RASSEGNA 28/04/2013 INCARICHI ANCHE AI TECNICI PER INSEGNARE ALL'UNIVERSITÀ LA GENERAZIONE SENZA LAVORO E IL MALESSERE DEGLI UNDER 24 SCONTRO SULL'ATENEO SAN RAFFAELE IL MINISTERO BLOCCA LE ISCRIZIONI TEST AMMISSIONE: LA GRADUATORIA UNICA NAZIONALE TEST AMMISSIONE: PIÙ PUNTI PER I DIPLOMATI CON VOTI ALTI TEST AMMISSIONE: RIVOLUZIONE NEI TEST TEST AMMISSIONE: LA FRETTA DI UN CAMBIO IN CORSA UNICA: CAMBIANO I TEST PER ACCEDERE A INGEGNERIA UNICA: COMUNICATORI ALL'UNIVERSITÀ, NESSUNO VINCE IL CONCORSO CAGLIARI CITTÀ UNIVERSITARIA: PROGETTI AL VIA MASTER AND BACK, LA LUNGA ATTESA LA RICERCA È OPEN SCIENCE L'INFLAZIONE DEI DOTTORI NEL PAESE CHE AMA I TITOLI PERCHÉ NON FERMATE IL DECLINO DELL'ENEA? PERCHÉ IL TONO DI VOCE IN PUBBLICO CONTA PIÙ DI QUELLO CHE SI DICE IL SOSPETTO UNIVERSALE LA DEMOCRAZIA DEL SUPERCALCOLO UN FUMETTISTA CONTRO IL COMICO LA SOLITUDINE È UNA COSA MERAVIGLIOSA PRIVACY: PER I FURTI D'IDENTITÀ UTENTI SUBITO INFORMATI FIRMA ELETTRONICA ANCORA LIMITATA ========================================================= TICKET E 31 MILIARDI DI TAGLI ECCO LE SPINE DI LORENZIN LIBERA PROFESSIONE IN OSPEDALE IN CALO PAZIENTI E RICAVI GLI INFERMIERI «SOVRACCARICATI» AOUSS: L'UNIVERSITÀ REGOLA I CONTI CON I MEDICI AOUSS: DALLA REGIONE LE INDENNITÀ PER I MEDICI SANITÀ, CALA IL FABBISOGNO DI OPERATORI LA SANITÀ SARDA ORA È A PORTATA DI MOUSE ASL E UNIVERSITÀ PIÙ SANI CON LA PREVENZIONE SAN RAFFAELE, CONGELATI I CORSI POST LAUREA PER I MEDICI VITA. SALUTE, DOCENTI ALL'ATTACCO "L'UNIVERSITÀ VA COMMISSARIATI" GOLFO NUOVO HUB DELLA SANITÀ A DUBAI LINFOMI HODGKIN IN AUMENTO LE GUARIGIONI VERONESI: «SI VENDONO MENO SIGARETTE, SALVE MILLE VITE» LA STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA SARÀ UTILE ANCHE PER LA DEPRESSIONE MORBO DI PARKINSON, PREMIATA LA SCOPERTA DI UN CAGLIARITANO OBAMA: UN PIANO MARSHALL SUL CERVELLO (3Mliard.) NEURONI& DOGMI: COSÌ IL CERVELLO SI RIGENERA ITALIANI TROPPO VELOCI A TAVOLA E ANCHE PER QUESTO INGRASSANO IL POLICLINICO UMBERTO I DI ROMA VARA IL PROGETTO "WEEK SURGERY" LA LUCE EMESSA DA TABLET E PC E’ DANNOSA PER LA VISTA AUSTERITÀ E SALUTE PUBBLICA, DALLA GRECIA UN SEGNALE NEGATIVO FARMACI, ATTENTI AI 'SORVEGLIATI SPECIALI' HIV: QUEL VACCINO NON STA FUNZIONANDO ========================================================= _____________________________________________________________ Italia Oggi 25 apr. ’13 INCARICHI ANCHE AI TECNICI PER INSEGNARE ALL'UNIVERSITÀ Anche il personale tecnico amministrativo delle università deve avere la possibilità di ottenere incarichi di insegnamento (anche gratuito) da parte delle università stesse. Lo ha sancito la Corte costituzionale con la sentenza n. 78 depositata ieri, che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 10, della legge 4 novembre 2005, n. 230 (Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari). Il divieto introdotto dalla norma impugnata, successivamente abrogata dall'art. 29, comma 11, lettera c), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è diretto - osserva la Corte - esclusivamente nei confronti di una particolare categoria di dipendenti pubblici, nell'ambito delle diverse categorie dei dipendenti delle università, quale si configura il personale tecnico amministrativo, e non già nei confronti di una categoria generale. «Siffatta evidente diversità della disciplina di medesime categorie di dipendenti pubblici, sottoposti, tra l'altro, ai fini dell'eventuale svolgimento dell'incarico di insegnamento, all'ordinario regime autorizzatorio (...) non appare riconducibile ad alcuna ragionevole rado giustificatrice, ed anzi risulta manifestamente irragionevole», osserva la Consulta, ricordando di avere «costantemente censurato nonne discriminatrici di determinate categorie di dipendenti pubblici o privati per effetto di trattamento irragionevolmente differenziato», anche in specifico riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici delle università. Lombardia bocciata sul fai-da-te nelle assunzioni nella scuola - Con la sentenza n. 76 depositata ieri, la Corte costituzionale ha poi dichiarato illegittima una norma della regione (art. 8 della legge 7t2012) la quale, al fine di realizzare l'incrocio diretto tra la domanda delle istituzioni scolastiche autonome e l'offerta professionale dei docenti, prevedeva a titolo sperimentale, nell'ambito delle nonne generali o di specifici accordi con lo Stato, per un triennio a partire dall'anno scolastico successivo alla stipula, che le istituzioni scolastiche statali potessero organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, per reclutare il personale docente con incarico annuale necessario a svolgere le attività didattiche annuali e favorire la continuità didattica. La norma prevedeva anche che fosse ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del compiuto scuola iscritto nelle graduatorie provinciali ad esaurimento. Secondo la Corte, però, in tal modo la Regione dispone in merito all'assunzione di una categoria di personale, appunto quello docente, che è inserito nel pubblico impiego statale: nell'attuale quadro normativo il personale scolastico è alle dipendenze dello Stato e non delle singole Regioni. Ne consegue che ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, trattandosi di nonne che attengono alla materia dell'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato. Manovre fiscali delle regioni - Con la sentenza n. 77, depositata sempre ieri, la Corte costituzionale ha infine bocciato alcune disposizioni della provincia autonoma di Bolzano, tra cui una (art. 9, comma 1, della legge 15/2011 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2012 e per il triennio 2012-2014-Legge finanziaria 2012») relativa alla possibilità che «fermo restando il termine previsto dall'ordinamento regionale per l'approvazione del bilancio di previsione dei comuni, questi possono adottare provvedimenti in materia tributaria e tariffaria anche dopo l'adozione del bilancio di previsione, limitatamente alle materie sulle quali sono intervenute modificazioni legislative per l'anno di riferimento, ovvero altri atti normativi che incidono sulle modalità di applicazione del tributo o della tariffa». Secondo la Corte è troppo generico il riferimento a «provvedimenti in materia tributaria e tariffaria», il cui novero, pertanto, non è riducibile soltanto ad una determinata tipologia di intervento, e la formulazione non permette di giungere all'interpretazione selettiva auspicata dalla provincia, secondo cui la norma riguarderebbe i soli provvedimenti di conformazione alle modifiche legislative sulle modalità di applicazione di aliquote e tariffe. «Sicché», osservano i giudici, «la norma impugnata, in forza della portata prescrittiva che emerge pianamente dalla sua formulazione, è tale da consentire, anche senza vincoli quantitativi, la modifica di aliquote e tariffe oltre i termini di approvazione del bilancio di previsione, ( ) in contrasto con il principio di contestualità tra bilancio di previsione degli enti locali e fissazione di aliquote e tariffe desumibile dal conuna 16 dell'art. 53 della legge n. 388 del 2000». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 27 apr. ’13 LA GENERAZIONE SENZA LAVORO E IL MALESSERE DEGLI UNDER 24 MILANO — Generazione senza lavoro. Nei Paesi avanzati sono 26 milioni i giovani disoccupati (tra i 15 e i 24 anni) che non studiano o non frequentano un corso di formazione, in aumento del 30% rispetto al 2007, calcola l'Ocse. E in tutto il mondo il numero dei giovani in cerca di impiego sale a 75 milioni, stima l'organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Ma, se si considerano più in generale i giovani economicamente inattivi, il numero esplode a oltre 300 milioni a livello globale. Un'ecatombe, provocata da bassa crescita, mercati del lavoro troppo rigidi e un disallineamento tra scuola e aziende, scrive l'Economist, che dedica la copertina e uno speciale alla crescita globale della disoccupazione giovanile. Il fenomeno non risparmia l'Europa. Il tasso di disoccupazione giovanile è del 58,4% in Grecia, del 57,2% in Spagna, del 38,2% in Portogallo, del 37,8% in Italia, del 30,8% in Irlanda, del 26,2% in Francia. «E' l'effetto congiunto della crisi che negli ultimi 5 anni ha colpito molti Paesi sviluppati con politiche fiscali restrittive, fatte di aumento di tasse e riduzione della spesa pubblica per riequilibrare i conti», valuta Carlo Dell'Aringa, docente di Politica economica all'Universitàcattolica di Milano, esperto di lavoro e neo deputato del Pd. Una situazione che penalizza particolarmente i giovani, perché «è difficile pensare che le aziende con molti lavoratori in cassa integrazione possano assumere nuovo personale. Quindi il ricambio si è bloccato», aggiunge l'economista. E cita anche la riforma delle pensioni, perché «allungare l'età pensionabile in un momento di crisi, prolunga l'età lavorativa dei lavoratori più anziani, ma blocca l'ingresso dei giovani». Persino la riforma Fornero sul lavoro non ha aiutato, visto che «si è ridotta un po' la precarietà», ma «nei periodi di crisi un po' di flessibilità è utile». Perciò «servono politiche specifiche per l'occupazione giovanile e incentivi alle imprese, per impedire che questi giovani diventino disoccupati di lunga durata, perché il capitale umano è come quello fisico: senza lavoro, si arrugginisce. Ma la prima leva per far ripartire l'occupazione è la crescita». Con un accorgimento: «C'è una vasta offerta di posti finora rifiutati dai nostri ragazzi, perché considerati di serie B. Dobbiamo innovare e valorizziamo questi settori e renderli appetibili ai giovani italiani». Giuliana Ferraino _____________________________________________________________ Corriere della Sera 27 apr. ’13 SCONTRO SULL'ATENEO SAN RAFFAELE IL MINISTERO BLOCCA LE ISCRIZIONI Stop alle immatricolazioni. In 650 avevano appena fatto il test MILANO — Solo l'estate scorsa, a fine agosto, per farci stare tutte le matricole iscritte al test d'ingresso in Medicina, i vertici dell'ateneo Vita Salute del San Raffaele avevano dovuto affittare un padiglione della Fiera di Rho-Pero. Lì, sotto la vela dell'architetto Massimiliano Fuksas, erano arrivati in 3.200 da ogni parte d'Italia per contendersi 100 posti appena: l'obiettivo era entrare nell'università fondata da don Luigi Verzé e collegata all'ospedale famoso nel mondo per la qualità delle cure e della ricerca scientifica. Acqua passata. Adesso le immatricolazioni al San Raffaele sono bloccate. Niente iscrizioni, nessun nuovo studente. È quanto prevede il decreto del ministero dell'Istruzione, dell'università e della Ricerca (Miur), appena pubblicato sul sito www.istruzione.it. Il provvedimento firmato dal ministro Francesco Profumo non mette a bando, infatti, nessun posto per l'ateneo. Sorpresa. Rabbia. Sconcerto. In realtà quanto successo è la conseguenza di un braccio di ferro in corso da mesi tra le fedelissime di don Verzé (le Sigille Raffaella Voltolini e Gianna Zoppei) e i nuovi vertici dell'ospedale (guidato dall'imprenditore Giuseppe Rotelli), tenuti fuori dal consiglio di amministrazione dell'ateneo. All'arroccamento delle Sigille, la proprietà del San Raffaele ha risposto con la revoca della convenzione tra l'università e l'ospedale: gli studenti, in sostanza, non potranno più fare pratica in via Olgettina. Tutti i tentativi di mediazione finora sono falliti tanto che il ministro Profumo la settimana scorsa ha nominato un «commissario» nel tentativo di risolvere la situazione. A tutela dei quasi duemila studenti iscritti. Ora sotto choc. Nelle ultime ore gli interrogativi si rincorrono. Che ne sarà delle 650 aspiranti matricole che hanno appena partecipato al test d'ingresso in Medicina in lingua inglese? E chi avrebbe voluto iscriversi per partecipare alle selezioni d'agosto che cosa deve fare? La storia dell'università Vita Salute riuscirà a sopravvivere ai suoi problemi di governance? I docenti sono imbarazzati. Le ammissioni al primo anno di corso al momento risultano cancellate. E chi ha partecipato al test in lingua inglese, alla luce di quanto compare sul decreto, l'ha fatto inutilmente perché al bando almeno per ora non corrisponde l'assegnazione di posti. Il commento più ricorrente: «È un evento di una gravità straordinaria». In molti, tra cui il preside di Medicina Massimo Clementi e il primario Alberto Zangrillo (medico personale di Silvio Berlusconi), accusano le Sigille. «La responsabilità è tutta loro — dicono —. Non sono state disposte a trattare né con la nuova proprietà dell'ospedale né con il Miur». Studenti e docenti da tempo chiedono di ripristinare la collaborazione tra l'attività dell'ospedale e quella dell'ateneo: «Una sinergia possibile — dice Clementi — solo se il cda si apre anche agli uomini di Rotelli». Dal canto loro, le Sigille Raffaella Voltolini e Gianna Zoppei hanno paura che la storia e i valori dell'università Vita Salute vengano cancellati con un colpo di spugna. Ma una soluzione adesso va trovata per forza. E il tempo stringe. Da lunedì il capo di gabinetto del ministro Profumo, Luigi Fiorentini, si metterà al lavoro per trovare una mediazione. C'è da sperare che sia la volta buona. Simona Ravizza sravizza@corriere.it _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 apr. ’13 LA GRADUATORIA UNICA NAZIONALE Test per l'università, progressi confortanti L'evoluzione dei test di accesso all'università non è stata fulminea, ma il risultato sembra migliorare decisamente una struttura che negli ultimi anni è stata bersagliata dai ricorsi e dalle polemiche. La graduatoria unica nazionale per corso di laurea (ne parliamo a pagina 21) può essere una contromisura efficace, e serve a evitare i paradossi abituali che vedono le sedi meno frequentate ammettere candidati con punteggi inferiori a quelli raggiunti da studenti respinti negli atenei più frequentati. Anche il "bonus maturità", previsto da sei anni ma mai attuato, trova nel decreto appena firmato dal ministro Profumo un meccanismo in grado di riservare i premi agli studenti che provengono dalle scuole più "generose" nei voti. Inutile illudersi che le novità basteranno ad azzerare le polemiche che sempre accompagnano le prove, come mostra il dibattito lunare sull'anticipo a luglio dei test (perfettamente in linea con quel che avviene all'estero): l'importante ora è che tutta la macchina funzioni, senza inciampi ministeriali. Università. Nella valutazione debutta il voto di maturità Test per il numero chiuso con classifica nazionale IL MECCANISMO I candidati a ogni corso saranno collocati in una graduatoria unica e potranno scegliere le sedi preferite Gianni Trovati MILANO Concorso e graduatorie nazionali uniche da quest'anno per i corsi di laurea a numero chiuso. Lo prevede il decreto firmato dal ministro dell'Università Francesco Profumo, che regola i test d'ingresso di quest'anno a medicina e chirurgia, odontoiatria, veterinaria, architettura e professioni sanitarie. Due le novità fondamentali, che traducono in pratica un'evoluzione da tempo attesa per le prove selettive: la graduatoria unica nazionale per corso di laurea, che prova ad alzare una barriera più alta contro i ricorsi, e la valutazione del curriculum scolastico, nella forma del voto di maturità, previsto fin dal 2007 dal «decreto Fioroni» ma rimasto finora confinato nella teoria. Come annunciato (fra le polemiche), il calendario quest'anno è anticipato e si concentra a luglio, nei giorni 23 (medicina e odontoiatria), 24 (veterinaria) e 25 (architettura), rimandando al 4 settembre solo l'appuntamento con le professioni sanitarie. L'anticipo serve proprio per far funzionare la graduatoria unica nazionale, che infatti esclude solo le professioni sanitarie. Ognuno degli altri corsi di laurea vedrà infatti elencate le performance dei propri aspiranti studenti in una maxi-classifica, stilata dal Cineca; su questa base, gli studenti saranno distribuiti fra le varie sedi in base ai posti assegnati a ciascuna di loro. Il "traffico" delle iscrizioni, ovviamente, sarà deciso dagli stessi candidati: la sede in cui lo studente effettua la prova è considerata automaticamente come «prima preferenza utile», e insieme all'iscrizione al test ognuno dovrà indicare le proprie opzioni alternative. L'iscrizione alla prova avviene solo on line, sul portale www.universitaly.it, dal 6 maggio al 7 giugno. I 60 quesiti a risposta multipla (una sola su cinque è quella giusta) possono attribuire a ogni candidato fino a 90 dei 100 punti totali, secondo il meccanismo in base al quale ogni risposta giusta dà 1,5 punti, ogni errore ne toglie 0,4 e il silenzio vale zero. Chi non riesce a raggranellare 20 punti nelle 60 domande del test esce dalla partita, mentre gli altri si possono giocare l'iscrizione anche con i 10 punti aggiuntivi ottenuti grazie al loro voto di maturità. Questa seconda parte della valutazione è rimasta nel limbo per anni per i problemi legati alla differente "generosità" delle valutazioni fra le diverse aree del Paese e anche fra le singole scuole. L'uovo di Colombo per superare l'ostacolo è individuato dal decreto nella "classifica" per singola scuola, in base alla quale i 10 punti saranno attribuiti solo al 5% "migliore" del proprio istituto di provenienza, chi si attesta nel 5% appena più in basso otterrà 8 punti e così via: nessun "bonus" sarà invece distribuito agli studenti che non fanno parte del 20% più "brillante" della propria scuola. Per chi arriva da scuole straniere è prevista una formula di "traduzione" in voti italiani. Anche in questo caso, la sola eccezione è rappresentata dai test per l'accesso ai corsi di laurea nelle professioni sanitarie: i loro partecipanti entreranno infatti nella classica graduatoria di ateneo, e sarà la singola università a decidere autonomamente come distribuire i 10 punti aggiuntivi collegati al voto di maturità. I risultati del test saranno pubblicati tra i 5 e il 7 agosto, a seconda del corso di laurea, mentre la graduatoria finale che tiene conto del "bonus maturità" vedrà la luce il 26 agosto, dopo di che ci saranno 4 giorni per immatricolarsi. @giannitrovati _____________________________________________________________ Repubblica 27 apr. ’13 PIÙ PUNTI AL TEST DI MEDICINA PER I DIPLOMATI CON VOTI ALTI ROMA — Da quest'anno, il voto della maturità sarà utile anche ai fini dell'ammissione alle facoltà a numero chiuso. Ma occorrerà, conseguire il diploma con almeno 80 centesimi. Ieri, il ministero dell'Istruzione ha pubblicato il decreto che riguarda i test di ammissione a Medicina, Odontoiatria, Veterinaria, Architettura e per le Professioni sanitarie (infermieri, ostetrici, ecc.) che prenderanno il via il 23 luglio con gli aspiranti medici. Al test verranno attribuiti al massimo 90 punti, i restanti 10 saranno attribuiti in base al voto del diploma secondo una modalità che varierà scuola per scuola. Piuttosto complesso il sistema utilizzato da viale Trastevere: coloro che avranno ottenuto un punteggio che l'anno scorso è stato superato dal 20 per cento dei maturandi otterranno 4 punti, coloro che strapperanno un punteggio superato soltanto dal 5 per cento dei compagni otterranno 10 punti. (salvo intravaia) _____________________________________________________________ Repubblica 28 apr. ’13 FACOLTÀ A NUMERO CHIUSO: RIVOLUZIONE NEI TEST graduatorie nazionali, meno quiz e più logica Ai candidati solo 90 minuti invece di 120. Si parte con Medicina il 23 luglio IN ANTICIPO rispetto agli anni scorsi, più breve, e con una graduatoria unica nazionale. Il ministro Profumo cambiati test di ammissione alle università a numero chiuso negli ultimi giorni del suo mandato e scatena le critiche degli studenti. Sono circa 13.300 i posti a disposizione nelle facoltà di Medicina e Odontoiatria, Veterinaria, Professioni sanitarie e Architettura. MICHELE BOCCI CANDIDATI dovranno mettersi a studiare presto, praticamente subito dopo la maturità. Anzi, meglio iniziare prima, visto che il decreto del 24 aprile fissale date dei test tra il 23 (Medicina) e 11 25 luglio (Architettura). I risultati arriveranno dal 5 agosto. Mentre le prove per le professioni sanitarie si svolgeranno più avanti, il 4 settembre. Ci vorranno competenza, fortuna e nervi saldi per affrontare prove più brevi di mezz'ora. In 90 minuti bisognerà rispondere a 60 quesiti (l'anno scorso erano 80) e chi sbaglia ci rimette 0,4 punti (l'anno scorso erano 0,25). Le risposte azzeccate, tra le cinque proposte ai candidati, daranno invece un punto e mezzo. Nel conteggio finale, ma solo per chi avrà fatto almeno 20 punti, conterà anche la votazione della maturità. Chi ha preso più di 80 all'esame che conclude il percorso di studio delle scuole superiori potrà raccogliere tra i 4 e i 10 punti, secondo criteri che verranno indicati più avanti. In pratica si potranno fare al massimo 100 punti. Il Cineca, cioè il consorzio delle Università italiane, lavorerà alla maxi graduatoria unica. Il candidato che, ad esempio, fa la prova a Bari, se raggiungerà un punteggio abbastanza alto potrà chiedere di andare a studiare a Padova. Si parte comunque dal presupposto che la sede scelta per fare il test sia la prima opzione dell'aspirante medico o architetto, che potrà poi esprimere altre preferenze. Ci si può iscrivere solo su internet, al sito www.universitaly.it, dal 6 maggio al 7 giugno. Si riducono le domande di cultura generale, che avevano provocato polemiche negli anni scorsi perché considerate troppo distanti dai percorsi di studio universitari per cui si fanno i test: saranno appena 5. Aumentano invece in proporzione i quesiti di "ragionamento logico" e diventano 25. Sono forse le domande che spaventano di più i candidati perché non si studiano sui libri, al contrario di altre materie oggetto dell'esame, come, biologia e chimica a Medicina e storia e disegno ad Architettura. Nel decreto del ministero si indicano anche i vari aspetti pratici, soprattutto quelli legati ai controlli necessari a rendere il test a prova di furbi. Si va dal modo in cui vanno conservate le scatole coni quesiti, al sistema di codice a barre che renda anonimo l'autore dell'esame. Come negli anni scorsi, i candidati troveranno le domande in ordine diverso, per rendere difficilissimo copiare. Alcune delle novità sono state accolte negativamente dalle organizzazioni degli studenti, che annunciano ricorsi. «Dopo aver anticipato le date dei test d'ingresso a luglio, mettendo in grave difficoltà i maturandi, con questo decreto - spiega Michele Orezzi, coordinatore nazionale dell'Udu, unione degli universitari - il ministro Profumo continua a ostacolare l'accesso all'università». Nel mirino, in particolare, c'è la decisione di dare un punteggio per il voto della maturità. «Si tratta di un gravissimo fattore discriminante», dice ancora Orezzi: «Il percorso scolastico è caratterizzato da tanti fattori diversi che spesso condizionano il voto finale». La graduatoria nazionale, inoltre, «rappresenta un passo avanti per una valutazione unica e più omogenea della prova d'ammissione, ma rimane fattore discriminante per la mobilità degli studenti». Daniele Lanni, portavoce della Rete degli studenti medi, è sulla stessa linea riguardo al voto della maturità: «Il principio dovrebbe essere quello di abbattere le barriere ed eliminare le disuguaglianze per permettere a tutti di studiare e non l'esatto opposto. Siamo pronti a mobilitarci». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 NUOVI TEST DI AMMISSIONE LA FRETTA DI UN CAMBIO IN CORSA Tutto cambiato. E in extremis. Si sta parlando delle prove d'ammissione per le facoltà universitarie a numero chiuso (medicina, odontoiatria, veterinaria e architettura). O meglio, per dirla con linguaggio più pertinente, cioè rispettoso del gergo burocratico-amministrativo del Miur: per i «corsi di laurea ad accesso programmato». Non più 80 ma 60 domande. La maturità inciderà sul punteggio, gettando la sua ombra lunga anche sul futuro universitario dello studente. I test verranno anticipati da settembre al 23, 24 e 25 luglio, imponendo l'obbligo di buttarsi in un altro esame pochi giorni dopo aver superato (si spera) lo stress della maturità. Ma c'è altro. Già l'invasione dei quiz a risposta multipla (tipo Rischiatutto) ha dato un colpo tremendo alla dignità culturale di certi esami e alle possibilità di una seria verifica delle capacità di ragionamento e di argomentazione dei candidati. Adesso, con la riduzione a foglia di fico del peso della cultura generale (solo 5 domande), viene sancito per decreto governativo (coerentemente con molte altre misure precedenti) che un futuro chirurgo o un futuro architetto possono essere perfetti ignoranti in ambiti che non siano strettamente tecnici. A questo punto, piuttosto che abbattere le domande di carattere culturale a un dodicesimo del totale, gli esperti del Ministero avrebbero potuto mostrare più coraggio eliminandole del tutto: ai compilatori dei questionari sarebbe stato risparmiato il grave imbarazzo di trovare argomenti più interessanti della «grattachecca», su cui l'anno scorso si aprirono tante (giuste) polemiche. Ci sono poi altre trovate «rivoluzionarie». Migliorative o peggiorative che siano, o forse piuttosto insignificanti, è certo comunque che le novità riusciranno nella difficile impresa di confondere ulteriormente le idee agli studenti e di conseguenza anche ai loro genitori, che si vedono cambiare le regole del gioco (si fa per dire) tre mesi prima della prova. Tutte misure di cui non si sentiva la necessità. Tra scuola euniversità, mentre tutto sembra cambiare e ammodernarsi, le antiche urgenze rimangono intatte. Paolo Di Stefano _____________________________________________ La Nuova Sardegna 26 apr. ’13 UNICA: CAMBIANO I TEST PER ACCEDERE A INGEGNERIA CAGLIARI Cambiano le modalità delle prove d’accesso ai corsi di laurea di Ingegneria: da quest’anno, infatti, il test per il numero programmato sarà tutto on line, su computer messi a disposizione nei locali della facoltà guidata da Alessandra Carucci. Si comincia il 3 e 4 maggio. Lo studente che non raggiunge il punteggio minimo richiesto per accedere al corso scelto farà altri tentativi: il calendario prevede infatti le prove il 3-4 maggio, 31 maggio/1 giugno, 15 luglio, 26 luglio e 2-3 settembre. Lo studente può scegliere in quale data iscriversi, ma è chiaro che prima si iscrive e più tentativi ha a disposizione. Evidente anche il vantaggio offerto a chi vuole iscriversi: in caso di insuccesso, gli studenti potranno colmare le lacune con l’aiuto dei docenti della scuola superiore che ancora frequentano e ripetere la prova. La novità è permessa dal “Tolc”, un test nazionale gestito dal Consorzio Cisia: l’altra novità di rilievo è che potranno iscriversi a Cagliari anche studenti che hanno sostenuto lo stesso test in altre università. La soglia minima di superamento del Tolc per l’accesso ai corsi di laurea in Ingegneria dell’Università di Cagliari è fissata in 16 punti su 40: si tratta di 40 quesiti a risposta multipla, a cui rispondere in un tempo prestabilito, su matematica, scienze, logica e comprensione verbale. Una volta che gli studenti saranno registrati nel sistema informatico di ateneo, potranno avvalersi dei corsi di riallineamento sulla piattaforma on line, anticipando la possibilità di recupero delle carenze formative, rispetto ai corsi in aula che la facoltà organizzerà comunque prima dell’inizio delle lezioni. Gli studenti che non raggiungono la soglia entro la sessione di settembre dovranno iscriversi a tempo parziale e frequentare corsi intensivi di recupero. Questi studenti potranno frequentare tutti gli insegnamenti del primo semestre, ma prima di poter sostenere gli esami, dovranno superare un test per la verifica del recupero dei debiti formativi. _____________________________________________________________ Unione Sarda 27 apr. ’13 UNICA: COMUNICATORI ALL'UNIVERSITÀ, NESSUNO VINCE IL CONCORSO L'università cerca un funzionario amministrativo che si occupi di comunicazione e web. Per trovarlo bandisce un concorso per titoli ed esami. Alla preselezione partecipano 222 candidati ma solo venti la superano. Ieri hanno saputo che nessuno di loro ha riportato il punteggio minimo previsto dal bando in entrambe le prove. E che il concorso è andato deserto. Un evento raro. Che potrebbe avere strascichi al Tar. LE CENSURE Le principali censure che sono state fatte dai candidati alla commissione riguardano il bando troppo generico e le prove d'esame, tra l'altro effettuate solo con Office, che non hanno previsto alcuna prova tecnico-pratica. Le stesse tracce, a sentire i partecipanti esclusi, non sono apparse in linea con l'oggetto del concorso LE DUE PROVE La prima prova consisteva nella predisposizione di un piano di comunicazione in un ente di ricerca. La seconda, che sarebbe dovuta essere tecnico-pratica, nella riprogettazione del sito dell'università. Un lavoro, secondo gli esclusi, da informatici, e che i candidati avrebbero dovuto realizzare utilizzando, anche in questo caso, Office, un software ritenuto inadatto allo scopo. CONCORSO CHIACCHIERATO Al concorso hanno partecipato molti giornalisti, nessuno dei quali ha potuto far valere la propria esperienza sul campo. Peraltro, come sempre, si è trattato di un concorso chiacchierato , che si riteneva fosse destinato ad una persona con nome e cognome. Che faceva parte dei 222 aspiranti funzionari ma, come gli altri, non ha passato il concorso. Nonostante, raccontano alcuni, alla prova preselettiva che si è svolta alla cittadella di Monserrato, ai candidati sia stato consentito di andare in bagno dopo l'estrazione delle tracce e mentre si facevano le fotocopie da distribuire ai partecipanti. Una situazione, avevano osservato alcuni, che avrebbe potuto consentire operazioni poco trasparenti. Che evidentemente non ci sono state, visto l'esito del concorso. Per la commissione - composta da Giuseppe Melis, associato al dipartimento di Scienze economiche e aziendali, Elisabetta Gola, associato al Dipartimento di Pedagogia, Psicologia e Filosofia e Luca Didaci, ricercatore a Ingegneria elettrica ed elettronica - non c'è altra lettura che quella più pulita: nessuno ha ottenuto il punteggio necessario a superare il concorso. (f.ma.) _____________________________________________________________ Sardegna Quotidiano 23 apr. ’13 CAGLIARI CITTÀ UNIVERSITARIA: PROGETTI AL VIA In un consiglio comunale ad alta tensione, ieri, minoranza e maggioranza non trovano una possibile intesa su due distinti ordini del giorno, incentrati sul tema di “Cagliari e università”. Il capogruppo Pdl, Giuseppe Farris, è primo firmatario di una proposta articolata: «Il centro storico è l’equivalente di un campus naturale e diffuso, oggi presenta una altissima capacità di insediamento. Il futuro campus di viale La Playa darà una risposta alle esigenze universitarie, ma in maniera isolata. Cagliari è una città con l’università, cosa ben diversa da una città universitaria. Propongo », argomenta Farris, «che l’amministrazione comunale rivendichi il carcere di Buoncammino, per esempio, e orienti le sue politiche di urbanistica verso i modelli di smart cities ». Marco Murgia, Pd, nota «molti riferimenti e contenuti di tipo urbanistico, poco rispetto alle questioni legate all’università». Il capogruppo di Ancora per Cagliari, Anselmo Piras, difende il documento proposto dalla minoranza: «È valido, a differenza del vostro, scritto con i suggerimenti degli universitari di sinistra, quelli di unica 2.0». Matteo Lecis Cocco Ortu, Pd, ribatte: «Due settimane fa la minoranza non è intervenuta, c’erano il rettore, la presidente dell’Ersu e il presidente del consiglio degli studenti. Uno sgarbo istituzionale senza precedenti», afferma Cocco Ortu, «il vostro documento contiene punti interessanti, ma è incompleto ». E il documento viene bocciato con diciotto no. Passa invece quello proposto da Enrico Lobina (Fds), che attacca i consiglieri di minoranza che escono dall’aula: «È frutto di una tipologia di arretratezza culturale oggi fortunatamente minoritaria in città. La mia proposta », argomenta Lobina, «è fatta di punti strategici, come l’integrazione del protocollo di intesa tra Comune e università, inserendo il tema del mediterraneo e dell’internazionalizza - zione, e introdurre all’interno del Pum appositi studi sulla mobilità studentesca, oggi assenti, ma anche la ricerca di luoghi dove gli universitari possano incontrarsi e svagarsi». Maggioranza compatta, e l’ordine del giorno di Lobina passa senza problemi: diciannove sì. _____________________________________________________________ Unione Sarda 26 apr. ’13 MASTER AND BACK, LA LUNGA ATTESA «Fino a che non arrivano i soldi le aziende non ci assumono» Una quarantina di laureati che hanno studiato all'estero aspettano lo sblocco delle risorse La loro preoccupazione è perdere un'opportunità lavorativa. I giovani sardi che hanno partecipato al bando integrativo 2010-2011 per i percorsi di rientro del progetto Master and Back temono che le aziende scelgano altri professionisti, a causa del ritardo sul pagamento dei fondi. In questa situazione si trovano circa quaranta borsisti. Tra loro ci sono disoccupati, giovani che sono ancora all'estero e altri che, prima decidere di lasciare l'Isola, attendono risposte. I FONDI Il bando prevedeva un finanziamento iniziale di 9 milioni di euro, relativi al Programma operativo del Fondo sociale europeo 2007- 2013, ed era stato attivato dalla Regione nel giugno 2011. I fondi, secondo i rappresentanti del comitato Master and Back, si erano però rivelati insufficienti e la Giunta aveva stabilito di incrementarli con un ulteriore stanziamento di risorse regionali. Questi erano stati poi integrati poi con 18 milioni di euro. «Numerosi percorsi di rientro», spiega la portavoce del gruppo, Silvana Vacca, «non sono mai iniziati e alcuni sono stati interrotti dopo qualche mese per vari motivi, a causa dei lunghi tempi trascorsi fra la presentazione delle domande e l'erogazione dei finanziamenti, e per il fatto che alcune aziende ospitanti, nel frattempo, hanno chiuso o fallito». Ci sarebbero, dunque, una parte di risorse non utilizzate. IL BANDO INTEGRATIVO L'Agenzia regionale del Lavoro, dopo il via libera dell'assessorato, a dicembre scorso ha pubblicato il bando integrativo che consentirebbe a coloro che non hanno potuto iniziare o concludere il percorso di rientro di usufruire dei fondi. Nel frattempo, tutto sembra essersi arenato. «Da più di un mese, vista la totale assenza di comunicazioni», spiega la portavoce del gruppo, Silvana Vacca, «stiamo cercando di capire come mai la procedura si sia bloccata. Le informazioni sono poco chiare. Martedì abbiamo incontrato l'assessore. Ci ha promesso che tenterà di risolvere la questione. Si è impegnato a darci una risposta la settimana prossima. Il punto è che è stato fatto un bando a cui abbiamo partecipato ed è stata scritta una delibera con un capitolo di spesa che non risulta più in bilancio». LE IMPRESE Anche le aziende stanno sollecitando la Regione perché vogliono capire quali siano i tempi per l'erogazione dei fondi. «Dovrei lavorare in un centro clinico. Stanno inaugurando la struttura», spiega Vacca, «ma se manca una psicologa, rischio che chiamino un'altra al posto mio. Purtroppo è una situazione che si era verificata anche con il bando precedente. Aspettando i fondi regionali molti di noi erano rimasti a terra e avevano dovuto ripresentare nuovamente la domanda. Capiamo ci siano tante emergenze ma non siamo lavoratori di serie B». Eleonora Bullegas _____________________________________________________________ L’Unità 23 apr. ’13 LA RICERCA È OPEN SCIENCE A Roma un convegno nel nome di Levi-Montalcini LA SCIENZA APERTA E RITA LEVI-MONTALCINI. DA UN LATO UN MOVIMENTO DEGLI ULTIMI ANNI, FRUTTO DELLA RIVOLUZIONE DELLE TECNOLOGIE DIGITALI, CHE PROPONE DI RENDEREI DATI DELLA RICERCA SCIENTIFICA accessibili a tutti, ricercatori o semplici cittadini interessati. Dall'altro, una scienziata nata oltre un secolo fa che ha fatto le sue grandi scoperte utilizzando vecchi strumenti, come i microscopi degli anni Cinquanta. Cosa c'entrano l'uno con l'altra? Eppure, la conferenza che si è svolta ieri a Roma li ha messi insieme. «World Wide Rome - Open Science - Io sono la mente,' è stata una giornata dedicata alla scienza aperta, ma anche al lavoro del premio No- bel che proprio ieri avrebbe compiuto 104 anni. Il collegamento osato dagli organizzatori non è forzato. È bastato, per capirlo, guardare un filmato del 2006 nel quale Rita Levi-Montalcini, parlando con otto giovani ricercatrici, afferma che la vera immortalità è il messaggio che lasci agli altri, la conoscenza che trasmetti. Ebbene, l'Open Science, la scienza aperta, si basa proprio sull'idea che la conoscenza vada trasmessa in modo libero perché è un patrimonio di tutti. Sali sulle spalle dei giganti, è il motto di Google scholar, il motore di ricerca accessibile liberamente che raccoglie articoli scientifici e accademici. Un'altra scienziata italiana è diventata il campione della filosofia dell'accesso libero: Ilaria Capua il cui intervento ha aperto i lavori trasmessi in diretta a rete unificata dal Tempio di Adriano. Nel 2006 Ilaria Capua lavora all'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie quando scoppia l'epidemia di influenza aviaria. Il suo laboratorio isola il ceppo africano del virus e l'Oms le chiede di depositare la sequenza del genoma del virus in un database ad accesso limitato. Ma lei si rifiuta: «Dobbiamo lavorare tutti insieme perché la salute è di tutti,' dice e deposita la sequenza in un database ad accesso aperto. Un atto «di buon senso'', come lo definisce Capua, diventa un atto rivoluzionario in un mondo in cui quello che conta è battere l'avversario, ovvero avere prima degli altri le informazioni e tenerle segrete. Ilaria Capua vince il premio Revolutionary Mind della rivista Seed e guadagna fama internazionale, mentre Oms e Fao adottano una gestione più trasparente dei dati sui virus. Dal 2006 molte cose sono cambiate, oggi la definizione di Open Science è un ombrello che raccoglie pratiche, storie e persone diverse, come spiega Alessandro Delfanti, autore del libro «Biohackers. The politics of open science» pubblicato da poco in inglese. «Con Open science intendiamo principalmente due cose: da un lato l'open access, ovvero la possibilità per tutti i ricercatori di accedere gratuitamente alle informazioni scientifiche; d'altro lato, l'apertura delle istituzioni scientifiche, dei laboratori a nuovi attori». Ecco quindi che scopriamo una scienza nuova nata dalla collaborazione in Rete tra scienziati e cittadini non esperti. Un esempio viene dall'astronomia: Galaxy Zoo è un progetto on line che chiede ai cittadini di aiutare i ricercatori a classificare le galassie. Vi partecipano 250.000 persone con risultati molto interessanti. Ma la nuova frontiera è costituita dalle biotecnologie. Jason Fontana, 22enne biotecnologo, ha raccontato di ricerche messe in piedi da giovani inesperti in laboratori fai-da-te in cui l'unica condizione è la sicurezza, e l'unica spinta la fantasia: batteri che eliminano la patina scura sui monumenti o che colorano la cacca a seconda delle nostre condizioni fisiche. Ora si cerca di aprire un laboratorio simile anche in Italia, servono 20.000 euro per partire. C'è qualche speranza, visto che il ministro Profumo ha chiuso i lavori della mattina ricordando come uno dei capitoli di spesa del programma Horizon 2020 (il programma per la ricerca europea dei prossimi 7 anni che vale 70 miliardi di euro) sia proprio rivolto all'open access. Pare proprio che l'open science sia una strada per l'innovazione. Basta crederci e investire. «If you think that education is expensive, try ignorance» (se ritieni che l'istruzione sia costosa, pensa a quanto costa l'ignoranza), è la frase di Derek Bok, ex presidente della Harvard University, citata ieri. A noi italiani fa subito venire in mente un altro professore, tal Giulio Tremonti, che in qualità di ministro dell'economia ricordava che "la cultura non si mangia". Vale la pena ricordarlo per capire qual è stata la vocazione del nostro paese negli ultimi anni. Non a caso Rita Levi Montalcini, in un'intervista rilasciata nel giorno del suo centesimo compleanno, chiedeva come regalo che l'Italia desse più attenzione alla ricerca e ai giovani ricercato _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 L'INFLAZIONE DEI DOTTORI NEL PAESE CHE AMA I TITOLI Può spiegare come viene usato il titolo di «dottore» negli altri Paesi? Non credo, forse erroneamente, che l'ambiguità tutta italiana del «dottor Rossi» (stiamo parlando di un medico o di un laureato in altra disciplina?) sia possibile altrove. Oltre al fatto, paradossale, che sono sempre più frequenti i casi di persone il cui lavoro non ha nulla a che fare con il titolo accademico conseguito. Mantenendo correttamente questo titolo a un ambito esclusivamente medico, non sarebbe più giusto indicare, per esempio, «Mario Bianchi», responsabile tecnico di produzione, laureato in filosofia, piuttosto che un semplice e del tutto ambiguo «dottor»? Franco Milletti milletti@email.it Caro Milletti, I n Gran Bretagna «dottore» è l'appellativo utilizzato per due categorie professionali: il medico e il ministro della Chiesa anglicana che ha completato gli studi con una dottorato in teologia ed è quindi un «divinity doctor». Negli Stati Uniti designa il medico, ma anche il «philosophy doctor», vale a dire la persona che ha proseguito gli studi dopo la laurea sino a quello che noi chiamiamo il dottorato di ricerca. In Germania e nei Paesi scandinavi il titolo è generalmente riservato ai docenti universitari che hanno una laurea di terzo livello. Non vi è Paese in cui il borghese non desideri decorare il proprio nome con un titolo. Tutti gli alti gradi della burocrazia statale in Gran Bretagna aspettano impazientemente il giorno in cui saranno promossi «cavalieri» da Sua Maestà e potranno premettere al loro primo nome l'appellativo «sir». I membri delle grandi istituzioni nazionali francesi (l'Académie, l'Institut, il Collège de France) firmano i loro libri e i loro articoli fregiandosi della loro dignità accademica. Non è sorprendente quindi che anche gli italiani amino fregiarsi di un titolo. Fra l'Italia e la maggior parte degli altri esistono tuttavia almeno due differenze. In primo luogo il titolo, altrove, segue il nome anziché precederlo ed è generalmente utilizzato soltanto nell'intestazione delle lettere e nei biglietti da visita dove i titoli professionali e le onorificenze sono spesso indicati nei Paesi di lingua inglese con alcune abbreviazioni: MD (medical doctor), DD (divinity doctor), PhD (philosophy doctor), KCBE (knight commander of the British Empire, cavaliere commendatore dell'Ordine dell'Impero britannico), MP (member of parliament, deputato), FRCS (Fellow of the Royal College of Surgeons, compagno del Collegio reale dei chirurghi). In Italia, invece, il titolo, anche nella conversazione, precede il nome. Per indirizzarsi a una persona senza offenderla la parola «signore», evidentemente, non basta. Per molto tempo l'Italia fu piena di cavalieri e commendatori. Poi quegli appellativi passarono di moda e furono sostituiti da altri fra cui «dottore» è quello maggiormente utilizzato. Speravo che la riforma universitaria degli anni Ottanta, quando le lauree divennero tre (breve, lunga e dottorato di ricerca), avrebbe finalmente allineato l'Italia sugli usi degli altri Paesi europei. Mi accorsi che avevo sbagliato quando lessi che una sentenza della giustizia amministrativa aveva riconosciuto il titolo di dottore persino ai diplomati delle lauree brevi. Anche i giudici amministrativi, evidentemente, hanno famiglia. In secondo luogo, il tasso d'inflazione dei titoli in Italia è incomparabilmente superiore a quello degli altri Paesi. Il primo ad accorgersene fu Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero. «Tutti dottori» è la traduzione moderna del «todos caballeros» con cui accontentò l'intera borghesia di Alghero nell'ottobre 1541. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 apr. ’13 PERCHÉ NON FERMATE IL DECLINO DELL'ENEA? All'ente che fa ricerca sull'energia un sesto dei soldi degli anni Ottanta I dipendenti quasi dimezzati. E così l'Enea forma cervelli che poi fuggono di GIAN ANTONIO STELLA Lo chiudano piuttosto, se hanno il fegato di farlo. Ma è indecente tenere in vita l'Enea come fosse un peso morto, da alimentare controvoglia sparagnando sui centesimi. Il governo, quale che sia, pensa che l'Italia dei Fermi, degli Amaldi, dei Rubbia non abbia più bisogno della ricerca? Si assuma l'onere di dirlo. O si regoli come nei Paesi civili. I numeri dicono tutto. Nella seconda metà degli anni Ottanta, quando si vantava di avere la quinta economia al mondo e un Pil quattro volte più grande di quello cinese, l'Italia dava al nostro Ente nazionale per l'energia atomica, che aveva oltre cinquemila dipendenti per quattro quinti impegnati nel nucleare, l'equivalente attuale di 976 milioni di euro. E già l'allora presidente Umberto Colombo si lamentava dei tagli. Quest'anno ne ha dati sei volte di meno: 152. Una sessantina al di sotto di quanto l'ente deve spendere solo per pagare i dipendenti (ridotti a 2.700 dei quali poco più di un decimo ancora addetti ai settori originari) e i servizi e la sicurezza degli impianti. Colpa dell'abbandono del nucleare, si dirà. Sì e no. Berlusconi, ad esempio, esordì nel 2008 col suo ultimo governo sostenendo che bisognava «andare in maniera decisa verso una fonte energetica nucleare». Una scelta «indispensabile per garantirci l'energia per il futuro e tutelare meglio l'ambiente». Parole: poi tagliò anche lui. Certo, l'Enea, pur conservando l'acronimo originale si è sempre più diversificato. Tanto che si occupa, oltre che dello «sviluppo di nuove fonti di energia quali la fissione nucleare sicura e la fusione nucleare controllata», di un mucchio di cose. Dall'«efficienza nell'uso dell'energia nei vari comparti economici» alle fonti rinnovabili, dalla gestione dei rifiuti a progetti di security come la messa a punto di un sistema che sarà sperimentato in una stazione della metro parigina in grado di individuare se una persona porta addosso materiali esplosivi o se li ha di recente maneggiati. Per non dire della creazione di basi antisismiche per i Bronzi di Riace, delle proposte sulla prevenzione del rischio terremoto del Duomo e della rupe di Orvieto o degli studi sugli oltre 1.100 impianti chimici a rischio di incidente rilevante (Rir) come quelli siciliani di Milazzo e Priolo Gargallo. Decenni di studi d'avanguardia sul nucleare, però, secondo gli scienziati della «cittadella» di Frascati, spingono nonostante tutto all'ottimismo: «L'industria italiana ha la leadership nel settore della produzione di componenti per la fusione nucleare, un settore di nicchia, che attrae però importanti finanziamenti da tutto il mondo». Lo conferma il progetto internazionale Iter per la costruzione a Cadarache, in Provenza, del primo impianto a fusione di dimensioni paragonabili a quelle di una centrale elettrica convenzionale. Un colossale sforzo finanziario e scientifico paragonabile solo, dicono gli esperti, allo sbarco sulla Luna: se avremo energia sicura lo vedremo lì. Bene: del miliardo e 300 milioni di euro finora assegnati per i lavori, 750 milioni sono andati a imprese italiane produttrici di magneti superconduttori, sistemi di controllo, scambiatori di calore speciali… «Imprese che si sono qualificate lavorando con noi», spiega l'ingegner Giovanni Lelli, che dell'Enea è il commissario, «in pratica l'Italia partecipa a Iter col 13 per cento delle risorse e ha già acquisito oltre il 50 per cento degli ordini. Gli altri Paesi sono seccatissimi per questa nostra leadership». Eppure, a Frascati si sentono un po' come il tenente Drogo nella fortezza Bastiani di Dino Buzzati. Lontani, estranei, dimenticati. Circondati dal nulla. Te lo dicono arrossendo d'imbarazzo, come se si scusassero loro per la cecità altrui: «Sono anni che non vediamo un ministro. Anni. Siamo una voce nel bilancio ma di cosa facciamo, di come collaboriamo con le imprese, di come riusciamo nonostante tutto a recuperare soldi per continuare a lavorare e scoprire e fare brevetti pare che non importi a nessuno». Ogni tanto, racconta Lelli, qualche ministro lo incrocia: «Gli dico: posso spiegarle cosa potremmo fare per aiutare operativamente il rilancio dell'Italia? Mi rispondono: ha ragione, bisogna che ci vediamo…». E poi? «E poi il vuoto…». Colpa della crisi? Rileggiamo Barack Obama: «In un momento così difficile, c'è chi dice che non possiamo permetterci di investire in ricerca, che sostenere la scienza è un lusso quando bisogna dare priorità a ciò che è assolutamente necessario. Sono di opinione opposta. Oggi la ricerca è più essenziale che mai alla nostra prosperità, sicurezza, salute, ambiente, qualità della vita. (...) Per reagire alla crisi, oggi è il momento giusto per investire molto più di quanto si sia mai fatto nella ricerca applicata e nella ricerca di base». Facciamo un paio di confronti? Il tedesco Karlsruher Institut für Technologie riceve, per la sola ricerca, 77.419 euro per ogni addetto, il francese Commissariat à l'énergie atomique et aux énergies alternatives 153.153, l'Enea tutto compreso 58.519. Che senza le entrate proprie dovute ai brevetti e alle commesse non basterebbero neppure a pagare le spese vive. Basti dire che su 152 milioni di finanziamento complessivo l'ente deve pagarne addirittura nove all'anno all'Enel, che nonostante sia in buona parte pubblico manda le bollette all'ancora più pubblico Enea come fosse un'azienda privata produttrice di motoseghe, bacinelle o turaccioli. Risultato: chi lavora in questo vuoto pneumatico, se non ha motivazioni patriottiche ed eroiche, se è giovane sogna «quasi quasi vado in America» e se è anziano rimpiange «era meglio se quella volta fossi andato in America…». Ce li invidiavano tutti, un tempo, i nostri fuoriclasse. Ora non più. Nel senso che via via che crescono ce li sfilano sotto il naso. «Negli ultimi anni abbiamo tirato su una cinquantina di giovani scienziati bravissimi — sospira amaro Lelli —, ce ne sono rimasti tre». E gli altri 47? «Se ne sono andati. Anche quelli più motivati alla fine hanno ceduto». Hanno 49 anni di media, i ricercatori dell'Enea. Molti sono entrati quando la cittadella sui colli romani, un fiore all'occhiello poco alla volta appassito dal taglio dei fondi, era un concentrato di ragazzi e ragazze che non dormivano la notte proiettati com'erano nel futuro. È tutta la nostra ricerca, va detto, a essere in condizioni simili. Una tabella elaborata su dati Eurostat 2011 da Observa Science in Society dice che gli scienziati e gli ingegneri occupati in campo tecnico- scientifico con meno di 34 anni sono da noi il 23 per cento: sette punti in meno rispetto alla media europea. La classifica dei più anziani, dai 45 ai 64 anni, ci vede nelle posizioni di testa con quasi il 43 per cento: cinque punti sopra la media continentale, sei sopra il Regno Unito, quasi nove sopra l'Austria, dieci sopra l'Irlanda… Solo alcuni Paesi ex comunisti hanno ricercatori più vecchi dei nostri. E se domani mattina spuntasse dalle parti di via Panisperna un nuovo Ettore Majorana di ventidue anni, per dirla con le parole di Edoardo Amaldi, dall'«aspetto di un saraceno» e dagli «occhi vivacissimi e scintillanti»? All'Enea non saprebbero come tenerlo. E dovrebbero offrirgli, con difficoltà, un contrattino a tempo di 1.700 euro al mese per due anni per poi estenderlo a cinque e stare lì ad aspettare che arrivi un concorso. «Nel frattempo ce lo fregano». Ma se non punta sulla intelligenza dei nostri ragazzi, come può pensare l'Italia di uscire dalla crisi: con qualche «aggiustatina»? Gian Antonio Stella _____________________________________________________________ Corriere della Sera 26 apr. ’13 PERCHÉ IL TONO DI VOCE IN PUBBLICO CONTA PIÙ DI QUELLO CHE SI DICE Timbro e pause colpiscono il doppio delle persone rispetto ai contenuti di GIAN LUIGI PARACCHINI «Il telefono. La tua voce», recitava a fine anni Settanta lo slogan della Sip, operatore unico all'epoca. Slogan rimasto nella memoria per quell'implicito richiamo alla magia e alla suggestione della voce. Chi, anche oggi, ascoltando al telefono timbri profondi o sospirosi, non ha mai fantasticato d'avere dall'altra parte un Brad Pitt o un'Angelina Jolie? Raramente i riscontri dal vivo mantengono poi le promesse ma in ogni caso la voce conserva un ruolo fondamentale non soltanto nell'immaginario emozionale ma perfino nell'ispirare o stroncare le carriere. Pare infatti che nell'ambiente di lavoro, volume e qualità del tono vocale risultino più decisivi del contenuto. Come a dire: funziona meglio la confezione del pacchetto. Lo conferma la ricerca d'una compagnia di comunicazione texana, ripresa dal Wall Street Journal, che ha chiesto a un gruppo di 1.000 persone d'ascoltare e valutare i discorsi/relazioni di 120 dirigenti d'azienda. Il 23% degli ascoltatori ha indicato nella voce l'arma vincente per catturare l'attenzione mentre soltanto l'11% ha coraggiosamente privilegiato le parole, i concetti. Tra gli altri elementi, a seguire, il fascino del relatore e la passione dimostrata durante il suo show. Altro malinconico trionfo della forma sulla sostanza? Della seduzione sull'efficienza? Nessuno la prende così. Anche perché non mancano riprove. Il Journal of voice per esempio ha pubblicato uno studio che spiega come voci troppo ansimanti, affaticate o dure, vengano associate a parlatori passivi, deboli, agitati. Insomma perdenti anche se autentici geni. La chiave sta nel trovare l'equilibrio giusto fra tono e volume, come quando si sfiora la manopola dello stereo. Regola aurea sarebbe un tono alto ma mai aspro o con l'effetto devastante da gessetto sulla lavagna tanto caro a Marge, de I Simpson. La voce fa brutti scherzi. Se risulta un po' piatta potrebbe nascondere scarsa energia. Ma come la mettiamo allora con il monocorde Clint Eastwood, uno che da Callaghan e da cacciatore di taglie ha distrutto quartieri e interi saloon? Mica sempre si coglie nel segno. Daniel Day- Lewis, interpretando Lincoln, ha cercato di riprodurre quella che secondo testimonianze doveva essere la tonalità del presidente: acuta, fredda, assai poco autorevole per tanto personaggio. E a molti la cosa non è andata giù. Di certo bisogna sfatare qualche mito. Si può essere bellissime come Cindy Crawford ed essere doppiate per disperazione. E si può essere bravi cantanti ma non fini e smaglianti dicitori a conversare, come Vasco Rossi e Gianna Nannini. Né recitare affranca dal rischio di mangiare le parole: sia alla maniera piaciona di Silvio Muccino o fascinosamente irrequieta di Margherita Buy e Laura Morante. Si può migliorare la propria voce? Si, ci sono terapie che insegnano a respirare meglio e a rafforzare i muscoli della laringe. Attenzione però a non fidarsi dell'auto-ascolto: sentiamo le nostre parole attraverso le ossa della testa, in modo diverso cioè da come viene recepita dagli altri. Mediamente il tono con maggiore probabilità di successo in pubblico è quella baritonale, in quanto ritenuta più autorevole e calda: magnifici esempi rimangono Vittorio Gassman ed Elvis Presley. Non che avere una voce un po' fuori dagli schemi sia per forza disdicevole: del loro particolare, inimitabile farsetto Sandro Mazzola, Rosa Russo Jervolino e anche il compositore Giovanni Allevi hanno fatto una specie di marchio di fabbrica. Così come il giornalista Sandro Ciotti con le sue tonalità da extra-basso e Valeria Golino nel genere roco- sensuale, particolarmente apprezzato dal genere maschile. In quanto al genere urlato, Simona Ventura ci ha costruito un genere: il podio è tutto suo. Resta da capire se esista un simbolo della voce più bella di tutti i tempi. Ce ne sono molti ma è giusto ricordare che il soprannome The Voice appartiene soltanto a Frank Sinatra. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 24 apr. ’13 IL SOSPETTO UNIVERSALE di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA «L'inciucio!». Molti italiani si stanno ormai abituando a giudicare la politica nell'ottica di quest'unica categoria demonizzante, e quindi a vedere le cose e gli uomini della scena pubblica del loro Paese in una sola luce: quella del sospetto universale. La prima caratteristica della categoria dell'inciucio, quella che la rende così facilmente utilizzabile, è la sua indeterminatezza. L'inciucio, infatti, come insegnano i suoi denunciatori di professione, si annida dovunque. Potenzialmente esso riguarda tutto e tutti. Può consistere nella sentenza di un tribunale, in un articolo di giornale, nella decisione di qualunque autorità, in una trasmissione televisiva, in tutto. Ma soprattutto è inciucio la trattativa, l'accordo, il compromesso espliciti, così come pure — anzi in special modo! — l'intesa tacita che su una determinata questione si stabilisce per così dire spontaneamente tra gli attori politici di parti diverse. Tanto più che perché di inciucio si possa accusare qualcuno non c'è bisogno di alcuna prova. Per definizione, infatti, l'inciucio si svolge nell'ombra, al riparo da occhi indiscreti. E dunque, paradossalmente, proprio la circostanza che di esso non si abbiano tracce visibili diviene la massima prova della sua esistenza. In questo senso la categoria d'inciucio, nella sua indeterminatezza e nella sua indimostrabilità, costituisce una sorta di versione in tono minore di un'altra ben nota categoria, da decenni ai vertici dei gusti del grande pubblico: la categoria dei «misteri d'Italia» con la connessa tematica del «grande complotto». Ogni vero inciucio, infatti, contiene inevitabilmente un elemento di «mistero», e d'altra parte ogni «mistero» non implica forse chissà quanti inciuci? Un ulteriore vantaggio che offre poi l'inciucio in termini polemico- propagandistici è che esso, di nuovo, può sottintendere tutto, il fare ma anche il non fare. Agli occhi dei suoi teorici esso è anzi soprattutto questo: è il non fare, il disertare, l'abbandono della posizione di fronte al nemico. Un aspetto, questo, che indica assai bene quale sia l'idea della democrazia che hanno i denunciatori di professione dell'anti inciucio. È un'idea per così dire bellica della democrazia, radicalmente fondata sul concetto di ostilità. Per non essere l'anticamera dell'inciucio (sempre in agguato!), la democrazia deve essere scontro permanente, continua denuncia dell'avversario e dei suoi disegni, illustrazione delle sue indegnità morali, smascheramento; ogni discorso deve sbugiardare, denudare, indicare al pubblico ludibrio. La massima virtù civica non è la probità, è l'indignazione. Chi non si adegua, chi invece guarda alla democrazia come a quel sistema che si fonda, sì, sulle «parti» e sulla loro contrapposizione, ma anche, specialmente nei tempi difficili, sulla ricerca dell'accordo, sulla tessitura di compromessi, sulla moderazione di toni, sul riconoscimento dell'opinabilità di tutti i punti di vista (compreso il proprio, naturalmente) e della buona fede altrui, ebbene costui è già un potenziale «inciucista», un «traditore», un «venduto», degno di essere consegnato ai dileggi parasquadristici di cui per esempio sono stati vittime gli onorevoli Franceschini e Fassina nei giorni scorsi. Poiché in una tale ottica la mediazione non è il momento inevitabile di ogni prassi democratica; al contrario: ne diviene la più indegna negazione. Naturalmente ordita con i più torbidi scopi. Inutile dire quanto abbia aiutato a radicare l'idea e la categoria d'inciucio la scoperta della spartizione, concordata per anni dietro le quinte, a opera dell'intera classe politica, di privilegi e benefici di ogni tipo e misura. Cioè la scoperta della «casta». Una realtà verissima e certo scandalosa: se si può muovere un rimprovero all'uso pubblico della quale, però, è di non avere sottolineato abbastanza che l'intera società borghese italiana è in verità una società di caste. Che la radice del male, dunque, non sta tanto nella politica quanto nella cultura, nella mentalità profonda delle classi dirigenti (e non solo) del Paese. Per cui in Italia tendono a essere una «casta» i giornalisti, i giudici, gli avvocati, gli alti burocrati, i professori, i manager, i funzionari dei gabinetti ministeriali, e così via: in vario modo tutti impegnati accanitamente a sistemare i propri figli possibilmente nello stesso mestiere, a impedire l'accesso ai nuovi venuti, ad accumulare privilegi, retribuzioni, eccezioni di varia natura, auto blu, simboli di status, diarie, cumuli pensionistici, trattamenti speciali, ope legis, e chi più ne ha più ne metta. Viceversa, declinata unilateralmente la categoria di «casta» porta a conseguenze strabilianti. Per esempio a quella di proclamare «un uomo al di fuori della politica» (Beppe Grillo) una persona certo degnissima come Stefano Rodotà, ma che comunque nei suoi ottant'anni è stato deputato dal 1976 al 1994, deputato europeo per un altro periodo, presidente del gruppo parlamentare della Sinistra indipendente, vicepresidente della Camera, ministro nel governo ombra Occhetto, presidente del Pds, e infine presidente di un'Authority, carica notoriamente di strettissima nomina politica. Qual è insomma, viene da chiedersi, il criterio d'inclusione nella «casta»? Forse non essere nelle grazie degli «anticasta»? Ma il punto decisivo — lo sappiamo benissimo, senza che ce lo ricordino i professionisti dell'anti inciucio — è che nella politica italiana c'è Berlusconi. Vale a dire il bersaglio di un'indignazione obbligatoria — del quale, a dire di costoro, bisogna a ogni occasione chiedere l'ineleggibilità, la revoca dell'immunità, l'incriminazione, e quant'altro — mentre il solo evitare di farlo, non parliamo dell'avere un qualsivoglia rapporto con lui o con la sua parte, significherebbe, sempre e comunque, l'inciucio più vergognoso. Quando si discute di Berlusconi o con Berlusconi, infatti, se non si vuole passare per collusi il sistema è semplice: ogni sede pubblica deve divenire l'anticamera di una Corte d'assise. Il fatto che da vent'anni egli abbia un seguito di parecchi milioni di elettori (spesso la maggioranza) appare ai custodi della democrazia eticista un dettaglio irrilevante. Non già l'espressione di un problema della storia italiana, di suoi nodi antichi che solo l'iniziativa, le risorse e le capacità della politica, se ci sono, possono sciogliere. No: solo un problema di codice penale o poco più. E in ogni caso, male che vada, un'occasione d'oro per lucrare un po' di consenso mettendo sotto accusa chi si trovasse a pensare che le cose, come spesso capita, sono invece un po' più complicate. Ernesto Galli della Loggia _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 apr. ’13 LA DEMOCRAZIA DEL SUPERCALCOLO Adapteva su Kickstarter propone una scheda low cost per il calcolo parallelo. Ma anche i big come Intel, Amd e Nvidia sono a caccia di applicazioni di Luca Tremolada Novantonove dollari, grande come una carta di credito, compatibile con Linux. Il supercalcolo parallelo alla portata di tutti resta per ora una idea su Kickstarter. Il produttore di semiconduttori americano Adapteva è convinto che la scheda uscirà sul mercato già a partire da questa estate e il suo debutto aprirà una nuova stagione per tutte le startup che vogliono cimentarsi con il calcolo parallelo senza per questo dover spendere ingenti capitali. In realtà il mercato dell'Hpc (High performance computing) sta già guardando con insistenza a startupper e ricercatori universitari. Ha bisogno di idee e programmatori, modelli di business e sviluppo per studiare nuove applicazioni legate al calcolo parallelo e adattarle ai grandi trend informatici di questi ultimi anni: dal big data alla robotica, dalla medicina personalizzata alle simulazioni di bioinformatica. Ecco perché Intel, Amd e Nvidia, i big del silicio, si sono tutti mossi, ciascuna a ben vedere con i suoi tempi e con diversi gradi di convinzione, consegnando piattaforme di calcolo, hardware e kit di sviluppo nelle mani di professionisti del codice e investendo anche capitali nelle startup più convincenti. L'obiettivo più alto è quello di creare un ecosistema sempre più ampio che sfrutti le loro tecnologie. Amd, per esempio, ha creato un programma di investimento chiamato AMD Ventures. Ha in portafoglio una decina di startup. Tre (BlueStack, Avary e CiiNow) sono tra le più interessanti. La prima è una startup di software che simula il sistema operativo Android su piattaforma Windows. Insieme a loro Amd ha sviluppato AMD Appzone un player che ti permette di portare le Apps Android su pc con microprocessore Amd. Avary sfrutta le Apu (Accelerated processing unit) di Amd e sviluppa un software di photoediting per piattaforme Android, Windows mobile, Html 5 e iOS. CiiNow invece si occupa di cloud gaming, settore questo che si candida a essere uno dei primi e più facili banchi di prova del supercalcolo per il popolo. Come detto però non tutti credono di poter declinare queste piattaforme tramite gli algoritmi degli startuppari. Le uniche due portfolio companies che Intel ha in ambito High Performance Computing e super calcolo sono Panasas e Terascala entrambe specificamente in ambito storage. L'ultima è l'investimento più recente (2012) e guarda anche al mercato emergente (e per certi versi già emerso) del big data. Più interessante però è Rock Flow Dynamics (RFD), una azienda che sviluppa software per l'industria petrolifera che ha raccolto da Intel un chip di 2 milioni di dollari. Quello dell'oil and gas è però forse il settore più interessato e interessante per il supercalcolo. Scavare un pozzo costa 100 milioni di dollari senza avere la certezza di trovare quel che resta del l'oro nero. Un modo alternativo è quello di generare finti terremoti in aree di diverse decine di chilometri attraverso un sistema di micro esplosioni. Una rete di sensori a ultrasuoni posti a diverse profondità fornisce a piattaforme di supercalcolo le informazioni per ottenere una "fotografia" dettagliata e comprensibile del sottosuolo. Nel deserto o magari in luoghi dove è complicato accedere a fonti di energia servono cluster di supercomputer potenti ma proprio per questo in grado di consumare meno degli altri. Chi lo ha capito per tempo e ha ora l'ecosistema di università, centri di ricerca e startup più interessante è Nvidia, il produttore di schede grafiche che sta allargando il suo spettro d'azione (si legga il Sole 24 Ore del 24 marzo). «Seguiamo una ventina di startup – spiega Alain Tiquet direttore del GPU Ventures Program per l'Europa –. Ma nel mondo sono decine di migliaia gli sviluppatori di Cuda (l'architettura di elaborazione in parallelo realizzata da Nvidiandr)». Startup degna di nota è Cortexica che ha realizzato una app mobile per permettere ai consumatori di trovare e acquistare i prodotti che più gradiscono. Basta fotografare una camicia o un prodotto similare con un telefono cellulare o con un tablet e la app si occuperà di ricercarlo attraverso una banca dati online di abbigliamento, per trovare subito i capi disponibili per l'acquisto presso i rivenditori online. L'operazione sembra banale ma in termini di calcolo non lo è. Supercalcolo low cost. Il produttore di semiconduttori americano Adapteva ha proposto su Kickstarter una scheda per il supercalcolo a 99 dollari. La raccolta sta andando bene e dovrebbe uscire in estate. Sotto, gli ambiti delle applicazioni del supercomputing dal 2008 al 2013 nel mondo. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 UN FUMETTISTA CONTRO IL COMICO Martin Mystère contro Grillo di ALFREDO CASTELLI Andate oggi a (ri)vedervi il video di Casaleggio La democrazia si distrugge con la democrazia L' ideologo del MoVimento Cinque Stelle, Gianroberto Casaleggio, ha realizzato nel 2008 Gaia, il nuovo ordine mondiale, un film sulla sua personale visione del prossimo futuro. Lo si può vedere nel sito della Casaleggio Associati in inglese (www.casaleggio.it/media/video/gaia-il- futuro-della-politica-1.php) o con didascalie in italiano (www.youtube.com/watch?v=f6_Kcbmd6Z8&hd=1). Il film è stato abbondantemente citato, Crozza ne ha tratto una divertente parodia, ma purtroppo non è ancora abbastanza noto. Di recente l'ho mostrato a due grillini che non l'avevano mai visto: non si capacitavano che fosse opera dell'ideologo del loro movimento e non si trattasse delle farneticazioni di un ospite di Voyager, e all'inizio hanno sospettato il complotto. Dopo una lunga sequenza molto confusa, in cui non risulta chiaro se la comunicazione non-Internet costituisca un bene o un male, se Gengis Khan, Girolamo Savonarola e Leni Riefenstahl abbiano punti in comune, se la rivoluzione francese sia equiparabile a quella fascista (forse quella «buona» cui fa cenno la Lombardi), il filmato traccia una sintetica storia mondiale della comunicazione politica per mezzo di Internet, il cui punto più alto risulta essere il Vaffa Day (2007), svoltosi nella simbolica data dell'8 settembre. Per quanto riguarda il futuro, Casaleggio prevede la terza guerra mondiale, che avrà inizio tra sette anni e finirà dopo due decenni, nel 2040. Le manifestazioni dell'alleanza pluto-cristiano-massonica, tra cui San Pietro e Nôtre Dame, saranno distrutte e si salverà solo un miliardo di persone, meno di un settimo dell'attuale popolazione mondiale. Il mondo ne risulterà purificato; il 14 agosto 2054, centenario della nascita del «Guru» (controllare per credere), i superstiti organizzeranno tramite Internet un nuovo ordine mondiale che nel XII secolo Gioacchino da Fiore chiamava «età dello Spirito Santo» o «millennio sabbatico», e Casaleggio chiama, in termini esoterici, «Gaia». Qui, finalmente, regneranno purezza, democrazia, felicità e Internet. Anche Grillo, del resto, ha parlato di un periodo complicato (in questo caso di appena cinque anni) in attesa del momento in cui finalmente saremo tutti «un po' più poveri ma più felici», in un futuro-dopo-la- catastrofe vagamente agreste, tipico dei movimenti millenaristici. Lascio ai cassintegrati i commenti sulla prima parte dell'esternazione, e faccio rilevare che nella denominazione «MoVimento Cinque Stelle», la V evidenziata sta per Vaffa Day ma anche per «Vendetta» (riproduce il logo di V for Vendetta, il famoso fumetto di Alan Moore) e che «Tsunami», il nome del tour di Grillo, è molto azzeccato in quanto rende l'immagine di un'inarrestabile fiumana, ma è comunque sinonimo di lutti, distruzioni e morte. In effetti nel lessico di Beppe Grillo compaiono espliciti riferimenti a una distruzione fine a se stessa (a meno di non voler considerare come un programma di ricostruzione le dichiarazioni: «Poi staremo tutti meglio, non pagheremo più il gas e la luce, faremo tutto con Internet, sarà bello!»): il non-più-comico, ma uomo politico Grillo ha più volte ribadito che le frasi «Li sbatteremo tutti fuori» o «Apriremo il Parlamento come una scatola di sardine» non sono né devono essere intese come iperboli pre-elettorali, ma vanno prese letteralmente; ha anche specificato che chi, come me, ha creduto che frasi del tipo «Li sbatteremo tutti fuori» si riferisse solo ai corrotti e ai disonesti, non ha capito nulla e ha sbagliato a votare M5S, in quanto tutti significa proprio tutti coloro che hanno toccato la politica, e sono dunque per sempre contaminati. Tra parentesi, se le frasi vanno interpretate in termini letterali, mi chiedo se sia accettabile che un «club» (il Parlamento) accolga come socio chi dichiara che vuole distruggerlo. Da un partito che ha scelto come simboli o parole d'ordine la vendetta, la morte, la distruzione non mi aspetto molto in termini costruttivi. Il 99 per cento delle proteste dei grillini sono più che sacrosante, e per questo in tanti li hanno votati; altrettanto sacrosante sono alcune idee di cambiamento. Ancor più che sacrosanta la constatazione dell'insipienza di alcuni partiti: da persona che ha sempre votato Pd, o comunque a sinistra, non riesco a capacitarmi di un simile comportamento autodistruttivo. Giusta protesta e giuste rivendicazioni non sono però automaticamente garanzia di buona politica da parte di chi le porta avanti. Non lo sono neppure una straordinaria capacità oratoria (in più Grillo gioca anche sulla definizione «comico»: se esagera, si trattava di una battuta), un'ottima gestione della comunicazione e una spregiudicata strategia (Berlusconi insegna) che, per ragioni che sarebbe bene analizzare, è concentrata soprattutto contro il Pd, già cromosomicamente portato all'autodistruzione, e di conseguenza in favore del Pdl. Vuoi per l'errata identificazione tra protesta e capacità di governare, vuoi per malinteso equivoco sui valori («Eccezionale comunicatore = ottimo politico»), vuoi per la tendenza a una suddivisione manichea tra bene e male (se il Pd si comporta male, il M5S, suo avversario, si comporta automaticamente bene, e quindi si comporta bene anche il Pdl), vuoi per sensi di colpa («Si dichiarano senza macchia, io non me la sento di dire altrettanto di me stesso»), vuoi per qualche forma di imbarazzo cultural- pop (come contraddire Dario Fo e Celentano? Come dare ragione a Ferrara?), vuoi per qualche «non si sa mai, è meglio tenerseli buoni», sta di fatto che quando si comincia un discorso critico sui grillini l'esordio d'obbligo è un timido: «Io non ho nulla contro i grillini, ma…». Io qualcosa contro i grillini ce l'ho. Non con chi li ha votati, magari sperando divenissero un fattivo contraddittorio quale furono a loro tempo i radicali. Ce l'ho con il gruppo dirigente che il MoVimento tende pericolosamente a identificare come «il popolo italiano» e che, «per coerenza» («La coerenza è l'ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione», Oscar Wilde), ha rifiutato di compiere alcune scelte grazie alle quali oggi saremmo in una situazione molto diversa da quella attuale. Credo che occorra segnalare con chiarezza che, al di là dell'abuso del termine «democrazia» da parte di Grillo e dei suoi, il movimento dimostra forti caratteri totalitari (anni fa avremmo detto «profondamente fascisti») che non possono essere liquidati come semplice folklore. Tra i molti esempi rilevati e riportati dai mezzi di comunicazione e che quindi qui non starò a ripetere, si nota come venga accettata, se non favorita, una forma di disprezzo da parte della base nei confronti del professionismo, della cultura e dell'esperienza in favore dell'ignoranza e dell'arroganza: un atteggiamento tipico di tutte le dittature, Khmer Rossi compresi. Sicuramente Casaleggio non è l'esoterista Jörg Lanz von Liebenfall e Grillo non è il suo discepolo Adolf, ma a me disturberebbero anche un Ron Hubbard e Scientology. Il MoVimento deve poter esistere, ma la sua potenziale pericolosità non solo non va sottovalutata, ma dev'essere accuratamente monitorata, adesso che i 5S non detengono ancora «il 100% al Parlamento» come mira a ottenere Grillo (il quale, ricordo, sostiene di non usare mai iperboli). C'è il rischio che tenti di utilizzare la democrazia per distruggere la democrazia. RIPRODUZIONE RISERVATA Alfredo Castelli, sceneggiatore di fumetti, è il creatore del personaggio di Martin Mystère _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 LA SOLITUDINE È UNA COSA MERAVIGLIOSA dal nostro inviato a New York SERENA DANNA «Il numero di single nel mondo cresce proporzionalmente a benessere e diritti Una conquista culturale favorita dalle nuove tecnologie, che educano alla socialità» C i sono parole che assumono un significato positivo o negativo per ragioni esclusivamente culturali. Solitudine è una di queste. Eccezion fatta per artisti e poeti, lo stare da soli è legato — suo malgrado — a contesti di disagio e tristezza. Quando va bene, a una fase di transizione che si risolverà nel tepore della coppia. L'obiettivo di Eric Klinenberg, sociologo della New York University, è riscattare la parola solitudine. Per riuscirci ha trascorso sette anni a studiarne gli attori: i singleton, ovvero le persone che hanno deciso di vivere da sole. Il risultato è Going Solo, libro uscito un anno fa negli Stati Uniti, ma che ancora spunta in molte conversazioni. Klinenberg, nato a Chicago 42 anni fa, è sposato e ha due figli. Lo chiarisce subito. «Non sono né uno psicologo, né un fan del celibato — spiega seduto alla sua scrivania, al 70 di Washington Square — ma uno scienziato sociale convinto che la sociologia abbia trascurato il più grande cambiamento degli ultimi cinquant'anni: l'aumento inarrestabile e globale di persone — single, separate, sposate, divorziate, fidanzate, vedove — che vivono da sole perché lo scelgono». Vuole dire che anche gli studiosi hanno ceduto allo stereotipo del single «per scelta di altri»? «Per pura pigrizia intellettuale abbiamo legato l'aumento dei single al declino della comunità e dei valori familiari, scoprendo infine che la verità è un'altra: la quantità di appartamenti "per uno" è un simbolo di quanto siamo connessi e interdipendenti. Una condizione che favorisce l'indipendenza individuale». Secondo lei è merito soprattutto della tecnologia e dei social network. «La tecnologia è uno dei motori del cambiamento in atto: telefono, radio, televisione, fax hanno portato gli altri in casa. Una nuova dimensione esplosa con internet e con i new media, che ci permettono di partecipare, da casa come dall'autobus, a un numero svariato di attività sociali. Una socialità diversa da quella del passato, ma non per questo più debole. Abbiamo sviluppato un rapporto emotivo con i nostri device perché sono il nostro tramite con gli altri». Eppure la sociologa Sherry Turkle definisce gli uomini connessi tramite la tecnologia «insieme, ma soli». «Non sono d'accordo. I social media stanno facilitando le relazioni tra gli individui. Li usano abilmente quelli che amano di più interagire con gli altri. Intellettuali come Turkle pensano che trascorrere molto tempo al pc isoli dal mondo, per me è vero l'opposto: i disconnessi sono i veri isolati». Klinenberg, lei sostiene che i new media abbiano avuto anche il merito di annullare le differenze di genere: può spiegarci in che modo? «Le donne si sono sempre distinte per una maggiore dimestichezza nello stare da sole. Per noi era molto più difficile, soprattutto dopo un divorzio o una separazione importante. Ma i giovani uomini cresciuti nel web 2.0 hanno migliorato le loro abilità sociali, non si lasciano più trascinare dalle compagne: sono protagonisti della socialità. E forti nella loro indipendenza. Purtroppo la retorica del "si stava meglio prima" è dura a morire: abbiamo un'attrazione profonda per gli argomenti a favore di un passato segnato da un forte senso di comunità e un presente disgregato. Non nasce oggi: in tutti i secoli la retorica del "si stava meglio prima" è stata capace di attirare attenzione». Com'era «prima»? «Cinquant'anni fa i single venivano visti come malati, nevrotici o immorali. Non è più così, anche se gli uomini e le donne tra i trenta e i quaranta senza partner vengono spesso letti attraverso la lente del "se è single deve avere qualcosa che non va". Siamo solo all'inizio di una battaglia culturale. Ma è importante partire dal presupposto che c'è differenza tra la solitudine e il vivere da soli. La frase più ripetuta dai miei intervistati in Going Solo è "nulla fa sentire soli come stare in una relazione sbagliata". Quella è la vera solitudine». Descrive un fenomeno che non è solo americano. A Parigi e Stoccolma i non sposati superano il 50 per cento della popolazione, in Italia le famiglie costituite da una persona sfiorano un terzo del totale. Anche in India, Brasile e Cina la crescita di single è proporzionale a quella economica. Essere soli è indice di benessere? «Laddove c'è, o comincia a esserci, benessere, welfare e le donne sono libere, le persone vivono da sole. Solo un collasso economico potrebbe portarci a ricominciare a vivere insieme» La crisi economico-finanziaria ha ridimensionato il fenomeno? «Solo in parte. La tendenza resta la stessa: a New York, come in tante città occidentali, il business, dal turismo al cibo fino al mercato immobiliare, cresce sui single. Nessuno ha mai "corteggiato" le donne nubili come Barack Obama e Mitt Romney alle ultime elezioni politiche: i politici hanno capito che sono una risorsa economica e culturale unica per gli Stati Uniti. La popolare serie televisiva Mad Men ci ha ricordato quanto fosse frustrante, ma allo stesso tempo "normale", essere infelici in famiglia, nel matrimonio, negli anni Sessanta». «Sex and The City», serie televisiva cult andata in onda per la prima volta alla fine degli anni Novanta, rappresenta il ritratto patinato delle single americane; mentre la recente «Girls», alla sua seconda stagione sul canale Hbo, sembra il prodotto tv perfetto della crisi economica. «Girls è la versione matura di Sex and The City e segna proprio il passaggio di consapevolezza di cui parlavamo. Il primo è la storia di quattro over trenta alle prese con sesso e bellezza in una società opulenta e piena di opportunità: vivono in case fantastiche, indossano abiti bellissimi, lottano per trovare un equilibrio tra carriera e hobby. E intanto cercano "Mister Big". Il punto è che alla fine la storia si sbilancia tutta verso la ricerca del partner, fino a toccare la disperazione. Gli spettatori scoprono che, in fondo, l'unica cosa a cui tengono davvero le amiche è la presenza di un uomo. La serie di Lena Dunham sposta la scena da Manhattan a Brooklyn. Le quattro ventenni protagoniste stentano a trovare un lavoro, sono costrette a vivere insieme per mancanza di soldi, non hanno fiducia nel futuro né nell'America, ma solo in loro stesse. Hanno con l'altro sesso un rapporto consapevolmente irrisolto, sono molto lontane dal vedere nella coppia la soluzione dei loro problemi. Sono libere. Anche di stare male». @serena_danna _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 27 apr. ’13 PRIVACY: PER I FURTI D'IDENTITÀ UTENTI SUBITO INFORMATI Privacy. Le regole del Garante in caso di «data breach» IL PROVVEDIMENTO Società telefoniche e internet provider sono obbligati a segnalare all'Autorità e ai clienti le violazioni informatiche Marco Bellinazzo MILANO Società telefoniche e internet provider saranno obbligati ad avvisare il Garante privacy e gli utenti quando i dati personali di questi ultimi relativi alla fornitura di servizi subiranno gravi violazioni a seguito di attacchi informatici o di incidenti, come incendi o altre calamità, che possano comportarne la perdita, la distruzione o la diffusione illegittima. Il Garante per la sicurezza dei dati personali ha reso noto ieri di aver adottato, infatti, un provvedimento generale che fissa, in attuazione della direttiva europea sulla privacy nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva 2009/136/Ce) e del decreto legislativo di recepimento 28 maggio 2012, n. 69, gli adempimenti per i casi in cui si dovessero verificare i cosiddetti data breach. Il provvedimento del 4 aprile 2013, elaborato dopo una consultazione pubblica presso gli operatori, è stato pubblicato ieri nella «Gazzetta Ufficiale» n. 97, chiarisce anzitutto che l'obbligo di comunicare le avvenute infrazioni della privacy, con la violazione di database elettronici o cartacei, ricade esclusivamente su fornitori di servizi telefonici e di accesso a internet. L'obbligo in questione non spetterà, perciò, a siti internet che diffondono contenuti, ai motori di ricerca, agli internet point o alle reti aziendali. Come funzionerà la procedura di allerta? Entro 24 ore dalla scoperta dell'evento, società di telecomunicazioni e internet provider (Isp) dovranno fornire al Garante tutte le indicazioni necessarie a consentire una prima valutazione dell'entità della violazione. Dovranno essere segnalati, per esempio, la tipologia dei dati coinvolti, una descrizione dei sistemi di elaborazione, e tutti i dettagli utili a identificare il luogo dove è avvenuta la violazione (l'Autorità per la protezione dei dati personali ha predisposto un modello di comunicazione ad hoc scaricabile dal proprio sito, www.garanteprivacy.it). Nei casi più gravi di violazione, tuttavia, oltre che l'Authority, le società telefoniche e gli Isp dovranno informare entro tre giorni anche gli utenti coinvolti che dovranno essere messi nelle condizioni di conoscere l'evento e approntare le opportune difese. Nel provvedimento del Garante, in questa prospettiva, vengono fissati alcuni paletti affinchè la comunicazione agli utenti sia efficace. A questi ultimi dovrà essere presentato in modo puntale il grado di pregiudizio che la perdita o la distruzione dei dati può comportare, dal classico furto di identità, a potenziali danni alla reputazione. Dovrà essere precisata l'"attualità" dei dati (chiaramente i dati più recenti possono rivelarsi più interessanti per chi ha realizzato il furto o l'intrusione informatica), la quantità dei dati coinvolti e la loro qualità (dati finanziari, sanitari, giudiziari, eccetera). La comunicazione agli utenti non è dovuta se la società telefonica o l'internet provider dimostrerà di aver utilizzato misure di sicurezza e sistemi di cifratura e di anonimizzazione che rendono inintelligibili i dati (ma il Garante potrà comunque imporla nei casi più clamorosi). Le società telefoniche e gli internet provider dovranno tenere un inventario – costantemente aggiornato – delle violazioni subite, delle circostanze in cui si sono verificate, delle conseguenze che hanno avuto e dei provvedimenti adottati per rimediare alle stesse e per impedirne di analoghe in futuro. Sono previste, infine, sanzioni in caso di inadempienze al regolamento del Garante. In particolare, la mancata o la ritardata comunicazione all'Authority espone le società telefoniche e gli internet provider a una sanzione amministrativa che va da 25mila a 150mila euro. Mentre per l'omessa o la mancata comunicazione agli utenti sono introdotte multe che vanno da 150 a 1.000 euro per ogni società, ente o persona interessata. La mancata tenuta dell'inventario aggiornato che impedisca i controlli periodici del Garante è punita, infine, con la sanzione da 20mila a 120mila euro. @MarcoBellinazzo _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 apr. ’13 FIRMA ELETTRONICA ANCORA LIMITATA Digitalizzazione. Per la versione avanzata le regole tecniche devono essere pubblicate in «Gazzetta» Giusella Finocchiaro La disciplina della firma elettronica avanzata, dopo l'emanazione del Dl 179/2012, si arricchisce di due norme che la rendono più efficace e utilizzabile. Peccato, però, che a oggi si attende ancora l'emanazione delle regole tecniche che potrebbero veramente abilitare il suo ampio ricorso sia a livello di imprese che di cittadini. Le novità normative riguardano: il disconoscimento della firma elettronica avanzata; l'idoneità a integrare il requisito della forma scritta degli atti e dei contratti con questa firmati. Questo il testo dell'articolo 9 del Dl sviluppo bis che modifica l'articolo 21 del Codice dell'amministrazione digitale (Cad), Dlgs 7 marzo 2005, n. 82: - all'articolo 21, comma 2, secondo periodo, dopo le parole «dispositivo di firma» sono inserite le seguenti: «elettronica qualificata o digitale»; - all'articolo 21, comma 2-bis, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli atti di cui all'articolo 1350, primo comma, numero 13, del Codice civile soddisfano comunque il requisito della forma scritta se sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale». La prima novità è che il disconoscimento del documento informatico con firma elettronica avanzata non è più basato sulla prova del mancato utilizzo del dispositivo di firma da parte del titolare del dispositivo e che ora, invece, quel disconoscimento, con relativa inversione dell'onere probatorio, è limitato alla firma elettronica qualificata o digitale. Viene quindi eliminata una rilevante incongruenza prima contenuta nel Codice dell'amministrazione digitale, più volte segnalata, dal momento che la firma elettronica avanzata non richiede necessariamente un dispositivo di firma. Ad esempio, nel caso di firma cosiddetta "grafometrica", cioè della sottoscrizione autografa apposta su tablet informatico con una particolare penna, il dispositivo di firma non esiste, a meno di non voler considerare tale la mano, con evidenti effetti paradossali nell'applicazione della norma previgente. La firma elettronica qualificata e la firma digitale richiedono una necessaria mediazione tecnologica: qualcosa che si sostituisca alla mano per apporre la firma, un "dispositivo" di firma, appunto. Ma la firma grafometrica non richiede alcun dispositivo, essendo in realtà una sottoscrizione autografa e quindi apposta con la mano: dunque il riferimento al dispositivo, semplicemente, in questo caso non ha ragion d'essere. La seconda rilevante novità è costituita da un importante chiarimento interpretativo. Ora non può più esservi alcun dubbio sull'idoneità del documento con firma elettronica avanzata ad integrare il requisito della forma scritta di cui all'articolo 1350, Codice civile. Ciò si applica a tutti gli atti e i contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam cioè per la validità dell'atto o del contratto: ad esempio, contratti bancari, consenso privacy per i dati sensibili. In sintesi, il documento con firma elettronica avanzata integra la forma scritta per tutti gli atti e i contratti, tranne quelli aventi ad oggetto beni immobili. Questo chiarimento è assai opportuno, benché l'interpretazione prevalente fosse già in questo senso, non essendo la norma previgente formulata in modo chiaro. Ciò che ancora manca, come già evidenziato, per la completa definizione del quadro normativo è la pubblicazione delle regole tecniche in materia di firme. La richiesta di una pronta emanazione di tali regole è stata formulata da professionisti, autorità e imprese nel manifesto per l'Italia digitale di cui si è parlato ieri da queste stesse pagine (per il testo si veda - www.ilsole24ore.com). Il testo del decreto, disponibile online nel sito dell'Agenzia digitale per l'Italia, già Digitpa, ha raccolto i pareri previsti dalla normativa e avrebbe potuto essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale fin dal maggio 2012. La pubblicazione del decreto è il tassello che manca perché la firma elettronica avanzata possa avere gli effetti giuridici sopra illustrati, e quindi per sbloccare gli investimenti nei progetti che prevedono l'utilizzo di questa firma in molti settori, ad esempio in ambito bancario, assicurativo e sanitario. ========================================================= _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 apr. ’13 TICKET E 31 MILIARDI DI TAGLI ECCO LE SPINE DI LORENZIN Sanità. Tra i temi scottanti Sud, Regioni commissariate e federalismo LA DIVISIONE DEI FONDI Centrale sarà anche la questione federalista a partire dal primo riparto da 108 miliardi per il 2013 che non è ancora decollato Roberto Turno ROMA L'ultimo allarme non a caso lo hanno lasciato in eredità al futuro ministro della Salute appena due giorni fa: l'impennata dei ticket per altri 2 miliardi che scatterà da gennaio. «Una batosta sociale pesante quanto l'Imu, va abolito», la richiesta in coro di sindacati, Regioni, esperti. E ora Beatrice Lorenzin, neo-ministro a sorpresa della Salute, che di ticket e dintorni probabilmente fino a ieri ne masticava poco, quella grana se la troverà subito sul suo tavolo a Lungotevere Ripa, due piani sopra l'isola Tiberina. Non sarà la sola "grana sanitaria", è chiaro. Ma pesante e da risolvere con urgenza. E che farà ora il ministro: sosterrà la cancellazione dei superticket così come il suo partito, il Pdl, vuol fare con l'Imu? Romana, 42 anni a ottobre, diploma di liceo classico, da 17 anni berlusconiana di ferro, secondo mandato alla Camera, candidata a marzo per il Pdl come governatore del Lazio salvo poi lasciar correre Francesco Storace, Lorenzin è la quinta donna (e la più giovane) ministro della Sanità-Salute, la prima di centrodestra dopo Anselmi, Bindi, Garavaglia e Turco. Impegno da far tremare i polsi a chiunque, anche a chi di cose di sanità ne sa parecchie. Come, a scorrere il curriculum della "Meg Ryan de noantri", così è stata ribattezzata in rete, non sembrerebbe essere il caso di Lorenzin. Che in Parlamento, nella bicamerale, s'è occupata però di federalismo fiscale. «Sa poco di sanità? Meglio così, studia tanto e studierà di più», dice chi la conosce. Piglio decisionista, polemica quel che serve in ripetute comparsate televisive nei salotti dei talk show, ma anche attenta ascoltatrice, Lorenzin sarà anzitutto un ministro politico. Di matrice Pdl, è chiaro, vedremo con quali sfumature: dai temi etici alle differenti derivazioni federaliste, dal sociale al mercato, dall'attenzione per le imprese al rapporto pubblico-privato. Argomenti tutti cari al ministro. I tecnici, insomma, Lorenzin li ascolterà e li "userà". Poi tutto dipenderà dal grado di autonomia che avrà nel Governo e dai lasciapassare del suo partito. E dal grado di ascolto che a sua volta riceverà dal ministero dell'Economia, il dominus che da tempo ormai tiene le briglie al cavallo della spesa sanitaria e di conseguenza delle scelte politiche di salute pubblica in senso stretto. Quanto, e come, le briglie vadano ancora tirate al Servizio sanitario nazionale, sarà infatti la partita che il neo-ministro dovrà affrontare subito. Senza perdere tempo, anche se ancora non ha studiato tutti i dossier. La questione dei superticket all'orizzonte è del resto un esempio delle sfide complicate del Governo "tra diversi" Pd-Pdl-Sc: la strada della franchigia per fasce di reddito ha già spaccato, col Pdl attento a non scaricare nuove stangate sui ceti medi. Ma è la partita finanziaria nel suo complesso che in sanità attende risposte: il macigno dei 31 miliardi di tagli fino al 2015, confezionati da Berlusconi- Tremonti e confermati (con aggiunte) da Monti, come documentato anche dalla Corte dei conti, rischia seriamente di ridurre ancora di più i livelli di assistenza (i Lea) e di mandare a rotoli anche i bilanci delle cosiddette Regioni "virtuose". Sono queste le curve sanitarie pericolose che attendono il Governo e la Lorenzin. A partire dalle scelte nei confronti del Sud e delle "Regioni canaglia" commissariate e sotto piano di rientro. Poi c'è il pacchetto scottante del federalismo, che spacca anche il partito del ministro, con quel gradiente lombardo nel sottofondo che alimenta malumori. Anche in questo caso, Lorenzin dovrà sciogliere in fretta il rebus del primo riparto para-federalista da 108 miliardi per il 2013 che ancora non è andato in porto. Per non dire del «Patto per la salute» con le Regioni mai concluso, cornice indispensabile per qualsiasi progetto di tenuta (e rilancio) del Ssn. Interrogativi che anche la spending review di Enrico Bondi, incompiuta e con tante pecche, ha lasciato in sospeso. Dai posti letto da tagliare negli ospedali al mistero delle cure H24, dai farmaci col nuovo Prontuario alla nuova libera professione dei medici che non decolla. E poi i nuovi Lea: si taglierà ancora? La sfida in sanità sembra impossibile. E l'equazione Imu-ticket, se tagli l'uno togli anche l'altro, irrisolvibile. A meno che la politica non metta le ali. LE PRIORITÀ 1: UN RIORDINO DETTATO DALLA SPENDING Tagli per 31 miliardi fino al 2015 con inasprimento dei ticket per altri 2 miliardi, col risultato di aumentare di quasi il 50% gli attuali incassi per la compartecipazione alla spesa sanitaria. È in questo imbuto dei conti che non tornano e di bilanci che ad asl e ospedali vengono ridotti, che si gioca la tenuta del Ssn. Con enigmi che toccano aspetti cruciali dell'organizzazione della gestione del sistema: la riduzione dei posti letto negli ospedali, le cure territoriali, le nomine, la governance, la libera professione dei medici pubblici 2: PATTO PER LA SALUTE CORNICE NECESSARIA La cornice del «Patto per la salute», che avrebbe dovuto essere stipulato tra Governo e Regioni alla fine del 2012 e che invece a causa dei tagli al Ssn è andato gambe all'aria, è considerata indispensabile per qualsiasi progetto condiviso di tenuta e di rilancio della sanità pubblica. Con temi che si incrociano e che riguardano gli investimenti sempre più al lumicino, il rapporto pubblico-privato. E le questione del personale, dalle carenze nei reparti alla libera professione dei medici fino all'allungamento del blocco dei contratti 3:POLITICHE INDUSTRIALI SOTTO LA LENTE Il decreto sul pagamento dei debiti della Pa ai fornitori, vede non a caso il settore sanitario con 40 miliardi di scoperto al primo posto tra gli enti pubblici inadempienti e con i massimi ritardi nei rimborsi. Ma è l'intera politica, industriale, ma non solo, che riguarda le imprese della filiera della salute un nervo scoperto per la sanità, oltre che per il sistema-Paese nel suo complesso. A partire dalle scelte che riguardano la farmaceutica, con un nuovo Prontuario atteso entro giugno, il ruolo dei farmaci generici e l'apertura di almeno 3mila nuove farmacie _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 LIBERA PROFESSIONE IN OSPEDALE IN CALO PAZIENTI E RICAVI Sono circa 61 mila i medici italiani che visitano in regime di intramoenia (regime privato in ospedali pubblici). Per la precisione 60.800 camici bianchi, pari al 52% dei dirigenti medici con rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale e al 49,1% del totale, con punte che superano il 60% in Piemonte, Liguria e Lazio e, viceversa, toccano valori minimi in Calabria (25%) e nella Provincia di Bolzano (14%). Il ricavo totale della libera professione intramoenia nel 2011 è stato di 1,25 miliardi di euro, in lieve calo (-0,6%) rispetto al 2010. Gli italiani hanno speso in media 20,7 euro a testa (- 1,1% sul 201o) per visite, analisi e prestazioni in intramoenia. È quanto emerge dall'ultima relazione ministeriale sul pianeta intramoenia nel 2011. Il 56% dei dirigenti medici esercita l'intramoenia all'interno degli spazi aziendali, il 26% lo fa al di fuori della struttura e il 18% svolge attività libero professionale sia all'interno che all'esterno delle mura ospedaliere. Mediamente il compenso percepito dal professionista è pari a 17.800 euro l'anno. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 GLI INFERMIERI «SOVRACCARICATI» Luoghi di cura frequentati ogni anno da oltre 10 milioni di pazienti, ma gli ospedali sono anche ambienti di lavoro per circa 400 mila operatori del settore. Nel 2010 sono stati più di 15 mila gli infortuni del personale sanitario denunciati all'Inail, l'Istituto nazionale infortuni sul lavoro. Coinvolti più spesso in incidenti sono gli infermieri (quasi una denuncia su due), seguiti dai portantini e dai medici. Un aiuto per individuare i pericoli cui sono esposti personale, malati e visitatori negli ospedali italiani arriva dalla nuova edizione della guida "La sicurezza in ospedale", curata dalla struttura di consulenza tecnica dell'Inail (Contarp). «Gli ospedali sono luoghi di lavoro particolari e i rischi che si corrono sono molteplici — afferma l'ingegner Clara Resconi, coordinatrice dell'iniziativa —. Sono ambienti affollati e frequentati da pazienti spesso non autonomi, ma possono essere anche edifici vulnerabili dal punto di vista strutturale, impiantistico e in situazioni di emergenza, come in caso di incendio». Nei 10 fascicoli della guida Inail si affrontano tutti i rischi presenti negli ospedali, da quelli di carattere generale (come le barriere architettoniche), ai pericoli che si presentano in situazioni estreme (come in caso di terremoto), a quelli più specifici: legati a radiazioni, apparecchiature elettromedicali, chemioterapici e antiblastici, rifiuti speciali. «Le check list per valutare i rischi - riviste secondo il Testo Unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, e le nuove norme relative ad apparecchiature elettromedicali, impianti elettrici e antincendio - sono uno strumento utile per verificare l'adempimento di leggi e di buone prassi — sottolinea Clara Resconi — . Se gli ospedali sono sicuri lo sono per tutti; in caso contrario, vanno adottate le misure necessarie per risolvere i problemi. Per esempio: letti regolabili in altezza, appostiti sollevatori per spostare i pazienti, sedie a rotelle in numero sufficiente». Proprio la "movimentazione" dei pazienti e dei carichi è, secondo i dati dell'Inail, una delle principali cause di malattie professionali: nel 2010, infatti, quasi la metà delle patologie rilevate — su un totale di 542 — ha riguardato problemi legati ai dischi intervertebrali. M. G. F. _____________________________________________________________ Unione Sarda 27 apr. ’13 AOUSS: L'UNIVERSITÀ REGOLA I CONTI CON I MEDICI Accordo raggiunto per il pagamento delle indennità di posizione e di esclusiva accumulate in dieci anni dal personale medico-docente dell'Università di Sassari. Determinanti due sentenze del Tar che hanno imposto all'amministrazione universitaria il pagamento di oltre 4 milioni di arretrati per il periodo marzo 2001-aprile 2012. La Regione erogherà le somme alla Asl e all'Aou. La prima dovrà pagare oltre 1 milione 874 euro, la seconda 2 milioni 260 mila per un totale, quindi, di oltre 4 milioni. «Nessuno ha intenzione di impugnare le sentenze del Tar - ha detto il rettore Attilio Mastino in conferenza stampa - e quanto dovuto sarà pagato. È una situazione che abbiamo ereditato dal precedente mandato. L'Aou è nata infatti nel luglio del 2007 e fino a quella data il personale medico-docente rispondeva direttamente alla Asl e al Sistema sanitario regionale. Pertanto, ha concluso Mastino, dovrebbero essere loro a dover onorare il debito pregresso e non l'Ateneo». A sbloccare la questione è stata una lettera inviata dal rettore al presidente della commissione Bilancio della Regione , Pietrino Fois, in cui ha sottolineato l'impossibilità per il bilancio dell'Università di sopportare un onere così gravoso per conto del Servizio sanitario regionale. Da giugno al personale interessato verranno pagati gli arretrati di quest'anno e poi mano a mano si procederà a ritroso. A beneficiarne saranno non solo i medici-docenti ma anche il personale tecnico. Contenzioso aperto invece per quasi 50 persone, in attesa del Tar. (g.b.p.) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 27 apr. ’13 AOUSS: DALLA REGIONE LE INDENNITÀ PER I MEDICI L’Università salvata dalla commissione Bilancio che ha previsto 4 milioni e 135mila euro per pagare gli arretrati di Gabriella Grimaldi wSASSARI La Regione corre in aiuto dell’Università e approva il bilancio senza gravarlo di un peso che avrebbe potuto affossare i conti dell’ateneo. Si tratta di 4 milioni e 135mila euro che il Tar Sardegna ha stabilito dovessero essere sborsati dall’Univeristà per coprire le indennità dei medici. «La svolta alcuni giorni fa quando – ha riferito ieri il rettore Attilio Mastino – in sede di commissione regionale Bilancio il presidente Pietrino Fois mi ha dato notizia di essere riuscito a inserire nella bozza del bilancio il capitolo relativo alle somme per le indennità dovute giustamente al personale che ne ha diritto per legge». La Regione ha così “coperto” una parte degli arretrati che però hanno una storia ben più lunga. La sentenza del Tar infatti, è la conclusione di un iter giudiziario cominciato nel 2008 con la condanna dell’Università in primo grado. Il ricorso era stato presentato da circa un centinaio di medici per vedere applicata a loro favore la legge 517 del 1999 sulle indennità per l’attività assistenziale svolta dal personale dipendente dell’università in forza, a Sassari, nelle cliniche di viale San Pietro. Quelle indennità non erano mai state corrisposte e adesso i giudici hanno disposto che a pagare dovesse essere l’università. L’ateneo però ha precisato già dall’inizio che quelle somme erano di competenza della Asl dal 2001 al 2007 e dell’Azienda ospedaliero universitaria dal momento della sua nascita (nel 2007 appunto) a oggi. Infatti con l’Aou di recente è stato firmato un protocollo secondo il quale l’azienda si è impegnata a corrispondere le indennità dal 2011 a oggi e per il futuro. Infatti è di pochi giorni fa la comunicazione da parte del direttore generale Alessandro Cattani che le indennità dal 1° gennaio 2013 saranno corrisposte con lo stipendio di giugno. Di seguito saranno saldati gli arretrati. Restano però a carico della Regione la maggior parte dei debiti nei confronti del personale e il rettore non nasconde la preoccupazione per una nuova ondata di ricorsi che dovrebbe arrivare prima dell’estate e che riguarda le richieste di altri medici beneficiari delle indennità in base alla legge 517. L’operazione costerà, alla fine, altri quattro milioni di euro per i quali l’Università dovrà cominciare una nuova trattativa con la Regione. «Non subiremo passivamente aggressioni così pesanti al bilancio – ha proseguito il rettore –. Non dobbiamo dimenticare che in seguito ai tagli statali il fondo di funzionamento è passato da 82 milioni di euro a 62 milioni. Inoltre in questa vicenda ognuno si deve prendere le proprie responsabilità». L’ateneo infatti ritiene che le somme debbano essere erogate dalla Asl e dall’Aou. Ci sono tra l’altro in campo anche le richieste di un centinaio di tecnici amministrativi che svolgono attività assistenziale, stipendiati dall’università, che «spesso non hanno avuto accesso a inquadramenti, indennità e progressioni di carriera». All’incontro di ieri convocato per illustrare le novità sul caso, erano presenti anche i rappresentanti sindacali delle categorie interessate, il direttore amministrativo Guido Croci, il prorettore per la sanità Maristella Mura e l’avvocato dell’ufficio legale dell’università Rosanna Ruiu. _____________________________________________________________ Italia Oggi 26 apr. ’13 SANITÀ, CALA IL FABBISOGNO DI OPERATORI DI GIOVANNI GALLI Si riduce il fabbisogno di professionalità sanitarie. Le regioni e le categorie hanno formulato al ministero della salute le loro stime per la programmazione dei posti nei corsi di laurea per l'anno accademico 2013/2014. La proposta delle regioni è di 31.863 posti, 3.841 posti in meno rispetto ai 35.704 dello scorso anno (-10,8%), quella delle categorie è di 33.638, con 1.091 in meno rispetto ai 34.729 dello scorso anno (-3,1%). A determinare la riduzione delle regioni contribuisce quella della Sicilia che ha ridotto la stima dai 5.470 dello scorso anno agli attuali 2.000 (-67% ), soprattutto su infermiere da 4.700 a 1.500 (- 74%). Restano tuttavia alcuni casi di esubero di alcune altre regioni rispetto alla richiesta inferiore di alcune categorie per un totale di 1.800 posti su sei professioni, le stesse dello scorso anno: tecnico di radiologia (+67%) da 821 della categoria a 1.369 delle regioni; tecnico di laboratorio (+61%) da 766 a 1.232; tecnico prevenzione (+51%) da 615 a 928; ostetrica (+15%) da 944 a 1.83, tecnico ortopedico (+51%) da 124 a 187; tecnico neurofisiopatologia (+19%) da 110 a 131. _____________________________________________________________ Unione Sarda 25 apr. ’13 COME CATTURARE I SOGNI LA SCIENZA CI RIPROVA: «Sulla strada giusta» Non è certo la prima volta che si pensa a un modo per “catturare” i sogni. Ma stavolta gli scienziati sembrano far sul serio. La rivista “Science” riferisce che un gruppo di ricercatori di Tokyo ha messo a punto un sistema in grado di decifrare i sogni a partire da un codice. Tre volontari sono stati svegliati durante le prime fasi del sonno e sulla base dei loro racconti è nato un database (un catalogo, se preferite) delle corrispondenze fra sogni e schemi dell'attività cerebrale. Su questa base i ricercatori ora si dicono in grado di “indovinare” - al 60 per cento, una percentuale troppo alta per essere casuale - il contenuto dei sogni basandosi su certe risonanze magnetiche. In estrema sintesi questi i fatti. Altri scienziati (tedeschi e statunitensi) confermano e tutti precisano che la strada è giusta ma la meta lontana. Ovviamente “catturare” segnali, sogni in questo caso, è un conto e interpretarli correttamente un altro. Ma ancor prima il dubbio è se quegli schemi analizzati possano essere applicati ad altre persone. Se le impronte digitali sono quasi tutte diverse perché dovrebbero somigliarsi quelle mentali? Ma ovviamente questi sono problemi tecnici. La domanda centrale è: a cosa può servire leggere i sogni? Forse ad aiutare persone che non sono più in grado di comunicare. Probabilmente a capire cosa produce i sogni, quali bisogni e meccanismi (simili in ogni persona?) li costruiscano e come. Oppure, in un futuro più lontano, ci si può porre l'obiettivo di eliminare certi sogni e potenziarne altri. O magari di spiare il nostro inconscio visto che il conscio è già del tutto privato della privacy. Come spesso accade scienza e fantascienza si intrecciano. Negli ultimi anni molti film ci hanno mostrato macchine in grado di “acchiappare” e riprodurre i sogni che una persona sta vivendo: da “Brainstorm” al più famoso “Matrix”, da “Strange Days” a “Inception”. Il dispositivo Matrix crea un mondo-sogno dove i protagonisti vivono una vita fittizia e una morte reale. Le “scatole oniriche” sono al centro del romanzo “Dreambox” di Nicoletta Vallorani mentre Robert Sheckley racconta - nel “Magazzino dei mondi” - di un negozietto dove si possono comprare sogni: orribili in apparenza ma il finale riserva una tremenda sorpresa perché il mondo reale del sognatore è post-guerra atomica e dunque qualsiasi incubo è preferibile. Nella fantascienza i sognatori più famosi restano probabilmente quelli di Ursula Le Guin nel romanzo “Il mondo della foresta”: ogni giorno quel popolo si riunisce per scegliere, attraverso il sogno più bello, il cammino della comunità. Ben prima della fantascienza e persino della scienza (come oggi la intendiamo) fu il filosofo cinese Chuang-Tzu a porre il problema più inquietante rispetto al sognare. Un apologo famoso che poi ispirò anche “I fiori blu”, bellissimo romanzo del francese Raymond Queneau. Intorno al 300 avanti Cristo Chuang-Tzu sognò di essere una farfalla. Al risveglio si chiese se era lui che aveva appena finito di sognare di essere una farfalla o se la farfalla stava sognando di essere Chuang-Tzu. Lui non volle e non seppe rispondere; la verità della farfalla non fu rintracciata. Daniele Barbieri _____________________________________________________________ Unione Sarda 24 apr. ’13 LA SANITÀ SARDA ORA È A PORTATA DI MOUSE Al via la rivoluzione digitale col fascicolo elettronico: online per i medici la storia clinica dei pazienti Sono già 750 i medici e i pediatri che con un semplice clic sul web possono accedere al fascicolo sanitario elettronico, che racchiude i documenti sulla storia clinica dei pazienti, dai certificati ai referti medici. La Sardegna è la seconda Regione italiana, dopo la Lombardia, ad avere scommesso nel processo della rivoluzione digitale della sanità, che dovrebbe essere completato entro la fine dell'anno. L'iniziativa coinvolgerà tutti i sardi e circa 40 mila operatori tra medici di base, specialisti, pediatri, farmacisti, personale sanitario degli ospedali e delle Asl. Per accedere al portale istituzionale Sardegna Salute è necessaria la tessera sanitaria con microchip e un pin che dovrà essere richiesto alla Asl di appartenenza. LA FINALITÀ Gli obiettivi primari, come è stato spiegato ieri durante una conferenza-dibattito che si è tenuta a Cagliari, sono quelli di riuscire a ottimizzare le risorse, ridurre la spese e abbattere i tempi legati alla burocrazia. All'incontro sono intervenuti, tra gli altri, anche il presidente della Regione Ugo Cappellacci e l'assessore regionale alla Sanità Simona De Francisci. «Si tratta di un sistema», ha sottolineato Cappellacci «che permetterà un risparmio per i sardi. Per esempio, un cittadino che vive in Ogliastra e fa riferimento a un servizio sanitario a Cagliari, anziché spostarsi e perdere ore di lavoro, potrà consultare la prescrizione o il referto online. Ad oggi, i medici e i pediatri già operativi che usano questo sistema sono 750. Contiamo entro quest'anno di estenderlo a tutti. Sarà poi necessario qualche mese per abituare le persone a utilizzare il nuovo servizio. Alla base di questa rivoluzione digitale ce n'è una culturale». L'ASSESSORE De Francisci ha precisato che quello sul fascicolo elettronico è un importante progetto che si aggiunge agli altri che sono stati già realizzati, come il pagamento del ticket negli uffici postali, la possibilità di contattare il numero 1533 per prenotare o disdire delle visite tramite il Cup regionale, di scegliere o revocare online il medico di base. «Il fascicolo sanitario», ha aggiunto l'assessore, «rappresenta un altro tassello importante legato ai sistemi informativi generali Sisar. Qualche giorno fa, dalla Corte dei Conti è stato sottolineato che i risultati importanti ottenuti sul fronte del risparmio in alcuni ospedali sono stati raggiunti anche grazie al miglioramento degli applicativi del Sistema informativo integrato sanitario regionale. L'informatizzazione è uno strumento che contribuisce a sostenere le necessità di una sanità sempre più moderna. I medici non saranno lasciati soli in questo percorso. Verrà fatta assistenza e formazione anche a loro». GLI INTERVENTI Franca Pretta, segretario regionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva ha espresso alcuni dubbi sulla riservatezza delle informazioni e «all'eventuale difficoltà di utilizzo del sistema da parte di quei cittadini che non hanno dimestichezza con pc e web». Pazienti e medici potranno usufruire dei servizi sanitari online e consultare la documentazione clinica nel rispetto della privacy. Marcello Barone, ad di Sardegna It, ha chiarito che «la documentazione potrà essere consultata in massima sicurezza. L'integrazione definitiva dei medici sarà completata entro giugno, mentre quella di farmacisti e specialisti dovrebbe concludersi a settembre». Eleonora Bullegas _____________________________________________________________ Unione Sarda 23 apr. ’13 ASL E UNIVERSITÀ PIÙ SANI CON LA PREVENZIONE L'assessore De Francisci presenta il piano di interventi con Obiettivo: diffondere lo screening di massa anti-tumori La prevenzione prima di tutto. E a tutto campo: dagli incidenti (domestici, sulle strade, nei cantieri edili e in agricoltura) allo screening dei tumori, che ancora non fa breccia come dovrebbe nell'interesse dei sardi. Screening (colon retto, mammella e cervice uterina) su cui la Regione ha confermato in Finanziaria un milione di euro, come ha annunciato ieri l'assessore Simona De Francisci nel presentare i risultati del piano di prevenzione sanitaria, prorogato dal ministero della Salute al 2013 in modo da gettare le basi delle azioni per il quinquennio 2014-2018. I PROGETTI Sono 18 i programmi su cui hanno lavorato Regione, Asl e Aziende ospedaliero-universitarie, tutti approvati dal ministero. Vari i fronti, da quello sanitario in senso stretto (gli screening, appunto) a quello della sana alimentazione e del corretto stile di vita (“Movimento è vita”), dalla lotta al diabete alla sicurezza stradale (“Sicurvia”) fino ad arrivare alle misure per combattere gli incidenti domestici e sul lavoro (in edilizia e in agricoltura). GLI INCIDENTI Specifiche azioni sono state messe in campo contro gli incidenti domestici, come la rete informativa regionale in sei ospedali, e contro quelli sul lavoro: in quest'ultimo caso il trend degli infortuni in edilizia si conferma in calo, mentre in agricoltura si registra una crescita. Proprio nella strada per la riduzione dei rischi, l'assessore De Francisci ha ricordato il recente accordo con l'Inail per la prevenzione degli incidenti nelle campagne, ribadendo che «la Regione è impegnata a contrastare il fenomeno degli infortuni con nuovi dispositivi nei mezzi agricoli, grazie all'adozione di cinture di sicurezza nei trattori e telai di protezione più efficaci». GLI INCIDENTI Non sono state rese note le cifre, ma secondo gli esperti della Regione, a cominciare da Natalina Loi, sarebbero diminuiti gli incidenti nei cantieri edili grazie ai progetti di sicurezza messi in atto anche alla luce delle 1.451 ispezioni annuali. Nelle aziende agricole, invece, sarebbero aumentati. Nel 2011 sono state ispezionate 241 aziende, 472 nel 2012. Maria Letizia Senis ha invece parlato degli incidenti, stradali e domestici: «In Italia muoiono di incidenti stradali 19 persone al giorno. Ma, nell'Isola, preoccupa l'indice di incidentalità: 2,64 contro l'1,88 a livello nazionale. E la colpa non è soltanto della guida in stato di ebbrezza: c'è la situazione delle strade da tenere in considerazione. Per questo ci proponiamo di effettuare uno studio sulla geografia della viabilità sarda». Se gli incidenti stradali colpiscono maggiormente la fascia di età tra i 18 e i 29 anni, quella degli incidenti domestici, causa di morte di 22 italiani al giorno, si abbatte sui bambini (0-4 anni) e sugli over 60, perché per un motivo o per un altro il 90 per cento delle case non risponde ai canoni di sicurezza. POCA ATTENZIONE PER LO SCREENING Tornando allo screening tumorale va detto che da parte dei sardi c'è ancora poca attenzione: benché negli ultimi anni i dati siano migliorati, le adesioni agli inviti per gli screening non superano il 50 per cento e, nel caso del tumore del colon, si fermano poco sopra il 30. «Si tratta di un problema culturale, ma c'è ancora qualche passo da fare sull'organizzazione nelle varie Asl», fanno sapere dall'assessorato alla Sanità: «Alcune di queste hanno ripreso gli screening solo a fine 2012». L'adesione alle campagne informative negli ultimi anni è comunque cresciuta (con lo screening per il tumore alla mammella si è raggiunto il 60 per cento del target, il 58 per cento per quello al colon retto e il 63 per lo screening alla cervice uterina), ma il percorso per far comprendere l'importanza della prevenzione è ancora lungo specie in alcuni territori. Quando la prevenzione viene recepita dai sardi, come nel caso degli scompensi cardiaci, il modello funziona e dal 2005 al 2010 si è assistito a una riduzione del 4,9 per cento dei ricoveri e a un risparmio di oltre 1,7 milioni di euro. E ora si punta sullo screening dei tumori polmonari. RIVOLUZIONE DIGITALE Intanto oggi alle 11 al THotel il governatore Ugo Cappellacci e l'assessore De Francisci presentano il Fascicolo sanitario elettronico, che racchiude l'insieme dei documenti informatici sanitari del cittadino ricavati dai suoi contatti con i diversi attori del Sistema sanitario nazionale. Con un semplice clic su un pc, un tablet, un Iphone, i sardi potranno consultare la loro storia sanitaria, conoscere l'esito di esami clinici o di laboratorio, nonché le prescrizioni del proprio medico. Lorenzo Piras _____________________________________________________________ Il Giornale 28 apr. ’13 SAN RAFFAELE, CONGELATI I CORSI POST LAUREA PER I MEDICI Uno dei nodi «lombardi» che il neo ministro all'Istruzione Maria Chiara Carrozza si troverà ad affrontare riguarda il San Raffaele. O meglio, l'Università Vita e Salute, dove sono appena stati «congelati» i corsi post laurea per gli specializzandi. Il Miur ha pubblicato il decreto annuale con cui a ogni ospedale universitario viene assegnato il numero dei contratti di specializzazione da attivare l' autunno successivo. Numero che, per l'ateneo di via Olgettina, stavolta è pari a zero. Il preside della facoltà di Medicina, Massimo Clementi, spiega che i corsi «saranno accorpati alla Statale e alla Bicocca». L' azzeramento è il risultato della decisione, presa a dicembre dal nuovo patron del San Raffaele Giuseppe Rotelli, di non voler rinnovare la convenzione (che scade a febbraio 2014) con l'università. Un divorzio in casa, insomma, tra ospedale e Fatene o caro a DonVerzé e ancora oggi i mano alle Sigilline sue fedeli. La tensione è salita alle stelle quando presidente del cda dell'ateneo è stata nominata la sigilla Raffaella Voltolini e la frattura non è s tata rip arata. Fino ad arrivare alla cancellazione dei corsi per gli specializzandi. Il divorzio non è mai piaciuto nemmeno gli studenti che nelle scorse settimane hanno occupato il rettorato per chiedere di non perdere la convenzione con il S an Raffaele. Il nodo dei corsi post laurea sarà affrontato lunedì in una riunione convocata dal rettore con tutti i docenti dell'università. Lunedì sarà una giornata cruciale anche per il futuro dei lavoratori a rischio licenziamento in ospedale: riapre infatti il tavolo in Regione sul caso _____________________________________________________________ Repubblica 28 apr. ’13 VITA. SALUTE, DOCENTI ALL'ATTACCO "L'UNIVERSITÀ VA COMMISSARIATI" Appello al neoministro Carrozza: via il cda, danni alla ricerca La faida tra la proprietà (Rotelli) e l'associazione Monte Tabor paralizza progetti di ricerca e convenzioni internazionali San Raffaele, e, a eneo in agonia I docenti scrivono al ministro: "L università va commissariata" COMMISSARIAMENTO dell'università Vita-Salute e azzeramento del cda: i docenti della facoltà di Medicina del San Raffaele passano all'attacco e, primo fra tutti il preside Massimo Clementi, rivolgono un appello al neoministro Maria Chiara Carrozza. La situazione è precipitata con la decisione del Ministero di non attivare specializzazioni per il prossimo anno, visto lo scontro tra l'associazione Monte Tabor, che dirige Vita- Salute, e il Gruppo San Donato nuovo proprietario del San Raffaele. A RICHIESTA, adesso, è di un'azione radicale: «Vogliamo che tra i primi punti all'ordine del giorno del nuovo ministro Maria Chiara Carrozza vi sia la questione del San Raffaele. E il commissariamento dell'università Vita-Salute». A dirlo è Massimo Clementi, preside di Medicina, che domani ha convocato una riunione straordinaria di tutti i professori della facoltà per stendere un appello da inviare a viale Trastevere. «Chiederemo che il consiglio d'amministrazione sia azzerato e che l' ateneo venga commissariato — spiega Clementi — Deve essere nominato non un mediatore, ma unvero e proprio commissario ad acta che abbia i pieni poteri per risolvere la situazione, siglando una nuova convenzione con l'ospedale e ponendo fine a questa situazione». Ovvero la faida tra la proprietà della struttura (acqui- stata nel gennaio 2012 dal Gruppo San Donato per 405 milioni di euro) e l'associazione Monte Tabor, che ha ancora in mano la governance dell'ateneo e si rifiuta di scendere a patti con l'ospedale. La diatrib a è legata all'impossibilità della proprietà del San Raffaele di avere rappresentanti nel cda dell'università (che, indirettamente, decide anche delle sorti dell'ospedale), controllato dalle eredi di don Verzè, le " sigille" Raffaella Voltolini e Gianna Zoppei. Una querelle che adesso mette a rischio il funzionamento stesso dell'ateneo, visto l'azzeramento dei contratti di specializzazione per il prossimo anno deciso dal Ministero e le incertezze sulle immatricolazioni ai corsi di laurea di Medicina, a rischio scomparsa se entro giugno università e ospedale non si dovessero accordare. Non solo: in pericolo ci sarebbero anche programmi di ricerca e collab orazioni con altre università, a partire da due progetti quadro — che prevedevano scambi di studenti, ricercatori e docenti— che avrebb ero unito il SanRaffaele all'Università cattolica diLovanio e a quella di Pittsburgh. «La convenzione coni' ateneo americano era a buon punto ed era già stata siglata una bozza di accordo — spiega Claudio Bordignon, direttore della scuola di specializzazione in Ematologia — Adesso però è tutto bloccato, come per le scuole di specialità: un patrimonio formativo importantissimo che è urgente salvaguardare». Al momento conciliare le posizioni dell'ospedale e quelle del- l' associazione Monte Tab or sembra difficile: il braccio di ferro è iniziato lo scorso autunno con la nomina di Voltolini a presidente del cda, ed è poi proseguito con 1' annuncio a dicembre diGiuseppe Rotelli di non voler rinnovare più la convenzione con Vita-Salute (scade a febbraio 2014) per fondare un nuovo ateneo. Un'impasse che rischia di travol- gere non solo Medicina: «Al centro del progetto culturale del San Raffaele c' è la persona umana nel suo complesso —ricorda Michele DiFrancesco, preside diFiloso- fia — Le tre facoltà di Medicina, Filosofia e Psicologia non sono giustapposte, ma integrate tra loro: è indispensabile che la situazione si risolva». Insieme con Cle- menti, Di Francesco era stato scelto dal Senato accademico per sedere nel cda dell'università. Un ruolo dal quale ha fatto un passo indietro a febbraio, dopo la decisione delle Sigille di non accettare la proposta del ministro di insediare un nuovo consiglio con 4 membri per l'ospedale, 4 per il Monte Tabor e un mediatore. «Io spero ancora in una soluzione— dice Di Francesco — Rompere con l' ospedale significa mettere a repentaglio un patrimonio inestimabile». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 26 apr. ’13 GOLFO NUOVO HUB DELLA SANITÀ A DUBAI Mercati arabi. Dubai e Arabia Saudita hanno ambiziosi piani di sviluppo di centri ospedalieri di eccellenza Mondo & Mercati Obiettivo: migliorare i servizi ed entrare nel business del turismo medico LE PROSPETTIVE Secondo stime di Alpen Capital il mercato dei servizi sanitari della regione salirà a 36 miliardi di dollari quest'anno e a 45 nel 2015 Massimo Di Nola Certificato medico in mano, si affollano ogni mattina davanti agli sportelli dell'ufficio consolare dell'ambasciata tedesca, trascinando le loro lunghe tuniche bianche: sono i ricchi cittadini di Abu Dhabi alla ricerca di un visto per andare a farsi curare in Germania. E non è solo Abu Dhabi: in tutti gli Stati del Golfo l'offerta di servizi sanitari resta largamente al di sotto della media mondiale. E infatti questi Paesi sono tuttora una delle principali aree di reclutamento dell'attività comunemente definita come "medical tourism". Un business che secondo valutazioni di McKinsey vale oggi 100 miliardi di dollari all'anno. Si calcola che i soli cittadini degli Emirati Arabi Uniti spendano più di 2 miliardi all'anno per farsi curare all'estero. Oltre alla Germania, i Paesi di accoglienza sono Regno Unito, Thailandia (circa 70mila pazienti all'anno), Singapore, Malaysia, eccetera. Ma i flussi possono cambiare di segno soprattutto quando abbondano i capitali per investire. Ed è esattamente questo lo scenario che si sta preparando. Come sempre, Dubai sta aprendo la strada. Il modello è quello della Dubai Healthcare City, dove sono insediati due ospedali modernissimi, certificati dalla Joint Commission Internazionale e super- attrezzati. Un piano pluriennale avviato lo scorso anno prevede ora la costruzione di 14 nuove strutture ospedaliere in diverse parti dell'Emirato, nonché la realizzazione di 6 nuovi centri di riabilitazione. L'obiettivo non è solo di coprire una domanda di servizi insoddisfatta ma di sviluppare una nuova area di business. Trasformando Dubai in un polo sanitario per pazienti provenienti dal Medio Oriente e anche da altre aree del mondo. In una direzione in parte analoga si sta muovendo con determinazione l'Arabia Saudita, il Paese più popoloso della Regione del Golfo e quello con il piano di investimenti più massicci nella sanità orientato soprattutto al fabbisogno interno ma con una finestra aperta per gli oltre 7 milioni di pellegrini in visita, ogni anno, a Medina e alla Mecca. Obiettivo dichiarato del Governo saudita: raddoppiare il numero dei letti in sette anni e aprire 420 ambulatori e almeno 12 ospedali. Non è solo un problema di numeri: c'è anche un obiettivo di qualità. Il programma prevede infatti la realizzazione di due grandi poli sanitari "di eccellenza" (Medical Cities) a Riad e Jeddah e uno su scala più ridotta a Medina, con annesse cliniche, istituti universitari, centri di ricerca, per una spesa complessiva di circa 6,7 miliardi di dollari. Sommando le diverse iniziative, si arriva a stanziamenti previsti per oltre 18 miliardi di dollari. Anche in Kuwait il settore è in forte rilancio. Sono infatti almeno otto i nuovi ospedali pubblici per 3.500 letti che dovrebbero essere costruiti nei prossimi anni, a cui si aggiunge l'ampliamento e la modernizzazione di altre strutture esistenti. Ma lo scenario è in movimento dovunque. In Oman il Governo ha coinvolto Apex Medical Group Usa per progettare una Medical City con ospedale specializzato in trapianti. Ad Abu Dhabi il gruppo statunitense Cleveland Clinic in collaborazione con Mubadala Development ha avviato il progetto di un grande ospedale localizzato sull'Isola di Al Maryah. Il Bahrein ha annunciato la costruzione di due nuovi centri ospedalieri di cui uno per la cura dei tumori e persino il minuscolo emirato di Sharjah's ha annunciato la sua Medical City, con tanto di legislazione e incentivi per favorire gli investimenti. Tutti spingono infatti per attrarre capitali privati: il Governo saudita con prestiti agevolati, Bahrein e Qatar con la formula di un minimo garantito espresso in termini di numero di pazienti giorno. E gli investitori interessati ad affiancarsi alle strutture pubbliche che tuttora coprono il 70% del settore ospedaliero nell'area del Golfo non mancano. Anche perché ormai in quasi tutti i Paesi sta entrando in vigore un regime di assicurazione sanitaria obbligatoria per chi lavora: cittadini locali e residenti stranieri (che in molti Emirati sono la maggior parte delle popolazione). E infatti, nel settore, si stanno muovendo anche gruppi assicurativi come Kuwait Health Assurance (Khac) con un piano pluriennale per l'apertura di 15 ambulatori e tre ospedali . Secondo valutazioni di Alpen Capital, il mercato dei servizi sanitari nell'insieme del Golfo dovrebbe raggiungere quest'anno i 36 miliardi di dollari e salire a 45 entro il 2015. Era di 26 miliardi nel 2010. In particolare nei due Paesi più importanti (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) il tasso di crescita annuo sarà superiore al 12 per cento. © RIPRODUZIONE RISERVATA L'ATTRATTIVITÀ DEL MERCATO Un piano pluriennale avviato lo scorso anno da Dubai prevede la costruzione di 14 nuove strutture ospedaliere, nonché la realizzazione di sei nuovi centri di riabilitazione EMIRATI 800 Fame di tecnologia medica L'import in milioni $ di attrezzature ospedaliere ad Abu Dhabi nel 2014 Il Governo saudita si è posto l'obiettivo di raddoppiare il numero dei letti in sette anni e aprire 420 ambulatori e almeno 12 ospedali. Si punta anche a mettere in rete tutte le strutture. ARABIA SAUDITA 18 Obiettivo 2020 È la cifra in miliardi di dollari che il Governo intende investire in 7 anni _____________________________________________________________ Unione Sarda 23 apr. ’13 LINFOMI HODGKIN IN AUMENTO LE GUARIGIONI A leggere le cifre c'è da stupirsi. Ogni anno in Italia si fanno circa 40.000 nuove diagnosi di tumori del sangue, come leucemie o linfomi. E proprio per questi ultimi, pur nella complessità di quadri molto diversi tra loro, negli ultimi tempi gli sviluppi delle cure sono stati davvero soddisfacenti. Rispetto a 15 anni fa l'aspettativa di vita per i malati si è quadruplicata e, per alcune patologie, si è addirittura giunti alla guarigione. Un esempio? Oggi per il linfoma di Hodgkin, che rappresenta il 30-40 per cento di tutti i linfomi e si manifesta soprattutto nei giovani e negli over-70, si arriva alla guarigione in almeno tre malati su quattro. Più diffusi sono invece i linfomi non-Hodgkin che compaiono mediamente intorno ai 65 anni. Possono essere più aggressivi oppure indolenti: in questo caso spesso non danno alcun sintomo inizialmente, ma si mantengono nel tempo nonostante le cure. «Nei linfomi non - Hodgkin aggressivi si attiva a guarire circa il 40 per cento dei pazienti, utilizzano la chemioterapia associata ad un anticorpo chiamato rituximab che attacca solamente le cellule malate», spiega Pier Luigi Zinzani, docente di ematologia all'Università di Bologna. «Nei casi che non rispondono a questo approccio si possono fare ovviamente altre cure. Va ricordato però che anche nei pazienti molto anziani, cioè con più di 80 anni, oggi le cure possono risultare efficaci, a patto che si faccia attenzione alla tossicità legata ai farmaci. In questi pazienti, sempre in associazione a rituximab è stata testata una particolare sostanza chiamata bendamustina che ha dato soddisfacenti risultati per efficacia con una netta riduzione rispetto ai farmaci comunemente impiegati degli effetti delle terapie sull'organismo». La situazione ovviamente cambia quando si parla delle forme indolenti della malattia. Per uno strano caso della scienza, infatti, pur essendo generalmente meno gravi questi tumori sono più difficili da guarire e da trattare rispetto a quelli più aggressivi. Il loro andamento non è costante, ma tendono spesso a ripresentarsi a distanza di tempo ed eradicare completamente la malattia è difficile. Di conseguenza, appare ancora lontana l'idea di arrivare ad una completa guarigione. «Anche in questo caso la terapia di prima linea è rappresentata dalla combinazione tra chemioterapia (il protocollo prevede un'associazione di diversi farmaci) e rituximab», fa sapere Zinzani. «Tuttavia uno studio condotto in Germania e pubblicato su The Lancet dimostra che l'associazione tra bendamustina e lo stesso rituximab appare più efficace rispetto allo schema classico, sia in termine di risposta completa che di tempo libero da malattia. Inoltre anche i fastidi legati alla chemioterapia, come ad esempio la caduta dei capelli, appaiono minori con queste schema di cura. Il passo avanti è significativo, considerando che proprio la tossicità delle cure, soprattutto in organi non direttamente legati alla produzione del sangue, rappresenta per il paziente una nota dolente, sia dal punto di vista fisico che sotto l'aspetto psicologico». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 25 apr. ’13 VERONESI: «SI VENDONO MENO SIGARETTE, SALVE MILLE VITE» Oltre 200 milioni di gettito in meno per lo Stato nei primi 3 mesi del 2013. Causa: il mancato incasso di accise sui tabacchi, pari a un calo del 7,65. E si stima che il 40% di questi 200 milioni siano da imputare alla diffusione delle sigarette elettroniche. Il dato, diffuso lo scorso 21 aprile, viene dal Dipartimento delle Finanze. Una buona notizia, che nessuno ha però sottolineato. Anzi gli umori sono quelli di una notizia ferale. Ma come? Diminuiscono i fumatori e non si gioisce? Annuisce Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia: «Non ho sentito alcuna voce levarsi a sottolineare che verosimilmente l'uso della sigaretta elettronica ridurrebbe il drammatico numero di 30.000 morti per tumore del polmone che si registrano ogni anno». L'ex ministro della Sanità di un ormai lontano governo Amato ha ragione: ci fosse una riduzione del fumo pari solo al 10% si eviterebbero 3.000 decessi all'anno. È solo una provocazione numerica, ma serve per far riflettere. «Già solo con il calo di vendite del primo trimestre si potrebbero ipotizzare in proiezione circa mille morti in meno». Solo grazie a quel 40% in meno di vendite influenzate dalla diffusione della sigaretta elettronica. «E se anche volessimo dimenticare il dolore e l'intera dimensione umana della malattia — continua Veronesi —, va considerato che ogni malato di cancro polmonare costa allo Stato mediamente 200.000 euro (tra chirurgia, radioterapia e chemioterapia, oltre alla mancata produttività sul lavoro). E che l'insieme dei casi evitati significherebbe un risparmio di 600 milioni di euro all'anno. È evidente che lo dico come provocazione, ma voglio sottolineare che 3.000 vittime in meno di tumore polmonare ogni anno sarebbe un grande successo». E questo grazie anche alla sigaretta elettronica che, viste le minori entrate dalla vendita di tabacchi, sembrerebbe funzionare. Un'ombra si proietta sulle analisi degli esperti istituzionali che si sono espressi negativamente nei confronti della «bionda» elettronica. Si ipotizzano rischi per la salute, ma di ciò non v'è certezza. Mentre è certo il calo numerico di sigarette tradizionali vendute. «Tutti siamo consapevoli — dice ancora Veronesi — che la soluzione per la sconfitta di questo tumore, big killer numero uno al mondo, è convincere la popolazione a smettere di fumare o a non iniziare mai. Ma questo non succede malgrado 50 anni di campagne antifumo. Quindi se la sigaretta elettronica appare come una via percorribile per la disassuefazione, siamo moralmente obbligati a percorrerla. Tutti gli strumenti per smettere di fumare devono essere studiati con rigore e nel rispetto della tutela della salute, ma con determinazione e metodo. Senza pregiudizi». Come considera uno Stato che guadagna dalla vendita delle sigarette? «Alcuni avvocati mi hanno suggerito che si potrebbe accusare lo Stato per strage. Forse bisognerebbe farlo, almeno come forma di protesta. Come è possibile che venda ai cittadini prodotti che possono anche uccidere? Questa azione va contro l'articolo 32 della Costituzione. E indicare la sua azione letale con una scritta (il fumo uccide) non solleva certo dalle responsabilità». Non è facile, comunque, far smettere un fumatore che non ha la volontà di farlo. «Credo che vada aiutato in ogni modo — conclude l'oncologo — anche se non riesce a smettere. Per questo mi sono impegnato per la diagnosi precoce del tumore polmonare. Per i forti fumatori o ex fumatori oggi esiste una possibilità concreta di salvezza. C'è lo studio nazionale Cosmos 2 che offre loro gratuitamente gli esami più avanzati per l'anticipazione della diagnosi. Che significa, è stato dimostrato, salvare la vita e la sua qualità». Mario Pappagallo @Mariopaps _____________________________________________________________ Il Giornale 24 apr. ’13 LA STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA SARÀ UTILE ANCHE PER LA DEPRESSIONE É stata concessa dall'Europa l'autorizzazione a St Jude Medical per Fuso del marchio CE per i sistemi per stimolazione cerebrale profonda (DBS, deep brain stimulation) per la gestione dei sintomi associati a distonia primaria e secondaria incurabile. Un disturbo motorio di origine neurologica che causa spasmi e contrazioni muscolari involontari, con conseguente riduzione del controllo motorio. In Europa questa p atologia colpisce più di 500mila persone. Si manifesta in tutte le età e rende le persone invalide, costringendole talvolta su una sedia a rotelle. Per i pazienti che non rispondono ai farmaci, la stimolazione cerebrale profonda p ermette di migliorare la qualità di vita. La terapia DBS di St. Jude Medical è in uso da oltre quindici anni p er la gestione dei sintomi associati al morbo di Parkinson. Nuovi studi clinici valutano la possibilità di estendere la terapia di DBS al trattamento della depressione e del tremore essenziale. La stimolazione cerebrale profonda per il trattamento della distonia p revede la trasmissione mirata di lievi impulsi elettrici alle aree del cervello partecipanti al controllo motorio. La distonia primaria è una malattia ad eziologia sconosciuta potenzialmente congenita. Quella secondaria è legata all'ambente, spesso è correlata a ictus o ad una risposta a farmaci come gli antagonisti dopaminergici impiega- p ertrattare disturbi psichiatrici. Può manifestarsi anche in seguito a traumi al cervello. Per impiantare un sistema DBS, un neurochirurgo inserisce due piccoli elettrodi in un'area specifica del cervello . Vengono collegati a una fonte di alimentazione sotto la cute, nel muscolo p ettorale nel torace, e trasmettono costanti impulsi indolori che influenzano i segnali causanti i sintomi invalidanti. _____________________________________________________________ Unione Sarda 24 apr. ’13 MORBO DI PARKINSON, PREMIATA LA SCOPERTA DI UN CAGLIARITANO UNIVERSITÀ. Nuovo finanziamento al ricercatore Manolo Carta Con le sue ricerche ha svelato l'importante ruolo dei neuroni che producono la serotonina, un neurotrasmettitore cerebrale, nella comparsa delle discinesie, i movimenti involontari che condizionano pesantemente la vita dei pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Ora Manolo Carta, ricercatore dell'Università di Cagliari, ha ricevuto un nuovo finanziamento di 62 mila dollari per proseguire i suoi studi sulla malattia. Ad attriburglielo è stata la prestigiosa fondazione americana Michael J. Fox (l'attore di Ritorno al futuro colpito dalla patologia a soli 30 anni). Per Carta è il secondo finanziamento dopo quello ottenuto nel 2012 in collaborazione con Micaela Morelli, docente ordinario di farmacologia. LA MALATTIA La malattia di Parkinson è caratterizzata dalla perdita dei neuroni che producono dopamina e causa serie difficoltà motorie ed è la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa dopo l'Alzheimer. LA TERAPIA La terapia farmacologica consiste nella somministrazione della levodopa, precursore della dopamina, e funziona molto bene durante i primi anni di malattia, consentendo ai pazienti di vivere una esistenza pressoché normale. Nelle fasi più avanzate della patologia, però, la levodopa perde gran parte della sua efficacia a causa della comparsa di effetti collaterali tra cui i movimenti involontari, noti come discinesie, sono i più problematici. LA SCOPERTA Nei suoi studi precedenti, condotti all'Università svedese di Lund, dove ha lavorato per 7 anni, Carta - ricercatore di Fisiologia del dipartimento di Scienze Biomediche ed esperto internazionale nello studio delle discinesie indotte dalla levodopa - ha svelato l'importante ruolo dei neuroni che producono serotonina, un altro neurotrasmettitore cerebrale, nella comparsa delle discinesie. In questo nuovo studio finanziato dalla Fondazione americana Carta, sulla base dei promettenti dati preliminari, ipotizza che un trattamento con il precursore della serotonina possa contrastare l'insorgenza degli effetti collaterali della levodopa e aumentare l'efficacia antidiscinetica di farmaci selettivi per i neuroni della serotonina, e così prolungare nel tempo gli effetti benefici del trattamento con levodopa. Il progetto durerà un anno e mira anche a porre le basi per un possibile studio clinico. (f.ma.) _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 apr. ’13 OBAMA: UN PIANO MARSHALL SUL CERVELLO (3Mliard.) Nel programma di Obama da 3 miliardi di dollari sulla ricerca neurologica c'è un po' di Italia: gli studi sulla proteina scoperta dalla Montalcini L'Ngf, dice Moses Chao, potrà aiutarci a curare Alzheimer, morbo di Parkinson e Sla Alessandra Viola Un progetto colossale: 10 anni di lavoro e circa tre miliardi di dollari tra stanziamenti pubblici e investimenti privati per studiare il cervello umano e arrivare alla sua mappatura completa. La "Brain Initiative" annunciata da Barak Obama è la risposta americana allo "Human Brain Project" varato dalla Ue a fine gennaio. Mentre però in Europa l'obiettivo è costruire una simulazione del cervello usando silicio e circuiti integrati per studiare l'intelligenza artificiale, gli americani puntano sulla risoluzione di problemi concreti, muovendo da quel poco che già si sa sul nostro organo più prezioso. Obiettivo, non solo aiutare la ricerca, ma fare business. Obama ha infatti ricordato che lo "Human Genome Project", che ha portato alla mappatura del Dna, ha reso 140 dollari per ogni dollaro investito; senza contare che anche i chip dei computer, il gps e internet sono nati da investimenti governativi nella ricerca di base. «La ricerca di base nelle neuroscienze ci porterà alla comprensione dei meccanismi di plasticità del cervello, che aiuteranno a curare malattie neurovegetative e psichiatriche», dice Moses Chao, ex presidente della International Society for Neurosciences, uno dei massimi esperti mondiali nelle ricerche sull'Ngf, la proteina scoperta da Rita Levi Montalcini in grado di "riparare" il cervello. «L'Ngf è fondamentale per la crescita neuronale, la sopravvivenza e la differenziazione del sistema nervoso, ed è centrale nell'apprendimento e nella memoria - continua Chao -. Una delle ipotesi, formulata dalla Montalcini, è che ci sia una sorta di competizione dei neuroni per accaparrarsi questo supporto per la crescita. Una specie di selezione darwiniana, che fa sopravvivere solo i neuroni che sono capaci di procurarsi quantità sufficienti di questi supporti neurotrofici e che li fa invece morire quando l'Ngf disponibile si riduce. Un'ipotesi in base alla quale questa proteina si configura come l'"oscuro oggetto del desiderio" del nostro sistema nervoso. Se riuscissimo a trovare il modo per fornirlo dall'esterno e alzare il suo livello negli adulti, potremmo per esempio posticipare l'insorgere dell'Alzheimer di cinque anni. Sarebbe un risultato enorme: dopo gli 85 anni abbiamo tutti il 50% di probabilità di contrarre questa malattia, oggi incurabile, che nel mondo colpisce 35-40 milioni di persone». Il limite all'utilizzo dell'Ngf, conosciuto anche come The wonder molecule ("la molecola delle meraviglie") sta nella sua intrinseca capacità di procurare dolore, ma questo problema appare superato grazie alla ricerca italiana. «Ispirandoci alla variazione genetica che impedisce ad alcuni uomini di provare dolore, abbiamo brevettato una forma ricombinante umana mutata dell'Ngf che apre straordinarie prospettive – dice Antonino Cattaneo, coordinatore scientifico dell'European Brain Research Institute (Ebri) fondato dalla Montalcini nel 2005 – una nuova molecola che ne consentirà l'uso farmacologico e che potrebbe portare alla cura di malattie come l'Alzheimer, il morbo di Parkinson o la Sla e avere un uso immediato nel trattamento di lesioni della cornea e delle ulcere da decubito». La sperimentazione clinica è partita in diverse parti del mondo, e "l'oscuro oggetto del desiderio", oltre che ai neuroni, fa gola anche alle multinazionali del farmaco. Tra le prime due che si sono accaparrate il brevetto per iniziare i trial clinici c'è anche un'italiana (l'altra è una società biotecnologica cinese), della quale però non si sa ancora nulla. Anche se la ricerca italiana è all'avanguardia, dalla terza edizione del Brain Forum, il convegno di neuroscienze promosso tre anni fa da Rita Levi Montalcini e oggi coordinato da Viviana Kasam, arriva la richiesta di aiuto dell'Ebri. «La nostra ricerca è tutta autofinanziata vincendo bandi in Europa e in America – dice Giuseppe Nisticò, direttore generale dell'istituto –. In Italia i nostri ricercatori non possono partecipare ai bandi del Miur o del ministero della Sanità, perché l'Ebri è una fondazione privata. Per fare ricerca però bisogna anche mantenere le infrastrutture e oggi possiamo contare su 800mila euro l'anno per tre anni, poi chissà. In altre parti d'Europa istituti come il Pasteur o il Max Plank sono finanziati con centinaia di milioni ogni anno. L'eredità di Rita Levi Montalcini meriterebbe più attenzione». _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 28 apr. ’13 NEURONI& DOGMI: COSÌ IL CERVELLO SI RIGENERA abbattuti due dogmi sui neuroni Luca Bonfanti Due dogmi hanno segnato la neurobiologia sin dalle sue origini. Il primo sosteneva che il cervello dei mammiferi adulti non può generare nuove cellule nervose. Questa certezza è stata incrinata vent'anni orsono con la scoperta delle cellule staminali cerebrali e la conseguente formazione di nuovi neuroni in alcune aree del cervello adulto. Tale possibilità ha aperto nuovi orizzonti nelle neuroscienze ma ha anche complicato il quadro dell'architettura cerebrale. Per chi studia la struttura fine del cervello è molto diverso osservare un sistema complesso ma statico, rispetto a qualcosa che cambia anche strutturalmente nel tempo. È infatti dimostrato che il cervello non smette mai di crescere e modificarsi, un cambiamento in cui diversi tipi di cellule possono essere generate ex novo andando ad aggiungersi a quelle pre-esistenti. La scoperta delle staminali cerebrali è stato certamente un grosso balzo in avanti ma ha anche messo gli scienziati di fronte a nuove complessità, difficilmente esplorabili con le tecnologie disponibili. Si tratta infatti di seguire cellule giovani che subito dopo la loro genesi cambiano più volte forma e «vestito molecolare», immerse tra miliardi di cellule perenni. Uno studio pubblicato di recente sulla rivista americana Pnas, condotto al Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (Nico) di Torino in collaborazione con l'Università della California, ha finalmente chiarito i passaggi che consentono a una cellula staminale di generare 16 neuroni al giorno. Nell'intero cervello del topo, questo processo crea quotidianamente fino a 10mila neuroni, un numero che sembra impressionante anche se non lo è rispetto al numero totale di neuroni cerebrali e tenuto conto del fatto che almeno metà delle nuove cellule muore prima di integrarsi. Eppure i risultati di questo apparentemente banale calcolo sono stati oggetto di discussione nella comunità scientifica per più di 20 anni, a testimoniare come la scienza proceda in realtà molto lentamente per capire come effettivamente avvengano i fenomeni rivelati da scoperte epocali. Oltre ai dogmi, nella scienza, ci sono anche gli stereotipi. Uno dei più comuni negli ultimi decenni è quello che le neuroscienze avanzano sempre più rapidamente, «con passi da gigante» come si sente spesso dire. Purtroppo, la realtà dei fatti dimostra come la complessità della scienza contemporanea non venga percepita adeguatamente dalla società, creando pericolosi vuoti comunicativi con conseguenti fraintendimenti. Quello che sfugge è proprio il modo di procedere delle scienze biologiche, fatto di continui controlli incrociati sui meccanismi alla base dei fenomeni oggetto di studio. Il secondo dogma è una conseguenza del primo: se i neuroni non possono essere sostituiti (e la maggior parte continua a non esserlo) allora ci accompagnano dalla nascita alla morte. Definiti già dal 1800 «cellule perenni», i neuroni sono capaci di sopravvivere quanto l'intero organismo, al contrario di molte altre cellule che vengono rinnovate più o meno frequentemente. Ma con la progressiva estensione delle aspettative di vita negli esseri umani proprio queste cellule diventano il fattore limitante: se grazie alla medicina rigenerativa il corpo potrà vivere ben oltre i cento anni, i neuroni «perenni» lo potranno seguire? La risposta della neurobiologia classica è: no! Perché si usurano e muoiono in quanto incapaci di rinnovarsi. Un altro studio, anch'esso pubblicato su Pnas e condotto al Nico in collaborazione con l'Università di Pavia, apre una falla nel secondo dogma. I ricercatori si sono chiesti quanto possa durare la vita dei singoli neuroni e se il suo limite sia legato alla sopravvivenza degli individui tipica di ogni specie (ad esempio 20 anni in un gatto, 120 nell'elefante). Trapiantando neuroni prelevati dal cervello di un embrione di topo (con vita media di circa un anno e mezzo) in quello di un ratto (in cui la vita media è il doppio), sono state seguite le cellule che si sono integrate come neuroni nel cervello del ratto. I neuroni di topo trapiantati sono sopravvissuti tre anni, fino alla morte naturale del ratto, indicando quindi che la loro sopravvivenza non è geneticamente fissata, ma può essere determinata dal microambiente dell'organismo ospite. Questa scoperta contraddice l'opinione diffusa che aumentare la vita media degli individui può essere inutile in quanto i neuroni morirebbero comunque negli individui sani. Tuttavia, anch'essa necessita di conferme, ad esempio verificando se il principio è valido per tutti i tipi di neuroni (solo uno tra centinaia di tipi diversi è stato esaminato). Questi esempi non fanno altro che confermare come le porte aperte dalle nuove scoperte aprano in realtà nuove strade da percorrere alla ricerca di conferme e approfondimenti, proprio in virtù dei paesaggi complessi che attraversano. In neuroscienze, complice l'abitudine di divulgare risultati ottenuti con tecniche di imaging funzionale, erroneamente scambiate con una sorta di "lettura" della mente, è stata creata l'illusione che siamo vicini a capire definitivamente l'organo pensante. Nel frattempo, i risultati della ricerca di base, come le staminali cerebrali o le cellule pluripotenti indotte del premio Nobel Shinia Yamanaka, vengono erroneamente confusi con promesse terapeutiche. E allora si può capire (ma non giustificare) come procedure sperimentali senza alcuna dimostrazione scientifica possano essere somministrate sotto forma di «cure compassionevoli». Nella ricerca, e in particolare in neurobiologia, la strada da percorrere «con passi da gigante» è ancora lunga. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 28 apr. ’13 ITALIANI TROPPO VELOCI A TAVOLA E ANCHE PER QUESTO INGRASSANO Trafelati, sbrigativi, stiamo a tavola per il tempo minimo sufficiente a inghiottire il cibo in tre bocconi o poco più. Perché siamo campioni del fast food, inteso proprio come pasto veloce: indipendentemente da quel che c'è nel piatto, 3 italiani su 4 dedicano a colazione, pranzo e cena la metà del tempo che sarebbe necessario per un pasto in tutta tranquillità. Lo rivela un sondaggio condotto dall'Osservatorio Nestlé-Fondazione ADI dell'Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica su 800 connazionali rappresentativi della popolazione generale. Ne è emerso che soltanto per cena ci rilassiamo un pò, ma comunque non restiamo seduti più di mezz'ora, quando invece occorrerebbe il doppio del tempo per assaporare i cibi, sentirsi sazi, masticare quanto basta per favorire la digestione. Le "misure" giuste a tavola, secondo i nutrizionisti, sarebbero infatti 30-60-60, cioè i minuti da dedicare a colazione, pranzo e cena. Ma il 75% degli italiani al mattino si sofferma a mangiare per meno di 15 minuti, il 50% a mezzogiorno non va oltre la mezz'ora e il 20% non supera il quarto d'ora. E la tendenza generale, rispetto a un anno fa, è verso un taglio ancora più netto dei tempi della cena e, soprattutto, del pranzo. Osserva Giuseppe Fatati, presidente della Fondazione ADI: «L'indagine è stata condotta sugli adulti in età lavorativa, per cui è chiaro che per molti la pausa pranzo è forzatamente breve e ci si rilassa un pò di più solo per cena. Il guaio è che colazione e pranzo trangugiati in fretta non saziano, così si rischia di arrivare a sera affamati, peggiorando la situazione: una cena pesante, magari a tarda ora e ingurgitata a tempo record, rende la digestione difficile in un momento in cui si ha bisogno di stare leggeri per favorire un riposo tranquillo. Dormire poco e male peraltro "sballa" l'equilibrio degli ormoni coinvolti nella regolazione dell'appetito, come grelina e leptina, e porta a mangiare di più il giorno dopo: un circolo vizioso da cui può diventare difficile uscire, favorendo l'aumento di peso». Scorrendo i dati si scopre infatti che chi è sovrappeso od obeso è ancora più rapido a tavola. Non è un caso, come sottolinea il nutrizionista: «Non prestare troppa attenzione a quel che si butta giù e non gustare il cibo, perché non ci si prende il tempo necessario per assaporarlo, riduce la sensazione di sazietà e porta a mangiare di più — avverte Fatati —–. Non solo: il cibo è anche un piacere e l'equilibrio fra fame e sazietà dipende pure da quanto ci sentiamo contenti e appagati da ciò che abbiamo mangiato. Per tutti questi motivi la rapidità si traduce nella tendenza a introdurre più calorie». Le brutte abitudini poi sono difficili da raddrizzare: chi è obeso o sovrappeso tende ad andare comunque di fretta anche quando potrebbe rilassarsi e per giunta indulge più spesso alla colazione al bar o in ufficio. Come mettere d'accordo la fretta con un'alimentazione che non porti a veder salire l'ago della bilancia? «Con la regola dei cinque pasti: oltre a colazione, pranzo e cena, sì a uno spuntino leggero al mattino e a metà pomeriggio — consiglia Fatati —. Aiuta a ridurre la fame quando ci si siede a tavola e non a caso la "regola" è più seguita da chi non ha problemi di linea. Purtroppo, sono ancora pochi gli italiani che mangiano (poco) cinque volte al giorno: solo 4 su 10 fanno una pausa snack al pomeriggio, appena 3 su 10 la fanno al mattino». Ovviamente, per snack non si intende un trancio di pizza unta o una ciambella alla crema: servono spezza-fame che sazino ma siano sani e poco calorici, come un frutto, uno yogurt, qualche pezzetto di verdura cruda. Alice Vigna _____________________________________________________________ Sanità News 25 apr. ’13 IL POLICLINICO UMBERTO I DI ROMA VARA IL PROGETTO "WEEK SURGERY" Il Policlinico Umberto I di Roma vara il ''Progetto Ospedale Feriale'' o ''Week Surgery'' , sulla base del nuovo modello assistenziale previsto nel Piano Sanitario della Regione Lazio (PSR) 2010-2012; il progetto traccia le linee d'indirizzo e i criteri per la rimodulazione e riorganizzazione della rete ospedaliera ed in particolar modo delle grandi aziende ospedaliere universitarie di rilievo nazionale, che prevede una riorganizzazione interna orientata ai criteri di efficienza, qualita' ed economicita', in attuazione anche al principio di separazione dei percorsi di ricovero tra emergenza-urgenza ed elezione. Il nuovo modello assistenziale parte nelle tre UOC del Dipartimento Chirurgico R.Paolucci, diretto da Adriano Redler , come progetto di sperimentazione utile per tutta la realta' ospedaliera. L'obiettivo e' quello di offrire una forma di assistenza alternativa ai classici ricoveri ordinari, capace di semplificare l'accesso ai percorsi assistenziali ospedalieri, con un modello organizzativo strutturale in attuazione, appunto, del concetto di Ospedale feriale (week Hospital) e di gestione assistenziale per intensita' di cure. Le patologie considerate trattabili nell'ambito del week surgery, necessitano di un massimo di 2-5 giorni di degenza post- operatoria e sono quelle attribuibili nell'ambito della chirurgia della tiroide, della mammella, dell'appendice, della colecisti; del prolasso rettale, dell'obesita', del melanoma, ma anche della chirurgia plastica anti reflusso o del confezionamento o chiusura di colo-ileo-stomia, ''salvo - e' stato precisato - ogni possibile valutazione dei Dirigenti delle UOC interessate'. Una volta diagnosticata la patologia chirurgica, il paziente, dopo la pre-ospedalizzazione, verra' ricoverato ed operato nello stesso giorno del ricovero e salvo complicazioni, uscira' al 4 giorno; nel caso in cui non fosse dimissibile verra' trasferito sui posti ordinari della stessa Divisione per il proseguo della terapia. _____________________________________________________________ Sanità News 23 apr. ’13 LA LUCE EMESSA DA TABLET E PC E’ DANNOSA PER LA VISTA Dalla mattina presto fino a sera tardi, è sempre di più il tempo che si passa davanti ai dispositivi digitali: il 30% delle persone li utilizza per circa 6 ore al giorno, il 14% per circa 10 ore. Tutti questi dispositivi, utilizzati per lavoro o per svago, emettono la cosiddetta luce blu. Presente naturalmente nel sole, ma emessa da dispositivi LCD e LED di smartphone, tablet, TV e PC e dai sistemi di illuminazione a basso consumo energetico, la luce blu ha una lunghezza d’onda corta e quindi maggior frequenza ed energia. I dispositivi come smartphone e tablet emettono fino al 40% in più di luce blu e la loro diffusione è in crescita, così anche gli effetti negativi sul benessere della vista. Sono due le principali cause del problema: distanza di utilizzo ravvicinata dei dispositivi multimediali e alta emissione di luce blu. L’esposizione alla luce blu influenza il ciclo circadiano in quanto è in grado di inibire la produzione di melatonina, responsabile dell’equilibrio sonno- veglia. Per questo può migliorare i nostri tempi di reazione soprattutto nelle ore serali o notturne. In alcuni casi, la luce blu può però provocare disturbi del sonno e della veglia. La sovraesposizione può avere controindicazioni come cali di attenzione e memoria e patologie oculari come la degenerazione maculare. Ma non solo, conseguenze dovute a disordini del sonno, come diabete e obesità, fino a malattie più importanti (anche se in questo caso i pareri sono contradditori). L’esposizione alla luce blu può provocare irritazione agli occhi, visione offuscata, dolore alla schiena dovuto alla postura scorretta e mal di testa per affaticamento. Una ricerca commissionata da Hoya a novembre 2012 su 1.204 portatori di occhiali in 6 Paesi europei ha rilevato che in Italia il 91% lamenta fastidi durante l’utilizzo di dispositivi digitali. Il 76% sarebbe disposto a pagare di più per un trattamento che protegge dalla luce blu. Ecco perché sono state messe a punto nuove lenti, che riducono la quantità di luce blu che arriva agli occhi e, anche in condizioni di scarsa illuminazione, assicurano comfort estremo. Inoltre, contribuiscono a ridurre l’affaticamento visivo, migliorando la visione dello schermo e rendendo il testo più leggibile. I benefici sono immediati: le lenti hanno effetti rilassanti sugli occhi, grazie a un aumento del contrasto e alla riduzione dell’abbagliamento, garantendo una percezione naturale dei colori. Fondamentali alcune regole di comportamento, per chi usa a lungo i dispositivi digitali (anche se non ha bisogno di lenti correttive): mantenere una giusta distanza tra occhi e schermo (per i dispositivi digitali, deve essere pari almeno alla lunghezza dell'avambraccio, appena sotto il livello degli occhi),regolare la luminosità dello schermo, cambiare il colore di sfondo da un bianco brillante a grigio chiaro, pulire spesso gli schermi, non posizionare lo schermo verso la finestra, montare filltri di riduzione del bagliore sul display, aumentare la dimensione dei caratteri per facilitare la lettura, evitare di fissare lo schermo troppo a lungo, facendo pause di almeno 20 secondi ogni 20 minuti, infinecontrollare regolarmente la vista dall'oculista. _____________________________________________________________ Le Scienze 24 apr. ’13 AUSTERITÀ E SALUTE PUBBLICA, DALLA GRECIA UN SEGNALE NEGATIVO Non è una malattia da ricchi Un'analisi dettagliata ha mostrato che in Grecia la riduzione del reddito medio dovuta alla recessione ha portato a una diminuzione del ricorso a strutture mediche private e a un incremento delle domande ai servizi pubblici, in particolare ai servizi ospedalieri, già colpiti da pesanti tagli. Questo nuovo scenario ha causato un netto peggioramento dello stato di salute della popolazione. Le politiche di austerità, concludono gli autori della ricerca, non dovrebbero incidere sull'offerta sanitaria pubblica, perché il rischio è un aggravarsi della salute pubblica (red) Le politiche di privatizzazione della sanità e il ridimensionamento dell'assistenza pubblica legati alle politiche di austerità provocano un serio peggioramento della salute della popolazione e aumentano ulteriormente in modo drammatico le differenze fra le classi sociali. E' quanto si ricava dall'analisi dell'esperienza della Grecia effettuata da un gruppo di ricercatori greci e statunitensi che firmano un articolo sull'“American Journal of Public Health”. A partire dal 2008 la Grecia è entrata in un lungo periodo di recessione con un progressivo aggravamento del deficit pubblico, e la successiva stipula di prestiti con l'Unione Europea e con il Fondo monetario internazionale, che ha imposto vincoli che includono la privatizzazione delle imprese statali, la liberalizzazione dei mercati, e l'imposizione di limiti alla spesa pubblica, compresa quella sanitaria. E questo a dispetto del fatto che numerose ricerche storiche ed epidemiologiche indichino che le crisi economiche siano in genere associate a un peggioramento dello stato di salute della popolazione. Tra il 2010 e il 2012 il governo greco ha così iniziato la ristrutturazione del sistema sanitario - che prima prevedeva un mix di servizi del settore pubblico e del settore privato - con una riduzione del bilancio del Ministero della sanità, una riduzione delle prestazioni garantite dal servizio pubblico e una decisa liberalizzazione dei servizi sanitari privati. Le misure di austerità al bilancio in particolare hanno determinato tra 2009 e 2011 una riduzione della spesa sanitaria pari al 23,7 per cento. L'analisi dei dati relativi alle spese ospedaliere ha tra l'altro mostrato che la riduzione è avvenuta quasi totalmente attraverso tagli ai salari degli operatori e non grazie al miglioramento dell'efficienza. Parallelamente si è assistito a un aumento della mortalità per suicidio, omicidio, malattie trasmissibili (con un aumento rispettivamente del 16,2 per cento, del 25,5 per cento e del 13,2 per cento), oltre che per malattie cardiovascolari e abuso di alcool. L'incremento è stato particolarmente sensibile nella fascia delle persone attive, cioè adulti fino a 65 anni di età. Il fatto che finora tutto questo non abbia avuto un significativo impatto sulla mortalità generale – osservano gli autori - può indicare che la maggior parte delle cause di morte non sono ancora state interessate dagli effetti della recessione e dell'austerità o, più semplicemente, che il manifestarsi del peggioramento richieda un lasso di tempo maggiore. Notevole è stato anche l'aumento della frequenza di casi di malattia, legati principalmente a malnutrizione, malattie infettive, abuso di alcol o altre sostanze, e a una sostanziale crescita dell'incidenza di disturbi mentali. Molto significativo, dicono gli autori, è il fatto che tra luglio 2010 e dicembre 2011 la Grecia ha dovuto affrontare tre epidemie di malattie infettive - infezione da virus del Nilo occidentale, malaria (40 dei 63 casi registrati sono stati contratti sicuramente in Grecia), e un aumento del 57,2 per cento dei casi di infezione da HIV - segno che “i rischi di trasmissione non erano stati affrontati attraverso la prevenzione, molto probabilmente a causa dello smantellamento dei servizi precedentemente forniti dalle agenzie nazionali e regionali per la salute pubblica”. Questo si è tradotto in un aumento del 21 per cento delle richieste di intervento presso strutture pubbliche, che hanno risposto, per rispettare i parametri di spesa, con un'ulteriore accorciamento dei tempi di degenza. Nel frattempo le spese sanitarie verso le strutture private sono complessivamente diminuite, verosimilmente per la ridotta capacità delle di accedere ai servizi sanitari a pagamento a causa della diminuzione dei redditi. Se però si va a calcolare la spesa sanitaria privata come percentuale della spesa complessiva delle famiglie, si vede che questa tendenza al ribasso carattrizza solo le fasce sociali a reddito medio e alto. Durante la crisi le famiglie a basso reddito hanno invece speso una quota ancora maggiore del loro reddito ridotto per accedere ai servizi sanitari, come prodotti farmaceutici e servizi ospedalieri. In altri termini, tra le famiglie a basso reddito questa voce di spesa non è elastica, essendo ormai limitata a necessità impellenti. In generale, i dati raccolti anche in passato suggeriscono che “in tempi di crisi economica, le politiche di tagli e privatizzazioni possono compromettere ulteriormente la salute delle popolazioni e i servizi sanitari”, concludono i ricercatori, osservando che “in America Latina, paesi come Argentina, Venezuela, Ecuador, Uruguay e Bolivia hanno agito per favorire la salute delle loro popolazioni, resistendo alle richieste delle istituzioni finanziarie internazionali di ridurre gli investimenti pubblici nei servizi sanitari. I miglioramenti degli indicatori economici e di salute visti in questi paesi hanno dimostrato che le politiche di austerità, a cui ci si può opporre, sono non scientifiche e pericolose. Nel momento in cui le popolazioni della Grecia e di altri paesi europei devono affrontare politiche di austerità senza precedenti, è probabile che i pericoli per la salute pubblica si aggravino”, concludono gli autori. _____________________________________________________________ Repubblica 26 apr. ’13 FARMACI, ATTENTI AI 'SORVEGLIATI SPECIALI' da ottobre un simbolo li segnalerà In tutta Europa, un triangolo nero sul foglietto illustrativo indicherà che per quel medicinale si devono seguire determinate precauzioni ed eventualmente segnalare reazioni anomale. Un invito a medici e utenti. La lista con i primi 105 prodotti pubblicata dall'Ema Lo leggo dopo UN TRIANGOLO nero con la punta rovesciata: sarà questo il simbolo che dovranno riportare, sul foglietto illustrativo e nelle informazioni per gli operatori sanitari, i farmaci per cui sarà necessaria una sorveglianza in più. A pubblicare la lista è stata l'Agenzia europea dei farmaci (Ema), che per ora ne ha individuati 105, e l'obbligo di riportare il triangolino scatterà dal prossimo ottobre. La lista include farmaci autorizzati nell'Unione europea che devono essere strettamente sorvegliati dalle autorità che regolano la materia. Ma in concreto cosa significa vedere sul bugiardino di farmaco ha il triangolo? L'Ema chiarisce che non vuol dire che la medicina non sia sicura, ma che si vogliono incoraggiare professionisti sanitari e pazienti a segnalare le reazioni avverse sospette, quando si tratta di un farmaco nuovo sul mercato o c'è una limitazione nei dati disponibili sulla sua sicurezza. In particolare, a doverlo riportare saranno i medicinali con nuove sostanze attive autorizzate in Europa dopo l'1 gennaio 2011; medicinali biologici (come vaccini e derivati del plasma) e biosimilari per cui i dati di esperienza post commercializzazione siano limitati; prodotti la cui autorizzazione è subordinata a particolari condizioni (quando l'azienda deve fornire ulteriori dati) o autorizzati in circostanze eccezionali (quando sussiste una specifica motivazione per cui l'azienda non può fornire una serie esaustiva di dati); medicinali soggetti a studi sulla sicurezza dopo la concessione dell'autorizzazione all'immissione in commercio (risultati sull'uso a lungo termine o su reazioni avverse rare riscontrate nel corso della sperimentazione clinica). Altri medicinali potranno essere sottoposti a monitoraggio addizionale su decisione del Comitato di valutazione dei rischi per la farmacovigilanza (Prac) dell'Ema. Le segnalazioni che arriveranno sui medicinali inclusi nella lista saranno valutate insieme ai dati già disponibili. L'invito è già stato recepito dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che sul suo sito ha apertouna sezione dedicata. "Si tratta - spiega l'Aifa in una nota - di un provvedimento che rafforza la sorveglianza post marketing a tutela della salute dei cittadini e che prevede un'ulteriore attività di vigilanza per quei medicinali per i quali sono disponibili dati di sicurezza limitati, nell'ottica della trasparenza e del maggior coinvolgimento di pazienti e operatori sanitari nella segnalazione di reazioni avverse". _____________________________________________________________ Repubblica 26 apr. ’13 HIV: QUEL VACCINO NON STA FUNZIONANDO Hiv, gli Stati Uniti bloccano uno studio: La ricerca Hvtn 505, che aveva messo a punto un vaccino sperimentale basato su Dna modificato, è stata sospesa: coinvolgeva 2500 uomini da quattro anni e non stava avendo risultati. "Ma abbiamo dati importanti per i futuri studi", spiega il responsabile della ricerca WASHINGTON - E' una brusca frenata, e una brutta notizia: il governo degli Stati Uniti ha deciso lo stop a un'imponente studio su un possibile vaccino contro l'Hiv perché non stava dando alcun risultato. Ovvero, semplicemente, non funzionava. Lo studio, noto come Hvtn 505, coinvolgeva circa 2500 uomini, la gran parte omosessuali, in 19 diverse città da oltre 4 anni. Il vaccino sperimentale si basava su una versione modificata del Dna del virus e sul metodo delprime-boost: il vaccino è inoculato nel corpo per renderlo immune al virus; poi un altro vaccino, contenente lo stesso dna modificato inserito in un virus del raffreddore, viene iniettato per rafforzare la risposta del sistema immunitario. Ovviamente, nessuno dei due vaccini può causare l'Hiv. I risultati sono stati deludenti: addirittura nel gruppo di uomini vaccinato si è registrato un livello di contagio leggermente superiore del gruppo di controllo, a cui non era dato il vaccino ma un placebo. Un risultato più alto considerato statisticamente non significante, ovvero casuale, ma che comunque prova l'inefficacia del vaccino. Quella della ricerca di un vaccino contro l'Hiv è una scommessa che finora ha visto molte sconfitte. Per il dottor Anthony Fauci, a capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, i risultati sono stati "una delusione" ma "abbiamo avuto importanti informazioni da questo studio" che potranno essere utili per nuovi studi.