RASSEGNA STAMPA 09/12/2012 HAROCHE: LA POLITICA È NEMICA DELLA RICERCA IL MIGLIORE INVESTIMENTO È LA CULTURA LO DIMOSTRA STORIA EBREI NUOVA RIVOLUZIONE DIGITALE BOOM DEI CORSI UNIVERSITARI IN RETE UNIVERSITA’ LA RIVOLUZIONE NON È ONLINE SCUOLA E GIOVANI, L’ISOLA PERDE IL FUTURO PERGAMENA IN TASCA PER UN CAGLIARITANO SU 5 MASTER AND BACK, PRONTI 3,5 MILIONI SECONDO IL MIUR UN INSEGNANTE OGNI DUE ALUNNI DISABILI LA SCUOLA DEVE CAMBIARE PASSO NELLA GIUNGLA DEI CONCORSI TRUCCATI NON C'È SPAZIO PER IL MERITO IL SAPERE È PRENDERE POSIZIONE ATENEI D'EUROPA BOCCONI 11ESIMA CONTROLLO E CENSURE SU INTERNET (ALLORA È MEGLIO LASCIARLA COSÌ) GOOGLE VI IMBROGLIA TIME E IL BOSONE DI HIGGS: 5 ERRORI PER UNA CANDIDATURA MONTE PRAMA, ECCO LA STORIA ========================================================= MEDICI E INFERMIERI GENTILI PROFUMO: UNICA GRADUATORIA PER ACCESSO A MEDICINA LA CORTE DEI CONTI: «NELLA SANITÀ COSTI SEMPRE PIÙ ALTI» PERADASDEFOGU: ANALISI AMBIENTALE: I RICERCATORI NON FANNO ALLARMISMI BASTA CON I VENDITORI DI SOGNI NELLA SANITÀ PANCIA E CERVELLO: L'EFFETTO MICROBI ORA È POSSIBILE FOTOGRAFARE L'ATTIVITÀ DEL SINGOLO NEURONE CERVEAU: DES PENSÉES À PORTÉE DE CASQUE APA: IL MANUALE DEI DISTURBI PICCOLE MOLECOLE CHE RIPARANO IL CUORE LA STORIA GENETICA DELLA DIASPORA ROM LE ESPERIENZE DI PRE-MORTE E LA (NON) PROVA ORA L’AIDS FA MENO PAURA UN TEST DEL RESPIRO PER DIAGNOSTICARE IL CANCRO DEL COLON DAGLI USA NUOVE SCOPERTE SUL RUOLO DEI LINFOCITI SORPRESA: L'ECSTASY PUÒ ESSERE UNA MEDICINA ========================================================= _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Dic. ’12 HAROCHE: LA POLITICA È NEMICA DELLA RICERCA intervento del nuovo premio nobel per la fisica Mercati e governi impongono dinamiche di breve termine, in contraddizione con i tempi necessari alla scienza. Italia: grande passato, ora in declino Serge Haroche Parlerò essenzialmente di problemi specifici della Francia, ma in conclusione affronterò più in generale quelli della ricerca a livello mondiale. È difficile infatti, se non impossibile, separare la situazione locale dal contesto internazionale. In quel contesto, la ricerca fondamentale francese occupa un posto più che onorevole. La parte di Pil che lo Stato devolve alla ricerca pubblica, anche se non raggiunge il livello auspicato, è paragonabile a quella degli altri grandi Paesi (Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Giappone). Abbiamo una comunità numerosa di giovani ricercatori entusiasti, appassionati e con una buona formazione. In parecchi campi, tra cui matematica, fisica, chimica e biologia, la ricerca fondamentale è di ottima qualità a livello internazionale, come recenti onorificenze hanno mostrato. Forti di questo bilancio, possiamo fare una diagnosi dei nostri problemi e cercare rimedi in un clima di fiducia e di relativo ottimismo. Per fortuna, la Francia non si trova nella situazione di certi Paesi che hanno dato grandi contributi al progresso della scienza e sono ora in pieno declino. Penso in particolare all'Italia dei Galileo, Volta, Marconi e Fermi, i cui ricercatori sono disperati e che per la ricerca è diventata terra di emigrazione. Non è certo il caso della Francia, che d'altronde ne trae vantaggio e accoglie molti giovani ricercatori italiani. Una valutazione troppo pesante La principale valutazione dei laboratori di ricerca, quella dell'Aeres (simile all'Anvur), soffre di gravi difetti sui quali quasi tutti concordano. Il principio stesso di una valutazione della ricerca basata su criteri uniformi per tutte le discipline è aberrante. Porta a valutare con le stesse griglie strutture molto diverse, nelle scienze esatte e nelle scienze umane, perciò i questionari generici sono spesso inappropriati. Ne risulta una valutazione decontestualizzata, che dà ben poche informazioni poiché la maggior parte delle classifiche fornisce voti tra A e A+ e non ci sono valutazioni comparate. La valutazione ha un senso se il risultato influisce sul finanziamento delle ricerche o sulla carriera dei ricercatori. Ma qui l'effetto è minimo, per non dire nullo. Siccome il finanziamento di base dei laboratori è ridotto a un bassissimo livello, la sua eventuale modulazione in base a voti poco differenziati è di scarso interesse. Infatti la maggior parte dei fondi di ricerca proviene oggi da contratti e la vera valutazione dei ricercatori risulta dal fatto che ne ottengano o meno. È assurdo assegnare loro, oltre al lavoro di preparare la documentazione per quei contratti, quello di compilare dossier di valutazione che in pratica non servono a nulla. Anche l'utilità di quella valutazione generica per la carriera dei ricercatori è minima. Non appena un ricercatore o un docente-ricercatore diventa di ruolo (attraverso una procedura che non dipende dall'Aeres) ha un posto garantito fino alla pensione qualunque sia la valutazione della qualità del laboratorio. Gli effetti della globalizzazione sulla ricerca Ho accennato alla situazione della ricerca all'estero, perché i problemi che abbiamo in Francia non si possono affrontare in modo puramente locale. Vorrei concludere su questo punto parlando della globalizzazzione. Il concetto ricopre due realtà. Per la comunità dei ricercatori, la globalizzazione è sempre esistita. È essenziale per la circolazione delle idee, per l'emulazione positiva che crea tra i laboratori, le università e i ricercatori. In questi ultimi vent'anni, mezzi di comunicazione veloce come internet e altri l'hanno rafforzata ed è un bene. Invece l'altra globalizzazione, quella dei mercati e le brutali regole di concorrenza economica che dagli anni Ottanta ha introdotto negli scambi internazionali, ha avuto effetti perversi sulla ricerca in tutto il mondo. Colpisce l'esempio dei laboratori Bell, negli Stati Uniti, che tra gli anni Cinquanta e Ottanta sono stati l'unità di ricerca forse più fruttuosa della storia. Qui sono stati fatti studi che hanno portato a numerosi premi Nobel, dalla scoperta del transistor a quella della radiazione cosmica di fondo dell'Universo, passando dal raffreddamento laser degli atomi all'invenzione dell'imaging digitale... Questi laboratori eccezionali nei quali i ricercatori erano liberi di fare ricerca non finalizzata, con la fiducia dei capi dipartimento, sono semplicemente scomparsi quando negli Stati Uniti il monopolio è stato abolito e sostituito da una feroce concorrenza tra imprese, arbitrata dalla sola legge del profitto. Da quel momento la ricerca è sembrata un lusso inutile agli azionisti dell'Att (il nuovo nome della Bell) che hanno affossato i laboratori di ricerca. È successa la stessa cosa in Francia pochi anni dopo, per gli stessi motivi, quando i laboratori del Centro nazionale di studi delle telecomunicazioni sono stati smantellati. Questa evoluzione è sempre generata dalla stessa logica. L'unico valore che la globalizzazione economica riconosce è quello del profitto. Si misura a breve termine, di anno in anno, e segue le regole del contratto e non quelle della fiducia concessa e della parola data. La legge del profitto non riconosce alcun valore a «beni senza prezzo» come la cultura e la ricerca ispirata dalla curiosità e dal bisogno disinteressato di capire l'Uomo e la Natura. Il contratto misura tutto in un modo quantitativo e caricaturale che nella ricerca si traduce nell'importanza smisurata data ai fattori d'impatto delle pubblicazioni e altri fattori h, e alle classifiche di Shanghai che ossessionano certi decisori. È questo spirito del contratto quantitativo che impronta bandi e in parte spiega, penso, perché questi ultimi assumono la forma pignola e finalizzata fino al ridicolo di cui parlavo prima. Più grave ancora per la scienza, la legge del mercato – il quale è presunto auto-regolamentarsi – vive in una dinamica di brevissimo termine, in contraddizione con il lungo termine necessario alla ricerca. Se aggiungiamo che i cicli politici della democrazia, delle scadenze elettorali, sono anch'essi rapidi e sempre più sottomessi a quelli dell'economia mondiale, ci tocca constatare che il mondo moderno è drammaticamente inadatto alle necessità della scienza. Gli esempi di disadattamento abbondano. Il problema del riscaldamento globale implica costanti temporali di più decenni, sia per rilevarne gli effetti che per mettere a punto soluzioni, basate sui progressi della scienza, che ne limitino l'ampiezza e le conseguenze. Tempo e fiducia sono le due ricchezze che più mancano e senza i quali le nostre società stanno già entrando in collisione con il muro della realtà! Certo, si tratta di un problema che va al di là di quello che le nostre Assises possono risolvere. Riguarda il mondo intero. Al Collège de France abbiamo deciso di affrontarlo nel seminario che inaugurerà il prossimo anno accademico, intitolato «Scienza, politica e democrazia». Vi inviteremo tutti, scienziati e politici, a partecipare. (traduzione di Sylvie Coyaud) _________________________________________________________________ Corriere della Sera 3 Dic. ’12 IL MIGLIORE INVESTIMENTO È LA CULTURA LO DIMOSTRA LA STORIA DEGLI EBREI Investire nell'istruzione e nella ricerca, un tema di cui si parla quasi ogni giorno. Se ne dibatte molto, da anni, e però si conclude poco o nulla. A domandare una reale svolta — si sa — sono le parti sociali, mentre i giovani lanciano la loro disperata e rabbiosa richiesta di aiuto. La politica, nella sostanza, latita. Ed ecco che — al di là delle tabelle Ocse che mettono l'Italia agli ultimi posti nelle spese per la scuola e dei raffronti tra investimenti e risultati nei Paesi industrializzati con cui siamo o vogliamo essere «in concorrenza» — un libro per la verità abbastanza «strano» e straordinario ci dimostra quanto la formazione e la cultura acquisita stiano addirittura alla base della sopravvivenza e dello sviluppo dei popoli. Così, scientificamente, gli economisti Maristella Botticini e Zvi Eckstein intraprendono un lunghissimo viaggio a ritroso nel tempo (anche il loro lavoro di ricerca è stato lungo, dodici anni), arrivano nella Galilea dell'anno 200, entrano nella sinagoga della città di Sefforis e osservano un fanciullo di nove anni, figlio di un contadino, che studia la Torah... I pochi eletti — Il ruolo dell'istruzione nella storia degli ebrei, 70- 1492 (Università Bocconi editore) non è semplicemente un testo interessante di storia e teoria economica (gli autori insegnano alla Bocconi e alla Tel Aviv University). Può infatti essere letto come indicazione di un percorso universale costellato di scelte dell'occupazione e decisioni, appunto, di investimenti nell'acculturazione. Per giungere poi a capire (e magari ispirarvisi) come l'impatto di una norma religiosa che diviene sociale possa influenzare le scelte e i destini dei singoli individui e delle comunità dando a individui e comunità medesimi un vantaggio competitivo nelle società urbanizzate. Tutto ciò, appunto, seguendo le orme del popolo ebraico dalla Giudea e dalla Galilea del I e II secolo alla Mesopotamia del V e VI, su su fino ai nuovi centri urbani del Medio Oriente e del Mediterraneo nei secoli IX e X, per concludersi nella Spagna del 1492. Una traversata di quasi 1500 anni che forse ha qualcosa da insegnarci. Stefano Jesurum stefano.jesurum@gmail.com _________________________________________________________________ Corriere della Sera 7 Dic. ’12 CON LA NUOVA RIVOLUZIONE DIGITALE BOOM DEI CORSI UNIVERSITARI IN RETE È impossibile non essere scioccati dall'introduzione dell'obbligo dei libri di testo digitali nelle scuole, anche se il governo lo ha rimandato al 2014 dando all'editoria e alla famiglie il tempo di assorbire il colpo. Ma per quanto radicale, va notato che questo cambiamento diventa assai meno aggressivo se letto nel contesto di un quadro più vasto. A livello globale, è in atto una rivoluzione che sta lasciando senza fiato il mondo intero dell'istruzione superiore. Quando Harvard e il Massachusetts Institute of Technology hanno lanciato lo scorso settembre la start-up edX, che offre gratis alcuni corsi online di HarvardX, MITX e BerkeleyX — cioè delle varianti on-line di Harvard, MIT ecc. — nemmeno loro si aspettavano di ricevere 370 mila adesioni nel primi tre mesi. Merita fare un giro sulla piattaforma digitale www.edx.org per prendere coscienza dell'impatto che un'offerta del genere può avere sulla popolazione globale che abbia accesso alla lingua inglese. Qui si parla di cifre da capogiro. Prendiamo l'esempio di Coursera, la start-up che per prima ha sperimentato una tecnologia capace di mettere gli insegnanti in condizione di lavorare con centinaia di migliaia di studenti on-line. Coursera è stata lanciata lo scorso gennaio, e in undici mesi più di un milione e settecentomila persone — tra cui anche molti italiani — hanno aderito ai suoi corsi di lettere, medicina, biologia, storia, matematica, economia e informatica. La forza di impatto dei cosiddetti Moocs (Massive open online courses, ovvero corsi interattivi aperti a tutti come quelli offerti da edX e Coursera), è proporzionale all'immensità del pubblico a cui si rivolge. Quando il professore cinese-americano Andrew Ng dice che Coursera, di cui è co-fondatore, «sta crescendo più veloce di Facebook», si capisce bene perché abbia preso la decisione di lasciare la direzione del prestigiosissimo laboratorio di Intelligenza Artificiale della Stanford University per occuparsi della sua impresa. Resta da capire per quanto tempo tutto questo potrà rimanere gratuito, naturalmente. Neanche una rivoluzione vera potrà mai darci la vera Harvard gratis. Livia Manera _________________________________________________________________ Unione Sarda 6 Dic. ’12 MASTER AND BACK, PRONTI 3,5 MILIONI Bando dell'Agenzia regionale per il lavoro: previste 100 borse di studio Nuove prospettive per studenti e neo-laureati che da tempo aspettavano misure finalizzate a favorire la formazione. L'Agenzia regionale per il lavoro ha pubblicato ieri il nuovo avviso per la concessione delle borse di studio previste dal programma Master and Back per la frequenza di percorsi di alta formazione. Le risorse disponibili, provenienti dal Por Fse 2007/2013, ammontano a tre milioni e mezzo di euro e consentiranno di finanziare fino a un massimo di cento borse di studio. LE CONDIZIONI L'agevolazione prevede un contributo a fondo perduto per la partecipazione a master universitari di secondo livello che siano stati avviati a partire dal 1 gennaio 2012 o debbano effettivamente iniziare entro il 30 settembre 2013, si concludano entro il 30 giugno 2015 e siano organizzati da università italiane operanti fuori dal territorio regionale o estere, sia pubbliche che private. I BENEFICIARI Possono beneficiare dell'agevolazione i giovani che non abbiano ancora compiuto 36 anni, residenti in Sardegna da almeno tre anni oppure vi abbiano avuto la residenza per almeno vent'anni e l'abbiano trasferita altrove per non più di cinque anni e abbiano conseguito il diploma di laurea a ciclo unico o il diploma di laurea specialistica con votazione non inferiore a 100/110 (o 93/110 per le persone disabili). I TERMINI Le domande di partecipazione dovranno essere presentate tramite la procedura on line che sarà attiva all'indirizzowww.regione.sardegna.it/masterandback per due intervalli di tempo, ciascuno dei quali consentirà il finanziamento di massimo cinquanta borse di studio: dalle 10 di oggi alle 13 del 31 gennaio 2013, e dalle 10 del 12 febbraio 2013 alle 13 del 30 maggio 2013. La domanda compilata on line dovrà successivamente essere stampata e, entro il giorno di chiusura della procedura telematica, trasmessa in formato cartaceo all'Agenzia regionale per il lavoro. ________________________________________________ La Stampa 7 Dic. ‘12 UNIVERSITA’ LA RIVOLUZIONE NON È ONLINE Internet, dopo aver trasformato molti altri settori, è forse sul punto di rivoluzionare l'università? I «Corsi massivi online», i cosiddetti Mooc, offerti via Rete a un numero potenzialmente enorme di studenti, avranno per l'università il ruolo dirompente che i file Mp3 hanno avuto per l'industria musicale? Iniziative che offrono corsi online come Udacity, Coursera o Khan Academy manderanno in crisi, e forse addirittura in soffitta, un'istituzione che risale al Medioevo, una delle istituzioni cardine della modernità? A leggere molti articoli, soprattutto negli Stati Uniti dove mi trovo ora, sembrerebbe di sì. E a diffondere questa visione non sono solo gli investitori, attratti da un mercato potenzialmente enorme, o gli imprenditori da loro sostenuti. Anche Clay Shirky, per esempio, docente all'Università di New York, ha recentemente sposato la tesi che la tecnologia ora permetta di fare in maniera molto più efficiente ciò che le univerversità fanno in maniera molto costosa (soprattutto negli Usa). Il cambiamento è quindi inevitabile. Ma è davvero così? È sicuramente vero che l'avvento di Internet costringe tutte le attività che lavorano con la conoscenza a riesaminare la propria missione. Ed è altrettanto vero che a differenza di una decina di anni fa, quando c'era stato il primo picco di iniziative universitarie online oggi la tecnologia è molto più matura e in grado di assicurare buoni risultati. Ma dire che i corsi online sostituiranno l'università è una colossale forzatura. I tecno-entusiasti, infatti, tendono a ridurre l'università alla sola operazione di trasferimento di nozioni nella testa degli studenti, ovvero, guarda caso, alla funzione che loro sono in grado di offrire. La questione decisiva è però un'altra: le università sono davvero fabbriche per l'inserimento di nozioni nella testa degli studenti? L'università, però, per come si è andata configurando in questi 200 anni, è molto di più. li uno spazio dove si incontrano e si confrontano persone che hanno scelto di dedicare la vita alla conoscenza, i professori, con altre persone che hanno desiderio di imparare e di crescere, gli studenti. I professori insegnano, ma fanno anche ricerca e in questo modo migliorano la comprensione che la società ha di, se stessa e del mondo, tenendo allo stesso tempo vivo il proprio insegnamento. Nello stesso spazio, gli studenti, confrontandosi coi professori e coi compagni, imparano a usare la testa per diventare non solo lavoratori produttivi, ma anche esseri umani compiuti e cittadini consapevoli. E sempre nello stesso spazio professori e studenti si aprono alla società per discutere in pubblico e con razionalità le molte questioni di interesse generale che riguardano il futuro di tutti. L'università, insomma, come spazio dove si coltiva, tramanda e diffonde conoscenza critica al servizio della collettività. In tutto ciò la Rete è certamente una preziosa alleata dell'università, a molti livelli, alcuni dei quali già chiari come, appunto, le lezioni online, altri ancora, invece, tutti da scoprire. Questa è la vera sfida, di straordinario interesse, che ha di fronte l'università. È una potenziale rivoluzione? Forse sì. Ma non nel senso che sta a cuore ai tecno-profeti. _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 6 Dic. ’12 SCUOLA E GIOVANI, L’ISOLA PERDE IL FUTURO Uno studente sardo su quattro si ferma alla terza media, dati allarmanti sull’abbandono e sulla dispersione in tutte le classi di Pier Giorgio Pinna SASSARI Un disastro. Ci sono pochi altri termini per definire il rapporto dei ragazzi sardi con la scuola. Non va meglio l’esame delle prospettive: per i giovani il futuro si preannuncia a tinte fosche. Nell’isola quasi tutti gli indicatori su chance di lavoro e possibilità di metter su famiglia rendendosi autonomi rispetto a quella originaria sono negativi, se non addirittura pessimi. Così dall’Atlante dell’infanzia a rischio promosso per il 2012 da «Save the children” viene fuori un quadro inquietante. Ancora più grave di quello emerso da statistiche ufficiali già conosciute e dai dossier fatti dalla stessa organizzazione negli ultimi anni. Lezioni. In Sardegna un ragazzo ogni quattro si ferma al diploma di terza media. Assieme alla Sicilia, l’isola ha in questo senso la percentuale negativa peggiore d’Italia circa mancate iscrizioni alle superiori. Un tasso più allarmante si riscontra soltanto in alcune zone di Spagna, Portgallo, Malta Islanda e Turchia. Sulla penisola italiana, invece, a non studiare più dopo i 14 anni è il 18% dei ragazzi, contro l’obiettivo europeo del 10%. È dunque di 15 punti percentuali il divario che ci separa dal massimo risultato possibile ipotizzato a Bruxelles, in questa fase già realtà in altre aree dei 27 Paesi Ue. Sentieri interrotti. Risulta poi a «Save the children» che la Sardegna sia la quarta regione italiana per minor sovraffollamento delle aule, aspetto che nelle città conferma i dati ministeriali. Un altro fenomeno sconcertante, a ogni modo, sguarnisce tante classi: l’abbandono e la dispersione. Sotto questo profilo, l’isola è al top negativo: alle medie come alle superiori continua a crescere il numero degli alunni che cessano di seguire le lezioni all’improvviso, a volte senza neppure comunicarlo ai professori. Il livello d’interruzione sardo è il più alto d’Italia e da tempo conosce un aumento che pare senza fine. Bocciati e rimandati. Nell’ex Belpaese, agli scrutini dello scorso giugno, meno di 2 studenti su 3 sono stati promossi direttamente alla classe successiva. Il 10,3% è stato bocciato. Il 26,5% rimandato a settembre. A ottobre, la grande maggioranza dei rimandati è stata promossa. E il numero dei bocciati è così salito all’11,8%. Sensibili le differenze: nei licei i respinti sono risultati appena 6,5 su 100, negli istituti professionali 20,5 su 100. Ma tassi di non ammessi a giugno nettamente sopra la media si sono registrati in Sardegna (15,1%), Valle D’Aosta (15%) e Toscana (12,3%).Mentre l’Umbria è stata la regione con la maggiore percentuale di studenti promossi subito alla classe successiva, con un valore pari al 91,4%. Le sedi. I dati diffusi dal Miur sull’anagrafe dell’edilizia scolastica fotografano l’età venerabile di buona parte delle circa 36mila strutture monitorate in tutta l’Italia. Anche il corpo docente è tra i piu vecchi d’Europa. E in Sardegna? Se solo una minima parte degli stabili sono stati costruiti prima della seconda guerra mondiale, la stragrande maggioranza degli edifici risale però a un periodo compreso tra il 1945 e il 1980. Mentre negli ultimi 30 anni è stata portata a termine una minima percentuale delle sedi necessarie per le lezioni su scala regionale. La radiografia DAI PRIMATI NEGATIVI ALLE POVERTÀ EMERGENTI SASSARI Dal rapporto 2011 di «Save the children» era scaturito un elemento di assoluto allarme: molti bambini costretti a studiare poco e male perché indigenti, senza soldi persino per mangiare e per comprare le medicine. Dal dossier di quest’anno, sempre con riferimento all’ex Belpaese, risulta che il 7% dei minori è costituito dai poveri emergenti. Ma non è finita: oggi si viene al mondo “ipotecati”, con una quota individuale di debito pubblica da saldare già impressionante al momento della nascita. E la Sardegna? Nelle statistiche continua a collezionare primati sfavorevoli. Altissime, per esempio, le percentuali dei ragazzi che non vanno né a scuola né all’università né lavorano né seguono una formazione professionale. Quasi un settimo dei 7 milioni di Neet (Not in Employement, Education or Training) europei si concentrano in Italia. Sono oltre un milione, 620 mila soltanto al Sud, hanno tra i 18 e i 24 anni. Rappresentano un quarto di tutti i giovani in quella fascia d’età. E i tassi di Neet nelle isole sono inferiori soltanto a quelli rilevati in alcune regioni remote dell’Anatolia. La Sardegna, a conferma dell’aggravarsi della recessione, è in testa alla classifica negativa dei ragazzi tra i 18 e i 34 anni celibi o nubili che abitano con almeno uno dei genitori. Se in Emilia Romagna (migliore performance italiana) la percentuale è pari a 49, nell’isola supera il 71. Circa 720mila bambini italiani vivono in condizioni di povertà e la stragrande maggioranza (417mila) risiede nel Meridione, Sardegna compresa. Rispetto al 2010 le povertà emergenti sono aumentate in tutto il Paese di 75mila unità. Le statistiche TRA “DISCONNESSIONI CULTURALI” LA RIPRESA È COME UN MIRAGGIO SASSARI Nell’ultimo anno 314mila minorenni italiani non hanno mai usato un personal computer o navigato su internet, e neanche dato un’occhiata a un libro o praticato sport. La Sardegna fa eccezione ma solo per la lettura: resta nelle medie nazionali e supera così la gran parte delle aree del Sud. Per il resto, il quadro regionale dei “disconnessi” non è confortante. È per esempio all’undicesimo posto per le classi digitali, ossia nella graduatoria delle aule scolastiche con accesso alla Rete. Pur non essendo definitivi, i primi risultati del monitoraggio promosso dall’Osservatorio del Miur mostrano con buona approssimazione il ritardo del digitale e sensibili differenze territoriali. Si va invece diffondendo tra i minori l’uso del cellulare (l’isola è tredicesima tra le regioni italiane). Nel complesso la possibilità di un ricambio positivo sul piano generazionale e le chance di un’inversione di tendenza, in questa situazione, vengono giudicate scarse. Quasi un miraggio. E tutto perché, come osservano i dirigenti di «Save the children», sull’infanzia non s’investe abbastanza. _________________________________________________________________ Unione Sarda 5 Dic. ’12 PERGAMENA IN TASCA PER UN CAGLIARITANO SU 5 Ma ci sono anche 1500 analfabeti: il record al Cep e alla Marina LA CITTÀ DEI LAUREATI C'è un solo bene: il sapere. E un solo male: l'ignoranza . Se Socrate oggi passeggiasse per Cagliari, troverebbe l'applicazione concreta alle sue meditazioni filosofiche. Da una parte oltre 32mila laureati, poco più di un quinto della popolazione totale; all'estremo opposto fanno da contraltare i 1474 analfabeti. Poi si aggiungono altre settemila persone che sanno appena leggere e scrivere e non hanno neanche la licenza elementare. Al centro il vasto esercito dei diplomati: 44mila e poco più, la fetta più grossa. «Ultimamente il numero dei laureati è aumentato», sottolinea Francesco Atzeni, prorettore delegato alla didattica. «Negli ultimi due anni abbiamo recuperato circa 900 fuori corso, alcuni persino di dieci anni». L'UNIVERSITÀ REGGE Nonostante la crisi, nel capoluogo l'Università regge. «Il numero degli iscritti è rimasto stabile». Medicina è la facoltà più gettonata, Economia, Giurisprudenza e Ingegneria vanno sempre bene. Stabile il polo umanistico. Ma è una città di contraddizioni se si guarda all'istruzione nel senso più ampio: «La scuola sarda è allo sbando, lasciata sola, abbandonata a se stessa. La situazione è drammatica», polemizza Peppino Loddo, segretario regionale Cgl scuola. «Stiamo regredendo, stiamo tornando ai tempi in cui era già tanto avere la licenza media». LA SCUOLA BARCOLLA E il futuro si prospetta a tinte grigie. «La dispersione scolastica è altissima, la Regione non risponde in modo adeguato. Bisogna investire su istruzione e formazione». A passarsela peggio sono gli Istituti superiori: «La percentuale di abbandono è altissima». Cagliari come il resto dell'Isola. «Lo scenario è allarmante ovunque, nelle zone periferiche le cose vanno anche peggio. Basta pensare a Sant'Elia e Is Mirrionis. Siamo molto al di sotto degli standard europei». PASSI IMPORTANTI La cultura arranca, ma negli ultimi dieci anni il livello d'istruzione è cresciuto: i laureati sono passati dai 24.803 del 2001, ai 32.187 attuali. Gli analfabeti sono passati da 1.557 a 1474. L'ISTRUZIONE NEI QUARTIERI Nel capoluogo il tasso di scolarizzazione si spalma tra i quartieri con un ordine preciso: la maglia rosa in fatto d'istruzione va al Quartiere Europeo, con il 39,40 per cento di laureati, ben 342 su 868 residenti. Secondo gradino per Monte Urpinu, 34,59 per cento; seguono a poca distanza Generuxi, 34,43, Castello 34,29 e Monte Mixi, 33,06. Alla top five dei “rioni colti” si oppongono zone in cui l'istruzione in molti casi è ancora una chimera. Al Cep circa il 3 per cento dei cagliaritani non sa né leggere né scrivere, la percentuale scende al 2,42 alla Marina. A ruota: San Michele 1,84, Is Mirrionis 1,69, e quasi a pari merito Mulinu Becciu e Sant'Elia. E dopo cinquant'anni di scuola dell'obbligo un po' stupisce. La crisi si abbatte pure sull'istruzione. INTERVIENE IL COMUNE Ma il Comune non sta a guardare. «Stiamo concentrando le risorse in questi quartieri. Ci sono due fondi antidispersione, uno regionale, l'altro comunale, una parte di questi è destinato alle realtà più difficili», spiega Enrica Puggioni, assessore alla Cultura. Si punterà sul potenziamento dei servizi scolastici, sulle forme di didattica utili alla prevenzione e al recupero. «Come amministrazione non abbiamo fatto tagli alla pubblica istruzione, ma servirebbero molte più risorse». Sara Marci ________________________________________________ Il Secolo d’italia 7 Dic. ‘12 SECONDO IL MIUR UN INSEGNANTE OGNI DUE ALUNNI DISABILI Un insegnante ogni due alunni: è questo il rapporto medio in Italia tra docenti per il sostegno e studenti con disabilità. Nel 2011-12, SU 215.590 Studenti disabili iscritti, si contavano 98 mila insegnanti di sostegno, il 12,8% dell'intero corpo docente. L'anno precedente, SU 208.521 studenti disabili, c'erano, solo nelle scuole statali, 96.089 docenti loro dedicati (12,1%). Si mantiene così invariato nel tempo il rapporto medio di uno a due, osserva il Ministero dell'Istruzione, che ieri, in occasione del seminario «La via italiana all'inclusione scolastica», ha presentato la nuova direttiva ministeriale «che rinnova l'organizzazione territoriale e introduce nuovi strumenti d'intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali». A fronte della media italiana — ha sottolineato in un messaggio il ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo — «si registra comunque una disomogeneità di applicazione della normativa vigente nelle varie zone del Paese. Vi sono scuole dove abbiamo due insegnanti per il sostegno per tre alunni con disabilita e altre dove lo stesso numero di insegnanti ne ha in carico cinque». In dieci anni, dal 2000-01 al 2010-11, le certificazioni di disabilita nella scuola — fa notare il Miur — sono aumentate del 51%. _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Dic. ’12 LA SCUOLA DEVE CAMBIARE PASSO I docenti del terzo millennio non possono prescindere dalla Rete, sfera in cui gli studenti hanno qualcosa da dire diventando così parte di una proficua relazione didattica Va salvata la nostra tradizione culturale: lo si può fare con modalità narrative e linguaggi diversi, dal letterario al digitale, all'audiovisivo al teatrale Enrica Bricchetto e Sergio Luzzatto Grazie a sollecitazioni venute da insegnanti, scrittori, saggisti come Marco Lodoli, Valerio Magrelli, Maurizio Tiriticco, Claudio Giunta, si è finalmente cominciato a discutere non solo del segreto di Pulcinella più grave del nostro tempo, ma anche delle maniere possibili per rimediarvi. Non solo della progressiva, drammatica perdita di contatto - a scuola - fra gli insegnanti e gli studenti, ma anche di soluzioni concrete (a breve o medio termine) per correre ai ripari. Per ristabilire la comunicazione. Per restaurare un dialogo. La prima cosa da evitare è il rimpianto del bel tempo andato. Rimpianto spesso connotato da una buona dose di classismo, o addirittura di razzismo. Rimpianto comunque sterile. E rimpianto superficiale, perché sarebbe da chiedersi se e quanto profondamente le cose siano davvero cambiate da una generazione all'altra nel rapporto con quella che potremmo chiamare - per semplicità - la nostra tradizione culturale. Sicuro, i ragazzi di una volta conoscevano meglio (ad esempio) la letteratura italiana. Questo significa che la capivano di più? O significa che esisteva tra docente e discente una comunicazione culturalmente non stridente, per cui l'impressione era quella di capirsi? Sta di fatto che insegnanti e studenti di oggi si capiscono sempre meno, o non si capiscono affatto. Per quale motivo? C'è appunto un problema di comunicazione, di gesti e di linguaggi. Ma dietro questo c'è un problema di semantica, di significanti e di significati: c'è il problema di uno scarto sempre più abissale fra quello che ha senso per gli uni e quello che ha senso per gli altri. Come possiamo trasmettere la tradizione, l'umanesimo, il patrimonio del nostro passato, quando i ragazzi convivono con il loro smartphone in un eterno presente che per loro è tutto? La prima cosa da fare è anche la più difficile da dire, per paura di mancare di rispetto a chi lo merita: gli insegnanti. La prima cosa da fare è cambiare il modo di insegnare. I docenti del terzo millennio devono smettere di insegnare così come è stato loro insegnato in un qualche momento del Novecento. Devono rimodulare gli strumenti della loro professionalità, e devono acquisirne di nuovi. Non è una faccenda anagrafica, non si tratta di distinguere i docenti "giovani" dai "vecchi". Si tratta di formare (o di ri-formare) professionisti dell'educazione che sappiano veramente di cosa parlano ai loro studenti, e che sappiano - è almeno altrettanto importante - come parlarne. Occorre riportare al centro della didattica la singola disciplina, ancorandola al presente. Se io insegno storia, dovrò conoscere l'epistemologia della storia: dal metodo di approccio delle fonti ai contenuti del dibattito pubblico, passando attraverso le diverse tecniche di narrazione del passato e le modalità di costruzione di un senso comune storiografico. In generale, si tratti di materie umanistiche o di materie scientifiche, i percorsi di formazione dei futuri insegnanti non dovranno fare sconti sul piano culturale. Che cosa avrà da dare agli studenti un docente che non padroneggi una sua biblioteca mentale, e che non abbia un'idea sua della cultura del suo tempo? A scuola necessitiamo dello ieri, ma anche dell'oggi. Anche la cultura del contemporaneo è importante, decisiva: il nuovo insegnante deve starci dentro per capire i suoi allievi e provvedere a formarli. Il cuore del problema è il rapporto tra tradizione e innovazione. Per ristabilire la comunicazione, bisogna anzitutto trovare il modo di condividere l'appartenenza a un mondo della conoscenza con caratteristiche nuove, che restano da esplorare per tutti. Del resto, perché non dovremmo fare nell'ambiente scolastico quello che abitualmente facciamo quando partiamo per un viaggio? Paese che vai, usanze che trovi. Perché non dovremmo accettare di partire per il Paese dei Ragazzi del Terzo Millennio con la disponibilità a comprendere il loro territorio, a rispettare i loro costumi, e magari a corrispondere ai loro bisogni? Non per gettare la spugna, ma per aprirsi nuovi varchi. Gli studenti di oggi nuotano nel brodo di coltura della Rete. Un mondo di partecipazione, di collaborazione, di ricerca. Ma i ragazzi hanno spesso l'impressione (corretta!) che la Rete sia incompresa dagli insegnanti seduti alla cattedra, o addirittura sia "vietata" perché considerata luogo di relazione tra pari anziché di educazione amministrata dall'alto. Ben pochi docenti sono convinti della necessità di un'operazione assolutamente indispensabile alla scuola del futuro prossimo, se non a quella del nostro arretrato presente: l'ermeneutica della Rete. La Rete viene spesso percepita come luogo informale, ma è da lì che provengono molte delle conoscenze degli studenti: un mare magnum in cui non è facile districarsi, ma che è ricco di grandi potenzialità. Sulla Rete prevale la comunicazione culturale in forma orizzontale e biunivoca. E in questa sfera - che è poi quella del contemporaneo - lo studente avrà cose da dire o addirittura da insegnare al docente, non avrà soltanto cose da imparare o (al limite) da subire. A scuola come altrove, la soluzione ai problemi di comunicazione sta anzitutto nel riconoscimento dell'altro. Allora lo studente diventa parte di una relazione didattica che porta a costruire la lezione come scambio e come apporto reciproco. Al docente sempre la padronanza del campo. Ma accanto alla lezione frontale troveranno spazio esperienze di apprendimento che coinvolgano l'allievo sia con la sua identità reale, sia con quella virtuale. All'insegnante di domani occorre garantire - più e meglio di quanto non si faccia oggi - un percorso di studi didattico: una vera formazione di didattica generale come di didattica disciplinare. Dove l'attenzione (lo spiegano bene gli studiosi italiani più ferrati in questo campo, a cominciare da Pier Cesare Rivoltella e Pier Giuseppe Rossi) si concentri su due processi complementari. Da un lato, la trasposizione: come trasformo i saperi imparati in saperi insegnati. Dall'altro lato, la regolazione: come gestisco l'ambiente di apprendimento di cui sono responsabile. Ed è qui che si situa l'altro snodo decisivo. Il nuovo insegnante deve raccogliere domande e sollevare questioni che sono dentro i suoi allievi, oltreché trovare risposte e proporre spiegazioni che sono dentro di lui. Il docente autorevole è quello capace di scoprire nel paesaggio mentale dei ragazzi un terreno fertile da percorrere affinché quanto insegna sia riconosciuto come provvisto di senso e come dotato di valore aggiunto. A loro vantaggio, i nuovi insegnanti avranno il fatto di essere cresciuti nello stesso brodo di coltura in cui vivono gli alunni. E verrà loro in aiuto quella specie di orizzontalità naturale che è propria del mondo dei nuovi media, e che se opportunamente gestita - senza barattare la complicità con l'autorevolezza - potrà favorire un'azione didattica più efficace. A sua volta, tale azione aiuterà l'insegnante a restituire senso alla sua disciplina e a renderla qualcosa di socialmente utile in termini di cittadinanza: funzionale alla formazione di neo-cittadini, di adulti consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. Ancora, il nuovo insegnante dovrà aprirsi al contributo che le neuroscienze prestano a un'innovazione della didattica quando dimostrano che l'apprendimento ha solide basi nell'esperienza corporea e nelle emozioni. Certo, bisogna salvare la nostra tradizione culturale. E lo si può fare, lavorando su modalità narrative e su linguaggi diversificati, dal letterario all'audiovisivo, dal digitale al teatrale, gettando nuovi ponti e costruendo nuove mappe per ritrovare vecchi tesori. Perché le grandi domande sono ancora lì, e hanno ancora l'urgenza bruciante del classico: il problema è che agli studenti di oggi noi non facciamo arrivare le risposte. I ragazzi ci sembrano (e sono) anime perse, che non recepiscono quasi nulla di quello che gli insegnanti propongono. Ma in un rapporto tra grandi e piccoli, non sono anzitutto i grandi che devono rimboccarsi le maniche quando le cose non vanno? © RIPRODUZIONE RISERVATA Pier Cesare Rivoltella, Enrica Bricchetto, Fabio Fiore (a cura di), Media, storia e cittadinanza, La Scuola, Brescia, pagg. 160, € 12,00 Pier Cesare Rivoltella, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 170, € 16,00 Pier Giuseppe Rossi, Didattica enattiva. Complessità, teorie dell'azione, professionalità docente, Franco Angeli, Milano, pagg. 160, € 20,00 _________________________________________________________________ Corriere della Sera 7 Dic. ’12 NELLA GIUNGLA DEI CONCORSI TRUCCATI NON C'È SPAZIO PER IL MERITO Di SERGIO RIZZO In questa curiosa Italia dove la legge è uguale per tutti ma per qualcuno è più uguale, dove le norme devono essere «interpretate» prima di venire «applicate, e dove la lotteria del ricorso al Tar è sinonimo di certezza del diritto, si riesce regolarmente ad aggirare perfino uno dei pilastri fondamentali del vivere civile sancito dalla Costituzione. Più chiaro di così, l'articolo 97 della Carta non potrebbe essere: «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Negli anni, però, la nostra creatività ha scovato mille modi per far prevalere su questo sacrosanto principio parentele, amicizie e legami d'altro genere. Il caso classico è quello delle assunzioni per chiamata diretta nelle società controllate dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali. Ricordate lo scandalo delle municipalizzate romane, rimpinzate di raccomandati da politici e sindacalisti? Qualche anno fa si è poi scoperto che il Consiglio regionale della Campania aveva centinaia di dipendenti in pianta stabile senza avere mai indetto un concorso pubblico dal 1971, quando la Regione era nata. Assunti da società pubbliche, erano stati distaccati presso gli uffici consiliari e poi «stabilizzati» con qualche leggina regionale. Ma non stupitevi: la pratica della «stabilizzazione» per legge, spesso votata di notte pochi giorni prima delle elezioni, è diventata ormai una regola comune in quasi tutte le Regioni. Ma c'è un mezzo ancora più odioso per evitare l'obbligo del concorso. È il concorso stesso. Non passa giorno senza che arrivi la segnalazione di qualche presunto abuso nelle valutazioni, di regole studiate ad hoc per favorire questo o quel candidato, di esclusioni paradossali dalle selezioni pubbliche, di commissioni d'esame costruite in modo sospetto. Addirittura di ricorsi al Tar che inspiegabilmente si bloccano, mentre ricorsi gemelli procedono speditamente fino a spalancare a chi li ha presentati, di solito giovanotti dal nome eccellente, la strada di una prova d'appello spesso risolutiva. Certi concorsi pubblici assomigliano moltissimo a certi appalti pubblici nei quali si sa già in partenza chi sarà il vincitore. Le cronache sono sempre più piene di casi sconcertanti. Come quello del famoso chirurgo Mario Lanzetta, un luminare della ricostruzione della mano, al quale per nove anni è stata negata la cattedra di ortopedia, nonostante cinque sentenze a lui favorevoli. Oppure quello del cardiochirurgo diventato professore dopo aver superato l'esame davanti a una commissione composta da due igienisti e tre dentisti: ma era figlio del rettore di una grande università nella quale già insegnavano moglie e figlia. O ancora quello di un certo ateneo meridionale dove l'autorità Anticorruzione allora guidata dall'ex prefetto Achille Serra aveva scoperto che «frequenti rapporti di parentela, affinità o coniugio legano nel 50 per cento dei casi il corpo docente con personalità del mondo politico, forense o accademico». E non succede soltanto nelle università. Giuseppe Oddo ha raccontato martedì sul Sole 24 ore di un concorso per dirigenti della Regione Lombardia «mai apparso in Gazzetta ufficiale», vinto da 31 persone: molte delle quali, guarda caso, appartenenti al movimento di Comunione e liberazione «il cui esponente più noto», ha sottolineato il giornalista, «è il presidente della Regione Roberto Formigoni»: fra di loro anche il nipote di un vescovo e il biografo del fondatore di Cl don Alberto Giussani. Un concorso poi dichiarato illegittimo tanto dal Tar quanto dal Consiglio di Stato, ma grazie a un cavillo quei 31 restano al loro posto. Per non parlare delle autorità indipendenti, oggi una delle poche occasioni che si offrono ai nostri giovani di entrare a far parte di una classe dirigente «tecnica» di livello europeo. Basta dare uno sguardo agli elenchi di chi ci lavora. Si scopriranno innumerevoli coincidenze con illustri cognomi. Naturalmente hanno tutti superato un concorso. Magari anche molto selettivo, ne siamo assolutamente convinti. Peccato che talvolta ci sia una discrezionalità forse eccessiva (e difficilmente controllabile) nel giudizio di certi requisiti. Facciamo un esempio? Per essere ammessi a un recente concorso bandito da un'authority si assegnavano fino a 14 punti su un massimo di 50 per le esperienze post laurea. In che modo? Quattro punti per le esperienze ritenute «sufficienti», otto per quelle «buone», dodici per le «ottime» e quattordici per le «eccellenti». Ma perché un'esperienza dovesse essere considerata soltanto «sufficiente», piuttosto che «eccellente», non era specificato. Nello stesso concorso venivano attribuiti al massimo quattro punti su 50 per la conoscenza delle lingue. Così da non penalizzare chi non sapeva una parola d'inglese o spagnolo? Boh... C'è un posto di lavoro, ma che tu non potrai mai avere anche se studi e fai sacrifici per migliorare la tua preparazione perché è già prenotato da chi ha qualche santo in paradiso: è il messaggio più odioso che si possa mandare ai giovani. Toglie loro anche le residue possibilità di sperare, oggi che la speranza è così poca. È ora di dire basta ai concorsi truccati, falsati, pilotati. Un Paese che ha la meritocrazia nella Costituzione, ma poi non assicura ai suoi figli parità di condizioni, che Paese è? ______________________________________________ Il Manifesto 5 Dic. ‘12 «IL SAPERE È PRENDERE POSIZIONE» UNIVERSITÀ • Gli studenti interrompono l'inaugurazione della Bicocca Roberto Clccarelli La contestazione degli studenti ha interrotto l'inaugurazione dell'anno accademico dell'università Biccocca a Milano dove era stata annunciata la presenza del ministro dell'Istruzione Francesco Profumo che ha dato forfait. Ieri una cinquantina di studenti dell'ateneo meneghino, insieme agli attivisti di LabOut, del Cantiere e altri studenti che non fanno riferimento a realtà, ha interrotto il discorso del rettore Marcello Fontanesi esponendo davanti alla platea dell'aula magna uno striscione con una citazione di Michel Foucault: «Il sapere non è fatto per comprendere, ma per prendere posizione». La citazione tratta da un famoso saggio del filosofo francese su «Nietzsche, la genealogia, la storia», com'è stato ricostruito in un fitto scambio avvenuto in rete poco dopo che le immagini del blitz hanno fatto il giro dei social network, in realtà dice che il «sapere non è fatto per comprendere, ma per tagliare» Il sapere da tagliare è quello basato sui crediti e i debiti nell'università confermato dalla riforma Gelmini, soffocato dai tagli di 1,4 miliardi di euro al fondo degli atenei. Sul palco è salita una ragazza che ha letto un discorso contro l'ingresso nei cda degli atenei «di aziende, banche e privati». La tensione è salita, le forze dell'ordine presenti in sala si sono avvicinate, il rettore Fontanesi che aveva ceduto il microfono ha avuto un gesto di impazienza, cercando di sfilare il microfono alla speaker. Alla fine sono riusciti a toglierglielo ma lei ha conquistato un megafono, continuando imperterrita nella lettura. Visibilmente infastidito, Fontanesi ha poi dichiarato di essere stato ferito dalle accuse rivolte dai contestatori: «Le università non sono asservite alle banche ha detto e noi non siamo gli assassini dell'università. Nel mio discorso ho criticato í tagli dei finanziamenti e mi sono soffermato sulle difficoltà che incontrano i giovani nel sistema Italia». Raggiunti al telefono, gli attivisti hanno ribaltato l'argomentazione del rettore. Niccolò di LabOut denuncia la connivenza della Conferenza dei rettori con la politica dei tagli che non è stata messa in discussione da tecnici. «Ogni tanto si sente qualche dichiarazione fuori dal coro afferma ma la realtà è che i rettori si sono schierati a favore della riforma Gelmini». Mentre sul palco andava in scena la scaramuccia con il rettore, la platea ha iniziato a rumoreggiare. Una signora si è alzata e ha urlato al rettore: «Le loro sono idee, ma abbiate rispetto». E il rettore le ha risposto: «Stia zitta ha urlato Vada fuori. La sua è una verità di parte. Ora silenzio». «Se il rettore si è espresso in questo modo interviene Jacopo, studente di economia in Bicocca ha tradito l'atteggiamento che ha l'1% della popolazione, quella che era rappresentata in aula magna ieri: un gruppo di ermellini, dei militari e dei banchieri. Ci dice che siamo di parte? Ha ragione, siamo dalla parte del 99% della popolazione che chiede il diritto al futuro». Stamattina gli studenti milanesi del coordinamento dei medi (Casc) partiranno in corteo alle 9,30 da piazza delle cinque giornate, incontreranno il corteo della Fiom in piazza Duomo e procederanno oltre. Le contestazioni si sono riaccese ieri alla Sapienza di Roma Sono partite dalla facoltà di scienze politiche dove il direttore del quotidiano «Pubblico», Luca Telese, è stato contestato per un articolo sulla manifestazione del 14 novembre in cui aveva definito la testuggine dei book bloc come quella dei «25 stronzi». Dopo uno scambio polemico i ragazzi hanno esposto uno striscione: «Noi 60 mila, tu da solo. Trova lo stronzo»: Gli attivisti hanno poi bloccato il Cda, dove hanno incontrato il rettore Frati. Stando alle cronache su twitter l'incontro è stato duro e polemico.. Il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo ha dato forfait, come lunedì a Caserta _________________________________________________________________ Corriere della Sera 4 Dic. ’12 ATENEI D'EUROPA BOCCONI 11ESIMA MILANO — L'Università Bocconi di Milano e Sda Bocconi si classificano undicesime nella graduatoria delle scuole europee stilata dalFinancial Times. In particolare nei ranking specialistici il «Master of science in International management» ha guadagnato quest'anno tre posizioni, collocandosi 23esima al mondo nella classifica dedicata ai master in Management. Nella classifica dell'executive education la Sda Bocconi ha guadagnato sei posizioni, fino alla 25esima al mondo e l'undicesima in Europa. «La reputazione internazionale della Bocconi trova conferma nei risultati ottenuti nei ranking anche nel 2012 — ha commentato Stefano Caselli, prorettore all'internazionalizzazione dell'ateneo milanese —. In Europa abbiamo guadagnato 19 posizioni passando dalla 30esima del 2006 all'attuale 11esima. Il trend nel medio-lungo periodo, nonostante il lieve arretramento di quest'anno, resta quindi saldamente positivo». La Sda Bocconi si è confermata anche quest'anno come l'unica scuola italiana presente in tutti i più important ranking internazionali. A novembre l'Mba è salito di due posizioni e guadagnato il 16esimo posto nella classifica di Bloomberg Businessweek dei migliori programmi impartiti fuori dagli Usa. _________________________________________________________________ Corriere della Sera 4 Dic. ’12 CONTROLLO E CENSURE SU INTERNET (ALLORA È MEGLIO LASCIARLA COSÌ) Si sono ritrovati da ieri a Dubai i rappresentanti di 193 Paesi aderenti all'Itu (l'International telecommunication union), l'organizzazione che sotto l'egida dell'Onu si occupa di regolamentare le telecomunicazioni. I delegati saranno riuniti fino al 14 dicembre. Discuteranno di tariffe e di regole. Ma per la prima volta da quando Internet è diventata realtà, sarà proprio lei, la Rete, la protagonista di queste discussioni. E non sarà un bene. Al momento, parlare di regole per il web è perlomeno singolare. Esiste un unico organismo, l'Icann, la Internet corporation for assigned names and numbers, che fa capo al dipartimento del commercio degli Stati Uniti. Organismo che si occupa solo del sistema di indirizzamento nella Rete. Tutto il resto viaggia sul filo di una collaborazione più o meno frastagliata tra governi, scienziati, aziende euniversità. Secondo il segretario generale dell'Itu, Hamadoun Touré: «Internet rimane largamente un privilegio del mondo ricco, l'Itu vuole cambiare questa cosa». Le indiscrezioni che trapelano dai gruppi di lavoro è che Russia, Cina e alcuni Paesi africani vorrebbero che fosse proprio l'Itu a controllare Internet. E quindi di fatto i governi. Le motivazioni? L'espandersi dei cyber attacchi da parte dei terroristi, incursioni di hacker per sabotaggi e spionaggio. Sembra quindi l'uovo di Colombo: identificare e condividere le informazioni che viaggiano sulla Rete per intercettare eventuali attacchi e magari escogitare una qualche forma di tassazione. Peccato che, come accade per qualsiasi tecnologia, anche per Internet dipende da come la si usa. Il recente caso siriano insegna: la scorsa settimana di colpo la Rete si è ammutolita. Nel vicino Iran non fanno mistero di voler costruire una sorta di Intranet controllata direttamente dal governo. È evidente che la questione è tutt'altro che tecnologica. Ma attiene al controllo di quello che viaggia sulla Rete. E che, se davvero si vogliono impedire le cyber guerre più che regole sovranazionali, serve una decisa cooperazione tra gli Stati. Comprensibile quindi che America ed Europa si siano ritrovati a difendere l'attuale sistema. Che, come diceva ieri il Financial Times, probabilmente non sarà il migliore possibile ma ha permesso sviluppo economico e libertà politica. Daniele Manca _________________________________________________________________ Corriere della Sera 4 Dic. ’12 «GOOGLE VI IMBROGLIA» La crociata di Microsoft a colpi di pubblicità Per l'attacco al rivale investiti milioni di dollari DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — Fregati da Google? L'attacco di Microsoft al suo eterno rivale è durissimo. La settimana scorsa la società fondata da Bill Gates ha creato il sito Scroogled.com per avvertire gli utenti americani della sezione shopping di Google che i risultati ottenuti derivano da annunci pubblicitari pagati, non sono più frutto della selezione fatta dal motore di ricerca sulla base di parametri oggettivi. E da ieri questo stesso messaggio viene veicolato con una massiccia campagna pubblicitaria: spot in tv e pagine di pubblicità sui grandi giornali. Lo slogan, a caratteri cubitali e vergato coi colori del logo di Google, è «Don't get scroogled». Non fatevi fregare da Google è una traduzione inevitabilmente approssimativa perché il neologismo «Scroogle» evoca Ebenezer Scrooge, l'avido senza cuore del «Canto di Natale» di Charles Dickens, ma a molti pare un'abbreviazione di «screwed by Google» (fottuti da Google). Comunque un pugno allo stomaco, come conferma la riga successiva dell'annuncio che accusa la società di Mountain View di non «fornire una ricerca onesta» ai suoi utenti dell'area Shopping. Firmato Microsoft e Bing, il motore di ricerca del gruppo di Seattle che funziona bene e cresce, ma non riesce a intaccare la leadership di Google che da sola occupa più dei due terzi del mercato del «search» (67%). L'attacco sembra mirato ad aprire uno spiraglio per Bing che dice di trattare in modo oggettivo le informazioni commerciali, anche se riceve molta pubblicità ben pagata. E che vorrebbe conquistare quote di mercato proprio in questa stagione di vendite natalizie. Ma liquidare la vicenda come una battaglia per i regali di fine d'anno sarebbe riduttivo e fuorviante. Intanto va detto che in questo campo, se è vero che Google nei mesi scorsi ha cambiato le sue regole senza dare troppo nell'occhio (per adesso solo negli Usa: in Italia il nuovo sistema basato su inserzioni pagate arriverà a metà febbraio, per ora su «Shopping» ci sono ancora annunci «free»), è anche vero che Bing si comporta in modo non molto diverso. Insomma Microsoft è un predicatore poco credibile. Google sostiene addirittura che il suo sistema è più trasparente proprio per la scelta «tutto-pay» di Google Shopping, mentre sul suo motore «search» di base gli annunci pagati sono ben distinti dalla graduatoria oggettiva prodotta da ogni ricerca. La società sostiene addirittura che gli annunci pagati sono migliori di quelli «free» perché chi spende soldi sta più attento a confezionare un messaggio attraente, un'offerta che appaia davvero conveniente. Però è vero che i fondatori Larry Page e Sergey Brin che ancora nel 2004 promettevano agli utenti «risultati oggettivi, imparziali per i quali non accetteremo pagamenti», hanno cambiato rotta. Cosa legittima perché un gigante protagonista del mercato mondiale come Google deve adeguarsi alla rapida evoluzione dell'economia e delle tecnologie e deve difendere la sua redditività. Ma è legittimo anche l'intervento di Microsoft che ha deciso di spendere milioni e milioni per sottolineare un cambiamento di rotta che Google non ha occultato, ma al quale non ha nemmeno dato visibilità. E che assesta un altro colpo a «Don't be evil», il vecchio slogan «buonista» dell'azienda californiana. Questo è probabilmente il cuore della campagna di Microsoft nella quale c'è lo zampino di Mark Penn, il guru della campagna di Hillary Clinton del 2008 approdato due anni fa a Seattle. Ruppe con Hillary anche perché voleva usare strumenti di pubblicità negativa contro il candidato Obama. Ora lo sta facendo con Google. Più che per conquistare pezzi di mercato, per accentuare le difficoltà di un avversario messo proprio ora sotto assedio dalle «authority» regolamentari dei governi negli Usa in Europa. Massimo Gaggi Il motore risponde ai quesiti con la «ricerca semantica» Qual è la distanza della luna dalla terra, in che anno è nato Roberto Benigni e qual è il palazzo storico più importante di Parma. Ormai è un'abitudine. Di fronte a un dubbio, una curiosità o una semplice necessità, andiamo su un motore di ricerca e inseriamo le parole chiave. A volte la risposta non è immediata. Bisogna spulciare i link e l'operazione può richiedere qualche minuto. Ora, però, Google tenta il salto di qualità. L'ambizione è rispondere alle domande degli utenti, adattandosi al cervello e al suo modo di ragionare. Da oggi pomeriggio sulla versione italiana del motore di ricerca di Mountain View, entra in funzione (gradualmente) Knowledge Graph, progetto lanciato tre anni fa da Big G, che unisce ricerca semantica ad analisi statistiche e algoritmi. «Una rivoluzione», annuncia Google. E basta provare, per rendersi conto che si tratta di un cambiamento importante. Fatto, come spesso accade, di luci e ombre: «Siamo partiti con sette lingue oltre all'inglese (italiano, francese, spagnolo, tedesco, russo, giapponese e portoghese)», spiega Aaron Brown, senior product manager di Google. «Centinaia di noi stanno lavorando per incrementare il numero di dati. E abbiamo creato il nuovo sistema basandoci su database open source come Wikipedia». Il risultato promette di migliorare non poco l'accesso alle informazioni in rete. Qualche esempio? Se si chiede a Google qual è la distanza della Luna dalla Terra, non si ottiene solo il dato. Si scopre quali sono gli altri pianeti del sistema solare, i loro nomi e con un clic si visualizzano le immagini. Una manna per studenti e scienziati. A patto che le informazioni siano verificate e non ci siano errori clamorosi. Open source, infatti significa gratis. E non sempre questo è sinonimo di qualità. Spazio poi alle curiosità personali. Scrivendo Matt Groening, salta fuori che la mamma del creatore dei «Simpson» si chiama Marge. Mentre il nome di sua sorella è Lisa. Proprio come i personaggi della famiglia più famosa d'America. Se si digita, invece, Eros Ramazzotti (o il nome di un altro cantante) fanno la loro comparsa altri fattori: «Oltre alla biografia, in un riquadro a destra dello schermo compaiono la discografia, le date dei prossimi concerti e le informazioni per acquistare i biglietti», sottolinea Brown. Google alla caccia di nuovi accordi dunque per vincere la battaglia dell'e-commerce? «Per il momento non ci sono novità», è la risposta prudente. Ma è chiaro che per Big G la rivoluzione nella ricerca significherà anche nuove frontiere commerciali. Sempre di più il motore di ricerca tende a «leggerci nel pensiero», anticipando esigenze, richieste e desideri: «Il progetto Knowledge va in questa direzione», fanno sapere da Big G. Ma è evidente che oltre alla condivisione del sapere, in gioco c'è molto di più. Marta Serafini _________________________________________________________________ Le Scienze 3 Dic. ’12 TIME E IL BOSONE DI HIGGS: 5 ERRORI PER UNA CANDIDATURA La rivista "Time" ha incluso il bosone di Higgs fra i candidati al titolo di "Persona dell'anno 2012". Peccato che l'articolo in cui si spiegano le ragioni di questa scelta sia infarcito di errori: un esempio, purtroppo frequente, di cattivo giornalismo in materia di scienza. E dire che i ricercatori disponibili per verificare l'articolo non sarebbero mancati: nei due esperimenti responsabili della scoperta della particella, ne sono coinvolti ben 6000 La rivista “Time” ha recentemente pubblicato i nomi dei 30 candidati al suo popolarissimo premio "Persona dell'anno". Nascosto tra il presidente Barack Obama e il rapper coreano Psy c'è anche un candidato improbabile, una particella subatomica. Come è noto, questa estate i fisici del Large Hadron Collider hanno annunciato di aver trovato qualcosa che somiglia molto al sospirato bosone di Higgs, provocando in tutto il mondo un breve ma intenso periodo di “Higgsteria”. In circostanze normali, ci sarebbero tutti i presupposti per elevare del bosone di Higgs allo status di "Persona dell'anno", non foss'altro che per onorare maggiormente gli eroici sforzi di migliaia di scienziati e ingegneri che hanno reso possibile la scopert. Ma la candidatura proposta da “Time” rischia di fare più male che bene. Ogni singola frase della spiegazione della candidatura contiene almeno un errore grave. La rivista riesce a sbagliare il bersaglio cinque volte su cinque. Per chiarire la questione, facciamo rapidamente il punto. Affermazione 1: Fermatevi un attimo per ringraziare questa piccola particella per tutto il lavoro che fa, perché senza di essa, ci sarebbe solo energia senza nemmeno un briciolo di massa. Errore: L'idea comune del bosone di Higgs è che sia responsabile di tutta la massa dell'universo, ma questo è falso, come ha spiegato la scorsa settimana in un illuminante e accurato post il mio collega Daisy Yuhas: "Il campo di Higgs non spiega l'origine di tutta la massa. 'Molti fisici non informati lo hanno ripetuto per anni', osserva il fisico teorico Chris Quigg del Fermi National Accelerator Laboratory. 'E' da un po' che abbiamo effettivamente compreso la fonte della maggior parte della massa del protone [per esempio]'. La maggior parte della massa – voi e io inclusi - viene dalla forza forte, una forza della natura che tiene legato insieme il nucleo degli atomi." Il campo di Higgs dà origine alle masse di particelle come i bosoni W e Z, e come l'elettrone. Ed è vero che senza di esso, l'universo sarebbe un posto molto diverso. "Senza questa massa, gli elettroni non si legherebbero ai nuclei per formare atomi. 'Ciò vorrebbe dire nessun legame di valenza né chimica; sostanzialmente, tutto svanirebbe', dice Quigg. 'Dunque , nessuna struttura solida e nessuno stampo per la vita' ". Affermazione 2: Di più, lo stesso varrebbe per l'intero universo. Errore: Si veda l'affermazione 1. Protoni e neutroni sarebbero ancora dotati di massa. Affermazione 3: E' stato nel 1960 che il fisico scozzese Peter Higgs hapostulato per primo l'esistenza di una particella che permette di fare il salto dall'energia alla materia. Errore: Il campo di Higgs non permette di "fare il salto dall'energia alla materia", e non è chiaro perché l'autore del pezzo pensi che sia così. Ma cerchiamo di dare un'interpretazione generosa. L'Higgs spiega perché i bosoni W e Z, vettori della forza debole - hanno una massa. Se dovessero essere privi di massa, viaggerebbero necessariamente alla velocità della luce e, quindi, potrebbero essere considerati "energia", piuttosto che "materia" (come se ci fosse una linea netta linea di demarcazione tra le due). Sarebbero qualcosa di simile al fotone, il vettore della forza elettromagnetica. Ma il fotone è pura "energia"? Per niente. Il fotone è ben noto per comportarsi contemporaneamente sia come onda (energia) che come particella (materia). Inoltre, Peter Higgs non è stato né il primo né l'unico fisico a postulare l'esistenza della particella che porta il suo nome. Ed è inglese (è nato a Newcastle), e non scozzese. Uno degli eventi ce testimonia l'esistenza del bosone di Higgs. (© 2012 CERN / CMS Collaboration)Affermazione 4: Ma è solamente la scorsa estate che un gruppo di ricercatori europei del Large Hadron Collider - Rolf Heuer, Giuseppe Incandela e Fabiola Gianotti – ha finalmente chiuso la faccenda e, così facendo, ha pienamente confermato la teoria generale della relatività di Einstein. Errore: Da dove cominciare? Cominciamo da Einstein. Onestamente non ho alcuna idea del perché l'autore vorrebbe stabilire un collegamento tra il bosone di Higgs e la relatività generale. Nessuna! Perché non c'è nessun legame. Einstein ci ha insegnato che l'energia e la massa sono due facce della stessa medaglia (e questa è una conseguenza della sua teoria speciale, non generale, della relatività), ma questo insegnamento è in contraddizione con la ripetuta affermazione dell'autore che il bosone di Higgs in qualche modo trasformi l'energia in materia. Senza contare che nessuna teoria scientifica può mai essere "pienamente" confermata. Che cosa significherebbe per una teoria scientifica essere finalmente “pienamente" confermata? Sta suggerendo che non potrebbe mai presentarsi alcun dato che possa sfidarla? Iteoremi puramente matematici possono essere dimostrati. Le teoriescientifiche possono essere smentite. E poi c'è il problema dell'attribuzione. L'autore cita un "gruppo" di tre ricercatori che ha scoperto il bosone di Higgs. Sbaglia solo di tre o quattro ordini di grandezza. La scoperta di questa estate è stata confermata da due esperimenti indipendenti presso l'LHC: ATLAS e CMS. Ciascuno di questi esperimenti vede al lavoro circa 3000 scienziati. Al momento dell'annuncio, Incandela e Gianotti erano alla guida dei due esperimenti, ma i direttori di ricerca cambiano in continuazione (Incandela ha diretto CMS per meno di un anno, per esempio), e la scoperta di Higgs è il prodotto di un progetto durato più decenni. [ROlf Heuer, dal canto suo, pur essendo il direttore del CERN, non è coinvolto direttamente in nessuno dei due esperimenti N. d. R.] Affermazione 5: Il bosone di Higgs – come fanno le particelle - è immediatamente decaduto in particelle più fondamentali, ma gli scienziati sarebbero sicuramente felici di ricevere gli onori e i riconoscimenti in sua vece. Errore: "Particelle più fondamentali"? Alcune particelle come il protone e il neutrone sono "composte": sono particelle composte da altre particelle (in questo caso, quark e gluoni). Ma le particelle "fondamentali" del Modello Standard della fisica delle particelle non sono composte. Esse sono, per quanto ne sappiamo, indivisibili. Certo, possono cambiare da una all'altra, ma non si frantumano in particelle "più fondamentali". Il bosone di Higgs è di per sé una particella fondamentale. In realtà, è questa, in buona parte, la ragione della grande emozione suscitata: era l'ultima particella fondamentale prevista dal Modello Standard della fisica delle particelle, che finora aveva eluso il rilevamento. Decade, ma quando lo fa si trasforma in altre particelle altrettanto fondamentali. Bene, io sono favorevole ad aggiudicare al bosone di Higgs il titolo di “Persona dell'anno 2012”. Ma se lo fate, vi prego di sottoporre la motivazione del premio a qualcuno che capisce qualcosa di fisica delle particelle prima che vada in stampa. Mi vengono in mente almeno 6000 persone che potrebbero farlo molto bene. _________________________________________________________________ Unione Sarda 7 Dic. ’12 MONTE PRAMA, ECCO LA STORIA presentato oggi a Cagliari il libro di Bedini, Tronchetti, Ugas e Zucca dei Giganti di pietra L'appassionante vicenda delle statue Finalmente tutta la verità sui Giganti di Monte Prama. O almeno quello che sinora è possibile raccontare in attesa che futuri scavi possano aggiungere nuovi particolari sulla vicenda che più di ogni altra ha appassionato gli archeologi nell'ultimo decennio. Messe da parte le polemiche sulla destinazione delle statue di pietra restaurate nel laboratorio di Li Punti a Sassari, oggi la loro storia è raccolta in un bel volume appena pubblicato dalla cagliaritana Fabula. L'editore Enrico Clemente ha chiamato attorno a questa complessa opera i protagonisti della scoperta: quattro illustri archeologi che dal 1974 (il primo ritrovamento risale al maggio di quell'anno quando un contadino scavando con l'aratro trovò alcuni frammenti scultorei) hanno lavorato a più riprese nel sito, recuperato il grosso dei reperti e poi dato un significato alle statue. Oggi possiamo dire di sapere molto su questi clamorosi Guerrieri nuragici, il velo di mistero che li ha circondati per oltre un trentennio è stato tolto, le ipotesi degli studiosi più o meno concordano sulla base di attente valutazioni e confronti stilistici. Nelle 277 pagine patinate scorrono i saggi di Alessandro Bedini, il primo archeologo della Soprintendenza ad arrivare sul sito e a lavorarci negli anni Settanta per poi trasferirsi a Roma e a Firenze; Carlo Tronchetti, ex direttore della Soprintendenza e del museo nazionale di Cagliari; Giovanni Ugas, docente dell'ateneo cittadino e Raimondo Zucca, docente a Sassari e instancabile promotore di mostre e convegni. Arricchiscono il volume le immagini di Massimo Migoni e i disegni ricostruttivi delle statue eseguiti dall'architetto Panaiotis Kruklidis.Un lavoro importante ed esaustivo che consente al lettore, anche non specialista, di capire cosa fossero e rappresentassero quei Giganti di pietra (alti quasi due metri). Il libro, già presentato in anteprima a Sassari, verrà illustrato oggi alle 18 da Clemente e Tronchetti nella libreria Feltrinelli di via Paoli. LE STATUE I reperti recuperati non hanno consentito di rimettere insieme nella loro interezza una o più statue, restaurate sapientemente dagli esperti di Li Punti, ma lo studio dei pezzi al computer ha permesso, però, agli archeologi e ai disegnatori di fare una ricostruzione quanto mai fedele. Ce li possiamo immaginare così come appaiono nel disegno introduttivo del volume: arcieri, pugilatori, atleti, in fila su un piedistallo lungo la strada che dal Campidano portava al Sinis e al porto fenicio di Tharros (la città punica sarebbe nata qualche secolo dopo). Dietro e a fianco sorgevano modelli di nuraghi in scala maggiore rispetto alle statuine di bronzo che oggi conosciamo nei musei, e di betili votivi. Il tutto faceva parte di un'area monumentale e sacrale (Heeron) in una zona di sepolture, tra i numerosi villaggi popolati dai protosardi che vivevano tra il Sinis, il Grighine e l'attuale Oristanese. «Lo scavo ha portato alla luce una situazione straordinaria - affermano Bedini e Tronchetti - sia per l'eccezionale presenza della statue, che per il significato culturale dell'intero contesto. Siamo di fronte ad una vasta area adibita a sepolture di cui si può riconoscere con sicurezza il solo limite occidentale che presenta un'articolazione in varie fasi, con funzioni diversificate e caratterizzata da un tracciato viario». TRE FASI A Monte Prama si possono distinguere tre fasi: la prima di un sepolcreto con tombe a pozzetto (tipo quelle rinvenute ad Antas, Fluminimaggiore); la seconda vede l'area recintata con tombe più importanti coperte da lastroni; una terza fase con la sistemazione della sponda est della strada, la realizzazione del complesso scultoreo e la contestuale monumentalizzazione dell'area sacra. L'ETÀ DEL FERRO La datazione? Per quanto riguarda la cronologia assoluta delle tre fasi si parla di un arco compreso tra il nono e la fine dell'ottavo secolo. I Giganti sarebbero i simboli grandiosi di una élite aristocratica che governava la popolazione protosarda nel periodo detto del "Ferro". Quella gente laboriosa di contadini e pastori, con a capo clan di guerrieri, era l'erede della precedente civiltà dei costruttori di nuraghi, che viveva e commerciava a contatto con i vicini fenici di Tharros. Solo dopo arriveranno i cartaginesi che trasformeranno quello scalo in una fiorente città punica. Nel frattempo i monumentali Giganti, realizzati con la pietra proveniente da una vicina cava e simbolo di una civiltà indigena, verranno distrutti, ammucchiati e sepolti nella stessa area di Monte Prama. IL SIGNIFICATO «Allo stato attuale della documentazione - sottolinea Enrico Clemente - molti problemi sul valore e sul significato storico di Monte Prama rimangono aperti. Gli autori hanno presentato le proprie ipotesi che, in particolare sulla cronologia e distruzione dell' Heroon, presentano soluzioni diverse. Bedini e Tronchetti concordano sostanzialmente sulla datazione di costruzione dell'Heroon in base ai loro dati di scavo, mentre per la distruzione evidenziano la mancanza di reperti che permettano certezze. Ugas, al contrario, dissentendo dagli autori degli scavi, retrodata la cronologia (750-740) e indica una periodo preciso per la sua distruzione, non oltre un paio di decenni dopo l'edificazione (720)». LO STILE Lo stile dei Guerrieri riporta all'ideologia della grande statuaria orientale giunta nell'Isola con i mercanti e con maestranze artigiane. Questo volume rappresenta una base di partenza: scavi ulteriori e la discussione della comunità scientifica potranno gettare nuova luce sulle statue del Sinis e, di riflesso, sulla storia della Sardegna protostorica e su quella del Mediterraneo occidentale. «Purtroppo - conclude Tronchetti - non conosciamo niente dell'antica mitologia sarda se non attraverso notizie assai più tarde giunteci da scrittori di cultura ellenica, ma sicuramente una mitologia esisteva: i Giganti di Monte Prama ne facevano parte». Carlo Figari ========================================================= _________________________________________________________________ Corriere della Sera 8 Dic. ’12 MEDICI E INFERMIERI GENTILI Nonostante le difficoltà della Sanità pubblica gli italiani dicono di apprezzare il lavoro degli operatori sanitari. Il 72,1 per cento li definisce «gentili e disponibili». Anche il rapporto con il medico di base è considerato positivo con un indice di 7,7 su una scala da 0 a 10. Gli infermieri sono gentili ed efficienti almeno per il 75 per cento degli italiani entrati in contatto con loro nell'ultimo anno. La professione stessa di infermiere viene rivalutata e considerata di alto valore sociale e di aiuto verso gli altri (76,6 per cento) al punto che viene definita un errore la scelta del numero chiuso a Scienze infermieristiche (61,3 per cento). _________________________________________________________________ Sanità News 6 Dic. ’12 IL MINISTRO PROFUMO PROPONE UN’UNICA GRADUATORIA PER L’ACCESSO ALLA FACOLTA’ DI MEDICINA Un ulteriore perfezionamento del sistema di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso come medicina ''potrebbe avvenire con la formazione di un'unica graduatoria nazionale''. Lo ha detto il ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, durante il Question Time alla Camera. ''Questo - ha spiegato Profumo - non e' stato fatto in questo anno accademico per le difficolta' economiche del Paese e per le difficolta' di spostamento degli studenti''. ''Questa innovazione del ministero - ha aggiunto Profumo - deve essere introdotta gradualmente. Lo svolgimento della procedura selettiva richiederebbe tempi piu' lunghi che devono essere resi compatibili con l'inizio delle lezioni, questo con riferimento alla scelta successiva degli studenti rispetto alla sede alla quale potrebbe partecipare''. _________________________________________________________________ La Nuova Sardegna 7 Dic. ’12 LA CORTE DEI CONTI: «NELLA SANITÀ COSTI SEMPRE PIÙ ALTI» CAGLIARI. La Corte dei conti ha confermato che nella Sanità sarda crescono disavanzo e costi. La magistratura contabile rileva carenze degli atti di indirizzo della Regione, e la criticità dei controlli interni alle Aziende sanitarie e della gestione delle liste d’attesa, ritardi nelle procedure di accreditamento delle strutture sanitarie e sociosanitarie. In realtà sono solo alcuni dei punti toccati dall’Indagine di controllo sull’attività di indirizzo e sul finanziamento degli enti del servizio sanitario regionale da parte della Regione i cui esiti saranno presentati martedì a Cagliari, in un’adunanza pubblica della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, presieduta da Anna Maria Carbone. L’assessore Simona De Francisci spiega che la Regione ha accelerato su tutti i fronti anche per rispondere alle criticità. _________________________________________________________________ Unione Sarda 8 Dic. ’12 PERADASDEFOGU: ANALISI AMBIENTALE: I RICERCATORI NON FANNO ALLARMISMI Gli scienziati in Senato fanno rientrare l'allarme (o quasi) sui presunti veleni di Quirra. La dirigente del laboratorio dell'Istituto zooprofilattico della Regione Sardegna, Giannina Chessa, solo due giorni fa ha illustrato ai parlamentari che compongono la Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, i risultati del “monitoraggio degli inquinanti ambientali nell'area del poligono”. I tecnici dell'agenzia regionale hanno analizzato 48 campioni prelevati nel maggio del 2011 nelle aziende interne alla base e altri 41 prelevati in aree al riparo da un'eventuale contaminazione per metterli a confronto. Le analisi sono state eseguite su erba, acqua, latte, fegato e rene prelevati dagli animali. I vetrini sono stati passati al setaccio alla ricerca di diciassette elementi chimici, compresi i metalli pesanti. Ma non solo, i campioni sono stati inviati nei centri di ricerca di Puglia e Basilicata per verificare la presenza di un'eventuale radioattività sprigionata dalle esercitazioni militari. In questo caso, la referente dell'istituto regionale è stata chiara: «Le misure di radioattività riscontrate nell'area del poligono sono sovrapponibili a quanto rilevato nelle aree di controllo». L'esposizione dei dati riferiti alla presenza di cadmio, arsenico, uranio e di tutte le altre sostanze ricercate nei 469 campioni prelevati è stata lunga e dettagliata. Otto delle 43 aziende interne al poligono hanno superato i limiti previsti dalla legge. Tra loro, una sola «si colloca molto al di sopra delle soglie di legge». Nei campioni sono state individuate anche tracce di arsenico che, però, secondo gli studiosi potrebbe essere riconducibile all'attività mineraria di Baccu Locci. I risultati dei test eseguiti su fegato e rene prelevati dagli animali delle aziende a rischio hanno mostrato una situazione simile a quella delle arre di controllo: in entrambe sono presenti tracce di cadmio. Da parte dei commissari, alcune domande sulle metodologie utilizzate nella ricerca. Gli studiosi torneranno in Commissione per illustrare i risultati dell'altro studio, quello epidemiologico che dirà se le guerre simulate nel poligono abbiano inciso sulla salute di persone e animali oppure no. _________________________________________________________________ Unione Sarda 8 Dic. ’12 BASTA CON I VENDITORI DI SOGNI NELLA SANITÀ Fiducia e consenso a chi realizza progetti di Antonio Barracca* Da molti anni noi medici siamo in prima fila nel segnalare che i costi crescenti dei servizi sanitari, dovuti principalmente all'invecchiamento della popolazione e alla mancanza di cure che guariscano le malattie, sono insostenibili per le nostre economie: l'incremento della spesa è di molto superiore alla crescita della ricchezza degli Stati. Le strade da percorrere sono diverse, ma ci costringono a scelte che pensavamo di non dover affrontare. Dagli anni '80 il mondo medico ha indicato nella medicina basata sulle evidenze una delle soluzioni. È cioè necessario usare e praticare metodi diagnostici e terapie che abbiano dimostrato, in maniera inconfutabile attraverso trial clinici, che siano certamente utili per ridurre non solo le sofferenze, ma la mortalità. Il passaggio dalla conoscenza, derivante da questi studi, alla pratica medica è complesso e si perde in mille rivoli. I medici dedicano poco tempo allo studio e perciò spesso non si servono di percorsi diagnostici e terapeutici basati sulle migliori evidenze scientifiche. L'altra strada è quella di cambiare l'organizzazione della sanità per far sì che si riducano i posti letto inutili e si spostino le cure meno impegnative dall'ospedale alla casa del cittadino. Ma senza un progetto preciso, senza un controllo delle risorse, tutto ciò può determinare solamente un aumento della spesa. Si ripete che la spesa sanitaria italiana è bassa rispetto alla nostra ricchezza. E si dimentica che a fronte del finanziamento pubblico che supera abbondantemente i 100 miliardi di euro, quello privato, che spendiamo per comprare prestazioni sanitarie, supera i 40 miliardi e quindi la spesa complessiva è in linea con la media europea. Al nostro sevizio mancano 60mila infermieri, informatici, economisti, statistici, personale di segreteria. L'arrangiarsi italiano compensa, almeno parzialmente, questo stato di cose. Non è, perciò, una sorpresa sapere che i costi del nostro servizio sanitario stanno diventando insostenibili. Perché questo ormai è un dato che accomuna tutti i servizi sanitari pubblici del mondo. Cosa dobbiamo fare? Non basta tenere sotto controllo la spesa, dobbiamo ridurre i posti letto e modificare l'organizzazione degli ospedali, vecchia di 50 anni. Ospedali più piccoli, che funzionano notte e giorno, con ricoveri brevi, con più infermieri, più servizi e con personale medico meglio utilizzato. La sanità nel territorio è una bella espressione. Ma per fare che cosa, con quali risorse? Di sicuro con quelle che deriveranno dalla riduzione dei costi della medicina ospedaliera. Tutto ciò deve essere discusso e realizzato. La stessa cosa vale per le Case della Salute che stanno sorgendo come funghi in tutta la regione. Quali obiettivi concreti di salute vogliamo raggiungere? Questi aggiustamenti, seppur necessari, non saranno sufficienti. Soltanto riducendo i nuovi casi di infarto, diabete, obesità, ictus e altre malattie degenerative possiamo rendere sostenibile il servizio sanitario, evitare sofferenze inutili e dare ai nostri cittadini una speranza di una vita con meno malattie. L'obiettivo, perciò, è salvare la struttura, la funzione, l'idea stessa del servizio sanitario pubblico. Servono idee nuove, nuovi protagonisti, un progetto, un impegno di tutti, una condivisione e un coinvolgimento dei cittadini. Le società moderne sono una cosa complessa. Non ci servono più illusionisti che ci promettono riforme o di salvare i piccoli ospedali. Il consenso d'ora in poi sarà dato a chi saprà realizzare progetti, non vendere sogni. *Dirigente medico - Cagliari ________________________________________________ La Repubblica 4 Dic. ‘12 PANCIA E CERVELLO: L'EFFETTO MICROBI Dopo le funzioni digestive e quelle immunitarie, recenti ricerche rivelano che l'alterazione dei miliardi di batteri del tipo bifidus presenti sulle mucose, ad esempio per una terapia antibiotica o una dieta squilibrata, ha conseguenze negative sulle attività del sistema nervoso FRANCESCO BOTTACCIOLI * Grazie a una pubblicità martellante (le fan del Bifidus!) oggi molti conoscono l'esistenza di una sterminata popolazione microbica, pari a dieci volte il numero delle cellule del corpo umano, che abita il nostro intestino, le altre mucose (respiratorie, urogenitali) e tutta la superficie cutanea. Da tempo sappiamo che la salute di questo grande coinquilino, battezzato microbiota o microbioma, è importante per la nostra salute, in particolare per l'influenza sul sistema immunitario, che nell'intestino e nelle altre mucose ha un suo distaccamento di ampie proporzioni, il cosiddetto sistema immunitario delle mucose (Malt nella sigla internazionale). Di recente il microbiota è studiato non solo dai gastroenterologi e dagli immunologi, ma anche dai neuroscienziati. Nature Reviews Neuroscience ha da poco ospitato un'ampia rassegna, scritta da due psichiatri della irlandese CorkUniversity: "Impatto del microbiota sul cervello e sul comportamento". Ne emerge che cervello e microbiota intestinale si influenzano vicendevolmente, nel bene e nel male. Per esempio, una condizione di stress emozionale altera la composizione del microbiota e, a sua volta, una condizione di stress infiammatorio intestinale altera l'attività cerebrale. Gli effetti dello stress cerebrale vengono mediati dal rilascio di cortisolo e adrenalina e noradrenalina che modificano l'equilibrio tra ceppi batterici e sistema immunitario locale; al tempo stesso gli ormoni dello stress rendono la barriera intestinale più permeabile ai ceppi patogeni presenti nella mucosa che quindi traslocano all'interno dell'intestino. In direzione opposta, un'alterazione del microbiota intestinale rilascia citochine infiammatorie che, attraverso nervo vago e sangue, raggiungono il cervello. Studi clinici hanno riscontrato benefici dei probiotici nella Sindrome dell'intestino irritabile e fatica cronica mentre altre ricerche, sia sull'animale che su gli umani, hanno mostrato che un cocktail di probiotici (LactyobacillushelveticuseBifidobacterialongum) riduce sia l'ansia che il cortisolo e alza la soglia del dolore. Al rovescio: l'uso di antibiotici nell'animale, oltre ad alterare l'equilibrio del microbiota, genera ansia. Interessante è il fatto che viene ridotto il livello del Fattore nervoso di derivazione cerebrale (BDNF) in due aree chiave del cervello, nell'ippocampo e nell'amigdala, con conseguenze negative sull'umore e sulla cognizione. Presid. onorario Soc. It. Psiconeuroendocrinoimmunologia _________________________________________________________________ Corriere della Sera 7 Dic. ’12 ORA È POSSIBILE FOTOGRAFARE L'ATTIVITÀ DEL SINGOLO NEURONE di MASSIMO PIATTELLI PALMARINI Nei giorni scorsi, all'Università dell'Arizona, nel quadro delle conferenze interdisciplinari della School of Mind, Brain and Behavior, il neurobiologo Michael Nitabach, dell'Università di Yale, ha presentato risultati ottenuti con una tecnica di imaging molto innovativa, a dir poco. In sostanza, riesce a visualizzare l'attività spontanea di singoli neuroni senza inserire dall'esterno alcun elettrodo, sia pure sottilissimo. Il suo metodo, chiamato «ArcLight», consiste nel far crescere, entro i neuroni del topo, naturalmente, mediante attivazione di specifici geni, una sostanza altamente fluorescente. Questo viene fatto indirizzando la fissazione di tale sostanza verso popolazioni molto specifiche di neuroni. Coltivando poi tali neuroni in vitro, la loro attivazione o inattivazione viene chiaramente rivelata da un rivelatore di fluorescenza. Chiedo al professor Nitabach un commento: «Per molti anni, il Santo Graal della neurobiologia è stato quello di misurare con metodi ottici l'attività della membrana di specifici neuroni. Dopo molti tentativi infruttuosi, riportati da vari laboratori, adesso noi ci siamo riusciti». Mi precisa che anche questi altri metodi usavano, come lui adesso fa, dei marcatori fluorescenti trasportati dall'interno, per via genetica, ma il segnale ottico era troppo debole. Adesso, la sonda genetica ad alta fluorescenza, chiamata, appunto «ArcLight», rivela nettamente il micro-voltaggio dell'attività di specifici neuroni. Le diapositive da lui proiettate nel corso della recente conferenza sono, in effetti, di grande chiarezza. Nitabach si è specificamente concentrato sul topo, mirando ai neuroni detti piramidali dell'ippocampo, un centro cerebrale di capitale importanza, tra l'altro nella fissazione della memoria. Aggiunge: «Inizialmente avevamo messo a punto questa tecnica nel moscerino della frutta, la celeberrima drosofila. Per la prima volta siamo riusciti, date le piccole dimensioni del cervello del moscerino, a realizzare, in esemplari transgenici, una neurofisiologia ottica nel cervello intatto, soprattutto mirando a neuroni responsabili dell'orologio biologico naturale, cioè dei ritmi circadiani (il controllo di veglia, sonno e appetito). Ottimi risultati sono anche stati ottenuti sui neuroni dell'olfatto». Inevitabile è per me la domanda: cosa ci riserva il futuro di questa tecnologia? «I nostri risultati promettono un'estensione della ricerca sul cervello nei mammiferi, dai topi transgenici ai primati. Diventerà possibile una neurofisiologia fine che copra in ogni dettaglio l'intero orizzonte dei processi cerebrali, dallo stimolo alla risposta (il termine tecnico e high-throughput). Questa tecnica può anche trovare applicazioni nello studio delle funzioni neuronali fondamentali di vari organismi e potenzialmente può essere usata per ottenere un controllo ottico delle funzioni di protesi robotiche in pazienti disabili». Il nuovo Santo Graal diventa, quindi, risolvere molti problemi centrali e antichi su come il cervello elabora l'informazione e genera la cognizione. ________________________________________________ Le Monde 8 Dic. ‘12 CERVEAU: DES PENSÉES À PORTÉE DE CASQUE Tout le monde, ou presque, est capable d'apprendre à contróler et moduler ses ondes alpha Quelques électrodes fichées sur un bonnet et vous vo là pilote d'un vaisseau spatial de jeu vidéo. Mais aussi victime potentielle d'un piratage cérébral. A moins que cette technologie ne serve à traiter votre dépression... pour jouer au jeu vidéo Space Race (« course spatiale »), pas besoin de clavier, de joystick ni de capteur de mouvement. Il suffit de se concentrer, le vaisseau spatial glisse dans la nuit étoilée par la seule force de la pensée. Plus exactement, le joueur le déplace sur son écran en activant une zone précise de son cerveau, dont les signaux électriques sont captés par une électrode collée sur le sommet de son crane et connectée à l'ordinateur. Plus les neurones travaillent, c'est-à-dire plus ils échangent d'informations, moins ils émettent d'ondes cérébrales alpha, un signal inhibant émis lors des phases de repos, très facile à capter avec un casque électroencéphalographe (EEG) standard. Pour calculer l'accroissement d'activité de la zone visée, il suffit de mesurer la baisse d'intensité de son signal alpha. En decà d'un seuil fixé à l'avance, le vaisseau se metà avancer. Au début, rien ne se passe, mais, peu à peu, le joueur parvient à s'abstraire de son environnementré el età s'imaginer aux commandes d'un engin volant à grande vitesse. Et soudain, victoire : le vaisseaubouge. Dans les paramètre s, le joueur peut modifier le seuil d'activation à sa guise, afin de rendre le jeu plus ou moins difficile. S'il réussit à se concentrer intensément pendant une période prolongée, son vaisseau subit une accélération foudroyante : il a gagné la course intersidérale. Space Race est un classique du jeu vidéo qui a été récemment modifié par l'éditeur de jeux californien WayForward afin qu'on puisse y jouer avec un casque EEG. Tomas Ros, chercheur au laboratoire de neurologie et d'imagerie cognitive de l'université de Genève et spécialiste des interfaces cerveau ordinateur, l'utilise dans ses expériences. Selon lui, tout le monde ou presque est capable d'apprendre à conti-Oler et moduler ses ondes alpha : « Chacun développe des stratégies spécifiques, sans pouvoir les décrire avec des mots. Quand vous demandez à quelqu'un comment il a appris à faire du velo, il ne pourra pas vous l'expliquer, et pourtant, m a marché, et il ne l'oubliera pas. C'est la méme chose pour les jeux par EEG. » On peut aussi inverser les paramètres. Dans ce cas, le vaisseau n'avance que si le joueur parvient à se relaxer, à laisser sa pensée vagabonder. A nouveau, il faut une période d'adaptation. Quand le joueur se concentre sur l'idée qu'il doit cesser de se concentrer, c'est l'échec. Il imagine alors des stratagèmes : par exemple se désintéresser du jeu, et d'un seul coup le vaisseau démarre. D'autres préféreront la méditation transcendantale, l'évocation de souvenirs agréables ou le calcul mental, qui permet de chasser les pensées parasites. Grace à Space Race, Tomas Ros est en train de mettre au point une nouvelle forme de thérapie pour soigner certaines maladies mentale s, comme les dépressions, les obsessions, l'hyperactivité ou le stress post- traumatique. Sa méthode, sans chimie ni chirurgie, est basée sur la rééducation de certaines zones du cerveau grace à des exercices ludiques sur ordinateur : «Le but est d'aider le malade à relaxer une certaine partie de son cerveau, qui travaille trop, ou à en activer une autre, qui est en somnolence chro- nique. On peut ainsi rétablir un équilibre qui a été rompu. » Pour mesurer les progrès, Tomas Ros peut capter une large gamme de signaux cérébraux et mettre au point des protocoles personnalisés pour chaque malade. Il affirme que, si cette rééducation est bien menée, elle a des effets durables : « Le cerveau est malléable, ces exercices peuvent modifier sa structure physique, son cablage. Contrairement à ce qu'on a cru pendant longtemps, les malades mentaux peuvent jouer un róle actif dans leur guérison. » Les scientifiques ne sont pas les seuls à s'intéresser aux ondes cérébrales. Depuis des décennies, en Californie, des artistes avant- gardistes et des adeptes de la méditation se servent d'appareils EEG pour apprendre à mieux se connaitre et pour épanouir leur créativité ou leur paix intérieure. Plus récemment, des sociétés d'électronique ont commencé à fabriquer des casques EEG bon marché, concus pour commander des jeux vidéo sur un PC ordinaire. Plusieurs modèles sont envente libre sur Internet. Le plus simple, produit par la société américaine NeuroSky, fonctionne avec une seule électrode et conte 1 zo dollars (92 euros). Plus sophistiqué, le casque Epoc, de la société australienne Emotiv, comporte i4électrodes, afin de capter une large gamme de signaux cérébraux. Pour 3oo dollars, Emotiv livre son casque accompagné de plusieurs jeux vidéo pour PC sous Windows concus ou modifiés pour étre commandés par son casque. A ce jour, il s'agit de jeux de combat assez simples ou de jeux de construction. Emotiv fournit aussi un logiciel permettant de remplacer le clavier de l'ordinateur par des commandes cérébrales. Des modèles adaptés aux consoles de jeux sont en préparation. Actuellement, les interfaces cerveau-ordinateur ne permettent d'envoyer qu'une commande à la fois. Les concepteurs de jeux devront imaginer des systèmes hybrides —par exemple, pour une course de voitures, la trajectoire sera commandée par un joystick et la vitesse par le casque, ou l'inverse. Les grands éditeurs de jeux vidéo ne se sont pas encore lancés dans ce secteur, mais ils s'en rapprochent, en dotant leurs consoles de capteurs sensoriels permettant d'évaluer l'état émotionnel du joueur : pouls, mouvements du visage et des yeux, inflexions de la voix... Pour promouvoir l'essor d'un marché de masse du casque EEG, les fabricants publient des outils logiciels permettant aux développeurs indépendants d'inventer de nouvelles applications, qui seront proposées au grand public dans des boutiques en ligne — selon le modèle mis en piace par Apple et Google pour leurs smartphones. Par ailleurs, Emotiv affirme travailler en partenariat avec une soixantaine de centres de recherche et de grandes entreprises qui utilisent son casque pour mener des expériences très diverses, allant de l'ergonomie industrielle au marketing Des robots contrólés par un cerveau humain Au laboratoire de robotique de Tsukuba, unité mixte entre le CNRS et un institut japonais, l'Advanced Industrial Science and Technology (AIST), les chercheurs ne piratent pas les neurones mais ont des ambitions elles aussi très futuristes. Cette équipe appartient en effet au projet européen VERE (Virtual Embodiment and Robotic Re-embodiment), qui vise à « dissoudre lafrontière entre les coi-13s humains et des avatars », comme des robots par exemple. L'équipe est ainsi parvenue, comme elle l'a exposé en juin au Canada lors d'une conférence de robotique expérimentale, à contróler un robot humanoide par la pensée. Plus précisément, un humain coiffé d'un casque électroencéphalographe (EEG) a ordonné à HRP-2, un robot de l'AIST de 6o kg pour 1,5o m, de saisir une certaine canette, puis de se déplacer dans la pièce et enfin de la poserà une place choisie par l'homme. Le tout sans un quelconque pilotage manuel. « C'est la premièrefois qu'avec une interface cerveau-ordinateur on parvient à effectuer plusieurs t &hes différentes », explique Abderrahmane Kheddar, le directeur de ce laboratoire. Pour y parvenir, ses collègues et lui auraient pu utiliser les ondes P3oo mais ont préféré les SSVEP (pour « steady-state visually evoked potential »). Ce sont des signaux neuronaux qui oscillent à la méme fréquence qu'un stimulus visuel clignotant. Par exemple, si sur un écran l'utilisateur préfère un objet clignotant à une fréquence de 6 hertz plutót que celui vibrant à io hertz, alors un signal à la fréquence de 6 hertz sera émis par son cerveau. En incrustant des symboles clignotants dans les images prises par le robot, les chercheurs ont mis au point un protocole de contróle. Quatre fréquences sont utilisées, permettant de choisir un objet, de fixer une direction de déplacement, puis d'indiquer une position sur une table où poser l'objet. Des systèmes de reconnaissance d'images sont également utilisés par le robot pour identifier les objets. Enfin, des outils de réalité augmentée consistant à ajouter des images virtuelles dans une scène réelle complètent la panoplie. Résultat, après un apprentissage de six minutes, les quatre personnes testées ont eu en moyenne 8o % de taux de succès. «Ce taux peut étre amélioré si on augmente le temps de latence, c'est-à-dire le temps entre la stimulation visuelle et la génération de l'ordre », précise Abderrahmane Kheddar. Cependant, cette démonstration fonctionne bien car le robot est programmé pour associer une tache à un objet, en l'occurrence l'attraper. L'utilisateur n'a pas, pour l'instant, la possibilité de « dire » quoi faire avec l'objet. « Nous envisageons l'étape suivante, qui consistera à travailler avec des tétraplégiques », indique le chercheur. Un de ses anciens étudiants, Anatole Lécuyer, de l'Inria, envisage, lui, d'autres applications médicales après la création, en novembre, d'une startup, Mensia Technologies. «L'EEG va sortir du laboratoire. Chacun pourra apprendre à mesurer son cerveau », s'enthousiasme Jean-Yves Quentel, le directeur de l'entreprise, qui repose sur un logiciel de l'Inria, OpenViBE. Ce dernier enregistre les signaux de l'EEG, les filtre, les traite et permet ensuite de définir des ordres à fournir à la machine. La société envisage de développer des appareils dans les hópitaux pour mesurer en temps réel les effets d'un exercice ou d'un médicament. De premiers essais ont débuté sur des troubles du sommeil ou de l'attention. ? DAVID LAROUSSERIE UN NOUVEL OUTIL DE FORMATION Un simulateur médical adapté à J'état mental de l'utilisateur. C'est le concept développé par l'équipe d'Anatole Lécuyer (lnria, Rennes), récemment présenté en démonstration à Strasbourg lors d'une joumée de rencontre Inria-industrie. Confortablement assis, l'utilisateur manipule un bras à retour de force qui lui permet de déplacer une aiguille virtuelle. Sa tache consiste à atteindre une tumeur du foie qu'il visualise sur l'écran en face de lui. En temps réel, sa « charge mentale » est mesurée par un système d'interface cerveauordinateur faisant appel à un casque EEG. Quand elle est élevée, ce qui signifie que l'opérateur est très concentré sur une action délicate, les aides visuelles et haptiques sont automatiquement activées. Elles sont désactivées lorsque la charge mentale est faible, parce qu'il maitri se le geste. Selon ses concepteurs, « ce système d'entrainement adaptahf devrait pertnettre d'arnéliorer l'apprentissage de la tàche par l'utilisateur ». « Il est plus facile de pirater un ordinateur qu'un cerveau » L e professeur Steven Laureys, neurologue et chercheur, dirige le Coma Science Group à Liège (Belgique). Les travaux de son équipe portent principalement sur l'étude de la conscience et de ses altérations. Vous utilisez des interfaces cerveaumachine avec électroencéphalogramme (EEG) chez vos patients atteints de lésions cérébrales. Dans quelles indications ? Ces dispositifs, qui sont étudiés depuis longtemps par les neuroscientifiques, peuvent étre utiles pour démontrer l'existence de signes de conscience chez certains individus et pour communiquer avec eux. C'est par exemple le cas lors de troubles moteurs majeurs corame le locked-in syndrome [pseudocoma par atteinte du tronc cérébral] ou la sclérose latérale amyotrophique évoluée, où les patients sont incapables de réaliser le moindre mouvement alors qu'ils ont toutes leurs facultés cognitives. En fait, l'électroencéphalogramme est l'une des méthodes, parrai les moins invasives, qui nous aident à décoder l'activité neuronale. Celle-ci peut étre alors enregistrée, analysée, puis traduite en une commande. Avec ces systèmes, qui permettent de court-circuiter leurs lésions cérébrales, des malades peuvent ainsi retrouver un moyen de communiquer avec les médecins et leurs proches ; ils peuvent aussi contreiler un appareil —ordinateur ou fauteuil par exemple — par la pensée. Décoder l'activité neuronale par électroencéphalogramme pourrait-il permettre de voler les pensées de quelqu'un? C'est un grand fantasme, mais il est plus facile de pirater un ordinateur qu'un cerveau. Aujourd'hui, on ne peut pas prendre vos données cérébrales personnelle s à votre insu. Certes, le décodage de l'activité neuronale à partir de l'analyse d'onde s cérébrales est possible en laboratoire, mais les interfaces cerveau machine restent encore très complexes à mettre en ceuvre et nous demandent beaucoup de travail. Il existe encore beaucoup de défis techniques et informatiques à résoudre. Cela explique d'ailleurs pourquoi ces systèmes sont encore peu utilisés au quotidien par ces patients. En pratique, il n'est pas évident de réduire une fonction cognitive (vigilane, mémoire...) à une région cerebrale ou à une onde spécifiques. Il faut se rappeler que le cerveau est bien protégé à l'intérieur de la boite crànienne, et qu'un signal obtenu par un électroencéphalogramme de surface correspond à l'activité de milliers de neurones. Pour enregistrer une activité plus fine, représentant seulement quelques cellules nerveuses, il faut implanter des microélectrodes à l'intérieur du cerveau, ce qui est beaucoup plus invasif. Cela dit, vu la vitesse des progrès technologiques dans ce domaine, on ne sait pas de quels outils disposeront nos enfants, peut-étre allons- nous vers l'implantation de micro-implants cérébraux ! On ne peut pas exclure l'hypothèse d'un piratage du cerveau, méme si cette perspective semble encore bien lointaine. Le principe d'interface cerveau-machine avec analyse des ondes cérébrales par électroencéphalogramme a été repris pour créer des jeux vidéo. Les casques EEG utilisés pour ces applications ludiques sont-ils aussi performants que ceux employés pour la recherche? Il existe effectivement une série de jeux où l'objectif est de faire bouger un objet sur un écran, en fonction des ondes captées par un système d'électrodes de surface vendu dans le commerce. Mais si le principe reste sensiblement le méme que celui des EEG effectués en médecine ou en recherche, la qualité du signal diffère. Contrairement aux casques EEG utilisés dans les hòpitaux, ceux destinés au grand public font appel à des électrodes sèches, sans gel, ce qui conduit à des signaux relativement plus pauvres. De plus, leur nombre d'électrodes est beaucoup plus limité, d'où une perte possible d'informations. Enfin, il semble qu'une partie des données enregistrées par ces casques corresponde en fait à des activités musculaires et non cérébrales. Maìs, là aussi, prédire l'avenir est un exercice difficile, tant les technologies progressent rapidement pour un coùt de plus en plus modeste. Vos secrets les mieux gardés trahis par les ondes cérébrales ? 'arrivée des casques électroencé phalographes (EEG) grand public et l'apparition de sites de téléchargement proposant des jeux adaptés à cette nouvelle interface ont déjà alerté la communauté des experts en sécurité informatique. Ils y voient une nouvelle menace pour le respect de la vie privée des utilisateurs — mais cette fois, les pirates iraient voler des informations confidentielles directement dans leur tete. Les premiers travaux dans ce domaine ont été menés cette année à l'initiative d'un informaticien, Ivan Martinovic, qui a aussi des notions de neurosciences car c'est un ami proche du neuroscientifique Tomas Ros (université de Genève) : « Quand nous étions étudiants, Tomas se servait de moi comme cobaye pour ses expériences d'interface cerveauordinateur. » A partir du printemps 2011, les deux amis concoivent une série d'expériences. Elles furent réalisées par une équipe de l'université de Californie à Berkeley, où Ivan Martinovic travaillait à l'époque, sur des volontaires portant des casques achetés 3 oo dollars (23 o euros) sur Internet. L'objectif était de mesurer un signal cérébral baptisé P3 oo-B, émis par certains neurones quand le cerveau identifie une information qu'il connait déjà, et qu'il juge pertinente pour résoudre un problème ou répondre à une question. L'émission d'un signal P3 oo-B est un réflexe a priori incontrólable. Combinaison unique Lors du premier test, on demande aux volontaires de penser au code PIN de leur carte bancaire, puis on leur montre une succession de chiffres. Quand le premier chiffre de leur code apparait à l'écran, ils le reconnaissent et leur cerveau émet un signal P3 oo-B. Les scientifiques de Berkeley ont ainsi pu découvrir un à un les chiffres composant le code de plusieurs participants. Puis, en leur montrant différents modèles de cartes de crédit, ils ont déduit le nom de la banque où ils possèdent un compte. Selon le méme principe, ils ont deviné leur mois de naissance. En affichant des cartes de différentes parties de la ville, ils ont déterminé dans quel quartier ils habitaient. Enfin, en affichant les photos de cinq visages — quatre inconnus et un connu—, ils ont constaté que, en voyant le visage familier, les participants émettent un signal P3 oo-B. Les résultats furent imparfaits, à cause de la qualité médiocre des casques, mais assez significatifs pour donner lieu à publication. A partir de là, Ivan Martinovic et Tomas Ros ont imaginé une infinité de scénarios, plus inquiétants les uns que les autres. Un exemple : des pirates informatiques pourraient mettre en ligne un jeu pour casque EEG apparemment anodin, mais contenant une fonction cachée qui mesurerait les réactions des joueurs à certains stimuli et collecterait à leur insu des informations confidentielles sur leur compte bancaire, leur date de naissance, leur adresse, leurs amis... Les pirates pourraient ensuite utiliser ces données privées pour usurper l'identité de leurs victimes sur les sites bancaires, les réseaux sociaux, etc. Dans un autre registre, les tests de reconnaissance pourraient servir à la police, car ce sont des détecteurs de mensonge très efficaces — par exemple pour démasquer un suspect qui fait semblant ne pas connaitre un visage ou un lieu sur une photo. Tomas Ros est persuadé que les jeux sont déjà faits : « Dans quelques années, des appareils de ce genre seront utilisés dans les procédures judiciaires, c'est inévitable. » Des pirates ingénieux pourraient un jour exploiter d'autres signaux, par exemple le P3 o o-A, émis par le cerveau quand il réagit de facon favorable à une information nouvelle et pertinente. En théorie, on peut méme capter l'ensemble des ondes émises par une personne et obtenir ainsi son « empreinte cerebrale personnelle » car chaque etre humain émet une combinaison unique de signaux (fréquence, rythme, puissance, etc.). Selon Tomas Ros, cette technique permettra à l'avenir d'identifier les humains avec plus d'exactitude que les empreintes digitales ou l'image de l'iris. ? _________________________________________________________________ Il Sole24Ore 9 Dic. ’12 APA: IL MANUALE DEI DISTURBI È giunto alla quinta edizione il «Manuale Statistico Diagnostico» americano: introduce nuove etichette diagnostiche, da valutare bene Vittorio Lingiardi L'American Psychiatric Association (Apa) ha appena approvato i criteri diagnostici finali per la quinta edizione del Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali (Dsm-5), che uscirà nella primavera del 2013. Revisioni dell'ultima ora saranno possibili, ma questi criteri sono considerati definitivi. L'ultimo processo di revisione del manuale psichiatrico più diffuso e più influente del mondo (di cui su queste pagine abbiamo dato ampi resoconti; vedi per esempio «Dsm, la rivolta dei medici» in Domenica del 4 dicembre 2011, pag. 31) è durato più di un decennio e ha coinvolto oltre 1.500 esperti di 39 nazioni. Quali i cambiamenti principali? Il più clamoroso è un non cambiamento, cioè il ritorno ai vecchi criteri per le diagnosi dei disturbi di personalità. Era stata annunciata una rivoluzione, nulla cambierà: niente approccio dimensionale (valutare l'intensità di un tratto, più che la sua presenza/assenza), niente ancoraggi forti al biologico, nessuna riduzione del numero di etichette diagnostiche (dopo che anche il tentativo di espellere il disturbo narcisistico era fallito). Rimane solo l'inclusione della metodologia di valutazione tratto-specifica, ma in una sezione separata, di solito destinata all'oblio: quella di incoraggiamento a ulteriori studi. Di fatto, la direzione dell'Apa ha rigettato le proposte della sua task force sulla personalità. Che dire? Un'occasione sprecata. Tanto rumore per nulla. Il fallimento di un gruppo di lavoro. Ma anche, il meglio è nemico del bene. Franata, sotto il peso di infinite critiche, la costruzione ambiziosa di un progetto troppo accademico e tutto sommato lontano dalle esigenze del clinico, si ritorna ai rassicuranti (per i ricercatori), ma forse superati (per i clinici), prototipi, quasi teofrastiani: il paranoide, lo schizoide, il borderline, il dipendente eccetera. Detto questo, anche i più disincantati non possono nascondere un moto di ammirazione per la capacità mostrata da una macchina da guerra (anche economica, per costi e ricavi) come quella del Dsm di tornare sui propri passi e dire «scusate, ci siamo sbagliati». Cambiamento dalle molte implicazioni sarà invece l'eliminazione del sistema multiassiale: la diagnosi Dsm non descriverà più il paziente per assi separati (disturbi psichiatrici maggiori, disturbi di personalità, condizioni mediche associate), ma cercherà di combinare le diverse aree, aggiungendo notazioni separate per i fattori psicosociali (ex Asse IV) e per il funzionamento globale (ex Asse V). Naturalmente è prevista l'introduzione di nuove etichette diagnostiche, con relative luci e ombre. Tra queste, il disturbo dello spettro autistico (che include diverse diagnosi tra cui autismo, sindrome di Asperger, disturbo disintegrativo dell'infanzia e che dovrebbe spingere i clinici a essere più specifici e accurati nel diagnosticare l'autismo); il binge eating disorder (alimentazione incontrollata) come disturbo autonomo; il disruptive mood dysregulation disorder (per bambini con persistente irritabilità ed episodi frequenti di comportamento esplosivo); lo skin-picking disorder (dermatillomania) come nuova categoria nel contesto del disturbo ossessivo-compulsivo; il disturbo da accumulo, per persone con persistenti difficoltà di eliminare o separarsi dai beni, indipendentemente dal loro valore reale; il disturbo neurocognitivo minore per le piccole dimenticanze quotidiane legate alla vecchiaia (col rischio di creare, con una diagnosi inutile, più ansia che beneficio, oltre a una valanga di falsi positivi per demenza). Altre novità prevedono la rimozione del lutto dai criteri di esclusione per la depressione maggiore (il che significa sì riconoscere il lutto come grave evento stressante, ma anche medicalizzarlo e banalizzarlo) e la combinazione di abuso e dipendenza in un'unica diagnosi (rischiando di confondere i tossicodipendenti cronici con chi fa uso di sostanze stupefacenti). Avrà anche il dente avvelenato, Allen Frances, ma certo non ha peli sulla lingua quando scrive che l'Apa ha approvato un Dsm-5 sbagliato, che promuove cambiamenti nosografici poco sicuri clinicamente e poco fondati scientificamente. E quando consiglia ai medici, alla stampa e al pubblico in generale di accogliere il nuovo manuale con scetticismo, considerando con attenzione il rischio di iperdiagnosticare e, di conseguenza, iperfarmacologizzare l'approccio ai disturbi mentali. Una critica non da poco, se pensiamo che, chi la avanza, è il leader della precedente edizione del Dsm. _________________________________________________________________ Le Scienze 7 Dic. ’12 PICCOLE MOLECOLE CHE RIPARANO IL CUORE Alcune specifiche sequenze di piccole molecole di RNA sono in grado di stimolare la replicazione dei cardiomiociti, le cellule muscolari contrattili che si trovano nel cuore. Il risultato, ottenuto su topi, apre nuove interessanti prospettive anche nel campo della medicina rigenerativa, in particolare per soggetti colpiti da infarto, che subiscono un danno permanente al tessuto cardiaco Specifiche sequenze di microRNA – piccole molecole di RNA coinvolte nei meccanismi di regolazione dell’espressione dei geni – possono stimolare la divisione dei cardiomiociti, cioè le cellule muscolari contrattili che si trovano nel cuore. È quanto riporta un articolo pubblicato su “Nature” a firma del gruppo di Mauro Giacca del laboratorio di medicina molecolare dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste, in collaborazione con l’Università di Trieste e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria ‘‘Ospedali Riuniti” della stessa città, e con l’Università di Würzburg, in Germania. Il risultato rende più vicina l'identificazione dei meccanismi di regolazione che mantengono i cardiomiociti in uno stato di quiescenza e un loro eventuale impiego terapeutico. Queste cellule, infatti, terminano il loro ciclo di replicazione poco dopo la nascita e raramente si dividono ancora nei successivi anni di vita. Questo fenomeno ha un effetto particolarmente evidente nei soggetti colpiti da infarto miocardico, in cui la morte dei cardiomiociti produce un danno permanente al tessuto cardiaco. Tuttavia, studi effettuati in passato hanno anche mostrato in alcuni soggetti colpiti da infarto una limitata capacità di rigenerazione dei cardiomiociti in aree del cuore non interessate dal danno ai tessuti, suggerendo che la rigenerazione sia una risposta adattativa all'infarto. Sezione di muscolo cardiaco (© Dr. David Phillips/Visuals Unlimited/Corbis)Un’altra prova importante del limitata ma comunque presente capacità rigenerativa dei cardiomiociti è stata ottenuta nel 2009 da Jonas Frisén del Karolinska Institute di Stoccolma, in Svezia, con una singolare ricerca che ha documentato che bassi livelli di carbonio-14 disperso in atmosfera da test nucleari dopo la seconda guerra mondiale siano rintracciabili nel DNA dei cardiomiociti di persone nate prima del 1955. Questi dati hanno mostrato che, negli adulti, ogni anno è rigenerato circa l'uno per cento dei cardiomiociti. Quindi, tutte le conoscenze disponibili fanno ritenere estremamente rilevante lo studio dei meccanismi rigenerativi dei cardiomiociti e dei possibili interventi farmacologici in grado di stimolarli. Lo studio di Giacca e colleghi, basato su tecniche di spettroscopia di massa estremamente sensibili, ha confermato innanzitutto il basso tasso di replicazione delle cellule cardiache. Ma il risultato più rilevante è stata l'identificazione di 40 molecole di microRNA (miRNA) in grado di raddoppiare il tasso di divisione dei cardiomiociti postnatali di ratto e di topo. Di questi 40 miRNA, Giacca e colleghi ne hanno selezionati due su cui poi si sono concentrati le fasi successive dell'esperimento. Grazie a test in vivo su topi, Giacca e colleghi hanno dimostrato che è possibile stimolare la proliferazione dei cardiomiociti inserendo in queste cellule i due microRNA con vettori usati nella terapia genica. Inoltre, in topi colpiti da infarto i due miRNA favoriscono processi di riparazione del tessuto cardiaco normalmente inefficaci, migliorando sensibilmente la funzionalità cardiaca con in passare del tempo. _________________________________________________________________ Le Scienze 7 Dic. ’12 LA STORIA GENETICA DELLA DIASPORA ROM La più grande minoranza europea - che conta complessivamente ben 11 milioni di persone - lasciò l'India nordoccidentale 1500 anni fa per arrivare 600 anni dopo nei Balcani, e da qui diffondersi in tutta Europa, ricevendo un ridotto ma chiaro apporto genetico dalle altre popolazioni europee (red) Le popolazioni rom europee oggi si differenziano fra loro per lingua, stili di vita e religione, ma provengono tutte dalle stesse regioni dell'India, da cui sono migrate circa 1500 anni fa. E' quanto risulta da una ricerca genetica pubblicata sulla rivista “Current Biology” che ha analizzato i dati relativi a 13 gruppi di rom che vivono in diverse nazioni. In rosso intenso, l'area di provenienza della popolazione originaria. (Cortesia Mendizabal et al./Current Biology)Con 11 milioni di persone, sia pure disperse in molti paesi, i rom rappresentano la più grande minoranza europea : ua popolazione numerosa quanto quella di nazioni come la Grecia, il Portogallo e il Belgio. Il popolo rom, però, non ha documenti storici scritti sulle proprie origini e alla sua diffusione. Proprio per colmare questa lacuna, David Comas e Manfred Kayser dell'Università Erasmus di Rotterdam, nei Paesi Bassi - con la collaborazione di numerosi colleghi di molti paesi - hanno intrapreso il loro studio. "Eravamo interessati a esplorare la storia dei rom europei perché costituiscono una frazione importante della popolazione del continente, ma la loro situazione di emarginazione in molti paesi sembra aver influenzato anche la loro visibilità negli studi scientifici", ha spiegato Comas. Analizzando circa 800.000 polimorfismi di singolo nucleotide di 152 persone rom appartenenti a 13 differenti gruppi, e confrontandolo con le basi di dati genetiche disponibili relative a numerose altre etnie europee e non europee, i ricercatori hanno potuto stabilire che la popolazione originaria è partita circa 1500 anni fa dalle regioni nordoccidentali dell'India, per dirigersi dapprima verso il Medio e Vicino Oriente. La successiva migrazione verso il continente europeo, avvenuta attraverso i Balcani, è iniziata invece circa 900 anni fa. Giunti in Europa, i rom, rimasti fino a quel momento geneticamente molto “compatti”, con limitatissimi scambi genetici con le popolazioni mediorientali, sono stati protagonisti di una vera e propria diaspora. La cartina indica la stima della popolazione rom per paese, l'anno approssimativo dell'arrivo dei primi gruppi di rom (in blu) e il numero di soggetti rom analizzti nella ricerca per ogni paese. (Cortesia Mendizabal et al./Current Biology)Dall'analisi dei dati genetici è risultato anche che durante il periodo mediorientale i rom hanno subito una drammatica involuzione demografica: la popolazione diminuì fino al 47 per cento di quella originaria. Ma un altro “collo di bottiglia” demografico si verificò non molto dopo l'arrivo in Europa, questa volta con una riduzione della popolazione del 70 per cento rispetto a quella che aveva passato il Bosforo. Nei secoli successivi la situazione migliorò. Un rom del Galles (© John Warburton-Lee/JAI/Corbis)Questi colli di bottiglia hanno verosimilmente influito sul peso degli apporti genetici ricevuti da altre popolazioni europee non rom: gli attuali rom europei appaiono geneticamente ben distinti da quelli oggi presenti in Asia. Tuttavia, l'apporto ricevuto non è stato tale da renderli molto omogenei alle altre popolazioni europee, complice la forte tendenza all'endogamia della loro cultura. L'analisi genetica rivela infatti una parentela molto più stretta fra i gruppi rom presenti in paesi anche molto lontani che con gli altri europei. Con un'eccezione: i rom insediatisi nel Galles mostrano una forte deriva genetica con significativi apporti di europei non rom. _________________________________________________________________ Le Scienze 8 Dic. ’12 LE ESPERIENZE DI PRE-MORTE E LA (NON) PROVA Le cosiddette esperienze di pre-morte, che il recente libro di un neurochirurgo sopravvissuto al coma ha cercato di spacciare come prova dell'esistenza del paradiso, sono in realtà spiegabili in termini neurologici. Ma soprattutto, le sensazioni e le visioni che si sperimentano in quelle occasioni non sono affatto legate a situazioni in cui si sta effettivamente morendo, poiché si possono verificare in molte altre Sei proiettato in una luce accecante. Intorno a te, i fantasmi di persone scomparse. Gruppi di nuvole si allontanano ondeggiando, lasciando il posto a un luccicante portale dorato. Senti l'aria mossa da un delicato frullare d'ali. Tutto è rilassante, confortante, familiare. Paradisiaco. E' un paradiso che alcuni sperimentano nel corso di una morte apparente. La sorprendente coerenza di queste visioni celesti durante le cosiddette esperienze di "pre-morte", secondo molte persone indica che ci attende una vita nell'aldilà. I credenti interpretano questi racconti - simili, ma con delle varianti - come nella storia dei ciechi che tastano un elefante: ognuno sente qualcosa di diverso (la coda è un serpente, le gambe tronchi d'albero), benché tutti stiano toccando la stessa cosa. Gli scettici sottolineano la curiosa tendenza del paradiso a uniformarsi ai desideri umani e a manifestarsi in forme legate alla cultura o al periodo storico. Il paradiso, in una prospettiva teologica, ha un qualche tipo di porta. Quando si muore, questa porta – una specie di binario 9 ¾ di Harry Potter – dovrebbe apparire a chi sta correndo verso la fossa. E l'unico modo per vedere il paradiso senza salire davvero sul treno sarebbe l'esperienza di pre-morte. Riportate recentemente sotto la luce dei riflettori da un chirurgo che sostiene che siano Proof of Heaven, la prova del paradiso, le esperienze di pre-morte sono state oggetto di attenzione sia da parte di teologi sia di scienziati per la loro supposta capacità di mostrare in anteprima il grande concerto celeste. Ma arrivare a vedere il paradiso è un inferno, bisogna morire. Oppure no? VARCARE LA SOGLIA CON EBEN ALEXANDER Nell'ottobre scorso, il neurochirurgo Eben Alexander ha affermato che "il paradiso è reale", guadagnandosi la copertina dell'ormai defunta rivista “Newsweek”. La sua descrizione del paradiso si basa su una serie di visioni che ha avuto mentre era in coma, colpito da una forma particolarmente grave di meningite batterica. Alexander sostiene che, poiché durante la malattia la sua corteccia era "inattiva", le sue visioni di pre-morte indicano l'esistenza di un intelletto che prescinde dalla materia grigia; e che, quindi, una parte di noi sopravvive alla morte cerebrale. La copertina di ottobre di "Newsweek".Le splendenti descrizioni dell'aldilà di Alexander sono belle e coinvolgenti, ma sono state anche promosse a prova scientifica. Poiché Alexander è uno "scienziato" del cervello (più precisamente, un neurochirurgo), il suo racconto sembra avere maggior peso. Le pretese di scientificità di Alexander sono state oggetto di aspre critiche, e, a mio avviso, smentite senza ombra di dubbio. Il neurologo Steve Novella demolisce le basi stesse della pretesa Alexander osservando che il presupposto di fondo, che la sua corteccia cerebrale fosse "disattivata", è sbagliato. "Alexander afferma che non esistono spiegazioni scientifiche per le sue esperienze, ma eccone una: [le esperienze] si sono verificate mentre le sue funzioni cerebrali erano in calo o in ripresa, o in entrambi i momenti, e non quando vi era poca o nessuna attività cerebrale." E non basta. Il neuroscienziato Sam Harris sottolinea che mancano addirittura le prove dell'inattivazione cerebrale di Alexander. "Il problema è che TAC ed esami neurologici [quelli citati dal neurochirurgo] non possono stabilire l'inattività neuronale, né nella corteccia né in qualsiasi altro luogo. E Alexander non fa alcun riferimento a dati funzionali che potrebbero essere stati acquisiti con fMRI, PET o EEG, né sembra rendersi conto che solo quel tipo di prova potrebbe sostenere la sua tesi." Dato che le presunte prove di Alexander mancano di fondamento scientifico, gli scettici suggeriscono che abbia avuto un'esperienza di pre-morte, che ha rimpolpato con il suo desiderio di conferma e colorito con la sua cultura. Harris conclude: "Credo di non aver mai sentito uno scienziato parlare in modo così indicativo di un pio desiderio. Se l'autoinganno fosse uno sport olimpico, è così che i nostri atleti più dotati vorrebbero apparire nella forma migliore". Queste critiche non sono isolate. Sull'Huffington Post, Paul Raeburn, riferendosi alla visione di Alexander promossa a resoconto scientifico, ha scritto, "Siamo tutti umiliati, e il dibattito nazionale è svilito da chi promuove questo genere di cose a scienza. Si tratta di fede religiosa. Nient'altro". E benché sia lecito aspettarsi questi toni dagli scettici, in realtà la pensano così anche alcuni credenti: sul “Christian Post”, Greg Stier scrive che, pur credendo fermamente all'esistenza del paradiso, non dovremmo considerare una prova i racconti di esperienze di pre-morte come quello di Alexander. ALTRO CHE SCIENZA Le critiche ad Alexander sottolineano che le sue visioni sono quelle di una classica esperienza di pre-morte: la luce bianca, il tunnel, i sentimenti di connessione, ecc. E tanto basta per smantellare il suo racconto di un "intelletto immateriale" perché, finora, la maggior parte dei sintomi di un'esperienza di pre-morte sono di fatto scientificamente spiegabili. (Non intendo approfondire la questione: nel sito, un altro articolo fornisce una descrizione dettagliata degli elementi di prova, così come questo studio.) Si potrebbe sostenere che la descrizione scientifica dei sintomi di un'esperienza di pre-morte non è che il resoconto fisico di ciò che accade quando vi si incappa. Un cervello senza ossigeno può esperire la "visione di un tunnel", ma un cervello senza ossigeno è anche vicino alla morte e si avvicina l'aldilà, per esempio. Questo argomento si basa però sul fatto che si stia davvero morendo. Ma, senza impegnarmi in una ginnastica teologica, penso che ci sia un aspetto trascurato ma fondamentale riguardo al fenomeno della pre-morte: gli studi hanno dimostrato che non c'è bisogno di essere sul punto di morire per avere un'esperienza di pre-morte. "Morire" Nel 1990 su “Lancet” fu pubblicato uno studio che esaminava le cartelle cliniche di persone che avevano avuto sintomi di un'esperienza di pre- morte a causa di qualche infortunio o malattia: lo studio dimostrava che su 58 pazienti che riferivano esperienze "insolite" simili a quelle di pre-morte (il tunnel, la luce, essere al di fuori del proprio corpo, ecc), 30 non erano affatto in pericolo di vita, anche se credevano di esserlo. Ascesa all'Empireo di Hieronymus Bosch. (© Marco Secchi/Corbis)Ma perché il cervello reagisce in questo modo alla morte (anche solo immaginata)? Beh, la morte è una cosa spaventosa. I resoconti scientifici sull'esperienza di pre-morte la caratterizzano come un meccanismo di risposta psicologica e fisiologica del corpo a questa paura, con la produzione nel cervello di sostanze chimiche calmanti, inducendo sensazioni di euforia per ridurre il trauma. Pensate un alpinista che precipita in un dirupo. Se è profondamente credente, l'esperienza con cui potrà entrare in contatto sarà molto simile alle sensazioni di pre-morte (per esempio, "la vita mi è passata davanti agli occhi ..."). Lo sappiamo perché alcune delle persone a cui è accaduto sono tornate fra noi. I sintomi scientificamente spiegabili dell'esperienza di pre-morte puntano alla neurologia anziché al paradiso. IL PARADISO PUÒ ATTENDERE Spiegare l'esperienza di pre-morte in modo puramente fisico non vuol dire che le persone non sperimentino un intenso viaggio mentale. L'esperienza è reale e ci dice diverse cose sul cervello (sollevando interrogativi ancora più affascinanti sulla coscienza). Ma l'intensità emotiva ed esperienziale non dice nulla sul paradiso o sulla vita dopo la morte in generale. Anche l'ingestione di una dose non pericolosa di ketamina può indurre le stesse sensazioni, ma raramente si considera questo stato euforico uno sguardo sul paradiso e su Dio. Come posso negare con tanta semplicità l'importanza teologica di un'esperienza di pre-morte? Come ho detto, capisco benissimo quanto reale e preziosa possa essere. Ma in questo caso, come nella scienza, una teoria può essere sconfitta dalla sperimentazione. Come disse Richard Feynman: "Non importa quanto è bella la tua teoria, non importa quanto sei intelligente. Se non è in accordo con l'esperimento, è sbagliata”. Con la sperimentazione si stanno vagliando le esperienze di pre-morte in varie condizioni. Le stesse sensazioni possono prodursi anche quando in realtà non si sta morendo? Se è così, bussare alla porte del paradiso è un'illusione, anche se il paradiso esiste davvero: San Pietro è sicuramente in grado di capire la differenza tra una persona che sta morendo e una che ha le allucinazioni. L'esperienza di pre-morte come prefigurazione del Paradiso è, forse, una bella teoria, ma è sbagliata. Appoggiato su soffici nuvole bianche, forse il paradiso ci attende. Non possiamo dimostrare che non sia così. Ma possiamo chiarire che l'esperienza di pre-morte non dipende dalla morte, e che ci dice quanto interessante e complesso sia il cervello umano. Niente di più. _________________________________________________________________ Unione Sarda 4 Dic. ’12 ORA L’AIDS FA MENO PAURA Più stranieri, meno donne, aumentano le infezioni contratte attraverso il sesso (78.8%), diminuiscono quelle legate alle iniezioni di eroina. Così è cambiato negli ultimi dieci anni il pianeta Aids. Una metamorfosi avvenuta quasi in silenzio. La malattia non fa più notizia, anche perché, curata sempre meglio, si avvia a una sorta di “normalizzazione”. «Un fatto positivo, quest’ultimo, con risvolto negativo: si abbassa infatti il livello di attenzione al contagio. A farne le spese soprattutto ultraquarantenni vittime di rapporti sessuali non protetti», dice Paolo Emilio Manconi, docente di Medicina interna all’università di Cagliari, da sempre impegnato contro l’Aids. ANNI ’80 Dopo gli allarmismi (spesso esagerati) e la progressione dell’epidemia negli anni ’80 e ’90, le infezioni da Hiv hanno assunto un andamento costante, in leggera diminuzione fra i tossici, stabile fra etero e omosessuali. Il Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di Sanità ha rilevato, nel 2011, un’incidenza di 5,8 nuovi casi di positività all’Hiv ogni 100 mila residenti (in aumento a Sassari Bolzano, Valle d’Aosta, Umbria e Sicilia, stabile altrove): 3,9 fra gli italiani, 21 fra gli stranieri. Il numero dei maschi (75% del totale) è il triplo rispetto a quello delle femmine. I DATI Le persone vittime dell’Hiv hanno un’età media di 35 anni (le donne) e 39 (gli uomini) più della metà scopre l’infezione già in fase avanzata, con il sistema immunitario compromesso. Grazie al miglioramento delle terapie basate su farmaci antiretrovirali, aumenta in Italia la sopravvivenza: il numero dei sieropositivi e dei soggetti con Aids conclamato, nel giro di circa 10 anni, è passato da 135 mila e 157 mila casi: «In questi ultimi anni la malattia sta diventando meno grave, c’è stata anche una diminuzione della mortalità, che va quasi azzerandosi in Italia, mentre si riduce molto nel resto del mondo». In Sardegna, la diffusione del virus è sovrapponibile a quella della penisola. Dall’inizio dell’infezione, nel 1982, al 2012, si sono registrati 1841 casi. La provincia in cui ci si è ammalati di più è quella di Cagliari, con 1.124 casi, seguita da quella di Carbonia Iglesias (78), Medio Campidano (89), Nuoro (56), Ogliastra (10), Olbia Tempio (113), Oristano (58) e Sassari (313). Una progressione lenta, se si considera che dal 2008 a oggi si sono registrati 49 casi. I FARMACI In questi anni l’epidemia è stata fronteggiata grazie a medici esperti «e a una serie di farmaci efficaci. Se un paziente è resistente a un regime terapeutico, se ne trova un’altro che funziona. Il fallimento della cura, un problema fino a 5 anni fa, oggi è meno frequente». Più facile anche prendere i farmaci: «Una volta il paziente doveva assumere anche 10 pillole in un giorno, oggi ne basta una sola, la sera: siamo alla bedside terapy, la terapia del comodino». Purtroppo, bisogna però fare i conti coi costi, come avviene sempre più spesso nella sanità pubblica: «Un problema immenso: ogni paziente costa almeno 50 mila euro l’anno. E se ad esempio, nel caso dell’Epatite C certi farmaci carissimi si devono dare solo a malati in determinate condizioni, con l’Aids funziona diversamente: perché anche i malati in situazioni quasi disperate, se trattati con farmaci appropriati, ne traggono beneficio. Impossibile fare una selezione». ETICA Problemi etici rischiano di condizionare la guerra contro l’Aids, soprattutto quando si intrecciano con tematiche economiche, che coinvolgono la ricerca e il tentativo di mettere a punto l’arma letale, in particolare il vaccino, «che ha comportato la spendita di centinaia di milioni di euro senza risultati concreti, come nel caso dello studio di Barbara Ensoli, finanziato con denaro pubblico». Sotto questo profilo, Manconi non crede ai miracoli. Posizione che illustra con la metafora della caccia alla volpe: «Tutti vorrebbero stanare e uccidere la volpe (cioè il virus). Ma non abbiamo lo strumento per farlo. Io dico che fino a quando la volpe sta nella tana e non mangia polli, non mi interessa distruggerla. Noi siamo in questa situazione: abbiamo costretto la volpe a starsene ferma e digiuna. Accontentiamoci. Per ora». Lucio Salis QUEI PRIMI CASI NELL’ISOLA Cagliari 1983: record fra i tossicodipendenti In prima fila nella lotta contro l’Aids, Sergio Del Giacco, già titolare della cattedra di Medicina Interna all’Università di Cagliari, è stato per dieci anni nella Commissione nazionale, l’organo che ha delineato la strategia scientifica, giuridica e culturale contro la malattia. «Le prime avvisaglie - racconta il professore - si ebbero nell’82 quando negli Usa si registrò una strana epidemia di Sarcoma di Caposi, e Pneumocisti Carini fra i giovani omosessuali di San Francisco. Tant’è che si parlò di malattia dei gay. In Europa l’Aids arrivò più tardi, colpì anche i tossicodipendenti, ma non si riusciva a capirne la causa. Non si sapeva come agire, almeno fino all’84, quando Montagnier e Gallo isolarono il virus. Ben presto, nell’83-84, la malattia arrivò anche a Cagliari, dove i professori Alessandro Tagliamonte e Paolo Emilio Manconi, del centro antidroga di via Cadello, notarono fra i pazienti importanti forme di linfoadenopatia. Proprio a Cagliari, si fecero degli studi sui linfociti T, fra il mio gruppo, Mauro Moroni di Milano e Sergio Romagnani di Firenze». «Cagliari, all’epoca, era al primo posto in Italia per l’incidenza della malattia fra i tossicodipendenti, che si contagiavano attraverso lo scambio di siringhe. E fra i quali si registrò la percentuale nazionale più alta, in assoluto, di morti». Con gli anni il progresso: «Una volta individuato il virus, si cominciò a usare l’Azt, un antivirale che però poteva fare ben poco contro l’Hiv. Man mano che si acquisivano maggiori conoscenze, si è arrivati a nuove terapie che agiscono a livello nucleare e riescono a bloccare completamente l’azione del virus. Il malato di Aids è diventato un malato cronico». (l. s.) _________________________________________________________________ Sanità News 6 Dic. ’12 UN TEST DEL RESPIRO PER DIAGNOSTICARE IL CANCRO DEL COLON Sperimentata con successo all'universita' di Bari l'analisi del respiro per diagnosticare il tumore del colon. I risultati dei test sono stati pubblicati sul British Journal of Surgery da Francesco Altomare. Il cancro del colonretto e' la seconda causa di morte tra i maschi, la terza tra le donne. Oggi si diagnostica essenzialmente con la colonscopia e lo screening con la ricerca del sangue occulto nelle feci, test poco specifico che costringe poi a fare comunque una colonscopia che si rivela inutile nel 90% dei casi. Per verificare che l'analisi delle molecole contenute nell'aria espirata puo' aiutare a scovare il cancro del colon gli esperti hanno coinvolto 37 pazienti con tumore e 41 soggetti sani di controllo cui e' stato chiesto di soffiare nell'apparecchietto per raccogliere il respiro. L'analisi ha individuato differenze nella concentrazione di una serie di molecole, permettendo di scriminare gli individui malati dai soggetti sani. Il test del respiro sembra un'alternativa valida: ''e' molto semplice per il paziente che deve solo soffiare per riempire un sacchetto di plastica attraverso un boccaglio speciale'' – spiega Altomare. Il test richiede 5-10 minuti e la sua lettura un paio d'ore. ''E' difficile prevederne i tempi di applicazione clinica - spiega Altomare - ma avendone i mezzi economici due anni potrebbero essere sufficienti''. ''Nel prossimo futuro prevediamo di portare avanti il nostro progetto - conclude - sia approfondendo quanto gia' riscontrato nel campo dei tumori gastrointestinali, sia lavorando alla messa a punto di un naso elettronico che potrebbe davvero essere un ottimo mezzo di screening di massa _________________________________________________________________ Sanità News 4 Dic. ’12 DAGLI USA NUOVE SCOPERTE SUL RUOLO DEI LINFOCITIDue distinti sottoinsiemi di cellule T cooperano per tenere le infezioni croniche virali sotto controllo, sebbene siano incapaci di eliminare completamente il virus. La ricerca della University of Pennsylvania e' stata pubblicata su Science. Di fronte alla costante minaccia di virus come quello dell'epatite C o l'Hiv, alcune cellule immunitarie di tipo T diventano 'esauste'; sebbene non siano piu' capaci di rispondere, sono pero' abbastanza efficaci per combattere il virus, in modo da tenerlo sotto controllo a sufficienza. Gli scienziati hanno dimostrato che due fattori di trascrizione regolano due distinti sottoinsiemi di cellule antivirali CD8+T nei topi, e entrambi sono neccesari per il controllo ottimale delle infezioni croniche virali. Un sottoinsieme, regolato dal fattore di trascrizione T- bet, consiste in cellule che hanno una vita relativamente lunga e che proliferano in risposta a antigeni persistenti. Un secondo sottoinsieme invece e' regolato dal fattore di trascrizione Eomes. Analizzando il modo in cui affrontano il virus dell'epatite C i ricercatori hanno capito che questi due insiemi lavorano insieme per mantenere una durevole e parzialmente efficace risposta durante le infezioni croniche virali negli umani _________________________________________________________________ Unione Sarda 4 Dic. ’12 SORPRESA: L'ECSTASY PUÒ ESSERE UNA MEDICINA NEW YORK La vita di Rachel Hope è cambiata quando, a soli 4 anni, un amico a cui la madre l'aveva affidata mentre era in vacanza l'ha ripetutamente violentata. Da quel momento ha sofferto di disturbi post traumatici da stress (Dpts), e nessuna terapia sembrava riuscire ad alleviare le sue sofferenze. Sino a quando nel 2005 ha incontrato Michael Mithoefer, uno psichiatra e ricercatore di Charleston, in Sud Carolina, che le ha somministrato un farmaco chiamato Mdma (acronimo di 3,4- methylenedioxy-N-methylamphetamine), comunemente noto come ecstasy. Ingerire una pastiglia anche solo per una volta può portare a danni cerebrali irreversibili, è sempre stato l'avvertimento degli esperti. Ma ora sembra emergere un effetto inatteso: la droga può diventare una medicina, e avere effetti terapeutici su persone che soffrono di Dpts, stimolando in loro un maggior senso di sicurezza nella rielaborazione dei ricordi dolorosi. «Non riuscivo a chiudere con quell'esperienza», ha raccontato la ragazza, la cui agonia mentale senza sosta l'ha portata a quattro ricoveri in ospedale. Un nuovo peggioramento per Rachel si è verificato nel 1991 quando è morto il padre, e ancora nel 1998, anno in cui scoprì che il suo aggressore aveva molestato un'altra donna. Grazie alla cura di Mithoefer invece, il 90% dei suoi sintomi sono scomparsi, ha smesso di urlare, e di cadere nel tunnel dei flashback. Il trattamento terapeutico del ricercatore di Charleston va unito alla psicoterapia: dopo alcune sedute di preparazione dei soggetti che riportano sintomi da disordine post traumatico, tra cui diverse donne come Rachel passate attraverso il dramma dello stupro, seguono lunghi incontri durante i quali vengono somministrate dosi di ecstasy. La sostanza, assunta sotto controllo medico, riuscirebbe a rendere meno doloroso il ricordo degli eventi traumatici, permettendo a chi li ha vissuti di parlarne in terapia e dunque di risolvere i problemi ad essi legati. La Mdma, che nelle persone sane da senso di eccitazione ed euforia, nei soggetti malati riduce il senso di ansia e la paura