RASSEGNA 07/07/2013 TROPPA RICERCA, POCA DOCENZA LA LAUREA PERDE IL SUO FASCINO. IN ITALIA RECORD DI TASSE IN ITALIA TROPPI ATENEI STUDENTI STRANIERI, DUE SU TRE SONO RAGAZZE LETTORI, DOCENTI PAGATI COME IMPIEGATI UNICA: REGOLAMENTO TASSE, GLI STUDENTI ALL'ATTACCO UNICA: GLI STUDENTI: È UNA MONARCHIA UNICA: MASTER & BACK, ALTRI 11 MILIONI UNISS: I PALAZZI SCONOSCIUTI DELL'ATENEO UNISS:IL NUOVO RETTORE E IL FUTURO ERSU, VELENI TRA CDA E IL DIRIGENTE LA LAUREA DIPENDE DAL DNA CAGLIARI CAPITALE DELL'INNOVAZIONE SARDEGNA: INNOVARE MA NON TROPPO LE TANTE ATTIVITÀ DI SARDEGNA RICERCHE CALCOLARE I RISULTATI NEL LUNGO PERIODO IL POLITECNICO TRA LE 50 TOP TECHNICAL UNIVERSITY ARCHITETTI QUANT'E DIFFICILE PROGETTARE UNA CARRIERA A SCUOLA È MORTO L'UMANESIMO IL DILEMMA IRRISOLTO DELLA SCUOLA ITALIANA ACCADEMIA DELLE SCIENZE RUSSA UNA RIFORMA CHE SOFFOCA L'AUTONOMIA MANCANO 900MILA LAVORATORI NELL'ICT CHI INSEGNA IN INGLESE VA PREMIATO CNR: LA FANTASCIENZA DELLE PARI OPPORTUNITÀ L’AMERICA SCOPERTA DAI CARTAGINESI BANDA PIÙ LARGA CON I FOTONI A ELICA ========================================================= SE FARMACI ONCOLOGICI SONO A PAGAMENTO CANCRO, CHI È POVERO MUORE AUMENTO DEI PREZZI SUI PRODOTTI PER GLI STOMIZZATI LA SPESA FARMACEUTICA E' CALATA DEL 3% IN 5 ANNI LORENZIN: TROPPI ITALIANI ESENTATI DAI TICKET AL VIA LA RIFORMA DEI COMITATI ETICI LAVORO, NIENTE VISITE PREVENTIVE SUI MINORI I RISPARMI POSSIBILI CON LA SANITÀ «ELETTRONICA» OPPI FINISCE SOTTO INDAGINE PADERI: «SANITÀ, NON SI PERDA TEMPO» DENUNCIA DI NATURE «LE FOTO DI STAMINA COPIATE DAI RUSSI» STAMINA:LE LEZIONCINE DI NATURE SU STAMINA STAMINA:IL METODO VANNONI PER CONVINCERE IL PARLAMENTO STAMINA:IL MINISTRO: VANNONI MOSTRI LE CARTE STAMINA:CHE COSA NON FUNZIONA IN QUELLA CURA LA LEGGENDA DEI SANTI GUARITORI YOGURT MAGICO O GROSSA BUFALA? CACCIA ALL'ULTIMO NEURONE UN CERVELLO DA 4 MILIARDI DI DOLLARI TIRARE SASSI, ABILITÀ: UNICA DEGLI UMANI CON LA BIRRA IL CUORE STA BENE IL PRIMO FEGATO FUNZIONALE DA CELLULE STAMINALI TERAPIA DEL DOLORE PER VIVERE BENE TI GODI IL FRESCO SE TI FAI CONDIZIONARE (DAL BUON SENSO) MIGLIORARE LA VISIONE ALLENANDO IL CERVELLO IL CANCRO AL SENO E' LA PRIMA CAUSA DI MORTE ONCOLOGICA NELLE DONNE ======================================================== _____________________________________________________________ Italia Oggi 2 lug. 13 TROPPA RICERCA, POCA DOCENZA Le critiche all'Italia del gruppo europeo per la modernizzazione dell'istruzione superiore L'università deve rilanciare l'apprendimento dei ragazzi DI GIOVANNI SCANCARELLO L’università deve tornare in cattedra. Secondo la commissione europea, non basta fare solo ricerca, ma bisogna restituire centralità all'insegnamento, troppo spesso relegato in second'ordine. E quanto riportato, nella relazione del gruppo di alto livello per la modernizzazione dell'istruzione superiore, presentata lo scorso 18 giugno a Bruxelles. L'istruzione superiore, vale a dire quella universitaria, pone giustamente al centro del proprio core business la ricerca, che però resta un fatto accessibile, alla fine, a pochi eletti. Per l'Europa si tratta di proseguire anche nel terziario l'apertura democratica all'istruzione che ha contraddistinto lo sviluppo della scuola secondaria di massa degli ultimi trent'anni Per questo l'università deve prepararsi ad accogliere l'aumento della richiesta di accesso ai percorsi terziari di studio, in modo da proporsi nella prospettiva dell'aumento del numero dei laureati in Europa, atteso già con la strategia di Lisbona e rilanciato con Europa 2020. Il gruppo di alto livello, in cui partecipa anche l'italiano Alessandro Schiesaro, dell'Università La Sapienza di Roma, ha adottato 16 raccomandazioni, che rappresentano il risultato del confronto con gli stakeholder, con le associazioni professionali e degli utenti dell'istruzione superiore europea, finalizzate soprattutto a promuovere l'innalzamento della qualità della didattica. Qualità della didattica che è tale solo se mette veramente al centro l'apprendimento e lo studente. È questo il banco di prova del modello dell'istruzione superiore europea. In Europa, affermano dal gruppo di alto livello, si vuole affermare un modello in cui le competenze vengano innanzitutto coltivate attraverso la didattica e l'insegnamento e non solo nei laboratori di ricerca. L'Europa, quindi, dopo la scuola, sceglie l'inclusione anche all'università, spostando il baricentro dall'insegnamento all'apprendimento. Si tratta di un approccio già affermato con il Processo di Bologna e ripreso con l'istituzione del framework europeo delle competenze, del sistema di accumulazione e trasferimento paneuropeo dei crediti e dei titoli di studio, del supplemento al diploma. Per Androulla Vassiliou, commissario per l'istruzione e promotrice convinta del gruppo di alto livello, tutto ciò serve perché gli «studenti siano forniti della giusta miscela di competenze necessarie per il loro futuro sviluppo personale e professionale». Mary McAleese, ex presidente della repubblica d'Irlanda e oggi a capo del gruppo di alto livello, afferma che le università dovrebbero porre maggiore attenzione al merito di chi insegna e al fatto che venga insegnato loro ad insegnare. Tra le sedici raccomandazioni è previsto infatti che le politiche di reclutamento e progressione di carriera delle università tengano conto della valutazione delle competenze didattiche dei prof, tanto quanto altri fattori, come pubblicazioni e altri titoli. Entro il 2020, si legge tra le raccomandazioni, tutto il personale docente dovrebbe aver ricevuto una formazione pedagogica certi ficata. Ma non solo. Particolare enfasi è posta all'apertura democratica del curricolo agli studenti. I curricoli dovrebbero essere sviluppati e monitorati in un clima di dialogo e partenariato con gli studenti, i laureati, gli stakeholder. E ancora. Le università dovrebbero incoraggiare il feedback degli studenti. Insomma la commissione ha chiesto ai suoi saggi un documento con cui dichiarare guerra alla dispersione nell'istruzione superiore così come già avvenuto nella scuola superiore. Nel frattempo però c'è da ricostruire un rapporto con i diplomati, che si iscrivono sempre meno all'università. Secondo le stime di Almalaurea sulla condizione dei laureati le retribuzioni di ingresso dei laureati in Italia sono livellate a livello di quelle dei diplomati. Perché allora laurearsi se basta il diploma? E d'altra parte l'Europa sa che non potrà giocarsi la competizione dell'economia della conoscenza senza un contributo forte in originalità e creatività che soprattutto i laureati italiani possono offrire. _____________________________________________________________ Italia Oggi 2 lug. 13 LA LAUREA PERDE IL SUO FASCINO. IN ITALIA RECORD DI TASSE DI EMANUELA MICUCCI Gli studenti attratti dall'università diminuiscono. Eppure, con i laureati lo Stato ci guadagna. L'ultimo rapporto Osce Education at a Glance 2'13, pubblicato la scorsa settima (ww.oecd.org), mostra che i 15enni italiani che sperano di conseguire la laurea sono diminuiti dell'11% tra il 2003 e il 2009, passando dal 52,1% al 40,9%. Se i più giovani tendono ad avere un livello di istruzione più elevato rispetto ai concittadini più anziani, appena il 15% dei 25-64enni è laureato rispetto al 32% della media dei Paesi Ocse. E sono precipitati i tassi d'ingresso agli atenei: -48% nel solo 2011, contro una media Ocse del 60%. Sebbene all'inizio degli, anni Duemila si fosse verificato un aumento temporaneo: dal 39% del 2000 al 50% del 2002 e al 56% del 2006. In effetti, a leggere i dati sui livelli di remunerazione tra laureati e diplomati 25-34enni, il guadagno dei primi supera quello dei secondi solo del 22% rispetto al 40% della media internazionale e rispetto a una differenza del 68% nella fascia di età 55-64 anni (la media Osce è del 73%). Difficilmente, quindi, i giovani dottori trovano un lavoro adeguato. Ma anche aggiudicarsi un posto con la laurea in tempi di crisi non segna grandi differenze rispetto ai coetanei con il solo diploma: tra il 2008 e il 2011, infatti, i 25-34enni disoccupati laureati sono aumentati del 2,1%, percentuale quasi in linea con il 2,2% della media Osce, mentre i diplomati senza lavoro sono cresciuti del 2,9%. E lo Stato non agevola la scelta universitaria. Meno del 20% degli studenti beneficia di interventi a sostengo del diritto allo studio: borse di studio, prestiti ci collocano agli ultimi posti nella classifica Osce. Non solo. I Paesi che stabiliscono tasse universitarie più alte dell'Italia, cioè USA, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda sono quelle in cui il finanziamento dell'ateneo è per lo più privato e i giovani ricorrono ai prestiti d'onore per coprire le spese universitarie. Mentre in Europa sono solo i Paesi Bassi ad avere tasse universitarie maggiori dell'Italia. Anzi, negli ultimi anni nel Belpaese si è assistito a un aumento delle tasse, tanto che l'Italia è quarta per aumento della percentuale di spesa privata con +10%, dopo il Portogallo e la Repubblica Slovacca. Ma per spesa privata complessiva l'Italia è seconda in Europa, preceduta solo dal Regno Unito sul quale pesa l'incremento del 40% di tasse universitarie dovuto alla riforma Cameron. Eppure, il rapporto Osce stima consistenti benefici sociali del conseguimento di una laurea per lo Stato: laureato italiano produce benefici pubblici 3,7 volte maggiori dai costi pubblici, in linea con la media OCSE del 3,9; mentre una donna laureata ne produce 2,4 volte maggiori, contro una media del 3. Si pensi, ad esempio, ai maggiori introiti e contributi previdenziali dei laureati. Non solo per gli studiosi dell'Ocse questi benefici supererebbero i costi pubblici dell'istruzione universitaria, ma anche quelli per l'istruzione primaria e secondaria. Non trascurabili, poi, i ritorni economici di un dottore: quelli pubblici sono pari a 169mila dollari per gli uomini e 70mila per le donne, quelli individuali a 155mila dollari per i laureati e 77.652 per le laureate. Ciononostante la spesa pubblica per gli studenti di livello terziario, pari a 9.580 dollari, continua ad essere molto inferiore alla media Osce di 13.528 dollari. Sebbene negli ultimi 15 anni sia cresciuta del 39%, registrando un aumento superiore all'area Osce del 15%. Aumento tuttavia ampiamente riconducibile, spiega il rapporto, a quello dei finanziamenti provenienti da fonti private. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 5 lug. 13 TROPPI ATENEI La moltiplicazione delle università è stato un processo del tutto sconsiderato dell'ultimo ventennio, teso a soddisfare le ambizioni dei politici e dei gruppi di opinione locali, non certo a diffondere più capillarmente la cultura. Una proliferazione di dimensioni incredibili, da scuola media. Sono trecento le sedi universitarie. Mediamente una quindicina per regione. Assente ogni considerazione e valutazione del rapporto costi/benefici. In queste sedi distaccate si svolge solo attività didattica e non certo della migliore, affidata com'è ai docenti meno accreditati. Di ricerca nemmeno parlarne. Non ci si è posti la domanda se è l'Università che deve andare a casa dello studente o lo studente all'Università, tramite la moltiplicazione di borse di studio ai capaci e meritevoli e strutture di accoglienza agli allievi fuori- sede. A volte, mi pare che non ci sia speranza di porre mano a una revisione di questo spreco miliardario e culturale se non si è nemmeno capaci, dopo tante promesse, dopo tanti tentativi di abolire le Province, un altro spreco molto italiano, che ora non ci possiamo più permettere. Lettera firmata _____________________________________________________________ Il Secolo XIX 2 lug. 13 STUDENTI STRANIERI, DUE SU TRE SONO RAGAZZE SONO raddoppiati, rispetto a una decina di anni fa, gli studenti stranieri nelle nostre università. Si dividono in due gruppi: gli studenti internazionali, con permesso di soggiorno per lo studio, e i figli di migranti. Secondo una ricerca del Centro Studi Medì (Migrazioni nel Mediterraneo) nell'ateneo genovese gli iscritti stranieri dell'anno 2010/2011 erano 3.170, pari al 7,8% della popolazione universitaria, per due terzi di sesso femminile e provenienti soprattutto da Albania, Cina, Ecuador, Perù e Tunisia. Mentre in tutta Italia sono 66 mila, pari a un misero 4%, per lo più concentrato nelle città del nord, la media Europea si attesta su un 8,5%, con punte del 18% in Austria, dell'H% in Francia e del 10% in Germania. Più gettonate dagli stranieri le facoltà di scienze sociali, umanistiche e politiche, seguite dalle scienze matematiche, mediche e farmaceutiche. La ricerca si chiude con una denuncia: l'attenzione dell'ateneo verso gli studenti immigrati è quasi nulla, inferiore a quella mostrata per gli studenti provenienti dall'estero. «Per loro - dice Francesca Lagomarsino di Scienze della Formazione - vengono organizzate iniziative dedicate, spesso in lingua. Dai figli di migranti, che magari hanno speso in Italia solo una parte del corso di studi precedente, si pretende che siano perfettamente integrati come lingua e costumi e perfettamente al corrente del complesso funzionamento accademico». _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 lug. 13 LETTORI, DOCENTI PAGATI COME IMPIEGATI A Roma la protesta di 29 esperti linguistici ai quali non viene applicato il contratto di ricercatori universitari di Gabriella Grimaldi SASSARI Svolgono a tutti gli effetti attività di docenza all’interno dell’università: tengono le lezioni ai loro studenti e li interrogano durante gli esami. Passaggi fondamentali per i ragazzi che frequentano i tanti corsi di laurea in città. Peccato che questi professori dal punto di vista contrattuale siano inquadrati come “tecnici amministrativi”, impiegati insomma e che, a causa di una integrazione economica prevista dalla legge ma mai applicata, percepiscono uno stipendio netto di 930 euro al mese. Si tratta dei “lettori” madrelingua che all’interno degli atenei di tutta Italia e quindi anche di quello turritano insegnano ormai da decenni la grammatica delle lingue straniere. Le loro lezioni però si chiamano esercitazioni e gli esami prendono il nome di test di accertamento, così lo status non può essere quello di ricercatori che invece loro rivendicano. È per questo motivo che giovedì scorso una delegazione dei 29 tra lettori e Cel (Collaboratori ed Esperti Linguistici) di Sassari ha partecipato al presidio organizzato dalla Cgil davanti al ministero dell’Istruzione a Roma. Tutti insieme, con i tantissimi insegnanti stranieri che hanno scelto di vivere e lavorare nelle università di tutta in Italia, hanno chiesto di «mettere fine alle innumerevoli discriminazioni che gli insegnanti universitari di madrelingua vivono, da anni, nel loro ambiente di lavoro, le università italiane». Il capo e il vicecapo di Gabinetto del ministro, insieme alla responsabile dell’Istruttoria interna aperta sulla questione hanno ricevuto la delegazione e il colloquio, riferiscono i manifestanti e i loro rappresentanti sindacali al rientro dalla “missione” romana, è stato lungo ed esaustivo. Pare infatti che la pratica, aperta sulla base delle tante denunce presentate all’Unione europea, sia molto avanti. I responsabili del ministero hanno detto che è già stata fatta una ricognizione sul territorio e tra le università e si sta ora valutando quali possono essere gli strumenti per affrontare il problema che non è stato né negato né minimizzato dai rappresentanti del Governo. Dall’incontro è emersa la piena consapevolezza da parte del Miur della situazione venutasi a creare negli anni e della necessità di porvi rimedio. «È anche apparsa chiaramente la loro preoccupazione non soltanto per la parte tecnica e normativa da affrontare – dicono i Cel –, in quanto parte integrante del sistema universitario, ma anche per l’impatto economico che ne deriverebbe». L’integrazione dello stipendio infatti era stata affidata dalla legge 63 del 2004 alla contrattazione locale con le singole università. Solo poche però l’hanno applicata e non quella di Sassari. Oggi i 29 lettori e Cel (di cui 9 a tempo indeterminato e 20 a tempo definito) si trovano a fronteggiare uno stato di discriminazione radicato nel tempo e chiedono di essere parificati economicamente e legalmente ai ricercatori universitari. L’obiettivo è una nuova legge che elimini la contrattazione locale e garantisca stipendi ministeriali anche a loro. _____________________________________________________________ Il Mondo 12 lug. 13 IL POLITECNICO TRA LE 50 TOP TECHNICAL UNIVERSITY La domanda di ricerca non cala per il Politecnico di Milano (nella foto, la sede): i rapporti con le aziende e le partecipazioni a bandi pubblici ed europei continua ad avere un trend di crescita del 4% dal 2008. Un risultato confortante che ripaga degli sforzi fatti per accaparrarsi i finanziamenti, «Ci siamo guadagnati oltre 80 milioni di euro nel 2012, che con i consorzi arrivano a 140 milioni, per svolgere ricerca», precisa Graziano Dragoni, direttore generale del Politecnico di Milano. Rispetto ai settori tradizionali della chimica e dell'edilizia e al più critico settore delle costruzioni, le attività legate all'energia, quali per esempio la realizzazione di generatori sostenibili, smart green, eolici, sono quelle che hanno reso di più, e precisamente 12 milioni di euro, il doppio dell'anno scorso». La maggior parte del fatturato del Politecnico deriva, tuttavia, da contratti con multinazionali del calibro di Telecom, Pirelli, Ansaldo, VVhirpool, lbm, Solver, Eni (4 milioni all'anno) e da medie imprese italiane. I brevetti (50 all'anno per un portafoglio di 700) rendono poco (1 milione di euro di royalties) e i gettiti dei ministeri coprono solo il 10% delle spese della ricerca. Dalla Regione Lombardia arrivano finanziamenti con le partecipazioni a bandi Smart city per progetti che toccano la qualità della vita quotidiana e a bandi per cluster nazionali legati a tematiche, come energia e trasporti, che raggruppano piccole e medie imprese italiane. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 4 lug. 13 UNICA: REGOLAMENTO TASSE, GLI STUDENTI ALL'ATTACCO UNIVERSITÀ. Replica il rettore: è giusto chiedere un impegno maggiore È scontro tra studenti e rettore sul Regolamento tasse per l'anno accademico 2013/2014. I rappresentanti di Unica 2.0 hanno denunciato un sistema «basato sulla sanzione, che punisce i fuoricorso, chi si ferma per un semestre e chi non raggiunge la media crediti dei suoi colleghi». Speravano che - dopo la lunga discussione del 25 giugno - si fosse creata «una convergenza sull'abolizione almeno della “sovrattassa di demerito”». Invece niente, «il rettore ha messo tutto nelle mani del Cda, completamente blindato», e la mozione che aboliva l'articolo in questione è stata cancellata. «Riteniamo», continuano, «che questa volta si sia passato il limite, e che l'intero Ateneo debba riflettere sul ruolo che gli organi decisionali hanno assunto col nuovo Statuto, e ammettere che l'Università non si può gestire come un'azienda e nemmeno come uno stato monarchico, ma ha bisogno di fare tesoro di tutte le sue voci». Replica Giovanni Melis: «Sul Regolamento tasse il Consiglio degli studenti aveva espresso un parere non negativo, condizionando il tutto alla cancellazione della clausola sulla media dei crediti acquisiti. L'indisponibilità del Rettore ad eliminare la clausola invisa ad Unica 2.0 deriva dal fatto che la stessa esiste da tre anni, durante i quali è triplicato il numero degli studenti premiati per la quantità di crediti acquisiti, e dal fatto che le tasse - che da diversi anni non sono aumentate - sono oggettivamente fra le più basse d'Italia, anche grazie al contributo della Regione. In tempi di carenza di risorse pubbliche, appare doveroso richiedere agli studenti universitari a tempo pieno un impegno a migliorare l'attuale media di circa tre esami superati all'anno, rispetto ai sei che mediamente si dovrebbero superare». _____________________________________________________________ Sardegna Quotidiano 4 lug. 13 UNICA: GLI STUDENTI: È UNA MONARCHIA LO SCONTRO Il regolamento tasse nel mirino, ma il rettore Melis: tutto nel rispetto del senato, riapriamo la discussione LE QUOTE LE PIÙ BASSE Gli studenti pagano le tasse tra le più basse in Italia. Per gli studenti l’Università è diventata una monarchia, per il rettore Giovanni Melis tutte le delibere «sono state assunte sempre facendo propri i preventivi pareri espressi dal Senato accademico». La materia che ha portato allo scontro è quella delle tasse universitarie. Il 25 giugno proprio nel senato accademico si è discusso il regolamento per il prossimo anno con i rappresentanti degli studenti di Unica 2.0 insorti contro «un sistema che punisce i fuoricorso e chi si ferma per un semestre e chi non raggiunge la media crediti dei suoi colleghi». Durante la discussione sembrava essersi creata una convergenza sull'abolizione della sovrattassa di demerito. Così, gli studenti hanno chiesto che venisse messa in votazione la mozione che aboliva l'articolo. La mozione non passa per pochi voti e nella votazione successiva, quella su tutto il regolamento, «non è stato espresso un parere positivo». Necessario ridiscuterne ma il tutto veniva risolto «chiedendo all'organo di dare comunque un parere positivo, in via preliminare, impegnando però il Rettore a modificare l'articolo». Nella successiva seduta del consiglio di amministrazione, il Magnifico ha deciso di ignorare ore di discussioni». Così si è approvato un regolamento che «trasforma l'università in un esamificio, che spinge gli studenti all'accumulo selvaggio di crediti in minor tempo possibile, senza badare in alcun modo alla qualità». Il Rettore ha deciso di far passare tutto in Cda, «un organo completamente blindato in quanto da lui nominato e a lui mai ostile». Detto questo la reazione di Melis è arrivata in serata. «Sul regolamento tasse il Consiglio degli studenti aveva espresso un parere non negativo, condizionando il tutto alla cancellazione della clausola sulla media dei crediti acquisiti», spiega. L’indisponibilità di Melis ad eliminare la clausola «deriva dal fatto che la stessa esiste da tre anni durante i quali è triplicato il numero degli studenti premiati per la quantità di crediti acquisiti, e dal fatto che le tasse richieste dall’Ateneo - che da diversi anni non sono aumentate - sono oggettivamente fra le più basse d’Italia, anche grazie al contributo della Regione». E così in tempi di carenza di risorse pubbliche ha ritenuto doveroso richiedere agli studenti universitari a tempo pieno «un impegno a migliorare l’attuale media di circa tre esami superati all’anno». Ricorda che il Cda, «nominato dal Senato su una rosa proposta del Rettore e non nominato dal Rettore», ha deliberato facendo propri i preventivi pareri espressi dal Senato accademico. E impegna il rettore a «riaprire la discussione in presenza di nuove proposte formulate dagli stessi senatori sul punto relativo alla maggiorazione delle tasse per mancato raggiungimento della media dei crediti conseguiti dagli studenti iscritti a ciascun corso di laurea». _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 lug. 13 UNICA: MASTER & BACK, ALTRI 11 MILIONI PER I GIOVANI LAUREATI SARDI Varato anche un piano per promuovere trenta nuove imprese Dopo un'esperienza nelle Università straniere, per 250 laureati sardi si prospetta la possibilità di rientrare nell'Isola ed essere assunti. Per i percorsi di rientro Master & Back 2012-2013 la Regione ha stanziato 11,7 milioni di euro. Da settembre prossimo, inoltre, per circa 30 giovani si dovrebbe aprire un'ulteriore occasione con il programma Back Impresa, per cui sono stati previsti 3,3 milioni di euro. Chi ha conseguito una preparazione specialistica all'estero, potrà richiedere fino a 100mila euro per avviare un'impresa in Sardegna. I NUMERI Da quando è stato attivato il Master & Back a oggi, sono stati investiti 100 milioni di euro. I percorsi di alta formazione e di tirocinio sono stati 3879. Di questi, 2371 si riferiscono all'ultimo periodo e alla programmazione del PO FSE 2007-2013. I percorsi di rientro sono stati fino a oggi 1762 (1614 sono per il bando 2007-2013). Ieri a Villa Devoto, il presidente della Regione Ugo Cappellacci, l'assessore regionale del Lavoro Mariano Contu e il direttore dell'Agenzia del Lavoro Stefano Tunis, hanno illustrato gli interventi finalizzati all'inserimento lavorativo nelle imprese di giovani che hanno intrapreso un'esperienza formativa all'estero. Il programma, anno dopo anno, ha registrato un incremento sui percorsi di rientro. Prendendo come esempio quelle che vengono considerate le trenta migliori Università al mondo, con il primo bando 2008/09 sui percorsi si era avuto un 2% di richieste, lievitato fino al 36% per la seconda scadenza del bando 2012. Se si prendono come parametro le prime 100 università a livello internazionale, nel primo anno i percorsi sono stati pari al 12%, per raggiungere il 94% nell'ultimo bando. «Riteniamo giusto incentivare un percorso di altissima qualità, basato sulla meritocrazia», ha chiarito Cappellacci, «perché abbiamo risorse che vanno gestite, che non bastano per tutti e che devono essere suddivise in questo modo». I MIGLIORAMENTI Riconoscendo al precedente governo regionale la validità dell'iniziativa, il presidente ha precisato che nel corso degli anni sono stati apportati dei miglioramenti. «Nel primo bando, il tempo di gestione delle pratiche, che andava dalla presentazione delle domande alla pubblicazione della graduatoria», ha sottolineato, «arrivava a 10 mesi nelle prime tre annualità. Dal 2009 in poi siamo riusciti a ridurre i tempi a un massimo di 60 giorni, grazie anche alla modifica delle procedure e all'utilizzo di una piattaforma on line dedicata». LE ASSUNZIONI La Regione ha stabilito premialità per le aziende che scelgono di assumere i giovani laureati a tempo determinato e indeterminato. «Per un contratto a tempo indeterminato», ha specificato Contu, «il cofinanziamento a carico dell'azienda è del 20%. Per contratti a tempo determinato di 24 mesi è pari al 35%, mentre di 12 mesi al 45%». Il Master & Back rappresenta per tanti giovani un'occasione per acquisire competenze. «Il nostro obiettivo è offrire opportunità lavorative stabili», ha aggiunto Tunis, «attraverso un'esperienza da fare lontano da casa. Dall'Unione europea arrivano raccomandazioni per mettere i giovani nella condizione di accrescere la loro preparazione». ALTA FORMAZIONE Intanto è stata pubblicata anche la graduatoria dell'avviso del secondo bando 2012 per l'alta formazione. Sono previsti in totale 3 milioni 620mila euro, di cui 1,750 milioni di euro (più un incremento di 120mila) per la seconda scadenza e altri 1,750 milioni (con l'integrazione dell'avviso) che permetteranno a 100 giovani di ottenere borse di studio per master post-lauream nelle migliori Università del mondo. Eleonora Bullegas _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 lug. 13 UNISS: I PALAZZI SCONOSCIUTI DELL'ATENEO SASSARI. Il valore dei beni si avvicina ai 300 milioni contro i centodiciotto dello scorso anno Sorprese dal censimento del patrimonio immobiliare dell'Università «L'Università ha un patrimonio immobiliare vastissimo che conosce solo in parte». È una delle accuse mosse in passato all'Ateneo sassarese. Ora non è più così. Tutto il patrimonio immobiliare è stato censito. Il suo valore si avvicina ai 300 milioni contro i 118 dello scorso anno. Valutati e catalogati anche edifici e terreni che l'Università ha ottenuto in comodato d'uso dal Demanio dello Stato e della Regione. Il merito di aver concluso in appena cinque mesi un enorme lavoro di valutazione del patrimonio immobiliare dell'Ateneo è dell'Agenzia delle Entrate regionale e territoriale che hanno affidato l'incarico del censimento ad un gruppo di lavoro formato da undici tecnici. «L'Agenzia delle Entrate ha messo in campo le proprie competenze su valori immobiliari e mercato degli affitti, attraverso l'applicazione di metodologie di stima adeguate alla particolarità dei fabbricati» si legge in un comunicato congiunto dell'Agenzia e dell'Università. «Sono stati valutati immobili con le più svariate caratteristiche: uffici, sedi di dipartimento, aziende agricole, e per la prima volta, gli immobili destinati alle cliniche chirurgiche». L'attività di valutazione è stata eseguita grazie all'accordo di collaborazione fra i due enti siglato nel novembre 2012 per adempiere agli obblighi imposti dalla legge 240/2010 di riforma delle Università, in materia di contabilità economico-patrimoniale negli Atenei. Soddisfatto anche il pro rettore Aldo Maria Morace, delegato del Rettore Attilio Mastino per l'edilizia: «È stato fatto un censimento capillare di tutti i beni dell'Ateneo. Non accadeva da troppo tempo e non era più possibile continuare a trascurare un problema che è di vitale importanza per la nuova contabilità richiesta dallo Stato». L'Università ha terreni, edifici, sedi di facoltà, palazzi per uffici distribuiti un po' in tutta la Sardegna: «Diciamo che abbiamo ottenuto due grossi risultati» dice Piero Canu. «Il primo è il censimento delle proprietà e il conseguente sensibile adeguamento del patrimonio dell'Ateneo. La seconda è la possibilità di alienare, cioè vendere, tutto quello che è nostro ma non serve per le finalità d'istituto». Gibi Puggioni _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 5 lug. 13 UNISS:IL NUOVO RETTORE E IL FUTURO Un manifesto per il futuro rettore turritano, che sarà eletto entro l’estate del 2014 e durerà in carica fino al 2020, ha quale scopo la difesa e il potenziamento dell’individualità istituzionale dell’Università di Sassari, in un quadro di profonda collaborazione fra atenei italiani e stranieri finalizzata a ottimizzare corsi di laurea, di dottorato e di specializzazione e a creare masse critiche di ricercatori e strutture negli ambiti scientifici comuni. Tale collaborazione andrà ricercata in primis con l’ateneo di Cagliari con cui quello di Sassari ha già stipulato un patto federativo. Premesso che l’attuale rettore Mastino ha traghettato l’ateneo con rapidità ed efficacia nei tempi difficili della riforma e dei tagli draconiani al bilancio, il primo problema da affrontare per il prossimo rettore sarà il calo demografico nel riflesso che avrà sulle iscrizioni all’università. Nel 2019, secondo l’Istat, avremo in Sardegna circa 6.000 diciannovenni in meno: per mantenere le attuali matricole, Sassari dovrà raddoppiare la quota percentuale degli iscritti e "importare" molti più studenti, migliorando la propria attrattività nel contesto nazionale e mediterraneo. In questo quadro, gli immigrati e i loro figli rappresenteranno una risorsa strategica per la permanenza degli alti studi in Sardegna. I nuovi rettori di Sassari e di Cagliari e il prossimo governo regionale, nel quadro di Horizon 2020 per una Sardegna più intelligente e inclusiva, dovranno porsi l’obiettivo comune del 50% di laureati al 2020 nella classe di età 25-30 anni. Dovranno farlo facilitando in tutti i modi il diritto allo studio con idonei investimenti (servono 60 milioni di euro annui per garantire una borsa di studio al 50% degli immatricolati, oltreché una migliore gestione degli enti per il diritto allo studio) e con l’innovazione nei metodi di docenza e di verifica delle conoscenze e abilità dei discenti attraverso modalità di trasmissione del sapere più vicini alle capacità percettive, cognitive e speculative delle nuove generazioni. I nuclei di ricerca capaci di produrre indicatori in grado di migliorare le performance dell’Ateneo dovranno essere incoraggiati e sostenuti. Nel contempo, i sistemi di valutazione e di accreditamento della didattica, della ricerca e dei servizi, dovranno essere concepiti non come una mera competizione meritocratica, ma essere allineati ai principi orientatori delle comunità scientifiche per le quali la sola competizione, non temperata da elementi di cooperazione e di solidarietà, non consente di raggiungere gli alti obiettivi della ricerca scientifica, umanistica e sociale. L’università nuova si fa con nuove forze: il prossimo rettore dovrà sostenere con determinazione il ringiovanimento del personale docente, tecnico e amministrativo risolvendo, nel contempo, il grave problema del precariato ereditato da un quadro normativo e finanziario nazionale scellerato. L’istituzione della figura del ricercatore precario ha creato un vulnus nel corpo docente per cui dovranno essere messe in campo tutte le risorse, interne ed esterne, per la stabilizzazione di questi docenti (se meritevoli) così come, pur nei limiti della legge e delle restrizioni economiche, sarà necessario rendere possibile ai ricercatori e agli associati che conseguiranno l’abilitazione scientifica nazionale, il raggiungimento dell’obiettivo del passaggio di ruolo e di fascia. Stesso discorso per i tanti precari amministrativi e tecnici che rendono possibile il funzionamento della complessa macchina dell’ateneo. Un ateneo di qualità dovrà continuare ad avere un/una rettore di qualità: questa figura dovrà essere scelta fra candidati che possiedano elevate performance scientifiche (rappresentino cioè il top degli studiosi nel proprio ambito disciplinare), didattiche (abbiano maturato giudizi degli studenti sempre molto positivi) e manageriali (abbiano gestito e amministrato con successo realtà complesse esterne all’università). _______________________________________________ La Nuova Sardegna 5 lug. 13 ERSU, VELENI TRA CDA E IL DIRIGENTE CAGLIARI La Confederazione sindacale sarda (Css) spara a zero sul consiglio di amministrazione dell’Ersu, l’ente regionale per il diritto allo studio, e sulla presidente Daniela Noli. L’oggetto della discordia sono i dissapori tra Cda e presidente da una parte, direttore generale dall’altra a proposito di alcune azioni di contenimento della spesa che avrebbero portato alla riduzione di servizi e all’accorpamento di alcuni uffici importanti per il funzionamento dell’Ente stesso. Il punto è che, secondo Css, questa scelta dell’amministrazione avrebbe come scopo non il risparmio bensì l’impendimento «della nomina dei dirigenti facenti funzioni attingendoli da apposita lista creata nell’ambito della manifestazione di interesse avviata all’uopo e conclusa mesi prima» La vicenda è esplosa il 25 giugno con una nota inviata dalla presidente e dai consiglieri cui il direttore generale ha risposto: dal carteggio secondo Css «si evince una situazione di scollamento e di contrapposizione». Il direttore generale non avrebbe avallato le decisioni del cda negando il parere di legittimità alla delibera, ma il cda avrebbe inviato al presidente Cappellacci una nota «ribaltando la frittata». _____________________________________________________________ La Nuova Sardegna 4 lug. 13 LA LAUREA DIPENDE DAL DNA PATRIMONIO GENETICO La voglia e la capacità di studiare e di applicarsi, o le basi per ottenere conseguimenti scolastici e accademici di qualsiasi livello sono doti scritte nel Dna. Le “radici genetiche” della predisposizione allo studio e all’applicazione intellettuale sono state individuate in un grande studio internazionale che è stato poi pubblicato su Science. Nello studio è stato analizzato il Dna di oltre 125mila individui e sono state rintracciate alcune varianti genetiche collegabili ai conseguimenti accademici, intesi come gli anni di studio e la conquista di un diploma di laurea. Brutta sorpresa per chi ha il Dna sbagliato. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 5 lug. 13 CAGLIARI CAPITALE DELL'INNOVAZIONE Un camper girerà la Sardegna per quattro giorni alla ricerca di nuove idee da promuovere Il 12 e 13 luglio due giorni di confronto con centodue imprese Se è vero che le imprese sarde, per oltre il 90% di piccole dimensioni, spendono soltanto lo 0,08% del pil in ricerca, è anche vero che la componente pubblica investe oltre l'80% delle risorse destinate a questo scopo nell'Isola. Ed è anche vero che l'innovazione rappresenta una caratteristica distintiva di molte giovani imprese isolane, a iniziare da quelle che si occupano di energia o di telecomunicazioni. Per rafforzare questa tendenza, Regione (assessorato della Programmazione) e Sardegna Ricerche hanno deciso di dare vita al primo Salone dell'innovazione, “Sinnova 2013”, che si svolgerà il 12 e 13 luglio nel complesso polifuzionale “Santa Gilla”. L'OBIETTIVO Saranno circa un centinaio le imprese che si ritroveranno a Cagliari, provenienti da tutta l'Isola, per confrontarsi con 16 enti istituzionali che si occupano di ricerca e innovazione, sostenendo le aziende dell'Ict, dell'aerospazio, della biomedicina o delle biotecnologie, solo per citarne alcune. L'obiettivo è quello di avviare un confronto su quanto è stato fatto e su quanto ancora si deve fare per migliorare il mercato, puntando sull'innovazione e la ricerca. D'altronde sono proprio queste due opzioni che danno le migliori risposte in termini di reddittività e di sfida al mercato per quanto riguarda le imprese, e casi come Energeya o Tholos, società che operano nel campo dell'energia, lo dimostrano (come è stato raccontato di recente nelle pagine de L'Unione Sarda). Durante il Salone dell'innovazione sono previsti anche incontri riservati, uno a uno, tra imprese, oppure tra aziende, centri di ricerca e istituzioni, per sviluppare accordi di partenariato e collaborazione. Inoltre, non mancheranno presentazioni aziendali e workshop tematici dedicati a temi come i social media, l'artigianato tecnologico e gli strumenti per finanziare le start up. IL CAMPER La due giorni di Cagliari, infine, sarà anche l'occasione per tirare le somme di un'altra iniziativa. Il progetto “Barcamper” ha l'obiettivo di creare e accelerare l'attività impresa (per iscriversi collegarsi al sito internet http://barcamper.it/tours/sardinia- innovation-tour/). Cosa significa? L'idea, nata in collaborazione con il team della società di consulenza specializzata nel venture capital “dpixel”, prevede «di individuare e finanziare nuovi progetti e start up nei settori a più alta vocazione in Sardegna», spiega una nota. Sono quattro le tappe previste. Lunedì 8 luglio il camper del Sardinia Innovation Tour farà tappa a Olbia nell'Aeroporto Costa Smeralda, il giorno successivo nella piazza centrale di Ottana, il 10 luglio a Santadi (piazza Marconi) e l'11 luglio a Cagliari in piazza L'Unione Sarda. «I migliori progetti e idee di start up individuati durante l'attività di scouting saranno presentati e premiati in occasione del TechGarage, l'evento che da anni raccoglie i principali attori del venture capital, in programma per la serata del 12 luglio nella Piazza L'Unione Sarda», spiegano gli organizzatori. Oltre a illustrare le 4-5 migliori start up selezionate sul territorio regionale durante il tour del Barcamper, tre start up regionali di successo racconteranno la loro esperienza, mentre l'esperto di innovazione Marco Zamperini parlerà dell'impatto dei social media sulla nostra realtà. Infine, sabato sera, è prevista una conferenza spettacolo moderata dal giornalista e direttore di Wired Riccardo Luna, dal titolo “Storie di futuro”, in cui si illustrerà la Sardegna tra tradizione e futuro, mettendo in luce storie promettenti, ricercatori, visionari, esperti e Pmi innovative dell'Isola. Per ricordare che un sogno può diventare realtà. Giuseppe Deiana _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 lug. 13 SARDEGNA: INNOVARE MA NON TROPPO La Sardegna migliora leggermente la posizione rispetto al 2009 ma la spesa è ancora bassa per raggiungere livelli eccellenti Il tema dell'innovazione anima il dibattito economico degli ultimi anni perché lo si considera uno strumento per affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali quali il cambiamento climatico e la scarsità delle risorse naturali, ma anche un motore di crescita nei Paesi ad alto reddito che si ritrovano ad avere, a seguito della crisi, un'economia stagnante e una disoccupazione in crescita. Il motore dell'innovazione appare sempre più il sistema delle conoscenze, legate da un lato alla struttura dell'istruzione e dall'altro lato ai cambiamenti nel mercato. Nel primo campo sia l'Italia ma soprattutto la Sardegna appaiono in grande difficoltà dato che tutti gli indicatori, dal numero dei laureati alla dispersione scolastica, dalla conoscenza delle materie scientifiche al tempo necessario per concludere il ciclo del percorso scolastico, ci relegano a posizioni marginali. Sulle questioni riguardanti il mercato si deve osservare come i drivers dello sviluppo si presentino con caratteristiche diverse rispetto al passato. Le economie di scala sono state sostituite dalle economie della velocità, basti considerare il rilevante accorciamento del ciclo del prodotto mentre sono sempre più massicciamente presenti le economie di rete che oggi costituiscono il punto di forza dei sistemi più innovativi. L'IMPATTO SULL'ECONOMIA Ma come si misura il livello dell'innovazione di una regione e che impatto può avere sull'economia? Quanto il sistema economico può incentivare o limitare l'innovazione? Il Regional Innovation Scoreboard (Ris) che mostra nell'edizione 2012 i primi effetti della crisi economica sulla ricerca e innovazione, misura il “livello di innovazione” raggiunto dalle regioni appartenenti all'Unione europea. Secondo questa graduatoria gli Stati europei e le singole regioni vengono suddivisi in: innovatori leader, innovatori follower, innovatori moderati e innovatori modesti. I tre macro indicatori utilizzati per la costruzione del Ris sono: i fattori che abilitano il processo innovativo; gli input che misurano le risorse a disposizione dell'attività innovativa e gli output, cioè i risultati emersi dalle attività poste in essere che ne misurano la performance. Tra i fattori che abilitano il processo innovativo, ossia gli elementi esterni alle imprese che determinano un contesto favorevole all'innovazione, il capitale umano ha un ruolo di rilievo e si misura col livello di istruzione della popolazione e l'accesso alla formazione permanente. Altro fattore che favorisce il processo innovativo è il sistema degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, misurato rapportando la spesa pubblica in R&S al Pil. L'indicatore di input considera lo sforzo innovativo compiuto dalle imprese e si può misurare sia in termini di quantità di spesa in R&S che di personale addetto alla ricerca. Il terzo indicatore, che misura le performance, considera il numero dei brevetti e l'introduzione di innovazioni di prodotto o processo. LA GRADUATORIA Nella classifica europea del 2012 la Sardegna si colloca tra le regioni con un moderato livello di innovazione (in linea con la media nazionale), migliorando leggermente la sua posizione rispetto al 2009 in cui risultava modesto innovatore. Il passaggio di livello non modifica però il carattere di debolezza dell'innovazione nell'Isola che mostra un ritardo strutturale sul tema, essendo caratterizzata da un sistema economico formato da imprese di piccole dimensioni, orientate per lo più al mercato interno che operano in un ambiente scarsamente reattivo all'innovazione e questo determina un perdurare di bassi livelli di produttività. Se a ciò si aggiunge la limitata dotazione di conoscenze e di capitale umano, si capisce perché la Sardegna ancora oggi presenti un quadro di indicatori che testimonia un ritardo, sia rispetto alle altre regioni italiane sia in riferimento alla media dell'Unione europea. Francesco Manca Lucia Schirru _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 lug. 13 LE TANTE ATTIVITÀ DI SARDEGNA RICERCHE Un “ecosistema” sulla competitività La capacità di innovare e rinnovarsi, dando vita a prodotti e processi originali e competitivi, rappresenta oggi un fattore essenziale per la sopravvivenza e la crescita di un'impresa, soprattutto in una fase di profonda crisi economica come quella di oggi, e in particolare in Sardegna, una regione che ha raggiunto importanti risultati nel campo dell'innovazione, riconosciuti anche a livello internazionale (e- Intensity Index 2011 e Regional Innovation Scoreboard 2012). Una delle principali sfide per i prossimi anni consisterà nella creazione di condizioni sempre più favorevoli allo sviluppo di un vero e proprio “ecosistema dell'innovazione” in Sardegna, basato su una crescente collaborazione tra imprese, università, centri di ricerca e istituzioni, in grado di lavorare insieme per lo sviluppo dell'economia regionale. Solo attraverso una decisa accelerazione nel campo dell'innovazione in tutti i settori economici, infatti, il sistema imprenditoriale sardo potrà uscire dalla crisi e ricominciare a creare posti di lavoro. “Fare innovazione”, tuttavia, non è semplice. Sardegna Ricerche, sin dal 1985, quando si chiamava Consorzio 21, aiuta le imprese regionali, non solo quelle dei settori ad alto contenuto di tecnologia ma anche quelle dei settori tradizionali come l'agroalimentare, nel difficile percorso dell'innovazione. Con la creazione del Parco tecnologico regionale, inaugurato nel 2003, Sardegna Ricerche ha messo a disposizione delle imprese un'infrastruttura d'eccellenza con laboratori allo stato dell'arte e know-how per favorire il trasferimento dei risultati della ricerca in attività d'impresa. Facendosi portavoce delle esigenze di innovazione delle imprese, negli ultimi due anni l'ente ha avviato programmi e servizi utili a renderle più competitive sul mercato globale. Da una parte, Sardegna Ricerche ha creato nuovi “sportelli” consulenziali specialistici dedicati ai problemi concreti delle imprese, tra cui lo Sportello appalti imprese, nato con l'obiettivo di ovviare a una situazione che vede le imprese sarde aggiudicarsi solo in piccola parte le gare d'appalto esperite nell'Isola. Lo Sportello, attraverso servizi gratuiti di formazione, informazione e consulenza alle imprese, si propone di incrementare la loro partecipazione agli appalti pubblici, sia nell'Isola che a livello nazionale, e di migliorare la loro capacità di predisporre offerte vincenti. L'offerta di servizi alle imprese è stata inoltre ampliata con la creazione dello Sportello ricerca europea, che aiuta ricercatori e imprenditori a partecipare ai bandi europei del 7° Programma Quadro e, prossimamente, di Europa 2020, e dello Sportello energia, che gestisce servizi di assistenza e formazione nel campo delle rinnovabili e della sostenibilità ambientale. A breve nascerà un nuovo Sportello, rivolto alle start-up, per l'accesso a servizi integrati che spazieranno dalla fase di scouting sino all'erogazione di voucher per la creazione d'impresa. Dall'altra, con un investimento complessivo di circa 33 milioni di euro, i consolidati programmi per lo start-up d'impresa sono stati affiancati da nuovi interventi per i progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale di nuovi prodotti e per la valorizzazione produttiva e commerciale delle imprese. Nel 2013 sono stati avviati tre nuovi bandi “cluster” per aiutare le Pmi regionali a superare i limiti derivanti dal cosiddetto “nanismo” del tessuto imprenditoriale isolano attraverso l'aggregazione d'impresa e la collaborazione con i centri di ricerca regionali, sempre con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dell'“ecosistema dell'innovazione”. Un “ecosistema” che consentirà alle imprese sarde di unire le forze per acquisire e mantenere la propria competitività sul mercato globale, e di costruire, insieme, il futuro dell'Isola. Maria Paola Corona Presidente Sardegna Ricerche _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 6 lug. 13 CALCOLARE I RISULTATI NEL LUNGO PERIODO Misurare gli effetti delle scelte politiche La Sardegna si caratterizza per una componente pubblica della spesa in R&S pari all'88% contro il 45% nazionale. L'80% di questa è attribuibile alle Università quindi prevale la ricerca di base rispetto a quella applicata. La spesa delle imprese è praticamente nulla (0,08%), inferiore a quella delle imprese nei paesi dell'Europa dell'Est, appena entrati nell'Ue. Come si possono studiare gli effetti di tali politiche? Iniziamo da qualche evidenza che risulta dall'uso di modelli strutturali dell'economia sarda. I tempi della scoperta scientifica sono lunghi e gli investimenti in ricerca, cioè le policy in R&S, manifestano i propri effetti solo nel lungo periodo. Si tratta di effetti sul modo di incorporare il nuovo input in R&S, nelle funzioni di produzione e sul contributo di questo nuovo input in termini di efficienza. Le strategie dunque vanno perseguite sino a quando non se ne vedono gli effetti e non devono essere mutate ogni 5 anni, così come cambia il ciclo della politica. Vi sono poi delle evidenze, poche ma chiare, sulla persistenza degli effetti della policy una volta che la si interrompe. Simulando infatti un aumento temporaneo e non permanente degli investimenti (quello ad esempio legato al ciclo dei fondi strutturali), si ottiene che l'effetto massimo sul tasso di crescita del Pil si ottiene circa 10 anni dopo e che lo stesso permane nel sistema per circa 30 anni. L'uso di modelli strutturali di lungo periodo consente anche di vedere gli effetti che si producono dal lato dell'offerta, cioè sulle strutture produttive. Se tali investimenti venissero trattati come spese correnti (che esercitano effetti solo sul lato della domanda, cioè dei consumi) il loro impatto sarebbe naturalmente sottostimato, perché non terrebbe conto dell'aumento di capacità produttiva determinato dall'inserimento del nuovo input nella funzione di produzione. A questo proposito si potrebbe obiettare che si rischia di insistere su strade che porteranno risultati (se li porteranno), solo dopo molti anni. Come si possono fare scelte strategiche che nel lungo periodo minimizzino la probabilità di sbagliarsi? È necessario poi potenziare il collegamento tra ricerca di base e sistema delle imprese, quello che si chiama trasferimento tecnologico. Bisogna cioè puntare su ricerche di base che possano un giorno essere sfruttate dalle imprese sarde. A queste idee di fondo si ispira il prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali (2014-2020) quando individua tra le priorità di investimento: «promuovere il trasferimento di tecnologie, l'innovazione sociale e le applicazioni nei servizi pubblici nonché il trasferimento di conoscenza e innovazione nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali». Sempre per massimizzare le ricadute di tali investimenti è opportuno costruire scenari globali in cui abbiano un ruolo anche le professioni del futuro. Questo significa che oltre a collegare le dinamiche del mercato del lavoro a quelle della R&S (elemento imprescindibile nei modelli macroeconomici costruiti per studiare l'effetto di tali policy a livello regionale), la definizione in chiave strategica delle direttrici della politica industriale deve tenere conto non solo delle ricadute degli investimenti in R&S sul sistema produttivo, ma anche di come questo evolverà, mirando a cogliere in anticipo le tendenze del mercato del lavoro. A titolo di esempio si potrebbe citare il caso delle bonifiche industriali, che produrranno in un futuro prossimo una notevole richiesta di laureati specializzati e sul cui ambito sarebbe utile investire anche dal lato della R&S. Lo stesso vale per quei settori che costituiscono l'ossatura del sistema produttivo sardo (agroalimentare e turismo) ma anche per i settori a più alto contenuto innovativo (biotecnologie e ICT). Giorgio Garau Università di Sassari _____________________________________________________________ Corriere della Sera 1 lug. 13 ARCHITETTI QUANT'E DIFFICILE PROGETTARE UNA CARRIERA Dopo 7 anni un terzo dei giovani lavora ancora come collaboratore a partita Iva. Il ruolo delle figure ibride DI ISIDORO TROVATO C' è fibrillazione tra i giovani professionisti. La difficile congiuntura occupazionale del paese li coinvolge in pieno: si inseriscono tardi nel mondo del lavoro e percepiscono paghe davvero risibili. Avvocati, medici, psicologi, geologi, ingegneri e architetti alcune delle categorie più penalizzate. Negli anni novanta, per esempio, un neo laureato in architettura iniziava la carriera come collaboratore esterno nel circa 50% dei casi, ma dopo circa cinque anni di esperienza oltre la metà apriva uno studio in proprio e dopo 7 anni lo aveva fatto quasi il 70%. Per i laureati negli anni duemila, invece, le cose vanno in maniera molto diversa. La maggior parte inizia a lavorare come collaboratore mono- committente o come dipendente con tutta la gamma di contratti flessibili (a progetto, prestazioni occasionali o a tempo determinato). Dopo cinque anni, nemmeno un terzo degli architetti è diventato titolare dello studio con cui collabora o ne ha avviato uno proprio. Chi apre la partita Iva lo fa tendenzialmente per collaborazioni esterne e ancora prevalentemente lavorando per un unico studio. Così dopo 7 anni dal titolo ben oltre un terzo degli architetti svolge ancora la sua professione come collaboratore esterno. Punti deboli Il primo ostacolo allo sviluppo delle opportunità per i giovani architetti è la confusione di ruoli professionali. In Italia un «progetto architettonico» può essere affidato anche a un ingegnere o a un geometra, addirittura in certi casi a un perito agrario. Le poche differenze sono talmente complesse e sottili da risultare comprensibili solo ai tecnici. In aggiunta a questa confusione, l'Italia è l'unico paese europeo che forma figure «ibride»: l'ingegnere-architetto, il geometra laureato e l'architetto junior professioni intermedie che non aiutano a formare un precisa percezione tra l'opinione pubblica. Prospettive e richieste Ma gli architetti sono oggi soddisfatti della loro condizione professionale? A giudicare dalle indicazioni fornite da un'indagine condotta dall'Ordine degli architetti di Roma la risposta è fortemente negativa. O meglio, nessuno è soddisfatto del proprio livello reddituale o delle prospettive di carriera, ma la maggioranza si dichiara insoddisfatta anche per quanto riguarda la partecipazione ai progetti in cui è coinvolta, dai contenuti e dalle mansioni del lavoro che svolge e dal rapporto con la clientela (anche se in questi due casi il campione si è diviso a metà tra soddisfatti e insoddisfatti). La bassa retribuzione e le scarse prospettive di carriera preoccupano gli architetti più giovani e meno quelli over 40 anni. Complessivamente però il livello di insoddisfazione professionale è talmente alto che dalla ricerca emerge che il 55% degli architetti interpellati sarebbe addirittura pronto a cambiare mestiere. Alla fine dell'indagine rimangono due le domande più forti espresse dai giovani appartenenti alla categoria guidata da Leopoldo Freyrie: «Ci chiediamo perché il nostro Paese abbia investito su di noi, sulla facoltà che ci ha formato se poi non ci lascia altra scelta che andare via. E poi, l'Italia è ancora un paese per gli architetti e per l'Architettura?». Di sicuro se vuole continuare ad esserlo servono accorgimenti che gli stessi professionisti suggeriscono: «riordinare le competenze e chiarire i diversi ambiti lavorativi in modo oggettivo, e poi serve un'apertura ai giovani architetti per le procedure di incarico pubblico». _____________________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 3 lug. 13 A SCUOLA È MORTO L'UMANESIMO di Angelo d'Orsi Nel giugno di 14 anni or sono (esattamente il 18-19), a Bologna, nella sede della più antica università del mondo, la cosiddetta Alma Mater, si riunivano 29 ministri dell'Istruzione e siglavano un accordo, la "Dichiarazione di Bologna", che avviava il processo che avrebbe dovuto realizzare lo "Spazio Europeo dell'Istruzione Superiore". Era un contributo all'unificazione del continente. Ma quanti si resero conto delle conseguenze negative che avrebbe avuto quel frettoloso documento? Cominciava allora, in effetti, un gioco al ribasso della qualità, che avrebbe condotto l'Italia nel tunnel del famigerato "3+2", passando dalla "riforma" di Luigi Berlinguer, agli interventi dei suoi epigoni e continuatori, pur se di diversa appartenenza politica, fino alla devastazione firmata dalla signora Gel- mini e perfezionata dall'ing. Profumo. NELL'ULTIMO suo libro, Benvenuti in tempi interessanti (casa editrice Ponte alle Grazie) quello che è stato chiamato "il filosofo più pericoloso d'Occidente", Slavoj iek, ha scritto che da Bologna partì "un attacco concertato a ciò che Kant chiamava `l'uso pubblico della ragione- . Veniva, in prospettiva, cancellato il vero, primo compito del pensare: che non è offrire solo soluzioni ai problemi, ma innanzitutto riflettere sulla forma e la natura di quei problemi. Si sostituiva, insomma, al sapere critico, il sapere "utile", al pensiero libero, un pensiero finalizzato: a cosa? Ai bisogni della società, ossia del mercato, innanzitutto. Da allora in poi nelle università europee, e nelle Scuole di istruzione superiore, secondo una tendenza che attraversava l'Atlantico e si manifestava in America, cominciò una vera e propria aggressione, mediatica e politica, alle discipline umanistiche, e anche alle scienze sociali e politiche. L'eliminazione o la riduzione ai minimi termini di Storia dell'arte, o di Storia della musica nelle scuole è stato un segnale inquietante passato sotto silenzio. L'abrogazione o quasi degli insegnamenti di Lettere classiche, la chiusura progressiva di discipline con grandi tradizioni ma che apparivano "inutili" (Egittologia, Sanscrito, Sumerologia, Indologia...), ma anche il drastico ridimensionamento delle stesse cattedre di Letteratura italiana (ricordava Alberto Asor Rosa, che alla Sapienza sono passate da 12 a 2!), mentre altre discipline, a cominciare dalla Sociologia in tutte le sue declinazioni subivano un processo di vero e proprio imbarbarimento, perdendo ogni sostrato di pensiero, tecnicizzandosi, in senso economico. L'economia, a sua volta, si riduceva alla mera dimensione numerica, mentre i corsi di Storia del pensiero economico sono diventati merce rarissima, e comunque considerati del tutto secondari, mentre un approccio umanistico all'economia oggi è completamente scomparso. La crisi economica ha accelerato il processo. I giovani scelgono indirizzi di studio che sembrano garantir loro un accesso al mondo del lavoro non soltanto più rapidamente, ma con remunerazioni più alte. Che un dentista, o un ingegnere, guadagnino di più di un professore di Latino, lo sanno tutti. Ma che in prospettiva i laureati in Ingegneria o in Medicina siano destinati a svolgere funzioni direttive è tutto da dimostrare. DAVANTI a questa situazione, che finalizza gli studi al mercato, che considera "utile" soltanto il sapere "pratico", e che cerca di cancellare la dimensione critica, ci sono reazioni; e che in definitiva fa perdere ai giovani lo stesso piacere dello studio (studium significa "passione"). Come si fa a formare un cittadino senza la Storia? - si stanno chiedendo ad Harvard e in altre università statunitensi. Sembra che un moto di protesta se non ancora di rivolta stia nascendo. Fra vent'anni saremo tutti ingegneri informatici? Tutti economisti? E sapremo dare un senso al nostro lavoro senza avere idea di quel che le grandi civiltà ci hanno consegnato? Potremo affrontare la vita senza la dimensione della critica e lo sguardo aperto sui grandi orizzonti? Un dibattito si è insomma avviato, e non solo negli Usa. In Francia, Gran Bretagna, Germania e altrove, se ne discute. E SI COMINCIANO a intravvedere i pericoli di un orientamento tutto praticistico del sapere. Ma non da noi, ancora sotto lo choc delle tre I berlusconiane (Industria, Informatica, Inglese), tutto tace. E dire che da qualche tempo vedo circolare l'espressione "nuovo umanesimo": articoli, libri, associazioni, gruppi sulle reti sociali, e così via. Piccole enclave di irriducibili, di vario orientamento, che propongono un ritorno, quanto meno simbolico, all'essenza di quella eccezionale stagione della storia, che ebbe il suo motore propulsivo in Italia: ma l'Italia d'oggi - quella ufficiale, ma anche nella stragrande maggioranza della sua popolazione - non sembra preoccupata né tanto meno interessata. È già troppo tardi per avviare un contrattacco? Tutti Informatici Nei paesi "avanzati" si cominciano a intravvedere i pericoli di un orientamento praticistico del sapere Ovunque, ma non da noi _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 lug. 13 IL DILEMMA IRRISOLTO DELLA SCUOLA ITALIANA Anthony Muroni Nei giorni scorsi una nuova ricerca sull'istruzione in Italia ci ha ripetuto cose note ma troppo spesso trascurate: gli studenti universitari di oggi sono dei semi-analfabeti e arrivano in Ateneo impreparati, per colpa delle carenze della scuola dell'obbligo. Bella scoperta. Basterebbe andare a spulciare tra gli elaborati consegnati dalle matricole che affrontano i test per l'ammissione nelle facoltà a numero chiuso per rendersi conto che molti hanno difficoltà persino a coniugare il tempo dei verbi. Non conoscono le basilari funzioni algebriche, per tacere delle questioni storiche, scientifiche e legate all'attualità. È allora giusto partire da una domanda, forse ovvia e retorica: è possibile che la scuola formi male i suoi alunni per la penuria di mezzi economici a sua disposizione? Difficile sostenerlo, vista la spesa a carico dello Stato. Oppure il problema è legato al numero degli insegnanti? Altrettanto improbabile, visti i numeri. Al livello in cui siamo non si tratta più di fare speculazione politica ma di scegliere il destino dei nostri figli, condannati a essere fagocitati da un sistema che non premia i più deboli. Sì, i più deboli. Chi è più forte o ha la fortuna (che gli deriva solo dalla nascita) di avere alle sue spalle un retroterra culturale e familiare adeguato, riesce forse a completare la sua preparazione fuori dalla scuola o a sfruttare al massimo ciò che l'istituzione gli mette a disposizione. Posto che le risorse destinate alla scuola non sono poche e che il numero di docenti a libro paga è più alto rispetto a quello della media europea, a ogni buon padre di famiglia non verrebbe in mente altro che di cambiare le cose. Come? Magari non tagliando la spesa (l'errore che sembrano fare tutti i governi) ma ridistribuendola. Magari cambiando il modo di reclutare i docenti e diversificando le materie di insegnamento. In tanti inizieranno a storcere il naso, sostenendo che in questo Paese è da 30 anni che si fanno riforme della scuola senza risolvere nulla. Giusto. Ma ci siamo chiesti perché? C'entrerà qualcosa il fatto che tutte le volte che si sente parlare di istruzione, al centro non c'è mai l'offerta formativa ai ragazzi e la sua valutazione? Si ragiona, sindacalmente e aritmeticamente, di numero di cattedre, forza-lavoro, precari da stabilizzare, come se la scuola fosse un contenitore indistinto incaricato di elargire stipendi e di assorbire la disoccupazione dei giovani post-laureati e non il centro di formazione principe nell'organizzazione del futuro di un Paese. Tutto questo senza tacere il fatto che esistono decine di maestre e maestri, insegnanti di medie e superiori per bene, preparati e innamorati del proprio lavoro, che spesso sono così coinvolti da arrivare ad anteporre la Missione alle loro famiglie e ai loro traguardi personali. Il tema è così delicato che nessuno può pensare di avere ricette in tasca. Ma l'auspicio è quello di poter arrivare, un giorno, a sentir parlare di scuola non più dall'ottica degli stipendi che deve distribuire ma come centro di eccellenza formativa. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 7 lug. 13 ACCADEMIA DELLE SCIENZE RUSSA UNA RIFORMA CHE SOFFOCA L'AUTONOMIA Da Mosca a San Pietroburgo si moltiplicano le proteste degli scienziati russi scesi in strada per opporsi alla riforma dell'Accademia delle scienze. Fondata da Pietro il Grande nel 1724, è la più importante organizzazione scientifica del Paese e riunisce la quasi totalità delle istituzioni che si occupano dall'economia alle ricerche spaziali. Il testo della riforma è stato presentato alla Camera bassa del Parlamento, la Duma, «senza alcuna firma» con l'intenzione di approvarla rapidamente. Nei mesi scorsi il ministro della Ricerca, Dmitry Livanov, aveva attaccato l'Accademia definendola atrofizzata. Il piano prevede l'unificazione con le altre due accademie dell'agricoltura e della medicina, l'uguaglianza degli accademici, ma soprattutto l'espropriazione delle proprietà e della gestione degli immobili fonte di reddito per l'Accademia, da affidare a una nuova agenzia la quale risponderà al governo. Inoltre sarà lo stesso governo a scegliere il presidente dell'Accademia. «È importante permettere agli studiosi di concentrarsi sulle ricerche risparmiando loro le irrilevanti funzioni di gestione dei palazzi», ha dichiarato il primo ministro Dmtry Medvedev all'agenzia di stampa Ria Novosti. «La legge è una tragedia nazionale e l'accademia perderà ogni autonomia» ha dichiarato alla rivista americana Science Alexandr Spirin, ex direttore dell'Istituto di ricerca sulle proteine. Per cercare di tacitare le proteste il governo ha promesso un aumento di stipendio a tutti i ricercatori ma l'offerta non ha attenuato le proteste. Alle quali si sono aggiunti interventi stranieri. Il presidente dell'Accademia nazionale dei Lincei, il professor Lamberto Maffei, ha scritto al presidente della Duma e al ministro Livanov esprimendo «profonda preoccupazione». I ricercatori non rifiutano la riforma ma chiedono un coinvolgimento cercando di evitare l'intrusione massiccia dei politici. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica la scienza in Russia ha inseguito una faticosa rinascita. L'intervento attuale fa emergere lo spettro di un controllo e di una burocratizzazione poco promettenti. Giovanni Caprara _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 3 lug. 13 MANCANO 900MILA LAVORATORI NELL'ICT IL RAPPORTO Lanzillotta (Sc): «Adeguare il sistema formativo e scolastico al mercato del lavoro che cambia per la rivoluzione digitale» Giorgio Pogliotti ROMA Entro il 2015 si prevedono circa 900mila posti di lavoro vacanti a causa della mancanza di figure professionali con competenze digitali e informatiche. L'offerta di lavoro va riallineata alla domanda in un mercato che ormai è cambiato, riformando il sistema dell'istruzione e della formazione. Il rapporto curato dal think thank Glocus che sarà presentato domani a Roma, cita le previsioni sui livelli occupazionali in Europa per i prossimi dieci anni, evidenziando come la domanda si concentrerà sui cosiddetti "lavori bianchi" (istruzione, formazione, servizi sanitari, servizi sociali), su quelli "verdi" (settore energetico per le energie rinnovabili, ambiente) e su quelli "digitali" (comunicazione e informazione digitali, utilizzo delle nuove tecnologie). Agenda Europa 2020 ha indicato una nuova sfida, la riconversione dell'economia europea al digitale, anche i lavori "tradizionali" saranno profondamente modificati. Per l'Italia vengono attribuite prospettive occupazionali positive ad alcune tipologie di lavoro manifatturiero e neo-artigianale, con la previsione di una significativa espansione nelle filiere della cultura e del turismo. «La discussione sul mercato del lavoro è focalizzata sugli interventi di breve periodo per rispondere all'emergenza occupazionale – sottolinea il presidente di Glocus, Linda Lanzillotta (Scelta civica) – ma bisogna avere uno sguardo di medio-lungo periodo perché non è scontato che l'Italia sarà in grado di cogliere le opportunità offerte dalla ripresa, quando arriverà. Vanno ripensati il sistema formativo, quello scolastico e professionale, per adeguarli al lavoro che cambia. Per l'Italia si tratta di un cambiamento che può ridare nuovo dinamismo alle sue vocazioni tradizionali». C'è ancora molto da fare considerando che la Internet economy in Italia contribuisce al Pil per il 2% (circa 32 miliardi di euro), mentre gli altri Paesi europei oscillano fra il 4% e il 7%: l'allineamento alla media europea sarebbe pari a circa quattro finanziarie. Di fronte alla scarsità di risorse da impiegare contro la disoccupazione, il Governo è chiamato a compiere scelte strategiche: «Si continuano a impiegare risorse pubbliche per rifinanziare posti di lavoro che non esistono più – aggiunge Lanzillotta –. L'Agenda di Lisbona ci spingeva a puntare sulla formazione, sulla ricerca e l'innovazione. Ma in Italia è accaduto il contrario, il settore dell'education è stato definanziato a vantaggio della previdenza e della sanità. Abbiamo speso per gli anziani anche le risorse che dovevano costruire il futuro per i giovani». Glocus propone una serie di misure come la semplificazione della normativa sul lavoro, l'introduzione della flexsecurity, l'investimento sulla formazione continua, l'obbligo di insegnamento di almeno una lingua comunitaria nei programmi scolastici già dai cicli della prima infanzia, l'introduzione di tirocini nella scuola secondaria, il rafforzamento dei centri per l'impiego affiancati dalle agenzie per il lavoro per favorire l'incontro tra domanda e offerta. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 1 lug. 13 CHI INSEGNA IN INGLESE VA PREMIATO Agli studenti servono competenze spendibili in un mercato del lavoro globale Daniele Checchi Una sentenza del Tar Lombardia (datata 23 maggio 2013) ha accolto il ricorso di un centinaio di docenti del Politecnico di Milano contro una delibera del Senato accademico dello stesso ateneo che nel dicembre 2011 aveva deliberato a grande maggioranza (25 a favore, tre contrari e tre astenuti) il passaggio all'insegnamento della lingua inglese in tutti i corsi magistrali e dottorali a partire dall'anno accademico 2014-2015. Senza voler entrare nella polemica sulle virtù letterarie della lingua inglese, su cui già si è esercitata molta stampa nazionale, si vuole invece prestare attenzione al contenuto della sentenza, in quanto illustrativo della complessità organizzativa contro cui si scontra ogni processo di cambiamento dell'università italiana. I giudici amministrativi motivano l'accoglimento del ricorso con due argomenti principali: - la lingua italiana rimane preminente nel percorso formativo impartito dalle istituzioni scolastiche e universitarie italiane (come già previsto dal Regio decreto n. 1592 del 1933); - la decisione di convertire tutte le lauree magistrali alla lingua inglese costituisce una violazione del principio della libertà d'insegnamento, in quanto preclude l'insegnamento avanzato ai docenti che non sono in grado o non intendono insegnare in una lingua straniera. Visto con l'occhio di un economista, questa vicenda appare paradossale per l'assoluta non considerazione da parte dei giudici dei fattori di contesto in cui è stata presa la decisione oggetto di annullamento. Innanzitutto il punto di vista degli studenti, che sono clienti interessati alla fornitura di insegnamenti spendibili in un mercato del lavoro internazionalizzato, viene assolutamente ignorato. Una ricerca recente condotta dalla Fondazione Agnelli ("I nuovi laureati", Laterza 2012) ha fatto valutare ai responsabili delle risorse umane di grosse aziende un insieme di curricula ipotetici di laureati, analizzando poi le preferenze espresse. Da questa analisi concludono che «…un'ottima conoscenza dell'inglese ha lo stesso valore di una laurea ottenuta a pieni voti piuttosto che con una risicata sufficienza; infine, il conseguimento della laurea specialistica viene valutato dai potenziali datori di lavoro come equivalente a due anni di esperienza di lavoro». Tutti convengono con l'idea che gli studenti universitari dovrebbero iscriversi all'università già in possesso della conoscenza della lingua inglese (visti gli undici anni precedenti di familiarizzazione a partire dalla scuola primaria), ma l'esperienza comune di chi insegna all'università è che la capacità di lavorare in lingua inglese (dal seguire le lezioni al prendere appunti fino alla stesura della tesi) è ancora oggi appannaggio di una minoranza di studenti, spesso socialmente selezionata. Le università italiane più attente si pongono il problema di come promuovere i propri laureati sul mercato del lavoro, specialmente quando si tratti degli studenti più capaci. Se fossimo in un paese nordico, nessuno attribuirebbe alcun valore di segnalazione alla conoscenza operativa (verrebbe da chiamarla working capability…) della lingua inglese, data la sua generalizzazione. Ma oggi in Italia tale conoscenza è ancora un segnale distintivo sul mercato del lavoro, e tentativi quali quelli del Politecnico andrebbero premiati invece che ostacolati. Vi è sottostante un palese conflitto di interessi tra lo studente-cliente e il docente-lavoratore, in quanto la salvaguardia dei diritti acquisiti dal secondo va a scapito degli interessi del primo. Non siamo nuovi a situazioni conflittuali di questo tipo, specialmente quando si tratta di prestazioni da parte della pubblica amministrazione. Ma i giudici non dovrebbero ignorare che gli atenei operano in crescente concorrenza tra di loro, e che tutelare i diritti a discapito della competitività può rivelarsi miope, per la perdita di attrattività nei confronti degli studenti migliori, che sono i veri alfieri all'esterno della qualità percepita di un ateneo. daniele.checchi@unimi.it _____________________________________________________________ Sapere 6 lug. 13 CNR: LA FANTASCIENZA DELLE PARI OPPORTUNITÀ di Simone Valesini Passeranno secoli prima di raggiungere l'effettiva parità tra i sessi. Lo dice una ricerca del CNR e pari opportunità, ovvero l'uguaglianza nel mondo del lavoro, nella retribuzione, nel riconoscimento di meriti e capacità, e nell'accesso a ruoli decisionali in politica e nelle imprese, sono ancora molto lontane. Rossella Palombi) ricercatrice dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del CNR ha provato a calcolare una possibile "cronologia futura" per le conquiste di genere. i risultati, contenuti nel libro Sognando parità (Ponte alle Grazie, 2013), non sono incoraggianti: di questo passo, la parità tra uomini e donne all'interno dei ministeri per esempio sarà raggiunta solo nel 2037, nell'università nel 21,38, all'interno della magistratura nel 2425, e per i vertici della diplomazia si dovrà aspettare fino al 2660. Ecco come ha elaborato le sue stime. Dottoressa Palomba, quello da lei tratteggiato è un percorso lungo più di 600 anni. Come è stato calcolato? «La mia è solamente una simulazione. Ho provato a vedere cosa succederebbe se la situazione continuasse a svilupparsi al ritmo attuale. Nei settori in cui sono disponibili i dati, ho semplicemente applicato i ritmi di crescita dell'occupazione femminile attuali, e valutato quando si arriverà a una rappresentanza del 50%. In campi in cui è già alta la presenza di donne i tempi sono un po' più brevi, come nella sanità, in cui si arriverebbe alla parità entro il 2087. Ma nei settori in cui le donne sono ancora in minoranza i tempi diventano esageratamente lunghi, diverse centinaia di anni, per esempio nel caso di magistratura e diplomazia». Cosa si può fare per accelerare i tempi? «Lo strumento è sempre quello, anche se non piace a tutti: le famose quote rosa. Basta guardare all'America, dove senza le Affermative Action, che tra le altre cose hanno aperto le porte all'istruzione di qualità per i neri, Barack Obama non sarebbe oggi presidente. O per restare in casa nostra, alla CGIL, che sulla fine degli anni Novanta ha introdotto una quota minima del 40% di donne nelle strutture del sindacato. All'epoca in molti risero di questo intervento, ma tempo dieci anni, oggi abbiamo una segretaria donna. Si tratta di misure temporanee, che devono permettere di raggiungere quella "massa critica" del 30% cli rappresentazione femminile senza la quale, ci dicono gli studi, e impossibile per le donne riuscire ad influenzare le decisioni di un'organizzazione». Le pari opportunità nel mondo secondo il Gender Gap Report 2012. Il punteggio massimo è 1 e corrisponde alla parità, il più basso è lo zero. _____________________________________________________________ L’Unità 1 lug. 13 L’AMERICA SCOPERTA DAI CARTAGINESI Duemila anni prima di Colombo È la straordinaria tesi di Lucio Russo PIETRO GRECO I CARTAGINESI SONO STATI I PRIMI MEDITERRANEI A SBARCARE IN AMERICA. Duemila anni prima di Cristoforo Colombo. Ora ne abbiamo la prova. Matematica. L'ha trovata Lucio Russo, storico della scienza e docente di calcolo delle probabilità, nel suo nuovo libro, L'America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo, appena pubblicato con Mondadori Università. Un libro che farà discutere, non solo per la novità in sé (clamorosa come uno scoop), ma anche per le implicazioni sull'idea stessa di storia che abbiamo. Ma andiamo con ordine. Protagonisti della storia di Lucio Russo sono tre grandi scienziati dell'età ellenistica - Eratostene, Ipparco e Tolomeo - e due popoli, i cartaginesi e i romani. Eratostene di Cirene (nato nel 275 a.C. e morto nel 195 a.C.), è stato un grande matematico dell'età ellenistica. Ha diretto la Biblioteca di Alessandria d'Egitto e ha inaugurato la geografia matematica, usando in maniera sistematica le coordinate sferiche (latitudine e la longitudine) e riuscendo a calcolare il diametro della Terra con un errore che, rispetto alla misura attestata dai geografi dei nostri giorni, è inferiore all'1%. Il secondo protagonista della storia ricostruita da Lucio Russo è lpparco di Nicea (nato nel 190 a.C. e morto nel 120 a.C.). Uno straordinario astronomo capace di compilare il primo catalogo delle stelle fisse (ricco di 1080 oggetti cosmici) e di scoprire la precessione degli equinozi. Ma Ipparco è anche un grande geografo. Capace di prevedere, in base allo studio delle maree, la presenza di un continente tra l'Indopacifico e l'Atlantico. Oggi sappiamo che quel continente è l'America. In realtà, dimostra Lucio Russo, Ipparco in qualche modo conosce quel continente. 1 cartaginesi, infatti, parlano di una serie di isole cui, lasciata la costa africana, si giunge dopo alcuni giorni di navigazione verso occidente. Quelle isole diventano note nell'antichità come «fortunate», a causa del clima particolarmente gradevole e della- vegetazione, particolarmente florida. Ebbene Ipparco calcola la longitudine e la latitudine delle Isole Fortuna te: e Lucio Russo dimostra che corrispondono con straordinaria precisione alle coordinate delle Piccole Antille. Inoltre Ipparco calcola la longitudine e la latitudine di un località più a Nord, cui i cartaginesi sarebbero giunti: corrispondono, ancora una volta con straordinaria precisione, alle coordinate di Tule, sulla costa orientale della Groenlandia. Testi antichi. a iniziare da quelli di Strabone, descrivono le Isole Fortunate in un modo che corrisponde alla morfologia delle Piccole Antille. Inoltre ci sono diversi indizi che sembrano corroborare l'ipotesi di un'antica «scoperta delle Americhe» da parte di popolazioni mediterranee. Per esempio, in alcune località dell'America Latina gli spagnoli che sbarcano al seguito di Colombo trovano galline, animali euroasiatici. Oppure, in molte rappresentazioni di epoca romana compare l'ananas: un frutto americano sconosciuto nei tre continenti connessi (Asia, Europa e Africa). Inoltre i cartaginesi erano padroni dell'arte della navigazione e possedevano navi che, per grandezza e qualità, erano in grado di superare l'Atlantico molto più facilmente della Nina, della Pinta e della Santa Maria. O delle piccole, ancorché agili navi dei vichinghi che hanno preceduto Colombo. Per Lucio Russo è fondata l'ipotesi che, grazie ai cartaginesi, i popoli mediterranei abbiano frequentato le Piccole Antille e, probabilmente, buona parte dell'America centrale in maniera continua e per molto tempo: probabilmente anche per cinquecento anni. Poi, noi mediterranei, ci siamo dimenticati dell'America. Anche in questo caso Lucio Russo indica una possibile causa. La distruzione di Cartagine, tra i1146 e i1145 a. C., e l'annessione della Grecia da parte &Roma, In particolare i Romani _distruggono tutti (o quasi tutti) i documenti cartaginesi, compresi quelli che riguardano la navigazione transatlantica. E, non avendo né le capacità né l'interesse per la navigazione di lungo corso, si dimenticano dell'America. In realtà le rotte verso le Isole Fortunate vengono battute anche in età romana. Ma quei viaggi sono ignorati a Roma e, ormai, quei marinai non hanno più al cui rapporto con i geografi. E qui che interviene il terzo protagonista della storia: Claudio Tolomeo. Anche lui astronomo e matematico, grande esponente di una generazione di scienziati dì cultura ellenistica ma di una fase successiva a quella di Eratostene e di lpparco. Tolomeo, infatti, nasce intorno al 100 e muore intorno al 170 dopo Cristo. Dunque tre secoli e mezzo dopo la grande stagione in cui sono vissuti i due precedenti protagonisti. Ormai dei viaggi verso le Americhe i geografi hanno perduto memoria. In quell'epoca le isole più a occidente conosciute sono le Canarie e Tolomeo assume che siano esse le Isole Fortunate. Ma i conti non tornano rispetto alla grandezza della Terra calcolata da Eratostene e alle coordinate calcolate da Ipparco. Così, a causa del suo pregiudizio Tolomeo commette una serie di errori. Assume un'unità di misura diversa da quella usata tre secoli prima e, così, rimpicciolisce del 29% le dimensioni della Terra è sposta di 15 gradi verso est la longitudine delle Isole Fortunate, in modo che corrisponda a quella delle canarie. Questa operazione comporta una evidente distorsione della geografia e delle carte geografiche. Ma in mancanza di interessi reali alla precisione e in forza del pregiudizio l'errore di Tolomeo si afferma. E l'America è, appunto, definitivamente dimenticata. Gli europei dovranno attendere quasi un millennio e mezzo prima di riscoprirla. Lucio Russo, dunque, fornisce per la prima volta una prova quantitativa della scoperta dell'America avvenuta a opera di popolazioni mediterranee prima della nascita di Cristo. E ciò costituisce in sé una novità davvero importante. Di quelle che fanno riscrivere i manuali di storia in tutto il mondo. Naturalmente, quella quantitativa di Lucio Russo dovrà essere corroborata da altre prove indipendenti. Ma è una prova di peso. E costituisce uno stimolo per nuovi programmi interdisciplinari di ricerca. Tuttavia Lucio Russo non si limita a presentare la sua scoperta, ma ne propone un'interpretazione in chiave di «filosofia della storia». Molti studiosi sono rimasti colpiti, nel corso (lei secoli, dall'evoluzione convergente delle società umane. Tra il VI e il V secolo, per esempio, in Grecia (i primi filosofi ionici), in India (Buddha) e in Cina (Confucio) viene scoperta la «potenza della ragione». O, anche, in Eurasia e Africa (diverse civiltà) come in America (i Maya) vengono realizzate una serie di innovazione e di vere e proprie scoperte singolarmente coincidenti: dall'agricoltura alla lavorazione del metallo, dalla città alla scrittura, dal gioco della palla e dei dadi al concetto e all'espressione di zero. Ci sono due possibili interpretazioni di questi fenomeni.11 primo è che esiste una sorta di legge generale di progresso che porta in maniera deterministica le diverse società umane a tagliare certi traguardi. E quella che i biologi chiamerebbero una forma di «convergenza evolutiva». La seconda interpretazione è che questa legge non esiste. E che le società umane tagliano i medesimi traguardi semplicemente perché sono connesse tra loro, si scambiano cultura. E, dunque, la convergenza non è affatto indipendente. Lo sviluppo delle civiltà americane sembrava una falsificazione di questa seconda teoria. Perché se Asia, Europa e Africa possono essere considerati continenti connessi e gli scambi culturali tra le varie civiltà di questi continenti sono ormai ben documentate, quello americano è stato considerato a lungo un continente «non connesso», con uno sviluppo della civiltà del tutto indipendente. La «nuova storia» di Lucio Russo mette in discussione tutto ciò. Perché, se non falsifica la prima ipotesi (quella della evoluzione convergente), ridà dignità scientifica alla seconda ipotesi (quella dell'evoluzione per connessione). Un corollario di questa discussione è la scienza, della cui storia Lucio Russo è esperto. Molti sostengono che la scienza sia nata più volte in maniera indipendente: in età ellenistica nel Mediterraneo, poi in India, in Cina, nell'Islam e, infine, nell'Europa del XVII secolo. E, invece, la connessione nello spazio e nel tempo delle varie civiltà rafforza l'idea di Lucio Russo: che la scienza sia un «accidente congelato». Che sia nata una sola volta, in età ellenistica, all'epoca di Eratostene (ed Euclide e Archimede e Ipparco e molti altri) e che si sia diffusa, talvolta in maniera chiara, estesa e consapevole, talaltra in maniera ambigua, frammentaria e inconsapevole. Questa seconda ipotesi spiegherebbe perché anche la scienza in diversi paesi e in diverse fasi storiche possa essere, come l'America, scoperta e poi dimenticata. _____________________________________________________________ Le Scienze 2 lug. 13 BANDA PIÙ LARGA CON I FOTONI A ELICA Una modifica della composizione delle fibre ottiche standard permette di sfruttare una proprietà dei fotoni, il momento angolare orbitale, per la codifica delle informazioni, arrivando alla trasmissione di 1,6 terabit di dati al secondo, l'equivalente di otto DVD Blu-ray ogni secondo. La nuova tecnica permetterà di evitare la temuta congestione di Internet dovuta all'uso sempre più diffuso dello streaming di video Una nuova tecnologia per le fibre ottiche promette di aumentare in modo decisivo la larghezza di banda per la trasmissione dati, permettendo di evitare la congestione di Internet che sembra avvicinarsi sempre di più a mano a mano che si diffonde l'uso delle trasmissioni video in streaming. La nuova tecnologia, messa a punto da ricercatori dell'Università di Boston e dell'University of Southern California a Los Angeles, è descritta in un articolo pubblicato su “Science”. Già nel corso degli anni novanta la rapida crescita delle comunicazioni via Internet sembrava mettere a rischio l'efficienza della Rete. Il problema venne risolto con la scoperta che era possibile inviare più flussi di dati sullo stesso cavo in fibra ottica semplicemente codificando ciascun flusso su una lunghezza d'onda diversa. In seguito, a questa soluzione si è aggiunta anche quella che permette di codificare e trasmettere informazioni sfruttando la polarizzazione della luce. Grazie a queste innovazioni, oggi una fibra ottica può trasportare 10.000 volte più informazioni rispetto alle prime fibre ottiche di trent'anni fa. I differenti profili di trasmissione generati dalle diverse traiettorie elicoidali permettono di attribuire correttamente i diversi pacchetti di informazioni che viaggiano simultaneamente sulla fibra ottica. (Cortesia N. Bozinovic e altri/Science/AAAS)La nuova tecnica di codifica sviluppata dai ricercatori statunitensi sfrutta una proprietà dei fotoni conosciuta come momento angolare orbitale (OAM). Il fascio di luce trasmesso attraverso la fibra ottica ha una distribuzione che ricorda un flash: è più intenso al centro e meno concentrato ai margini. Se però si fa passare la luce attraverso un ologramma, hanno osservato i ricercatori, è possibile obbligare i singoli fotoni a muoversi come se percorressero una traiettoria a elica. A differenti ologrammi corrispondono traiettorie elicoidali differenti. I fasci di luce che si avvitano in modo differente creano profili di trasmissione, o modi, della luce differenti, per esempio facendo sì che i singoli impulsi luminosi appaiano concentrati ai margini invece che al centro della fibra. La possibilità di sfruttare questa ulteriore opzione di codifica era però ostacolata da fenomeni di interferenza che si verificano nelle fibre ottiche standard. Nel nuovo studio i ricercatori hanno mostrato che questi disturbi non si verificano se al posto delle fibre standard si usano fibre realizzate con l'aggiunta di una opportuna combinazione di additivi chimici disposti in diversi anelli concentrici. Questi additivi alterano la velocità della luce attraverso la fibra, creando percorsi separati per i fotoni che viaggiano nei differenti modi. In una serie di esperimenti effettuati per testare il nuovo approccio, i ricercatori hanno sfruttato una fibra realizzata per poter trasmettere la luce secondo quattro modi differenti, riuscendo a inviare 1,6 terabit di dati al secondo - l'equivalente otto DVD Blu-ray ogni secondo – su una distanza di un chilometro. ========================================================= _____________________________________________________________ Le Scienze 4 lug. 13 SE FARMACI ONCOLOGICI SONO A PAGAMENTO Per la prima volta in Italia due farmaci antitumorali sono stati messi in vendita solo a pagamento, creando una disparità di accesso alle terapie in base al reddito in violazione della Costituzione Il 27 maggio scorso, l'Agenzia italiana per il farmaco ha autorizzato due farmaci antitumorali, il pertuzumab (Roche) e l'afibercept (Sanofi- Aventis). Il costo del loro acquisto però, come rivela un'esclusiva di "l'Espresso" firmata da Daniela Minerva, sarà a totale carico del malato. Chi vuole curarsi con questi farmaci dovrà sborsare 6000 euro per quello della Roche per le prime due somministrazioni e poi 3000 euro ogni 21 giorni; per quello Sanofi Aventis 4000 euro ogni tre settimane. È la prima volta che in Italia farmaci oncologici sono messi in vendita solo a pagamento, creando una disparità di accesso a queste terapie in base al reddito in palese violazione della Costituzione. _____________________________________________________________ Espresso 1 lug. 13 CANCRO, CHI È POVERO MUORE di Daniela Minerva Per la prima volta in Italia due farmaci oncologici sono in vendita solo a pagamento: chi vuole curarsi deve pagare più di mille euro a settimana. E' una violazione della Costituzione, ma il governo fa finta di niente Non se ne è accorto nessuno. Ma presto se ne accorgeranno i malati di cancro. Perché, in barba alla Costituzione, per la prima volta nel nostro Paese, le autorità sanitarie hanno deciso che ci sono malati di tumore ricchi che avranno accesso a due farmaci oncologici, e quelli poveri che dovranno fare senza. E' accaduto infatti che il pertuzumab (Roche) e l'afibercept (Sanofi- Aventis) siano stati autorizzati dall'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) il 27 maggio scorso e quindi ammessi in farmacia, ma a totale carico del malato. Che, se vuole curarsi, dovrà quindi pagare per il farmaco Roche 6.000 euro per le prime due somministrazioni e poi tremila euro ogni 21 giorni; e per quello Sanofi Aventis 4.000 euro ogni tre settimane. Perché le medicine sono sì registrate e ammesse alla vendita, ma non rimborsate dal Servizio sanitario nazionale. Non era mai successo per gli anticancro, salvavita. Perché se è vero che molti farmaci innovativi sono oggi disponibili in farmacia a pagamento (è la cosiddetta Fascia C), è anche vero che si è sempre trattato di prodotti non salvavita, per i quali, il più delle volte, esiste un'alternativa, ancorché meno potente o meno avanzata. Il cancro, poi, è di una tale drammaticità che nessuno aveva mai osato nemmeno immaginare che si potessero registrare delle medicine e non metterle a disposizione di tutti i malati. Non c'è dubbio che l'Aifa ha agito secondo le norme. Anzi, la norma. Sciagurata e passata finora sotto silenzio: quella con la quale l'ex ministro Renato Balduzzi, oggi deputato montiano, ha deciso, nel novembre del 2012, che i farmaci non ancora ammessi al rimborso del Ssn ma verificati come efficaci dalle autorità sanitarie potessero essere venduti in farmacia a chi ha i soldi per comprarseli. "Nelle more", si dice in gergo. Ma queste more sono lunghissime: come "l'espresso" ha denunciato più volte, i farmaci innovativi arrivano nel nostro paese con grande ritardo: fino a due anni dall'approvazione europea. Diversi mesi trascorrono mentre l'Aifa rivede i dossier già esaminati e approvati dalle autorità europee e autorizza il farmaco anche nel nostro paese, ma altri mesi passano a definire prezzo e modalità di accesso al mercato. I tempi di questi iter si fanno sempre più lunghi anche perché si allungano i negoziati, con l'Aifa che offre prezzi che le aziende ritengono bassi. Ed è chiaro a tutti che non ci sono soldi per la sanità, e che, quindi, i negoziati non sono destinati ad accorciarsi. Anzi. Nelle "more": chi ha i soldi si comprerà il farmaco con gli evidenti benefici terapeutici, chi non li ha lascerà questa vita. E non serve raccontare come, negli Usa e nei paesi senza servizio sanitario universale, le persone si indebitino, vendano la casa, chiedano prestiti per potersi pagare anche solo qualche mese di vita. E a guadagnarci sono le aziende che inizieranno a vendere il farmaco mesi e mesi prima del suo accesso agli ospedali pubblici. Ma resta l'interrogativo: Balduzzi si è reso conto della drammaticità di quella firma? E non ci vengano dire che è solo "nelle more", perché una volta infranto il muro della decenza, non si torna più indietro. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 7 lug. 13 AUMENTO DEI PREZZI SUI PRODOTTI PER GLI STOMIZZATI Federfarma: «Rimborsi sottocosto, serve la revisione» L'aumento dei prezzi sui prodotti per gli stomizzati ha scatenato la protesta di Federfarma Sardegna. L'erogazione dei dispositivi nelle farmacie associate è ripresa solo mercoledì sera, dopo un'interruzione iniziata il primo luglio scorso. La riattivazione della distribuzione dei prodotti è stata decisa per evitare ulteriori disagi ai circa tremila pazienti sardi. I farmacisti sperano che la Regione intervenga. In caso contrario, preannunciano una nuova interruzione del servizio. «Il rimborso previsto dal Servizio sanitario regionale è sottocosto e inferiore a quello di acquisto - spiega il presidente regionale di Federfarma, Giorgio Congiu -. Chiediamo una revisione dei prezzi e un adeguamento a quelli di mercato. Non è giusto che le farmacie ci rimettano dai 12 ai 30 euro per ogni prodotto». Sulla questione interviene anche il presidente dell'Associazione stomizzati, Rocco Nicosia. «I presidi monouso per noi sono fondamentali. Mi auguro che la Regione e le farmacie possano trovare presto una soluzione». Nel sottolineare la collaborazione che c'è sempre stata con l'assessorato alla Sanità, il segretario di Federfarma Cagliari, Rosi Valle, chiarisce che «il servizio deve essere garantito a tutti gli utenti sardi, anche nei piccoli centri. Siamo disposti a fare un'ulteriore proroga per il mese di luglio perché ci sta a cuore la salute dei pazienti ma non possiamo più sottostare a questa situazione che va avanti ormai da tre anni». Dall'assessorato regionale della Sanità è arrivata una nota dove si assicura che si «sta seguendo con attenzione la vicenda dei prezzi dei prodotti per i pazienti stomizzati e già domani è previsto un nuovo incontro a Cagliari». E. B. _____________________________________________________________ Sanità News 5 lug. 13 LA SPESA FARMACEUTICA E' CALATA DEL 3% IN 5 ANNI 'Negli ultimi cinque anni la spesa farmaceutica e' diminuita complessivamente del 3%, in controtendenza rispetto a tutte le altre voci di spesa sanitaria pubblica. E malgrado ne rappresenti solo il 14% del totale, paga il 30% dei tagli delle manovre 2012-2014''. Lo ha detto il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, nel suo intervento di apertura dei lavori dell'Assemblea pubblica 2013, a Roma. Scaccabarozzi è stato rieletto all'unanimità alla presidenza di Farmindustria. Il suo secondo mandato ai vertici dell'assemblea dell'associazione dei produttori durerà fino dal 2013 al 2015. _____________________________________________________________ Sanità News 1 lug. 13 LORENZIN: TROPPI ITALIANI ESENTATI DAI TICKET Metà degli assistiti non paga i ticket "perché esente e consuma l'80% delle prestazioni". "Il sistema dei ticket deve cambiare". Ad annunciare la 'rivoluzione' in arrivo il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. "Il cambiamento sarà semplice e lineare, tenendo conto dei carichi familiari". Lorenzin conferma anche che "non ci sarà l'aumento di due miliardi a partire dal 1 gennaio 2014". In una intervista rilasciata ad un quotidiano, il ministro spiega che si dovrà chiudere al più presto un nuovo Patto della salute che riprogrammi sia la governance che la spesa sanitaria''. Ci sono, ribadisce, ''dieci miliardi che si possono recuperare''. ''Possiamo risparmiare e ottimizzare le cure con il piano quinquennale per la deospedalizzazione e le cure domiciliari che stiamo perfezionando. Mettendo in rete ospedali asl e studi dei medici di famiglia, mentre una mano ce la darà l'informatizzazione e il "fascicolo sanitario elettronico'' così come ''la farmacia dei servizi'' e le ''centrali di acquisto''. E dal piano di ''riprogrammazione della spesa che definiremo nel Patto'' andranno trovate le risorse anche per gli studi h24 dei medici di famiglia ''che non possono essere relegati al ruolo di compila-ricette''. Quanto ai ticket non c'è volonta' di ''fare cassa'' ma ''in alcune aree del Paese - osserva - gli esenti per reddito Irpef arrivano al 70%'' e ''chi paga paga troppo''. Bisogna quindi ''spalmarli in modo più equo sulle prestazioni sanitarie e ridurre il numero degli esenti''. L'aggancio all'Isee potrebbe essere una strada, ma ''tenendo in maggiore considerazione i carichi familiari oltre che la ricchezza effettiva. Sono tutte cose delle quali parleremo nei prossimi giorni con le Regioni e con l'Economia''. _____________________________________________________________ Sanità News 1 lug. 13 AL VIA LA RIFORMA DEI COMITATI ETICI I nuovi Comitati etici saranno uno ogni milione di abitanti – fatta salva la possibilita’ di prevederne uno in piu’, competente sugli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico Irccs – composti da circa una ventina di esperti indipendenti dalla struttura in cui operano (con la possibilita’ dell’integrazione con consulenti esterni scelti ad hoc per aree specifiche) e dureranno in carica tre anni. A prevederlo sono alcuni parametri previsti dalla legge Balduzzi e dal relativo decreto attuativo, che fissano proprio a fine giugno il termine ultimo per la loro riorganizzazione, affidata alle Regioni, che dovranno rispettare anche norme specifiche sulla composizione. In Italia l’istituzione dei Comitati etici e’ prevista nelle strutture sanitarie pubbliche e negli Irccs privati. Si tratta di organismi indipendenti, composti di personale sanitario e non, con l’incarico di garantire diritti, sicurezza e benessere dei soggetti coinvolti ad esempio in una sperimentazione, anche emettendo pareri sul protocollo di sperimentazione. Ad oltre dieci anni dalla loro nascita, pero’, per i Comitati sono in arrivo profondi cambiamenti. Obiettivo del provvedimento e’ infatti ”dare un taglio” al numero dei decisori, di molto superiore alla media europea: uno ogni 250mila abitanti, contro uno ogni 500mila in Ue. Sara’ quindi ridotta la lista di 155 Comitati di bioetica allegata al decreto, utilizzando fra i criteri di valutazione le performances. Nella lista figurano quelli che nel triennio 2009-2011 hanno espresso almeno un parere unico su un protocollo di ricerca sui medicinali o i dispositivi medici, sull’impiego di procedure chirurgiche o cliniche o sullo studio di prodotti alimentari. Solo due, risulta dall’elenco, hanno espresso piu’ di cento pareri (il comitato etico del S. Raffaele di Milano e quello dell’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa) e solo 25 hanno raggiunto la soglia di 30 pareri nello stesso biennio: per tutti gli altri performance piuttosto scarse, e per gli ultimi venti Comitati addirittura meno di una pratica a testa. ”Una riforma si rendeva necessaria – spiega Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di Bioetica alle cui raccomandazioni i Comitati etici si rifanno – erano troppi, scollegati tra loro e con il territorio”. ”Ci vuole un volume minimo di sperimentazioni, quindi un’esperienza maturata” evidenzia inoltre l’esperta, spiegando che ”la riforma sembra andare nella giusta direzione” ad esempio con le correzioni fatte in corso d’opera sugli Irccs, che hanno consentito di rendere un po’ piu’ ampi criteri inizialmente un po’ piu’ restrittivi. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 3 lug. 13 LAVORO, NIENTE VISITE PREVENTIVE SUI MINORI Resta l'accertamento del medico competente ma solo per garantire la sicurezza contro i rischi IL PRECEDENTE La disciplina delle Lombardia ha aperto la strada di semplificazione e ha superato il vaglio della costituzionalità Luigi Caiazza Le visite mediche preventive per i minori e per gli apprendisti e per i pubblici dipendenti, quando siano riferite all'attestazione dell'idoneità psicofisica al lavoro, sono abolite. Lo stabilisce l'articolo 42 del decreto legge 69/2013 ("decreto del fare") il quale dispone, tra l'altro, la soppressione del certificato medico di idoneità per l'assunzione degli apprendisti, previsto dall'articolo 9, del Regolamento approvato con Dpr 1668/1956, e dei minori, previsto dall'articolo 8, della legge 977/1967. Sull'argomento erano già intervenuti la Corte costituzionale (sentenza 162/2004) ed il Consiglio di Stato (parere del 9 novembre 2005), a seguito delle iniziative legislative assunte da alcune Regioni, per prima la Lombardia (legge regionale 12/2003), le quali in materia di semplificazione delle procedure relative alle autorizzazioni, certificazioni ed idoneità sanitarie, avevano previsto che le Asl non avrebbero più rilasciato alcuni certificati sanitari quali, ad esempio, di idoneità fisica per l'assunzione di minori, penalmente sanzionato, o il certificato per l'abilitazione alla conduzione di generatori di vapore. La Consulta nel dare piena giustificazione alle leggi regionali interessate, contestate dall'Avvocatura generale, ha condiviso la tesi regionale secondo cui può essere esclusa la richiesta o il rilascio, da parte delle Asl di cinque certificazioni, tra cui quella dei minori disciplinata dall'articolo 8 della legge 977/1967, o quella relativa all'idoneità psicofisica per la frequenza di istituti professionali o corsi di formazione professionale, ovvero all'idoneità fisica per l'assunzione del pubblico impiego. Il rinvio fatto dalla Corte al decreto 626/1994 (ora Testo unico 81/2008) ha fatto ritenere l'esclusione dall'obbligo della visita medica dei minori apprendisti e non (rientranti nell'attuale definizione di lavoratore in base all'articolo 2, comma 1, lettera a) del Testo unico), che non siano esposti a rischi professionali. Se invece dovesse sussistere l'obbligo della visita medica, essa dovrà essere effettuata dal medico competente (combinando così l'articolo 8, comma 8 della legge 977/1967 con l'attuale articolo 41 del Testo unico). Da notare che la sentenza della Corte costituzionale non ha fatto alcun rinvio circa l'autorità sanitaria od altri soggetti che, al posto della Asl, possano effettuare e certificare l'idoneità sanitaria del minore, apprendisti, ed altri soggetti, non adibiti ad attività per cui in base alle attuali regole sussista l'obbligo della visita medica preventiva e periodica. Ha ora posto rimedio, al vuoto legislativo, l'articolo 42 del Dl 69/2013 che ha abrogato, tra l'altro, l'articolo 8, della legge, 977/1967 (minori), l'articolo 9, del Dpr 1956 (apprendisti), l'articolo 27, comma primo, n. 4, del Rd n147/1927 (per il conseguimento patente per l'impiego di gas tossici), l'articolo 2, primo comma, n. 4, del Dpr 3/1957 (idoneità fisica per l'assunzione nel pubblico impiego). Ciò comporta che dal 22 giugno scorso sono il superate le disposizioni- tampone del ministero del Lavoro emanate con lettera circolare (prot. 7144/2006) e lettera interpello (prot. 1866/2006) e il parere del Consiglio di Stato del 9 novembre 2005. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 7 lug. 13 I RISPARMI POSSIBILI CON LA SANITÀ «ELETTRONICA» Portando a regime la sanità elettronica si potrebbero ottenere «7 miliardi di euro di risparmi diretti, che arrivano a 14 miliardi considerando anche quelli indiretti». Lo ha riferito il ministro della Salute Beatrice Lorenzin in audizione in commissione sanità del Senato, spiegando che «le cifre ricavate poi si possono reinvestire in sanità». Secondo gli auspici del ministro, la dirigenza del ministero dovrebbe lavorare insieme alla nuova Agenzia digitale per raggiungere nel tempo più rapido possibile il risultato, tenendo conto che, per legge, c'è tempo fino al 31 dicembre 2014 per implementare l'attuazione delle norme sul «fascicolo elettronico». Sarà necessario mettere in rete tutto il sistema, non solo informatizzando i dati, ma anche facendo parlare tutti con lo stesso linguaggio informatico, perché oggi ci sono problemi anche tra Asl e Asl, e spesso anche all'interno degli ospedali tra i diversi reparti. Se tutti parleranno lo stesso linguaggio si potrà avere non solo un conteggio preciso dei costi ma anche del profilo sanitario delle cure e dell'appropriatezza delle prescrizioni. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 5 lug. 13 OPPI FINISCE SOTTO INDAGINE Giorgio Oppi, 73 anni, leader dell'Udc sarda, per anni assessore regionale alla Sanità, è indagato per truffa aggravata e falso ideologico dalla Procura di Cagliari. Il pm Giangiacomo Pilia gli contesta di essersi fatto rimborsare dalla Regione, all'epoca in cui era assessore, un viaggio effettuato per partecipare a un convegno del suo partito e non per fini istituzionali. Nei giorni scorsi Oppi ha ricevuto un invito a comparire, ma, d'accordo col suo avvocato Massimiliano Ravenna, ha preferito non presentarsi in attesa di conoscere tutti gli atti d'accusa. La vicenda risale al 2011, anno in cui l'esponente politico era assessore regionale all'Ambiente. Il 7 novembre di quell'anno, stando a quanto accertato dalla Finanza, Oppi aveva presentato alla Regione un giustificativo di spesa per complessivi 1.972 euro, dei quali 1797 per il noleggio di un'auto e 175 per il biglietto aereo. Nella richiesta di rimborso c'era scritto che le spese erano relative a una sua trasferta a Roma nei giorni 9 e 10 settembre per fini istituzionali, cioè legati alla sua attività di assessore. Invece, secondo la Procura, in quelle date Oppi si era recato non nella capitale, bensì a Chianciano Terme dove si svolgeva un convegno dell'Udc. E con l'auto presa a noleggio si era pure fermato in un ristorante a Orvieto. «In tutti i miei viaggi istituzionali - spiega Oppi - non ho mai usufruito di rimborsi né per auto, né per ristoranti né per hotel, ma ho sempre pagato tutto di tasca mia. In questa occasione specifica gli uffici e non io hanno provveduto a chiedere l'auto per andare a Chianciano dove mi sono recato in quanto assessore, quindi per fini istituzionali. Presto andrò dal magistrato e spiegherò tutto, di certo non esiste che io abbia detto una cosa per un'altra». ( m. le. ) _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 1 lug. 13 PADERI: «SANITÀ, NON SI PERDA TEMPO» Paderi (Cisl) attacca la Giunta. De Francisci: solo lui ignora i risultati «Anziché provocare la Cisl, l'assessore alla Sanità convochi il tavolo sul riordino e la razionalizzazione della Sanità, come hanno fatto tutte le Regioni tranne la Sardegna». Prosegue lo scontro Cisl-Regione sui paventati tagli alla Sanità sarda. La Funzione pubblica del sindacato di Bonanni, con il segretario Davide Paderi, sostiene di aver «chiesto da tempo un confronto» sulla riorganizzazione e «sul contenimento dei costi ma, nel 2013 non c'è stato alcun incontro» mentre, sulla razionalizzazione della rete ospedaliera «c'è stato un passaggio a ottobre 2012, ma successivo alle decisioni». Non basta: «Attendiamo da tempo», prosegue Paderi, «la convocazione sulla vertenza Aias, che ha prodotto finora 130 licenziamenti. E la ripresa del tavolo sulla Sanità privata». Per la Cisl, «quando la politica risponde solo attaccando chi propone, i problemi rimangono tutti sul tavolo». E ancora: «Tutti gli assessori regionali alla Sanità in Italia hanno favorito, in questa fase delicata e complessa, il tavolo permanente con il sindacato, per rivedere il sistema nel rispetto dei ruoli ma con partecipazione e condivisione. E in Sardegna? Nulla di tutto questo. I fatti dimostrano chiaramente la fondatezza del giudizio, assai negativo, che impone un forte cambio di rotta nelle relazioni sindacali. L'urgenza del confronto è nelle cose», conclude Paderi: «La Giunta deve agire e non perdere altro tempo». Ma proprio l'esecutivo, su proposta dell'assessore Simona De Francisci, ha approvato nei giorni scorsi una delibera che prevede sei azioni per contenere la spesa «senza limitare i servizi al cittadino con la collaborazione dell'agenzia nazionale della Salute che sostiene tutte le Regioni nella riorganizzazione». De Francisci che, un mese fa, ha chiesto ai direttori generali delle Asl «di favorire la mobilità interna, assumendo nuovo personale solo in casi eccezionali e motivati, per garantire i livelli di assistenza e in previsione del piano triennale delle assunzioni». Ancora l'assessore: «La Corte dei Conti si è accorta dell'inversione di tendenza, l'unico a non essersene accorto è Davide Paderi. Mi limito a citare i risultati più evidenti, con le azioni sul contenimento della spesa farmaceutica, attraverso la centralizzazione delle gare, l'armadietto informatizzato di reparto e l'appropriatezza prescrittiva. Quindi», conclude De Francisci, «il fascicolo sanitario elettronico e il potenziamento del sistema sanitario integrato». Lorenzo Piras _____________________________________________________________ Corriere della Sera 3 lug. 13 DENUNCIA DI NATURE «LE FOTO DI STAMINA COPIATE DAI RUSSI» Vannoni: è il solito attacco politico La notizia è approdata sul sito online della rivista inglese Nature (una delle più accreditate al mondo) più o meno alle sette di ieri sera e dice: la sperimentazione con cellule staminali, secondo il metodo stamina di Davide Vannoni, accolta dalle autorità italiane (l'Aifa, l'agenzia dei farmaci italiana e il ministero della Salute) per la sperimentazione, si basa su dati falsi. O più precisamente: secondo l'inchiesta della rivista, la documentazione, presentata per la richiesta di brevetto per il metodo stamina, si avvale di documenti «scippati» ad altri ricercatori. Russi e ucraini, in questo caso. Un passo indietro: Davide Vannoni, uno psicologo che si è trasformato (dice Nature) in un imprenditore sanitario, propone da tempo una terapia che si basa sulla somministrazione di cellule staminali e che dovrebbe curare un'infinità di malattie, comprese certe patologie rare che colpiscono soprattutto i bambini. L'idea è quella di prelevare cellule staminali del midollo osseo dei pazienti, di moltiplicarle in laboratorio e di iniettarle nei malati in modo da curare una serie di malattie che vanno dal Parkinson, all'Alzheimer e a certe malattie rare dei bambini. Il caso di Sofia è uno di quelli che ha scosso l'opinione pubblica italiana: la bambina di tre anni, affetta da displasia metacromatica (una malattia che provoca la degenerazione del sistema nervoso, con paralisi e cecità) è stata presa come esempio, in alcune trasmissioni televisive, per promuovere questa tecnica e ha spinto i magistrati a imporre la cura in molti casi analoghi. Così all'ospedale di Trieste prima e di Brescia poi (dove opera un medico legato a Vannoni) molti pazienti sono stati trattati con questo protocollo. Nonostante la Procura di Torino, guidata da Raffaele Guariniello avesse in più occasioni sospeso le cure per mancanza di documentazione scientifica di validità. Adesso le autorità italiane hanno accettato di sperimentare il metodo, ma a costi altissimi: ben tre milioni di euro per provare un trattamento che, fino a oggi, non ha trovato alcun riscontro scientifico ( e la rivista Nature, espressione della comunità medica internazionale non si capacita). Ed ecco un'altra notizia: il protocollo della sperimentazione, che doveva essere presentato all'inizio di luglio, non c'è. Davide Vannoni ha chiesto alle autorità italiane un rinvio e probabilmente se ne parlerà dopo l'estate. Intanto la rivista Nature ha scoperto altre cose. La richiesta di brevetto per questo metodo si basa su dati non originali della stamina Foundation (l'organizzazione di Vannoni), ma trovati da altri ricercatori. Insomma, la prestigiosa rivista scientifica ha evidenziato che la richiesta di brevetto per la metodica stamina si basa sulla dimostrazione che alcune cellule nervose possono derivare da cellule del midollo osseo. Ma questa «prova» è stata «copiata» da una ricerca scientifica, presentata nel 2003, da un gruppo composto da ricercatori russi e ucraini. Elena Schegelskaya, una biologa molecolare della Kharkov National Medical University e coautrice della ricerca pubblicata nel 2003 ha dichiarato a Nature che le immagini riprese nella domanda di brevetto della stamina erano originate dal loro lavoro. Vannoni replica: «È il solito articolo politico e non scopre nessun segreto. Noi abbiamo sempre lavorato e condiviso materiale con i russi e gli ucraini, che ci hanno aiutato a perfezionare la metodica. Non c'è niente di trafugato e ho già detto in varie occasioni che il nucleo della metodica deriva dagli studi di due scienziati russi. Peraltro i russi hanno insegnato e lavorato con noi in Italia». Una polemica che si trascinerà nei prossimi tempi e che farà ancora discutere. Adriana Bazzi abazzi@corriere.it _____________________________________________________________ Il Foglio 4 lug. 13 LE LEZIONCINE DI NATURE SU STAMINA La situazione creata dai giudici e la politica (stavolta) incolpevole Che il metodo Stamina di Davide Van- noni (terapie a base di cellule staminali modificate) sia screditato nella comunità scientifica internazionale è un fatto al quale la rivista Nature ha dato solo nuovo rilievo. Ma quello che Nature non dice è che governo e Parlamento hanno autorizzato a maggio una sperimentazione a tempo del metodo - nel rispetto di protocolli riconosciuti dagli organi di controllo europei - perché costretti, nei fatti, da una serie di pronunciamenti della magistratura italiana. Diversi giudici, sollecitati dai pazienti e dalle loro famiglie (si parla di circa duecento ricorsi), hanno imposto con ordinanze la prosecuzione delle cure secondo il metodo Stamina, nonostante molti scienziati lo ritengano insicuro e inefficace. E' logico che la comunità scientifica insorga contro la concessione di deroghe che, a suo giudizio, non garantirebbero abbastanza i pazienti o li illuderebbero. Assai meno chiaro è perché quella stessa comunità se la prenda con la politica italiana, obbligata dall'ennesima attività di supplenza della magistratura a cercare di mettere un punto fermo attraverso una sperimentazione autorizzata secondo protocolli verificabili. Stamina non può pretendere che valgano per il suo metodo regole ad hoc, diverse da quelle europee, ma alla politica non è consentito ignorare né le ordinanze né le norme sulla buona sperimentazione. Può invece agire, come ha fatto, per evitare che la vicenda rimanga appesa ai singoli provvedimenti dei tribunali, non di rado contraddittori. Nature sbaglia obiettivo e premesse: l'Italia non è affatto terra di deregulation nella sperimentazione clinica. Ha altri problemi. _____________________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 5 lug. 13 STAMINA, IL METODO VANNONI PER CONVINCERE IL PARLAMENTO DUE MESI DI PRESSIONI SUGLI ELETTI. "NON UCCIDETE I NOSTRI FIGLI" di Mariagrazia Gerina Non è che il dubbio che si possa trattare di una "truffa" non abbia sfiorato il parlamento. Basta rileggere l'accesa seduta in cui la Commissione Affari sociali della Camera lo scorso 14 maggio chiamò lo stesso "padre" di Stamina, Davide Van- noni, a spiegare esattamente in cosa consista la terapia sta- minale in grado di curare - a suo dire - malattie gravissime come la atrofia muscolare spinale. Vannoni non ha ancora finito di dire "stiamo ottenendo risultati...", che parte il fuoco di fila. "Ma come si può parlare di sperimentazione quando non conosciamo nemmeno il metodo che si utilizza?", sbotta Calabrò, Pdl. "E come mai non è stata condotta prima una seria e rigorosa sperimentazione?", obietta scettica Paola Binetti, Sc. "Almeno c'è un brevetto?", si spazientisce Donata Lenzi, del Pd. Mentre il pentastellato Massimo Enrico Baroni, da psicologo, aggiunge: "Mi sono interessato a una sua pubblicazione Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva... Volevo sapere se abbia usato queste tecniche di tipo persuasivo con i pazienti". INUTILE DIRE che le risposte di Vannoni non hanno dissipato i dubbi. Decisamente aggravati, anzi, da quanto scienziati ed esperti hanno riferito agli stessi parlamentari sempre in sede di audizione. Il più esplicto Luca Pani, direttore generale dell'Agenzia per il farmaco, individuato da Van- noni come suo acerrimo nemico, che ha spiegato come per ora le terapie come quella di Stamina rappresentino solo "speranze" se non "truffe". Peccato che questo momento verità sia arrivato molto tardi nel dibattito parlamentare. E peccato che il Senato il 10 aprile avesse già approvato un primo provvedimento di conversione in legge del decreto Balduzzi, derubricando la terapia Vannoni a "trapianto", da non sottoporre dunque ai protocolli di sperimentazione previsti per i farmaci. Decisione presa senza audizioni. Con quale criterio? "È dall'umanità che siamo partiti per orientare la nostra bussola", ha spiegato nell'aula del senato Cinzia Bonfrisco, del Pdl, una delle più sensibili al bombing Van- noni. Prima e dopo il dibattito. Tanto che, a sperimentazione approvata, quando il guru di Stamina davanti alla morte di Sofia, che non ha fatto in tempo a riprendere le cure, ha chiosato "È la prima vittima del decreto sulle staminali", lei gli ha fatto eco nell'aula del senato: "La legge non ha saputo garantire il diritto alla vita". Mentre l'attività parlamentare tardava a partire, Vannoni ha preparato bene fin dall'inizio la sua battaglia. L'ordine l'ha fatto partire il 28 marzo dal suo facebook: "Cari amici, ecco i componenti della Commissione Affari sociali e le relative mail. Scrivetegli il più possibile per favore". Altro che il bombing pro Rodotà. Sono email emotivamente insostenibili quelle che hanno intasato le caselle dei parlamentari. Del tipo: "Avrete sulla coscienza la vita dei nostri figli che saranno lasciati morire senza una speranza". E, a giudicare da molti interventi in aula che facevano a gara a citare le storie più drammatica, almeno in parte, hanno raggiunto lo scopo. Il resto però lo hanno fatto "le 200 ordinanze emesse dai giudici" perché le cure interrotte per disposizione dell'Aifa potessero riprendere. "Aumentate in modo vertiginoso quando il governo Monti ha emanato il decreto", fa notare il presidente dell'Aifa durate l'audizione, con una chiosa significativa. "Eh sì è un problema serio", ripete Nanni Costa, responsabile del Centro nazionale Trapianti. Di fronte al quale "una sperimentazione ampia che consenta di verificare cosa sta oggettivamente succedendo è la soluzione possibile". È quello alla fine il compromesso "correttivo" raggiunto alla Camera con l'appoggio del M5S. Un provvedimento votato quasi all'unanimità, tranne la Lega che ha abbandonato l'aula. La terapia Vannoni viene riportata nella categoria dei farmaci e la sperimentazione la condurranno l'"o diata" Agenzia de farmaco insieme al Centro nazionale trapianti. "Se mai ci sarà la sperimentazione", chiosano gli scettici. "O la fa o questa storia finisce qui", assicura la Pd Donata Lenzi. Davvero? _____________________________________________________________ Corriere della Sera 4 lug. 13 IL MINISTRO: VANNONI MOSTRI LE CARTE «Timori dopo Nature». Il padre di Stamina: chiedo garanzie È braccio di ferro fra il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e Davide Vannoni, il presidente di Stamina Foundation, dopo le rivelazioni della rivista Nature che parla di plagio nella documentazione, presentata dalla Stamina, per il brevetto della sua metodica di trapianto di cellule staminali mesenchimali. Dice il ministro: «In questa vicenda ci sono luci e ombre. La denuncia di Nature desta grande preoccupazione. A questo punto, però, Vannoni ha una strada ed è quella tracciata dal Parlamento: deve consegnare il protocollo senza imporre trattative e lasciare che la commissione, composta da studiosi con profili professionali di altissimo valore scientifico, facciano le loro valutazioni». Replica Vannoni su Facebook, lanciando un ultimatum al ministro e chiedendo il rispetto di cinque condizioni chiave per la sperimentazione del metodo Stamina: «Se il ministro vuole dare seguito a quanto deciso dalle Camere dovrà fornire a Stamina garanzie maggiori di obiettività della sperimentazione. Se invece ritiene di dare seguito alle argomentazioni di Bianco & co (Paolo Bianco dell'Università La Sapienza di Roma e molti altri ricercatori sono sempre stati critici nei confronti del metodo, ndr) chiediamo che ne dia comunicazione immediata, in modo da non farci perdere più tempo». Ed elenca le sue condizioni: che la metodica non venga modificata, che la Stamina scelga le patologie da trattare, che venga individuato un solo laboratorio di produzione controllato da un biologo di Stamina, che vengano individuati al massimo due centri per la sperimentazione, che venga nominato un Cro, un organismo di controllo internazionale super partes che certifichi tutto. Non è d'accordo su questi negoziati fra ministero e Vannoni Paolo Bianco, uno dei massimi esperti di staminali, che afferma: «È urgente proteggere i pazienti dal rischio che nel Servizio sanitario nazionale vengano somministrati trattamenti che non possono essere in alcun modo considerate terapie». Molti ricercatori stanno adesso chiedendo di bloccare la sperimentazione. La Stem Cell Research Italy, che rappresenta oltre 200 scienziati e ricercatori italiani, ritiene che il metodo Stamina sia privo di qualsiasi valore scientifico e che la sua applicazione genererà nei pazienti e nei familiari false speranze che rimarranno tali. Per questo l'associazione sollecita il governo italiano e le autorità competenti a voler riconsiderare le loro decisioni su questa presunta terapia con cellule staminali e a attuare un'ampia consultazione con gli esperti. E Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri aggiunge: «La sperimentazione non è etica e non va fatta. Non dobbiamo sottoporre persone a trattamenti per i quali non ci sono evidenze di efficacia. Si studi, invece, il prodotto, si analizzino le sue caratteristiche in laboratorio e si sperimentino nell'uomo solo quando c'è una forte probabilità che ci sia un beneficio». Oggi la medicina rigenerativa, quella seria, è ancora lontana dalle applicazioni pratiche. Le cellule staminali per ora sono studiate in laboratorio o sugli animali. E per quanto riguarda le sperimentazioni sui pazienti, solo alcune patologie sono state finora prese in considerazione e fra queste ci sono la distrofia muscolare, la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica. Nella pratica clinica sono attualmente curabili con le staminali solo tre condizioni e sono le leucemie, le ustioni della cornea e certe patologie della pelle. Prima che queste terapie possano davvero diventare di routine bisogna ancora fare tanta ricerca. A. Bz. abazzi@corriere.it _____________________________________________________________ Corriere della Sera 3 lug. 13 CHE COSA NON FUNZIONA IN QUELLA CURA di GIUSEPPE REMUZZI Dove eravamo rimasti? A pochi punti fermi: 1) per la malattia di Sofia — i medici la chiamano leucodistrofia metacromatica — non ci sono cure e nulla di quello che è stato fatto finora ha mai dato nessun risultato; 2) il trapianto di midollo qualche volta aiuta ma solo se lo si fa nelle primissime fasi della malattia; 3) sulle cellule staminali mesenchimali ci sono diversi studi pubblicati ma nessuno è mai stato capace di dimostrare che questa cura portasse qualche vantaggio agli ammalati; 4) Luigi Naldini sta provando a correggere il difetto del gene malato; qualcosa si vede, vale la pena di andare avanti. E il metodo Stamina? Non c'è nulla di nuovo in quello che propongono di fare e quel poco che si sa dimostra che questo metodo potrebbe persino essere pericoloso. Per differenziare le cellule si impiega l'acido retinoico, cosa che si è sempre fatta, ma quelli di Stamina utilizzano concentrazioni e tempi di incubazione incompatibili con il benessere delle cellule. Dicono che la novità sta nel fatto che l'acido retinoico è sciolto in etanolo ma questo lo si fa dagli anni 90 e ci sono persino delle preparazioni commerciali. Quelli che hanno analizzato i preparati di Stamina per conto dell'Istituto Superiore di Sanità ci hanno trovato ben poche cellule rispetto a quelle che si dovrebbero usare per curare le malattie e hanno visto che quelle poche perdono attività nel giro di poche ore. E poi ci sono contaminanti ambientali (sporcizia insomma) e persino sangue in quelle preparazioni e il sangue trasmette infezioni. Ma i giudici vanno avanti, impongono all'Ospedale di Brescia di trattare altri ammalati con malattie neurologiche anche diverse perché gli hanno fatto credere che col metodo Stamina si cura di tutto, dal Parkinson alla malattia del motoneurone, al coma. A questo punto il Parlamento decide di autorizzare una sperimentazione purché le cellule siano preparate con le regole della scienza e in laboratori autorizzati. Lo studio durerà 18 mesi e costerà allo Stato, cioè a tutti noi, 3 milioni di Euro. È stata una decisione giusta? Io penso di sì. Di fronte alla pressione dell'opinione pubblica, al desiderio degli ammalati di essere curati, ai giudici che ti impongono di farlo, il Parlamento non aveva scelta. Imporre a Stamina le regole della scienza e farlo in laboratori che rispettino quelle che ormai tutti chiamano buone pratiche di laboratorio era un modo per proteggere gli ammalati. Stamina naturalmente protesta. Fanno riferimento a un brevetto depositato negli Stati Uniti e poi all'autorizzazione dell'Aifa. Le cose non stanno proprio così. Il brevetto è stato depositato ma non è mai stato approvato e l'Aifa non ha mai rilasciata una autorizzazione formale. Ha solo preso atto di un'autocertificazione dell'Ospedale di Brescia: poche righe scritte male e che forzano i termini della normativa. Nature scopre tutto. Il metodo non c'è, ci sono invece una serie di imbrogli, secondo la rivista scientifica. Le fotografie allegate alla richiesta di brevetto non sono originali e non sono nemmeno di Stamina. Le hanno prese da due lavori pubblicati da ricercatori russi, le hanno copiate insomma, proprio come fanno a scuola i bambini poco studiosi. C'è lo zampino di tre grandi studiosi nell'aver scoperto questa truffa: Paolo Bianco, dell'Università di Roma, Michele De Luca, che lavora da anni per riparare le cornee con le cellule, e Elena Cattaneo dell'Università di Milano, che studia le cellule per curare certe malattie neurologiche rare e gravissime. Loro hanno lavorato giorno e notte alla ricerca della verità e per fare in modo che chi ha la responsabilità della nostra salute lo possa fare partendo dai fatti. Tutti noi, e quelli si occupano di medicina e ricerca con rigore e onestà, e ancora di più gli ammalati, dovremmo essere grati per sempre a questi tre dottori. Il commento più bello a questa povera storia l'ha fatto in Parlamento Giulia Di Vita, del Movimento 5 Stelle: «Da giovane ingenua, onesta, condizionabile, faccio un ragionamento molto semplice e terra terra, se io fossi uno scienziato che ha scoperto una cura e se avessi davvero come unico scopo salvare le vite di bambini e adulti senza speranza di cura la renderei subito pubblica, documenterei per filo e per segno tutto quello che faccio a chi di competenza in modo che si possa sviluppare e diffondere il più presto possibile anche al di fuori del mio Paese e cambiare davvero la storia. Ma forse sono davvero troppo ingenua». _____________________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 5 lug. 13 LA LEGGENDA DEI SANTI GUARITORI di Marco Filoni In principio fu la compassione. Cura compassionevole, si dice del Metodo Stamina. Bellissimo: la speranza, la lotta per la vita, lo slancio ad aggrapparsi a qualsiasi spiraglio di miglioramento o di salvezza. È umano, troppo umano. Dolcezza d'animo, un caldo senso di pietà: sentimenti nobili ma, come affermava già Kant nel Settecento, l'atto morale della scienza deve essere indipendente e irriducibile al sentimento. La legge morale in me, e sia, ma in fatto di cure mediche (come di cieli stellati) esistono regole e metodologie da rispettare. Che sono quelle della comunità scientifica. Eppure la speranza è più forte di molta scienza e i progressi medici sono sempre stati affiancati da cure alternative, medicine miracolose e salvifici medici (non sempre tali). Il catalogo è ampio. Erano gli anni Cinquanta quando Liborio Bonifacio, veterinario ad Agropoli, pensò di mettere a frutto la sua convinzione che le capre non si ammalassero di tumore. Così creò il famigerato "siero di Bonifacio", una cura che trasmettesse COMPASSIONE. Il dolore e la speranza spingono a solcare qualsiasi strada, ma la scienza deve avere regole e metodologie, precise e riconosciute l'immunità dall'animale all'uomo. In realtà però non era un siero, bensì un estratto: precisamente di feci e urina di capra, annacquate in un po' di acqua distillata. La notizia corse veloce e in poco tempo il suo studio iniziò a esser affollato, giorno e notte, di ammalati all'ultimo stadio. A onor del vero, non negava il siero a nessuno e nemmeno si faceva pagare, stando almeno a quanto si scriveva allora. Tanto il clamore che nel 1970 la cura fu sperimentata: durò soltanto 16 giorni, e alla fine l'allora ministro della Sanità, Camillo Ripamonti, dichiarò il siero del tutto inefficace e, anzi, tossico e contaminato da batteri (del resto cosa si sperava di trovare nelle feci di capra?). C'è poi la dieta Budwig, dal nome della farmacista tedesca che l'ha pensata. Prevenire e curare i tumori? Semplice: basta una dieta a base di olio di semi di lino (però spremuto a freddo e non raffinato) e formaggio in fiocchi. Poi bere succhi di verdura (biologica), in particolare carota, oppure bucce di uva nera. Va da sé: niente carne, nessun cibo contenente conservanti, mai e poi mai zucchero. Vabbè, che un'alimentazione sana sia auspicabile e salutare, è noto. Ma non è semplice seguire pedissequamente tali prescrizioni. Di dieta parlava anche David Servan-Schreiber, psichiatra francese soprannominato il "profeta del benessere". Nel 1992, a soli 31 anni, scoprì un cancro al cervello. Dopo le numerose e canoniche cure (chirurgia, chemioterapia e radioterapia) guarì, ma ebbe negli anni recidive e così propose, dopo averli sperimentati su di sé, alcuni metodi di supporto alla guarigione dal cancro legati all'attività fisica costante, una dieta povera di carboidrati bianchi (zuccheri e farine) e di proteine: affidò a un libro di successo la sua "ricetta". Comunque nel 1992 gli avevano dato pochi mesi di vita, in realtà morì 19 anni dopo (vissuti in buone condizioni). Un altro fortunato rimedio è l'"escoazul" (dalla contrazione di escorpion azul, in spagnolo scorpione azzurro) che viene utilizzato a Cuba come antinfiammatorio nella medicina tradizionale. Si tratta di una dose diluita del veleno dello scorpione azzurro, e senza alcuna prova scientifica negli ultimi anni si è diffusa la credenza che abbia un benefico effetto antitumorale. A Cuba hanno pure iniziato una sperimentazione, che però non ha prodotto alcun risultato. L'elenco è ancora lungo: c'è la "Caisse Formula", ovvero una miscela di erbe usata per un decotto inventata da un'infermiera canadese, Rene Caisse, che l'avrebbe ereditata dal un nativo americano (conterebbe acetosa, scorza di olmo viscido — ma solo l'interno — radici di bardana e rabarbaro indiano: una prelibatezza!); poi abbiamo le teorie del medico tedesco Max Gerson che all'alimentazione sana aggiungeva preparati a base di fegato; fino all'ipotesi più fantasiosa dovuta a Tullio Simoncini, affidata addirittura in un libro col titolo eloquente: "Il cancro è un fungo". L'autore è stato radiato dall'Ordine dei Medici, condannato in via definitiva per frode e omicidio colposo, eppure in rete alcune sue teorie senza alcuna evidenza scientifica vengono discusse. E così via, dalla medicina "ortomolecolare" fino al Metodo Di Bella e oggi alla discussa terapia proposta da Sta- mina. Di certo alcuni di questi guaritori sono stati e sono tuttora mossi da umana compassione. Ma, va ricordato con Kant, la scienza ha altre regole. _____________________________________________________________ Il Sole24Ore 7 lug. 13 YOGURT MAGICO O GROSSA BUFALA? Sylvie Coyaud Dal 2010 Marco Ruggiero, professore di biologia molecolare all'Università di Firenze, reclutava su internet clienti sieropositivi per uno yogurt probiotico che descriveva come "putativamente contenente Gc-MAF", una glicoproteina che attiva alcune cellule del sistema immunitario. Costava fino 100 euro, ma uno a settimana per alcuni mesi bastava a curare l'Aids "senza alcun supporto farmacologico". I clienti sarebbero stati i primi a dimostrarlo in un esperimento improvvisato on line. Nel dicembre 2011 sull'Italian Journal of Anatomy and Embryology, una rivista dell'università di Firenze, il prof. Ruggiero firmava un articolo non suo. Già uscito su Medical Hypotheses nel 2009 era quello in cui Peter Duesberg e altri autori sostenevano – come al solito – che il "virus putativo dell'Aids" era innocuo perché in Sudafrica e in Uganda la popolazione stava aumentando. Dopo una peer-review affidata a revisori esterni, l'editore Elsevier lo aveva ritirato insieme a quello di Ruggiero, quattro collaboratori e uno studente che, dall'analisi linguistica di alcune frasi, intravedevano una negazione del nesso tra Hiv e Aids nei documenti del Ministero italiano della Sanità. Le volontarie dell'Hivforum che avevano già denunciato il commercio di yogurt all'Istituto Superiore di Sanità, alla Commissione Nazionale per l'Aids e varie commissioni parlamentari, senza risultato, ne informavano il Rettore Tesi che istituiva una commissione d'indagine. Questa non rilevava "elementi di responsabilità" da sanzionare, però il docente doveva rivedere il tenore del proprio insegnamento e gli argomenti che usava assegnare per le tesi di laurea. Doveva anche «astenersi dal pubblicare notizie inesatte che coinvolgevano l'Ateneo e ne ledevano l'immagine, com'era avvenuto in passato». Quanto all'esperimento dello yogurt, veniva segnalato all'Ordine dei medici. Da allora il prof. Ruggiero si limita a descrivere a voce le proprietà taumaturgiche della proteina in conferenze sponsorizzate da Immuno Biotech Ltd di cui diventerà direttore scientifico dal 1 novembre. L'azienda – con sede nella casa di Bruxelles e nella villa a Guernsey del titolare, una collaboratrice e nessun laboratorio – produce Gc-MAF da iniettare, da aggiungere al cibo o in un collutorio. La confezione da 600 euro per un ciclo di otto settimane viene prescritta come integratore alimentare alle persone in buona salute e come terapia a quelle affette da acne, Aids, autismo, diabete, fibromialgia, hepititus (?), herpes, linfoma di Hodgkin, morbo di Alzheimer, di Lyme e di Parkinson, obesità, osteoporosi, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, sindrome da fatica cronica e tumori. Immuno Biotech fa sapere da un anno che la proteina è ormai così efficace da «restaurare il sistema immunitario nel giro di tre settimane» anche se «nei prossimi mesi sarà in grado di spedire solo confezioni da 2.000 euro» equivalenti a una cura semestrale. Sul suo sito, alla pagina "Pubblicazione di esperimenti con pazienti", si trovano ricerche in vitro e sui topi, e resoconti di alcune remissioni del tumore al colon ottenute da un ricercatore giapponese di Philadelphia, ma con un "supporto farmacologico" e radioterapico che rende difficile distinguere l'effetto del Gc-MAF. La composizione della flora batterica influisce su certi tumori, lo yogurt probiotico o meno è raccomandato da tempo ai sieropositivi e quella proteina innesca davvero una risposta immunitaria, dice la letteratura scientifica, ma i suoi benefici clinici restano dimostrare. Nel frattempo Immuno Biotech ha lanciato una nuova iniziativa, per ora riservata alla Germania: "corsi residenziali di benessere" diretti dal prof. Ruggiero che da giugno insegna ai pazienti come debellare, per esempio, «il cancro all'ultimo stadio… con garanzia di successo poiché in caso di fallimento il prezzo del corso verrà rimborsato». Putativamente. _____________________________________________________________ Repubblica 7 lug. 13 CACCIA ALL'ULTIMO NEURONE UN CERVELLO DA 4 MILIARDI DI DOLLARI Il cervello è la frontiera che la conoscenza umana deve ancora abbattere. Ora Usa e Europa si sfidano anche su questo terreno. Ecco i progetti a confronto ELENA DUSI I luogo più complesso dell'universo? È racchiuso in poche decine di centimetri. Con più neuroni in testa che stelle in cielo, il cervello e una frontiera che ancora resiste all'esplorazione scientifica. Il muro non resterà in piedi per molto, sperano i ricercatori, pronti a partire per in viaggio al centro della mente umana, tappa estrema di un "conosci te stesso" per il quale a oggi non esistono che mappe sfocate. L'impresa è affidata a due squadre, una in Europa e una negli Stati Uniti, con centinaia di scienziati ciascuna. Quello che il capo della Casa Bianca ha definito «il grande progetto del ventunesimo secolo» ha finanziamenti e aspettative paragonabili al sequenziamento del genoma umano degli anni 90 (3,8 miliardi di dollari tra 1988 e 2001). Con un miliardo di dollari (da Bruxelles) e una cifra compresa fra due e tre miliardi (da Washington) i due team disegneranno in dieci anni la mappa dei 100 miliardi di neuroni di un centinaio di forme diverse che compongono l'architettura del nostro cervello. La carta dovrà contenere anche i 100 trilioni di connessioni che i neuroni intessono tra loro, in quella rete di abbracci a 360 gradi che le cellule stringono, formando le autostrade su cui viaggiano gli impulsi nervosi. Sono questi i flussi di elettricità, i messaggeri chimici e le informazioni che — se organizzati in modo coerente e sincronizzato—vengono chiamati pensieri. Il progetto europeo, rispetto a quello Usa, ambisce a fare un ulteriore scatto di reni. A trasferire cioè i dati sull'architettura e sulle regole di funzionamento del cervello umano in un computer. Un calcolatore così potente non è mai stato realizzato, ma fra dieci anni, ai ritmi di sviluppo attuale, la tecnologia informatica sarà forse riuscita a costruire una macchina da un trilione di operazioni al secondo. Fra le scommesse del Progetto Cervello Umano", questa non sarebbe nemmeno la più azzardata. «Una giungla impenetrabile in cui molti ricercatori si sono persi» descriveva il cervello nel 1923 Ramon y Cajal, uno dei primi scienziati a cimentarsi con il mistero dell'universo che portiamo sulle spalle. «Anche oggi, con gli strumenti ottici, riusciamo a osservare solo lo strato esterno, fino a un millimetro e mezzo di profondità» spiega Rafael Yuste, codirettore del Kavli Institute for Brain Science alla Columbia Universitydi NewYork. A rendere unico, inimitabile (e incomprensibile) l'organo del pensiero, secondo il neuroscienziato di Harvard Jeff Lichtman, è un aspetto quasi metafisico: «Il cervello non è solo il prodotto di un set di istruzioni genetiche, ma anche della nostra esperienza quotidiana. Ognuno dei nostri circuiti nervosi viene permanentemente modificato e personalizzato da ciò che viviamo giorno per giorno». Un bersaglio mobile, dunque, associato auna complessità incomparabilmente superiore agli altri tessuti del corpo (la sola retina è composta da cinquanta tipi di cellule, contro i cinque del fegato) e a una scoraggiante impossibilità di legare le malattie a difetti osservabili. «La lista delle malattie mentali incurabili è lunghissima» spiega Lichtman. «E non solo non abbiamo trattamenti. In molti casi non abbiamo nemmeno idea di quale sia il problema». Con quali strumenti gli scienziati partiranno alla scoperta del "continente oscuro" del corpo umano? «I mezzi tradizionali— spiega Yuste— ci permettono di registrare l'attività elettrica di un neurone alla volta. Ma ogni singola area cerebrale è composta da centinaia di neuroni. È come se cercassimo di seguire un film su uno schermo da un pixel. Abbiamo bisogno di inventare nuovi strumenti, sia ottici che elettronici. Dovranno venirci in aiuto nanoscienze, fisica, chimica e ingegneria. Solo così potremo allargare lo schemi() e guardare il film per intero». Bill Newsome, neuroscienziato di Stanford, spiega che «uno dei metodi più usati prevede l'uso di minuscoli elettrodi inseriti nel cervello e capaci di registrare i segnali inviati da un neurone al suo vicino. Con questi strumenti possiamo seguire fino a cento cellule con la risoluzione di un millisecondo. Ma inserire un elettrodo nel cervello ha dei costi, e può causare reazioni immunitarie». Negli uomini questi interventi vengono limitati ai casi gravi di epilessia che avrebbero bisogno comunque del chirurgo. «I metodi ottici—prosegue Newsome — sfruttano molecole fluorescenti che si "accendono" quando una cellula si attiva. Possiamo osservare in questo modo migliaia di neuroni contemporaneamente, ma solo in zone molto superficiali del cervello. La luce infatti penetra nel tessuto per poche centinaia di micrometri». Ma non di soli micrometri (millesimi di millimetro) è fatto lo studio del cervello. Tecniche più "datate", ma sempre molto usate come la risonanza magnetica, evidenziano quali aree si attivano mentre svolgiamo un certo compito. Sappiamo quali zone sono responsabili di vista, parola, locomozione, memoria e altre mille fantasiose attività. «Ma la risoluzione sia spaziale che temporale di questo strumento è davvero scarsa» nota Engert Florian, biologo cellulare di Harvard. Il "pixel" del nostro schermo in questo caso non ha più le dimensioni dei micrometri, ma dei centimetri. E a mancare è proprio la via di mezzo. E come se per studiare una foresta intricata potessimo solo osservarla da un aereo — cogliendo la macchia di colore—oppure studiarla dal terreno, con lo sguardo che può abbracciare pochi alberi insieme. Quel che manca nella cassetta degli attrezzi degli scienziati è uno strumento per osservare la "giungla dei neuroni" in modo dettagliato e complessivo allo stesso tempo. L'inadeguatezza dei mezzi non spaventa gli esploratori. Né fa breccia chi ricorda che la missione Apollo fu lanciata con ingegneria e tecnologie già in partenza sufficienti a sostenerne l'ambizione. A chili accusa di fare il passo più lungo della gamba, i pionieri del cervello citano l'esempio del Cern di Ginevra. L'acceleratore di particelle che ha svelato il bosone di Higgs e che in un anno accumula tanti dati da riempire una pila di cd alta 20 chilometri fu progettato negli anni 90, quando i computer funzionavano con i floppy disc. «Il Progetto Genoma Umano — ricorda George Church di Harvard, uno dei principali ideatori dell'impresa varata da Obama — sarà anche costato tanto. Ma ci ha permesso di fare passi avanti talmente grandi che oggi il costo del sequenziamento del Dna si è ridotto di un milione di volte. E poi già ora per tutti i loro progetti di neuro- scienze gli Usa spendono 5 miliardi di dollari l'anno». Quasi a rispondere agli scettici, intanto, negli ultimi mesi gli scienziati si sono presentati con metodi freschi per penetrare i misteri del cervello. Ricerche indipendenti, condotte in tutto il mondo: progressi ancora insufficienti a garantire il successo alle imprese americana ed europea, ma che dimostrano come il campo delle neuroscienze abbia inserito con decisione la marcia avanti. All'università di Dusseldorf e al Centro di ricerche tedesco di Julich, per esempio, hanno scannerizzato un cervello umano post mortem con la risoluzione di 20 micrometri. Il loro modello tridimensionale è 50 volte più preciso rispetto alla versione precedente. Qualche anno fa si è poi scoperto come tingere di 90 colori le diverse cellule del cervello di un topolino. Il metodo Brainbow consente di studiare la distribuzione dei vari tipi di neuroni. Poche settimane fa è stato annunciata la tecnica Clarity. Consiste nello sciogliere i lipidi lasciando intatta l'impalcatura dei neuro ni, rendendo il cervello "miracolosamente" trasparente e penetrabile dalla luce del microscopio. Al Politecnico di Losanna che è capofila del progetto europeo, intanto, quattro calcolatori grandi come distributori di merende già lavorano simulando il funzionamento di un milione di neuroni di topo. Secondo il padre dell'iniziativa, Henry Markram, realizzare con il silicio un modello del cervello umano permetterà di simulare il funzionamento dei farmaci e l'andamento delle malattie, accelerando i tempi della ricerca medica. L'argomento — che è poi il cuore dell'iniziativa di Bruxelles convince assai poco molti colleghi di Markram. Come diceva Nobel della fisica Philip Anderson per smentire le tesi del riduzionismo, «a ogni livello di complessità nuove proprietà emergono» ed «è impossibile dedurre il comportamento di sistemi complessi solo estrapolando i tratti degli elementi semplici». Il tentativo del nostro cervello di comprendere se stesso non rischia allora di farci somigliare al Barone di Munchausen, che voleva uscire dalla palude tirandosi su per il codino? «Ma no, non c'è nulla di soprannaturale nel cervello» replica Yuste. «Ci sono dei neuroni che trasmettono impulsi, e a volte lo fanno in modo scorretto. Capire come questo avvenga e trovare delle cure è un dovere nei confronti di milioni di pazienti». ___________________________________________________ Il Fatto Quotidiano 1 lug. 13 TIRARE SASSI, ABILITÀ: UNICA DEGLI UMANI Prendere un oggetto e tirarlo con forza. È qualcosa che abbiamo probabilmente fatto tutti, in un momento di rabbia o per un gesto atletico. Senza sapere che si tratta di un'abilità unica dell'essere umano, che potrebbe averne cambiato la storia evolutiva: ne è certo Neil Roach, ricercatore alla George Washington University. Studiando sia scimmie che uomini, in particolare giocatori di baseball, è riuscito a capire come abbiamo sviluppato questa capacità, e perché i nostri cugini scimpanzé non sono in grado di fare altrettanto. Secondo la ricerca, svolta in collaborazione con l'Università di Harvard e pubblicata su Nature, il segreto del lancio è tutto nella spalla, che funziona come una catapulta. Per preparare il colpo, infatti, si torce il busto da un lato, si tira indietro la clavicola e poi si lascia andare l'avambraccio. Così legamenti e i tendini si allungano come una banda elastica rilasciando l'energia accumulata, e il corpo ruota, seguendo il movimento della parte superiore del corpo. Questo è il gesto più veloce di cui l'uomo è capace: l'oggetto che viene lanciato può arrivare anche a 170 km/h. Quello lanciato da una scimmia invece supera appena i 30 km/h, proprio perché non può torcere la spalla alla nostra stessa maniera. Secondo quanto scoperto grazie allo studio di fossili e all'analisi biomeccanica dei movimenti dei lanciatori nel baseball, questa potenza di tiro è possibile solo grazie a cambiamenti nel corpo degli ominidi lungo il corso di milioni di anni: le spalle si sono abbassate ed estese e il loro movimento si è slegato da quello del resto del corpo, il petto si è allargato, l'omero ha ruotato. Alcuni di questi sono avvenuti molto presto nell'evoluzione, ma è solo dalla comparsa dell'Homo erectus, circa 2 milioni di anni fa, che si sono presentati tutti contemporaneamente, cambiando la nostra storia. Allo stesso periodo risalgono infatti anche i primi tentativi di caccia andati a buon fine. "La capacità di lanciare oggetti è una delle abilità che ci ha permesso di diventare carnivori, innescando altri importanti cambiamenti evolutivi", ha spiegato Daniel Lieberman di Harvard, co- autore della ricerca. "Se non fossimo stati capaci di tirare pesi non saremmo diventati quello che siamo oggi: forse il nostro cervello non si sarebbe ingrandito fino a diventare com'è, e le capacità cognitive e di linguaggio si sarebbero sviluppate diversamente". _____________________________________________________________ La Stampa 4 lug. 13 CON LA BIRRA IL CUORE STA BENE Bere birra migliora la condizione dei vasi sanguigni intorno al cuore, favorendo la flessibilità delle arterie. Lo studio LM&SDP Bere birra non solo è un piacere per molti ma, secondo un nuovo studio, fa anche bene al cuore, alle arterie e alla circolazione. Gli scienziati greci dell’Università di Harokopio hanno condotto uno studio, pubblicato sulla rivista Nutrition, in cui si è scoperto come bere birra sia sufficiente per migliorare la condizione dei vasi sanguigni intorno al cuore. Allo stesso modo, in poche ore, le arterie diventano più flessibili e migliora il flusso di sangue. Lo studio, condotto su 17 soggetti adulti, ha mostrato che i benefici derivavano soltanto dall’assunzione della birra classica: assumendo birra senz’alcol o vodka, per esempio, non si avevano gli stessi benefici. La quantità di birra sufficiente a ottenere questi benefici è di circa mezzo litro (una pinta inglese). Secondo gli autori dello studio, i vantaggi dal bere birra sarebbero offerti dalla combinazione di alcol e antiossidanti contenuti nella bevanda. A tutta birra, dunque!... Ma sempre con moderazione, dato che contiene comunque alcol. _____________________________________________________________ Le Scienze 4 lug. 13 IL PRIMO FEGATO FUNZIONALE DA CELLULE STAMINALI Un gruppo di ricercatori giapponesi è riuscito a generare un fegato da cellule staminali pluripotenti indotte umane. Questo organo è risultato del tutto vascolarizzato e in parte funzionale. Il risultato permette di compiere un importante passo in avanti nella sintesi di organi in laboratorio da poter poi usare per trapianti su pazienti (red) Un fegato completamente vascolarizzato e parzialmente funzionale può essere ottenuto da cellule staminali pluripotenti umane. Lo ha dimostrato una ricerca pubblicata sulla rivista “Nature” da Takanori Takebe del Dipartimento di medicina rigenerativa dell'Università di Yokohama, e colleghi di altri istituti di ricerca giapponesi. A rendere urgente la disponibilità di organi ottenuti in laboratorio è la cronica mancanza di donatori di organi quando il trapianto è l'unica speranza di salvare la vita del paziente. Per risolvere questo problema, una parte della comunità scientifica punta sulla generazione di un nuovo organo a partire da cellule staminali. In particolare, le staminali pluripotenti coltivate in vitro possono essere indirizzate a differenziarsi verso specifiche linee cellulari e quindi nei tessuti voluti dagli sperimentatori. Tuttavia, nonostante alcuni successi parziali in questa direzione, in passato la realizzazione di organi completamente vascolarizzati e pienamente funzionali si era dimostrata fuori portata. Takebe e colleghi hanno adottato un nuovo approccio, concentrandosi sulle prime fasi della generazione dell'organo. Durante le prime fasi dell'organogenesi del fegato, alcune specifiche cellule epatiche si differenziano dalla porzione anteriore dell'endoderma, il foglietto embrionale più interno, formando un abbozzo dell'organo costituito da una massa condensata di tessuto che viene presto vascolarizzata. Queste trasformazioni dipendono dall'orchestrazione di segnali, prima che abbia inizio la perfusione sanguigna, tra cellule epiteliali endodermiche, mesenchimali e progenitrici endoteliali. Questo modello di sviluppo ha spinto i ricercatori giapponesi a ipotizzare che la formazione tridimensionale dell'abbozzo di fegato si potesse riprodurre in vitro coltivando cellule epatiche derivate dall'endoderma con linee cellulari endoteliali e mesenchimali. I ricercatori giapponesi hanno usato cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) umane che hanno fatto differenziare in cellule dell'endoderma. Queste cellule sono poi state mescolate con altre cellule endoteliali primarie ottenute da vena ombelicale e cellule staminali mesenchimali. Questa miscela ha dimostrato di potersi auto-organizzare in vitro in una struttura primordiale del tutto simile al primo abbozzo di fegato che si osserva normalmente nello stadio embrionale dell'organismo, riproducendo le interazioni cellulari che hanno luogo normalmente durante lo sviluppo dell'organo. Questo fegato primordiale, del diametro di 4-5 millimetri è stato poi trapiantato in alcuni topi di laboratorio. Data le difficoltà di inserirlo nel tessuto epatico normale, sono stati testati con successo tre diversi siti, due nell'addome e uno nel cranio dei roditori. Una volta trapiantato, questo fegato primordiale è stato in grado di completare il proprio sviluppo, organizzando un sistema vascolare completo e di attivare alcune normali funzioni epatiche, come la produzione di specifiche proteine. _____________________________________________________________ L’Unione Sarda 2 lug. 13 TERAPIA DEL DOLORE PER VIVERE BENE Diagnosticati 3820 nuovi casi in Italia Sono 3820 le diagnosi su pazienti affetti da dolore cronico effettuate nell'ultimo anno in Italia dai 300 medici di medicina generale impegnati nel progetto formativo Teseo, promosso dalla società italiana di medicina generale, con l'obiettivo di fornire ai medici di famiglia adeguate conoscenze nell'ambito della terapia del dolore. La metà dei pazienti è risultata affetta da un dolore di tipo infiammatorio, un terzo da dolore di tipo meccanico strutturale e un quinto da dolore neuropatico. Sul totale dei pazienti tipizzati, 2725 sono stati inseriti dai medici di medicina generale nel registro delle cure “early palliative care”, con l'obiettivo di identificare precocemente i malati con bisogno di approccio palliativo. Di questi, solo il 28 per cento è malato oncologico. _____________________________________________________________ Corriere della Sera 7 lug. 13 TI GODI IL FRESCO SE TI FAI CONDIZIONARE (DAL BUON SENSO) Combattere l'afa è utile per la salute, soprattutto delle persone «fragili». Poche e facili regole evitano problemi Q uando il caldo arriva, la tentazione di accendere l'aria condizionata al massimo diventa per molti irresistibile: avere un impianto di climatizzazione in casa ormai non è più privilegio di pochissimi e le auto senza climatizzatore sembrano pezzi d'antiquariato. Sta di fatto che nelle settimane di grande afa chi ha l'aria condizionata ne fa un uso notevole, a volte eccessivo. Va detto che già nel 2009 una revisione degli studi sul tema pubblicata sul Canadian Medical Association Journal, da ricercatori dell'Università di Ottawa, ha sancito che l'impiego corretto dei condizionatori riduce dell'80% i rischi di salute dovuti al caldo nelle persone più fragili (bambini, anziani, soggetti con patologie croniche quali l'obesità, il diabete o patologie cardiache o respiratorie). Quindi è l'uso sconsiderato, non quello "regolare" che può avere ripercussioni negative. Diverse ricerche hanno sottolineato che i condizionatori, se usati in modo sbagliato, possono essere responsabili di problemi respiratori, primi fra tutti i raffreddori e i mal di gola estivi, cui si aggiungono mal di testa, irritazioni cutanee, congiuntiviti, allergie. Uno studio francese pubblicato sull'International Journal of Epidemiology, per esempio, ha mostrato come lavorare in un palazzo con aria condizionata centralizzata esponga due volte e mezzo di più a sintomi respiratori e affaticamento rispetto a quanto può accadere a chi passa le otto ore d'ufficio in ambienti con ventilazione naturale. Antonio Stefàno, pneumologo dell'Istituto Scientifico Fondazione Maugeri di Cassano Murge (Ba), spiega: «Il microclima più salutare per l'organismo è quello in cui si hanno 24-25 gradi e un'umidità del 65%. Un obiettivo raggiungibile con i condizionatori utilizzati con buon senso. Quando respiriamo aria fredda, invece, i vasi sanguigni che irrorano le mucose di naso e gola si stringono. La reazione può persistere anche se lo stimolo del freddo cessa, ma se si mantiene per diversi minuti il microcircolo periferico si riduce e quindi inizia a scarseggiare l'apporto di nutrienti e soprattutto di ossigeno alle mucose e al sistema linfatico locale, ovvero ai globuli bianchi che fanno da sentinella contro i germi. In pratica, il raffreddamento eccessivo provoca una depressione temporanea della risposta immunitaria: i microrganismi con cui conviviamo, e che questi "poliziotti" di prima linea tengono sotto controllo, possono prendere il sopravvento, mentre germi introdotti dall'esterno non vengono combattuti a dovere. Il risultato è una maggior probabilità di infezioni delle vie respiratorie». «Il freddo inoltre provoca la costrizione dei bronchi, per cui sono a rischio gli asmatici o le persone che soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva (bronchite cronica o enfisema, ndr) — aggiunge Walter Canonica, direttore della Clinica di malattie dell'apparato respiratorio e allergologia dell'Università di Genova —. A questi si aggiungono i soggetti più delicati, bambini e anziani: se una persona in età avanzata, magari ex fumatore, va al centro commerciale per non soccombere al caldo torrido, ma si prende una botta di freddo passando da 40 a 20 gradi, l'eventualità di una polmonite non è così remota. Oltre alla drastica differenza di temperatura, c'è da considerare la pulizia dei filtri, che lascia spesso a desiderare e che è invece fondamentale: se non vengono sostituiti o puliti regolarmente secondo le istruzioni della macchina, i filtri dell'aria condizionata possono raccogliere muffe, germi, acari della polvere o particelle di pelo di animale che poi si disperdono grazie alla ventilazione forzata. Respirando l'aria che esce dal condizionatore è come se ci facessimo un aerosol di tutta questa roba, con effetti pericolosi per chi è allergico e un rischio consistente di infezioni per tutti: la manutenzione degli apparecchi, in ambienti pubblici ma anche nella propria casa è indispensabile». Oltre al rischio di problemi respiratori, che spesso peraltro possono trascinarsi a lungo (una faringite che di norma sparirebbe in 5 o 6 giorni può protrarsi anche per due settimane in estate), l'aria condizionata sparata al massimo può seccare la pelle, favorendo irritazioni e la comparsa di congiuntiviti o blefariti, proprio grazie alla circolazione di germi associata alla maggior secchezza degli occhi; inoltre, il freddo può essere causa di mal di schiena o altri dolori muscolari. «Quando vengono esposti al freddo i muscoli si contraggono per difesa: succede ai paravertebrali della schiena e del collo o anche a quelli del viso ed è questo che provoca lombalgia, cervicale, mal di testa — spiega Vito Marsico, ortopedico fisiatra dell'Unità di recupero e riabilitazione funzionale della Fondazione Maugeri di Cassano Murge (Ba) —. Il rischio è maggiore in chi è predisposto perché ha già una condizione di "sofferenza", ad esempio un'artrosi lombare o un'ernia del disco: in questi casi anche esporsi ad aria troppo fredda per poco tempo può avere conseguenze spiacevoli. Di norma il dolore se ne va in un paio di giorni; se non passa si può usare un miorilassante per tre, quattro giorni e aggiungere poi un antidolorifico, ma quando il disturbo si protrae oltre una settimana è bene chiedere consiglio al medico. Per ridurre la probabilità di guai è buona regola vestire abiti in tessuti naturali, come cotone e lino, evitando gli acrilici che fanno sudare di più e poi "gelano" il sudore sulla pelle, accentuando lo spasmo muscolare; altrettanto importante è non dirigere mai sul corpo le bocchette dell'aria condizionata, in casa, in ufficio o in auto». L'aria che esce dai condizionatori, in effetti, ha una temperatura parecchio inferiore rispetto a quella impostata, perché deve raffreddare un ampio volume mescolandosi con aria calda: attenzione, quindi, all'orientamento delle bocchette, soprattutto nei luoghi dove si passa più tempo, come nella postazione di lavoro o in camera da letto. «Un altro problema è quello dell'escursione termica quando si passa da fuori a un ambiente chiuso climatizzato: — aggiunge Stefàno — se la differenza supera i 5-6 gradi si possono avere effetti negativi seri. Una buona idea è usare un termometro che indichi la differenza di temperatura con l'esterno, così da poter regolare il fresco necessario senza strafare. Altrettanto utile è utilizzare un igrometro per misurare l'umidità in casa, così da mantenere il livello più corretto evitando un clima troppo secco, irritante per le vie aeree tanto quanto il freddo eccessivo. E quando fuori è molto caldo, bisogna passare gradualmente dagli ambienti condizionati a quelli che non lo sono: una ventina di minuti prima di scendere dall'auto, ad esempio, è opportuno spegnere il condizionatore e aprire i finestrini per adeguarsi pian piano alla temperatura fuori». A volte però un passaggio "soft" sembra impossibile: come riuscirci, ad esempio, quando si passa dal parcheggio sotto il sole all'interno di un centro commerciale? «In questi casi, oltre proteggersi con una sciarpa leggera o con un golfino, è importante respirare con il naso, perché così si pre-riscalda l'aria, riducendone l'impatto sulle vie respiratorie» conclude Stefàno. _____________________________________________________________ Sanità News 5 lug. 13 Allenare il cervello a vedere meglio. Questo l'obiettivo di RevitalVision, il nuovo sistema americano di riabilitazione visiva domiciliare arrivato qualche mese fa anche nel nostro Paese. Per spiegare la novità, possiamo paragonare l'occhio a una macchina fotografica e il cervello a un processore. Secondo questa rappresentazione, RevitalVision si comporta come Photoshop, in grado di migliorare la qualità dell'immagine che appare sul monitor del nostro computer. Bastano 3 sedute a settimana, di 30-40 minuti, per un totale di 30-50 sessioni. La riabilitazione si svolge a casa: è sufficiente un computer e un collegamento internet; tecnici e personale medico supervisionano ogni singolo accesso di ogni singolo utilizzatore, a loro volta dal proprio pc. Il medico di riferimento di quel paziente effettuerà dei controlli periodici per monitorare i progressi e aggiornare il server. Tutto questo permette la realizzazione di un percorso vestito sulle reali abilità visive di quel particolare paziente. I risultati promettono di durare nel tempo, anche dopo la sospensione degli esercizi: l'immagine utilizzata per le stimolazioni è chiamata 'Gabor patch', dal suo inventore, Gabor appunto, già Premio Nobel per l'invenzione dell'ologramma. Ogni sessione di training mira a migliorare la performance delle connessioni neuronali responsabili della visione, affinché l'immagine ricevuta dalla retina venga elaborata in modo più efficace e chiaro dal cervello. Il trattamento mostra di migliorare la visione, qualitativamente e quantitativamente, nelle seguenti condizioni: miopia, presbiopia, post- chirurgia refrattiva, post-chirurgia della cataratta, ipovisione e ambliopia. _____________________________________________________________ Sanità News 5 lug. 13 IL CANCRO AL SENO E' LA PRIMA CAUSA DI MORTE ONCOLOGICA NELLE DONNE Il tumore al seno e' la prima causa di morte oncologica per le donne. In Italia sono circa 46 mila i nuovi casi annui di carcinoma mammario, secondo gli ultimi dati forniti dall'Associazione italiana registro tumori (Airtum). Oggi, pero', il cancro alla mammella fa meno paura se diagnosticato in tempo, ''quello che bisogna rafforzare e' quindi l'attivita' di screening''. Ad esserne convinto e' Luca Marino, medico e direttore sanitario dei centri diagnostici Marilab di Roma. ''Ogni donna sopra i 35 anni dovrebbe fare una mammografia - prosegue l'esperto - ma siccome esiste un numero discreto di tumori che insorgono prima dei 35 anni si comincia a dire che insieme alla visita ginecologica, e all'autopalpazione del seno, sarebbe bene effettuare anche un'ecografia. La mammografia interviene successivamente, e in questo ambito Marilab e' tra i pochi centri a Roma a svolgere questa indagine con un'alta professionalita'. L'esame, infatti, e' realizzato da specialisti che si occupano di senologia e che visitano il paziente prendendolo in carico globalmente. La mammografia - precisa Marino - diventa quindi uno strumento inserito all'interno di una visita specialista che consente al paziente di uscire dal nostro centro con una diagnosi. Se dalla visita poi risulti necessario effettuare ulteriori controlli attraverso la risonanza e l'ecografia, noi li eseguiamo nella stessa sede''. La Risonanza Magnetica Mammaria (RMM), invece, e' un esame di secondo livello. ''Una metodica messa a punto di recente - chiarisce il direttore sanitario - che ha preso piede laddove la mammografia non e' dirimente, perche' non ci da' le informazioni necessarie per realizzare una diagnosi definitiva. Insomma, la RMM interviene quando e' presente un problema legato alla composizione della ghiandola mammaria oppure con le donne che hanno le protesi''. Inoltre, ''conviene fare direttamente una RMM se in famiglia ci sia gia' un caso di tumore al seno, cosi' da evidenziare in maniera piu' precoce l'insorgenza del cancro rispetto a quanto, ad esempio, possa essere accaduto alla madre. Infine, un altra situazione da citare - precisa Marino - riguarda le pazienti gia' operate al seno, che eseguono i follow-up piu' con la risonanza che con la mammografia''. _____________________________________________________________ Sanità News 1 lug. 13 SECONDO UNO STUDIO ITALIANO LA SIGARETTA ELETTRONICA AIUTA A SMETTERE Lo studio Eclat dell'Universita' di Catania sugli effetti della sigaretta elettronica e pubblicato sulla rivista Plos One, ha investigato per 12 mesi la riduzione e la cessazione del consumo di sigarette di tabacco su 300 fumatori non intenzionati a smettere. L'8,7% ha abbandonato il tabacco e tra questi nel giro di un anno tre quarti hanno potuto fare a meno anche della e-cig. ''I dati di Eclat parlano chiaro. Le sigarette elettroniche possono aiutare a ridurre il consumo di sigarette tradizionali e a smettere di fumare senza effetti collaterali'' ha affermato Riccardo Polosa, direttore del CPCT, Centro di Prevenzione e Cura del Tabagismo dell'Universita' di Catania che ha condotto lo studio. L'indagine mostra che l'8,7% dei fumatori (non intenzionati a smettere) che utilizzavano la sigaretta elettronica smetteva di fumare, mentre il 10.3% riduceva il consumo di sigarette tradizionali di almeno il 50%. Inoltre, il 73,1% di chi ha smesso, non risultava utilizzare nemmeno la sigaretta elettronica a fine studio. ''Considerando che i partecipanti a ECLAT erano fumatori non intenzionati a smettere, e che il modello di sigaretta elettronica studiato era di vecchia generazione, i risultati ottenuti sono eccezionali - afferma Riccardo Polosa, coordinatore dello studio e ordinario di medicina interna all'Universita' di Catania -. Questi risultati vanno associati a un'importante riduzione del rischio e dei sintomi legati alla dipendenza tabagica''. Disturbi da astinenza da fumo di tabacco sono stati riportati raramente. Non sono stati registrati cambiamenti di peso sostanziali, variazioni del battito cardiaco o della pressione sanguigna sistolica e distolica. Non sono stati registrati eventi avversi gravi, come ad esempio depressione, comportamento anormale o qualunque evento richiedente una visita dal medico di famiglia o dallo specialista se non gia' prevista.