RASSEGNA STAMPA 23/06/2013 LA LAUREA LANCIA LA SFIDA-OCCUPAZIONE MEDICINA RESISTE IN VETTA AL RANKING DELLE OPPORTUNITÀ PAVIA, RUGGE RETTORE ALLA QUARTA VOTAZIONE CNR I 90 ANNI DELLA RICERCA RIFINANZIATI I MASTER AND BACK AL VIA IL MEETING DI TUTTI GLI ATENEI INSULARI INSEGNARE IN INGLESE PUÒ AIUTARE LA CULTURA ITALIANA L'ITALIA NON SPENDE IL 60% DEI FONDI EUROPEI» POLICLINICO, BLOCCATI DAL 1999 I FONDI PER LA RISTRUTTURAZIONE VELIVOLI SPAZIALI, SUCCESSO PER L'ÉQUIPE DI CAO LA CULTURA RIEMPIE LA MENTE. O LA BOCCA? CASALEGGIO: LA DEMOCRAZIA VA RIFONDATA LA PREVALENZA DELLE PAROLACCE LA LIBERTÀ DEI GIOVANI NON VIAGGIA IN AUTO HACKER BUONI PER DIFENDERSI DAI CRIMINI INFORMATICI NEW YORK, SFIDA TRA ATENEI «PAGHIAMO LA VILLA AI PROF» BIG DATA: SÌ, MA QUANTO? LA FILOSOFIA CHE CHIARISCE LA FISICA 2050: SICUREZZA ALIMENTARE A RISCHIO SE NON AUMENTANO LE RESE ========================================================= AOUCA: ECCO LA NUOVA CASA DEI NEONATI AOUCA: IL PLAUSO DEL PREFETTO: «POCHI DISAGI PER LA VIABILITÀ» AOUCA: PRIME LACRIME DI GIOIA PER NICOLE (740 grammi) AOUCA: NEUROPSICHIATRIA E PEDIATRIA NON TRASFERITE AOUCA: IL MICROCITEMICO OSPEDALE DEI BAMBINI UN CORSO PER INFERMIERI NEL SULCIS AOUCA: CENTRO MEDICO NELL'EX CRIES ASLNU: PROJECT FINANCING COFELY PREMIA SE STESSA ASLOR: «ELETTROSHOCK, UNA TORTURA» ASLOR:ELETTROSHOCK, TERAPIA VALIDA E SICURA LA SOLITUDINE DELL'ONCOLOGO PERCHÉ RIMANE ANCORA ATTUALE IL «GIURAMENTO» DI IPPOCRATE MEDICI, AI BLOCCHI DI PARTENZA IL CYBER-CODICE DEONTOLOGICO MEDICINA NARRATIVA STUDIARE LE STORIE DEI PAZIENTI LA STORIA SANITARIA NEL FASCICOLO ELETTRONICO PERSONALE PSEUDOSCIENZA: CIARLATANI CONTAGIOSI QUALE STATO DEL BENESSERE SE NON C'È PIÙ UNA LIRA? ALLARME PER LA RICERCA SANITARIA IL MEDICO DI REPARTO SEMPRE RESPONSABILE DELLE DIMISSIONI IL DOLORE DELL'ARTO-FANTASMA SI RIDUCE ALZHEIMER:DAL 1990 TRIPLICATI I CASI IN CINA L’ALZHEIMER POTREBBE ESSERE CAUSATO DA UN VIRUS SCOPERTO UN NUOVO FARMACO IN GRADO DI CURARE L’ALZHEIMER IL CASCHETTO CHE LEGGE NEL PENSIERO DEI MALATI DI SLA L'UNIONE EUROPEA VUOLE CHE LA BELLEZZA SIA SEMPRE PIÙ SICURA POLMONI SALVATI PRIMA ANCORA CHE RESPIRINO USA: L'OBESITÀ DIVENTA UNA MALATTIA UE: SIGARETTE ELETTRONICHE «SARANNO VENDUTE IN FARMACIA» VIETEREMO LE E-CIGARETTE A SCUOLA TEST DEL SANGUE TRACCE DI HPV 10 ANNI PRIMA DELLA MALATTIA CON LA TELEMEDICINA MIGLIORE IL CONTROLLO DELLA GLICEMIA ========================================================= _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 18 Giu. ’13 LA LAUREA LANCIA LA SFIDA-OCCUPAZIONE Le «armi» vincenti per trovare posto: stage, inglese, periodi di formazione oltreconfine 4.453 I corsi per il 2013/14 Le lauree di primo livello sono 2.094, quelle di II 2.063 e 296 a ciclo unico Eleonora Della Ratta Cristina Fei Un diploma in tasca e qualche incertezza. È questo il bagaglio di chi parte alla scoperta di un percorso universitario dopo la maturità. Per le matricole l'offerta accademica si è ormai stabilizzata rispetto al passato, ma resta pur sempre molto ampia e, con 4.453 corsi presentati dagli atenei (neanche l'1% in meno), non è facile capire cosa si vuole fare da grandi, conciliando le attitudini personali con le concrete prospettive del mercato del lavoro. Non è un caso che la razionalizzazione dell'offerta formativa punti a ridurre, anche se di poco, alcuni corsi di primo livello in giurisprudenza, economia o scienze politiche, privilegiando i percorsi a ciclo unico, soprattutto per l'area giuridica, e su una maggiore specificità dell'offerta dei corsi di secondo livello (che restano sugli stessi numeri dello scorso anno). Dal punto di vista pratico nell'anno accademico 2013-2014 ci saranno alcune novità. Per lo studente cambia innanzitutto il "contenitore" per la scelta dei corsi perché ormai quasi tutte le università hanno adattato i propri statuti in linea con la riforma del sistema universitario nazionale (legge Gelmini 240/2010) e le facoltà sono state sostituite dai dipartimenti o strutture organizzative intermedie dette scuole. Nuove regole anche per i test di ammissione a numero chiuso a medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e alle professioni sanitarie. Per le lauree di primo livello e a ciclo unico dell'area economico- giuridica, ai classici corsi in economia e commercio o giurisprudenza si affiancano insegnamenti in management e governance con particolare attenzione al mondo digitale. E se la prima regola per il professionista del futuro è la versatilità, allora le lauree di secondo livello propongono una specializzazione ad hoc per preparare i giovani a lavorare anche nelle sedi estere delle grandi aziende italiane o nelle multinazionali. Per chi si orienta verso discipline scientifiche, ma anche ingegneria e architettura, è indispensabile invece una conoscenza tecnica al passo con i tempi puntando soprattutto su studi dedicati all'ambiente e alle energie rinnovabili. Il 2013-2014 è però l'anno dell'internazionalizzazione, con 335 corsi di laurea in 47 atenei che rilasciano un double degree o un titolo congiunto grazie ad accordi con oltre 52 università straniere (nel 2012 erano 341, ma con meno Paesi coinvolti), ma soprattutto con una vasta gamma di corsi universitari in inglese, nati sia per dare una preparazione di livello internazionale sia per attrarre studenti da altri Paesi. Si moltiplicano i percorsi, anche di primo livello, in lingua: 156 corsi in 34 atenei, a cui si affiancano 91 corsi dove alcuni insegnamenti sono in inglese e altri in italiano. Anche se il Tar ha di recente bocciato l'insegnamento esclusivo in inglese nelle lauree specialistiche e nei dottorati al Politecnico di Milano, accogliendo il ricorso presentato da diversi docenti; decisione contro cui l'ateneo milanese ha presentato ricorso. La Guida del Sole fornisce le informazioni utili ed essenziali per orientarsi alla scelta dell'università. Ordinati per ateneo, facoltà e sede, sono disponibili online (www.ilsole24ore.com/universita) tutti i corsi di laurea che saranno attivati anche dalle università telematiche nell'anno accademico 2013/ 2014, con la segnalazione dei corsi in lingua inglese e dei percorsi formativi con doppio titolo. Le pagine che seguono, invece, offrono un quadro completo e aggiornato sui possibili sbocchi occupazionali, in Italia e all'estero, e sulle figure professionali più richieste. Infine, la guida include tutte le istruzioni necessarie per la detrazione del costo delle tasse universitarie, i criteri per ottenere una borsa di studio e i siti utili per cercare un alloggio quando si studia fuori sede. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 17 Giu. ’13 MEDICINA RESISTE IN VETTA AL RANKING DELLE OPPORTUNITÀ Primi geriatri, fisioterapisti e riabilitatori PAGINA A CURA DI Paolo Del Bufalo La crisi occupazionale che attraversa il mondo del lavoro non risparmia l'area sanitaria, tradizionalmente quella in cui fino a qualche anno fa il binomio formazione-occupazione era un dato certo e immediato. Nonostante questo, però, le professioni che ne fanno parte, secondo l'ultima rilevazione AlmaLaurea, restano le più “occupate” a uno e a cinque anni dalla laurea: il 90,6% lavora a un anno (e l'1,2% non cerca lavoro in quanto si dedica a una specializzazione) e il 96,5% lo fa a cinque anni dalla laurea (e il 2,3% non cerca lavoro). Si tratta poi di lavori “stabili” nel 96,4% dei casi: un vero record se si pensa che al secondo posto per stabilità ci sono gli ingegneri con l'85,1 per cento. Ma la crisi c'è e si fa sentire e anche per le continue riforme - come quelle previdenziali - che rimbalzano sul mondo del lavoro gli allarmi sono in agguato. L'ultimo lo ha lanciato la Federazione degli Ordini dei medici e odontoiatri da poche settimane, in occasione della determinazione del numero dei posti da mettere a bando per le lauree in medicina nel 2013-2014, chiedendone almeno mille in meno dei 10mila preventivati da Regioni e ministeri della Salute e dell'Università, proprio perché la riforma della previdenza non provocherà più la fuoriuscita di migliaia di professionisti: «Una programmazione che ecceda i 9mila posti - ha detto il vicepresidente della Federazione, Maurizio Benato - appare eccessiva e rischierebbe di provocare una futura nuova area di disoccupazione/sottoccupazione medica». «Medicina è sempre al primo posto nella classifica dell'occupazione e chi si laurea ha una professione certa», afferma invece con forza Eugenio Gaudio, presidente della conferenza dei presidi delle facoltà di medicina. I 10mila posti messi a bando per il prossimo anno, spiega, sono stabiliti in base a una programmazione di qui a 10-12 anni, quando tra laurea e specializzazione gli studenti saranno pronti per il mondo del lavoro. E al traguardo ne arriveranno circa 9mila con gli sbocchi maggiori verso il territorio e meno all'ospedale. Unico neo su cui Gaudio si sofferma è l'insufficiente numero di posti nelle scuole di specializzazione: «Ne servirebbero almeno 7mila l'anno, lo Stato ne ha finanziati 5mila e i tagli di risorse fanno ipotizzare che il prossimo anno ci si fermi a 2.500». Infine le professioni più gettonate per gli sbocchi futuri sono quelle legate all'avanzamento dell'età: geriatri, riabilitatori, ma anche medici del lavoro. E un occhio particolare andrà posto alle specialità chirurgiche: «La medicina difensiva - spiega Gaudio - e il contenzioso sempre più alto allontanano i medici da questa scelta e le chirurgie potrebbero drammaticamente ridursi». Stessa musica per le 22 professioni sanitarie non mediche. Il tasso occupazionale è sceso del 16,6% dal 2007 al 2011, e si prevede un'ulteriore riduzione per il 2012. Ci sono però alcune professioni in cui il calo occupazionale è minimo. Ad esempio fisioterapista, al primo posto tra le 22 lauree con un tasso medio di occupazione dell'89 per cento. Seguono logopedisti e igienisti dentali, con medie tra l'87 e l'85% di occupazione. E naturalmente gli infermieri, all'87% medio di occupazione in cinque anni. E queste quattro professioni da sole assorbono il 73% del totale degli occupati delle 22 professioni sanitarie. Ultime per occupazione le professioni di ostetrica (51% medio) e di tecnico di laboratorio con il 50% medio. «Ma l'insieme delle 22 professioni - commenta Angelo Mastrillo, segretario della conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie - con il 68% di occupazione media, sbocchi lavorativi sia nel pubblico che nel privato e sempre maggiori possibilità di carriera nel Servizio sanitario nazionale, mantiene ancora oggi il primo posto come tasso occupazionale, staccando del 23% l'area dell'insegnamento, al secondo posto con il 44,2 per cento». © RIPRODUZIONE RISERVATA I profili più richiesti FISIOTERAPISTA Il fisioterapista è la professione verso la quale molti giovani si rivolgono perché possiede un'attrattiva che va oltre il semplice atto “tecnico-manuale” e consente di instaurare e sviluppare una relazione significativa con il paziente. Suo compito principale è ripristinare la capacità funzionale dove movimento e funzione sono minacciati da invecchiamento, lesioni, malattie, disturbi, condizioni o fattori ambientali. Gli occupati a un anno dalla laurea sono l'86 per cento. LOGOPEDISTA Con un tasso di occupazione a un anno dalla laurea dell'86% la professione attrae molti giovani in Italia e in Europa grazie ai suoi molti punti di forza per la natura delle attività educative, relazionali, riabilitative, preventive e di consulenza oltre che della ricerca. Il logopedista si "prende cura" della persona, educando i familiari per il progetto riabilitativo, intervenendo con progetti educativi e preventivi, confrontandosi con altre professioni IGIENISTA DENTALE All'igienista dentale è affidata la promozione della salute orale e la prevenzione delle principali patologie. È una delle professioni in costante trend positivo, al terzo posto nella graduatoria sui dati riguardanti l'occupazione (a un anno dalla laurea lavora l'84% di professionisti), essendo ancora poco soddisfatta la necessità di professionisti sul territorio italiano. Inoltre è molto richiesta dagli studenti che agli esami di ammissione sono quasi 5 per 1 posto INFERMIERE L'infermiere svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, sul territorio e in assistenza domiciliare. Può svolgere anche attività libero-professionale in forma individuale o in studi associati e negli ambulatori infermieristici. Contribuisce alla formazione e all'aggiornamento professionale e concorre direttamente alla ricerca in ambito infermieristico. Il tasso di occupazione a un anno dalla laurea è dell'87% negli ultimi 5 anni. Il guadagno 1.662 euro Lo stipendio netto È il guadagno mensile netto per i laureati in medicina e professioni sanitarie, intervistati da AlmaLaurea a cinque anni dal conseguimento del titolo. Si tratta del secondo valore più alto. Medici e infermieri sono "battuti" solo dai laureati in ingegneria nel ranking degli stipendi: i tecnici guadagnano in media 1.748 euro netti al mese a cinque anni dal titolo _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 giu. ’13 PAVIA, RUGGE RETTORE ALLA QUARTA VOTAZIONE Eletto Ieri con 636 voti PAVIA — Fabio Rugge, 61 anni, è il nuovo rettore dell'Università di Pavia. E stato eletto, ieri sera, alla quarta votazione, e dopo il ritiro, strada facendo, degli altri due candidati Gianni Francioni e Virginio Cantoni. Leccese d'origine, laureato in Scienze politiche alla Cattolica di Milano, Rugge dal 1991 è professore ordinario di Storia delle istituzioni politiche alla Facoltà di Scienze politiche, di cui dal 2oo5 al 2011 è stato anche preside. Entrerà in carica ufficialmente a ottobre, succedendo ad Angiolino Stella, con l'avvio del nuovo anno accademico, e guiderà per un mandato unico di sei anni (fino al 2019) l'Alma Ticinensis Universitas, una delle più antiche università d'Europa (fu fondata nel 1361). L'ateneo oggi ha oltre 25 mila iscritti, sedi a Pavia e Cremona, due facoltà, 18 dipartimenti e 16 collegi universitari che lo rendono una vera e propria «Città campus». Elezione scontata, quella di ieri, per Rugge che non aveva più avversari, anche se la maggior parte della comunità accademica pavese aveva dimostrato da subito il gradimento nei suoi confronti. Fin dalla prima votazione aveva raccolto il maggior numero di consensi senza riuscire, però, a raggiungere il quorum della maggioranza assoluta prevista per i primi tre appuntamenti (727 preferenze). Al quarto turno Rugge ha ottenuto complessivamente 636 voti. «Sono grato a quanti mi hanno sostenuto e votato — ha commentato — ma ringrazio anche tutti coloro i quali, pur non avendo scelto la mia candidatura, hanno contribuito all'esercizio di democrazia con cui l'ateneo ha eletto il suo prossimo rettore. La campagna elettorale ha consentito di mettere a fuoco con chiarezza i diversi problemi che la nostra Università deve affrontare e le diverse proposte per risolverli — ha ribadito Rugge — è stata quindi proficua, partecipata e corretta, per cui ringrazio i miei competitori». Enrico Venni _____________________________________________________________ L’Unità 22 giu. ’13 CNR I 90 ANNI DELLA RICERCA Il compleanno si festeggia il 25 giugno Occasione per rilanciare il sapere Il massimo ente scientifico del nostro paese venne creato da Vito Volterra senatore e ricercatore che durante il ventennio non giurò fedeltà al fascismo e venne cacciato dall'ateneo e dalla presidenza della sua creatura PIETRO GRECO IL CONSIGLIO NAZIONE DELLE RICERCHE (CNR), CHE CONI SUOI 8.000 DIPENDENTI E LA SUA GAMMA DI ATTIVITÀ IN TUTTO LO SCIBILE UMANO È IL MASSIMO ENTE SCIENTIFICO DEL NOSTRO PAESE, COMPIE NOVANT'ANNI. Il compleanno sarà festeggiato il prossimo 25 giugno a Roma, alle ore 11 nell'aula convegni della sede centrale dell'ente alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Non è una festa di compleanno qualsiasi. È piuttosto un'occasione, che non va sprecata, per rilanciare - anzi, per rifondare - la politica di ricerca del nostro Paese sulla base delle due grandi indicazioni che, un secolo fa, mossero il genio di Vito Volterra prima a pensare e poi a creare il Cnr: da un lato progettare l'unico sviluppo possibile per il nostro paese, quello fondato sulla conoscenza; dall'altro fondare questo modello di sviluppo su una struttura di ricerca pubblica dotata di massa critica e dei caratteri di internazionalità, interdisciplinarità e gelosa autonomia. All'inizio del secolo scorso il senatore Vito Volterra è già un ricercatore molto conosciuto per le sue capacità sia nel campo della matematica pura (è un gigante dell'analisi funzionale), sia nel campo della fisica matematica (ha ottenuto risultati brillanti nel campo della teoria della luce e dell'elasticità) sia in un campo che ha praticamente fondato, l'applicazione dei modelli matematici all'ecologia. Ma è anche un «politico della ricerca» considerato tra i migliori al mondo. Partecipa infatti al Consiglio internazionale delle ricerche e, con i grandi della scienza europea, condivide due idee: la scienza è la nuova leva dello sviluppo culturale, civile ed economico del mondo; la scienza è un'impresa globale, che travalica i confini delle nazioni. La prima guerra mondiale - non a caso definita la «guerra dei chimici» - rafforza la prima convinzione: la conoscenza scientifica si trasforma in tecnologia d'avanguardia. Ahimé anche in tecnologia militare. Ma riduce a pezzi la seconda: la comunità scientifica europea si è divisa e la gran parte degli scienziati, Volterra compreso, si è prestata a servire gli «interessi nazionali». È da qui che bisogna ripartire, una volta che la guerra finisce. Ed è da qui che Volterra riparte per riproporre la sua politica della ricerca. La sua analisi è semplice. L'Italia non è nel novero dei Paesi più ricchi e avanzati. Anche il conflitto lo ha dimostrato. Ma in quel novero può (deve) rientrare. Per farlo deve far leva sull'innovazione tecnologica, figlia della ricerca scientifica. Dunque, l'Italia deve dotarsi di un sistema di ricerca robusto e integrato con quello degli altri paesi europei. C'è un'unica possibilità: l'intervento dello stato. Sono le istituzioni pubbliche che devono creare un'organizzazione che consenta a una massa critica di ricercatori di fare a tempo pieno e in condizioni di autonomia e libertà sia scienza fondamentale sia scienza di base. Nulla deve distrarli, neppure la didattica che sottrae tempo ai docenti universitari. Malgrado Volterra sia persona autorevole e influente sia nella comunità scientifica sia nella comunità politica, il suo progetto fa fatica ad affermarsi. Ma Volterra non è tipo da arrendersi facilmente. E alla fine la spunta. Il 18 novembre 1923 il Consiglio Nazionale delle Ricerche vede finalmente la luce. E lui, Vito Volterra, ne è il presidente. Sembra quasi uno scherzo della storia. Perché il governo che fa nascere il Cnr è quello di Benito Mussolini. E il capo del fascismo persegue una linea politica che è l'esatto opposto dei caratteri con cui Volterra vuole modellare la sua creatura. È centralista, mentre il Cnr rivendica autonomia. autarchico, mentre il Cnr vuole integrarsi nel sistema di ricerca internazionale. Non ha una cultura scientifica, mentre Volterra pensa l'Italia intera debba in ogni dimensione - civile, sociale, economica - far leva sulla cultura scientifica. L'esito è scontato. Non passano tre anni e Volterra è già fuori dal suo Cnr. Il Duce, nel tentativo di salvare la faccia davanti al mondo, chiama alla presidenza un italiano molto noto: Guglielmo Marconi. Qualche anno dopo Volterra è tra i pochissimi docenti che rifiuta il giuramento al regime ed è costretto a lasciare anche l'università. Sotto la direzione dell'inventore della radio, il nuovo grande strumento di comunicazione di massa, il Cnr cresce. Ma non diventa il sale di una nuova Italia, moderna, fondata sull'innovazione e sulla a scienza. Non è questo l'obiettivo del regime fascista. Bisogna aspettare la fine dl regime e del secondo conflitto mondiale perché il progetto di Volterra possa ripartire. Non mancano le difficoltà. Eppure in pochi anni il Cnr cresce e raggiunge almeno tre obiettivi. Come agenzia, finanzia molti progetti scientifici. Alcuni dei quali consentono a quella italiana di ritagliarsi un ruolo di prestigio nella comunità scientifica internazionale. Il Cnr, per esempio, dà un importante contributo alla creazione del Cern, il laboratorio di fisica delle alte energie che è la prima istituzione in assoluto di un'Europa che vuole diventare unita dopo secoli di guerre laceranti. Come ente pubblico che fa ricerca in proprio e in settori sempre più vasti: dalla matematica alle scienze umane. Il rapporto tra ricerca di base e ricerca applicata trova un buon equilibrio con i Progetti Finalizzati. Come incubatore di nuove iniziative: è dalle costole del Cnr che nascono sia istituzioni di grande qualità sia nell'ambito della ricerca di base (come l'Infn, l'Istituto nazionale di fisica nucleare) sia di ricerca applicata (il Cnen, il Comitato nazione per l'energia nucleare o il Progetto San Marco con cui Luigi Broglio fa dell'Italia il terzo paese a inviare un satellite nello spazio). Non sono mancati negli ultimi anni le polemiche sul Cnr. Molte sono state del tutto pretestuose. Come quelle che hanno dipinto l'Ente come una sorta di carrozzone improduttivo. Malgrado il continuo taglio di fondi e le continue riforme (a costo zero) il Cnr è tra i primi centri di ricerca al mondo per produttività. Le riforme, appunto. Negli ultimi vent'anni sono state diverse. E di diverso segno. Una, quella tentata una decina di anni fa da Letizia Moratti, ha teso a erodere l'autonomia dell'Ente e, nel medesimo tempo, a ridurlo a una sorta di grande centro di sviluppo tecnologico per le imprese italiane. Ma l'allora presidente, Lucio Bianco, seppe resistere con grande dignità e notevole efficacia. Restano gli interrogativi per il futuro. Quale ruolo per il Cnr? Non è semplice rispondere a questa domanda. Neppure per un presidente, Luigi Nicolais, e un ministro per la ricerca, Maria Chiara Carrozza, certamente competenti. L'ente non ha più la funzione di agenzia. Ma deve continuare a svolgere ricerca, di base e applicata, ad ampio spettro. Deve inoltre recuperare la capacità di incubare e gemmare nuove piste di ricerca. Nuove iniziative. Perché se non lo fa il Cnr non lo fa nessuno. Per realizzare tutto questo Luigi Nicolais e Maria Chiara Carrozza dovranno recuperare risorse. E non sarà facile. Ma potranno operare al meglio se terranno presenti le indicazioni di Volterra: autonomia, interdisciplinarità e internazionalità. E soprattutto se si porranno nella prospettiva di Volterra: fare del Cnr la leva per portare il paese, dopo trent'anni di declino economico, nell'era della conoscenza. Perché, proprio come un novant'anni fa, l'Italia non è nel novero dei Paesi più avanzati. E solo puntando sulla scienza può sperare di recuperare il tempo perduto. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 20 Giu. ’13 INSEGNARE IN INGLESE PUÒ AIUTARE LA CULTURA ITALIANA I corsi di laurea in lingua inglese rappresentano un valore o una minaccia per la cultura italiana? Il tema ha suscitato polemiche con riflessi giudiziari (ad esempio il ricorso del Politecnico di Milano contro la decisione del Tar che vieta l'insegnamento esclusivo in inglese). Una cosa è indubbia: i corsi di laurea internazionali, se qualificati, consentono di attrarre dall'estero i migliori cervelli, che rappresentano l'oro (grigio!) del millennio. Ma quali sono i fattori che trattengono i cervelli originari e attirano quelli stranieri? E quali quelli che li allontanano? Da un'analisi effettuata da due italiani (Andrea Ariu e Mara Pasquamaria Squicciarini) nel Dipartimento di Economia dell'Università Cattolica di Lovanio, è emerso un elemento nuovo nel balance of brains: l'"indice di corruzione" dei singoli Paesi, costituito da legami di famiglia, denaro e affiliazioni politiche. Maggiore è il livello di corruzione basato su questi parametri più negativo è il flusso di cervelli. E, non a sorpresa, il nostro Paese costituisce un esempio negativo. L'analisi, pubblicata su Embo reports e ripresa da altre autorevoli riviste, cita come esempio un dato da cui emerge l'importanza del "bilancio" dei cervelli: nel 2009, ben cinque degli otto scienziati statunitensi cui fu assegnato il Premio Nobel non erano originari degli Usa. L'arrivo di talenti dall'esterno, di per sé, contribuisce allo stato di salute di un sistema di ricerca mettendo in discussione gli elementi di corruzione individuati: è uno spunto di riflessione interessante per il nostro Paese, che negli ultimi anni - in linea con quanto accade nel resto del mondo - ha posto crescente attenzione all'internazionalizzazione. Così oggi uno dei criteri di valutazione (e finanziamento) delle Università è proprio l'internazionalizzazione. Che, perché sia reale, non può essere solo un riflesso della presenza dei figli degli immigrati, italiani a tutti gli effetti eccetto che all'anagrafe. In questo contesto, avere corsi internazionali altamente qualificati che attirino giovani di talento è un valore aggiunto. Non dobbiamo essere una "seconda scelta" per gli stranieri che non passano i test di ammissione nei rispettivi Paesi. È fondamentale avere una soglia di entrata qualitativa e molti atenei hanno fatto importanti passi avanti: ad esempio, per accedere all'International Medical School, il corso di laurea internazionale in Medicina dell'Università degli Studi di Milano che ha sede in Humanitas, è necessario superare un test di ingresso di Cambridge. Per l'anno accademico 2013/2014, per 60 posti disponibili le richieste sono state più di 1.500, di cui oltre 600 di stranieri. In corsi come questo, cui partecipano studenti di tutto il mondo (quasi la metà dei nuovi iscritti per l'anno accademico 2012/2013 non sono italiani e provengono da Paesi diversi, sia dell'Ue sia extra UE) l'utilizzo della lingua inglese per l'insegnamento è un elemento imprescindibile e naturale. Una reale dimensione internazionale, quindi, dovrebbe già di per sé far superare la diatriba - forse un po' anacronistica - sull'insegnamento in quella che, non dimentichiamolo, è la lingua della Scienza. Inoltre, una forte componente internazionale nei corsi universitari è un valore aggiunto anche per i nostri studenti: li abitua a vivere in un ambiente più stimolante, aperto al confronto con coetanei di culture diverse. Può sembrare paradossale, ma la dimensione internazionale dei corsi e l'insegnamento in inglese è il miglior modo che abbiamo per promuovere la cultura italiana. Attraendo giovani che, vivendo nel nostro Paese per anni, imparano la nostra lingua, mangiano il nostro cibo, stabiliscono legami ed amicizie con gli italiani. Insomma respirano in tutto e per tutto la nostra cultura ed i nostri valori, e quando ritornano nei rispettivi Paesi d'origine contribuiscono a diffonderli. L'augurio - e la concreta speranza - è che avere corsi in inglese altamente qualificati e studenti di talento da tutto il mondo inneschi un circolo virtuoso che renda il nostro sistema meno condizionato da legami familiari, politici ed economici. E, dunque, più attrattivo per i migliori cervelli. L'autore è direttore scientifico dell'Istituto Clinico Humanitas - Irccs e docente all'Università degli Studi di Milano _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 Giu. ’13 RIFINANZIATI I MASTER AND BACK CAGLIARI Lo sportello Move, il Master and Back rifinanziato e la novità del Back-impresa: sono queste le carte dell’Agenzia regionale del lavoro per promuovere e incentivare la mobilità dei giovani all’estero. «In momenti di forte crisi economica – ha detto il direttore Stefano Tunis – dobbiamo puntare sulla filiera del sapere e sfruttare al massimo i finanziamenti europei per guidare la formazione culturale e imprenditoriale di chi non fugge dalla Sardegna, ma vuole contribuire allo sviluppo dell’isola». Move. Lo sportello sarà aperto da oggi negli uffici dell’Agenzia del lavoro, in via Is Mirrionis 195, a Cagliari, e potrà essere consultato anche all’indirizzo www.movesardegna.eu. L’obiettivo di Move è assistere i giovani che vogliono sfruttare i programmi per la mobilità: dal programma Erasmus per futuri imprenditori ai tirocini Leonardo da Vinci in imprese all’estero. Move sarà di supporto anche per chi vuole partecipare ai progetti di intercultura previsti dal Servizio volontario europeo. Ieri alla presentazione del progetto, oltre 100 ragazzi europei hanno raccontato la loro esperienza e per tutti il verdetto è stato: entusiasmante. MB-impresa. L’assessore al Lavoro, Mariano Contu, ha annunciato che il progetto Master and Back è stato rifinanziato con 11,5 milioni, il bando sarà pubblicato a breve, ma la vera novità è il Back-impresa. «Vogliamo – ha detto – che i nostri giovani quando rientrano dall’esperienza all’estero, siano messi nelle condizioni di essere affiancati nei loro progetti imprenditoriali ed evitare così che la loro alta formazione finisca per essere dispersa». L’incubatore d’impresa e il bando saranno organizzati e gestiti in tempi rapidi dall’Agenzia Bic Sardegna per lo sviluppo locale. (ua) _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 20 Giu. ’13 AL VIA IL MEETING DI TUTTI GLI ATENEI INSULARI Università da ogni parte del mondo per l’assemblea in programma nella sede di Porto Conte Ricerche ALGHERO Stamattina e per tutta la giornata di domani l' Auditorium della Porto Conte Ricerche a Tramariglio sulla fascia costiera che conduce a Capo Caccia , sotto l'egida organizzativa dell’Università di Sassari, ospiterà l’assemblea generale e il simposio del Reti, (Réseau d’Excellence des Territoires Insulaires), un consorzio che riunisce 26 atenei insulari in tutto il mondo. All’evento, di chiara importanza internazionale, parteciperanno tra gli altri l’Università di Cagliari, l’Università degli Studi di Palermo, l’Università di Corsica Pasquale Paoli, l’Università delle Higlands and Islands (Uhi, Scozia), l’Università Prince Edward Island (Canada), la Universitat de Barcelona (Icrea), la Universidad de Las Palmas de Gran Canaria, l’Università di Creta, la University of Laguna (Canarie), l’Università delle Isole Egee, il Technological education institute of the ionian islands (Grecia). Il summit degli atenei insulari si aprirà oggi alle 9.30 con una con una conferenza stampa alla quale interverranno il magnifico Rettore dell’Università di Sassari professor Attilio Mastino, il professor Paul- Marie Romani, Rettore dell’Università di Corsica e Presidente di Reti, il professor Antoine Aiello dell’Università di Corsica Pasquale Paoli, Direttore di Reti. Domani invece nell’Aula Magna dell’Università di Sassari, a partire dalle 19, le conclusioni del meeting saranno affidate al Rettore Attilio Mastino e alla Delegata all’Internazionalizzazione Maria Antonietta Zoroddu. Per quanto riguarda la giornata odierna, la prima fase dei lavori, dopo la conferenza, prevede lo svolgimento della assemblea generale per il rinnovo delle cariche, a cominciare da quella dell'attuale presidente Paul Marie Romani. Nel pomeriggio si terranno due sessioni si carattere scientifico. La prima riguarderà archeologia, storia, antropologia, sociologia e lingue, mentre la seconsa interesserà le scienze marine, oceanografia, biofisica, zoologia e botanica. Gli ospiti , un centinaio di persone, vivranno domani mattina un momento di carattere turistico :visiteranno Alghero e il suo territorio. Una operazione quindi anche di tipo promozionale per la Riviera del Corallo decisamente positiva per la presenza di ospiti provenienti da ogni parte del mondo. (g.o.) _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 L'ITALIA NON SPENDE IL 60% DEI FONDI EUROPEI» Moavero: trenta miliardi già assegnati a noi e inutilizzati, questo ritardo è insostenibile Il Patto per la crescita prevede incentivi per le imprese, ed è in atto la revisione delle leggi sugli appalti pubblici ROMA — Il governo sta cercando in tutti i modi le coperture per riformare Iva e Imu, ma restiamo un Paese che non è ancora riuscito a spendere «circa il 60% dei fondi strutturali europei disponibili». Lottiamo per ottenere un anticipo dei fondi Ue contro la disoccupazione giovanile, ma «dei non trascurabili finanziamenti europei per ricerca, innovazione e sviluppo tecnologico riusciamo a utilizzare poco più del 50% della quota a cui potremmo aspirare». Parlare con Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Affari europei con Monti e poi con Letta, negoziatore per eccellenza dei principali dossier che riguardano l'Italia a Bruxelles, significa anche elencare una serie di occasioni non sfruttate. Oltre che di falsi miti. Il dibattito italiano è spesso racchiuso nella cornice ripetitiva di ciò che l'Europa può fare, o dovrebbe fare, per noi; la prospettiva di Moavero è piuttosto fatta di opportunità e vincoli reali: su Iva come su Imu «ciò che importa è il mantenimento dei saldi netti finali»; su «una diversa valutazione degli investimenti pubblici produttivi troppo spesso si dimentica che parliamo di una flessibilità appannaggio dei Paesi cosiddetti virtuosi, dunque entro il limite invalicabile del 3% di deficit annuale». Cosa si attende l'Italia dal prossimo Consiglio europeo? Letta vuole «risultati concreti». «Contiamo di ottenere risultati tangibili per gli interessi del Paese. In primo luogo la focalizzazione della lotta alla disoccupazione giovanile, che sta diventando un obiettivo europeo, anche per merito dell'iniziativa del nostro governo. In questo quadro miriamo a un'accentuazione del riorientamento dei fondi strutturali. Nel bilancio europeo in corso, 2007-2013, c'è all'incirca un 60% di fondi assegnati all'Italia e non spesi, un livello di impiego che varia intorno al 40%. Un ritardo che è diventato un costo insostenibile, considerato il cofinanziamento nazionale parliamo di un cifra pari a circa 30 miliardi di euro. Invece di trascurare per negligenza risorse strategiche, stiamo puntando a rimodularle a favore dell'occupazione delle fasce più giovani della popolazione. E nel bilancio Ue 2014-2020 abbiamo l'intero ammontare a disposizione, oltre 55 miliardi di euro, che dobbiamo iniziare subito a programmare». Misure importanti, ma l'impressione è che siano iniziative di lungo periodo e con scarsa ricaduta concreta sull'economia. «Capisco questa percezione, ma non è corretta. L'anticipo della possibilità di spendere la nuova linea contro la disoccupazione giovanile, 6 miliardi di euro, anche se non particolarmente capiente, sarà molto importante per i suoi effetti. Puntiamo ad ottenere l'impiego di questi fondi già all'inizio del 2014, con una programmazione puntuale entro la fine di quest'anno, per poi consentire che miri a un rifinanziamento del programma». Saranno solo poche centinaia di milioni di euro, mentre nella maggioranza c'è chi reclama uno choc economico. Non è troppo poco? «È vero che su molte politiche europee si è persa una visione d'insieme, non si è comunicato a dovere sugli effetti positivi dei provvedimenti, che non sono sempre stati attuati con la dovuta celerità. Ma anche per questo il prossimo Consiglio Ue sarà importante. A un anno dall'adozione del Patto per la crescita e l'occupazione verrà fatta una valutazione sullo stato di attuazione del piano, che prevede numerosi incentivi per imprese e microimprese, per il sistema industriale europeo. È inoltre in atto una revisione delle cruciali norme degli appalti pubblici. Sono tutti temi vitali per il nostro sistema Paese, così come la cosiddetta unione bancaria, su cui stiamo facendo passi avanti, tema che può sembrare astratto ma che invece riguarda la garanzia del risparmio dei cittadini europei e influenza le valutazioni degli investitori esteri». Usciremo in modo ufficiale dalla procedura di infrazione per extradeficit. Da settimane si dibatte sui vantaggi finanziari per il Paese. Sono sopravvalutati? «Non credo. Aumenta la nostra credibilità sui mercati, la nostra capacità di incidere sulle politiche della Ue, otteniamo vantaggi significativi sul costo del finanziamento del debito pubblico e maggiore libertà di fare alcuni investimenti pubblici produttivi». Li scomputeremo dal deficit? «No. Dovremo sempre restare al di sotto del 3%. Spesso si ritiene che questi investimenti non verranno calcolati ai fini del deficit. Ma non stiamo parlando di scorporo, di golden rule, che al momento resta un dibattito soprattutto per economisti. La contabilizzazione non può non esserci, solo che la valutazione in sede europea su una parte del deficit potrà essere positiva, una sorta di deficit virtuoso, cosa non indifferente per i mercati e per gli investitori. E al momento esiste una riflessione in corso su cosa debba intendersi per investimenti pubblici produttivi». Marco Galluzzo mgalluzzo@rcs.it _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 21 Giu. ’13 VELIVOLI SPAZIALI, SUCCESSO PER L'ÉQUIPE DI CAO Materiali resistenti ad alte temperature, brevetto europeo ai ricercatori VEDI LA FOTO Un processo innovativo per la produzione di materiali resistenti a temperature oltre i 2000 gradi e destinati ad aerei supersonici. Il brevetto europeo concesso ai ricercatori del dipartimento di Ingegneria meccanica, chimica e dei materiali dell'Università, guidati da Giacomo Cao, riguarda un'innovazione di processo per la produzione di materiali innovativi detti Uhtc (Ultra High Temperature Ceramics), adatti alla realizzazione del naso e dei profili alari dei velivoli ipersonici. Su questi mezzi è richiesta un'elevatissima resistenza all'ossidazione alle alte temperature (oltre 2000 gradi) che si raggiungono in corrispondenza di queste parti dell'aeromobile. Una fase cruciale del processo passa attraverso l'utilizzo della tecnologia Sps di concezione giapponese, importata per la prima volta in Italia nel 2003 dal gruppo di ricerca del professor Cao. Il brevetto è stato concesso a Giacomo Cao, Roberta Licheri, Antonio Mario Locci e Roberto Orrù dopo oltre sei anni dalla data di deposito della domanda. «I tempi - spiega Cao, ordinario di Principi di ingegneria chimica - sono stati determinati dalla necessità di far recepire agli esaminatori internazionali quali fossero le innovazioni introdotte. Nei settori scientifici come quello aerospaziale, gli esaminatori sono molto cauti nel concedere il brevetto». Brevetto che, sulla base di un accordo siglato con lo spin off IM srlm, sarà acquistato dallo spin off stesso a un prezzo già concordato. L'acquisto dovrebbe avvenire entro la fine dell'anno. Nell'accordo siglato con l'università di Cagliari i costi di mantenimento del brevetto dopo la sua sottomissione, sono stati coperti dallo spin off che continuerà a mantenere il brevetto in vita. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 LA CULTURA RIEMPIE LA MENTE. O LA BOCCA? di MAURO COVACICH Intervistatori che non leggono il tuo libro, presentazioni davanti a studenti annoiati o a degustatori di vini. Ma in Germania pagano per ascoltarti (anche i ministri) Al Salone del Libro appena trascorso, verso la fine di un pomeriggio piuttosto concitato, raggiungo il padiglione 5 per un'intervista. Mi aspettano un ragazzo e una ragazza sui trenta, giornalisti di nuova generazione di quelli che lavorano con le telecamerine e poi caricano il materiale sui siti dei giornali. Lei prepara la camera, lui mi spiega: «Le faremo quattro domande». «Quanto durerà?», chiedo. «Due minuti» dice e mi descrive le domande raccomandandomi di includerle nella risposta, visto che loro due resteranno in silenzio fuori campo. «La terza è sulla cultura», dice lui. «In che senso sulla cultura?», chiedo. «Be', insomma, sulla cultura, sull'importanza della cultura» e mi indica i fiumi di persone che passano fuori dalla postazione, alcuni con borse cariche di libri. Quindi avrò trenta secondi per spiegare l'importanza della cultura. E mentre penso all'assurdità di dover trovare una pillola di saggezza e alle risate di quelli che ci si imbatteranno navigando, lui dice: «La quarta domanda è un brano dal suo libro». «Io però non mi sono portato il libro», dico. «Non si preoccupi» e si volta verso la collega che prontamente gli sta passando una copia del mio libro, ancora chiusa nel cellophane. Io li guardo allibito, al che lui con aria complice mi dice: «Eh sì, l'abbiamo letto proprio bene». Quando gli rifiuto l'intervista e giro sui tacchi, lui mi grida dietro: «Non possiamo certo leggerli, i libri». Ecco la risposta sulla cultura, penso. Capisco che la sua indignazione è ancora maggiore della mia. Per lui siamo solo due ingranaggi dello stesso sistema, due addetti del settore, io vendo e lui offre uno spazio promozionale. La ragione all'origine del nostro incontro è solo un pretesto, un segno di riconoscimento, non posso pretendere che sappia qualcosa del mio libro. In quanto produttore di cultura, devo dire che la cultura è importante, l'intervista serviva a questo, ad alimentare il sistema a cui apparteniamo, una sottoclasse dell'intrattenimento rivolto al «ceto medio riflessivo» (Paul Ginsborg). In un periodo di ghiande e bacche come il nostro, la cultura è diventata un prodotto che tira. Incontri, letture, festival, cibo per la mente. Ma quanto ci interessa — intendo, quanto ci interessa davvero — nutrirci con un simile cibo? La cultura si mangia o non si mangia (Giulio Tremonti)? Di certo ci riempie la bocca. Se ne parla dappertutto, il che di solito è il primo sintomo di coda di paglia. Non a caso i discorsi sull'importanza dei libri aumentano e i lettori diminuiscono. Chiunque ami la cultura — intendendo con questa l'insieme delle espressioni artistiche e scientifiche dello spirito umano — sa di non esserci arrivato grazie ai discorsi doverosi, monumentali, pletorici sull'importanza della cultura, bensì per curiosità personale, imitando le persone che gli piacevano, scoprendo un nuovo particolare godimento. Si diventa colti senza sapere perché. Ma devo stare al gioco, sono un addetto del settore, sono tenuto ad alimentare il grande discorso sulla cultura. Quindi vado a Trani e partecipo a un dibattito su Scrivere l'Europa. Quattro scrittori e un moderatore alle dieci di sabato mattina davanti a una platea gremita in gran parte dai soliti poveri deportati delle scuole superiori. Il primo scrittore spiega l'importanza della cultura classica, dice che è appena tornato da un'università australiana dove, quando non lo capivano, parlava in latino (sic). La seconda spiega che la sua è una scrittura di confine anche se lei è di Vicenza, e poi parla del suo bisogno di trascendenza. I deportati in sala si guardano. Quando tocca a me, racconto l'Europa che conosco: nell'asilo di Basovizza, Carso triestino, i bambini sloveni e i bambini italiani hanno aule separate, cortili separati per la ricreazione. Basovizza è nota per le foibe di Tito, da cui sono passati quasi settant'anni. Ma tutto l'altipiano carsico funziona così. Due amici torinesi, con i figli nella scuola elementare bilingue di Contovello, mi hanno raccontato di aver combattuto a lungo prima di ottenere che la festa di fine anno fosse comune, una conquista così clamorosa da finire sul «Piccolo», il quotidiano cittadino. Mille proclami di fratellanza, mille gemellaggi, mille vie dei poeti. Discorsi. Con la cancellazione del confine il rancore non è sparito, è solo sceso sottotraccia. Ma è normale. Gli sloveni del Carso hanno subìto il fascismo e un'italianizzazione coatta, a cui ora, a pace fatta, si aggiunge la gentrification: italiani benestanti che prendono casa nei loro graziosi villaggi contadini. Ecco l'odio declinato nella sua forma più moderna, l'odio condominiale. Certo, a quelle maestre gioverebbe un po' di cultura, una presa di coscienza della nuova identità europea, ma sono solo discorsi. Come il mio, davanti a questi poveri scolari annoiati. Torno a Trieste a presentare il mio libro nel parco di San Giovanni, l'ex ospedale in cui Franco Basaglia inventò la psichiatria contemporanea, ora rinnovato da un vasto roseto. L'iniziativa accordata al nuovo look del posto è di quelle fusion, biblio-enoteca: io e la mia presentatrice stiamo schiantati al sole di fronte a un pubblico sparso tra le rose con un calice di vino in mano. L'organizzatore interviene più volte per rassicurare i presenti che il famoso produttore di ribolla sta arrivando, io devo solo rendere meno faticosa l'attesa. Chiacchiere, letteratura da piano-bar. Eppure non si fanno dappertutto discorsi. In Germania ad esempio, nell'orrenda Germania persecutrice e strozzina, se ne fanno pochi. A Berlino leggo davanti a una sessantina di persone che hanno pagato un biglietto e poi in buona parte verranno a farsi firmare il libro. Ricevo, direttamente dalla cassa della libraia, un compenso per la serata, piccolo ma pieno di valore, il modo più semplice per riconoscere la cosiddetta importanza della cosiddetta cultura. Ma vengo ricompensato anche il giorno dopo, quando partecipo a un convegno sul Mediterraneo al Literarisches Colloquium Berlin, dove insieme a tre scrittori tedeschi, due albanesi e un'italo-croata leggo davanti a duecento persone che, dopo ogni coffee break, riprendono i loro posti, alcuni con i libri che hanno appena acquistato al banchetto. Nelle sei ore di letture non posso evitare di notare una signora che ho visto anche la sera prima in libreria. Chiedo se qualcuno la conosce, mi ridono in faccia: è l'ex ministro della Cultura, Christine Weiss. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 CASALEGGIO: LA DEMOCRAZIA VA RIFONDATA Forza del web e «inerzia» della politica «Un nuovo contratto tra cittadini ed eletti: referendum per sfiduciare i parlamentari Oggi temo guerre per l'acqua o il petrolio» di SERENA DANNA Casaleggio, l'enciclopedia online Wikipedia definisce democrazia digitale «la forma di democrazia diretta in cui vengono utilizzate le moderne tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle consultazioni popolari». Si ritrova in questa definizione? «No, la democrazia diretta, resa possibile dalla Rete, non è relativa soltanto alle consultazioni popolari, ma a una nuova centralità del cittadino nella società. Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno. La democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato. È una rivoluzione prima culturale che tecnologica, per questo, spesso, non viene capita o viene banalizzata». La democrazia diretta sostituisce il Parlamento? «È più corretto dire che ne muta la natura, gli eletti devono comportarsi da portavoce, il loro compito è sviluppare il programma elettorale e mantenere gli impegni presi con chi li ha votati. Ogni collegio elettorale dovrebbe essere in grado di sfiduciare e quindi di far dimettere il parlamentare che si sottrae ai suoi obblighi in ogni momento attraverso referendum locali». Lei ha sostenuto che la politica del futuro sarà fatta dai cittadini senza intermediazione dei partiti. Un sistema di democrazia diretta implica modifiche sostanziali della Costituzione, quali? «Le più immediate sono il referendum propositivo senza quorum, l'obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi di iniziativa popolare, l'elezione diretta del candidato che deve essere residente nel collegio dove si presenta, l'abolizione del voto segreto, l'introduzione del vincolo di mandato. È necessario rivedere l'architettura costituzionale nel suo complesso in funzione della democrazia diretta». In Italia un terzo della popolazione non è connesso a Internet. Tra i 40 milioni che si connettono almeno una volta al giorno, tanti ne fanno un utilizzo non funzionale alla partecipazione politica e al dibattito costruttivo. Come si coniuga il divario digitale con una politica mediata attraverso il web? «Il digital divide in Italia è evidentemente voluto, se gran parte dei cittadini non può ancora connettersi alla Rete o non dispone della banda larga. Il MoVimento 5 Stelle ha ovviato a questo con incontri nelle piazze, attraverso banchetti presenti sul territorio e con il volantinaggio porta a porta. Si tratta in ogni caso di un periodo transitorio, nel tempo la maggioranza assoluta degli italiani sarà collegata in Rete. Internet diventerà come l'aria, come profetizzò Nicholas Negroponte». In un sistema di democrazia digitale come avviene la selezione della leadership e della classe dirigente? «La selezione deve essere fatta "dal basso", dai cittadini, che propongono le persone più adatte e di cui conoscono la storia e le competenze. Va considerato che il concetto di leadership è estraneo alla democrazia diretta. I movimenti di democrazia diretta rifiutano il concetto di leader. Occupy Wall Street, per esempio, ha coniato per sé stesso il neologismo leaderless, senza leader». Una politica fondata sul non-luogo del web che rapporto ha con il territorio fisico? «Il web non sostituisce il luogo fisico, ma lo integra e lo completa. Da anni si sta diffondendo la cosiddetta "realtà aumentata" che attraverso gli smartphone, i tablet e ora Google glass, consente di avere in tempo reale, mentre ci si sposta, informazioni su tutto ciò che ci circonda. In futuro sarà normale interagire con gli oggetti che ci circondano collegati in Rete. Lo stesso MoVimento 5 Stelle è nato dai cosidetti Meetup, attraverso un'applicazione di Rete di una società di New York che permette di incontrarsi in luoghi fisici sul territorio in ogni luogo del mondo e, allo stesso tempo, di condividere pensieri, documenti, filmati nel mondo digitale. Web e realtà sono destinati a fondersi». Uno dei più grandi progetti di politica partecipativa di Obama, il portale aperto ai cittadini di petizioni online «We the People», ha raccolto in 3 anni solo 36 petizioni e la più votata può contare su 101 mila voti. Probabilmente la maggior parte degli elettori non ha e non vuole avere un'opinione su tutto: i cittadini non hanno né il tempo né le risorse cognitive per occuparsi delle politiche pubbliche e per questo delegano a esperti. Cosa ne pensa? «In Rete, come nella realtà, è impossibile essere competenti su tutto. Però la Rete consente a gruppi con conoscenze e interessi simili dislocati nel mondo di mettersi in contatto e di formare una conoscenza superiore su qualunque aspetto in tempi molto brevi, condividendo esperienze e fatti». Si dice che il conflitto — il confronto tra posizioni divergenti — sia il sale della democrazia. Vale anche per la democrazia digitale? «Le discussioni e i confronti in Rete sono continui attraverso i forum, le chat, i social media in una dimensione inimmaginabile prima nel mondo reale, e ciò avviene tra persone che vivono in ogni parte del pianeta. La domanda andrebbe rovesciata: "Il livello di confronto presente su Internet esiste nel mondo reale?"». Segretezza (nelle trattative) e leaderismo sono due caratteristiche della politica. Crede che il web possa eliminarle? Perché è giusto farlo? «La trasparenza è uno dei princìpi di Internet e credo diventerà in futuro obbligatoria per qualunque governo o organizzazione. Non è corretto che qualcuno decida per i cittadini in base a logiche imperscrutabili e senza renderne conto. Il parlamentare o il presidente del Consiglio è un dipendente dei cittadini, non può sottrarsi al loro controllo, in caso contrario non si può parlare di democrazia diretta e forse neppure di democrazia». Nel video del 2009 «Gaia» viene annunciata la nascita di un nuovo ordine mondiale, dove vige un sistema di democrazia diretta basata sulla Rete. Il nuovo governo mondiale nasce il 14 agosto 2054. Lei è nato il 14 agosto 1954. C'è una relazione tra le date? «Un gioco, come è stato un gioco la creazione del video, come è avvenuto per il video Prometeus che ipotizza il futuro dei media. Comunque che in futuro sia possibile una guerra mondiale — che non auspico — per le risorse come il gas, l'acqua e il petrolio, non sono certo l'unico a dirlo, e un governo mondiale con forti autonomie nazionali può essere nell'ordine delle cose». Crede ancora — come si vede in «Gaia» — che nel 2020 ci sarà una terza guerra mondiale tra il blocco occidentale delle democrazie dirette (via web) e il blocco composto dalle «dittature orwelliane» di Cina, Russia e Medio Oriente? «La Rete rende possibili due estremi: la democrazia diretta con la partecipazione collettiva e l'accesso a un'informazione non mediata, oppure una neo-dittatura orwelliana in cui si crede di conoscere la verità e di essere liberi, mentre si ubbidisce inconsapevolmente a regole dettate da un'organizzazione superiore. Può essere che si affermino entrambi. Certo, è molto più probabile che il controllo totale dell'informazione e l'utilizzo dei profili personali dei cittadini relativi a qualunque aspetto della loro vita avvenga nei Paesi dittatoriali o semi dittatoriali e che la democrazia diretta si sviluppi nelle democrazie occidentali e che queste aree in futuro confliggano». L'idea di «intelligenza collettiva» descritta in «Gaia» implica un futuro (ipotizzato nel 2050) in cui i cittadini possano risolvere problemi complessi attraverso la condivisione di informazioni e dati online. Si ritrova ancora in quella visione? «L'idea non è nuova e risale almeno all'inizio degli anni Ottanta, prima di internet. Nel 1983 partecipai a Stoccolma a una conferenza sui "sistemi esperti", applicazioni che condividevano i dati a livello mondiale per migliorare l'analisi su aspetti specifici, ad esempio sulle patologie del corpo umano. Con la Rete l'aggregazione di intelligenze a livello planetario potrà aiutarci a risolvere problemi considerati senza soluzione». Lei è convinto che Internet e, in generale, le nuove tecnologie possano solo migliorare il rapporto dei cittadini con politica, economia, finanza. Gli ultimi anni hanno, in parte, smentito il tecno-ottimismo: attraverso il web si rafforzano anche gli estremismi; l'utilizzo massiccio del trading ad alta frequenza è stato tra le cause della crisi finanziaria del 2007-2008. Si sente ancora un «evangelista di Internet»? «Non sono un evangelista di Internet, ma qualcuno che cerca di prevederne gli effetti sulla società, che possono essere positivi, ma anche negativi. In complesso, comunque, credo che internet apra all'umanità per la prima volta l'era della partecipazione e della conoscenza. Se questa porta verrà aperta o meno e come non posso dirlo, ma sono fiducioso». Che idea ha di Julian Assange e dell'operazione Wikileaks? «Ho un'ottima opinione di Assange. Ha rischiato e si è posto contro poteri enormi. La trasparenza in Rete è un'arma assoluta e lui l'ha usata. Spero di incontrarlo a Londra nei prossimi mesi». Potrebbe indicarci dei punti di riferimento teorici per capire la rivoluzione digitale? «La letteratura è molto ampia e multidisciplinare. Per avere un'idea della Rete e del suo impatto, è necessario rivolgersi ad autori provenienti da discipline differenti tra loro, come la matematica, la fisica, l'informatica, la sociologia, la statistica, le scienze politiche e della comunicazione, la linguistica. È necessario un approccio trasversale. Tra i testi che considero di riferimento vi sono Emergence di Steven Johnson, Six Degrees di Duncan Watts, Smart Mobs di Howard Rheingold, The Tipping Point di Malcom Gladwell, Free Culture di Lawrence Lessig e Linked di Albert-Laszlo Barabasi». Nei lavori della Casaleggio Associati viene spesso messo in risalto il ruolo dei colossi del web (da Google ad Amazon) come intermediari della nuova produzione informativa e culturale. Non teme che la concentrazione di tecnica e sapere nelle mani di un oligopolio economico — come quello rappresentato dalle aziende in questione — sia una minaccia per il libero mercato e per una equa distribuzione di risorse? «Il rischio è reale. Facebook e Google e altri colossi del web conoscono di noi più dei nostri amici e in futuro sapranno ancora di più. Queste informazioni possono essere utilizzate per vari scopi, non solo per proporci dei prodotti o dei servizi, come è stato evidenziato dal cosiddetto "Datagate". È opportuno un controllo più stretto sulla gestione dei dati personali da parte dei governi, un nuovo sistema di regole. I dati personali, a mio avviso, appartengono alla persona, non alla piattaforma che li usa o ai motori che li catturano attraverso le nostre ricerche, e dovrebbero essere sempre esterni alle applicazioni di Rete». Lei scrive che la Rete è «anti-capitalista e francescana», eppure i colossi che la dominano sembrano essere i prodotti più avanzati del capitalismo neoliberista. Cosa ne pensa? «Il capitalismo non è morto con internet ed è ovvio che lo sfrutti per ottenere il massimo di profitto, ma non credo che questa sia la tendenza nel lungo termine. In Rete le idee hanno un valore superiore al denaro. Il MoVimento 5 Stelle ne è una prova. Ha ottenuto un grande risultato politico senza soldi, grazie alla partecipazione diretta dei cittadini e alla condivisione delle proposte. Altri esempi sono il software libero, che permette a chiunque di scaricare dalla Rete gratuitamente decine di migliaia di applicazioni, o il copyleft (il contrario del copyright) su opere letterarie, video, immagini, brani musicali che ne consente l'uso senza alcun costo». Il progetto Narvalo del team tecnologico della campagna presidenziale per la rielezione di Barack Obama ha fatto un massiccio uso delle tecniche di «data-mining» (estrazione e raccolta di dati) per convincere gli elettori prima a finanziare la campagna e poi a votare per il presidente. Tanti hanno descritto l'operazione come un esempio di innovazione politica, altri come una minaccia per la privacy dei cittadini. Lei cosa ne pensa? «Con la Rete il vecchio concetto di privacy non è più realistico e lo sperimentiamo ogni giorno su noi stessi. Se i dati sono pubblici non ci sono violazioni, bisogna considerare che esistono decine di dati pubblici accessibili su di noi e che la loro aggregazione consente di ottenere un profilo molto dettagliato. Aggregatori come il sito americano Spokeo consultano in tempo reale decine di social network e di fonti pubbliche fornendo informazioni accurate in tempo reale sul profilo delle persone». Il Partito Pirata tedesco, il primo in Europa a utilizzare la Rete come simbolo e strumento della propria battaglia politica, sta registrando nei sondaggi un fortissimo calo dei consensi. Molti attribuiscono il calo di popolarità del partito al focus su temi specifici. Ciò che è stato decisamente un punto di forza all'inizio, si sarebbe rivelato una debolezza: l'incapacità di dare risposte al cittadino su diversi temi cruciali della sua quotidianità avrebbe creato disaffezione. Qual è il suo punto di vista? «Io credo che siano necessari, oltre al cambiamento legato a obiettivi specifici come il copyright, una forte capacità organizzativa, delle persone di riferimento e un progetto complessivo. Un progetto politico di Rete deve avere un respiro più ampio che non la sola soluzione di problemi contingenti, vanno ripensate le istituzioni e la società nel medio termine. Tutto cambierà. Il cittadino deve diventare istituzione. Le regole del gioco stanno cambiando». La comunicazione via web del Movimento 5 Stelle sembra replicare un modello «broadcasting»: un blog-testata che comunica il messaggio dall'alto al basso, da uno a molti, per arrivare — effetto cassa di risonanza — su altri media: tv, radio, giornali. La presenza sui social media del M5S appare poco «social»: Beppe Grillo segue e ritwitta solo affiliati del movimento e non risponde mai su Twitter... «La presenza di Beppe Grillo e del M5S è ovunque in Rete, non solo nel blog, ma in tutti i principali social media, nella piattaforma Meetup. La comunicazione, più che da uno a molti, avviene tra coloro che li frequentano. I post di Grillo sono l'avvio di una conversazione collettiva. Le domande più frequenti poste a Grillo in Rete spesso diventano materia di nuovi post che sono una forma di risposta altrimenti impossibile per i milioni di contatti». È caduto il «divieto» per gli esponenti del Movimento di andare in televisione. Perché? «Il divieto non è mai esistito nei confronti della televisione, ma verso i talk show, contesti nei quali non è possibile esporre le proprie idee in modo puntuale e che vivono di contrapposizioni suscitate ad arte per motivi di share. Il M5S ora è in Parlamento e la sua visibilità sarà necessariamente maggiore anche nelle televisioni che vanno considerate, comunque, un media in via di estinzione, anche per motivi economici legati alla diminuzione del gettito pubblicitario. Nel 2012 le sette principali emittenti nazionali hanno perso mezzo miliardo di euro e il 2013 è tutt'altro che incoraggiante». Può dirci in che fase è la piattaforma di partecipazione politica del Movimento 5 Stelle e in cosa somiglierà e divergerà dal software LiquidFeedback utilizzato dal Partito Pirata tedesco? «Il termine esatto è applicazione, più che piattaforma. Il software utilizzato consentirà ai parlamentari di presentare in anteprima le loro proposte di legge agli iscritti che potranno integrarle, commentarle, "complementarle" entro un periodo determinato; inoltre in futuro gli iscritti avranno anche la possibilità di suggerire nuove proposte di legge ai parlamentari. Già ora i parlamentari possono porre delle domande agli iscritti al MoVimento 5 Stelle in Rete e ottenere delle risposte. L'elezione dei candidati al Parlamento è stata fatta in Rete, così come i nomi proposti alla presidenza della Repubblica e l'elezione dei capigruppo e lo stesso è avvenuto per alcune votazioni comunali e regionali». Distinguere il vero dal falso è una delle sfide più importanti per vincere la partita del web. Lei come si orienta e che bussola di orientamento propone? «Per ogni informazione è necessario risalire alla fonte primaria e per le pubblicazioni in Rete purtroppo questo non sempre è vero. Anche per Wikipedia, che considera fonti attendibili i giornali e le riviste. Nel mio caso è stato pubblicato prima su una rivista e poi su Wikipedia che mio padre era un autista, ma, pur non avendo assolutamente nulla contro gli autisti, mio padre era un interprete di lingua russa». L'esperienza maturata in questi primi mesi in Parlamento ha modificato la sua idea di Rete? Che cosa è cambiato da quando il Movimento è entrato nel «Palazzo»? «Tutto quello che è successo, compresa la chiusura a riccio del Sistema per mantenere lo status quo e l'inesperienza dei neoparlamentari, era prevedibile, tranne l'attacco mediatico senza precedenti per l'Italia repubblicana, spaventoso, verso un nuovo movimento politico da parte dei giornali e delle televisioni. Nel medio-lungo termine sono comunque convinto che i movimenti prevarranno sui partiti, questo vale per il M5S ma anche per nuove formazioni che oggi non sono ancora visibili in Italia». Qual è il più grande errore che ha commesso? «La mia vita è piena di errori, scegliere è molto difficile». E qual è il progetto di cui è più orgoglioso? «In generale tutte le volte che attraverso il blog o il M5S siamo riusciti ad aiutare a dare voce agli emarginati o a chi era in difficoltà, come nel caso di Federico Aldrovandi (il diciottenne ucciso a Ferrara da poliziotti nel 2009, ndr). L'ultimo libro con Fo e Grillo, Il Grillo canta sempre al tramonto in cui si discute del senso del M5S, ne è un piccolo esempio attraverso la cessione dei diritti dei tre autori a un'associazione di bambini ciechi e a una di bambini sordomuti che versavano in gravi difficoltà». Che cosa l'ha spinta a interessarsi di politica e del bene comune dei cittadini? «L'indignazione per lo stato del Paese e la convinzione che un cambiamento era possibile grazie alla Rete». _____________________________________________________________ Repubblica 21 giu. ’13 LA PREVALENZA DELLE PAROLACCE Cresce il turpiloquio nei discorsi pubblici? forse. ma anche nei tempi antichi, dagli egizi in poi, le oscenità non mancavano. la scienza spiega come il linguaggio proibito scateni emozioni. spingendo il cervello a ricordare. e favorendo chi lo usa Quando ascoltiamo un discorso con parole «tabù» si attiva l'amigdala (parte del cervello che gestisce emozioni come la paura) e il concetto si scolpisce nell'ippocampo. È anche questo che fa la fortuna di politici come Beppe Grillo Dagli ossessivi «Vaffa...» di Grillo al «ci sono froci in nazionale» di Antonio Cassano, dalle «troie in Parlamento» di Franco Battiato per finire col recentissimo «bisogna governare con le palle» del premier Enrico Letta, gli ultimi tempi hanno visto un ritorno folgorante della parolaccia nel discorso pubblico. La sensazione generale è quella di un'involuzione del linguaggio, un ritorno a un passato più crudo. Del resto la parolaccia, ossia il bisogno di esprimere simbolicamente la nostra ira piuttosto che passare alle vie di fatto (e qui' c'è un'indubbia evoluzione), potrebbe addirittura precedere l'uomo: «Quando sono arrabbiati, gli scimpanzé hanno un modo di alzare la mano sulla testa, grugnendo, che è palesemente aggressivo. Ma al tempo stesso sostituisce una vera aggressione, perché, quando aggrediscono davvero, gli scimpanzé non perdono tempo coi gesti» spiega Frans de Wall etologo e primatologo alla Ernory University di Atlanta. A ricostruire origine e sviluppi del gergo volgare è oggi un saggio di Melissa Mohr, ricercatrice di letteratura a Stanford: Holy Sh't: a Brief History of Swearing (Oxford University Press). Che conferma come trivialità e storia dell'uomo siano un tutt'uno. «Non c'è differenza tra oggi e impero romano. Sul muro di una casa pompeiana si legge: Fortunate, ananula dulcis, perfututor (O Fortunato, anima dolce, superfottitore!)» ricorda Melissa Mohr. «E perfino il mite Catullo inizia con l'oscena dichiarazione di intenti “pedicabo ego nos et irrumabo” (offrendosi come parte attiva di rapporti contro natura) il suo Carnzen XVI in risposta a persone che gli avevano da- Cristianesimo e per la maggior parte del Medioevo le parole più offensive in Europa divennero quelle che, chiamando in causa Dio, potevano ferirlo fisicamente, come i giuramenti per le ossa di...». Anche la più antica parolaccia scritta compare in un giuramento, che coinvolge entità celesti ma anche assai terrene: un asino. Lo riporta Magnus Nung, docente di letteratura inglese all'Università di Stoccolma, in Swearing: a cross-cultural linguLstiestudy (Palgrave Macmillan, 2011), Si tratta di un'iscrizione su una stele dell'era di Ramsete III (tra il 1198 e il 1166 avanti Cristo) oggi conservata all'Ashmolean Museum di Oxford: ci informa che un certo Harentbia donerà cinque pani al giorno in onore del padre defunto, e che l'incaricato delle offerte, se non seguirà le istruzioni di Harentbia, incorrerà nella punizione di Amon e avrà un rapporto carnale con un somaro. «Animale che solo nel diciottesimo secolo gli inglesi cominciano a chiamare donkey. Questo perché il vocabolo originario, ass (da asinus), richiama troppo per assonanza la parola arse, ossia il sedere, diventato tabù» spiega Melissa Mota-. Niente sesso, siamo inglesi, insomma. E infatti saranno proprio i londinesi a sviluppare un inventivo slang rimato - raccolto nel Dictionary of Rhyming Slang da Julian Franklyn nel 1960 – che aiuta a offendere di nascosto. Insegna per esempio a dire king per suggerire King Lear e alludere quindi, per rima, a queer («checca»). Altre volte sono gli eventi più tragici della storia a trovare posto nel dizionario «proibito»: se nel 1303 la parola pestilence in Inghilterra si usa in senso letterale, nel 1386, finita l'epidemia, diventa imprecazione. Ma nondelle più forti. A differenza di quello che avveniva in età greca e romana, nel Medioevo affiora poi una nuova sensibilità. «Certe parole sono tabù soprattutto perché possono indurre al peccato. E questo continuerà fino al Rinascimento» spiega Mohr. «Thomas Elyot, nel 1538, racconta i tormenti dei lessicografi del tempo, combattuti tra il voler includere nei loro dizionari il maggior numero di termini e l'impulso a omettere "parole lascive" che potevano "risvegliare desideri sopiti". Elyot sceglie di inserire nel suo dizionario le parole tabù solo se provviste di forma latina (ad esempio vulva) tralasciando i corrispettivi inglesi». Tempi ancora più duri per il turpiloquio con l'affermarsi della borghesia. «Nei secoli XVIII e XIX la classe media cerca di distinguersi da quelle inferiori usando un linguaggio più lindo. Nel XX secolo però le parolacce tornano in voga e studiosi come Geoffrey Hughes e Ruth Wajnryb sottolineano come durante le guerre mondiali si imprecasse di più» osserva Mohr. La guerra in Vietnam, saldandosi ai movimenti hippy, genera invece slogan come Fuck the pigs! (i pigs erano i poliziotti) con i quali gli studenti radicai a Berkeley iniziano a politicizzare la parolaccia. E parecchi anni dopo, ma in un certo senso sulla stessa strada, arriva il boom della musica rap, veicolo sì di turpiloquio ma anche di emancipazione. Che la storia delle parolacce si intrecci con quella della lotta per i diritti lo dimostra anche un aneddoto del 1939. Nella sceneggiatura di Via col vento erano previste battute con l'epiteto razziale Frigger, non vietato dal Motion Picture Production Code del 1930, che pure era parecchio restrittivo e stigmatizzava il "me ne infischio" di Rhett Butler» spiega Mohr. «Ma alla fine l'insulto non entrò nella pellicola, perché gli attori afroamericani del film si opposero». La sconfitta della parolaccia è stata spesso associata a a una vittoria della civiltà. Con qualche ingenuità. «Nel 1973 la filologa jugoslava Olga Penavin prevedeva che la diffusione del socialismo avrebbe fatto estinguere le parolacce» dice Mohr «ma qui qualcosa non è andata per il verso giusto se oggi gli insulti in russo formano un intero linguaggio, detto mat. Il linguista Alexei Plutser-Sarno lo sta raccogliendo in volumi, e il primo volume basta appena per i soli derivati della parola khuy (membro maschile)». Insomma, le parolacce trionfano? A rigor di matematica sembrerebbe di no. «Solo lo 0,7 per cento delle nostre parole è una parolaccia. E due terzi sono dette per ira e frustrazione» spiega Timothy Jay, docente di psicologia al Massachusetts College of Liberai Arts, che da 30 anni studia il tema, con la collega Catherine Caldwell-Harris, docente di psicologia alla Boston University. Però le parolacce rimangono più impresse del resto. «Producono veri effetti fisici» spiega Caldwell- Harris, «accelerano il battito cardiaco e innalzano la conduttività elettrica della pelle. Soprattutto se le diciamo nella nostra lingua. Se usiamo una lingua straniera, gli effetti fisici sono più attenuati. Questo perché è solo nella nostra lingua che le parolacce sono associate nella memoria alle emozioni passate». «Grazie» alle parolacce ricordiamo le cose in maniera diversa, più profonda, più acritica e primitiva. «Questo perché, quando ci arriva un messaggio che comprende parole scurrili, si attiva l'amigdala - parte del cervello che gestisce emozioni come la paura - e in questo modo il concetto si scolpisce direttamente nell'ippocampo. Si tratta di un apprendimento immediato. Diverso da quello più lento e faticoso, per esempio dello studio scolastico, che coinvolge la corteccia prefrontale e richiede che l'attenzione sia focalizzata. Quindi, se si vuole passare a una platea un messaggio facilmente ricorda- bile, è efficace un linguaggio altamente emotivo e denso dí parole tabù. Dagli esperimenti di Jay emerge infatti che quando leggiamo una lista di parole, quelle che ricordiamo di più sono quelle oscene». Che questo sia il segreto di Grillo? Sembra confermarlo Nick Haslarn, docente di psicologia all'Università di Melbourne e autore di Psychology in the bathroorn (2012, Palgrave Macmillan). «Gli insulti attirano l'attenzione, la sequestrano. Poi comunicano forti emozioni, e ciò suggerisce che il messaggio venga da qualcuno che crede davvero a ciò che dice e ha forti principi. In certi casi, come nei discorsi politici, le parolacce creano un legame con la gente comune. In tutto il mondo i politici sono percepiti come classe autoreferenziale e distaccata dai problemi quotidiani: il linguaggio scurrile stabilisce una connessione diretta col popolo». Del resto fu proprio uno dei presidenti americani più populisti, Harry Truman, a dire nel 1961: «Ho mandato via il generale MacArthur perché non rispettava l'autorità del Presidente, non perché fosse quello stupido figlio di puttana che è». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 LA LIBERTÀ DEI GIOVANI NON VIAGGIA IN AUTO Crolla il numero di chi vuole la patente Meno 49% in vent’anni Se pensate — come da tradizione — che sedersi dietro al volante e partire con il vento nei capelli sia una conquista di libertà, preoccupatevi. Secondo questo standard, stiamo entrando in un'era illiberale. Nel 1989, anno di picco, a sostenere l'esame per la patente B in Italia furono 2.582.736 persone. Da allora, il declino è stato costante: a 1.756.374 nel 2010. Poi il crollo: 1.413.031 nel 2011 e1.322.872 nel 2012 (dati del ministero dei Trasporti). In 23 anni una caduta del 48,8%. In una certa misura è spiegabile con il calo delle nascite e, soprattutto negli ultimi anni, con la recessione, registrata anche dalla caduta verticale del numero di auto vendute. Probabilmente, però, qualcosa è anche cambiato negli stili di vita: i giovani si stanno disamorando dell'auto (sono loro, infatti, a dettare le tendenze: per circa il 70%, gli italiani prendono la patente tra i 18 e i 24 anni). Un fenomeno quasi mondiale. L'anno scorso, l'Università del Michigan ha notato che il 30,5% dei ragazzi americani di 19 anni non ha la patente: in crescita dal24,5% del 2008 e dal 12,7% del 1983. Certo, anche negli Stati Uniti la recessione ha colpito, il costo del gallone di benzina è aumentato, i giovani sono alle prese con debiti consistenti per pagare le rette delle Università. In misura sempre maggiore, però, sono Angry Birds (il videogioco), Facebook, Twitter ad allontanarli dall'auto. «Le persone non hanno bisogno di vedersi l'una con l'altra come prima perché possono comunicare attraverso i social media», sostiene il professor Michael Sivak, che ha condotto la ricerca della University of Michigan. Quasi il 50% dei ragazzi americani tra i 18 e i 24 anni ha detto alla società di ricerche Gartner che, dovendo scegliere tra Internet e automobile, sceglie Internet. Non che Web e quattro ruote siano alternativi: il dato ha però valore, ribalta priorità che spesso si danno per scontate. Tendenze simili i ricercatori del Michigan le hanno registrate in Paesi a forte penetrazione di Internet: Canada, Gran Bretagna, Germania, Giappone, Svezia, Norvegia, Corea del Sud (ma in Spagna, Israele, Polonia, Svizzera è vero il contrario). Analisi specifiche in Italia non ne sono state pubblicate: il cambio di preferenze e il diverso approccio all'automobile, in particolare tra i giovani, è però evidente dai dati riportati sul numero di esami per la patente. C'è un'altra ragione, in qualche modo strutturale, che spiega il (relativo) disamoramento per l'auto. Secondo una ricerca dell'australiana Curtin University, in Europa e in Nord America sempre meno persone la usano perché l'urbanizzazione e la congestione del traffico ormai portano a cozzare contro il cosiddetto Marchetti Wall, il limite di tempo di spostamento oltre il quale un pendolare decide che non vale la pena di andare: secondo il fisico italiano Cesare Marchetti circa un'ora e mezza. La domanda è ovvia: ci rendono più liberi Internet e la metropoli o l'automobile? @danilotaino _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 Giu. ’13 HACKER BUONI PER DIFENDERSI DAI CRIMINI INFORMATICI ROMA — Raddoppiano gli attacchi hacker e a scoprirsi vulnerabili non sono solo le imprese, ma anche le infrastrutture strategiche. L'allarme arriva dalla multinazionale israeliana Maglan Information Defense: nel primo semestre 2013 c'è stata un'impennata di intrusioni su sistemi Internet (principalmente siti web, alcuni Dns Domain Name System, posta elettronica, banche dati). Circa 16.456, rispetto alle 7.032 avvenute nello stesso periodo del 2012 (+57,2%). Un incremento ulteriore rispetto alla crescita già registrata: a fine 2012 gli attacchi erano stati 12.016, il 10 giugno di quest'anno erano cresciuti del 26,9% a 16.456. E la stima per il futuro è ancora più fosca: entro la fine dell'anno si calcola che arriveranno a 30.000-35.000. Sembrano scenari da playstation, invece, a sentire il managing director di Maglan, Shai Blitzblau, «l'anno scorso a Roma un'azienda ha perso in un giorno 1,8 milioni di euro in un attacco hacker. E circa l'80% delle aziende italiane sono vulnerabili: noi lo sappiamo perché facciamo delle simulazioni». Una stima al rialzo per motivi di marketing? «Tutt'altro. In realtà credo siano di più» assicura l'ad di Maglan Europe, Paolo Lezzi. E mette in guardia: «Si investono milioni di euro in apparecchiature sofisticate per proteggersi dagli hacker, ma spesso il livello di configurazione non è fatto in modo tale da sfruttarle appieno. Ed è come non averle». Si stimano 200 milioni di euro di perdite accumulate dalle compagnie italiane a fine anno per questo. Quasi il doppio dello scorso anno (110 milioni). Le cifre sono state date ieri mattina all'Università La Sapienza, nel corso della quarta Cyber Warfare conference 2013, crocevia di incontri tra chi la sicurezza la deve garantire e chi la offre. E il titolo era significativo: «Protezione cibernetica delle infrastrutture nazionali». A confronto il Centro di studi strategici (Cssii) dell'Università di Firenze, l'Istituto per gli studi di previsione e le ricerche (Ispri) e il Centro di ricerca di cyber intelligence e information security (Cis) della Sapienza. Ma anche esperti militari e dell'intelligence. Spiega il capitano Andrea Billet, capo della divisione che, per il ministero della Difesa, si occupa di prevenire i cyber-attacchi: «Si parte da un concetto che è difficile da spiegare: che cos'è una infrastruttura strategica? Noi usiamo la storia della nonnina saggia alla quale, per ultima, dopo averlo chiesto a tutti i componenti della famiglia, domandarono quale fosse il servizio più importante da garantire in caso di un attacco dalla durata prolungata. A differenza di nipoti e figli (dallo smartphone, al satellite) lei disse: l'acqua». Del resto, spiega Blitzblau «non esistono limiti ai danni che potrebbe causare un attacco informatico organizzato. Un giovanissimo ragazzo australiano ha mandato in tilt una città entrando nel sistema di controllo delle fognature». Come difendersi? Con gli hacker, quelli buoni. Spiega Blitzblau: «Reclutiamo ragazzi dalle Università che abbiano capacità tecniche, ma soprattutto il massimo della fantasia. Bisogna prevenire perché ad attacco già compiuto è troppo tardi». Ed è difficile anche rintracciare i criminali, evidenzia Lezzi: «Se uso più server-ponte in Paesi che non cooperano nella sicurezza (come il Libano o le due Coree) sarà impossibile rintracciarmi. Soprattutto se non si interviene immediatamente sulla scena del cyber crime». Virginia Piccolillo _____________________________________________________________ Corriere della Sera 19 Giu. ’13 NEW YORK, SFIDA TRA ATENEI «PAGHIAMO LA VILLA AI PROF» La N.Y. University contro la Columbia DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — È l'ultima sfida lanciata dalla New York University per vincere il braccio di ferro contro l'eterna rivale Columbia University: attrarre i migliori docenti sulla piazza, offrendosi di pagare loro il mutuo della villa delle vacanze. A dire il vero NYU non è il primo e neppure l'unico ateneo americano a usare questo metodo per convincere i più illustri professori a trasferirsi in una delle città più care del pianeta, rinunciando alla pace bucolica (e a buon mercato) dei campus fuori mura e al prestigio conferito dal marchio Ivy League goduto da Columbia. Ma se dall'altro capo dell'isola di Manhattan l'odiata concorrente non nasconde di aver aiutato i suoi docenti a pagare il mutuo, NYU si spinge più in là, guadagnandosi il titolo di unica università americana ad averlo fatto per l'acquisto della villa in campagna o al mare. Come quella da un milione di dollari comperata a Fire Island da John Sexton, presidente di NYU e ideatore di questa «politica del secondo mutuo» o quella a Riverdale, a nord di New York, di proprietà del neosegretario al tesoro Jacob Lew dai tempi in cui era executive vice president di NYU. «Lo scopo del programma è alla base del nostro pluridecennale sforzo per trasformare NYU da un'università regionale in una grande istituzione internazionale», spiega John H. Beckman, portavoce dell'università, «In alcune facoltà si è rivelato uno strumento cruciale per evitare la fuga dei migliori cervelli». Ma in un'America dove le università assomigliano sempre di più a corporation, non tutti applaudono. «Gli atenei sono soggetti esentasse che devono educare gli studenti, non aiutare i loro dirigenti a comprare la casa delle vacanze», tuona il Senatore Repubblicano dell'Iowa Charles E. Grassley, membro della Commissione Finanza, che aveva sollevato la questione durante le udienze per la conferma di Lew al tesoro. Alessandra Farkas @afarkasny _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 Giu. ’13 BIG DATA: SÌ, MA QUANTO? Alessandro Vespignani Da circa un paio d'anni, Big data è sicuramente uno degli "slogan" più usati e abusati per riassumere in due sole parole la rivoluzione digitale che stiamo vivendo. Si è generata intorno al concetto di Big data un'aura addirittura mitologica, come se i Big data da soli potessero incarnare una forma di intelligenza superiore. Ovviamente, una delle prime domande che viene in mente conoscendo un po' di numeri è cosa significa "big". A Ginevra, il Cern produce da anni petabyte (1015 bytes) di dati in pochi minuti. Gli esperimenti astronomici fanno altrettanto, e il radio telescopio Ska che entrerà in funzione nel 2016 produrrà un Exabyte (1018 bytes) di dati al giorno. Al confronto, i 500 terabyte giornalieri che vengono postati su Facebook sono briciole. È in tale ottica che molti editorialisti del mondo tecnologico si cimentano nel definire quale sia la soglia oltre cui i Big data possono essere definiti come veramente "grandi". Come se si potesse assegnare un bollino "Doc" dei Big data in funzione della loro grandezza. Per alcuni, bisogna avere almeno un terabyte, per altri il petabyte, per altri ancora la definizione deve cambiare con la tecnologia che permette di trattare questi dati. Purtroppo tutta questa discussione è assolutamente futile. La definizione di Big data non può essere racchiusa in un numero, ma è invece la definizione di un nuovo modo di analizzare i sistemi. E tre ne sono i fattori cruciali. La crescita relativa. Uno dei fattori rilevanti è la variazione relativa della dimensione dei dati che possono essere raccolti. Ad esempio, fino a dieci anni fa gli esperimenti che mappavano le interazioni sociali (chi è amico di chi, per dirne una) si limitavano a questionari destinati a poche decine di persone. Uno dei lavori più imponenti tracciava la rete di amicizia di una decina di classi scolastiche negli Stati Uniti. Pochi kilobyte di informazione su cui si lavorava rosicchiando tutta l'informazione possibile per capire i meccanismi alla base della formazione delle reti sociali. Oggi, le compagnie di telefonia mobile tracciano le reti sociali di milioni di utenti, insieme alla loro posizione geografica, alla lunghezza delle chiamate telefoniche, e con la precisione temporale del secondo. Per questi dati, la cui dimensione è modesta rispetto ai petabyte ed exabyte generati in altri contesti, il "big" si riferisce al fattore di crescita relativo dei dati disponibili che aumenta di 100mila volte rispetto alle poche decine di individui che venivano studiate nel passato. L'abbondanza. Un altro parametro fondamentale è l'abbondanza dei dati. Le stime ci dicono che nel 1986 il 92% dei dati venivano immagazzinati in forma analogica. Nel 2007 questo dato si inverte, e la digitalizzazione rappresenta il 94% del totale. Per digitalizzazione si intende che i dati possono essere integrati, assimilati e analizzati velocemente. I dati sono finalmente a portata di mano e una moltitudine di dati, anche se non troppo grandi, possono essere incrociati, fusi, confrontati, amplificando il loro potere di conoscenza. Le mappe di popolazione, anche le più dettagliate del mondo, sono qualche gigabyte. I dati del trasporto aereo mondiale hanno più o meno la stessa dimensione. Possiamo poi aggiungere i dati di mobilità locale e le tracce che arrivano dalla telefonia cellulare, aggiungere i dati demografici e localizzarli geograficamente. Alla fine di questo processo di integrazione, inserendo tutto nel computer, possiamo creare modelli della mobilità sociale di notevole precisione. In questo caso il "big" deriva dalla forza combinata dei dati disponibili che si moltiplicano l'uno con l'altro per darci delle fotografie nuove, globali e dinamiche della realtà circostante. La scienza dei dati. In fondo la scienza è da sempre basata sui dati. Ma quello a cui la "scienza dei dati" (dall'inglese data science) si riferisce è il fatto che si stanno sviluppando nuovi approcci scientifici per estrarre conoscenza da questo nuovo flusso di dati. Dati grandi e piccoli che sono il "prodotto" delle nostre attività quotidiane: prenotazioni di viaggio, telefonate, ricerche sul Web, email, instant messaging (Im), microblogging, transazioni di carte di credito eccetera. Questo mare di briciole digitali che noi tutti produciamo quotidianamente non è il frutto di esperimenti definiti o controllati in laboratorio. È un mare, invece, che contiene informazioni prevalentemente inutili, ciò che i tecnici definiscono "rumore". All'interno di questo disordine rumoroso si nascondono però le leggi statistiche e i principi dinamici che governano i rapporti, i consumi e la mobilità dell'aggregato sociale. La diffusione della conoscenza, la propagazione delle epidemie, l'evoluzione del consenso politico, l'approssimarsi di crisi economiche seguono leggi e dinamiche che impariamo a descrivere solo sviluppando metodi concettualmente nuovi per l'estrazione della conoscenza dal mare Big data. E a tal fine, l'elaborazione di dati, grandi o piccoli che siano, in un computer non è sufficiente. Il "big" in questo caso deriva dalla possibilità di collegare i dati a concetti teorici e matematici in un senso più ampio, per definire modelli che ci permettano di acquisire una reale comprensione rigorosa dell'interdipendenza tra i sistemi tecnologici, la loro ingegneria e il comportamento degli individui che li utilizzano. Il "big" dei dati quindi non si esplicita solamente nella loro dimensione ma più profondamente nella loro capacità di produrre una conoscenza che non era accessibile precedentemente. Come per molti altri aspetti della vita, anche per i Big data possiamo dire che le dimensioni contano, ma l'uso che se ne fa è sicuramente più importante. Direttore scientifico della Fondazione Isi _____________________________________________________________ Le Scienze 14 Giu. ’13 LA FILOSOFIA CHE CHIARISCE LA FISICA Un'illuminante analisi di Mauro Dorato sulla natura del tempo alla luce delle scoperte del XX secolo. A partire dalla relatività di Einstein, che sembra contraddire tutte le intuizioni del senso comune Il nostro presente è una piccola bolla approssimativa, limitata nello spazio, e se cerchiamo di estenderlo troviamo contraddizioni insormontabili ma che la scienza cerca di comprendere Carlo Rovelli «E pur si muove!». Così, narra la leggenda, mormorava Galilei, mentre in pubblico dichiarava di rinunciare all'idea che la Terra si muovesse. Parole intense. Ma forse non tanto perché esprimono la determinazione dello scienziato che non vuole farsi dettare la verità; quanto piuttosto perché sembrano tradire quasi una lotta interiore. La lotta fra l'evidenza palese dell'immobilità della Terra intorno a noi e lo sconcertante sospetto che quest'immobilità sia illusoria, e stiamo roteando nel cosmo. Credo che ancora oggi ciascuno di noi, se per un attimo guarda intorno a sé le case o le colline e fa mente locale alla velocità con cui tutto ciò sta facendo capriole nello spazio (40 chilometri al secondo), non possa non risentire questa vertigine, e mormorare un po' stupito «e pur si muove...». La scienza ci porta a queste scoperte contro-intuitive, che indicano i limiti del nostro senso comune; ma se il moto della Terra, chiarito nel 1600, è oggi integrato nel nostro sapere, altrettanto non si può dire delle sconcertanti scoperte sulla natura del tempo che hanno segnato il Ventesimo secolo. Per questo il lavoro di un filosofo italiano coltissimo e attento alla scienza come Mauro Dorato gioca un ruolo significativo per la cultura tutta intera, e il suo recente Che cos'è il tempo? Einstein, Gödel e l'esperienza comune, è importante. Dorato vede come compito della filosofia quello di portare chiarezza là dove le idee appaiono oscure, e riconciliare immagini del mondo apparentemente in conflitto proprie della scienza e del senso comune. Dopotutto possiamo comprendere che la Terra si muova, ma possiamo anche comprendere per quale ragione e come accada che ci sembri immobile. Fare filosofia, per Dorato, vuol dire arrivare a integrare il senso comune e il sapere scientifico, così come, dice con bella metafora, i nostri due occhi ci danno immagini leggermente diverse del mondo, e mettendole insieme acquistiamo profondità. La posizione di Dorato è quindi assai interessante: se da un lato aggira intelligentemente la tesi superficiale della svalutazione del senso comune a vuota illusione, dall'altro riesce a rispondere bene ai dubbi fuorvianti che il senso comune possa cogliere verità invisibili alla scienza. È legittimo – si chiede alla fine della prefazione – fare assunzioni metafisiche in conflitto con la fisica? E il libro offre gli strumenti per una risposta intelligente e articolata. Negativa. In questo modo la filosofia riacquista quella centralità, quella capacità di generare profondità e chiarezza che le compete. E profondità e chiarezza sono virtù di questo testo, prezioso per chi non voglia essere come un uomo del Settecento che pensasse ancora che la Terra fosse ferma, e voglia cominciare a capire qualcosa di questa strana storia che è il cambiamento completo di ciò che sappiamo sulla natura del tempo. Ma prezioso anche per uno scienziato che cerca nella filosofia quella sponda di chiarezza concettuale che non è il suo pane, e per il filosofo che voglia capire con precisione cosa sia successo al tempo nel mondo della scienza, senza per questo dover digerire manuali di matematica. Dorato tocca la relatività generale e discute la questione della termodinamica e dell'irreversibilità, ma è sulla relatività speciale che si concentra, la prima grande teoria di Einstein, oggi confermata da innumerevoli esperienze. Per quello che riguarda il tempo è in questa teoria che è condensata la scoperta più sconcertante: non esiste un "presente" nell'Universo e la storia delle cose non è separabile in passato, presente e futuro. L'idea di un "presente" esteso nello spazio è un'approssimazione, legata alla lentezza della nostra capacità mentale di risolvere tempi brevi (decimi di secondo), paragonata ai tempi (nano- secondi, al più milli-secondi) che impiega la luce a percorrere le distanze nelle quali ci muoviamo abitualmente. Il nostro presente è una piccola bolla approssimativa, limitata nello spazio, e se cerchiamo di estenderlo troviamo contraddizioni insormontabili. La metafisica del presente, cioè l'idea che la realtà esiste tutta nel presente, non è sostenibile, perché fa leva su un errore: estendere il nostro presente locale a distanze arbitrarie. Ma Dorato osserva con acutezza che questo non implica che il cambiamento sia illusione, come spesso si conclude un po' frettolosamente. Il cambiamento e il fluire del tempo possono essere concepiti, ma localmente e non globalmente, e in relazione a un osservatore. Quest'osservazione diventa chiara nella limpida analisi che fa Dorato di un argomento contro la realtà del tempo presentato dal grandissimo logico e matematico Kurt Gödel: Dorato chiarisce come quella che Gödel mostra essere contraddittoria sia una concezione ideale di tempo globale e assoluto, non l'idea di tempo locale e relativo che fonda la nostra esperienza. In questo modo Dorato riesce a fare pulizia non solo di molte resistenze alle novità concettuali della nuova fisica, ma anche di facili conclusioni troppo semplificate. Non mi dilungo di più, anche perché ho spesso accennato ai misteri del tempo in queste pagine: se da questi cenni vi sono rimaste curiosità, il libro di Dorato è una guida sobria e comprensibile in questi astratti territori. Forse dal canto mio avrei preferito che Dorato azzardasse a parlare anche della scienza di frontiera, delle questioni aperte dalla dinamica dello spaziotempo e dai suoi aspetti quantistici, che sfiora appena. È qui che le difficoltà diventano più acute e la chiarezza della sua filosofia ci sarebbe di più grande aiuto. Io vorrei sempre che i filosofi aiutassero noi fisici anche a guardare avanti. Ma Dorato è guardingo e meticoloso, non azzarda, procede con lentezza e precisione, e questo rende solido il libro, ne fa un saldo capitolo del dialogo fra scienza e filosofia. In un argomento difficile e scivoloso come questo, è raro essere d'accordo su tutto, ma non ci sono pagine dove mi sono trovato a voler obiettare qualcosa. Forse solo una: là dove, dopo aver correttamente identificato la freccia del tempo nella fisica della radiazione con quella entropica, e questa con quella legata al concetto di causa, Dorato ipotizza che la «freccia del divenire» possa essere primitiva e irriducibile. Sospetto non lo sia; trovo convincente l'insistenza di Dorato che sia reale e capace di rendere conto della nostra esperienza, ma penso che finiremo per comprendere che anche questa sia di origine statistica ed emergente. Ma qui siamo oltre i confini di quello che sappiamo. La prospettiva sulla natura del tempo in fisica teorica offerta da Dorato è articolata e originale, ma le sue parole sono pesate, e quello che è scritto è meditato e affidabile. Nel mondo confuso della nuova fisica del tempo, Dorato sa trovare punti fermi, collegarli con il nostro senso comune, e condurre il lettore per mano con rara chiarezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mauro Dorato, Che cos'è il tempo? Einstein, Gödel e l'esperienza comune, Carocci, Roma, pagg. 138, € 12,00 _________________________________________________ Corriere della Sera 18 Giu. ’13 POLICLINICO, BLOCCATI DAL 1999 I FONDI PER LA RISTRUTTURAZIONE ROMA — Un tesoro inutilizzato: da 14 anni ci sono 140 milioni di euro non spesi per ristrutturare e modernizzare uno dei più vecchi ospedali d'Italia, il Policlinico Umberto I di Roma. Allora il direttore dell'ospedale, Domenico Alessio, minaccia: «Se non partono i lavori è meglio chiuderlo». E di urgenti lavori è evidente che ce ne sarebbe bisogno: le stanze a 4 o a 6 letti senza il bagno interno sono la regola: quelle singole e doppie non esistono. Nella camere, seminate in 56 palazzi, aria condizionata e tv sono introvabili. Nell'edificio che ospita la radiologia c'è una crepa attraverso la quale dal primo piano si vede chi c'è al secondo. Per non parlare del sistema antincendio, e delle reti fognaria e idrica che, secondo i vigili del fuoco, non sono in regola. Il Policlinico è ridotto così, «ma dal 1998 una legge del Parlamento (la numero 448) ha stanziato fondi per il recupero di vecchi ospedali nelle aree urbane — ricorda Alessio —. All'Umberto I sono stati assegnati in quell'occasione risorse che oggi corrispondono a 140 milioni di euro. Ma da allora quel tesoro è fermo in un cassetto», alla faccia della crisi, della disoccupazione che cresce e della qualità dell'assistenza e dell'accoglienza alberghiere, molto carenti viste le condizioni in cui lavorano circa 5 mila tra medici, infermieri e tecnici (compresi 157 primari impegnati in 1.315 posti letto e 582 amministrativi, di cui 112 dirigenti, uno ogni 5 lavoratori). In pratica, precisa Alessio, «l'ospedale, nato nel 1904 non ha mai avuto importanti interventi di manutenzione straordinaria». Il «tesoro» lo aveva messo a disposizione l'allora governo D'Alema nel 1999: da 14 anni, però, i tanti manager che si sono alternati alla guida del Policlinico hanno presentato «libri dei sogni», progetti faraonici che sono costati 2,5 milioni, oggi diventati carta straccia. I veti incrociati tra Demanio, ministero della Salute, Università, Regione e Sovrintendenze ai Beni culturali (molti edifici sono sotto vincolo,ndr) hanno fatto naufragare ogni idea. Alessio, tra un mese presenterà l'ultimo progetto. Stavolta il manager ha giocato d'anticipo: «Ho già informato tutti gli enti nazionali e locali sugli interventi indispensabili: il presidente della Regione Lazio Zingaretti si è dimostrato molto attento ai nostri problemi e mi auguro che anche le altre istituzioni ci aiutino». «Se il mio progetto non andrà avanti e non riuscirò ad aprire i cantieri in tempi rapidi — è la provocazione del direttore generale — allora sarà costretto a dire ai vigili del fuoco, che mi hanno segnalato gravi carenze strutturali che l'ospedale deve essere chiuso...». Alessio sa bene che né il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, né il governatore Zingaretti vogliono davvero chiudere l'Umberto I, ma «questa città della salute deve essere ristrutturata: non c'è più tempo da perdere». Francesco Di Frischia _____________________________________________________________ Le Scienze 22 Giu. ’13 2050: SICUREZZA ALIMENTARE A RISCHIO SE NON AUMENTANO LE RESE Per soddisfare le crescenti esigenze della popolazione mondiale, la produzione delle quattro principali coltivazioni - mais, riso, grano e soia - dovrebbe raddoppiare entro la metà del secolo. Ma dato che l'espansione delle terre arabili avrebbe un costo ambientale troppo elevato, bisogna aumentare le rese puntando sulla diffusione di pratiche agricole efficienti nei paesi meno sviluppati (red) La resa delle coltivazioni non sta aumentando abbastanza velocemente da soddisfare i bisogni alimentari globali previsti per il 2050. Ad affermarlo è uno studio condotto da ricercatori dell'Università del Minnesota a Saint Paul, che firmano un articolo pubblicato sulla rivista “PLoS ONE”. Le proiezioni demografiche indicano che per soddisfare le crescenti esigenze e garantire la sicurezza alimentare la produzione agricola mondiale delle quattro principali colture, mais, riso, grano e soia dovrebbe aumentare da un minimo del 60 per cento a un massimo del 110 per cento rispetto a quella del 2005: Questi quattro prodotti forniscono il 43 per cento delle calorie alimentari globali e il 40 per cento circa delle proteine, ma dall'analisi delle statistiche agricole relative a tutto il mondo risulta che i rendimenti delle relative coltivazioni sono in aumento a tassi compresi fra lo 0,9 e l'1,6 per cento ogni anno: a questo ritmo la loro produzione complessiva aumenterebbe solo dal 38 al 67 per cento entro la metà del secolo. Purtroppo tutti i grandi paesi produttori mostrano segni di rallentamento nei tassi di crescita. Così, i primi tre produttori di riso, Cina, India e Indonesia, registrano un aumento della produzione rispettivamente dello 0,7, 1,0 e 0,4 per cento all'anno, mentre per i primi tre produttori di grano, Cina, India e Stati Uniti, le percentuali di incremento annuo sono rispettivamente dell'1,7, 1,1 e 0,8 per cento. La situazione è inoltre particolarmente preoccupante per quei paesi in cui, come per esempio in Guatemala – uno dei fanalini di coda nelle classifiche sulla sicurezza alimentare - la popolazione è in crescita, mentre le produzioni agricole fondamentali sono in declino. Una parte del deficit di produzione – osservano gli autori - può anche essere colmato espandendo i terreni di coltura, ma a un elevato costo ambientale in termini sia di emissioni di carbonio che di biodiversità, senza peraltro una garanzia che i nuovi campi siano adeguatamente produttivi, specie a lungo termine. In conclusione, l'incremento delle rese è la soluzione preferibile, da supportare con strategie volte alla riduzione degli scarti alimentari e una eventuale modifica delle diete a base vegetale. "La buona notizia – ha detto Jonathan A. Foley, uno degli autori dello studio - è che esistono opportunità per incrementare la produzione attraverso un uso più efficiente delle attuali terre coltivabili: è infatti possibile aumentare i tassi di crescita del rendimento diffondendo le migliori pratiche di gestione. Dobbiamo incrementare la produzione di queste colture basilari per poter soddisfare le previste esigenze: non è più tempo di scarti e sprechi." ========================================================= _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Giu. ’13 AOUCA: ECCO LA NUOVA CASA DEI NEONATI POLICLINICO. Viaggio nel Blocco Q, il reparto che da due giorni ospita i bimbi bisognosi di cure Nella terapia intensiva le migliori apparecchiature disponibili Nicole ha cominciato a respirare da sola. Non è più ventilata col tubo tracheale, i suoi piccoli polmoni hanno deciso di lottare per la vita. È il primo raggio di sole che entra al Policlinico. La mamma piange in un angolo: «È un miracolo». La sua piccola ha solo ventitré giorni e una gran voglia di vedere la sua cameretta, a casa: «Ora abbiamo la forza per andare avanti». Poco prima di mezzogiorno si affaccia in corridoio il presidente della Regione Ugo Cappellacci, ha due buste piene di pupazzetti: «Volevo dare un po' di colore al nuovo Blocco Q». Visita istituzionale, ma neanche tanto: «È emozionante vedere queste creaturine». Osserva ogni stanza, s'informa delle condizioni di salute dei bimbi. I piccoli guerrieri sono nelle incubatrici, avvolti da mille tubicini che tengono sotto controllo le funzioni vitali. «Stanno tutti bene, nessuno ha risentito del trasferimento», assicura Vassilos Fanos, direttore della Terapia intensiva neonatale e della Puericultura dell'Azienda ospedaliero-universitaria. Lo dice con orgoglio, e un pizzico di commozione: «È la realizzazione di un sogno. Per noi, per i bimbi e per le loro famiglie». UNA GRANDE FAMIGLIA L'aria che si respira al secondo piano dell'ospedale di Monserrato è quella di una grande famiglia: medici e infermieri si prendono cura dei piccoli con amore e con un'attenzione che va oltre il loro ruolo. Partecipano alla battaglia per la vita di quei figli adottati quasi d'istinto. Stanno accanto ai genitori che combattono con un senso d'impotenza logorante. Cercando di mettere a tacere il bip bip dei macchinari che entra nel cervello. TECNOLOGIE AVANZATE I vertici istituzionali del Policlinico accompagnano il governatore in tour nel reparto: per tutti calzari verdi e massima cautela lungo i corridoi bianchissimi. «È l'eccellenza, la sicurezza è garantita a tutti i livelli, le tecnologie sono avanzate», spiega Fanos. «Consente di dare le risposte giuste e in tempi reali alle esigenze dei neonati», sottolinea Ennio Filigheddu, direttore generale dell'Aou. Cappellacci si compiace: «In Sardegna abbiamo professionalità eccezionali, alla Macciotta erano sacrificate qui hanno il massimo». SALA DA 800 MILA EURO La nuova struttura di Monserrato è il futuro che chiude la storia pediatrica della clinica cagliaritana. Sono appena arrivate 18 incubatrici, altrettanti monitor ad altissima tecnologia e 15 ventilatori, per un costo complessivo di 800 mila euro. «Il top di gamma», sottolinea Marco Meloni, referente territoriale dell'azienda madre delle apparecchiature. Dieci posti letto nel reparto di Terapia intensiva, tutti occupati. Ogni postazione è dotata di incubatrice, dieci prese universali, ventilatore per l'assistenza respiratoria, umidificatore che riscalda l'aria inspirata dal neonato, un monitor per tenere sotto controllo le funzioni vitali, e dietro «un altro piccolo monitor satellitare che consente di seguire ogni movimento del bambino», spiega Enzo Zurrida, medico del reparto e nella notte tra venerdì e sabato responsabile dell'accoglienza. «È stata un'impresa straordinaria, indimenticabile». GRANDE LAVORO DI SQUADRA Piero Tamponi, direttore amministrativo dell'azienda mista, aggiunge: «Tutto è riuscito alla perfezione, merito di un gran lavoro di squadra». Istituzioni, forze dell'ordine, protezione civile, volontari, medici, infermieri, tecnici, manutentori, ognuno ha dato il massimo. «Manifesto la più viva soddisfazione per il riuscito trasferimento», scrive in una nota il prefetto Alessio Giuffrida. «Esprimo il massimo apprezzamento per la brillante opera di coordinamento della viabilità svolta dalla Polizia stradale». Ma si sofferma anche sul ruolo dei Carabinieri e delle polizie locali dei Comuni di Cagliari, Sestu, Selargius e Monserrato: 140 uomini che hanno lavorato in una notte che resterà nella storia. Sara Marci _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 Giu. ’13 AOUCA: IL PLAUSO DEL PREFETTO: «POCHI DISAGI PER LA VIABILITÀ» Trasferimento della neonatologia CAGLIARI Piena soddisfazione è stata espressa dal Prefetto Alessio Giuffrida, per il trasferimento – «con successo» – dei 37 piccoli pazienti della clinica pediatrica Macciotta al Policlinico universitario di Monserrato che è stato organizzato nella notte tra venerdì e sabato. Il prefetto Giuffrida, in particolare, ha apprezzato il lavoro svolto dalla polizia stradale, incaricata proprio dal rappresentante del Governo del coordinamento della viabilità, «la cui gestione – come è scritto in un comunicato – è durata dodici ore e ha visto impegnati circa 140 uomini appartenenti alle varie forze dell’ordine, carabinieri, polizia stradale, vigili urbani e protezione civile, con ben 27 postazioni, scorte e pattuglie in moto nei diversi punti della città e dell’hinterland». La polizia di Stato, invece, si è occupata della gestione dell’ordine pubblico e anche in questo caso è arrivato il plauso della prefettura.. «La collaborazione tra i vari organismi – sottolinea ancora il prefetto Giuffrida – ha consentito di svolgere le delicate operazioni nella massima sicurezza, arrecando il minimo disagio alla viabilità urbana ed extraurbana». Da precisare infine che al Policlinico è stata trasferita solo la neonatologia. La Pediatrica e la neuropsichiatria infantile, ancora per diverse settimane, rimarranno alla Macciotta. _____________________________________________________________ Sardegna Quotidiano 18 Giu. ’13 BLOCCO Q: PRIME LACRIME DI GIOIA PER NICOLE 740 I grammi della bimba più piccola del Policlinico ricoverata in Terapia intensiva, stubata dalla dottoressa Palmas commossa per l’evento. 3 I ricoveri ulteriori (ma nessuno in terapia intensiva) registrati dopo il trasferimento dei bambini della Macciotta C’è silenzio, le lacrime dei piccoli si sentono appena. Pareti colorate, blu e arancio, e altri, «perché anche i colori fanno bene», sussurra il manager dell’Azienda Mista Ennio Filigheddu al presidente della Regione Ugo Cappellacci che si è presentato dai piccoli trasferiti dalla Clinica Macciotta con due buste di orsacchiotti. «Un ottimo lavoro di squadra», dice. Nel nuovo Blocco Q ci sono già belle storie da raccontare. «Piango perché abbiamo appena stubato la bambina più piccola del reparto, pesava 740 grammi e la mamma mi ha abbracciato», racconta la dottoressa Giuliana Palmas. «Impossibile non commuoversi in questi casi, più volte a me e alle mie colleghe hanno proposto incarichi importanti, ma mi spieghi lei, come potrei mai lasciare queste creature? Non ci riesco». Fuori c’è papa, con Beatrice in braccio. «Tra poco vedrà la sorellina Ludovica piccola piccola, vero?». LA VISITA Cappellacci accolto da Filigheddu. «Gran lavoro di squadra, così dovrebbe andare anche nelle amministrazioni» DAI REPARTI Fanos: «Il primo bimbo arrivato a mezzanotte e dieci, è un sogno che si realizza, è stato emozionante» Cappellacci osserva quel posto incantato accompagnato da Filigheddu, dal direttore amministrativo Piero Tamponi e dal direttore del reparto di terapia intensiva e puericultura Vassilos Fanos. «Ringraziamo tutte le istituzioni, i genitori che ci hanno permesso di lavorare e il personale che ha contribuito e mettere su questo posto magnifico, è il bellissimo risultato di un lavoro corale che ancora di più mi fa capire quanto abbia fatto bene a restare in Sardegna “forever ”», ha detto il professore di Verona. «Custodiamo una qualità di personale impressionante ». Il primo piccolo trasferito nel nuovo Blocco Q è arrivato «a mezzanotte e dieci, partito con anticipo alle 23.52». Per tutta la notte Filigheddu è rimasto al fianco dei medici e operatori. «Ci siamo sentiti molto supportati, ogni accesso era ben controllato, vigili, protezione civile, prefettura e tutti gli altri hanno fatto un lavoro inimmaginabile, non ho mai visto così tanta collaborazione», ha detto il direttore generale. Non è mancata l’emozione man mano che i piccoletti varcavano le porte. «Indescrivibile, il personale li accoglieva con grande gioia, questo per noi è un sogno che si realizza, finalmente possiamo offrire una struttura adeguata ai piccoli e ai loro genitori». ALTRI BIMBI RICOVERATI Al Blocco Q che ospita i bimbi di puericultura e terapia intensiva neonatale della Macciotta ci sono stati otto ricoveri nelle 24 che hanno riguardato il Nel frattempo ai 38 bambini trasferiti si sono aggiunti tre ricoveri in puericultura, «nelle 24 ore del trasferimento ne abbiamo avuto 8». Il direttore amministrativo Tamponi spiega che a parte la sicurezza garantita da una struttura estremamente moderna è la tecnologia a fare la differenza. «Piccoli problemi pratici sono risolti, le mamme ora possono dare il loro latte al reparto senza dover andare a casa per forza». Cappellacci ha seguito il trasferimento fino alle due. «Per telefono, l’assessore de Francisci mi informava su tutto. Questo traguardo è l’esempio di quella collaborazione istituzionale fondamentale per raggiungere risultati concreti». Così anche Massimo Zedda. «Un ringraziamento sincero a tutte le persone che hanno fatto in modo che il trasferimento dei piccoli pazienti dalla clinica Macciotta al Policlinico di Monserrato si sia svolto nel migliore dei modi». In reparto dottor Giangiorgio Crisponi. «Sono venuto in qualità di visitatore, c’è un bimbo ricoverato con la sindrome di Crisponi, il gene l’ha scoperto mia figlia». Vi.Sa. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 17 Giu. ’13 AOUCA: NEUROPSICHIATRIA E PEDIATRIA NON TRASFERITE Il trasferimento è andato secondo le previsioni, nessun imprevisto. Ma la clinica Macciotta non chiude ancora totalmente i battenti. Rimangono infatti all'interno della struttura due reparti estremamente importanti, anche questi in attesa di essere trasferiti. Si tratta della clinica pediatrica e della neuropsichiatria infantile. «Stiamo ancora predisponendo l'organizzazione per completare il trasferimento», spiega Ugo Storelli, direttore sanitario della Asl 8. Spostamento che verrà completato entro luglio, quando i due reparti attualmente operativi nella clinica di via Porcell si trasferiranno nei locali del Microcitemico di via Jenner, dove sorgerà il Polo pediatrico e dove con tutta probabilità verrà trasferito anche il reparto di Pediatria del Brotzu. Per quello che riguarda il futuro della struttura di Stampace, è possibile che l'edificio mantenga comunque la sua vocazione sanitaria. «Non un museo o un grande centro culturale, ma magari un polo poliambulatoriale in centro città», aveva detto qualche settimana fa l'assessore alla Sanità della Regione, Simona De Francisci. «L'argomento», aveva tra l'altro chiarito l'esponente della Giunta guidata da Ugo Cappellacci, «sarà discusso con l'università, che è proprietaria di buona parte della struttura, e con gli altri enti coinvolti». Circa un mese fa, inoltre, in tanti avevano protestato per il destino della biblioteca presente all'interno del Macciotta, dato che da tempo, in vista del trasferimento al Policlinico, era stata svuotata. I libri, migliaia di volumi di pregio e valore scientifico, erano già stati trasferiti nei locali di Monserrato. Secondo alcune voci, tra l'altro, l'Università, proprietaria di scaffali, tavoli e sedie (veri pezzi di antiquariato) avrebbe deciso di vendere tutto. Insomma, una parte di storia della clinica che rischia di scomparire. Medici e infermieri avevano dunque posto una domanda: «Perché la biblioteca non viene lasciata lì e riutilizzata?» _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 23 Giu. ’13 AOUCA: IL MICROCITEMICO OSPEDALE DEI BAMBINI Per ora nella vecchia clinica Macciotta continuano a funzionare la pediatria, il primo soccorso e la neuropsichiatria SIMONA DE FRANCISCI Incontri col personale che sarà trasferito e con chi deve accogliere i colleghi per organizzare il trasloco dalla Macciotta di Stefano Ambu wCAGLIARI Il Microcitemico sarà l'ospedale dei bambini del futuro: sedici milioni per ampliare il corpo centrale sono già pronti. Con un blocco collegato alla casa madre- così appare nelle simulazioni al computer presentate ieri mattina dal direttore generale della Asl 8 Emilio Simeone nel corso di una tavola rotonda in via Jenner sul futuro dell'ospedale pediatrico nell'ambito del congresso di pediatria- colorato come la parte principale. Per il momento, dopo l'addio al Macciotta, neonatologia è al blocco Q del Policlinico. A Monserrato arriveranno presto- si parla di agosto-settembre- ostetricia e ginecologia dal Brotzu. Il sogno (e la speranza di molti) è quello di radunare tutto il reparto bambini, neonati compresi, al Microcitemico: un percorso che però potrebbe essere lungo qualche anno. L'assessore regionale alla Sanitá Simona De Francisci ieri mattina ha fatto il punto della situazione su scenari attuali e futuri alla luce degli ultimi (e dei prossimi) trasferimenti. «Stiamo ascoltando proposte ed esigenze di tutto il personale - spiega - sia di quello che cambierà sede di lavoro, sia di quello che accoglierà i nuovi arrivati. Abbiamo programmato anche degli incontri ristretti. Sicuramente si va verso un obiettivo ormai chiaro per tutti: il Microcitemico diventerà il punto di riferimento della pediatria nel territorio». Durante la tavola rotonda si è ipotizzato per l'ospedale di via Jenner, uno scenario di tutto rispetto con un pronto soccorso (pediatrico) da ventimila accessi l'anno e la possibilità di iniziare anche con la rianimazione, magari partendo da uno-due posti letto. Tutto questo senza perdere comunque il ruolo di centro di riferimento per le malattie rare. A proposito di pronto soccorso, durante i lavori di ieri è stato ribadito che è ancora attivo quello pediatrico del Macciotta. Tornando al Microcitemico il quadro su presente e futuro è stato chiarito dalle slide mostrate da Simeone. La base è sempre l'edificio originario di settemila metri quadrati. Poi c'è l'ampliamento realizzato con il project financing in fase di esecuzione: sei piani fuori terra, più due interrati per una superficie di 5.200 metri quadrati. Infine il blocco collegato: i disegni parlano di un nuovo ampliamento realizzato con la rimodulazione del project financing. Si tratta di un edificio a due piani che si estende per tremila metri quadri. Con la possibile sopraelevazione per altri quattro piani nell'ipotesi di ulteriori futuri finanziamenti: seimila metri quadrati in più. _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 18 Giu. ’13 UN CORSO PER INFERMIERI NEL SULCIS Il collegio provinciale ipasvi Via ai contatti con enti e università per istituire una classe di studi CARBONIA Istituire una classe del corso di laurea in infermieristica nel Sulcis Iglesiente. E’ l’obiettivo del collegio provinciale Ipasvi, che riunisce infermieri e assistenti sanitari. Per illustrare ufficialmente l’azione svolta è stata organizzata, per venerdì alle 16.30, nella sala riunioni della Provincia in via Mazzini, una conferenza sul tema “La salute è un diritto di civiltà: promuoverla è un dovere degli Infermieri”. Sono stati invitati i rappresentanti degli enti che potrebbero avere un ruolo nelle procedure per raggiungere questo risultato, importante per tutti i cittadini e in particolare per i giovani del territorio. Alla discussione prenderanno parte l’assessore provinciale alle Politiche Giovanili Luca Pizzuto, il sindaco di Musei Francesco Loi, il presidente dell’Anci Sardegna, Cristiano Erriu, il presidente del corso di laurea in Infermieristica del Piemonte Valerio Dimonte e il presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo. Sono stati invitati a partecipare ai lavori la direzione dell’Asl 7, l’università di Cagliari, l’assessorato regionale della Sanità, il Consorzio Ausi. «Il consiglio direttivo Ipasvi – – spiegano gli organizzatori – è impegnato affinché questo progetto sia valutato anche per la sua indubitabile portata sociale: formare, ad iniziare dal prossimo anno universitario, decine di ottimi e qualificati professionisti. Ciò in un frangente in cui non pochi studenti sono costretti a interrompere o a non intraprendere un corso di studi universitario per la mancanza di risorse economiche in seno al proprio nucleo familiare». Giovanni Di Pasquale _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Giu. ’13 AOUCA: CENTRO MEDICO NELL'EX CRIES MONSERRATO. Conferenza di servizi tra Comune, Regione, Asl 8 e Azienda ospedaliera universitaria Il progetto: trasferire nella sede sale parto e consulenze specialistiche Un centro medico per le donne all'ex Cries. Dopo che è saltato l'accordo tra Università e Comune per trasferire la clinica odontoiatrica nell'ex scuola al confine con Cortis, il sindaco cerca altre soluzioni. Per farlo, ieri, ha partecipato a una conferenza di servizi all'assessorato regionale alla Sanità, con la Asl 8, l'azienda ospedaliera universitaria e l'Università. Lo scopo dell'incontro era quello di cercare di non perdere l'occasione di sfruttare il grande casermone, in parte concluso ma mai usato, che sorge tra Selargius e Monserrato. Perché se è vero che la Asl 8 ha annunciato l'esigenza di trasferire il consultorio di via Argentina in un'altra struttura e sembra interessata all'ex Cries, il grande caseggiato potrebbe diventare un centro medico al femminile. Se ne è parlato già in Consiglio comunale grazie a un'interrogazione del consigliere dell'opposizione Franco Ghiani che ha chiesto al sindaco Argiolas novità sulla destinazione del Cries. «Stiamo attivando una serie di incontri per discutere di questo problema», ha spiegato in Aula Argiolas. Sembra che la Regione stia pensando di trasformare l'ex scuola, costruita con la legge Falcucci, in una struttura medica polifunzionale che servirebbe a tutto l'hinterland. Oltre ai servizi offerti dalla Asl al consultorio attualmente in via Argentina - psicologi, pediatra, ginecologa, ostetrica e assistenti sanitari più servizio di screening per il carcinoma alla cervice con il pap test - al Cries potrebbero esserci sale parto e consulenze specialistiche. Presto, ci sarà un altro tavolo tecnico in Regione. Dalla riunione di ieri è emersa la possibilità di poter accedere a dei finanziamenti immediati che consentirebbero di non perdere altro tempo prezioso per trasformare l'ex Cries in un centro polifunzionale aperto a tutta l'Area vasta. (s.se.) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 Giu. ’13 ASLNU: PROJECT FINANCING COFELY PREMIA SE STESSA Il deputato Capelli: «A questi piace vincere facile» La “Patrimoni PA net” premia a Roma la Asl di Nuoro per le migliori pratiche nella gestione dei patrimoni pubblici in partnership con la società Cofely, tra i concessionari del Project financing. Ma qualcosa non quadra - fa notare il deputato Roberto Capelli - che, armato di lente di ingrandimento, scorre il sito della Patrimoni PA e scopre che nell'elenco dei principali sponsor c'è, guarda a caso, proprio la Cofely. La quale dunque, elementare sillogismo, parrebbe avere un ruolo attivo nella premiazione di se stessa e dei propri partner. LA VICENDA «Mi viene in mente il recente spot pubblicitario che recita: ti piace vincere facile? - ironizza il parlamentare - ma fino a quando questi signori continueranno a prendere per i fondelli i pazienti sardi, o, meglio, i sardi pazienti?». La targa è stata attribuita lo scorso 29 maggio, nell'ambito del settimo forum nazionale sui patrimoni immobiliari urbani territoriali pubblici. «Un segnale importante - aveva spiegato il direttore generale della Asl Antonio Maria Soru - riconoscimento degli sforzi messi in campo, in particolare per tutte le professionalità presenti in Asl, che si sono impegnate nella gestione e nella valorizzazione del nostro patrimonio». Solo fumo negli occhi per Capelli che stigmatizza il presunto conflitto di interessi. IL PREMIO A ricevere premio e attestato è andato lo stesso Soru, accompagnato da Barbara Boi, ingegnere responsabile unico del Project financing. Piano al quale afferisce la realizzazione di una serie di opere Asl, tra cui la foresteria del 118, il Dipartimento di emergenza e accettazione, l'Utic di Cardiologia inaugurati di recente, la realizzazione in corso della torretta del San Francesco e altre strutture. ( fr. gu. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 18 Giu. ’13 LA SOLITUDINE DELL'ONCOLOGO Lo specialista fra la malattia, il dolore e il fine vita Professione oncologo, il medico del cancro, quello a contatto con una malattia sempre più curabile, ma anche col dolore, la sofferenza fisica e psichica legata alla gestione del fine vita. Lavora in équipe, ma conosce il peso della solitudine, dei problemi angosciosi condivisi ogni giorno col malato. Lo aiutano, in questo personalissimo percorso umano, la sua cultura, l'etica, qualche volta la religione. E l'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) che mette a disposizione di medici e infermieri occasioni di dibattito. Il più recente, il 25 maggio ad Alghero, il prossimo a Cagliari, il 27 giugno. Si parlerà di “Bioetica in oncologia”, con una visione legata al ruolo professionale su una varietà di temi che investono il rapporto medico-paziente. E non solo. Aprirà i lavori, Daniele Farci, Coordinatore regionale Aiom Sardegna; moderatori, gli oncologi Luciana Tanca e M. Ignazia Sotgiu. IL TEAM «Momenti di riflessione come quelli vissuti ad Alghero - spiega Farci - rafforzano la personalità e accentuano l'umanità dei sanitari, che solo così possono riuscire a migliorare il loro servizio ai pazienti». Questo, secondo Luciana Tanca, «non significa solo curare la sua patologia, ma prendersene cura in un'accezione più vasta, che comprende, ad esempio, la impossibilità di lavorare, le pratiche per ottenere l'invalidità e l'accompagnamento. L'oncologo non opera da solo, ma in un contesto interdisciplinare: da un lato con lo psicologo e l'assistente sociale, dall'altro con il chirurgo e il radioterapista. Lui resta però il primo punto di riferimento del malato, quello che lo conosce meglio. A lui spetta il compito di dare la prima comunicazione della diagnosi. Sempre in stretta collaborazione con la famiglia». Rapporto complesso, quello col paziente, soprattutto perché l'oncologo che delinea Farci «oltre che curare la malattia, deve curare anche l'ammalato, con i suoi bisogni, le sue emozioni e i suoi sentimenti. Può riuscirci facendo leva sulla propria sensibilità individuale, sulla propria cultura, o su peculiari aspetti della bioetica». Perché problemi di ordine etico emergono di fronte alla diagnosi di una patologia importante, quando si danno notizie che possono sconvolgere la vita di un individuo. Ma Luciana Tanca non ha dubbi: «Al paziente bisogna sempre dire la verità: è un suo diritto, c'è di mezzo la sua vita. Bisogna però saper comunicare. Anche nel caso in cui vuole sapere tutto, dobbiamo tenere conto dell'impatto che la notizia di una certa prognosi può avere sulla sua vita di relazione. Da qui, il dovere di modulare la comunicazione». ELABORAZIONE DEL LUTTO Un'altra pesante responsabilità che si scarica sull'attività (e sulla coscienza) dell'oncologo, insieme alla intuibile pressione del lavorare in un contesto in cui il fine vita e l'elaborazione del lutto rappresentano una realtà ineludibile. Con quali conseguenze? Per Daniele Farci «fra le esperienze più terribili, i suicidi dei ricoverati e la morte dei giovani. È intuibile che si creino delle problematiche di tipo depressivo sul personale sanitario a contatto continuo con la sofferenza. In questi casi, possiamo solo sostenerci da soli, facendo appello alle nostre risorse o appoggiandoci ai colleghi. Il servizio di psicologia è infatti riservato ai pazienti e ai familiari». IL PRIVILEGIO Nelle corsie dell'ospedale si sussurra di qualcuno che si mette in analisi, ma c'è pure chi, come Luciana Tanca, considera «un privilegio» l'attività dell'oncologo, pur ammettendo che «ci carichiamo un “peso” notevolissimo e a volte non riusciamo a smaltirlo. Ma c'è un'altro aspetto importante del problema che io rivendico al cento per cento. L'oncologo, nonostante tutto ciò che affronta, è un privilegiato. Perché nessun'altra attività gli consentirebbe di arricchire così la sua visione della vita, di capire il vero senso della vita. Cioè sapere che c'è una vita, che può essere vissuta in tanti modi, ma avere anche la consapevolezza della morte. Quindi, il senso della vita e il senso della morte. Noi rivendichiamo questo “peso” che, collocato nella dimensione giusta, rappresenta un arricchimento enorme, un'esperienza umana non ripetibile». Lucio Salis _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 PERCHÉ RIMANE ANCORA ATTUALE IL «GIURAMENTO» DI IPPOCRATE di ARMANDO TORNO Chiunque apra un dizionario di filosofia scoprirà che abbiamo a disposizione, per comportarci nel migliore dei modi, numerose etiche. Qualcuno, ironizzando, sostiene che sono troppe. Negli ultimi anni si sono moltiplicate, ma una di esse riguarda tutti gli uomini: è quella della cura medica. Anche chi desiderasse ignorarla ne dovrà condividere, prima o poi, talune regole. Nella sua A Short History of Medical Ethics (Oxford University Press 2000) Albert R. Jonsen ha individuato tre temi principali che ne hanno contraddistinto la storia sin dalle origini, ovvero il decoro, la deontologia e l'etica politica. Si sta parlando di una medicina che non va confusa con quegli aspetti terapeutici della religione, né con le guarigioni praticate da maghi o da personaggi particolari. Elisa Buzzi, proprio partendo dal testo di Jonsen, ha da poco pubblicato una Etica della cura medica (La Scuola, pp. 160, 12) nella quale mette in evidenza come le questioni poste da tale materia coinvolgano tutti i settori della medicina e la società nel suo complesso, tanto che i tre temi ricordati «individuano altrettante sfere della filosofia morale». Mette in evidenza, tra l'altro, che quando si parla di etica della cura si delineano prospettive della filosofia del Novecento quali «la fenomenologia husserliana, l'analitica esistenziale di Heidegger, la riabilitazione della filosofia pratica, l'ermeneutica, l'etica dialogica e della responsabilità». C'è inoltre, per così dire, un antecedente diretto, vale a dire il pensiero femminista «e la sua critica ai modelli maschili di etica e bioetica». Il libro tocca poi gli innumerevoli aspetti che riguardano tale materia. Dalla relazione medico- paziente alla stessa definizione di malattia («problema centrale in medicina, non solo a livello teorico, con importanti ricadute pratiche nella clinica, complesse implicazioni sociali, economiche e giuridiche»), dai temi della sofferenza e della cura allo stesso ragionamento clinico. Il quale si può considerare, da Aristotele in poi, una delle espressioni migliori della ragione. Né si scordano le implicazioni etiche della cura medica, dove emergono temi quali la dignità della persona, il consenso, la fiducia. Oltre, naturalmente, il bene del paziente. Ma se oggi noi possiamo parlare di tutto questo, porci questioni di bioetica, chiederci cosa dobbiamo intendere per malato o discutere di nuovi programmi di ricerca su taluni aspetti del dolore, il merito di aver posto razionalmente le prime domande — che oggi potremmo anche considerare in parte superate — va agli antichi Greci. L'origine della «medicina colta occidentale» è indissolubilmente legata al nome di Ippocrate, vissuto tra il 460 e il 377 circa dell'epoca precristiana. Il cosiddetto Corpus ippocratico non è una raccolta di opere organiche ma è costituito da scritti che vanno dalla fine del V secolo sino al primo della nostra era. Tra essi c'è il celebre Giuramento, punto di riferimento dei principi etici normativi; molte altre questioni sono affrontate nei testi chiamati deontologici (per esempio, La legge, I precetti) e anche in qualche trattato clinico (è il caso del primo libro delle Epidemie). Pur facendo riferimento a diverse scuole filosofiche, giacché nel mondo ippocratico esistevano numerosi orientamenti teorici e metodologici, stupisce la fermezza che caratterizza proprio le norme che si leggono nell'originale del Giuramento. Per fare degli esempi: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se sarà richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un simile consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo», oppure: «In qualsiasi casa mi recherò, entrerò in essa per il sollievo dei malati, astenendomi da ogni offesa e danno volontario e, tra l'altro, da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, siano essi liberi o schiavi»; e ancora: «Di quanto potrò vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori da esso riguardante la vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili». Principi che nascevano in un mondo in cui il medico era visto come una sorta di intermediario tra gli dei e gli uomini. I secoli non li hanno resi obsoleti, caso mai hanno diversamente interpretato le risposte da essi offerte, sovente si sono limitati a confermarli. E questo anche se taluni studiosi, tra i quali lo specialista di medicina antica Ludwig Edelstein (1902-1965), ritengono improbabile che il Giuramento abbia contribuito a diffondere un insieme largamente accettato di regole morali per i medici greci: sarebbe più ragionevole credere che lo status oggi attribuito a quel testo sia stato possibile soltanto in epoca cristiana. E lisa Buzzi sottolinea che «l'aspetto più notevole dell'etica ippocratica è lo stretto legame tra metodo razionale e orientamento morale». Il Giuramento, che consideriamo un'epitome della deontologia medica, è stato ritenuto dal medesimo Edelstein (in Ancient Medicine, John Hopkins University Press 1967) un «manifesto pitagorico». In esso sarebbe confluito il sapere filosofico e religioso di una scuola che aveva fissato regole alimentari e comunicative molto severe e che si caratterizzava per le sue conventicole non aperte al pubblico. Potrebbe insomma essere che questo documento-base dell'etica medica occidentale altro non fosse che una formula di iniziazione per la confraternita elitaria che si ritrovava nel nome di Pitagora. Soltanto più in là nel tempo sarebbe diventato un punto di riferimento per l'umanità. È il caso di aggiungere in margine a queste osservazioni che il Giuramento potrebbe indicare la nascita della corporazione dei medici e che i processi di affinamento e di contaminazione da esso avuti nel tempo sono ancora materia di riflessione. D'altra parte, per fare un esempio, quando l'etica ippocratica incontrò la filosofia stoica la medicina diventò una professione. Fu Scribonio Lago, medico militare durante il tempo dell'imperatore Claudio, che aiutò codesta nascita, determinando ruoli e doveri di coloro che intendevano praticarla. Le virtù richieste allora erano misericordia e humanitas. Altre se ne aggiunsero e il Giuramento non fu più possibile dimenticarlo. Oggi, anche se si utilizza l'espressione «etica post-ippocratica», i principi dell'antica Grecia continuano a essere evocati, fosse anche per ricordare che essa non è più in grado di rispondere con le sue norme alle complesse questioni della medicina contemporanea, rivoluzionata dalla tecnica e dai nuovi orizzonti da essa disegnati. In tal caso si può dire che la crisi di una tradizione ne prova la sua grandezza, perché di essa è rimasta la magnifica morale. _______________________________________________ Il Sole24Ore 22 Giu. ’13 MEDICI, AI BLOCCHI DI PARTENZA IL CYBER-CODICE DEONTOLOGICO CAMBIAMENTI CONTINUI L'ultimo restyling del 2006 è già superato dall'irrompere di nuove tecnologie Per i 79 articoli primo esame della Fnomceo Barbara Gobbi I dottori d'Italia alle prese con cybermedicina, tecnologie integrate e nuove frontiere del web, revisionano i principi-guida della professione mettendo mano al loro codice deontologico. Che, aggiornato nel 2006, appare già superato: la rapida trasformazione della società, delle tecniche e dell'Ict impone un deciso restyling. I 106 ordini provinciali - riuniti nella federazione nazionale dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) - stanno esaminando una prima bozza del nuovo Codice in 79 articoli (quattro in più dell'attuale), redatta da una commissione ad hoc. Entro la fine dell'anno, integrati gli emendamenti proposti dal livello locale, il "Codice 3.0" vedrà la luce. La strada, intanto, è decisamente segnata ed è innanzitutto la realtà quotidiana a tracciarla. Basti pensare all'eclatante "outing" di Angelina Jolie, inevitabile modello per milioni di donne, che ha dichiarato di essersi sottoposta a una doppia mastectomia preventiva per scongiurare l'alto rischio di sviluppare un cancro al seno. E vien da pensare, ancora, a Oscar Pistorius, diventato campione grazie a protesi hi-tech in fibra di carbonio. Due esempi tra gli innumerevoli possibili, emblematici di una medicina senza più confini, che toccano profondamente l'opinione pubblica. E chiedono risposte ai medici, quotidianamente sollecitati sui limiti e sulle prospettive aperte nel settore della scienza e nelle tecnologie. Ma i progressi-lampo sono tutti da conciliare con le prerogative di autonomia e indipendenza rivendicate dalla professione e con il diritto dei pazienti alla privacy, al consenso informato e a chance concrete di cura. Soprattutto quando queste ultime, almeno nella loro versione più sofisticata, sono riservate a una ristretta rosa di privilegiati. Il rischio da scongiurare, ancora più pressante ora che i cordoni della borsa sono serrati, è che la sanità diventi accessibile ai pazienti per "gironi": di serie A, B e C. Con buona pace dell'equità di accesso alle cure. Ecco allora che anche il codice di condotta dei camici bianchi, specchio dei tempi, acquista pezzi. Dei quattro articoli nuovi di zecca, tre affrontano le sfide dell'innovazione e dell'organizzazione sanitaria (il quarto disciplina invece la new entry "medicina militare"). L'articolo 76 della nuova bozza - anticipata dal settimanale Il Sole-24Ore Sanità (www.24oresanita.com) - si occupa proprio della "medicina potenziativa". Mirata, cioè, «non solo al recupero e all'ottimizzazione della funzionalità del soggetto ma anche alla intenzionale modifica e potenziamento del naturale funzionamento psicofisico dell'uomo». Come dovrà muoversi il medico in questi ambiti? Orientandosi, è la risposta, ai principi «di precauzione, di proporzionalità e di rispetto dell'autodeterminazione della persona». Verso le nuove tecniche c'è dunque un atteggiamento prudenziale: fari dell'agire dovranno essere il consenso informato e i criteri di equità, sicurezza, uguaglianza d'accesso, pertinenza e finalità sanitaria delle prestazioni. Sempre nel quadro di quell'alleanza terapeutica con la persona, che rischia di smarrirsi nella fitta foresta dei chip, del "cloud" e delle banche dati. Cui non a caso sono dedicati il nuovo articolo 78 sulle "tecnologie informatiche" e il decalogo a esso allegato, un vademecum per i dottori alle prese con l'Ict. Chiaro è lo sforzo di riuscire a cavalcare la tigre cybermedicina: la tecnologia - avvertono i medici - è preziosa e irrinunciabile, ma è uno strumento al servizio dell'appropriatezza clinica. Nell'utilizzarla, il medico dovrà attenersi a «criteri di proporzionalità, di sicurezza e di necessità dell'intervento, di pertinenza e di esplicita e corretta finalità clinica, etica e deontologica, nel rispetto dell'autodeterminazione della persona, rifuggendo da ogni possibile discriminazione». I dottori avranno bisogno di spalle larghe, e lo sanno: all'articolo 79 chiariscono il proprio ruolo nei processi di innovazione e organizzazione sanitaria. «Di fronte al necessario contenimento dei costi e alla razionalizzazione della erogazione delle prestazioni – promettono – il medico garantisce ai cittadini indipendenza di giudizio in scienza e coscienza». Nel segno del l'Ict. _____________________________________________________________ Repubblica 18 giu. ’13 MEDICINA NARRATIVA STUDIARE LE STORIE DEI PAZIENTI nasce un network internazionale DOMENICA TARUSCIO * Dagli anni '70-'80, con , i primi tentativi di applicazione dell'approccio terapeutico che va sotto il nome di medicina narrativa, orientato alla dimensione umanistica e sociale della relazione medico- paziente, sono stati progressivamente sviluppati e affinati strumenti e tecniche sempre più rigorosi per cercare di incentivare l'impiego della narrazione e della conoscenza basata sulle storie di malattia nella pratica clinica. Uno strumento che, è bene ricordarlo, non può che migliorare la qualità dei percorsi di assistenza e cura, in particolare in un settore come quello delle malattie rare, caratterizzato spesso dalla scarsità di conoscenze, letteratura scientifica e grandi numeri. La Narrative Medicine Conference che avrà luogo a Londra da domani al 21 giugno, organizzata dal King's College in collaborazione con la Columbia university Disease, illness e sickness: le tre dimensioni chiave con cui analizzare la malattia di NewYork, mira proprio a fare il punto sullo stato dell'arte delle competenze nel campo della medicina narrativa e sulle nuove prospettive aperte da studi innovativi e protocolli sperimentali, stimolando il confronto ed il dibattito in merito al futuro. L'appuntamento sarà anche l'occasione per annunciare la nascita del primo network internazionale dedicato alla narrative medicine, che consentirà agli esperti sul tema di essere costantemente in contatto e condividere in modo più strutturato ed efficiente il proprio know-how. Da alcuni anni il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha attivato il Laboratorio di medicina narrativa, con l'obiettivo di promuovere in sanità l'uso della medicina narrativa, in particolare nell'ambito di malattie poco conosciute come le rare, individuando diverse aree di intervento: documentazione, ricerca, informazione e formazione. Con entusiasmo, quindi, abbiamo accolto la sfida di "Viverla Tutta", avviata da uno spazio aperto all'interno del sito web del quotidiano la Repubblica e proseguita con il progetto "Laboratorio sperimentale di medicina narrativa", coordinato dal CNMR dell'ISS, i cui partner sono l'ASL 10 di Firenze, la European Societyfor Health and Medical Sociology (ESHMS) e la Pfizer Italia. Le giornate di Londra consentiranno di portare all'attenzione di un pubblico internazionale anche il contributo delle centinaia di storie di persone, con malattie rare e croniche, e di caregiver (colui o colei che principalmente si prende cura della persona malata, ndr) che sono state raccolte durante la Call to action "Viverla Tutta". Una pagina web creata all'interno del sito Repubblica.it ha consentito di raccogliere i contributi di pazienti e caregivers. Racconti che sono stati analizzati, con metodi qualitativi e quantitativi, nell'ottica delle tre dimensioni- chiave dell'esperienza di malattia: disease, illness e sickness, intese secondo il punto di vista di pazienti e caregivers. Circa un terzo delle narrazioni raccolte interessava aspetti legati alla malattia concepita come disease, facendo riferimento a tutto ciò che era correlato alla dimensione strettamente "medica", come aspetti relativi a diagnosi e cure. All'interno di questa categoria, più della metà dei contributi si è focalizzato sulla cura, circa il 40% sulla diagnosi, una parte minore sulla modalità di comunicazione e l'atteggiamento dei professionisti della salute. Il ritardo diagnostico si conferma come aspetto particolarmente critico soprattutto nel caso di malattie rare. La dimensione soggettiva della malattia, l'illness, che include la sfera dei rapporti affettivi e della qualità della vita, è stata oggetto di quasi la metà delle narrazioni raccolte. In tale categoria, le narrazioni erano centrate principalmente sugli aspetti emotivi, sulla percezione della malattia, sugli atteggiamenti nei confronti della malattia, ma anche sulla qualità della vita e sull'impatto della malattia nella vita di tutti i giorni. Sulla percezione della dimensione sociale della malattia, la sickness, erano focalizzate circa il 20% delle narrazioni raccolte. Tra i risultati più significativi: più di due terzi delle testimonianze all'interno di questa categoria si sofferma su aspetti legati a come pazienti o caregiver vengono percepiti da chi li circonda (ad es. parenti, amici, colleghi e professionisti non sanitari). Altri temi di rilievo, emersi dai racconti, sono stati l'accesso ai servizi sanitari e sociali, le politiche sanitarie (in termini di organizzazione dei servizi e riconoscimento dell'invalidità), l'integrazione socio- sanitaria e le questioni legali. I risultati dell'analisi delle narrazioni raccolte, unitamente alla letteratura scientifica sul tema della medicina narrativa, costituiranno il background per la realizzazione di Linee di indirizzo per l'utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico - degenerative, destinate a operatori della salute impegnati in ambito sanitario, sociale e sociosanitario (Consensus Conference il 2 e 3 ottobre all'ISS). *Direttore Centro Nazionale Malattie Rare, ISS ________________________________________________________ Corriere della Sera 17 Giu. ’13 LA STORIA SANITARIA NEL FASCICOLO ELETTRONICO PERSONALE Le cifre stanziate per il Fascicolo sanitario elettronico, che conterrà tutta la nostra storia medica, non sembrano alte: il decreto parla di 10 milioni per il 2014 e 5 per il 2015, da utilizzare per l’infrastruttura centrale. Ma è probabile che l’operazione sia più difficile dal punto di vista logico che costosa. Si tratta di interrompere inutili ma lunghi e polverosi passaggi burocratici il cui risultato è, come sarà capitato anche a voi, che il pronto soccorso di un ospedale non ha le informazioni in possesso allo stesso ospedale. La road map prevede che entro il 31 dicembre 2013 le regioni e le province autonome presentino all’Agenzia per l’Italia digitale il piano per la realizzazione. Un’altro punto sempre previsto dal decreto sarà poi l’istituzione dell’Anagrafe nazionale degli assistiti in luogo degli elenchi delle singole aziende locali. Per la centralizzazione dell’anagrafe sono indicati 5 milioni (2 nel 2013, 2 nel 2014 e 1 nel 2015). Se la domanda è come cambierà la nostra vita allora l’anagrafe dovrebbe dare un bel contributo in quanto sarà il cittadino stesso che potrà accedervi chiedendo i documenti di cui ha bisogno. Salvo poi poterli ritirare in copia cartacea come avviene oggi, un passaggio espressamente previsto dal decreto, per questioni di digital divide. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 Giu. ’13 PSEUDOSCIENZA: CIARLATANI CONTAGIOSI Stamina è solo l'ultimo caso, ma sono decine le falsità spacciate per scientifiche negli ultimi due secoli e mezzo. Silvano Fuso le ha raccolte, analizzate e classificate in ben sei categorie Tra i grandi abbagli collettivi spiccano i raggi N di Blondot, l'orgone di Reich, la fusione fredda. E vere frodi come le staminali di Woo Suk Hwang Gilberto Corbellini Il «caso Stamina» è l'ennesima dimostrazione che, in Italia, le élite politiche, tecniche e intellettuali sono inadeguate per guidare un Paese che aspira a competere con le vere economie e democrazie della conoscenza. Come hanno potuto due mediocri ciarlatani, quali sono Andolina e Vannoni, ottenere una legge che li eleva allo status di interlocutori delle istituzioni sanitarie e della comunità scientifica? Come è possibile che, contro la logica dello Stato di diritto, dei giudici decidano arbitrariamente che qualcosa può essere trattamento medico, efficace o compassionevole non importa, senza che vi siano fatti scientificamente provati per deliberare in tal senso? Come ha potuto ripetersi, nonostante il caso Di Bella che aveva già esposto la medicina italiana al ridicolo, una vicenda che potrebbe avere conseguenze molto più devastanti per la salute e l'economia di numerosi cittadini? La spiegazione, è semplice: la classe politica, dirigente e accademica rispecchia il peggioramento della qualità intellettuale, morale e civile degli italiani. Gli indicatori socio-politici ed economici predicono un preoccupante discostamento del Paese dagli standard dell'economia reale e dai livelli cognitivi necessari per essere competitivi nell'ecosistema liberaldemocratico. Il «caso Stamina» si va ad aggiungere ad altre anomalie italiane. La sperimentazione del metodo Zamboni per la sclerosi multipla, lo sdoganamento politico-universitario delle medicine alternative, gli isterici divieti di coltivare Ogm, le fobie infantili per gli inceneritori, il culto irrazionale per le fonti cosiddette rinnovabili di energia eccetera. Tutte scelte che stiamo già pagando economicamente e socialmente, e che ai nostri figli costeranno anche di più. Le cui conseguenze sono quotidianamente mascherate dai ragionamenti ipocriti e disinformati di opinionisti, vecchietti e moralisti, rigorosamente conservatori, di destra o di sinistra, che alimentano un modo di pensare politicamente conveniente e mediaticamente funzionale. Se Silvano Fuso farà una seconda edizione del suo libro sulla pseudoscienza, non mancherà di includere il «caso Stamina». Intanto propone una suddivisione funzionale delle decine di falsità che negli ultimi due secoli e mezzo sono state provvisoriamente spacciate per "scientifiche", in sei categorie. Gli «abbagli individuali e collettivi», dove tra gli esempi spiccano i raggi N di Blondot, la poliacqua, l'orgone di Reich e la fusione fredda. Le «frodi volontarie», dove sono raggruppati imbrogli famosi, tra cui la genetica sovietica di Lysenko, l'uomo di Piltdown e le staminali di Woo Suk Hwang. Nella categoria delle «invenzioni folli» entrano il raggio della morte di Tesla, il cronovisore di Ernetti, ma anche, forse un po' impropriamente, l'eugenica di Galton e il programma nazista Aktion T4. Le «teorie rivoluzionarie» vanno dai viaggi nel tempo alle catastrofi cosmiche per chiudere sulle reazioni piezoelettriche di Carpinteri. L'ultima categoria identificata da Fuso riguarda «medicine e miracoli», e tratta di mesmerismo, omeopatia, memoria dell'acqua, cromoterapia e delle sempre più numerose e pericolose pseudo-cure anticancro non convenzionali. A monte delle categorie identificate da Fuso c'è il problema di capire cosa è, e perché è così contagiosa la pseudoscienza? Le teorie non scientifiche o pseudoscientifiche sono prive di un sistema di riferimento concettuale controllabile in modo indipendente, per definire, collegare e quindi spiegare dei fatti, stabilendo relazioni logicamente coerenti e operazionali con altre teorie che producono conoscenza empirica. Ne consegue che le teorie non scientifiche non vanno incontro ad alcun progresso: per esempio l'omeopatia è rimasta ferma a oltre due secoli fa sul piano dei principi teorici di base. La pseudoscienza è prodotta da chi sostiene una teoria o difende una spiegazione stabilendo, per provare quel sta affermando, condizioni che non sono ripetibili. Infatti, solo chi aderisce o crede in quella teoria afferma l'esistenza di fatti che la validerebbero: la qualità delle prove ritenute valide dipende, un po' come nelle credenze magico-religiose, della loro consistenza rispetto a una conclusione preordinata o attesa. Le pratiche mediche cosiddette alternative sono dei surrogati della religione. Ora, se le pseudoscienze hanno così successo è perché l'epistemologia della pseudoscienza è lo stato di default del modo di funzionare della nostra mente. In assenza di un'istruzione che la guidi a confrontarsi con i fatti, e a sviluppare un modo di ragionare validato dalla scienza. Nell'evoluzione adattativa dei sistemi culturali di conoscenza, la scienza non è venuta fuori dal nulla. È, verosimilmente, una continuazione del pensiero magico, che si sviluppa come un modo spontaneo di categorizzare i cambiamenti nell'ambiente sulla base dell'imprinting cognitivo che ci induce ad attribuire, in assenza di esperienze correttive, cause invisibili e animate per cambiamenti in uno scenario circostante. Il nostro cervello è facilmente ingannabile, nel senso che funziona largamente sulla base di aspettative illusorie e autoinganni. Nella storia del pensiero la concezione magica della realtà ha spinto ad andare oltre i dati sensibili, cioè a cercare cause, non direttamente percepibili, attraverso processi di astrazione e manipolazione dell'esperienza: un'aspettativa che è stata premiata non certo con la scoperta di un'animazione metafisica nella natura, ma portando alla luce cause fisiche a livelli più profondi della realtà, grazie all'invenzione di pratiche efficaci per ampliare la conoscenza naturalistica del mondo. Il pensiero magico continua a manifestarsi e prevalere dove manca una cultura politica e civile fondata anche sulla capacità di capire come funziona la scienza. Ecco spiegato perché, in Italia, la «falsa scienza» ha così successo. Silvano Fuso, La falsa scienza. Invenzioni folli, frodi e medicine miracolose dalla metà del Settecento a oggi, Carocci, Roma, pagg. 300, € 21,00 _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 23 Giu. ’13 QUALE STATO DEL BENESSERE SE NON C'È PIÙ UNA LIRA? Gli standard che abbiamo conosciuto ormai vanno sparendo. Si può ugualmente riavere un sistema giusto con uno scatto culturale che prenda sul serio l'art. 118 della Costituzione Sfuggire al ricatto economico per ripensare con maggiore serenità a finalità e possibili miglioramenti dell'attuale struttura previdenziale Emmanuele Emanuele Il welfare tradizionale sta cedendo di fronte alle revisioni imposte al bilancio dalle politiche di stabilità europee. Sul welfare locale pesano i tagli delle fonti di finanziamento statale, passate da 2,1 miliardi del 2008 a 0,55 miliardi di euro del 2011 (-74 per cento), con il totale azzeramento di alcuni fondi (politiche giovanili, inclusione degli immigrati, pari opportunità, non autosufficienza) e la riduzione del Fondo per le politiche sociali, passato da 930 a 43 milioni di euro. Il tema del futuro del welfare non rappresenta un'emergenza solo per l'Italia, ma un problema per tutti i Paesi sviluppati: basti pensare che il welfare europeo vale il 58 per cento di quello mondiale, nonostante gli europei siano solo l'8 per cento della popolazione mondiale. Il welfare in Italia, dunque, rispetto agli standard a cui la mia generazione si era abituata, è finito e bisogna prenderne tristemente atto. (...) Il paradosso è che in Italia ci si oppone, mentre nel Regno Unito la classe politica promuove la "Big Society", cioè l'intervento strutturale del privato nell'attività pubblica, a seguito della consapevolezza che il sistema sociale com'è attualmente, oltre a non essere sostenibile, produce la "dependency culture" e un notevole numero di approfittatori, da un radicale ridimensionamento dello Stato sociale. La riforma inglese, varata dal Governo, mira a risparmi per 18 miliardi di sterline l'anno, e andrà a colpire i percettori di assegni familiari, i disabili, i beneficiari di sussidi per la casa, l'intero sistema sanitario nazionale, in un'ottica decisamente antikeynesiana, caldeggiata dalla Ue, dalla Bce e dall'Fmi. Anche se il percorso intrapreso nel Regno Unito segna il passo, bisogna prendere dal modello della Big Society ciò che funziona e studiare come trasferirlo da noi. In particolare, il tentativo di trasferire direttamente alle collettività locali responsabilità nella definizione dei tributi, nella politica dei trasporti, nella gestione di scuole, musei, parchi pubblici, servizi alla persona eccetera. Ad esempio, si può guardare con attenzione all'esperimento laggiù avviato, che sta trasferendo al cittadino, con un alleggerimento dell'impegno dell'amministrazione del beneficio sociale, l'onere della cura delle proprie esigenze socio-sanitarie. L'esperimento avviato in alcuni comuni e contee denominato "In Control" ha avuto risultati lusinghieri soprattutto per quanto concerne il gradimento dei cittadini. Detto modello pilota predetermina le risorse economiche da assegnare agli utenti, in modo che possano pianificarne l'utilizzo. Poco tempo dopo aver chiesto assistenza, essi vengono a sapere quale sarà lo stanziamento di risorse a loro disposizione per acquistare sostegno. Molti richiedenti stabiliscono da soli i loro bisogni attraverso un semplice sistema di punteggi; in alcune contee questo calcolo si fa addirittura al telefono. In seguito lo stanziamento viene verificato e tradotto nell'assegnazione di un fondo consistente in una somma di denaro. I budget possono variare da poche decine di sterline la settimana, che servono a un anziano fragile per acquistare assistenza domiciliare, alle decine di migliaia di sterline che servono a un giovane gravemente disabile per ottenere assistenza 24 ore su 24. La mia proposta presuppone la piena attuazione di quella mutazione culturale che, favorita dalla modifica dell'articolo 118 della Costituzione con l'introduzione del principio di sussidiarietà, ha rovesciato la concezione precedente di stampo statalista e assistenzialista, avviando il recepimento in senso positivo del contributo dell'associazionismo, dello spirito di iniziativa del privato sociale, della "cittadinanza attiva" alla soluzione dei problemi delle comunità locali che sono, poi, anche quelli dell'intero Paese. (...) Lo Stato da parte sua (...) deve avere un ruolo da protagonista nel promuovere e regolare, negli indirizzi di fondo, questo nuovo welfare che stiamo definendo, compito al cui interno sta l'esigenza di una complessiva e coerente riforma dei corpi intermedi della società civile, e dell'impresa sociale, affinché quest'ultima faccia un salto di qualità, riuscendo ad attirare investimenti profit, dando corso contestualmente a una disciplina fiscale di favore per il terzo pilastro, secondo quanto accade in gran parte dei Paesi europei. Ma lo Stato sta alla dimensione pubblica come l'apparato scheletrico sta al corpo. Questa, nella metafora, dovrebbe essere la corretta relazione tra le istituzioni e la sfera degli interessi comuni. (...) Uno Stato, per definirsi sociale, deve promuovere il principio del sostegno comune e dell'assicurazione collettiva contro la cattiva sorte individuale e i suoi effetti, principio che fa di una società semplicemente teorizzata una comunità reale, che promuove i singoli allo status di cittadini, cioè "stakeholders", oltre che "stockholders", e attori responsabili. Se riusciamo a sfuggire al ricatto economico, allora possiamo ripensare con maggiore serenità finalità e funzionamento dell'attuale sistema di welfare, cui si accompagna una domanda di maggiore autonomia per i diversi attori sociali, nel quadro di una piena e sostanziale applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. (...) Il welfare nazionale ha bisogno di una stagione istituente, in grado di valorizzare il modello italico, che ha prodotto nei secoli una ricchissima e diffusa ramificazione di iniziative e di opere sociali, che dal particolare sono riuscite a imporsi a livello universale. Bisogna ritornare un po' alle origini, al capitale sociale esistente in quantità già significative nei territori, capitale capace di attenzioni antiche quali la mutualità e la solidarietà, per aggiornare il modello, affinché si pervenga a un welfare di nuova generazione, in grado di passare da una logica della prestazione e della moneta, tipica del vecchio sistema, a una logica del legame sociale, della partecipazione, del coordinamento delle politiche sociali, dell'impegno comune di tutti gli attori. Presidente della Fondazione Roma _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 22 Giu. ’13 ALLARME PER LA RICERCA SANITARIA R&S. Dall'inizio della crisi 15 miliardi di oneri sull'industria del farmaco EMILIA ROMAGNA LE RICHIESTE DEL SETTORE Il leader di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi: «Servono un patto di stabilità, incentivi all'innovazione e rispetto del marchio» Ilaria Vesentini PARMA Non c'è in Italia luogo più emblematico del Centro ricerche di Chiesi Farmaceutici a Parma per raccontare l'eccellenza nazionale dell'industria del farmaco e l'urgenza di politiche che salvaguardino un patrimonio manifatturiero che il Paese non si può permettere di disperdere. Quello di Chiesi è il più grande sito di R&S lungo lo Stivale, 420 ricercatori al lavoro, 200 milioni di euro investiti ogni anno (il 18% dei ricavi, il doppio della media europea) e 20 brevetti prodotti. Ed è qui che Farmindustria ha organizzato ieri la terza tappa del tour itinerante con cui mira a sensibilizzare il sistema-Paese sulla "produzione di valore" che il settore rappresenta e sulla sua preoccupante sofferenza (11.500 addetti persi dal 2006), dopo anni di misure discriminatorie. «Noi rappresentiamo più di 200 imprese al top per propensione all'innovazione e all'export che vogliono continuare a investire in questo Paese, ma non possiamo più permetterci di essere l'unico settore che si fa carico dei tagli alla spesa pubblica», esordisce Lucia Aleotti, vicepresidente Farmindustria con delega allo Sviluppo industriale. Con 1,2 miliardi investiti ogni anno in R&S, ossia il 12% degli investimenti totali del manifatturiero, l'industria italiana del farmaco – 174 stabilimenti produttivi e 64mila addetti diretti – è leader per propensione all'innovazione, con un tasso cinque volte superiore alla media, e secondo produttore europeo dietro alla Germania. «Portiamo ogni anno a questo Paese 26 miliardi di ricchezza (di cui il 67% è export, ndr), 4,4 miliardi di salari, 1,4 miliardi di imposte dirette, siamo l'unico comparto manifatturiero, secondo Bankitalia, che dal 2007 a oggi non ha perso valore. Eppure dall'inizio della crisi al 2011 ci siamo dovuti far carico di 11 miliardi di oneri, e di altri 4 miliardi l'anno nel triennio successivo, per misure di spending review. Siamo rimasti un pilastro dell'economia nonostante le 44 manovre che ci hanno colpito e una spesa sanitaria del 26% inferiore alla media Ue. La nostra parte l'abbiamo già fatta», aggiunge il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, per introdurre le richieste al sistema politico: un patto di stabilità triennale; incentivi all'innovazione; semplificazione degli iter autorizzativi; rispetto del marchio. La richiesta di una prospettiva stabile di finanziamenti e programmazione è sposata dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, che torna a riproporre un «Patto per la salute». «Basta azioni difensive, serve un'azione straordinaria per lo sviluppo», tuona il numero uno di Confindustria Emilia-Romagna, Maurizio Marchesini, che con la sua azienda bolognese di packaging è un rappresentante di punta dell'indotto farmaceutico (che aggiunge 13,5 miliardi di valore prodotto, 60mila addetti e 512 milioni di investimenti ai numeri dell'industria del farmaco). «Il decreto del fare – aggiunge – è positivo lì dove prevede fondi agevolati per l'acquisto di attrezzature sul modello della Sabatini, ma i mesi di attesa dei decreti attuativi bloccano ulteriormente il mercato, un effetto paradosso». © RIPRODUZIONE RISERVATA _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 21 Giu. ’13 IL MEDICO DI REPARTO SEMPRE RESPONSABILE DELLE DIMISSIONI Cassazione. La tutela della salute IL PRINCIPIO La decisione sull'uscita del paziente dall'ospedale deve coinvolgere chi conosce bene le sue condizioni Guglielmo Saporito Maria Teresa Farina Risponde di omicidio colposo il medico che non si oppone alla dimissione di un paziente dall'ospedale disposta da altri colleghi. Lo sottolinea la Cassazione penale (sentenza n. 26966/2013) che ha giudicato un medico per aver partecipato, insieme con altri colleghi, alla visita collegiale di un paziente decidendo le sue dimissioni. La responsabilità del medico è scaturita dall'omesso esame della cartella clinica del paziente, la cui lettura avrebbe consentito al sanitario di percepire le ragioni che impedivano le immediate dimissioni. Poiché l'ammalato aveva in precedenza subìto un'operazione chirurgica, il medico aveva sostenuto di essere immune da colpe per non aver fatto parte dell'equipe che aveva praticato l'intervento, senza poi nemmeno seguirlo nel decorso post operatorio. L'attività nel reparto ospedaliero durante il periodo successivo di degenza – sosteneva l'imputato – non basta a generare una specifica responsabilità al momento della dimissione. Questa tesi non è stata condivisa dalla Corte di cassazione, perchè quando il medico compie attività sanitaria deve «differenziare la propria posizione» per assicurare le migliori cure ed attenzioni alla salute del paziente. Ciò significa che il medico deve manifestare il proprio dissenso dall'opinione del direttore di reparto, quando vi possa essere il rischio di complicazioni per il paziente. Tale dissenso deve poi emergere dalla documentazione clinica del paziente, specialmente quando, come nel caso deciso, il medico imputato aveva redatto il giudizio di dismissione. Questo tipo di responsabilità ha la stessa matrice di quella che coinvolge l'assistente medico, il quale puo' essere ritenuto responsabile quando non esprime critiche e perplessità, nei limiti delle sue conoscenze, sui trattamenti sanitari praticati da colleghi di posizione apicale, che possano comportare un rischio per il paziente. Sotto questo profilo, i giudici hanno fatto riferimento alla sentenza della Cassazione penale n. 556/1999. La responsabilità in questi casi deriva dal mancato compimento di atti che il medico ha il potere di compiere, per impedire il verificarsi dell'evento dannoso. Non rileva quindi la subordinazione gerarchica del medico né tantomeno l'affidamento del paziente ad altro sanitario. La responsabilità per colpa sorge già quando il medico – partecipando alla visita collegiale – dispone di tutte le informazioni e i dati clinici relativi alle condizioni di salute del paziente, cioè di tutti i dati che avrebbero consentito di segnalare l'inopportunità delle dimissioni ed il rischio di successive complicazioni. Basta quindi una manifestazione di dissenso alle dimissioni, per essere immuni da resposonabilità, secondo il principio contenuto nell'articolo 40 del Codice penale: «Equivale a cagionare un evento non impedirlo se si ha il relativo obbligo giuridico». _____________________________________________________________ Il Giornale 23 giu. ’13 IL DOLORE DELL'ARTO-FANTASMA SI RIDUCE CON LA STIMOLAZIONE ELETTRICA CEREBRALE La stimolazione elettrica della corteccia motoria attiva un circuito analgesico. È la conclusione alla quale sono arrivati i ricercatori dell'università di Milano-Bicocca che hanno condotto uno studio preclinico i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Pain. La riduzione del dolore arriva in media fino al 60 per cento nei pazienti affetti dalla cosiddetta sindrome dell'arto fantasma, ovvero la sensazione anomala (e spesso dolorosa) di persistenza di un arto dopo la sua amputazione, difficile da trattare in maniera farmacologica. La sindrome dell'arto fantasma è dovuta a una errata riorganizzazione da parte del cervello che, pur registrando la mancanza di un arto, non è in grado di escluderlo del tutto dalla mappa mentale del corpo. Per questo si parla di una riorganizzazione mal adattiva che interessale aree corticali motorie e parietali. SPERIMENTAZIONE I risultati di questo studio preclinico pubblicati da «Pain» La sperimentazione è stata effettuata su un gruppo di otto pazienti volontari sottoposti a stimolazione con correnti elettriche anodiche a bassa intensità, una stimolazione cerebrale non-invasiva ed indolore. La ricerca (Bolognini - Motor and parietal cortex stimulation for phantom limb pain and sensations) è stata condotta da Nadia Bolognini e Angelo Maravita del dipartimento di Psicologia dell'universitàdiMilano- Bicocca, in collaborazione con Francesco Ferraro del dipartimento di riabilitazione dell'Azienda ospedaliera Carlo Po- ma di Mantova e Felipe Fregni del Laboratory of Neuromodulation, Spauilding Rehabilitation Hospital of Harvard Medi- cal School di Boston. I pazienti sono stati sottoposti ad una singola stimolazione a corrente elettrica sia anodica che catodica a 2 milliampere per 15 minuti. _____________________________________________________________ Repubblica 21 giu. ’13 ALZHEIMER:DAL 1990 TRIPLICATI I CASI IN CINA Crescono a un ritmo inquietante. Nel 1990 i casi di Alzheimer in Cina erano 1,93 milioni e quelli di demenza in generale 3,68 milioni. Nel 2010 sono arrivati rispettivamente a 5.69 milioni e 9,19 milioni. A far emergere questa crescita è un team internazionale di ricercatori guidati dall'Università di Edimburgo che, per la prima volta, ha avuto accesso a un imponente poi di dati e studi disponibili finora solo in cinese. Grazie alla traduzione in inglese e alla digitalizzazione delle ricerche, i ricercatori hanno scoperto che le stime date finora erano in difetto di circa il 50 per cento. A giustificare questo aumento sono diversi fattori. sicuramente una crescita delle diagnosi, ma anche l'invecchiamento medio della popolazione e uno stile di vita più occidentale, che porta all'obesità, fattore di rischio per la malattia. A rendere più preoccupante il quadro per il futuro della Cina è il fatto che entro il 2033 la popolazione lavoratrice sarà superata da quella anziana, anche in conseguenza della politica del figlio unico. «Se il trend dovesse risultare simile in altri Paesi a medio reddito, in futuro i casi di Alzheimer nel mondo potrebbero essere il 20 per cento in più di quanto era stato stimato finora». (c.v.) _____________________________________________________________ La Stampa 22 Giu. ’13 L’ALZHEIMER POTREBBE ESSERE CAUSATO DA UN VIRUS Un comune e diffuso virus potrebbe essere collegato allo sviluppo della malattia di Alzheimer, secondo un nuovo studio. Dietro allo sviluppo della malattia di Alzheimer potrebbe anche esserci un virus che, se contratto, potrebbe contribuire alla malattia. Lo studio che ha scoperto l’associazione tra le risposte immunitarie dei pazienti con citomegalovirus e l’Alzheimer LM&SDP C’è un virus piuttosto comune e diffuso chiamato citomegalovirus (CMV) che pare possa contribuire allo sviluppo della devastante malattia di Alzheimer. Questo è quanto hanno scoperto i ricercatori statunitensi del Rush University Alzheimer’s Disease Center di Chicago, i quali hanno condotto uno studio scoprendo che vi era un’associazione tra le risposte immunitarie dei pazienti con CMV e i segni della malattia di Alzheimer. Lo studio, che tuttavia non ha trovato un legame di causa/effetto tra l’infezione da CMV e l’Alzheimer, e necessita di ulteriori approfondimenti, ha comunque suggerito che situazioni infiammatorie per il cervello provocate dall’infezione possano portate a modifiche cerebrali, come quella osservata nella ricerca. Queste modifiche sarebbero alla base del risultante declino cognitivo e la sua evoluzione nella malattia di Alzheimer. Poiché, come detto, il legame causa/effetto per questo specifico virus non è stato trovato, i ricercatori ipotizzano che anche altri virus potrebbero potenzialmente avere lo stesso impatto sul cervello. Se dunque la possibilità di essere stati contagiati dal virus CMV è un fattore di rischio per l’Alzheimer, il problema diviene serio dato che sono moltissime le persone che lo contraggono. Il citomegalovirus si trasmette per mezzo dei fluidi corporei, compresi i rapporti sessuali. In questo studio, pubblicato sul The Journal of Infectious Diseases, la dottoressa Julie Schneider e colleghi hanno analizzato campioni di sangue e liquido cerebrospinale provenienti da persone che avevano fatto parte di uno studio – Aging-and-dementia study – durante la propria vita. Tutti i pazienti, al momento dello studio, erano deceduti ed erano stati affetti dalla malattia di Alzheimer o era probabile che ne fossero affetti. Le analisi hanno mostrato che in 37 dei pazienti erano presenti gli anticorpi contro il CMV, mentre 22 non li avevano. Dei pazienti con gli anticorpi, l’80% presentavano alti livelli di un noto bio-marcatore (o marker) dell’infiammazione nel liquido cerebrospinale. Al contrario, coloro che non avevano gli anticorpi contro il virus non presentavano questo marcatore. Secondo Nell Lurain, professore di immunologia presso la Rush University e coautore dello studio, tale netta differenza sostiene l’idea che il CMV può causare specificamente un’infiammazione legata al morbo di Alzheimer. I pazienti con più alti livelli di anticorpi contro il CMV sono stati anche trovati avere un maggior numero di cellule cerebrali con le proteine tau aggregate, chiamati grovigli neurofibrillari, che sono stati collegati alla malattia di Alzheimer. Come accennato, sono in molti ad avere nel proprio organismo il virus CMV, senza che neanche lo sappiano. Infatti, i sintomi dell’infezione spesso si manifestano soltanto nelle persone con un sistema immunitario indebolito. Il virus, che può infettare il cervello e il midollo spinale, ha dimostrato di aumentare l’infiammazione cerebrale. Ed è proprio questa infiammazione che si ritiene possa contribuire allo sviluppo dell’Alzheimer, e forse anche altre malattie che causano la degenerazione delle cellule nervose, o neurodegenerative. _____________________________________________________________ Sanità News 20 Giu. ’13 SCOPERTO UN NUOVO FARMACO IN GRADO DI CURARE L’ALZHEIMER L’esperimento scientifico che ha portato un buon effetto sugli animali, consisterebbe nel combinare in un sola molecola, la nitro-memantina, un mix di due farmaci che sarebbero in grado di riportare al funzionamento normale i neuroni danneggiati. Si tratta di una ricerca coordinata dal medico Sanford-Burnham, pubblicata sulla rivista Pnas dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti d’America. Il farmaco punta a ripristinare le connessioni nervose che sono state danneggiate dalla malattia, in maniera tale far riavere condizioni normali alle persone malate. Finora la molecola è stata testata solo sugli animali, ma presto i ricercatori sperano che possa essere sperimentata anche sull’uomo. La malattia dell’Alzheimer è dovuta a una diffusa distruzione di neuroni, principalmente attribuita alla beta-amiloide, una proteina che, depositandosi tra i neuroni, agisce come una sorta di collante. La malattia è accompagnata da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello, con la conseguente impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi e quindi la morte dello stesso, con atrofia progressiva del cervello nel suo complesso. Significance Communication between nerve cells occurs at specialized cellular structures known as synapses. Loss of synaptic function is associated with cognitive decline in Alzheimer’s disease (AD). However, the mechanism of synaptic damage remains incompletely understood. Here we describe a pathway for synaptic damage whereby amyloid-?1–42 peptide (A?1–42) releases, via stimulation of ?7 nicotinic receptors, excessive amounts of glutamate from astrocytes, in turn activating extrasynaptic NMDA-type glutamate receptors (eNMDARs) to mediate synaptic damage. The Food and Drug Administration-approved drug memantine offers some beneficial effect, but the improved eNMDAR antagonist NitroMemantine completely ameliorates A?-induced synaptic loss, providing hope for disease-modifying intervention in AD. Abstract Synaptic loss is the cardinal feature linking neuropathology to cognitive decline in Alzheimer’s disease (AD). However, the mechanism of synaptic damage remains incompletely understood. Here, using FRET-based glutamate sensor imaging, we show that amyloid-? peptide (A?) engages ?7 nicotinic acetylcholine receptors to induce release of astrocytic glutamate, which in turn activates extrasynaptic NMDA receptors (eNMDARs) on neurons. In hippocampal autapses, this eNMDAR activity is followed by reduction in evoked and miniature excitatory postsynaptic currents (mEPSCs). Decreased mEPSC frequency may reflect early synaptic injury because of concurrent eNMDAR-mediated NO production, tau phosphorylation, and caspase-3 activation, each of which is implicated in spine loss. In hippocampal slices, oligomeric A? induces eNMDAR-mediated synaptic depression. In AD- transgenic mice compared with wild type, whole-cell recordings revealed excessive tonic eNMDAR activity accompanied by eNMDAR-sensitive loss of mEPSCs. Importantly, the improved NMDAR antagonist NitroMemantine, which selectively inhibits extrasynaptic over physiological synaptic NMDAR activity, protects synapses from A?-induced damage both in vitro and in vivo. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 Giu. ’13 IL CASCHETTO CHE LEGGE NEL PENSIERO DEI MALATI DI SLA Essere malati di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) significa, per molti, sentire la propria mente ancora lucida intrappolata in un corpo che non risponde più alla volontà. Come ricollegarsi con l'esterno? Una soluzione viene dall'Italia ed apre orizzonti finora classificabili come fantascientifici: è un casco «telepatico», legge il pensiero dei malati e lo «traduce» in parole o azioni. Si chiama sistema Brindisys. Un prototipo già presentato un anno fa, ma oggi migliorato a tal punto da essere l'attrazione del convegno milanese dedicato alla Giornata mondiale sulla Sla. Brindisys è frutto di un'idea sviluppata dai ricercatori della Fondazione Santa Lucia di Roma e finanziata con 336 mila euro dall'Associazione per la ricerca sulla Sla (Arisla). Gli elettrodi del casco «leggono» i segnali inviati dal cervello del malato. E' un hardware a sé e non ha bisogno di essere installato su computer o altri supporti. Ancora un prototipo, ma ha già superato i test sui pazienti a pieni voti. M. Pap. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 L'UNIONE EUROPEA VUOLE CHE LA BELLEZZA SIA SEMPRE PIÙ SICURA Obbligo di «notifica» per gli eventi avversi Creme idratanti o antirughe, maschere di bellezza, ombretti, rossetti, tinture per capelli, profumi. E anche saponi, shampoo, deodoranti, dentifrici. Cosmetici non solo «voluttuari» per migliorare l'aspetto, ma anche prodotti che usiamo ogni giorno nel prenderci cura della nostra igiene. Per garantire la loro sicurezza ai consumatori, il prossimo 11 luglio diventerà pienamente «operativo» in tutti gli Stati europei un Regolamento che l'Unione ha varato nel 2009 (alcune norme sono già in vigore, altre lo saranno nei prossimi mesi.Si veda box a sinistra). Le norme riordinano l'intero settore della cosmesi, introducendo anche nuovi obblighi a tutela della salute: sulla composizione dei prodotti e sulla loro etichettatura, sui controlli nei processi di produzione e distribuzione, sulla vigilanza degli effetti avversi. «Il Regolamento mira a uniformare le procedure in tutti i Paesi Ue, visto che i cosmetici circolano liberamente nel mercato interno» spiega Marcella Marletta, a capo della Direzione generale Dispositivi medici, servizio farmaceutico e sicurezza delle cure, del ministero della Salute. A fare chiarezza sulle sostanze ammesse, vietate o da utilizzare solo in misura limitata perché potenzialmente nocive sono i diversi elenchi allegati al Regolamento. Ma come orientarsi nelle scelte? Le informazioni sugli ingredienti contenuti nel singolo prodotto si trovano sull'etichetta, che quindi va letta in modo accurato per evitare di usare cosmetici che, per esempio, contengano sostanze cui si è allergici (si veda articolo a destra). Con le nuove norme, in particolare, i recipienti e gli imballaggi dei prodotti devono riportare, nella lingua dello Stato membro in cui il cosmetico è venduto, oltre a informazioni chiare sul produttore, l'elenco degli ingredienti contenuti e le precauzioni per l'impiego (anche per i cosmetici di uso professionale). Altra novità è l'indicazione in etichetta dell'eventuale presenza di nanomateriali, particelle di dimensioni estremamente ridotte, utilizzate per esempio in conservanti o coloranti. Inoltre, con il nuovo Regolamento europeo, diventa obbligatorio per produttori e distributori anche notificare alla Commissione europea la presenza di nanomateriali nei cosmetici. «È un'utile precauzione, soprattutto per avere dati sul grado di tossicità di questi specifici materiali ottenuti con particolari tecnologie, e di conseguenza, per poter decidere se dare o no il via libera al loro uso» commenta Marcella Marletta. La presenza nei cosmetici di «tracce» di sostanze vietate, come i metalli pesanti (per esempio, piombo oppure cromo) è tollerata a condizione che sia «involontaria», «tecnicamente inevitabile», che si verifichi nonostante «l'osservanza di buone pratiche di fabbricazione» e che il prodotto risulti sicuro «nelle condizioni d'uso ragionevolmente prevedibili». La norma stabilisce in proposito che il valutatore della sicurezza del prodotto cosmetico debba certificare l'eventuale rischio per il consumatore, caso per caso e prodotto per prodotto, in base al tipo di metallo, alla reale concentrazione e alla tipologia. Misure più stringenti sono introdotte anche per l'immissione in commercio di nuovi cosmetici. Già adesso i prodotti sono sottoposti a rigorosi test. «Occorre assemblare una documentazione sul prodotto, che però, d'ora in poi, dovrà essere corredata da un cosmetic safety report, cioè un rapporto ben specificato sulla sicurezza — spiega Stefano Dorato, direttore delle relazioni scientifiche e normative di Cosmetica Italia (già Unipro), l'associazione italiana delle imprese cosmetiche —. La normativa europea stabilisce con maggiore chiarezza e rigore alcune cose, per esempio la raccolta dei dati sulla sicurezza delle materie prime, l'obbligo di riportare un riferimento ai profili tossicologici delle sostanze e agli studi di esposizione al cosmetico, oltre alle informazioni sul packaging, cioè sul contenitore». Per ogni cosmetico immesso sul mercato va designato un responsabile che garantisca la conformità alle disposizioni, cioè tuteli la sicurezza dei consumatori e il loro diritto a una corretta informazione. Quanto agli «effetti indesiderabili gravi», peraltro rari (per esempio, la perdita temporanea di una funzione, oppure una disabilità), provocati da un prodotto che pure è conforme alle regole, diventa obbligatorio segnalarli all'autorità competente — nel nostro Paese il ministero della Salute — che, a sua volta, «allerta» la Commissione europea. Le segnalazioni al ministero possono essere fatte dagli operatori sanitari e direttamente dai consumatori stessi: viene creato un sistema di «cosmetovigilanza» a livello europeo, anche allo scopo di porre un freno alla contraffazione e alla produzione di cosmetici con sostanze nocive o poco sicure (si vedano gli articoli a destra e sotto). «Da noi già esiste un sistema di vigilanza — osserva la dottoressa Marletta —. Ora, però, il sistema viene centralizzato a livello europeo, in modo che le comunicazioni tra gli Stati membri consentano di mettere in atto tempestivamente i provvedimenti necessari». Attualmente il ministero della Salute può richiedere all'Istituto superiore di Sanità un parere tecnico sia sul dossier informativo del prodotto prima dell'immissione nel mercato, sia nel caso si sospetti che il cosmetico abbia provocato reazioni avverse. Il Regolamento introduce in tutti i Paesi dell'Unione Europea l'obbligo della tracciabilità del cosmetico. «Questo consente maggiori controlli in tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione — sottolinea Marletta —. Identificando il lotto, infatti, è possibile risalire al prodotto che ha provocato una reazione avversa e, se non conforme alle regole, adottare le misure per renderlo conforme o ritirarlo dal mercato in tutti i Paesi membri». _____________________________________________________________ Corriere della Sera 23 Giu. ’13 POLMONI SALVATI PRIMA ANCORA CHE RESPIRINO L'operazione alla 28esima settimana Si può salvare una vita anche mettendo un «tappo» in gola che faccia espandere i polmoni. È possibile perché il paziente in pericolo ha una fisiologia diversa dalla nostra, non respira ancora. Perché la vita in questione è quella di un feto di 28 settimane. Si tratta di un intervento nuovo per l'Italia e recente, non più di 10 anni, nel mondo. Serve a tentare di risolvere le conseguenze di una malformazione dello sviluppo fetale, l'ernia diaframmatica, che può colpire un bambino ogni 3 mila nati. Poiché in Italia i nati ogni anno sono circa 600 mila, sono 200 all'anno i feti che presentano questo problema. L'emergenza da affrontare è costituita da un'apertura, un foro, nel diaframma, il muscolo che separa il torace dall'addome. Tale apertura provoca la «risalita» dei visceri nella cavità toracica. Questo spostamento avviene a danno dei polmoni, organi particolarmente delicati nel feto, che vengono compressi e rischiano di non svilupparsi a sufficienza. Nella maggior parte dei casi, i bambini che presentano questa anomalia, identificata grazie all'ecografia, vengono operati subito dopo la nascita. Per questo intervento molti Centri italiani sono preparati e attrezzati. Nei casi più gravi, quelli in cui per il feto le probabilità di arrivare a termine sono molto basse, si può tentare di intervenire prima della nascita. In questo caso c'è un solo Centro, in Italia, la Clinica Mangiagalli di Milano, che può farlo. «Operiamo in fetoscopia — spiega Nicola Persico, chirurgo fetale della Mangiagalli—. Inseriamo cioè una sonda (simile a quelle che si usano in neurochirurgia), dotata di telecamera, attraverso l'addome della mamma e la bocca del bambino. Il feto viene "addormentato" con un'iniezione, la sua prima puntura nella natica. Quando arriviamo alla trachea, viene espulso e gonfiato un palloncino, che va a occludere il passaggio e impedisce che i liquidi polmonari fuoriescano. L'accumulo di fluidi all'interno dei polmoni li mantiene in espansione. Il palloncino viene inserito alla 28esima settimana e verrà poi tolto, con la stessa procedura alla 34-35esima settimana, poco prima del parto». È stato appunto Nicola Persico, ginecologo, studi a Bologna, a «importare» in Italia questa tecnica dopo quattro anni di specializzazione a Londra sotto la guida di Kypros Nikolaides, guru internazionale della chirurgia fetale. Affiancato da una altrettanto giovane ricercatrice, Isabella Fabietti, e coadiuvato da una squadra di chirurghi-pediatri, neonatologi e anestesisti della Mangiagalli, ha organizzato un nuovo servizio ospedaliero specializzato nella più delicata delle chirurgie. «Abbiamo cominciato da poco più di un anno — dice Persico — e siamo soddisfatti dei risultati. Nel primo anno abbiamo fatto 10 interventi, tanti, considerando che gli altri tre Centri europei che utilizzano da tempo questa tecnica (a Londra, Barcellona e Leuven, in Belgio) ne fanno 12-15 all'anno. Anche i risultati sono in linea con quelli degli altri Centri: trattandosi di casi molto gravi, c'è una sopravvivenza del 60%. Se non si intervenisse, potrebbero farcela al massimo 3 su 10: in pratica questa tecnica raddoppia la sopravvivenza». Ma quanto soffre il feto? «Non so rispondere per quel che riguarda la sofferenza esistenziale, — dice Persico —, ma il dolore fisico certamente lo sente. Per questo operiamo in anestesia». La cura «precoce» dell'ernia diaframmatica è così diventato il secondo intervento più frequente eseguito nel Centro di chirurgia fetale della Mangiagalli, uno dei tre esistenti in Italia. L'intervento più comune riguarda un non raro problema che affligge i gemelli monovulari: alcuni di essi presentano uno squilibrio nella circolazione sanguigna, per cui uno dei due gemelli «assorbe» troppo sangue a scapito dell'altro, ma con gravi conseguenze per entrambi. In questi casi il chirurgo fetale interviene a bloccare alcuni vasi bruciandoli con una sonda laser. Lo stesso strumento viene impiegato per bloccare la vascolarizzazione di rari tumori, scoperti attraverso l'ecografia. In altri casi il chirurgo interviene inserendo un tubicino che favorisce il drenaggio in caso di versamento toracico. Come si vede la chirurgia fetale che ha a tutt'oggi una validazione internazionale è basata su interventi relativamente «dolci», meno traumatici possibile. Molte tecniche sono in sperimentazione (per la spina bifida, la vescica, persino sul cuore), ma non ancora certificate da studi definitivi. «Per ora quello che si fa è soltanto la punta di un iceberg — precisa Fabio Mosca, direttore della Neonatologia e Terapia intensiva neonatale della Mangiagalli —. Ma è già qualcosa, perché salviamo delle vite, ottenendo non miracoli ma significativi miglioramenti. Abbiamo intanto dimostrato che in Italia si può fare e sappiamo farlo, grazie al lavoro di équipe multidisciplinari. Almeno per quel che riguarda l'ernia diaframmatica sono finiti i viaggi della speranza e questo è per noi motivo di orgoglio. E vorrei ricordare, di questi tempi ci sembra giusto, che tutto è gratuito, a carico del Servizio sanitario e che per le famiglie che vengono da fuori Milano abbiamo organizzato centri di accoglienza, supportati dalle organizzazioni di volontariato». Riccardo Renzi ______________________________________________________ Corriere della Sera 20 Giu. ’13 L'OBESITÀ DIVENTA UNA MALATTIA UN GRANDE CAMBIAMENTO PER L'AMERICA All'obesità negli Stati Uniti è stata riconosciuta la dignità di malattia. Non più condizione, problema socio-sanitario, fattore di rischio, ma vera e propria patologia. La decisione è stata presa dall'Ama (American medical association) e avrà un notevole impatto sull'assettosanitario americano, e non solo. Fino ad ora la mancanza di status di malattia ha escluso dal rimborso assicurativo negli Usa i trattamenti contro l'obesità, da quelli farmacologici a quelli chirurgici. E ciò ha rappresentato un deterrente per i medici americani ad affrontare in modo aggressivo il problema. Ora a chi avrà la «patente» di obeso sarà possibile accedere, senza doversi accollare l'intera spesa, alle terapie contro i chili di troppo approvati dalla Fda (Food and drug administration), l'ente americano di controllo su farmaci e alimenti. Sarà con ogni probabilità questa la cerniera attraverso cui la decisione dei medici Usa trasferirà i propri effetti a livello internazionale. La possibile rimborsabilità per eventuali nuove molecole contro l'obesità rappresenterà una ghiotta opportunità per l'industria farmaceutica, considerato il potenziale mercato di 78 milioni di adulti (e 12 milioni di bambini) nei soli Stati Uniti. E una volta che un nuovo farmaco dovesse essere approvato dalla Fda, presumibilmente lo sarà anche nel resto del mondo. Potrebbe essere una buona notizia, a patto che vengano rispettate due condizioni. La prima è il rigore sperimentale, visto che i medicinali in questo settore hanno già riservato qualche sgradita sorpresa sotto il profilo della sicurezza. La seconda è che questo passaggio non ne porti con sé anche uno culturale, pilotato magari da abili campagne di marketing, che prospetti per l'obesità cure «facili» a base di pastiglie. Ciò rischierebbe di sottrarre motivazioni alla prevenzione del sovrappeso attraverso alimentazione corretta ed esercizio fisico, che comportano vantaggi molto più ampi, in termini di benessere individuale e di spesa sanitaria, rispetto a quelli legati alla mera riduzione del peso. Luigi Ripamonti _____________________________________________________________ Corriere della Sera 22 Giu. ’13 LIMITI UE ALLE SIGARETTE ELETTRONICHE «SARANNO VENDUTE IN FARMACIA» Considerate come medicine oltre il milligrammo di nicotina DAL NOSTRO INVIATO LUSSEMBURGO — Il Consiglio dei ministri della Salute dell'Unione Europea ha approvato la revisione della direttiva sul tabacco, che punta a tutelare maggiormente i cittadini dai gravi danni prodotti dalle sigarette e a ridurre la drammatica stima di circa 700 mila morti annui collegabili al fumo nei 27 Paesi membri. Nel testo finale, approvato nella riunione a Lussemburgo, figurano anche le sigarette elettroniche. Le cosiddette e-cig, se conterranno oltre un milligrammo di nicotina, dovranno essere considerate come i prodotti medicinali ed essere sottoposte alle relative regole e autorizzazioni. La vendita potrà avvenire solo nelle farmacie. Quando la nicotina sarà inferiore a 1 mg dovranno comunque essere rispettati specifici obblighi di informazione sulle conseguenze negative per la salute dei fumatori. Immediata è arrivata la protesta dell'associazione dei venditori di sigarette elettroniche, che ha accolto «con stupore» le dichiarazioni dal Granducato del ministro della Salute Beatrice Lorenzin definendole «contraddittorie» e contestando l'assimilazione delle e-cig ai medicinali. Il presidente di turno della riunione dei ministri, l'irlandese James Reilly, ha espresso soddisfazione per l'accordo raggiunto, che punta a ridurre il numero dei fumatori nell'Unione Europea. «Rappresenta un enorme passo in avanti nella lotta contro l'uso del tabacco, così come una vittoria per la salute pubblica contro coloro che non vogliono riconoscere le conseguenze devastanti della dipendenza da tabacco nella nostra società». Sulla stessa linea si è espresso il commissario Ue per la Salute, il maltese Tonio Borg. Soddisfazione è stata espressa anche da Lorenzin nonostante le critiche sulla sigaretta elettronica. «Andiamo avanti nel nostro percorso di lotta al tabagismo in cui siamo leader mondiali — ha detto il ministro del Pdl —. E non abbiamo compromesso la produzione italiana, che è di alta qualità, arrivando a una mediazione». Il Consiglio si è trovato d'accordo sull'efficacia degli annunci shock sui pacchetti di sigarette, che ammoniscono sui gravi rischi per la salute dei fumatori. Molti Paesi membri chiedevano di stabilire la superficie da coprire con gli allarmi al 75% del totale. Le lobby delle multinazionali del tabacco premevano per abbassare il limite quanto più possibile. Lorenzin si è schierata con i ministri frenatori, giustificando la richiesta del 60% della superficie del pacchetto con la necessità di inserire i dati sulla composizione del prodotto e il bollo dello Stato anticontraffazioni. Il compromesso finale è il 65%, considerato dalla delegazione italiana «un punto di equilibrio». L'Italia era contraria anche agli aromi (tipo fragola o mentolo), che potrebbero rendere più gradevole il gusto delle sigarette e ridurre l'effetto degli annunci shock antifumo. Questa tesi ha prevalso nel testo finale. Ora la procedura prevede il passaggio della direttiva sul tabacco nell'Europarlamento. Sarà gestito dalla nuova presidenza semestrale dell'Ue, affidata alla Lituania dal 1° luglio prossimo. I lobbisti del fumo appaiono già impegnati a convincere molti eurodeputati. Anche se il clima politico sull'argomento è molto prudente. Soprattutto dopo l'emersione di molti dubbi sulle dimissioni dell'ex commissario per la Salute, il maltese John Dalli, accusato da un gruppo del tabacco svedese di essere a conoscenza di una richiesta di tangente da 60 milioni di euro per annacquare le nuove norme antifumo. Ivo Caizzi _____________________________________________________________ Corriere della Sera 20 Giu. ’13 «VIETEREMO LE E-CIGARETTE A SCUOLA» ROMA — Non verrà bandita dai luoghi pubblici. Per ora esce solo dalle scuole. Il divieto italiano sulla sigaretta elettronica comparirà in un'ordinanza annunciata dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Dovrebbe arrivare in una decina di giorni. Decisione attesa. Ripercorre il parere approvato due settimane fa dal Consiglio Superiore di Sanità nel quale, appunto, tra le misure di contenimento e tutela, veniva raccomandata la protezione dei minorenni per non esporli a comportamenti «che evochino il tabagismo». Confermato il divieto ai minori di 18 anni. Ulteriori iniziative in ogni caso verranno concertate con tutti i ministeri interessati. Le elettroniche non sono un problema esclusivo della salute ma chiamano in causa interessi economici che non possono essere ignorati. Bisognerà sciogliere il nodo di fondo, cioè decidere se queste sigarette sono un prodotto da fumo o un dispositivo per cercare di smettere col tabacco e dunque considerarle veri e propri farmaci da prescrivere sotto controllo medico. La Francia ha scelto la linea dura e le ha bandite dai luoghi pubblici. D'accordo sull'ordinanza Massimiliano Mancini, presidenti di Anafe (Associazione nazionale fumo elettronico): «Concordiamo con l'ipotesi di vietarle negli edifici scolastici e ai minori di 18 anni. Siamo pronti a un confronto trasparente per arrivare a una normativa equilibrata». Per quanto riguarda il fumo tradizionale, Lorenzin dichiara di non avere preclusioni per pacchetti di sigarette anonimi (senza loghi): «È una scelta commerciale non di salute. Sono favorevole invece a immagini shock ad effetto dissuasivo». Margherita De Bac _____________________________________________________________ Sanità News 20 Giu. ’13 CON UN TEST DEL SANGUE TRACCE DI HPV ANCHE 10 ANNI PRIMA DELLO SVILUPPO DELLA MALATTIA Un semplice test del sangue puo' trovare le tracce dell'Hpv, il virus responsabile dello sviluppo di tumori del cavo orale se trasmesso per via sessuale, molti anni prima che si sviluppi la malattia. Lo afferma uno studio coordinato dall'Oms pubblicato dal Journal of Clinical Oncology. I ricercatori hanno studiato i dati di grande ricerca precedente chiamata Epic che ha coinvolto 300mila persone da 10 paesi europei, reclutate negli anni '90 e seguite fino a oggi. Centotrentacinque persone nello studio hano sviluppato un tumore del cavo orale, che per 47 era causato dall'Hpv. In questi ultimi soggetti gli anticorpi per il virus, rilevabili nel sangue, erano presenti 12 anni prima che arrivasse il tumore. "Se i risultati verranno confermati - scrivono gli autori - si potrebbe pensare a uno screening di massa per prevenire e curare subito i tumori della bocca". _____________________________________________________________ Sanità News 20 Giu. ’13 CON LA TELEMEDICINA MIGLIORE IL CONTROLLO DELLA GLICEMIA La telemedicina riesce a migliorare il controllo della glicemia nei pazienti diabetici piu' delle visite tradizionali facendo anche risparmiare. Lo affermano i risultati preliminari di uno studio presentato al congresso sulle linee guida della sanita' elettronica oggi a Firenze. Lo studio, che ha completato i primi sei dei diciotto mesi previsti e' fatto su 228 persone con diabete di tipo 2 a Roma e Firenze. Meta' dei pazienti e' seguito con un sistema chiamato DoctorPlus - la cui componente tecnologia ed assistenziale e' stata sviluppata da Vree Health Italia (Msd) - che prevede il controllo di peso, glicemia, pressione e lipidi nel sangue tramite sistemi installati in casa. I dati arrivano ai medici di Medicina Generale, che vengono avvertiti in caso di valori anomali. Il gruppo seguito con la telemedicina ha mostrato un controllo migliore di circa il 30% della glicemia, con minori costi legati a ricoveri e assistenza sanitaria. "I risultati sono ancora preliminari - ha spiegato Fabrizio Muscas, uno dei medici coinvolti - ma l'emoglobina glicata, uno dei parametri scelti per valutare il controllo della glicemia, scende di piu' nei pazienti controllati con questo sistema". Tra gli esempi presentati ci sono quelli ottenuti dalla Usl 6 di Livorno. "Alcuni di questi progetti hanno dato risultati immediati - spiega Andrea Belardinelli, che dirigeva l'area Innovazione - un progetto sulle angioplastiche che prevedeva l'uso della telemedicina ha ridotto le morti per infarto dal 35 al 20% nel primo anno, e hanno usato i servizi di sanita' elettronica per prenotare visite o ritirare referti gia' oltre 350mila persone, per il 70% sopra i 60 anni. L'innovazione costa all'inizio, ma se inserita in un sistema organico e non e' fatta 'a spot' rende molto". _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 23 Giu. ’13 QUELLA PILLOLA AZZURRA CHE HA CAMBIATO IL MONDO È scaduto ieri il brevetto italiano per il Viagra, il più famoso farmaco contro i problemi di erezione maschile, ed è giàpartita la “corsa” tra le aziende produttrici di farmaci generici per assicurarsene la ricchissima produzione. In Europa il brevetto è scaduto già in otto nazioni, tra cui la Spagna. Messo a punto dall'americana Pfizer nel 1996, il farmaco per la disfunzione erettile ha rivoluzionato la vita sessuale di milioni di persone ed è uno dei farmaci più conosciuti al mondo. È anche una parola ormai entrata nel linguaggio comune tanto da essere inserita come lemma nel dizionario De Mauro. La pillola blu è diventata famosa anche a causa dello “spamming” su Internet, insieme alle altre due pillole - gialla (Cialis) e arancione (Levitra) - contro l'impotenza maschile, con cui condivide il mercato. Nei primi 14 anni dal lancio, avvenuto nel 1998, sono state consumate due miliardi e mezzo di pillole, pari a 6 pasticche al secondo, e 41,4 milioni di pazienti hanno provato il Viagra almeno una volta nella vita. L'Italia è il secondo paese in Europa per consumo, dopo l'Inghilterra, con oltre 60 milioni di compresse vendute in dieci anni e con una media di 4.300 pillole blu ogni 1000 uomini oltre i 40 anni. Quanto al consumo a livello regionale, il Lazio è la regione italiana in testa alla classifica con più di 7,5 milioni di pillole consumate in dieci anni e una media di 6.112 pillole ogni mille uomini. A breve distanza la Toscana e l'Emilia Romagna (rispettivamente con una media di 6.004 e 5.886 compresse consumate ogni mille uomini oltre i 40 anni). Le città dove si registra il maggior consumo sono Pistoia, Roma e Rimini. Restano in coda alla classifica le città del Sud Italia, i cui consumi si attestano su valori al di sotto della media (dati IMS Health Italia relativi al 2010). L'età media dei consumatori è 50-55 anni. Il Viagra, introdotto in Italia nell'ottobre 1998, oltre ad essere una delle marche di farmaci più conosciute nel mondo (tanto che la Corte di giustizia europea ha negato la registrazione di marchi simili anche di recente) ha numerose imitazioni, proposte sui mercati spesso con nomi alquanto divertenti. Si va dal Viagro, venduto principalmente su Internet, al Vigora, Proxyron e Kamagra, imitazioni a buon mercato “made in Asia”. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 20 Giu. ’13 ASLOR: «ELETTROSHOCK, UNA TORTURA» Il Comitato dei cittadini per i diritti umani attacca il Centro di salute mentale La protesta: è inaudito proporlo per le donne incinta La frase non è passata inosservata: l'elettroshock «è persino preferibile, rispetto ai farmaci, per le donne in gravidanza». Per il Comitato dei cittadini per i diritti umani basta e avanza per sollevare una sonora protesta. Il responsabile del Ccdu, Silvio De Fanti, parla di «agghiacciante dichiarazione del direttore del dipartimento di Salute mentale di Oristano, Giampaolo Minnai». E fa sapere che il Comitato, «dopo l'inquietante iniziativa del dipartimento che qualche settimana fa ha organizzato un convegno per rilanciare la pratica dell'elettroshock, ha deciso di intraprendere una serie di iniziative, inclusa la segnalazione alle autorità competenti, al fine di difendere le persone affette da disagio mentale». Secondo il documento «il convegno sull'elettroshock organizzato al San Martino appare essere una sfacciata promozione di questa “pratica” che, tra l'altro, viene effettuata proprio a Oristano. L'opera di disinformazione - si legge più avanti - attuata dagli organizzatori è sconvolgente. Per prima cosa l'uso della parola “terapia elettroconvulsivante (Tec)” è fuorviante, dato che si tratta sempre e comunque di un elettroshock camuffato con farmaci bio-rilassanti che rendono la procedura meno sgradevole alla vista, ma non meno dannosa». La nota chiede poi quali siano «gli introiti dell'ospedale per gli elettroshock amministrati e soprattutto chi abbia finanziato il convegno». Ricorda la nota del ministero della Sanità alle regioni del 15 febbraio 1999. «L'elettroshock - conclude lo scritto - ben lungi dall'essere una terapia efficace, si caratterizza per l'invalidazione intellettiva e sociale dei pazienti, degradandone la dignità e compromettendone il reinserimento nella collettività». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 22 Giu. ’13 ASLOR:ELETTROSHOCK, TERAPIA VALIDA E SICURA Accuse strumentali» Le accuse mosse dal Comitato dei cittadini per i diritti umani, a seguito del convegno sull'elettroshock organizzato dal dipartimento di salute mentale dell'Asl di Oristano, non sono piaciute: «Un comitato fondato dalla setta Scientology. Almeno che si documentino», replicano duro dal San Martino. I firmatari della nota, i medici del servizio psichiatrico dell'ospedale dunque passano al contrattacco. Il Ccdu «è inserito organicamente all'interno della Chiesa di Scientology, che ne è anche la fondatrice, come risulta da sentenza della Corte di Cassazione». Ma soprattutto, spiegano: «La Terapia elettroconvulsivante, traduzione italiana del termine elettroshock, è una terapia medica attualmente inserita in tutte le linee guida delle più importanti società scientifiche» e «la sua efficacia e sicurezza è indiscussa, come confermato anche dalla The Lancet, tra le più rigorose e prestigiose riviste mediche internazionali, dopo una sistematica selezione e valutazione degli studi scientifici, controllati, in merito». Colpo su colpo anche per gli attacchi riguardo alla vicenda della Tec per le donne in gravidanza. «Nel convegno sono state citate le linee guida della Wfsbp per l'episodio depressivo che specificano: la terapia può anche essere utilizzata nelle gravi depressioni in gravidanza. E questo proprio per la sua maggiore sicurezza, per la donna e il feto, rispetto al trattamento farmacologico». Una terapia diffusissima: «Il fatto che nell'ospedale San Martino sia possibile praticare la terapia elettroconvulsivante, permette ai pazienti sardi di avere le stesse opportunità terapeutiche che all'estero. La terapia è normalmente disponibile nei servizi psichiatrici di tutto il mondo». Infine l'invito all'approfondimento: «Sarebbe opportuno che il Comitato dei cittadini per i diritti umani si informasse e documentasse bene prima di fare certe affermazioni, eviterebbe di parlare di farmaci bio-rilassanti (inesistenti) al posto dei miorilassanti, quotidianamente utilizzati dagli anestesisti in tutto il mondo». L'Asl ha ribattuto in un lungo documento quanto sollevato dal Comitato dei cittadini. La questione è complessa e articolata. Per il San Martino però nessun dubbio sulla validità e correttezza della terapia.( f.c. )