotidiani dalle riviste scientifiche e promettono una cura per ogni tipo di cancro. «Si mettono a punto i primi farmaci "intelligenti" che colpiscono solo la mutazione, e si ottengono alcune clamorose vittorie —ricorda Pandolfi— tuttavia le cure si rivelano efficaci per pochi pazienti, quelli col sottotipo di tumore con la mutazione. La maggioranza dei malati sembra avere un Dna codificante proteine "sano". E allora, da dove viene la malattia? Non può che arrivare dal Dna. Ma da dove parte? E in che lingua è scritto? Il codice genetico a 64 parole non ha le risposte». I misteri Le scoperte della biologia aggiungono altri misteri. Alla fine degli armi '90 si sequenzia il genoma umano e quello di numerose specie viventi e si iniziano a contare i geni. Nell'uomo si stimava ce ne fossero centomila, numero compatibile con la sua complessità che lo posiziona al vertice della scala evolutiva. Tuttavia, si scopre che i geni umani che producono proteine sono appena ventimila. Inoltre questi geni occupano solo il 2% della lunghezza del Dna. Che c'è nel restante 98%? È ancora la biologia, con le sue ricerche, a svelare un ulteriore paradosso che, contemporaneamente, indica la strada da battere. La scoperta che lo scimpanzé ha solo lo 0,2% di geni codificanti per proteine in meno dell'uomo lascia perplessi. Scendendo nella scala evolutiva aumenta lo sgomento quando si scopre che nelle cellule del lievito di birra o di un vermetto il Dna contenente i geni che fanno proteine è lungo poco meno di quello umano. La parte di Dna "muta" è invece di ben trenta volte più corta. «La specie umana quindi ha il record di dotazione di Dna "oscuro" — osserva Pandolfi—Non fa proteine, non si sa che fa, eppure è qui che devono risiedere le informazioni genetiche che fanno dell'uomo l'organismo vivente più complesso. E più vulnerabile alle malattie. In que198% c'è la differenza tra noi e le altre specie che popolano il pianeta». La comprensione del ruolo di questo "genoma oscuro" arriva dalle ricerche sul cancro di Pandolfi. La chiave sta nella nuova prospettiva in cui si guarda un prodotto del Dna sinora considerato un semplice esecutore, l'Rna. Questa molecola è da tempo nota per essere il messaggero del Dna. Su di esso il gene trasferisce l'informazione necessaria a costruire la proteina. L'Rna poi raggiunge le strutture di produzione della cellula dove materialmente le proteine sono assemblate a partire dagli aminoacidi quello che Pandolfi ha scoperto è che l'Rna porta altre informazioni indipendenti da quelle che "fanno le proteine". La scoperta «Una parte di Dna "oscuro" contiene gli "pseudo geni" — continua il professore — Sinora sono stati considerati "relitti evolutivi" dei geni "veri", che fanno proteine, informazioni ereditarie obsolete dimenticate nel codice della vita. Ma come mai decine di migliaia di geni vengono risparmiati dalla dura legge di selezione naturale che elimina tutto ciò che non serve più? Perché questo 98 per cento di Dna "inutile" continua a essere trasmesso di generazione in generazione? Il fatto è che, come i geni, anche gli pseudogeni producono "messaggi", molecole di Rna. Ma questi Rna non raggiungono le catene di montaggio delle proteine e rimangono a fluttuare nella cellula. Lungi dall'essere inutile, ognuno di questi Rna reca dei messaggi precisi, basati su un nuovo linguaggio, un nuovo codice. Messaggi che significano "accendere", "spegnere", "accelerare" e "rallentare". Questi messaggi sono indirettamente destinati a tutti gli altri Rna presenti nella cellula, sia quelli prodotti dai geni che poi fanno le proteine, che quelli prodotti dagli pseudogeni. E questo l'aspetto più sconvolgente della scoperta: questa nuova lingua è parlata da ogni Rna, cioè non solo dagli Rna degli pseudo geni, ma da tutti gli Rna cellulari. Per capire la dimensione del fenomeno basti pensare che nel nostro Dna ci sono moltissime unità geniche, forse decine di migliaia, che come gli pseudogeni fanno solo Rna. Ebbene, la nuova lingua è condivisa da tutti questi nuovi protagonisti». A fare da "portavoce" di questi messaggi sono un'altra categoria di molecole di Rna più piccole e che non fanno proteine: i micro Rna. Questo nuovo linguaggio basato sugli Rna espande enormemente la percentuale del Dna funzionale. Obsoleti diventano i concetti "relitto genetico evolutivo" e "Genoma oscuro". La lingua «A rendere più complesso il sistema informativo sono poi le caratteristiche del linguaggio usato dagli Rna per comunicare — aggiunge Pandolfi — Questo linguaggio è scritto nella molecola di Rna, si può leggere informatica- mente ed è sempre basato sulle quattro lettere del Dna, ma le "parole" e le frasi hanno lunghezza non fissa bensì variabile, come avviene nel linguaggio parlato. I significati possibili quindi sono molti più di 64. Sono già state individuate 500 parole diverse, ognuna delle quali viene riconosciuta da un micro Rna diverso. Insomma si delinea finalmente un linguaggio con una ricchezza di significati compatibile conia complessità delle informazioni necessarie a guidare lo sviluppo e la gestione della struttura del corpo umano, delle sue funzioni, anche quelle mentali. E delle malattie, prima di tutto il cancro, quando la comunicazione tra molecole di Rna viene danneggiata da mutazioni, sia dei geni che degli pseudogeni. La completa decodificazione di questo nuovo linguaggio non solo aumenterà le nostre conoscenze sull'eziologia del cancro e delle malattie in generale, ma offrirà nuove strategie per la loro cura». Pandolfi ha descritto la nuova teoria "Rna-centrica" ad agosto su Cell, la rivista scientifica più prestigiosa nel campo della genetica. E sempre su Cell, venerdì scorso, Pandolfi ha svelato il ruolo determinate nei tumori di prostata, colon e cervello umani di 150 Rna che usano il nuovo linguaggio. Dna O genoma. Lungo filamento che contiene le istruzioni per la vita Struttura e funzionamento sono simili in tutti gli organismi viventi CODICE GENETICO CODONE È il linguaggio del Dna Ha un alfabeto di solo 4 lettere e parole sempre di 3 lettere Le parole possibili sono 64 CODONE Anche detto tripletta. Sono le tre lettere che definiscono l'aminoacido Ad esempio: A, C, T = Tirosina AMINOAXIDI Le 64 parole corrispondono ai 20 aminoacidi che compongono le proteine e ad alcuni ordini per la loro produzione ___________________________________________________________ La Nuova Sardegna 11 Ott.’11 TRACCE DI METALLI PESANTI NEI MALATI DI SLA I risultati di una ricerca Usa su un campione del Medio Campidano LUCIANO ONNIS SANLURI. Sono arrivati gli americani a scoprire che nelle urine di una decina di malati di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) che abitano nel Medio Campidano, in particolare a San Gavino e a Villacidro, sono presenti significative quantità di metalli pesanti e tossici. Al risultato sono giunti i ricercatori di un laboratorio specializzato dell’Illinois lavorando sui prelievi fatti in Sardegna attraverso una procedura eseguita con farmaci chelanti. La scoperta apre nuove strade sulla genesi della malattia e per capire quale sia la causa della presenza dei metalli nei pazienti colpiti da Sla. Da qui si potrebbe partire per verificare se il gene responsabile, identificato recentemente in uno studio scientifico italo-americano effettuato dalla Feinberg School of Medicine della Northwestern University di Chicago con la collaborazione del professor Giuseppe Borghero, neurologo del Policlinico universitario di Cagliari-, subisca la mutazione anche per un fattore esterno quale l’inquinamento ambientale. Le analisi che evidenziano concentrazioni di alluminio, stagno, piombo, cesio, uranio e cadmio, pongono molti interrogativi sulle concause della Sla. Nel Medio Campidano i casi accertati di Sla sono una trentina. C’è un sospetto per la forte incidenza in alcune aree campidanesi, e in particolare a San Gavino e Sanluri. Ma solo un sospetto perchè gli studi scientifici finora effettuati non hanno dato conferma su quali siano le prove provate sull’origine della terribile malattia. Le ombre del sospetto si stagliano sulla ormai dismessa fonderia del piombo e dello zinco di San Gavino che nella sua più che secolare attività ha rilasciato dalle sue due gigantesche ciminiere i fumi di lavorazione. Fumi che, ovviamente, sono andati a impregnare l’aria circostante, spandendosi tutt’attorno in un raggio di almeno una decina di chilometri, e il terreno. I primi a farne le spese potrebbero essere stati gli abitanti di San Gavino, il cui centro abitato è proprio a ridosso della fonderia, e più in là quelli della vicina Sanluri dove i fumi ricchi di sostanze tossiche venivano trasportati dal maestrale, vento che nella zona soffia percentualmente due giorni su tre. Ma anche Villacidro e Gonnosfanadiga, limitrofi a San Gavino e dirimpettai dell’area industriale dove hanno sbuffato per 30 anni le ciminiere di Snia ed Enichem, non sono immuni dai casi di Sla. Non c’è solo la presenza industriale a interessare gli studiosi di Sla. Ipotesi espressa dallo stesso professor Borghero tempo fa in una intervista, vuole che possa esserci anche il fattore genetico a determinare la malattia in alcune aree. Ovvero che qualcuno abbia potuto introdurre il gene secoli addietro o che soggetti lo abbiano sviluppato attraverso mutazione genetica per poi trasmetterlo nel tempo, attraverso generazioni, sul territorio. _________________________________________________ La Nuova Sardegna 10 Ott.’11 IN GARA CONTRO LA VITA SEDENTARIA Convegno su asma e obesità, poi la maratona CAGLIARI. Camminare, correre, muoversi senza macchina, acquistare la consapevolezza che non c’è sempre bisogno di un mezzo di trasporto diverso dalla propria persona per andare da qualche parte. In queste semplici pratiche è l’arma più efficace per prevenire l’obesità, le malattie cardiovascolari, ma anche per convivere molto meglio col diabete e con l’asma. Vale per gli adulti e soprattutto per i bambini, che in nessun caso devono essere tenuti lontano dall’attività fisica: per la salute e la buona crescita del loro corpo e per la qualità delle relazioni umane che migliorano sempre quando il tramite è lo sport. Il messaggio arriva ancora una volta dai medici, ma in questo caso i due specialisti Paolo Serra (allergologo dell’Azienda mista ospedale università) e Stefano Salis (pneumologo al Binaghi), oltre a un convegno di due giorni (Asma e sport: l’adulto e il bambino) articolato in sessioni scientifiche ed altre di taglio divulgativo, hanno organizzato la mezza maratona «Città di Cagliari», che si chiama «Cagliari Respira 11» e si terrà il prossimo 6 novembre. Per avere la misura dell’impegno necessario: la mezza maratona è un percorso di 21 chilometri, che è come fare per tre volte consecutive l’andata e ritorno tra Marina Piccola e lo stabilimento balneare dell’Ottagono. Il nemico da affrontare è la sedentarietà che è l’essenza degli ambienti e dei comportamenti cosiddetti obesogeni: il tragitto sempre troppo breve tra il divano da cui si guarda la tv e il frigorifero, un tempo troppo lungo trascorso su un videogioco, la macchina che viene scelta come mezzo di trasporto anche se ci si deve spostare di poche centinaia di metri fanno danni importanti in un’epoca in cui c’è maggiore disponibilità di cibo e non ci si regola con le porzioni, col risultato che il 42 per cento degli italiani è sovrappeso. «L’obesità - spiega Serra - è fattore di rischio anche per l’asma bronchiale, la cui importanza, anche in questo caso, si è dimostrata in correlazione diretta col peso corporeo. E’ dimostrato che anche una particolare forma di asma, quale è l’asma correlato all’esercizio fisico, migliori con l’esercizio fisico stesso se praticato in modo costante, con una buona frazione di riscaldamento». _________________________________________________ L’Unione Sarda 11 Ott.’11 LA STRANA STORIA DELLA “GLOBESITÀ” PSICOSI E AFFARI Dilagante persino nell'australia dei corpi tonici, dove infesta una donna su due, l'obesità non risparmia alcuna nazione dell'opulento Occidente, tanto che l'Organizzazione mondiale della sanità, nel 2001, ha coniato l'orrendo termine “globesità”, per indicare l'inarrestabile avanzata dei ventri da cinquanta chili. Mondo orribile, quello degli obesi, marchiati con lo stigma della “turpitudine morale”, messi al bando dalla crociata di Miss Obama. La profetessa dei corpi snelli e svelti ha fatto dell'obesità un problema etico, rafforzando “lo stereotipo secondo cui gli obesi sono pigri e stupidi, incapaci di gestire poblemi rispetto ai quali essi stessi potrebbero esercitare un determinato controllo”. Così la pensa lo storico Sander L. Gilman che nel libro La strana storia dell'obesità (Il Mulino, pp. 190, euro 16) spiega come, alla base della guerra planetaria alla pancia, ci siano antichi preconcetti e credenze religiose. L'idea cara ai fissati del cibo, diffusa nell'America di fine Ottocento, secondo cui i cittadini sani sono cittadini migliori, più vicini a Dio, viene in realtà da lontano. Si sostanzia del digiuno religioso, che da san Paolo è diventato parte integrante del cristianesimo e ha incistato, nell'immaginario collettivo, l'idea che la dieta fosse il primo mistico scalino di un'ascesa al cielov. Più avanti ecco l'imperativo kantiano, secondo cui un corpo sano tiene sotto controllo il proprio destino. È l'imperativo della mente tetragona: di contro vi sono le budella prominenti alla Falstaff, i grassoni di Dickens, su tutti il ragazzo Joe, prototipo degli obesi infantili d'oggi e della turpe fisiognomica di derivazione darwiniana. Ma che fine hanno fatto le pance bonarie e rassicuranti alla Babbo Natale o i ventri rasserenanti dei molteplici Buddha? Nel mondo dominato dal merchandising della magritudine, gli stomaci rigonfi sono diventati, come ieri lo era il fumo, un segno dell'effetto deleterio del moderno sul corpo, sono anzi diventati la metafora vivente del corpo malato della società. Ecco allora che l'obesità può trasformarsi in terrificante epidemia, capace di suscitare un panico morale che va simbolicamente “a colmare il vuoto lasciato dal panico relativo all'Aids”, o in malattia ormonale con il segno della cacciata dal Paradiso, o in vizio di menti degeneri, ovvero, secondo l'idea cara alla first lady, in problema morale (e politico). Giù allora con anatemi e scomuniche, come quelli dei democratici contro Chris Christie, lo straripante governatore del New Jersey che i repubblicani vorrebbero candidare alla presidenza e che i democratici dileggiano per il pessimo esempio proveniente dalla sua ciccia. Intanto, mentre il grasso dilaga (il 35 per cento degli adulti americani è oggi obeso) la psicosi della trippa rende fiorente il mercato delle diete, quello del bendaggio gastrico e tutto un merchandising dai campeggi per dimagrire alle bare extra large e ai sedili delle auto, perché gli obesi costituiscono un mercato, è il caso di dirlo, in continua espansione. Guido Caserza _________________________________________________ L’Unione Sarda 13 Ott.’11 TBC, NEL 2010 È CALATO IL NUMERO DEI MALATI Ma resta alto l'allarme MILANO Il 2010 verrà ricordato come l'anno in cui per la prima volta è calato il numero di malati di tubercolosi, sceso a 8,8 milioni dopo il picco dei 9 milioni del 2005. Non solo. La quota di decessi è stata la più bassa degli ultimi 10 anni, con 1,4 milioni di morti contro 1,8 milioni nel 2003. La notizia arriva dal rapporto sulla tbc dell'Organizzazione mondiale della sanità, che però lancia l'allarme sulla carenza di fondi destinati a prevenzione e cura, le forme antibiotico-resistenti e la diffusione ormai a un terzo della popolazione mondiale, cioè 2 miliardi di persone infettate, (ma non malate) nel mondo. In 20 anni il tasso di mortalità è sceso del 40% e i maggiori progressi sono stati fatti in Cina (80%), Brasile, Tanzania e Kenya. Nel 2009 l'87% dei pazienti è stato trattato, con 46 milioni di persone curate con successo. «Meno persone muoiono e si ammalano di tubercolosi - rileva il segretario dell'Onu, Ban Ki-Moon - Questo è il maggiore progresso, ma non bisogna fermarsi. Un terzo dei casi stimati nel mondo non viene segnalato e quindi non curato adeguatamente». La tubercolosi è una pandemia: 2 miliardi di persone, pari a un terzo della popolazione mondiale, è infettato dal batterio, anche se è una piccola parte a sviluppare la malattia. La quota di risorse allocate per la tbc nel mondo ha raggiunto l'86% per il 2012, ma i paesi a basso reddito ancora dipendono troppo dagli aiuti esterni e complessivamente è stato segnalato un deficit di risorse di 1 miliardo di dollari per il 2012. Anche se il numero di pazienti trattati con tubercolosi multiresistente ai farmaci è salito a 46mila nel 2010, si tratta solo di una piccola parte e rappresenta il 16% del numero di pazienti stimati che necessitano di cure. «Un nuovo test rapido per questa forma di tbc - spiega Mario Raviglione, direttore del dipartimento Oms per la tbc - sta rivoluzionando la diagnosi e 26 paesi lo stanno usando, e altri 10 previsti entro la fine dell'anno». Circa il 13% dei casi di tubercolosi si verificano in malati di hiv. _________________________________________________ Sanità News 13 Ott.’11 TUMORE SENO: CON LA MAMMOGRAFIA 45% DI MORTALITA' IN MENO Vincere il cancro del seno e' una questione di tempo: al Sud Italia, dove viene diagnosticato mediamente piu' tardi, il rischio di morire per questa neoplasia e' del 50% piu' alto rispetto al Centro-Nord. La differenza fondamentale e' l'accesso o meno alla mammografia che, da sola, puo' ridurre del 45% la mortalita'. Nel settentrione, nelle zone in cui esiste un programma di screening, circa il 50% dei tumori viene scoperto in fase precoce rispetto al 30% del meridione. ''Non possiamo piu' permettere che la malattia ci colga di sorpresa - afferma il prof. Francesco Cognetti, direttore dell'Oncologia Medica del Regina Elena di Roma e presidente del Convegno International Meeting on new drugs in breast cancer in corso oggi e domani nella Capitale -. Grazie alla diagnosi precoce e alle terapie target in Italia vivono oltre 520.000 persone che hanno avuto un tumore del seno. Un enorme successo che deve indurci ad incentivare ancor piu' la prevenzione primaria e secondaria, su cui esistono ampi margini di miglioramento. E' necessario, ad esempio, rinnovare i criteri finora utilizzati per lo screening che dovra' essere 'su misura': familiarita' o condizioni genetico-ereditarie, mammella densa, terapia ormonale sostitutiva, precedenti condizioni patologiche del seno predisponenti al cancro e presenza di impianti protesici sono elementi da considerare per dividere le donne in tre categorie di rischio (normale, medio e alto). Le stesse condizioni potranno orientare per una diversa modulazione sia dello strumento diagnostico da utilizzare (mammografia, ecografia, risonanza magnetica) che per un diverso timing degli esami. Quindi non piu' la mammografia ogni 2 anni a tutte le donne ma una personalizzazione dei controlli sulla base del rischio individuale di ciascuna''. Secondo i risultati del progetto IMPATTO, promosso dall'Osservatorio Nazionale Screening, a partire dal 2007 tutte le regioni hanno attivato un programma di screening mammografico ma, attualmente, l'estensione effettiva e' solo del 69,2%, con grandi differenze tra le aree geografiche. Inoltre, il tasso di partecipazione alla mammografia e' in media del 55% (solo una donna su 2 accetta l'invito a sottoporsi all'esame), con un divario tra Centro-Nord e Sud dove i livelli di adesione sono al 40%. Il tumore della mammella e' la neoplasia di gran lunga piu' frequente nella donna, rappresenta circa il 29% di tutte le diagnosi oncologiche. Nel 2010 in Italia si stimano 38.286 nuovi casi, una donna ogni 11 e' a rischio di ammalarsi nel corso della vita. (Sn) _________________________________________________ Sanità News 11 Ott.’11 L'ACIDO ZOLEDRONICO PROTEGGE LE OSSA DAI FARMACI PER LA CURA DEL TUMORE AL SENO Un farmaco contro l'osteoporosi protegge dai danni alle ossa che provocano alcuni farmaci contro il cancro al seno come effetto collaterale. Come si legge sulla rivista Cancer, lo studio della University Pittsburgh Cancer Institute ha infatti portato alla luce gli effetti positivi sulle ossa dell'acido zoledronico somministrato insieme ad alcuni trattamenti anti-cancro. I farmaci detti 'inibitori dell'aromatasi' bloccano la produzione di estrogeni nelle donne in menopausa, poiche' gli estrogeni stimolano la crescita di alcuni tipi di cellule del cancro al seno. Sono moltissime le donne in post-menopausa con cancro alla mammella che vengono trattate per anni con questi farmaci, ma essi possono causare indebolimento delle ossa e fratture. Nello studio durato cinque anni, sono state coinvolte 602 donne in post- menopausa con cancro al seno e gli scienziati hanno evidenziato un aumento considerevole della densita' ossea nelle volontarie che avevano assunto acido zoledronico sin dall'inizio della sperimentazione, manifestando anche una regressione della perdita di densita' ossea. Abstract BACKGROUND: Postmenopausal breast cancer (BC) patients receiving adjuvant aromatase inhibitor therapy are at risk of progressive bone loss and fractures. Zoledronic acid inhibits osteoclastic bone resorption, is effective in maintaining bone health, and may therefore be beneficial in this setting. METHODS: Overall, 602 postmenopausal women with early, hormone receptor-positive BC receiving adjuvant letrozole were randomized (301 each group) to receive upfront or delayed-start zoledronic acid (4 mg intravenously every 6 months) for 5 years. The primary endpoint was the change in lumbar spine (LS) bone mineral density (BMD) at month 12. Secondary endpoints included changes in LS BMD, total hip BMD, and bone turnover markers at 2, 3, and 5 years; fracture incidence at 3 years; and time to disease recurrence. RESULTS: At month 61, the adjusted mean difference in LS and total hip BMDs between the upfront and delayed groups was 8.9% and 6.7%, respectively (P < .0001, for both). Approximately 25% of delayed patients received zoledronic acid by month 61. Only 1 patient experienced grade 4 renal dysfunction; no confirmed cases of osteonecrosis of the jaw were reported. Fracture rates (upfront, 28 [9.3%]; delayed, 33 [11%]; P = .3803) and Kaplan-Meier disease recurrence rates (upfront, 9.8 [95% confidence interval (CI), 6.0-10.3]; delayed, 10.5 [95% CI, 6.6- 14.4]; P = .6283) were similar at month 61. CONCLUSIONS: Upfront zoledronic acid seems to be the preferred treatment strategy versus delayed administration, as it significantly and progressively increases BMD in postmenopausal women with early BC receiving letrozole for 5 years, and long-term coadministration of letrozole and zoledronic acid is well tolerated. Cancer 2011. © 2011 American Cancer Society.