RASSEGNA STAMPA 06/10/2013 LE UNIVERSITÀ EUROPEE DEVONO INTENSIFICARE CORSI DI LAUREA COMUNI ANCHE CARROZZA TAGLIA I CORSI DI LAUREA DISOBBEDIRE ALL'UNIVERSITÀ AZIENDA ABILITAZIONI ANVUR, SIAMO UOMINI O MECCANISMI? LAUREE SCIENTIFICHE POCO ROSA IL CONCORSO DECISO DALLA COMMISSIONE FANTASMA: MI DIMETTO" IL SENSO DEI BARONI PER GLI AFFARI ESAMI VENDUTI, FAMIGLIE PIAZZATE CONCORSI: SÌ, TRUCCARE: LA TECNICA È SEMPLICE FABIO MUSSI: IL KAMASUTRA DEI REGOLAMENTI È UN FLOP CONCORSO TRUCCATO PER IL FIGLIO DEL PROF MESSINA IDONEI PER LE BORSE DI STUDIO: SONO QUASI UNO SU DUE ASTROFISICI CAGLIARITANI HANNO SCOPERTO LA STELLA “TRASFORMISTA” E-BOOK A SCUOLA, POLEMICA SUL RINVIO IL LATO OSCURO DELL'OPEN ACCESS PIÙ STUDI IN RETE, MENO SAI SINCRONIZZIAMO GLI OROLOGI (ATOMICI) O IL MONDO SI FERMERÀ ========================================================= SI ACCORCIANO LE LISTE D'ATTESA MA I TEMPI SPESSO SI ALLUNGANO AL TELEFONO VENTUN MILIONI DALLA REGIONE PER MIGLIORARE IL SERVIZIO AOUCA: UN LETTO TROPPO ALTO PER I SARDI.CONDANNATO SE CURARSI DIVENTA TROPPO CARO ANCHE CON IL SERVIZIO SANITARIO IL NUOVO RETTORE: "POCHI POSTI A MEDICINA" TEST MEDICINA: DA NORD A SUD MIGRANO IN 359 BONUS MATURITÀ, SÌ ALLE CAUSE RINUNCE E RIPESCAGGI ULTIMA SPERANZA PER I NON AMMESSI CEIS: PER MEDICI E INFERMIERI ORGANICI IN ESUBERO TRA GLI OSPEDALI ECCELLE LA TOSCANA MALE LA CAMPANIA L'ITALIA UNITA DELL'ICT FEDERICO II, CRONACA DI UN DECLINO GIUSTO MISURARE I RISULTATI MA CERTE CLASSIFICHE SONO INUTILI DAL CNR UNA RICERCA SULL’EREDITARIETA’ DEL SISTEMA IMMUNITARIO SE LE ANALISI DECIDONO ANCHE LE CURE LA MEDICINA PERSONALIZZATA IN ITALIA ANCORA NON È DECOLLATA PERICOLO DI RITORNO DEL MORBILLO A CAUSA DELLA DIFFIDENZA VERSO LE VACCINAZIONI AUMENTANO I TUMORI ALLA MAMMELLA E COLPISCONO PRIMA ANSIA DAL DENTISTA ========================================================= ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 06 Ott. ’13 LE UNIVERSITÀ EUROPEE DEVONO INTENSIFICARE CORSI DI LAUREA COMUNI Quel vuoto (in inglese) da colmare Luigi Berlinguer e Jo Ritzen L'Italia ha un grandioso passato. Non c'è motivo alcuno per non aspettarsi un futuro di piena occupazione o quasi per i cittadini italiani, modalità di produzione e consumo più sostenibili, così che anche i nostri figli e i nostri nipoti possano godere dei privilegi di una bella vita. Non c'è neppure motivo di escludere in futuro una minore disparità di reddito, così che tutti abbiano un giusto incentivo per impegnarsi a fondo nella società, sapendo che gli utili saranno divisi equamente. Non ci si deve disperare pensando che i bei tempi sono ormai finiti e che l'Italia - come la maggior parte dell'Europa - stia lentamente ma inesorabilmente perdendo il vantaggio della propria competitività nel mondo e debba di conseguenza rinunciare al proprio benessere perché non se lo può più permettere. Tuttavia, nulla avviene senza impegno. Ritrovare la piena occupazione e arrivare a una crescita sostenibile impone di cambiare e avrà un prezzo per coloro che non saranno disposti a farlo. Il cambiamento è sempre stato una componente essenziale del progresso umano. I cambiamenti ai quali assistiamo nell'arco della nostra vita sono sempre più rilevanti per ogni nuova generazione. I sottoscritti sono due uomini anziani che hanno visto nel corso delle loro vite più cambiamenti di quanti ne avessero visti i loro genitori, e sono convinti che i loro figli ne vedranno ancora più di loro. Il cambiamento più grande avvenuto nel corso della nostra vita è la globalizzazione, accompagnata dalla confluenza nel benessere, con modalità che non ha precedenti, sia di coloro che vivono nelle economie emergenti (la metà della popolazione terrestre), sia di coloro che vivono nel mondo ricco (circa un quinto della popolazione terrestre). Il cambiamento non deve essere una minaccia: è un'occasione per creare un mondo migliore. Ciò nonostante, l'Europa si ritrova in crisi. Il processo di unificazione in Europa di paesi più ricchi e più poveri si è arrestato. Nei vari paesi il welfare state sta subendo pesanti attacchi a causa delle restrizioni imposte ai bilanci dai bassi tassi della crescita economica e dai limiti dell'imposizione fiscale. Il welfare state della fine del XX secolo rischia di diventare insostenibile. I paesi europei, ciascuno per conto proprio e tutti insieme nell'Unione europea, devono riflettere su come emergere dalla crisi, raggiungendo un'occupazione quanto più piena possibile, maggiore sostenibilità e una struttura sociale dignitosa. La chiave per ottenere tutto questo è recuperare la competitività europea nel mondo. Quando comprano beni di consumo (o automobili), i nostri cittadini (e gli imprenditori) vogliono semplicemente trovare il migliore compromesso possibile tra prezzo e qualità. Sceglieranno i prodotti della qualità migliore che costano meno. Le università impegnate nella ricerca posseggono la chiave giusta per ripristinare la competitività. Sono il posto giusto nel quale studiano i futuri imprenditori dell'hi-tech che faranno la differenza nello sviluppo di nuove modalità di produzione più sostenibili e con un vantaggio competitivo. Le università impegnate nella ricerca sono i luoghi deputati a buona parte della ricerca che si fa nelle nostre società. Gli studenti hanno il diritto di essere ben preparati per la società del futuro, così da poter sviluppare al meglio i loro talenti. Entrambi i sottoscritti hanno fatto esperienza come ministri dell'Istruzione e della Ricerca. Il primo nei Paesi Bassi, dove ha incoraggiato le università a impartire un numero maggiore di corsi in lingua inglese già nel 1989 (!), l'altro in Italia. Quando io, Ritzen, ho suggerito di insegnare di più in lingua inglese ho scatenato forti reazioni: intendevo forse abbandonare la lingua olandese? Ad aiutarmi è stata la mia stessa esperienza. Ho studiato ingegneria fisica all'Università tecnologica di Delft e in pratica tutti i miei compagni di corso che si laurearono con me nel 1969 hanno trovato posti di lavoro in aziende internazionali, ma tutti in un primo tempo hanno incontrato difficoltà per l'incapacità di parlare quella lingua franca che oggi è l'inglese. Le università olandesi sono radicalmente cambiate e ormai impartiscono gli insegnamenti di molte delle materie dei corsi di laurea specialistica in inglese, contribuendo moltissimo alle possibilità degli studenti di essere assunti all'estero e nel loro paese una volta ultimato il master. Sempre più studenti stranieri accorrono a studiare nei Paesi Bassi (alcuni dei migliori qui sono di nazionalità italiana), perché l'ostacolo della lingua è superabile e oltretutto offre ulteriori competenze molto richieste dal mercato del lavoro. L'Università di Maastricht si è trasformata in un ateneo dove si parla esclusivamente in lingua inglese. E nel frattempo nessuno può dubitare del fatto che l'olandese è una lingua forte come non mai. Ci sono più traduzioni della letteratura olandese nelle lingue straniere (e ciò vale per esempio per i paesi monolingue come la Germania o la Francia). La letteratura olandese è in piena espansione. In Italia la decisione di impartire corsi di insegnamento in lingua inglese è stata presa molto più tardi rispetto ad altri paesi europei, ma oggi assistiamo ad alcuni progressi notevoli, tanto che ormai sono molte le università che offrono corsi di vari livelli: le iniziative dell'Università tecnologica di Milano, dove si impartiscono in lingua inglese gli insegnamenti dei corsi delle lauree specialistiche, è un segnale molto positivo del fatto che anche le università italiane stanno rispondendo alle richieste degli studenti di ricevere la migliore istruzione possibile. Vogliamo congratularci con quelle università che hanno osato cambiare, affrontando naturalmente anche tutte le difficoltà che il cambiamento implica, ma così pure la ricompensa della promessa di un futuro migliore. Questo è senza dubbio un contributo importante per un contesto innovativo che garantisca, finalmente, risultati concreti anche nello sviluppo di corsi di laurea comuni, nell'ottica di un appropriato riconoscimento reciproco e con l'obiettivo di migliorare le prospettive di occupazione nel mercato. (Traduzione di Anna Bissanti) Luigi Berlinguer è europarlamentare, ex ministro dell'Istruzione, ex rettore dell'Università di Siena. Jo Ritzen, ex ministro dell'Istruzione, ex vicepresidente dello sviluppo umano alla Banca Mondiale, ex rettore dell'Università di Maastricht. _____________________________________________________ Il Manifesto 2 Ott. ‘13 ANCHE CARROZZA TAGLIA I CORSI DI LAUREA Decreto a doppia firma, dopo Profumo Roberto Ciccarelli I decreto sulla programmazione firmato dal ministro dell'istruzione Maria Chiara Carrozza mostra agli atenei quale sarà il loro destino nei prossimi tre anni (2013-2015). Con questo atto il Miur ratifica l'esistenza di un sistema composto da incentivi e disincentivi che obbligherà le università a comunicare entro 45 giorni gli obiettivi da realizzare. ln cambio riceveranno finanziamenti ricavati in base alla loro posizione nelle classifiche di «produttività» stabilite dall'Agenzia Nazionale della Valutazione della Ricerca Universitaria (Anna), lo stesso ente che fissa i criteri della valutazione utili per premiare gli atenei virtuosi» e punire quelli «viziosi». Viene dunque confermata l'impostazione di fondo della riforma Gelmini del 2010 nella quale le università sono in concorrenza. Il mercato però ristretto, dopo il taglio di 1,4 miliardi di euro voluto da Tremonti e Gelmini, mai più da allora rifinanziato. Questo decreto è un romanzo. Dopo uno studio certosino, la rivista online Roars ha infatti dimostrato che è sostanzialmente identico alla bozza preparata dall'ex ministro Profumo. Entrambi programmano la riduzione “razionalizzazione» dell'offerta formativa». Si parla dì un “dimensionamento sostenibile” che dal 2007 al 2012 ha già chiuso il 27,1% dei corsi di laurea. Per la cronaca. si tratta di un messaggio antitetico al programma del Pd bersaniano che si era almeno impegnato a non tagliare l'offerta formativa». Bisognerà inoltre aspettare la reazione del della Crui che si oppose alla bozza Profumo quando Marco Mancini (oggi capo dipartimento al Miur) era presidente, «A volte ritornano commenta Giuseppe De Nicolao (Roana parliamo di un documento che stava in un cassetto a cui è stata cambiata solo la firma». Nel decreto manca la clausola di salvaguardia che fino ad oggi ha impedito al fondo di finanzia mento di un ateneo di variare del 5%, rispetto all'anno precedente. Questo significa che verrà incentivata la deregolamentazione: alcuni atenei arretreranno nelle classifiche Anvur in un regime di risorse decrescenti, altri saranno premiati sempre di più. Il decreto proibisce la creazione di nuovi atenei pubblici, ma non esclude quella dei privati dove sono vietati corsi di laurea in discipline giuridiche, scienze politiche, scienze della comunicazione, della musica, spettacolo, moda, scienze agrarie, veterinaria. In pratica, è stata redatta una black list, dei corsi considerati come l'anticamera alla disoccupazione. Sul reclutamento dei docenti c'è un incentivo a riprodurre in piccolo la struttura dell'abilitazione scientifica nazionale (Asn). Verranno incentivati gli atenei che estraggono la maggioranza dei commissari per i concorsi locali dalle liste dei commissari papabili per l'abilitazione nazionale. Il motivo ufficiale è quello di proibire la spartizione dei candidati come se fosse quella dei pani e dei pesci. In realtà, ci si affida fino a renderlo un sistema alle classifiche degli atenei dall'Anvur che si sono rivelate poco oggettive o incerte e ad un sistema di valutazione che non ha ancora permesso alla maggioranza delle commissioni di identificare gli indicatori bibliografici dei candidati, al punto che il termine della prima tornata delle abilitazioni è stato posticipalo ancora una volta al 30 novembre, «Nell'incertezza sulle sorti del governo afferma Alberto Campailla, portavoce degli studenti di link che si oppongono al decreto è assurdo emanare un decreto che peggiorerà le condizioni economiche degli atenei,. _____________________________________________________ Il Manifesto 3 Ott. ‘13 DISOBBEDIRE ALL'UNIVERSITÀ AZIENDA Non si placa la polemica sull'agenzia di valutazione della ricerca e i suoi metodi burocratici: «È stato imposto un linguaggio bancario» Roberto Ciccarelli Quindici anni dopo la prima valutazione della ricerca universitaria voluta Margaret Thatcher in Inghilterra nel 1986, nel 2011 anche l'Italia ha avviato la sua prima esperienza con l'agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Oggi un sistema mal concepito, al quale prima il centro-sinistra nel 2007 e la successiva riforma Gelmini hanno attribuito un grande potere, tiene in ostaggio un'università tramortita. Le «classifiche» che avrebbero dovuto istituire una graduatoria «oggettiva» tra atenei «virtuosi» e «viziosi» si sono rivelate ben poco «oggettive» (11 manifesto 26 luglio); la chiusura del processo delle abilitazioni nazionali per stabilire il "merito" dei ricercatori è stata nuovamente posticipata al 30 novembre e 74 ricercatori stranieri si sono dimessi da 53 commissioni su 184. Il motore della valutazione è imballato, mentre in Francia il governo socialista ha annunciato a gennaio la chiusura dell'Aeres, l'agenzia che dal 2006 si è occupata di valutazione delle università e della ricerca. «Un delirio burocratico» l'ha definito l'Accademia delle Scienze. In Italia, invece, si continua su una strada che non porterà benefici e rischia di trasformare la natura stessa della ricerca assoggettata ad una valutazione astratta, imperativa e aziendalistica. La pensa così Tullio Gregory, filosofo tra i più noti in Italia e accademico dei Lincei che nel modello Anvur scorge anche un altro rischio: «La polemica in corso sulla valutazione della ricerca nelle università italiane e quindi sulle classifiche finali delle varie sedi afferma può diventare uno spazio di esercitazioni retoriche o di competizioni campanilistiche se non si vedano i limiti delle valutazioni dell'Anvur e quindi se ne ridimensioni l'importanza». QUALI SONO I LIMITI DI QUESTO MODELLO DI VALUTAZIONE? La sua astrattezza. L'Anvur pretende di valutare "enti" con tutta la vuotezza di un termine «metafisico» prescindendo anche dalle infrastrutture (laboratori, biblioteche, orari di apertura, incremento delle strumentazioni scientifiche e dei patrimoni bibliografici) e dagli effettivi risultati della ricerca dei singoli individui: il ricercatore è ridotto a un «sito docente» (cioè a una casella di un sistema informatico), il risultato del suo lavoro è un «prodotto» il cui valore è misurato dal successo sul mercato. Come ha scritto Sabino Cassese, applicando «tecniche ingegneristiche» e metodi burocraticoamministrativi, l'Anvur «ha ucciso la valutazione» e forse «ha ucciso se stessa». È POSSIBILE IMMAGINARE UN'ALTERNATIVA A QUESTO SISTEMA? Bisogna riscoprire la ricerca e l'insegnamento nella sua individuale concretezza che sfugge ai criteri dell'Anvur. Personalmente, se dovessi consigliare un giovane per scelte da compiere, prescinderei del tutto dalle valutazioni dell'Anvur. Se il giovane volesse studiare per esempio storia della filosofia medievale, consiglierei non solo l'Università del Salento a Lecce, che è ben valutata, ma anche l'Università di Bari, dove c'è anche un'ottima scuola di filologia classica. In questo caso non terrei in alcuna considerazione la classifica stilata dall'Anvur per questa sede, fra le ultime delle grandi. Non consiglierei invece lo studio della filologia classica in quelle università, pur valutate positivamente dall'Anvur, dove è ammesso sostenere l'esame di letteratura greca antica anche chi non ha una conoscenza della lingua. E potrei fare molti altri esempi. SECONDO LEI È POSSIBILE VALUTARE CON CRITERI OGGETTIVI LE SCELTE DEGLI STUDENTI O QUELLE DEI RICERCATORI? Non è possibile valutare università, facoltà, dipartimenti come fossero realtà omogenee al loro interno. La situazione è estremamente frammentaria e l'unico punto di riferimento valido è costituito dai singoli professori, dal loro insegnamento, dalli. ricerche che promuovono. Anche se non si deve sottovalutare il fatto che o: 9. il panorama universitario sta mutando con il cambiare degli insegnanti per trasferimento o pensionamento. E questo incide molto sui criteri della scelta. L'Anvur è uno dei pilastri del la riforma Gelmini. Allo stato attuale dell'applicazione della riforma, come giudica il futuro dell'università? Credo che sia stato uno degli aspetti che ha contribuito al declino dell'università italiana come luogo primario dell'alta cultura e della ricerca specialistica. Tutto è cominciato quando l'università è stata investita, senza reagire, da una serie di ri forme sconnesse volute da una classe politica, diversa negli anni, ma concorde nell'indifferenza per la cultura e la ricerca. Le materie di insegnamento sono state moltiplicate senza alcuna motivazione scientifica creando un inutile precariato. I concorsi per singole discipline sono stati aboliti, negando quindi la specializzazione che dovrebbe caratterizzare l'insegnamento universitario. Gli esami si sono ridotti al conteggio dei cosiddetti «crediti», esemplificazione di un mondo a cui è stato imposto un linguaggio aziendalistico e bancario. Così facendo si vuole ricondurre il lavoro di uno studente a determinate ore di studio in rapporto a un predefinito numero di pagine da studiare per l'esame. Le decine di testi, le migliaia di pagine che una volta erano richieste sono oggi frutti proibiti, come la discussione in lingua delle tesi in lingue e letterature straniere. C'È UN MODO PER RESISTERE AL LA TRASFORMAZIONE AZIENDALISTICA DEGLI ATENEI? Se qualche università volesse tornare ad essere luogo di ricerca e di alta formazione, dovrebbe ritrovare la propria autonomia e la propria dignità riducendo radicalmente il numero delle materie di insegnamento, ignorando di fatto le disposizioni ministeriali. Così mi sembra si sia comportata Giurisprudenza di Roma Sapienza, proponendo corsi del più alto livello specialistico, selezionando in questa prospettiva professori e studenti. IL FILOSOFO E ACCADEMICO DEI LINCEI TULLIO GREGORY, MEMBRO DELLA BRMSH ACADEMY DI LONDRA DAL 1993 E DELL'AMERICAN ACADEMY OF ARTS AND SCIENCES DAL 1994, DIRECTEUR D'ÉTUDES ALUCCOLE PRAT1QUE DES HAUTES CTUDES DELLA SORBONA A PARIGI ____________________________________________________________ Il fatto quotidiano 03 Ott. ’13 ABILITAZIONI ANVUR, SIAMO UOMINI O MECCANISMI? di Enrico Nardelli Più informazioni su: Anvur, Docenti, Informatica, Matematica, Professori, Test, Università, Valutazione. Share on oknotizie Share on print Share on email More Sharing Services 19 Sorvegliato dall’Anvur e illuminato da indicatori bibliometrici e regole di valutazione, il nuovo corso del reclutamento dei professori universitari è in pieno dispiegamento col progressivo concludersi dei lavori delle commissioni giudicatrici delle abilitazioni nazionali. I candidati (ed anche chi aveva magari scelto di partecipare al prossimo turno) discutono indiscrezioni ed esiti ufficiosi rallegrandosi o rammaricandosi – in modo più o meno colorito, in attesa della pubblicazione ufficiale dei risultati da parte del Ministero. E’ opinione diffusa, all’esterno delle università, che finalmente verrà fatta pulizia nei corridoi baronali, e che solo i “puri di cuore” saranno ammessi nel “regno dei cieli”. Ma siamo sicuri che le nuove regole funzioneranno? A parte le considerazioni etico-filosofiche su un “bene” che sia imposto, il punto è che, se siamo arrivati al livello di sviluppo odierno, è proprio perché l’umanità non ha mai accettato supinamente di piegarsi alle condizioni imposte dall’esterno: sarebbe altrimenti rimasta a procacciarsi cibo a mani nude e a consumarlo freddo nel buio di una caverna. Le persone sono (fortunatamente e ancora) più intelligenti di qualunque sistema di regole e di indicatori costruito con il supporto della tecnologia per costringerle a comportarsi bene: il fenomeno è noto nelle scienze sociali come Legge di Goodhart: “Quando un indicatore sociale o economico diventa strumento per attuare una politica sociale o economica tende a perdere il contenuto informativo che lo rendeva adatto a tale scopo”. Pensiamo alla rapidità con cui l’essere umano è giunto a comprendere i punti deboli di molti sistemi informatici, basati su sofisticati algoritmi e complesse basi di dati, e a sfruttarli a proprio vantaggio. Abbiamo iniziato con le tecniche di promozione dei siti web per ottimizzarne la posizione nei risultati generati dai motori di ricerca. Poi abbiamo letto dei falsi profili sui social network (83 milioni quelli su Facebook secondo le stime fornite dalla stessa società in occasione della sua quotazione in borsa usati per promuovere eventi e personaggi). Più recentemente è arrivata la notizia che anche per le recensioni dei libri il meccanismo del “mi piace” sta venendo piegato dalle esigenze commerciali. E allora, perché per soddisfare aspirazioni intellettualmente più nobili dei bisogni primari gli esseri umani dovrebbero comportarsi diversamente? Perché illudersi che, se un sistema sociale è deviato, l’unico modo di riportarlo sulla retta via sia quello di imporre automatismi dall’esterno? Questo non significa che l’informatica e le sue tecnologie siano prive di utilità per meglio governare la società umana. Tutt’altro. Dal mio punto di vista, saranno proprio questi fattori ad avere un impatto sempre più rilevante sul futuro dell’umanità: solo l’invenzione della stampa ha avuto nel passato effetti forse avvicinabili a questi. Ma questo impatto dovrà rispettare la natura umana nella sua pienezza: la potenza e la velocità con cui le tecnologie procedono alla raccolta e alla correlazione dei dati devono essere finalizzate al solo scopo di fornire alle persone un più ricco insieme di elementi sulla base dei quali formulare il giudizio. E non il giudizio in sé. Insomma, la responsabilità ultima deve restare sempre dell’essere umano. Diventa indispensabile, dunque, riequilibrare il binomio tecnologie e responsabilità, soprattutto quando le decisioni che ne conseguono producono un impatto collettivo. E’ per me preferibile sapere che Paolo è arrivato in cattedra non perché il suo “indice-h” è 23, ma perché i miei colleghi Maria, Piero, Cristina e Marco lo hanno giudicato idoneo. E conoscere quali elementi oggettivi, includendo gli indicatori costruiti mediante strumenti informatici, sono stati presi in considerazione e quali motivazioni sono state formulate. E poi verificare, a sufficiente distanza di tempo (5-7 anni), l’evoluzione di carriera di quei candidati che sono stati ritenuti idonei e l’affidabilità dei commissari che li hanno sostenuti, usando ancora l’informatica come ausilio per la raccolta, il filtraggio e l’analisi dei dati rilevanti a tal scopo. Concludendo, ci son tre capisaldi: - avere, nei momenti di scelta, trasparenza del processo e responsabilità degli individui, e darne il massimo di pubblica evidenza; - usare l’informatica con i suoi strumenti per stabilire correlazioni ed individuare tendenze; - far assumere alle persone la responsabilità di definire il significato di ciò che viene osservato e misurato. Non ci sono scorciatoie: la possibilità di un futuro migliore, per l’università come per la società, dipende molto più dalle persone che dai meccanismi, anche se sempre più sofisticati. _____________________________________________________ Italia Oggi 1 Ott. ‘13 LAUREE SCIENTIFICHE POCO ROSA Il ministero rilancia con 2 milioni di euro i progetti di orientamento. Corsi di fisica e ingegneria a basso gradimento femminile DI SIMONETTA SCARANE Ha in tasca una laurea in fisica, Angela Merkel, «la donna più potente del mondo» secondo Forbes, che ha appena stravinto le elezioni che l'hanno riconfermata alla guida della Germania per la terza volta consecutiva. Ha una laurea in fisica e un perfezionamento in bioingegneria il ministro dell'istruzione Maria Chiara Carrozza, che prima di essere chiamata alla guida del Miur era rettore, una rarità, della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, istituto d'eccellenza anche per gli studi di perfezionamento del sapere scientifico. E donna di scienze, con una laurea in farmacia e una lunga attività di ricerca sulle cellule staminali e sullo studio della malattia rara di Huntington, anche la neo senatrice a vita, Elena Cattaneo, terza dopo Camilla Ravera e Rita Levi Montalcini. Donne d'eccellenza con una cultura scientifica che hanno messo a disposizione della società il loro talento e cultura scientifica per il cambiamento. Tre casi, ancora troppo pochi. In Italia le donne laureate in scienze tecnologiche sono lo 0,3% sul totale, 2,6%, dei laureati. In Germania, sono l'1,4% contro il 9,4% di uomini, secondo i dati forniti da Claudia Par.. zani, presidente di valore D, associazione che riunisce 85 grandi aziende, da Ikea a Luxottica, da Eni a Gucci (oggi Kering), creata con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo del talento femminile in azienda. Le donne ingegnere hanno più facilità a trovare lavoro e migliori prospettive di reddito. Nel 2012 il Politecnico di Milano ha registrato l'aumento delle laureate in ingegneria: 23% contro il 20,6% del 2008. Al ministro Carrozza, la presidente Parzani ha lanciato una proposta concreta dal palco del convegno «Donne, scienza e tecnologia, un'opportunità per l'Italia», organizzato dall'associazione insieme alla Fondazione Agnelli, presenti anche il ministro Carrozza e la neo senatrice Cattanew La presidente Parzani ha dichiarato la disponibilità dell'associazione Valore D a collaborare con il ministero per la promozione del programma ministeriale sulle lauree tecnico-scientifiche finalizzato a rafforzare i rapporti tra scuola e università, e tra università e mondo del lavoro. Nel 2012 è stato finanziato con un milione di euro nel 2012. Ereditato dal ministro Carrozza, sarà rifinanziato nel 2013 con una cifra raddoppiata• 2 milioni di euro, secondo fonti ministeriali. Fondi che arriveranno a fine anno Il piano ministeriale prevede laboratori di orientamento per la promozione dei corsi di laurea in chimica, fisica, matematica e scienza dei materiali per incrementarne le immatricolazioni. I laboratori sono organizzati in autonomia dagli atenei in in accordo con le scuole superiori e i tavoli regionali che coinvolgono anche le associazioni industriali. Ed è qui che Valore D, forte della sua rete di 85 grosse imprese, si rende disponibile a collaborare. La convinzione che le «laureate in materie tecnico-scientifiche siano fondamentali per lo sviluppo economico e un acceleratore per la crescita», ha sostenuto La presidente di Valore D che organizza anche corsi di formazione al ruolo di consigliere di amministrazione in aziende quotate e non quotate, tra i 21 in portafoglio che vanno ad agire sulla «sensibilizzazione del managemenet, lo sviluppo delle competenze, il work-life balance, la comunicazione e il networking aziendale fra donne». Una sensibilità specifica di genere che già appartiene al gruppo Fiat, secondo quello che ha raccontato il presidente John Elkann, intervenendo al convegno di Milano, parlando di orari flessibili in azienda e piano per gli asili nido. _____________________________________________________ Il Fatto 6 Ott. ‘13 IL CONCORSO DECISO DALLA COMMISSIONE FANTASMA: MI DIMETTO" INCHIESTA DI BARI, IL COSTITUZIONALISTA OCSE CHE VIGILAVA SULL'ESAME PER GLI ASPIRANTI DOCENTI AVEVA SEGNALATO AL MINISTERO "IL CAMBIO DELLE REGOLE" IN CORSA BERNINI RISPONDE La senatrice Pdl: "Sono stupefatta per l'accostamento a questa indagine, non ho ricevuto notizie dalle autorità" di Antonio Massari Bari: Caro professore...". È luglio quando Francisco Balaguer Callejon, professore di Diritto costituzionale all'Università di Granada, scrive la sua "lettera aperta all'intera comunità dei costituzionalisti italiani". La lettera che il Fatto è in grado di rivelare è di grande interesse investigativo, per l'indagine "Do ut des", che sta scoperchiando la rete di favori che dal 2008 a oggi ha condizionato secondo l'accusa le nomine di molti professori universitari italiani. Il professor Balaguer annuncia le dimissioni e denuncia al ministero l'esistenza di una commissione fantasma, che opera al fianco della Commissione nazionale, e influenza le sorti del concorso nazionale per professore di Diritto costituzionale. Un concorso finito nel mirino della Procura di Bari e della Guardia di Finanza, che ha denunciato agli inquirenti con l'accusa di associazione per delinquere, corruzione, falso e truffa ben 38 docenti universitari, tra i quali due rettori, e 5 saggi nominati dal presidente del Consiglio, Enrico Letta, per riformare la Costituzione. PARLIAMO di Augusto Barbera, Beniamino Caravita, Giuseppe de Vergottini, Carmela Salazar e Lorenza Violini, ai quali si aggiungono, tra i nomi più noti, l'ex ministro Anna Maria Bernini che nega qualsiasi coinvolgimento e l'ex Garante della Privacy Francesco Pizzetti. Tra i concorsi più controversi, secondo le accuse, c'è quello in Diritto costituzionale del 2008, nelle Università di Macerata e Teramo e in quella Europea di Roma. L'inchiesta nasce indagando sull'università telematica Giustino Fortunato di Benevento, governata dal rettore Aldo Loiodice, alto esponente dell'Opus Dei e professore di Diritto costituzionale all'Università di Bari. Siamo nel 2008 e la Finanza avvia le intercettazioni: l'indagine si protrae fino alla fine del 2012 ed è in dirittura d'arrivo. In Puglia la Gdf scopre persino che, sempre secondo l'accusa, il giudice Amedeo Urbano presidente della seconda sezione del Tar ha esercitato pressioni su Loiodice, in cambio di favori giudiziari, per favorire sua figlia in un concorso. Mentre la Gdf intercetta, interviene la riforma Gelmini che, almeno nel suo intento, avrebbe dovuto sbaragliare localismi e baronati, creando un'unica commissione nazionale, formata da commissari sorteggiati. Gli investigatori scoprono che il sistema non intende arrendersi: l'accusa sostiene che siano avvenuti comunque degli scambi di favore, con accordi e protezioni reciproche, tra autorevoli docenti ordinari. Un sistema in grado attraverso membri della commissione manovrabili d'influire sul concorso. Secondo l'accusa la rosa dei commissari viene manipolata in partenza e le tra università coinvolte si contano Bari, Trento, Milano * Bicocca, Roma Tre, Roma Europea e Lum di Casamassima. E allora torniamo alla Commissione nazionale e alla lettera del professor Balaguer * commissario esterno in quota Ocse che già il 16 giugno annuncia le sue dimissioni. COMMISSIONE FANTASMA "Questa lettera esordisce Balaguer non sarà una critica nei confronti dei miei colleghi della Commissione". Racconta di una commissione parallela non prevista dalla legge: "Il 10 giugno misi al corrente il ministero dei fatti accaduti... All'interno della Commissione sono stati formati due collegi. Il primo ha funzionato normalmente". Il problema riguarda il secondo collegio: "Nei periodi a cavallo delle sedute nei quali nessun collegio dovrebbe funzionare s'è formato un altro collegio, di cui non conosco le caratteristiche, i procedimenti di adozione d'iniziative o le decisioni". Una pratica che Balaguer definisce "irregolare" e "incompatibile con l'ordinamento giuridico". Ma cosa accade in questa commissione parallela? Balaguer rivela un dettaglio sconvolgente: si modificano i criteri di valutazione. "In due occasioni il Presidente della Commissione in rappresentanza del collegio più stretto, nel quale il commissario Ocse non era presente ha cercato di modificare i criteri di valutazione, adottati precedentemente. In entrambe le occasioni mi sono rifiutato di accettare queste decisioni". Aggiunge: "La mia opposizione non è servita, perché i suddetti criteri sono stati comunque modificati, violando il principio fondamentale di uguaglianza e la stabilità del meccanismo di valutazione". Balaguer continua: "La gravità di questi fatti deve essere messa in rilievo. Il lavoro della Commissione è entrato in una zona d'incertezza e insicurezza giuridica". IL PROFESSORE spiega di aver espresso, nel concorso, un "elevato numero di giudizi individuali negativi, giustificati da motivi formali", e precisa un ulteriore dettaglio: "Senza questi limiti formali, la maggioranza dei miei giudizi, sul totale, sarebbero forse stati positivi". In altre parole: il mutamento dei requisiti formali, adoperato in corsa, ha condizionato l'esito del concorso. Balaguer si dimette quest'estate. Il ministero prende atto della sua lettera, nomina un nuovo commissario Ocse e il concorso, grazie alla sua denuncia, viene completamente rimodulato. Due senatori, Francesca Puglisi (Pd) e il cofirmatario Francesco Palermo, professore universitario e parlamentare di Aut (Svp, Uv, Patt, Upt) presentano un'interrogazione parlamentare, chiedendo lumi al governo, che nel frattempo, ha rimesso in moto il concorso. "In Italia commenta Puglisi bisogna incrementare la cultura della trasparenza e del merito: purtroppo, anche con la riforma Gelmini, si rischia di perpetrare antichi vizi. Credo che il ministro Carrozza, nel caso della denuncia avanzata da Balaguer, abbia agito con grande rigore e chiarezza". "Bisogna affrontare una questione generale", dice Palermo, "poiché, per il reclutamento nell'università, il sistema segue da sempre una logica di cooptazione che, con la riforma Gelmini, purtroppo indossa soltanto un vestito diverso. L'unica soluzione è internazionalizzare i concorsi, per diluire i baronati, e rendere competitive le università". _____________________________________________________ Il Fatto 6 Ott. ‘13 IL SENSO DEI BARONI PER GLI AFFARI ESAMI VENDUTI, FAMIGLIE PIAZZATE DA MESSINA A ROMA, I SANTUARI DEL POTERE ACCADEMICO: DOVE È SCANDALO CONTINUO di Luca De Carolis Di concorsi truccati per piazzare parenti e amici, agli esami venduti o addomesticati. Sino alle truffe contabili. Lontane dall'essere luoghi di elevazione culturale, tante università italiane sono sentine dove si accumulano reati in serie. Commessi da o per conto dei baroni, poco professori e molto burattinai. MESSINA. L'università degli Studi messinese è forse la più citata nelle cronache giudiziarie. L'ultima grana risale allo scorso 30 settembre, quando la Guardia di Finanza ha arrestato due docenti "per aver gravemente inquinato" un concorso per ricercatore in microbiologia, bandito nel 2010. Ai domiciliari sono finiti Giuseppe Teti, docente di microbiologia e componente della commissione esaminatrice, e il direttore del dipartimento di Farmacia, Giuseppe Giovanni Bisignano. Proprio Bisignano avrebbe chiesto e ottenuto una corsia preferenziale per il figlio Carlo, che ha poi vinto il concorso. Oltre ai due docenti arrestati, altri cinque gli accademici indagati, tra cui l'ex rettore Francesco Tomasello. Secondo la procura di Messina, "sia la commissione giudicatrice che il vincitore del concorso venivano stabiliti a monte dagli arrestati, con la collaborazione dei colleghi". In un'intercettazione, Teti e Bisignano senior recitavano una massima latina: "Pacta sunt servand.a" (i patti vanno rispettati). L'università li ha sospesi entrambi. Ma a Messina i guai piovono di continuo. Lo scorso luglio, la Dia di Catania ha arrestato sei persone, tra cui 1.111 docente della facoltà di Economia, Marcello Caratazzolo, e un ex consigliere provinciale, Santo Galati Rando, entrambi po sti ai domiciliari. Secondo gli inquirenti, erano membri di spicco di un gruppo che corrompeva o intimidiva i professori per condizionare gli esami. A tirare le fila della compravendita sarebbe stata la `ndrangheta, che da anni considera l'ateneo come un diplomificio per i ramponi dei boss. SIENA. Come se non bastassero gli infiniti guai per il Monte Paschi, nella città del Palio sono tempi duri anche per l'università. L'elezione dell'attuale rettore Angelo Riccaboni, risalente al luglio 2010, è stata oggetto di un'inchiesta che in marzo ha portato al rinvio a giudizio del presidente e del segretario di un seggio elettorale per falso ideologico commesso da pubblico ufficiale. Ma il vero bubbone è il buco da 200 milioni nei conti dell'ateneo. Nel giugno scorso, il gup ha rinviato a giudizio 14 persone per accuse che vanno dal peculato al falso ideologico sino all'abuso di ufficio. Tra questi, gli ex rettori Piero Tosi e Silvano Focardi (il predecessore di Riccaboni), direttori amministrativi, revisori di conti, segretari di dipartimento. DIA. In riva al Tevere c'è l'università La Sapienza, la più affollata d'Europa (oltre 140 mila studenti). Il campo da gioco del rettore Luigi Frati, ex preside di Medicina. L'ateneo è stipato dei suoi familiari: dalla moglie Luciana Rita Angeletti in Frati, docente di Storia della Medicina, alla figlia Paola (Medicina legale) al figlio Giacomo, diventato professore associato a soli 31 anni: nella facoltà di Medicina. Come raccontò Report, Frati junior discusse la prova orale sui trapianti cardiaci davanti a una commissione composta da due professori di igiene e tre odontoiatri. In questo contesto, pochi giorni fa è scoppiato il caso del concorso pilotato per l'accesso alla scuola di cardiologia del Policlinico universitario Umberto I. In una mail inviata a Repubblica il 13 giugno, c'erano già i nomi dei sei vincitori delle prove per Cardiologia 1, iniziate il 7 luglio. Tra i promossi, un ragazzo che per tre anni è stato l'autista di Francesco Fedele, titolare della prima cattedra di cardiologia alla Sapienza. La replica di Fedele? "A parità di cavallo scelgo quello che conosco". _____________________________________________________ Il Fatto 6 Ott. ‘13 CONCORSI: SÌ, TRUCCARE: LA TECNICA È SEMPLICE Il trucco c'è, e non si deve vedere. Solo che certe volte una traccia resta, a voler essere pignoli. Lo sa Antonio Giangrande, appassionato collezionatore di cronache scandalistiche legate ai concorsi pubblici. Ci ha messo insieme un libro ("Concorsopoli. L'Italia delle raccomandazioni, dei favoritismi e dei concorsi pubblici truccati") per il quale, dice, non ha alcun merito, tranne la pazienza di mettere insieme uno dopo l'altro i casi che finiscono con clamore su giornali e tivù per finire presto dimenticati. "E A FORZA DI LEGGERE, mi sono accorto che i punti chiave sono sempre gli stessi spiega Giangrande Dovendo sintetizzare al massimo, bisogna tenere d'occhio il passaggio che sta subito dopo la prova, il colloquio, lo scritto. Già prima il terreno viene preparato, qualche ostacolo rimosso, ma il gioco di prestigio si fa quando le carte sono sottratte agli occhi di troppi testimoni. E si può agire con calma". In pratica, che si tratti di esami per avvocati o abilitazioni all'insegnamento, che ci siano da scegliere notai o ricercatori universitari, il passaggio topico arriva quando la prova della persona segnalata è nelle mani giuste: i requisiti preliminari vanno vidimati in ogni caso, il valore del test alzato al massimo, lacune e difetti tralasciati elegantemente. Soprattutto, occorre trattare con estrema severità tutti gli altri candidati. La controprova scientifica deriva dai casi ormai costanti di ricorsi al Tar vinti dagli sconfitti ai concorsi: quasi sempre i giudici verificano che gli esaminatori hanno dedicato alle prove scritte pochissimi minuti, che i testi di prova risultano perfettamente intonsi (privi di correzioni o segni di penna), che i giudizi negativi espressi con sospetta ripetitività non corrispondono ai contenuti delle singole performance. Quando poi è previsto un esame orale, si tende ad assegnare molto punteggio, secondo criteri ampiamente variabili: così il gioco è fatto. "Certo chi è danneggiato da questi meccanismi si deve mettere lì a fare ricorsi, aspettare anni, inimicarsi l'ambiente - dice Giangrande -. Un girone infernale da cui si può uscire mezzi matti, e comunque già arrabbiatissimi prima ancora di iniziare a lavorare". SULLA STORIA DEI 38 professori sospettati di aver tessuto una ragnatela asfissiante sul sistema delle nomine universitarie, Giangrande ha un solo commento: "Dopo l'esperienza che mi sono fatto, sono arrivato a una soluzione apparentemente pessima, e in realtà più trasparente: la chiamata diretta. Così se il responsabile di una cattedra, di un dipartimento, di una qualsiasi struttura pubblica ottiene buoni risultati grazie alle persone che sceglie, verrà riconfermato e stimato. Se si circonda di cialtroni raccomandati, farà una figuraccia e saranno tutti cacciati in blocco". A patto che chi valuta dall'alto abbia un giudizio puro e immacolato. twitter@chiarapaolin _____________________________________________________ Il Fatto 6 Ott. ‘13 FABIO MUSSI: IL KAMASUTRA DEI REGOLAMENTI È UN FLOP di Chiara Paolin L’ex ministro dell'Istruzione Fabio Mussi, causticamente livornese, pone subito l'aut aut: "O i magistrati hanno preso un grosso abbaglio (e prego Dio che sia così), o qui siamo al tracollo definitivo del comparto pubblico". ACCIDENTI: UN GIUDIZIO TANTO SEVERO PER QUALCHE SPINTARELLA ALL'UNIVERSITÀ? Ennò, il problema è molto serio. Se anche l'élite, l'intelligencija, i più colti della nazione, quelli che studiano dalla mattina alla sera cosa sia il mondo e come funzioni, ebbene se anche questi illustri e magnifici concittadini si dimostrano privi del più elementare senso etico significa che anche l'ultimo baluardo è caduto. Questi qua sono nomi sono grossi, lei capisce. NON CI SONO SEMPRE STATE MANOVRE SIMILI NELL'UNIVERSITÀ ITALIANA? Una quota di favoritismo è sempre esistita, ma aiutare amici e nipoti resta facoltativo, non obbligatorio. E comunque, in proporzione, l'università ha retto meglio di tutto il resto: i nostri ricercatori sono ancora considerati tra i migliori al mondo, anche se guadagnano una miseria. IN MEDIA L'ASSEGNO ITALICO È UN QUARTO DI QUELLO TEDESCO, UN SETTIMO DI QUELLO OLANDESE. Esatto, i nostri sono bravi e se possono vanno all'estero dopo che noi li abbiamo formati per bene. Perché sulla ricerca i professori hanno sempre cercato di mandare avanti in gran parte i più dotati, magari con qualche eccezione. Sui colleghi docenti invece la filiera degli amici funziona meglio: finché devo scegliermi i miei ragazzi, che lavorano per me, tengo duro; quando invece si tratta di dare una cattedra che non mi riguarda direttamente, seguo le indicazioni altrui, e so che un domani qualcuno mi sarà riconoscente. SI VA DI CORDATA. Purtroppo sì. E LE REGOLE PER EVITARE LO SCAMBIO DI FAVORI? Negli ultimi vent'anni sono state tentate tutte le posizioni possibili, un vero kamasutra dei regolamenti locali, nazionali, ministeriali, ordinistici e chi più ne ha più ne metta. NON FUNZIONA NULLA? Niente. Trattasi di endogamia, il potere che si autogenera mantenendo intatti gli equilibri interni. LA GELMINI AVEVA TENTATO DI SPEZZARE GLI ABBINAMENTI TRA COMMISSARI ED ESAMINANDI METTENDO DI MEZZO L'ESTRAZIONE A SORTE. Bene. Resta la rete logaritmica a lavorare per i baroni. SAREBBE? Cerchiamo di essere concreti. Esiste un albo nazionale cui i commissari sono iscritti, e domani il mio protetto va sotto esame con alcuni di loro. Io li prendo uno per uno e dico: questo lo faccio chiamare da Tizio, questo da Caio, quello lo conosco io, ed è fatta. L'unico antidoto efficace sa qual è? Semplicissimo: il commissario che ti sbatte il telefono in faccia. E che se ne frega di tutto il contorno. Quale contorno? Naturalmente queste decisioni comportano spostamenti di potere in ambiti connessi. Se parliamo di concorsi in medicina, si va a finire sulla sanità. Se stiamo sul diritto, arriviamo ai concorsi di avvocatura e magistratura. INTERESSI FORTI. Massicci. Per questo, ripeto, c'è da sperare che l'indagine di Bari sia solo un tragico errore: stavolta i nomi in ballo sono davvero importanti. Ex ministri, ex presidenti di authority, saggi governativi... SE HANNO RAGIONE I MAGISTRATI? Allora è la disperazione per tutti noi. ____________________________________________________________ Repubblica 01 Ott. ’13 CONCORSO TRUCCATO PER IL FIGLIO DEL PROF MESSINA, NUOVO SCANDALO IN ATENEO ROSARIO PASCIUTO MESSINA — I patti vanno rispettati. «Pacta sunt servanda» è il nome dell’operazione che ha portato la Guardia di Finanza ad arrestare due docenti dell’Università di Messina. E nell’ateneo siciliano i patti venivano rispettati, se il figlio di uno dei due professori si era aggiudicato un concorso per ricercatore di microbiologia pur non essendo in possesso dei titoli e dei punteggi necessari. Per raggiungere il loro scopo, i due docenti avevano perfino convinto il potenziale vincitore del concorso (quello che doveva “stare ai patti”) a ritirare la domanda. Ma le telefonate fra i due che pianificavano il tutto, sono state intercettate dai finanzieri che indagavano su un giro di false fatturazione all’interno dell’ateneo. Così dopo sette mesi di indagini sono finiti agli arresti domiciliari il professor Giuseppe Bisignano, 64 anni, direttore del dipartimento di Farmacia, e il professor Giuseppe Teti, 61 anni, ordinario di microbiologia e microbiologia clinica alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Cinque gli indagati, tra i quali anche l’ex rettore Francesco Tomasello: perlui, l’ipotesi di reato è di abuso d’ufficio per non aver vigilato sulla nomina dei componenti la commissione aggiudicatrice del concorso. Indagando su Bisignano, che deve rispondere anche di peculato per un giro di fatture false per circa ottomila euro, la Fiamme gialle hanno intercettato le telefonate in cui si discuteva del concorso. Quel posto doveva essere del figlio del direttore del dipartimento di Farmacia, ma c’era un candidato in possesso di titoli di gran lunga superiori. Di lui si occupò il professor Teti. Il docente lo avvicinò e lo convinse a ritirare la domanda. In cambiosi sarebbe impegnato per fargli vincere un altro concorso sempre all’interno dell’ateneo messinese. E poiché il sistema era consolidato, Teti chiese in cambio a Bisignano un intervento per far aggiudicare a una sua parente un concorso nel suo dipartimento. Tutto saltato, poi, per l’intervento della Guardia di Finanza e della Procura. L’Università di Messina ha deciso di sospendere immediatamente tutti i docenti coinvolti nell’inchiesta e di costituirsi parte civile in un eventuale processo. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 05 Ott. ’13 IDONEI PER LE BORSE DI STUDIO: SONO QUASI UNO SU DUE Reddito basso e media elevata non bastano più. Per ottenere una borsa di studio occorre avere una posizione in graduatoria al di sopra della temuta linea rossa: quella che delimita l'elenco di chi avrà il sussidio e quello di chi, pur possedendo i requisiti, non lo otterrà per insufficienza di fondi. Una posizione sciagurata che quest'anno accomuna sempre più studenti: la categoria di “idonei non beneficiari” è aumentata di 7 punti percentuali, dal 42 al 49 per cento. LE PROTESTE «Anche quest'anno assistiamo al massacro del diritto allo studio in Sardegna», denunciano i rappresentanti di Unica 2.0., pronti a dar battaglia. Il calcolo della percentuale è stato fatto scorrendo la graduatoria definitiva delle borse erogate dall'Ersu, pubblicata pochi giorni fa. «È particolarmente preoccupante», sottolineano, «la percentuale di matricole-idonei non beneficiari, che ha raggiunto il 66 per cento: dunque, quasi 7 matricole su 10, non potendo usufruire della borsa di studio che dovrebbero avere di diritto, non potranno intraprendere un percorso formativo». I sit-in davanti al palazzo del Consiglio regionale, ai quali l'inverno scorso hanno partecipato decine di universitari, non hanno portato l'esito sperato. MEDICINA Ieri mattina, invece, in via Roma sono andati a protestare i neodiplomati cagliaritani che hanno partecipato ai test di ammissione alla facoltà di Medicina. Gli studenti Silvia Steri, Carlotta Porcu e Marco Schirru sono stati ricevuti dal presidente della Commissione cultura, Carlo Sanjust, e dal consigliere Sisinnio Piras (entrambi del Pdl). Oltre ad aver contestato lo spostamento delle date dei test, con scadenza nel periodo in cui si stavano preparando per l'esame di maturità, hanno chiesto alla Commissione di farsi portavoce affinché «siano rivisti i criteri di ammissione e la revoca del successivo annullamento del bonus maturità» abolito dal ministero il 9 settembre scorso in concomitanza con lo svolgimento delle prove, che giudicano comunque equo, seppure espresso in percentili. «L'abolizione ha penalizzato chi aveva un voto di maturità teoricamente sufficiente per ottenere il bonus. Inoltre, nel corso dei test l'anonimato dei candidati è stato violato: come prevedono le disposizioni ministeriali, le nostre carte d'identità erano sul banco». Veronica Nedrini _____________________________________________________ TST 2 Ott. ‘13 150 ANNI DEL NOBEL TRADITO UNIVERSITA DI TRENTO 50 anni dal conferimento del premio da parte dell'Accademia Reale delle Scienze di Svezia (1963), poco più di un italiano su 10 (il 14%) sa identificare Giulio Natta come Nobel. E, tra questi, meno di uno su due lo colloca correttamente come unico premiato italiano per la chimica. Sono i risultati di una rilevazione condotta dal centro ricerche «Observa Science in Society» su percezione e ruolo pubblico dei Nobel in campo scientifico. Più nota al pubblico la figura di Carlo Rubbia (il 39% lo riconosce come premiato) e soprattutto quella di Rita Levi Montalcini (87%). Significativo il caso di Antonino Zichichi e Umberto Veronesi, a cui rispettivamente il 33% e il 45% degli intervistati attribuiscono in modo scorretto il premio (dati che confermano come il Nobel venga spesso sovrapposto alla visibilità pubblica dello scienziato). Natta Nobel dimenticato, dunque, eppure di grande impatto scientifico e pratico. Formatosi al Politecnico di Milano negli Anni 20 del secolo scorso, nel 1932 aveva conosciuto Hermann Staudinger, direttore dell'Istituto di chimica di Friburgo, che all'epoca stava sviluppando le proprie teorie su struttura e proprietà dei poli- meri. Nel 1947 un viaggio negli Usa con Pietro Giustiniani (futuro amministratore della Montecatini) contribuì a fargli comprendere l'importanza che avrebbero assunto i derivati del petrolio per l'industria chimica. Così, quando venne al corrente dei risultati del collega tedesco Karl Ziegler nella produzione di polimeri, Natta convinse tramite Giustiniani la Montecatini a investire nel settore, acquisendo licenze e assumendo giovani chimici da coinvolgere nel proprio gruppo di ricerca. Il risultato di quell'intuizione e di quegli investimenti fu registrato con uno scarno appunto nell'agenda dello scienziato alla data dell'll-marzo 1954: «Fatto il po- lipropilene». «Operando in presenza di particolari catalizzatori spiegò lo stesso Natta -si possono ottenere grandi molecole caratterizzate da strutture spaziali ordinate e prestabilite». Una ricerca inedita sugli archivi dell'Accademia delle Scienze consultabili soltanto dopo 50 anni dall'assegnazione rivela che Natta fu «nominato» per la prima volta nel 1955 e poi, sistematicamente, ogni anno dal 1957 fino al 1963, anno del premio che ricevette insieme con il tedesco Karl Ziegler «per le loro scoperte nella chimica e nella tecnologia dei polimeri». Le «nomine» si sa sono il primo passo per ottenere il riconoscimento istituito da Alfred Nobel. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 03 Ott. ’13 ASTROFISICI CAGLIARITANI HANNO SCOPERTO LA STELLA “TRASFORMISTA” Una scoperta finita sulla prestigiosa rivista scientifica americana “Nature”. Il miracolo della stella trasformista può contare anche sul lavoro di un gruppo di astrofisici dell'Università di Cagliari. C'è un pezzo di Sardegna nello studio che ha portato alla ribalta la sorgente di neutroni, frutto dell'esplosione di una supernova: in tempi rapidissimi passa dall'emissione intermittente di raggi X a quella di onde radio. Lo staff dell'ateneo cagliaritano ha contribuito a portare alla luce il sistema binario con la stella che alterna fasi in cui emette raggi X (comportandosi come una stella binaria X di piccola massa) a fasi in cui emette impulsi radio che si ripetono con regolarità ogni 4 millesimi di secondo (comportandosi come una stella radio pulsar al millisecondo). RICERCA AFFASCINANTE Con il suo comportamento questa stella trasformista rappresenta l'anello mancante che gli astronomi cercavano da almeno quarant'anni. La sorgente di neutroni si chiama IGR J18245-2452 e si trova a 18 mila anni luce dalla Terra, in un ammasso chiamato Messier 28. La stella stata individuata per la prima volta nel 2005 da un gruppo di astronomi, che la classificò come una sorgente intermittente (pulsar) di onde radio. Solo che ora è stata in qualche modo riscoperta nella sua veste di pulsar a raggi X. GLI STUDIOSI SARDI Questo traguardo è stato tagliato col contributo del gruppo di Astrofisica delle Alte energie del Dipartimento di Fisica dell'Università cagliaritana (diretto dal Luciano Burderi) e dagli studiosi dell'Osservatorio astronomico. Il primo nome sulla pubblicazione è quello dell'astrofisico italiano Alessandro Papitto, dell'Istituto di studi spaziali di Barcellona: ha ottenuto una borsa di ricerca erogata dalla Regione Sardegna per lavorare all'Osservatorio astronomico di Cagliari, proprio con il gruppo guidato da Burderi. LA RICERCA SULLE STELLE Il gruppo di ricerca che fa capo a Cagliari opera in stretta collaborazione con lo staff di Astrofisica delle Alte Energie dell'Università di Palermo e da anni rappresenta un punto di riferimento nel panorama mondiale della ricerca sulle stelle di neutroni. (sa. ma.) _____________________________________________________ Repubblica 3 Ott. ‘13 E-BOOK A SCUOLA, POLEMICA SUL RINVIO i prof al ministro: "Regalo agli editori" La replica della Carrozza: "Falso, ma per la rivoluzione serve tempo" RICCARDO LUNA ROMA—Quando il governo Letta sembrava ormai spacciato, venerdì scorso, il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza ha firmato l'atteso decreto sui libri scolastici abrogando tutte le cose disposte appena sei mesi fa un analogo decreto del suo predecessore Francesco Profumo. Le novità sono molte e rilevanti, hanno innescato subito polemiche accese e va aggiunto che, trattandosi di un decreto ministeriale, si tratta di norme che non hanno bisogno della conversione in legge del Parlamento, ma solo del visto della Corte dei Conti. Sono quindi già esecutive: per i libri scolastici cambia tutto. O meglio, la prima notizia è che dal prossimo anno non cambierà nulla: l'obbligo del passaggio dal carta al digitale, previsto dal 2009 e slittato ogni anno perché gli editori non sono pronti, slitta ancora una volta. Il passaggio ai libri digitali non è più un obbligo ma un auspicio, sebbene molto sentito. Inoltre il taglio dei tetti di spesa, ovvero dell'importo massimo che ciascuna famiglia può spendere ogni anno per i libri dei figli, viene ridotto seppure di poco: Profumo aveva disposto tagli dal 20 al 30 per cento, adesso quella forbice si restringe al 10-30 per cento. Insomma, tradotto in soldoni, il prezzo dei libri l'anno prossimo aumenterà rispetto al taglio previsto dalle norme varate dal precedente governo. Ergo, quando il presidente del Consiglio, tra i vanti di questi mesi di go verno, annoverali taglio del prezzo dei libri scolastici, dice una cosa inesatta. Se a questo si aggiunge che nell'allegato del decreto si parla della necessità di libri "validati" si comprende bene come il provvedimento sia stato accolto molto negativamente da quella parte del mondo della scuola più vicina all'innovazione. Circa duecento istituti, infatti, hanno aderito al progetto Book in Progress, lanciato dall'istituto Majorana di Brindisi, con il quale i docenti non adottano un libro di testo obbligatorio ma ne scrivono uno collettivamente adattandolo ad ogni istituto. Con il validatore introdotto dal decreto, questa cosa è sembrata in pericolo. Di qui la reazione dura del preside del Majorana Salvatore Giuliano: «Il decreto è un regalo agli editori» ha twittato qualche giorno fa senza tanti fronzoli. Alché il ministro, sempre via Twitter, ha replicato: «Ma lei come si permette di parlarmi in questo modo?». Toni aspri. La Carrozza però ci tiene a spiegarsi. Dice per esempi o: «A me Book in progress piace, è un bel progetto che può maturare». E soprattutto non vuole passare alla storia come il ministro degli editori scolastici. Anche se nel testo da lei firmato «gli interessi patrimoniali degli editori» sono ribaditi ben tre volte in poche righe mentre quelli degli studenti mai e l'unico riferimento a loro diretto è quello del «contenimento del peso» dei libri e non anche quello del prezzo. «A me degli interessi degli editori non interessa nulla» dice testualmente in un colloquio con Repubblica, «gli unici interessi che avevo in mente facendo questo decreto, sono quelli degli studenti». LA LIBERALIZZAZIONE Secondo il ministro quello che conta, per capire, è il combinato disposto di questo decreto con il decreto legge "l'istruzione riparte" che è attualmente in Commissione Istruzione e che prevede la liberalizzazione dei libri, "qui c'è la vera politica". Primo obiettivo, rendere l' adozione dei libri facoltativa e affidarla al collegio dei docenti che può decidere di prendere altre strade, come autoprodursi libri digitali. Questa cosa era già possibile, in base alla autonomia scolastica, tanto che centinaia di istituti lo fanno ma secondo la Carrozza è stato importante ribadirlo e rafforzare il principio. IL RINVIO SUGLI E-BOOK Il passaggio dal libro di carta a quello digitale non è più obbligatorio ma è un processo di graduale accompagnamento. «Io non ho dubbi che debba essere fatta e fatta presto, ma dobbiamo mettere tutti in condizioni di arrivarci». Per il ministro vuol dire due cose: la banda larga in tutte le classi (ma per ora sono stati stanziati solo 15 milioni, «sono questi i soldi trovati») e un tabletper ogni studente. Ma laddove il decreto Profumo stabiliva che fosse il ministero a dover dotare ogni studente di un lettore di libri digitali, la Carrozza immagina un ruolo totalmente diverso: «Non voglio il tablet di Stato. Gli studenti devono poter leggere il libro a prescindere dal fatto di avere un Apple, un Samsung o un'altra marca». LE LCALA L.TERATTIVE La parola chiave per la Carrozza, ribadita anche nel decreto, sebbene al condizionale, è interoperabilità. Vuol dire che qualunque scelta facciano le scuole, non deve essere vincolata ad una piattaforma soltanto: «Questo mi fa orrore». Ne discende anche la fine delle LIM, le lavagne interattive multimediali, sulle quali il Ministero negli anni passati ha investito decine di milioni con dubbi risultati. IL VALIBATORE È l'ultimo punto oscuro. Il ministro chiarisce: non ha in mente di rinverdire figure che ricordano il fascismo con un controllo del ministero, ma pensa piuttosto ad allargare al mondo scolastico il "controllo fra pari" dei testi accademici: «Se una rete di scuola fa dei libri, è sufficiente che si dotino di un comitato scientifico fatto da insegnanti che certifichino il lavoro fatto. Non mi pare una cosa mostruosa». ____________________________________________________________ Le Scienze 04 Ott. ’13 IL LATO OSCURO DELL'OPEN ACCESS Troppe riviste scientifiche ad accesso pubblico hanno interesse solo al contributo economico chiesto agli autori per la pubblicazione e per la procedura di peer review, che spesso però non viene eseguita. Lo dimostra l'indagine di un collaboratore di "Science" che ha inviato a un campione di queste testate un articolo civetta. Il testo, che non avrebbe superato alcuna seria revisione, è stato accettato da 157 riviste(red) Quanto sono affidabili le riviste scientifiche open access, cioè quelle riviste che non chiedono un pagamento per la loro consultazione? In media, decisamente poco, pur con le dovute eccezioni, come ha scopertouna ricerca pubblicata su “Science” nel quadro di una serie di articolidedicati allo stato e alle prospettive della comunicazione scientifica.  John Bohannon, biologo e giornalista scientifico collaboratore di "Science" è giunto a questa conclusione dopo aver inviato a 304 riviste open access un articolo con gravi carenze metodologiche che non sarebbero sfuggite a qualsiasi esperto del settore. Ciò nonostante solo 98 riviste lo hanno rifiutato, mentre ben 157 lo hanno accettato, nella maggior parte dei casi senza fare alcun rilievo di carattere scientifico e limitandosi a qualche osservazione sulla forma linguistica. (Le restanti 49 testate, non hanno risposto:in molti casi il sito della rivista è risultato apparentemente abbandonato.) L'indagine di Bohannon rivela che dietro la crescita esplosiva delle testate ad accesso pubblico - la Directory of Open Access Journals (DOAJ), uno dei principali siti che censiscono questo tipo di riviste, ne catalogava 8250 nell'autunno 2012, e da allora se ne sono aggiunte almeno altre 1000 – si nasconde anche un mondo oscuro di profittatori.  Molte riviste chiedono agli autori degli articoli un contributo più o meno consistente alle spese per la peer review, cioè per il controllo dell'articolo fatto da altri esperti del settore. Peccato però che spesso la peer review non venga fatta.  A volte, inoltre, la sede della rivista e dei suoi redattori e revisori sono  introvabili, come pure la localizzazione dei conti correnti su cui finiscono i “contributi alla pubblicazione”. Bohannon è stato costretto a ricorrere al tracciamento degli indirizzi IP di riviste,  redattori e conti correnti, scoprendo che - contrariamente ai riferimenti nel nome della testata, per esempio “American Journal of...” o “European Journal of...” - gran parte di esse avrebbe sede in paesi emergenti, in particolare India, Turchia e Pakistan. Il che, avverte l'autore, non significa che le società che alla fine raccolgono i profitti non si trovino in Europa o negli Stati Uniti.  Problema nel problema, a volte i creatori di queste riviste fantasma riescono a procurarsi una facciata rispettabile, appoggiandosi a consolidati e prestigiosi editori o a istituzioni di chiara fama, costrette poi a chiudere in tutta fretta le riviste open access quando si accorgono che qualcosa non funziona come dovrebbe.  Ma non bisogna fare di tutt'erba un fascio. Altre riviste open access hanno brillantemente superato il test. Così, "PLoS ONE", la rivista ammiraglia della Public Library of Science, ha meticolosamente controllato gli autori dello studio inviato da Bohannon e poi lo ha effettivamente inviato a una revisione. L'esito è stato una bocciatura per la scarsa qualità dell'articolo, con note che richiamavano l'attenzione, unica fra tutte le testate a cui era stato inviato, anche su potenziali problemi etici relativi, per esempio, alla mancanza di documentazione sul trattamento degli animali impiegati per generare le cellule usate nell'esperimento descritto. _____________________________________________________ Corriere della Sera 6 Ott. ‘13 PIÙ STUDI IN RETE, MENO SAI I ragazzi usano male il web. Un confronto con i dati Invalsi: ogni ora in più al PC, cala l'apprendimento di italiano e «mate» Un tempo, non troppo lontano, la principale fonte di distrazione per i ragazzi era la televisione. Pomeriggi di zapping sul divano che mettevano a dura prova i nervi dei genitori. Oggi l'apparecchio rimane spento, c'è la rete. Ragazzi sempre connessi, non c'era bisogno di un'indagine sociologica per saperlo. Lo studio sull'uso dei nuovi media tra gli studenti lombardi (campione di 2.327 alunni al secondo anno di superiori di 61 scuole fra licei, tecnici, professionali e centri regionali di formazione) del dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell'università Bicocca porta, però, sotto i riflettori dati interessanti. Che accendono campanelli d'allarme. TUTTI SU FB PER I COMPITI Tre ore al giorno in rete è il tempo medio dei ragazzi fra i 15 e i 16 anni. Connessi principalmente per chattare sui social network (83%), ma anche per cercare informazioni e approfondimenti (53%). Dal confronto con i dati Invalsi gli studiosi sono riusciti a calcolare quanto pesa il web sull'apprendimento: per ogni ora passata in più su Internet si ha un calo netto di o,8 punti in italiano e 1,2 punti in matematica. E chi lo sceglie per studiare? Peggio. «Il calo è ancora più marcato se si considera solo la quota di tempo trascorsa online per studio: meno 2,2 in italiano e meno 3,2 in matematica», sottolinea il ricercatore Marco Gui, autore dello studio. «È la conferma di quello che rileviamo in classe: l'uso frequente della rete è associato a performance peggiori», spiega Paola Oldrini, insegnante di Lettere al liceo Vittorio Veneto. «n 57% ha lo schermo acceso mentre fa i compiti? Tentazione troppo forte e a soffrirne è la concentrazione. Diciamolo chiaro: connessione off quando si studia». Tutti in rete (curiosità: solo 14 studenti su 2327 non hanno Internet), tutti su Facebook (82% possiede un profilo). Con stili d'uso del social network diversi. Più attenti i liceali (soprattutto le ragazze), che difendono la privacy e non rendono foto e commenti visibili a tutti, più disinibiti gli studenti dei professionali, che scelgono il profilo pubblico, postano di continuo messaggi e video e concedono l'amicizia anche a chi non è conosciuto offline. Chi lavora nella prevenzione del disagio giovanile non si meraviglia. «Abbiamo coniato un termine, curriculum digitale, per far capire ai ragazzi che l'identità che viene costruita in rete racconterà di loro molto a lungo — racconta Paola Brodoloni, presidente dell'associazione Cuore e Parole che organizza incontri nelle scuole sul tema della navigazione sicura —. Un argomento delicato sul quale insistiamo puntando sull'alleanza con le famiglie», rivela. E ancora: «Lavoriamo molto anche su un altro fronte, per contrastare l'idea che il mondo web sia una sorta di affidabile enciclopedia mondiale». Smanettoni ma acritici: ecco cosa racconta ancora lo studio. COS'È UN SITO AFFIDABILE? La grande competenza tecnica, da veri nativi digitali, non si associa a un adeguato livello di competenza digitale critica. «Significa una cosa: non saper valutare le fonti, capire i rischi, comprendere la natura dei contenuti», chiarisce il sociologo. L'indagine ha messo in luce i deficit più importanti: solo il 32,7% ha risposto in modo corretto a una domanda dettagliata sul funzionamento di Wikipedia, un'analoga percentuale (34,8%, bassa), è riuscita a riconoscere, dall'indirizzo web, una pagina di login falsificata e il 33% non si è reso conto dello scopo di lucro di un sito commerciale. Soluzioni? «Dieta mediale e utilizzo guidato per aiutarli nello sviluppo personale e scolastico — propone Marco Gui —. Siamo alla fase dell'autoapprendimento, manca ancora l'intervento del mondo adulto. Famiglia e scuola possono e devono trovare tempi e modi per condurre i ragazzi a un utilizzo intelligente e critico della rete. Che rimane, se usato correttamente, uno strumento fantastico». Marta Ghezzi Non sanno valutare le fonti, capire la natura dei contenuti. Smanettoni, ma acritici Soluzioni? Dieta mediale e utilizzo guidato. Usata bene, la rete è fantastica 41,9%I ragazzi che fanno i compiti scambiando informazioni con i compagni sul Web 21,7% La percentuale di quelli che visitano i siti per studenti, ma spesso con poco senso critico 29,4% Gli studenti che cercano su Internet dei materiali che semplifichino i compiti 27,5% I ragazzi che utilizzano il web per fare una ricerca assegnata dai professori L'indagine della Bicocca: Secondo uno studio dell'Università gli studenti lombardi di 15e 16 anni utilizzano Internet per i compiti. Ma in modo inefficace Secondo recenti indagini, in Europa nessuno come noi guarda tanto la tv e parla, twitta e messaggia su ciò che vede in tv. Possibile che non si possa parlare d'altro a casa e a scuola se Tata Tv non tiene noi adulti e bambini per ore sul divano fornendoci argomenti di conversazione, stili di vita e modelli di comportamento? _____________________________________________________ TST 2 Ott. ‘13 SINCRONIZZIAMO GLI OROLOGI (ATOMICI) O IL MONDO SI FERMERÀ Dalle Borse ai Gps, l'ambizioso progetto dell'UE A cosa serve misurare intervalli di milionesimi di secondo? Sembrerebbe «roba» astratta, da Guinness dei primati, ma per le Borse di Shanghai e Wall Street risulta utilissimo. Conoscere in tempi dell'ordine di frazioni di secondo i prezzi di azioni e di merci quotate influisce infatti sullo spostamento di tonnellate di denaro, e con effetti planetari. Basta pensare alle decine di migliaia di operazioni di compravendita effettuate in un solo istante dai sistemi automatizzati: oggi perfino i computer cominciano a faticare a reggere all'impatto delle comunità virtuali (e sempre più frenetiche) dei broker. Ma questi sono solo alcuni dei motivi per cui i migliori laboratori al mondo stanno sviluppando orologi atomici quelli che misurano il tempo sfruttando la cadenza dei fenomeni quantistici sempre più precisi: sono addirittura capaci di misurare la differenza dello scorrere del tempo tra la testa (più veloce) e i piedi di un essere umano, un fenomeno legato agli effetti della relatività generale. Lo spiega Paolo De Natale, fisico e direttore dell'Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ino-Cnr) di Firenze, raccontando l'ambizioso progetto, finanziato dall'Ue. L'obiettivo è creare una rete di fibre ottiche con cui sincronizzare centri di ricerca, società e industrie con gli orologi atomici di ultima generazione. Con il Cnr anche partner italiani come l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l'Università di Firenze. Al momento il primo tratto dell'«autostrada ottica» collega già Torino, sede dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim) che è promotore di questa iniziativa, a Bologna e Firenze, mentre la diffusione su scala regionale è ora all'esame del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. «Le realtà interessate ai nuovi orologi atomici sono numerose sottolinea De Natale -. È con questi che si migliora l'accuratezza di tutte le tecnologie che ne fanno uso». E gli esempi sono tanti, «dai Gps per la localizzazione millimetrica del viaggio o per tracciare da Terra le rotte fino al settore militare per la guida di ordigni intelligenti e dei droni». E ancora: a essere coinvolto è il campo dei computer quantistici e quindi della «criptografia quantistica, che rende possibile cifrare messaggi in modo tale che nessuna spia possa decifrarli». L'Italia punta a essere all'avanguardia e con gli orologi che spaccano i nanosecondi si vuole sapere qualcosa di più anche sui segreti del cosmo. «Potremmo confrontare continua il fisico l'assorbimento di luce in un atomo di idrogeno rispetto a un atomo di anti idrogeno, così da sapere se e quanto la materia e l'antimateria siano diverse e, forse, iniziando a capire in quale momento e perché nell'Universo sia prevalsa la prima rispetto alla seconda». È chiaro, quindi, che la tecnologia dedicata alla misura del tempo è di fronte a una nuova rivoluzione. E la matematica è sempre protagonista. Dagli inizi più lontani, con i principi che nel III secolo a. C. ispirarono Eratostene di Cirene a calcolare la circonferenza terrestre, fino agli Anni 60, quando agli orologi atomici si arriva dopo una lunga storia e una progressiva evoluzione, ripercorsa proprio da De Natale, con i colleghi dell'Ino-Cnr, Pasquale Maddaloni e Marco Bellini, nel saggio «Laser-based measurements for time and frequency domain applications»: qui dicono`gli autori rivive una vicenda di straordinari risultati scientifici. «Se i primi orologi a pendolo fluttuavano anche di una decina di secondi in un giorno e quindi dovevano essere periodicamente risistemati spiega Maddaloni oggi i migliori orologi atomici fluttuano di un secondo in un arco di tempo che è confrontabile all'intera età dell'Universo». ========================================================= ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 04 Ott. ’13 SI ACCORCIANO LE LISTE D'ATTESA INCHIESTA. Una giornata a prenotare esami e controlli specialistici nei centri cittadini Visita immediata dall'oculista, tre mesi per il geriatra Tempi d'attesa da uno a due mesi, ma nei casi più fortunati si può scendere. Le liste si accorciano, anche se resistono i casi di sofferenza. Novanta giorni per una visita geriatrica generica, dai sessanta in su per quella neurologica. Non va meglio se si è in cerca di una colonscopia o di un controllo alla vista. I tempi si dimezzano nel campo cardiologico, odontoiatrico, ortopedico. Sino alla piacevole sorpresa di un'attesa di appena tre giorni per chi bussa alle porte della dermatologia. I MIGLIORAMENTI Una mattinata di verifiche sul funzionamento della sanità cittadina convenzionata regala risultati confortanti. I tempi biblici di qualche anno fa, quando per una visita oculistica si doveva aspettare da un ottobre all'altro, sono un ricordo. Come nel caso di un'ecografia all'addome. «C'è posto a fine mese», informa l'operatore telefonico del Centro unico di prenotazione. E se si decide di fare qualche chilometro per raggiungere Quartu o la clinica di Decimomannu le code si accorciano. I CASI LIMITE Ma resistono le situazioni paradossali di attese che vanno oltre un anno per una visita urologica, soprattutto quando si cercano ospedali e reparti specifici. Come il caso segnalato da Gianni Floris, 65 anni, cagliaritano: «Il 30 settembre ho prenotato un controllo urologico al Santissima Trinità. Mi è stato detto che il primo posto disponibile è a novembre del 2014». Dal quartier generale dell'azienda sanitaria le spiegazioni non si fanno attendere. «Per alcune prestazioni c'è una sostanziale differenza nei tempi di attesa tra le diverse strutture: fenomeno legato alla fiducia che i cittadini nutrono nei confronti di alcuni ospedali o specialisti». CORSA VERSO GLI OSPEDALI Capita così che i presidi ospedalieri si intasino. «Molti utenti si rivolgono a queste strutture anche per esami di primo livello (visite ginecologiche, urologiche, colonscopie in pazienti sani). Sono molto spesso richieste inappropriate: gli ospedali specialistici si devono occupare solo di situazioni in cui la patologia è altamente probabile o conclamata». «NUOVA MENTALITÀ» La Asl chiede un cambio di mentalità: «I controlli di routine o gli screening andrebbero svolti in altre strutture a vocazione territoriale. Il paziente trova la stessa qualità e la stessa professionalità ma con tempi di attesa inferiori».  I DATI DELLA ASL La prova ci sarebbe. Secondo i dati dell'azienda di via Pier della Francesca, per urologia bastano 37 giorni al Poliambulatorio di Quartu, 14 nel privato accreditato. Va meglio per una visita cardiologica, dove dall'attesa di 23 giorni al Binaghi si scende a 8 giorni nel privato. E se si parla di neurologia in 22 giorni al Poliambulatorio di Quartu si sbriga tutto. Per oculistica basta un giorno nel privato, si sale a 27 per una colonscopia. RAMIFICAZIONE SUL TERRITORIO «Il lavoro degli ultimi quattro anni per l'abbattimento delle liste di attesa ha dato risultati molto positivi», si compiacciono i vertici della Asl. «Abbiamo attivato progetti ad hoc a livello ospedaliero e territoriale per aumentare le prestazioni settimanali», fa sapere la responsabile dell'area comunicazione Laura Alberti. «Oltre alle prestazioni erogate direttamente dall'Azienda, ormai da tre anni il Cup ha integrato anche quelle delle strutture private accreditate consentendo di tagliare drasticamente i tempi». Sara Marci MA I TEMPI SPESSO SI ALLUNGANO AL TELEFONO La voce metallica non si fa attendere: «La preghiamo di rimanere in attesa per non perdere la priorità acquista, grazie». Dieci e 44, sul display lampeggia lo 070-474747, il numero del Centro unico di prenotazione delle visite mediche. Cinque minuti con la cornetta incollata all'orecchio, il messaggio registrato si ripete identico per ben quindici volte. Bisogna resistere, altrimenti di perde «la priorità acquisita». Poi la voce diventa miracolosamente umana, e anche amichevole: «Nome, cognome, data di nascita, numero d'impegnativa». Dati fondamentali per arrivare al traguardo di un appuntamento certo con la visita specialistica. Qualche operatore va oltre e chiede residenza e numero di telefono. Per il resto il copione cambia poco: che si voglia prenotare una visita geriatrica, oculistica o una più antipatica colonscopia la trafila è identica. Dall'altra parte del telefono si scorrono gli elenchi sul computer per una rapida ricerca della struttura che offra il primo posto utile. Se va bene pochi giorni, se va male mesi. Ma il Cup ha una salute migliore rispetto a qualche anno fa. (sa. ma.) PARLA L'ASSESSORE ALLA SANITÀ SIMONA DE FRANCISCI: C'È DA MIGLIORARE REUMATOLOGIA «POSSIAMO FARE DI PIÙ» Il 20% di chi prenota diserta e non disdice: la Asl richiamerà VEDI LA FOTO «La situazione è nettamente migliorata, ma non ci accontentiamo». L'assessore regionale alla Sanità Simona De Francisci non vuole abbassare la guardia e punta a lavorare ancora per annullare le situazioni di disagio. «Nell'agosto 2011 durante la mia prima partecipazione a una riunione di Giunta avevo dichiarato guerra alle liste d'attesa. I risultati sinora ottenuti sono positivi ma possiamo fare di più».  All'assessorato di via Roma fanno sapere che con l'introduzione nel Cup (Centro unico di prenotazione) delle strutture private accreditate, si è passati dai 108 giorni necessari per potersi sottoporre a una risonanza magnetica nell'ottobre 2011 a un mese attuale, dai 107 di media per un eco-colordoppler al San Giovanni di Dio a 32. Rimangono alcune criticità. «Stiamo cercando di lavorare sulle liste d'attesa ancora troppo lunghe per Reumatologia», ammette l'assessore. «Il problema è che ci sono pochi specialisti nel settore. Si tratta di patologie che richiedono tempi rapidi, istituiremo una rete che ci consenta di dare tempi rispettabili ai cittadini».  In agenda anche l'istituzione di un Cup regionale che si occupi del cosiddetto recall. «Molti utenti non disdicono la prenotazione delle visite che non possono o vogliono più fare. Questo influisce sui tempi d'attesa. Con il servizio recall abbiamo calcolato che si guadagnerebbe il venti per cento di posti liberi». La Sardegna cerca di mettersi al passo con i tempi delle eccellenze italiane e europee. «I tempi sono migliorati in tutta l'Isola. Resistono alcuni casi di sofferenza, ma ci stiamo lavorando. A Nuoro abbiamo istituito una task-force per le liste d'attesa». (sa. ma.) VENTUN MILIONI DALLA REGIONE PER MIGLIORARE IL SERVIZIO Due anni fa la Giunta regionale ha pianificato il programma d'intervento per tagliare le liste d'attesa nella sanità. Uno stanziamento di 21 milioni è stato approvato per migliorare una situazione che aveva raggiunto vertici di criticità ormai insostenibili. E l'Azienda sanitaria di Cagliari ha ottenuto la fetta più grande, con 6 milioni e 900 mila euro di investimenti per accorciare i tempi tra le prenotazioni e le visite specialistiche nelle strutture pubbliche e in quelle private convenzionate. In questa direzione è stato attivato il circuito della distribuzione territoriale tra ospedali e cliniche private convenzionate. L'Azienda Brotzu ha ottenuto a sua volta un milione e 170 mila euro, mentre 941 mila euro sono stati attribuiti all'Azienda ospedaliero-universitaria, che governa la il Policlinico di Monserrato e il San Giovanni di Dio.  Le risorse restanti sono servite per ridurre i disagi nelle aree delle altre otto aziende sanitarie sarde. Il finanziamento più consistente dopo Cagliari è stato riservato all'Asl di Sassari, territorialmente la seconda nell'Isola, con 3 milioni e 262 mila euro. (sa. ma.) ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 06 Ott. ’13 AOUCA: UN LETTO TROPPO ALTO PER I SARDI. La donna, un'anziana di 78 anni, morì pochi mesi dopo a causa delle ferite riportate Policlinico condannato per la caduta di una paziente A norma per gli standard europei e per il resto degli ospedali italiani, ma troppo alti per molti pazienti sardi, specie quelli anziani. Questa la ragione che ha convinto il Tribunale civile di Cagliari a condannare il Policlinico dell'Università di Cagliari e la sua assicurazione (la Grupama) a risarcire, con circa 90 mila euro, i familiari di un'anziana paziente, deceduta nel 2002 all'età di 78 anni a causa di una rovinosa caduta dal letto del reparto in cui era ricoverata. LA SENTENZA Le motivazioni della sentenza sono rimaste a lungo confinate alla riservatezza delle parti, ma ora la notizia è filtrata nei corridoi del Palazzo di Giustizia per l'imminente discussione del processo d'appello. Nessuna colpa di medici e infermieri, prosciolti dopo l'indagine della Procura della Repubblica, ma una responsabilità condivisa dal Policlinico e dalla stessa paziente - come si legge nelle motivazioni - che non avrebbe ascoltato le raccomandazioni dei sanitari, alzandosi durante la notte senza farsi aiutare e cadendo rovinosamente. L'azienda universitaria, invece, avrebbe dovuto tener conto dell'altezza e del fatto che in Sardegna, al contrario di altre parti dove quel letto sarebbe stato perfettamente a norma, capita frequentemente di imbattersi in pazienti, specie tra gli anziani, di proporzioni - per così dire - contenute. LA CAUSA A chiedere l'intervento del Tribunale civile, dopo il decesso della donna, era stato l'avvocato Salvatore Stavolta, nominato dai figli della paziente settantottenne ricoverata undici anni fa, il 27 giugno 2002, in uno dei reparti del Policlinico di Monserrato a causa di problemi alle arterie e alle gambe, causati dal diabete. Due giorni dopo l'ingresso in ospedale, alle 4 e mezza del mattino, la paziente era caduta dal letto, riportando «un trauma a carico del bacino» e la frattura scomposta del femore sinistro. Trasferita alla clinica ortopedica dell'ospedale Marino di Cagliari, il 12 luglio era stata operata per ridurre la lesione, prima di tornare nuovamente al Policlinico. È qui che, pochi mesi dopo, il 21 ottobre, l'anziana signora era deceduta a causa del complicazioni seguite alle ferite riportate in quella rovinosa caduta dal letto. L'azienda ospedaliero-universitaria si era costituita in giudizio con l'Avvocatura di Stato, mentre l'assicurazione del Policlinico aveva nominato l'avvocato Marino Cotti che, dopo la sentenza, ha presentato appello. Al termine del processo di primo grado, il giudice del Tribunale, Graziella Bagella, ha sollevato da qualsiasi responsabilità il personale medico e infermieristico che, al contrario, aveva mostrato un comportamento «improntato alla massima prudenza e diligenza, tanto che in sede penale è stata disposta l'archiviazione del procedimento».  LA CADUTA A contribuire alla rovinosa caduta, poi rivelatasi fatale, sarebbe stata - invece - l'altezza eccessiva del letto: ben 78 centimetri da terra, incluso il materasso, contro gli appena 154 centimetri dell'anziana paziente. Sia chiaro: l'amministrazione del Policlinico non aveva acquistato letti irregolari, come accertato anche dal consulente nominato dal Tribunale che li aveva giudicati «a norma». Undici anni fa, infatti, non esisteva una disposizione precisa che individuasse limiti d'altezza dei letti fissi ospedalieri. L'unica norma riguardava quelli regolabili: nella posizione più bassa non potevano superare i 40 centimetri, escluso il materasso. SPIEGAZIONI L'ospedale - secondo il Tribunale - avrebbe dovuto tener dunque conto dell'altezza della paziente ricoverata, visto che in Sardegna non è raro trovare anziani che superino di poco il metro e mezzo. E la sentenza lo scrive a chiare lettere. «Nel caso in esame» chiarisce il giudice, «il letto di degenza, attesa la bassa statura della paziente, peraltro non eccezionale ma, al contrario, piuttosto ricorrente fra la popolazione sarda, tanto più fra quella anziana, era certamente inadeugato a garantire la sua icolumità». Il fatto che il nosocomio non avesse altri tipi di letti, secondo il giudice, ha sollevato da responsabilità medici e infermieri «non certamente il Policlinico universitario». Il Tribunale, in ogni caso, ha riconosciuto metà della responsabilità anche alla nonnina che, a quanto pare, «era stata invitata a rimanere a letto e ad avvalersi dell'ausilio del personale infermieristico a sua disposizione». Un concorso di colpa che ha dimezzato il risarcimento pagato dall'assicurazione agli eredi: poco più di 80 mila euro più gli interessi. Una sentenza che, nelle prossime settimane, sarà discussa in appello, dopo il ricorso dei legali di università e assicurazione.  Francesco Pinna ____________________________________________________________ Il Corriere della Sera 06 Ott. ’13 SE CURARSI DIVENTA TROPPO CARO ANCHE CON IL SERVIZIO SANITARIO Esami e visite in calo del 9% da un anno all'altro Racconta un'assistita piemontese: «Ho problemi alla tiroide e ogni anno devo fare i controlli: analisi del sangue, ecografia, visita dallo specialista; ho anche noduli al seno da monitorare e quindi devo fare annualmente pure l'ecografia mammaria. Io non ho diritto a esenzioni perché, almeno fino ad oggi, è andato tutto bene. Ma da quando hanno inserito i superticket non posso più sostenere queste spese e ho dovuto rimandare i controlli: la sola ecografia al seno mi costerebbe circa 50 euro di ticket, mentre prima ne pagavo 36. Altro che prevenzione e diagnosi precoce...». E un assistito ligure: «Ho fatto un ecocolordoppler presso la mia Asl: 11 mesi di attesa e quasi 50 euro di ticket. Poi il medico mi ha detto che in intramoenia (regime privato in ospedale, ndr) l'esame mi sarebbe costato la stessa cifra e non avrei dovuto aspettare tutto quel tempo». Sono solo alcune delle segnalazioni (giunte da diverse regioni al Pit salute del Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva) da parte di persone messe in difficoltà dalla cosiddetta "compartecipazione" alla spesa sanitaria, soprattutto dopo l'introduzione nell'estate 2011 dei "superticket" su visite specialistiche ed esami diagnostici erogati dal Servizio sanitario: un'ulteriore quota di 10 euro da pagare (con rare eccezioni di qualche Regione, lievi "modulazioni" in altre, ma anche "maggiorazioni" in altre ancora, vedi sotto) che va ad aggiungersi ai ticket che già si dovevano (fino a un massimo di 36,15 euro). Superticket, dunque, che pesano sulle tasche degli italiani, con cifre diverse da regione a regione, a volte addirittura più "salati" dei rimborsi regionali alle strutture che erogano le prestazione (vedi tabella); compartecipazioni alla spesa sanitaria che sembrano impazzite, e che fanno male anche alla salute. «Quest'anno per la prima volta abbiamo registrato tra i principali ostacoli nell'accesso alle cure anche il "peso" dei ticket sulla diagnostica e la specialistica — conferma Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato — . I cittadini che ci contattano ritengono il superticket una "tassa sulla salute" ingiusta, che li costringe sempre più spesso a rinunciare alle cure o a rimandarle, oppure a pagare di tasca propria quando, per esempio, c'è il sospetto di una malattia grave. E i disagi maggiori li stanno affrontando coloro che vivono in Regioni sottoposte ai cosiddetti piani di rientro». Fermo restando che, secondo i dati del Ministero della Salute, circa 6 italiani su 10 usufruiscono di esenzioni (per patologia, per reddito o per altre condizioni, vedi articolo a destra), per gli altri che devono sottoporsi a esami o visite, i superticket stanno diventando un salasso, per molti insopportabile. E, da un anno all'altro, sono diminuite di quasi il 9% le prestazioni specialistiche ambulatoriali, come rilevano i dati raccolti in 11 Regioni dall'Agenzia nazionale dei servizi sanitari (Agenas) nell'ambito del programma ReMoLet (Rete di Monitoraggio Lea tempestiva). Lo studio ha messo a confronto le prestazioni erogate nel primo semestre del 2012 con quelle dello stesso periodo dell'anno precedente. «Il calo arriva al 17,2% nella fascia di popolazione che non ha esenzioni né per patologie né per reddito — fa notare il direttore di Agenas, Fulvio Moirano — . Questo dato suggerisce che, a causa dei maggiori costi delle prestazioni nel Servizio sanitario, un cittadino su cinque ha deciso di non richiederle o di acquistarle dalle strutture private (o in intramoenia, si veda articolo nelle pagine successive)». «Non fare accertamenti necessari significa rinunciare alla prevenzione, ma anche non curare in tempo le malattie, con maggiori costi futuri, peraltro, a carico del Servizio sanitario — sottolinea Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di igiene all'Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma e coordinatore di Osservasalute, l'Osservatorio che monitora da 10 anni la salute degli italiani —. Per esempio, una donna che deve fare la mammografia perché presenta fattori di rischio, come noduli al seno e familiarità, può arrivare in qualche Regione a spendere anche 70-80 euro, e in tempo di crisi spesso decide di non farla». «Nell'ultimo periodo — continua Ricciardi — abbiamo verificato che la compartecipazione alla spesa è tra i principali fattori che disincentivano la prevenzione, oltre che uno strumento di sperequazione, perché fa aumentare la differenza tra persone che possono permettersi di pagare per curarsi e quelle che invece sono in difficoltà economiche, soprattutto nell'Italia Centro-meridionale». «L'attuale sistema dei superticket va corretto perché sta negando ad alcuni cittadini il diritto alla salute, ma mette anche a rischio la tenuta del Servizio sanitario — interviene Valerio Alberti, presidente di Fiaso, la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere —. Stiamo preparando una proposta per rendere più equo l'accesso alle prestazioni e, al tempo stesso,salvaguardare la sostenibilità del sistema. Ma, per risparmiare e offrire migliori servizi, occorre anche mettere in rete le "buone pratiche" e puntare sulla qualità dei manager delle aziende sanitarie». Sulla revisione della compartecipazione alla spesa sta lavorando anche la Conferenza Stato-Regioni. Nel frattempo, è stata sospesa l'introduzione di nuovi ticket (importo complessivo stimato, 2 miliardi annui) a partire da gennaio 2014. Ma tocca alla prossima Legge di stabilità assicurare la copertura di quel gettito. _____________________________________________________ La Stampa 2 Ott. ‘13 IL NUOVO RETTORE: "POCHI POSTI A MEDICINA" ANDREA CIATTAGLIA E dire che tra cinque/dieci anni, stimano i medici stessi, ci sarà in Piemonte un calo eclatante dei professionisti a causa dei molti prossimi pensionamenti e delle pochissime sostituzioni, L'ha ricordato anche il neo rettore Gianmafia Ajani nel suo primo intervento pubblico: «I posti a disposizione degli aspiranti medici sono troppo pochi, ancora meno circa 250 all'anno quelli delle scuole di specialità». «Il possibile aumento dei posti a Medicina, dipende anche dalla disponibilità di aule e dalla qualità delle strutture», osserva Ghigo, in sintonia col rettore sulla necessità di formare più medici e specialisti. «Certo che con gli investimenti edilizi bloccati aggiunge la soluzione non è vicina: anche quest'anno la didattica a Medicina sarà condizionata dagli spazi con agibilità ridotta delle aule alle Molinette». Il che porta il discorso dritto alla Città della Salute: «È un progetto necessario dice Ajani a partire dalla torre chirurgica, ma è necessario che Regione e Università collaborino e vadano insieme a Roma a fare pressioni per lo stanziamento dei fondi». _____________________________________________________ Il Mattino 2 Ott. ‘13 TEST MEDICINA: DA NORD A SUD MIGRANO IN 359 Marco Esposito Sono 223 i ragazzi del Sud (tra i quali 189 molto bravi) che hanno ottenuto l'iscrizione in atenei del Nord e per contro sono 359 i ragazzi del Nord (trai quali solo 6 risultano molto bravi) che per iscriversi a medicina si sposteranno in un ateneo del Sud. Il Mattino lo aveva anticipato nei giorni scorsi, ma adesso i dati sono ufficiali del ministero dell'Università guidato da Maria Chiara Carrozza. Quest'anno per la prima volta si è sperimentata la graduatoria unica nazionale per l'accesso a medicina. Come è noto si sono sottoposti à test in 69.000 per 10.300 posti. I risultati permettono di radiografare la qualità della scuola italiana superiore. I ragazzi residenti nel Nord (e in particolare nel Nordest) hanno ottenuto in media risultati migliori al test. La più brava di tutte è stata Giulia Tufano, cognome napoletano ma diciannovenne cresciuta a Bassano del Grappa e da oggi iscritta all'università di medicina di Padova, l'unica in Italia a superare 80/90. In media il punteggio al test tra chi ha ottenuto l'ingresso nelle università è stato di 50/90 al Nord contro 47/90 del Sud e 48/90 del Centro, ovvero ci sono state due risposte esatte in più sui 60 quesiti nei test compilati dagli studenti delle scuole del Nord. Il tema della qualità della formazione scolastica emerso dai test Invalsi e Pisa è quindi confermato in un microcosmo di élite come gli aspiranti studenti di medicina. Il test unico nazionale, inoltre, permette dei flussi di studenti da Sud verso Nord e viceversa. Anche qui sono diversi i dati interessanti. Gli studenti del Sud infatti hanno una più spiccata propensione alla mobilità e hanno indicato come prima scelta con elevata frequenza (il 20% cioè uno ogni cinque) un ateneo fuori dalla propria area territoriale, mentre ciò riguarda solo una minoranza degli studenti del Nord (meno del 2%) e del Centro (7,5%). Il risultato è che ci sono 189 studenti del Sud «molto bravi» (definendo così i 7.200 su 69.000 che hanno ottenuto il posto dove hanno svolto il test) i quali potranno iscriversi in atenei del Nord sottraendo il posto a ragazzi del Nord meno capaci (il caso inverso, cioè ragazzi molto bravi del Nord che hanno conquistato un posto al Sud, è limitato a 6 unità). Ci sono anche 395 studenti del Sud molto bravi che hanno cercato e ottenuto il diritto a iscriversi in un ateneo del Centro. Gli altri spostamenti territoriali di studenti molto bravi non sono numericamente rilevanti. Se si allarga il quadro considerando anche chi ha ottenuto un posto di seconda scelta, allora gli spostamenti territoriali riguardano anche i ragazzi del Nord, dei quali ben 508 dovranno spostarsi nel Centro e 353 nel Sud. Gli atenei del Centro sono in generale terra di conquista, visto che accoglieranno, tra prime e seconde scelte, 556 studenti provenienti dal Nord e 517 provenienti dal Sud. In sintesi si può dire che lo spostamento da Sud a Nord è in massima parte voluto e ottenuto grazie a buoni risultati ai test, mentre lo spostamento da Nord a Sud è frutto di una seconda scelta e dovuto più che alla brillantezza del test ai risultati insufficienti dei ragazzi del Sud che si sono presentati in atenei del Mezzogiorno. Con qualche eccezione, di non poco conto: chi ha fatto i test alla Federico II di Napoli, ma anche a Bari e a Catania non ha sfigurato e ha riempito la totalità o la quasi totalità dei posti di medicina e di odontoiatria a disposizione. ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 04 Ott. ’13 BONUS MATURITÀ, SÌ ALLE CAUSE Cambiate le regole: Casa dei diritti prepara una class action Test per l'accesso alle facoltà a numero programmato: partono i ricorsi di “Casa dei Diritti”. Il giovane Giorgio è stato il primo, ora stanno proseguendo a decine. Sono i ragazzi che hanno sostenuto lo scorso 9 settembre il test di ammissione alla facoltà di Medicina e Chirurgia o a quella di Odontoiatria. Hanno chiesto aiuto all'associazione Casa dei Diritti. Il motivo? Entrati in aula convinti che il bonus maturità attribuisse loro un giusto vantaggio, all'uscita hanno invece scoperto che il Decreto Legge n°104/2013 lo aveva abrogato. «Un cambio delle regole in corsa, illegittimo e soprattutto inaccettabile», tuona Carlo Asili,. Così i legali dell'associazione, interpellati dalle aspiranti matricole beffate, hanno dato parere favorevole. «I ricorsi si possono, anzi si debbono, fare». Casa dei Diritti ha dato quindi mandato agli avvocati Renato Chiesa e Umberto Cossu per promuovere presso il Tar del Lazio una class action per gli studenti meritevoli: i ricorsi verranno depositati in settimana. «Ci aspettiamo una completa revisione della graduatoria finale che valorizzi la qualità dei risultati scolastici, in linea con i principi di meritocrazia stabiliti dal Decreto legislativo n° 21/2008», chiosa Asili, «per saperne di più e aderire alla nostra azione legale collettiva, i riferimenti sono i seguenti: email info@casadeidiritti.org, telefono 339/6654809». «Dovunque ci sia un diritto da tutelare ci siamo noi», recita lo slogan di Casa dei Diritti. Ed in effetti sono tante le battaglie condotte e spesso vinte. L'associazione si è occupata, ad esempio, dei lavoratori dei callcenter Quality Sardinia, Video on line 2 e Urania 2004, degli autovelox di Las Plassas, Uta, Monastir e dei Vigili del fuoco discontinui. Tra le tante iniziative anche battaglie sul testamento biologico, a favore della terapia Stamina e per il rientro nell'Isola dei detenuti sardi costretti a scontare la pena oltre Tirreno, lontano da casa. (p.l.) ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 03 Ott. ’13 RINUNCE E RIPESCAGGI ULTIMA SPERANZA PER I NON AMMESSI Sperare che le matricole del Nord non mettano il camice bianco in valigia è tutto quello che potranno fare gli studenti che non hanno superato il test d’ingresso nell’ateneo cagliaritano. Almeno fino al 15 ottobre, quando inizieranno le lezioni. I risultati della prova di ammissione alla facoltà di Medicina parlano chiaro: dei 198 posti disponibili in città, 38 andranno ad aspiranti medici provenienti dal resto d’Italia, risultati più preparati. La graduatoria nazionale, introdotta da quest’anno, è stato un banco di prova superato a metà. Degli oltre 1.850 ragazzi che il 9 settembre scorso hanno sostenuto il test alla cittadella di Monserrato, 160 (l’82%) hanno ottenuto una votazione sufficiente a garantire loro l’iscrizione nella sede di prima scelta, Cagliari appunto. Un 20 per cento (38 studenti), invece, suo malgrado, dovrà cedere il numero di matricola tanto ambito. Questo perché i vincitori, coloro che sono arrivati tra i primi 10mila (su 85mila) nella graduatoria nazionale, se non dovessero riuscire ad entrare nella sede di prima scelta (quella in cui hanno sostenuto il test) potranno iscriversi nelle sedi (di seconda o terza scelta) indicate nella domanda di partecipazione. In caso di mancato trasferimento gli studenti sardi non ammessi potrebbero quindi essere ripescati. Se per il corso di laurea in medicina «è andata bene, perché sulla base dei risultati dei test degli anni scorsi ci aspettavamo un 40 % di studenti provenienti da fuori», ha sottolineato il presidente del corso di laurea, Luigi De Melia, lo stesso non si può dire per odontoiatria: su 23 posti disponibili soltanto 1 (meno del 5%) andrà a uno studente sardo. Il listone nazionale che, per la prima volta in assoluto, ha messo a confronto la preparazione dei neodiplomati di tutta Italia, porterà con sé anche altre novità che, per ora, si possono soltanto immaginare. «Gli studenti non sardi, ipoteticamente, l’anno prossimo chiederanno il trasferimento, e ci sarà un movimento di studenti da sede a sede che potrebbe creare problemi all’avviamento della didattica», spiega il presidente De Melia. «Il trasferimento sarà possibile soltanto se ci saranno posti vacanti perché il numero programmato (a Cagliari 205, cioè 198 più 7 studenti extracomunitari) resta sempre uguale per tutti gli anni ed è stabilito dal Miur». Veronica Nedrini ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 30 Nov. ’13 CEIS: PER MEDICI E INFERMIERI ORGANICI IN ESUBERO Rapporto Ceis. I numeri degli ospedali regionali LE CIFRE Secondo il «Rapporto Sanità» ci sono 18.800 camici bianchi e 28.800 infermieri in più rispetto al target Spendiamo per la salute il 24% in meno dell'Europa a 14, le famiglie si impoveriscono e nelle regioni canaglia sotto commissariamento (o quasi) gli italiani pagano sempre di più di tasca propria tra ticket e super addizionali. Mentre le risorse per la ricerca sanitaria sono pressoché tutte private e intanto perfino la farmaceutica ha lasciato per strada 20mila dipendenti in dieci anni e solo l'anno scorso ha perso il 5% di aziende. Non sono esattamente numeri da vantare, anche sotto differenti profili, quelli della sanità pubblica italiana. Anche se un primato, a quanto pare, lo deteniamo: l'eccesso di medici e di infermieri. Ben 18.800 camici bianchi e dentisti in più e addirittura 28.800 infermieri in esubero rispetto ai posti letto, dopo la potatura praticata ormai da anni negli ospedali. Non sono di sicuro cifre che faranno piacere alle categorie della sanità quelle presentate ieri dal Ceis dell'Università Tor Vergata di Roma nel nono «Rapporto sanità». Cifre scomode, tanto più dopo anni di blocco dei contratti, pensionamenti, blocchi del turn over e impiego massiccio di precari per tappare le falle nelle corsie. Numeri che sembrerebbero non tornare davanti alle dure prese di posizione dei sindacati. E che potrebbero creare qualche malumore aggiuntivo, se possibile, in vista di una legge di stabilità che sarà sparagnina, a dir poco, col Ssn, dopo la tempesta imperfetta della spending review. Eppure lo studio illustrato ieri a Roma non esita a dare i numeri degli esuberi – che definisce «potenziali» – dei dipendenti medici e non del Ssn. A causa del taglio dei posti letto della spending, sia chiaro. Secondo il rapporto, che ha per riferimento le dotazioni organiche ospedaliere regionali e che considera come target gli indicatori delle regioni più virtuose (le prime tre con meno infermieri per posto letto e le 5 migliori nel rapporto medici/infermieri), emerge un quadro di organici non esattamente «omogeneamente distribuiti». Ne vengono fuori così scostamenti dal target «decisamente rilevanti»: fino al 25% nelle regioni del centro Italia per gli infermieri; e oltre il 30% per medici e dentisti, con la punta del 34% ancora nelle Regioni del centro del Paese. Ma sia chiaro: neppure il Nord la fa franca, tanto che dovrebbe ridurre del 13% gli infermieri e del 14% i dottori. Insomma: 28.800 infermieri potenzialmente in esubero e 18.800 medici in più, fotografando la realtà al 2010, dunque «senza tenere conto degli ulteriori tagli di posti letto della spending review». Con valori regionali che oscillano dai 5.632 infermieri in più in Lombardia ai 2.222 del Piemonte e ancora su oltre 4mila nel Lazio e 3.800 in Campania. E ancora in Campania (2.869), Lazio (2.754) e Sicilia (2.260) ci sarebbe il maggior esubero di medici. E se le lame della spending tagliassero ancora? «La forbice di esuberi – conclude il rapporto – si allargherebbe». R. Tu. ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 03 Ott. ’13 Sanità. I risultati del rapporto Agenas TRA GLI OSPEDALI ECCELLE LA TOSCANA MALE LA CAMPANIA Sono stati presi in esame dal «Programma nazionale esiti» 1.400 nosocomi e case di cura in tutto il territorio nazionale Paolo Del Bufalo Oltre 1.400 ospedali e case di cura al setaccio. Con la Toscana al top per i risultati ottenuti nei ricoveri di 47 patologie, seguita da Emilia Romagna e Lombardia. E Campania, Puglia e Molise che ottengono i risultati peggiori, con tutte le Regioni commissariate per i conti sanitari in rosso. Questi i risultati del «Programma nazionale esiti 2012», appena elaborato dall'Agenas, l'agenzia nazionale per i servizi sanitari. Il rapporto mette a confronto ogni anno – questa è la quarta edizione – i risultati ottenuti in base a 47 indicatori comuni a tutti gli ospedali (nel complesso gli indicatori sono passati da 45 a 100), che vanno dalla mortalità a 30 giorni per ictus a quella per infarto, dalla proporzione dei parti con taglio cesareo alle complicanze a 30 giorni per colecistectomia. Senza fare classifiche, chiarisce l'Agenas, perché l'obiettivo non è il confronto tra le strutture né di individuare "buoni" e "cattivi", ma quello della massima trasparenza possibile, per consentire alle Regioni, grazie ai dati, la migliore programmazione. E i risultati ci sono. A esempio nelle fratture del femore operate entro due giorni, passate da una media del 30% in Italia nel 2005 a oltre il 40% nel 2012. O ancora i cesarei che sono scesi dal 2009 al 2012 di oltre il 3% a livello nazionale, anche se esistono alcune realtà (e Regioni come la Campania) che viaggiano su medie ben oltre il 50%, fino anche a sfiorare il 100% di nascite con il bisturi. Ogni anno, insomma, un panorama nuovo dei ricoveri italiani. A livello di singola struttura e di singolo indicatore, i risultati migliori (secondo elaborazioni della Toscana) sono di più nelle Regioni del Nord, ma non sempre. Esistono infatti casi in cui gli ospedali del Sud battono tutti. Come a esempio nella mortalità per infarto a 30 giorni dal ricovero, in cui la percentuale più bassa (0,82%) è quella dell'ospedale Sacro Cuore di Gesù di Lecce. O ancora la mortalità a 30 giorni dall'intervento di angioplastica coronarica, un intervento importantissimo come salvavita in alcune tipologie di infarto acuto: al Civico di Palermo la percentuale di mortalità si ferma allo 0,99% dei casi trattati contro una media nazionale del 3% e il risultato peggiore in Puglia al Miulli di Bari che raggiunge il 13 per cento. Poi un lungo elenco di successi da Roma in su: la minore percentuale di parti cesarei in Italia è a Udine, all'ospedale di Palmanova (4,6%); per ictus a 30 giorni dal ricovero si muore in assoluto di meno al Serristori di Firenze (1,3%); la mortalità più bassa per bypass è all'ospedale SS. Antonio e Biagio di Alessandria (0,16%); il maggior numero di fratture del femore operate entro 2 giorni è al S. Eugenio di Roma (94,24%); il più elevato numero di operazioni alla colecisti senza usare il bisturi (laparoscopia) è in Toscana all'ospedale della Valdinievole (97,17%). Tutti dati che il ministero della Salute vorrebbe anche mettere a disposizione dei cittadini, non solo italiani, per permettere a tutti anche a livello di altri Paesi di scegliere la struttura migliore per la prestazione di cui hanno bisogno, in vista della mobilità sanitaria in Europa. Già molte Regioni, del resto, hanno messo questi dati a disposizione dei propri assistiti: in Toscana ad esempio, che ha ottenuto i risultati migliori nel complesso per il 2012, sia pure con qualche neo, gli esiti sono già on line e consultabili da tutti i cittadini dal sito della Regione. © RIPRODUZIONE RISERVATA ____________________________________________________________ Il Sole24Ore 06 Ott. ’13 L'ITALIA UNITA DELL'ICT I nuovi servizi saranno contenuti in datacenter regionali e privati. Da qui, utilizzati via cloud dalla pubblica amministrazione e dai cittadini La razionalizzazione dei centri di elaborazione dati porterà a un risparmio di 5,6 mld di euro Alessandro Longo Il futuro del cloud computing passa da un nuovo equilibrio tra accentramento delle competenze e impegno sui territori. Così il cloud potrà assolvere il proprio compito di acceleratore dell'Agenda digitale, cambiando il tessuto sociale e industriale italiano. Sta prendendo questa forma l'impegno dei principali attori del settore: istituzioni deputate all'Agenda e fornitori di servizi. Per esempio lo si vede nel piano che hanno in mente adesso l'Agenzia per l'Italia digitale e Francesco Caio (commissario alla Presidenza del Consiglio per l'Agenda). «Le Regioni diventeranno le responsabili dell'Ict pubblico e quindi si faranno portatrici di accentramento di servizi e infrastrutture per la Pa», dice Agostino Ragosa, direttore dell'Agenzia. Nasceranno così i primi datacenter nazionali per l'Ict nella pubblica amministrazione, a cura delle Regioni. Saranno circa due (o poco più) per regione, quindi 40-50, contro i 4-5mila Ced (Centri elaborazione dati) ora sparsi tra Pa locali e centrali. La razionalizzazione dei Ced vale risparmi per 5,6 miliardi di euro in cinque anni, per l'Italia, secondo una stima degli Osservatori Ict del Politecnico di Milano. È logico che l'accentramento delle infrastrutture si sposi con quello dei servizi. La chiave fondante del cambio di paradigma è proprio il cloud. I nuovi servizi digitali previsti dall'Agenda, come il fascicolo sanitario elettronico e l'anagrafe nazionale della popolazione, saranno presenti su datacenter (non solo quelli regionali ma anche quelli di privati) e da qui utilizzati via cloud dalle singole Pa e dai cittadini. È previsto per novembre il primo bando per i servizi cloud pubblici, da 2 miliardi di euro. Servizi e nuovi datacenter vanno di pari passo, perché «possiamo mettere i dati importanti della Pa e dei cittadini solo su server che rispondano ad alti requisiti di sicurezza e affidabilità», dice Ragosa. È necessario anche che siano collegati in banda larga a infrastrutture capillari, che arrivino a tutti i Comuni. Cambiare l'Italia in questo modo richiede quindi interventi di sistema, perché un solo tassello fuori posto nel piano (come può essere un collegamento di rete inaffidabile dal centro alla periferia) può farlo fallire del tutto. È la stessa filosofia perseguita da alcuni grandi vendor. Hanno capito che il cloud può servire per diffondere il digitale nelle aziende italiane, ma da solo non basta. Deve essere sostenuto da un lavoro di tutti gli attori, per la maturità dell'offerta e lo sviluppo della cultura digitale sul territorio. La pensa così Microsoft, che ha presentato in settimana una ricerca Ipsos Mori secondo cui il 44 per cento delle pmi già usa il cloud e ne ricava vantaggi per il proprio business. «Peccato però che spesso alle Pmi mancano le risorse e nel 42% dei casi non hanno nemmeno un It manager», dice Vincenzo Esposito, direttore della divisione Piccola e media impresa e partner di Microsoft Italia. «Ecco perché Microsoft s'impegna per accompagnare le Pmi nel loro percorso di innovazione con la consulenza dei 27mila partner presenti sul territorio e con iniziative di formazione, tra cui la recente "Digitali per crescere", aggiunge. La domanda di digitale insomma non cresce da sola, in Italia. Va accudita. Con la divulgazione e con le infrastrutture. E non dall'alto, ma lavorando sui territori. Come fa l'operatore trentino Brennercom, che offre servizi cloud e al tempo stesso, questa settimana, ha annunciato un collegamento a 100 Gigabit tra i datacenter di Trento e Bolzano. Il cammino però è ancora lungo. «Lo scoglio più difficile sarà trovare la quadra tra coinvolgere i territori e al tempo stesso armonizzare le differenze normative che sono ancora enormi, tra una Regione e l'altra, per i servizi digitali», dice Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba, uno dei principali provider europei. «Ogni Regione ha regole diverse. Alcune non vogliono mettere su datacenter privati i dati giudiziari e sanitari», aggiunge. L'Italia unita dell'Ict è ancora da farsi. Ma molti ci stanno provando con entusiasmo nuovo. _____________________________________________________ Il Mattino 4 Ott. ‘13 FEDERICO II, CRONACA DI UN DECLINO tra reparti chiusi e infermieri anziani I posti letto scesi da 1300 a 960 Per contratto i medici lavorano 26 ore settimanali invece di 38 Gerardo Ausiello Mancano gli infermieri, mancano i portantini, scarseggiano persino tecnici e magazzinieri. Negli anni d'oro il Policlinico della Federico II di Napoli poteva permettersi di utilizzare una squadra di dipendenti come fattorini. Ogni giorno raccoglievano i prelievi di sangue dai vari padiglioni per portarli al laboratorio centrale. Ma quelli erano altri tempi. Distanze siderali. SERVIZI A RISCHIO Da allora le cose sono molto cambiate. Oggi i dipendenti-fattorini non esistono più. E, a causa del blocco del turn over, non sono stati rimpiazzati. Così tra disagi e proteste per risolvere il problema si è fatto ricorso a una ditta esterna. Stesso copione per il magazzino e la farmacia. «Di questo passo dicono gli operatori tra poco saremo costretti ad appaltare anche i pazienti». Laddove non è possibile affidarsi a un service, scattano invece decisioni drastiche: i reparti vengono chiusi, ridimensionati, accorpati. Benvenuti nel Policlinico federiciano. Un'elaborazione della Regione Toscana su dati Agenas, poi smentita dalla stessa Agenzia nazionale peri servizi sanitari regionali, lo indica come il peggior ospedale italiano. Ma, al di là delle classifiche, le criticità sono davvero tante. Troppe. E in certi casi sono diventate gravi emergenze. Sos personale Dal 2009 in Campania, per effetto dei conti in rosso, non e più possibile sostituire i dipendenti che vanno in pensione. È la mannaia del blocco del turn over che, combinata alle scarse risorse del fondo sanitario nazionale (63 euro pro capite in meno rispetto alle Regioni del Centro-Nord), ha prodotto effetti disastrosi. Il nuovo Policlinico ha dovuto rinunciare a quasi 1500 unità mentre in parallelo i posti letto sono scesi da 1300 a960. Attualmente i dipendenti dell'azienda ospedaliera universitaria sono 2100, di cui 800 medici e professori. «Ma è come se fossero molti di meno perché i nostri medici, per contratto, lavorano 26 ore alla settimana contro le 38 dei colleghi di un normale ospedale spiega il direttore generale Giovanni Persico È chiaro che i conti non tornano». La musica non cambia se si considerano gli infermieri: secondo la pianta organica disegnata dal manager, ne servirebbero almeno altri 800. «Eppure mi accontenterei di un terzo di quelli indispensabili. Sarebbe già una boccata d'ossigeno», insiste. Nel frattempo si va avanti alla giornata, si tira a campare. «Ormai la chiusura dei reparti è diventata in certi casi l'unica via d'uscita ammette sconsolato Luigi Mastantuono, segretario della Cisl Università Ecco che sette chirurgie sono state accorpate in un unico dipartimento, al padiglione 12, così come i reparti di ortopedia, prima distribuiti su cinque piani, sono stati concentrati in un solo livello». Neppure con i doppi turni e gli straordinari si riescono a tappare le falle. «Molti dipendenti si fanno carico addirittura di cento ore di straordinario al mese sottolinea Mastantuono Talvolta un infermiere è costretto a lavorare 24 ore di seguito, senza sosta. Per questo in tanti stanno rifiutando i doppi turni. Anche perché l'età media del personale supera i 50 anni». A farne le spese sono i cittadini. Già, perché le liste d'attesa spesso raggiungono tempi record. Così si sta facendo strada una convinzione diffusa che suona come un campanello d'allarme: tanto vale operarsi, per chi può permetterselo, in strutture private. Oppure andare fuori regione, come fanno sempre più persone. BOOM DI CESAREI Al Policlinico della Federico II solo un parto su due avviene in modo naturale. Una percentuale elevata rispetto ad altre regioni del Sud ma altissima se si guarda al Centro-Nord. Perché tutti questi interventi chirurgici? «Il numero di cesarei è alto perché il nostro è un centro di terzo livello che quindi ospita casi difficili e gravi risponde Persico Penso a donne contagiate dal virus Hiv, ad extracomunitarie in condizioni di salute critiche, a mamme cardiopatiche o affette da patologie rare». «Senza contare che dobbiamo fronteggiare disagi enormi come la mancanza di anestesisti dedicati all'epidurale. Spesso ci vengono "prestati" da altri ospedali osserva Carmine Nappi, primario di Ginecologia E poi esiste il diritto all'autodeterminazione in base al quale le donne scelgono liberamente il cesareo per soffrire di meno. In ogni caso dobbiamo certamente continuare a lavorare per aumentare il numero di parti naturali». NIENTE PRONTO SOCCORSO Nonostante il pressing della Regione, le attività d'emergenza stentano a decollare, specie per l'ictus cerebrale e per la cardiochirurgia. I finanziamenti pubblici (153 milioni all'anno), replicano gli operatori, non bastano. Servirebbero risorse per ristrutturare i padiglioni, acquistare nuove attrezzature, potenziare l'assistenza e la didattica. «Ciò nonostante, non abbiamo mai rifiutato un paziente», s'affretta a puntualizzare Persico. «Peraltro, poiché partecipiamo come secondo livello alla rete dell'emergenza, al Policlinico vengono destinati molti casi disperati, come i malati cronici o terminali aggiunge Maria Triassi, direttore dell'Istituto di igiene dell'Ateneo Di conseguenza le percentuali di mortalità aumentano». ____________________________________________________________ Corriere della Sera 06 Ott. ’13 GIUSTO MISURARE I RISULTATI IN SANITÀ MA CERTE CLASSIFICHE SONO INUTILI Appena resi noti i dati sul Programma nazionale esiti (Pne) dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Age.Na.S) sono scoppiate le polemiche, ma prima di tutto è bene ricordare che misurare i risultati in sanità è un'ottima cosa. Sapere cosa si fa, in che tempi e con quali risultati, è fondamentale per misurare la qualità delle cure e dell'organizzazione sanitaria che offriamo ai cittadini; ben venga quindi il lavoro di Age.Na.S. Il Pne fotografa una sanità che migliora, basti citare ad esempio la riduzione della percentuale di parti cesarei primari, un indicatore di qualità delle cure che in Italia è sempre stato peggiore che negli altri Paesi occidentali: nel 2004 era pari al 37,5% contro una media europea inferiore al 25%, nel 2011 la percentuale era già scesa al 27,4 per diventare il 26,7% nel 2012.  L'immagine è però quella di un Paese spaccato in due: sempre facendo riferimento ai cesarei, la larghissima maggioranza delle strutture che ne abusano sono concentrate in Campania, 9 tra quelle con le percentuali maggiormente negative (la decima è a Roma), tutte con oltre 70% di parti chirurgici, fino a oltrepassare il 90%. E se un bypass aortocoronarico ha ormai una mortalità con percentuali inferiori all'1% nelle regioni del Nord, lo stesso intervento al Sud può arrivare ad avere una mortalità ben al di sopra del 6% e perfino del 14%.  Analoghe considerazioni valgono per la gran parte delle valutazioni riportate nel rapporto dell'Age.Na.S, che apre così indirettamente una riflessione sulle criticità di un federalismo sanitario esasperato, ormai sconfinato in un federalismo medico che non sembra in grado di garantire a tutti gli stessi livelli di qualità delle cure. Tutti cittadini italiani, ma campani, siciliani, lombardi o toscani nella malattia.  Va poi segnalato l'uso improprio di un serio programma di valutazione delle cure per stilare forzose classifiche sugli ospedali migliori o peggiori: non è questo lo scopo del Pne e una sua estrapolazione in tal senso condurrà solo a inutili storture e gratuite polemiche. Sergio Harari sharari@hotmail.it ____________________________________________________________ Sanità News 01 Ott. ’13 DAL CNR UNA RICERCA SULL’EREDITARIETA’ DEL SISTEMA IMMUNITARIO Il sistema immunitario e’ un complesso network di cellule, tessuti e organi che lavorano insieme per combattere gli agenti patogeni. Il numero delle cellule immuni e’ particolarmente importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e per il nostro stato di salute, ma non e’ chiaro se esso dipenda semplicemente dalla reazione rispetto alle infezioni o se sia anche soggetto a fattori genetici. La ricerca e’ stata pubblicata su Cell con oltre 30 autori italiani quali primi o ultimi firmatari, a poche settimane di distanza da un’altra pubblicazione dello stesso gruppo su Science. Il gruppo di ricerca guidato da Francesco Cucca, direttore dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irgb-Cnr), ha evidenziato come anche la genetica giochi un ruolo fondamentale nella regolazione dei livelli circolanti di cellule del sistema immunitario. “Obiettivo dello studio e’ capire se e in che misura le cellule circolanti del sistema immune siano ereditate per linea famigliare e quali geni siano eventualmente implicati”, afferma Serena Sanna, ricercatrice dell’Irgb-Cnr che ha coordinato le analisi statistiche. “I risultati del lavoro hanno dimostrato che i livelli delle cellule hanno una forte base ereditaria e, ad avvalorare questa tesi, sono stati identificati numerosi siti del genoma umano coinvolti in tale regolazione genetica”. Il team di ricercatori ha analizzato il ruolo dei geni nella regolazione dei livelli di circa 100 differenti tipi cellulari attraverso uno studio di associazione condotto in un totale di 2.870 individui provenienti da quattro paesi della Sardegna e appartenenti al progetto ProgeNIA/SardiNIA, che studia le basi genetiche di oltre 800 parametri di rilevanza biomedica. In questo studio inoltre il profilo genetico individuale e’ stato esaminato a un livello di risoluzione senza precedenti, grazie al sequenziamento dell’intero genoma di molti individui inclusi nello studio. ”La ricerca coniuga per la prima volta due aree di indagine separate: l’analisi cito-fluorimetrica per l’esame dettagliato dei livelli delle cellule del sistema immune e il profilo genetico degli individui esaminati, chiarendo cosi’ importanti aspetti della regolazione genetica dei livelli delle cellule del sistema immunitario”, spiega Valeria Orru’, ricercatrice dell’Istituto di Cagliari. “Sono state identificate 23 varianti genetiche indipendenti associate a particolari cellule immunitarie, in maggior parte nuove, sebbene alcune fossero gia’ state proposte in altri studi ma senza una solida significativita’ statistica”, aggiunge Maristella Steri, statistico presso l’Irgb-Cnr. I ricercatori hanno poi confrontato i risultati ottenuti con i dati presenti in database pubblici scoprendo che in alcuni casi questi geni erano gia’ associati a celiachia e malattie autoimmuni come colite ulcerosa, diabete di tipo I, sclerosi multipla, artrite reumatoide. “Individuare i geni che influenzano le cellule del sistema immunitario e il rischio di insorgenza di patologie autoimmuni e’ il primo passo per intraprendere studi funzionali mirati alla caratterizzazione dei complessi meccanismi che regolano il sistema”, sottolinea Edoardo Fiorillo, ricercatore dell’Irgb-Cnr. Studi precedenti dell’Irgb-Cnr, nell’ambito del progetto ProgeNIA/SardiNIA, hanno identificato geni associati ad altezza, glicemia, colesterolo, lipidi ematici e parametri ematologici come l’emoglobina fetale. “Uno dei punti di forza della nostra ricerca e’ la popolazione oggetto dello studio”, conclude Francesco Cucca. “I sardi rappresentano una popolazione ideale per gli studi di genetica, con risultati che spesso hanno una valenza piu’ generale per il resto dell’umanita’: in questo caso, capire come la genetica regoli il sistema immunitario e l’autoimmunita’ ci avvicina allo sviluppo di terapie nuove e piu’ efficaci per il trattamento di patologie autoimmuni”. Per approfondimenti   _____________________________________________________ La repubblica 1 Ott. ‘13 SE LE ANALISI DECIDONO ANCHE LE CURE ALESSAHDRA Manti ROTKEUTZ innovazione continua nella diagnostica di laboratorio sta migliorando sia le possibilità di cura del paziente che i risparmi nella spesa sanitaria. Oggi si può intervenire sull'intero percorso del paziente, dagli esami di screening alla diagnosi, dalla prognosi alla scelta della cura e al monitoraggio di efficacia del farmaco. Il tutto grazie all'evoluzione dei sistemi di analisi e dall'introduzione di test innovativi. Di questo si è parlato recentemente in un apposito seminario organizzato da Roche Diagnostics a Rotkeutz, in Svizzera. I progressi più importanti in oncologia vengono dalla medicina personalizzata: nuovi test genetici, come il Braf, l'Egfr o il Kras, consentono oggi di identificare e selezionare i pazienti in cui una terapia è più efficace. Oggi le donne dispongono di un test all'avanguardia per prevenire il tumore al collo dell'utero. Al Pap test si affianca infatti l'Hpv test. Spiega Mario Sideri, direttore Unità Ginecologi a Preventiva dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano: «Studi dimostrano che il test Hpv è più sensibile del Pap nel rilevare lesioni precancerose. Inserire il test Hpv accanto alla citologiatradizionale, perle donne sopra i 35 anni, renderebbe più efficaci i program m i di screening. Oggi solo alcune Regioni prevedono screening basati anche sull'Hpv test». Questo esame diagnostico viene rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale. L'HPV test prevede intervalli più lunghi tra un esame e l'altro: 5 anni. La diagnostica di laboratorio ha fatto passi da gigante in altri esami rivolti alle donne: da quello perla Chlamydia (agente spesso responsabile di infertilità) a nuovi test utili in gravidanza per diagnosi di pre eclampsia (detta anche gestosi). Molto importanti sono i risultati ottenuti nel melanoma, nel cancro del polmone o in quello del colon retto dove si parla di terapia personalizzata, "tagliata" su misura per un paziente. Queste terapie mirate consentono di allungare lavita evitando trattamenti inutili e addirittura nocivi. Il passo successivo, sarà quello della proteomica, dove analizzando proteine specifiche, espressione di alcune forme tumorali, si arriverà a fare una diagnosi più rapida e accurata. I cardiopatici possono ora beneficiare di recenti test in grado di controllare patologie importanti e frequenti come lo scompenso cardiaco o l'infarto. Ma anche nell'autodiagnosi ci sono progressi: come il recente test per valutare il livello di coagulazione del sangue (Inr), indispensabile per chi è stato sottoposto a interventi cardiaci importanti e deve assumere regolarmente anticoagulanti. Un aiuto importante per tenere sotto controllo questi valori. Il futuro è dietro l'angolo: ormai si parla di sequenziamento completo del Dna a costi ridotti quale test di routine nella diagnosi e nella predisposizione di patologie invalidanti. INDAGINI SUL DNA OLTRE 500 MILA L'ANNO Oltre 580.000 i test genetici eseguiti in un anno in Italia 100.000 le consulenze. È boom di analisi sui tumori in funzione diagnostica, prognostica e terapeutica: dal 2007 al 2011 sono più che raddoppiate (da 34.000 a 71.000). Tendenza alla riduzione per le indagini cromosomiche prenatali È l'ultimo censimento nazionale sulle strutture e le attività di genetica medica in Italia presentato dal direttore scientifico dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù Bruno Dallapiccola, in occasione del XVI Congresso nazionale della Sigu (Società italiana di genetica umana) a Roma I dati, raccolti nel 2012 mostrano più di 500 tra laboratori e servizi di genetica operanti in 268 macrostrutture diffuse soprattutto nel Nord Italia (53%). «Il numero delle strutture è troppo elevato commenta Dallapiccola e necessita di una razionalizzazione anche in termini di distribuzione geografica». Non risulta l'offerta di test di medicina personalizzata, al momento venduti in alcuni paesi stranieri ____________________________________________________________ L’Unione Sarda 01 Ott. ’13 LA MEDICINA PERSONALIZZATA IN ITALIA ANCORA NON È DECOLLATA È un vero boom per la ricerca di patologie e predisposizioni genetiche, soprattutto per quanto riguarda la predisposizione al rischio di tumori. Oggi nel nostro Paese operano più di 500 tra laboratori e servizi di genetica operanti in 268 macrostrutture, diffuse soprattutto nel Nord Italia (53 per cento). Oltre 580.000 test genetici e 100.000 consulenze effettuate in un anno. Si stabilizza con una tendenza alla riduzione il numero delle indagini cromosomiche prenatali, mentre aumentano significativamente le analisi finalizzate allo studio dei tumori.  La medicina personalizzata in Italia ancora non decolla. Sono alcuni dei risultati dell'ultimo Censimento nazionale sulle strutture e le attività di genetica medica in Italia, presentati dal direttore scientifico dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù, Bruno Dallapiccola, in occasione del Congresso nazionale della Sigu, la Società Italiana di genetica umana. I dati del Censimento, raccolti dai ricercatori dell'ospedale Bambino Gesù (Orphanet) fanno riferimento all'anno 2011. Secondo la ricerca sono 268 le macrostrutture di genetica medica presenti in Italia, oltre la metà diffuse nel Nord del Paese (142, il 53%). Nel Centro Italia (Toscana, Umbria, Marche e Lazio) le strutture censite sono 54 (20%); 45 nel Sud (17%); 27 nelle Isole (10%). I servizi di genetica medica sono complessivamente 517, di cui 372 laboratori. Nel 2007 erano 490 (+5%). In 198 di questi centri si svolgono attività di genetica molecolare, 153 sono dedicati alla citogenetica (analisi dei cromosomicromosomiche); 145 alla genetica clinica, 21 alla immunogenetica (analisi del sistema immunitario). Nel 2011 sono stati eseguiti complessivamente oltre 580.000 test genetici (+24.000 rispetto al 2007) e 100.000 consulenze, per un totale di 684.000 prestazioni di genetica medica. Le analisi sui tumori registrano invece un incremento significativo passando da 34.000 a 71.000 (+105%). Calano leggermente i test sul liquido amniotico da 102.000 a 97.000 (-5%), a fronte di un numero pressoché costante di indagini sui villi coriali (26.000) e sul sangue cordonale (383). Per quanto riguarda le malattie, invece, la patologia maggiormente indagata a livello molecolare è la fibrosi cistica, con 55.716 diagnosi nel 2011. (fe.me.)  ____________________________________________________________ Sanità News 04 Ott. ’13 PERICOLO DI RITORNO DEL MORBILLO A CAUSA DELLA DIFFIDENZA VERSO LE VACCINAZIONI Ogni anno nel mondo, il vaccino riesce a evitare tre milioni di morti, ma alcune infezioni rischiano di riprendere proprio per un calo di attenzione e di fiducia nelle vaccinazioni, a cominciare dal morbillo che, per esempio, in Gran Bretagna ha già fatto registrare 600 casi solo nel primi quattro mesi di quest’anno. Ma sono stati proprio i positivi risultati delle vaccinazioni che paradossalmente hanno determinato un calo dell’attenzione da parte dei genitori, una minore apprensione e quindi la sensazione di poter fare a meno dei vaccini. Sono le preoccupazioni emerse al Congresso nazionale della Società italiana di infettivologia pediatrica (Sitip), che si è svolto nei giorni scorsi a Roma. Il pericolo di un ritorno delle malattie infettive, a cominciare dal morbillo, ha quindi indotto l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a creare una Commissione "che – spiega Susanna Esposito, direttore della Clinica pediatrica della Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e presidente della Sitip - controllerà in Europa i programmi di prevenzione con due dosi di vaccino per i nuovi nati, recuperando gli adolescenti e gli adulti suscettibili alla malattia", con l'obiettivo di eradicarla entro il 2015. "Ogni volta che le coperture vaccinali diminuiscono - avverte Marta Ciofi degli Atti, responsabile dell’Unità di Ricerca esiti e percorsi medico-chirurgici dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù Roma - si rischia che malattie prevenibili ricompaiano. Esperienze di questo tipo si sono verificate non solo per il morbillo, ma anche per la pertosse, la difterite e la poliomielite. Al contrario, l'analisi sul profilo rischio-beneficio dei vaccini è pienamente favorevole». Da qui l'invito degli specialisti ad adoperarsi affinchè nelle famiglie sia mantenuta alta la fiducia «in questo fondamentale strumento di salute". Anche perchè, ricorda infine Esposito, che è presidente della Commissione dell'Oms per l'eradicazione di morbillo e rosolia congenita, "negli ultimi anni è stata riscontrata una riemergenza pure di altre malattie, come la tubercolosi nei Paesi industrializzati, dove rappresenta ormai il 5% di tutte le patologie"». ____________________________________________________________ Repubblica 01 Ott. ’13 AUMENTANO I TUMORI ALLA MAMMELLA E COLPISCONO PRIMA La diagnosi precoce si ha solo nel 45% dei casi nel Nord e nel 26% nel Sud. Campagne e iniziative di Fondazione Veronesi, Lilt e Nastro Rosa, Trenitalia e IncontraDonna MARIAPAOLA SALMI Un tumore maligno ogni tre è un tumore mammario. La neoplasia femminile più diagnosticata in ogni età della donna non mostra cedimenti. In aumento le nuove diagnosi (46.300 nel 2012) con un incremento negli ultimi 6 anni del 14%. Cambia l’età di comparsa del tumore che nel 30% dei casi si manifesta prima dei 50 anni tanto che tra i 25 e i 44 anni di età i nuovi casi sono cresciuti del 29%. Si può fare poco con la prevenzione primaria, molto di più con la diagnosi precoce orientata alle giovani. Lo ribadiscono gli oncologi e i dati: è la donna chescopre il tumore nel 45% dei casi mentre nel restante 55% a svelarlo è la visita senologica, l’esame ecografico e la mammografia. A ricordare alle donne di qualunque età che bisogna attivarsi e non aver paura, che più il tumore è piccolo meglio si cura e più si guarisce, torna per tutto ottobre la Campagna internazionale di prevenzione del tumore al seno. Nelle “Breast Unit” europee dal 2003 al 2010 solo in una paziente su quattro si è dovuta praticare l’asportazione della mammella intera. Lo studio Eurocares – Cancer Epidemiology 2013 evidenzia come nel nord Italia il 45% dei tumori mammari venga diagnosticato in stadio precoce rispetto al 26% del sud del paese dove nell’8,1-9,6% dei casi sono già presenti metastasi con necessità di ricorrere a interventi demolitivi superiore al 30-40% rispetto alla media nazionale. «Vuol dire che nel nostro paese si fa ancora poco, esistono gli screening a livello regionale ma con limiti importanti – dichiara Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Veronesi (0276018187) e direttore della Unità di chirurgia senologica integrata dello Ieo che dedica alla Campagna di sensibilizzazione e informazione il progetto Pink is Good (www.pinkisgood.it) al via oggi – Un limite è l’età: si parte dai 50 fino ai 69 anni per eseguire l’esame mammografico, ma sappiamo che il tumore sempre più spesso anticipa. L’altro è la scarsa accuratezza diagnostica. Oggi si richiede alle donne uno sforzo in più per sottoporsi anche su base volontaria alla mammografia e all’ecografia a cominciare dai 40 anni e in alcuni casi dai 35 se c’è familiarità,personalizzando al massimo lascelta delle indagini necessarie». Uno studio condotto allo Ieo su 1.258 donne seguite dal 2000 al 2006 con nodulo non palpabile inferiore al centimetro ha dimostrato a cinque anni una sopravvivenza globale del 98,6% delle pazienti. «Nonostante l’incidenza del tumore mammario stia ancora aumentando, le donne che guariscono sono sempre di più grazie alla diagnosi precoce e alle terapie mirate come dimostra la revisione dei lavori più recenti con i quali abbiamo aggiornato “Libertà di sapere, libertà di scegliere” il quaderno dedicato a informare le donne», commenta Veronesi. Altro limite importante dello screening mammografico è la non omogenea copertura: 89% al Nord, 77% al Centro,sotto il 38% al Sud. Questo significa che l’estensione teorica (donne invitate) è del 91,7%, quella effettiva (donne esaminate) raggiunge a malapena il 69,1%, vale a dire il 36,7% della popolazione femminile bersaglio. «Il vero problema è che dobbiamo offrire garanzie a quel 30% di donne che manifestano il tumore in età giovanile e produttiva – spiega Francesco Schittulli, presidente della Lega italiana per la lotta ai tumori (Lilt) quest’anno alla ventunesima edizione della Campagna Nastro Rosa 2013 (397 punti prevenzione sul territorio, numero verde Sos Lilt 800998877 o www.nastrorosa.it ) – Un’analisi condotta da Blake Cady della Harvard Medical School, pubblicata suCancer,ha evidenziato come la maggior parte dei decessi si verifichi tra le più giovani non incluse nei programmi discreening. Ciò pone l’accento sulla necessità di incoraggiare l’esame mammografico prima dei 50 anni, perché scoprire un tumore al seno quando è ancora di pochi millimetri garantisce la guarigione e una sopravvivenza con migliore qualità di vita». L’informazione e la consapevolezza tra le donne, in particolare le giovanissime, rimane lo strumento più efficace per spingerle a sfruttare tutto ciò che le scienza mette a disposizione per la diagnosi precoce e la prevenzione. Infine, a ottobre, la campagna Frecciarosa: Fs-IncontrDonna e ministero Salute prevedono la distribuzione sui treni di un opuscolo sulla prevenzione tumore seno e Hpv e visite e consulenze su due Frecciarossa Trenitalia Roma-Milano (www.trenitalia.com) ____________________________________________________________ Repubblica 01 Ott. ’13 ANSIA DAL DENTISTA In ansia più di sei persone su dieci che arrivano sulla poltrona dei professionisti. Un’indagine segnala gli aspetti psicologici e i ricordi d’infanzia. Mentre in molti studi si affronta (con molta inventiva) il problema: musica, ambiente antistress, accoglienza ANNAMARIA MESSA C’è chi, a Bari, per allontanare l’ansia della famigerata “poltrona”, accoglie i pazienti nel suo studio dentistico con un fragrante odore di pane caldo. Un dentista indonesiano ha invece collegato la turbina del suo trapano a un lettore mp3 sostituendo rilassanti brani musicali al fastidioso sibilo che tanto spaventa i pazienti. Kimbo è un barboncino che, a modo suo, aiuta i bimbi nello studio odontoiatrico della Asl 9 di Grosseto, ad avvicinarsi in modo meno traumatico alle cure del dentista. Tra crisi, costi onerosi e paure (trapano, ago, sangue, le più frequenti) gli studi dentistici si svuotano e gli specialisti corrono ai ripari con ambientiantistress, tecniche di comunicazione e di sedazione, antidolorifici. Sedersi su “quella” poltrona mette ancora oggi ansia a più di 6 persone su 10. Per 1 su 10 scatta una vera e propria fobia. Accelerazione cardiaca, sudore, tremori, capogiri, vertigini, sino allo svenimento. E 1 su 4 finisce col rimandare o addirittura evitare le cure necessarie e non solo per il timore della spesa... Odontofobia per traumi dell’infanzia o inspiegabile angoscia primordiale? Secondo uno studio promosso dall’Unione Nazionale Industrie Dentali Italiane (Unidi), gli stimoli sensoriali colti dal paziente sono decisivi dal punto di vista psicologico. «La qualità percepita delle cure che il paziente si predispone a ricevere in uno studio odontoiatrico è maggiore se l’ambiente è ben arredato, ben illuminato, ha immagini artistiche, aspetto caldo e accogliente», spiega Ruggero Soffiato, consulente per il miglioramento delle organizzazioni. «Anchenella relazione tra stimoli olfattivi e tono dell’umore», aggiunge Elisa Maragno, psicologa del lavoro, «le ricerche mostrano che in genere il ricordo rievocato dalla sollecitazione odorosa si accompagna a uno stato emozionale pur inconsapevole e può creare un ambiente adatto a predisporre il paziente ai successivi interventi a volte dolorosi ». Importante il dato uditivo. «Certi tipi di musica alleviano lo stress, stimolano positivamente l’attività delle onde cerebrali, riducono il livello di stress abbassando la concentrazione dei markers infiammatori e migliorando l’attivazione delle cellule natural killers del sistema immunitario. Quindi le percezioni positive dei pazienti diventano importanti per un maggiore coinvolgimento alla cura». «Il paziente ansioso durante la visita tende a non appoggiare la testa sul poggiatesta, a tenere le gambe tese e rigide, spesso non apre a sufficienza la bocca, soffre per non avere il controllo completo di sé e ha terrore del dolore fisico. Ha bisogno di attenzioni dal momento in cui entra insala d’attesa, priva possibilmente dei tipici rumori e odori degli ambulatori dentistici. Bisogna non farlo attendere un minuto oltre l’orario convenuto, il professionista deve accompagnarlo senza fretta e con misurata cordialità», aggiunge Daniele Benedetti Forastieri, odontoiatra a Senigallia. «Con i più piccoli», spiega, «funziona bene la tecnica “Tell–Show–Do”: prima si chiarisce con parole che il bambino può capire ciò che sarà fatto, poi si mostra lo strumento, lo si fa toccare al piccolo, lo si accosta gradualmente alla sua guancia, poi gli si chiede di aprire labocca e lo si avvisa se sentirà un leggero dolore. Importante il tono di voce: amichevole ma deciso». Prima di interventi complessi di chirurgia orale, implantologia o estrazioni multiple può essere opportuno un test - il Das (Dental Anxiety Scale) o Test di Corah – per quantificare con alcune domande l’intensità del timore e decidere se è il caso di usare tecniche di sedazione cosciente con l’uso di un gas (protossido d’azoto) o con ansiolitici (benzodiazepine ad emivita breve) per bocca o per via endovenosa, oltre alla completa analgesia. Naturalmen-te il paziente va attentamente valutato prima di iniziare le cure, sarebbe opportuna la collaborazione di un anestesista anche per possibili reazioni avverse o allergiche. «Meglio eseguire certi interventi in ambiente ospedaliero o clinicizzato », suggeriscono gli anestesisti e ricordano che la tecnica del protossido d’azoto ha dei limiti e, tra l’altro, il gas può avere conseguenze sul sistema cardiocircolatorioe respiratorio