RASSEGNA STAMPA 23/0/2011 UNICA: ATENEO, VARATO IL NUOVO STATUTO  UNICA: PRESENTATO IL NUOVO STATUTO, RIDOTTI FACOLTÀ E DIPARTIMENTI ABILITAZIONE NAZIONALE BOCCIATA DAI PROFESSORI PROFESSORI IN PENSIONE ANTICIPATA SOLO GLI ATENEI FANNO RICERCA: I DATI DI UNICA UNISS PERMESSI OK PER GLI ATENEI ON LINE ITALIA FANALINO DI CODA. UE PER I CAMPUS UNIVERSITARI IL NODO DEI PROGETTI CHE SI CONCLUDONO DOPO IL CORSO DI STUDI FAGGIN: «IL COMPUTER? SERVE UN TOCCO UMANO» GLI STUDENTI FANNO VOLARE GLI AFFITTI ENERGIA SOLARE, SI CAMBIA ARRIVA IL FONDO PEREQUATIVO L’UOMO CHE BATTEZZÒ UN NUMERO IL DOPPIO VALORE DELLA CULTURA QUASI CRISTALLI: SE UNA RIVOLUZIONE SEMBRA UNA BUFALA LAUREE E LAVORO, VINCONO INGEGNERI ED ECONOMISTI SASSARI: SCUOLA DI GIORNALISMO ADDIO L'EUROPA IN ORBITA CON GALILEO: SFIDA AL GPS LA RICERCA AI TEMPI DI INTERNET DALL'AIA ALLA BIBLIOTECA VATICANA PERIPEZIE DI UN CODICE USA, LA NUOVA «BOLLA» DEI PRESTITI UNIVERSITARI ========================================================= SALATISSIME CURE ANTICRANCO: MA SONO UTILI? CONVIVERE CON IL CANCRO UE: NESSUN BREVETTO A MEDICINALI RICAVATI DISTRUGGENDO EMBRIONI LE CERE DI SUSINI E SANDRO RIVA: UN CONVEGNO PER CELEBRARLI TRIBUTO A RIVA, INVENTÒ IL MUSEO SUSINI POLEMICA SUGLI AMMESSI AL CORSO DI INFERMIERISTICA GLI AMMESSI SONO QUASI TUTTI NON RESIDENTI INFERMIERI: IL COMMISSARIO LOI BACCHETTA SEDDONE DAL FISIOTERAPISTA AL LOGOPEDISTA, L'OCCUPAZIONE SFIORA IL 100% NELLA DOCENZA UNO SBOCCO PROFESSIONALE IN PIÙ NUMERO CHIUSO E TEST DI AMMISSIONE CINQUE ANNI DI ATTESA PER LA REGOLAMENTAZIONE CONTRO LA FAME DI INFERMIERI SI ATTINGE ALL'ESTERO ALLE ASL 21 MILIONI DI EURO PRESTO IL CUP SARÀ ANCHE WEB AOUSS: IL MISTERO BUFFO DELLE CLINICHE UNIVERSITARIE  AOUSS: PER L’AZIENDA OSPEDALIERA DEL FUTURO 95MILIONI BINAGHI: NUOVO CENTRO PER LA CURA DELLA SCLEROSI SANGUE CORDONALE AL BINAGHI NIENTE SOLDI, POLICLINICI VERSO LO STOP E LA SUN È SULL'ORLO DEL FALLIMENTO SORPRESA, IL CERVELLO MIGLIORA DOPO I 55 ANNI LA GRANDE AVVENTURA DEL PROGETTO GENOMA POLMONITE: IL 50% DEI MALATI LA «PRENDE» IN OSPEDALE TRAPIANTI NELL ISOLA VERSO UN DOPPIO RECORD METODO «ZAMBONI» E STAMINALI ALLA PROVA LE CINQUE PROPOSTE FADOI PER LA RICERCA CLINICA  CREATO UN MICROCHIP MAGNETICO PER DIAGNOSI A BASSO COSTO  L’86% DEI LAVORATORI AMERICANI E’ OBESO O CON PROBLEMI DI SALUTE  SCOPERTO UN BATTERIO COMPLICE DEL CANCRO AL COLON SCLEROSI MULTIPLA: I TURNI DI NOTTE TRA I FATTORI DI RISCHIO SCOPERTA UNA NUOVA FUNZIONE DELL'RNA ========================================================= ___________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’11 UNICA: ATENEO, VARATO IL NUOVO STATUTO  UNIVERSITÀ. Ridotte facoltà, dipartimenti e componenti degli organi collegiali  Il mandato del rettore sarà di sei anni non rinnovabili Cambia l’organizzazione dell’Università: meno facoltà e dipartimenti, riduzione dei componenti degli organi collegiali e mandato a termine per il rettore, sei anni non rinnovabili. Sono queste alcune delle maggiori innovazioni del nuovo Statuto che recepisce la riforma Gelmini, presentato ieri dal magnifico Giovanni Melis. IL RETTORE «Il nuovo modello organizzativo valorizza i processi decisionali con maggiore trasparenza e rappresentatività e una distinzione netta tra Consiglio di amministrazione e Senato accademico, che potrà sfiduciare il rettore e il Cda», commenta Melis. Inoltre, «si rafforza l’attenzione ai rapporti internazionali e si introduce a tutti i livelli il principio delle pari opportunità». Anche se la lista Unica 2.0 protesta perché avrebbe voluto un rappresentante degli studenti anche nei dipartimenti, da cui sono esclusi. NOVITÀ Il Cda passa da 22 a 9 componenti, più il rettore che lo presiede, mentre il Senato accademico, che ha compiti di controllo e di indirizzo politico sarà formato da 23 membri più il rettore. Verranno introdotte le figure del Direttore generale, responsabile della gestione amministrativa, e del Garante degli studenti. RICERCA E DIDATTICA Le facoltà passeranno da 11 a 6. Accorpamenti per le facoltà di Sa Duchessa e Lingue, che diventeranno Scienze Umanistiche, e per quelle del polo di viale Fra’ Ignazio riunite nella facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche. Poi ci saranno Scienze, Medicina e chirurgia e Scienze farmaceutiche e biologiche. I dipartimenti passeranno da 44 a 17 e avranno competenze sulla didattica e, soprattutto, sulla ricerca. Per concludere l’iter di approvazione del nuovo Statuto manca ancora il parere del ministero dell’Istruzione. (m. g.) ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 ott. ’11 UNICA: PRESENTATO IL NUOVO STATUTO, RIDOTTI FACOLTÀ E DIPARTIMENTI Tra le novità anche il mandato unico per il Rettore nel nuovo consiglio solo gli studenti saranno eletti  BETTINA CAMEDDA  Cagliari. È stato presentato ieri mattina in Rettorato il nuovo Statuto dell’Università di Cagliari. Approvato nei giorni scorsi con voto contrario degli studenti, il documento sarà inviato al Ministero dell’Istruzione per il completamento della procedura. «Lo Statuto si fonda su un nuovo modello organizzativo che ridisegna organi e competenze - spiega il Rettore Giovanni Melis - tra le novità è prevista una maggiore partecipazione nei processi decisionali per valorizzare le potenzialità culturali e professionali e il merito». L’ateneo cagliaritano sarà caratterizzato da una nuova governance. Secondo il vincolo introdotto dalla riforma Gelmini, il Rettore potrà restare in carica per un unico mandato di sei anni e non potrà essere rieletto. Inoltre potrà essere sfiduciato dal Senato. Con l’approvazione definitiva da parte del Ministero diminuisce il numero delle facoltà da 11 a 6, così suddivise: Studi Umanistici (comprendente i corsi di studio dell’area di Sa Duchessa, più quelli di Lingue); Scienze economiche, giuridiche e politiche (per il polo di viale Sant’Ignazio); Ingegneria e Architettura (che unisce i corsi di laurea delle due precedenti facoltà); Scienze (precedenti corsi di laurea di Scienze, tranne Scienze biologiche e naturali); Scienze farmaceutiche e biologiche (risultante dai precedenti corsi in Scienze biologiche e naturali e l’ex facoltà di Farmacia); Medicina e Chirurgia. Diminuisce inoltre il numero dei dipartimenti, da 44 a 17, che per la prima volta svolgeranno un ruolo fondamentale all’interno dell’ateneo. Spetta infatti ai dipartimenti proporre al CdA le politiche per gli organici, istituire e modificare i corsi di laurea. Il consiglio di dipartimento sarà formato da: direttore, professori e ricercatori afferenti, una rappresentanza del personale e un’altra rappresentanza di dottorandi, assegnisti e specializzandi. È proprio su questo punto che gli studenti si sono espressi con voto contrario. La loro assenza nei consigli di dipartimento, fanno sapere, «è un attacco alla democrazia». Il Consiglio di amministrazione, che attua l’indirizzo dell’ateneo, passa da 22 a 9 componenti: quattro docenti, un componente Ata, due esterni all’ateneo, due studenti. Solo gli studenti potranno essere eletti. Gli altri membri invece dovranno essere scelti sulla base di una rosa di candidati proposta dal Rettore. Spetta al Senato accademico, formato da sei direttori di dipartimento, due rappresentanti del personale e quattro studenti, designare il Cda, oltre a indirizzare su didattica e ricerca. Una delle novità fondamentali è l’istituzione delle commissioni paritetiche per ogni corso di laurea con il compito di monitorare la qualità dell’offerta. Vengono introdotte la figura del Direttore generale che si occuperà della parte amministrativa e del Garante degli studenti, scelto dal Rettore, con il compito di fornire assistenza e consulenza agli universitari. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 ott. ’11 ABILITAZIONE NAZIONALE BOCCIATA DAI PROFESSORI Nuove regole di valutazione È «irragionevole» prevedere che nella valutazione di chi punta all'abilitazione nazionale da associato e ordinario siano prese in considerazione solo le pubblicazioni prodotte dopo l'ultima nomina ricevuta dal candidato, e non piace l'applicazione diffusa di indicatori bi-bliometrici non solo per valutare aspiranti associati e ordinari, ma anche per decidere chi può far parte delle commissioni giudicanti. Non è tenero il giudizio dei docenti del Consiglio universitario nazionale sulla bozza di regolamento ministeriale sull'abilitazione nazionale, ultimo tas-sello necessario a far partire i concorsi nazionali previsti dalla legge Gelmini (anticipato sul Sole 24 Ore del 15 ottobre scorso).Di qui la richiesta di modificare i6 punti sparsi nei 9 articoli di regolamento (nemmeno il titolo si salva dalle obiezioni del Cun), e in particolare di rivedere i criteri di valutazione delle pubblicazioni. Nel tentativo di costruire un meccanismo di giudizio il più possibile oggettivo, il ministero ha puntato sugli indicatori bibliometrici internazionali nei settori in cui sono diffusi e diparametri analoghi che l'Agenzia nazionale di valutazione è chiamata a costruire dove mancano. Per avere speranze di ottenere l'abilitazione, secondo il provvedimento i candidati dovranno raggiungere una valutazione superiore alla mediana ottenuta dal totale dei "concorrenti". Il riferimento alle «migliori prassi internazionali», ribatte il Cun, è troppo generico, la delega all'Anvur troppo ampia e la «partecipazione» della comunità scientifica alla costruzione dei criteri è troppo trascurata. Non solo. Il regolamento impone che per essere commissari gli ordinari debbano vantare una qualificazione scientifica pari a quella dei candidati e una produzione scientifica continuativa di livello negli ultimi cinque anni; nessuna obiezione sul primo requisito, ma il Cun contesta gli «automatismi», soprattutto sulle pubblicazioni. L'altra regola contestata, relativa all'esame limitato alle pubblicazioni successive all'ultima nomina, era finita al centro delle obiezioni anche dei ricercatori, perché rischia di tradursi in un premio all'anzianità nel ruolo più che al merito della produzione. G.Tr. _________________________________________________________ ItaliaOggi 20 ott. ’11 PROFESSORI IN PENSIONE ANTICIPATA DI BENEDETTA PACELLI Arriva il pensionamento anticipato per i professori universitari di seconda fascia. Dopo la boccata di ossigeno regalata alle casse degli atenei italiani (600 milioni euro in più per il 2012: 300 per il Fondo di finanziamento ordinario, 150 per il diritto allo studio, 100 per interventi di sviluppo del sistema e altri 20 agli atenei non statali) nella bozza di decreto legge sulla crescita e lo sviluppo, spunta una nuova norma per sollevare, invece, quelle dello stato. Si tratta di un passaggio che mette mano alla legge Moratti (230/05) sullo stato giuridico dei professori universitari che prevedeva per gli associati (non ex stabilizzati) mediante l'opzione per il regime previsto di andare in pensione a 70 anni. Ora invece il passaggio contenuto nella bozza del dl sviluppo prevede solo per gli associati, escludendo quindi gli ordinari, l'obbligo e non la possibilità (come alcuni atenei avevano interpretato) di lasciare la cattedra a 68 anni invece dei 70. In realtà il provvedimento non fa altro che ripristinare lo spirito originario delle norme sfrondando l'uso ormai diffuso da anni di concedere proroghe che tra biennio Amato (in pensione cioè a 72 anni) e fuori ruolo (professori universitari collocati, a richiesta, fuori ruolo per un massimo di tre anni) avevano reso inamovibili molti docenti di 70 anni. Una previsione dunque che, se confermata, porterebbe un discreto risparmio per le casse dello stato considerando che buona parte dei circa 17 mila docenti di seconda fascia ha già oltre 60 anni. E ancora, arriva un'ulteriore proroga dei termini per assumere personale universitario. Il tempo massimo per procedere alle assunzioni di personale nel limite della spesa pari al 50% di quella relativa al personale a tempo indeterminato, infatti, cessato al 2010 viene prorogato fino a tutto il 2012. Si allentano i termini, invece, per i soggetti che possono partecipare ai progetti di ricerca. L'articolo 18 della legge Gelmini, infatti, disciplinava la partecipazione allo svolgimento delle attività di ricerca presso le università esclusivamente ai professori e ai ricercatori universitari, escludendo quindi una fetta enorme di soggetti come i titolari di contratti a tempo determinato, di collaborazione o di borse di studio, gli assegnisti o anche i liberi professionisti. La modifica, invece, apre a questi soggetti indicando i professori e i ricercatori in via prioritaria ma non esclusiva. _________________________________________________________ Sardegna 24 ott. ’11 SOLO GLI ATENEI FANNO RICERCA di GIUSEPPE PULINA La scorsa settimana ho scritto, credo in modo semplice, dei principali indi- catori impiegati per la valutazione A dell'attività scientifica delle strutture di ricerca e degli scienziati che vi lavorano. Ho parlato dell'Impact Factor (IF) e dell'indice h, entrambi basati sulle citazioni che un lavoro scientifico riceve da parte della comunità dei ricercatori. Oggi darò i numeri, nel senso che prenderò in esame la produzione scientifica dell'ultimo decennio dei due atenei e dei principali centri di ricerca isolani. La base dati che ho utilizzato (interrogazione del 7 ottobre 2011) C la Web ofScience (W0S)- Web of citation report della Thomson Reuters (http://apps.webofknowledge.com), ritenuta dai più la migliore per copertura e qualità (sull'affidabilità delle banche dati bibliometriche si C animato un ramo particolarmente attivo delle discussioni bizantine, di cui alla precedente rubrica, che vi risparmio). Partiamo da Cagliari. Dal 2000 al 2011 (dati ovviamente non completi per gli ultimi due anni) risultano pubblicati 8.849 lavori (circa l'1,2% di tutti i lavori apparsi in Italia nello stesso periodo), con una crescita continua dai circa 560 del 2000 agli oltre 800 del 2010. Il totale delle citazioni ricevute C stato di 85.360 (circa 76.000 se non consideriamo le autocitazioni), per un IF medio per lavoro di 10, 81 e un h di 98. Il lavoro più citato è"Association of the T-cell regulatory gene CTLA4 with susceptibility to autoimmune disease, Ueda H et al.. Nature, 423: 506-511" firmato da 53 autori appartenenti a 17 centri di ricerca fra quali, per Cagliari, Motzo C. e Cucca F. del Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche, che ha ricevuto 1022 citazioni totali (il secondo in classifica ne ha ricevute "solo" 470). Per quanto riguarda Sassari, invece, il database riporta per lo stesso arco di tempo 5.855 lavori (circa lo 0,8% del totale nazionale), con una crescita dai 360 del 2000 ai 530 del 2010. Le citazioni totali sono state 53.685 (47.747 senza autocitazioni), per un IF medio uguale a 10,83 e un h di 73. Anche per Sassari il lavoro più citato appartiene all'area medica e risulta pubblicato su Nature (a questo punto avrete capito che l'area medica e la rivistaNature sono due chiavi per il successo nella diffusione di un articolo) con il titolo "Mutations of the BRAF gene in human cancer, Davies H. et al., Nature, 417: 949-954", firmato da 51 autori fra cui per Sassari da Cossu A. del Dipartimento di Patologia (oltre che da Palmieri G. del CNR di Alghe, ro) che ha ricevuto 2.437 citazioni totali. Si tratta di numeri importanti, anche in campo nazionale, che configura l'assoluta prevalenza scientifica delle due realtà accademiche in ambito isolano dato che, da sole, producono oltre il 90% della ricerca che si effettua in Sardegna. Infatti, per quanto riguarda gli altri istituti, il Cnr di Sassari ha pubblicato nel decennio 451 lavori per un totale di 4. 229 citazioni (IF=9,38 e h=28), il Cnr di Cagliari 741 per 13.682 citazioni (IF=18,46, h=53), l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale per la Sardegna 30 lavori, Agris Sardegna 56 lavori (ma solo dal 2007 anno della sua fondazione, con una "curiosa" progressione annua: 2007, 1 lavoro; 2008, 10 lavori; 2009, 27 lavori; 2010, 12 lavori e 2011, solo 4 lavori) e infine Sardegna Ricerche 22 lavori (anche questa struttura risulta dal 2007). Insomma, a parte il Cnr, le altre strutture regionali di ricerca si devono dare una pesante mossa affinché continuino ad essere considerate tali. _________________________________________________________ ItaliaOggi 18 ott. ’11 PERMESSI OK PER GLI ATENEI ON LINE L'Aran li aveva esclusi, ma la posizione dell'agenzia per la contrattazione è solo un. parere Il contrordine arriva dal ministro Brunetta: basta certificarli DI CARLO FORTE I permessi per il diritto allo studio (150 ore) si possono utilizzare anche per assistere alle lezioni delle università telematiche. Ma in questo caso gli interessati «dovranno certificare l'avvenuto collegamento all'università telematica durante l'orario di lavoro». Lo ha stabilito il dipartimento della funzione pubblica con la circolare n.12 del 7 ottobre scorso. Il provvedimento, di cui si è avuta notizia solo in questi giorni, esprime un indirizzo interpretativo diametralmente opposto a quello dell'Aran, che, con una nota emanata il 29 settembre scorso (si veda Italia Oggi di martedì scorso), ha affermato l'esatto contrario. E cioè che «le particolari modalità di frequenza dei corsi universitari telematici e la sostanziale impossibilità di certificazione della stessa da parte delle università, che non consentono il rispetto delle condizioni richieste dalla disciplina negoziale in materia, inducono ad escludere, in relazione agli stessi, la possibilità di riconoscimento dei permessi di cui sopra». Va detto subito, peraltro, che l'Aran, pur essendo l'agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni in sede di contrattazione collettiva, non è munita di alcun potere di indirizzo nei confronti delle amministrazioni. Il potere dell'agenzia, infatti, si esaurisce nella rappresentanza negoziale delle amministrazioni e nel potere di sottoscrivere i contratti collettivi in qualità di parte pubblica. Il dipartimento della funzione pubblica, invece, si colloca al vertice della gerarchia delle amministrazioni, in quanto dipartimento della presidenza del consiglio dei ministri. E dunque, le disposizioni contenute nei provvedimenti firmati dal ministro per la funzione pubblica, Renato Brunetta, hanno effetti vincolanti nei confronti delle amministrazioni destinatarie. Tanto più che il dipartimento è titolare di un potere di indirizzo e di coordinamento generale in materia di pubblico impiego, ai sensi dell'articolo 27 della legge 29 marzo 1983, n. 83. Fermo restando che le circolari amministrative sono atti diretti agli organi e uffici periferici o sottordinati, che non hanno di per sé valore normativo o provvedi- mentale (si veda la sentenza n. 7521 del 15/10/2010 del Consiglio di stato). Al fine di confortare l'interpretazione secondo la quale i permessi delle 150 ore si possono utilizzare anche per le università telematiche, il dipartimento ha ricordato che la stessa Comunità europea ha esortato i pesi membri a favorire l'uso delle tecnologie informatiche nella formazione, così da agevolare i lavoratori e le persone disabili all'accesso all'apprendimento. E in più ha fatto presente che nel pubblico impiego molte posizioni funzionali sono coperte da impiegati che non hanno i titoli di studio previsti per l'accesso a tali qualifiche. Pertanto, è interesse delle amministrazioni quello di incoraggiare la formazione universitaria, evitando di frapporre ostacoli nella fruizione dei permessi in riferimento alle università telematiche. Specie adesso che i fondi per la formazione scarseggiano. Fermo restando che la frequenza alle lezioni on line va certificata. La Funzione pubblica ha ricordato, inoltre, che ai fini del diritto allo studio, è possibile fruire dell'aspettativa prevista dall'art. 5 della legge 53/2000; di otto giorni di permesso retribuito per anno, per sostenere gli esami e, infine, del congedo per dottorato di ricerca. Per quest'ultimo, però, il dipartimento ha fatto presente che la normativa in materia è cambiata E dunque, il congedo, che prima era un diritto incondizionato, ora è soggetto alla compatibilità con le esigenze di servizio. _________________________________________________________ Il Messaggero 20 ott. ’11 ITALIA FANALINO DI CODA. UE PER I CAMPUS UNIVERSITARI ROMA- Negli States sono una realtà consolidata e diffusa. . Da quelle parti una università senza campus, senza un sistema di alloggi per gli studenti, nemmeno viene presa in considerazione. Non è così in Europa dove gli studenti fuori sede sono sì un fenomeno diffuso, ma solo la minoranza ha la fortuna di risolvere le sue esigenze abitative con strutture collegate all'università. Appena un terzo in Germania, ed è la percentuale più alta nel Vecchio Continente. L'Italia in questa classifica è il fanalino di coda insieme all'Olanda: appena il 10% degli studenti fuori sede alloggia in una residenza universitaria. La media europea è il 21%. Ieri a Roma è stato presentato il primo censimento delle residenze universitarie nel nostro Paese, realizzato da Scenari Immobiliari e Fabrica Immobiliare Sgr. Sono seicentomila a tutt'oggi gli studenti universitari fuori sede che, quindi, hanno bisogno di un alloggio. Ma solo uno su dieci lo trova in una residenza specializzata. I posti letto disponibili infatti sono 64.500, il 9,8% della domanda potenziale. Gli altri si arrangiano rivolgendosi a locazioni private, care, e quasi sempre senza contratti regolari. Nella Capitale, ad esempio, sono disponibili 6.715 posti letto forniti dalle università, una quota che riesce a soddisfare solo 8% della domanda. Gli atenei milanesi mettono a disposizione 8.266 posti letto, 1'11,1% della domanda. A Napoli si tratta di una realtà praticamente sconosciuta: i posti letto disponibili sono solo 532, 1'1,6% della domanda. Per mettere l'Italia in pari almeno con la media europea bisognerebbe realizzare 75.000 posti letto, per un investimento di oltre 4 miliardi di euro. «Il sistema pubblico potrà fare poco» prevede Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari. Ma «investire in residenze universitarie può essere una interessante opportunità per fondi immobiliari specializzati, investitori istituzionali e fondazioni bancarie, vista la forte domanda e il ritorno sull'investimento che va dal 4 al 6% annuo», aggiunge. Una esperienza importante nel settore, con 3.000 posti letto in strutture d'eccellenza realizzati attraverso il fondo immobiliare Aristotele, è quella di Fabrica Immobiliare Sgr, società che - come spiega l'amministratore delegato Marco Doglio -«dal 2005 sta investendo oltre 600 milioni di euro sottoscritti dall'Inpdap in immobili per università e istituti di ricerca». Secondo Andrea Camporese (Adepp) l'introduzione di una fiscalità di vantaggio potrebbe dare un maggior stimolo al settore. Alla presentazione della ricerca hanno partecipato anche Giuseppe Guzzetti (Acri), Ettore Gotti Tedeschi (Istituto per le opere di religione), Matteo Del Fante (Cassa Depositi e prestiti) e Sergio Corbello dell'Assoprevidenza. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 ott. ’11 IL NODO DEI PROGETTI CHE SI CONCLUDONO DOPO IL CORSO DI STUDI Alessandra Tibollo Il ritorno dalle ferie è stato concitato negli atenei italiani. La Manovra di Ferragosto è intervenuta sulla disciplina dei tirocini formativi causando un vero e proprio "caos" negli uffici stage delle università. Massimo 6 mesi di permanenza nella stessa azienda per studenti, neolaureati o neodiplomati; avvio degli stage entro 12 mesi dal titolo; stop ai progetti formativi dopo master o dottorati di ricerca: sono questi i principali cambia-menti della nuova normativa. Ma in pochi mesi sono venuti al pettine altri nodi, molti di questi sono stati sciolti dalla circolare 24 del iz settembre. Per esempio il timore degli atenei di un effetto retroattivo della norma, che ora è escluso: «Chi ha siglato il progetto formativo prima del 13 agosto, anche se la durata è superiore a sei mesi, può concluderlo», chiarisce Viola Buonumori, referente dell'ufficio stage dell'Università per stranieri di Perugia. Per Barbara Rosina, direttore del Cosp (Centro orientamento allo studio e alle professioni) della Statale di Milano resta ancora da risolvere la situazione degli studenti che intendono fare uno stage che si protragga anche dopo la laurea: «il tirocinio è curriculare o formativo?» Infatti sono proprio queste le due principali categorie individuate dalla Manovra di Ferragosto, in altre parole tirocini che si effettuano durante o dopo il corso di studi. La circolare 24 salva anche gli stage dei tesisti, citandoli esplicitamente e chiarendo che vanno assimilati ai tirocini curriculari, purché siano «inclusi nei piani di studio delle università». Un problema da risolvere, quest'ultimo, per l'Università di Bologna che per tutelare i propri studenti ha deciso di bloccare temporaneamente gli stage dei laureandi: «Bisognerà intervenire sui regolamenti dei singoli corsi di studio» spiega Lucia Gunella, responsabile del settore orientamento e placement. Nonun eccesso di zelo da parte dell'ateneo felsineo, bensì il timore che a causa di un cavillo gli studenti possano risultare all'improvviso scoperti dall'assicurazione che li protegge sul posto di lavoro. Un altro punto caldo è quello del blocco totale degli stage post-master e post-dottorato. Per la Luiss, come spiega la responsabile del placement Lia Di Giovanni, questo comporterà la riscrittura dei programmi di alcuni master: «Corsi che non prevedevano stage curriculari, ma solo formativi. Ora questo non è più possibile e sarà necessario ripensare questi percorsi per renderli più appetibili». D'altra parte, come suggerisce Federico Masini, prorettore alle politiche per la didattica della Sapienza di Roma, «trasformare il tirocinio in obbligatorio per i master è una precondizione, ma senza eccedere, per evitare che questi percorsi di studio si trasformino in esperienze lavorative mascherate». _________________________________________________________ Corriere della Sera 17 ott. ’11 FAGGIN: «IL COMPUTER? SERVE UN TOCCO UMANO» Lo scienziato: grandi progressi nell'Internet delle cose e nell'uso della voce. Sui neurochip, invece, abbiamo mosso i primi passi DI CHIARA SOTTOCORONA un italiano che ha cambiato il mondo. Federico Faggin, fisico, nato a Vicenza e approdato a ventisei anni nella Silicon Valley, ha progettato il primo microprocessore, insieme a Marcian Hoff e Stanley Mazor. Era il «4004», un pezzetto di silicio piccolo come un'unghia capace di contenere la Cpu o unità centrale, nato nei laboratori di Intel nel 1971. Faggin, che nel 2010 ha ricevuto dalle mani del presidente Obama la National Medal of Technology and Innovation , sarà allo Smau questa settimana per celebrare insieme a Intel l'anniversario dei 40 anni dell'invenzione che ha permesso la rivoluzione tecnologica. A Corriere Economia Faggin svela la sua visione del futuro. Grazie all'evoluzione del microprocessore la tecnologia è entrata nella vita di tutti. Pensa che continui a rispondere ai bisogni della gente? «Il computer dipende dal software. Sa fare operazioni a velocità prodigiosa, ma ha zero creatività. È sempre l'uomo che decide cosa fargli fare. Oggi molti limiti dell'hardware sono superati, il programmatore ha più spazio per creare nuovi modi d'uso. Il touch per esempio ha reso più intuitivo l'uso di telefoni e tablet anche per chi non ha pratica di computer. Il riconoscimento vocale sta facendo enormi progressi e funziona bene come per i navigatori sulle auto. Stiamo arrivando a dei modi naturali di usare la tecnologia con interfaccia basate sulla voce o il tatto. Ma ci sono voluti 40 anni per ottenere un livello adeguato». È stato lei a introdurre i primi «touch pad», no? «Sì, nel 1994 la Synaptics, che avevo fondato per la ricerca sulle "tecnologie neurali", ha prodotto e venduto i touch-pad, che hanno sostituito il mouse nei computer portatili». Può darci un'idea dei progressi fatti? «L'ultimo microprocessore uscito da Intel ha un milione di componenti in più rispetto al-primo ed è quattro milioni di volte più veloce. L'altro progresso fantastico è nelle memorie. Possiamo portare nel taschino una chiavetta da 8 Gigabit di memoria, un piccolo hard disk, controllato da un microprocessore al suo interno. Ora i chip sono dovunque: nei giocattoli, nelle lampadine per economizzare l'energia, nel portachiavi per aprire l'auto. Ogni persona al mondo ne usa almeno una ventina, senza rendersene conto. Ne vengono prodotti più di 20 miliardi all'anno, ma l'in-stallato supera i 100 miliardi». Crede allo sviluppo di un web semantico? «C'è ancora molto lavoro per migliorare i motori di ricerca. Per arrivare a tecnologie semantiche bisognerebbe poter fornire ai computer un modello complesso della realtà umana. Vedo un progresso molto più rapido per "l'Internet degli oggetti". Se prima di rientrare voglio sapere se c'è il latte a casa, il mio telefonino può interrogare il frigo. Se sono in viaggio e voglio vedere cosa fa mia figlia, posso attivare a distanza la videocamera. Se la mia auto va in panne, il computer di bordo si connette al garage per fare una diagnosi. Sono moltissime le applicazioni possibili. Tra una decina di anni ci saranno miliardi di oggetti comunicanti, ognuno con il proprio indirizzo Internet». Quali altri sviluppi vede? «Un'applicazione importante è la realtà aumentata. Permette di aggiungere informazioni su una presa diretta di immagini, sulla scena reale che vediamo. Anche la realtà virtuale, già diffusa nei videogiochi, potrà diventare Importante per la formazione in diverse attività. Basti pensare ad un chirurgo che si addestra su un paziente virtuale creando uno spazio di apprendimento molto realistico: può avere anche il feedback, la sensazione tattile del ritorno di forza quando affonda il bisturi». Crede all'avvento dei «neurochip» che imitano il funzionamento dei neuroni e delle sinapsi ? «Nel futuro sì, ma la strada è lunga. Era quello che volevo fare con la Synaptics: creare tecnologie neurali capaci di apprendere. La differenza fondamentale tra le macchine e il cervello è che il cervello impara da solo. Mi sono reso conto però che si riesce a fare solo qualcosa di molto specifico e limitato con il «Cognitive Computing»: sappiamo ancora troppo poco dei processi cognitivi. Come si forma il pensiero? Il cervello come rappresenta le informazioni? Ci sfugge persino l'architettura generale: il modo in cui è organizzato il cervello umano. La neuroscienza sta facendo pass' da gigante, ma più si va avanti e più si scopre nuova complessità. Io stesso pensavo che sarebbe stato più facile arrivare alle tecnologie neurali, ma dopo 25 anni di studi sono più cauto». Le sue attività sono ancora in questa direzione? «Da tre anni ho lasciato l'attività imprenditoriale per dedicarmi alla ricerca. E sei mesi fa ho creato una fondazione no profit che si occupa dello studio della consapevolezza. È qualcosa che il computer non può avere, ed è ciò che ci rende umani. La consapevolezza ci permette di avere esperienze, emozioni, pensieri e sogni. Dà significato alla vita». ___________________________________________________ L’Unione Sarda 23 ott. ’11 GLI STUDENTI FANNO VOLARE GLI AFFITTI Cagliari, affari d'oro per i proprietari La classifica di Casa.it: Oristano, Ogliastra e Nuoro le più economiche Gli studenti spingono il mercato degli affitti sardi. E grazie alla grande presenza dei fuorisede i canoni di locazione non subiscono variazioni, restando stabili nei primi mesi dell'anno. Vale per Cagliari e per Sassari, a pieno titolo città universitarie. Entrambe con un'alta presenza di giovani studenti, in arrivo dai paesi dell'Isola ma anche dal resto d'Europa grazie ai programmi di scambio come l'Erasmus. CAGLIARI Secondo la rilevazione dell'Ufficio studi Gabetti, Professione casa e Grimaldi immobiliare a Cagliari i canoni si aggirano intorno ai 600 euro al mese per i bilocali e variano dai 700 agli 800 per i trilocali. Analizzando la situazione dei quartieri, per i bivani si spende di più a Bonaria dove i prezzi oscillano da 600 a un massimo di 800 euro al mese. Se si cerca un trivano, gli affitti più cari, oltre che a Bonaria (dove si arriva anche a 900 euro e si parte da non meno di 750) sono a Genneruxi (da 600 a 900 euro), al Quartiere del Sole e all'Amsicora (da 700 a 900 euro). I canoni variano a seconda dell'arredamento presente e più o meno pregiato, ma dipendono anche dallo stato dello stabile e dell'appartamento, dall'esistenza o meno del posto auto. Negli altri quartieri cittadini si può trovare un bivano a un massimo di 750 euro (così a Genneruxi, San Benedetto, Quartiere del sole e Amsicora) o 760 nella zona di via Mameli (dove si parte da 600 euro). Ma dalle stesse parti si può avere anche qualcosa di più economico, come un bivano a 500 euro al Quartiere del Sole. I prezzi più bassi a Is Mirrionis, San Michele e Mulinu Becciu (da 400 a 550).  TRIVANI Per affittare un trilocale, invece, il canone mensile minimo che si riesce a spuntare è a Castello, Is Mirrionis, Sant'Avendrace e San Michele dove si parte dai 500 euro ma si arriva, rispettivamente a 700, 650, 700 e 600 euro. Poco più cara la Marina dove un trivano parte da 550 e arriva a 700 euro, e Mulinu Becciu (da 550 a 650). A Pirri si parte da 500 euro al mese per i bilocali e si arriva a 600 per una camera in più. Gabetti ha inoltre monitorato i canoni per gli studenti: l'affitto medio richiesto a posto letto è di 230 euro al mese se la camera è singola e 200 se doppia. ALTRE PROVINCE Cagliari guida quindi la classifica dei canoni più alti, seguita, secondo Casa.it, dalla provincia di Olbia-Tempio con 650 euro per un bilocale. A Sassari, Oristano, Ogliastra e Nuoro la media dei canoni si aggira invece sui 500 euro, mentre le più economiche sono Carbonia-Iglesias e Medio Campidano con un costo di 430 euro. SASSARI Nel capoluogo turritano, poi, il Comune ha siglato un accordo con l'Università per rendere i canoni più vantaggiosi per gli studenti fuorisede, con agevolazioni fiscali ai proprietari. Gli studenti iscritti all'ateneo sassarese potranno, con la dichiarazione dei redditi del nucleo familiare, detrarre dal reddito il 19% dell'affitto, calcolato su un massimo di 2.633 euro (la detrazione massima sarà di 500,27 euro annui). I proprietari avranno invece una detrazione del 40,5% sul canone imponibile da dichiarare in sede Irpef. BANKITALIA L'accordo dovrebbe incentivare i giovani a lasciare la casa di mamma e papà. Per Bankitalia è proprio il caro-affitti a frenare l'autonomia dei “bamboccioni” e a impedire a molti di mettere su famiglia. Ma tant'è: il 60% degli italiani tra i 18 e i 34 anni vive ancora nella casa di origine, il 90% tra gli under 24. Per i ricercatori, a pesare è il “lavoro inadeguato” mentre il 26% dei giovani ha difficoltà a trovare un tetto a misura del proprio reddito. An. Ber. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 ott. ’11 ENERGIA SOLARE, SI CAMBIA ARRIVA IL FONDO PEREQUATIVO Federico Rendina ROMA La chiamano "perequazione" ed è il nuovo provvedimento dai contorni forti destinato ancora una volta a rimescolare il sistema degli incentivi per le rinnovabili. Rimescolare o ridurre? La domanda è per ora senza risposta. L'articolo 47 della bozza del decreto Sviluppo all'esame ieri pomeriggio dell'omonimo ministero guidato da Paolo Romani prevede una cosa apparentemente semplice e giusta: una perequazione, appunto, degli incentivi per il solare fotovoltaico. Che tenga conto delle caratteristiche del territorio sulla capacità di generare elettricità con la stessa attrezzatura: più consistente al Sud, fino al 35-40%, rispetto al Nord. Dunque, come si legge nella bozza del decreto, «ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e della maggiore efficienza in campo energetico, alle tariffe incentivanti sulla produzione di energia elettrica prodotta da impianti solari fotovoltaici, fissate dai decreti attuativi del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, è applicato un correttivo perequativo, stabilito con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, collegato ai gradi-giorni delle zone climatiche elencate nell'Allegato A al DPR 26 agosto 1993, ndp 7, e successive modificazioni, in modo da uniformare il valore dell'incentivo su tutto il territorio nazionale». Redistribuzione a saldo totale invariato? In questo caso l'attuale entità globale dell'incentivo verrebbe redistribuita premiando di più le zone del Nord (dove gli impianti hanno una "producibilità" inferiore), asciugando le tariffe incentivate al Sud, dove secondo molti analisti già tra tre anni potrebbe essere raggiunta la 'grid parity", ovvero la competitività della produzione elettrica da pannelli solari senza bisogno di alcun aiuto o sussidio. Ma ecco il legittimo sospetto: la redistribuzione "perequativa" potrebbe invece concretizzarsi nel mantenimento degli attuali incentivi al Nord, che verrebbero ridotti progressivamente, con il variare dell'indice di producibilità media, nelle zone più soleggiate. Ad accendere il dubbio è tra e Le condizioni che fanno coincidere il costo del kilowattora prodotto con fonti rinnova bili con quello da fonti convenzionali. Dipende ovviamente sia dal costo delle non rinnovabili (petrolio, gas naturale, nucleare ecc.) sia dall'efficienza e dal costo (in forte calo) dei pannelli solari. Studi di settore tracciano la grid parity del solare con nuove installazioni e in alcune zone (Sicilia, Calabria, Puglia ma anche in alcune aree della Sardegna) già trail 2013 e iI2014. l'altro la vibrata campagna lanciata nei mesi scorsi dalla Lega, che chiedeva un taglio degli incentivi al fotovoltaico ben più sostanzioso di quello comunque apportato dal "quarto conto energia" varato nel maggio scorso. Tant'è che nell'ultima manovra di bilancio era comparsa (per poi scomparire, travolto dalle bordate degli operatori ma anche di buona parte della politica) una sforbiciata secca e lineare del 30% a tutti gli incentivi in vigore per le energie rinnovabili. Questo, come correttamente propagandava la Lega, «per alleggerire le bollette degli italiani», visto che gli incentivi all'energia verde sono totalmente finanziati con un prelievo aggiuntivo sulle bollette di tutti i consumatori. E dunque - va nuovamente sottolineato - nulla hanno a che fare con i problematici equilibri della spesa pubblica. Sembra intanto perdere quota l'ipotesi di intervento a sanatoria degli impianti solari che negli ultimi due giorni ha suscitato un vivace dibattito tra gli operatori nelle ultime 48 ore. L'ipotesi, solo un'idea da trasformare per iniziativa del ministro dell'Agricoltura Francesco Saverio Romano in un'integrazione al decreto sviluppo, prevede un "condono" a titolo oneroso (si è parlato di una decina di euro a chilowatt installato) per gli impianti a terra realizzati in aree agricole in eccedenza rispetto ai limiti di spazio previsti. Solo un'idea, che sui sarebbe scontrata con la netta opposizione del ministro dello Sviluppo Paolo Romani. A dire no all'ipotesi non solo solo le organizzazioni ambientaliste ma anche le principali associazioni degli imprenditori delle energie verdi. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 ott. ’11 IL DOPPIO VALORE DELLA CULTURA STRATEGIE DI LUNGO PERIODO di Walter Santagata Quando si vive una esperienza di crisi in campo culturale si impongono due scelte: ridefinire le priorità nazionali e avviare il ricambio della classe dirigente. Quando la crisi attanaglia la cultura e la sua politica si sente il bisogno di ripartire, di eliminare le duplicazioni inutili, di rimettere ordine nella scala delle priorità, di rifiutare i cosiddetti «tagli o risparmi lineari», che iniquamente trattano in modo eguale situazioni fortemente diseguali. Un gruppo dirigente si è compromesso in vecchie e inadeguate politiche: va cambiato, va ricreata una nuova direzione. In fondo questi due obiettivi: ridisegnare le priorità culturali nazionali e lavorare alla costruzione di una nuova classe di imprenditori culturali è l'ambizione del Forum che si svolgerà a Firenze nell'autunno del 2012 i cui temi saranno anticipati dal convegno «Produrre Cultura: patrimonio, paesaggio, industria creativa» che si terrà a Firenze il 29 ottobre 2011. La Fondazione Florens che ne è l'animatrice crede in questa sfida e si sta attrezzando con la mobilitazione di intellettuali e talenti culturali, di livello nazionale e internazionale. L'obiettivo prioritario della produzione di nuova cultura, e quindi della inevitabile importanza delle industrie creative, è caratterizzante di una visione matura del rapporto tra cultura e sviluppo economico sostenibile. È però anche il riconoscimento di un doppio valore della cultura: come motore della crescita economica, dei redditi e dell'occupazione e come fattore di miglioramento della qualità sociale. Da molti anni siamo alla ricerca di più efficienza nella gestione dei musei, dei siti archeologici come Pompei, delle orchestre sinfoniche, della lirica ,e del cinema. Alcune buone leggi, come la Legge Ronchey del 1993, hanno favorito buoni risultati. Anche l'arte contemporanea è oggi vista come sistema dal forte connotato di mercato. Tuttavia questa linea di condotta non ci basta più. Ci rendiamo conto che il valore della qualità sociale è qualcosa di superiore. Vogliamo che la nuova cultura prodotta non solo posizioni il nostro paese nello scacchiere della competizione internazionale, ma che favorisca l'inclusione sociale, consenta ai cittadini di realizzare più compiutamente i loro piani di vita, promuova il dialogo, la fiducia reciproca e la cooperazione. In una parola vogliamo che i nostri musei si trasformino in centri culturali dialoganti e attenti più alla alterità che a vecchie identità che generano barriere sociali. Vogliamo che le nostre città diventino, come molte lo furono, città creative dove la qualità della vita è alta e nobile. Per queste ragioni, molto brevemente esposte, uno degli assi del futuro Forum riguarderà le industrie creative. Perché la creatività per la qualità sociale, come si è più volte argomentato nel Libro Bianco sulla Creatività in Italia da me diretto per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è uno dei punti di forza della nostra cultura antica e mediterranea. Perché le nostre industrie creative contano circa il 9% del Pil nazionale e occupano circa 2,5 milioni di persone. Perché il nostro Made in Italy è fatto di industrie creative e di qualità sociale. Alla base della manifestazione fiorentina vi saranno studi approfonditi su almeno tre settori delle industrie culturali e creative: la moda nella sua dimensione internazionale, la gastronomia e il cibo nella loro estensione nazionale, e il mondo del design industriale e dell'artigianato come si esprime nella realtà fiorentina. Sono tre settori della cultura materiale italiana che non solo non registrano arretramenti o pause critiche, ma costituiscono settori di grande successo internazionale e si affermano sempre più come facilitatori di una migliore qualità della vita. Produrre cultura in questi settori non è facile, perché la competizione internazionale è agguerrita, e perché a fondamenti estetici puri si sommano capacità manageriali, distributive e gestione dei diritti di proprietà intellettuale su beni simbolici da grande valore. Questa è la sintesi di un cambiamento delle politiche culturali italiane auspicato da molti e temuto da tanti. _________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 ott. ’11 QUASI CRISTALLI: SE UNA RIVOLUZIONE SEMBRA UNA BUFALA Perché i «quasi cristalli» di Shechtman, irrisi nel 1984 dai colleghi e ora premiati a Stoccolma, sono diversi da assurdità come la poliacqua di Ezio Puppin Era il 1984 quando l'allora quarantatreenne Daniel Shechtman osservò, in una lega metallica da lui preparata e contenente alluminio e manganese, qualcosa che le leggi della fisica allora conosciute escludevano assolutamente. Per fare un paragone un tantino irriverente ma comprensibile, sarebbe come se un piastrellista avesse detto di poter ricoprire completamente il pavimento del salotto di casa usando solo piastrelle pentagonali, invece delle solite piastrelle quadrate, rettangolari o esagonali che siamo abituati a vedere. Basta provarci per capire che è impossibile. La comunità scientifica non reagì molto bene, e per il povero Shechtman furono momenti difficili e dolorosi. Lo schiaffo più forte lo ricevette dal due volte premio Nobel (chimica e pace) Linus Pauling, che in dieci minuti di intervento in un seminario al California Institute of Technology demolì le sue ricerche quasi con ribrezzo. Qualcuno, a titolo di scherno, arrivò al punto di regalargli un libro di testo invitandolo a studiarsi le basi della cristallografia, la scienza che si occupa di come gli atomi si dispongono per formare i diversi tipi di materiali. Pauling, che era stato un pioniere di questa scienza, arrivò adire che i quasi cristalli erano una patologia simile a quella che aveva portato, pochi anni prima, l'intera comunità scientifica a credere nell'esistenza di una nuova forma dell'acqua, che andava così ad aggiungersi a quelle note (ghiaccio, liquido e vapore). Questa nuova forma era stata battezzata "poliacqua", e avrebbe dovuto essere una specie di plastica realizzata a partire dall'acqua. In realtà, la poliacqua non è mai esistita e gli effetti osservati erano banalmente dovuti al fatto che l'acqua usata per gli esperimenti era contaminata con silicone. Invece Daniel Shechtman aveva visto giusto: i suoi cristalli-che-non-potevano esistere invece esistevano, e come. Certo, sono materiali un po' particolari, e ci sono voluti anni per accettarne l'esistenza e comprenderli meglio. Oggi dei quasi cristalli si parla nei libri di testo e nell'iniziare il mio corso di Fisica dello stato solido per gli studenti di Ingegneria fisica del Politecnico di Milano ho voluto dedicare un certo spazio a questa scoperta che ha fatto tabula rasa di un paradigma consolidato. E finalmente, dopo quasi trent'anni, Shechtman il 5 ottobre scorso ha ricevuto il premio Nobel per la chimica. La vicenda dei quasi cristalli è interessante perché ripropone un dilemma sempre presente nella scienza: se qualcuno sostiene di avere fatto una scoperta straordinaria, che scardina i paradigmi esistenti, come ci si deve comportare? Personalmente non credo che sia possibile dare una risposta valida in generale. La storia ci ha insegnato che la comunità scientifica risponde in modo molto diverso e imprevedibile. In alcuni casi le peggiori sciocchezze assurgono immediatamente a nuova verità, come avvenne nel caso già citato della poliacqua oppure, per citare qualche altro esempio, dei raggi N del Prof. Blondlot o della memoria dell'ac-qua. In altri casi invece la prima reazione della comunità scientifica è di rigetto, come avvenne per i quasi cristalli di Shechtman. Perché avvenga l'una o l'altra cosa è difficile a dirsi. Quello che più conta però è che, anche per queste controversie scientifiche, il tempo è galantuomo. Magari occorrono decenni, ma prima o poi le sciocchezze vengono dimenticate e le vere scoperte si affermano. Nella mia attività di ricercatore nel campo della fisica della materia ho contributo a ridimensionare un fenomeno fisico "scoperto" negli anni Settanta e per la cui spiegazione si erano ipotizzate sconvolgenti violazioni delle leggi naturali conosciute. Il fenomeno è quello dell'aromagnetismo", secondo il quale alcuni materiali organici (per esempio la naftalina) possono comportarsi come il ferro, cioè diventare delle calamite. La realtà è molto più banale: alcuni pezzi di questi materiali si comportano effettivamente come delle piccole calamite, ma solo perché al loro interno ci sono delle impurezze di ferro odi altri materiali magnetici. Di questo però nessuno si è reso conto per decenni, e nel frattempo molti incauti fisici si sono lanciati in arditissime speculazioni che adesso sappiamo essere del tutto infondate. Proprio in questi giorni è stato dato grandissimo risalto mediatico a una notizia che, se confermata, avrebbe profonde implicazioni su tutte le teorie fisiche conosciute. Sto parlando dell'esperimento realizzato misurando il tempo impiegato dai neutrini per andare dal Cern di Ginevra, dove vengono prodotti, ai laboratori dell'Infn del Gran Sasso. Secondo i primi risultati raccolti i neutrini ci metterebbero un po' meno del tempo che impiegherebbe la luce a percorrere la stessa distanza. Certo, la differenza di velocità osservata è veramente molto, ma molto piccola, e potrebbe essere spiegata con qualche errore nell'effettuazione dell'esperimento del quale non si è sino ad ora tenuto conto. Però, d'altro canto, se fosse vero ci troveremmo di fronte a una nuova sconvolgente rivoluzione scientifica. In questi giorni si è scatenata la creatività di molti fisici teorici. Alcuni hanno escluso che questo fenomeno sia possibile, altri hanno trovato spiegazioni più o meno fantasiose dei risultati osservati utilizzando le teorie già note. Entrambi questi approcci però sono sbagliati, perché non sono basati su fatti accertati aldilà di ogni ragionevole dubbio. L'unico modo conosciuto per dirimere questioni come questa è di ripetere gli esperimenti, possibilmente in altri laboratori e a cura di altri ricercatori, per essere certi della veridicità del risultato. Poi, una volta assodato che l'effetto esiste realmente e non è un triviale artefatto dovuto a qualche errore, provare a cercare di interpretarlo ed, eventualmente, riscrivere la fisica a partire dalle sue fondamenta. Presidente Cnism, Politecnico di Milano _________________________________________________________ TST 19 ott. ’11 L’UOMO CHE BATTEZZÒ UN NUMERO Si celebra il bicentenario della "legge di Avogadro", che segna l'inizio della chimica moderna Emblema di un genio poco compreso, che non riuscì mai a ottenere i mezzi per poter applicare le sue scoperte ADRIANO ZECCHINA UNIVERSITA' DI TORINO Non si può analizzare la grandezza scientifica di Amedeo Avogadro (1776-1856) - di cui si celebrano i 200 anni della celebre legge - se non inquadrandone l'opera nella straordinaria avventura scientifica che inizia con Robert Boy- le (1627-1691) e termina con Dimitrj Ivanovic Mendeleev (1834-1907) e la sua tavola degli elementi. Far coincidere questo inizio con Boyle non implica che prima non venissero fatte operazioni chimiche riproducibili. Questa pratica e le ope-razioni legate alla metallurgia, all'industria del vetro e della ceramica, alla fermentazione (per fare alcuni esempi) erano un patrimonio millenario, perfezionato con pratiche empiriche e spesso di carattere alchemico. Ugualmente ricca era la conoscenza e la classificazione di molte sostanze. Ma, nonostante questa ricca storia, nella seconda metà del XVIII secolo la comprensione del mondo fisico si basava ancora su Aristotele, secondo cui la complessità del mondo è il risultato della combinazione di terra, acqua, aria e fuoco. Su questa base, inoltre, si deduceva l'inesistenza del vuoto e l'infinita divisibilità della materia. E° quindi giusto partire da Boyle (autore di quello che viene considerato il primo libro di chimica, «The Sceptical Chemist»), perché con lui inizia su basi sperimentali la faticosa demolizione delle teorie aristoteliche. Studiando le proprietà dei gas, arriva alla conclusione che la materia è formata di particelle e che le sostanze sono costituite da atomi diversi. Quasi contemporaneamente Isaac Newton (1643-1727), fisico ma anche alchimista, tratta dell'esistenza del vuoto che separa i corpuscoli di Boy- le e ipotizza l'esistenza di interazioni a distanza. Da questo momento parte un inarrestabile processo di studi e scoperte che terminerà solo con Mendeleev e all'interno dei quale trova posto proprio l'opera di Avogadro. In un processo durato quasi due secoli si succedono tante figure: se Robert Hooke (1635-1703) scopre che l'aria è composta da una parte nitrosa capace di reagire (l'ossigeno) e una parte inerte (l'azoto), Joseph Louis Gay Lussac (1778-1858) deduce che l'acqua è formata da due parti di idrogeno e una di ossigeno, mentre Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794) comprende che il fuoco è il risultato di una reazione di combustione e formula la legge della conservazione della massa. A questo punto la nascita della teoria atomica di John Dalton (1766-1844) appare come una naturale conseguenza: secondo lo studioso, la materia è composta di particelle molto piccole e gli atomi di elementi differenti si combinano a formare i composti chimici. In questo periodo rimane tuttavia incompresa la differenza tra atomi e molecole. Ed è proprio qui che si rivela il contributo di Avogadro con la sua legge che sostiene che «volumi uguali di gas, alla stessa temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole» e che viene pubblicata nel 1811 sul «Journal de Physique». Questa implica che le relazioni tra i pesi di volumi identici di gas differenti (a temperatura e pressione uguale) corrispondono alle relazioni tra i rispettivi pesi molecolari. Quindi, i pesi molecolari relativi possono essere cal-colati dal peso dei gas stessi. Questa legge fornì lo strumento per risolvere in modo definitivo la confusione tra atomi e molecole e tuttavia la scoperta, sebbene destinata a divenire uno dei pilastri della chimica moderna, non ricevette subito attenzione. Solo al congresso di Karlsruhe, nel 1860, venne riconosciuto il suo valore. Le ragioni di questa «disattenzione» sono molte, ma è probabile che siano anche legate all'origine periferica di Avogadro rispetto ai suoi interlocutori e competitori europei. Questa realtà non può non accrescere l'ammirazione per il suo genio, universalmente riconosciuto dal «Numero di Avogadro», dato al numero di molecole contenuto in una massa in grammi numericamente pari al peso molecolare. Questo valore, com'è stato verificato da misure accuratissime in epoche successive, è uguale per tutte le sostanze. In accordo con la sua legge. ___________________________________________________ Corriere della Sera 21 ott. ’11 LAUREE E LAVORO, VINCONO INGEGNERI ED ECONOMISTI I titoli di studio più richiesti in azienda Quali sono le "neolauree" più gettonate a Roma e Milano? Due classifiche nuove di zecca fotografano la situazione di questi mesi. Cominciamo dalla Lombardia, dove un'indicazione al proposito ci arriva da un'anticipazione dell'indagine Stella sui giovani che si sono laureati nel 2010 all'Università di Milano Bicocca. Gli "specialistici" più richiesti? I medici: il tasso d'impegnati sfiorava l'82% a giugno, quando sono stati raccolti i primi dati. Ma seguono a ruota gli statistici e, "solo" al terzo posto, i dottori in Economia: poco meno del 77% gli occupati tra loro.  Anche per chi è "uscito" da Scienze della Formazione c'è mercato: la fetta con un impiego al termine del primo semestre raggiunge quasi il 70%.  Subito dopo sociologi e laureati in Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali (che comprendono Informatica): si fermano intorno al 65%. Più complicato è, invece, l'inserimento dei ragazzi che hanno scelto Psicologia: solo uno su due aveva un lavoro a giugno. E peggio ancora va a chi ha puntato su Giurisprudenza: si scende a uno su tre. Ovviamente al quadro va aggiunta, e nelle prime posizioni, Ingegneria, facoltà che non è presente in Bicocca, ma è tra le "più amate" dalle aziende. Infatti, secondo i dati più recenti in mano al Politecnico di Milano (che però, va detto, risalgono al 2008, dunque al periodo pre-crisi), vanta un 94% abbondante di occupati a un anno dal titolo (di cui circa tre quarti già a quattro mesi). Peraltro nella stessa rilevazione del Polimi anche architetti e designer "impegnati", sempre a 12 mesi, superano l'80%. Le cose cambiano un po' nel centro Italia. Una freschissima ricerca di Soul, (sistema d'orientamento Università e lavoro che comprende otto atenei laziali) sulle lauree più richieste assegna, infatti, la pole position a Economia. Subito dopo nella classifica, che si basa su oltre 1200 offerte di lavoro pubblicate sul portale Jobsoul tra il primo gennaio e il 30 settembre di quest'anno, viene Ingegneria: entrambe le facoltà sono "indicate" in più di quattro vacancy su 10.  Poi Informatica: tre su 10 (va considerato che le posizioni aperte possono anche essere ricoperte da lauree di diverso tipo). Meno ricercata Comunicazione (oltre due su 10), che supera Ingegneria dell'Informazione e Giurisprudenza, ma di poco. Seguono, quasi a pari merito, Statistica e Scienze Politiche (1,5). C'è un illustre assente: Medicina, il capoclassifica di Milano Bicocca. Potrebbe sembrare strano, che tra le offerte di lavoro postate dalle aziende su Jobsoul, abbia solo il 6,5% delle "preferenze" (meno di Psicologia, sopra all'8,5%). Ma una spiegazione plausibile c'è. Ed è molto semplice: i laureati di area medica hanno altri canali d'inserimento, a cominciare dagli ospedali. Iolanda Barera ___________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’11 SASSARI: SCUOLA DI GIORNALISMO ADDIO Il rettore dell'Univeristà Attilio Mastino intende riaprirlo nel 2012 Bloccato dall'Ordine dopo le denunce dei corsisti Era stato presentato come un fiore all'occhiello, come nuova e attraente offerta formativa per gli studenti. E così, dopo un periodo di prova, il Master in giornalismo dell'Università di Sassari era partito alla grande. Numero chiuso - massimo trenta allievi - e ottime prospettive. Adesso, il sito dell'Ordine nazionale dei giornalisti l'ha addirittura cancellato dall'elenco delle scuole per aspiranti reporter. Stop alla formazione in loco, dunque. Il corso è stato sospeso - sine die? - ma, ufficialmente, in attesa di tempi migliori. IL BLOCCO A decidere che la convenzione con l'Università non dovesse essere rinnovata, è stato il presidente nazionale dell'Odg Enzo Iacopino, in accordo con quello regionale Filippo Peretti, d'intesa con il rettore dell'Ateneo sassarese Attilio Mastino. Alla base, una lunga serie di segnalazioni degli studenti, indirizzate all'ordine, in cui lamentavano diverse anomalie nella gestione di una sorta di zona franca nell'Ateneo. Tra tutte, le lezioni annunciate di grandi firme dell'informazione e mai tenute, eppure regolarmente inserite nei programmi. CASI CLAMOROSI Giusto per intendersi, a dicembre dello scorso anno, erano stati fissati in calendario due appuntamenti per il 6 e l'8, cioè in occasione della festa patronale della città (San Nicola) e dell'Immacolata. Incontri, inutile sottolinearlo, saltati e mai recuperati. Perché, è ciò che è emerso successivamente, era tutto improvvisato, con i calendari buttati giù tanto per riempire le caselle. L'INDAGINE Alla fine è successo quel che doveva succedere: è stata nominata una sorta di commissione d'inchiesta dell'Odg per verificare la fondatezza delle continue sollecitazioni degli studenti. Che, come è stato poi rilevato, avevano ragione da vendere. A Iacopino e Peretti non è rimasto altro da fare che chiudere la baracca. «Noi dovevamo aiutare i ragazzi - ha spiegato Iacopino - era questo il nostro compito. Ci siamo riusciti perché loro hanno sostenuto l'esame. Per il futuro speriamo di poter ricostruire il Master su basi più solide, senza dimenticare l'azione di vigilanza che l'ordine deve comunque esercitare». CICLO FINITO Dopo quattro corsi biennali conclusi regolarmente e un centinaio di giovani diventati giornalisti professionisti per il 2011-2012 non sono state accettate iscrizioni. «Mi dispiace molto per questo inconveniente - dice il rettore Attilio Mastino - credo tuttavia che tra febbraio e marzo del prossimo anno la situazione tornerà alla normalità. Il consiglio d'amministrazione dell'Università farà di tutto, e si sta già impegnando, per far ripartire il Master nel 2012». _________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 ott. ’11 L'EUROPA IN ORBITA CON GALILEO: SFIDA AL GPS Il commissario Ue all'Industria Tajani: «Questa è l'avanguardia della terza rivoluzione industriale» Italia in prima fila Beda Romano BRUXELLES. Dopo un primo rinvio, sono stati lanciati ieri dalla base di Kourou, nella Guyana francese, i primi due satelliti Galileo, il sistema di navigazione satellitare con il quale l'Unione vuole competere con gli Stati Uniti in un campo alla frontiera della tecnologia. La speranza della Commissione Europea è che il progetto possa diventare un nuovo volano per l'industria continentale, e in particolare per quella italiana. L'operazione è stata portata a termine dalla navicella Soyuz, nata nel 1966 in piena Guerra Fredda. Per la prima volta il razzo russo è decollato da una base fuori dai confini della ex Unione Sovietica. Il decollo, che è stato rinviato di 24 ore per un problema tecnico, è avvenuto alle 7:3o ora locale, le 12:30 in Italia. La pioggia battente non ha avuto alcun impatto, ha assicurato Arianespace, la società che ha gestito il lancio. Il nuovo sistema di geoposizionamento dovrebbe diventare operativo nel 2o14. e contare a regime fino a 30 satelliti. Per ora tuttavia ne sono previsti diciotto. «Lo spazio - ha commentato il commissario all'Industria Antonio Tajani- è l'avanguardia della terza rivoluzione industriale, questo è un grande risultato per l'Unione». E ha aggiunto: «Oggi l'Europa dimostra che è capace di gestire grandi progetti economici». «Galileo è fondamentalmente gratuito, anche se possiamo immaginare che alcuni servizi potranno essere a pagamento», ha spiegato dal canto suo Paul Weissenberg, vice direttore generale per l'Industria della Commissione. Si stimano a regime entrate per 7o milioni di euro all'anno. «Detto ciò, ci aspettiamo che il nuovo sistema di navigazione satellitare possa generare un indotto di 90 miliardi di euro nell'arco dei prossimi 20 anni». L'Italia gioca un ruolo significativo, non solo attraverso Thales Alenia Space e Space Opal, ambedue presenti nel consorzio. I satelliti che sono stati mandati in orbita ieri, a una distanza di 23mila chilometri dalla terra, sono stati assemblati al Centro integrazione satelliti di Thales Alenia Space di Roma. A costruire i satelliti poi è una società tedesca, la Ohb di Brema, guidata dall'italiano altoatesino Manfred Fuchs, che si è aggiudicata la commessa nel 2010 battendo Eads e Astrium. A Bruxelles c'è il desiderio di cavalcare il progetto Galileo. Gli esperti della Commissione credono che il nuovo sistema di navigazione satellitare offrirà nuove opportunità economiche, per esempio nella guida assistita, nella cura degli anziani, o nel pedaggio autostradale. C'è anche la speranza di sostenere un'industria europea che per competere con il resto del mondo deve puntare ai prodotti ad alto valore aggiunto. Galileo è anche un segnale di indipendenza politica. Negli ultimi decenni l'Europa è stata costretta a utilizzare il sistema di navigazione satellitare americano Gps. I due sistemi di geoposizionamento saranno comunque pienamente compatibili. Sul fronte tecnico, proprio ieri Tajani ha annunciato che intende indire un'asta per la costruzione di altri quattro-sei satelliti nuovi, per raggiungere gradualmente quota 3o: «Il contratto verrà firmato in febbraio». I lanci dei prossimi satelliti Galileo sono previsti nel 2012 e attualmente anche questi si trovano nei laboratori di Thales Alenia Space Italia per le operazioni necessarie a rispettare i tempi di consegna. Cinque miliardi di euro sono stati allocati fino al 2014 per lo sviluppo e la costruzione del nuovo sistema di navigazione. Successivamente sono previsti investimenti, soprattutto per il mantenimento degli impianti, di un miliardo all'anno fino al 2020, tutti provenienti dal bilancio comunitario. _________________________________________________________ Osservatore Romano 19 ott. ’11 LA RICERCA AI TEMPI DI INTERNET A proposito della scoperta del manoscritto vaticano dell'«Ethica» di Baruch Spinoza Nel pomeriggio di martedì 28 ottobre nella sede romana del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) si svolge un incontro sulla scoperta del manoscritto vaticano dell'«Ethica» di Spinoza (Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 12838), annunciata con grande scalpore nello scorso maggio. All'incontro prendono parte, con il presidente del Cnr Francesco Profumo, T llio Gregoly, Marta Fattori, Paolo Cristofolini, Andreina Rìta. Pubblichiamo l'inizio e la conclusione dell'intervento del direttore del Dipartimento Manoscritti della Biblioteca Vaticana. di PAOLO VIAN C ome è possibile che in una biblioteca frequentata e perlustrata come la Vaticana, con una ultrasecolare tradizione di intensi studi, di qualificate ricerche e di esperte pratiche bibliotecarie, si possano verificare scoperte come quella del manoscritto dell'Ethica di Spinoza, al centro di questo incontro? Dobbiamo dunque credere che la Vaticana non sappia quel che custodisce oppure, nella direzione opposta, sospettare che essa sia depositaria di ancora altri segreti, magari eversivi per la fede, occultati alla consapevolezza dei più, sull'onda di un clima alla Dan Brown? Ho in-contrato persone, non completamente sprovvedute, fermamente convinte per esempio che la Vaticana possegga un fornitissimo enfer di opere pornografiche; e fra le lettere ricorrenti che un tempo arrivavano alla Biblioteca una delle più frequenti era quella di quanti cercavano nei fondi manoscritti vaticani l'originale di una lettera di Ponzio Pilato a Tiberio a proposito di Gesù. Al di là dello scherzo e del sorriso, vicende come quella della scoperta del manoscritto dell'Ethica possono essere l'occasione per riflettere su cosa significhi oggi cercare e trovare nelle grandi biblioteche di conservazione (e negli archivi), per considerare la loro natura e per sfatare alcuni luoghi comuni; ma anche per interrogarsi sulla possibilità nelle ricerche umanistiche della «scoperta», eventualità spesso contemplata solo nell'ambito delle scienze naturali. Sarà utile per questo ripercorrere le vicende di quattro ritrovamenti, di quattro scoperte o «inventiones» avvenute in Biblioteca Vaticana negli ultimi anni e che hanno fatto un certo scalpore. Ripercorrerne le tappe e le modalità, quasi senza commenti, ci metterà probabilmente in grado di rispondere alle domande iniziali (...). I quattro casi di scoperte brevemente illustrati (scilicet di una sconosciuta commedia di Menandro nel palinsesto Vat. sir. 623 da parte di Francesco D'Aiuto, del testo autografo italiano de L'ateismo trionfato di Tommaso Campanella nel Barb. lat. 4458 da parte di Germana Emst, di un codice di musica polifonica cinquecentesca nel Vat. mus. 440 da parte di Arnaldo Morelli e, infine, del manoscritto dell'Ethica spinoziana, da parte di Leen Spruit e Pina Totaro) presentano caratteristiche comuni. Nel processo di ognuna di esse gli elementi per la scoperta erano sostanzialmente noti, visibili, sotto gli occhi di tutti, da tempo. Ma per renderli veramente significativi, per far scattare la scintilla della novità e appunto della scoperta bisognava combinarli insieme, bisognava interpretarli, bisognava in altri termini renderli eloquenti attraverso una lettura intelligente. Per usare l'antica formula agostiniana, accedit verbum ad elementum et fit sacramentum. La materia preesiste, è lì, alla portata di chi la voglia trattare; ma deve sopraggiungere un intervento esterno, il verbum, accorto e consapevole, perché l'elementum si trasformi in sacramentum. Così, nella ricerca solo l'intelligenza — in misura assai limitata assecondata dal caso — può pervenire alla scoperta, di qualcosa che talvolta, come nel caso dell'individuazione nel 1992 da parte di Michael McCormick di centinaia di note tironiane e di glosse in latino e in alto-tedesco fra le righe di un celeberrimo manoscritto virgiliano tardo- antico della Vaticana, il Virgilio Palatino (Pal. lat. 1631), era sotto gli occhi di tutti, quasi come la lettera rubata di Edgar Allan Poe. In un'epoca in cui siamo tutti meno abituati a cercare perché ormai viziati dalla possibilità del reperimento comodo e immediato, senza neanche alzarsi dalla sedia e dal nostro tavolo, nell'epoca della pur meritevole e a volte utilissima Wikipedia e dei sempre più potenti motori di ricerca — che in realtà sono la morte non solo dell'erudizione ma della ricerca tout court e la consacrazione del reperimento senza sforzo — i quattro casi delle recenti scoperte in Vaticana ci insegnano la bellezza, la necessità, ma anche le straordinarie potenzialità di una ricerca umile e faticosa, spesso non realizzata attraverso «connessioni remote» ma con l'assidua presenza fisica nelle biblioteche (ahimé, invece sempre più disertate), fra gli scaffali, prendendo ancora in mano inventari cartacei manoscritti o dattiloscritti. Nelle grandi biblioteche di conservazione, spesso in ragione di una lunga storia di catalogazioni e inventariazioni, rimane infatti ancora necessario e indispensabile il ricorso a cataloghi, inventari, indici manoscritti, dattiloscritti o stampati che talvolta risalgono alla fine del Cinquecento o agli inizi del Seicento. Le nuove tecnologie ci permettono oggi — come è avvenuto recentemente in Biblioteca Vaticana — di ritirare dalla consultazione i preziosi e unici originali e di sostituirli con copie digitali e cartacee. Ma prima che tutti questi dati vengano riversati in catalogazioni elettroniche, con liste di autorità verificate e, soprattutto, passati al vaglio di nuove catalogazioni modernamente consapevoli e avvertite dei manoscritti in essi descritti, passeranno anni, molti anni. I cataloghi elettronici dei fondi manoscritti si vanno felicemente incrementando (quello della Vaticana è stato inaugurato nel 2007) ma guai a credere — come talvolta capita di sentire — che essi rappresentino la totalità dei fondi manoscritti; per molti anni ancora essi rispecchieranno una piccola, modesta porzione di essi e allora si dovrà ancora ricorrere ai vecchi strumenti, conosciuti nelle loro caratteristiche e nelle loro logiche, interrogati con pazienza, con fatica, con intelligenza. Per fare un esempio relativo alla Vaticana, al di là delle molte, spesso accurate ed esaustive catalogazioni tematiche, quando potremo fare totalmente a meno degli inventari e degli indici otto e novecenteschi di Sante (1802-1887) e Alessandro (t19o2) Pieralisi per i manoscritti Barberiniani — quasi 12.000 — (...) e di. Giuseppe Baronci (1857-1949) per i manoscritti Chigiani — quasi 4.000? 0 di quelli dell'immenso fondo dei Vaticani latini — che supera i 15.000 elementi — solo in piccola parte descritto in cataloghi a stampa? Le nuove tecnologie costituiscono e sempre più in futuro costituiranno un sussidio formidabile, del quale le generazioni precedenti non potevano godere. E, per citare Marie-Dominique Chenu nel suo capolavoro sulla teologia nel XII secolo, come allora i migliori teologi furono quelli che seppero fare più ricorso alla modernità delle categorie grammaticali, così oggi i ricercatori più agguerriti saranno quelli più capaci di padroneggiare gli strumenti digitali per sfruttarli ai loro fini. Ma non illudiamo-ci: senza il verbum non potremo mai accedere al sacramentum. Dunque, torniamo a frequentare le biblioteche e gli archivi, ripensiamo (se possibile) ritmi, esigenze e modalità della vita accademica e della formazione universitaria, riserviamo sempre più tempo alla presenza fisica, si vorrebbe dire alla militanza sul campo, nei luoghi della memoria. E allora biblioteche e archivi riveleranno veramente i loro segreti, che non sono quelli immaginati da Dan Brown, gelosamente sottratti alla conoscenza di molti da una ristretta casta di loro illuminati depositari; ma sono, più semplicemente, quelli che si rivelano all'umile e tenace ricercatore che sappia ancora leggere, consultare, accostare, riflettere. Anche persone non del tutto sprovvedute hanno cercato tra i manoscritti vaticani l'originale di una lettera di Ponzio Pilato all'imperatore Serio a proposito di Gesù DALL'AIA ALLA BIBLIOTECA VATICANA PERIPEZIE DI UN CODICE Non si conoscevano sinora manoscritti delle opere di Baruch Spinoza (1632-1677), note solo attraverso edizioni a stampa venute alla luce fra il 1663 e il 1677, anno in cui furono pubblicati ad Amsterdam gli. Opera posthuma che contenevano, con altre, le sue opere maggiori, il Wactatus theologico-politicus e l'Ethica methodo geometrico demonstrata. Leen Spruit e Pina Totaro hanno scoperto fra i manoscritti della Biblioteca Vaticana l'unico manoscritto, seppure non autografo, dell'Ethica copiato prima della pubblicazione degli Opera posthuma. Il codicetto (Vat. lat. 12838), vergato nel 1675 da Pieter van Gent, portato a Roma da un discepolo di Spinoza, il fisico e matematico luterano tedesco Ehrenfried Walther von Tschirnhaus, entrò in possesso dello scienziato e teologo danese Niels Stensen (1638-1686, beatificato da Giovanni Paolo il nel 1988) che il 23 settembre 1677 lo consegnò alla Congregazione del Sant'Uffizio, per denunciarne i pericoli per la fede (l'opera fu infatti messa all'Indice nel 1679 e nel 1690). 11 manoscritto, adespoto e anepigrafo (e per questo sfuggito a precedenti identificazioni), fu versato con numerosi altri dalla Congregazione del Sant'Uffizio alla Biblioteca Vaticana nel 1922. Al codice è stato dedicato un volume di Leen Spruit e Pina Totaro, The Vatican Manuscript of Spinoza's «Ethica», edito nell'estate da Brill nella collana «Brill's Texts and Sources on Intellectual History». Un articolo di Spruit, Totaro e Pict Steenbakkers sarà pubblicato nel prossimo volume, xvi il, dei Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, mentre nel 2012 vedrà la luce, per le Presses Universitaires de France di Parigi, l'edizione critica dell'Ethica curata da Steenbakkers e Fokke Akkerman, tenendo per la prima volta conto del manoscritto vaticano che, pur non modificando sostanzialmente il testo noto, rappresenta una scoperta eccezionale. (paolo vian) ___________________________________________________ Corriere della Sera 18 ott. ’11 USA, LA NUOVA «BOLLA» DEI PRESTITI UNIVERSITARI L a «bolla» dei debiti pubblici europei (e dell'Italia) si fa sempre più minacciosa, mentre quella dell'indebitamento delle famiglie continua a frenare l'America. E la Cina, ultima locomotiva capace di trainare l'economia mondiale, rischia il deragliamento se, come temono molti, scoppierà la sua bolla finanziaria alimentata da anni di credito facile. Ormai lo sappiamo: viviamo in un mondo pieno di bolle che i governi devono sgonfiare con processi socialmente dolorosi ed economicamente non privi di rischi. Gli americani, che dal 2007 sono alle prese con la «madre di tutte le bolle», quella dei mutui subprime, l'hanno scoperto prima di altri. Ma nemmeno loro sono consapevoli fino in fondo della vastità del problema. Pochi, ad esempio, hanno compreso quanto stia diventando minacciosa un'altra bolla: quella dell'istruzione universitaria, il fiore all'occhiello del sistema Usa.  Le accademie americane, si sa, sono eccellenti ma anche molto costose. Soldi ben spesi, si è sempre detto: investire sul proprio futuro è la cosa migliore che si possa fare. È ancora vero, ma c'è un problema di misura. Negli Stati Uniti i due terzi degli studenti si indebitano per pagarsi gli studi. Finché l'economia ha assorbito tutti i neolaureati, non ci sono stati problemi. Chi usciva da atenei di prestigio otteneva impieghi ben retribuiti e quindi riusciva a onorare il suo debito scolastico senza compromettere troppo il tenore di vita. Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate. Sui ragazzi si è stretta una tenaglia: nonostante l'economia depressa, le università hanno continuato ad aumentare le rette anche perché i giovani prolungavano volentieri gli studi in attesa che «passasse la bufera». Ma la crisi non è affatto finita, i debiti di studio hanno ormai raggiunto i mille miliardi di dollari e per molti neolaureati, che spesso devono restituire prestiti superiori ai 100 mila dollari (la media è 34 mila), le prospettive si sono fatte molto difficili: chi si è laureato nel maggio scorso, ad esempio, sta esaurendo gli ultimi giorni del semestre di «tregua» garantito dalla legge ai debitori. All'inizio di novembre dovrà cominciare a rimborsare lo student loan, anche se è disoccupato. Chi esce da Harvard un lavoro, prima o poi, lo trova. Ma, al di fuori degli atenei dell'eccellenza, c'è un gran numero di università di «seconda fascia», costose quasi quanto quelle più prestigiose della East Coast, che stanno diventando fabbriche di disoccupati con molti debiti. La facilità con la quale gli studenti hanno contratto grossi prestiti per frequentare corsi che non offrono grandi sbocchi lavorativi ricorda il credito facile dei mutui-casa. Con una differenza: chi ha comprato un alloggio che non poteva permettersi, può liberarsi del debito restituendo le chiavi alla banca. Gli studenti, invece, non possono dichiarare bancarotta. massimo.gaggi@rcsnewyork.com ========================================================= _________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 ott. ’11 CONVIVERE CON IL CANCRO Sconfiggere la malattia non è più l'obiettivo. Oggi si mira più realisticamente a limitarne i danni e le devastazioni. Siddharta Mukhejee fa un bilancio di 5o anni di ricerca negli Usa di Gilberto Corbellini Esattamente trent'anni fa l'oncologia italiana toccava il punto forse più alto di prestigio e notorietà internazionale. Umberto Veronesi e la sua équipe dell'Isti tuto italiano dei tumori pubblicavano sul New England Journal of Medicine la prova che la chirurgia conservativa nel trattamento del cancro del seno precoce non dà risultati inferiori alla mastectomia radicale. Da quel momento era possibile utilizzare un intervento chirurgico meno aggressivo e mutilante per le donne, senza compromettere le aspettative di sopravvivenza. Quel successo, che nel tempo ha cambiato la percezione del rischio del cancro del seno da parte delle donne, completava un decennio formidabile: iniziato con la dimostrazione dell'efficacia antitumorale di una classe di antibiotici, le antracicline, isolati da Federico Arcamone e Aurelio De Marco lavorando nei laboratori di Farmitalia, e segnato da due sperimentazioni, guidate da Gianni Bonadonna, che scoprivano l'efficacia di altrettanti trattamenti chemioterapici in aiuto alla chirurgia. Di questi quattro importanti eventi storici, la dettagliata Biografia del cancro di Mukherjee ne ricorda solo uno, la sperimentazione che gli oncologi statunitensi affidarono a Bonadonna, e che dimostrò l'efficacia della chemioterapia adiuvante nel prevenire una recidiva di cancro del seno ogni sei donne trattate. Anche se si presenta come un libro sulla storia del cancro, in realtà riguarda la complessa storia della ricerca e della lotta contro il cancro negli Stati Uniti, per cui tutto ruota attorno alle ricadute dell'ingente investimento economico e del coinvolgimento politico profusi nel campo dell'oncologia in quel Paese a partire da metà anni Sessanta. E i richiami a vicende storiche più antiche servono solo a dare profondità culturale alla narrazione, che prende anche regolarmente spunto dall'esperienza clinica dell'autore. Il fulcro simbolico di tutta la vicenda è la dichiarazione di guerra contro il cancro da parte di Richard Nixon nel 1971, forse anche per distogliere l'opinione pubblica da un'altra guerra, di cui già s'annunciava per gli Stati Uniti la sconfitta militare (Vietnam). Di fatto hanno poi perso anche la guerra medica, come spiegano diversi articoli apparsi negli ultimi anni in quel Paese. Verosimilmente, Mukherjee ha scritto questo libro, sostenuto "psicologicamente" da alcuni dei comandanti che hanno guidato l'esercito di scienziati e clinici reduci da quella guerra, a partire dal premio Nobel Harold Varmus che ha anche diretto i National Institute of Health sotto l'amministrazione Clinton, per rimediare alla crescente percezione pubblica che si sia spesa una montagna di soldi con davvero scarsi risultati. Il libro racconta un'epopea che, giustamente, non può essere valutata solo nei termini del mancato raggiungimento di un obiettivo. Che, solo oggi, sappiamo non realistico. Il cancro non sarà mai sconfitto. Al più, conoscendone sempre meglio la flessibile fisiologia, si riuscirà a farlo diventare abbastanza frequentemente una malattia cronica. A parte la pessima scelta di traduzione del titolo - l'originale è L'imperatore di tutte le malattie (tra "malattie" e "male" ce ne passa!) - si tratta di un libro formidabile. Che, anche grazie all'eccellente qualità, può essere letto proprio come il canto del cigno di un'idea dell'oncologia in via di superamento. La ricerca delle cause del cancro, a partire dalla nascita della medicina scientifica, ma anche nell'immaginario medico prescientifico, ha considerato questa patologia una sorta di entità parassitaria, che emerge e si rende autonoma in quanto scatenata o da fattori esterni (cancerogeni di varia natura) o interni (alterazioni nella struttura del materiale genetico). Il cancro, quindi, come qualcosa di estraneo al modo normale di funzionare della vita. Il modello parassitario ha finora ispirato tutte le strategie di lotta, traghettando il linguaggio militare direttamente dalle vittoriose battaglie contro le malattie infettive: l'obiettivo è di bonificare il corpo sradicando il cancro chirurgicamente o chimicamente. Sul piano eziologico, si è consumata negli ultimi decenni una guerra strisciante tra chi (gli epidemiologi) dice che le cause del cancro sono ambientali, e chi (i biologi molecolari) mette l'enfasi sulle basi genetiche. Queste visioni semplificate del cancro hanno indiscutibilmente portato a risultati conoscitivi e a strategie di gestione della malattia di straordinaria rilevanza. E Mukherjee ne dà conto con una precisione e, allo stesso tempo, una chiarezza che solo la letteratura scientifica anglosassone riesce a toccare. Non pochi argomenti complessi, come la scoperta del ruolo delle traslocazioni cromosomiche nell'origi causale di un ipotetico fattore eziologico, vengono ricostruiti in modo essenziale ma esauriente. Nessun rammarico o giudizio per il fatto che gli oncologi finora hanno lavorato con idee o modelli biologici del cancro troppo semplificati per coglierne la vera natura. Solo che insistere nel difenderli produce discorsi tra il manicheo, il meccanicista o il nebuloso. Pur essendo consapevole dell'esigenza di guardare il cancro da un punto di vista diverso, cioè come qualcosa di connaturato più con la vita che con la morte, Mukherjee non coglie tutti i segnali che annunciano il cambiamento di paradigma. Per esempio il formidabile esperimento effettuato qualche anno fa di riprogrammazione del genoma di una cellula tumorale mediante donazione, e la caratterizzazione della progressione tumorale come un processo darwiniano, di tipo somatico, preludono a una visione più dinamica del cancro. Da cui si possono ricavare strategie di lotta più realistiche ed efficaci. Senza dimenticare che il problema del cancro è anche il prezzo che paghiamo per aver trasformato l'ambiente talmente a fondo, che si può nascere con un'aspettativa di vita che è tre volte quella dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Se il cancro ci preoccupa tanto, quindi, è perché le nostre cellule si replicano per più tempo. Insomma, paradossalmente, è un segno del fatto che stiamo molto meglio. _________________________________________________________ L’Unità 18 ott. ’11 SALATISSIME CURE ANTICRANCO: MA SONO UTILI? Uno studio della prestigiosa rivista Lancet Oncology rivela che nelle fasi finali della malattia i prezzi dei farmaci usati crescono vertiginosamente ma la durata e la qualità della vita del paziente se ne avvantaggiano poco CRISTIANA PULCINELLI ROMA sipuleucel T , nome commerciale Provenge, è una nuova immunoterapia per il cancro della prostata in stadio avanzato messa in commercio negli Stati Uniti nel 2010. Un trattamento di tre dosi costa 100.000 dollari (circa 74.000 euro) e allunga la vita al paziente di circa 4 mesi. È solo un esempio di quello che sta accadendo con le terapie anticancro nei Paesi ricchi del mondo: si mettono a punto cure sempre più complesse, e quindi costose, anche se hanno un beneficio limitato. Ed è uno dei motivi (anche se non l'unico, come vedremo) per cui le spese per il cancro sono aumentate a dismisura negli ultimi anni. Tanto che qualcuno comincia a chiedersi se possiamo permetterci di continuare così. La rivista inglese Lancet Oncology ha messo in piedi una commissione formata da 37 persone, tra medici, economisti e rappresentanti dei pazienti, guidate da Richard Sullivan del King's Health Partners Integrated Cancer Centre di Londra per fare luce su questo punto. Il rapporto, intitolato «Fornire cure contro il cancro a prezzi accessibili in Paesi ad alto reddito», è stato presentato al congresso European Multidisciplinary Cancer di Stoccolma e ha fatto discutere. Si parte da un dato di fatto: il cancro ci costa caro, non solo in termini affettivi, ma anche economici. Nel 2008 il mondo ha pagato 895 miliardi di dollari per morti premature e invalidità legate a questa malattia, escludendo quindi i costi medici diretti. Solo i nuovi casi di cancro emersi nel 2009 nel mondo sono costati 286 miliardi di dollari, la metà dei quali sono serviti a coprire le spese mediche. Le cose non andranno meglio in futuro: la popolazione invecchia e il numero dei malati di cancro è destinato ad aumentare. Se oggi nel mondo si contano 12 milioni di nuovi pazienti all'anno, nel 2030 se ne conteranno 27 milioni: più del doppio. Contemporaneamente, le cure diventano sempre più complesse e quindi costose. In un mondo in cui le risorse sono finite (e molto meno disponibili di quanto pensassimo solo qualche anno fa) dobbiamo porci il problema di capire se queste risorse sono allocate in modo corretto o se altre priorità andrebbero valutate. Se questo vale per tutti, c'è però un problema specifico per i Paesi ricchi del mondo. Negli ultimi 20 anni l'aumento della spesa per cura e prevenzione del cancro in questi Paesi è cresciuto a dismisura. Il rapporto cita come esempio gli Stati Uniti passati da una spesa per il cancro di 27 miliardi di dollari nel 1990 a una spesa di 90 miliardi nel 2008. E nel 2020 diventeranno 157 miliardi di dollari: una aumento del 600% in 30 anni. Perché? A far crescere i costi contribuiscono diverse spinte. Ad esempio l'innovazione, sia nel campo dei farmaci sia in quello della diagnostica: le procedure sono sempre più complesse e diffuse, ma sono più efficaci? Ad esempio, se una cura fa restringere il tumore, ma non migliora la sopravvivenza del paziente è efficace? Oppure, se ottiene una risposta positiva in un piccolissimo gruppo di pazienti, ma nessun effetto sulla maggioranza dei pazienti, è efficace? Domande difficili, ma che oggi vanno affrontate. C'è poi l'eccesso di utilizzazione di un farmaco: trattare un paziente che non ne ha bisogno o che non risponde è inutile, a volte addirittura dannoso visto l'effetto tossico di alcuni farmaci. Eppure si fa, spesso per mancanza di tempo, o perché il paziente lo chiede. Infine, c'è il problema del trattamento inutile a fine vita. Alcune chemioterapie nelle ultime settimane di vita non solo sono inutili, ma compromettono la qualità della vita del paziente. Se potessimo predire con certezza quali cure sono inutili eviteremmo al paziente dolore e false speranze, dicono gli estensori del rapporto. GLI ESEMPI Ma questo modo di ragionare deve fare i conti con il mercato. La multinazionale Roche incassa ogni anno 19 miliardi di dollari vendendo solo rituximab (nome commerciale Rituxan), bevacizumap (Avastin) e trastuzumap (Herceptin). Il primo è usato per la cura del linfoma, il secondo per cancro al colon ma anche al seno e al polmone, l'Herceptin per il cancro al seno. Il trattamento con questi farmaci può costare fino a 100.000 dollari l'anno. Non tutti possono permetterseli, tanto che la multinazionale svizzera ha deciso poco tempo fa di sospendere la fornitura di medicinali per la cura del cancro agli ospedali pubblici greci che non pagano le fatture da 4 anni. La stessa sorte, scrive il Wall Street Journal, potrebbe toccare a Spagna, Portogallo e anche all' Italia. Come accadde anni fa con gli antiretrovirali per l'Aids, entrano in campo le aziende farmaceutiche indiane e cinesi e dicono che sono sul punto di vendere copie a prezzi più bassi anche di questi farmaci anticancro. Ma l'amministrazione degli Stati Uniti si batte perché non ottengano il riconoscimento di un accordo inter-nazionale per cui potrebbero aggirare i diritti proprietari sui brevetti. Avere una cura migliore, tuttavia, non è sempre un problema di nuovi farmaci. Anche una strategia terapeutica diversa può avere effetti positivi. Uno studio riportato dal New England Journal of Medicine ha riscontrato ad esempio che in pazienti con un tumore al polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, le cure palliative aggiunte precocemente al trattamento standard garantivano una migliore qualità della vita, un trattamento meno aggressivo a fine vita e anche due mesi di sopravvivenza in più.* _________________________________________________________ Il Sole24Ore 19 ott. ’11 LA CORTE DI GIUSTIZIA DELLA UE: NESSUN BREVETTO A MEDICINALI RICAVATI DISTRUGGENDO EMBRIONI 11 dibattito. Esultano Greenpeace e l'episcopato europeo perplessi i genetisti come Ian Wilmut, "papà" della pecora Dolly Depositata ieri la sentenza su un caso avviato nel 1997 Estesa la tutela anche a casi di ovulo umano non fecondato di Giovanni Negri Non può essere brevettato, e quindi sfruttato commercialmente, un medicinale ricavato da cellule staminali attraverso un prelievo che ha comportato la distruzione di embrioni umani. A questa conclusione approda la Corte di Giustizia dell'Unione europea nella sentenza, depositata ieri, nella causa C-34/1o. La vicenda prende avvio nel1997 quando un cittadino tedesco, Oliver Briistle, ha depositato un brevetto relativo a cellule progenitrici neurali, ricavate da cellule staminali embrionali umane utilizzate per curare le malattie neurologiche. Secondo Briistle esistono già applicazioni cliniche, in particolare su pazienti colpiti da morbo di Parkinson. Il Bundesgerichtshof (la Corte federale di cassazione tedesca), adita da Briistle, dopo una prima pronuncia del Tribunale federale a lui sfavorevole, ha deciso di interpellare la Corte di Giustizia sull'interpretazione della nozione di «embrione umano», non definita dalla direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni bio-tecnologiche. In forse, tra l'altro, l'area di esclusione della brevettabilità dell'embrione umano: se riguarda tutti gli stadi della vita a partire dalla fecondazione dell'ovulo o se devono essere soddisfatte altre condizioni, ad esempio che sia raggiunto un determinato stadio di sviluppo. La Corte, nell'affrontare la questione, delimita anche il campo del suo intervento, osservando di non essere chiamata a risolvere problemi di natura medica o etica, quanto piuttosto a una lettura delle misure della direttiva. Che ha come obiettivo sì di incoraggiare gli investimenti nel settore delle biotecnologie, ma di permettere l'utilizzo di materiale biologico di origine umana nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana E a questo punto i giudici spiegano che, in tale prospettiva, la nozione di «embrione umano» deve essere intesa in senso ampio (quando invece la legge italiana, la n. 40 del 2004 non offre una defmizfone precisa). Tanto da riconoscere questa qualificazione anche all'ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all'ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e svilupparsi attraverso partenogenesi. Così, sottolineala sentenza «anche se tali organismi non sono stati oggetto, in senso proprio, di una fecondazione, gli stessi, come emerge dalle osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte, per effetto della tecnica utilizzata per ottenerli, sono tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano come l'embrione creato mediante fecondazione di un ovulo». La Corte si sofferma a chiarire se la nozione di «utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali» comprende anche l'utilizzo di embrioni umani per ricerca scientifica. I giudici su questo sono chiari: accorare un brevetto a un'invenzione ha come diretta conseguenza lo sfruttamento commerciale e industriale della stessa. Non si può quindi distinguere l'utilizzo, oggetto di una domanda di brevetto, di embrioni umani a fini scientifici, da uno sfruttamento industriale e commerciale. A meno che non si tratti di finalità di cura dell'embrione stesso. E quanto alla brevettabilità di un'invenzione che non presuppone l'utilizzo di embrioni umani, ma la loro distruzione, la risposta è netta: va esclusa qualsiasi ipotesi di utilizzo commerciale. Come naturale, la pronuncia ha fatto discutere già nelle ore successive al deposito: Per il ministro della Salute Ferruccio Fazio è una decisione in linea con la legislazione italiana. Esulta Greenpeace, che aveva promosso il ricorso. «Impedendo la brevettabilità di embrioni umani, la Corte di Giustizia ha agito a tutela della vita umana e contro gli interessi commerciali». Favorevoli anche i vescovi europei: «Il pronunciamento rappresenta una chiara definizione scientifica dell'embrione umano e una pietra miliare nella protezione della vita umana nella legislazione europea». Perplessi tredici genetisti europei, tra cui il "papà" della pecora Dolly lan Wilmut, che già ad aprile avevano espresso dubbi dopo l'indicazione dell'avvocato generale del tribunale Ue: «Se la Corte dovesse accettarla - avevano scritto - tutti i brevetti europei verrebbero eliminati, ma rimarrebbero quelli negli Usa, in Cina e in Giappone, e questo farebbe scappare le aziende creando un danno ai pazienti, co-stretti a emigrare per avere cure magari scoperte nel loro Paese d'origine». ___________________________________________________ L’Unione Sarda 19 ott. ’11 LE CERE DI SUSINI E SANDRO RIVA: UN CONVEGNO PER CELEBRARLI Ci sono due Cittadelle nella mente e nel cuore di Alessandro Riva: quella universitaria di Monserrato, dove continua a lavorare (è professore a contratto di Storia della medicina), e quella cagliaritana di Piazza Arsenale, che da vent'anni accoglie le cere anatomiche di Clemente Susini, la sua creatura. Dopodomani mattina (venerdì) dalle 9.30 alle 13, sarà la prima delle due Cittadelle a ospitare, nella sala congressi dell'asse didattico di Medicina, un convegno dedicato a lui, ai suoi 46 anni di impegno nella facoltà medica cagliaritana, ma anche al ventennale del Museo delle cere. E così, i due amori del professore si ritroveranno insieme, come sempre, nei pensieri di questo lombardo che si chiama Riva e che - venuto in Sardegna subito dopo la laurea a Pavia - non se n'è più andato. Sembra un'altra storia, ma stavolta non si parla di un campione del calcio, si parla di un uomo di scienza, che ha dedicato la sua vita alla ricerca, all'insegnamento, alla storia della medicina. E che di recente, a 72 anni, è stato insignito del titolo di professore emerito dal Ministero dell'Istruzione che ha accolto la richiesta della facoltà cagliaritana. Tra i predecessori degli ultimi venti anni Antonio Cao, Gianluigi Gessa, Sergio Del Giacco. Ascoltare Sandro Riva non è esperienza di poco conto. Riesce a condurre in contemporanea cinque discorsi differenti, a sbrogliare tutti i fili che imbroglia, a passare senza problemi dalla scissura di Silvio alle avventure di Berlusconi. Ha l'aplomb di chi ha frequentato il mondo anglossassone, e una disposizione al disordine che è solo sua. «Il mio maestro Luigi Cattaneo, nel presentare me e il mio collega Alessandro Ruggeri, diceva sempre: Ruggeri è monsignor Della Casa, Riva monsignor Del Casino». Parole sante. E allora, eccolo intento a parlare delle cere ospitate nella Cittadella dei musei, visitate da un pubblico numeroso, raccontate nel 2007 da uno splendido libro della Ilisso, Cere , che riporta testi di Riva, Cattaneo, Roberta Ballestriero e Bruno Zanobio. Contrariamente a quelle di altri musei importanti (Firenze, Bologna, Vienna) le cere cagliaritane non sono mai state sottoposte a interventi importanti di restauro. Merito del clima favorevole, e della cera dell'Estremo Oriente che fonde solo a 55 gradi. Opere d'arte speciali, (un'ottantina di pezzi in 23 bacheche) nate dalla collaborazione tra il professor Antonio Boi, docente di anatomia umana a Cagliari, e l'artista Clemente Susini nel pieno della maturità. Era il 1801 quando il primo (che Riva chiama affettuosamente il sardino) ottenne dal Vicerè Carlo Felice di approfondire le sue conoscenze a Pavia, Pisa, Firenze, dove conobbe l'illustre anatomista Paolo Mascagni e frequentò il Gabinetto anatomico dell'Arcispedale di Santa Maria Nuova. Da questa esperienza nacquero le cere anatomiche, che Susini tra il 1803 e il 1805 modellò nel laboratorio di ceroplastica del museo della Specola, basandosi sulle sue dissezioni di cadaveri. Fu Carlo Felice ad acquisire le cere e a portarle a Cagliari. Attribuite in seguito all'Università, finirono nel 1923 nel nuovo istituto di anatomia di via Porcell. Nel 1971 spettò a Riva, diventato direttore dell'Istituto - il più giovane d'Italia, ad appena 32 anni - cominciare un lungo percorso di valorizzazione. «Trovai due sostenitori importanti in Mariolino Puddu e in Graziella Del Pin, donna straordinaria». Nel 1984, finalmente, le cere furono nominate nella guida rossa del Touring. Poi grazie al rettore Duilio Casula, e allo storico Giancarlo Sorgia, furono trasferite in Cittadella. Era il giugno del '91 e da allora occupano felicemente la sala pentagonale. Questa (con molte omissioni) la storia in sintesi. L'altra, quella raccontata dal professore, è un'affascinante epopea dove entrano in gioco una miriade di personaggi (ci sono anche i Medici), cerusici e stupratori austriaci di Veneri di cera, illustri scienziati e sbudellatori. «Le cere di Susini sono di grande realismo. Le ha curate nei minimi particolari, anche perché in tre anni ne ha fatte davvero poche. Pensi che nei trent'anni precedenti ne aveva prodotte oltre duemila, senza peraltro firmarle. Figuravano tutte come opere di Felice Fontana, scienziato assai importante del Settecento che aveva inventato il sistema del calco e fondato il museo della Specola. Qui è lui il padrone, e si vede». Importanti sul piano artistico, importanti su quello scientifico. «Merito del sardino. Chi conosce l'anatomia si rende conto di quanto i suoi studi fossero avanzati. In queste cere, per fare un esempio, c'è la prima rappresentazione precisa delle circonvoluzioni cerebrali. Non escludo che Boi possa essere stato influenzato da Luigi Rolando, che in quegli anni era a Firenze. Le sue rappresentazioni sono accurate, su tutte quella del sistema vegetativo. Questo museo mette insieme due eccellenze: ed è uno dei più visitati in città». Tra i suoi molti titoli il professore tiene a sottolineare la cittadinanza onoraria di Olzai, il premio “americano” dell'Associazione internazionale dentisti per le sue ricerche sulle ghiandole salivari (primo italiano in trent'anni) e la presenza tra i venti membri del comitato mondiale che cura la terminologia anatomica: fondamentale per salvare la pelle se si finisce sotto i ferri in terra straniera. Riva tiene molto anche a ringraziare i nuoresi, che si sono appoggiati all'Università di Cagliari per l'istituzione del corso di Infermieristica. Dopodomani sarà conferita una medaglia alla dottoressa Diletta Peretti, coordinatrice didattica e organizzatrice dei corsi di Cagliari e Nuoro per gli anni 1996-2008, «a riconoscimento della capacità professionale e della dedizione agli studenti». Al convegno prenderanno la parola il rettore Giovanni Melis, il preside Mario Piga, il direttore del corso infermieristico Francesco Marongiu. E lui, il festeggiato, che avrà 45 minuti per raccontare il suo museo. Ci riuscirà? Monsignor della Casa avrebbe qualche dubbio, noi no. Maria Paola Masala  ___________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’11 TRIBUTO A RIVA, INVENTÒ IL MUSEO SUSINI «Impegno, dedizione e passione nel lavorare per l'Ateneo in tutte le attività in cui è stato coinvolto. Un esempio da imitare, un modello per i giovani». Così il rettore dell'Università ha definito Alessandro Riva, da giugno professore emerito di Anatomia umana della facoltà di Medicina dopo 46 anni di insegnamento.  Ieri si sono trovati in tanti nella Sala congressi dell'Asse didattico di Medicina del polo di Monserrato per ascoltare quella che stata una vera lectio magistralis sulla Storia del museo delle cere anatomiche del Susini, una delle esposizioni più prestigiose d'Italia di cui Riva è stato promotore e direttore. Capace come pochi di attirare la curiosità e tener desta l'attenzione della platea, Riva ha condotto un'appassionata ricostruzione del suo percorso umano e professionale. Laurea a Pavia nel '64 con Bruno Zanobio (presente ieri al convegno), dal 1975 professore straordinario, ordinario fino al 2010. Nel 1991 promotore e direttore del Museo delle Cere anatomiche del Susini, stato consigliere d'amministrazione per 17 anni e direttore del Dipartimento di Citomorfologia (da lui stesso fondato) per dodici. Con un vastissimo elenco di riconoscimenti, premi e incarichi prestigiosi a livello internazionale, è stato anche appassionato presidente del Corso di laurea in Infermieristica. «La storia delle Cere parte da due persone, Francesco Antonio Boi e Clemente Susini, quasi sconosciute e a lungo ignorate», ha raccontato Riva. «Boi era a Firenze quando gli giunse l'ordine di Carlo Felice di procurarsi le cere. E anche Susini, che pure era modellatore capo della Specola di Firenze, non era particolarmente noto. La prima volta che si parla di Susini, fino ad allora coperto dalla celebrità del professor Fontana fu in un saggio del 1947di Luigi Castaldi, professore di anatomia umana», ha annotato Riva. «La prima esposizione temporanea delle opere fu tra l'ottobre e il novembre '79. Fu un grande successo. In Regione», ha ricordato ancora il professore, «trovai un assessore appassionato, Mariolino Puddu. Il museo venne inaugurato nel '91, grazie all'interessamento di tanti, tra cui Giovanni Lilliu e Giancarlo Sorgia». ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 ott. ’11 POLEMICA SUGLI AMMESSI AL CORSO DI INFERMIERISTICA «Scippate il futuro» Giovani nuoresi esclusi, Seddone attacca Loi  Il fuoco covava sotto la cenere e, come era facile prevedere, la vicenda dei nuoresi esclusi in stragrande maggioranza dal corso di Scienze infermieristiche che si tiene in città, riapre la polemica sull'Università. ARMISTIZIO FINITO A dare fuoco alle polveri è ancora Marcello Seddone, il consigliere comunale di “Nuoro Futura-Psd'az, che già lo scorso luglio aveva contestato i costi e i tempi (11 milioni di euro in 16 anni) della convenzione con la facoltà di Giurisprudenza di Sassari per un nuovo corso per metà in videoconferenza con l'ateneo turritano. «Per un mese ho deciso di silenziare il dibattito e sospeso ogni iniziativa per rispetto dei giovani diplomati, già disorientati, che stavano per fare una difficile scelta», attacca Seddone per annunciare che «a questo punto, non mi resta che riprendere con maggiore determinazione l'impegno nelle istituzioni e invitare gli amici, a cui avevo chiesto di pazientare, di porre in essere tutte le iniziative già annunciate». NUOVA MOBILITAZIONE Insomma sembra riprendere vigore il Comitato lanciato da Radio Barbagia dopo il successo dell'assemblea autoconvocata che aveva visto discutere un centinaio di giovani. Intanto però Seddone fa le pulci al commissario Caterina Loi che qualche giorno fa «ha addirittura convocato una conferenza stampa per sbandierare le iscrizioni al nuovo corso triennale della facoltà di Giurisprudenza dicendosi orgogliosa per le iscrizioni tutte di Nuoro e del circondario, ma evitando di far sapere quanti neodiplomati hanno scelto di iniziare qui il percorso universitario. Oggi, la stessa Loi, si compiace che tanti giovani, scacciando i locali, arrivino a Nuoro per studiare Infermieristica adducendo motivi economici e di interscambio culturale». DOPPIA BEFFA Un premessa che prepara l'affondo sulla selezione unica per Cagliari e Nuoro (Sassari si è mossa autonomamente) che su 1854 candidati, 141 hanno indicato Nuoro come sede del corso e nella graduatoria finale i cagliaritani si sono aggiudicati tutti i 120 posti del loro corso e, a cascata, la maggior dei 30 di Nuoro visto che nei primi 150 selezionati solo tre sono nuoresi. «Infermieristica è oggi una delle poche discipline che garantisce un'occupazione - accusa Marcello Seddone - quindi, fra tre anni rischiamo di non avere nuoresi abilitati alla professione. Insomma, caro commissario Loi, abbiamo perso quasi 30 posti di lavoro perché le prospettive dei giovani nuoresi sono state consegnate da lei e da chi la ha sostenuta, a ragazzi che, nella migliore delle ipotesi, considerano la nostra sede come un ripiego». ( fr. gu. ) ___________________________________________________ L’Unione Sarda 20 ott. ’11 GLI AMMESSI SONO QUASI TUTTI NON RESIDENTI UNIVERSITÀ. La protesta dopo la pubblicazione della graduatoria  INFERMIERI, È POLEMICA  Università di Nuoro, nuovi paragrafi al capitolo “Mal di pancia”. Appena pubblicata, due giorni fa, la graduatoria degli ammessi al corso di laurea in Scienze infermieristiche ha prontamente suscitato malumori. Degli aspiranti infermieri che frequenteranno a Nuoro, andando a coprire i 30 posti assegnati da Cagliari al capoluogo barbaricino, solo tre sono infatti autoctoni o della provincia. Il restante è rappresentato presumibilmente da campidanesi o comunque di altre zone della Sardegna. LA PROTESTA Così, c'è già chi urla all'inganno denunciando che il polo didattico è stato più volte giustificato dai fautori e propulsori del progetto accademico nuorese proprio con la motivazione che avrebbe avuto ricadute positive a livello locale, soprattutto in termini occupazionali: «Perché non sono stati fatti gli ambiti provinciali?», la domanda serpeggia dunque tra i presunti danneggiati. A rispondere ai rumor la stessa Caterina Loi, commissario straordinario del Consorzio universitario: «La selezione era regionale - spiega - e su 1854 candidati solo 141 provenivano dalla provincia di Nuoro. È quindi ovvio che, proporzionalmente, per la legge della probabilità, su 150 immatricolazioni non potessero rappresentare una percentuale maggiore». I TAGLI La responsabile, cui si deve l'accordo con Cagliari sui corsi per infermieri (l'ateneo del capoluogo sardo ha riservato a Nuoro 30 contro i 60 posti dell'anno scorso, «ma solo perché - spiega Caterina Loi - a sua volta ha subito tagli di unità voluti dal ministero che hanno pesato per il 50 per cento») replica anche a chi le contesta il fatto di non aver preteso graduatorie separate che in qualche modo avrebbero potuto tutelare gli studenti locali. LA REPLICA «Ma com'è possibile solo pensare a un'eventualità di questo tipo? Sarebbe stata una procedura irregolare. Non potevamo forzare la norma. Tra l'altro, non riteniamo un aspetto negativo che arrivino ragazzi da fuori. Tante volte abbiamo ribadito che ci proponiamo come punto di riferimento per tutta l'Isola e non solo. E creare un movimento variegato di giovani non potrà che portare valore aggiunto alla città e nuova linfa vitale. Un indotto in senso lato. È risaputo che gli universitari animano le comunità che li ospitano, creando vitalità anche in termini economici. Parliamo di affitti e soldi spesi per il vitto che rimangono qui». Ma la protesta, per ora sottotraccia, non si placa e i contestatori obiettano che ancora una volta Nuoro dovrà accontentarsi delle briciole. Francesca Gungui ___________________________________________________ L’Unione Sarda 22 ott. ’11 INFERMIERI: IL COMMISSARIO LOI BACCHETTA SEDDONE Sceglie la strada dell'attacco frontale, Caterina Loi, per replicare al consigliere comunale Psd'Az Nuoro futura Marcello Seddone che due giorni fa è tornato sulla questione Università dopo la pubblicazione dell'elenco ammessi a Scienze infermieristiche che lascia a terra praticamente tutti i nuoresi.  LA LEGGE «Così scippate il futuro ai giovani della nostra provincia - aveva obiettato Seddone -. Scienze infermieristiche è una delle poche facoltà che garantisce occupazione». A stretto giro di posta il commissario straordinario del Consorzio universitario replica: «Ritengo che nessun posto di lavoro sia stato perso, in quanto Nuoro avrà comunque i suoi 30 iscritti, e in ogni caso le leggi vanno rispettate. Informo Seddone che neppure lui, al mio posto, avrebbe potuto evitare l'applicazione delle norme in materia di concorsi pubblici, dell'ordinamento comunitario e dell'articolo 3 (uguaglianza) e 97 (imparzialità e buon andamento) della Costituzione della Repubblica italiana». Seddone nel suo intervento contestava tra le altre questioni anche il fatto che mentre Nuoro ha optato per la selezione unica con Cagliari, esponendo al rischio esclusione i candidati locali in numero minore rispetto a quelli del bacino campidanese, per ovvie ragioni demografiche, Sassari ha invece scelto di muoversi autonomamente. I DISTINGUO «Sassari si è mossa autonomamente - risponde Caterina Loi - perché non dipende da Cagliari. Gli studenti locali, insieme a quelli di tutta la Sardegna e di altre regioni, hanno partecipato a un pubblico concorso, ciò significa che le iscrizioni (a numero chiuso) vengono aggiudicate in ordine di graduatoria, da qualsiasi parte provengano i concorrenti. Né l'ateneo di Cagliari, né il Consorzio di Nuoro possono a piacimento manovrarne l'esito». La responsabile continua tacciando Seddone di disfattismo: «Sul suo rispetto verso i giovani diplomati che si iscrivono all'Università di Nuoro, nutro molti dubbi. Ha infatti iniziato a dare fuoco alle polveri proprio nei giorni in cui è stata pubblicata l'offerta formativa, e ha continuato imperterrito durante tutto il periodo delle iscrizioni». E aggiungendo il carico da 90, insinua: «L'effetto deterrente da lui cercato non ha avuto esito, gli iscritti sono numerosi, 170, e oltre 100 hanno consapevolmente scelto la sede di Nuoro». Fr. Gu. _________________________________________________________ ItaliaOggi 17 ott. ’11 DAL FISIOTERAPISTA AL LOGOPEDISTA, L'OCCUPAZIONE SFIORA IL 100% Lavoro certo per i professionisti sanitari non medici. Ed è boom di iscrizioni ai corsi di laurea Pagine a cura DI BENEDETTA PACELLI L’occupazione «in corsia» ha una strada preferenziale. Sarà per colpa (o merito) di un Italia over 60 o di un culto del corpo che non ha età, fatto sta che per infermieri, fisioterapisti ma anche igienisti dentali, podologi e logopedisti il lavoro è certo. Lo stesso vale per medici che, nonostante blocchi del turnover e tagli alla sanità, non si trovano, per colpa di un paradosso: con il numero chiuso sono stati arruolati nelle facoltà di medicina meno aspiranti dottori di quelli di cui c'è bisogno e, soprattutto, ci sarà bisogno nel giro di qualche anno Insomma a conti fatti le professioni sanitarie, secondo l'analisi della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie (effettuata incrociando i dati di Almalaurea e del Consorzio Cilea Stella - Statistiche su tema laureati & lavoro in archivio online), ad un anno dalla laurea sfiorano praticamente il 100% dell'occupazione e rimangono ben salde sul podio, più di altri profili di studio. E i giovani mostrano di saperlo visto che si sono presentati in oltre 120 mila per un totale di 27 mila posti per tutti i 22 profili che fanno capo alle professioni sanitarie di area non medica. In sostanza un posto ogni quattro candidati. Ed è proprio questo uno dei nodi irrisolti per i giovani candidati: grazie al numero chiuso delle lauree, alla forte specializzazione e a una domanda elevata di operatori della sanità, spesso dalle università escono meno figure professionali di quante ne richieda il mercato. Chi sono i professionisti dell'area sanitaria non medica. Ma chi sono i professionisti dell'area? Oltre ai profili per i quali è sempre stata necessaria la laurea (biologo sanitario, chimico, fisico sanitario) rientrano oggi anche quattro distinte categorie professionali: le professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche, quelle sanitarie riabilitative, le professioni tecnico- sanitarie, a loro volta articolate in area tecnico-diagnostica e in area tecnico-assistenziale e infine le professioni tecniche della prevenzione. Chi lavora di più. Non importa se in qualità di operatore sanitario in un ospedale come infermiere o logopedista e fisioterapista nello studio proprio: i professionisti del ramo sanitario sono degli specialisti molto richiesti seppure con alcune differenza tra i diversi gruppi disciplinari e tra le diverse regioni d'Italia. A un anno dalla laurea, lavora il 93% degli infermieri, il 91% dei fisioterapisti e 1'88% dei logopedisti ma «solo» il 62% dei tecnici di neurofisiopatologia e il 60% dei tecnici di laboratorio. Analizzando i dati riportati si scopre, comunque, che anche la professione che può essere considerata ultima in classifica con un 56% di percentuale di occupati, cioè il tecnico di fisiopatologia cardicircolatoria, ha un'occupazione superiore a quella che i dati Almalaurea collocano al secondo posto di un'ideale classifica generale che fa capo al gruppo disciplinare dell'insegnamento con un 41% di media di occupati a un anno dal titolo. E non solo perché va considerato anche che, sempre secondo i numeri, il tasso occupazionale delle professioni sanitarie sale al 95% nel corso dei successivi 3 anni dal conseguimento del titolo. La maggior parte di questi, poi, lavora immediatamente senza proseguire l'università. Se, infatti, quasi tutti i laureati degli altri gruppi disciplinari proseguono gli studi nella specialistica, quelli delle professioni sanitarie continuano per solo il 3,2%. Le differenze regionali. Per quanto riguarda le differenze territoriali geografiche è evidente la differenza tra Nord- Sud: rispetto al tasso medio occupazionale all'84% a un anno dal diploma, il Nord è al 91%, il Centro a 81% e il Sud al 75%. In particolare le migliori performance occupative al Nord si riscontrano in Piemonte (93%) Liguria, Veneto e Lombardia con un 92%, Friuli e Sardegna (91%), Emilia Romagna (89%) e Toscana (84%). Sotto la media comunque alta invece sono Abruzzo (82%), Umbria (80%) Lazio e Sicilia (77%) Puglia (75%) Campania (74%) e con il 63% Calabria. I guadagni. Ma a quanto ammontano i guadagni di questi professionisti? Con una laurea in professioni sanitarie, anche se freschi di diploma, secondo Almalaurea, si portano a casa circa 1.400 euro, contro una media italiana dì 1.033 euro e di 930 euro mensili netti guadagnati dagli occupati nel settore farmacologico. Se poi si sceglie un lavoro in ospedale o in clinica si può guadagnare mediamente il 30% in più. _________________________________________________________ ItaliaOggi 17 ott. ’11 NELLA DOCENZA UNO SBOCCO PROFESSIONALE IN PIÙ Altro che manager, il settore sanitario, come altri settori, è in fase di evoluzione e di cambiamento, e necessita di nuove figure professionali. E se, fino a qualche anno fa, quella del manager era tra le più gettonate ora sono soprattutto le file della docenza ad essere vuote. Ecco perché, spiega Angelo Mastrillo, rappresentante dell'Osservatorio delle professioni sanitarie del Miur e segretario della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, «bisogna pensare alla formazione dei futuri formatori». Un sbocco professionale in più, oltre che una reale esigenza del settore. Domanda. Come è cambiata la formazione per le professioni sanitarie? Risposta. Nel 2001 i vecchi diplomi universitari sono diventati lauree triennali direttamente abilitanti per l'esercizio della professione. Queste permettono anche l'accesso ai master di primo livello o l'iscrizione alla laurea specialistica. D. Perché creare anche in questo settore un biennio specialistico visti i brillanti risultato della triennale? R. L'obiettivo iniziale era quello di aumentare le capacità professionali degli operatori. Poi, però, questa specializzazione è diventata un percorso per aumentare le conoscenze in ambito organizzativo, economico e gestionale e accedere quindi ai ruoli della dirigenza. Questo processo però ormai è chiuso. D. In che senso? R. Nel senso che abbiamo 12 mila professionisti formati con queste competenze e il settore è saturo. Adesso dobbiamo puntare a completare la formare dei futuri docenti. E di questi ne servono altrettanti. Se, quindi, prima l'ordinamento didattico permetteva un 70% di formazione dedicate al management e alla giurisprudenza e 30% alla professione, oggi si sta ipotizzando di rovesciare questo monte ore. D. La strada dei master invece può essere utile? R. Innanzitutto va specificato che i master sono divisi sostanzialmente in due tipologie formative: quella dedicata al management e al coordinamento e una seconda orientata alla specializzazione professionale. Molte professioni sanitarie hanno un così ampio spettro di applicazioni e competenze che spesso il triennio universitario non riesce a garantire con una formazione completa. In questo senso l'approfondimento e l'ulteriore specializzazione fornita dal master è utile, anzi in alcuni casi direi indispensabile come l'esempio di infermieristica di area critica. D. Il master garantisce retribuzioni più sostanziose? R. Non sempre al master corrisponde un riconoscimento retributivo né contrattuale, specie se si decide di scegliere la strada della specializzazione professionale. Diverso il caso di quello dedicato al management in cui c'è la possibilità di fare carriera. _________________________________________________________ ItaliaOggi 17 ott. ’11 NUMERO CHIUSO E TEST DI AMMISSIONE Se gli sbocchi occupazionali sono garantiti, lo stesso non può dirsi per gli accessi alla formazione. Tutti i corsi di laurea che fanno capo ai 22 profili delle professioni sanitarie sono a numero chiuso e prevedono, infatti, una prova di ammissione predisposta da ciascuna università e identica per entrare a tutte le tipologie dei corsi attivati nei diversi atenei. Ai fini dell'utilizzo di tutti i posti disponibili per ciascun corso lo studente può esprimere nella domanda di ammissione fino a tre opzioni per i corsi stessi, in ordine di preferenza. Le prove di ammissione per l'accesso consistono nella soluzione di 80 quesiti a risposta multipla, di cui una sola esatta tra le cinque indicate, su argomenti di Logica e cultura generale, Biologia, Chimica, Fisica e Matematica. Tutti i corsi delle professioni sanitarie si articolano su tre anni alla cui conclusione si ottiene non solo il titolo di laurea ma anche quello abili-tante, l'esame di laurea vale infatti anche come esame di Stato. I dati elaborati dalla Conferenza ministeriale mettono in evidenza anche quali sono le richieste degli studenti e quanto il sistema formativo universitario riesce ad assecondare. In alcuni casi si rilevano differenze sostanziali, come ad esempio per gli infermieri che, a fronte di un tasso occupazionale del 93% vedono un rapporto tra domande e posti disponibili per la formazione di 2,4. In sostanza su una me-dia di 38 mila domande nel triennio 2008-2010 i posti erano 15.701, sul totale di 28 mila per tutte le 22 professioni sanitarie. Criticità anche per chi vuole accedere al corso di laurea di logopedista: su 5.501 domande i posti disponibili erano solo 521, un rapporto cioè di 10,6. Una considerazione a parte va fatta su dietista che, pur avendo un alto tasso di domande su posti, al terzo posto con otto si colloca al quint'ultimo posto per tasso occupazionale (63%). E questo potrebbe riferirsi alla particolare peculiarità di Dietista, che è l'unica professione ad avere accesso diretto anche alla Specialistica Disciplinare di Scienze della Alimentazione. Un boom di richieste motivato soprattutto dal fatto che il tempo medio per trovare un posto di lavoro non supera i sei mesi e che il tempo per formarsi non supera i tre anni. Ma quali sono le università che garantiscono un posto certo? Nelle università del Nord per le professioni sanitarie il lavoro è sempre sopra la media ma al Sud resta indietro: Catanzaro che rispetto al 93% di occupati di Padova, prima in classifica, ha solo il 63,4% di laureati già al lavoro. _________________________________________________________ ItaliaOggi 17 ott. ’11 CINQUE ANNI DI ATTESA PER LA REGOLAMENTAZIONE Sembrava quasi fatta. E invece alla vigilia della svolta il disegno di legge (n. 1142) che istituisce gli ordini e le professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, si è di nuovo arenato tra le sacche delle politica. Dopo aver incassato il via libera dalla commissione competente i primi di agosto, infatti, il testo che, a metà settembre, avrebbe dovuto incassare un «semplice» via libera dai senatori di Palazzo Madama, poi passare alla Camera dei deputati e secondo la maggioranza diventare legge stato entro la fine dell'anno. Ma nulla di fatto e la regolamentazione di quell'esercito di circa 600 mila professionisti della salute non inquadrati in un ordine può ancora aspettare. Sono oltre cinque anni che le categorie interessate attendono questo provvedimento quando la legge n. 43/2006 aveva conferito una delega al governo (mai attuata e più volte scaduta) per la nascita di una serie di albi per 22 professioni sanitarie. Categorie affini ma regolamentate in modo diverso: gli infermieri, le ostetriche e i tecnici sanitari di radiologia medica sono, infatti, già aggregati in collegi provinciali e federazioni nazionali, mentre le restanti sono costituite in associazioni. Per i primi, quindi, si tratta di trasformare i loro collegi in ordini, per i secondi, invece, di dargli una rappresentanza istituzionale attualmente inesistente. Per realizzare gli obiettivi il disegno di legge dispone l'istituzione di cinque ordini: infermieri, ostetriche, operatori della riabilitazione, tecnici di radiologia medica, tecnici sanitari e della prevenzione, definendo nello stesso tempo anche le regole di funzionamento degli ordini: l'istituzione degli albi presso i rispettivi ordini, la costituzione di una Commissione disciplinare a livello regionale competente a giudicare sulle infrazioni degli iscritti, i principi ai quali si devono ispirare gli statuti. E infine stabilisce i requisiti necessari per accedere all'iscrizione e le condizioni che portano alla cancellazione dall'albo. _________________________________________________________ ItaliaOggi 17 ott. ’11 CONTRO LA FAME DI INFERMIERI SI ATTINGE ALL'ESTERO Solo ora mancano all'appello almeno tra i 50 mila e i 60 mila infermieri. E nei prossimi anni la situazione potrebbe diventare drammatica: più del 10% di questi professionisti, cosi come dei medici, andrà in pensione. Come se non bastasse, poi, alla carenza cronica di operatori sanitari, si aggiunge la riduzione dei posti messi a disposizione: per l'anno in corso, infatti, il ministero dell'università assegna 15.781 posti ai corsi di laurea in infermieristica, -3,4% dell'anno precedente. Il risultato? Per sopperire alla carenza, ed evitare che il sistema sanitario nazionale collassi, si ricorre ad operatori sanitari non italiani che già oggi rappresentano il 28% del personale infermieristico. Basta spuntare le Gazzette Ufficiali per rendersi conto di quanti decreti di riconoscimento vengono approvati dal ministero della salute per l'esercizio della professione in Italia da parte di professionisti extracomunitari, in particolare indiani, rumeni e peruviani. Il punto di partenza è che gli infermieri, a livello comunitario, hanno una loro direttiva di riferimento. Tant'è che per esercitare la professione bastano 4.600 ore di formazione per far scattare il riconoscimento automatico della qualifica in tutti i Paesi. Con la revisione, però, del testo della direttiva europea sul riconoscimento delle qualifiche professionali (36/05) arriveranno una serie di modifiche. La prima prevede di innalzare il titolo di scolarità per tutti a 12 anni, anche in quei paesi in cui il minimo è fissato a 10 anni, la seconda invece punta a verificare che il professionista abbia una padronanza della lingua del paese ospitante. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 ott. ’11 ALLE ASL 21 MILIONI DI EURO PRESTO IL CUP SARÀ ANCHE WEB CAGLIARI. Il vicepresidente della commissione alla Sanità del consiglio regionale, Marco Espa, ieri ha dichiarato che il potenziamento del centro per la sclerosi multipla del Binaghi è un «investimento senza colore politico e lo dobbiamo sostenere tutti». Inoltre ha concordato con l’assessore De Francisci sulla necessità di promuovere l’assistenza sanitaria territoriale alleggerendo il carico degli ospedali a favore dell’appropriatezza dei ricoveri. Ma ha ricordato anche che in consiglio regionale giace una legge di segno opposto perché, anzi, potenzia gli ospedali e praticamente ignora il territorio. Non è un mistero che nello stesso centrodestra non ci sia una visione univoca della rete ospedaliera e quindi del territorio. Ieri l’assessore non si è soffermata su questo dibattito ma, partendo dall’annotazione che per le risonanze magnetiche le liste d’attesa sono di mesi, ha annunciato che è stato varato il piano regionale per le liste d’attesa, 21 milioni di euro verranno ripartiti fra le Asl sarde: «Il Cup, centro unico di prenotazione - diceva De Francisci - è lo snodo centrale del piano per abbattere le liste d’attesa. Anche il Cup web sarà un valido strumento e sempre sul web sarà possibile effettuare la scelta del medico di base e anche cambiarlo». La gestione telematica dell’intero pacchetto delle prescrizioni fatte in Sardegna permetterà anche di capire com’è che nell’isola ogni anno si scrivono 17 milioni di ricette per una popolazione che è di un milione e seicentomila abitanti.  ___________________________________________________ L’Unione Sarda 19 ott. ’11 AOUSS: IL MISTERO BUFFO DELLE CLINICHE UNIVERSITARIE  Entrare nelle cliniche universitarie in viale San Pietro, padiglioni nuovi, ultime creature della sanità sassarese, significa davvero un viaggio in un'altra dimensione. Un labirinto, corridoi infiniti senza aria né finestre, reparti frammentati in mille ambulatori. Per Urologia? Si va al secondo piano (ma in tutti i cartelli c'è scritto primo), ma l'ecografia urologica si fa al piano terra mentre in un altro corridoio ancora c'è l'urologia pediatrica. Indicazioni zero, a parte qualche foglio sbilenco, appiccicato con lo scotch a muri e ascensori. Le scale sono smantellate, personale e medici che chiunque ci invidierebbe sono disseminati alla rinfusa, fermati in continuazione dai poveretti che non sanno dove andare, persi in un dedalo di scale A B e C, che portano a reparti nascosti che meglio non si può. I dottori sono di buona volontà: danno informazioni, ritirano le impegnative, inseguono il paziente nelle stanzette. Chi ha progettato quello che tutto si può definire tranne un ospedale ha pensato davvero in maniera contorta. Così come contorto, quantomeno, era il pensiero di chi ha passato al vaglio l'intera struttura. E siccome l'esperimento di queste belle cliniche è perfettamente riuscito perché non continuare a costruire sulla falsariga di quei progetti? Forse perché chi progetta, chi approva, chi mette il visto finale, per quei corridoi non ha bisogno di passarci: basta muovere l'amico giusto, debitamente accompagnati, senza il rischio di perdersi. A tutti gli altri non resta che armarsi di bussola e pazienza. Senza farsi troppe domande. ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 ott. ’11 AOUSS: PER L’AZIENDA OSPEDALIERA DEL FUTURO 95MILIONI Un nuovo edificio ospiterà i reparti e le attività delle vecchie palazzine Se la Corte dei Conti dà l’ok a dicembre verranno accordati 95 milioni per gli ampliamenti LUIGI SORIGA SASSARI. Il progetto è rimasto a decantare nei cassetti per due anni. Poi, un mesetto fa, dopo l’annuncio dei fondi Fas, il direttore generale dell’Aou Sandro Cattani (foto piccola) ha tirato fuori il fascicolo, gli ha dato una spolveratina e l’ha inviato al Ministero. Entro dicembre la Corte dei Conti dovrebbe pronunciarsi sulla sostenibilità economica del progetto.  Novantacinque milioni di euro sono una cifra pesante, autorizzano a pensare in grande, e fanno atterrare sulla realtà anche i sogni. Perché quella bozza progettuale che ridisegnava il futuro dell’Azienda Ospedaliero Universitaria, che delineava un primo studio di fattibilità e trasformazione dell’area di viale San Pietro, senza questa valanga di finanziamenti non poteva superare il rango di piccola e suggestiva utopia. Se non è la cittadella sanitaria annunciata dai vate dell’urbanistica, si può considerare almeno un interessante trailer.  Il progetto.  Un nuovo edificio che sorge adiacente all’attuale stecca bianca, dai tratti architettonici simili. 40mila metri quadrati, quattro piani rialzati, un livello zero, più due seminterrati. Una sola struttura che andrebbe ad assorbire le attività che ora vengono svolte sull’altro versante di viale San Pietro, nelle vecchie palazzine concepite per tutto tranne che per dispensare assistenza ai malati. Quindi in un unico volume si concentrerebbero la clinica Materno infantile, Neurologia, Radiologia, Clinica Medica, più tutti i reparti ospitati nei sei piani del Palazzo Clemente. E il labirinto inestricabile delle così dette “stecche bianche”, fatto di scale, settori e corridoi senza meta, di apparenti doppioni, potrebbe sbrogliarsi una volta per tutte. Infatti i nuovi spazi che verranno realizzati consentiranno di spostare molte caselle finora inamovibili e razionalizzare così i servizi.  La logistica. Sul lato sinistro di viale San Pietro, all’interno delle vecchie palazzine liberate dagli attuali reparti, troverebbero posto solo gli uffici e la didattica. «Per prima cosa prevediamo di traslocare in questi locali la parte amministrativa che adesso si trova a Cortesantamaria - dice Cattani - questo ci consentirà un notevole risparmio di risorse. Inoltre rientra nella logica complessiva dell’accorpamento dei servizi». Al momento la logistica non è affatto razionale. I pazienti ricoverati che devono svolgere più accertamenti diagnostici si ritrovano sballottati da una parte all’altra, spesso trasportati sulle ambulanze oppure scorrazzati sopra lettighe o sedie a rotelle all’interno di corridoi affollati.  I percorsi. Nel nuovo edificio questa commistione tra malati, visitatori, utenti in attesa di un consulto, merci, operatori mensa non avverrà più. Ogni funzione avrà un suo percorso dedicato. I visitatori avranno un itinerario separato dal personale, e soprattutto l’area emergenza, la diagnosi, l’imaging, la terapia intensiva, il blocco operatorio e la zona parto saranno collegate tra loro da un cammino al quale il pubblico non avrà accesso, se non previa autorizzazione. Allo stesso modo le merci transiteranno in un tracciato a parte, e anche le salme avranno un sentiero esclusivo e decorso.  I reparti. Al secondo sottopiano del nuovo edificio verrà ospitato l’obitorio, i depositi per attrezzature e materiali sanitari, e una parte degli impianti di riscaldamento ecc. Al primo seminterrato troveranno posto radioterapia (908 mq), medicina nucleare (1.112 mq) e diagnostica per immagini. Invece nel nuovo copro centrale di collegamento con le stecche bianche esistenti, sempre al livello -1 verranno sistemati altri depositi, gli spogliatoi (2.166 mq) e l’arrivo delle ambulanze. La porzione già esistente della stecca bianca continuerà ad essere adibita all’impiantistica. E veniamo al piano terra. Nel nuovo edificio verranno realizzati gli ambulatori chirurgici e l’endoscopia (1084 mq), il poliambulatorio day hospital (2082 mq), il blocco parto (994 mq) e un’area dedicata agli studenti specializzandi e agli uffici (1165 mq). Invece nel corpo centrale ci sarà la hall e l’accoglienza al pubblico (1866 mq), il ristorante, il bancomat ecc. Nella stecca bianca rimarrà il blocco operatorio e il day surgery e l’infermeria. Al primo piano, nel nuovo edificio, verrà ospitata l’area didattica e di ricerca, gli studi medici e i reparti per la degenza. Nel corridoio di collegamento troveranno posto altri servizi al pubblico, mentre nella stecca bianca ci sarà la rianimazione, terapia intensiva, degenze chirugiche e nuovi ambulatori. E infine i piani secondo-terzo-quarto nei quali, sia all’interno del nuovo edificio che nell’attuale stecca bianche, verranno sistemati i reparti di degenza e le aree riservate alla didattica e alla ricerca.  Parcheggi. Del Palazzo Clemente si salverà solo la costruzione a sei piani, mentre il retro, con quella sorta di appendice che ospita i laboratori, verrà demolita. Al suo posto verrà ricavata un’ampia area per i parcheggi di superficie (14mila mq), ai quali si aggiungono altri 6mila mq di stalli interrati. L’intera opera, se arriveranno subito i finanziamenti, dovrebbe essere completata nell’arco di 4 anni. Ma è probabile che il progetto venga comunque diviso in due parti: la priorità è realizzare subito la porzione che ospiterà i reparti del Materno infantile e renderla subito operativa. In questo modo verrebbe risolta la principale emergenza logistica dell’Azienda mista. ___________________________________________________ L’Unione Sarda 18 ott. ’11 BINAGHI: NUOVO CENTRO PER LA CURA DELLA SCLEROSI Il Centro regionale di riferimento c’è. Adesso i pazienti affetti da sclerosi multipla dovranno attendere qualche mese per avere una risonanza magnetica dedicata e la palestra per la riabilitazione. Poi, più avanti, ci sarà anche il registro epidemiologico, strumento fondamentale di ricerca. Ieri mattina, al secondo piano del Binaghi, è stato, appunto, inaugurato il Centro regionale di riferimento per la diagnosi e la cura di questa patologia. Un centro all’avanguardia, visto che l’équipe di Maria Giovanna Marrosu gode di grande considerazione a livello europeo. Normale, visto che la sclerosi multipla, malattia che colpisce soprattuto donne tra i 20 e 20 anni, ha un’incidenza nell’Isola decisamente superiore (circa tre volte) rispetto al resto dell’Italia. La struttura (circa 800 metri quadri per un investimento di 450 mila euro) propone tutti i servizi che sono indispensabili per la cura di questa malattia: ci sono quattro posti letto per i ricoveri ordinari e altri venti per il day hospital. Manca, appunto, la risonanza magnetica. «Per la quale», spiega il direttore generale della Asl Cagliari Emilio Simeone, «attualmente ci appoggiamo al Microcitemico. Ma, entro il primo trimestre del prossimo anno, ce ne sarà una anche qui». Strumento importante per i circa quattromila pazienti che vengono seguiti nel Centro. E anche per i 300 nuovi casi che arrivano ogni anno. Simeone ha approfittato dell’occasione anche per annunciare l’arrivo di altre due nuove risonanze magnetiche, in sostituzione di quelle attuali, ormai obsolete, al Santissima Trinità e al Marino. Alla cerimonia presenti anche l’assessore regionale alla Sanità Simona De Francisci e il capogruppo nella commissione regionale, il Pd Marco Espa. L’esponente dell’esecutivo ha annunciato che nella Finanziaria 2012 saranno raddoppiati i capitoli di spesa relativi ad alcune patologie. Ed è stata anche protagonista di una polemica (dai toni molto soft) con Espa per il quale è fondamentale la delocalizzazione di alcuni servizi sanitari. «Lo sono anche io», ha ribattuto De Francisci. «Bene, allora ritirate la legge che va in senso diametralmente opposto», ha concluso Espa. ( mar.co. ) ___________________________________________________ L’Unione Sarda 21 ott. ’11 SANGUE CORDONALE AL BINAGHI È stata inaugurata ieri mattina dal presidente della Regione, Ugo Cappellacci, e dell'assessore della Sanità, Simona De Francisci la Banca del sangue cordonale. Il centro, che si trova nell'ospedale Binaghi ed è gestito dall'Azienda ospedaliera Brotzu, è il primo dell'Isola, il diciannovesimo in Italia. La Banca ha il compito di prelevare e conservare le cellule staminali emopoietiche raccolte nei punti nascita accreditati dell'Isola. Con il presidente Cappellacci e l'assessore De Francisci presenti anche il direttore generale del Brotzu, Antonio Garau, dell'Asl 8, Emilio Simeone, e il responsabile della Banca, Marino Argiolas, che hanno illustrato organizzazione, struttura e laboratori della Banca. L'utilità della donazione volontaria del sangue cordonale risiede nella sua provata ricchezza di cellule staminali emopoietiche, cellule immature capaci di differenziarsi e costituire le cellule fondamentali del sangue periferico, (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). Le cellule staminali emopoietiche, trapiantate nei paziente affetti da gravi patologie hanno la capacità di rigenerare il midollo osseo ed il sistema immunitario. Il sangue del cordone ombelicale è ormai una valida alternativa al trapianto di midollo osseo e risulta oggi il trattamento elettivo per diverse patologie e la sua raccolta è possibile solo nei punti nascita autorizzati.  _________________________________________________________ Roma 23 ott. ’11 NIENTE SOLDI, POLICLINICI VERSO LO STOP GIOVANNI PERSICO: «POCHI MEDICI ED INFERMIERI, FORNITURE VERSO LA PARALISI: DOVREMO RIDURRE I POSTI LETTO» di Enzo Musella NAPOLI. Sopravvivenza zero e ore contate per le aziende sanitarie universitarie che fanno capo alla Federico II e alla Seconda università di Napoli. Se non vengono firmati e subito i protocolli d'intesa che regolano i rapporti finanziari tra Regione e Università, attesi dal 2007, i due Atenei, loro malgrado, non saranno più in grado di garantire le attività di assistenza, didattica e ricerca per mancanza di personale e soprattutto di denaro. Un scandalo senza precedenti che coinvolgerà migliaia di lavoratori, altrettanti studenti ed un numero impressionante di ammalati che si ritroveranno da un giorno all'altro senza assistenza. A fare il punto su questo paradosso tutto "made in Naples" è Giovanni Persico, preside della Facoltà di medicina della Federico II. I protocolli d'intesa tra Regione e Università non sono ancora stati firmati. Quale sarà il futuro della facoltà di Medicina che presiede? «La situazione è drammatica. Per quanto riguarda il protocollo d'intesa tra Regione e Università mi auguro che venga firmato quanto prima. Si tratta comunque di un accordo che ho considerato, fin dal primo momento, pessimo e non risolutivo dei problemi dell'azienda sanitaria e della facoltà di Medicina della Federico II. Ma c'è di peggio. L'attuale accordo è diventato obsoleto. Oggi non bastano più i 191milioni di euro previsti, sono stati contratti nuovi debiti e il personale medico e paramedico è diventato assolutamente insufficiente a garantire il buon andamento dell'azienda sanitaria collegata alla facoltà di Medicina. A breve saranno ridotti i posti letto, impossibile ricoverare pazienti se non ci sono infermieri e medici disponibili. Alla base di tutto c'è l'assoluta mancanza di attenzione da parte della Regione Campania delle reali esigenze di una facoltà come la nostra, nella quale il personale medico e paramedico che va in quiescenza non viene sostituito e di conseguenza l'azienda sanitaria universitaria non è in grado di funzionare come dovrebbe». Non crede che ci siano responsabilità anche da parte dell'Ateneo? «Capisco che viviamo un momento di austerity e che anche noi dobbiamo razionalizzare al massimo, ma occorre agire con intelligenza e tagliare dove ci sono evidenti sprechi. La Regione ci deve mettere in condizioni di operare altrimenti è inutile parlare. Io voglio essere criticato sulle cose che faccio e non sulle cose che materialmente non possono essere fatte». Assistenza, didattica e ricerca, fino a quando continueranno a funzionare? «La criticità del sistema assistenziale è alle porte. Il sistema si bloccherà a causa della concomitanza di un insieme di fattori. Non vengono pagate le aziende che forniscono servizi essenziali, come lavanderia, mensa, guardiania, ai quali si aggiungerà a breve l'impossibilita di acquistare i medicinali e se a tutto questo aggiunge l'atavica e grave mancanza di personale, è facile desumere il futuro, non certo roseo, che si prospetta all'orizzonte». Come uscire da questa impasse? «Occorre considerare che l'attuale condizione in cui versa la facoltà di Medicina della Federico II è la normale evoluzione di un concetto: la formazione universitaria in Campania non è considerata nel modo in cui dovrebbe dalle istituzioni preposte. In un Paese veramente avanzato si investirebbe sempre e solo in formazione, questo è l'unico modo per dare un futuro ai nostri giovani, ai futuri medici che domani dovranno assistere i cittadini». A chi attribuire la responsabilità di questo status quo? «La responsabilità di questo stato di cose è da attribuirsi ai ministeri della Salute e dell'Università, i quali non ancora capito, né l'uno né l'altro, che la facoltà di Medici-na ha delle peculiarità che non ha nessuna altra facoltà: deve fare assistenza sanitaria e ancor di più un'assistenza adeguata alla formazione. Tutto questo costa denaro, si può risparmiare su tutto ma non sulla formazione, gli stu-denti di oggi devono frequentare le camere operatorie, i reparti, il pronto soccorso, altrimenti che formazione avranno dopo la laurea? È un concetto semplice, ma a quanto pare non c'è verso di farlo comprendere a chi di dovere. Penso che non ci sia peggior sordo di chi non vuole ascoltare». E LA SUN È SULL'ORLO DEL FALLIMENTO NAPOLI. Graziano Olivieri, direttore sanitario dell'azienda sanitaria del Vecchio Policlinico, ha avuto, dalla Regione Campania, l'incarico di direttore generale "pro-tempore". Sostituisce Alfredo Siani, che a luglio scorso si è dimesso dall'incarico per la mancata approvazione del bilancio dell'azienda da parte dei Revisori dei Conti. Olivieri eredita una situazione economico-finanziaria aziendale difficile. Due le maggiori criticità. La prima legata all'insufficienza del contributo regionale determinato entro i 100 milioni di euro annui rispetto ai 117 milioni definiti nel protocollo d'intesa in corso di approvazione; la seconda riguarda il mancato ripiano dei debiti pregressi che ammonta a circa 168 milioni di euro. Criticità che furono, causa ed effetto, delle dimissioni di Siani, dopo appena due anni di gestione aziendale. «Senza un nuovo protocollo d'intesa l'azienda sanitaria della Sun non può andare avanti», esordisce il neo-direttore generale, ad interim, dell'azienda sanitaria della Sun che sull'argomento ha molto da dire. «Al momento l'azienda sopravvive grazie al blocco delle procedure coattive di recupero credito, dovuto alla normativa nazionale e regionale. La maggiore criticità è rappresentata dalla graduale, fisiologica riduzione del personale non supportata da un adeguato turn-over per gli obblighi imposti dal piano di rientro. Per garantire i livelli essenziali di assistenza e obbligatorio il supporto funzionale alle attività didattiche della Facoltà di medicina e chirurgia - incalza Olivieri - la situazione è difficile - sbotta il manager - come quella venutasi a determinare presso l'unità di neuropsichiatria infantile, unica nella Regione Campania, cui è rimasto in attività un solo sanitario oltre al primario. Per tale grave carenza sono stati sospesi i ricoveri ordinari nell'arco delle ventiquattro ore. In questi giorni, la Regione Campania ha autorizzato l'acquisizione di altri due Specialisti; questo permetterà di incrementare le attività e di dare risposte più puntuali, pur se non ancora esaustive, alla notevole domanda dell'utenza». I sindacati hanno dichiarato lo stato di agitazione, cosa ne pensa? «Condivido le loro preoccupazioni. Il protocollo d'intesa è un atto un dovuto e concordo con i sindacati e deve essere firmato. Ma c'è da aggiungere che la stabilità economica e finanziaria dell'azienda dipende anche dalla nomina di un direttore generale in pianta stabile. Per quanto mi riguarda, al momento sono nelle condizioni di garantire una gestione ordinaria dell'azienda, programmazioni e decisioni aziendali a lungo termine non posso assumerle anche per correttezza nei confronti di chi mi sostituirà, che potrebbe avere opinioni organizzative e gestionali diverse». _________________________________________________________ Repubblica 20 ott. ’11 SORPRESA, IL CERVELLO MIGLIORA DOPO I 55 ANNI dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI LONDRA BUONE notizie per chi ha 55 anni o più: chi va piano, va sano e valontano. O meglio, poiché i 55enni odierni sono tutt'altro che lenti, non necessariamente chi corre più veloce vince la gara. Affermazioni del genere possono far venire in mente la celebre favola di Esopo sulla tartaruga e la lepre. Ma adesso trovano una conferma scientifica: il cervello degli "over 55" funziona in modo più efficiente di quello dei giovani. Non è in discussione l'intelligenza, bensì l'uso che facciamo della nostra materia grigia: e il verdetto sembra riflettere illuogo comune secondo cui, invecchiando, si acquista maggiore esperienza e si diventa più saggi. A sostenerlo è una ricerca dell'Institute of Geriatrics dell'università di Montreal, in Canada. Gli studiosi hanno messo a confronto attraverso una serie di test due gruppi di volontari, uno composto da persone trai 55 e i 75 anni, l'altro da uomini e donne molto più giovani. Analizzando le reazioni cerebrali con uno scanner, gli scienziati canadesi hanno scoperto che l'attività del cervello reagisce in modo radicalmente differente a seconda dell'età: davanti ad un errore, i più giovani attivano immediatamente certe parti del cervello per decidere come aggiustare la loro strategia e cosa fare alla mossa successiva; mentre i più vecchi prendono tempo, attivando quelle parti del cervello solo dopo averci ragionato sopra un po'. In altre parole, senza spaventarsi per uno sbaglio, conservando energia e valutando bene tutti i fattori, prima di procedere. Benché entrambi i gruppi abbiano concluso l'esperimento praticamente con lo stesso risultato, ovvero con lo stesso numero di errori, e nonostante il gruppo più anziano abbia impiegato più tempo a completarlo, gli autori della ricerca ritengono che ciò dimostri un migliore utilizzo delle risorse intellettuali di cui disponiamo. I più giovani possono dare l'impressione di essere più svegli, perché rispondono a una domanda o a un problema più rapidamente (la lepre di Esopo). Ma questo può essere un segno di inesperienza più che di saggezza, e la reazione dei più anziani indica maggiore maturità e riflessione (la tartaruga). La vittoria, insomma, dell'esperienza sulla giovinezza. «Il cervello più vecchio sa che non si ottiene niente agendo d'impulso», osserva il professor Oury Monchi, che ha guidato la ricerca. «E ora abbiamo una pro - va neurobiologica che l'esperienza cresce con il passare degli anni, che più il cervello invecchia, più imp ara a meglio amministrare le sue risorse. Essere capaci di correre più in fretta non sempre aiuta a vincere la corsa, per vincere devi soprattutto sapere come usare al meglio le tue capacità. La favola della tartaruga e della lepre — conclude lo studioso — evoca le caratteristiche positive dell'invecchiamento, ricordandoci che un cervello più vecchio ha maggiore fiducia in se stesso ed è meno spaventato dalle critiche». Prima che i 55 enni festeggino, tuttavia, conviene ricordare che Esopo scrisse anche la favola della volpe e dell'uva: quando non riesci a prendere qualcosa — l'eterna giovinezza, per esempio — fingi che non sia poi così importante. _________________________________________________________ Liberal 20 ott. ’11 LA GRANDE AVVENTURA DEL PROGETTO GENOMA di Emilio Spedicato Il premio Nobel è dovuto al ricco industriale Nobel, noto per l'invenzione della dinamite; il premio è assegnato per la fisica, la chimica, la medicina, l'economia, la letteratura, la pace. Non per la matematica. Si dice, ma forse non è vero, che la moglie di Nobel fosse l'amante del maggior matematico svedese, Mittag Leffer, che probabilmente avrebbe avuto il premio... Motivo per cui Nobel escluse la matematica dalle discipline premiabili.Tuttavia vari matematici (Nash, Aumann, Kantorovich) sono stati premiati con il Nobel per l'economia giustificandolo con le applicazioni all'economia delle loro scoperte. Il premio è conferito da una commissione svedese, che sembra preferire gli scandinavi e ha dimenticato scienziati di grande valore (leggasi Hoyle), e qualche volta ha anche premiato per risultati poi rivelatisi non corretti. In generale il premio va comunque a scienziati di grandissimo valore. Numerosi gli italiani, fra cui recentemente Rita Levi Montalcini, ora ultracentenaria, e Renato Dulbecco, ancora attivo a 97 anni. Appena assegnati anche quest'anno tutti i premi, come di consueto nel mese di ottobre, dedico questa nota a Dulbecco, Nobel per studi di genetica applicabili alle cause e allo sviluppo dei tumori, in particolare di quelli (non sono tutti) originati da virus. Sino a qualche settimana fa il suo nome mi era noto solo vagamente, non essendomi mai occupato seriamente di genetica o di virus (a parte i libri divulgativi di Luigi Cavalli Sforza, Peter Duesberg, e il vecchio ma sempre affascinante Paul de Kruif, Cacciatori di virus, meno noto dell'altro bestseller Cacciatori di microbi che lessi da ragazzo). Entrato casualmente in una libreria discount a Milano, sono stato attratto dal libro Renato Dulbecco. Scienza, vita e avventura. Un'autobiografia (Sperling & Kupfer, 2001). Generalmente preferisco le autobiografie alle biografie in quanto, pur essendo entrambe incomplete e tacendo o alterando vari aspetti della vita, sono emotivamente più cariche, soprattutto per la parte che riguarda gli anni giovanili. Vedasi quella di Trotsky, dove la descrizione degli anni vissuti da ragazzo e adolescente nella grande steppa ucraina è di una meravigliosa bellezza, mentre confusa e incompleta appare quella in cui sotto la sua guida l'Armata rossa conquistò il potere annullando la resistenza dell'Armata bianca. Iniziato il libro, mi è stato quasi impossibile lasciare la lettura, non solo per il modo molto bello in cui Dulbecco scrive, ma per la descrizione dell'emergere di un grande studioso e scienziato attraverso le difficoltà della vita, fra cui la partecipazione alla campagna di Russia, dove fu ferito mentre quasi tutti i suoi compagni vi trovarono la morte. Dulbecco era ufficiale medico, e mi chiedo se abbia conosciuto quell'ufficiale che permise al tenore Di Stefano di restare in Italia, dicendo che sarebbe stato più utile con il suo canto di quanto potesse esserlo come soldato in Russia. Ufficiale che insieme a tutto il battaglione di cui Di Stefano avrebbe dovuto far parte, morì in quella Ucraina che sorprese i soldati senza l'equipaggiamento adatto per l'inverno. Dulbecco è nato a Catanzaro nel 1914. Possedendo una notevolissima intelligenza, si iscrisse a Torino a medicina a soli 16 anni, incontrandovi altri due studenti maggiori di età, che saranno importanti per lui e come lui grandi nella ricerca medica: Salvatore Luna e Rita Levi Montalcini. Laureatosi nel 1936 fece subito due anni di servizio militare. Con la guerra fu richiamato e inviato in Russia. Ritornò nel 1942 malato e vicino a perdere la vita. Accanto all'interesse per la medicina e il nascente campo della biologia molecolare, aveva interessi musicali: suonava il pianoforte e ammirava la bellezza della musica barocca, specie di Vivaldi. Ricorda che con i primi guadagni, in America, comperò un pianoforte a coda Steinway, che fu 1' unico oggetto di casa che portò con sé quando, dopo 22 anni di matrimonio reso difficile dalle lunghe assenze per motivi di lavoro, divorziò dalla prima moglie Rita, cui lasciò la casa e tutto quanto conteneva. Nel primo dopoguerra si iscrive anche a Fisica, ottenendo una seconda laurea. Più tardi interagì intensamente con il grande fisico Feynman, anche lui premio Nobel, che aveva interessi per la biologia. Nel 1947 è invitato in Usa, a Bloomington nell'Indiana, città nota come sede di una prestigiosa scuola musicale, dove hanno insegnato, citando soprani che conosco, Virginia Zeani e Gloria Davy. Passa poi al Caltech, a Los Angeles, dove sviluppa un mutante del virus della poliomielite, che sarà quello usato da Jonas Salk per il primo vaccino (che diede alcuni problemi, quello attuale fu sviluppato poi da Sabin). Inizia lo studio di virus interagenti con le cellule, potendo portare a tumori. Queste ricerche le continua in Inghilterra, all'Imperial Cancer Research Fund, e in California, nel nuovissimo Salk Institute, costruito in un luogo con spettacolare vista sull'oceano. Per i suoi risultati ottiene il Nobel nel 1975, diviso con David Baltimore e Howard Temin. La sua grande immaginazione scientifica e la fiducia nelle capacità della tecnologia di investigare il piccolissimo e complesso, lo portano a lanciare il Progetto Genoma, una delle più straordinarie avventure della scienza, il cui completamento, unito alle tecniche di modifica del Dna sviluppate dall'altro grande Nobel, Kary Mullis, aprono la strada all'ingegneria genetica. Quali saranno i risultati di tutto ciò ad esempio fra un secolo non possiamo dire, ma sicuramente sono state messe le fondamenta per eliminare o combattere molte malattie genetiche e il cancro, allungare l'età umana lavorando forse sui telomeri (strutture che proteggono il Dna da errori di replicazione), scegliere il tipo di figli... capire la nostra storia come specie e riprogrammare le cellule. Il progetto partì in Italia, fatto raro, grazie all'approvazione di Rossi Bernardi, presidente del Cnr, e poi divenne internazionale, portato avanti anche da società private. La sequenza è stata completata nel 2001, e sebbene esistano dei dubbi e sia ancora da capire il ruolo preciso svolto dai vari geni (sono decine di migliaia), la realizzazione di quest'opera ha portato un cambiamento radicale nella mentalità della ricerca. Nel 1993, a quasi 80 anni, Dulbecco iniziò a lavorare all'Istituto di Tecnologie Biomediche del Cnr, a Segrate, vicino a Milano, la località dove stava il Cise, mio luogo di lavoro per sette anni. Dulbecco si è risposato con una ricercatrice più giovane di lui di origine scozzese, Maureen. In questo momento è in America e a lui i migliori auguri per la continuazione del suo lavoro. (Almeno fino ai 109 anni, età in cui il grande tenore Hugues Cuénod ancora cantava, e bene. Del resto anche il pianista Horszkovsky a 99 anni fece la sua ultima registrazione dell'integrale delle sonate di Beethoven. E a 99 anni Carmelina Gandolfo, la pianista accompagnatrice di Augusta Oltrabella e di Magda Olivero, ancora suona, fa lezioni e ha recentemente accompagnato per un'«audizione» davanti alla grande Olivero, il soprano americano Renée Fleming, oggi ai vertici). ___________________________________________________ Corriere della Sera 22 ott. ’11 POLMONITE: IL 50% DEI MALATI LA «PRENDE» IN OSPEDALE Reparti e day hospital sono un ricettacolo di batteri. E il 18 % di chi la contrae in questo modo, muore Polmoniti: spesso si contraggono in ospedale ROMA - Quasi il 50% delle polmoniti viene contratto in ospedale. E' il risultato allarmante presentato oggi di una ricerca condotta sulle polmoniti: lo studio, che ha coinvolto circa 2.000 pazienti di 55 reparti di Medicina Interna di ospedali in tutta Italia,  è stato presentato oggi al 112° congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI). Il simposio, che si svolge a Roma, si conclude il 25 ottobre. RICOVERI LUNGHI PERICOLOSI -  «Rimanere in ospedale a lungo è pericoloso perché reparti e day hospital possono rivelarsi un ricettacolo di batteri – commenta Francesco Violi, presidente SIMI, direttore della I Clinica Medica al Policlinico Umberto I e professore ordinario di Medicina Interna all’Università La Sapienza -. I ricoveri più lunghi del dovuto possono complicare le degenze con malattie e infezioni che portano, nei casi più gravi, fino alla morte». «E’ meglio - raccomanda Violi - frequentare l’ospedale meno possibile e lo stesso vale per i visitatori, soprattutto per i bambini. Dovremmo cercare di orientarci sempre più verso le cure domiciliari, che in alcune regioni sono molto carenti. A beneficiarne non sarà solo il malato, ma anche le casse della sanità pubblica». INFEZIONI IN REPARTI E DAY HOSPITAL - Dai dati emersi durante il convegno, al quale stanno partecipando oltre 2 mila medici, il 18% delle polmoniti è “nosocomiale” ossia si contrae per un’infezione acquisita in ospedale; il 30% coinvolge soggetti che hanno frequenti contatti con le strutture sanitarie: day hospital, istituti di riabilitazione o per malati cronici anziani. Il restante 51,6% dei pazienti si ammala fuori dagli ospedali, “in comunità” precisano gli esperti della SIMI. ALTO TASSO DI MORTALITA' - Un dato ancora più allarmante è che il tasso di mortalità di chi contrae la polmonite in ospedale è del 18%, quasi pari a quello dei soggetti che vengono contagiati durante un day hospital o altre procedure terapeutiche e diagnostiche in strutture sanitarie (il 17%). La mortalità, però, di chi si ammala di polmonite fuori dall’ospedale (Cap) è bassissima: solo il 7%. Chi prende la polmonite durante un ricovero impiega inoltre più tempo per guarire: 19 giorni contro i 15 di chi contrae la malattia fuori dai centri clinici. LA LOTTA CONTRO I BATTERI IN OSPEDALE- «Le forme più gravi di polmonite sono causate da batteri che si sviluppano in reparti e day hospital - ricorda Mario Venditti del dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive al Policlinico Umberto I e docente alla Sapienza di Roma - perché lì gli antibiotici vengono usati in forti dosi e questi germi si selezionato diventando più resistenti». «Durante un day hospital, per esempio – precisa Venditti - si possono acquisire batteri che poi vengono portati a casa, con il pericolo di contagiare anche familiari e amici di questa stessa grave forma della malattia che, per guarire, ha bisogno dell’uso di molti più farmaci». Per curare queste polmoniti, sottolineano i medici della SIMI, servono farmaci più efficaci di quelli comunemente usati per questa patologia. Polmonite: il 50% dei malati la «prende» in ospedale Reparti e day hospital sono un ricettacolo di batteri. E il 18 % di chi la contrae in questo modo, muore ___________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 ott. ’11 TRAPIANTI NELL ISOLA VERSO UN DOPPIO RECORD Angelo Fontanesi CAGLIARI. Sono due gli obiettivi a portata di mano che farebbero del 2011 l’anno record per i trapianti nell’isola. Il traguardo dei cento interventi in un anno e quello del duecentesimo trapianto di fegato eseguito dal 2004 a oggi al Brotzu dall’equipe del chirurgo Fausto Zamboni. Due risultati che certificano l’alta professionalità delle strutture sanitarie isolane e la propensione alla donazione dei sardi. Due fattori, però, che da soli non bastano.  Da questa considerazione prende spunto il documento stilato dall’associazione dei trapiantati di fegato Prometeo Aitf onlus che in collaborazione con il Centro trapianti regionali diretto da Carlo Carcassi, e al pari di altre associazioni volontarie, da anni si adopera per promuovere la cultura della donazione. «Quest’anno - dice il presidente Pino Argiolas - i risultati auspicati stanno finalmente arrivando. Ci sembrerebbe opportuno che le famiglie che hanno donato gli organi di un congiunto fossero ringraziate pubblicamente dalla Regione».  Sinora l’anno record dei trapianti in Sardegna rimane il 2007 con 99 complessivi. Per migliorare ancora è determinante che la donazione e i conseguenti trapianti diventino obiettivo strategico di tutte le direzioni generali delle Asl sarde. Le richieste delle strutture ospedaliere vertono soprattutto su risorse umane e formazione professionale, ma anche sui fondi per permettere alle strutture esistenti di potenziare la propria offerta. Come nel caso del trapianto di fegato diviso, cosiddetto Split, e da vivente. Operazione che si potrebbe già realizzare al Brotzu di Cagliari e si tradurrebbe in un incremento del trenta per cento dei trapianti a parità di fegati donati, ma serve una nuova equipe di medici specialisti e di rianimatori da affiancare a quella attualmente in servizio. E di interventi migliorativi necessita anche il Day Hospital della Chirurgia generale del Brotzu, struttura disegnata e organizzata nel 2004 e così rimasta fino ad oggi, con la differenza che i pazienti da un numero di 15 del primo anno sono passati a più di 200 nel 2011. Senza dimenticare l’esigenza della riapertura in tempi certi del Centro trapianti di rene di Sassari. ___________________________________________________ Corriere della Sera 23 ott. ’11 METODO «ZAMBONI» E STAMINALI ALLA PROVA Cellule staminali per salvare i neuroni. Le cellule fucina di speranze per una miriade di malattie vengono messe alla prova anche contro la sclerosi multipla con il primo studio internazionale di trattamento che è stato annunciato ad Amsterdam. L'Italia è protagonista, perché il coordinamento dei circa 20 centri coinvolti è affidato ad Antonio Uccelli, del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Genova: in partenza nei primi mesi del 2012, la ricerca coinvolgerà 160 malati con malattia in fase attiva e senza disabilità avanzata.  «In Italia arruoleremo 25-30 pazienti a Genova, Verona e al San Raffaele di Milano; gli Ospedali Riuniti di Bergamo nella loro "cell factory" coltiveranno le cellule mesenchimali del midollo osseo estratte dai malati — spiega Uccelli —. Una volta pronte saranno iniettate per via endovenosa, poi seguiremo i pazienti per un anno per valutare l'effetto sul grado di infiammazione visibile alla risonanza magnetica». Negli animali queste cellule hanno dimostrato di modulare la risposta autoimmune che sostiene la sclerosi multipla riducendo l'infiammazione; inoltre, si comportano come “nutrici” producendo fattori protettivi per i neuroni e favorendo così la remielinizzazione. «Non rigenerano il tessuto, perciò non possono far tornare a camminare chi ha perso l'uso delle gambe — precisa Uccelli —. Possono però aiutare i neuroni sofferenti "bloccando" in qualche modo la malattia». Per sapere se il metodo funziona bisognerà aspettare la fine del 2014; dovrebbero arrivare invece entro il 2012 i dati dello studio Cosmo, finanziato dall'Associazione italiana sclerosi multipla, per verificare la presenza di insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (Ccsvi) in 2 mila fra pazienti e soggetti sani. La patologia, che si manifesta con restringimenti od occlusioni delle vene che drenano il sangue dal cervello, secondo il chirurgo Paolo Zamboni sarebbe associata alla sclerosi multipla, ma i dati sul tema sono contrastanti: a fronte di conferme dalle autopsie su pazienti, dove si trovano segni di "intoppi" nelle giugulari compatibili con la teoria, ad Amsterdam sono stati presentati anche studi di segno opposto che negano un possibile ruolo della Ccsvi nella sclerosi. Intanto, all'estero sono partite sperimentazioni dell'intervento per «liberare» i vasi ostruiti (i trial in corso o pronti a partire sono 5) e in Italia Zamboni avvierà entro novembre lo studio Brave Dreams su 600 pazienti. «Fino a che non avremo dati certi va ribadito ai malati di non sottoporsi all'angioplastica al di fuori delle sperimentazioni cliniche», raccomanda Zamboni. E. M. ___________________________________________________ Sanità News 21 ott. ’11 LE CINQUE PROPOSTE FADOI PER LA RICERCA CLINICA  Regole omogenee per i Comitati Etici nella valutazione di studi e finanziamenti; si' alla privacy ma attenti a non esagerare trasformandola in un freno inutile alla ricerca e in un aggravio per gli ammalati; copertura assicurativa proporzionata ai rischi effettivi delle sperimentazioni; piu' collaborazione tra istituzioni pubbliche e promotori di ricerca per favorire la disponibilita' dei farmaci per gli studi indipendenti; nuove regole per alcune tipologie di studio orfane da un punto di vista normativo. Queste le cinque proposte di riforma per la ricerca e le sperimentazioni cliniche contenute in un documento illustrato al ministro della Salute Ferruccio Fazio, sottoscritto da oltre 50 Promotori di ricerca (Societa' Scientifiche, ivi inclusa la Federazione Italiana delle Societa' Medico-Scientifiche, IRCCS, Universita', Gruppi cooperativi, Associazioni di Malati). Il ministro Fazio ha confermato l'attenzione ai temi descritti nel documento che, dopo l'approvazione del DDL sulle sperimentazioni cliniche attualmente all'esame del Parlamento, potranno essere sviluppati ampiamente nel testo del decreto attuativo delegato al governo. In questa fase la FADOI e le altre societa' scientifiche collaboreranno con il Ministero della Salute in questa delicata elaborazione Il documento consegnato ieri al ministro nasce dall'iniziativa della Societa' Scientifica FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti), che ne ha coordinato l'elaborazione da parte di un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da promotori di ricerca non profit (internisti, oncologi, cardiologi, farmacologi, medici di medicina generale) ed esperti con competenze legali e di management della ricerca. Esso e' rivolto, oltre che al Ministero della Salute, anche all'Agenzia Italiana del Farmaco, all'AgeNaS e all'Autorita' Garante per la Protezione dei Dati Personali, nonche' ai numerosi Comitati Etici presenti nel nostro Paese. (Sn) ___________________________________________________ Sanità News 21 ott. ’11 CREATO UN MICROCHIP MAGNETICO PER DIAGNOSI A BASSO COSTO  Sfrutta la tecnologia degli hard-disk per diagnosi piu' rapide ed economiche. Lo hanno inventato gli ingegneri di due centri di ricerca Usa, il National Institute of Standards and Technology (NIST) e dell'Universita' del Colorado, accoppiando i sistemi tradizionali per l'analisi dei microfluidi, ovvero di quantita' impercettibili di materiale biologico, nel sangue o nel Dna, con le tecniche magnetiche adoperate sugli archivi di massa per aprire e chiudere i canali di trasmissione. Una tecnologia nuova, lo studio e' pubblicato su Applied Physics Letters, che consente di avere chip che non si surriscaldano, utili in laboratorio per la depurazione delle proteine e del Dna e per promuovere la divisione cellulare. Il microchip potrebbe essere adoperato per l'analisi di cellule tumorali e staminali o per contrassegnare con ''bandierine'' magnetiche le cellule da individuare mediante risonanza magnetica. (Sn) ___________________________________________________ Sanità News 19 ott. ’11 L’86% DEI LAVORATORI AMERICANI E’ OBESO O CON PROBLEMI DI SALUTE  Negli Stati Uniti l'86% dei lavoratori sono obesi o in sovrappeso, o hanno problemi di salute cronici, secondo i dati di una ricerca Gallup di cui riferisce il Wall Street Journal, aggiungendo che si tratta di un fenomeno che potrebbe costare fino a 153 miliardi di dollari all'anno in produttivita' mancata per malattie. La ricerca e' stata condotta su oltre 100 lavoratori a tempo pieno e ha evidenziato che due terzi di essi sono quanto meno in sovrappeso e la meta' sono obesi e hanno almeno un problema di salute cronico. I risultati, sottolinea il giornale, potrebbero pero' essere anche al di sotto della realta', poiche' i dati sull'obesita' sono stati elaborati in base alle informazioni fornite dagli stessi intervistati, mentre altri studi hanno evidenziato la tendenza generalizzata a sottostimare il proprio peso. Secondo Gallup, circa 450 milioni di giorni lavorativi vengono persi ogni anno a causa del sovrappeseo o dei problemi di salute dei lavoratori, con un costo totale di circa 153 miliardi di dollari in mancata produttivita'. I dati della ricerca sono stati raccolti quest'anno e c'e' la possibilita' che peggiorino, a causa della lentezza della ripresa economica, aggiunge il Wsj, sottolineando allo stesso tempo che i lavoratori sono infatti in questo periodo sottoposti ad un maggiore stress per via dell'alto tasso di disoccupazione e delle pressioni da parte dei datori di lavoro per amentare la produttivita' riducendo le spese. (Sn) ___________________________________________________ Sanità News 19 ott. ’11 SCOPERTO UN BATTERIO COMPLICE DEL CANCRO AL COLON Scoperta la complicita' di un raro batterio patogeno, Fusobacterium, nel cancro al colon. Due ricerche indipendenti hanno infatti trovato il batterio nel tessuto intestinale di pazienti con questo tumore. Condotte rispettivamente da Robert Holt della BC Cancer Agency e Matthew Meyerson del Dana-Farber Cancer Institute di Boston, entrambe le ricerche sono apparse sulla rivista Genome Research. Il Fusobacterium e' un microrganismo patogeno molto raro nella flora intestinale normale; in passato e' stato collegato a colite ulcerosa che, guarda caso, a sua volta e' un fattore di rischio noto per il cancro al colon, seconda causa di morte per tumore nel mondo. Gli esperti hanno sondato il materiale genetico presente nel tessuto intestinale di pazienti e confrontato con quello trovato nel tessuto intestinale di persone sane; nei primi emerge spesso la presenza di Dna del Fusobacterium. Al momento non si puo' dire in modo conclusivo che Fusobacterium sia l'agente infettivo che causa il tumore, certo e' che la scoperta potra' aiutare a mettere a punto nuovi approcci diagnostici nonche' terapeutici. Genomic analysis identifies association ofFusobacterium with colorectal carcinoma Abstract The tumor microenvironment of colorectal carcinoma is a complex community of genomically altered cancer cells, nonneoplastic cells, and a diverse collection of microorganisms. Each of these components may contribute to carcinogenesis; however, the role of the microbiota is the least well understood. We have characterized the composition of the microbiota in colorectal carcinoma using whole genome sequences from nine tumor/normal pairs. Fusobacteriumsequences were enriched in carcinomas, confirmed by quantitative PCR and 16S rDNA sequence analysis of 95 carcinoma/normal DNA pairs, while the Bacteroidetes and Firmicutes phyla were depleted in tumors. Fusobacteria were also visualized within colorectal tumors using FISH. These findings reveal alterations in the colorectal cancer microbiota; however, the precise role of Fusobacteria in colorectal carcinoma pathogenesis requires further investigation. Footnotes ___________________________________________________ Le Scienze 18 ott. ’11 SCLEROSI MULTIPLA: I TURNI DI NOTTE TRA I FATTORI DI RISCHIO Sulla rivista Annals of Neurology Due studi mostrano che chi svolge un lavoro notturno, specie in giovane età, ha una probabilità d'insorgenza della patologia doppia rispetto al gruppo di controllo La sclerosi multipla è una grave malattia neurodegenerativa e ha un'origine multifattoriale: a quanto si sa è causata da una suscettibilità genetica a fattori ambientali scatenanti. L'ultima ricerca in ordine di tempo viene da un gruppo di ricercatori svedesi, secondo cui i soggetti che prima dei 20 anni svolgono un lavoro che porta a cambiare i consueti orari del sonno, come i turni di notte, avrebbero un maggiore rischio di sviluppare la patologia. Il legame, secondo gli studiosi che firmano l'articolo sulla rivista Annals of Neurology, sarebbe la disregolazione del ritmo circadiano, "l'orologio interno” presente nella maggior parte degli animali, che permette di sincronizzare alcune funzioni biologiche con l'alternanza naturale di buio e luce. L'attenzione di medici e ricercatori si era già diretta in passato sui turni lavorativi di notte: diverse ricerche avevano già mostrato una correlazione con un aumento di eventi cardiovascolari, di disturbi della tiroide e con i tumori. L'alterazione dei ritmi circadiani e la deprivazione di sonno che derivano da questo tipo di modalità lavorativa possono infatti disturbare la secrezione di melatonina e aumentare le risposte infiammatorie. La sclerosi multipla ha infatti natura infiammatoria di origine autoimmune. Anna Karin Hedström e colleghi del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno analizzato i dati relativi a due studi di popolazione: il primo, condotto su 1343 soggetti con sclerosi multipla e 2900 soggetti sani appartenenti al gruppo di controllo; il secondo con 5129 soggetti affetti e 4509 controlli. Il gruppo di ricerca ha poi confrontato il tasso di insorgenza di sclerosi nei soggetti di età compresa tra 16 e 70 anni che fanno i turni sul lavoro dalle ore 21 alle 7 con quella di individui che non li hanno mai fatti. “Il nostro studio rivela un'associazione significativa tra turni sul lavoro in giovane età e insorgenza di sclerosi multipla”, ha spiegato Hedström. “Il fatto che la correlazione sia stata osservata in due studi indipendenti corrobora fortemente l'ipotesi che si tratti di un'associazione reale tra i turni e la patologia”. I risultati mostrano che nel primo studio coloro che hanno lavorato su turni notturni per tre anni o più prima dei 20 anni di età aveva un rischio doppio di sviluppare sclerosi multipla rispetto al gruppo di controllo, mentre nel secondo il rischio relativo aggiuntivo è stato lievemente superiore. Per chiarire l'esatta relazione causale, avvertono i ricercatori, occorreranno ulteriori studi. (fc)   ___________________________________________________ Le Scienze 18 ott. ’11 SCOPERTA UNA NUOVA FUNZIONE DELL'RNA La scoperta ha implicazioni cliniche, ma rappresenta anche un progresso nella comprensione delle funzioni della parte del genoma che non è preposto alla sintesi delle proteine Alcune molecole di RNA (acido ribonucleico) svolgono una funzione del tutto inaspettata: creare falsi bersagli per confondere e dirottare una serie di molecole che potrebbero legarsi, inattivandolo, all'RNA messaggero, la molecola che presiede alla sintesi delle proteine. Queste particolari molecole di RNA sono state chiamate RNA decoy. La scoperta, pubblicata sulla rivista Cell, è frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori dell'Università Sapienza di Roma, nel quadro di una ricerca promossa da Telethon e dall'Associazione di genitori "Parent Project Onlus".  L'RNA decoy entra in azione quando è particolarmente importante che l'attività dell'RNA messaggero non venga disturbata e, in particolare, nel corso di una fase fondamentale e delicata della vita della cellula: quella del differenziamento. La fase di differenziamento comporta infatti un profondo cambiamento nella cellula e richiede una produzione di proteine ben superiore al normale. Solitamente, per mantenere al giusto livello la quantità di proteine prodotte, entrano in azione particolari molecole, appartenenti alla classe dei micro-RNA, che si legano all'RNA messaggero e lo degradano. Se ciò però avvenisse durante il differenziamento, la cellula andrebbe incontro a un disastro; per impedire questa evenienza interviene così l'RNA decoy. In questa ricerca i biologi, oltre a scoprire l'RNA decoy, hanno in particolare dimostrato che la sua azione è fondamentale per la corretta sintesi di proteine che svolgono un ruolo chiave nella creazione di nuove cellule muscolari: nei pazienti sofferenti di distrofia muscolare di Duchenne vi è, a livello cellulare, proprio una carenza di un particolare RNA decoy: il linc-MD1. La scoperta apre dunque interessanti prospettive per nuove strategie terapeutiche in questa patologia. La ricerca rappresenta inoltre un progresso nella comprensione delle funzioni di quella consistente parte del genoma umano che non è preposta alla sintesi delle proteine, ma ad altre attività, finora rimaste per lo più sconosciute. Nelle cellule di mammifero solo una piccola percentuale del DNA dà luogo a RNA destinato a venire tradotto in proteine, mentre una significativa parte di esso è trascritta in RNA non codificanti, come appunto l'RNA decoy. Proprio l'RNA non codificante sembra essere responsabile dell'aumento della complessità delle funzioni che caratterizza l'organismo dei mammiferi in generale, e dell'uomo in particolare.  "Una delle domande fondamentali a cui biologi molecolari e genetisti hanno da sempre cercato di rispondere - spiega Irene Bozzoni, che ha diretto lo studio - è quale sia la base genetica dell'aumento della complessità funzionale dell'uomo rispetto a organismi semplici. Gli sforzi compiuti nel sequenziamento e nell'analisi dei genomi ci hanno all'inizio sorpreso perché indicavano che tra un moscerino e un uomo il numero di geni che producono proteine non è molto diverso, mentre ciò che aumentava proporzionalmente alla complessità era il DNA non codificante". L'identificazione di una nuova, importante funzione dell'RNA conferma dunque l'idea che ciò che distingue gli animali più evoluti dagli organismi più semplici non è tanto il numero delle proteine quanto la complessità dei meccanismi di regolazione.