RASSEGNA STAMPA 21/04/2013 UNICA: MELIS: «NO AI TAGLI SULLA RICERCA» MONTI TAGLIA 51 MILIONI ALLA RICERCA, UNICA: STOP AL BANDO PER RICERCATORI RIPRENDIAMOCI I CERVELLI TEST DI APPRENDIMENTO PER I LAUREANDI PROF DISTRATTI E ANNOIATI NELLA SEDUTA DI LAUREA BOOM PER I CORSI DI MEDICINA IN INGLESE TEST DI MEDICINA IN INGLESE, RAFFICA DI DENUNCE I RAGAZZI ABBANDONANO L'ARCHITETTURA BREVETTI EUROPEI, IL TRILINGUISMO E IL NO UE A ITALIA E SPAGNA LA SORPRESA DEI BREVETTI MADE IN ITALY CEDRIC VILLANI: ESTASI MATEMATICA E’ COME IL SESSO MA DURA DI PIU’ PIÙ CLASSI POLLAIO E SI TAGLIANO 81.614 DOCENTI IL DNA FA COPPIA CON IL GRAFENE  MARIA LAI PICCOLE MANI, GRANDE ARTE  LA SUPER BATTERIA CHE SALVERÀ PC E TELEFONINI UN FUTURO SENZA CARICA NARRATIVE BASED MEDICINE  LEGGERE MEGLIO PER SCRIVERE BENE E DIVENTARE CITTADINI PIÙ ATTIVI SARDEGNA: FONDI EUROPEI, TANTI E SPESI MALE E ALLA FINE È PREMIATO CHI INNOVA DI MENO ========================================================= SANITÀ PIÙ COSTOSA IN UN PAESE IMPOVERITO AOUCA: VIAGGIARE IN METRÒ È ECOLOGICO, SALUTARE E FA RISPARMIARE AOUCA: MACCIOTTA, CHIUSURA IMMINENTE UNICA: BATTERI PROGETTO EUROPEO GUIDATO DA DUE CAGLIARITANI UNICA: RICERCA SARDA FINANZIATA DAGLI STATES UNICA: AMNIOCENTESI, TEST ALTERNATIVO  AOUCA: OTORINOLARINGOIATRICA LA RIVOLUZIONE CON LASER E FIBRE OTTICHE AOUSS: CISL MEDICI: «ATTO AZIENDALE DA RIFARE» SPESA FARMACEUTICA, MIGLIORA LA GESTIONE L’ITALIA E’ AL SECONDO POSTO IN EUROPA PER LA RACCOLTA DI PLASMA E’ INIZIATA L'ERA DEI SUPER-BATTERI LA NUOVA ENIGMATICA INFLUENZA AVIARIA H7N9 L'AREA CEREBRALE PER RICONOSCERE I NUMERI SENTENZA SUI BREVETTI DEI GENI LA SCIENZA CORRE PIÙ DELLA LEGGE PIÙ LONGEVE MA MENO SANE, ECCO IL DESTINO DELLE NUOVE GENERAZIONI UNA MISURA OGGETTIVA PER IL DOLORE FISICO NUOVO TEST RILEVA L’AUTISMO CON UNA PRECISIONE DEL 94% LE STRATEGIE PER NON FARSI TRADIRE DAL CIBO CRUDO ITALIANI E SALE, UNA RELAZIONE PERICOLOSA IL COLESTEROLO AUMENTA IL RISCHIO DI SVILUPPARE L’ALZHEIMER ALLERGIE POCO CONOSCIUTE: L’ALLERGIA ALLO SPERMA MENO RISCHI DI HIV CON LA CIRCONCISIONE UNA T-SHIRT MONITORA LO STATO DI SALUTE DEI MALATI PSICHIATRICI ========================================================= _____________________________________________________________ Unione Sarda 18 apr. ’13 UNICA: MELIS: «NO AI TAGLI SULLA RICERCA» CONSIGLIO. L'Università di Cagliari lancia l'allarme sulla manovra Finanziaria, la protesta dei rettori «Il taglio agli stanziamenti per i programmi di ricerca scientifica rischia di vanificare la possibilità di dare continuità alle iniziative in corso». È l'allarme del rettore dell'Università di Cagliari, Giovanni Melis, sentito ieri mattina (con Attilio Mastino dell'ateneo di Sassari) dalla commissione Bilancio del Consiglio regionale, nelle audizioni sulla Finanziaria. LE CIFRE In una nota Melis spiega che la manovra non rispetta la legge regionale 7 sulla ricerca, «che vincola a destinare alla ricerca di base l'1% della compartecipazione Ire»: non meno di 18,6 milioni «cui occorre sommare il vincolo per la spesa biomedica e sanitaria, pari al 2 per mille (6,5 milioni) dello stanziamento per il sistema sanitario». Preoccupazione anche per la cancellazione dei 4 milioni di investimenti in ricerca scientifica e innovazione. «Una Regione che voglia puntare sull'innovazione diffusa, che voglia attrarre talenti e imprese», aggiunge il rettore, «ha sempre più la necessità di università di qualità». La protesta riguarda anche la sforbiciata sui fondi per l'edilizia universitaria. Melis auspica che la Finanziaria aiuti gli atenei a fronteggiare i tagli ministeriali. IN AULA Oggi i partiti presenteranno gli emendamenti alla manovra. Intanto alle 13 l'aula voterà la leggina sui cantieri comunali. Inoltre subentreranno i neo consiglieri Giuseppe Stocchino (Prc), Giuseppe Tupponi (Udc) e Efisio Arbau (eletto nel Pd ma poi fuoriuscito) al posto rispettivamente dei dimissionari Luciano Uras, Roberto Capelli e Francesca Barracciu. Per l'uscita di Capelli finiscono nel gruppo misto, sempre che non arrivino adesioni tecniche, la presidente Claudia Lombardo e gli altri consiglieri di Sardegna è già domani (Mario Diana, Nanni Campus, Massimo Mulas). Nasce poi il gruppo Sel-Sardigna libera: Daniele Cocco (presidente), Claudia Zuncheddu (vice), Carlo Sechi, Giorgio Cugusi e (anche qui con un'adesione tecnica) Elio Corda del Pd. _____________________________________________________________ Il Manifesto 20 apr. ’13 MONTI TAGLIA 51 MILIONI ALLA RICERCA, AUSTERITÀ • Il decreto all'esame della commissione speciale al Senato Italia terzultima per investimenti Roberto Ciccarelli dodici enti di ricerca controllati dal Miur si preparino: sta per arrivare il tanto annunciato nel 2012, e fino ad o ' sempre rinviato, taglio al fondo ordinario da 51 milioni di euro. Lo ha confermato il «rapporto Giarda», dal nome del ministro che ha consegnato al parlamento una relazione sui nuovi tagli da praticare all'università e alla ricerca con la «fase tre» della spending review. E tra poco si farà sul serio. L'Istituto di Fisica Nucleare (Infn) che ha scoperto il «bosone di Higgs», l'Ingv che monitora con i suoi precari l'arrivo dei prossimi terremoti, e lo stesso Cnr lascino da parte le residue speranze di continuare a fare ricerca con i soldi pubblici perché il governo «costretto» a restare in sella ad un paese squassato dalla crisi economica e politica taglierà un fondo che ammonta a 1.598 milioni (compresivi della «quota premiale» erogata dal Miur per i risultati scientifici di 139 milioni), la cifra più bassa dal 2003. L'unico ente risparmiato sarà l'Agenzia spaziale italiana che conserverà i suoi 502 milioni di euro. Il taglio era stato annunciato dal ministro dell'Istruzione, università e ricerca Francesco Profumo durante Vestente del 2012, ma era stato ritirato dopo l'insurrezione dei presidenti degli enti che sventarono la manovra del governo nel corso di una tempestosa riunione con Profumo. Oggi torna d'attualità perché è necessario ripartire il fondo per il 2013. Il decreto che sancirà il taglio è giunto all'attenzione della Commissione speciale del Senato. Il budget dell'Infn (che ha 600 ricercatori distaccati al Cern di Ginevra) subirà il taglio di 12 milioni di euro (da 243 a 230 milioni). Con 25 milioni in meno il Cnr rischia di mettere alla porta 2500 tra ricercatori precari e dottorandi. Con un taglio di oltre 4 milioni per 2013 e 2014, l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) rischia di spezzare equilibri già precari. L'Ingv aveva un contributo ordinario per il 2012 di 45,4 milioni. Subirà un taglio di 1,6 milioni (3,59%) per il 2013 e 2014; l'Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim) perderà 880.900 euro (4,73%) su 18,6 milioni. Nella rosa ci sono anche la Stazione Anton Dohrn, l'Istituto nazionale di alta matematica (Indam), l'Istituto di studi germanici, il Centro Fermi, l'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (Ogs) che perderà 1,2 milioni su un budget di 12,4 milioni di euro. Aumentano invece i contributi destinati alla neonata Agenzia di valutazione della ricerca Anvur, e a tutto il complesso di valutazione e controllo neo-liberale dell'attività «produttiva» di ricercatori, insegnanti e studenti dell'Indire e dell'Invalsi, sul quale Profumo e Monti (oltre alla Gelmini) hanno investito molto. Nel decreto in discussione al Senato si osserva anche la crescita de i fondi per le «attività internazionali» saliti da 54,2 a 83,5 milioni di euro. Il Sincrotone di Trieste riceve 14 milioni di euro. I fondi sui «progetti bandiera» per i quali Profumo si è molto speso scendono da 128 a 75,4 milioni. Si taglia dunque la ricerca, ma si finanzia l'apparato di controllo che dovrebbe controllare la sua «qualità» scientifica. Una contraddizione che spiega perfettamente le conseguenze ormai quinquennali delle politiche dell'austerità sul settore che tutti, da destra come da sinistra, giudicano fondamentale per rilanciare la «ripresa». Questi sono i fatti. Il taglio dei fondi alla ricerca è solo uno degli esempi, simbolicamente tra i più significativi, che fa da sfondo alla conferma giunta ieri dalla Ragioneria generale dello Stato. Rispetto all'Europa a 27, nel 2010 e nel 201111talia si è classificata al 24' posto per investimenti sulla scuola e sulla formazione. A quel tempo era finanziata per lo 0,7% (contro lo 0,9% europeo) di un Pii che nel 2010 era a +1,3%, nel 2011 era diminuito allo.0,4%. Nel 2012 il Pil è crollato a -2,5%, e nel 2013 arriverà forse a -2%. I tagli però continuano imperterriti. La Ragioneria sostiene anche che l'Italia è al sesto posto per la spesa per il Welfare, mentre cala la spesa per la sanità. _____________________________________________________________ SardegnaQuotidiano 18 apr. ’13 UNICA: STOP AL BANDO PER RICERCATORI   Posti per ricercatori all’università: tutto sbagliato, tutto da rifare. Il Tar ha annullato il bando dell’ateneo «per il conferimento di 23 assegni di ricerca istituzionale di durata biennale » del 31 luglio del 2012. Non solo. È stato cassato anche il regolamento universitario adottato il 19 maggio 2011 per la gestione degli assegni di ricerca. Illegittima, secondo il tribunale amministrativo, la clausola che esclude dai concorsi coloro che hanno conseguito il dottorato da più di cinque anni rispetto all’indizione delle selezioni. E adesso tutto l’ateneo dovrà rivedere le regole che governano il settore che interessa centinaia di dottori. LA SENTENZA DEL TAR Il verdetto dei giudici di via Sassari è arrivato ieri mattina. Il ricorso era stato presentato da Benedetta Bellò (difesa dall’avvocato Rosanna Patta). La dottoressa aveva partecipato alla selezione del luglio dell’anno scorso per accaparrarsi uno dei 23 assegni in ballo. A ottobre il responso: «La ricorrente», si legge nel dispositivo della sentenza, «è stata esclusa dalla selezione per aver conseguito il dottorato di ricerca, richiesto quale requisito per la partecipazione alla procedura, da oltre cinque anni rispetto alla data di pubblicazione del bando». Il limite temporale era esplicitamente previsto e fa riferimento all’articolo 3 del regolamento universitario, che estende il criterio di esclusione a tutte le selezioni indette per le borse. L’avvocato Patta ha sollevato un raffica di eccezioni, sostenendo che il limite quinquennale a ritroso viola la legge, che può essere derogata solo in caso di partecipazione ai bandi da parte di studenti stranieri. I legali dell’università hanno puntato su due argomentazioni. Il primo: il limite temporale è stato previsto per agevolare gli studenti più giovani. E hanno anche invocato l’autonomia regolamentare degli atenei in materia. Il Tar ha dato ragione alla dottoressa esclusa su entrambi i fronti. Contro la prima obiezione, scrivono i giudici del Tar, non si ha nessuna garanzia di “giovinezza anagrafica”, visto che uno potrebbe conseguire il dottorato anche a 60 anni e poi, magari il mese dopo, presentarsi a un eventuale concorso per avere l’assegno, nel rispetto del limite dei cinque anni. Inoltre, scrivono i giudici, l’autonomia regolamentare invocata, in questo caso, «è priva di idonea base giuridica di natura legislativa». Quindi illegittima. Così, dopo un’articolata motivazione, si arriva al verdetto finale: annullato il decreto del rettore che ha escluso la Bellò, annullato l’intero bando e cassato anche l’articolo del regolamento che prevede il limite dei cinque anni. L’Università dovrà anche pagare 3000 euro di spese legali. E. F. _____________________________________________________________ L’ Espresso 25 apr. ’13 RIPRENDIAMOCI I CERVELLI Sempre più laureati cercano lavoro all'estero. Ma ora la politica deve riportarli a casa. Come fa coi capitali DI GIANFRANCESCO TURANO Capitali in fuga? Si scatena il terrore. Laureati in fuga? Nessun problema. Eppure i dottori da esportazione sono un investimento per lo Stato: 125 mila curo pro capite per i loro 18 anni medi di istruzione. Gli oltre 6.200 iscritti con laurea tra i residenti all'estero valgono quindi circa 800 milioni di curo, oltre a quello che producono e che rinforza il Pil altrui. Gli ultimi dati Istat dicono che la laurea si festeggia sempre di più alla frontiera e che uno scudo fiscale per riportare a casa i cervelli non è in programma. «Non dobbiamo spaventarci», dice Enrico Giovannini, presidente dell'istituto di statistica, «perché i nostri laureati vanno via ma perché i laureati stranieri non vengono da noi ». La globalizzazione a senso unico è nei fatti. I nostri laureati hanno lavori da diplomati e con stipendi molto più bassi dei colleghi europei. Questo, quando trovano lavoro. E non è semplice. Tra i laureati italiani di 30-34 anni i disoccupati sono più del triplo della Germania (8,3 per cento contro 2,6). Le famiglie fanno i conti e si chiedono perché investire in un giovane che è destinato a incontrare le stesse difficoltà di impiego di un non laureato. «Mancano le politiche della politica», prosegue Giovannini, «ma anche le politiche da parte delle imprese. A parità di dimensioni con i gruppi esteri, le grandi imprese italiane investono meno in ricerca e sviluppo. E alla base del nostro tessuto produttivo, cioè tra le piccole e medie imprese non ci sono grandi mezzi per investire in laboratori strutturati. Le nostre imprese fanno sì innovazione, ma legata all'esperienza sul campo». La genialità artigianale italica mostra. la corda di fronte alla fisica, all'informatica, alle nanotecnologie e alle biotecnologie. Non a caso, sono questi i settori dove i laureati italiani hanno i picchi di presenze all'estero più alti. Qui, il gap raggiunge i massimi e il riassetto della legislazione del lavoro non sembra avere giovato. «Una cosa, sostiene Giovannini, «è il livello di ingresso salariale che le imprese fissano a un livello inferiore a quello di altri paesi, per di più associandolo anche a forme di precariato. Del resto, la legge Fornero è criticata perché ha finito per irrigidire i meccanismi e ostacola le assunzioni. Altra cosa è l'handicap che si crea nel progresso della carriera. I dati dell'Ocse ci mostrano una curva di remunerazione e di carriera molto più piatta in Italia che altrove. Qui la politica non c'entra. C'entrano le aziende e la recessione che in Italia ha seguito una fase di crescita bassa». Con la stagnazione le imprese italiane non fanno certo a gara per strapparsi i laureati a colpi di aumenti. Chi è assunto si deve accontentare. Oppure se ne va. 'La qualità della nostra istruzione resta alta. Le università italiane hanno richieste dalla Germania per segnalare i migliori laureati ». La fuga può continuare. • _____________________________________________________________ Repubblica 19 apr. ’13 TEST DI APPRENDIMENTO PER I LAUREANDI "Così valuteremo anche le università" Modello Invalsi negli atenei, ama o via alla sperimentazione OTTAVIA GIUSTETTI ROMA — Università italiane a confronto con il resto del mondo. Ventimila studenti da dodici atenei volontariamente si misurano col test che già valuta il livello di apprendimento in sedici Paesi, dal Kuwait alla Russia, dal Giappone alla Finlandia. Uno strumento nuovo che si chiama Cla Plus ed è sta to sviluppato dal Council for Aid to Education, un'organizzazione statunitense che opera nel campo dell'istruzione superiore. Servirà a scoprire se i ragazzi prossimi alla laurea triennale hanno sviluppato capacità di ragionamento analitico, efficacia dell'esposizione, forma (grammatica, sintassi) e capacità di risolvere problemi. Oltre alle competenze specifiche del corso di laurea che frequentano. Come sempre di più il mercato del lavoro richiede. È una sorta di test Invalsi per l' università quello che a partire da maggio sarà sottoposto ai ragazzi nei dodici atenei che hanno aderito alla sperimentazione: Roma Sapienza e Tor Vergata, Milano Statale, Bologna, Padova, Firenze, Napoli Federico II, Cagliari, Messina, Piemonte Orientale, Udine e Lecce. Ma l'obiettivo, se l'esperimento funziona, è di adottarlo gradualmente in tutti gli atenei come strumento di valutazione dei corsi di laurea partendo dalla preparazione degli studenti che li hanno frequentati con successo e che, alla fine del terzo anno, stanno per superare il primo gradino della formazione universitaria, laureandosi. «Attraverso questa operazione ci allineiamo ai migliori standard europei con una attenzione particolare al mercato del lavoro — spiega il ministro dell'Istruzione Università e Ricerca, Francesco Profumo —è uno dei passi sulla linea che abbiamo adottato in questi anni per rendere sempre più appetibile il sistema di formazione italiano. E ci stiamo riuscendo: quest'anno al test d'ingresso in inglese per Medicina hanno partecipato seimila ragazzi provenienti dai Paesi più diversi, tra questi primo si è piazzato Israele e poi gli Stati Uniti». Come il test Invalsi, col quale si cimentano i bimbi che frequentano la scuola dell'obbligo, anche il Cla Plus è anonimo, e non incide sulla valutazione dello studente. Per il momento poi si tratta di un esame al quale si sottopongono i ragazzi su base volontaria. E solo se la sperimentazione introdotta dall'Anvur (l'Agenzia di valutazione del sistema universitario e della Ricerca), entrerà in tutta Italia a pieno regime ogni ateneo dovrà testare il 50 per cento su un campione di iscritti a tutti i corsi di laurea. Il modello è una novità. Si articola su tre prove a risposta aperta: nel primo esercizio viene presentata una situazione immaginaria e assegnato un compito. Ad esempio, una grande città in difficoltà di bilancio deve tagliare un progetto per le scuole medie: la scelta è tra un campeggio estivo in un parco o un programma di tutoraggio sportivo. Con una serie di documenti a disposizione si deve decidere tra i due. Al secondo step viene assegnata una traccia sotto forma di un'affermazione, qui i ragazzi devono Considerare ogni posizione e motivarla. Infine viene presentata un'ultima traccia che in 30 minuti deve essere analizzata nelle sue incongruenze e nei suoi punti deboli. _____________________________________________________________ Repubblica 19 apr. ’13 PROF DISTRATTI E ANNOIATI NELLA SEDUTA DI LAUREA Giudita Mazzilli giuditta libera. it IERI ho assistito ad una seduta di laurea cui partecipava anche il figlio di un amico, l'emozione tra i laureandi era palpabile, nei loro gesti, nelle loro voci, nei loro abiti eleganti adatti ad una giornata così importante per il loro futuro. Quando hanno iniziato ad esporre la loro tesi ho notato con un certo disappunto il «disinteresse» di quasi tutta la commissione composta da 13 professori, alcuni si sono dedicati per tutto il tempo ad usare il cellulare, altri hanno continuamente parlato tra di loro, qualcuno ha passato il tempo addirittura sonnecchiando. Capisco che peri docenti le sedute di laurea sono una routine ma per i ragazzi che sono saliti di volta in volta ad esporre il proprio lavoro è stato un momento unico e forse irripetibile per cui credo che andavano premiati con il coinvolgimento non solo da parte di amici e parenti ma anche di chi poco dopo ha espresso un giudizio-voto su di loro. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 14 apr. ’13 BOOM PER I CORSI DI MEDICINA IN INGLESE I NUMERI  Circa 6mila domande (+222%) alle preselezioni nelle sei sedi che offrono il ciclo di lezioni solo in lingua straniera  Eugenio Bruno Primi segnali di internazionalizzazione delle università italiane. Le domande per i test d'ingresso ai corsi di Medicina e chirurgia in inglese in due anni hanno avuto un boom: dalle 1.852 del 2011 sono passate alle 5.959 di quest'anno (+222%). Anche rispetto a 12 mesi fa la crescita è stata sostenuta (+38,1%). Stabili l'età media (19,9 anni) dei candidati e la prevalenza femminile (62,2%). Ma l'aspetto forse più interessante è l'aumento delle richieste dall'estero, salite dalle 497 del 2012 alle 802 del 2013.  In pratica, il 13,5% dei partecipanti alle prove preselettive – in calendario domani nei sei atenei che nell'anno accademico 2013-2014 offriranno un corso interamente in inglese (Bari, Milano, Pavia, Roma La Sapienza e Tor Vergata e la Seconda Università di Napoli) e in altre 18 sedi sparse per il mondo – ha una nazionalità diversa da quella italiana. Nel complesso sono giunte richieste da 82 Paesi stranieri. In testa c'è Israele con 133 aspiranti medici, davanti al Regno Unito (107), alla Grecia (69), all'Irlanda (39) e agli Stati Uniti (33). Numeri che, se confermati anche nei prossimi anni, potrebbero consentire al nostro Paese di importare "cervelli", seppur potenziali. Anziché limitarsi a esportarli come da troppo tempo (e in troppi ambiti). Una delle ragioni della crescita delle domande, non solo degli studenti stranieri ma anche di quelli italiani, è l'aumento dell'offerta. Due anni fa, quando l'avventura della laurea in medicina in inglese è partita, erano solo tre gli atenei che offrivano questa chance: Milano, Pavia e La Sapienza. Ora sono il doppio.  Dai dati rilevati diffusi dal ministero dell'Istruzione emerge poi una relazione diretta tra numero candidati e disponibilità di posti messi a concorso rispetto alle sedi. Uno su tre ha preferito infatti Pavia (in testa alla classifica dell'offerta, con 100 posti disponibili). In 1.499 proveranno invece a contendersi i 60 accessi messi a disposizione da Milano mentre in 931 si giocheranno i 45 slot offerti dalla Sapienza di Roma. Più o meno analogo l'appeal dei tre atenei restanti: Napoli (566 iscritti per 30 ingressi), Bari (538 domande e 30 posti) e Tor Vergata (25 accessi) .  Come detto, i test di ingresso si svolgeranno domani. La prova di ammissione consisterà nella soluzione di 60 quesiti a risposta multipla su argomenti di: cultura generale e ragionamento logico; biologia; chimica; fisica e matematica. Quest'anno i quesiti concorreranno al punteggio finale nella misura massima di 90 punti su 100; altri 5 punti dipenderanno dalla conoscenza linguistica e gli ultimi 5 dai voti conseguiti alle superiori nelle principali materie di studio. Quanto meno in termini proporzionali, i candidati provenienti dall'estero partono avvantaggiati. Avranno infatti a disposizione 94 posti, in media uno per ogni 8,3 domande. Contro i 196 accessi riservati agli studenti italiani, cioè uno ogni 30,4 richieste di accesso. _____________________________________________________________ Il Messaggero 21 apr. ’13 TEST DI MEDICINA IN INGLESE, RAFFICA DI DENUNCE (Gli universitari accusano: «Molte irregolarità» IL CASO Cellulari consultati sotto gli occhi dei professori. Compiti consegnati con le buste aperte. Violazione delle più elementari regole dei concorsi pubblici, come la distribuzione di biro uguali per tutti, per evitare l'utilizzo di penne cancellabili o di colori diversi e quindi riconoscibili. Sono tante le denunce che arrivano dagli studenti dopo i test d'ingresso tenuti lunedì scorso per l'ambitissimo corso di laurea di «Medicina in lingua inglese» che ha coinvolto oltre milletrecento candidati tra Sapienza e Tor Vergata. I posti a disposizione per gli italiani e per gli altri studenti della comunità europea erano appena trentacinque. Le segnalazioni in questi giorni stanno passando al vaglio dell'Unione degli Universitari e presto, annunciano dal sindacato studentesco, arriveranno anche in tribunale con un esposto per una eventuale inchiesta. «Dopo le tante notizie di irregolarità che abbiamo ricevuto spiega il coordinatore dell'Udu Michele Orezzi abbiamo dato mandato al nostro avvocato di valutare l'opportunità di sporgere un esposto-querela con valore penale alla procura della Repubblica di Roma». «In questi giorni poi abbiamo iniziato a raccogliere le adesioni per un ricorso collettivo contro le due università romane: a nostro avviso ce ne sono tutte le condizioni, perché sono accadute cose non chiare». LE ACCUSE Secondo l'organizzazione studentesca lunedì scorso sarebbero avvenute «irregolarità pesantissime che mettono a repentaglio il risultato finale dei test». La più grave in assoluto «è l'aver lasciato che in alcune prove ci fossero segni di riconoscibilità dei candidati, come la presenza della carta d'identità accanto al codice segreto del compito durante il concorso». In questo modo, fanno notare i rappresentanti dell'Unione degli Universitari, «salta l'anonimità dei concorrenti, un requisito base dei bandi pubblici». Non si tratta di accuse leggere, dato che proprio «con questa motivazione pochi mesi fa il Tar ha annullato il test dell'università di Campobasso». In alcune aule poi, secondo gli studenti intenzionati a fare ricorso, non sarebbero state distribuite penne uguali per tutti. «Anche in questo caso si fa notare rischia di venire meno l'anonimità, dato che qualcuno avrebbe potuto usare un colore diverso per farsi riconoscere. O scrivere con una penna cancellabile». Altri candidati denunciano la prassi di consegnare i compiti in busta aperta. «Una ragazza della Sapienza aggiungono dall'Udu per averla consegnata chiusa, come dice il bando, è stata addirittura rimproverata». A fare da sfogatoio per i candidati è stato ovviamente il web. Su alcuni portali studenteschi una ragazza, che si sigla SR, racconta di avere partecipato alla prova della Sapienza e di avere constato l'uso di «cellulari nonostante fosse vietato» e «aiutini» a un candidato da parte di alcuni membri della commissione. Alla lettera è arrivata una risposta dalla piattaforma del ministero dell'Istruzione Universitaly. «Prendiamo atto dell'accaduto: abbiamo inoltrato la sua e-mail al ministero. Nei prossimi giorni, sul sito Accessoprogrammato.miur.it, sarà disponibile un forum online per segnalare eventuali irregolarità». Dal Rettorato della Sapienza però fanno sapere che «al momento non ci è arrivata nessuna lamentela. Da quello che sappiamo tutte le prove si sono svolte regolarmente». Stesso discorso per Tor Vergata. LA CATTOLICA Lunedì prossimo intanto tocca alla Cattolica, che ieri ha comunicato il numero dei candidati alla prova d'ammissione. Gli iscritti totali sono 8.572, di cui 8.029 a contendersi uno dei 270 posti del corso di Medicina e 543 per i 25 posti di Odontoiatria. Al concorso che si svolgerà alla Fiera di Roma-fuori dal Raccordo, dopo il caos traffico degli anni scorsi parteciperanno i 7.381 candidati provenienti dal Lazio e dalle regioni del Centro Sud. I restanti mille effettueranno la prova a Milano. Lorenzo Di Cicco _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 apr. ’13 IL PAESE REALE POCHI PROGETTI, GUADAGNI DIMINUITI E I RAGAZZI ABBANDONANO L'ARCHITETTURA di DARIO DI VICO Le iscrizioni nelle facoltà universitarie sono quasi dimezzate Gli architetti italiani stanno vivendo una stagione tormentata. Sono tantissimi, oltre 150 mila, molti di più che in Germania (100 mila) e cinque volte i francesi e gli inglesi (30 mila). Da noi ogni mille abitanti ci sono 2,5 architetti. In venti anni il loro numero è quasi raddoppiato ma il trend è destinato a invertirsi perché negli ultimi sei anni l'iscrizione ai corsi universitari di architettura è crollata (-45%). Il vero problema però non è la crisi delle vocazioni quanto i motivi che la causano e che possono essere sintetizzati con lo slogan dell'impoverimento dell'architetto medio, dove la retrocessione è sia materiale sia di contenuti professionali. A scattare questa fotografia (assai preoccupante) dello stato di una delle professioni più prestigiose è stato il Consiglio nazionale degli architetti in collaborazione con il Cresme. Centoventi pagine che vivisezionano la crisi e che, c'è da scommettere, animeranno la discussione interna. Perché una svolta si impone. Cominciamo dal portafoglio. Negli anni 2006-12 gli studi e i singoli professionisti hanno perso quasi il 30% dei loro introiti annui, tanto che nel 2012 la stima del reddito medio è di poco più di 20 mila euro. Sono stati anni in cui la dilatazione dei tempi di pagamento, l'aumento delle insolvenze e la sempre maggiore concorrenza hanno inciso pesantemente. E le prospettive per il 2013 non sono migliori. Il rilancio degli investimenti in infrastrutture si fa attendere e il 66% degli architetti intervistati si attende ulteriori cali della domanda di opere pubbliche. La riqualificazione degli edifici va un po' meglio, soprattutto se legata al risparmio energetico. Pessimismo, invece, per quanto riguarda l'urbanistica e la riqualificazione urbana, in calo secco negli ultimi due anni e prevista in flessione anche nel 2013. Il Piano città del governo Monti ha avuto il merito di riaprire il dibattito ma tempi, risorse e modalità di attuazione appaiono dubbi. Tutte queste contraddizioni si sono scaricate sulle nuove generazioni di architetti. Così, a dieci anni dal conseguimento del titolo di secondo livello, il reddito mensile medio di un giovane risulta di 1.300 euro, inferiore alle medie di geologi, biologi, psicologi e ovviamente ingegneri. «A determinare le nostre difficoltà — commenta Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio degli architetti — hanno pesato due fattori combinati tra loro, la grande crisi e la frammentazione delle strutture. Il conto più salato lo pagano i giovani che vivono una condizione da nuovo proletariato». Il 73% di loro inizia la carriera come partita Iva monocommittente o come dipendente con contratto a progetto e dopo la bellezza di 7 anni lavora ancora come collaboratore esterno di uno studio di terzi. Il 40% dei collaboratori o dipendenti di studio guadagna mille euro al mese. Se a valle, dunque, la condizione dei giovani è particolarmente sacrificata, a monte il problema sta nel calo drammatico (-45%) del mercato potenziale degli architetti nelle costruzioni, ovvero la quota degli investimenti che fa riferimento ai soli servizi di progettazione. Non c'è da stupirsi se di fronte a questa situazione il 40% degli architetti intervistati ha dichiarato di valutare seriamente la possibilità di lavorare all'estero. I mercati più promettenti sono quelli del Nord Europa e della Svizzera. Le differenti normative nazionali e la difficoltà di comparare qualifiche e competenze acquisite in differenti Paesi, tuttavia, rendono difficoltoso il libero movimento dei professionisti e non è un caso che il 95% del volume di affari degli architetti europei (non solo italiani, quindi) sia nel Paese di residenza. Tra le profonde trasformazioni che investono la professione ce n'è una positiva e riguarda il genere. Dei 150 mila architetti italiani, 61 mila sono donne, una quota che è andata rapidamente aumentando negli ultimi anni e che è ancora destinata a crescere perché se il 35% del totale degli architetti iscritti agli albi provinciali ha meno di 40 anni, tra le donne questa percentuale raggiunge il 50%. Ma di fronte a questa situazione che rischia di penalizzare l'architettura italiana per un lungo periodo di tempo che si può/deve fare? «Francamente non mi aspetto nessun aiuto dall'alto, dalle istituzioni e dalla politica, e quindi dobbiamo essere noi ad avviare la risalita — dice Freyrie —. Dobbiamo superare l'incapacità di mettere in relazione i professionisti con l'industria». Nel frattempo, infatti, è cambiato il modo di costruire. Non c'è più un primo tempo dove si progetta e un secondo dove si esegue, il lavoro è parallelo. Si costruisce in modo integrato e contano moltissimo i brevetti. La seconda risposta alla retrocessione si chiama aggregazione tra gli studi. «Solo così possono scendere i costi e aumentare le opportunità di lavoro. E lo strumento delle società tra professionisti, approvato di recente, può venire utile». @dariodivico _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 apr. ’13 LA SORPRESA DEI BREVETTI MADE IN ITALY ROMA — In un Paese privo di crescita e zavorrato da uno debiti pubblici più alti, aguzzare l'ingegno per superare la recessione sarebbe doveroso. Per questo è bene che non resti elitario un dibattito di ieri all'Aspen, nella conferenza annuale su «I talenti italiani all'estero». «L'anno scorso l'Italia è stata ottava nel mondo per numero di brevetti e per Pil decima su 195 Paesi. Il primo dato è dovuto in buona parte alla creatività di tipo artistico», ha fatto presente il sociologo Domenico De Masi. La vicepresidente di Xerox Monica Beltrametti ha sottolineato che da noi «c'è un problema di ricercatori che capiscano non solo la ricerca, ma anche il business». De Masi ha evidenziato un altro aspetto: «Ormai ciò che non è creativo lo possono fare le macchine, e ciò che non possono fare le macchine è creativo». Dunque, ha suggerito, si investa sulla «creatività, sintesi di fantasia e concretezza»: «Con la fantasia si creano le idee, con la concretezza si realizzano». Un suo consiglio è stato mettere insieme nelle aziende «fantasiosi e concreti» per una «missione condivisa». Secondo Simona Milio, London School of Economics, vanno cambiati i piani di studio universitari aumentando l'interdisciplinarietà: «Nessun problema può essere compreso attraverso un'unica disciplina». Un proposito ripreso dal vicepresidente dell'Accademia dei Lincei Alberto Quadrio Curzio, mentre il ministro dell'Università Francesco Profumo ha sostenuto che «dobbiamo essere più bravi a competere» per beneficiare dei fondi che destiniamo alla ricerca attraverso l'Ue.  M. Ca. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 17 apr. ’13 BREVETTI EUROPEI, IL TRILINGUISMO E IL NO UE A ITALIA E SPAGNA Le piccole imprese italiane già sono svantaggiate rispetto alle concorrenti tedesche e degli altri Paesi dell'eurozona con accesso al credito bancario a tassi molto più bassi. Ora la Corte europea di giustizia di Lussemburgo ha respinto il ricorso di Italia e Spagna contro l'uso nel brevetto europeo solo del trilinguismo (inglese, francese e tedesco). E le Pmi italiane devono scontare anche il conseguente vantaggio competitivo per le imprese soprattutto di Germania e Francia nell'innovazione e della ricerca. Solo la documentazione in inglese, francese e tedesco avrà valore legale per difendere i diritti su un'opera dell'ingegno nei Paesi Ue aderenti. Il brevetto europeo nasce per abbassare i costi. Ma la soluzione più economica, che prevedeva l'uso solo dell'inglese, è stata respinta dall'asse franco-tedesco. Berlino e Parigi hanno imposto le loro lingue per garantire un vantaggio competitivo alle loro imprese nazionali. Il grosso dei Paesi membri minori si è accontentato di compensazioni per i costi di traduzione, consentendo di far partire l'iniziativa a 25 Stati in «cooperazione rafforzata». Solo Italia e Spagna non hanno aderito e sono ricorse all'eurotribunale per difendere il principio dei Trattati Ue sulla parità di tutte le 22 lingue ufficiali. Ma gli eurogiudici hanno respinto. Tre eurodeputati euroscettici, Claudio Morganti, Giuseppe Rossi e Giancarlo Scottà, hanno cavalcato l'irritazione delle piccole imprese italiane sostenendo che l'Ue le colpisce con «un altro duro colpo, proprio in questo momento, in cui avrebbero avuto bisogno di maggiore sostegno per uscire dalla crisi» e che «la scelta del trilinguismo», penalizzando le altre lingue ufficiali, favorisce l'allontanamento di cittadini e imprese dall'Europa.  Ivo Caizzi _____________________________________________________________ Repubblica 16 apr. ’13 CEDRIC VILLANI: ESTASI MATEMATICA E’ COME IL SESSO MA DURA DI PIU’ Medaglia Fields nel 2010, direttore dell'Istituto Poincaré, lo studioso sfata le leggende sulla sua disciplina: "Il piacere è simile a quello del sesso, eccetto per il fatto che dura più a lungo" PIERGIORGIO ODIFREDDI Chi abbia visto una volta Cédric Villani, difficilmente lo dimentica. E chi lo veda senza conoscerlo, può facilmente scambiarlo per un baronetto uscito da un romanzo di Jane Austen: non solo per il suo aspetto fisico e i suoi lunghi capelli lisci, ma anche per il suo singolare abbigliamento, che consiste sempre di giacca (spesso a tre quarti) e panciotto, una colorita cravatta Lavallière o Ascot, e una vistosa spilla a ragno. Chi lo conosca per il suo lavoro, invece, non potrà che ammirarlo per la sua originalità intellettuale, premiata nel 2010 con la medaglia Fields: l'analogo del premio Nobel per la matematica. Alla cerimonia di consegna della quale, al Congresso Internazionale dei Matematici tenutosi a Hyderabad,i1 suo abbigliamento spiccava, in aperto contrasto con i costumi tradizionali della presidente della Repubblica Indiana e dei suoi dignitari. Cosa ci sia nella testa di Villani, sotto la chioma e sopra la cravatta, è difficile immaginarlo. Ma a permettere di gettarci uno sguardo fugace è ora il suo libro 11 teorema vivente. La mia più grande avventura matematica (Rizzoli, traduzione di Paolo Bellingeri), la cui copertina lo ritrae con acconciatura e uniforme di ordinanza, e il cui retro promette: «Il romanzo di una scoperta matematica». Il libro mantiene la promessa solo in parte, e dunque soddisferà solo una parte del pubblico potenziale. A essere soddisfatti saranno coloro che si interessano al lato umano e umanistico delle cose, e dunque all'"avventura" e al "romanzo": cioè, per fortuna dell'autore e dell'editore, la stragrande maggioranza dei lettori. A essere delusi saranno invece, paradossalmente, coloro che si aspettano di finire il libro capendo qualcosa del "teorema" e della "scoperta": cioè, per sfortuna loro, la minoranza di matematici professionisti o dilettanti. I primi, cioè coloro che costituiscono il vasto pubblico, vedranno sfatati i loro pregiudizi più comuni sui matematici e la matematica. Perché la gente pensa, da un lato, che i matematici siano persone avulse dalla realtà e dalla vita normale, chiuse al mondo e ai suoi piaceri, perse nei loro pensieri, e incapaci persino di legarsi le scarpe o di soffiarsi il naso. E, dall' altro lato, che la matematica sia una disciplina p er pochi eletti, ai quali improvvise e folgoranti intuizioni permettono di squarciare il grande velo che nasconde al resto del mondo i significati dei teoremi e le ragioni della loro verità. Villani mostra loro, invece, che i matematici (o, almeno, quelli come lui) sono persone piene di vita, di interessi e di fantasia. Sognano (come tutti), prendono appunti sui loro sogni (come pochi), e li pubblicano nei loro libri (come quasi nessuno). Inventano fiabe, e le raccontano non solo ai loro bambini, ma anche ai loro lettori. Portano e vanno a prendere i figli a scuola, a turno con le madri. Passano con loro serate e weekend, anche se spesso continuano a pensare al proprio lavoro nel retro della mente. Viaggiano di qua e di lànel mondo, soli o conia famiglia, per lavoro o per piacere. Leggono fumetti e ascoltano canzonette, di cui riportano nei loro libri lunghi elenchi, e addirittura le liriche. E, naturalmente, mangiano di gusto. Al punto da non riuscire a immaginare di poter vivere troppo a lungo nei "barbari" Stati Uniti, a causa della scandalosa mancanza di baguette e formaggi decenti. E da rifiutare per questo un'offerta di lavoro fisso all'Istituto degli Studi Avanzati di Princeton, tempio della ricerca teorica, i cui membri sono poeticamente pagati solo per pensare, senza dover prosaicamente insegnare o pubblicare. Poco male, visto che oggi Villani dirige l'Istituto Poincaré di Parigi, un analogo francese un po' meno prestigioso di quello statunitense, ma situato in una Quanto all'immagine del genio matematico «tutta ispirazione e niente sudorazione», è solo una sciocchezza romantica: persino meriti inarrivabili, quali Isaac Newton o Bernhard Riemann, hanno dovuto fare sforzi sovrumani e spaccarsi la testa con calcoli tremendi, come dimostrano le loro carte. E il libro di Villani offre il suo contributo a sfatare la leggenda. Lo vediamo infatti intuire, dubitare, rivedere, ricredersi. E combattere insieme al suo coautore una battaglia epica che, dopo un paio d'anni di lavoro, li porterà a una dimostrazione finale del loro teorema di ben 180 pagine. Il tutto attraverso lunghe ore d'insonnia, nervose passeggiate notturne, improvvisi crolli di stanchezza, dormite diurne sul pavimento dell'ufficio, e ben un centinaio di successive riscritture delle bozze dell' articolo! Una delle quali, considerata definitiva dagli autori, fu rifiutata dagli impietosi referee della rivista a cui era stata sottoposta, a dimostrazione che nella scienza non ci sono vie regie. Nemmeno per una futura medaglia Fields, che un giorno non lontano vedrà i suoi sforzi ricompensati dalla fatidica telefonata che annuncia il riconoscimento che tutti i matematici sognano di ricevere. La citazione letta alla cerimonia della premiazione di Villani recita: «Per la sua dimostrazione dello smorzamento non lineare di Landau e la convergenza verso l'equilibrio dell'equazione di Boltzmann» Ed è a questo punto che i lettori interessati al lavoro, e non solo alla vita, dei matematici avrebbero desiderato di saperne qualcosa di più. Ma lui non ci prova nemmeno a spiegar loro di cosa si tratta, all'insegna del motto che certe cose «intender non le può chi non le prova». E si limita a inserire nel libro molte mail scambiate con il suo coautore nel corso della ricerca, e varie pagine di alcune bozze del suo lavoro: tutte completamente inutili, eccetto che per coloro peri quali sono superflue. Peccato, perché entrambi gli argomenti sarebbero stati degni di approfondimento. Si tratta, infatti, di due problemi centrali dell'elettromagnetismo e della termodinamica: cioè, delle due discipline fondamentali della fisica dell'Ottocento, che evidentemente non erano ancora ben comprese neppure dopo un secolo. Entrambi i problemi riguardano il modo in cui i sistemi elettromagnetici o termodinamici evolvono verso la stabilità: nel caso dell'equazione di Boltzmann, il famoso stato di massima "entropia" odi massimo "disordine", previsto dalla seconda legge della termodinamica. E i risultati di Villani mostrano il modo preciso in cui questa evoluzione avviene. Ma probabilmente egli non ha voluto correre il rischio di dover spiegare ab initio i fondarnenti delle due discipline, per poter arrivare ad accennare ai suoi risultati soltanto nelle ultime pagine, come troppo spesso fanno gli stereotipati libri di divulgazione anglosassoni. Prodotti che sfamano lo stomaco, come il pane o i formaggi dei supermercati statunitensi, ma che non elevano lo spirito, come quelli che si trovano nelle panetterie e nelle formaggerie francesi: ad esempio, quella descritta dal Calvino di Palomar nel racconto Il museo dei formaggi. Villani ha dunque preferito mantenere la matematica divulgativa sullo sfondo del suo libro e relegarla alle impressionistiche vignette sui matematici che lo hanno ispirato e ai quali si sente affine. Boltzmann e Landau, anzitutto, ai quali ha dedicato la sua ricerca. Ma anche il suo eroe John Nash, che egli giustamente ricordano come lo schizofrenico protagonista del film A Beautiful Mind, ma come uno dei più grandi matematici del Novecento. O André Weil, l'eminenza grigia della matematica francese dello stesso secolo, del quale Villani ricorda il motto: «E piacere della matematica è simile a quello del sesso, eccetto per il fatto che dura più a lungo». E se c'è qualcosa che traspare, e che rimane, dalla lettura di II teorema vivente, è appunto questa sensazione di piacere quasi sessuale per il pensiero in generale, e la matematica in particolare. Se l'eccitazione e l'entusiasmo di Villani potessero essere trasmessi ai giovani e agli studenti, oltre che ai lettori del suo libro e ai visitatori del suo sito (cedric villani.org), il mondo sarebbe sicuramente molto diverso, e probabilmente molto migliore. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 apr. ’13 MARIA LAI PICCOLE MANI, GRANDE ARTE  L'artista sarda scomparsa ha saputo esprimere la meraviglia dell'origine, la forza del gesto e la nostra appartenenza all'infinito  Cristiana Collu Tradotta declinata vissuta. Se c'è una modalità femminile per essere artista, Maria Lai (l'artista sarda scomparsa in settimana all'età di 93 anni) la incarna: termine usato non a caso, la sua arte è nella sua carne, è della sua stessa sostanza dal principio, dalla genetica che ha deciso il suo genere, e dalla sua visione del mondo che proietta lo sguardo intenso di chi coniuga, e si coniuga costantemente con la meraviglia dell'origine, dell'arché, della natura, con la forza del gesto appena accennato, con ruvidezza solo apparente, con scarna e asciutta (im)precisione. Se gli occhi guardano al cielo, ecco le costellazioni posarsi sulla trama e sull'ordito di una storia che ognuno di noi tesse con i fili intrecciati al mondo e che con l'ago e il filo della vita fissiamo in un disegno che rivela la nostra appartenenza all'infinito.  Vento, sabbia e tacchi d'Ogliastra, profumi, carbone, padre, intuito, fiducia sconfinata nel cuore intatto e sicuro, caparbio della propria stessa fragilità, sempre sottratta e sempre all'erta, in ascolto, da portare altrove nell'isola che non c'è, non c'è stata, non ci sarà mai per chi ha sempre un porto da cui salpare e un orizzonte da raggiungere per il desiderio di scoprire. La casa sempre dentro, dentro le opere che come frammenti alla deriva danno ospitalità a chiunque vi voglia abitare. Maria Lai, prima di ogni cosa una donna sapiente e caparbia fin da ragazzina, con gli occhi teneri e sicuri dentro quelli di suo padre, a cercare quel tasto che risuona e fa dire sì, che strappa il consenso e la complicità per spiccare il volo (letteralmente a nove anni dentro un aereo che la portò a Roma). Non la duttilità di un padre arrendevole, ma una lucida intuizione intrisa di comprensione e desiderio di felicità, il più bel progetto di vita. E la vita ricomincia dunque altrove da casa, e farà casa in molti luoghi, senza nostalgia o struggimento, sempre presente in absentiam, sempre assente in presentiam. Un'oscillazione necessaria per bilanciare il suo stare al mondo, con quella modalità indovinata guardando da bambina le capre, audaci, intrepide con quegli occhi enigmatici e orizzontali, sempre libere di essere distratte dalla curiosità, giocose e vivaci, solitarie, diffidenti, accorte. Sono convinta che siano state loro a insegnarle a giocare senza smettere di crescere, mantenendo una freschezza innocente. «Come un gioco» è il titolo di una mostra fatta insieme nel 2002, in quell'occasione la vidi per la prima volta. Il carisma delle persone prescinde dalla loro volontà di esercitarlo, quello di Maria risiede nel suo passo, nei movimenti e in quel sorriso antico e misterioso, nella sua figura minuta, garbata e aspra al tempo stesso, nelle sue mani ossute. Ma non la sa lunga per niente, tutto le si presenta come la prima volta, e in questo espone la fragilità originaria che ha tenuto stretta e che l'ha esposta alle vicissitudini della sua esistenza. Non ha mai pensato di combatterla o addomesticarla, ha preso in carico il rischio, a volte persino spavalda e sprezzante del pericolo di mostrarsi nella carne di un io indifeso, se stessa e basta, essenziale ma traboccante. Avevo visto nella sua inclinazione per gli aspetti ludici e spensierati una modalità per sostenere il suo rapporto con il processo creativo tra conclusioni, licenze e derive. «Come un gioco» è stato il dispositivo attraverso il quale Maria Lai non ha dimenticato la spensieratezza dell'infanzia, non ha dimenticato quello stato d'animo ricolmo di pensieri e promesse di futuro; «Come un gioco» è stata la possibilità parallela concreta e attuabile, la condizione perché le cose siano potute accadere e compiersi, dove la fine esiste dall'inizio e vive anche di grazia, quella stessa grazia che Maria imprime in tutte le sue opere lasciandole sospese nella tensione del suo essere non solo faber e non solo ludens. Parlammo molto in quei giorni intensi e frenetici. Mi confessò persino, con un certo candido pudore, di sapere che le sue mani avevano un dono e così come potevano plasmare la materia potevano generosamente trasferire la sua energia a beneficio di chi ne fosse esposto. Non ho mai avuto dubbi al riguardo. Abbiamo intessuto una mostra che ci sembrò bellissima e finalmente nel giorno stabilito lei sparì, usava non essere mai presente alle prime. Direttore del Mart di Rovereto © RIPRODUZIONE RISERVATA L'articolo di Cristiana Collu è tratto dal catalogo di prossima pubblicazione della mostra Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell'arte italiana contemporanea che si terrà al Mambo di Bologna e che ha tra le figure centrali quella di Maria Lai (Catalogo Corraini) _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 apr. ’13 NARRATIVE BASED MEDICINE  Il confine tra cura e letteratura  Fabrizio Benedetti, autorità mondiale delle basi neuronali dell'effetto placebo, scrive un brillante saggio sulla medicina narrativa, sfatandone alcune false percezioni  Un modello concettuale e terapeutico nato negli Usa alla fine anni 90, che oggi è in grado di integrare aspetti psicologici e biologici  Alessandro Pagnini Nessuno, o soltanto l'inveterato nemico della scienza, può mettere in dubbio il progresso scientifico-tecnologico della medicina, il suo continuo evolversi e mettere a disposizione nuovi e sempre più efficaci protocolli di diagnosi e terapia, alla luce della ricerca in ambito biologico, fisico-chimico, genetico. E tuttavia, la medicina oggi cresce anche assimilando suggestioni e acquisizioni dalle scienze umane e dalle Humanities in generale; soprattutto quando al centro dell'attenzione, in spirito ippocratico, ci sono la cura e il rapporto medico-paziente.  La cosiddetta "narrative based medicine", o medicina narrativa, nasce in America, battezzata con questa formula di sfida nei confronti di certi presunti limiti della "evidence based medicine" da Rita Charon, professore di Medicina Clinica alla Columbia University di New York. Suo scopo è quello di arricchire la scienza biomedica di quanto le scienze della comunicazione, l'ermeneutica, le teorie degli atti linguistici, la semantica e le scienze storiche e psicologiche apportano alla conoscenza dei soggetti, dei vissuti e della relazionalità tra gli individui. In America, il modello concettuale della medicina narrativa è stato riconosciuto anche dalle strutture universitarie (non solo a Columbia, ma anche a Harvard, per esempio), dove sta guadagnando una dimensione sperimentale e applicativa che va ben al di là del generico richiamo al rispetto dell'altro nella relazione terapeutica o alla sensibilizzazione per la "unicità" dei casi. Più di recente anche in Italia, dove le Medical Humanities attirano crescenti interessi, si organizzano curricula speciali per la formazione di professionisti della cura incentrata sulle narrative (vedi L. Zannini, Medical Humanities e medicina narrativa, Raffaello Cortina, 2008) Fabrizio Benedetti è neuroscienziato di frontiera, noto in campo internazionale per i suoi contributi sulle basi neurobiologiche del placebo e sul funzionamento del cervello dei pazienti in terapia (si veda l'articolo di Gilberto Corbellini sulla Domenica del Sole 24 Ore del 17 guigno 2012). In questo breve e avvincente libello, un esemplare di "narrativa" scientifica che informa con mirabile chiarezza e dono di sintesi senza mai rinunciare a problematizzare, l'autore intende far comprendere al profano cosa sia e a cosa serva la medicina narrativa. E lo fa adottando un efficace espediente espositivo e anche euristico: alternando capitoli in cui presenta, oggettivamente e generalisticamente, teorie neurologiche, psicologiche e psichiatriche su temi come l'ansia, la depressione, l'altruismo, l'aggressività, a Lettere in cui sono contenute le narrazioni di un paziente finito suicida e che ammontano a «un crudo ed enigmatico diario». Le Note scientifiche sono a commento degli aspetti di interesse clinico che si incontrano nei brani biografici riportati, ma non sono intese a offrire una sorta di "manuale di traduzione" in misure e leggi di quanto qualitativamente espresso nei racconti, bensì a ricordarci il modo con cui la scienza "vede", organizza e tratta quei dati; dati che per la scienza medica sono la fonte osservativa (o, quando è possibile, sperimentale) per implementare o modificare le ipotesi interpretative. Ovviamente, il consiglio dell'autore è quello di leggere il libro dalla prima all'ultima pagina, purché disposti a cambiare registro di lettura: ora a immedesimarsi nel dolore e nelle emozioni raccontati e suscitati dal paziente, ora a apprendere quanto la scienza "spiega", sia pur fallibilmente, di quei fenomeni e di quei vissuti. L'importanza delle narrative in medicina è fuor di dubbio. Sia per il rilievo che da sempre hanno i casi clinici, a volte addirittura nel determinare i modelli teorici della diagnosi e della terapia (vien naturale pensare ai "racconti analitici" di Freud; ma, in maniera meno controversa, basterebbe ricordare il caso di Auguste D. che fece "vedere" ad Alzheimer un "morbo insolito" nella corteccia cerebrale); sia per la presunta efficacia terapeutica delle narrazioni (in questo caso, da parte del medico). E la domanda all'esperto di placebo nasce a questo punto spontanea: le narrative sono curative come dei placebo? E poi, sono le "storie che curano" (come recitava un famoso titolo di James Hillman) o curano solo le storie "belle"? E le storie che curano, devono essere rigorosamente letterarie, senza termini scientifici (che imbruttirebbero), o possono interpolare i linguaggi in modo da preservare un fondamentale valore conoscitivo oggettivo? Le risposte, interpreto da Benedetti, ce le dà la scienza, e non la filosofia, né tantomeno una acritica attribuzione di speciale, intrinseco, potere curativo alle narrative in generale (vedi a proposito il provocatorio saggio di Galen Strawson, Against Narrativity, Ratio, XVII, 2004).  Benedetti mostra di non credere nelle "due" culture, e di non credere neppure che vi siano due modalità alternative (seppur complementari) di conoscenza. La conoscenza che viene dai casi o che viene "somministrata" dal medico in forma narrativa è in perfetta continuità con la conoscenza biomedica di base. L'effetto curativo è esso stesso misurato all'interno di un quadro della cura che non vedo perché non si debba chiamare ancora "meccanicistico" (avendo a che fare con processi chimici e con effetti sui lobi frontali del cervello); e quello che offrono le narrative è un supplemento di "evidenze" nell'elaborazione teorica e nella prassi terapeutica. Per quanto riguarda il placebo, infine, per Benedetti esso non è una terapia alternativa (o complementare), bensì semplicemente quella componente psicologica che fa parte di qualsiasi tipo di intervento curativo. Il che apre la medicina a una dimensione socio-psicologica importante quanto il ricorso alle altre sue scienze di base, ma non la regala al mito, né a effetti "magici" della parola. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Benedetti, Il caso di G.L. La medicina narrativa e le dinamiche nascoste della mente, Carocci, Roma, pagg. 120, € 13,00 _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 apr. ’13 LEGGERE MEGLIO PER SCRIVERE BENE E DIVENTARE CITTADINI PIÙ ATTIVI Luca Serianni: testi e giochi che rafforzano le argomentazioni di LUCA MASTRANTONIO Per scrivere bene bisogna saper leggere bene; due cose che meglio s'imparano divertendosi. Muove da queste premesse il nuovo libro di Luca Serianni, Leggere, scrivere, argomentare. Prove ragionate di scrittura (Laterza). Lo scopo, dichiarato, è fornire strumenti utili a rafforzare l'italiano scritto: per studenti del liceo o dell'università, insegnanti in crisi di creatività didattica, professionisti o dilettanti della scrittura che vogliano migliorare la propria capacità di interpretare e produrre testi. Perché scrivere bene — ricorda lo storico della lingua italiana, docente all'università La Sapienza di Roma — significa comprendere non solo il significato di parole e frasi, ma pure le sfumature e le implicazioni del discorso per cogliere anche l'intento persuasivo dell'autore. Così a lettori migliori corrisponderanno cittadini migliori, capaci di intendere le posizioni altrui ed essere più consapevoli delle proprie. Un'attività quanto mai necessaria nell'Italia di oggi, funestata da opinioni espresse male e recepite peggio, in un gioco dei fraintendimenti che permette troppo facilmente di smentire anche sé stessi. Non si deve infatti circoscrivere questa prerogativa solo a chi comunica o svolge un ruolo di mediazione pubblica e sociale, dal politico al giornalista. Leggere e scrivere correttamente è un dovere privato di chiunque voglia difendere le proprie ragioni, rendendole ben strutturate e chiare prima di tutto a sé stesso (dalle lettere da scrivere all'amministratore di condominio ai commenti sui blog). Chi parla male — urlava Nanni Moretti in Palombella rossa — pensa male e vive male. «Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!». Il film è del 1989, ben lontano dall'attuale oralità scritta, egemone nei social network. Dove spazi (brevi) e tempi (rapidi) creano una lingua disfunzionale, morfologicamente corrotta (a volte creativa) e spesso fragile sul piano logico. Tanto che oggi vacilla anche il dogma di Ludwig Wittgenstein per cui i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo (Tractatus logico-philosophicus, 1921). Il mondo culturale e sociale che abitiamo, infatti, ci spinge a vivere linguisticamente fuori dai nostri limiti. Di cui è più difficile, e più necessario, avere consapevolezza. Serianni ha già analizzato in libri precedenti l'italiano scritto, entrando nel vivo di norme grammaticali e sintattiche, indicando errori e suggerendo correzioni; ma questa volta ribalta la prospettiva, partendo dall'analisi di testi argomentativi pienamente funzionali allo scopo per cui sono stati scritti. Vale a dire convincere (ma senza comandare) ad accettare ed eventualmente fare propria un'opinione o una posizione. Il libro, un manuale antologico, insiste su due punti. Primo: costruire un'argomentazione corretta ed efficace attraverso la selezione dei dati da presentare e l'uso di strumenti pertinenti e risorse retoriche (l'incipit e l'explicit, cioè l'apertura e la chiusura dell'articolo, ovvero enunciazione della tesi e conclusione, nel saggio breve). Secondo: arricchire il lessico astratto, con le sue implicazioni culturali, politiche e sociali, che rivelano più di quanto mostrano. Dopo l'introduzione, Serianni presenta integralmente editoriali, rubriche, articoli di costume, saggi brevi e articoli di cronaca, tratti da giornali e riviste (ci sono anche testi presi da siti di studenti, mentre tutto ciò che è letterario è escluso perché troppo ambiguo) inerenti a varie aree tematiche: dalla geopolitica (la Libia di Gheddafi) alla musica (un'esegesi di Fabrizio De André), dallo sport (il doping e gli atteggiamenti verso il colpevole) alla storia (la questione meridionale). Ogni testo, di cui è indicato il livello di difficoltà, è seguito da un'analisi che ne mette a nudo i meccanismi, favorendo la conoscenza degli stessi. Pur restando un sostenitore del «tema» come prova principe dell'italiano scritto, Serianni vuole superare il paradosso dell'esame di Stato, dove agli studenti è data la possibilità di scrivere un articolo di giornale senza che, magari, ne abbiano mai scritto uno in classe (un «invito all'improvvisazione», sostiene). L'esame di Stato ideale proposto da Serianni è una prova simultanea (come per il compito di matematica del liceo scientifico) che prevede un tema, breve e su traccia limitata, un riassunto di un testo argomentativo, una verifica di comprensione di un testo su argomenti estranei allo studente attraverso domande mirate. Dopo l'analisi del testo, a integrazione e potenziamento della comprensione attiva, Serianni suggerisce esercizi ludici, come il gioco di società noto come tabù, dove tra compagni di una stessa squadra bisogna individuare una parola di cui non si possono pronunciare i corradicali, cioè i termini con la stessa radice. Tra i giochi linguistici messi in pratica da Serianni nel libro c'è il cloze, che consiste nella ricostruzione di un brano tramite il reinserimento di alcune parole precedentemente cancellate secondo criteri diversi; da applicare a varianti lessicali testuali e contestuali, che fanno leva sulla competenza linguistica stretta oppure larga, cioè culturale (le risposte possono essere aperte o chiuse, lasciando libero l'inserimento o proponendo soluzioni tra cui scegliere). C'è anche trova l'intruso, grande classico dell'enigmistica, che consiste nella manipolazione di una frase con la sostituzione di una parola con un'altra di significato opposto o che comunque dà alla frase un significato non accettabile. Tutte le soluzioni, ovviamente, sono in fondo al libro. @Critical_Mastra _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 apr. ’13 IL DNA FA COPPIA CON IL GRAFENE  Elettronica super-leggera  L'approccio totalmente nuovo ha l'obiettivo di creare circuiti elettrici estremamente sottili  Francesca Cerati L'elettronica del futuro si baserà su due piccole ma preziose sostanze: il grafene e il Dna. Il primo – già considerato il materiale che rivoluzionarà gli scenari tecnologici del prossimo decennio – è il materiale più sottile al mondo, 100 volte più resistente dell'acciaio e sei volte più elastico, ottimo conduttore di calore ed elettricità. E sul quale l'Europa crede al punto da aver deciso di investire un miliardo di euro nel progetto "Graphene". Il secondo – a dieci anni dalla fine del progetto genoma – si è capito essere molto versatile: oltre a trasportare l'informazione genetica, il Dna può trasformarsi anche una scheda di memoria biologica, sul quale iscrivere informazioni.  Tra i primi a sviluppare questa idea sono stati gli scienziati della Stanford University in California, che sono riusciti a sfruttare un virus batteriofago per inserire nel Dna di un batterio Escherichia coli dei segmenti di Dna, orientati in senso corretto o in senso contrario. Questi diversi orientamenti corrisponderebbero agli 0 e 1 che costituiscono la base della memoria dei computer, e permettono quindi ai ricercatori di iscrivere informazioni nel Dna, e di riscriverle con altre se necessario. Il passo successivo è stata fatto all'European Bioinformatics Institute dove sono riusciti ad archiviare nel Dna 100 milioni di filmati in alta definizione, nonché i sonetti di Shakespeare. Niente a che vedere quindi con l'ampio capitolo dell'ingegneria genetica, ma di altri potenziali e inesplorati impieghi della doppia elica. Così ora le singole peculiarità di grafene e Dna hanno "stuzzicato" l'inventiva degli scienziati di Harvard e del Mit che hanno pensato di sviluppare circuiti elettronici leggerissimi, quasi impalpabili, che potranno forse diventare il cuore dei prossimi smartphone. Difficile immaginare di ottenere cellulari ancora più "snelli", ma se pensiamo che il grafene sostanzialmente è un sottilissimo foglio di atomi di carbonio, ideale per fare chip superleggeri, allora il sogno potrebbe anche realizzarsi. Chi ci ha provato ha dovuto però fare i conti con una scarsa efficienza, perché i circuiti devono essere posizionati sui fogli di grafene uno alla volta, con una grande dispersione di tempo.  Per superare questo limite Michael Strano, docente di ingegneria chimica al Mit, e Peng Yin, assistente di biologia del l'Harvard medical school, hanno pensato di sfruttare lo spazio di archiviazione di dimensioni molecolari del Dna e la sua capacità di poter essere modellato anche in intricate forme come i circuiti elettronici. Questa nuova tecnologia Dna/grafene – appena pubblicata su Nature communications – è ancora nelle prime fasi di sviluppo e non c'è al momento alcuna garanzia che si riusciranno a ottenere chip per l'elettronica super-leggera, ma il tentativo consente ai ricercatori di progettare circuiti che possono essere ospitati sul grafene. © RIPRODUZIONE RISERVATA _____________________________________________________________ Il Manifesto 16 apr. ’13 PIÙ CLASSI POLLAIO E SI TAGLIANO 81.614 DOCENTI Tra il 2008 e il 2013 in Italia sono scomparsi 81.614 insegnanti a fronte di un aumento di più di 90 mila alunni in tutte le scuole. Lo sostiene la Fic-Cgil in uno studio dove viene segnalato anche il taglio di 43 mila Ata avvenuto nel corso degli ultimi cinque anni. Tranne che nell'infanzie, sono state cancellate 28 mila cattedre nella scuola primaria, 22 mila nelle medie e 31 mila nelle superiori. Con la riforma del «dimensionamento» voluta dall'ex ministro dell'Istruzione Gelmini sono scomparse quasi 2 mila scuole, in gran parte accorpate nei nuovi «istinti comprensivi». Con oltre 90 mila alunni in più, una tendenza che si consoliderà nel corso dei prossimi anni, ci sarebbero voluti invece almeno 4500 classi in più, calcolando una media di 20 ragazzi per classe. Stando ai calcoli del sindacato, sono state tagliate oltre 9 mila classi. Il risultato di questa equazione è l'aumento delle «classi pollaio» quelle cioè che superano la media imposta dalla legge di 26 alunni per classe. Solo la scuola dell'infanzia ha registrato un piccolo aumento di sezione: +518 dal 2008. Sono dati allarmanti che giungono alla fine del primo anno della riforma del «dimensionamento». Se incrociati con quelli forniti dall'Eurostat l'11 aprile scorso assumono una valenza ancora più complessiva. Secondo l'Eurostat il tasso dell'abbandono scolastico è in un aumento in Italia. In Europa la media è del 12,8%, nel nostro paese invece si va in direzione opposta: il 17,6%. I numeri non sono quantificati, ma ci sono centinaia di migliaia di ragani che ogni anno lasciano la scuola per ingrossare le fde del lavoro precario e di quello in nero, oppure vengono immancabilmente classificati nella categoria dei «Neet». La situazione non migliora se si considerano i diplomati. Secondo l'Eurostat, nell'Ue a 27 i diplomati sono il 35,8%, mentre in Italia sono il 22%. A livello universitario, nei paesi dell'Unione Europea il 36 per cento della popolazione tra i 30-34enni è laureata, mentre in Italia nella stessa fascia di età si fermano al 21,7 per cento. Domenico Pantaleo, segretario della Flc-Cgd, rivolge un appello alla politica: «Che si faccia carico delle emergenze della scuola afferma bisogna pensare ad avviare un piano di investimenti che permetta di invertire questo drammatico andamento». Le proposte sono: garantire l'estensione del tempo pieno e della scuola dell'infanzia, stabilire un piano di rifinanziamento dell'edilizia scolastica e un'azione più decisa per contrastare l'«evasione scolastica». Nel frattempo, sul fronte del «concorsone» per 11.542 posti, giunto all'ultima prova, si vocifera che le assunzioni dei vincitori inizialmente previste in un biennio potrebbero slittare. Al Miur stanno pensando a spalmare la modesta cifra dei vincitori in un triennio. Secondo il Capo Dipartimento del Miur, ci si potrebbe spingere fino a settembre 2015 per l'assegnazione, dato che la normativa prevede la triennalità delle graduatorie. Del «concorso di primavera» annunciato da Francesco Profumo non sembra esserci più traccia. ro. ci. _____________________________________________________________ Repubblica 19 apr. ’13 LA SUPER BATTERIA CHE SALVERÀ PC E TELEFONINI Il nuovo congegno creato all'università dell'Illinois sarà più potente e alimenterà a una velocità superiore Ma i costi di realizzazione sono molto alti. E il mercato per adesso preferisce puntare sulle tecnologie al litio. Mai più cellulari scarichi nel bel mezzo di una telefonata o auto elettriche incapaci di sostenere un lungo viaggio: sono queste le promesse di un nuovo tipo di batteria creato nei laboratori dell'Università dell'Illinois. Per ora è ancora un prototipo, ma sfrutta un principio rivoluzionario per superare i limiti delle attuali batterie: elettrodi tridimensionali. Così riesce a generare una potenza di dieci volte superiore, a parità di grandezza. Può essere l'alba di super batterie che resistono per giorni. Oppure essere un modo per avere micro batterie, dieci volte più piccole di quelle ora sul mercato: integrabili così nei vestiti, per avere computer indossabili miniaturizzati, in grado per esempio di monitorare di continuo le nostre funzioni vitali. I ricercatori sono riusciti anche ad accelerare di mille volte il tempo di ricarica. «E un modo completamente nuovo di pensare alle batterie, che negli ultimi venti anni hanno fatto pochi passi avanti, mentre la tecnologia in generale si è evoluta molto», ha detto William P King, il docente alla guida di questo progetto di ricerca. «La nostra microtecnologia può cambiare tutto e rimettere le batterie alla pari con i resto dell'evoluzione tecnologica». Chiunque abbia uno smartphone, anche di quelli nuovi e costosi, sa bene di che cosa parla il docente americano: la tecnologia è avanzatissima, può fare di tutto, ma dopo poche ore si trasforma in un inutile soprammobile. Fino alla prossima ricarica. L'idea è quindi una microstruttura tridimensionale del catodo e dell'anodo, i due componenti ("elettrodi") tra cui avvengono le reazioni chimiche alla base del passaggio di energia. Gli scienziati hanno inventato, un nuovo modo per integrare anodo e catodo, in questa microstruttura dove gli elettrodi invece di essere schiacciati su una superfice piana si sviluppano in una terza dimensione, così da ridurre la distanza che ioni ed elettroni devono percorrere. Risultato, l'energia si muove molto più velocemente nella batteria. Ed è una microstruttura universale, cioè potrà essere adottata in molti tipi di batterie, anche in quelle più comuni, a ioni di litio, che sono nei cellulari, nei computer portatili, nelle auto mobili. Adesso bisogna solo aspettare che l'industria cominci a produrre batterie con questa nuova struttura. Ma è proprio qui che c'è l'incognita. I ricercatori non hanno ancora stimato quando la loro idea potrà diventare matura a livello commerciale. «L'architettura ideata dall'università di Illinois è interessante, ma il processo costruttivo rischia di essere troppo costoso», spiega Cosmin Laslau, analista di Lux Research, istituto di ricerca di Boston specializzato in questo mercato. Alla fine è solo una questione economica. «Adesso produrre una comune batteria a ioni di litio costa 409 dollari per kWh di potenza. Nessun altro tipo di batteria è riuscito a scendere a questi livelli di costo, finora», continua. «Tra le batterie sperimentali, più potenti di quelle agli ioni di litio, ci sono quelle allo stato solido. Ma saranno mature solo nel 2024», prevede Laslau. Altre tecnologie alternative, promettenti e ora sviluppate nei laboratori, utilizzano il litio-aria o il litio-zolfo invece degli ioni di lido. Giocano a cambiare l'elemento chimico, insomma. La scoperta fatta nell'Illinois, invece, è nell'innovazione della struttura: è un approccio del tutto nuovo e proprio per questo motivo può riuscire laddove altre tecniche hanno fallito. _____________________________________________________________ Repubblica 20 apr. ’13 UN FUTURO SENZA CARICA MAURIZIO FERRARIS Quella della batteria era un tempo, sino a una quindicina d'anni fa, una esperienza marginale, legata per lo più all'infanzia (giocattoli a pila che venivano regalati in giorni di festa, quando i negozi che vendevano pile erano chiusi) o allo sport (radioline a pila sulle spiagge). I telefoni non avevano bisogno di pile, e neanche le macchine per scrivere, né i televisori, né le automobili. E sarebbe apparsa bizzarra l'idea di non poter più leggere un libro perché si era scaricata la batteria. Poi, progressivamente, tutto è cambiato, e il mondo ha incominciato a popolarsi di caricabatteria, dimenticati a casa, o nelle stanze d'albergo, o in ufficio e in treno, e che andavano sostituiti per garantire funzioni essenziali come la lettura, la scrittura, la comunicazione. "Mettere sotto carica" è diventato un obbligo quotidiano, e distribuito su più oggetti, il che permette di datare case e stanze d'albergo: quelle con un numero insufficiente di prese risalgono al secolo scorso. Il tutto in un inseguimento tecnologico: produrre batterie più potenti e con maggiore autonomia, per macchine che tuttavia sviluppano funzioni sempre più complesse, che consumano molta più energia. Se le notizie che si leggono, di batterie microscopiche e durature, sono vere, questo genere di esperienza della caducità sarà destinata a riguardare la transizione tra un millennio e un altro, sopravvivrà solo nel ricordo e poi scomparirà anche di lì. Verrà presto un giorno in cui apparirà indecifrabile lo sgomento di aver dimenticato il carica batterie, o la frustrazione di dire (o di non poter dire) parole essenziali mentre la batteria si sta scaricando e l'audio diventa incomprensibile. Potrà apparire un mistero che l'immagine della finitezza sia stata, per molti, una icona a forma di pila che diventa rossa e notifica che restano solo pochi minuti di carica. Eppure è stato proprio così. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 apr. ’13 SARDEGNA: FONDI EUROPEI, TANTI E SPESI MALE La Regione chiede la pagella dal 2000 a un gruppo di esperti Giudizio impietoso: un miliardo e mezzo investito a vuoto di Giuseppe Centore CAGLIARI Non chiamatelo fallimento, ma solo per non buttare sulla Regione l’ennesima croce; il concetto di fondo non è però distante. Le politiche regionali cofinanziate con i fondi europei negli anni scorsi per bene che vada sono rimaste complessivamente molto al di sotto delle aspettative: i fondi manovrati, e spesi, centinaia e centinaia di milioni di euro, hanno prodotto alcune interessanti operazioni, ma nel complesso i risultati sono stati «deludenti». A dirlo è la stessa Regione, che proprio per verificare la bontà del suo lavoro ha affidato a un nucleo di valutazione, formato da interni ed esterni l’amministrazione, lo studio e l’analisi dei piani nel periodo 2000-2006 (con giunte regionali di centrodestra fino a metà del 2004, quando vinse le elezioni il centrosinistra). Il nucleo di valutazione, nominato durante la giunta Soru e in scadenza a fine anno, è diretto da un ingegnere, Corrado Zoppi, docente all’università di Cagliari. Il pool da lui coordinato, che si è avvalso anche del lavoro di società esterne specializzate nella raccolta e nell’analisi dati, ha prodotto già quattro studi, su politiche urbane, ricerca scientifica e innovazione tecnologica, azioni contro la dispersione scolastica e sul sistema pubblico dei servizi per il lavoro. A questi quattro studi, già pubblici, se ne aggiungeranno altrettanti che saranno completati entro l’anno: riguardano i pacchetti integrati di agevolazioni rivolti alle imprese e al turismo, quello sull’unione dei Comuni, quelle sulle politiche per il turismo e l’ultimo sulle politiche energetiche. Infine vi sarà un quinto studio, condotto in collaborazione con Nomisma e Prometeia, sull’impatto che complessivamente le politiche che hanno utilizzato i fondi strutturali hanno avuto per l’economia dell’isola. Anche questo non sarà pronto prima del 2014. Fonti interne allo stesso nucleo di valutazione ritengono altamente probabile, se non certa, una analoga sentenza anche per il successivo Por, che si concluderà quest’anno e che sarà monitorato solo dal 2014. Bisogna leggere tra le righe del linguaggio degli esperti per cogliere il fallimento di queste politiche. «Non sempre i risultati sono stati all’altezza delle aspettative». Delusione. È il concetto che a più riprese e in diverse forme viene declinato da tutti gli autori degli studi. Una delusione profonda, solo mitigata dal fatto che i diversi piani hanno comunque smosso le acque. «Ma in ogni caso – ha detto diplomaticamente Zoppi – l’attuazione di queste politiche, non è stata efficace, rispetto alle aspettative e alle esigenze della programmazione. Gli interventi sono stati troppo parcellizzati, è mancata una visione di insieme che sapesse e potesse renderli fruttiferi nel tempo e facesse crescere realmente l’isola». I numeri. I soldi non sono certo mancati: quasi 500 milioni di euro per le politiche urbane, oltre 800 per la ricerca e l’innovazione; molti di meno, vista la specificità dell’intervento, per la scuola, quasi 30 milioni di euro, e per i servizi dell’impiego (i vecchi Cesil, che oggi vivono un triste crepuscolo). In totale quasi un miliardo e mezzo. In ogni caso il nucleo di valutazione regionale ha sfatato un mito che sino a ieri reggeva senza sforzi: la spesa programmata e poi realizzata di per sé è efficace e produce benefici. Purtroppo non è così. La sentenza. I risultati, racchiusi in sostanziosi studi di centinaia di pagine dicono il contrario. Basta leggere le asettiche righe contenute nel documento annuale di programmazione economico e finanziaria del 2013 presentato nei giorni scorsi dalla giunta regionale, per farsi una idea del fallimento di queste politiche, non ascrivibili a una giunta e a una stagione politica. Sviluppo urbano. Su questo tema «il risultato è stato considerato piuttosto deludente. Le correlazioni (tra indici del disagio sociale e misure di intensità degli interventi) anche nei casi migliori sono piuttosto basse anche se significative». Viceversa le politiche urbane «non hanno conseguito l’obiettivo prioritario di migliorare la qualità della vita nelle aree urbane, conseguendo invece un obiettivo non dichiarato: la permanenza del tessuto insediativo diffuso». Come dire, i soldi gettati nel calderone degli interventi nelle aree abitate hanno se non altro attenuata la tendenza allo spopolamento e alla concentrazione nei grandi centri. Ricerca scientifica. Il quadro non cambia, semmai ci sono alcune novità, come la non omogenea diffusione temporale dei finanziamenti, «a periodi di grande lentezza sono succeduti periodi di forte accelerazione, soprattutto nella parte finale dei periodi»; insomma si sono spese risorse perché altrimenti si sarebbero perse, più che per un motivo valido. E poi «è mancato il coordinamento tra ai diversi soggetti regionali incaricato di attuare queste politiche e c’è stato uno scollamento tra chi gestiva i fondi e i beneficiari degli stessi». Modesta infine la capacità di attrarre imprese esterne: solo 34 su 1600. Dispersione scolastica. I laboratori scolastici sono stati sicuramente interessanti per docenti e studenti, ma non hanno fermato la dispersione, Né hanno modificato il rapporto tra promossi e bocciati; in questo caso i dati rendono difficile una valutazione scientifica degli effetti, anche perché «la ripartizione dei fondi non è stata preceduta da alcuna analisi sul reale fenomeno della dispersione, ma è stata di tipo burocratico». Servizi per l’impiego. Qui è stato misurato l’appeal dei nuovi strumenti rispetto al vecchio collocamento: «Gli utenti non hanno sfruttato le potenzialità offerte dai servizi, e non c’è stata l’auspicata inversione di tendenza».   _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 15 apr. ’13 E ALLA FINE È PREMIATO CHI INNOVA DI MENO Ricerca e tecnologia: tempi lunghi per finanziare le imprese più meritevoli, il mercato non aspetta   CAGLIARI Il più significativo centro di spesa monitorato finora dal nucleo di valutazione riguarda il settore della ricerca e dell’innovazione tecnologica. In questo caso la confusione è alta, nonostante, o forse proprio per questo, le risorse messe a disposizione venissero definire da tutti gli attori persino «sovradimensionate rispetto alle esigenze». E così i politici ritengono che la strategia fosse stata chiara, gli attuatori dicono il contrario, i destinatari ribadiscono che la confusione e la mancata concertazione ha creato solo problemi. L’unica cosa che ha funzionato, naturalmente, è il fatto che il sistema finanziario ha favorito la nascita e il consolidamento di realtà pubbliche come il CRS4, o private come Vol e Tiscali. Che poi la storia abbia mostrato la debolezza in un caso e la caduta nell’altro delle iniziative private, o le difficoltà nelle quali si dibatte il centro di ricerca che ebbe Rubbia come suo presidente, è un’altra questione. Ma sono anche altri gli elementi che emergono dalla valutazione della stessa Regione. Tra questi la scarsa, per non dire debolissima capacità di attrarre in Sardegna le imprese esterne e una eccessiva polarizzazione territoriale. Insomma, solo società legate all’information techology, pochissimo nel manifatturiero e nulla nell’energia, e soprattutto tutte concentrate nel Cagliaritano, con una piccola appendice sassarese e il deserto assoluto nel resto dell’isola, nonostante l’immaterialità dei lavori potesse in teoria non sfavorire le zone interne. Il confronto. La ricerca ha anche messo a confronto le politiche di ricerca e sviluppo dell’isola e della Puglia, ricavandone strategie, impegni e soprattutto esiti ben diversi. Dal 2003 la Sardegna ha ridotto i suoi investimenti, la Puglia li ha invece aumentati: e se nell’isola è arretrata la componente finanziaria pubblica, aumentando quella privata, in Puglia sono aumentate, a dimostrazione di una migliore sinergia tra gli attori, sia la componente pubblica che quella privata. Le politiche e l’innovazione. Anche in questo caso la confusione è stata elevata. Le interviste e il confronto con i protagonisti hanno portato alla conclusione che: è mancato il coordinamento tra società e agenzie create con fondi regionali, mentre l’università non è stata coinvolta, se non nell’ultima fase; non vi è stato un luogo adeguato dove verificare, monitorare e aggiornare le politiche per l’innovazione; non vi è stata una analisi della domanda di innovazione delle imprese; la Regione ha sempre trasferito in ritardo i fondi necessari, creando naturalmente problemi; dal 2000 al 2006 c’è stato un blocco della spesa, e a monte la stessa gestione dei bandi è stata lenta. Il paradosso. Tutti questi elementi, associati in un perverso meccanismo, hanno condotto a una situazione incredibile: le società che necessitano di innovazione, ma per le quali il mercato non consente tempi lunghi per eseguire i loro progetti, pur avendone i titoli e i meriti non hanno usufruito dei finanziamenti. Le aziende invece che non avevano bisogno di finanziamenti per l’innovazione si sono rivolte con calma a queste politiche che nell’ultima fase, quando era evidente il rischio di perdere le somme destinate all’isola, hanno allargato i criteri di accesso alle agevolazioni. È stato questo forse il campo dove le distorsioni del sistema regionale hanno prodotto più danni, impedendo quella crescita da tutti, almeno a parole, ricercata. ========================================================= _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 apr. ’13 SANITÀ PIÙ COSTOSA IN UN PAESE IMPOVERITO Giustamente si parla delle sofferenze delle piccole e medie aziende, ma pochi sembrano preoccupati di quelle grandi aziende che sono le Asl e, soprattutto, della qualità dei servizi che ormai sono in grado di offrire, dopo tanto tagliare. In prima linea sono le Regioni che devono affrontare una situazione in cui (rapporto Oasi dell'Università Bocconi) i ticket sui farmaci sono aumenti del 40%, più della metà dei cittadini si rivolge al privato per visite ed esami, e le badanti (774 mila) hanno superato i dipendenti di Asl e ospedali (664 mila). Insomma una sanità sempre più costosa per i cittadini in un Paese impoverito, mentre anche i bilanci più «virtuosi» stanno volgendo al rosso. Su un punto tutti in campagna elettorale si mostravano d'accordo: alleviare il «peso» della politica, liberare l'amministrazione della sanità, affidandola a tecnici competenti e riducendone i costi. Dando un'occhiata alle ultime Regioni in cui si è votato, la giunta Zingaretti del Lazio promette trasparenza e l'istituzione di un organismo terzo che proceda alle scelte: peccato solo che quasi tutte le nomine siano state fatte rapidamente dal governo precedente, prima di andarsene. In Sicilia, la giunta Crocetta si incaglia proprio sulle nomine della sanità. E in Lombardia la giunta Maroni ha proceduto al solito giro di valzer delle poltrone dei manager, con qualche piccolo ritocco dovuto ai risultati elettorali. Tutti nuovi commissari «straordinari», in carica per un anno. Poi si vedrà. _____________________________________________________________ Unione Sarda 19 apr. ’13 AOUCA: VIAGGIARE IN METRÒ È ECOLOGICO, SALUTARE E FA RISPARMIARE A Monserrato il progetto Crimm Se 2500 cittadini che vivono in zona piazza Repubblica utilizzassero la metropolitana per andare nelle strutture universitarie di Monserrato, risparmierebbero quattro milioni di euro e contribuirebbero alla riduzione di duemila tonnellate di Co2 l'anno. Il Crimm (Centro ricerche modelli mobilità) lancia il primo programma su vasta scala per il cambiamento dei comportamenti di viaggio. Oggi alle 11, nell'aula magna della Cittadella Universitaria di Monserrato) sarà presentato “Cittadella Mobility Styles”, il programma di promozione del nuovo collegamento di Metrocagliari e della mobilità sostenibile complementare e alternativa all'uso dell'auto privata. A un anno dalla conclusione di “Casteddu Mobility Styles”, il Crimm, con il patrocinio dell'Università di Cagliari e in partnership con Arst, Ctm, Azienda ospedaliera universitaria, Ersu, MLab, Provincia di Cagliari e comuni di Monserrato, Sestu e Quartu - avvia un programma sperimentale di promozione dell'utilizzo della metropolitana di superficie, obiettivo: risparmiare denaro e tempo, inquinare meno e tenersi in forma. Un cittadino di Cagliari residente in zona Repubblica che si sposta con la sua automobile, ad esempio da via Alghero al Policlinico, nei giorni feriali, con due rientri settimanali per pranzo, utilizzando la metro può mediamente risparmiare oltre 1400 euro all'anno sui costi di viaggio, ridurre di oltre 800 chilogrammi all'anno le emissioni di gas nocivi, risparmiare ogni settimana 3 ore e mezza di traffico alla guida della propria automobile, incrementare i propri spostamenti attivi nei tratti percorsi a piedi, bruciando il 17 per cento di calorie in più. Se 2500 automobilisti, che ogni giorno raggiungono la Cittadella da piazza Repubblica e dintorni, cominciassero a integrare MetroCagliari nei propri spostamenti abituali, ogni anno sarebbero emesse 2073 tonnellate in meno di Co2 nel centro cittadino (per compensare le quali sarebbero necessari 225 ettari di foresta), si ridurrebbero di 1.825.000 i passaggi veicolari fra periferia e centro città e ci sarebbe un risparmio per i cittadini di 3.590 mila euro con un incremento del fatturato del trasporto pubblico di 675 mila euro. All'incontro di oggi partecipano il direttore del Crimm Italo Meloni, il consulente marketing Silvio Porcu e il dottorando di ricerca Giuseppe Delogu. _____________________________________________________________ Unione Sarda 19 apr. ’13 AOUCA: MACCIOTTA, CHIUSURA IMMINENTE Ieri un vertice per il trasloco di tutti i piccoli pazienti al Policlinico Vertice ieri in città per definire il piano straordinario del trasferimento di tutti i piccoli pazienti della clinica pediatrica Macciotta, in corso di chiusura, al Blocco Q del Policlinico di Monserrato, che ospiterà il reparto di Neonatologia. Durante la riunione della cabina di regia, coordinata dall'assessorato regionale della Sanità, è stato fatto il punto sulla situazione e si è discusso soprattutto della simulazione del piano di trasbordo dei neonati dalla vecchia struttura sanitaria di Cagliari a quella nuova di Monserrato. Erano presenti i vertici dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, della Asl 8 e del Brotzu, il rettore dell'ateneo cittadino, i rappresentanti della Polizia municipale e dei Vigili del fuoco. Il trasferimento sarà un'operazione complessa, che mobiliterà almeno un centinaio di persone tra medici, infermieri, operatori socio-sanitari e richiederà l'ausilio delle forze dell'ordine per la gestione del traffico e per consentire alle ambulanze attrezzate con le culle termiche di non incontrare ostacoli nel percorso scelto. Per garantire adeguati standard di sicurezza nel trasferimento e nella nuova struttura che ospiterà i neonati (in via di ultimazione), il tutto avverrà entro maggio. Saranno scelte una data e un'ora in cui il flusso di auto e mezzi sarà minore (dunque presumibilmente nelle ore notturne e non concomitanti con particolari eventi) e il tutto avverrà “no stop”. Le ambulanze di trasporto neonatale saranno scortate da un cordone di sicurezza delle forze dell'ordine, che presidieranno anche gli incroci stradali per renderli scorrevoli. Nei pressi della vecchia clinica, limitatamente a quelle ore, sarà istituito un divieto di sosta con rimozione forzata di tutti i veicoli. Il percorso da compiere tra Macciotta e il Policlinico sarà di circa 10 chilometri e potrà essere effettuato, secondo le stime, in circa 15 minuti, ai quali però dovranno aggiungersi le fasi di preparazione e quelle di trasferimento del paziente, una volta a destinazione, dall'ambulanza alla nuova sede. Il tutto sarà velocizzato dopo i primi trasferimenti che, viene stimato, interesserà tra i 18 e i 30 neonati. _____________________________________________________________ Unione Sarda 19 apr. ’13 Il budget è di 30 milioni, in primo piano il Dipartimento di Fisica La lotta ai batteri killer UNICA: BATTERI PROGETTO EUROPEO GUIDATO DA DUE CAGLIARITANI Circa trenta milioni di euro di budget per cinque anni di studi guidati dai ricercatori dell'Università di Cagliari - unici rappresentanti italiani - alla guida di un progetto per combattere i batteri killer. I numeri parlano chiaro e dicono che ogni anno in Europa muoiono 25.000 persone a causa di infezioni batteriche. Come ha scritto David Payne, direttore della divisione antibiotici di un gigante dell'industria farmaceutica, la GlaxoSmithKline, in un suo editoriale apparso sulla prestigiosa rivista Science, le infezioni batteriche non sono più solo una minaccia, ma rappresentano una realtà sempre più pericolosa.  IL GRUPPO DI RICERCA E proprio Payne siede ora fianco a fianco a un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica dell'Università di Cagliari in un progetto dell'Imi (Innovative Medicine Initiative) finanziato dalla Comunità Europea e da un gruppo di aziende farmaceutiche europee, ma di fatto con solide basi negli Stati Uniti, comprendenti, oltre a GlaxoSmithKline, Astrazeneca, SanofiAventis, Basilea Pharmaceutica e Jannsen. Si è compreso che la lotta contro i batteri richiede urgentemente una nuova strategia di ricerca e di sviluppo di antibiotici, e il finanziamento per ricerche precompetitive, 29,3 milioni di euro per 5 anni, rende l'idea di quanto il problema sia sentito e di quale sarà l'impegno richiesto. La Comunita Europea spera con questo investimento di riportare la ricerca sugli antibiotici in Europa. LA COLLABORAZIONE Per la prima volta le grandi case farmaceutiche hanno deciso di collaborare fra di loro e con il mondo accademico, mettendo a disposizione le informazioni necessarie. Sette consorzi europei hanno risposto alla chiamata della Comunità Europea presentando i loro progetti. Alla fine di un processo di selezione durato pochi mesi ma molto duro è stata scelta la proposta del consorzio comprendente i ricercatori del Dipartimento di Fisica.  I DOCENTI Matteo Ceccarelli e Paolo Ruggerone, professori associati con lunghi trascorsi all'estero, hanno guidato, insieme alla Jacobs University di Brema (Germania) e all'Université de la Méditerranée di Marsiglia-Aix-en-Provence (Francia), la stesura del progetto, coordinando 11 gruppi universitari sparsi in tutta Europa, 3 gruppi di enti di ricerca, e 5 piccole e medie imprese. I due ricercatori del Dipartimento di Fisica sono a capo di due dei 5 sottoprogetti di ricerca, coordinando le attività di diversi gruppi nelle università e nelle industrie, e siedono nel comitato decisionale. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 apr. ’13 UNICA: RICERCA SARDA FINANZIATA DAGLI STATES CAGLIARI Un ricercatore dell’Università di Cagliari, Manolo Carta, ha ricevuto un nuovo finanziamento per i suoi studi sulla malattia di Parkinson dalla prestigiosa Fondazione americana Michael J. Fox, dopo quello ottenuto nel 2012 in collaborazione con Micaela Morelli, docente ordinario di farmacologia. Il progetto, della durata di un anno, riceverà 62mila dollari dalla Fondazione fondata dall’attore americano e si propone di far luce sui meccanismi che determinano le discinesie, e di porre le basi per un possibile studio clinico. La malattia di Parkinson è la seconda neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer e costituisce una problematica medico-sociale destinata ad aumentare con l’invecchiamento della popolazione a cui la società moderna sta andando incontro, è caratterizzata dalla perdita dei neuroni che producono dopamina e causa serie difficoltà motorie. Nei suoi studi precedenti, condotti nell’Università svedese di Lund, Carta ,ha svelato il ruolo dei neuroni che producono serotonina, un altro neurotrasmettitore cerebrale, nella comparsa delle discinesie. In questo nuovo studio Carta ipotizza che un trattamento con il precursore della serotonina possa contrastare l’insorgenza degli effetti collaterali della levodopa e aumentare l’efficacia dei farmaci.  _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 16 apr. ’13 UNICA: AMNIOCENTESI, TEST ALTERNATIVO  Studio dei genetisti dell’università, ma i fondi non bastano  È in fase avanzata di studio una nuova tecnica che sostituirà l’amniocentesi per le donne incinte. Basterà un semplice prelievo di sangue e sarà possibile scoprire l’esistenza di anomalie cromosomiche o encefalico-spinali nei feti. Lo studio è dei genetisti molecolari dell’università. Mancano però 2 milioni di fondi. Un’analisi del sangue della madre potrà evitare l’amniocentesi  Cagliari, gli specialisti di genetica molecolare dell’Università impegnati in uno studio con altri 3 centri Entro due anni una nuova procedura per individuare il dna del feto e verificare eventuali anomalie  di Giuseppe Centore CAGLIARI Due milioni di euro, solo due milioni e forse nel giro di ventiquattro mesi anche le donne sarde in dolce attesa potranno evitare lo spauracchio dell’amniocentesi, l’esame necessario per verificare la presenza di alterazioni cromosomiche nel feto o anomalie in quello che poi darà luogo all’encefalo e al midollo spinale. La risposta sta nella ricerca del dna del feto nel sangue della madre. Con un semplice prelievo si potrebbe evitare l’amniocentesi e tutti gli altri esami invasivi che spaventano ancora nonostante il loro bassissimo livello di rischio (la letteratura scientifica ormai fissa il rischio di aborto a seguito dell’esame a 3 casi su 10mila, con il rischio direttamente legato all’esperienza di chi esegue l’esame). Gli studi sono in fase talmente avanzata che quattro centri – Milano, Torino, Firenze e Cagliari – hanno presentato richiesta per un progetto “finale”. Nell’isola a dirigere la ricerca sono gli specialisti del laboratorio di genetica molecolare pre e post natale dell’Università di Cagliari, coordinati da Maria Cristina Rosatelli. «Abbiamo inviato, tutti e quattro i centri, una lettera di richiesta di fondi per due milioni di euro equamente ripartiti per trovare protocolli condivisi e metodologie standard in questa analisi». I quattro centri, se riceveranno i finanziamenti in tempi rapidi contano di standardizzare le procedure entro due anni. Allora l’amniocentesi non diventerà più consigliata ma si farà solo se non si avrà la certezza che tutto sia ok. Il nuovo esame è una sfida scientifica imponente. Immaginate un gigantesco puzzle (rappresentato dal sangue materno), dove il dna della madre è mischiato con quello del feto; riconoscerlo è difficile ma non impossibile, perché se quello della madre è integro, quello del feto è frammentato; ricomporre i pezzettini sparsi del puzzle in tasselli più grandi è il primo obiettivo dell’esame, e poi si dovrà capire dove sono le anomalie ed eventualmente se queste siano solo della madre o siano anche del feto. Un lavoro complesso, che viene svolto con i macchinari che servono a mappare il genoma; queste attrezzature cercano i pezzi di dna frammentato, guardano in che percentuale sono le parti anomale rispetto a quelle presenti nel sangue materno e poi, dopo ulteriori e complesse analisi, per le malattie cromosomiche, emettono il verdetto. La sperimentazione e la ricerca non partono da zero. Sono anni che in Usa e in diversi laboratori privati si fanno queste analisi con successo (con un costo superiore ai 1500 euro), la differenza è che adesso si muove il ministero della Salute, che pare intenzionato a trasferire questa procedura all’interno del Servizio sanitario nazionale. Un passo che deve però ricevere tutti i crismi scientifico-normativi. Ecco perché sono quattro i centri interessati, che poi uniranno i loro lavori in un unico protocollo. «Le ricadute per le pazienti e per il sistema sanitario pubblico sarebbero solo positive – conferma Maria Cristina Rosatelli – anche da un punto di vista economico. E per la Sardegna, dove l’amniocentesi è in pratica indispensabile, sarebbe un bel passo in avanti». Gli scienziati mettono le mani avanti di fronte a chi ipotizza sempre esami corretti: un margine d’errore, per quanto ridotto esiste anche in questa procedura, ma in caso di dubbio si può ricorrere alla amniocentesi. La coppia di esami, tradizionale e innovativo (per quanto si tratti in entrambi i casi di tecniche raffinatissime che si sono col tempo ancor più perfezionate), dovrebbe ridurre ulteriormente gli errori. Adesso spetta al ministero approvare i progetti e far entrare la sperimentazione nell’ultima fase. Poi anche le strutture pubbliche potranno fornire questo servizio. _____________________________________________________________ Unione Sarda 16 apr. ’13 AOUCA: OTORINOLARINGOIATRICA LA RIVOLUZIONE CON LASER E FIBRE OTTICHE Parla il professor Roberto Puxeddu, direttore della clinica «Investire nelle moderne tecnologie e nel personale più preparato per risanare la Sanità della regione, evitando i tagli indiscriminati delle risorse e abbattendo, contestualmente, i costi». Mentre in tutta Italia si dibatte su come mantenere un sistema di assistenza sempre più insostenibile, se non al prezzo di una feroce politica di tagli, un contributo al dibattito arriva dal professor Roberto Puxeddu, direttore della Clinica Otorinolaringoiatrica dell'Università di Cagliari (ospedale San Giovanni di Dio), studioso cagliaritano (quarantotto anni) rientrato in Sardegna dopo un lungo tirocinio in prestigiosi istituti in Italia e all'estero: specializzazione a Brescia; nel '95 ricercatore presso il Memorial Sloan Ketering cancer center di New York; nel '98 ricercatore nel reparto di Otorino-Neurochirurgia della George Washington university di Washington; fino al 2005 ricercatore a Cagliari; dal 2005 al 2010 primario di Otorino presso il sistema sanitario inglese. Professore, in concreto, come pensa di abbattere i costi della Sanità? «Riducendo il numero dei pazienti sardi curati nel resto d'Italia (a spese della Regione); aumentando gli standard di eccellenza locali per continuare la riduzione di inutili costi di lungo degenza in reparti con vocazione chirurgica; utilizzando al meglio le risorse disponibili». Lei punta sulle moderne tecnologie: in particolare? «Laser e Fibre ottiche sono due protagonisti di un'autentica rivoluzione in Otorinolaringoiatria. Le tecniche mini invasive, praticate nel nostro reparto, hanno comportato un miglioramento della tollerabilità degli interventi, riducendo gli effetti collaterali della chirurgia legati all'incisione cutanea». Con quali risultati? «Siamo passati dal 6 per cento degli interventi eseguiti in day surgery, negli anni 1990-2000, all'80 per cento del 2011-2012, con una netta riduzione dei costi di degenza. Particolare, oggi, non trascurabile». E sul piano scientifico? «La conformità ai migliori standard europei di questi risultati è testimoniata dalle numerose pubblicazioni sulle più rinomate riviste scientifiche internazionali, sia nella chirurgia endoscopica Laser-assistita dei tumori maligni della laringe (più di 300 pazienti operati col 98 per cento di guarigione dei tumori per le lesioni in stadio precoce), sia nell'applicazione della Chirurgia endoscopica alle patologie funzionali e neoplastiche del naso e dei seni para-nasali, con particolare riferimento alla poliposi e ai tumori». Quali sono le vostre nuove frontiere nel campo delle tecnologie? «Le innovazioni tecnologiche non si sono, ovviamente, fermate: le dimensioni delle ottiche sempre più ridotte e la loro efficacia in termini di qualità dell'immagine progrediscono di giorno in giorno e, oggi, gli ultimi campi di sviluppo della chirurgia mininvasiva presso l'Università di Cagliari sono la Scialo-endoscopia (chirurgia endoscopica delle ghiandole salivari) e l'Oto-endochirurgia (chirurgia endoscopica dell'orecchio)». Prima dell'avvento del Laser come venivano trattate le calcolosi delle ghiandole salivari? «La Clinica Otorino del San Giovanni di Dio è uno dei due centri italiani in grado di trattare la calcolosi delle ghiandole salivari col Laser: la mini invasività non era nemmeno ipotizzabile fino a un decennio fa. L'unica soluzione terapeutica era costituita dall'asportazione delle ghiandole salivari mediante un'incisione cutanea».  Un analogo livello di progresso è riscontrabile negli interventi sull'orecchio? «Nella chirurgia endoscopica dell'orecchio le fibre ottiche hanno permesso di superare i limiti imposti dalla visione diretta del microscopio operatorio, ampliando il controllo chirurgico delle cavità dell'orecchio medio, con riduzione del 30 per cento delle recidive di colesteatoma (grave e frequente patologia cronica dell'orecchio medio) nelle casistiche otorino del San Giovanni di Dio». Lucio Salis _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 21 apr. ’13 AOUSS: CISL MEDICI: «ATTO AZIENDALE DA RIFARE» SASSARI In attesa che l’atto dell’azienda ospedaliero-universitaria passi al vaglio dell’assessorato regionale per l’approvazione definitiva, si fanno sentire le voci polemiche su molti dei suoi contenuti. In particolare la Cisl-Medici lancia pesanti accuse nei confronti di un atto ampiamente «sbilanciato e anacronistico che non tiene nella giusta considerazione il recupero della economicità, organizzazione e modernità». Visto il nuovo assetto dirigenziale della Aou, (è stato appena nominato il nuovo direttore sanitario) la Cisl-Medici afferma di essere «disponibile, come sempre, alla collegialità del lavoro, riappropriandosi del proprio ruolo costruttivo e collaborativo negli specifici argomenti, con proposte migliorative». La prima critica riguarda ilnumero dei posti letto. «Mentre in tutta l'Italia si sta cercando di ottimizzare le sempre più scarse risorse disponibili, la Aou di Sassari sembra non essere sensibile all'attuale situazione socio-economica. Nell’atto infatti non è prevista alcunariduzione dei posti letto». In effetti proprio in occasione del passaggio di consegne dal vecchio al nuovo direttore sanitario il predecessore Francesco Tanda aveva detto che il numero di posti letto proposto nell’atto aziendale era in linea con le indicazioni relative al numero dei letti per studente, facendo riferimento alla didattica e che quindi non poteva essere richiesta una contrazione. Ma la Cisl Medici continua nella sua osservazione parlando di dipartimenti. «Laddove le linee guida regionali prevedono solo quattro dipartimenti clinici nell'atto aziendale ne sono stati proposti ben sei». E critiche piovono sul problema delle “doppie strutture” con la Asl n.1: la Dermatologia che doveva essere eliminata diventa struttura complessa e rimane l'Oncologia come struttura semplice dipartimentale. Per non parlare delle medicine interne e delle chirurgie in fotocopia». L’esame continua con l’impianto organizzativo: «Dovrebbe fondarsi su un corretto rapporto fra le due componenti aziendali, quella ospedaliera e quella universitaria – si legge nella nota –, stabilito dalla parità di diritti, doveri e possibilità di progressione nella propria carriera professionale, come determinato dalla legge 517/99 di costituzione delle aziende ospedaliero universitarie e dal Protocollo di Intesa fra Regione e Università di Sassari citato, nelle premesse dello stesso atto aziendale. L'atto aziendale proposto, in realtà, non prende in considerazione tutto ciò. L'attuale versione prevede per la componente universitaria la responsabilità sul 100% dei dipartimenti, sul 94% sulle strutture complesse e circa il 50% per le altre strutture “minori”sebbene la dirigenza ospedaliera rappresenti numericamente più dei due terzi di quella totale (71% contro il 29%)». La Cisl-Medici tuttavia non si limita alle critiche ma fa anche una serie di proposte di modifica dell’atto. «È indispensabile attenersi alle linee guida regionali quanto più possibile. Non è previsto ad esempio un dipartimento assistenziale (DA), sebbene il protocollo di Intesa, all'art. 10, comma 2, ne preveda esplicitamente la presenza mentre il dipartimento Materno Infantile, a prevalente responsabilità ospedaliera, ne possiede le caratteristiche». Per quanto riguarda l’accorpamento dei doppioni secondo i medici iscritti alla Cisl se ciò si ritenesse impossibile per le citate motivazioni di ordine didattico, un “doppione” dovrebbe essere a direzione ospedaliera. La Cisl dichiara infine che porterà il documento a conoscenza di tutti i soggetti interessati nel più breve tempo possibile. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 17 apr. ’13 SPESA FARMACEUTICA, MIGLIORA LA GESTIONE di Alessandra Sallemi wCAGLIARI Di ogni pillola che viene consumata in ogni ospedale sardo deve essere registrato il flacone di provenienza, il codice fiscale del paziente cui è destinata, il giorno della somministrazione: così facendo, attraverso un sistema informatico, il Sisar, costato 30 milioni di euro, si mette sotto controllo la spesa farmaceutica che, per avere una misura, in una azienda come la Asl 8 incide per 220 milioni di euro l’anno, una cifra che assume tutto il suo peso se paragonata a quella del personale, 300 milioni di euro. Ebbene, anche grazie al pungolo della sezione controllo della Corte dei conti, la Regione da una parte e le asl dall’altra in un anno sono riuscite a migliorare sensibilmente la gestione dei farmaci ospedalieri e si cominciano a vedere i primi risparmi (dal 10 al 20 per cento), anche se le attività sanitarie sono aumentate. Ieri si è tenuta l’adunanza pubblica della sezione regionale di controllo presieduta da Anna Maria Carbone Prosperetti, relatori Maria Paola Marcia e Lucia D’Ambrosio. Tre le Asl controllate (1, 7 e 8), vari gli ospedali. Il plauso è andato alla Asl 1 di Sassari che in tutti gli 87 reparti ha installato l’armadietto virtuale, strumento fondamentale per tracciare la presenza e l’uso dei farmaci e anche per custodirli. All’ospedale Segni di Ozieri si è arrivati a scaricare i medicinali paziente per paziente. Apprezzamento è stato espresso dai giudici, gli stessi che avevano rilevato in passato l’eccesso nelle spese farmaceutiche, anche per le Asl diCagliari e di Carbonia-Iglesias: non dappertutto l’armadietto elettronico viene utilizzato al meglio, ma i giudici hanno dato atto che si sta lavorando per ridurre le resistenze degli operatori ad accettare un sistema che aggiunge lavoro. Il nuovo sistema, il Sisar, ha spazzato via le vecchie procedure e funzionerà solo se si riuscirà a omogeneizzare le prassi di tutte le aziende sarde. Ieri i direttori generali Marcello Giannico (Sassari), Emilio Simeone (Cagliari), Maurizio Calamida (Carbonia Iglesias) hanno sottolineato che in questo importante cambiamento è fondamentale l’accettazione da parte di medici e infermieri. Per questo bisogna sia limare i difetti che il Sisar rivela sia sostenere l’introduzione delle nuove procedure con la formazione. Alla richiesta di impegno da parte dei giudici, l’assessore alla Sanità Simona De Francisci ha risposto: 400 mila euro sono stati inseriti nella Finaziaria per l’accompagnamento degli operatori, si sta lavorando per migliorare gli applicativi del Sisar, sarà utile per controllare la spesa farmaceutica anche la delibera che centralizzare le gare d’acquisto. _____________________________________________________________ Sanità News 18 apr. ’13 L’ITALIA E’ AL SECONDO POSTO IN EUROPA PER LA RACCOLTA DI PLASMA L'Italia "ha una solida organizzazione del sistema trasfusionale e un milione e settecento mila donatori volontari, che risulta al secondo posto in Europa per la raccolta di plasma donato da donazioni periodiche, anonime, gratuite e responsabili". Lo dice in una nota il ministro della salute, Renato Balduzzi, in occasione della nona giornata mondiale dell'emofilia. Balduzzi ricorda che "il 13 marzo è stato sancito un importante e atteso accordo tra lo Stato e le Regioni sugli indirizzi per i percorsi regionali o interregionali di assistenza per le persone affette da malattie emorragiche congenite. L'atto ha concluso con successo il lungo lavoro di approfondimento tecnico-scientifico avviato insieme alle Regioni con il coordinamento del Centro Nazionale Sangue, recependone le conclusioni. L'Italia - prosegue il ministro - vanta un sistema unico al mondo in cui le Regioni, proprietarie della materia prima plasma, affidano in conto lavoro la produzione dei farmaci plasmaderivati ai fini di un'autosufficienza di livello nazionale e sovraregionale". "In Italia negli ultimi anni - conferma Balduzzi rivolgendosi alla Fedemo, la Federazione delle associazioni emofilici riunita oggi in un convegno a Roma - è fortemente aumentato il livello di consapevolezza e di approfondimento sulle malattie emorragiche congenite, e in particolare l'emofilia, dal punto di vista clinico, assistenziale e sociale". Per Balduzzi, "il ministero della salute ha mantenuto molti degli impegni presi con le associazioni dei pazienti, alcuni dei quali fissati proprio in occasione della Giornata Mondiale dell'emofilia dell'anno scorso". Il lavoro ha irrobustito "la garanzia dei livelli essenziali di assistenza uniformi ed omogenei, regolamentando le aree dell'attuale organizzazione che esprimevano maggiori criticità, nell'intento di ridurre le differenze regionali nell'erogazione di servizi". In conclusione, Balduzzi condivide lo slogan della Giornata, 'Non tornare indietro', "perché molta strada è stata fatta in questo settore - conclude - soprattutto nell'anno appena trascorso". Il ministero conferma quindi il proprio impegno e "la volontà di collaborazione con le altre Istituzioni e con le associazioni dei pazienti, in primo luogo la Fedemo" _____________________________________________________________ TST 17 apr. ’13 E’ INIZIATA L'ERA DEI SUPER-BATTERI Resistono a tutti i farmaci. "Le soluzioni? Investimenti nella ricerca e terapie più mirate' Il mondo del cinema ci ha spesso abituati a pellicole dove un nutrito gruppo di scienziati è alle prese con una nuova epidemia mortale causata da batteri o virus resistenti a qualsiasi tipo di trattamento. Una finzione, quella sul grande schermo, che affascina, ma che al tempo stesso inquieta sempre di più. Sebbene gli scenari nel futuro prossimo non siano così apocalittici come nella fiction, il problema della crescente resistenza dei microrganismi agli antibiotici comincia a preoccupare seriamente i governi di mezzo mondo. L'emergenza mondiale riguarda prima di tutto gli ospedali: negli ultimi tre anni, solo in Italia, la percentuale di pazienti che non rispondono ai farmaci più potenti per le infezioni da Klebsiella pneurnoniae un microrganismo responsabile a livello ospedaliero di gravi casi di setticemie è passata di colpo dal 15 al 27 per cento. Un dato grave, sul quale gli studiosi si interrogano: ennesimo allarmismo, un po' gonfiato, oppure campanello d'allarme di un trend molto più vasto? Spiega Francesco Scaglione, direttore della Scuola di specializzazione in Farmacologia medica all'Università Statale di Milano: «La scoperta degli antibiotici è stata una vera e propria rivoluzione per la medicina. Grazie ad essi si è potuta abbassare drasticamente la mortalità dovuta alle più svariate infezioni batteriche. Armi molto potenti, che, però, negli ultimi anni, stanno sempre più perdendo d'efficacia a causa della progressiva selezione di popolazioni di microrganismi resistenti. Un problema che, se non affrontato per tempo, avrà serie ripercussioni sulla popolazione mondiale. Oggi siamo arrivati al punto di non avere più nuovi farmaci efficaci contro i batteri Gram negativi come la Klebsiella». I dati a riguardo lasciano poco spazio alle interpretazioni: negli ultimi 15 anni il mondo farmaceutico è riuscito a produrre un unico nuovo antibiotico attivo contro la classe dei Gram negativi. Non solo, la situazione è così-difficile che per combattere Klebsiella ed Escherichia coli altro microrganismo coinvolto nelle più comuni infezioni ospedaliere è stato rispolverato il vecchio farmaco colistina, abbandonato intorno negli Anni 70 a causa delle difficoltà di somministrazione. Una situazione di potenziale pericolo che non ammette più di essere trascurata. «Il progressivo aumento del fenomeno di resistenza avrà come primo effetto quello di rendere più difficile ciò che in passato veniva considerato di routine. Penso alle persone in terapia intensiva, a quelle appena trapiantate oppure a chi è sottoposto alla chemioterapia. In tutti questi casi è fondamentale evitare infezioni e, qualora ci fossero, non avere più antibiotici efficaci sarebbe davvero un grosso problema», sottolinea Scaglione. Alcuni consulenti sanitari del governo inglese hanno affermato addirittura che i trapianti potrebbero diventare un lontano ricordo a causa dell'elevata mortalità post-operatoria. Effetti, quelli della resistenza agli antibiotici, che si ripercuoteranno anche sulle già provate casse dei vari sistemi sanitari nazionali. In Italia, nel solo triennio 20082010, sono state contratte complessivamente circa due milioni di infezioni ospedaliere per un costo a carico del Servizio nazionale che oscilla tra 5 e i 10 miliardi di euro,. A questi dati si va ad aggiungere quello più importante riguardante i decessi: 20 mila in appena tre anni. Come uscire dunque da questo stato di crescente «impasse»? «Anche se ricette miracolose non ce ne sono continua Scaglione è ora necessario attuare una serie di comportamenti che potrebbero portare a netti miglioramenti. Innanzitutto bisogna che l'industria del farmaco ritorni ad investire in ricerca e sviluppo nel settore degli antibiotici, un settore troppo spesso trascurato. Accanto a questo punto fondamentale credo, però, che agenzie come l'americana Food and Drug Administration e l'europea European Medicines Agency debbano necessariamente facilitare e snellire burocraticamente le procedure per lo sviluppo di nuovi farmaci». Ma se le industrie e i governi dovranno fare la loro parte anche il personale sanitario non potrà sottrarsi dalla necessità di cambiare rotta. «Se siamo arrivati a questa situazione, è anche per il cattivo uso che si è fatto degli antibiotici. In futuro dovremo stare più attenti sia alle dosi da somministrare sia alle possibili combinazioni. Ecco perché auspico che negli ospedali vengano organizzati dei corsi mirati per il personale sanitario», conclude Scaglione. Intanto, in attesa del cambio di rotta, qualche buona notizia arriva dal fronte della ricerca. Uno studio pubblicato poche settimane fa sulle pagine del «New England Journal of Medicine» ha mostrato come una piccola ma semplice precauzione possa aiutare a ridurre l'incidenza delle infezioni ospedaliere. Lavando quotidianamente i malati con salviettine imbevute di clorexidina un disinfettante ampiamente utilizzato le infezioni causate dai microrganismi resistenti agli antibiotici si sono ridotte del 23%. Un buon «tampone» nella speranza che nel prossimo futuro vengano sviluppati nuovi antibiotici, più potenti di quelli attuali. @danielebanfi83 Due milioni di infezioni in un triennio con costi tra i 5 e i 10 miliardi _____________________________________________________________ Le Scienze 20 apr. ’13 LA NUOVA ENIGMATICA INFLUENZA AVIARIA H7N9 Il nuovo virus, che ha appena fatto la sua comparsa in Cina, per ora non si trasmette da persona a persona ma dai volatili infetti all'uomo. Anche se non è letale come H5N1, il virus H7N9 ha una caratteristica che preoccupa molto gli esperti: ha una bassa patogenicità nel pollame e in altri uccelli domestici. Se questo può far tirare un sospiro di sollievo agli allevatori, rende però molto difficile individuare i focolai virali  e, quindi, eliminare il pericolo di Helen Branswell Un virus dell'influenza A chiamato H7N9 è improvvisamente apparso sul radar delle malattie infettive lo scorso 1° aprile, quando l'Organizzazione mondiale della Sanità ha reso noto che la Cina aveva individuato tre persone infettate con una nuova forma di influenza aviaria. Da allora 87 casi (al 19 aprile) sono stati confermati, e il virus si è diffuso dalla più grande megalopoli cinese, Shanghai, a diverse province limitrofe fino alla capitale Pechino, 950 chilometri più a nord. E i casi si sono moltiplicati a un ritmo sorprendente: le infezioni da H7N9 hanno già superato il numero totale di casi di influenza aviaria H5N1 registrati lo scorso anno in tutti i paesi colpiti. Anche se il nuovo virus non sembra letale come H5N1 (fatale nel 60 per cento circa dei casi noti), è comunque un colpo temibile. A oggi 17 persone sono morte per H7N9, e molte altre sono in condizioni critiche. Almeno per ora, le infezioni lievi di questo nuovo ceppo sono una minoranza. "E' una malattia davvero grave e progredisce rapidamente" ha detto la scorsa settimana Timothy M. Uyeki, epidemiologo dei Centers for Disease Control statunitensi, dopo che i medici cinesi avevano pubblicato un rapporto sul “New England Journal of Medicine” riguardo ai primi tre casi. "E' simile al virus H5N1, ma è un po' difficile fare confronti sulla base di tre casi e di dati limitati." Il nuovo virus ha messo in stato di grande allerta gli esperti di influenza. Come H5N1, il virus aviario H7N9 non sembra trasmettersi da persona a persona, e i ricercatori pensano che stia passando all'uomo da volatili infetti. Ma H7N9 ha già acquisito alcuni cambiamenti genetici che suggeriscono che almeno in parte si è adattato a una trasmissione tra i mammiferi. Per esempio, alcuni ricercatori hanno trovato un cambiamento nel sito di legame del recettore che determina quali tipi di cellule puòinfettare, quelli che si trovano negli uccelli o quelli che si trovano nelle vie aeree superiori dell'uomo, dove i virus influenzali stagionali si legano per invadere l'organismo. H7N9 sta diventando sempre più bravo a invadere le vie aeree dei mammiferi. L'Organizzazione mondiale della Sanità sta valutando attentamente la situazione. Date le mutazioni del virus e la rapida evoluzione dei casi, l'agenzia si sta preparando al peggio. "Se si mette tutto insieme, il segnale è molto preoccupante. E nulla nel corso delle ultime settimane ha indebolito la gravità di quel segnale", dice Keiji Fukuda, direttore generale aggiunto dell'Organizzazione mondiale della Sanità ed esperto di influenza. L'organizzazione con sede a Ginevra lavora per stabilire che cosa è necessario nel caso in cui debbano essere prodotti e usati vaccini contro H7N9 e per stabilire quanto rapidamente possono essere resi disponibili farmaci antivirali. L'identificazione dei focolai di H7N9 è difficile perché il pollame può essere portatore sano del virus. (© SI CHUAN/epa/Corbis)La grande domanda è: H7N9 sarà come H1N1, la pandemia di influenza suina che si è sviluppata in modo esplosivo ad aprile 2009? O sarà come H5N1, un virus che occasionalmente salta dal pollame agli esseri umani, ed è una minaccia costante, senza essersi trasformato in una minaccia grave e concreta per la salute pubblica, ma senza neppure sparire. E' troppo presto per dire quale percorso seguirà il nuovo virus. Infatti, H7N9 ha alcune caratteristiche che potrebbero collocarlo in una categoria tutta sua. In cima alla lista c'è la bassa patogenicità del virus nel pollame. Non uccide i polli e gli altri uccelli domestici e, a questo punto, non sembra neppure farli ammalare. H5N1 è un virus dell'influenza aviaria altamente patogeno: distrugge interi allevamenti di pollame. Questo tipo di virus è un grave problema per gli allevatori, ma almeno gli uccelli morti aiutano le autorità sanitarie a individuare l'agente virale in modo poter tentare di eliminarlo. Invece, H7N9 è praticamente invisibile nell'ambiente. Gli scienziati del laboratorio di riferimento nazionale cinese per l'influenza aviaria hanno trovato il virus campionando polli e piccioni in mercati di animali vivi, ma le autorità ancora non sanno fino a che punto si è diffuso il virus o quanti tipi di animali possono essere stati infettati. "E' un problema molto più difficile da affrontare", dice David Halvorson, professore emerito presso l'Università del Minnesota ed esperto di influenza aviaria. “Se non c'è la mortalità a guidarci, bisogna cercare il virus nelle popolazioni animali in buona salute. E una volta trovato, che cosa si fa? E' probabile che sia dappertutto. È peggio di un virus altamente patogeno." Un alto funzionario dell'Organizzazione mondiale della sanità animale, con sede a Parigi, concorda. Il mondo non ha mai visto un virus influenzale H7 come questo H7N9, dice Alejandro Thiermann, spiegando che le precedenti infezioni da H7 negli esseri umani sono state lievi, spesso provocando solo una congiuntivite o un arrossamento agli occhi.  "Non ci sono indizi che ci aiutino", dice Thiermann. "L'unica cosa certa è che non serve prendere precauzioni solo sulla base delle esperienze precedenti, perché molto probabilmente questa sarà decisamente diversa. Spero che muti e scompaia, che diventi un virus a bassa patogenicità che porta solo qualche caso sporadico... Ma non possiamo abbassare la guardia, perché non possiamo trattarlo come qualsiasi altro virus a bassa patogenicità, dato che colpisce l'uomo in modo aggressivo." L'unico lato positivo? Grazie a H5N1 e H1N1, ricercatori e i responsabili della sanità pubblica che studiano questa nuova influenza aviaria e pianificano le risposte di emergenza sono ben preparati. Dice Fukuda: "Siamo molto più esperti, penso proprio che siamo molto più preparati". (La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com il 16 aprile 2013. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati) _____________________________________________________________ Corriere della Sera 16 apr. ’13 SENTENZA SUI BREVETTI DEI GENI LA SCIENZA CORRE PIÙ DELLA LEGGE La Corte Suprema americana è chiamata a decidere se i geni umani possono essere brevettati oppure no. Ecco il caso: la Myriad Genetics, un'azienda biotecnologica americana, detiene il brevetto di due geni, il Brca 1 e 2, che, se mutati, aumentano la probabilità, per le donne, di andare incontro al cancro al seno e all'ovaio; questa «esclusiva» ha permesso alla compagnia di avere il monopolio sui test che individuano il rischio (e di guadagnare parecchi quattrini).  Chi è contrario al brevetto sostiene che non si può vantare questo diritto quando si parla del corpo umano. Chi è favorevole avverte che la mancanza della brevettabilità potrebbe scoraggiare la ricerca scientifica non solo di test genetici, ma anche di farmaci biotecnologici o di organismi geneticamente modificati. La diatriba sulla «brevettabilità della vita» sembra, però, superata dai fatti e l'impatto che potrebbe avere la decisione della Corte Suprema americana rischia di avere un valore più ideologico che pratico. In realtà, l'idea di brevettare singoli geni ha perso, negli ultimi tempi, molto del suo appeal e la scienza sembra correre più veloce della legge. Lo dimostra il fatto che molti dei brevetti richiesti per i geni umani (un quinto dei nostri 20 mila geni è «di proprietà» di qualcuno) sono stati lasciati scadere e che pochi test ora in uso, a parte quelli della Myriad, si basano su singoli geni. E poi sono le aziende stesse a non volere più questo tipo di protezione: sono così libere di sfruttare singolarmente i geni e di combinarli per mettere a punto test più nuovi (e magari più remunerativi). È probabile che la Corte Suprema si pronuncerà contro la Myriad, facendo salva la questione di principio, ma l'impatto pratico della sentenza dipende da come verrà formulata: la creazione di farmaci, vaccini o organismi geneticamente modificati non sfrutta solo i geni, ma altri passaggi. Questi sì brevettabili, senza scomodare l'etica, la filosofia e la legge. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it _____________________________________________________________ Le Scienze 17 apr. ’13 L'AREA CEREBRALE PER RICONOSCERE I NUMERI Nel nostro cervello c'è un piccolo gruppo di cellule, situato nel nel giro temporale inferiore della corteccia, che si attiva quando è stimolato dalla visione della specifica forma grafica dei numeri imparata a scuola. La scoperta di questo centro di elaborazione dei numerali dimostra la capacità di cambiamento dei circuiti cerebrali in risposta all'istruzione, ma la sua localizzazione lascia intravedere anche un singolare legame evolutivo con alcune abilità dei nostri antenati "scimmieschi" La capacità di riconoscere i numerali - ossia i numeri scritti nella loro forma standard, come “1” o “43” - dipende da un piccolo nucleo di cellule la cui localizzazione è stata individuata da neuroscienziati della Stanford University, che illustrano la loro ricerca in un articolo pubblicato sul “Journal of Neuroscience”. La scoperta offre una prova diretta di come l'apprendimento sia in grado di plasmare i circuiti cerebrali, aggiungendo anche un interessante squarcio sull'evoluzione delle capacità di astrazione dell'essere umano. Il centro identificato è costituito da appena uno o due milioni di cellule nervose (il cervello ne ha complessivamente circa cento miliardi) situate nel giro temporale inferiore, una regione della corteccia coinvolta nell'elaborazione delle informazioni visive. Il giro temporale inferiore. (Cortesia The Database Center for Life Science licensed under CC Attribution-Share Alike 2.1 Japan)Nel corso degli esperimenti ai soggetti sono state mostrate immagini di numeri scritti secondo la grafia corretta, sottoposti a varie deformazioni, lettere, numeri scritti a parole (“sette” invece di "7") e altri grafemi. Successivamente sono state anche fatte ascoltare ai pazienti parole che indicavano numeri (per esempio “nove”) e che avevano una certa somiglianza fonetica con esse (per esempio “nave”).  "In questa piccola popolazione di cellule nervose, abbiamo visto una risposta molto più forte ai numerali che ad altri simboli pur di aspetto, suono o significato molto simile”, ha detto Josef Parvizi, che ha diretto lo studio. E dato che nessuno nasce con l'abilità innata di riconoscere i numerali, osservano i ricercatori, la ricerca offre una eclatante dimostrazione della capacità dei circuiti cerebrali di modificarsi in risposta all'istruzione.  Questo piccolo gruppo di cellule specializzato nell'elaborazione dei numerali si colloca all'interno di una più vasta area della corteccia che viene attivata da simboli visivi fortemente caratterizzati da linee che formano angoli e da linee curve, offrendo  un singolare collegamento evolutivo fra una capacità astratta e... l'abilità di dondolarsi appesi a un ramo: “Sembra che l'evoluzione abbia plasmato questa area del cervello per rilevare stimoli che hanno a che fare con linee che si intersecano a differenti angoli"  ha osservato Parvizi, "il tipo di intersezioni che una scimmia deve saper interpretare molto rapidamente quando si sposta oscillando da un ramo all'altro in una fitta foresta.” Studi così accurati, in grado di localizzare piccoli gruppi di neuroni, si basano sulla possibilità di registrare l'attività dei neuroni in volontari che, soffrendo di gravi forme di epilessia, si sottopongono all'impianto di schiere di microelettrodi nel cervello per localizzare il focolaio all'origine della malattia. _____________________________________________________________ Le Scienze 16 apr. ’13 PIÙ LONGEVE MA MENO SANE, ECCO IL DESTINO DELLE NUOVE GENERAZIONI Le generazioni più giovani sono biologicamente più vecchie di quelle precedenti: un trentenne di oggi ha l'efficienza metabolica di un quarantacinquenne di dieci anni fa. Questo processo di peggioramento, iniziato negli anni novanta, è imputabile in primo luogo all'epidemia di sovrappeso e obesità Una vita più lunga, ma meno sana di quella dei nonni e dei bisnonni: è quanto aspetta le generazioni più giovani secondo un ampio studio epidemiologico condotto da ricercatori dell'University Medical Center di Utrecht e del National Institute for Public Health dei Paesi Bassi epubblicato sullo "European Journal of Preventive Cardiology".  Lo studio ha analizzato i dati relativi al Doetinchem Cohort Study, una ricerca che ha seguito oltre 6000 persone per un ventennio, a partire dagli anni fra il 1987 e il 1991, misurandone periodicamente i principali fattori di rischio cardiovascolare: peso corporeo, pressione sanguigna, colesterolo totale e colesterolo HDL, la lipoproteina ad alta densità che ha una funzione protettiva.  I soggetti sono stati classificati per sesso e suddivisi in gruppi di età (20-29, 30-39, 40-49 e 50-59 anni), in modo da valutare il profilo di rischio della "generaziona" dei ventenni, trentenni ecc. di un certo decennio con il profilo di rischio dei ventenni, trentenni, ecc. dei decenni successivi. © John Lund/Stephanie Roeser/Blend Images/CorbisI principali problemi evidenziati dall'analisi dei risultati riguardano sovrappeso, obesità, e ipertensione: la percentuale di persone sovrappeso, obese e con ipertensione aumenta con l'età in tutte le generazioni, ma in quelle più giovani la prevalenza di questi fattori di rischio è più alta.  Così, mentre nella prima generazione di trentenni era sovrappeso il 40 per cento dei maschi, in quella successiva la percentuale era salita al 52 per cento. Per le donne, l'aumento della prevalenza si è manifestato solamente nelle ultime generazioni considerate dallo studio, ma a un ritmo ancora più accelerato la prevalenza di obesità è raddoppiata in soli 10 anni.  Nei maschi, a questo andamento sfavorevole corrisponde, per tre delle quattro generazioni considerate, un parallelo andamento sfavorevole del diabete. Un analogo peggioramento da una generazione all'altra vi è stato, per entrambi i sessi, anche per quanto riguarda l'ipertensione, con l'eccezione delle ultime due generazioni di maschi, nelle quali i valori sembrano essersi stabilizzati. Per contro, non si sono osservate variazioni significative nell'ipercolesterolemia, anzi nelle prime due generazioni si è assistito addirittura un aumento dei valori di colesterolo HDL, ossia un miglioramento. Paradossalmente, osservano i ricercatori, anche se l'aspettativa di vita è in continua crescita, dal punto di vista biologico e metabolico ciascuna generazione è “più vecchia” di 15 anni rispetto alla precedente; ciò significa che sarà esposta più a lungo ai danni conseguenti a obesità e ipertensione e che all'allungamento di vita non corrisponde un allungamento della vita in salute. Le ragioni di questo costante e preoccupante peggioramento non sono chiare, dicono i ricercatori, anche se uno dei fattori è sicuramente un aumento della sedentarietà. _____________________________________________________________ Le Scienze 15 apr. ’13 UNA MISURA OGGETTIVA PER IL DOLORE FISICO Il dolore fisico attiva uno schema di attività cerebrale specifico, riconoscibile e che non cambia da persona a persona. La scoperta di questa caratteristica "firma" offre per la prima volta un metodo per valutare in modo oggettivo il grado di dolore percepito da una persona e apre la strada a importanti applicazioni nella pratica clinica e nella ricerca di nuovi approcci analgesici (red) Misurare in modo oggettivo l'intensità del dolore provato da una persona: ci è riuscito per la prima volta un gruppo di ricercatori dell'Università della California a Boulder servendosi di nuovo metodo di analisi computerizzata di dati di imaging cerebrale. Secondo gli autori dell'articolo apparso sul “New England Journal of Medicine”, potrebbe essere il primo passo verso lo sviluppo di uno strumento di misura del dolore . Attualmente, anche i metodi più rigorosi di valutazione del dolore non possono prescindere dalla percezione soggettiva del paziente, e si basano, per esempio, su scale con un punteggio che va da 1 a 10 e su altri parametri descrittivi. “L'unico metodo clinicamente accettato per misurare il dolore e altri stati percettivi ed emotivi era chiederlo al soggetto”, ha sottolineato Tor Wager, professore associato di psicologia e neuroscienze dell'Università del Colorado a CU-Boulder e primo autore dello studio. © Arman Zhenikeyev/CorbisWager e colleghi hanno analizzato 114 immagini di risonanza magnetica funzionale del cervello di soggetti a cui venivano somministrati diversi livelli di calore, dal minimo di caldo percepibile fino alla soglia del dolore, individuando schemi di attivazione di diverse aree cerebrali indicativi di una sofferenza del soggetto: una “firma” caratteristica del dolore che, sorprendentemente, non varia da individuo a individuo e che ha dimostrato un'accuratezza compresa tra il 90 e il 100 per cento. Lo schema di attivazione cerebrale, inoltre, sarebbe esclusivo del dolore fisico: analizzando i dati disponibili su soggetti con una sofferenza psichica, per esempio un lutto, Wager e colleghi hanno riscontrato che la "firma" era assente, un'osservazione che contrasta con quelle di altri studi secondo i quali dolore psicologico e dolore fisico attiverebbero le medesime aree del cervello. Lo schema era assente anche in persone sottoposti a terapia farmacologica antidolorifica. I risultati sono stati così convincenti che gli autori stanno già pensando ai possibili sviluppi. “Ci sarebbero diversi modi per dare seguito allo studio: ora stiamo cercando di testare gli schemi per prevedere il dolore nelle più diverse condizioni, per esempio per evidenziare eventuali differenze tra dolori di diversa natura, o tra dolori che colpiscono differenti parti del corpo”, ha concluso Wager. "Stiamo anche valutando le applicazioni nella misura del dolore cronico: riteniamo che in alcune circostanze lo schema di attivazione neuronale individuato possa esserne un fattore importante. Speriamo che una più profonda comprensione dei meccanismi del dolore possa preludere a una migliore capacità di alleviarlo”. _____________________________________________________________ La Stampa 19 apr. ’13 NUOVO TEST RILEVA L’AUTISMO CON UNA PRECISIONE DEL 94% Neuroscienziati canadesi sono riusciti a trovare un metodo efficace e affidabile per analizzare l’attività cerebrale e rilevare con un’altissima precisione l’autismo nei bambini, o disturbi dello spettro autistico Poter individuare un disturbo dello spettro autistico con una precisione di quasi il 100 per cento può sembrare pressoché impossibile, se non fosse che un team di ricercatori canadesi della Case Western Reserve University School of Medicine e dell’Università di Toronto pare abbia trovato il modo di farlo. Il nuovo metodo di analisi si avvale della magnetoencefalografia (MEG), che misura i campi magnetici generati dalle correnti elettriche nei neuroni del cervello. La MEG è un mezzo per registrare e analizzare i modelli dinamici di attività cerebrale al fine di determinare la connettività funzionale del cervello, ossia il modo in cui l’organo comunica da una regione all’altra. I test condotti con questo mezzo per rilevare un disturbo dello spettro autistico (ASD) hanno ottenuto un buon successo, individuando i casi con il 94 per cento di precisione.  «Ci siamo posti la domanda: “Si può distinguere un cervello autistico da un cervello non autistico semplicemente osservando gli schemi di attività neurale?” – spiega Roberto Fernandez Galan, professore di neuroscienze presso la Case Western Reserve ed elettrofisiologista – E, in effetti, è possibile. Questa scoperta apre la porta a strumenti quantitativi che completano gli strumenti di diagnostica esistenti per l’autismo, basati su test comportamentali». Lo studio, pubblicato sulla versione online di PLoS One, ha visto il coinvolgimento di 19 bambini, di cui 9 con ASD. Con l’ausilio di 141 sensori, i ricercatori hanno monitorato l’attività della corteccia cerebrale di ogni bambino. I sensori hanno registrato come le diverse regioni interagivano l’una con l’altra. Dopo di che si sono confrontate le interazioni del cervello del gruppo di controllo con quelle dei bambini con ASD. L’analisi ha permesso di scoprire significative e maggiori connessioni tra le aree posteriori e frontali del cervello nel gruppo ASD. Nella fattispecie, vi è stato un flusso asimmetrico di informazioni alla regione frontale, ma non viceversa. Questo nuovo approccio permette ai medici di poter identificare le anomalie anatomiche nel cervello di chi è affetto da un disturbo dello spettro autistico, grazie all’osservazione della direzionalità delle connessioni. Questo criterio permette anche di misurare il rumore di fondo, o l’input spontaneo che guida l’attività del cervello a riposo. Una mappa spaziale di questi input ha permesso di dimostrare che c’era più complessità e struttura nel gruppo di controllo, rispetto al gruppo ASD – i cui appartenenti  avevano meno varietà e complessità. Tutto ciò ha dato modo ai ricercatori di diversificare ancora meglio le differenze tra i due gruppi, arrivando a una così alta percentuale di precisione nella diagnosi. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 21 apr. ’13 LE STRATEGIE PER NON FARSI TRADIRE DAL CIBO CRUDO Tartare di pesce o di carni, alici marinate, maionese, tiramisu: sono fra i più comuni piatti di preparazione domestica realizzati con alimenti di origine animale crudi o poco cotti. Gli appelli a prestare attenzione sono sempre più frequenti. Ultimo quello lanciato dairicercatori dell'Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta che. In una ricerca, pubblicata online suVeterinary Parasitology, hanno verificato che su 195 pesci, appartenenti a 22 specie diverse, il 2,6% conteneva nell'intestino larve appartenenti al parassita Anisakis.  Tali larve, se vitali, possono causare problemi di varia gravità: nausea, vomito, dolori addominali, e sono anche in grado di causare reazioni allergiche. «In effetti, — commenta Laura Serracca, responsabile del Laboratorio di Microbiologia marina nel citato Istituto Zooprofilattico e coautore dello studio — il consumo di pesce crudo può rappresentare un rischio in quanto le larve dall'intestino del pesce possono migrare verso il tessuto muscolare e venire accidentalmente ingerite. In Italia la parassitosi da Anisakis è la più importante malattia trasmessa da prodotti ittici». Che fare, dunque? «Bisogna sempre fare molta attenzione, a cominciare dalla cucina di casa — risponde Paolo Aureli, microbiologo ed esperto di sicurezza alimentare —. Se il pesce crudo che si consuma nei ristoranti deve, per legge, essere trattato a temperature idonee (a -20°C per almeno 24 ore), non sempre si seguono queste precauzioni a casa. Infatti, le alici marinate di preparazione casalinga sono la più frequente causa di manifestazioni cliniche dell'Anisakis. Nel caso dei congelatori casalinghi, che non permettono di raggiungere la temperatura minima necessaria, bisogna prolungare i tempi di congelamento, in funzione del numero di stellette (ad esempio, se la temperatura è -15°C, sono necessarie almeno 96 ore)». «In ogni caso, — prosegue l'esperto — che si tratti di pesce, carne, uova o latte crudo, il modo migliore per garantire la sicurezza è quello di sottoporli a un adeguato trattamento termico. Non si parla di temperature particolarmente alte o di tempi lunghissimi. Per esempio, per il pesce bisogna raggiungere almeno 65°C al cuore del prodotto, temperatura misurata per 15 secondi; per carni "delicate", come hamburger e polpettoni, le temperature sono di almeno 70°C (per il pollame 72°C)».  «Per essere sicuri del raggiungimento di queste temperature, forniamoci di un apposito termometro: costa poco ed è facilmente reperibile» conclude Aureli. C. F.   _____________________________________________________________ La Stampa 19 apr. ’13 ITALIANI E SALE, UNA RELAZIONE PERICOLOSA Gli italiani consumano ancora troppo sale: continua il lavoro del Ministero della Salute per ridurre l’apporto di sale nella dieta e migliorare la salute dei cittadini. I dati e le iniziative Ancora troppo sale nel piatto degli italiani: è quanto sostiene il Ministero della Salute, che continua con l’impegno per ridurre il consumo di sale nell’alimentazione e per migliorare la salute della cittadini. Si è partiti già nel 2009, con l’accordo stipulato insieme ai produttori che ha determinato la riduzione del quantitativo di sale in diverse tipologie di pani, artigianali o industriali, nonché in alcune tipologie di paste fresche e primi piatti pronti surgelati. I tecnici del Ministero hanno incontrato nei giorni scorsi i rappresentanti delle Associazioni di panificatori artigianali e industriali (Federazione Italiana Panificatori, Assipan Confcommercio, Assopanificatori Fiesa Confesercenti, Associazione Italiana Industrie prodotti alimentari- AIIPA, Associazione Produttori Pane Confezionato- APPC, Consorzio Nazionale delle Cooperative di Consumatori- COOP Italia), dell’Azienda Puratos Italia S.P.A, dell’Associazione Produttori Pasta Fresca (APPF), e dell’AIIPA settore surgelati, oltre a diversi esponenti del mondo scientifico. Grazie al progetto “Minisal”, del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, nel corso dell’incontro sono stati forniti i dati preliminari relativi al consumo di sale della popolazione italiana. A essere analizzata è stata la popolazione generale più un campione di soggetti ipertesi e un campione in età pediatrica. I dati hanno evidenziato come il consumo di sale tra gli italiani sia ancora notevolmente superiore a quanto raccomandato dall’OMS, ossia meno di 5 grammi al giorno. I valori medi rilevati sono stati di 12 grammi per gli uomini e 9 grammi per donne (con valori più elevati per le regioni del Sud). Oltre a ciò, i soggetti ipertesi consumano solo un 1 grammo al giorno in meno della media della popolazione, in decisa controtendenza alle raccomandazioni mediche che invitano gli ipertesi a ridurre fermamente il consumo di sale. Nei bambini il consumo di sale aumenta progressivamente con l’età, attestandosi su valori elevati già all’età di 9 anni, con 8 grammi al giorno pro-capite. Gli accordi tra il Ministero della Salute e i produttori sono importanti e hanno già rappresentato un primo e fondamentale passo per promuovere e migliorare la salute della popolazione. L’appoggio da parte delle associazioni di categoria e la conferma della volontà di continuare a lavorare accanto alle Istituzioni per portare il consumo di sale ai livelli raccomandati, fanno ben sperare in una inversione di tendenza. La riduzione del consumo di sale è uno degli obiettivi prioritari dell’OMS e dell’Unione Europea, nell’ambito delle strategie di prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, nonché uno degli obiettivi perseguiti dal Ministero della Salute con il programma “Guadagnare Salute: rendere facili le scelte salutari dei cittadini”. Il programma rientra nell’ambito di politiche integrate per la prevenzione, e incoraggia il settore della produzione e della trasformazione agro-alimentare, coerentemente con gli obiettivi generali di salute pubblica, alla riformulazione degli ingredienti di alcuni alimenti, al fine di ridurre il livello dei grassi totali, dei grassi saturi, degli zuccheri e, in particolare, del sale. Nel frattempo possiamo cercare di fare qualcosa per noi stessi, riducendo l’apporto di sale nella nostra dieta – leggendo magari bene le etichette e salando un po’ meno i cibi che prepariamo. Source: Ministero della Salute  _____________________________________________________________ La Stampa 17 apr. ’13 IL COLESTEROLO AUMENTA IL RISCHIO DI SVILUPPARE L’ALZHEIMER Il colesterolo "cattivo" contenuto nei cibi grassi e poco sani pare sia coinvolto anche nella malattia di Alzheimer. Foto: ©photoxpress.com/dinostock Alti livelli di colesterolo LDL nel sangue aumentano il rischio sia di malattia di Alzheimer che di malattie cardiovascolari. Sebbene il meccanismo per cui questa sostanza danneggi il cervello e le arterie non sia ancora del tutto chiaro, è risultato evidente il suo coinvolgimento nel danneggiare la divisione cellulare e promuovere la trisomia, già collegata alla sindrome di Down LM&SDP Il colesterolo LDL, o “cattivo”, si ritiene da ormai molto tempo essere una delle possibili cause dei danni alle arterie e all’apparato cardiocircolatorio in genere. Uno dei suoi effetti è, per esempio, l’aterosclerosi – ossia l’indurimento delle arterie, anticamera di angina pectoris, infarto e ictus. Ciò che tuttavia ha sconcertato i ricercatori del Linda Crnic Institute for Down Syndrome e del Department of Neurology presso la School of Medicine dell’Università del Colorado è stata l’azione devastante del colesterolo LDL nei confronti del processo di divisione cellulare, che provoca la diffusione in tutto il corpo di cellule “figlie” difettose. La dottoressa Antoneta Granic e il dottor Huntington Potter, hanno così osservato come, sia in modello animale che nell’uomo, il colesterolo cattivo abbia indotto le cellule a dividersi in modo non corretto, distribuendo in maniera diseguale nella generazione successiva di cellule i cromosomi duplicati. Quello che in sostanza accade è che ci si ritrova con un accumulo di nuove cellule difettose: con un numero errato di cromosomi e un altrettanto numero errato di geni. Le cellule figlie infatti presentano, ora tre copie di ogni gene; ora uno solo – invece di due copie di ogni gene, come dovrebbe essere: un bel guaio dunque. Sì, perché, come spiegato dai ricercatori, le cellule che presentano tre copie del cromosoma (o trisomia) sono implicate nella codifica del peptide amiloide – noto per essere un componente chiave delle placche amiloidi che si accumulano nel cervello di chi soffre di Alzheimer. Gli scienziati del Linda Crnic Institute conoscono bene la trisomia, poiché studiano da anni sindromi come quella di Down, dove la trisomia 21 è la caratteristica fondamentale. Le persone affette dalla sindrome di Down, presentano appunto la trisomia 21 in tutte le cellule che compongono il loro organismo e, spesso, queste persone sviluppano problemi cerebrali e, molti, anche la malattia di Alzheimer dopo i 50 anni di età. Il riscontro tra queste mutazioni indotte dal colesterolo LDL e l’Alzheimer è stato in precedenza osservato nel 10 per cento delle cellule presenti nei pazienti con la malattia di Alzheimer, le quali avevano tre copie del cromosoma 21 anziché due. I risultati completi dello studio sono stati pubblicati sulla rivista PLoS ONE, e suggeriscono che la malattia di Alzheimer possa essere in qualche modo una “forma” di sindrome di Down acquisita. Detta ipotesi è supportata anche dalla constatazione che i geni mutanti che causano malattie ereditarie come l’Alzheimer provocano lo stesso difetto nella segregazione cromosomica – come fa il colesterolo – indicando così la presenza di un problema comune di divisione cellulare nella malattia di Alzheimer, sia familiare che occasionale. Altra scoperta fatta dai ricercatori è stato il trovare la trisomia 21 nei neuroni del cervello di bambini affetti dalla malattia di Niemann-Pick di tipo C, una malattia ereditaria in cui i pazienti non sono in grado di metabolizzare correttamente il colesterolo né altri lipidi all’interno delle cellule. Questo risultato suggerisce che la neurodegenerazione stessa potrebbe essere legata alla missegregazione cromosomica, ossia la segregazione difettosa dei cromosomi. Secondo i ricercatori, riuscire a identificare correttamente l’azione del colesterolo LDL sulle cellule e il problema che ne consegue, potrà portare a nuovi approcci per la terapia in molte malattie umane come l’Alzheimer, l’aterosclerosi e probabilmente anche il cancro, in quanto tutte queste malattie – e altre – mostrano un denominatore comune nella divisione cellulare difettosa. I due autori dello studio hanno anche testato un trattamento semplice ed efficace che ha impedito al colesterolo cattivo di agire negativamente sulla divisione cellulare: nelle cellule in vitro che sono state trattate con dell’etanolo, questo ha impedito al colesterolo di far distribuire in maniera diseguale i cromosomi nelle nuove cellule. Con queste scoperte si preannunciano dunque nuovi orizzonti per la prevenzione e il trattamento di alcune tra le più temute malattie che affliggono l’uomo.   _____________________________________________________________ La Stampa 15 apr. ’13 ALLERGIE POCO CONOSCIUTE: L’ALLERGIA ALLO SPERMA La poco conosciuta, ma diffusa, allergia allo sperma può creare diversi problemi: sia sessuali che si salute. Foto: ©shutterstock L’allergia al seme maschile è più comune di quanto si pensi, ma è poco conosciuta. Può rendere un inferno avere rapporti sessuali, da parte della donna, che si può ritrovare a manifestare fastidiosi sintomi come gonfiore, bruciore, orticaria, difficoltà respiratorie e persino vertigini o svenimenti LM&SDP Tra le mille e mille allergie che ogni giorno saltano fuori, ci mancava quella allo sperma maschile. Un tipo di allergia che, lì per lì, può anche far sorridere i più maliziosi, ma che può invece cancellare il sorriso di chi ne è vittima, poiché rende difficile avere rapporti sessuali, e non solo. In verità questo tipo di allergia non è nuova, ma la si conosce già da diversi anni. Il fatto è che se ne parla poco, sebbene i casi vadano aumentando di anno in anno. In Italia pare sia ancora poco diffusa rispetto a Paesi con gli Stati Uniti dove, per esempio, si stima ne soffrano tra le 20mila e le 40mila donne. A ogni modo, anche qui nel nostro Paese i casi sono sempre più frequenti e, spesso, non diagnosticati: un po’ perché siamo un popolo restio a parlare con i medici dei nostri problemi “intimi”, un po’ perché non c’è molta informazione al riguardo. Un immunologo statunitense, che ha definito il disturbo come un’ipersensibilità plasma-seminale, ritiene che, sebbene non sia ancora diffusa come l’asma, è comunque più comune di quanto si creda. Tra i sintomi più comuni che si manifestano in chi è allergico allo sperma vi sono: orticaria, gonfiore dei tessuti molli, oppressione toracica, fiato corto e dispnea, sibilo… e perfino diarrea, vertigini o perdita di coscienza. I sintomi appaiono in genere durante o dopo il rapporto sessuale e possono perdurare anche fino a un’ora dopo il primo manifestarsi. L’allergia può manifestarsi sia quando la donna venga in contatto con il liquido seminale dell’uomo che a seguito dell’utilizzo di prodotti anticoncezionali che, in questo caso, provocano un’irritazione di pelle e tessuti. Tra i vari prodotti che possono causare allergia vi sono il lattice utilizzato nella produzione di preservativi (o condom), le sostanze chimiche che compongono gli spermicidi o i lubrificanti per finire anche con i prodotti per l’igiene intima e la cura personale. Al momento, l’unico modo di trattare questo tipo di allergie è identificare quale delle proteine nel liquido seminale dell’uomo sia la causa delle reazioni allergiche nella donna.  Dopo di che si procede con un processo di desensibilizzazione per promuovere la tolleranza. Ad avere un ulteriore serio problema sono le donne che cercano una gravidanza: l’allergia allo sperma può di fatto rendere quasi impossibile avere rapporti sessuali per concepire. La soluzione attuale, che consiste nel rimuovere i possibili allergeni dal liquido seminale può provocare il rigetto da parte dell’ovulo femminile, con conseguente mancato concepimento.  _____________________________________________________________ Sanità News 18 apr. ’13 MENO RISCHI DI HIV CON LA CIRCONCISIONE La circoncisione altera drasticamente il microbioma del pene, cambiamenti che potrebbero spiegare perche' la pratica chirurgica offre una protezione contro l'Hiv e altre infezioni virali. La scoperta e' di un nuovo studio pubblicato sulla rivista mBio che ha analizzato gli effetti della circoncisione sui maschi adulti di diversi tipi di batteri che vivono sotto il prepuzio prima e dopo l'intervento. Entro un anno dalla procedura, la carica batterica totale in quella zona risulta scesa in modo significativo e la prevalenza di batteri anaerobici, che prosperano in ambienti con ossigeno limitato, diminuisce; mentre il numero di alcuni batteri aerobi aumenta leggermente. L'indagine e' stata condotta da Lance Prince del Translational Genomics Research Institute e della George Washington University. "Da un punto di vista ecologico - ha spiegato l'autore - la circoncisione innesca un meccanismo simile al cambiamento di un ecosistema. Rimuovendo il prepuzio si aumenta la quantita' di ossigeno, riducendo i tassi di umidita'". Studi randomizzati hanno dimostrato che la circoncisione riduce il rischio di infezione da Hiv negli uomini del 50-60% Male Circumcision Significantly Reduces Prevalence and Load of Genital Anaerobic Bacteria ABSTRACT Male circumcision reduces female-to-male HIV transmission. Hypothesized mechanisms for this protective effect include decreased HIV target cell recruitment and activation due to changes in the penis microbiome. We compared the coronal sulcus microbiota of men from a group of uncircumcised controls (n= 77) and from a circumcised intervention group (n = 79) at enrollment and year 1 follow-up in a randomized circumcision trial in Rakai, Uganda. We characterized microbiota using16S rRNA gene-based quantitative PCR (qPCR) and pyrosequencing, log response ratio (LRR), Bayesian classification, nonmetric multidimensional scaling (nMDS), and permutational multivariate analysis of variance (PerMANOVA). At baseline, men in both study arms had comparable coronal sulcus microbiota; however, by year 1, circumcision decreased the total bacterial load and reduced microbiota biodiversity. Specifically, the prevalence and absolute abundance of 12 anaerobic bacterial taxa decreased significantly in the circumcised men. While aerobic bacterial taxa also increased postcircumcision, these gains were minor. The reduction in anaerobes may partly account for the effects of circumcision on reduced HIV acquisition. IMPORTANCE The bacterial changes identified in this study may play an important role in the HIV risk reduction conferred by male circumcision. Decreasing the load of specific anaerobes could reduce HIV target cell recruitment to the foreskin. Understanding the mechanisms that underlie the benefits of male circumcision could help to identify new intervention strategies for decreasing HIV transmission, applicable to populations with high HIV prevalence where male circumcision is culturally less acceptable. _____________________________________________________________ Sanità News 18 apr. ’13 UNA T-SHIRT MONITORA LO STATO DI SALUTE DEI MALATI PSICHIATRICI E' una T-shirt intelligente, integrata con sensori ed elettrodi in grado di monitorare lo stato emotivo dei pazienti psichiatrici, che viene testata in tre centri clinici a Pisa, Strasburgo e Ginevra su persone con disturbi bipolari. Dopo tre anni di studio, acquisizione dati e sviluppo di una piattaforma, 'Psyche', Personalised monitoring system for care in mental health, è arrivato alla fase di sperimentazione. Il progetto europeo è coordinato dal Centro di ricerca 'E. Piaggio' dell'università di Pisa e vede la partecipazione di 10 partner europei multidisciplinari provenienti da Italia, Svizzera, Francia, Germania, Spagna e Irlanda, tra cui università, aziende private, centri di ricerca e ospedali. "Lo scopo principale del progetto è lo sviluppo di una piattaforma multisensoriale e multi-parametrica basata su substrati tessili e dispositivi indossabili per il monitoraggio a breve e lungo termine di pazienti - spiega Enzo Pasquale Scilingo, professore associato di Bioingnegneria e coordinatore del progetto - In questo modo si va a creare uno strumento di supporto al medico psichiatra nella diagnosi della malattia, ma anche e soprattutto nella prognosi, nella risposta al trattamento farmacologico e nella prevenzione di episodi maniaco-depressivi". La visione di Psyche propone un approccio innovativo alla gestione della malattia mentale: i pazienti inclusi nello studio vengono dotati di una piattaforma costituita da uno smartphone e una maglietta sensorizzata. La maglietta, confortevole e completamente realizzata in tessuto con elettrodi e sensori integrati nel substrato tessile, rappresenta un'innovativa tecnologia sviluppata da Smartex Srl, con cui l'università di Pisa ha una collaborazione di lungo corso. "Durante lo studio, al paziente viene chiesto di indossare la maglietta due volte la settimana per un periodo di follow-up di 14 settimane - continua Scilingo - La maglietta sensorizzata consente l'acquisizione sia di parametri fisiologici quali l'elettrocardiogramma (Ecg) e la frequenza respiratoria, sia di parametri biomeccanici quali il movimento e la postura. Due volte la settimana, qualche ora prima di andare a letto, il paziente indossa la maglietta e utilizza lo smartphone per registrare la propria voce, compila test psicologico/cognitivi, e annota il proprio stato emotivo. Durante la notte, poi, la maglietta continua a registrare i dati fisiologici". La mattina seguente, attraverso lo smartphone, tutti i dati acquisiti verranno inviati a un database centralizzato sul quale è implementato un sistema di datamining in grado di fare un'analisi multivariata utilizzando parametri fisiologici, voce, analisi del sonno e parametri comportamentali, con lo scopo di identificare e predire lo stadio della malattia. Un altro scopo del progetto è inoltre agevolare il processo di comunicazione e feedback verso il paziente attraverso un rapporto costante e diretto tra il medico e lo stesso. "Tale processo è supportato e agevolato dallo smartphone abilitato a ricevere comunicazioni da un portale web cui il medico può accedere - conclude Scilingo - Lo scambio di informazioni serve a facilitare l'interazione medico-paziente e allertare i medici o gli operatori professionali in casi di ricaduta o durante il verificarsi di episodi critici".